Never again

di kate95
(/viewuser.php?uid=138750)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La sua paura più grande sei tu ***
Capitolo 2: *** Il suo eroe sei tu ***
Capitolo 3: *** Le tue mani sono la sua salvezza ***
Capitolo 4: *** La sua felicità sei tu ***



Capitolo 1
*** La sua paura più grande sei tu ***


Salve a tutti!

È la prima volta che pubblico una fan fiction in questa sezione, spinta dal crescente amore nei confronti di questa splendida serie!

La storia è ambientata nella terza stagione, dopo il mid season finale (spoiler per chi segue la programmazione italiana), con un ipotetico ritorno della vertigo insieme a un nuovo ‘Conte’.

Ora vi lascio alla lettura!

Never again

La sua paura più grande sei tu

“Oliver!”

Sentiva il cuore martellarle forte nel petto, il respiro spezzato dalla paura mentre stringeva convulsamente le dita su quel piccolo auricolare nero.

Continuava a chiamare il suo nome ma non riceveva alcuna risposta.

“Per l’amor del cielo Oliver, rispondimi!”

Aveva il brutto presentimento che qualcosa stesse andando storto e rimanere lì ferma davanti ai suoi computer senza poter aiutare concretamente la stava facendo impazzire.

Era l’unica rimasta al covo. Succedeva spesso quando tutti i suoi amici uscivano in missione, ma mai si era sentita così sola come in quel momento.

Arrow, Arsenal e Diggle erano usciti a dar la caccia al nuovo uomo della vertigo, James Miller, un altro criminale che aveva deciso di terrorizzare la città con la versione potenziata di quella droga.

Scatenava allucinazioni sulla propria paura più grande in tutti i soggetti a cui veniva iniettata e il team Arrow lo sapeva bene.

Oliver era stato il primo a subirne gli effetti, poi Laurel e adesso, quando pensavano che tutto fosse finito, la vertigo tornava tra le strade di Starling in mano ad uno nuovo psicopatico.

Felicity lo aveva rintracciato in un vecchio magazzino nella zona industriale della città e l’eroe incappucciato era subito partito al suo inseguimento.

Nessuno di loro poteva sapere che quella era solo una trappola, che quel criminale aveva scoperto i loro piani e teso loro un’imboscata.

Quando giunsero a destinazione decine di complici avevano dato il via ad una guerriglia contro i tre del team.

Da allora le comunicazioni con i suoi compagni erano diventate difficoltose, sempre più rade fino a scomparire del tutto.

Il GPS di Roy e Diggle lampeggiava sullo schermo del suo pc,segnalando la loro posizione nei pressi del magazzino mentre quello di Oliver indicava che si era spostato di parecchi isolati.

La bionda aveva seguito da remoto ogni suo piccolo movimento, fino ad individuare l’arciere nelle vie del centro, proprio sotto il grande grattacielo della Queen Consolidated.

O per essere più precisi quello della Palmer Technologies.

Era da quel momento che cercava disperatamente di mettersi in contatto con lui senza però ottenere alcun risultato.

Mentre si mangiava nervosamente le unghie corte aveva sentito la voce di Oliver giungere debole nel suo auricolare: “Felicity …”

Il suo nome fu solo un sussurro ma scatenò nella donna un’ondata di terrore di proporzioni enormi, soprattutto quando non rispose ai suoi innumerevoli richiami.

Oliver era in pericolo e lei doveva fare qualcosa, qualunque cosa.

Sapeva che era una follia, sapeva che lui si sarebbe infuriato quando l’avrebbe scoperto ma non le importava.

Il pensiero di perderlo la faceva impazzire perciò doveva salvarlo.

A qualunque costo.

 

 

Era salito in sella alla sua moto quando aveva notato il loro uomo fuggire in mezzo alla calca.

Mentre Roy  e John combattevano contro i complici del criminale lui lo aveva notato lasciare indisturbato il suo nascondiglio.

Lo inseguì a tutta velocità nelle vie del centro, evitando le pallottole che lui sparava dal SUV nero mentre guidava come un folle.

Vedeva all’orizzonte il palazzo della sua ex-azienda mentre tenendosi in equilibrio sulla moto scoccava una freccia dritta alla ruota posteriore della macchina davanti a lui.

Il SUV sbandò improvvisamente e il rumore dei freni riempì l’aria silenziosa di Starling City.

Era notte fonda e le strade, caotiche durante il giorno, erano deserte.

Nessuno si era accorto del giustiziere che camminava a grandi passi verso la macchina, l’arco teso e una freccia pronta ad essere scoccata.

Oliver si avvicinò cautamente, i vetri oscurati non gli permettevano di vedere all’interno dell’abitacolo, ma quando arrivò non c’era più traccia di Miller.

Mise all’erta tutti i suoi sensi ma questo non bastò ad evitare il forte colpo che si abbatté sulla sua nuca.

“Felicity …” chiamò, nella speranza che lei potesse comunicare a Roy e Diggle la posizione di Miller.

Prima di sentire una risposta cadde a terra rischiando di perdere i sensi, mentre sentiva i passi dell’uomo allontanarsi.

Cercò di mettere a fuoco ciò che lo circondava ma la sua vista era annebbiata e la testa gli pulsava dolorosamente.

Riuscì faticosamente ad alzarsi in piedi, rincorrendo il fuggitivo.

Lo raggiunse mentre attraversava la piazza con le fontane, la stessa che fino a qualche tempo fa vedeva dal suo ufficio da amministratore delegato dell’azienda di famiglia.

E mentre i due ingaggiavano una lotta corpo a corpo un’ombra silenziosa, al diciottesimo piano dell’edificio, osservava incredulo la scena.

 

Non aveva mai spinto così tanto il piede sull’acceleratore come quella sera.

Felicity parcheggiò velocemente l’auto, non distante dal grattacielo dove tutti i giorni andava a lavorare per Ray, e si affrettò a controllare sul cellulare la posizione di Oliver.

Vide un uomo avvicinarsi ma non era il suo eroe, bensì James Miller.

Con un coraggio che non pensava di avere, si accucciò dietro l’auto e non appena il suo nemico fu a portata di tiro lo colpì violentemente alla testa con una vecchia bottiglia di birra, abbandonata da qualche ubriacone sul marciapiede.

L’uomo cadde a terra ma prima che Felicity potesse fare la sua seconda mossa sentì qualcosa di appuntito e metallico pungerle il collo.

Un fastidioso dolore si propagò sulla pelle mentre portava la mano sulla piccola puntura, lì dove una dose di vertigo le era appena stata iniettata.

Sentiva la testa pesante, tutti i  suoi sensi farsi meno reattivi e davanti a lei l’uomo che si stava avvicinando dopo essersi rialzato pareva avere qualcosa di famigliare.

I lineamenti squadrati del suo viso si addolcirono, le labbra divennero rosee e carnose, i suoi occhi si trasformarono in due pozze azzurre a lei ben note, celate dietro una piccola maschera verde. 

Un cappuccio tirato sul viso le impediva di vedere i capelli corti  ma incredibilmente soffici al tatto, quelli che lei avrebbe tanto voluto stringere tra le sue dita durante un bacio appassionato.

“Oliver …” la sua voce era solo un flebile sussurro ma sapeva che lui l’aveva sentito.  

Le labbra dell’arciere si incurvarono in un ghigno minaccioso e i suoi occhi la fissarono, ma la guardavano diversamente da come erano soliti fare.

Oliver le si avvicinò alzando una mano, coperta dai guanti in pelle nera, in quella che doveva essere una carezza gentile sul suo viso ma che in realtà arrivò in uno schiaffo doloroso sulla guancia di Felicity.

Lei rimase frastornata non capendo realmente quello che le stava succedendo, fino a quando sentì un pugno infrangersi contro il petto, facendola gemere dolorosamente.

“Oliver” ripeté quando ritrovò il fiato per parlare ma l’incappucciato rise di lei colpendola ancora.

“Sei solo un’illusa” diceva mentre la bionda cadeva a terra e si dimenava, cercando di colpirlo come meglio riusciva “una stupida illusa”

“Oliver, sono io. Felicity” continuava a ripetergli mentre si tirava nuovamente in piedi e scagliava un debole pugno contro il costato dell’uomo.

“Tu non sei nessuno!” le rispose mentre un ulteriore colpo sul viso le spaccò un labbro facendolo sanguinare.

Continuava ad incassare calci e pugni, difendendosi come meglio poteva mentre le parole di Oliver la ferivano sempre di più.

“Credi davvero di contare qualcosa? Non sei altro che un burattino nelle mie mani, utile solo a raggiungere i miei scopi”

Felicity sentiva li occhi gonfi di lacrime, ma non sapeva se fossero dovute al dolore fisico o a quello che provava dentro il cuore.

“Hai davvero creduto che potessi innamorarmi di te?” il suo tono tagliente e velenoso la colpiva e la tratteneva a terra ancora di più dei calci che si abbattevano su di lei.

“Non potrei. Non ti amo Felicity e non lo farò mai!” terminò urlando.

Felicity singhiozzava rannicchiata sull’asfalto, per tentare di proteggersi dalle percosse, mentre quelle parole la ricoprivano di umiliazione.

Si sentiva stanca, voleva solo che il dolore che sentiva in tutto il corpo svanisse, voleva chiudere gli occhi e scomparire per sempre.

E mentre si preparava all’ennesima botta sentì un sibilo nell’aria poi, come i colpi erano improvvisamente cominciati, finirono.

 

 

Il suo smart-watch trillò segnalandogli che un’altra ora era passata. Erano le tre di notte e tutta Starling City dormiva sotto un cielo incredibilmente limpido e stellato, tutti tranne lui.

Non riusciva a riposare molto nell’ultimo periodo così passava sempre più tempo nell’ufficio della sua azienda, riflettendo su nuovi progetti e continuando a fare progressi per ATOM.

Si era affacciato alla finestra, sperando che il panorama mozzafiato sulla città lo ispirasse per continuare il suo lavoro.

Era l’unico in tutto il palazzo e adorava tenere meno luci accese possibili: il cielo e la città risplendevano magnificamente nel buio del suo ufficio.

Stava pensando con le mani sepolte nelle tasche del suo costoso completo, quando la sua attenzione fu attirata da un SUV nero che sfrecciava per la strada, inseguito da una moto.

Un forte rumore di freni arrivò fino a lui e fu allora che vide chi realmente stesse guidando la moto.

Il grande e famoso Arrow, nella sua tuta verde attillata, il cappuccio sul viso e l’arco teso.

Inseguiva un uomo, forse un criminale, che riuscì a colpirlo e darsi alla fuga.

Dopo un breve ma intenso combattimento corpo a corpo, il vigilante di Starling City incassò un doloroso colpo, cadendo a terra per qualche secondo.

Fu allora che Ray vide una macchina in lontananza e una donna bionda con gli occhiali.

Era troppo lontana per poterne essere sicuro ma sembrava fosse Felicity, sola e spaurita in quella strada deserta.

Ne ebbe la conferma quando l’uomo la raggiunse e iniziò a picchiarla con ferocia, mentre lei tentava di difendersi.

Ray scattò velocemente verso l’ascensore, rischiando di cadere sul pavimento lucido e scivoloso del suo ufficio.

Si fiondò nella cabina e premette più volte il tasto di discesa, spazientendosi per la lentezza dell’ascensore.

Forse avrebbe fatto meglio a prendere le scale.

Dopo qualche decina di secondi le porte si riaprirono al piano terra e Palmer si fiondò in strada, sperando che non fosse troppo tardi.

 

Oliver Queen si rialzò con un po’ di fatica, dopo la botta in testa si sentiva debole e senza forze, ma non si sarebbe lasciato sfuggire quell’uomo.

Lo aveva perso di vista per un istante ma lo ritrovò appena svoltato l’angolo della piazza.

La scena che si trovò davanti agli occhi lo impietrì.

Il cuore cominciò a battergli forte nel petto mentre tentava di tenere a bada la paura che si stava diffondendo dentro di lui.

Dall’altra parte della strada vide Miller accanirsi su una donna, rannicchiata sull’asfalto, i capelli biondi sfuggiti alla lunga coda le coprivano in parte il viso.

L’avrebbe riconosciuta tra mille e mentre si chiedeva perché lei fosse lì, la sua mano corse veloce alla faretra.

Un istante dopo la prima freccia si conficcò sibilando nel petto del criminale, seguita da altre due.

Lo vide accasciarsi a terra, gli occhi privi di vita, mentre già correva verso Felicity.

La sua Felicity.

La sentiva piangere, spaventata e dolorante.

“Felicity” la chiamò dolcemente ma lei non rispondeva.

La chiamò ancora, rassicurandola: “Sono qui, va tutto bene”

Dalla sua voce traspariva tutto il suo amore per lei, la sua preoccupazione  mentre scostava delicatamente i capelli dal suo viso, in cerca dei suoi occhi dietro le lenti degli occhiali.

Ciò che vide lo scosse: il sangue che colava dal labbro rotto, il dolore che poteva percepire dalla sua espressione sul viso. Ma fu quello che sentì a spaventarlo ancora di più.

“Vattene!” Felicity parve urlarlo, con tutta la forza che aveva ancora, anche se in realtà uscì solo come un debole sussurro.

“Felic…”

“Non toccarmi!” lo interruppe istintivamente scostandosi da lui “non mi toccare …” disse ancora, la paura dipinta nei suoi occhi chiari.

Nuove lacrime le rigarono le guance mentre Oliver non riusciva a capire cosa le stesse accadendo.

Fece per avvicinarsi ancora una volta ma il corpo della donna s’irrigidì di colpo, facendogli capire che non gli avrebbe permesso di toccarla.

“Hai bisogno di aiuto, Felicity” le disse cercando di restare calmo “dobbiamo andare via da qui, hai bisogno di essere curata”

Lei scosse la testa terrorizzata, scostando così i capelli e lasciando intravedere il collo.

Fu allora che Oliver la notò, quella piccola puntura sulla sua pelle delicata e una piccola fialetta abbandonata sul marciapiede, poco distante da lei.

“Felicity” le parlò cercando i suoi occhi per farle capire che non le stava mentendo “qualunque cosa tu veda, qualunque cosa tu stia sentendo non è vera, non è reale. Sono Oliver e voglio solo aiutarti”

“No” rispose lei con più decisione “So chi sei, Oliver. Ed è per questo che non voglio il tuo aiuto … Non toccarmi”

L’arciere sentiva i sui occhi riempirsi a loro volta di lacrime, non capiva perché lei continuava a respingerlo e vederla a terra dolorante senza poterla aiutare lo faceva impazzire.

Sentì un rumore di passi che si avvicinava e tese l’arco in quella direzione, pronto ad intervenire in caso di necessità.

Solo quando quell’uomo fu più vicino capì di chi si trattasse e dovette abbassare l’arma.

Ray Palmer.

“Felicity” la chiamò lui avvicinandosi.

“Ray?” la voce debole della bionda spinse Palmer ad inginocchiarsi accanto a lei.

“Hai bisogno di aiuto” le disse preoccupato per poi rivolgersi ad Oliver “Dobbiamo portarla in ospedale! Che cosa stai aspettando?”

L’irritazione nella voce di Palmer non fece altro che accrescere la rabbia che già ribolliva dentro Oliver.

“No” fu la sua risposta secca.

“Che cosa?”

“Niente ospedale. Lì faranno domande. So io dove portarla” gli rispose sperando che questa volta Felcity non lo respingesse.

Fece per prenderla in braccio ma lei si ritrasse.

“Non toccarmi, Oliver!”

Una strana luce brillò negli occhi di Ray che stava lentamente mettendo insieme i pezzi.

“Oliver …”

Il vigilante lo interruppe: “Non c’è tempo per questo. Devo portarla al sicuro”

“Lei non vuole venire con te” gli rispose mentre sollevava Felicity da terra. Lei si aggrappò al suo completo elegante, fidandosi delle braccia possenti del suo capo.

Oliver cercò di reprimere l’istinto omicida che gli scorreva nelle vene, l’unica cosa che contava ora era salvare Felicity.

“Non puoi portarla all’ospedale” ribadì con fermezza “Conosco un luogo dove possiamo prenderci cura di lei”

“Io non la lascio” Ray lo guardò con aria di sfida, determinato a non mollare la presa sull’esile corpo di Felicity “Ovunque la vorrai portare io verrò con te”

Oliver imprecò mentalmente, ragionando su cosa fare.

Doveva agire in fretta, eliminare i residui di Vertigo dal suo corpo e curare le varie ferite, non poteva permettersi di perdere altro tempo.

“D’accordo” acconsentì mentre Felicity perdeva coscienza nelle braccia di un altro uomo.

 

Oliver condusse Ray al covo, lì dove nessuno sarebbe dovuto entrare a parte i suoi più fedeli amici.

Ma non aveva altra scelta: Palmer non avrebbe ceduto e tutto il tempo che avrebbero perso a discutere sarebbe stato dannoso per Felicity.

Quando entrarono nel seminterrato Roy e Diggle erano appena tornati dalla missione.

“Oliver, cosa diavolo è successo?” chiese Diggle prima che Palmer facesse il suo ingresso.

“Perché non rispondevi? E dov’è Felicity?”

“Ho perso l’auricolare” disse secco facendo entrare Ray.

Tutti si immobilizzarono alla vista dell’uomo dentro il covo ma soprattutto quando capirono che cosa fosse successo alla loro amica.

Oliver fece segno a Palmer di adagiare Felicity sul banco metallico che spesso usavano come barella per i feriti dopo le missioni.

“È stata drogata. Vertigo” spiegò mentre si toglieva maschera e cappuccio.

Ormai era inutile nascondersi a Palmer, sapeva che lui aveva capito.

“Oliver Queen” commentò “Sapevo che eri tu”

Oliver lo ignorò continuando a rivolgersi ai suoi compagni “Poi l’ha picchiata” le sue parole erano colme di rabbia e frustrazione per non essere stato in grado di proteggerla.

Se solo avesse schivato quel colpo alla nuca avrebbe potuto prendere quel maledetto prima che arrivasse a lei, prima che la sfiorasse anche solo con un dito.

“Oliver” la voce di John lo riportò alla realtà “Non è colpa tua”

“Si invece!” rispose rabbioso “Se solo avessi capito che era una trappola, se …”

“Non potevi capirlo. Nessuno poteva. Hai fatto tutto quello che era necessario per catturarlo”

“Si ma lui l’ha ….”non riuscì a terminare la frase.

Anche solo l’idea che Miller avrebbe potuto ucciderla a furia di calci e botte gli faceva ribollire il sangue nelle vene.

Si voltò strofinandosi gli occhi con una mano per impedirsi di scoppiare a piangere come un bambino davanti a tutti loro.

“Piuttosto, perché Felicity si trovava lì?” chiese Roy che stava medicando le varie ferite sul corpo della donna.

“Non lo so” rispose Oliver “Avrebbe dovuto essere qui, al sicuro, a lavorare dietro al suo computer”

“Forse è successo qualcosa che l’ha spinta ad allontanarsi” ipotizzò John “Io e Roy abbiamo perso la comunicazione con lei poco dopo che tu hai inseguito Miller”

“Io ho tentato di parlarle ma Miller mi ha colpito e penso di aver perso l’auricolare mentre cadevo”

“Forse ha tentato di mettersi in contatto con te ma non le hai potuto rispondere ed è venuta a cercarti”

“Perché avrebbe dovuto? Perché esporsi così tanto al pericolo?” Oliver non poteva crederci.

Non voleva farlo.

Solo il pensiero che lei fosse uscita, esponendosi ad un tale rischio per lui lo riempiva di rabbia.

“Lo sai perché, Oliver” gli rispose Diggle.

Sì, lui temeva di sapere quale fosse il motivo e proprio perché lo sapeva non poteva tollerarlo.

“E lo so che non riesci ad accettarlo ma devi fartene una ragione. Lei si preoccupa per te” si interruppe un istante guardando l’amico negli occhi “E non è diverso da quello che fai tu per lei”

Ray fece per aprire bocca ma Roy lo fulminò con lo sguardo e lui decise che era meglio tacere.  

Oliver prese un fazzoletto e lo inumidì sotto l’acqua, poi si avvicinò a Felicity e ripulì il suo bel viso dal sangue ormai secco.

Quando ebbe finito le tolse delicatamente gli occhiali e slegò la sua coda, lasciando ricadere morbidi i suoi capelli.

Aveva bisogno di riposare e i capelli raccolti non era molto comodi per dormire.

Prese un cuscino dalla branda che utilizzava prima di trasferirsi nel nuovo appartamento di sua sorella e lo posizionò sotto la testa della bella informatica.

Poi stese una coperta sul suo corpo esile in modo che non prendesse freddo.

Cercò la sua mano e la strinse, sperando che lei sentisse un po’ di quel calore che avrebbe voluto trasmetterle.

“Perché non l’ospedale?” la voce di Ray interruppe il silenzio che era sceso nel covo da qualche minuto.

“Perché lì avrebbero fatto domande” gli rispose “un’aggressione, una dose di vertigo … avrebbero avvisato la polizia e la polizia avrebbe cercato un colpevole. Un colpevole ucciso da tre frecce, riconducibili ad Arrow”

“Quindi l’hai fatto solo per te? Per proteggere la tua vera identità?”

“No, certo che no!” rispose iniziando a sentire la rabbia crescere pian piano “Anche lei rischia molto, perché lavora per me e se si venisse a sapere potrebbe danneggiarla. Mantenere il segreto è di fondamentale importanza”

“L’avresti lasciata morire piuttosto che svelare la tua identità?”

Oliver si voltò verso Palmer, furioso, lasciando la mano di Felicity.

Diggle e Roy uscirono dal covo, lasciando che discutessero da soli.

“Pensi davvero che mi importi così poco di lei?” domandò avvicinandosi minacciosamente “L’ho portata qui perché sapevo che avremmo potuto curarla, meglio che in ospedale. Lì avrebbero fatto decine di analisi ed esami prima di scoprire che era stata drogata con la vertigo. E lo stesso fatto che tu sia qui dovrebbe suggerirti che no, il mio segreto non è più importante della sua vita. Nulla è più importante di lei!”

Oliver sospirò pesantemente dopo aver concluso il suo discorso, voltandosi nuovamente verso Felicity.

“Mi dispiace di essere stato così duro” disse Ray dopo qualche minuto “È solo che lei è diventata importante per me, da quanto l’ho assunta in azienda. È una persona splendida e molto intelligente”

“Lo so” rispose Oliver continuando a stringere la mano di Felicity mentre un strano dolore al petto si espandeva sempre più dentro di lui, fino a contorcere il suo stomaco.

Che cos’era?

Gelosia, forse?

Si, senza dubbio. Era geloso perché un altro uomo aveva interesse per lei, per la sua Felicity.

E con il comportamento che aveva tenuto con lei nell’ultimo periodo rischiava di perderla.

E questo gli faceva paura, più di quanto avrebbe potuto immaginare.

Ma in fondo era solo colpa sua se erano in quella situazione e probabilmente meritava tutto ciò.

Meritava che un uomo come Ray Palmer la rendesse felice al posto suo, perché lui probabilmente non ci sarebbe mai riuscito.

“So quanto vale, so quanta passione mette in ogni cosa che fa, quanto è ….” esitò mentre si perdeva a guardare il suo viso rilassato mentre dormiva “speciale”

“Da quanto lavora per Arrow?” domandò curioso.

“Da molto prima che tu la incontrassi per la prima volta”

Calò di nuovo il silenzio tra loro ma anche questa volta non durò molto.

“Qualche settimana fa Felicity mi ha confidato una cosa” riprese Ray “Erano un paio di giorni che era distratta al lavoro, triste, afflitta e io non capivo perché”

Oliver rimase zitto, in attesa che lui continuasse il discorso.

“Mi ha detto che aveva perso un amico che in realtà era molto più di un amico per lei, anche se le cose erano piuttosto complicate tra lei e quell’uomo. Non sapevo a chi si riferisse ma ora…. Eri tu, vero?”

“Io non lo so …” Oliver non sapeva realmente cosa rispondere, davvero Felicity si era confidato con lui su questo?

Era successo quando aveva creduto che fosse morto nel duello contro Ra’s al Ghul?

“Non so se tieni davvero a lei, Oliver … ma io si. E dopo quello che ti ha detto quando era a terra credo che non voglia stare nei tuoi paraggi. Perciò apprezzo molto quello che avete fatto per curarla ma quando si sveglierà la porterò via. In un posto dove sia davvero al sicuro, dove lei si senta al sicuro”

Oliver non poteva credere che l’avesse detto davvero.

“Che cosa?” domandò incredulo “Tu non farai nulla di tutto ciò”

Si avvicinò all’uomo, le braccia lungo i fianchi e le mani strette a pugno per tentare di contenere tutto quello che stava provando dentro.

“Hai sentito quello che diceva sul marciapiede? Non voleva che ti avvicinassi a lei, era terrorizzata da te. E non voglio che lei soffra”

“Era sotto effetto della vertigo. Non sappiamo che cosa abbia visto, quale allucinazione abbia avuto e di certo non era lucida quando diceva quelle cose”

“Stai solo cercando delle scuse per non accettare la realtà. Lei ha paura di te. E forse fa bene perché in fondo non sei altro che un assassino”

“Non ti permetterò di portarla via” ribatté Oliver deciso “Non andrà da nessuna parte, non con te. Forse sarò solo un assassino ma tu sei solo un uomo d’affari che approfitta delle debolezze altrui per mettersi in mostra”  

“Allora tutto questo astio nei miei confronti è per l’azienda” constatò Ray “Perché ho convinto gli investitori più di te. Perché ti ho rovinato economicamente togliendoti la Queen Consolidated”

“Non si tratta di questo. Si tratta di lei. Lei si fida di me, mi ha spronato ad essere migliore. Ad aiutare la gente, a diventare ciò che sono. Lei crede in me. Potrai togliermi tutto Palmer: l’azienda, la mia vita come amministratore delegato, tutti i miei risparmi, ma non potrai mai portarmi via lei. Questo non te lo permetterò”

“Io non ne sarei così convinto. La vita che conduci, i pericoli che corri … lei sarà sempre nel mirino, Queen. Di chi ti vorrà distruggere, di chi ti vorrà uccidere, di chi ti vorrà veder soffrire. Pensaci … è davvero questa la vita che vuoi per lei?” le sue parole investirono Oliver di colpo, mozzandogli il fiato come un pugno nello stomaco “Io credo di no. Credo che lei meriti di meglio. Quel meglio che tu non potrai mai darle”

 Oliver rimase fermo, in silenzio, troppo sconvolto da quelle parole per poter rispondere.

Tenerla al sicuro, proteggerla da sé stesso e dai nemici che si era creato come Arrow era sempre stata la sua priorità.

Non lasciarsi andare con lei, non permettere di renderla vulnerabile.

Restare a guardarla da lontano, limitarsi solo a sognarla, ad immaginare di poterla sfiorare, baciare, accarezzare, pur di proteggerla da ogni pericolo.

Ed ora il mondo gli stava cadendo addosso.

Palmer aveva ragione e questa era la cosa che faceva più male.

Lasciarla andare ora significava spingerla nelle braccia di Ray, vederla sorridere per lui, essere felice con lui. E faceva così male anche solo pensarlo, altro che doverlo vedere, assistere, dover sorridere e far finta di essere felice per loro.

Sarebbe stato più facile affrontare di nuovo Ra’s, la morte, Slade, l’isola, Hong Kong e le missioni suicide della Waller.

“Forse non la renderò felice, forse la esporrò a mille rischi ma io … la amo” ammise ad alta voce di fronte a Palmer.

“E questo dovrebbe bastare per proteggerla?”

“Basterà” disse Oliver, cercando di auto convincersi.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il suo eroe sei tu ***


Never again

Il suo eroe sei tu

Sentiva la testa scoppiarle e ogni muscolo farle male fino a farle lacrimare gli occhi.

Cercò di aprirli ma le sue palpebre erano più pesanti di quanto si aspettasse.

Sentiva delle voci in lontananza, toni famigliari, caldi e rassicuranti, come quello di Oliver.

Ma c’era qualcun altro con lui, qualcuno che non era né John né Roy né nessuno che sarebbe potuto essere al covo.

Perché era lì che si trovava, no?

Non ne era così sicura.

Sentiva solo il collo bruciare, come se gli avessero fatto un’iniezione o un prelievo del sangue. E lei odiava i prelievi. Odiava gli aghi, anzi in realtà detestava tutto quello che era appuntito. Tutto tranne le frecce. Quelle non le odiava, anzi aveva imparato ad amarle.

Interruppe il flusso sconnesso dei suoi pensieri concentrandosi su quella voce.

E fu allora che capì.

Ray.

Ma che cosa ci faceva il suo nuovo capo al covo?

Piccoli ricordi iniziarono a riaffiorare: Oliver che non rispondeva, la paura che aveva provato, lei sul marciapiede e le botte che aveva ricevuto.

Era tutto così confuso.

Mentre tentava di ricostruire gli avvenimenti le parve di sentire Oliver dire: “La amo”

Forse stava ancora sognando. Forse non stava parlando di lei.

Ma poi aprì gli occhi.

La luce a neon del covo la colpì fastidiosamente costringendola a strizzare gli occhi più volte per farli abituare. Percepì il freddo del metallo sotto la sua schiena, in contrasto con il calore della coperta in cui era avvolta.

Si mise seduta ma il dolore ai muscoli la fece sospirare, mentre la testa pulsava come un martello pneumatico.

“Felicity” la sua voce sorpresa fu la più dolce delle melodie per le sue orecchie.

Un istante dopo lui la stava sorreggendo, chiedendole come stava, tentando di convincerla a sdraiarsi, per riposare.

 

 

Sentì un gemito e si voltò, trovando Felicity seduta sul tavolo in metallo, la coperta che prima l’avvolgeva era scivolata lungo il petto lasciando visibili le sue esili braccia.

Erano ricoperte di lividi, segni violacei affiorati sulla sua pelle dopo le botte che aveva ricevuto da Miller.

Oliver corse subito vicino a lei, cercando di ignorare l’odio che provava nei confronti di quell’uomo che aveva osato alzare le mani su di lei.

Era fortunato ad essere morto.

“Come ti senti?” le chiese accarezzando con le dita il viso della donna.

Felicity si appoggiò alla mano che era sulla sua guancia, sorridendo stanca.

Si sentiva intontita, confusa e intorpidita.

La testa continuava a farle male e faticava a mettere a fuoco la stanza, ma questo era dovuto almeno in parte alla mancanza dei suoi fidati occhiali sul naso.

“Mi fa male la testa” si lamentò “mi sembra di essere stata investita da un tir”

“Starai bene, vedrai” la rassicurò “ma devi riposare perciò è meglio se ti stendi”

“Uhmm” mugugnò chiudendo gli occhi e beandosi di quel caldo contatto con la mano di Oliver.

Ray si avvicinò ai due, palesando la sua presenza con un finto colpo di tosse.

“Ray” Felicity lo salutò senza capire perché fosse lì “Come mai sei qui?”

Poi notò che Oliver indossava ancora il costume di Arrow e spalancò gli occhi scioccata.

“Tranquilla. Lui sa” rispose Oliver.

“Come?”

“Ha assistito a quello che è successo con Miller” spiegò “e mi ha aiutato a portarti qui”

“Non me lo ricordo … è tutto piuttosto confuso”

“Non ricordi nulla di quello che è accaduto?”

“Mi ricordo di Miller e che sono finita a terra. E visto il dolore che sento a tutti i muscoli credo di non essere riuscita a difendermi tanto bene”

“Sei stata drogata” disse Oliver con quanta più dolcezza possibile “vertigo”

“Sì questo lo ricordo. E poi Miller mi ha picchiato”

“Sono arrivato il prima possibile e l’ho fermato ma … non sono stato abbastanza veloce per evitare che si accanisse su di te”

Oliver sentiva il dolore e la rabbia dentro di lui, il senso di colpa che accresceva, la paura che aveva provato per la sua incolumità.

“Poi ti abbiamo portato qui”

“E perché sei venuto anche tu?” chiese riferendosi al suo nuovo capo.

“Perché lui voleva portarti in ospedale” la voce del vigilante lasciava trasparire il suo astio nei confronti di Ray “Ma non ho potuto permetterglielo. Avrebbero fatto troppe domande”

“Non capisco … Perché hai rivelato la tua identità quando avresti potuto semplicemente portarmi tu qui? Da solo?”

“Perché tu non volevi venire con me” Oliver prese un respiro profondo, sapendo che il peggio doveva ancora arrivare.

“Questo non ha senso. Perché avrei dovuto …” Felicity s’interruppe vedendo lo sguardo afflitto sul viso di Oliver.

Poi ricordò. Miller, la vertigo e ciò che aveva visto. La sua paura più grande e le parole che gridava contro Oliver mentre lui cercava di salvarla.

Ora tutto aveva senso, ogni pezzo del puzzle combaciava perfettamente ma avrebbe preferito continuare a non ricordare. Forse avrebbe fatto meno male.

“Ray” parlò lei dopo qualche attimo di silenzio “Potresti lasciarci parlare in privato per qualche minuto?”

Palmer non rispose, si limitò ad annuire ed uscire dalla porta secondaria che dava sul vicolo dietro il Verdant.

Oliver aveva preso a camminare nervosamente per la stanza, la testa china, evitando lo sguardo di Felicity.

“Oliver?”la bionda lo richiamò sperando che si avvicinasse a lei “Che cosa è successo davvero? Credo … credo di ricordare qualcosa ma non ne sono così sicura”

Dopo qualche secondo di silenzio Oliver si decise a parlare: “Non so che cosa sia realmente successo. Stava inseguendo Miller e quando l’ho trovato ti stava …”

Non riusciva neanche a dirlo tanto lo faceva star male. Strinse i pugni lungo i fianchi e si avvicinò a lei, distendendo poi le braccia sul tavolo di metallo, appoggiando i palmi ai lati delle gambe della donna.

Felicity si ritrovò bloccata fra le sue braccia, il corpo di Oliver più vicino di quanto credesse, i suoi occhi tristi che la scrutavano.

“Ho tentato di prenderti in braccio per portarti via da lì ma tu ti sei allontanata. Dicevi che non dovevo avvicinarmi, che …” sorresse il suo sguardo mentre parlava, nonostante facesse male al cuore “che non avrei dovuto toccarti. Pensavo fosse la vertigo, ho creduto che tu non mi riconoscessi ma non era così. Sapevi perfettamente chi ero e non ti fidavi più di me. Poi Palmer è arrivato e ti sei lasciata cullare dalle sue braccia”

“Io non …”

Oliver la fermò, volendo prima concludere il suo discorso: “Lui voleva portarti in ospedale ma quando gli ho detto che conoscevo un posto sicuro dover poterti curare ha insistito per venire anche lui. Non ti avrebbe lasciata e ho dovuto portarlo qui”

“E come ha capito chi eri realmente? Glielo hai detto tu?” domandò.

“No, lo ha capito da solo” l’espressione dubbiosa di Felicity lo spronò a continuare “continuavi a chiamarmi Oliver mentre ti allontanavi da me e lui ha messo insieme i pezzi”

“Mi dispiace, io … “ Felicity non poteva credere di aver compiuto una tale leggerezza “è colpa mia, non …”

“No” Oliver la bloccò sorridendole rassicurante “Eri sotto effetto della vertigo, non potevi sapere quello che stavi dicendo. Non è colpa tua”

Lei chiuse gli occhi prendendo un lungo respiro.

“Io non pensavo davvero quello che ti ho detto. Non ti avrei mai allontanato se fossi stata lucida. Io mi fido ciecamente di te ma …” il ricordo dell’allucinazione che la droga aveva causato pesava come un macigno sul cuore e faceva male, anche se sapeva che non era reale.

“Quello che ho visto …. Sembrava così reale” si bloccò sentendo la sua voce incrinarsi.

“Ehi” Oliver cercò di tranquillizzarla mentre vedeva i suoi occhi farsi lucidi “So quello che la vertigo può fare, l’ho sperimentato in prima persona e non è affatto piacevole”

Spostò le mani dal tavolo di metallo, raggiungendo quelle di Felicity che si stavano torturando a vicenda sul suo grembo.

Lo sguardo della ragazza cadde sulle loro dita intrecciate e Oliver notò il piccolo sorriso che si era dipinto sul suo viso.

La bionda tirò su con il naso, impedendo alla lacrime di cadere dai suoi occhi chiari.

“Quando mi ha drogato Miller si è trasformato in qualcun altro” cercò di farsi coraggio mentre stringeva più forte le mani di Oliver che le infondevano sicurezza “ed era quel qualcuno che mi picchiava, non Miller. Insomma so che in realtà era Miller ma a me sembrava realmente un'altra persona”

Oliver annuì comprensivo: “Chi? Chi hai visto, Felicity?”

“Tu” sussurrò lei “Eri tu che mi picchiavi”

Oliver si allontanò lasciando la presa sulle mani della ragazza, come se avessero improvvisamente iniziato a scottare.

Le diede le spalle cercando di metabolizzare quello che aveva appena scoperto.

“Io?” la sua voce tremava, cosa che non accadeva molto spesso ad Arrow “Io sono la tua paura più grande?”

Si sentiva male. Gli mancava il fiato, come se non riuscisse a respirare. Faceva dannatamente male, al petto.

Non si era mai sentito così.

“No, non tu” la voce di Felicity rimbombò nel covo stranamente silenzioso “insomma, non eri realmente tu, eri diverso. L’Oliver che conosco non mi avrebbe mai detto quelle cose”

“Quali cose?”

Felicity scese dal bancone su cui era seduta, ignorando le vertigini che l’assalirono una volta in piedi.

Si avvicinò a lui facendolo voltare, per guardarlo negli occhi.

Non l’aveva mai visto così.

Nemmeno quando era morta Sara, né quando aveva scoperto che Thea era diventata un’assassina, né quando era tornato dal duello contro Ra’s Al Ghul.

 Sembrava distrutto.

“Che cosa ti ho detto?” la sua sembrava più una supplica piuttosto che una domanda.

“Mi hai detto che non contavo nulla per te …” iniziò titubante “… che ero solo un burattino nelle tue mani, utile a raggiungere i tuoi scopi”

Felicity cercò di arginare il dolore che provava ma parlare ad alta voce di quello che era successo non aiutava. Chiuse gli occhi mentre le prime lacrime solcavano le sue guancie.

“Mi hai detto che ero una povera illusa perché ho davvero creduto che tu potessi” le lacrime sul suo viso raddoppiarono “potessi innamorarti di me”

Oliver si impose di respirare, cercando di non farsi sopraffare da quel turbinio di emozioni che lo stava distruggendo a poco a poco.

“Ridevi. Ridevi di me e intanto mi picchiavi. E quando sei arrivato per salvarmi, pensavo che avresti continuato ad umiliarmi. Non ho realizzato che eri davvero tu e non volevo sentirmi più così male, mai più”

La voce di Felicity si spezzò e il pianto prima silenzioso si trasformò in singhiozzi sempre più forti, fino a farle mancare l’aria.

Sentì il calore del corpo di Oliver contro il suo mentre le sue braccia la cingevano in un abbraccio protettivo.

Sentì le sue mani carezzarle la schiena, scivolando su e giù, per tentare di calmarla.

“Non ero io, Felicity. Non ti avrei mai detto quelle cose”

“Lo so” rispose tra un singhiozzo e l’altro, mentre si aggrappava a lui e affondava il viso nel suo collo.

“Sei importante per me, Felicity” le sussurrò dolcemente “Lo sarai sempre”

Sciolse l’abbraccio ma solo per guardarla negli occhi, per farle capire che era sincero e che non le avrebbe mai mentito: “Non c’è nulla al mondo che conti più di te. Nulla che abbia il tuo stesso valore, nulla che sia più bello del tuo sorriso” 

Erano ancora abbracciati stretti, quando Diggle fece il suo ingresso nel covo.

Si staccarono improvvisamente, aumentando la distanza tra loro.

“Scusate, non volevo interrompere nulla” disse “Comunque sono felice che tu stia bene, Felicity”

“Grazie John” rispose lei, ancora frastornata da quanto successo.

Le parole di Oliver risuonavano ancora nella sua mente, distraendola.

“Io vado” annunciò Diggle “Volevo solo accertarmi sulle tue condizioni”

E così come era arrivato sparì.

Felicity asciugò le ultime lacrime dal viso e tornò a sedersi sul suo letto improvvisato.

“Va tutto bene?” chiese Oliver vedendola allontanarsi.

“Sì. Mi gira solo un po’ la testa, ma sto bene”

Restarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.

Fu Oliver a parlare per primo: “C’è una cosa che non mi spiego in tutto questo”

“Che cosa?”

“Come tu potessi essere là. Come abbia fatto Miller a trovarti. Dovevi essere qui, al covo, al sicuro”

Felicity sapeva che prima o poi sarebbe dovuto succedere. E temeva quel momento, la discussione che avrebbe scatenato, il male che avrebbe comportato per entrambi.

Ma non poteva mentirgli. Non avrebbe avuto alcun senso.

“Non è stato Miller a trovarmi. Sono io che ho trovato lui” rispose.

Oliver s’irrigidì.

Forse Diggle aveva ragione, forse lei l’aveva fatto davvero.

Non poteva crederci.

“Le comunicazioni con John e Roy erano disturbate. Non riuscivo a parlare con loro e non so il perché. Ho visto che ti allontanavi dal magazzino e ho capito che stavi inseguendo Miller. Eri solo e quando non mi hai risposto … io ho avuto paura. Non c’era nessuno che poteva correre in tuo aiuto e temevo che Miller ti avesse drogato, che la vertigo avrebbe potuto indebolirti, metterti in pericolo, renderti vulnerabile. Avevo il terrore di poterti perdere” Felicity si fermò, cercando di capire la reazione di Oliver ma lui rimaneva fermo di fronte a lei, immobile, senza dire nulla.

“Così ho pensato che avrei potuto aiutarti io. Sapevo che eri sotto il grattacielo dell’azienda e non era pericoloso come un magazzino abbandonato. Sono salita in auto e ti ho raggiunto. Ho visto Miller e l’ho colpito ma non è bastato e … il resto lo sai” cercò di non scoppiare di nuovo a piangere, non voleva mostrarsi debole. E soprattutto non si era pentita di quello che aveva fatto, non aveva dubitato neanche un secondo della decisione presa.

Quello che successe dopo la terrorizzò.

Si aspettava una reazione da parte di Oliver ma questa non arrivò. La guardava da lontano senza proferire parola.

“Oliver … di’ qualcosa, ti prego”

Quel silenzio la stava uccidendo.

“Non l’hai fatto davvero. Non puoi averlo fatto”

Oliver si avvicinò di qualche passo, contrariato.

Lei non rispose.

“Hai lasciato il covo, ti sei messa in pericolo, hai rischiato di morire, hai abbandonato la tua postazione, hai …” la raggiunse e Felicity notò che era più che contrariato.

Era furioso. Arrabbiato, sconvolto, deluso.

“Hai mandato all’aria tutto ciò che ho fatto per tenerti al sicuro! Come hai potuto fare una cosa simile? Perché, Felicity? Perché?”

Ora non stava più parlando, aveva iniziato ad urlare.

“Perché volevo aiutarti!” gli rispose, a sua volta arrabbiata  “Volevo solo proteggerti”

“Tu non devi proteggermi! Sono io che tengo al sicuro te, non il contrario. E con la tua irresponsabilità hai rovinato tutto quello che avevo faticosamente fatto …”

“Fatto cosa, Oliver?” urlò lei a sua volta, cercando di ignorare la fitta di dolore lancinante che le attraversava i muscoli “Sai che cosa c’è? Io non voglio essere protetta da te!”

Respirò a fondo mentre sosteneva lo sguardo dell’uomo di fronte a sé.

“Volevo soltanto che tu mi stessi accanto ” ricacciò indietro le lacrime “Voglio soltanto te”

Il cuore di Oliver fece una capriola nel petto ma lui lo ignorò, troppo arrabbiato per potersi fermare a dargli ascolto.

“Tu non capisci …”

“Non capisco? Che cosa non capisco, Oliver?” chiese sempre più frustrata “Non capisco perché ti ostini a dirmi che vuoi solo proteggermi! Hai ragione, non lo capisco”

“Non capisci quello che ho dovuto sopportare per tenerti al sicuro, quanto è stato difficile riuscire a …”

“Riuscire a fare cosa?”

Lo guardò negli occhi, attendendo una risposta.

“A starti lontano, maledizione!” 

Oliver annullò la poco distanza che ancora li separava, intrappolandola con il suo corpo, fino a che i loro volti furono così vicini da potersi quasi sfiorare.

“Non immagini quanto mi sia costato fare finta che non mi importasse, che tutto questo non mi ferisse, che non mi desse fastidio vederti uscire a cena con Palmer, che vederti baciare il tuo nuovo capo non mi avesse distrutto. Non sai quanto autocontrollo mi ci vuole per resisterti, per evitare di lascarmi andare”

“Allora non lo fare. Lasciati andare” lo supplicò con tutta sé stessa.

Felicity respirò a fondo sentendo solo il profumo di Oliver riempirle le narici.

Sentiva il calore che emanava il suo corpo, così vicino al suo da scatenarle lunghi brividi lungo la schiena.

Non aveva mai visto i suoi occhi da così vicino, azzurri, profondi e tormentati.

Gli occhi di un eroe. Il suo eroe.

Gli si avvicinò ancora, facendo scontrare il profilo dei loro nasi.

Inalò altra aria e il suo respiro si infranse sulla pelle di Oliver, a pochi millimetri dalla sua.

Voleva le sue labbra, così morbide ed invitanti, ad un soffio dalle sue.

Posò le piccole mani sul suo viso, accarezzando la barba ispida che cresceva sulle guance e gli ricopriva il mento.

“Felicity” la voce di Oliver era ridotta ad un sussurro “non farlo … non farebbe altro che peggiorare le cose”

“Smettila! Io ho scelto questa vita, con i suoi rischi, con i suoi pericoli. Ma voglio viverla, non sprecarla. E dovresti farlo anche tu. Smettila di combattere per tutti e contro tutti. Meriti di essere felice pure tu”

Oliver chiuse gli occhi cercando di non pensare a quanto lei gli fosse vicino, al suo profumo, alle sensazioni che gli faceva provare.

Sentiva il cuore galoppargli nel petto, pompando il sangue nelle vene, facendolo sentire vivo più che mai.

La voleva.

La desiderava più di ogni altra cosa al mondo e non poteva più resistergli.

Quando riaprì gli occhi, Felicity si stava allontanando da lui, un velo di tristezza nel suo sguardo.

La bloccò, prima che fosse troppo tardi.

Gli occhi chiari di lei si incatenarono ai suoi, di nuovi pieni di speranza.

Le sue mani scattarono verso quel viso gentile, spinte dalla irrefrenabile voglia di accarezzarla.

“Non lo fare mai più” fu lui a supplicarla questa volta “mai più”

Ad ogni parola che usciva dalla sua bocca si avvicinava sempre di più, sfiorando la pelle del suo viso con la punta del naso.

“Mai più” accarezzò gli angoli della sua bocca ricevendo come risposta solo il respiro ansante di Felicity.

“Non devi più rischiare così per me. Promettimelo” fermò un istante quella dolce tortura, aspettando una sua conferma.

“Te lo prometto” disse flebilmente.

“Mai più” sussurrò Oliver per l’ultima volta, in un soffio sopra le sue labbra.

Catturò la sua bocca con la propria, cogliendola di sorpresa, le sue labbra ancore socchiuse per lo stupore.

Non c’era nulla di lento in quel bacio, la passione così a lungo repressa aveva preso il sopravvento. Le loro lingue si rincorrevano mentre le mani di Oliver premevano sulla nuca di Felicity, avvicinandola ancora di più a sé.

I loro corpi si scontrarono facendoli gemere, eccitandoli fino a far perdere loro il controllo.

Oliver le torturò il collo di baci, stringendola a sé il più delicatamente possibile. Aveva paura di farle male, nei punti in cui Miller l’aveva picchiata.

Miller.

Non doveva pensare a lui. Al rischio che aveva rappresentato per lei.

Ai pericoli che correva a causa sua.

Sentì le mani di Felicity aggrapparsi alla giacca del suo costume e aprire velocemente la zip, infilarsi sotto la stoffa verde e accarezzare le cicatrici sul petto, scendendo pericolosamente verso il basso.

Bloccò le sue mani, ormai giunte all’elastico dei pantaloni, lì dove in realtà la desiderava di più.

“Fel … aspetta” la allontanò quel poco che bastava per guardarla negli occhi.

 “Che succede?” domandò con il respiro corto.

Lui esitò, non sapendo realmente cosa dire.

Aveva paura e non poteva riuscire a superarla da sola.

Voleva Felicity, voleva una relazione con lei, voleva vederla sorridere e impegnarsi sul serio.

Per lei.

Ma aveva bisogno di aiuto, del suo aiuto.

E per un eroe, per l’uomo che salva la gente della sua città, era difficile ammettere di averne bisogno.

“Ma certo” la voce di Felicity lasciava trasparire la sua delusione “Mi sembrava troppo bello per essere vero”

“Felicity …” la richiamò ma lei si era già messa in piedi e si stava allontanando “ … non è come pensi”

“No, non lo è mai” rispose arrabbiata “sono stanca di sentire le tue scuse, Oliver. Di sentirti dire sempre le stesse cose”

“Ascoltami” la implorò lui.

“No. Basta, Oliver. Non voglio più sentire nulla” si voltò prendendo la sua borsa e il cappotto ma Oliver la trattenne per un braccio.

Solo quando lei si lamentò per il dolore, lui capì quello che aveva fatto.

Aveva stretto con troppa forza, lì dove Miller aveva infierito su di lei.

 “Scusami, io non …”

“Non importa. Almeno questo non è colpa tua” disse, guardandolo per un istante prima di sfuggire alla sua presa.

Oliver rimase in silenzio ed incassò il colpo, incapace di dire qualunque cosa.

“Dove vai?” le chiese appena riuscì di nuovo a parlare.

“A casa” rispose quando ormai era già lontano da lui.

“Non puoi andarci da sola, potresti aver bisogno di aiuto”

“Non preoccuparti” disse scandendo bene le parole “Sono sicura che Ray sarà felice di accompagnarmi”

Voleva ferirlo, quasi come lui aveva fatto con lei, e dall’occhiata furtiva che aveva lanciato alle sue spalle era sicura di esserci riuscita.

  

Strinse i pugni, maledicendosi tra sé e sé.

Come aveva potuto lasciare che accadesse tutto questo?

Sentiva ancora il sapore delle labbra di Felicity sulla bocca, il desiderio che gli bruciava dentro, la voglia che aveva di lei.

Ma aveva rovinato tutto, ancora una volta.

E ora lei era con Palmer.

Se lo meritava, era solo colpa sua.

Si diresse a grandi passi verso la stanzetta del covo che usava come spogliatoio, per togliere la tuta verde che aveva ancora indosso, dopo aver agganciato l’arco al suo supporto nella teca.

Si cambiò i pantaloni, sostituendo quelli attillati del costume di Arrow con un paio di comodi jeans, e infilò velocemente una t-shirt.

Andò a sciacquarsi il viso prima di indossare il maglioncino e quando si vide nello specchio sopra il lavandino quasi si spaventò.

Aveva un aspetto terribile.

Ma in fondo rifletteva il suo stato d’animo.

Era svuotato, come se non sentisse più nulla, come se non ci fosse più nulla da sentire.

Sferrò un pugno sul muro in un improvviso impeto di rabbia.

Ci mise qualche istante ma alla fine lo sentì: il dolore che si propagava lungo le nocche, estendendosi alle dita e poi a tutto il resto della mano.

Il respiro divenne sempre più affannato e realizzò che c’era qualcosa che pungeva nei suoi occhi.

Lacrime.

Calde, salate, incontrollabili che colarono copiosamente sul suo viso.

Era da tanto che non piangeva.

Forse aveva addirittura dimenticato quale fosse stata l’ultima volta.

Pianse per quello che aveva perso, per quello che aveva distrutto, per Felicty, per Thea, per Sara, per tutto quello che non si era mai concesso di provare.

Non seppe di preciso quanto tempo passò appoggiato al muro, lasciandosi scivolare a poco a poco fino a sedersi sul pavimento, le gambe piegate strette fra le braccia.

Se ne stava lì, accucciato come un bambino, mentre le lacrime non smettevano di scendere.

 

 

Felicity uscì dalla porta secondaria che dava sul vicolo sentendo la brezza fredda della sera sfiorarle le gambe scoperte dal vestito.

Era distrutta.

Trovò Ray appoggiato al muro esterno del Verdant, in attesa.

“Hey” si avvicinò a lei, sincerandosi sulle sue condizioni.

“Sto bene” mentì mentre dentro si sentiva morire.

“Concluso il discorso con Oliver?” domandò lui, stupito di vederla lì fuori, sulle proprie gambe.

“Sì. Ma sono un po’ stanca. Potresti accompagnarmi a casa, per favore?” domandò.

“Certo” Ray le sorrise e per un attimo Felicity desiderò ardentemente amare quel sorriso.

Ma non ci riusciva.

Perché no? Perché non si emozionava, non le batteva forte il cuore? Perché le succedeva solo quando vedeva quello di Oliver?

Faceva male.

Si aggrappò al braccio che Palmer le aveva porto, grata per quel gesto, visto che stava faticando molto a tenersi in piedi senza che la testa le girasse.

Era ancora debole e sentiva la stanchezza diffondersi in tutto il corpo.

Ma non era nulla in confronto al dolore che provava dentro il petto. Le sembrava di aver sentito il cuore rompersi in tanti pezzi, liberando migliaia di schegge.

Come quando da piccola si era ferita camminando a piedi nudi sui cocci di un bicchiere rotto.

Avrebbe voluto piangere ma non poteva lasciarsi andare davanti al suo capo.

Ray avrebbe fatto domande a cui lei non voleva rispondere.

Fece per spingere più su gli occhiali sul naso, in modo che le lenti mascherassero in parte i suoi occhi lucidi, ma realizzò di non indossarli.

Dove li aveva lasciati?

Li aveva quando era uscita per andare in soccorso di Oliver ma non più quando si era risvegliata dopo l’aggressione.

Qualcuno probabilmente glieli aveva tolti.

Erano ormai davanti all’auto di Palmer quando decise di tornare indietro a prenderli.

“Ho scordato gli occhiali dentro, credo” disse facendosi accompagnare dall’uomo all’interno del covo.

Non c’era traccia di Oliver e lei ne fu sollevata.

Non sapeva dove si era cacciato ma preferiva non vederlo in quel momento.

Notò gli occhiali sulla sua scrivania, vicino ai suoi fidati computer. Trovò anche l’elastico fucsia con cui aveva legato i capelli nella solita coda e accanto giaceva abbandonata la maschera di Arrow.

La ignorò, cercando di non pensare a lui, mentre inforcava gli occhiali e si voltava per uscire dal covo il più in fretta possibile.

Fece pochi passi prima che la testa iniziasse a girarle, le gambe divennero molli, faticando a sorreggerla.

Si aggrappò allo schienale della poltrona su cui sedeva ogni giorno, chiuse gli occhi e respirò profondamente ma la situazione non migliorò.

“Felicity, ti senti bene?” Ray si avvicinò a lei, cercando di aiutarla.

“Mi gira la testa” disse faticosamente mentre sentiva le gambe cederle.

Si lasciò cadere pesantemente sulla seùdia.

“Oliver” disse “Chiama Oliver”

Le pesava dover dipendere da lui in quel momento ma era l’unico che poteva aiutarla, capire cosa le stava succedendo.

 

 

Oliver sentì dei passi entrare nel covo.

Conosceva quel rumore di tacchi, lo sentiva ogni giorno quando lei scendeva le scale, palesando così il suo arrivo.

Si destò da l torpore in cui era caduto e si ricompose, asciugando le lacrime con il dorso della mano.

Infilò il maglioncino prima di uscire dallo spogliatoio e fu allora che sentì la voce di Palmer.

Forse era meglio non uscire, non voleva vedere il sorriso soddisfatto sul volto dell’uomo per essere riuscito a portargli via Felicity.

“Oliver. Chiama Oliver” sentì la voce della donna, stanca e affaticata, e capì subito che c’era qualcosa che non andava.

Uscì dallo spogliatoio trovandosi faccia a faccia con Palmer.

“Credo non ce ne sia bisogno” commentò Ray riferendosi alla richiesta della ragazza.

“Felicity” la chiamò preoccupato avvicinandosi a lei “Che cosa è successo?”

S’inginocchiò sul pavimento per arrivare all’altezza della donna, seduta sulla sua poltrona, gli occhi chiusi dietro le lenti degli occhiali.

“Mi fa male la testa” rispose portandosi una mano alle tempie, massaggiandole.

“Sei ancora debole per stare in piedi, probabilmente è solo un calo di pressione” le spiegò cercando di rassicurarla.

Felicty aprì lentamente gli occhi trovandosi Oliver davanti.

C’era qualcosa che non le tornava.

“Perché hai di nuovo indossato la maschera?” domandò “C’è un’altra emergenza?”

Si ricordava di averla vista poco prima sulla scrivania quando prendeva gli occhiali e lui non c’era.

Come poteva portarla ora?

“La maschera?” Oliver era sorpreso “Non ho la maschera, Felicity”

Lei lo guardò ma sembrava assente, come se non lo vedesse davvero.

“Felicity!” la chiamò con fermezza prendendole le mani tra le sue “Felicity, ascoltami. Quello che vedi non è reale. Nulla di quello che senti lo è”

Oliver sapeva che l’unica cosa che avesse senso era che fosse in preda ad un’altra allucinazione.

Non riusciva a spiegarsi il perché, non a distanza di ore dalla dose di vertigo, ma avrebbe motivato la discussione sulla maschera. Continuava a vederlo come Arrow, come la sua più grande paura.

“Che cosa le sta succedendo?” chiese Palmer, sempre più confuso.

“Penso sia in preda alle allucinazioni. Di nuovo!” gli spiegò velocemente mentre stringeva la presa sulle sue mani. Doveva trovare un modo per risvegliarla, per portarla di nuovo alla realtà.

“Felicity, guardami. Sono qui, sono io, Oliver. Non Arrow, non il vigilante. Ci sono solo io” sperava davvero che bastasse a destarla “Non devi avere paura, Felicity. Devi essere forte, non lasciarti andare”

“Sei solo un’illusa!” la voce del vigilante era dura, tagliente. E risuonava nella mente della ragazza, decine e decine di volte.

Non poteva essere, non di nuovo.

Felicity non voleva rivivere quel momento.

Era al covo questa volta e Arrow era arrabbiato con lei ma non riusciva a capirne il motivo.

Sentiva qualcosa ma non capiva cosa fosse.

Abbassò lo sguardo sulle sue mani, abbandonate pigramente sul ventre e le vide.

Vide le sue dita intrecciate a quelle di Arrow.

No, non erano le sue. Non c’erano i soliti guanti di pelle nera.

Quelle erano le mani di Oliver.

Era un contatto piacevole, rassicurante come una dolce carezza.

“Oliver …” lo chiamò, sperando che l’ascoltasse.

“Felicity” la voce dell’uomo giunse alle sue orecchie e le sembrò di scorgere un velo di preoccupazione nel suo tono ma anche sollievo.

Alzò lo sguardo e lo vide.

Non c’era più Arrow che la squadrava, c’era Oliver che le sorrideva.

Le sembrò di essersi risvegliata improvvisamente da uno stato di trance.

Lui la vide, lo sguardo non più assente, il respiro un po’ affannato e un’espressione di stupore sul viso.

“Ehi” posò una mano sul suo collo spingendola gentilmente verso di lui.

“Oliver” lo chiamò spaventata.

“Va tutto bene, Felicity”

Le si tuffò tra le sue braccia, affondando il viso nell’incavo tra la spalla e il collo dell’uomo.

“Va tutto bene” le ripeté Oliver mentre la cullava dolcemente.

Riuscì a tranquillizzarsi dopo qualche istante, asciugandosi le lacrime che aveva versato.

“Hai bisogno di riposare” le disse lui “ti porto a casa, ok?”

“Ci penso io” s’intromise Ray.

“Meglio di no” il tono secco di Oliver non ammetteva repliche “non è prudente lasciarla sola, potrebbe avere altre allucinazioni”

“Posso restare io con …”

“Con tutto il rispetto signor Palmer” Oliver si alzò voltandosi verso di lui “non credo sia in grado di fronteggiare una situazione simile se si presentasse”

“Io sono sicuro di poter …”

“Smettetela!” fu Felicity a porre fine a quella inutile discussione  “Mi scoppia la testa a sentirvi litigare come due bambini!”

Si zittirono entrambi ma gli sguardi poco amichevoli fra i due continuarono.

“Oliver ha ragione” aggiunse lei “lui ha più esperienza in fatto di vertigo. Ray, tu domani mattina devi gestire un’azienda, meglio se riposi quelle poche ore che rimangono prima dell’alba”

Oliver accennò un sorriso ma questo scemò subito dopo l’occhiata furiosa che la bionda gli rivolse.

Felicity provò ad alzarsi ma lui la fermò: “Non devi affaticarti. Resta seduta”

Si avvicinò a lei dopo aver recuperato tutte le sue cose e si abbassò per guardarla negli occhi.

 “Non pensare che ti abbia perdonato solo perché ti permetto di accompagnarmi a casa” gli sussurrò nell’orecchio in modo che solo lui potesse sentire.

“Aggrappati a me” le disse passando le braccia intorno alla sua schiena, evitando di rispondere alla sua provocazione.

Felicity gli circondò il collo con le braccia, tenendosi stretta mentre lui la sollevava dalla poltrona.

Oliver portò un braccio sotto le cosce della ragazza per sorreggerla meglio, lasciando che lei si abbandonasse completamente contro il suo corpo.

Nonostante fosse arrabbiata con lui, Felicity non riuscì a reprimere quel brivido che le sue grandi mani provocavano in lei semplicemente toccandola.

Oliver sentì le gambe di Felicity cingergli il bacino per stare più comoda in braccio a lui.

Era di nuovo incredibilmente vicina, i loro corpi separati solo da un sottile strato di vestiti, fini come l’abito viola che lasciava scoperte le sue lunghe gambe.

Cercò di non pensarci mentre la portava fuori dal covo, diretto a casa sua.

Lei si strinse di più a lui quando uscirono nell’aria fredda delle cinque del mattino, cercando rifugio nel suo corpo caldo.

Vide Ray, da sopra la spalla di Oliver, che si dirigeva verso la sua auto sportiva dopo averla salutata con un cenno della mano.

Poi chiuse gli occhi e si accoccolò meglio sulla sua spalla, il profilo del naso che sfiorava la calda pelle del collo del suo eroe.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Le tue mani sono la sua salvezza ***


Never again

Le tue mani sono la sua salvezza

Il viaggio in auto fu lungo e incredibilmente silenzioso.

Oliver teneva gi occhi puntati sulla strada, il volante stretto tra le mani, quasi a volerlo stritolare mentre i suoi pensieri erano concentrati sulla donna seduta al suo fianco.

Felicity osservava il paesaggio che scorreva veloce fuori dalla macchina, le luci della città che sembravano scie sfuggenti.

Aveva abbandonato il capo contro il  finestrino, la testa che continuava a pulsare dolosamente e la stanchezza che stava prendendo il sopravvento su di lei.

Chiuse gli occhi abbandonandosi al dolce tepore che proveniva dalle bocchette di riscaldamento della costosa berlina di Oliver.

Quando finalmente giunsero sotto casa, Felicity era sul punto di addormentarsi profondamente.

Oliver scese dall’auto e aprì la portiera per la ragazza, aiutandola ad uscire dall’abitacolo.

Fu più complicato di quanto avesse previsto.

La bionda sentì ogni muscolo farle male, mentre il suo equilibrio precario la fece barcollare sui tacchi alti.

Lui la aiutò ad entrare in casa, sorreggendola con le sue braccia.

La fece stendere sul divano chiaro, cercando di essere il più delicato possibile.

“Non pensavo avrebbe fatto così male” disse lei, la voce provata dal dolore.

Oliver si sedette sul tavolino basso, davanti al divano: “È l’effetto degli antidolorifici … sta svanendo”

Felicity sospirò e perfino questo le fece male: “Vuoi dire che prima, quando stavo meglio di ora, era solo l’effetto dei farmaci?”

“Temo di sì” gli rispose sincero “e sono passate solo poche ore quindi dovrai resistere un altro po’ prima di poterne assumere degli altri”

La ragazza si tolse gli occhiali, strofinandosi gli occhi stanchi.

Rimasero in silenzio per qualche minuto fino a quando Oliver le consigliò di andarsi a coricare e farsi una bella dormita.

La accompagnò in camera e lei si lasciò andare sul letto, troppo debole per restare ancora in piedi.

“Riesci a cambiarti?” le chiese Oliver, cercando il suo pigiama.

Quando lo trovò aiutò Fel a mettersi seduta.

La donna annuì mentre armeggiava più volte con la cerniera del vestito, posta sulla schiena, senza riuscire a raggiungerla.

Le braccia le facevano male appena le muoveva, come il resto del corpo.

Si fermò a guardare attentamente la sua pelle notando i segni violacei sparsi ovunque, dal polso fino alle spalle.

“Felicity” Oliver le bloccò le braccia con delicatezza, notando lo sguardo triste sul suo viso “Ti aiuto io”

Le alzò il mento con le dita in modo tale che lei incrociasse il suo sguardo e le sorrise, sperando che questo potesse distrarla dai brutti pensieri su quanto le era accaduto.

La ragazza non rispose, troppo scossa da tutto per parlare.

Lui si sedette sul materasso, dietro la donna, per riuscire a raggiungere la cerniera del vestito.

Fece scivolare giù la zip, sfiorando appena la pelle che si scopriva man mano.

Felicity tremò al contatto delle mani di lui sulla schiena: sentiva il tocco leggero dei suoi polpastrelli su di sé, scatenandole piccoli brividi di piacere.

Non riusciva a concepire come il più piccolo dei suoi tocchi la mandasse quasi in estasi, come se non ci fosse nulla di più bello al mondo delle sue mani sul suo corpo.

Oliver osò di più, passando le mani sulle spalle della ragazza, facendo scivolare le spalline del suo vestito lungo le braccia.

Cercò di controllarsi, senza lasciare che le sue emozioni prendessero il sopravvento.

Se avesse semplicemente seguito l’istinto l’avrebbe stretta e sé e l’avrebbe riempita di baci e carezze ma non poteva, non dopo quello che era successo al covo.

Gli mancò il respiro quando lei si lasciò andare contro di lui, appoggiandosi al suo petto.

Oliver si mise seduto più comodo sul letto e l’accolse fra le sue braccia, abbracciandola dolcemente mentre lei si accoccolava su di lui, diminuendo ancora la minuscola distanza fra i loro corpi.

Non era perfettamente lucida, forse se lo fosse stata non avrebbe osato tanto.

Doveva essere arrabbiata con lui ma non ci riusciva.

Oliver aveva la maledetta capacità di mandarla in confusione, tutto di lui le faceva perdere la razionalità: le sue mani, il suo profumo, le sue parole e i suoi occhi.

Quegli occhi azzurri che la guardavano intensamente, così profondi e luminosi che parevano parlarle silenziosamente.

 E qualunque cosa dicessero lei li avrebbe sempre ascoltati.

Tremò più forte quando sentì il mento di lui sfiorarle la spalla, ormai scoperta dal vestito, e la barba solleticarle la pelle.

“Oliver …” lo chiamò prima che perdesse completamente il controllo “che cosa stai …”

“Shhh” sussurrò lui nel suo orecchio mentre la stringeva ancora di più a sé, lasciandole un bacio alla base del collo.

Una scarica di piacere scosse la ragazza mentre lui continuava con un secondo bacio e un altro ancora.

Lei si voltò lentamente, cercando i suoi occhi.

Ritrovò il suo viso così vicino da toglierle il fiato. Sarebbe riuscita a raggiungere le sue labbra in un baleno. Avrebbe tanto voluto farlo.

Ma il cellulare di Oliver squillò.

“È Dig” disse lui sgusciando via dall’abbraccio, allontanandosi a malincuore dal corpo di Felicty per rispondere.

Lei lo guardò mentre parlava con il loro amico sulle sue condizioni. Le dava le spalle e gli occhi di lei finirono inevitabilmente sulla sua schiena possente, sulle sue gambe, cercando di non rimanere bloccata a fissargli il fondoschiena.  

Quando la chiamata terminò Felicity distolse lo sguardo, estremamente imbarazzata. Sperava non l’avesse beccata a mangiarlo con gli occhi.

Anche Oliver era piuttosto in difficoltà, non sapeva che cosa fare.

Se non li avessero interrotti non sapeva con precisione come sarebbero finite le cose.

Si fissarono per un istante, in silenzio.

Lei lo voleva ma lui sembrava continuare a non essere pronto ad impegnarsi davvero, troppo protettivo nei suoi confronti per lasciarsi andare.

E lei voleva più di qualche bacio ogni tanto, di qualche carezza e un paio di sorrisi. Voleva tutto di lui, per sempre, al suo fianco.

Abbassò il capo, non riusciva a guardarlo negli occhi.

“Felicity” Oliver non sapeva davvero cosa dirle, non dopo quello che stava per fare. Non avrebbe dovuto cedere.

“Sono stanca, Oliver …. è meglio se riposo un po’”

“Sì, certo” lui sapeva che era una scusa ma non avrebbe insistito “Hai ancora bisogno di aiuto?”

“No” si affrettò a rispondere quando capì che si riferiva al vestito “Ce la faccio da sola”

Oliver annuì, gli occhi bassi e lo sguardo triste, mentre usciva dalla stanza per lasciarle la sua privacy.

 

 

Vestirsi fu più difficile del previsto.

Quando si lasciò scivolare sul materasso si sentiva distrutta. Infilarsi il pigiama in quelle condizioni era stata l’impresa più ardua che aveva compiuto negli ultimi anni.

Quando realizzò che era distesa sopra le coperte e che doveva infilarsi sotto il caldo piumone le venne da piangere.

Cercò di spostarsi, tirando le coperte e tentando di infilare le gambe al di sotto delle lenzuola, senza riuscirci davvero.

Ogni più piccolo movimento era una fitta di dolore insopportabile.

Una lacrima le rigò il viso, poi una seconda e poi un’altra ancora.

Anche piangere le faceva male, respirare troppo velocemente le provocava scosse dolorose in tutto il petto. Si sentiva uno straccio.

Aveva cercato di osservare il suo corpo il meno possibile ma non poteva non vedere quelle macchie viola sulla pelle, lividi enormi che ricoprivano il petto, il ventre e le sue gambe.

Il suo corpo era deturpato e si sentiva così inadeguata. Sapeva che i lividi sarebbe scomparsi prima o poi ma fino ad allora non sarebbe più riuscita a mostrarsi nuda a qualcuno.

Non senza sentirsi orribile.

Cercò di calmarsi, ricacciando indietro le lacrime.

Si sentiva così impotente. Era frustrante sapere di dover dipendere da qualcuno per fare le cose più semplici e quotidiane.

“Oliver”

 

 

Lui accorse immediatamente quando sentì la voce della donna chiamarlo.

“Felicty, stai bene?” domandò preoccupato.

“Sì. Solo non riesco a …” era umiliante ridursi a chiedere aiuto per farsi rimboccare le coperte.

“Aspetta” disse avvicinandosi.

La sollevò delicatamente, tenendola in braccio mentre armeggiava come meglio riusciva con la coperta.

La stese di nuovo sul letto ricoprendola per non farle prendere freddo.

“Grazie” sussurrò lei.

Oliver le sorrise, intenerito dalla sua dolcezza e dal lieve rossore sulle guance, chiaro segno di imbarazzo per essersi fatta aiutare a mettersi a letto.

La ragazza si girò, cercando una posizione che le facesse sentire meno male possibile ma era piuttosto complicato.

“Ehi” Oliver si piegò sulle ginocchia, per essere all’altezza del materasso “Prova così” la invitò facendola stendere sul fianco destro, le gambe distese e un braccio sotto il cuscino a sostenere il capo.

“Come facevi a sapere che …” Felicity era stupita che lui fosse riuscito a farle trovare una posizione comoda, per sentire meno dolore.

Lui non sapeva se risponderle, aveva paura di far affiorare spiacevoli ricordi: “Il lato destro del tuo corpo … era esposto verso la strada mentre Miller era alla tua sinistra sul marciapiede. È quello che ha subito meno colpi, perciò farà sicuramente meno male ” 

Lei si diede mentalmente della sciocca per non averci pensato.

“Ti lascio riposare” le disse mentre si rimetteva in piedi.

Felicity lo fermò, bloccandolo per il braccio. Non voleva restare sola.

“Aspetta” disse tirandolo a sé “Io …”

“Va tutto bene?” le domandò preoccupato mentre si abbassava nuovamente accanto al letto.

“Sì, è solo che … non penso di riuscire a riposare molto, insomma sono stanca e dolorante ma per quanto il mio corpo abbia bisogno di dormire io …”

“Felicty” lui la bloccò sorridendo, mettendo fine ai suoi lunghi discorsi senza fine “vai al punto”

“Ok, sì. Certo” rispose lei rendendosi conto di aver ricominciato a parlare senza freni “Il fatto è che sono spaventata. Ho paura che quando chiuderò gli occhi mi tornerà in mente Miller o peggio …”

Si bloccò, realizzando ciò che stava per dire.

“Io” concluse lui al suo posto.

“No, Oliver, non intendevo …”

“Non importa” la rassicurò.

“Potresti …” non lo stava chiedendo davvero, non poteva farlo, non doveva perché lei era arrabbiata con lui. Molto arrabbiata. Anzi furiosa e delusa dal suo comportamento. Quello che le aveva fatto era imperdonabile.

“Potresti restare qui, con me?”

Ok, lo aveva detto davvero. Si morse la lingua ma ormai era troppo tardi.

Oliver rimase spiazzato dalla sua richiesta.

“Se la vertigo facesse ancora effetto su di me” si affrettò ad aggiungere lei, sperando di non peggiorare la situazione “tu sei l’unico che riuscirebbe a farmi aprire gli occhi, a destarmi da quell’incubo”

Non sapeva se avesse realmente migliorato qualcosa ma le sembrava che lui quasi sorridesse, e ciò le infondeva sicurezza.

“Ok” le rispose, sedendosi a gambe incrociate sul pavimento, ai piedi del letto.

Oliver si torturò le mani una con l’altra, lasciandole pigramente sulle gambe, lo sguardo basso, in evidente difficoltà.

Era strano vederlo così.

Sembrava indifeso, imbarazzato.

“Oliver Queen timido di fronte ad una donna che chiede di passare la notte con lui?” la sua bocca parlò prima che lei potesse realizzare quello che stava facendo “Non in quel senso!” si affrettò ad aggiungere.

“Non nel senso di … si, insomma … nel senso che di solito si intende per …”

Felicity si maledì: perché non riusciva a tenere chiusa la bocca?

“Ho capito, quello che intendi” rispose Oliver a metà tra il serio e il divertito.

“Sono un totale disastro” commentò mentre si strofinava il viso con le mani, desiderando di scomparire per nascondersi dalla vergogna.

“No. Sei solo …” lui sembrò ragionarci su un attimo prima di continuare “sei Felicity”

Lo disse come se fosse la cosa più ovvia al mondo, senza riuscire a nascondere un mezzo sorriso.

In fondo era la verità e per quanto fosse imbarazzante per lei alle volte, a lui Felicity piaceva così com’era, con tutti i suoi sproloqui inutili ma adorabili.

Rimasero in silenzio, uno di quelli carichi di imbarazzo ed incertezze.

La donna allungò una braccio verso di lui, afferrando le sue mani.

Oliver alzò lo sguardo di scatto, sorpreso da quel gesto, trovando solo il sorriso di Felicity davanti a lui.

Ricambiò la stretta, rendendosi conto di quanto le piccole mani di lei fossero gelide.

“Hai freddo?” le chiese.

“Solo un pochino” disse sincera senza smettere di guardarlo.

Prese entrambe le mani tra le sue, coprendole completamente e trasmettendole un po’ di calore.

Lei chiuse gli occhi, sperando di non rivivere gli incubi di quella sera. Si concentrò solo sul contatto con le mani di Oliver, estremamente gradito e rassicurante.

Caldo e confortevole come i suoi abbracci, piacevole come la sensazione del suo corpo contro il suo.

Aprì gli occhi, consapevole di quello che stava per fare.

“Oliver” lasciò le sue mani e con qualche difficoltà si spostò nel letto, facendogli spazio.

Lui parve non capire. Rimase a fissarla, seduto per terra.

Allungò una mano ma questa volta era troppo distante per riuscire a raggiungere le sue.

Oliver spostò gli occhi sul suo braccio disteso, decidendosi poi ad afferrare le sue dita.

Gli stava davvero chiedendo silenziosamente di sdraiarsi accanto a lei?

Si alzò, non sapendo realmente cosa fare ma i suoi occhi gli diedero coraggio.

Si sedette sul letto e dopo essersi sfilato le scarpe si coricò sul fianco, trovandosi faccia a faccia con lei.

Non sapeva come comportarsi, né dove tenere le mani … era più teso della corda del suo arco appena prima di scagliare una freccia.

Felicity stava combattendo contro le fitte di dolore che quei piccoli movimenti le avevano causato e parve non accorgersi dell’imbarazzo che aleggiava sul viso di Oliver.

Quando il dolore scemò cercò le sue mani.

Le strinse come se fossero la sua ancora di salvezza in mezzo ad un oceano in tempesta.

Fu allora che lo notò. Un piccolo taglio sulle nocche della mano destra dell’uomo.

“Che cosa ti è successo?” gli chiese.

“Ho … fatto a pugni” rispose Oliver con un po’ d’esitazione.

“E con chi? Miller?” non sapeva realmente cosa lui avesse fatto a quel criminale e forse preferiva continuare ad ignorare i dettagli dell’accaduto.

“No, ho preso a pugni …” si sentiva piuttosto ridicolo in quel momento “il muro”

Felicity si stupì: “E che cosa ti ha fatto di male per farti arrabbiare così tanto?”

Riuscì a strappagli un sorriso, nonostante la tensione che c’era tra loro quella sera.

“In realtà nulla. Avevo solo bisogno di sfogarmi”

“Non dovresti maltrattare così le tue mani” disse seria la bionda “sono state loro a salvarmi”

Oliver la guardò, senza capire.

“Sì, insomma” spiegò “è stato grazie a loro che ho capito che non dovevo avere paura, quando ho rischiato di farmi travolgere di nuovo dall’incubo della vertigo, questa notte al covo”

Lui la lasciò concludere il discorso mentre lei giocava con le sue dita, stringendole e accarezzandole, facendole incontrare tra loro per poi allontanarle e ricominciare tutto da capo.

 “Vedevo e sentivo cose che non esistevano davvero ma la loro presa sulle mie mani … quella era reale. E lo capivo. Sentivo che quel contatto mi avrebbe trascinato via dall’oblio, insieme alla tua voce. So che è una cosa stupida e che …”

“No” la fermò lui “non lo è. E se loro potessero aiutarti in qualunque modo, in qualche altra occasione, allora non esitare a stringerle. Saranno sempre accanto a te, ogni volta che ne avrai bisogno”

Felicity sapeva che con lui doveva accontentarsi delle piccole cose, leggere tra le righe, interpretare ogni suo più piccolo gesto.

Sapeva quanto gli fosse difficile aprirsi con gli altri, parlare dei suoi sentimenti e a volte tutto ciò era frustrante.

Ma quelle parole le fecerono tornare il sorriso per un istante: era il suo modo di comunicarle che ci sarebbe sempre stato per lei, che le sarebbe rimasto accanto.

“Grazie” sussurrò.

Lui si stupì di tanta dolcezza, si aspettava una Felicity molto più fredda dopo le parole che si erano urlati contro al covo.

Lei parve capire quello che stava pensando: “Sappi che domani, quando non sarò più così stanca né vulnerabile, quando non sarò più sotto l’effetto della vertigo, sarò molto arrabbiata con te”

Le sue parole lo raggelarono, ma in fondo sapeva di meritarselo.

“Ma non adesso, adesso voglio solo ….” Alzò lo sguardo verso di lui, il viso a poche decine di centimetri dal suo “restare qui, con te”

Oliver percepì il cuore battergli forte nel petto, sentiva ogni parte del suo corpo protendere verso di lei, come se fosse il polo opposto della sua calamita.

Lo attraeva, lo stregava, lo faceva soffrire e gioire come nessuna prima di allora.

Era frustrante volerla con tutto sé stesso ma trattenersi per salvarla, per non trascinarla nella sua oscurità.

Lei brillava, come la più luminosa delle stelle, ma non c’erano astri nel cielo di Oliver.

Solo buio e desolazione e se le avesse permesso di entrare avrebbe potuto affievolire il suo splendore.

Le accarezzò il viso, la gola troppo secca per dirle quello che provava, mentre ogni cellula del suo corpo ardeva come un tizzone, bruciando di passione.

La strinse a sé, una mano dietro la sua nuca per attirare il suo viso più vicino al proprio.

Sentì la mano di Felicity aggrapparsi al suo maglione mentre respiravano l’uno il profumo dell’altra.

Scese con le mani dal suo viso al suo corpo, non sapendo però dove depositarle, troppo intimorito all’idea di farle del male.

“Puoi abbracciarmi, se lo vuoi” la sua voce lo colse di sorpresa, mentre le sue mani erano ancora a mezz’aria, indecise su cosa fare “Non mi rompo come una bambola di porcellana”

“Ho solo paura di farti male” le sussurrò, la voce triste e addolorata.

“Tranquillo. Non sarà peggio del dolore che mi hai già causato” rispose senza riflettere.

Solo dopo si rese conto di quanto la sua voce fosse velenosa e tagliente, ma non se ne pentì.

Tutte le botte che aveva ricevuto erano nulla in confronto al dolore che provava ogni giorno, sapendo che lui l’avrebbe continuamente respinta.

Oliver le cinse i fianchi, attirandola a sé con delicatezza, facendo scontrare i loro corpi, petto contro petto, nessun millimetro a dividerli.

Affondò il viso nei suoi capelli, a fianco del suo collo, sentendo gli occhi farsi lucidi.

Sapere quanto male le aveva fatto lo stava corrodendo lentamente  e per un attimo desiderò essere solo, per potersi lasciar andare ad un pianto liberatorio.

“Fel” la chiamò con un filo di voce “mi dispiace così tanto”

Ma lei non sentì le sue scuse né le lacrime che versò nel buio della stanza, troppo esausta per tenere ancora gli occhi aperti.

 

 

 

Oliver quasi non chiuse occhio quella notte.

Pianse dopo che Felcity si fu addormentata tra le sue braccia, mentre si aggrappava al suo corpo come se fosse l’unico appiglio che lo ancorava alla realtà, impedendogli di affogare in quel mare tempestoso che erano le sue emozioni.

Cullava la ragazza ogni volta che si agitava nel sonno per evitare che si destasse, ma gli incubi e il dolore la scuotevano a tal punto che spesso si svegliava di soprassalto, gli occhi sbarrati dalla paura e la fronte imperlata di sudore.

Oliver la abbracciava, sussurrandole parole dolci, fino a quando sprofondava nuovamente nel sonno, stringendo la presa sul suo maglioncino.

Erano ormai le otto del mattino quando Felicity scattò a sedere nel letto, l’ennesimo incubo che le inondava la testa.

Il dolore che provò a causa del brusco movimento le spezzò il fiato, mentre le lacrime le offuscavano la vista. Ogni suo muscolo urlava, bruciando per il male che si espandeva velocemente in tutto il corpo.

“Felicity” lui la chiamò, sorreggendole la schiena “tranquilla, ora passa tutto”

Cercò di rassicurala ma il suo respiro irregolare non si calmava, provocandole tremori che la facevano stare ancora più male.

“Ascoltami, Fel” cercò di attirare la sua attenzione, ricevendo come risposta solo i suoi lamenti strozzati.

 “Inspira” le disse prendendole le mani con cui si riparava il ventre, come se questo l’aiutasse a stare meglio “Espira”

La ragazza impiegò qualche istante prima di reagire ma alla fine iniziò a prendere lunghi respiri.

“Brava, così” la incitò spostando le mani di lei ai lati delle sue gambe, coperte dal pigiama blu a paperelle.

Lei chiuse gli occhi mentre si concentrava solo sul suo respiro, lento e regolare.

“Continua” le disse mentre si sedeva dietro la donna, le gambe divaricate che circondavano le sue. “Ora lasciati andare piano piano” la aiutò a coricarsi, tenendole le mani “appoggiati a me, con calma”

Felicity si lasciò trasportare dalla sua voce soave e rassicurante eseguendo quello che lui le diceva.

Lasciò scendere la schiena, limitando il più possibile i movimenti, fino a quando sentì il petto di Oliver sotto di sé, a sostenerla.

L’uomo era seduto contro la testiera del letto, con Felicity accoccolata tra le gambe, il petto contro la sua schiena, il capo posato sulla sua spalla.

Lui continuò a spronarla a respirare profondamente fino a quando le fitte nei suoi muscoli diminuirono.

La tenne stretta a sé, asciugando le lacrime che le solcavano il viso con le dita, rompendo per un attimo il contatto tra le loro mani.

“Va meglio?” le chiese quando la sentì rilassarsi completamente contro il suo corpo.

Lei annuì, cercando di ritrovare la calma che aveva perso.

Sentiva dolore dappertutto ma almeno ora non c’erano più le fitte che le stritolavano i muscoli, impedendole di respirare.

“Sono le otto. Puoi prendere degli altri antidolorifici se vuoi” le comunicò Oliver “così riuscirai a dormire serenamente”

Per Felicity quella fu una delle migliori proposte che le erano state fatte fino ad allora.

Oliver allungò il braccio verso il comodino dove qualche ora prima aveva messo un bicchiere d’acqua e le pastiglie per la bionda.

Lei ingoiò i farmaci dopo esseri faticosamente tirata a sedere per riuscire a bere.

Poi tornò a sdraiarsi su Oliver che l’aspettava per un altro caldo abbraccio.

Si sentiva un po’ stordita e stanca ma le possenti braccia dell’uomo le davano sicurezza, così come il suo petto che si alzava e si abbassava respirando e il suo cuore che batteva ritmicamente proprio sotto la spalla di Felicity.

Oliver tirò su il piumone, coprendo entrambi.

Il calore sprigionato dalle coperte e dai loro corpi vicini fece addormentare Felicity in pochi minuti, insieme al movimento lento e rilassante delle mani di Oliver su è giù sulle sue braccia.

L’uomo sospirò: averla così vicino lo stava facendo impazzire a poco a poco, soprattutto quando lei si muoveva involontariamente nel sonno, strusciando il suo corpo sul suo e scatenandogli brividi di piacere.

Ad ogni respiro sentiva solo il suo profumo, dolce ma al tempo stesso intenso e pungente, mentre i suoi capelli gli solleticavano la pelle del collo in una dolce tortura.

Restò in silenzio ad osservarla mentre il sole del mattino faceva prepotentemente capolino dalle finestre, accarezzando con i suoi raggi dorati il volto della sua Felicity.

Fissò i suoi lineamenti dolci, studiando attentamente ogni più piccola sfumatura del suo viso, sfiorando la sua pelle con la punta delle dita.

Lei dormiva profondamente, forse aiutata dai farmaci che avrebbe iniziato a fare effetto da lì a poco, mentre lui non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

Felicity sbuffò lievemente mentre si risistemava meglio sul suo petto: la testa ciondolante finì per trovare posto nell’incavo del suo collo mentre un ciuffo di capelli biondi le ricadde sul viso.

Lo spostò delicatamente dietro l’orecchio godendo appieno quei momenti, consapevole che forse non li avrebbe mai più rivissuti.

Doveva parlarle, chiarire, chiederle scusa. Ma non sapeva come lei avrebbe reagito e questo lo spaventava a morte.

Avrebbe voluto preparasi un discorso per quando lei si sarebbe svegliata ma la stanchezza prevalse su di lui. E mentre i suoi occhi si chiudevano riusciva solo a pensare a quanto sarebbe stata più bella la sua vita se ogni giorno avesse potuto addormentarsi così.  

 

 

 

Quando Oliver Queen riaprì gli occhi era quasi passato mezzogiorno.

Felicity continuava dormire beata fra le sue braccia, nonostante la luce accecante che inondava la stanza.

Sentiva ogni parte del corpo intorpidita, probabilmente a causa della posizione poco ergonomica in cui aveva dormito.

Aveva bisogno di alzarsi e sgranchire i muscoli ma uscire da quel groviglio di braccia e lenzuola era più complicato di quanto sembrasse.

Notò che le sue gambe erano intrecciate a quelle di Felicity, le sue braccia la cingevano in un abbraccio sotto le coperte e i lori visi erano così vicini da fargli battere forte il cuore.

Era meglio liberarsi da quella posizione prima che lei si svegliasse, ma appena cercò di spostarsi Felicity si mosse su di lui, confabulando parole insensate al suo orecchio.

Si fermò cercando di pensare a come uscire dal letto ma lei continuò a spostarsi, strusciandosi sul suo petto e sfiorando inavvertitamente le parti più sensibili di lui.

Non poteva permettersi di eccitarsi al contatto del corpo di Felicity, non mentre lei rischiava di svegliarsi da un momento all’altro.

La ragazza sbatté più volte le palpebre, destata dalla luce del sole sul viso ma soprattutto dai movimenti che sentiva sotto di sé.

Percepiva un corpo solido e caldo a contatto con la sua schiena, incredibilmente vicino ed invitante.

Per un attimo non capì quello che stava succedendo ma poi iniziò a ricordare di come Oliver l’aveva cullata tra le sue braccia, sussurrandole parole dolci, e di come si era offerto di farle da cuscino umano.

Si voltò in cerca del suo viso, senza ricordare quanto male le facesse ogni più piccolo movimento.

Strinse i denti e si morse le labbra per resistere alle fitte che le si propagavano nel petto, meno dolorose però di quelle che aveva provato durante tutta la notte.

Era solo merito dei farmaci se era riuscita ad evitare di urlare per il dolore e gliene fu estremamente grata.

Trovò gli occhi azzurri di Oliver ad osservarla, a pochi centimetri da lei e un piccolo sorriso sul suo volto.

“Ehi” le disse quando incrociò il suo sguardo “Scusami, non volevo svegliarti”

“Non importa” rispose mentre uno sbadiglio sfuggiva al suo controllo.

“Come ti senti? Hai dormito bene?”

“Un po’ affaticata” rispose sinceramente “ma si dorme fantasticamente su di te”

Solo quando lui sorrise divertito lei si rese conto di quello che aveva detto. Non sapeva se le sue parole erano fraintendibili ma di certo non erano le più adatte per esprimere i suoi pensieri.

“Vado a prepararti la colazione” le disse “hai bisogno di mangiare qualcosa”

Felicity non si oppose ma quando Oliver scivolò lontano da lei sentì la mancanza del suo corpo caldo affianco al suo.

Si rintanò sotto il piumone coprendosi fin quasi al naso, le gambe rannicchiate per scaldarsi e le mani sotto il cuscino.

Cuscino che sapeva di lui, del suo profumo inconfondibile.

Aspettò con impazienza che lui tornasse mentre sentiva il dolce aroma di caffè provenire dalla cucina, attivando il suo stomaco che brontolò per un appetito che non credeva di avere. 

Dopo quasi dieci minuti Oliver tornò in camera, un vassoio stretto tra le mani, i lineamenti del viso incredibilmente tesi e un velo di paura nei suoi occhi.

Paura che Felicity non ricordava di aver mai visto nel suo sguardo se non in rarissime occasioni, ma pur sempre mescolata a determinazione, rabbia ed adrenalina.

Vederlo così quasi la spaventò, non sapendo cosa aspettarsi.

Oliver si fece coraggio entrando a grandi passi nella stanza e posando il vassoio sul letto, accanto alla donna.

La aiutò a mettersi seduta, in una posizione abbastanza comoda per poter mangiare.

Evitò il suo sguardo, intimorito ed imbarazzato.

Sapeva di volerle parlare ma non sapeva da che parte iniziare, né quali parole scegliere per dirle ciò che provava.

Felicity rimase in silenzio mentre afferrava la tazza fumante di caffè, appoggiata vicino ai biscotti al cioccolato che custodiva gelosamente nella dispensa, per le volte in cui si sentiva triste e aveva bisogno di tirarsi sul il morale.

Solo quando bevve il primo sorso notò che c’era un piccolo biglietto, due sole parole scritte al di sopra. Era chiaramente la calligrafia di Oliver, chiara e leggibile.

Lo afferrò ma prima che potesse leggerlo la mano di lui si posò sulla sua, impedendole di vedere quanto riportato su quel piccolo foglio.

“Forse è meglio se non lo leggi …” le disse imbarazzato “… è ridicolo”

“E perché lo avresti scritto se è ridicolo?” gli domandò cercando i suoi occhi.

“Perché avevo paura di non riuscire a dirtelo di persona”

“Allora facciamo così” propose lei, curiosa di sapere in realtà che cosa ci fosse scritto “dimmelo ora, di persona. Fino ad allora io non lo leggerò”

Prese il foglietto e senza degnarlo di uno sguardo lo seppellì sotto le coperte, attendendo una reazione da parte dell’uomo.

Oliver le si avvicinò cercando dentro di sé tutto il coraggio di cui era a disposizione.

Era soltanto un discorso. Una serie di parole messe in fila fino a comporre qualche frase di senso compiuto, non certo la fine del mondo.

Allora perché era così agitato? Perché gli sembrava più facile partire per un nuovo duello contro Ra’s Al Ghul piuttosto che dirle quanto lei fosse importante per lui?

Prese la tazza dalle mani di Felicity e la posò sul vassoio mentre si schiariva la voce per parlare.

Doveva essere sincero quella volta, fino in fondo.

Lei rimaneva lì, immobile, in attesa.

 “Mi dispiace” iniziò titubante mentre cercava le mani di Felicity e le stringeva tra le sue.

“Per cosa?”

“Per tutto quello che ti ho fatto, per quello che ti ho detto, per Miller”

Non poteva credere che Oliver si addossasse sempre tutte le colpe, anche quelle che non erano sue.

“Miller non è stata colpa tua” gli disse guardandolo negli occhi.

“Forse non lui ma quello che ha scatenato in te sì” le rispose “quello che hai visto è solo per colpa mia. Se non ti avessi ferito dopo il nostro appuntamento, se non ti avessi fatto così male, tu non avresti paura di me”

“Io non ho paura di te” ribadì.

Oliver non le avrebbe mai fatto paura: l’avrebbe fatta infuriare, gioire, piangere, disperare.

Aveva il potere di scombussolarla, di mettere in subbuglio tutta la sua vita ma mai e poi mai avrebbe avuto paura dell’uomo che amava con tutta sé stessa.

“Sì invece. Sei terrorizzata. Sono diventato la tua paura più grande e non riesco neanche a dirti quanto mi dispiace. Quanto faccia male sapere di averti causato tutto questo”

Felicity fece per parlare ma lui la bloccò: “Vederti stesa su quel marciapiede e poi svenuta sul tavolo del covo mi ha fatto capire quanto tu sia essenziale per me.

E ho realizzato che non posso più vivere senza di te, Felicity. Ma al tempo stesso non riesco neanche a vivere con te perché sono spaventato a morte.

La verità è che ho paura.

Paura che possa non funzionare tra noi ma anche che possa andare tutto a meraviglia”

“Questo non ha senso” lo interruppe lei, emozionata ma al tempo stessa impaurita per la piega che quel discorso stava prendendo.

Oliver sapeva essere imprevedibile e lei non avrebbe potuto dire come si sarebbe conclusa quella discussione, poteva soltanto sperare che li avvicinasse e che non li avrebbe mai più fatti allontanare.

“Ogni volta che esco per andare in missione so che potrebbe essere l’ultima, ma questo non mi ha mai fermato. Non avevo paura di morire fino a qualche mese fa perché non avevo nulla da perdere, nulla per cui valesse la pena vivere davvero. Ma ora …. ho te. E sei il motivo più valido che io abbia mai avuto per tornare a casa sano e salvo, per poter vedere di nuovo il tuo sorriso”

Si stava aprendo con lei come mai prima, voleva essere sincero, voleva davvero che capisse quanto fosse importante per lui.

Felicity non sapeva che cosa dire, troppo stordita da tutto quello che stava succedendo per riflettere lucidamente.

“Ho il terrore di metterti in pericolo, di perderti, ma voglio impegnarmi davvero. Voglio più di quello che abbiamo, voglio starti accanto, creare qualcosa di importante.

Ho deciso che voglio essere felice e posso esserlo solo con te”

Felicty lo guardò negli occhi, leggendo l’amore e la paura nel suo sguardo.

Aveva voglia di piangere. Non poteva credere che tutto questo stesse succedendo davvero.

Strinse più forte le sue mani, beandosi di quel contatto così piacevole.

“Non posso garantirti nulla e avrò bisogno del tuo aiuto per superare la paura che ho di metterti in pericolo con le mie missioni. Non sarà facile perché sono maledettamente testardo” lei sorrise sentendolo parlare così di sé stesso “ma Felicity, se lo vuoi ancora, voglio stare con te. Voglio svegliarmi al tuo fianco la mattina, coccolarti fino a tardi la sera e vivere la mia vita insieme a te”

Questa volta pianse e non si vergognò di farlo davanti a lui.

Era quasi sicura che anche lui si stesse commuovendo.

Le sorrise, quel sorriso che la faceva scogliere ogni volta, mentre le dita di Oliver le accarezzavano le guance asciugandole le lacrime.

“Felicity” la chiamò.

“Sì?”

“Puoi leggere il biglietto ora”

Prima che lei riuscisse a trovarlo il campanello suonò.

Oliver rimase un secondo interdetto poi si decise ad andare ad aprire.

E mentre si ritrovava il suo incubo sulla soglia di casa Smoak, Felicity stringeva emozionata un piccolo pezzo di carta tra le mani.

Il suo cuore parve fermarsi un attimo per poi battere come un tamburo impazzito contro le sue costole doloranti.

Ti amo, c’era scritto.

E lei non aveva bisogno di sapere altro.

Note: Stiamo giungendo alla fine di questa storia, molto probabilmente il prosimo capitolo sarà l'ultimo.
Volevo ringraziare tutti per aver letto questi capitoli e per le bellissime recensioni che mi avete lasciato, non immaginate quanto mi faccia piacere!
Grazie davvero, ad ognuno di voi.
Al prossimo e ultimo aggiornamento ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La sua felicità sei tu ***


Never again

La sua felicità sei tu

Quando Oliver aprì la porta di casa Smoak si trovò di fronte l'unica persona che sperava di non incontrare.

"É un piacere rivederla signor Queen"

Anche la sua voce fintamente simpatica e il suo sorriso sicuro di sé non facevano altro che aumentare l'astio che Oliver provava per lui.

"Palmer" cercò di essere il più cordiale possibile ma fu più difficile del previsto.

Strinse i pugni lungo i fianchi mentre Ray si faceva spazio per entrare nell'abitazione: "Sono venuto per vedere come sta Felicity"

"Immagino" rispose lasciandolo passare mentre richiudeva la porta.

Palmer stringeva un grande mazzo di fiori tra le mani, sicuramente come augurio di buona guarigione per Felicity, mentre si dirigeva a grandi passi verso la camera della donna.

"Felicity" la chiamò Oliver poco prima che Ray facesse irruzione nella stanza "c'è una persona per te"

La donna nascose velocemente il biglietto sotto il cuscino prima che il suo capo lo notasse.

"Ray! Che cosa ci fai qui?" chiese stupita di vederlo mentre Oliver li lasciava parlare da soli.

Non avrebbe voluto andarsene ma non poteva di certo restare a fissarli per tutto il tempo. Si rintanò in cucina senza però resistere alla tentazione di ascoltare la loro conversazione.

In fondo non era colpa sua: la porta della camera era aperta e loro parlavano a voce alta.

"Sono venuto a vedere come stavi" spiegò l'uomo porgendo alla donna il mazzo di fiori.

"Grazie. Sono molto belli" ringraziò posandoli sul comodino "non dovevi disturbarti"

"Allora come ti senti?"

"Un po' stanca e ammaccata, ma bene. Sicuramente molto meglio di ieri sera"

"Questa si che é una bella notizia!" le disse senza smettere di sorridere "E ne ho una anche io per te"

Felicity rimase in silenzio, aspettando che lui si spiegasse.

"Questa mattina all'alba mi é venuta un'idea geniale!" iniziò entusiasta "Un'illuminazione che porterà grandi sviluppi per ATOM"

Il suo tono di voce si abbassò progressivamente arrivando solo più a sussurrare l'ultima parola, come se non volesse che orecchie indiscrete sentissero quanto stava dicendo.

Si sedette sul materasso, accanto alla donna, avvicinandosi sempre di più.

"É fantastico!" Felicity era contenta per lui, anche se non sapeva ancora se quel piano fosse una brillante idea o una missione suicida.

"Però ho bisogno del tuo aiuto per sistemare un po' di cose" aggiunse subito dopo "quando ti sarai rimessa ovviamente"

"D'accordo" gli rispose. Sapeva che gli doveva il suo aiuto, in fondo glielo aveva promesso.

"Senti" iniziò lui facendosi improvvisamente serio, mentre il suo sguardo veniva attirato dal vassoio adagiato sulle coperte "come mai Oliver é ancora qui?"

Felicity rimase un po' spiazzata dalla domanda ed esitò prima di rispondere.

"Non potevo restare sola dopo le allucinazioni così Oliver é rimasto ad aiutarmi nel caso ne avessi avuto bisogno" spiegò senza realmente comprendere il motivo di quella domanda.

"E va tutto bene?"

"Che cosa intendi?"

"Ieri sera urlavi contro di lui subito dopo l'aggressione, non volevi che si avvicinasse a te e ora gli permetti di restare a casa tua?"

"Era colpa della vertigo, credevo fosse chiaro. Io mi fido ciecamente di Oliver" gli rispose sostenendo il suo sguardo.

"D'accordo. Ma se ci fosse qualsiasi tipo di problema non esitare a chiamarmi, ok?"

"Ok" Felcity iniziò a preoccuparsi per quel comportamento così strano ma ora aveva ben altro a cui pensare "Devo dirti anche io una cosa, molto importante in realtà"

"Certo" Palmer era curioso di sapere di cosa si trattasse.

"Riguarda Oliver" iniziò lei guardando l’uomo negli occhi, per assicurarsi di avere tutta la sua attenzione "Nessuno deve venire a sapere chi é realmente. Quello che tu hai scoperto, tutto ciò che sai su Arrow, il covo, il suo team, ogni cosa deve restare segreta. É di fondamentale importanza. Non puoi dirlo a nessuno, per alcun motivo"

"Neanche se venissi arrestato dalla polizia e mi obbligassero a confessare?" chiese accennando un sorriso sfrontato.

"Neanche in quel caso, Ray. Dobbiamo poterci fidare di te o correremo tutti dei seri rischi"

"Ok" gli rispose "non dirò niente a nessuno"

"Promettimelo"

"Te lo prometto. Ma solo perché me lo chiedi tu" Ray posò una mano su quelle di Felicity, accarezzandole lievemente.

"Non dovresti farlo per me" mise fine a quel contatto tra le loro mani "dovresti farlo per la città, per la sua sicurezza, per proteggere le persone che traggono vantaggio dall'operato di Arrow"

Ray sospirò senza rispondere.

"Gli ideali che ti spingono a fare quello che fai, a lavorare sui tuoi progetti, non sono poi così diversi da quelli hanno spinto Oliver a diventare l'eroe che é ora" continuò cercando di convincerlo.

"Oliver non é un eroe" rispose lui "é soltanto un assassino che si camuffa da eroe"

"Che cosa?" Felicity non poteva credere a quelle parole “Questo non è vero!”

“Davvero? E allora perché Miller è stato ritrovato morto con tre frecce nel petto?” lo sguardo di sfida di Ray la trapassò come la lama di una spada “Non è così che si comportano gli eroi”

Felicity non rispose: non sapeva cosa Oliver avesse fatto a Miller ma le sue paure erano fondate.

Aveva ucciso ancora.

Ed era solo colpa sua.

Lei era quella che si metteva nei guai, lei era quella che lo costringeva a fare tutto ciò che lui si era promesso di non rifare.

“L’ha fatto solo per proteggermi!” disse mentre si sentiva in colpa per quanto successo.

“Adesso lo difendi anche?” la voce di Palmer risuonò velenosa nelle orecchie della ragazza .

“Lui non è un assassino” scandì bene le parole affinché lui capisse.

“È molto triste che ciò che provi per lui ti offuschi a tal punto da non vedere quello che è realmente” si alzò dal letto mentre continuava a parlare “Forse sei ancora sotto effetto della vertigo. Quando sarai di nuovo lucida probabilmente capirai”

Lei non fece in tempo a replicare che Ray stava già uscendo dalla stanza.

Oliver lo accompagnò volentieri alla porta, richiudendola dietro di sé con soddisfazione.

Aveva sentito buona parte della conversazione tranne qualche frase che Palmer aveva appositamente sussurrato in modo che lui non capisse.

Si avvicinò a grandi passi alla camera di Felicity trovando la bionda seduta sul letto, lo sguardo confuso e velato di tristezza.

Quando lei si accorse della sua presenza alzò lo sguardo nella sua direzione. “Quanto hai sentito del bel discorso di Ray?” domandò.

“Buona parte” rispose lui mentre si staccava dallo stipite della porta a cui si era poggiato.

“Mi dispiace” gli disse mentre l’uomo si sedeva sul materasso “è colpa mia se hai fatto quello che hai fatto”

“Ho ucciso una persona, Felicity” ribatté deciso mentre stringeva i denti e contraeva la mascella “e questo mi rende esattamente la persona che Palmer descrive”

“Questo non è vero!”la ragazza strinse le mani dell’uomo mentre lo guardava negli occhi “Mi hai soltanto protetta e se io non mi fossi messa in questo pasticcio tu non saresti dovuto arrivare a tanto”

“Avrei potuto fermarlo in mille altri modi, ferirlo, atterrarlo, invece l’ho ucciso. Sapevo quello che stavo facendo ma non sono riuscito a fermarmi, ho lasciato che fosse la rabbia a guidarmi e questo non mi rende un eroe. Non mi rende migliore di nessun altro uomo, solo un criminale, esattamente come Miller”

“No” Felicity si avvicinò a lui, prendendogli il viso tra le mani “C’è luce dentro di te, Oliver. Tu aiuti le persone, proteggi chi ne ha bisogno, rendi questa città un posto migliore. Starling è tornata a sorridere, anche dopo tutte le tragedie che l’hanno colpita, e lo ha fatto grazie a te. Tu non sei un assassino. Sei un eroe. E io crederò sempre in te”

L’intensità  dello sguardo di Felicity lo ammaliò mentre si protendeva verso di lei, stregato da quella scintilla di luce che brillava nei suoi occhi chiari.

“Sei umano, Oliver” la voce della donna si affievoliva a mano a mano che i loro visi si avvicinavano “e come tale soffri, provi paura, dolore, rabbia e a volte sbagli, ma ogni azione che compi la fai con le migliori intenzioni. E ami, con tutto te stesso. Ami questa vita, la tua famiglia, questa città. E lo dimostri ogni giorno come Oliver Queen e come Arrow”

Oliver rimase colpito da quel discorso, mentre ogni parola arrivava dritta al cuore facendolo emozionare.

“C’è qualcosa” sussurrò lui mentre i centimetri tra loro si accorciavano “che amo più di questa città”

“Che cosa?” domandò Felicity, la voce ridotta ad un flebile sospiro, mentre il cuore le batteva forte nel petto.

“Tu”

Le labbra di Oliver sulle sue gli impedirono di rispondere. Chiuse gli occhi e si godette quel contatto tanto a lungo desiderato.

Fu un bacio diverso da tutti gli altri: lento ma carico di significato, un tocco leggero ma denso del loro amore. Quell’amore delicato come i petali di un fiore appena sbocciato, ma forte come una roccia, per non lasciarsi scalfire dal resto del mondo.

Lo tirò a sé, allacciando le braccia intorno al suo collo, mentre le mani di lui scivolavano lente sui suoi fianchi.

Felicity schiuse le labbra assaporandolo più a fondo, senza riuscire a saziare la voglia che aveva di lui in ogni cellula del suo corpo.

Si aggrappò al suo fisico statuario mentre sentiva il fiato mancarle, a tal punto da obbligarli a staccarsi.

Sorrisero entrambi, consapevoli che tutto sarebbe cambiato da quel momento in poi.

Felicity sapeva che non sarebbe scappato quella volta, che l’avrebbe trovato lì ad aspettarla, pronto a combattere per loro.

Era la loro occasione di essere felici e non l’avrebbero sprecata.

Mentre il petto si alzava e si abbassava freneticamente in cerca d’ossigeno, lei respirava il suo profumo, godeva delle sua bocca sul proprio collo e della scia di baci umidi che lasciava dietro di sé.

E mentre si rimpossessava ancora una volta delle sue labbra, si innamorava di lui un po’ di più.

 

 

Due settimane dopo

Felicity era comodamente seduta sulla sua poltrona del covo, le gambe accavallate coperte solo in parte dal vestito arancio fluo che indossava quella sera, lo sguardo perso verso l’alto.

Non riusciva a concentrarsi quando lui faceva i suoi esercizi sulla salmon ladder, non mentre si ritrovava il petto nudo di Oliver a qualche metro di distanza, non quando osservava ogni suo muscolo distendersi e contrarsi durante gli sforzi fisici.

Non c’era molto da fare quella sera: sembrava che tutti i criminali di Starling City si fossero presi un giorno di ferie dal loro faticoso lavoro.

“Meglio così” si ritrovava a pensare Felicty. Non sarebbe mai riuscita a concentrarsi quella notte.

In più poteva godersi lo spettacolo offerto dai pettorali di Oliver.

Arrossì mentre alcune fantasie prendevano forma nella sua testa e cercò di smettere di pensarci, per evitare di venire scoperta dagli altri membri del team. O peggio lasciarsi scappare qualche commento imbarazzante, che nessuno avrebbe capito, a voce alta.

Erano passate quasi due settimane da quando era stata aggredita da Miller, poco più di una da quando aveva ripreso a trascorrere saltuariamente le serate nell’Arrow Cave, mentre mancavano ancora ventiquattro ore al suo ufficiale rientro alla Palmer Technologies.

Oliver l’aveva aiutata molto ad ammazzare il tempo durante le noiose giornate di mutua, passate in casa.

Ormai si sentiva bene: i muscoli avevano smesso a poco a poco di farle male, i lividi stavano lentamente scomparendo dalla sua pelle e lei trascorreva le sue giornate in compagnia dell’eroe di Starling City. Non c’era nulla che potesse desiderare di più.

Oliver si lasciò cadere dalla salmon ladder, atterrando in piedi con un leggero tonfo che la distolse dai suoi pensieri.

Lo vide muoversi alla ricerca del suo fidato asciugamano, per togliere il sudore che ricopriva la sua pelle in migliaia di piccole goccioline.

Avevano tentato di nascondere la loro relazione per i primi giorni a Roy e Diggle ma senza riuscirci. Quei due avevano capito subito che qualcosa era cambiato; in fondo nulla sfuggiva all’occhio attento di John, che non aveva perso occasione per dimostrare quanto fosse felice per loro.

Da quando Oliver aveva deciso di concedere loro un’opportunità, ogni cosa era mutata: non riuscivano a starsi lontano, ogni loro contatto elettrizzava entrambi, il più piccolo dei gesti assumeva significato, i loro sguardi si cercavano, le loro mani si univano quando pensavano di non essere visti.

“Felicity” Oliver la chiamò ma lei era troppo distratta per poter sentire i suoi richiami.

Solo quando le fu vicino e le sfiorò un braccio con le dita, chiamandola ancora, lei si destò dalle sue riflessioni.

“Scusami, ero distratta” gli disse guardandolo da dietro le lenti dei suoi occhiali.

“Vado a farmi una doccia, poi ti accompagno a casa” le comunicò “non c’è molto da fare qui, quindi direi che ci meritiamo tutti un po’ di riposo”

Diggle esultò alla proposta dell’amico: avrebbe avuto un po’ di tempo da trascorre con la piccola Sarah e Lyla.

Anche Roy fu felice, salendo al piano di sopra per aiutare Thea a gestire la serata del club.

Rimasero solo lui e Felicity al covo, a guardarsi negli occhi per qualche istante.

“Felicity, va tutto bene?”

“Sì, certo” rispose alzandosi dalla poltrona, arrivando a pochi passi da lui “Stavo solo pensando che potremmo … approfittare anche noi della serata libera”

Si avvicinò a lui, appoggiando i palmi contro il suo petto.

“Approfittarne in che senso?” domandò, la voce roca per l’improvvisa vicinanza del corpo della donna al suo.

“Sai bene in che senso” sussurrò sulle sue labbra, rubandogli un bacio.

“Felicity …” posò le mani sui suoi fianchi tenendola saldamente vicino a sé “ne abbiamo già parlato”

“Lo so!” controbatté lei un po’ irritata “Devo evitare tutti gli sforzi e i movimenti bruschi, ma Oliver … sto bene!”

Lui sorrise, divertito dalla sua testardaggine: “Continui a dirlo dal terzo giorno di convalescenza, anche se ti faceva male il più piccolo dei movimenti”

Lei sbuffò senza però riuscire a nascondere un piccolo sorriso sul viso.

Adorava la dolcezza di Oliver che stava scoprendo in quei giorni. Lui, l’inflessibile Arrow che in realtà aveva un cuore gentile e dolce sotto il suo costume.

Le era rimasto accanto, aiutandola ad affrontare ogni più piccola difficoltà durante quelle settimane, coccolandola quando stava male e cullandola fino a farla addormentare quando gli incubi sembravano non aver intenzione di lasciarla riposare.

“Potremmo avere meno tempo per noi in futuro” cercò di convincerlo guardandolo negli occhi “Riprenderò a lavorare, la sera verrò qui ad aiutarti a combattere i cattivi, la notte avremo bisogno di dormire”

“A proposito di questo” Oliver interruppe il suo discorso “devi proprio tornare al lavoro così presto?”

“Sono in mutua da due settimane … ho bisogno di tornare alla mia vita normale. E tu ancora non mi paghi per lavorare nel team perciò sì, devo tornare in azienda”

“Ma dopo quello che è successo con …” anche solo pronunciare il suo nome lo infastidiva.

“Ray?” gli chiese “Capirà. Insomma il suo discorso ha spiazzato anche me ma è una persona intelligente. Probabilmente già sa di aver sbagliato”

“Non è solo questo. È che …” Oliver non sapeva come dirglielo, suonava ridicolo già alle sue orecchie figuriamoci a quelle di qualcun altro.

“Non ci posso credere” disse mentre realizzava quello che lui tentava di dirle “Tu sei geloso!”

“Non è vero” rispose lui, ma la poca convinzione nella sua voce non avrebbe convinto nessuno “D’accordo, forse un po’”

Felicity rise mentre si avvicinava di nuovo al suo viso.

“Non ce n’è alcun motivo” lo rassicurò.

Questa volta fu lui a baciarla, cingendole la schiena con le braccia.

“Faresti bene a non cambiare discorso così in fretta, signor Queen” lo avvisò lei con il sorriso sulle labbra “Non mi hai ancora risposto”

Oliver rimase a guardarla, in tutta la sua bellezza.

La desiderava con tutto sé stesso ma voleva che fosse davvero guarita, non voleva vederla star male solo perché non riusciva ad attendere un altro paio di giorni.

“Sto benone” gli ripeté come se conoscesse perfettamente i suoi pensieri “e lo voglio con tutta me stessa”

Si era fatta incredibilmente seria e il suo sorriso era stato sostituito da un’espressione concentrata.

Fece scontrare il profilo dei loro nasi mentre scrutava con attenzione i suoi occhi.

Oliver la fissò, sorprendendosi ad ogni istante di più della sua determinazione.

Sapeva come ottenere ciò che voleva e non avrebbe ceduto fino a che non l’avrebbe avuta vinta.

“Voglio fare l’amore con te, questa notte” sussurrò al suo orecchio, solleticandolo con il suo respiro caldo “ho voglia di te”

Sentì immediatamente l’effetto che le sue parole avevano avuto su di lui, poteva percepire chiaramente quanto anche lui la desiderasse, quanto il suo corpo avesse risposto bene ai suoi stimoli.

Tutto accadde così velocemente che Felicity neanche se ne rese conto: solo quando sentì il muro dietro la sua schiena realizzò che Oliver l’aveva spinta verso la parete, prendendole il viso tra le mani e impossessandosi voracemente della sua bocca.

Ansimò, mentre sentiva il desiderio bruciarle nelle vene, che aumentava ad ogni piccolo morso lasciato da Oliver sulla pelle sensibile del suo collo.

Si staccò d’improvviso lasciandole un bacio lieve sulle labbra prima di allontanarsi un poco: “Devo andare a farmi una doccia” le comunicò come se fosse la cosa più normale da dire in un momento come quello.

Sentì il suo corpo scivolare lontano dal suo mentre tentava di tornare a respirare normalmente.

Lo bloccò per un braccio, prima che potesse fuggire nel piccolo bagno del covo.

“Non puoi lasciarmi così” riuscì a dirgli mentre tentava di regolarizzare il battito del suo cuore.

“Così come?” chiese con un ghigno soddisfatto sul viso.

Felicity sbuffò sonoramente. Odiava quel suo maledetto sorriso, così irritante ma al tempo stesso così attraente ed irresistibile.

“Insoddisfatta” gli disse mentre combatteva la voglia di baciargli ancora le labbra.

“Felicity” la chiamò lui prendendole la mano “Ho davvero bisogno di una doccia. Ma sarò tutto tuo il più presto possibile”

Sorrise con dolcezza mentre lei lo minacciava scherzosamente: “Sbrigati!” lo ammonì mentre sfiorava leggera la sua bocca con la propria “Ti aspetto qui”

Lo vide voltarsi e attese che sparisse dietro la porta prima di sospirare.

L’avrebbe uccisa con quel suo modo di fare, prima o poi.

Preparò la borsa, infilando tutto ciò che aveva sparso sulla scrivania durante la serata mentre sentiva l’acqua scorrere nella doccia.

Prese i due caschi per la moto, posandoli sul tavolo in metallo accanto alla sua borsa, afferrò il cappotto e lo infilò con un movimento rapido.

Lo chiuse, spingendo ogni bottone nella sua asola con lentezza, per far passare il tempo.

Quando fu pronta iniziò a camminare nervosamente avanti indietro per il covo, i tacchi che si risuonavano nell’aria silenziosa del seminterrato.

 

 

Oliver uscì dalla doccia, rivestendosi il più in fretta possibile.

Non riusciva a smettere di sorridere, desideroso di raggiungere Felicity che lo aspettava nell’altra stanza.

Sapeva che averla accanto sarebbe stato meraviglioso ma mai avrebbe potuto immaginare quanto lo avrebbe fatto sentire bene, in pace con sé stesso.

Le ultime due settimane erano state le più belle da quanto era tornato a Starling dopo l’esperienza sull’isola.

Aprì la porta, cercando di fare meno rumore possibile, e la trovò di spalle, il fisico snello avvolto in uno dei suoi amati abiti corti, le gambe scoperte e le scarpe a tacco alto che slanciavano la sua figura.

Con un movimento rapido Felicity infilò il cappotto nero e lo abbottonò con cura mentre la sua solita coda lunga e bionda oscillava pigramente ad ogni suo movimento, oscurando parzialmente la vista del collo roseo e delicato.

Oliver si avvicinò lentamente, raggiungendola in pochi passi mentre ancora gli dava le spalle.

Le circondò un fianco con un braccio, la mano posata sul suo ventre, mentre la attirava a sé facendo aderire la sua schiena al suo petto, avvertendo il suo profumo delicato riempirgli le narici.

 “Oliver” lo chiamò, colta di sorpresa “mi hai spaventato”

Lui le lasciò un bacio alla base del collo e Felicty sentì una lunga scarica diffondersi rapida sulla sua pelle, riaccendendo il desiderio nel suo corpo.

“Mi dispiace” le sussurrò in un soffio caldo sul viso, mentre stringeva la presa sui suoi fianchi e la prendeva inaspettatamente in braccio.

“Che cosa fai?” gli chiese sorpresa, sentendo mancare il contatto tra i suoi piedi e il pavimento.

“Ti porto a casa” rispose mentre afferrava i due caschi e si dirigeva verso l’uscita sul retro.

Felicity sentì l’aria fresca della sera accarezzarle le gambe mentre nel vicolo, solitamente deserto e silenzioso, rimbombava la musica del Verdant.

Si fece rimettere a terra e si diressero verso la moto di Oliver, mano nella mano.

Era una sensazione piacevole potersi concedere piccoli momenti di intimità come una coppia normale, ma entrambi sapevano che quelle occasioni erano piuttosto rare, soprattutto in pubblico.

Felicty non voleva ancora finire sui giornali e rischiare di essere definita dai paparazzi come la nuova fiamma dell’ex-miliardario Oliver Queen.

Così quando c’erano troppi testimoni nei paraggi assumevano un comportamento distaccato e professionale, ma che finiva appena ritrovavano un po’ di privacy.

Lontano da occhi indiscreti, quando ebbero svoltato l’angolo, le loro mani tornarono a cercarsi e le loro dita si intrecciarono finché giunsero davanti alla moto di Oliver.

Si fermarono, guardandosi negli occhi, poi lui si avvicinò al suo viso e le sfilò delicatamente gli occhiali, decisamente scomodi sotto il caso integrale.

Piegò le stecche con cura e le passò il casco che lei infilò prontamente, dopo aver sciolto la coda.

Salì in sella alla moto e aspettò che la donna facesse altrettanto.

Sentì le sue piccole mani aggrapparsi a lui, le braccia intorno ai suoi fianchi e il petto che sfiorava la propria schiena in una piacevole tortura.

Mise in moto, diretto verso casa Smoak, mentre Felicity stringeva la presa su di lui.

Guidò velocemente tra le strade della città, impaziente di giungere a destinazione, beandosi del contatto del corpo di lei aggrappato al suo.

L’aria fece rabbrividire Felicity per il freddo mentre lei si guardava intorno, osservando il traffico della città, le auto che sfrecciavano accanto a loro, le persone che si godevano la serata tra locali del centro e club esclusivi.

Nel cielo scuro e privo di stelle, solo la luna dominava la scena, illuminando debolmente la città sotto di sé. Per un istante giurò di aver visto una scia luminosa lassù ma durò un solo istante, sparì così in fretta che Felicity si convinse di essersela solo immaginata.

Si aggrappò ad Oliver mentre lui svoltava a destra dopo che il semaforo scattò sul verde, avvicinandosi a casa sua.

Il suo personale eroe rallentò, parcheggiando la moto davanti al vialetto d’ingresso di casa, per poi sfilarsi il casco.

Felicity fece lo stesso, scendendo dalla moto e prendendolo per mano, un grande sorriso ad illuminarle il volto.

Lo baciò con dolcezza, nell’aria fredda di Starling City, prima di trascinarlo con sé verso la porta d’ingresso.

Cercò le chiavi nella borsa e con le dita sfiorò ognuna di esse in cerca di quella giusta, mentre Oliver la seguiva, le loro dita ancora intrecciate.

E mentre varcavano la soglia nessuno dei due si accorse di un uomo in lontananza che li osservava attentamente nel buio della sera, chiuso in un’armatura metallica.

L’uomo premette un piccolo pulsante posto sul braccio della sua tuta tecnologica e si librò in aria, lasciando dietro di sé soltanto una scia.









E siamo giunti alla fine!

Scusate l'attesa un pochino più lunga del previsto per questo ultimo capitolo ma volevo dare un finale dignitoso a questa storia e spero tanto di esserci riuscita.

Volevo ringraziarvi per tutto l'affetto che avete dimostrato per questa storia attraverso le vostre recensioni, davvero non riesco ad esprimere quanto siano gradite!

Mi sono divertita molto a scrivere questa piccola storia e a scavare dentro ogni personaggio, per immaginare come ognuno di loro avrebbe potuto reagire davanti ad avvenimenti simili... e spero che voi vi siate divertiti leggendo!

Ho un paio di idee che mi frullano in testa, vedremo se riuscirò a mettere presto qualcosa nero su bianco!

Non mi resta altro che salutarvi, sperando di rileggerci presto ;)

Buona notte e ancora grazie a tutti voi!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3039179