Never again
Le
tue mani sono la sua salvezza
Il viaggio in
auto fu lungo e
incredibilmente silenzioso.
Oliver teneva
gi occhi puntati sulla
strada, il volante stretto tra le mani, quasi a volerlo stritolare
mentre i
suoi pensieri erano concentrati sulla donna seduta al suo fianco.
Felicity
osservava il paesaggio che
scorreva veloce fuori dalla macchina, le luci della città
che sembravano scie
sfuggenti.
Aveva
abbandonato il capo contro
il finestrino, la
testa che continuava a
pulsare dolosamente e la stanchezza che stava prendendo il sopravvento
su di
lei.
Chiuse gli
occhi abbandonandosi al
dolce tepore che proveniva dalle bocchette di riscaldamento della
costosa
berlina di Oliver.
Quando
finalmente giunsero sotto
casa, Felicity era sul punto di addormentarsi profondamente.
Oliver scese
dall’auto e aprì la
portiera per la ragazza, aiutandola ad uscire dall’abitacolo.
Fu
più complicato di quanto avesse
previsto.
La bionda
sentì ogni muscolo farle
male, mentre il suo equilibrio precario la fece barcollare sui tacchi
alti.
Lui la
aiutò ad entrare in casa,
sorreggendola con le sue braccia.
La fece
stendere sul divano chiaro,
cercando di essere il più delicato possibile.
“Non
pensavo avrebbe fatto così
male” disse lei, la voce provata dal dolore.
Oliver si
sedette sul tavolino basso,
davanti al divano: “È l’effetto degli
antidolorifici … sta svanendo”
Felicity
sospirò e perfino questo le
fece male: “Vuoi dire che prima, quando stavo meglio di ora,
era solo l’effetto
dei farmaci?”
“Temo
di sì” gli rispose sincero “e
sono passate solo poche ore quindi dovrai resistere un altro
po’ prima di
poterne assumere degli altri”
La ragazza si
tolse gli occhiali, strofinandosi
gli occhi stanchi.
Rimasero in
silenzio per qualche
minuto fino a quando Oliver le consigliò di andarsi a
coricare e farsi una
bella dormita.
La
accompagnò in camera e lei si
lasciò andare sul letto, troppo debole per restare ancora in
piedi.
“Riesci
a cambiarti?” le chiese
Oliver, cercando il suo pigiama.
Quando lo
trovò aiutò Fel a mettersi
seduta.
La donna
annuì mentre armeggiava più
volte con la cerniera del vestito, posta sulla schiena, senza riuscire
a
raggiungerla.
Le braccia le
facevano male appena
le muoveva, come il resto del corpo.
Si
fermò a guardare attentamente la
sua pelle notando i segni violacei sparsi ovunque, dal polso fino alle
spalle.
“Felicity”
Oliver le bloccò le
braccia con delicatezza, notando lo sguardo triste sul suo viso
“Ti aiuto io”
Le
alzò il mento con le dita in modo
tale che lei incrociasse il suo sguardo e le sorrise, sperando che
questo
potesse distrarla dai brutti pensieri su quanto le era accaduto.
La ragazza non
rispose, troppo
scossa da tutto per parlare.
Lui si sedette
sul materasso, dietro
la donna, per riuscire a raggiungere la cerniera del vestito.
Fece scivolare
giù la zip, sfiorando
appena la pelle che si scopriva man mano.
Felicity
tremò al contatto delle
mani di lui sulla schiena: sentiva il tocco leggero dei suoi
polpastrelli su di
sé, scatenandole piccoli brividi di piacere.
Non riusciva a
concepire come il più
piccolo dei suoi tocchi la mandasse quasi in estasi, come se non ci
fosse nulla
di più bello al mondo delle sue mani sul suo corpo.
Oliver
osò di più, passando le mani
sulle spalle della ragazza, facendo scivolare le spalline del suo
vestito lungo
le braccia.
Cercò
di controllarsi, senza
lasciare che le sue emozioni prendessero il sopravvento.
Se avesse
semplicemente seguito
l’istinto l’avrebbe stretta e sé e
l’avrebbe riempita di baci e carezze ma non
poteva, non dopo quello che era successo al covo.
Gli
mancò il respiro quando lei si
lasciò andare contro di lui, appoggiandosi al suo petto.
Oliver si mise
seduto più comodo sul
letto e l’accolse fra le sue braccia, abbracciandola
dolcemente mentre lei si
accoccolava su di lui, diminuendo ancora la minuscola distanza fra i
loro
corpi.
Non era
perfettamente lucida, forse
se lo fosse stata non avrebbe osato tanto.
Doveva essere
arrabbiata con lui ma
non ci riusciva.
Oliver aveva la
maledetta capacità
di mandarla in confusione, tutto di lui le faceva perdere la
razionalità: le
sue mani, il suo profumo, le sue parole e i suoi occhi.
Quegli occhi
azzurri che la
guardavano intensamente, così profondi e luminosi che
parevano parlarle
silenziosamente.
E qualunque cosa dicessero
lei li avrebbe
sempre ascoltati.
Tremò
più forte quando sentì il
mento di lui sfiorarle la spalla, ormai scoperta dal vestito, e la
barba
solleticarle la pelle.
“Oliver
…” lo chiamò prima che
perdesse completamente il controllo “che cosa stai
…”
“Shhh”
sussurrò lui nel suo orecchio
mentre la stringeva ancora di più a sé,
lasciandole un bacio alla base del
collo.
Una scarica di
piacere scosse la
ragazza mentre lui continuava con un secondo bacio e un altro ancora.
Lei si
voltò lentamente, cercando i
suoi occhi.
Ritrovò
il suo viso così vicino da
toglierle il fiato. Sarebbe riuscita a raggiungere le sue labbra in un
baleno.
Avrebbe tanto voluto farlo.
Ma il cellulare
di Oliver squillò.
“È
Dig” disse lui sgusciando via
dall’abbraccio, allontanandosi a malincuore dal corpo di
Felicty per
rispondere.
Lei lo
guardò mentre parlava con il
loro amico sulle sue condizioni. Le dava le spalle e gli occhi di lei
finirono
inevitabilmente sulla sua schiena possente, sulle sue gambe, cercando
di non
rimanere bloccata a fissargli il fondoschiena.
Quando la
chiamata terminò Felicity distolse
lo sguardo, estremamente imbarazzata. Sperava non l’avesse
beccata a mangiarlo
con gli occhi.
Anche Oliver
era piuttosto in
difficoltà, non sapeva che cosa fare.
Se non li
avessero interrotti non
sapeva con precisione come sarebbero finite le cose.
Si fissarono
per un istante, in
silenzio.
Lei lo voleva
ma lui sembrava
continuare a non essere pronto ad impegnarsi davvero, troppo protettivo
nei
suoi confronti per lasciarsi andare.
E lei voleva
più di qualche bacio
ogni tanto, di qualche carezza e un paio di sorrisi. Voleva tutto di
lui, per
sempre, al suo fianco.
Abbassò
il capo, non riusciva a
guardarlo negli occhi.
“Felicity”
Oliver non sapeva davvero
cosa dirle, non dopo quello che stava per fare. Non avrebbe dovuto
cedere.
“Sono
stanca, Oliver …. è meglio se
riposo un po’”
“Sì,
certo” lui sapeva che era una
scusa ma non avrebbe insistito “Hai ancora bisogno di
aiuto?”
“No”
si affrettò a rispondere quando
capì che si riferiva al vestito “Ce la faccio da
sola”
Oliver
annuì, gli occhi bassi e lo
sguardo triste, mentre usciva dalla stanza per lasciarle la sua privacy.
Vestirsi fu
più difficile del
previsto.
Quando si
lasciò scivolare sul
materasso si sentiva distrutta. Infilarsi il pigiama in quelle
condizioni era
stata l’impresa più ardua che aveva compiuto negli
ultimi anni.
Quando
realizzò che era distesa
sopra le coperte e che doveva infilarsi sotto il caldo piumone le venne
da
piangere.
Cercò
di spostarsi, tirando le
coperte e tentando di infilare le gambe al di sotto delle lenzuola,
senza
riuscirci davvero.
Ogni
più piccolo movimento era una
fitta di dolore insopportabile.
Una lacrima le
rigò il viso, poi una
seconda e poi un’altra ancora.
Anche piangere
le faceva male,
respirare troppo velocemente le provocava scosse dolorose in tutto il
petto. Si
sentiva uno straccio.
Aveva cercato
di osservare il suo
corpo il meno possibile ma non poteva non vedere quelle macchie viola
sulla
pelle, lividi enormi che ricoprivano il petto, il ventre e le sue gambe.
Il suo corpo
era deturpato e si
sentiva così inadeguata. Sapeva che i lividi sarebbe
scomparsi prima o poi ma
fino ad allora non sarebbe più riuscita a mostrarsi nuda a
qualcuno.
Non senza
sentirsi orribile.
Cercò
di calmarsi, ricacciando
indietro le lacrime.
Si sentiva
così impotente. Era
frustrante sapere di dover dipendere da qualcuno per fare le cose
più semplici
e quotidiane.
“Oliver”
Lui accorse
immediatamente quando sentì
la voce della donna chiamarlo.
“Felicty,
stai bene?” domandò
preoccupato.
“Sì.
Solo non riesco a …” era
umiliante ridursi a chiedere aiuto per farsi rimboccare le coperte.
“Aspetta”
disse avvicinandosi.
La
sollevò delicatamente, tenendola
in braccio mentre armeggiava come meglio riusciva con la coperta.
La stese di
nuovo sul letto
ricoprendola per non farle prendere freddo.
“Grazie”
sussurrò lei.
Oliver le
sorrise, intenerito dalla
sua dolcezza e dal lieve rossore sulle guance, chiaro segno di
imbarazzo per
essersi fatta aiutare a mettersi a letto.
La ragazza si
girò, cercando una
posizione che le facesse sentire meno male possibile ma era piuttosto
complicato.
“Ehi”
Oliver si piegò sulle
ginocchia, per essere all’altezza del materasso
“Prova così” la invitò
facendola stendere sul fianco destro, le gambe distese e un braccio
sotto il
cuscino a sostenere il capo.
“Come
facevi a sapere che …”
Felicity era stupita che lui fosse riuscito a farle trovare una
posizione
comoda, per sentire meno dolore.
Lui non sapeva
se risponderle, aveva
paura di far affiorare spiacevoli ricordi: “Il lato destro
del tuo corpo … era
esposto verso la strada mentre Miller era alla tua sinistra sul
marciapiede. È
quello che ha subito meno colpi, perciò farà
sicuramente meno male ”
Lei si diede
mentalmente della
sciocca per non averci pensato.
“Ti
lascio riposare” le disse mentre
si rimetteva in piedi.
Felicity lo
fermò, bloccandolo per
il braccio. Non voleva restare sola.
“Aspetta”
disse tirandolo a sé “Io
…”
“Va
tutto bene?” le domandò
preoccupato mentre si abbassava nuovamente accanto al letto.
“Sì,
è solo che … non penso di
riuscire a riposare molto, insomma sono stanca e dolorante ma per
quanto il mio
corpo abbia bisogno di dormire io …”
“Felicty”
lui la bloccò sorridendo,
mettendo fine ai suoi lunghi discorsi senza fine “vai al
punto”
“Ok,
sì. Certo” rispose lei
rendendosi conto di aver ricominciato a parlare senza freni
“Il fatto è che sono
spaventata. Ho paura che quando chiuderò gli occhi mi
tornerà in mente Miller o
peggio …”
Si
bloccò, realizzando ciò che stava
per dire.
“Io”
concluse lui al suo posto.
“No,
Oliver, non intendevo …”
“Non
importa” la rassicurò.
“Potresti
…” non lo stava chiedendo
davvero, non poteva farlo, non doveva perché lei era
arrabbiata con lui. Molto
arrabbiata. Anzi furiosa e delusa dal suo comportamento. Quello che le
aveva
fatto era imperdonabile.
“Potresti
restare qui, con me?”
Ok, lo aveva
detto davvero. Si morse
la lingua ma ormai era troppo tardi.
Oliver rimase
spiazzato dalla sua
richiesta.
“Se
la vertigo facesse ancora
effetto su di me” si affrettò ad aggiungere lei,
sperando di non peggiorare la
situazione “tu sei l’unico che riuscirebbe a farmi
aprire gli occhi, a destarmi
da quell’incubo”
Non sapeva se
avesse realmente
migliorato qualcosa ma le sembrava che lui quasi sorridesse, e
ciò le infondeva
sicurezza.
“Ok”
le rispose, sedendosi a gambe
incrociate sul pavimento, ai piedi del letto.
Oliver si
torturò le mani una con l’altra,
lasciandole pigramente sulle gambe, lo sguardo basso, in evidente
difficoltà.
Era strano
vederlo così.
Sembrava
indifeso, imbarazzato.
“Oliver
Queen timido di fronte ad
una donna che chiede di passare la notte con lui?” la sua
bocca parlò prima che
lei potesse realizzare quello che stava facendo “Non in quel
senso!” si
affrettò ad aggiungere.
“Non
nel senso di … si, insomma …
nel senso che di solito si intende per …”
Felicity si
maledì: perché non
riusciva a tenere chiusa la bocca?
“Ho
capito, quello che intendi”
rispose Oliver a metà tra il serio e il divertito.
“Sono
un totale disastro” commentò
mentre si strofinava il viso con le mani, desiderando di scomparire per
nascondersi dalla vergogna.
“No.
Sei solo …” lui sembrò
ragionarci su un attimo prima di continuare “sei
Felicity”
Lo disse come
se fosse la cosa più
ovvia al mondo, senza riuscire a nascondere un mezzo sorriso.
In fondo era la
verità e per quanto
fosse imbarazzante per lei alle volte, a lui Felicity piaceva
così com’era, con
tutti i suoi sproloqui inutili ma adorabili.
Rimasero in
silenzio, uno di quelli
carichi di imbarazzo ed incertezze.
La donna
allungò una braccio verso
di lui, afferrando le sue mani.
Oliver
alzò lo sguardo di scatto,
sorpreso da quel gesto, trovando solo il sorriso di Felicity davanti a
lui.
Ricambiò
la stretta, rendendosi
conto di quanto le piccole mani di lei fossero gelide.
“Hai
freddo?” le chiese.
“Solo
un pochino” disse sincera
senza smettere di guardarlo.
Prese entrambe
le mani tra le sue,
coprendole completamente e trasmettendole un po’ di calore.
Lei chiuse gli
occhi, sperando di
non rivivere gli incubi di quella sera. Si concentrò solo
sul contatto con le
mani di Oliver, estremamente gradito e rassicurante.
Caldo e
confortevole come i suoi
abbracci, piacevole come la sensazione del suo corpo contro il suo.
Aprì
gli occhi, consapevole di
quello che stava per fare.
“Oliver”
lasciò le sue mani e con
qualche difficoltà si spostò nel letto,
facendogli spazio.
Lui parve non
capire. Rimase a
fissarla, seduto per terra.
Allungò
una mano ma questa volta era
troppo distante per riuscire a raggiungere le sue.
Oliver
spostò gli occhi sul suo
braccio disteso, decidendosi poi ad afferrare le sue dita.
Gli stava
davvero chiedendo
silenziosamente di sdraiarsi accanto a lei?
Si
alzò, non sapendo realmente cosa
fare ma i suoi occhi gli diedero coraggio.
Si sedette sul
letto e dopo essersi
sfilato le scarpe si coricò sul fianco, trovandosi faccia a
faccia con lei.
Non sapeva come
comportarsi, né dove
tenere le mani … era più teso della corda del suo
arco appena prima di
scagliare una freccia.
Felicity stava
combattendo contro le
fitte di dolore che quei piccoli movimenti le avevano causato e parve
non
accorgersi dell’imbarazzo che aleggiava sul viso di Oliver.
Quando il
dolore scemò cercò le sue
mani.
Le strinse come
se fossero la sua
ancora di salvezza in mezzo ad un oceano in tempesta.
Fu allora che
lo notò. Un piccolo
taglio sulle nocche della mano destra dell’uomo.
“Che
cosa ti è successo?” gli
chiese.
“Ho
… fatto a pugni” rispose Oliver
con un po’ d’esitazione.
“E
con chi? Miller?” non sapeva
realmente cosa lui avesse fatto a quel criminale e forse preferiva
continuare
ad ignorare i dettagli dell’accaduto.
“No,
ho preso a pugni …” si sentiva
piuttosto ridicolo in quel momento “il muro”
Felicity si
stupì: “E che cosa ti ha
fatto di male per farti arrabbiare così tanto?”
Riuscì
a strappagli un sorriso,
nonostante la tensione che c’era tra loro quella sera.
“In
realtà nulla. Avevo solo bisogno
di sfogarmi”
“Non
dovresti maltrattare così le
tue mani” disse seria la bionda “sono state loro a
salvarmi”
Oliver la
guardò, senza capire.
“Sì,
insomma” spiegò “è stato
grazie
a loro che ho capito che non dovevo avere paura, quando ho rischiato di
farmi
travolgere di nuovo dall’incubo della vertigo, questa notte
al covo”
Lui la
lasciò concludere il discorso
mentre lei giocava con le sue dita, stringendole e accarezzandole,
facendole
incontrare tra loro per poi allontanarle e ricominciare tutto da capo.
“Vedevo e sentivo
cose che non esistevano
davvero ma la loro presa sulle mie mani … quella era reale.
E lo capivo.
Sentivo che quel contatto mi avrebbe trascinato via
dall’oblio, insieme alla
tua voce. So che è una cosa stupida e che
…”
“No”
la fermò lui “non lo è. E se
loro potessero aiutarti in qualunque modo, in qualche altra occasione,
allora
non esitare a stringerle. Saranno sempre accanto a te, ogni volta che
ne avrai
bisogno”
Felicity sapeva
che con lui doveva
accontentarsi delle piccole cose, leggere tra le righe, interpretare
ogni suo
più piccolo gesto.
Sapeva quanto
gli fosse difficile
aprirsi con gli altri, parlare dei suoi sentimenti e a volte tutto
ciò era
frustrante.
Ma quelle
parole le fecerono tornare
il sorriso per un istante: era il suo modo di comunicarle che ci
sarebbe sempre
stato per lei, che le sarebbe rimasto accanto.
“Grazie”
sussurrò.
Lui si
stupì di tanta dolcezza, si
aspettava una Felicity molto più fredda dopo le parole che
si erano urlati
contro al covo.
Lei parve
capire quello che stava
pensando: “Sappi che domani, quando non sarò
più così stanca né vulnerabile,
quando non sarò più sotto l’effetto
della vertigo, sarò molto arrabbiata con
te”
Le sue parole
lo raggelarono, ma in
fondo sapeva di meritarselo.
“Ma
non adesso, adesso voglio solo
….” Alzò lo sguardo verso di lui, il
viso a poche decine di centimetri dal suo
“restare qui, con te”
Oliver
percepì il cuore battergli
forte nel petto, sentiva ogni parte del suo corpo protendere verso di
lei, come
se fosse il polo opposto della sua calamita.
Lo attraeva, lo
stregava, lo faceva
soffrire e gioire come nessuna prima di allora.
Era frustrante
volerla con tutto sé
stesso ma trattenersi per salvarla, per non trascinarla nella sua
oscurità.
Lei brillava,
come la più luminosa
delle stelle, ma non c’erano astri nel cielo di Oliver.
Solo buio e
desolazione e se le
avesse permesso di entrare avrebbe potuto affievolire il suo splendore.
Le
accarezzò il viso, la gola troppo
secca per dirle quello che provava, mentre ogni cellula del suo corpo
ardeva
come un tizzone, bruciando di passione.
La strinse a
sé, una mano dietro la
sua nuca per attirare il suo viso più vicino al proprio.
Sentì
la mano di Felicity
aggrapparsi al suo maglione mentre respiravano l’uno il
profumo dell’altra.
Scese con le
mani dal suo viso al
suo corpo, non sapendo però dove depositarle, troppo
intimorito all’idea di
farle del male.
“Puoi
abbracciarmi, se lo vuoi” la
sua voce lo colse di sorpresa, mentre le sue mani erano ancora a
mezz’aria,
indecise su cosa fare “Non mi rompo come una bambola di
porcellana”
“Ho
solo paura di farti male” le
sussurrò, la voce triste e addolorata.
“Tranquillo.
Non sarà peggio del
dolore che mi hai già causato” rispose senza
riflettere.
Solo dopo si
rese conto di quanto la
sua voce fosse velenosa e tagliente, ma non se ne pentì.
Tutte le botte
che aveva ricevuto
erano nulla in confronto al dolore che provava ogni giorno, sapendo che
lui
l’avrebbe continuamente respinta.
Oliver le cinse
i fianchi,
attirandola a sé con delicatezza, facendo scontrare i loro
corpi, petto contro
petto, nessun millimetro a dividerli.
Affondò
il viso nei suoi capelli, a
fianco del suo collo, sentendo gli occhi farsi lucidi.
Sapere quanto
male le aveva fatto lo
stava corrodendo lentamente e
per un
attimo desiderò essere solo, per potersi lasciar andare ad
un pianto
liberatorio.
“Fel”
la chiamò con un filo di voce
“mi dispiace così tanto”
Ma lei non
sentì le sue scuse né le
lacrime che versò nel buio della stanza, troppo esausta per
tenere ancora gli
occhi aperti.
Oliver quasi
non chiuse occhio
quella notte.
Pianse dopo che
Felcity si fu
addormentata tra le sue braccia, mentre si aggrappava al suo corpo come
se
fosse l’unico appiglio che lo ancorava alla
realtà, impedendogli di affogare in
quel mare tempestoso che erano le sue emozioni.
Cullava la
ragazza ogni volta che si
agitava nel sonno per evitare che si destasse, ma gli incubi e il
dolore la
scuotevano a tal punto che spesso si svegliava di soprassalto, gli
occhi
sbarrati dalla paura e la fronte imperlata di sudore.
Oliver la
abbracciava, sussurrandole
parole dolci, fino a quando sprofondava nuovamente nel sonno,
stringendo la
presa sul suo maglioncino.
Erano ormai le
otto del mattino
quando Felicity scattò a sedere nel letto,
l’ennesimo incubo che le inondava la
testa.
Il dolore che
provò a causa del
brusco movimento le spezzò il fiato, mentre le lacrime le
offuscavano la vista.
Ogni suo muscolo urlava, bruciando per il male che si espandeva
velocemente in
tutto il corpo.
“Felicity”
lui la chiamò,
sorreggendole la schiena “tranquilla, ora passa
tutto”
Cercò
di rassicurala ma il suo
respiro irregolare non si calmava, provocandole tremori che la facevano
stare
ancora più male.
“Ascoltami,
Fel” cercò di attirare
la sua attenzione, ricevendo come risposta solo i suoi lamenti
strozzati.
“Inspira”
le disse prendendole le mani con cui
si riparava il ventre, come se questo l’aiutasse a stare
meglio “Espira”
La ragazza
impiegò qualche istante
prima di reagire ma alla fine iniziò a prendere lunghi
respiri.
“Brava,
così” la incitò spostando le
mani di lei ai lati delle sue gambe, coperte dal pigiama blu a
paperelle.
Lei chiuse gli
occhi mentre si
concentrava solo sul suo respiro, lento e regolare.
“Continua”
le disse mentre si sedeva
dietro la donna, le gambe divaricate che circondavano le sue.
“Ora lasciati
andare piano piano” la aiutò a coricarsi,
tenendole le mani “appoggiati a me,
con calma”
Felicity si
lasciò trasportare dalla
sua voce soave e rassicurante eseguendo quello che lui le diceva.
Lasciò
scendere la schiena,
limitando il più possibile i movimenti, fino a quando
sentì il petto di Oliver
sotto di sé, a sostenerla.
L’uomo
era seduto contro la testiera
del letto, con Felicity accoccolata tra le gambe, il petto contro la
sua
schiena, il capo posato sulla sua spalla.
Lui
continuò a spronarla a respirare
profondamente fino a quando le fitte nei suoi muscoli diminuirono.
La tenne
stretta a sé, asciugando le
lacrime che le solcavano il viso con le dita, rompendo per un attimo il
contatto tra le loro mani.
“Va
meglio?” le chiese quando la
sentì rilassarsi completamente contro il suo corpo.
Lei
annuì, cercando di ritrovare la
calma che aveva perso.
Sentiva dolore
dappertutto ma almeno
ora non c’erano più le fitte che le stritolavano i
muscoli, impedendole di
respirare.
“Sono
le otto. Puoi prendere degli altri
antidolorifici se vuoi” le comunicò Oliver
“così riuscirai a dormire
serenamente”
Per Felicity
quella fu una delle
migliori proposte che le erano state fatte fino ad allora.
Oliver
allungò il braccio verso il
comodino dove qualche ora prima aveva messo un bicchiere
d’acqua e le pastiglie
per la bionda.
Lei
ingoiò i farmaci dopo esseri
faticosamente tirata a sedere per riuscire a bere.
Poi
tornò a sdraiarsi su Oliver che
l’aspettava per un altro caldo abbraccio.
Si sentiva un
po’ stordita e stanca
ma le possenti braccia dell’uomo le davano sicurezza,
così come il suo petto
che si alzava e si abbassava respirando e il suo cuore che batteva
ritmicamente
proprio sotto la spalla di Felicity.
Oliver
tirò su il piumone, coprendo
entrambi.
Il calore
sprigionato dalle coperte
e dai loro corpi vicini fece addormentare Felicity in pochi minuti,
insieme al
movimento lento e rilassante delle mani di Oliver su è
giù sulle sue braccia.
L’uomo
sospirò: averla così vicino
lo stava facendo impazzire a poco a poco, soprattutto quando lei si
muoveva
involontariamente nel sonno, strusciando il suo corpo sul suo e
scatenandogli
brividi di piacere.
Ad ogni respiro
sentiva solo il suo
profumo, dolce ma al tempo stesso intenso e pungente, mentre i suoi
capelli gli
solleticavano la pelle del collo in una dolce tortura.
Restò
in silenzio ad osservarla
mentre il sole del mattino faceva prepotentemente capolino dalle
finestre,
accarezzando con i suoi raggi dorati il volto della sua Felicity.
Fissò
i suoi lineamenti dolci,
studiando attentamente ogni più piccola sfumatura del suo
viso, sfiorando la
sua pelle con la punta delle dita.
Lei dormiva
profondamente, forse
aiutata dai farmaci che avrebbe iniziato a fare effetto da
lì a poco, mentre
lui non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
Felicity
sbuffò lievemente mentre si
risistemava meglio sul suo petto: la testa ciondolante finì
per trovare posto
nell’incavo del suo collo mentre un ciuffo di capelli biondi
le ricadde sul
viso.
Lo
spostò delicatamente dietro
l’orecchio godendo appieno quei momenti, consapevole che
forse non li avrebbe
mai più rivissuti.
Doveva
parlarle, chiarire, chiederle
scusa. Ma non sapeva come lei avrebbe reagito e questo lo spaventava a
morte.
Avrebbe voluto
preparasi un discorso
per quando lei si sarebbe svegliata ma la stanchezza prevalse su di
lui. E
mentre i suoi occhi si chiudevano riusciva solo a pensare a quanto
sarebbe
stata più bella la sua vita se ogni giorno avesse potuto
addormentarsi così.
Quando Oliver
Queen riaprì gli occhi
era quasi passato mezzogiorno.
Felicity
continuava dormire beata
fra le sue braccia, nonostante la luce accecante che inondava la stanza.
Sentiva ogni
parte del corpo
intorpidita, probabilmente a causa della posizione poco ergonomica in
cui aveva
dormito.
Aveva bisogno
di alzarsi e sgranchire
i muscoli ma uscire da quel groviglio di braccia e lenzuola era
più complicato
di quanto sembrasse.
Notò
che le sue gambe erano
intrecciate a quelle di Felicity, le sue braccia la cingevano in un
abbraccio
sotto le coperte e i lori visi erano così vicini da fargli
battere forte il
cuore.
Era meglio
liberarsi da quella
posizione prima che lei si svegliasse, ma appena cercò di
spostarsi Felicity si
mosse su di lui, confabulando parole insensate al suo orecchio.
Si
fermò cercando di pensare a come
uscire dal letto ma lei continuò a spostarsi, strusciandosi
sul suo petto e
sfiorando inavvertitamente le parti più sensibili di lui.
Non poteva
permettersi di eccitarsi
al contatto del corpo di Felicity, non mentre lei rischiava di
svegliarsi da un
momento all’altro.
La ragazza
sbatté più volte le
palpebre, destata dalla luce del sole sul viso ma soprattutto dai
movimenti che
sentiva sotto di sé.
Percepiva un
corpo solido e caldo a
contatto con la sua schiena, incredibilmente vicino ed invitante.
Per un attimo
non capì quello che
stava succedendo ma poi iniziò a ricordare di come Oliver
l’aveva cullata tra
le sue braccia, sussurrandole parole dolci, e di come si era offerto di
farle
da cuscino umano.
Si
voltò in cerca del suo viso,
senza ricordare quanto male le facesse ogni più piccolo
movimento.
Strinse i denti
e si morse le labbra
per resistere alle fitte che le si propagavano nel petto, meno dolorose
però di
quelle che aveva provato durante tutta la notte.
Era solo merito
dei farmaci se era
riuscita ad evitare di urlare per il dolore e gliene fu estremamente
grata.
Trovò
gli occhi azzurri di Oliver ad
osservarla, a pochi centimetri da lei e un piccolo sorriso sul suo
volto.
“Ehi”
le disse quando incrociò il suo
sguardo “Scusami, non volevo svegliarti”
“Non
importa” rispose mentre uno
sbadiglio sfuggiva al suo controllo.
“Come
ti senti? Hai dormito bene?”
“Un
po’ affaticata” rispose
sinceramente “ma si dorme fantasticamente su di te”
Solo quando lui
sorrise divertito
lei si rese conto di quello che aveva detto. Non sapeva se le sue
parole erano
fraintendibili ma di certo non erano le più adatte per
esprimere i suoi
pensieri.
“Vado
a prepararti la colazione” le
disse “hai bisogno di mangiare qualcosa”
Felicity non si
oppose ma quando
Oliver scivolò lontano da lei sentì la mancanza
del suo corpo caldo affianco al
suo.
Si
rintanò sotto il piumone
coprendosi fin quasi al naso, le gambe rannicchiate per scaldarsi e le
mani
sotto il cuscino.
Cuscino che
sapeva di lui, del suo
profumo inconfondibile.
Aspettò
con impazienza che lui
tornasse mentre sentiva il dolce aroma di caffè provenire
dalla cucina,
attivando il suo stomaco che brontolò per un appetito che
non credeva di avere.
Dopo quasi
dieci minuti Oliver tornò
in camera, un vassoio stretto tra le mani, i lineamenti del viso
incredibilmente tesi e un velo di paura nei suoi occhi.
Paura che
Felicity non ricordava di
aver mai visto nel suo sguardo se non in rarissime occasioni, ma pur
sempre
mescolata a determinazione, rabbia ed adrenalina.
Vederlo
così quasi la spaventò, non
sapendo cosa aspettarsi.
Oliver si fece
coraggio entrando a
grandi passi nella stanza e posando il vassoio sul letto, accanto alla
donna.
La
aiutò a mettersi seduta, in una
posizione abbastanza comoda per poter mangiare.
Evitò
il suo sguardo, intimorito ed
imbarazzato.
Sapeva di
volerle parlare ma non
sapeva da che parte iniziare, né quali parole scegliere per
dirle ciò che
provava.
Felicity rimase
in silenzio mentre afferrava
la tazza fumante di caffè, appoggiata vicino ai biscotti al
cioccolato che
custodiva gelosamente nella dispensa, per le volte in cui si sentiva
triste e
aveva bisogno di tirarsi sul il morale.
Solo quando
bevve il primo sorso
notò che c’era un piccolo biglietto, due sole
parole scritte al di sopra. Era
chiaramente la calligrafia di Oliver, chiara e leggibile.
Lo
afferrò ma prima che potesse
leggerlo la mano di lui si posò sulla sua, impedendole di
vedere quanto
riportato su quel piccolo foglio.
“Forse
è meglio se non lo leggi …”
le disse imbarazzato “… è
ridicolo”
“E
perché lo avresti scritto se è
ridicolo?” gli domandò cercando i suoi occhi.
“Perché
avevo paura di non riuscire
a dirtelo di persona”
“Allora
facciamo così” propose lei,
curiosa di sapere in realtà che cosa ci fosse scritto
“dimmelo ora, di persona.
Fino ad allora io non lo leggerò”
Prese il
foglietto e senza degnarlo
di uno sguardo lo seppellì sotto le coperte, attendendo una
reazione da parte
dell’uomo.
Oliver le si
avvicinò cercando
dentro di sé tutto il coraggio di cui era a disposizione.
Era soltanto un
discorso. Una serie
di parole messe in fila fino a comporre qualche frase di senso
compiuto, non
certo la fine del mondo.
Allora
perché era così agitato?
Perché gli sembrava più facile partire per un
nuovo duello contro Ra’s Al Ghul
piuttosto che dirle quanto lei fosse importante per lui?
Prese la tazza
dalle mani di Felicity
e la posò sul vassoio mentre si schiariva la voce per
parlare.
Doveva essere
sincero quella volta,
fino in fondo.
Lei rimaneva
lì, immobile, in
attesa.
“Mi
dispiace” iniziò titubante mentre cercava
le mani di Felicity e le stringeva tra le sue.
“Per
cosa?”
“Per
tutto quello che ti ho fatto,
per quello che ti ho detto, per Miller”
Non poteva
credere che Oliver si addossasse
sempre tutte le colpe, anche quelle che non erano sue.
“Miller
non è stata colpa tua” gli
disse guardandolo negli occhi.
“Forse
non lui ma quello che ha
scatenato in te sì” le rispose “quello
che hai visto è solo per colpa mia. Se
non ti avessi ferito dopo il nostro appuntamento, se non ti avessi
fatto così
male, tu non avresti paura di me”
“Io
non ho paura di te” ribadì.
Oliver non le
avrebbe mai fatto
paura: l’avrebbe fatta infuriare, gioire, piangere,
disperare.
Aveva il potere
di scombussolarla,
di mettere in subbuglio tutta la sua vita ma mai e poi mai avrebbe
avuto paura
dell’uomo che amava con tutta sé stessa.
“Sì
invece. Sei terrorizzata. Sono
diventato la tua paura più grande e non riesco neanche a
dirti quanto mi
dispiace. Quanto faccia male sapere di averti causato tutto
questo”
Felicity fece
per parlare ma lui la
bloccò: “Vederti stesa su quel marciapiede e poi
svenuta sul tavolo del covo mi
ha fatto capire quanto tu sia essenziale per me.
E ho realizzato
che non posso più
vivere senza di te, Felicity. Ma al tempo stesso non riesco neanche a
vivere
con te perché sono spaventato a morte.
La
verità è che ho paura.
Paura che possa
non funzionare tra
noi ma anche che possa andare tutto a meraviglia”
“Questo
non ha senso” lo interruppe
lei, emozionata ma al tempo stessa impaurita per la piega che quel
discorso
stava prendendo.
Oliver sapeva
essere imprevedibile e
lei non avrebbe potuto dire come si sarebbe conclusa quella
discussione, poteva
soltanto sperare che li avvicinasse e che non li avrebbe mai
più fatti
allontanare.
“Ogni
volta che esco per andare in
missione so che potrebbe essere l’ultima, ma questo non mi ha
mai fermato. Non
avevo paura di morire fino a qualche mese fa perché non
avevo nulla da perdere,
nulla per cui valesse la pena vivere davvero. Ma ora …. ho
te. E sei il motivo
più valido che io abbia mai avuto per tornare a casa sano e
salvo, per poter
vedere di nuovo il tuo sorriso”
Si stava
aprendo con lei come mai
prima, voleva essere sincero, voleva davvero che capisse quanto fosse
importante per lui.
Felicity non
sapeva che cosa dire, troppo
stordita da tutto quello che stava succedendo per riflettere
lucidamente.
“Ho
il terrore di metterti in
pericolo, di perderti, ma voglio impegnarmi davvero. Voglio
più di quello che
abbiamo, voglio starti accanto, creare qualcosa di importante.
Ho deciso che
voglio essere felice e
posso esserlo solo con te”
Felicty lo
guardò negli occhi,
leggendo l’amore e la paura nel suo sguardo.
Aveva voglia di
piangere. Non poteva
credere che tutto questo stesse succedendo davvero.
Strinse
più forte le sue mani,
beandosi di quel contatto così piacevole.
“Non
posso garantirti nulla e avrò
bisogno del tuo aiuto per superare la paura che ho di metterti in
pericolo con
le mie missioni. Non sarà facile perché sono
maledettamente testardo” lei
sorrise sentendolo parlare così di sé stesso
“ma Felicity, se lo vuoi ancora,
voglio stare con te. Voglio svegliarmi al tuo fianco la mattina,
coccolarti
fino a tardi la sera e vivere la mia vita insieme a te”
Questa volta
pianse e non si
vergognò di farlo davanti a lui.
Era quasi
sicura che anche lui si
stesse commuovendo.
Le sorrise,
quel sorriso che la
faceva scogliere ogni volta, mentre le dita di Oliver le accarezzavano
le
guance asciugandole le lacrime.
“Felicity”
la chiamò.
“Sì?”
“Puoi
leggere il biglietto ora”
Prima che lei
riuscisse a trovarlo
il campanello suonò.
Oliver rimase
un secondo interdetto
poi si decise ad andare ad aprire.
E mentre si
ritrovava il suo incubo
sulla soglia di casa Smoak, Felicity stringeva emozionata un piccolo
pezzo di
carta tra le mani.
Il suo cuore
parve fermarsi un
attimo per poi battere come un tamburo impazzito contro le sue costole
doloranti.
Ti
amo,
c’era scritto.
E lei non aveva
bisogno di sapere
altro.
Note: Stiamo
giungendo alla fine di questa storia, molto probabilmente il prosimo
capitolo sarà l'ultimo.
Volevo ringraziare tutti per aver letto questi capitoli e per le
bellissime recensioni che mi avete lasciato, non immaginate quanto mi
faccia piacere!
Grazie davvero, ad ognuno di voi.
Al prossimo e ultimo aggiornamento ;)
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