Risveglio di SagaFrirry (/viewuser.php?uid=819857)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I-Risveglio ***
Capitolo 2: *** II-prima battaglia ***
Capitolo 3: *** III- ricordi ***
Capitolo 4: *** IV- desideri ***
Capitolo 5: *** V- secondo attacco ***
Capitolo 6: *** VI- generali e maestri ***
Capitolo 7: *** VII- legami ***
Capitolo 8: *** VIII- famiglia ***
Capitolo 9: *** IX- riordino ***
Capitolo 10: *** X-allievi ***
Capitolo 11: *** XI- contatto ***
Capitolo 12: *** XII- eserciti ***
Capitolo 13: *** XIII- fratelli ***
Capitolo 14: *** XIV- 1973 ***
Capitolo 15: *** XV- consapevolezza ***
Capitolo 16: *** XVI- libertà ***
Capitolo 17: *** XVII- primavera ***
Capitolo 18: *** XVIII- loser ***
Capitolo 1 *** I-Risveglio ***
Era avvolto
dal buio. Che bella e,
allo stesso tempo, strana sensazione. Di pace, mai provata, e
tranquillità.
Steso a terra, iniziò lentamente a riprendere consapevolezza
del proprio corpo.
“È
dunque questo che si prova,
quando si muore?” mormorò a se stesso.
“Spero
di no!” si sentì
rispondere e sobbalzò, credendo di essere solo.
Voltò
la testa e, abituandosi un
po’ al buio, riuscì a scorgere un viso familiare.
Una figura gli stava stesa
accanto. I due si fissarono, riconoscendosi.
“Athena
ci aveva promesso
qualcosa di ben diverso. Spero non sia questo ciò che lei
considera il paradiso
per i suoi cavalieri” parlò ancora la figura.
“Oh,
Arles! Tu ti lamenti
sempre!”.
“E
tu sei sempre troppo buono,
Saga”.
Arles si
alzò a sedere, scuotendo
la testa. Era un po’ intontito. Però quel posto
buio aveva un odore familiare.
“Dove
siamo?” domandò Saga,
rimanendo steso a terra.
“Non
ne ho idea. Però…io e te
siamo separati. Due entità diverse. Se è davvero
il paradiso dei cavalieri,
come spero non sia, allora…sei morto anche tu!”.
“Eh
già”.
“E
come?”.
“Mi
sono sacrificato assieme agli
altri cavalieri d’oro per aprire un varco nel muro del
pianto”.
“Lo
sapevo che tu te ne andavi a
morire in un qualche modo stupido!”.
Saga
aprì la bocca per ribattere
ma non ebbe il tempo di dire nulla, perché Arles si era
alzato ed allontanato
in fretta. Nel buio, ora non riusciva più a vederlo.
“Sento
lo strusciare della tua
veste” commentò “ma non ti vedo.
Aspettami!” parlò, alzandosi a sua volta.
“Sì,
son vestito, per una volta”
ridacchiò Arles, camminando verso un piccolo spiraglio di
luce che intravedeva
in lontananza.
Sentiva la
mancanza della luce e
del calore del sole, sempre se quella luce quella del sole fosse! I
due, fianco
a fianco, spinsero assieme la pesante porta che si ritrovarono davanti,
dietro
la quale si intravedeva la luce.
Accecati,
portarono le mani agli
occhi per qualche istante e poi si guardarono attorno.
“La
tredicesima casa” la
riconobbe Saga “Eravamo nella sala del Gran
Sacerdote!” e guardandosi vide che
addosso portava proprio la veste dell’occupante di quella
casa.
“La
tredicesima si è aperta!” si
sentì una voce “Ciao!”.
In un lampo,
Aphrodite della
dodicesima casa stava abbracciando Saga, che si divincolò
con fastidio.
Muovendosi alla velocità della luce, tutti i cavalieri
d’oro ora salutavano i
due appena destati. Indossavano le loro armature lucenti, che parevano
non aver
mai affrontato battaglie e conflitti.
“Mancava
solo il cavaliere dei
gemelli! Ne abbiamo ben due” commentò Milo dello
Scorpione.
“Ben
svegliati, belle
addormentate!” sfotté Death Mask “A
quanto pare, Saga, sei di nuovo Gran
Sacerdote”.
Saga si
osservò le vesti. A
quanto pare era così.
“Dove
siamo?” domandò.
“Al
grande tempio. Non sappiamo
ancora il perché” gli rispose Aiolos.
“Ci
siamo tutti” annuì Ioria “E
allora perché le nostre armature non sono in risonanza?
Arles! Se Saga è Gran
Sacerdote, spetta a te indossarla! Richiamala!” lo
esortò il leone.
“Sì,
fallo! Noi ci siamo
svegliati con l’armatura già indosso
ma…” iniziò a parlare Mur, e Arles lo
interruppe con un gesto della mano.
“Quell’armatura
non mi
appartiene” spiegò con tono solenne.
“È di Saga, non mia. Ed è giusto che
non
voglia essere indossata da me, dopo tutto ciò che ho fatto.
Athena deve aver
deciso diversamente”
Il gruppo
rimase in silenzio per
un po’. Arles, in effetti, non era abbigliato da guerriero,
bensì con una
semplice veste stile Grecia antica di colore chiaro. E
l’armatura dei gemelli
non voleva avvicinarsi.
“Tu
non puoi non essere cavaliere
d’Athena! Il tuo cosmo è forte! Non può
andare sprecato!”.
Era stato
Saga a parlare, ma non
molti erano d’accordo, ricordando i trascorsi di Arles.
“Forse
Athena lo considera ancora
un traditore. Noi ci siamo redenti, morendo per la Dea, ma lui
no” fu l’ipotesi
di Shura.
“Scempiaggini!”.
“Saga!
Calmati! Stanno parlando
di me, non di te” sorrise Arles.
“Dobbiamo
trovare Athena, dunque”
riprese Saga, dopo essersi calmato “Dato che non abbiamo idea
del perché siamo
qui! Lei lo saprà di certo e saprà anche per
quale motivo io e Arles ci siamo
divisi. E perché l’armatura di gemini pare non
voglia un padrone”.
“A
me pare solo che voglia un
padrone diverso” concluse Milo, a bassa voce.
Saga
ignorò quella frase e si
guardò attorno. Non vedeva solo il tempio di Athena da
lì, ma ne scorgeva molti
altri. Li notava solo ora o si erano mostrati da poco? E
perché, dopo il loro
sacrificio al muro del pianto, erano tornati tutti in quel luogo?
“Dobbiamo
trovare Athena”
insistette Saga “Spero siate tutti
d’accordo”.
I cavalieri
annuirono, tranne
Arles che sospirò. Che seccatura era quella
divinità!
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Capitolo 2 *** II-prima battaglia ***
II
PRIMA
BATTAGLIA
Dopo aver
discusso un po’ fra di
loro, ed aver capito di essere tutti riapparsi al tempio di Athena da
poco, i
cavalieri si sentirono chiamare da una voce femminile. Chiamava il
leone d’oro,
che la riconobbe subito.
“Ma
allora è vero! Siete davvero
tornati tutti!” parlò lei.
“Marin!
Che bello vederti!”.
La
sacerdotessa d’argento sorrise
e, senza pensarci troppo, corse ad abbracciare Ioria. I suoi colleghi
si
guardarono con aria d’intesa e non commentarono.
“Marin…”
interruppe l’abbraccio
Saga “sai dirci cosa sta succedendo qui?”.
“Ci
era stato detto che eravate
morti” iniziò a spiegare lei “e noi,
sopravvissuti alla guerra santa, avevamo
perso tutto il nostro potere. Eravamo liberi, la terra era in pace.
Quindi
abbiamo abbandonato il santuario ed iniziato una vita da civili.
Ultimamente,
però, il nostro cosmo si è riacceso e sono
apparsi questi altri templi qua
attorno. Io e Shaina abbiamo pattugliato la zona diverse volte, senza
mai
trovare anima viva”.
“Quindi
gli altri edifici sacri
simili a quello in cui ci troviamo ora, e che ci circondano, sono
deserti?”.
“Non
ne sono sicura, Saga. Credo
possano essere come il grande tempio. Solo chi possiede un cosmo
d’Athena può
vedere per davvero cosa si cela al suo interno. Ad ogni modo, non
abbiamo mai
avuto alcun problema con i nuovi vicini”.
“E
Athena? Avete sue notizie?”.
“No.
Dicono sia morta assieme ai
cavalieri di bronzo, rimanendo inghiottiti nel regno di Ade che si
è sfaldato e
distrutto”.
“Noi
siamo qui. Quindi è certo
che sia viva. Per averci richiamato dalla morte, è molto
probabile che ci si
prepari all’ennesima guerra. Dohko, tu hai percepito quando
lei è rinata la
scorsa volta. Ora la percepisci?”.
“La
percepisco” annuì Dohko “ma è
molto probabile che sia una neonata o una bimba molto
piccola”.
“E
tu, Shaka? Sei il più vicino
agli dèi!” insistette Saga.
“Sono
il più vicino agli dèi, non
il loro compagno di merende. Come tutti voi, immagino, percepisco molti
cosmi
sconosciuti qua attorno. È molto probabile che in quei
templi vi siano delle
divinità”.
“E
Athena? Athena la senti?”.
“Sei
tu il Gran Sacerdote!”
sbottò la Vergine d’oro, non celando una certa
invidia.
“Va
bene, ho capito” sospirò Saga
“Ora mi reco all’altura e vedrò se le
stelle mi diranno qualcosa. Nel
frattempo, rientrate alle vostre case e state all’erta. Non
sappiamo se i
nostri nuovi vicini siano buoni o cattivi. Meglio non farci trovare
impreparati”.
I cavalieri
annuirono, abituati a
passare la propria vita all’erta e senza molto svago.
“E
io che faccio? Shopping?”
domandò Arles.
“Tu
resti qui”.
“Ma
non ho un’armatura!”.
“Chissene!
Tu obbedisci”.
“Athena
non mi vuole qui”.
“Quando
troveremo Athena, sarà
lei a dirmelo di persona. E allora, solo allora, ti lascerò
andar via”.
“E
se Athena è come dice Dohko?
Una bambina o una neonata? Aspettiamo che cresca e intanto me ne sto
qua a far
niente?”.
“Obbedisci,
per una volta. So che
non hai alcun rispetto per la dea in cui credo ma, lo devo ammettere,
mi sento
molto più sicuro a saperti qui, piuttosto che
chissà dove o dalla parte di
chissà chi”.
“Credi
che possa tradirti e
combattere contro di te?”.
“Non
me ne stupirei. Ed ora
andate”.
Arles
capì che controbattere era
inutile e lasciò che Saga e gli altri si allontanassero. Lui
rimase lì, sulla
soglia della tredicesima. Il sole tramontava in fretta e soffiava una
lieve
brezza. Sembrava tutto tranquillo.
Era ormai
notte fonda. Saga era
ancora all’altura ed Arles fissava le stelle dalla
tredicesima, sperando di
ricevere un segnale. Poi…una luce.
“Cosa
è stato?” si chiese.
Aveva visto
un lampo improvviso
ma ora era passato. Forse se lo era immaginato. Guardò in
giù. Alcuni cavalieri
si erano affacciati, forse avendo anche loro percepito qualcosa. E le
luci
riapparvero, si avvicinavano rapidamente.
“Ci
attaccano!” gridò Aiolos, già
tendendo l’arco.
Un tipo di
invasione di quel
tipo, dall’alto, era piuttosto rara e i guerrieri rimasero
spiazzati per
qualche istante. Ma si ripresero in fretta e si prepararono a
contrattaccare.
Le luci ora si capiva chiaramente che in realtà erano i
cosmi di diversi
guerrieri alati. Con uno scatto della mano, i nemici lanciarono i loro
colpi
che illuminarono la notte.
“Crystal
wall!” gridò Mur,
avvolgendo il tempio temporaneamente e bloccando la prima raffica di
attacchi.
“Lasciate
che atterrino, o
abbatteteli” ordinò Dohko
“sarà più facile per noi sconfiggerli
su terreni a
noi familiari. Non perdeteli di vista”.
“Attaccano
anche quell’altro
tempio!” notò Milo, dopo aver sentito delle urla
femminili.
L’edificio
stava crollando,
colpito. Arles non sapeva cosa fare. Mentre tutti combattevano, lui non
riusciva
ad usare i suoi attacchi. Schivò qualche colpo, non avendo
alcuna intenzione di
nascondersi, e corse verso il tempio le cui colonne cedevano una dopo
l’altra.
Tutti impegnati nella lotta, non ci fecero troppo caso.
“Aiuto!”
gridava una donna.
Arles,
chiedendosi perché stesse
rischiando la sua stessa vita per voci sconosciute, si
ritrovò davanti alle
macerie. E adesso? Si chiese. Non potendo usare i colpi dei gemelli,
poteva
solo aiutare usando la forza fisica. Si inginocchiò ed
iniziò a scavare. Sentiva
le voci delle donne intrappolate là sotto. I colpi dal cielo
non cessavano, e
l’unico modo che aveva di schivarli era rintanandosi fra
quelle stesse macerie
e sperare in meglio. La cosa lo innervosiva parecchio.
“Siete
quasi libere!” gridò,
quando riuscì ad aprirsi un varco.
Fortunatamente,
due delle colonne
si erano poggiate l’una sull’altra, impedendo alle
fanciulle di rimanervi
schiacciate sotto e creando per loro uno spazio relativamente sicuro.
“Il
fuoco! Dobbiamo salvare il
fuoco!” gli urlò una donna.
“Quale
fuoco?” sbottò Arles,
senza capire, poco prima di essere colpito.
Gridò
e si voltò. Davanti a lui
stava un guerriero dal volto coperto, brillante di luce verde, che gli
puntava
contro una lunga lancia.
“Perfetto”
mormorò, a denti
stretti, Arles, iniziando a sentirsi parecchio stordito.
“Allora è questo che
si prova ad essere ferito senza possedere un’armatura o un
cosmo” aggiunse, sentendo
il sangue caldo lungo il lato sinistro del suo corpo.
Non
scostò gli occhi dal suo
nemico, e notò in lui un po’ di esitazione.
D’istinto, provò ad approfittare di
quell’attimo ma il suo corpo non reagì come aveva
sperato. Non gli permise di
attaccare e, per la debolezza, quasi svenne.
“Che
punizione crudele mi hai
riservato, Athena. Rinascere per poi morire poco dopo”
sospirò, con la vista
che si appannava.
Poi, una
luce abbagliante ed una
voce che gridava il suo nome.
“Athena?”
rispose, steso a terra.
Non
capì molto, stando fermo
dov’era. Vide Saga eliminare tutti i nemici che aveva attorno
con…che diavolo
aveva in mano? Poi le donne uscirono dal loro nascondiglio, impaurite.
Un paio
di loro vennero a controllare lo stato di salute del ferito ma Arles
era troppo
concentrato a fissare Saga che porgeva una sfera di fuoco ad una donna
bellissima, vestita di bianco. Anche molte delle fanciulle erano
vestite di
bianco, mentre altre indossavano drappi azzurri.
“Che
succede?” riuscì a chiedere,
prima di perdere definitivamente i sensi.
“Ma
guarda un po’ chi si è
risvegliato” furono le prime parole che sentì il
ferito, riaprendo gli occhi.
Si mise
subito a sedere, poi
pentendosene perché avvertì una stilettata di
bruciante dolore.
“Stai
calmo. Riposa e pensa a
guarire”.
Arles
alzò lo sguardo e vide
Saga, seduto in fondo alla stanza, con le spalle al muro.
Aveva…qualcosa di
diverso. Gli sorrideva.
“Dove
sono?”.
“Nelle
stanze del Gran Sacerdote.
Sei stato ferito e curato. Ma devi stare tranquillo, o la ferita si
riaprirà”.
“Sono
stato ferito in modo ben
più grave. È solo un graffietto”.
“Ora
non hai più armatura e cosmo
a proteggerti. Inoltre, se ti avesse colpito poco più in
là, ti avrebbe
trafitto il cuore. Hai perso molto sangue”.
“Che
figura. Sfottimi pure”.
“Non
mi azzarderei mai” sorrise
ancora Saga, alzandosi ed andandogli vicino.
“I
tuoi capelli…” notò Arles.
“Ti
piacciono?”.
In mezzo al
blu della lunga
capigliatura di Saga, spuntavano rari ciuffi lilla.
“Sei
andato dal parrucchiere di
Athena?” ridacchiò Arles e, di tutta risposta, si
beccò una bastonata in testa.
Rimase
qualche istante perplesso,
massaggiandosi la parte colpita.
“Perché
stringi fra le mani lo
scettro di Athena?”.
“Lo
hai notato solo adesso? Non
hai visto come ho massacrato i nostri nemici a suon di bastonate e
colpi
divini? Stavi troppo male?”.
“Ho
ricordi vaghi. Mi spieghi
cosa è successo?”.
“Me
ne stavo tranquillo
all’altura quando ho sentito che ci attaccavano. E ti ho
visto correre come uno
stupido verso il tempio a noi vicino, senza protezione alcuna. Al che
ho
pensato: questo è impazzito! Meglio che lo aiuti! Sono corso
da te e, quando mi
sono avvicinato, mi è apparso lo scettro d’Athena.
D’istinto l’ho afferrato ed
i nostri avversari sono stati sconfitti”.
“E
quelle donne?”.
“Stanno
tutte bene, salvo qualche
ferita. Sono Vestali, sacerdotesse di Hestia se preferisci”.
“Quindi
il fuoco che mi hanno
chiesto di proteggere…”.
“Era
il sacro fuoco di Vesta. Ma
non avere timore alcuno. È salvo ed al sicuro”.
“Era
quello che stringevi fra le
mani ed hai porto a quella donna?”.
“Lei
era Vesta, insieme abbiamo
recuperato il sacro fuoco dal tempio per
impedire che si spenga”.
“Ma…il
fuoco di Vesta non può
essere sorvegliato e toccato solo da fanciulle vergini?”.
“Immagino
che Athena rientri in
questa categoria”.
Arles rimase
un po’ sconcertato.
In Saga si era reincarnato il potere di Athena? Forse aveva perso
troppo
sangue, e stavo immaginando tutto.
“Le
vestali saranno nostre
ospiti” riprese Saga “ovviamente in una zona
apposita del tempio, dove non verranno
disturbate da tutti gli uomini del tempio. Questo fino a quanto non
sarà
ricostruita la loro dimora”.
“Bellissime
donne vergini ospiti
di un santuario di praticamente soli uomini?”.
“Metterò
le nostre donne a fare
la guardia”.
“E
per quanto riguarda i
nostri nemici?”
“Sono
stati respinti”.
“Quelli
erano soldatini semplici,
ne sono certo. Meglio prepararsi ad altri attacchi”.
“Saremo
pronti. Tu ora riposa”.
“Ma…”.
Saga non
sentì il resto della
frase. Uscì dalla stanza, con lo scettro stretto nella mano
destra. La dea
Vesta lo attendeva subito dopo l’uscio. Le fece un inchino e
lo stesso fece
lei.
“Sono
davvero lieta e
riconoscente. Ci permettete di stare qui e ci aiutate”
parlò Vesta.
“Non
è sicuro lasciarvi sole,
senza protezione e senza una casa” rispose Saga, invitandola
a camminare lungo
il corridoio della tredicesima e poi all’aperto.
Da
lì videro le vestali fare il
loro ingresso al tempio con le poche cose che erano riuscite a
recuperare dalle
macerie del tempio dove vivevano. La dea sorrise. Era bellissima, con
lunghi
capelli color del grano e la pelle candida, raramente illuminata dal
sole.
Trascorreva le sue giornate all’interno del suo tempio,
assieme alle
sacerdotesse che la servivano.
“Guarda
che spreco” commentò
Death Mask, che pure lui osservava l’arrivo delle donne.
Accanto a
lui stava Milo, che
annuì. Quelle fanciulle, seppur con il viso velato e quindi
non visibile, non
riuscivano a celare la loro bellezza in quelle vesti candide e
leggermente
trasparenti.
“Perché
sono di colori diversi,
secondo te?” riprese il cancro.
“Sei
un ignorante!” sbottò
Shaina, facendo sobbalzare i
due uomini
“Le vestali in bianco sono quelle vergini. Quelle con i
drappi azzurri, invece,
sono coloro che si sono unite al culto, facendo voto di
castità, una volta aver
conosciuto l’atto d’amore”.
“Quindi
provarci con una di loro
non è così grave?” ridacchiò
Death Mask e si prese uno scappellotto.
“Idioti!
Piantatela di spiarle e
rientrate alle vostre case!”.
“Sissignora!”
si mise
sull’attenti il cancro, deridendola.
Appena la
sacerdotessa d’argento
si fu allontanata, Death tornò accanto a Milo, ad osservare
l’arrivo delle
fanciulle. Scosse la testa.
“Continuo
a dire che è uno
spreco”.
“Un
grosso spreco” concordò Milo.
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Capitolo 3 *** III- ricordi ***
III
RICORDI
“Dormi
ora che
tutte le
stelle assieme cantano per te.
Sogna
ora che
un poco
il cielo appartenga pure a te
e che ti
culli poi spiegandoti il perché
il mondo
è strano ma sorridi
dico io.
Chiudi
gli occhi e
se ti
riesce stanotte sogna proprio me
e se il
tuo sogno sarà bello come vuoi
allora
per sempre uniti insieme saremo noi.
Se
davanti a te
vedi
battaglie e morti tutti accanto a te
voglio
che sappia che qui ci sono io
e che
ogni volta che di notte tremerai
sarà
la
mia voce a scaldarti, vedrai”
“Cos’è
questa canzone?” si
domandò Arles, lungo il corridoio che portava alla grande
sala dove ora tutti i
cavalieri si riunivano per mangiare.
Era la prima
volta che usciva
dalla sua stanza da quando era stato ferito ed era ancora piuttosto
intontito.
Quella canzone, accompagnava dal dolce suono di un’arpa, la
conosceva. L’aveva
già sentita, ne era certo. E quella voce…
“Ti
sei incantato?” si sentì
chiedere alle spalle. Era Saga, che lo seguiva a poca distanza.
“Questa
canzone…a te non dice
niente?”
“No.
A me no. A te sì?”
“Mi
fa ricordare tante cose”.
“Davvero?
Credo sia una delle
vestali. Da quando sono nostre ospiti, capita che cantino o suonino per
noi. Lo
fanno per riconoscenza, e noi non ci lamentiamo. Dai, vieni a mangiare.
Io sono
affamato!”.
Insieme
entrarono nel salone,
spingendo la pesante porta d’oro. La donna
all’arpa, che suonava al centro del
salone circolare, interruppe la canzone.
“Oh
no, vi prego!” si affrettò a
dire Saga “Continuate. Siete bravissima!”.
Vesta,
seduta al tavolo assieme
alle sue sacerdotesse, si alzò e si diresse verso Arles.
“Non
avevo ancora avuto modo di
ringraziarVi per averci salvate” parlò.
“Non
vi ho salvate. Ho solo
scavato un buco” rispose Arles, in imbarazzo
perché poco abituato a sentirsi
ringraziare per qualcosa di buono.
“Il
Vostro è il viso che per
primo abbiamo scorto da sotto le macerie e vi saremo per sempre
riconoscenti.
Ora, Ninive, puoi ricominciare a suonare” concluse la dea,
rivolgendosi alla
donna che sedeva accanto all’arpa.
“Ninive…”
ripeté Arles.
Ma lei non
riprese a suonare. Con
un velo bianco celava il volto quindi nessuno poteva scorgerne i
lineamenti e
l’espressione ma le sue mani tremavano. Vesta la raggiunse,
preoccupata. Le
sussurrò qualcosa e la suonatrice scosse il capo.
“Chiedo
scusa” parlò la Dea “ma
temo che la mia somma sacerdotessa sia ancora turbata dalla battaglia e
debba
riposare. Rivedere il volto di colui che l’ha salvata deve
aver fatto
riemergere la paura provata in quel momento. La faccio portare nelle
nostre
stanze”.
“Sono
piuttosto scosse” mormorò
Saga, rivolto ad Arles “Non sono abituate a battaglie, morti
e feriti. Alcune
di loro ancora non mangiano dal giorno
dell’attacco”.
Arles non
rispose.
“Tieni,
fatti una birra. Ti vedo
ancora un po’ pallido” lo invitò Death
Mask, porgendogli un boccale pieno.
“Tu
sì che mi capisci. Ma è
meglio che per oggi lasci stare. Mangio qualcosa e poi torno a
letto”.
“Sei
proprio messo male senza
cosmo, eh?” ghignò il cancro, scolandosi per Arles
tutto il boccale.
La cena
proseguì tranquillamente
e poi ognuno si congedò. Quella sala si stava riempiendo
sempre più, ogni
giorno che passava, perché era divenuta una sorta di punto
sicuro della città.
Molti bambini e feriti venivano accolti per poter essere curati e
protetti. Ai
cavalieri questo non dava fastidio. Anzi, li faceva sentire
indispensabili.
Ioria, pedinato da un paio di bambini, raggiunse il fratello riuscendo
a
seminarli.
“Ma
quella donna…” iniziò “io la
ricordo! Anche tu, fratellone?”.
“La
donna che cantava e suonava
l’arpa? Certo”.
I cavalieri
d’oro stavano
raggiungendo tutti assieme la scalinata per le loro case e discutevano
fra
loro. In testa al gruppo stavano Saga, con il bastone di Athena, ed
Arles. In
silenzio.
“La
ricordi anche tu?” domandò
Milo “Allora non me la sono sognata!”.
“No,
non era un sogno!” sorrise
Aiolos “Lei
è Ninive. Un tempo stava qua
al tempio di Athena. Ci allenavamo assieme per l’armatura del
Sagittario. Poi
l’ho avuta io e lei non ricordo bene che titolo ottenne.
Aveva la nostra età,
giusto Saga?”.
“Non
lo so. Io non la conosco”
ammise lui.
“Ma…è
andata via?” volle sapere
Mur, ricordandola.
“Sì,
nessuno sa il perché”
riprese Los “Quando eravate ancora piccoli”.
“Sì.
È andata via l’anno in cui
tu sei morto, fratello. Poco prima” confermò Ioria
“Ricordo che la sua canzone
mi venne in mente tante volte, quando ti piangevo. Solo, nella mia
casa…”
“Che
ricordi tristi!” lo
interruppe Shura, non volendo parlare della morte di Aiolos.
“Io
Ninive me la ricordo per ben
altro” aggiunse Death Mask “Me la ricordo
perché era gnocca. La spiavo sempre,
vero Shura?”.
“Confermo”.
“Ne
ero perdutamente
innamorato!”.
“Innamorato?”
ridacchiò Arles
“Avevi dieci anni! Avevi almeno il cazzo delle dimensioni
giuste o ancora era
quello di un bimbo?”.
“Ma
come ti permetti?!”.
“Eri
in preda agli ormoni, altro
che amore!”.
“Sempre
meglio di te, che al
tempo pensavi a conquistare il mondo e prendere il posto di Shion. O
eri già
Gran Sacerdote quando è andata via?”.
“Lo
ero già”.
“Bene.
Quindi fatti la predica da
solo”.
Arles non
disse altro. I
cavalieri passarono accanto alla grande arena dove si allenavano e
proseguirono
verso la prima casa.
“Quindi
Ninive è andata via per
divenire vestale?” riprese Milo.
“Forse
se n’è andata perché ha
sentito che quella era la sua strada” continuò
Camus.
“Per
me è strano. Me la ricordo
che cantava la ninna nanna a noi piccoli”.
“Io
invece ricordo come pestava
noi grandi!” sbottò Aphrodite “Era senza
pietà!”.
“Immagina
il trattamento che
riservava a me, che son più grande ancora!” rise
Aiolos.
“E
a voi due, principini? Non
faceva niente?” volle sapere Shaka.
“Vi
ho già detto che non me la
ricordo!” sbottò Saga.
Lentamente,
iniziarono a risalire
le scale, lasciando ad ogni casa un inquilino assonnato. Giunti alla
quarta,
Death Mask trattenne Arles.
“Posso
offrirti una cosetta? Per
aiutarti a dormire?” disse.
“Riesci
a fare le scale da solo?”
si preoccupò Saga, sapendo che la sua altra
personalità ancora sanguinava.
“Ma
certo! Per chi mi hai preso?”
quasi si offese Arles.
Una volta
soli, Death guardò
dritto negli occhi il suo interlocutore.
“Cosa
vuoi? Un bacio? Non sono in
vena!” si sentì dire.
“Non
dire cazzate. Tu a me non
puoi nascondere niente. E nemmeno a Saga, ma quello ha paura di
prenderle e
quindi non apre bocca. E stasera sei un po’…come
dire…abbacchiato!”.
“Esiste
come termine?”.
“Hai
capito il concetto”.
“Sono
stanco. La ferita mi ha
debilitato”.
“Senza
cosmo non deve essere
facile”.
“Non
sono senza cosmo. Ho il
cosmo, ma non riesco ad usarlo!”.
“Ancora
peggio! Ma c’è
dell’altro”.
“Niente.
Solo un po’ di
nostalgia. A volte capita, non trovi? Specie rivedendo persone che non
vedi da
tanto e tanto tempo”.
“Nostalgia
dei bei vecchi
tempi?”.
“Sì,
anche. E poi…ci hai mai
pensato che son passati dieci anni dalla guerra santa? Siamo stati
dieci anni
non si sa dove in attesa. E poi siamo riapparsi. E per il nostro corpo
sembra
non sia trascorsa neppure un’ora”.
“Non
ci avevo dato molto peso. Mi
piaceva troppo l’idea di essere vivo. Sigaretta?”.
“No,
grazie”.
“In
pratica…sei giù di corda
perché ti senti vecchio?”.
“Perché
sento che la mia vita
scorre. Ed ora che non sono un tutt’uno con Saga,
è per davvero la MIA vita e
voglio viverla perché già ho troppo di cui
pentirmi”.
“Senti
il desiderio di andare via
da qui?”.
“Tu
non sai quanto! Ma Saga non
me lo permette”.
“Non
è il tuo padrone”.
“No,
ma ora è un dio. E noi
sappiamo quel che succede quando si disubbidisce agli
dèi”.
“Sì,
ma sei un po’ grande per
prendere ordini. Non trovi?”.
“Gli
parlerò. Alla fine io e lui
siamo cresciuti qui. Non conosciamo altro che il tempio e le sue
battaglie. Ora
che non ho un’armatura, forse è il momento che
provi qualcosa di diverso”.
“Intendi
una vita da civile?”.
“Una
vita NORMALE. Ho rinunciato
a tanto, per essere ciò che sono”.
“Una
personalità di Saga
indipendente?”.
“Sai
cosa intendo!”.
“Sì,
lo so. Vedrai che Saga
capirà. È parte di te!”.
“Ora
vado. Sono davvero molto
stanco” tagliò contro l’ex Gran
Sacerdote.
“Come
vuoi. Ricordati che ho
sempre superalcolici per te in questa casa!” si arrese Death
Mask.
I due si
congedarono, ed Arles
sentì il cavaliere del cancro canticchiare la canzone della
vestale.
Arles
raggiunse la tredicesima un
po’ a fatica. Saga si era già ritirato nelle
stanze di Athena e decise di non
disturbarlo. Era davvero stanco. Scostò le tende e raggiunse
la camera. Si
svestì in fretta e si infilò sotto le coperte. Ma
non riuscì ad addormentarsi
subito, come sperava. Ah, maledetta nostalgia!
Il sole era
alto, Saga e Vesta
passeggiavano già da un po’ lungo i giardini del
tempio. Pian piano, anche gli
altri cavalieri si stavano destando, così come le vestali.
Ninive era alle
prese con un grosso vaso che doveva riempire d’acqua.
“Posso
darti una mano?” domandò
Camus, sentendosi in dovere di farlo.
“No,
come vedi me la cavo
benissimo da sola” sorrise lei, muovendosi senza fatica.
“Si
vede che hai affrontato l’addestramento
da cavaliere”.
“E
chi se lo scorda!”.
L’acqua
la portò nelle stanza
della sua signora e poi si incamminò a passo svelto fra le
colonne, per
raggiungere le sue consorelle. Ma si sentì chiamare.
Girandosi, vide i
cavalieri d’oro. C’erano tutti, tranne Saga ed
Arles.
“Vieni,
Ninive! Stiamo andando a
fare colazione” esclamò Ioria.
“No,
grazie. Ho già mangiato”.
“Voi
vestali vi svegliate prima
dell’alba?” storse il naso Milo.
“Sì.
Ed una volta anche i
cavalieri si svegliavano prima dell’alba”.
“Ah,
sì. Io non l’ho mai fatto!”
rise lo scorpione.
“Invece
lo hai fatto. Me lo
ricordo. Perché mi è capitato di doverti venire a
svegliare. Eri un vero
pigrone”.
“Ti
ricordi di noi?” domandò
Milo.
“Mi
ricordo di tutti voi. Ricordo
il vostro arrivo. Quando sono giunta al Grande Tempio non
c’era nessuno, se non
il futuro cavaliere dei gemelli e suo fratello Kanon”.
“Sì,
vero. Io sono giunto al
tempio dopo la nascita di Ioria” confermò Aiolos.
“E
ricordo quando siete diventati
cavalieri d’oro. Chi lo è diventato prima della
mia partenza, ovviamente”.
“Io
lo sono diventato dopo!”
sorrise il leone.
“Ricordo
Death Mask e Shura che
mi spiavano. Ad un certo punto, mi son dovuta arrendere e fare il bagno
nella
grotta vicino alla spiaggia”.
“Ah,
ecco dove andavi! E noi a
cercarti…” ghignò il cancro.
“E
come posso dimenticare
Aphrodite? Che mi portava i fiori e mi svelava dove trovare quelli
più belli
fra le colline? Poi Aldebaran, che era davvero un bimbo dolcissimo. E
Mur,
sempre così paziente anche quando non riusciva ad usare al
meglio il suo
potere. Shaka, il silenzioso bambino ed il suo rosario, che spesso mi
diceva
frasi di difficile comprensione sul mio futuro. Le risse fra Milo e
Ioria,
sedate sempre a fatica da me ed il caro Aiolos. Quante serate passate
tutti assieme
alla luce delle stelle! Con Camus che a volte ci mostrava
l’aurora, con
disappunto del gran sacerdote che lo sgridava perché non era
una cosa naturale
in Grecia. E Voi immagino siate il maestro Dohko. Non ho mai avuto
l’onore di
conoscerVi. Eravate un’autentica leggenda vivente”.
Dohko
annuì.
“Perché
sei andata via?” chiese
Aiolos “Si è sentita la tua mancanza”.
“Ho
trovato un modo diverso di
vivere la mia vita”.
“Però…”
incalzò Death Mask “…non
serve che celi il tuo viso sotto quel velo. Noi ti conosciamo ed ormai
non vale
più il veto della maschera da sacerdotessa
d’Athena”.
“Ho
fato un voto. Non mostrerò
più il mio volto a uomo alcuno, anche se si tratta di vecchi
amici come voi”.
“Però
un uomo deve averlo visto,
perché la tua veste non è bianca, come le vergini
vestali, ma con i drappi
azzurri. O mi sbaglio?” sorrise malizioso Milo.
“Non
ti sbagli. Ora devo andare”.
“Sicura
di non volerti unire a
noi?” insistette Mur.
“Sicura.
Ho molti lavori da fare.
Noi vestali dobbiamo provvedere a noi stesse, ed ho delle vesti da
riparare
dopo quell’attacco”.
“Immagino
che vi siate spaventate
molto” parlò Ioria, con fare da cavaliere pronto a
salvare il mondo.
“Ed
io immagino abbiate fame.
Meglio che andiate a mangiare ora. Ci vediamo” si
congedò.
“Ma
aspetta! Dai, ti offriamo una
cosa in memoria dei vecchi tempi!” propose Aiolos.
“Lo
apprezzo come pensiero ma
proprio non posso. Se non faccio la mia parte, le altre avranno di che
ridire e
sono la mia famiglia. Forse stasera”.
“Perfetto.
Allora a stasera!”.
Ninive si
girò, ritrovandosi di
fronte Arles. Non si parlarono. Per un attimo, lui intravide lo sguardo
color
miele di lei da sotto quel velo. Rimasero in silenzio a fissarsi e poi
lei
scattò, tirandogli uno schiaffo.
“Io
ti odio” sussurrò senza farsi
sentire dagli altri “Ti odio e ti odierò per
sempre, perciò non osare guardarmi
mai più. Capito?”.
Arles non
rispose rimanendo
spiazzato da quell’avvenimento. Lei si allontanò
velocemente.
“Che
le hai fatto?” domandò Death
Mask “Le hai palpato il culo? Se è
così, ti capisco. È un gran bel culo!”.
“Che
ne so che ho fatto.
C’eravate anche voi, no? Avete visto che non ho fatto
niente”.
“Le
avrai palpato il culo
l’ultima volta che l’hai vista! Dai, non ci
pensare. Noi ora mangiamo. Vieni?”.
“Ho
già mangiato. Vado a parlare
con Saga”.
“Credo
sia tornato alla
tredicesima. L’ho visto risalire”.
“Che
palle…di nuovo tredici piani
di scale! Voglio l’ascensore!”
“Cosa
fai?” domandò Saga.
Arles stava
radunando le poche
cose che possedeva e si preparava a lasciare il tempio.
“Non
lo vedi?” rispose “Faccio le
valigie. Ti ho cercato per parlartene ma eri a spasso per il
tempio”.
“Dove
vuoi andare?”
"Via.
Non c'è
posto per me qui. È meglio che vada"
"Io non voglio che tu te ne vada!"
"Saga, l'armatura mi rifiuta e non riesco più a controllare
il mio Cosmo.
Sono inutile qui e non sono più un cavaliere d'Athena. Devo
andare".
"Ma...fratello...".
"Io non sono tuo fratello. Smettila di chiamarmi così! Io
sono Arles, un
parto della tua mente malata".
"Almeno tu sai chi sei. Io...io non so chi sono"
"Tu lo sai benissimo. Hai solo paura di affrontare la realtà"
"Sì, è vero. Ho paura. Perché ci sei
sempre stato tu accanto a me. Se ora
vai via...io..."
"Tu saprai prendere le decisioni giuste, reincarnazione di Athena. Ne
sono
certo. Solo che devi afferrare la tua vita, e non pensare mai
più a ciò che
farei io. Perché io farei la cosa sbagliata".
"Non voglio che qualcosa cambi...".
"Non devi farti trascinare dalla corrente, Saga. Sii tu l'artefice
delle
tue scelte, il mastro di chiavi del tuo destino, l'unico tessitore
delle trame
della tua esistenza. Non lasciare che altri ti comandino, ti
spaventino. Possiedi
un potere immenso: usalo!".
"Io...non posso farlo senza di te!".
"Io sono il passato, Saga. È ora che mi lasci alle spalle.
Hai uno splendido
presente da vivere".
“Ma…dove
pensi di
andare? Cosa pensi di fare?”
“Non
lo so. Le cose
arriveranno con il tempo. Ma devo assolutamente andarmene da
qui”.
“Perché?!
C’è una
guerra in corso, te ne sei già dimenticato?”.
“Lo
so. E cosa pensi
possa fare? Sarei solo un peso. Lo hai visto. Sono stato ferito e mi
sei dovuto
venire a salvare. Non è così che voglio
vivere”.
“Con
qualcuno
accanto?”.
“No,
dipendendo da
qualcuno! Meno che mai da te! Ti sono stato fin troppo
d’impiccio”.
“Ma
non puoi lasciarmi
da solo! Sii tu il mio Gran Sacerdote! Ho bisogno di qualcuno che mi
consigli”.
“Io
sono l’ultima
persona al mondo che può fare una cosa del genere. E,
vedrai, gestirai questo
posto ed il tuo ruolo in modo egregio”.
“Aspetta!”.
Arles
sbatté la porta
ed uscì. Saga lo seguì ma lui non si
voltò.
“È
davvero questo ciò
che vuoi?” gridò l’inseguitore, e
l’inseguito non rispose.
Camminando
di corsa,
Arles si imbatté di nuovo in Ninive che lo fissò,
intrecciando le mani fra
loro.
“Ciao,
Ninive” tagliò
corto.
“L’ultima
volta…”
iniziò lei, facendolo fermare “L’ultima
volta che ti ho visto, eri tu il Gran
Sacerdote”.
“È
passato tanto
tempo”.
“Ora
Saga è Dio e Gran
Sacerdote. Che stano, no? Però mi fa piacere che vi siate
divisi. Almeno so per
certo con chi sto parlando”.
“Non
credo ti servirà.
Io me ne vado!”.
“A
quale scopo?”.
“Non
è questo il mio
posto”.
“Nessun
posto sarà mai
il tuo posto. Non troverai mai quel che cerchi perché
è da quando ti conosco
che non fai altro che cercare e guardare oltre a ciò che
già hai. E, guarda un
po’ che ironia, tu ora non hai nulla mentre la
personalità che definivi debole
ha tutto ciò che volevi. Non tenterai di uccidere Saga come
reincarnazione di
Athena?”.
“Lui
è potente. È in
grado di gestire le guerre, a differenza di quella mocciosa dai capelli
viola
che ho sopportato anni addietro e che, sì lo ammetto, ho
tentato di uccidere”.
“Non
fa differenza.
Ovunque andrai, non potrai mai essere felice. Ti conosco. È
altro ciò che ti
manca. Qualcosa che non puoi ottenere con le tue sole forze”.
“Ma
tu che ne sai? E
poi, che ti importa? Mi odi, giusto?”.
“Io,
te lo ripeto, ti
conosco”.
“Dì
quello che ti
pare. Immagino che tu abbia trovato la tua felicità, e son
contento per te.
Ora, madame, vogliate scusarmi ma non intendo restare ancora”.
“Ti
auguro di trovare
la pace”.
“Grazie,
ma non voglio
morire”.
“Tu
sei solo. Ti senti
solo in un gruppo di cavalieri. Come si fa a sentirsi soli quando si
è
circondati dalla gente? È questo quello che provi. Lo hai
sempre provato. E
cerchi di riempire questa sensazione prendendo fra le mani il potere.
Così da
darti uno scopo”.
“Donna,
non ho più
quindi anni come l’ultima volta in cui ci siamo visti. Sono
cambiato”.
“Non
credo” mormorò
lei, mentre lui si allontanava in fretta.
“Te
ne vai davvero?”
lo fermò Death Mask “Ed io con chi mi
ubriaco?”.
“Con
chi vuoi.
Prendetevi cura di Saga, non chiedo altro”.
“Ma,
ci verrai a
trovare?”.
“Forse,
fra qualche
tempo. Stammi bene”.
Saga
guardò la scena e
batté il bastone a terra, forse in preda ad un impeto di
rabbia. Si sentiva
abbandonato in un momento difficile, e questo non riusciva molto bene
ad
accettarlo.
“Non
ti facevo così
vigliacco, Arles” disse, a denti stretti.
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Capitolo 4 *** IV- desideri ***
IV
DESIDERI
“Hei,
cavaliere!”.
Era
notte ormai e
Death Mask non si aspettava voci nel buio, salvo quelle delle anime
vaganti.
Pensò di aver sentito male, e continuò a
sorseggiare liquore al mapo
direttamente dalla bottiglia.
“Cavaliere!”
disse di
nuovo la voce ed una giovane vestale apparve dall’ombra.
“Buonasera,
dolcezza.
Ti sei persa? Non è ora per te di andare a nanna?”
salutò il cancro.
“Non
trattarmi come
una bambina”.
Death
Mask la osservò.
Interamente vestita di bianco, e quindi vergine, copriva il viso sotto
un velo
sottile.
“Cosa
ci fai qui? Non
è il tuo posto la quarta casa!” tagliò
corto lui.
“Cercavo
un cavaliere.
E l’ho trovato”.
“E
che te ne fai di un
cavaliere?”.
“Voglio
che mi
addestri”.
“PFT!
Torna a casa,
ragazzina!”.
“Non
sono una
ragazzina! Ho ventitre anni!”.
“In
questo caso: sei
troppo vecchia. Il nostro addestramento inizia quando siamo dei
bambini. E poi
non è roba per te, fidati. Torna a cucire, a suonare o a
fare qualsiasi altra cosa
facciano quelle come te”.
“Tu
mi sottovaluti!”.
“Certo
che ti
sottovaluto! Rischi di romperti le unghie. O sporcarti il
vestitino”.
“Oh,
capisco. Hai
paura di poter creare qualche situazione imbarazzante. Dato che io sono
vergine, potrei rimanere sconvolta se stringendomi durante il
combattimento
dovessi eccitarti. Mi spiace”.
Death
Mask rimase per
un attimo a bocca semiaperta, mentre vide chiaramente la vestale
umettarsi il
labbro con la lingua.
“Non
è questo il
problema!” ringhiò “Il problema
è che essere addestrata da un cavaliere non è
una cosa per te. Non è un gioco”.
“Lo
so bene. E sono
pronta”.
“Sei
testarda! E poi è
notte, ho sonno. A quest’ora faccio, di solito, un sacco di
cose che tu non
fai”.
“Come
ad esempio?”.
“Bevo,
fumo e faccio
sesso”.
“Capisco.
Ma io
durante il giorno non posso esserci. Le altre vestali non
approverebbero”.
“E
hanno ragione.
Poi…come sei arrivata qui?”.
“Nelle
altre case non
ho trovato gente. Nessuno mi ha fermata ed ho trovato te, un cavaliere
d’oro
affascinante e sicuro di sé che spero voglia
addestrarmi”.
“Io
non sono l’uomo
più adatto ad addestrare qualcuno”.
“Perché?”.
Death
Mask ghignò. Con
l’intento di spaventarla, evocò un’anima
e la diresse verso la giovane vestale.
La ragazza non si scosse. Guardò affascinata quella luce
azzurra.
“Fai
la dura, eh?
Facciamo così…se riesci a restare nella mia casa
senza lanciare nemmeno un
grido di terrore, allora io sarò il tuo maestro”.
“Ci
sto!”.
Il
cancro sorrise
divertito. La quarta casa, dove viveva, era tappezzata di maschere
mortuarie
che incessantemente si lamentavano ed urlavano il loro dolore. Uno
spettacolo
raccapricciante e spaventoso.
La
precedette lungo le
poche scale che mancavano all’ingresso e poi si
fermò alla porta.
“Prego”
le disse,
invitandola ad entrare.
La
vestale non esitò e
passò la soglia. Si ritrovò al buio.
Sentì dei lamenti.
“C’è
qualcuno?”
domandò.
Una
mano gelida la
sfiorò. Si girò e vide molte anime erranti. Non
conoscendola, si fecero
aggressive. Lei rimase immobile. Le anime fluttuarono lungo le pareti,
illuminando i volti dei morti. E lei gridò. Ma non di paura.
“OH,
DEI!! Tu vivi
qui?! Ma è…fighissimo!”.
Death
Mask entrò.
Pensava di non aver sentito bene.
“Tu
hai ucciso tutte
queste persone?” domandò lei.
“Sì.
E queste sono le
loro anime”.
“È
strano. Ma non mi
spaventa. E mi piace”.
“Non
ti spavento
neanche dicendoti che posso trascinarti nel mondo dei morti?”.
“A
vedere anime
erranti che gemono? Divertente”.
“Ma
che razza di
vestale sei?!”
“Tu
abiti qui?”.
“I
miei appartamenti
sono su un braccio della croce che forma questa casa”.
“Vivi
tra le anime,
hai controllo sui morti. Tu puoi separare il corpo
dall’anima! Tutto questo
è…favoloso!”.
“Non
l’ho mai sentito
definire così”.
“Scherzi?!
Il tuo
potere è straordinario”.
“Tutti
i cavalieri
hanno delle capacità particolari”.
“Ma
a me piacciono le
tue. Allora…sono stata brava? Non ho urlato. Diventerai il
mio maestro?”.
“E
va bene. Domani
torna qui dopo il tramonto ed iniziamo. Non meravigliarti,
però, se dopo poco
tempo cambierai idea. I miei addestramenti non sono delicati”.
“Non
vedo l’ora”.
“E
come farai con il
vestito? Con quello non è facile muoversi”.
“Ci
sono nata in
questo vestito. Vedrai che saprò anche
combatterci”.
“Un’ultima
cosa. Come
ti chiami?”.
“Ariadne.
E tu?”.
“Tutti
mi chiamano
Death Mask”.
“Ed
ho capito il
perché. Va bene, Death, a domani”.
“Non
fare sogni
erotici su di me stanotte, piccola!”.
“Nemmeno
tu!”.
“Ma
perché la cosa ti
fa arrabbiare tanto?” domandò Camus.
Il
cavaliere
dell’undicesima casa osservava Saga che camminava
nervosamente su e giù lungo
il salone della tredicesima, sbattendo lo scettro di Athena a caso.
“Non
sono arrabbiato”
ringhiò la nuova reincarnazione della dea.
“A
me pare di sì”.
“Senti…io
ti ho
convocato qui per aiutarmi a stare calmo. Così non mi
servi!”.
“È
che non capisco
quale sia il problema. Arles è andato via…e
allora?”.
“Siamo
nel bel mezzo
di una guerra contro ignoti e lui se ne va. Rischiamo la vita, abbiamo
bisogno
di guerrieri, e lui si fa le scampagnate non so dove!”.
“Lui
non ha più
un’armatura. Se avesse combattuto, avremmo dovuto
proteggerlo. Sarebbe stato un
problema, più che una risorsa”.
“Tu
non capisci!”.
“E
allora spiegami”.
Saga
si sforzò di
respirare con calma. Guardò lo scettro che teneva fra le
mani e sospirò.
“La
verità…” iniziò a
spiegare “…è che non credo di essere in
grado di affrontare tutto questo da
solo”.
“Non
sei solo. Ci siamo
noi”.
“Io
non posso essere
la reincarnazione di Athena! È la cosa più
ridicola che…”.
“Però
è così. Lo sei.
E prima lo accetti, meglio è. Per tutti”.
“Non
so se ne sarò mai
capace”.
Camus
si avvicinò a
passo convinto verso Saga. Senza esitare lo afferrò per le
spalle e lo guardò
dritto negli occhi, leggermente accigliato.
“Arles
non aveva
ragione di restare qui. Tu ora hai un ruolo importante e lo devi
svolgere con
saggezza e impegno. Lascia alle spalle il passato!”.
“Oh,
Camus! Io ti
invidio. Sei sempre così freddo, distaccato e
razionale”.
“Non
sono sempre così.
Così come tu non sei sempre preso da attacchi di
panico”.
Saga
guardò il
cavaliere dell’acquario. Aveva ragione! Si doveva riprendere!
Era furioso,
perché non sopportava di essere stato abbandonato da Arles
in un momento così
delicato, ma non poteva farsi sopraffare dall’ansia e dalla
paura. Specie ora
che incarnava una divinità!
“Hai
ragione! E per
prima cosa devo riuscire a scoprire chi sono i nostri nemici”
parlò, convinto.
“Giusto.
Conoscerli ci
aiuterà a combatterli”.
“Non
voglio che
qualcuno soffra ancora a causa delle guerre fra
divinità”.
“Oh,
no!
Sentimentalismi di Athena! Evitali, per favore! Sono la cosa
più inutile che
possiede quella dea! Sii te stesso e non farti vincere dai piagnucolii
dell’animo di quella donna”.
“Già.
Forse è meglio”.
Doveva
restare calmo,
credere nel proprio potere ed in quello dei suoi cavalieri. Non farsi
rapire o
sottomettere come faceva sempre l’Athena che aveva servito e
fare tutto il
possibile per riportare la pace.
“Bene!”
esclamò “E
ora…”.
Un
forte boato scosse
la tredicesima. Iniziava un altro attacco.
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Capitolo 5 *** V- secondo attacco ***
V
SECONDO
ATTACCO
Camus
richiamò la sua
armatura e assieme a Saga uscì dalla tredicesima. Da
lì videro un gruppo di
soldati fluttuanti, avvolti da luce verde. Erano fermi e fissavano i
cavalieri.
“Ave,
Dea Athena”
scandirono “Siamo qui per proporvi un accordo”.
“Che
genere di
accordo?” rispose Saga.
“Vi
ordiniamo di farvi
da parte. È tempo che la Terra e gli esseri umani passino
sotto altre divine
mani”.
“Io
non governo il
mondo!”.
“Voi,
Athena, assieme
agli altri Dei di nuova generazione, avete in mano il globo. Lo state
gestendo
in modo pessimo. È giunto il momento di ricominciare da
capo”.
“Nuova
generazione?!
Ma di che parli?!”.
“Figli
e discendenti
di quel mandrillo di Zeus. Ecco di che parliamo. Noi rappresentiamo la
Grande
Madre Gaia e combattiamo in nome delle primigenie creature nate dal
Caos e i
loro primi discendenti. Questo mondo è malato. Se vi farete
da parte senza fare
storie, risparmieremo la vita di coloro che vi servono”.
“Dovrei
lasciarvi distruggere
il mondo solo perché un branco di vecchi è geloso
del fatto di aver perso il
controllo totale che aveva un tempo?! Ma scherziamo?!”.
“Se
non siete disposta
ad arrendervi, Athena, allora attaccheremo”.
“Innanzitutto,
non
trattarmi come una donnicciola viziata. In secondo luogo, io non
combatto con
le mezze calzette. Dove sono le divinità che servite? Non
hanno il coraggio di
mostrarsi? O ci sottovalutano, mandando avanti i soldati
semplici?”.
“Le
nostre divinità,
assieme ai loro generali, non hanno tempo da perdere con voi”.
“In
questo caso,
nemmeno noi abbiamo tempo per loro!!”.
“Vi
faremo
estinguere”.
“Vi
faremo piangere!”.
Camus
guardò un po’
storto il suo collega. Perché faceva tanto lo sbruffone?! I
nemici erano molti
più del previsto, e loro non erano che una manciata di
cavalieri!
“Atterrate!”
gridò
Aiolos, scoccando la sua freccia d’oro e colpendo in pieno
petto uno dei
guerrieri.
“Sì,
venite giù!”
sorrise Milo, scagliando Scarlet Needle.
Saga,
come promesso,
non combatté contro quegli intrusi. Alzando lo scettro,
impedì ai suoi nemici
di accidentalmente ferire o coinvolgere civili. Poi corse verso le
dimore delle
vestali.
“Cosa
succede?” si
affrettò a chiedere Vesta.
“Restate
dentro, al
sicuro, qualsiasi cosa accada. Non abbiate timore, vi proteggiamo
noi”.
Ariadne
si affacciò.
Vide il suo nuovo maestro attaccare un paio di invasori. Si
sentì inutile.
Doveva iniziare l’addestramento il prima possibile!
Ioria
lanciava colpi a
raffica, riempiendo il cielo dell’assordante rompo del tuono.
I nemici stavano
cadendo, uno dietro l’altro. Guardandosi attorno, vide un
uomo legato. Avevano
fatto un prigioniero? Da dove proveniva? Corse fulmineo e lo raggiunse.
Era
debole, seduto con la schiena contro una colonna. Portava una sorta di
maschera
in metallo, liscia, a copertura degli occhi. Il nemico che lo doveva
sorvegliare era cadavere poco più in là.
“Va
tutto bene?”
domandò Ioria.
Non
ricevette
risposta. Sentì, però, il cuore di
quell’uomo battere. Doveva portarlo al
sicuro.
“Milo!
Coprimi!”
gridò, individuando il collega a lui più vicino.
“Perché
proprio io?
Che combini?”.
“Devo
portarlo in
salvo”.
“Non
sai nemmeno chi
è!”.
“Era
prigioniero dei
nostri nemici. Ed è ferito”.
“Ioria
ha ragione”
interruppe Camus “Potrebbe tornarci utile, e darci delle
preziose informazioni
su chi ci attacca. Portalo al riparo!”.
“Bah,
se lo dite voi”
fece spallucce Milo, continuando a lanciare colpi.
“Fidati.
Servirà”
continuò Camus, mentre Ioria si allontanava.
“Visto
che sei qui…”
insistette lo scorpione, sempre attaccando i nemici
“…cosa ci facevi alla
tredicesima?”.
“Ti
sembra il
momento?!” sbottò l’acquario, congelando
gente.
“È
sempre il
momento!”.
“Ma
senti…non sono
affari tuoi! Se Saga vorrà convocare pure te, ti
convocherà! Ha chiesto di me,
ed io ho obbedito. È il mio dovere di cavaliere”.
“Ma
ti ha convocato
per cosa? Non avevi l’armatura!”.
“Sono
affari privati”.
“Affari
privati?!”.
Milo
stava perdendo la
pazienza, e si vedeva da come a casaccio ora lanciasse i colpi. Camus
invece,
come sempre, era fermo e concentrato.
“Non
essere geloso”
parlò l’acquario, dopo un po’.
“Geloso?!
E di
cosa?!”.
“Non
so. Fai tante
storie…”.
“Non
sono geloso!”
ripeté ancora Milo, e si allontanò dal compagno.
La
battaglia non durò
a lungo. I nemici, sconfitti o fuggitivi, non attaccavano
più.
“Non
è stato poi così
difficile” si esaltò Shura.
“Era
solo l’inizio” lo
raffreddò subito l’acquario.
“Vado
a vedere dov’è
Ioria” aggiunse Marin, dirigendosi verso
l’infermeria.
“Ti
senti meglio,
amico?” parlò il leone d’oro, vedendo
che il ferito dava segni di ripresa.
Ioria
tentò di
togliergli la placca in metallo che ne copriva gli occhi ma venne
bloccato.
“Non
lo fare” mormorò
l’uomo “Non te lo consiglio”.
“Chi
sei? Come mai eri
loro prigioniero?”.
“Io
mi chiamo Phobos.
Sono uno dei sommi guerrieri di Ares”.
“Ares?!”.
“Il
nostro tempio non
è ad Atene ma abbiamo già subito
l’attacco diretto delle forze armate di Gaia.
Il suo generale, Ahriman, è un uomo senza alcuna
pietà”.
“Quindi
noi siamo
stati fortunati, in un certo senso”.
“Sì,
qui ha mandato
forze minori. Probabilmente perché sperava di trattare. Da
noi, invece, i nemici
sono giunti convinti di trovare il nostro signore, che però
ancora non si era
risvegliato. Senza un dio fra le file, siamo stati sconfitti ed io
catturato.
Volevano probabilmente usarmi come esca per attirare Ares”.
“Ares
e Athena sono
sempre stati nemici”.
“Sei
un cavaliere di
Athena? Ora abbiamo un nemico in comune. Ti ringrazio per avermi
salvato,
nonostante non sia uno dei tuoi”.
“Sei
nemico dei miei
nemici, quindi per me sei un amico. Mi chiamo Ioria, a
proposito”.
Phobos
tentò di
alzarsi ma non ci riuscì.
“Resta
pure dove sei”
continuò il leone “Non c’è
fretta. Riprenditi e riposa”.
“I
miei compagni
saranno in pensiero. Mio fratello Enyo…”.
“Presto
sarai in grado
di andartene con le tue gambe. Fino a quel momento, inutile correre
rischi.
Inoltre, sono certo che potrai darci un sacco di informazioni. Insieme
lo
sconfiggeremo questo nemico!”.
Il
ferito rimase un
po’ perplesso. Non era abituato a simili gesti
d’altruismo. Non era l’unico
ferito in quella grande sala, ma sapeva di essere probabilmente
l’unico non al
servizio di Athena. Leggermente a disagio, tentò di
rilassarsi. Forse riposare
era la cosa migliore da fare.
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Capitolo 6 *** VI- generali e maestri ***
VI
GENERALI
E MAESTRI
“Non
vedo l’ora di
combattere. È straordinario!” esclamò,
piena di entusiasmo, Ariadne.
“Non
è mica un gioco!”
sbottò Death Mask, accendendosi una sigaretta.
“Lo
so bene! Dico solo
che è fantastico. Tutti voi lo siete. E, un giorno,
sarò anch’io così!”.
“Frena
un attimo,
piccola pazza! Noi siamo cavalieri d’oro! Io ti sto
insegnando a difenderti,
cosa che ti servirà nella vita, ma non puoi pretendere di
divenire mia pari!”.
“Non
trattarmi come
una debole!”.
“Vuoi
diventare
sacerdotessa d’Athena? Benissimo. Rinuncia alla veste ed al
ruolo che hai. Non
puoi essere vestale e guerriera di questo tempio. Devi
scegliere”.
“Sceglierò.
Quando
sarà necessario”.
“Ora
è necessario. Non
posso addestrare un’indecisa!”.
“Ma
non puoi
pretendere che prenda una decisione simile così di
colpo!”.
“Sei
debole, hai
visto? Non sai nemmeno fare una scelta”.
Ariadne
era furiosa.
Quell’uomo non capiva nulla e pretendeva pure di giudicarla!
“Quella
ragazza è
forte, non sottovalutarla” parlò una voce.
D’istinto,
Death Mask
si mise a difesa della sua allieva. Era stato Phobos a parlare. Dopo
qualche
tempo, si era sentito meglio ed era stato in grado di muoversi.
Lentamente,
risaliva le scale delle case, diretto dal gran sacerdote. Alla luce
della luna,
la banda metallica che ne copriva gli occhi brillava in modo
innaturale. Con i
capelli scuri mossi dal vento, il guerriero vestito di rosso si
trovò davanti
il cavaliere del cancro.
“Non
ho intenzione di
creare problemi” parlò.
“Lo
spero bene!” lo
minacciò Death Mask.
“Però,
te lo ripeto,
quella ragazza ha un potere enorme. Non lo percepisci?”.
“Certo
che lo
percepisco. Se no non l’avrei mai accettata come
allieva”.
“Allora
vedi di non
trattarla come un insetto”.
“Non
credo siano
affari tuoi! Gira al largo”.
“Non
te la porto via!”
ghignò Phobos, proseguendo oltre.
Death
Mask ringhiò.
Non staccò gli occhi dal mantello del guerriero di Ares
finché questo non sparì
nella casa del leone.
“Ma
che gente gira per
il santuario?!” si chiese il cancro e Ariadne rise.
“Mi
avete fatto
chiamare, Madre Gaia?”.
Ahriman,
comandante
supremo delle truppe dell’alleanza a cui a capo era stata
posta Gaia, entrò
nella grande stanza verde della sua signora. Lei stava seduta su un
imponente
trono fatto di foglie e rami che si intrecciavano. Fra le mani
stringeva una
coppa, che poggiò sul bracciolo.
“Ben
arrivato, mio
Ahriman dagli occhi smeraldo”.
“Mi
avete convocato.
Cosa c’è?”.
Non
giunse subito la
risposta. Il giovane rimase immobile. Un vento leggero, provocato dalle
ampie
finestre ad arco della stanza, ne muoveva le vesti ed i lunghi capelli.
La dea
si alzò e lui si inginocchiò. Gaia, camminando
lentamente, lo raggiunse. Senza
ancora proferir parola, poggiò il tacco sul ginocchio
sollevato del suo
generale, lasciando che lo spacco della gonna si scostasse.
Allungò la mano,
con le unghie lunghe e dipinte di verde chiaro, accarezzando i capelli
corvini
di lui.
“Oh,
Ahriman”.
Lui
chinò lo sguardo e
lei continuò ad accarezzargli la testa.
“Mio
generale: parla.
Perché non mi hai portato il prigioniero che ti ho chiesto?
E perché ho dovuto
attendere tutti questi giorni prima di avere tue notizie?”.
Il
tono di lei era
solo velatamente di rimprovero. Manteneva una sensualità che
Gaia sapeva bene
di avere.
“Purtroppo
il
prigioniero è andato perduto” rispose lui, senza
sollevare lo sguardo.
“E
come mai?” domandò
ancora lei, raddrizzando la gamba.
“Ho
eseguito gli
ordini, sottovalutando i guerrieri d’Athena”.
“Stai
dando forse
colpa alle mie disposizioni?”.
“No,
certo che no”.
La
dea ordinò al suo
generale di alzarsi.
“Ti
avevo chiesto un
guerriero di Ares” riprese.
“Lo
so. Lo avevamo
catturato ma poi è giunto l’ordine di attaccare il
tempio di Athena.
Quell’ordine non è stato dato a tutti i guerrieri,
ma solo ai soldati semplici.
Uno di essi aveva con sé il prigioniero”.
“Io
ho dato
quell’ordine. Credevo che con Athena si potesse trattare.
Credevo che fosse
debole come praticamente tutte le sue reincarnazioni”.
“Non
lo è. E non lo
sono i suoi guerrieri”.
“Dovevi
riprendere il
prigioniero”.
“Ho
dato priorità ai
miei uomini. Per questo non sono venuto prima qui. Ho aiutato i
feriti”.
“Che
animo nobile”.
Per
un attimo, la dea
diede le spalle al generale. Poi si rigirò e si
avvicinò, poggiando la mano
sulla veste di velluto nero di lui, seguendone con il dito i ricami
verdi.
Ahriman non si mosse. Rimase immobile, in attesa di nuovi ordini.
“Ahriman…presto
sarà
tutto finito. Spazzeremo via quest’umanità che non
ti ha voluto. Perché, te lo
ricordi…vero? Io solo ti ho accolto in questo mondo. Loro ti
odiavano, ti hanno
abbandonato. Nessun’altro ti voleva ma io, Ahriman adorato,
ti ho fatto
crescere forte come un dio. Ricordi questo, vero?”.
“Certo,
Madre Gaia. A
Voi, e soltanto a Voi, devo la mia vita. E sono pronto a giurarvi in
eterno
fedeltà”.
“Bravo,
giura. Saresti
morto appena nato, se non fosse stato per me”.
Le
mani della dea
accarezzavano la veste del generale. Il suo i occhi tentavano di
incrociare
quelli di lui ma il giovane teneva lo sguardo fisso, perso lontano. Lei
allora
ne accarezzò il viso ed accosto le proprie labbra a quelle
di Ahriman, che ebbe
un fremito. Di fronte aveva Gaia, la dea che, nata direttamente dal
Caos,
impersonava la fertilità e la forza della terra. Era una fra
le più belle mai
esistite. E lui, anche se era il più forte fra i guerrieri
di quel regno,
veniva soggiogato da quel potere divino.
“Cosa
c’è, Ahriman?
Hai paura che ti sgridi? Ti perdono ogni errore, tranquillo. La
vittoria sarà
comunque nostra, vedrai”.
Ora
le mani della dea
scendevano gradatamente e il bacio che diete fu molto più
appassionato del
precedente.
“Signora,
siamo in
mezzo ad una guerra” riuscì a dire Ahriman
“Non credo sia il caso di distrarci
così”.
“Distrarci?
Per te è
una distrazione? Piccolo, io sono una dea. Con me, saprai
cos’è il piacere
vero. Qualunque altro uomo ne avrebbe approfittato immediatamente. Tu
no.
Perché? Che problemi hai?”.
“Io
sono il Vostro
generale. Vi ho giurato fedeltà. Ma questo non rientra nel
mio giuramento”.
“Eppure
lo desideri.
Lo vedo”.
“Non
sono degno di
condividere certi momenti con Voi, Madre Gaia”.
“Ansia
da prestazione?
Pensi di non essere all’altezza?”.
“Meritate
un dio, non
un essere impuro, orfano e bastardo come me”.
“I
bastardi sono i
migliori” mormorò lei “O forse non ne
sei capace? Le tue donne si son
lamentate?”.
Punto
sull’orgoglio,
Ahriman guardò dritto negli occhi la dea. Era la prima volta
che ne incrociava
lo sguardo dall’inizio di quel colloquio.
“Così
mi piaci,
Ahriman. Vieni qui”.
“Non
darmi ordini in
questo campo, Gaia” rispose lui, afferrandola saldamente.
Nessuno
poteva giocare
con il suo orgoglio, nemmeno una dea. Nessuno poteva mettere in dubbio
la
potenza di Ahriman! Le vesti leggere e quasi impalpabili di lei si
toglievano
come petali di rosa, lasciandone scoperto il cuore vivo, la carne nuda
di lei.
Gaia, famosa per le sue forme generose, finse pudicizia coprendosi con
le mani.
Lui ghignò, mentre levava la lunga giacca nera e verde.
Sotto di essa, una
grossa cinta in tinta col suo sguardo reggeva i pantaloni coordinati
con la
giacca. Gli stivali li tolse senza nemmeno usare le mani. Con un gesto
deciso, fece
stendere lei a terra, che rabbrividì. Il pavimento era
gelido ma bastò il tocco
di Ahriman per scaldarla. Poteva un mortale farle provare quelle
sensazioni?
Evidentemente sì, perché Ahriman era un orfano
che aveva trovato. Percependone
il cosmo, lo aveva allevato ed addestrato.
“Adesso
ti faccio
vedere io se non sono all’altezza!”
esclamò il generale, ora completamente
nudo.
“Non
vedo l’ora”
mormorò lei.
Gaia
gemette. Era
abituata ad intrattenersi con le divinità e non si aspettava
che quel giovane
mortale potesse farle provare ardente piacere. Ma dovette ricredersi. I
loro
cosmi ed i loro corpi si fondevano e si mescolavano. Lei strinse forte
a sé il
suo sottoposto, mormorandone il nome.
“Oh,
Ahriman!” ansimò
“Tu devi essere solo mio!”.
Il
generale non fece
molto caso a quelle parole e gridò, di dolore e piacere,
quando lei lo morse al
petto con una certa violenza, tanto da farne uscire il sangue. Non si
era mai
sentito così vivo e potente e poco gli importava se quella
pazza aveva attacchi
di vampirismo. Non era mai stato così in estasi,
probabilmente perché mai prima
d’ora aveva avuto l’onore di provare
l’amplesso divino. Sfinito, col cuore che
ancora batteva all’impazzata e la sua energia vitale che
pulsava fuori
controllo, sorrise.
“Allora...”
mormorò
“Sono stato all’altezza?”.
“Assolutamente”
sorrise a sua volta lei, sfiorando con le mani la ferita sul petto di
lui.
“Oh,
sei qui,
finalmente” parlò Saga, vedendo entrare Phobos nei
sui alloggi.
“Sì.
Appena in grado
di camminare, ho voluto parlarle di persona, Dea Athena”.
“Parla,
dunque”.
“I
nostri nemici sono
numerosi. Ma lo sono anche gli alleati”.
“Spiegati”.
“Gli
Dei antichi, i
figli del Caos ed i loro diretti discendenti, vogliono riprendere il
dominio
sui figli di Zeus. Tutti i figli di Zeus sono in pericolo. Alleandovi
fra voi,
riuscirete a…”.
“Alleandoci
fra noi?
Intendi allearci con Poseidone, Hade, Ares e tutti gli altri Dei che
non fanno
che altro che desiderare la mia testa?!”.
“Adesso
è diverso.
Siete in pericolo e se non vi alleate rischiate di perdere il dominio
ed i
poteri. È questo che volete? Non credo. Sono certo che
saprete mettere da parte
le beghe familiari per un bene superiore”.
“Io
lo faccio per
aiutare il mondo e la sua gente”.
“Ed
altri lo faranno
per puro rendiconto personale. Ma lo faranno. Risponderanno al Vostro
richiamo”.
“E
se non lo faranno?
Se si presenteranno qui come nemici?”.
“Non
sono sciocchi. Ci
tengono alla loro egemonia”.
Saga
annuì. Strinse lo
scettro di Athena fra le mani e si recò sotto la statua
raffigurante la dea.
Alzò entrambe le braccia al cielo e la statua di Nike si
illuminò per qualche
istante. Aveva lanciato il suo segnale, rivolto a tutti gli Dei figli
di Zeus.
“Speriamo
bene” disse
piano, mentre Phobos sorrideva perché convinto fosse la cosa
giusta.
“Presto
giungeranno
molti Dei, vedrete” parlò.
“Mi
auguro non con
intenzioni bellicose nei miei confronti, perché sono pronto
a riempirli di
bastonate, lo giuro!” si affrettò a dire Saga.
Ahriman
uscì dal
grande salone dove lo aveva accolto Gaia e si diresse verso le sue
stanze.
“Attento,
ragazzino”
si sentì dire.
Un’ombra
nera aveva
parlato. Erebo, signore del buio.
“Attento
a cosa?”
sbottò, altezzoso, il generale.
“Gli
amanti di Gaia
non fanno mai una bella fine. Non la conosci la storia di
Urano?”.
Ahriman
non rispose.
Scosse la testa in segno di disprezzo e si allontanò,
dicendosi che quella di
Erebo era solo invidia.
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Capitolo 7 *** VII- legami ***
VII
LEGAMI
Saga
stava dando dei
pezzettini di biscotto alla civetta che ultimamente lo seguiva sempre.
Seduto
al tavolo assieme a quasi tutti i suoi cavalieri, aveva appena spiegato
loro il
perché del richiamo rivolto alle divinità.
“Quindi…mi
stai
dicendo che presto verremo invasi da Dei che un tempo ci erano nemici e
che
potrebbero esserlo ancora?!” storse il naso Milo.
“Milo,
calmati!” lo
zittì Camus “Ha fatto la scelta più
giusta”.
“Sei
impazzito?! Voi
due non me la raccontate giusta” si offese lo scorpione.
“Devi
fidarti. È pur
sempre la reincarnazione di Athena” sorrise Aiolos
“Io mi fido!”.
“Sempre
se stia
ascoltando la voce di Athena, e non quella della propria
testa” parlò,
scettico, Shaka.
“In
una situazione
così critica, fare discorsi del genere è
controproducente!” furono le parole di
Shura.
“Tanto
tu lo hai
sempre servito, anche quando era traditore” lo
zittì il cavaliere indiano.
“Finitela!
O vi faccio
cavare gli occhi dalla mia civetta!” sbottò Saga,
serio.
La
tavolata si zittì.
E Saga scoppiò a ridere. “Scherzavo!”
disse “Come siete suscettibili!”.
“Death
Mask, passami
il latte” domandò Aphrodite, cambiando argomento.
Il
cavaliere del
cancro non si mosse.
“Death!
Ci sei?” gridò
Pesci e l’interpellato si scosse.
“Che
c’è?” domandò,
come sceso dalle nuvole.
“Sei
rincoglionito di
brutto la mattina ultimamente, eh?” lo schernì il
collega “Chissà che combini
la notte nelle tue stanze, porcello!”.
“Sei
invidioso,
Aphro?” ghignò Death Mask.
“No.
Fidati che pure
io ho molto da fare la notte” fece l’occhiolino
Pesci.
“A
chi lo dici!” si
unì Milo.
“E
con chi?” lo
schernì Camus “Non ci sono femmine al
santuario”.
“Difatti
me le porto
da fuori, ciccino!”.
“Parli
di donne, non
di pizze!”.
“Dai,
basta con questi
discorsi. Non sapete discutere di altro?” interruppe Saga,
accarezzando la
civetta.
“Oh,
andiamo! Sono
argomenti da uomini! Noi e Arles…”
iniziò Death Mask.
“Io
non sono Arles”
scandì bene Saga. E scese il silenzio.
Le
vestali, nel loro
angolo, ridacchiavano parlando fra loro. Ioria salutò con la
mano Ninive, che
rispose con un cenno del capo.
“Una
cosa non ho mai
capito…” riprese a parlare Milo dopo un
po’ “Tu, Saga, hai preso fra le mani il
fuoco di Hestia, Vesta, che non dovrebbe essere toccato da mani impure.
Vale
anche se sei puro a metà?”.
“Non
capisco la tua
domanda, scusa”.
“Hestia,
o Vesta, è
vergine. Così come tutte le sacerdotesse che si occupano del
suo fuoco. Ora…lo
sappiamo tutti che Athena è una dea vergine. Però
tu…”.
“Io,
cosa?”
“Tu
non lo sei. Però
il fuoco lo hai toccato lo stesso e non ha subito conseguenze. Era
perché in te
c’è la vergine Athena oppure perché
è tutta una leggenda metropolitana quella
che solo le vergini ci possono stare vicino?”.
“Non
è una leggenda
metropolitana. Se tu lo toccassi, quel fuoco, probabilmente bruceresti
vivo”.
Milo
sorrise. Era
felice che tutto il santuario sapesse che aveva avuto a che fare con
molte
donne!
“Certo
che…” riprese
“che noia dev’essere! Fare la sacerdotessa vergine,
intendo. Non sanno quello
che si perdono, vero ragazzi?”.
“Non
per tutti la vita
ruota attorno al sesso, al cibo e…”
iniziò Saga.
“Ti
do ragione” si
aggiunse Shaka “Però lo dobbiamo
ammettere…se passa una bella fanciulla,
nessuno di noi dice di no”.
“Mi
stupisco di te. Ma
adesso basta con questi discorsi. Non credete
che…”.
Saga
si interruppe.
Non sapeva che altro dire. Sospirò, grattando il becco alla
civetta con gesto
affettuoso.
“Smettila,
Milo!” rise
Ioria “Non lo tormentare! Cosa vuoi sapere?! Se è
vergine?! Certo che no!”.
“E
anche se così
fosse, che problema ci sarebbe?! Razza di micio fulminato!”
si innervosì Saga.
“Micio
fulminato sarà
tua sorella!”.
“Lode
agli Dei, non ne
ho!”.
“Ma…mi
prendi per il culo?”.
“No.
Ma non credo
siano affari vostri!”.
“No,
non lo sono.
Però…” parlò Shaka,
trattenendo una risatina “…ora sappiamo
perché Athena ha
scelto proprio te. Noi siamo tutti dei veri maiali, rispetto a quel che
sei tu”.
“Era
Arles quello che
si circondava di ancelle, non io. E comunque, ripeto, non sono affari
vostri!”.
“Amico
mio, devi
recuperare gli anni persi!” scosse la testa Death Mask.
“Io
sto cercando di
parlare della guerra e di ciò che ci aspetta! Possiamo
concentrarci?!”.
“E
come faccio a concentrarmi,
dopo aver scoperto una cosa del genere?” sorrise Milo.
Saga
si alzò,
piuttosto scocciato.
“Hei!
Dove vai? Stavo
scherzando!” cercò di fermarlo lo scorpione.
“Voi
state pure qui a
divertirvi, io ho una guerra da pianificare”.
“Non
fare il capriccioso!
Torna qui! Ti offro una birra!”.
“Non
la voglio una
birra alle sette di mattina! E comunque fate quel che vi pare.
Divertitevi,
sbronzatevi, andate a puttane. Avete ragione. Voi vi godete la vita. Io
no”.
“No,
dai! Aspetta!”.
Death
Mask tentò di
inseguire Saga, che però lo fulminò con lo
sguardo e si allontanò dalla sala.
Uscì all’aperto e chiuse gli occhi. Il sole gli
scaldava il volto e la veste e
si sentì subito più rilassato.
“Buongiorno,
Athena”
si sentì salutare.
Riaprì
gli occhi e
vide Vesta davanti a lui. Preferiva chiamarla Hestia, come facevano i
greci, ma
lei si presentava sempre come Vesta e la cosa un po’ lo
confondeva.
“Buongiorno”
rispose,
senza usare alcun nome.
“Avete
già fatto
colazione?” domandò lei.
“Veramente…non
ho
molto appetito. E dammi del tu, per favore”.
“Va
bene. Ma in questo
caso ti chiamerò Saga, perché non riesco a dare
del tu ad Athena”.
“Come
preferisci”.
“Nemmeno
tu hai
appetito? Ti capisco benissimo. Però mi devo sforzare. Devo
mostrarmi forte,
davanti alle mie sacerdotesse. O cadranno nello sconforto”.
“Siete
spaventate
dalla battaglia? Posso comprenderlo. Non siete guerriere”.
“Sono
preoccupata.
Madre Gaia è l’essenza stessa della vita del
mondo. Come si può sconfiggere? Ed
assieme a lei ci saranno molti altri guerrieri fortissimi,
divinità antiche e
temute”.
“Non
dovete avere
alcuna paura perché io ed i miei cavalieri vi difenderemo. E
vinceremo questa
guerra. Lo posso promettere”.
“Sembri
molto sicuro
di te”.
“Lo
devo essere”.
“Immagino
che fra voi
cavalieri sappiate darvi forza”.
Saga
preferì non
rispondere.
“Mi
piacerebbe
ricevere sempre qualche parola di incoraggiamento quando ne ho
bisogno” riprese
lei “ma non posso mostrarmi debole. Devo essere una guida,
per le mie
sacerdotesse”.
“Forse
un modo c’è.
Vieni con me”.
Saga
la condusse fino
alla prima casa, dove le disse di attenderlo all’entrata.
“Mur!
Ci sei?” chiamò,
e il cavaliere dell’Ariete rispose.
Era
intento a riparare
un paio d’armature, dopo l’ultimo scontro.
“Lavoraccio?”
domandò
Saga.
“Sì,
lavoraccio. E sono
stufo di dissanguarmi”.
“Ti
aiuto”.
Usando
uno degli
strumenti di Mur, Saga si procurò una piccola ferita. Alcune
gocce di sangue
divino bagnarono le vestigia, riparandole.
“Ma…”
iniziò l’ariete.
“Sarà
un nostro
segreto. Ho un favore da chiederti”.
“Prima
devo chiederti io
una cosa. Hai visto Kiki?”.
“No,
perché?”.
“Non
lo vedo da ieri
sera”.
“Ha
diciassette anni.
Sarà andato a far festa da qualche parte”.
“Ok.
Ho capito. Tornando
a noi…che posso fare per te?”.
“Ora
ti spiego…”.
Dopo
non molto tempo,
Saga riapparve e sorrise a colei che si ostinava a chiamare Hestia.
“Questo
è per te” le
disse, porgendole la mano chiusa.
Lei
protese la sua e
vi ci trovò poggiato un piccolo campanello d’oro,
sorretto da una sottilissima
catena. Lei lo prese fra le dita e lo fece tintinnare. Aveva un suono
lieve e
armonioso.
“Ogni
volta che avrai
paura, suonalo. E mi sentirai vicino”.
Vesta
chiuse gli occhi
e lo suonò ancora. Era vero. Al vibrare della campanella, il
suo cosmo veniva
come rincuorato da un tocco esterno: il cosmo di Athena.
“Sei
davvero
dolcissimo” sorrise lei.
Lui
vide il suo
sorriso, unica parte del viso scoperta sotto il velo bianco, e ne fu
felice.
Poi lei si passò una mano fra i ciuffi biondi e strinse fra
due dita un unico
capello color dell’oro. Lo legò, con un piccolo
fiocco, al polso di Saga.
“Io
sono la dea che,
fra le altre cose, protegge la famiglia. Con questo gesto, spero di
fare in
modo che ciò che consideri la tua famiglia ti resti accanto.
Che sia essa
composta da tuoi parenti o tuoi amici. Perché avere qualcuno
accanto è
importante, e spero che tu ce l’abbia”.
Saga
arrossì
debolmente. Vesta si congedò, con un piccolo inchino,
andando a raggiungere le
sue sacerdotesse. Lui fissò quell’unico capello
oro che brillava alla luce del
sole. Non si era mai sentito definire “dolcissimo”
e la cosa lo fece quasi
ridere. Poi ripensò a quella frase sulla famiglia e chiuse
il pugno.
“Stupido
Arles”
borbottò “Stupido! Stupido Arles!”.
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Capitolo 8 *** VIII- famiglia ***
VIII
FAMIGLIA
“Cosa
borbotti?”
sorrise Mur, uscendo dalla sua casa ed affiancando Saga.
“Niente
di che. Ma c’è
una cosa di cui volevo discutere con te”.
“E
sarebbe?”.
“La
mia armatura
divina. Come dovrei usarla, secondo te?”.
“In
effetti…l’armatura
di Athena non mi sembra proprio adatta al tuo fisico. Ma non ti devi
preoccupare.
Le armature si adattano, specie quelle divine. Sono abituate a diverse
reincarnazioni”.
“Athena
si è sempre
reincarnata in corpo di donna”.
“Dovresti
chiedere a
chi per primo le ha forgiate”.
“Efesto?”.
“Probabile”.
Un
soffio anormale di
vento fece allarmare Saga. Guardò in alto, di scatto.
“Indossa
l’armatura”
ordinò a Mur, mentre scendeva il buio nonostante fosse
mattino.
I
cavalieri,
percependo qualcosa, si affrettarono ad uscire con indosso le loro
vestigia.
“Che
succede?” domandò
Hestia.
“Marin!”
chiamò Saga
“Porta al sicuro le vestali e tutti i civili protetti da
questo tempio. Mi
raccomando! Non voglio che scorra sangue innocente su questo sacro
terreno”.
“Mi
pare di
conoscerli” commentò Ioria, quando i nemici
iniziarono ad apparire.
Oltre
ad una
moltitudine di guerrieri alati, questa volta fra gli avversari
figuravano degli
Dei.
“I
titani? Ma non li
avevamo già ammazzati?!” sbottò Shura.
“Così
ricordavo. Ma si
vede che non gli è bastato. Deve averli richiamati in vita
Gaia” sorrise il
leone “Poco male! Se li abbiamo battuti quando eravamo dei
ragazzini,
figuratevi se non ci riusciamo adesso che siamo uomini
fatti!”.
“Non
sottovalutarli,
fratello” lo ammonì Aiolos “Sono
circondati dalle loro truppe”.
Phobos
aveva deciso di
combattere a fianco dei cavalieri di Athena. L’unico ad
indossare l’armatura
rossa e nera dei guerrieri di Ares, per un attimo ebbe il timore di
essere
rimasto il solo rappresentante di quella divinità. Ma non si
perse d’animo e
ringhiò feroce. Era nato per combattere e quindi era pronto
a morire in essa.
Gli avversari avanzavano, fra il cielo coperto dalla moltitudine di ali
dei
guerrieri in verde.
Ahriman,
generale
supremo di Gaia, osservava l’avanzata da un posto
privilegiato, volando
leggermente più in alto. Si posò su
un’altura. Aveva studiato bene il
territorio e sapeva come agire.
“Briareo!
Gige!
Kotto!” chiamò, e tre giganti dalle molte teste e
molte braccia apparvero
dall’oscurità.
“Agli
ordini del
generale di Gaia” risposero, in coro, i tre Ecatonchiri.
“Non
abbiate pietà
alcuna. Distruggete ogni cosa. Schiacciate questi esseri e la loro
divinità!”.
“A
quelli penso io!”
sorrise Shura, vedendo arrivare i giganti.
“Sei
sicuro?” domandò
Aphrodite.
“Assolutamente!
Excalibur freme ed ha bisogno di divertirsi un pochino”.
“Come
ti capisco”
sorrise pesci, facendo apparire una rosa rossa.
“Krono.
Quello lo hai
già affrontato quando…”
iniziò Mur.
“Quando
Arles mi
dominava?” lo interruppe subito Saga.
“Ma
fa lo stesso. Io
spero solo che Kiki non si trovi in mezzo a tutto questo casino e sia a
dormire
a casa di qualche suo amico”.
“O
amica”.
“Come?!”.
“Niente.
Andiamo”.
“Dove
sono i ciclopi?
Voglio che circondiate questi piccoli moscerini, avanti!”
gridò Ahriman.
Udendo
il suo ordine,
i tre esseri ringhiarono. Erano Bronte, Sterope e Arge ovvero il tuono,
il
lampo e il fulmine. Armati con lunghi e grossi bastoni, squassavano la
terra
creando vibrazioni simili ad un terremoto.
Al
loro battere, tuoni
e fulmini apparirono in cielo. Ioria sorrise. Nessuno poteva batterlo a
suon di
fulmini!
I
tre Ecatonchiri
correvano veloci verso il piccolo esercito di Athena ma
l’Excalibur arrestò la
loro furia. Feriti, gridarono di rabbia.
“Taglierò
ad ognuno le
cento braccia!” sfidò Shura, lasciando ancora che
il suo braccio colpisse.
“Ed
io vi farò vedere
come si fanno per davvero i fulmini!” tuonò Ioria,
lanciando il lightning
plasma contro i tre ciclopi.
Iperione
e Teia
brillavano. Alle loro spalle, Eos, Elio e Selene, i loro tre figli.
Eos, dea
dell’aurora, volava dinnanzi al carro trainato da cavalli del
fratello Elio.
Selene, circondata da luce argentea, lo affiancava.
“Fermerò
il vostro
avanzare” quasi sermoneggiò Shaka, passando subito
alle maniere forti
spalancando gli occhi azzurri.
Oceano
e Teti,
rappresentanti la fecondità dell’acqua, trovarono
come avversario Camus, che
vide la cosa come una sfida interessante. Oceano era il primogenito fra
i
titani e conosceva bene il suo potere.
Aldebaran
tentò di
fermare l’avanzata di Giapeto e Climene, un titano e la sua
sposa. Doveva
impedir loro di usare il fuoco del loro figlio Prometeo e di
raggiungere il
sacro fuoco di Vesta, che avrebbero usato di certo contro Athena.
“Non
avrò pietà alcuna!”
parlò Rea, rivolta ad Aphrodite “Le piante
obbediscono a me, non a te. Perciò
ti consiglio di desistere con le tue rose”.
“Non
mi faccio
intimorire!” le rispose pesci, richiamando le sue rose
velenose.
L’ariete
di ritrovò
davanti Crio, detto “l’ariete del cielo”.
Intenzionato a far restare un solo
ariete, si preparò ad affrontarlo con una pioggia di stelle.
Ceo,
l’intelligente, e
la sua compagna Febe, si ritrovarono davanti Dohko a fermarli. Il
vecchio
maestro, con l’aspetto da giovane guerriero, ne aveva viste
abbastanza da non
temere di certo i nonni di Apollo e Artemide! I suoi draghi erano
pronti!
Temi
e Mnemosine
camminavano affiancate e furono Death Mask e Shaina a fermarle.
“Dove
credete di
andare, signorine?” sorrise lui.
“Signorine
a chi?”
sorrise, infastidita, Temi. Concentrandosi e mostrando la potenza del
suo
cosmo, fece subito capire che non c’era proprio nulla con cui
scherzare.
Milo
ed Aiolos si
occupavano della moltitudine di guerrieri alati. Grazie ai loro colpi a
distanza, cercavano di abbatterne il più possibile.
“Sono
davvero in
troppi” sbottò Aiolos.
“Tanti,
non troppi” lo
corresse Milo “Noi prevarremo”.
“E
così, eccoci qui di
nuovo, io e te. Ricordo che una volta ci scontrammo, quando ancora eri
poco più
di un ragazzino. Ma ora è diverso. Io sono stato richiamato
da Gaia, non sono
debole come in quel tempo”.
“Nemmeno
io sono come
ricordi”.
“Lo
vedo…Athena!”.
Krono
non poté fare a
meno di farsi scappare una risatina di derisione. Fra le mani stringeva
la
falce con il quale aveva ucciso il padre ed era pronto a fare lo stesso
con
Saga. Ma Saga non aveva alcuna intenzione di farsi uccidere ed evirare
come
Urano quindi richiamò a sé lo scudo di Athena.
Con lo scettro illuminato, fu
lui a lanciare il primo colpo, prendendo alla sprovvista Krono, che
però si
riprese subito.
“Non
sparpagliatevi!
Sono in pochi!” ordinò Ahriman, notando con
orgoglio come i suoi guerrieri
stessero avendo la meglio “Li schiacceremo!”.
Shura
iniziava ad
avere qualche difficoltà. I tre enormi Ecatonchiri, con
cento braccia ciascuno,
parevano non provare alcun dolore anche se gliele stava tagliando una
dietro
l’altra grazie ed Excalibur.
“Ti
aiuto!” si
aggiunse Phobos, togliendo la barra metallica che copriva i suoi occhi.
Lo
sguardo rosso
sangue del guerriero si mostrò, facendo capire
perché il suo nome significasse
“paura”. Solo ad incrociarlo, gli Ecatonchiri si
immobilizzarono, colti da un
terrore a loro sconosciuto. Grazie a questo, Shura non ebbe alcuna
difficoltà a
decapitarli e porre fine alle loro vite.
Ioria
continuava a colpire
i ciclopi, che però nonostante le ferite non mostravano
alcun segno di voler
cedere.
“E
va bene!” parlò il
cavaliere “Vi farò vedere io le vere zanne del
leone!”.
Concentrò
il suo cosmo
al massimo e colpì. Il suo fulmine, potente e luminoso,
partì. Ad esso, però,
se ne aggiunse un altro. Stupito, Ioria si guardò alle
spalle. I ciclopi erano
stati disintegrati ma quel colpo non era stato solo suo! Chi lo aveva
aiutato?
Anche
Camus si trovava
in difficoltà, ma la sua aurora d’un tratto fu
più potente, travolgente. Oceano
e Teti vennero sbalzati all’indietro, scomparendo fra le
acque. Shaka rimase
senza parole quando il suo colpo fu così abbagliante da far
svanire alla vista
Iperione, Teia ed il loro seguito. Uno dopo l’altro, tutti i
cavalieri
compresero che c’era qualcuno che li aiutava. Altri guerrieri
si stavano unendo
alle loro schiere.
“Non
retrocedete!”
gridò Ahriman “Sapete chi dovete colpire per
sottometterli!”.
Saga
udì quella voce
ma non ci fece caso. Lo scontro con Krono non era affatto semplice,
specie in
quel momento in cui non si sentiva ancora in perfetta sintonia con le
proprie capacità
e non riusciva ad usare a pieno i poteri di Athena. Krono
ruotò la falce e Saga
tentò di schivarlo. Senza protezione, se non per lo scudo,
fu ferito di
striscio. Puntò lo scettro e un potente raggio rispose alla
falce. Fra il
fragore della battaglia, un suono di corni sormontò tutto.
Poi un grido. Un
urlo di guerra terrificante si espanse fra le truppe. Che significava?
Phobos
sorrise, mentre guerriere a cavallo stroncavano vite di guerrieri
alati. Ed
anche altre creature alate si unirono alla battaglia.
“I cavalieri alati
di Artemide?” li riconobbe
Saga, notando con gioia che erano amici.
“Non
disperdetevi.
Dove sono gli altri squadroni?” comandò Ahriman.
“Altri
squadroni?!” si
stupì Milo, e pochi istanti dopo molti altri guerrieri in
verde apparvero nel
cielo.
“Ma
quanti sono?!”
commentò Aiolos “Li clonano?!”.
Ahriman
sorrise. Era
bello cogliere il nemico di sorpresa.
“Milo”
mormorò il
sagittario “Quello lassù dev’essere
Ahriman, colui di cui ci ha parlato Phobos.
Se riesco a colpirlo, vedrai che gli avversari subiranno un notevole
freno”.
“Capito.
Che posso
fare?”.
“Distrailo.
Fai
qualcosa che ti
faccia notare”.
Lo
scorpione annuì e
saltò, allontanandosi da Aiolos. Sparò un paio di
Antares con convinzione e poi
guardò con sfida Ahriman.
“Hei,
tu!” gli gridò
“Vieni giù, se hai coraggio!”.
“Credi
che io sia
stupido?” sbottò il generale, tenendo sempre un
occhio sul sagittario.
“No,
credo tu sia un
vigliacco. Comodo stare lassù mentre gli altri si fanno il
culo!”.
Ahriman
si limitò ad
alzare una mano. Una moltitudine di serpenti velenosi apparvero dal
sottosuolo.
“Crei
serpenti?! Ma
che razza di mostro sei?”
Ahriman
non rispose.
Shaina si occupò delle bestie, non temendone il veleno. Il
grido di guerra si
ripeté e il generale d’istinto si voltò
verso quella direzione, cercando di
capire chi lo emettesse. Aiolos approfittò di
quell’unico attimo di distrazione
e scoccò la sua freccia.
“No!”
urlò uno degli
alati, correndo a frapporsi fra la freccia ed il suo signore.
Ahriman
si accorse in
pochi secondi di quel che era successo. Afferrò
l’alato trafitto e lo depose in
terra.
“Heon!”
lo chiamò,
scuotendolo “Amico mio!”.
Non
ricevette
risposta.
“Avanti!
Non puoi
morire! Siamo cresciuti assieme e dobbiamo vincere questa guerra
assieme!
Fratello…”.
Il
giocane ferito morì
senza parlare ed Ahriman strinse i pugni. Alzò il capo,
incrociando lo sguardo
di Aiolos. Ora gli occhi del generale stavano mutando, circondandosi di
rosso.
Gridò d’odio e la sua forza scosse
l’atmosfera, creando una corrente di energia
bruciante.
“Morirete
tutti!”
parlò, con una voce d’un tratto bassa e profonda
in modo anormale.
“Ahriman!”
tuonò una
voce di donna.
Il
generale non
ascoltò, continuando ad accumulare e sprigionare energia.
Non sopportava la
morte di Heon avvenuta in quel modo. Combattendo, lo avrebbe compreso.
Ma non
poteva sopportare che fosse spirato per proteggerlo.
“Ahriman!”
si sentì di
nuovo la voce, questa volta piena di rabbia.
“Madre
Gaia…” parve
calmarsi l’uomo.
“Ritiratevi.
Tornate
qui” ordinò lei.
“Ma…Gaia…”.
“Obbedisci!
Rientrate”.
Ahriman
a fatica si
fermò. Avvolse il corpo di Heon con il mantello che portava
sulle spalle e poi
lo portò via con sé. Così come erano
venuti, i nemici scomparvero, facendo
riapparire il sole.
“Tutto
a posto,
fratello?”.
Saga
era ferito, solo
leggermente, ma quella piccola perdita di sangue non era sfuggita a
Kanon.
“Kanon?”
parlò piano
Saga, come se davanti a sé ci fosse un miraggio.
Kanon
sorrise.
Indossava l’armatura di Poseidone e dietro di sé
portava i sette guerrieri
marini.
“Sei…Poseidone?”.
“E
tu sei Athena. Sai
che la cosa mi stupisce non poco?”.
“A
chi lo dici”.
Guardandosi
attorno, i
cavalieri d’Athena iniziarono a riconoscere varie
divinità. Artemide, Demetra,
Dioniso, Apollo, Hade…
“Avete
risposto al mio
richiamo” sorrise Saga.
“Certo
che sì!”
rispose il più grosso e imponente fra gli Dei: Zeus.
“Avevi
dubbi? Mica
possiamo lasciare che questi vecchi ci soppiantino?”
spiegò Ermes, offrendosi
poi di aiutare a curare i feriti.
“Ma
un po’ ne abbiamo
spazzati già via” commentò Ioria.
“Non
avete ancora
capito con chi avete a che fare. I figli di Urano e Gaia sono forti ma,
fidatevi, la progenie nata direttamente dal Kaos e i figli di Tartaro
possiedono ben altre capacità. Lo so bene”
smorzò il suo entusiasmo Zeus “Ma
insieme non dobbiamo aver timore. Li sconfiggeremo. E sigilleremo Gaia,
la
maledetta che con un cenno starà già facendo
rinascere i Titani”.
“E
perché sigillarla?
Non possiamo ucciderla?” domandò un dio dal
pesante elmo calcato sulla testa.
“Non
si può uccidere
la madre terra, o ciò che rappresenta”.
Il
dio parve capire.
“Phobos!”
esclamò,
invece, notando l’uomo fra
i soldati di
Athena.
“Signore!
Lieto che vi
siate risvegliato” si affrettò a rispondere il
guerriero, inginocchiandosi.
“Sei
vivo. La cosa mi
rallegra. Temevamo ti avessero ucciso”.
“Fortunatamente,
i
cavalieri di Athena mi hanno salvato. Gli altri stanno bene?”.
“Guarda
con i tuoi
occhi”.
Enyo,
gemello di
Phobos, salutò il fratello e lo stesso fece Eris. I tre
massimi sacerdoti di
Ares, ora riuniti, si sorrisero. Alle loro spalle, le guerriere a
cavallo dette
Amazzoni stavano in fila sull’attenti.
“Riposo,
ragazze”
ordinò proprio Ares, togliendosi l’elmo con
l’altissimo pennacchio rosso.
Una
cascata di capelli
neri ne uscì e Saga sobbalzò.
“Arles?”
domandò.
“Ciao”
si limitò a
rispondere l’interessato.
“Arles!
Tu sei…Ares?!
Ti sei allontanato da qui per diventare dio della guerra?!”.
“Hei,
non lo sapevo!
Mi ci sono ritrovato in mezzo come al solito!”.
“Mi
stai mentendo!”.
“Senti,
per quanto mi
esalti combattere, sono stanco e non ho voglia di discutere”.
“Eri
tu che lanciavi
quel terribile urlo di guerra?”.
“Sì.
Non ti piace?”.
“Mi
pare appropriato
al personaggio. E i capelli neri…ti donano”.
“Grazie”.
“Avete
finito di
discutere?!” interruppe Kanon “Che bello, ora ho
ben due fratelli! Però ho una
gran fame. Che ne dite di continuare questa bella chiacchierata al
coperto,
davanti ad una bella tavola imbandita e del buon vino?”.
Nessuno
obbiettò.
“State
tutti bene?”
domandò Ariadne, la prima delle vestali ad uscire allo
scoperto.
“Sì,
tranquilla” le
rispose Death Mask “Solo qualche botta e graffio”.
In
realtà entrambe le
fazioni avevano subito perdite, specie fra i soldati semplici, i
più
vulnerabili. Solo Saga parve rattristarsi per questo, ma dovette
ricordarsi che
quella guerra serviva a salvare il mondo.
“Che
bello vederti!”
esclamò Ninive, correndo ed abbracciando Apollo.
“Ninive!
Che gioia!
Come stai?” sorrise Apollo.
“Come
vuoi che stia?
Siamo in mezzo ad una guerra!”.
I
due iniziarono a
parlare fra loro, felici. Arles storse il naso. Si erano radunati nella
grande
sala dove si ritrovavano per mangiare. Ora la stanza era decisamente
sovraffollata.
“Il
nero ti dona
davvero” commentò Aphrodite “Ti fa
sembrare più giovane”.
“Non
sono mica
vecchio!”.
“Ma
noi ti vogliamo
bene lo stesso! E siamo felice che tu sia tornato!”.
“Ok.
Ma non
abbracciarmi”.
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Capitolo 9 *** IX- riordino ***
IX
RIORDINO
Ahriman
entrò nel
grande salone dove erano ricoverati i feriti. Vedendolo entrare, tutti
si
zittirono, in presenza di un superiore. Lui fece segno di rilassarsi e
si
avvicinò ad uno dei letti, dove un ragazzo sedeva.
“Ti
trovo bene, Alphos.
Presto potrai tornare a combattere” disse.
“Combattere?
No,
grazie” scosse la testa il ferito.
“Come,
prego?”.
“Non
intendo
combattere di nuovo per lei, mi spiace”.
“Ammutinamento?”.
“No,
licenza. Me ne
vado. Non me la sento più”.
“Ma
perché? Cosa ti
spaventa?”.
“Non
c’è qualcosa che
mi spaventa, ma non riesco a combattere per una dea a cui non importa
nulla
della nostra vita”.
“A
Gaia importa della
nostra vita”.
“L’hai
vista la
reincarnazione di Athena? Lei combatteva assieme ai suoi cavalieri.
Perché Gaia
non lo fa? Perché se ne sta chissà dove a
poltrire mentre noi moriamo?”.
“Non
dovresti parlare
di lei così. Dovresti esserle riconoscente”.
“E
di cosa?!”.
“Stai
scherzando,
Alphos?! Lei ci ha salvati, tutti quanti. Ci ha allevati e ci ha resi
forti,
donandoci perfino le ali! Senza di lei, noi saremmo tutti morti da
bambini!”.
“Ci
ha allevati per
questo! Lei aveva previsto la guerra ed ha preparato le sue pedine, le
sue vittime
sacrificali. I suoi pedoni! Ci farà ammazzare tutti e non le
importerà. Per lei
siamo carne inutile da macello”.
“Non
so come certe
parole velenose possano uscirti da quella bocca. Faresti meglio
a…”.
“Tu
dovresti aprire
gli occhi, Ahriman. Nessuno dei bambini che ha scelto quella volta si
è poi
rivelato privo di capacità sfruttabili in battaglia. Ci ha
scelti con cura. E
poi…ha pianto anche solo una lacrima per Heon? O per
chiunque altro? La
risposta è no, e tu lo sai. Queste ali, servono a darci un
vantaggio in guerra
non a donarci la libertà, Ahriman…tu per me sei
un fratello, come lo sei per
tutti quanti noi! Non morire per soddisfare i capricci di una
divinità”.
“Vi
sbagliate” rispose
il generale, notando che più di qualcuno seguiva la linea di
pensiero di Alphos
“Se fosse davvero così, allora vorrebbe dire che
non abbiamo mai contato
niente. Che mai nessuno ci ha ritenuto importanti se non per secondi
fini.
Siamo stati tutti abbandonati, rifiutati dal mondo. Se è
vero ciò che credete,
e cioè che Gaia ci vede come dei giocattoli inutili, allora
possiamo pure
morire sereni perché nessuno verserà lacrime per
noi e nessuno mai sentirà la
nostra mancanza. Ma non è così. In ogni caso,
scenderemo in campo perché, a
quanto pare, siamo nati per questo”.
Detto
questo, si alzò
di scatto e lasciò la sala. Nelle sue stanze,
l’armatura che portava in
battaglia pareva fissarlo. Con l’elmo che ne celava i capelli
ed i lineamenti,
lo faceva effettivamente sentire spersonalizzato, reso un oggetto, una
pedina.
Heon…ricordò di quando erano bambini. Stavano
all’orfanotrofio insieme quando
Gaia li prese. Anche se la dea non li aveva mai trattati come figli,
aveva dato
loro un tetto, del cibo, un’istruzione decente, un
addestramento adeguato alle
loro capacità. Li aveva fatti crescere forti e sicuri di
sé, e loro avevano
capito quando disprezzabile fosse la razza umana. Loro, benedetti dal
sangue di
Gaia, portavano fieri sulla schiena le ali che simboleggiavano il patto
fatto
con lei. Ma ora Heon era morto e fra molti dei feriti serpeggiava il
malcontento e la rabbia. Che stava succedendo?
“Ahriman”
chiamò la
voce di lei.
Il
generale si voltò.
Gaia era lì, bellissima come sempre. Ma con
un’espressione triste. Lui rimase
seduto sul letto, piuttosto stanco.
“Avete
ordini?” domandò
Ahriman.
“No,
come potrei
chiederti di più?”.
Lei
gli andò vicino.
“Gaia…perché
avete
adottato me e gli altri? È vero che lo avete fatto solo
prevedendo questa
guerra e che volevate un piccolo esercito da sacrificare?”.
“Posso
sedermi?”
rispose lei, sempre con lo sguardo triste e dopo un lungo sospiro.
“Prego”
si limitò a
dire lui, senza guardarla.
“Ary,
come ti viene in
mente una cosa tanto cattiva su di me? Come puoi pensare che io ti
abbia
adottato per mandarti a morire?”.
“Perché
non combattete
con noi come fa Athena? E perché non versate una sola
lacrima? Dovremmo essere
come dei figli per te!”.
“Lo
siete! Anche se i
miei veri figli sono altri, voi per me siete tutti speciali. Non vedi
come sono
triste? E sai perché non combatto? Perché sono la
dea della Terra! Non è nelle
mie corde! Ma, lo prometto, nel prossimo scontro ci sarò
anch’io e li
sconfiggeremo. Quei dannati mortali, che ti hanno rifiutato quando eri
bambino,
la pagheranno”.
Ahriman
la guardò. Gli
occhi di lei erano lucidi.
“Ora
è meglio che ti
riposi” aggiunse Gaia, alzandosi “Hai combattuto ma
non è ancora finita. E, nel
caso te ne dimenticassi, tieni a mente una cosa: io sono tutto
ciò che hai.
Siete la mia famiglia”.
Una
volta uscita dalla
camera, Gaia si incamminò lungo il corridoio verde. Sotto il
colonnato,
incrociò Ponto, uno dei suoi figli biologici.
“Qualche
malumore fra
le truppe?” sorrise lui.
“Niente
di cui
preoccuparsi. Ciò che ci preme risolvere è il
fatto che quei piccoli stronzi si
sono alleati”.
“Di
che parli?”.
“Non
te l’hanno detto?
I figli di Zeus ed i loro amichetti si sono alleati”.
“Non
lo sapevo” ammise
l’uomo, dai capelli color del mare e lo sguardo profondo come
l’oceano.
“Nel
prossimo scontro
vi voglio tutti. Figli, fratelli, alleati…tutti pronti. Non
lascerò nelle mani
della progenie di Zeus la vittoria!”.
“Ma
non ho capito:
perché NOI ci dobbiamo trasferire?”
brontolò Shaka, spostando un po’ delle sue
cose dalla sesta casa.
“Ve
lo ripeto” scandì
bene Saga, anch’esso con l’essenziale in una
scatola “Perché non possiamo stare
tutti nel salone di sotto e le case hanno sufficiente spazio per
ospitare un
dio con il suo seguito”.
“E
allora perché non
andiamo tutti alla tredicesima?”.
“Perché
alla
tredicesima ho sistemato Zeus. Gli appartamenti di Athena sono piccoli,
non ci
stareste tutti, perciò ho preferito spostarvi al posto delle
vestali e venire
con voi. Notate bene: potrei starmene spaparanzato nei miei alloggi ma
non lo
faccio, perché voglio fare questo gesto per voi.
Perciò non lamentatevi!”.
“E
le vestali dove le
hai ficcate?”.
“Nella
sesta casa”.
“Che
cosa?!”.
“Shaka,
smettila! Le
ho sistemate lì, perché così possono
stare nei giardini. Lì non incroceranno i
guerrieri che vanno e vengono continuamente e staranno tranquille. E
nella casa
accanto, la settima, ho alloggiato Artemide e le sue dame. Essendo
anche loro
tutte vergini, mi auguro non facciate i dementi”.
“E
tu? Te la senti di
dormire fra noi omaccioni?” ridacchiò Milo.
“Non
ti rispondo,
perché potrei essere scortese”.
“E
nella mia casa chi
hai messo?” insistette lo scorpione.
“Ermes”.
“Quello
che svolazza,
ruba e guarisce?”.
“Esatto”.
“E
nella mia?” si unì
Mur.
Saga
sospirò.
D’improvviso, quella sala dove avrebbe dovuto passare molto
del suo tempo
assieme ai suoi compagni, sembrava troppo piccola. Dopo aver sistemato
delle
coperte e dei cuscini alla bene e meglio, lasciando che materassi e
comodità
fossero presi dagli ospiti, stavano sistemando le loro poche cose
accanto al
posticino dove avrebbero dormito.
“Nella
tua casa”
rispose Saga “Ho messo Efesto, assieme alla moglie Afrodite.
Come attività,
siete affini”.
“Bello.
Potrebbe
insegnarmi qualche trucco!”.
“Prima
che me lo
chiediate: nella seconda ora c’è Dioniso. Se
l’è scelta da solo, dice che è
grande e abbastanza vicina all’entrata, così da
non perdersi se si sbronza.
Nella terza è tornato Arles, Ares, anche se non credo che la
occuperà molto
perché odia questo posto. Che faccia quel che vuole! Io una
casa ai suoi
sottoposti gliel’ho data! Alla quarta sta Hades con
Persefone. Perché? Presto
detto: ha bisogno di un portale per poter parcheggiare 108 specter e
farsi le
gite nel Meikai. Alla quinta ho messo Apollo. Sa quel che succede se
prova a
giocare con qualche vergine! Alla nona vivrà Eolo, che come
sapete viene
chiamato Aiolos quindi immagino abbiate qualcosa in comune. Alla decima
c’è
Pan, il dio a cui è legata la costellazione del capricorno.
L’undicesima, mio
caro Camus, sarà la dimora di mio fratello Kanon e della sua
sposa, assieme
ovviamente ai suoi generali. Infine, alla dodicesima, ho fatto
sistemare
Demetra. La tredicesima, come detto, è di Zeus”.
“Certi
abbinamenti non
li ho capiti” si stizzì Milo, più per
il commento rivolto a Camus che per
altro.
“Ma
dovete sempre
protestare?!”.
“E
tu devi sempre fare
l’antipatico?!”.
“Io?!”.
“Ragazzi,
che palle!”
li zittì Shura “Sono stanco! Piantatela di
battibeccare e state zitti! Ho
bisogno di dormire! Con tutto rispetto…Athena!”.
“Hai
ragione” si calmò
Saga “Meglio per tutti se ci facciamo una dormita. Domani
è un altro giorno”.
“E
di ronda chi c’è?”
volle sapere Camus.
“Vari
cavalieri di
varie divinità. Fra cui un paio dei nostri argento.
Rilassatevi”.
La
compagnia parve
soddisfatta della risposta. Lentamente, si accoccolarono ognuno al
proprio
posto, cercando di prendere sonno.
“Sapete…”
iniziò
Aphrodite “…mi ricorda quando eravamo
bambini”.
“Oddei,
non iniziate a
fare i sentimentali o giuro che vi prendo a sberle tutti quanti. E le
mie
sberle fanno male!” minacciò Shura.
“Cattivo”
protestò
pesci.
Poi
nessuno parlò e si
addormentarono. Però Saga non riusciva a chiudere occhio.
Rimaneva immobile a
fissare il soffitto decorato ad archi e le colonne. D’un
tratto, vide Death
Mask alzarsi. Non si mosse e non fiatò. Non erano affari
suoi quel che faceva
il cavaliere nella vita privata.
Sospirò, mentre fuori Kiki riceveva
l’ennesima sberla da qualche
amazzone con cui tentava approcci espliciti.
“Eccomi,
scusa il
ritardo” salutò Death Mask.
“Credevo
non venissi,
dopo la battaglia ed il cambio casa” rispose Ariadne.
“Mai
saltare un giorno
d’allenamento! Stai migliorando”.
“Davvero?”.
“Certo.
Avanti, prova
ad attaccarmi”.
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Capitolo 10 *** X-allievi ***
X
ALLIEVI
Saga
non aveva
raggiunto gli altri a colazione. Era rimasto nella sala dove dormivano.
Pettinandosi distrattamente i capelli, guardava il sole filtrare dalla
finestra. Sentì la porta aprirsi.
“Era
ora che qualcuno
di voi scansafatiche venisse a riordinare sto porcile”
commentò.
Poi
si voltò e vide
che ad entrare era stata Hestia. Si scusò immediatamente e
lei sorrise
divertita.
“Non
ti avevo ancora
ringraziato per tutto questo. Non era assolutamente necessario farvi
scomodare.
Potevate far restare me e le vestali qui e voi cavalieri sistemarvi
alla sesta
casa”.
“Tanto
Shaka avrebbe
brontolato lo stesso e poi siete nostre ospiti. Non
c’è problema”.
“Siete
tanto gentili.
Guerrieri forti e nobili, come dicono le leggende”.
Un
lieve rumore la
fece sobbalzare.
“Non
è niente” la
rassicurò Saga “Non spaventarti per
così poco. Sarà il vento”.
“Scusa,
hai ragione. È
che sono molto tesa ultimamente”.
In
realtà il rumore
era lo scricchiolio della porta, che Milo aveva iniziato ad aprire. Si
era
subito fermando, notando chi c’era all’interno
della stanza. Ed aveva fatto
cenno agli altri cavalieri di stare fermi in silenzio.
“Da
quando sei così
impiccione?” sussurrò Camus.
“Lo
sono sempre stato.
Zitti e immobili!”.
“Vedrai
che il
soggiorno fra i giardini della sesta casa farà rilassare te
e le tue
sacerdotesse” parlava Saga, e Shaka brontolò.
“È
davvero un posto
incantevole ma…”.
“La
guerra spaventa,
questo è ovvio. Ma in quella casa sarete assolutamente al
sicuro, tutte quante.
A nessuna di voi verrà fatto alcun male e, quando tutto
sarà finito, potrete
tornare al vostro tempio”.
“Io sono in pena
anche per voi. Quanti di voi
guerrieri potrebbero cadere in questa guerra e quanti sono
già caduti? Non è giusto”.
“Alcune
cose stanno
scritte nelle stelle e non ci si può sfuggire”.
“E
se veniste uccisi?
Chi rimarrebbe a guardia di questo sacro tempio? E se Gaia riuscisse
a…”.
“Io
non permetterò che
accada. Proteggerò questo posto per sempre, così
come proteggerò il mondo
e…te!”.
Hestia
sorrise. Ed
abbracciò Saga, mormorando parole di gratitudine. Era
spaventata e si notava.
Lui si lasciò abbracciare qualche istante ma poi si
scostò.
“Hestia…”
iniziò.
“Perché
non mi chiami
Vesta, come fanno tutti?”.
“Perché
è come se tu
mi chiamassi Minerva. Lo detesterei”.
“Oh,
capisco. Allora
ti chiamerò sempre Saga”.
“No,
ti prego. Non lo
fare. Vedimi come Athena, come Athena e basta”.
“Perché?”.
“Hestia,
cerca di
capire. Anche se una dea si è reincarnata in me, io resto
sempre un uomo. E tu
una splendida donna che ha giurato di non legarsi mai. Per quanto forte
possa
essere l’animo di una divinità, parte di me resta
umana”.
“Capisco.
Mi spiace.
Non era mia intenzione arrecarti fastidio”.
“Non
mi dai fastidio!
È solo che…”.
“Ho
capito.
Tranquillo. Meglio che vada. Grazie ancora per la dimora che ci hai
concesso”.
“Aspetta!”.
La
dea salutò ed uscì
dalla sala. I cavalieri fuori dalla porta si nascosero
nell’ombra e la videro
passare. Rientrando, trovarono Saga steso in quello che in quel momento
era il
suo letto. Nessuno parlò. Ognuno raggiunse il suo giaciglio
e finse di non aver
né visto né sentito nulla.
“I
nostri ospiti erano
a far colazione?” domandò Saga.
“Sì.
Il salone era
strapieno. Nessun problema, però ci dobbiamo abituare alla
cosa” rispose Mur.
“Lo
posso capire. Ci
dobbiamo abituare a tante cose”.
Tornò
il silenzio.
Milo era agitato. Si notava che fremeva dalla voglia di spettegolare.
“Senti…”
inaspettatamente aprì bocca Camus, nonostante i segnali di
tacere lanciati dagli
altri “…noi abbiamo visto e sentito un
po’ troppo, forse”.
“Può
capitare. Non
voglio parlarne”.
“Posso
capirlo. Era
per togliere dall’imbarazzo noialtri. Tu sei una
divinità e sono più che certo
che in poco tempo saprai sfruttare al meglio la freddezza ed il
distacco che
solo un dio può avere”.
“Mi
auguro che…”.
“Ma
che stai
dicendo?!” non resistette Milo “Spostati,
ghiacciolo siberiano! Sei l’ultimo
dei presenti che può dare suggerimenti
sull’argomento!”.
“Che
dici?!” provò a
protestare Camus ma lo scorpione non lo fece parlare.
“Qui
non si parla di
freddezza, logica e distacco, razza di orso polare! Qui si parla di
sentimenti,
cosa di cui tu non sai molto”.
“Così
mi offendi!” di
acciglio l’acquario.
“Non
è necessario che
litighiate per…” tentò di calmarli Saga
ma Milo zittì pure lui.
“Ascolta
me, Saga!
Modestamente, sono un esperto di donne e di tutto ciò che
ruota attorno a loro”
riprese lo scorpione, con tono altezzoso da grande esperto.
“Non
ho alcun
problema, Milo. Lasciami in pace” protestò Saga,
senza risultato perché il
cavaliere proseguì con il suo discorso.
Alla
reincarnazione di
Athena restavano solo due opzioni: picchiarlo o ascoltarlo. Non volendo
menar
le mani, rimase in silenzio con le braccia incrociate.
“Si
vede dai tuoi
occhi, Saga” furono le parole di Milo “I tuoi occhi
non mentono ed esprimono
chiaramente i tuoi sentimenti. Tu ami quella donna”.
“È
Hestia, hai
presente?”.
“E
con ciò?”.
“L’ha
voluta perfino
Apollo, e lei l’ha rifiutato”.
“Che
c’entra
Apollo?!?”.
“Scherzi?”
interruppe
Aphrodite “Apollo è il più bel dio in
circolazione. Basta uno sguardo, e tutte
le donne cadono ai suoi piedi. Se si mette a suonare
poi…è finita!”.
“E
questo cosa ha a
che fare con il nostro Saga?!”.
“Niente!”
annuì la
reincarnazione di Athena.
“Ascoltami!
Lei ti
piace, e si vede. Purtroppo per te, lei è votata alla
verginità. Questo non è
bello, lo capisco. Ma non puoi combattere contro i tuoi sentimenti! Non
puoi
reprimerli, come messer Camus suggerisce. L’amore
è come un’ondata di piena.
Non puoi controllarla, ti annulla ogni barlume di
razionalità ed è inutile
resistere. Ti trascina via con la corrente e non sempre lascia qualcosa
di
bello”.
“Così
non mi aiuti”
cercò di allontanarsi Saga ma Milo lo bloccò.
“Non
puoi scappare!
Devi accettare quello che provi. Non sarà facile
e…”.
“Senti,
ho affrontato
la guerra santa! Non saranno i sentimenti a darmi problemi”.
“L’amore
dicono sia
ben più forte di qualsiasi cosa abbia mai fin’ora
affrontato”.
“Stronzate!”
tuonò una
voce familiare.
Arles,
senza alcuna
delicatezza, era piombato nella stanza.
“Che
fate qui,
nullafacenti? Devo ricordarvi io che siamo in mezzo ad una guerra? Non
è il
caso di allenarvi, invece di stare qui a fare i pigiama party come
delle
scolarette sceme?”.
“Ma…”
protestò Shura.
“Ha
ragione” lo zittì
Saga “Allenarsi è la cosa migliore”.
“Specie
per te” ghignò
Arles “Ho visto come combatti. Direi che le tecniche di
Athena non ti sono
proprio chiare, fratellino”.
“Mettiti
nei miei
panni! Io disintegravo galassie e mi ritrovo a dover gestire un potere
nato per
proteggere. L’attacco è qualcosa che non le
piace”.
“Bene.
Allora è il
caso di migliorare”.
“Non
sono in vena di
farmi fare la predica”.
“Muovi
le tue divine
chiappe e vieni fuori!”.
“Non
darmi ordini!”.
“Sai
una cosa? Fai
quello che ti pare! Si vede che per te l’adolescenza non
è mai finita! Spero
che almeno i tuoi cavalieri siano adulti”.
Detto
questo, Arles se
ne andò. Saga digrignò i denti ma rimase fermo
dov’era. Gli altri uscirono,
convinti che effettivamente l’allenamento mattutino non aveva
mai ucciso
nessuno. Solo dopo, Saga si decise a lasciare la stanza, a passo deciso.
Death
Mask, una volta
finito l’allevamento di Ariadne, aveva tentato di rientrare a
dormire ma non
era riuscito a sgattaiolare come voleva e quindi si era appisolato su
un albero
e venne svegliato da grida familiari. Sbadigliò, annoiato.
Non era ancora
mezzogiorno.
“Io
non sono un
adolescente!” tuonò Saga, tirando una bastonata
con lo scettro ad Arles.
“Allora
fai l’uomo!”.
“Non
sono un uomo!
Sono la fottuta dea Athena!”.
“Allora
fai la
divinità! Credi che a me piaccia stare qui? No, mi fa
schifo! Eppure ci sto lo
stesso. E lo faccio perché so che è la cosa
giusta”.
“Beh,
resta al tuo
posto e pensa agli affari tuoi!”.
“Sono
affari miei se
ti fai battere!”.
“Non
mi faccio battere!”.
“Adesso
basta!” alzò
la voce Hestia, rimasta ad ascoltare “Arles! È
evidente che c’è un conflitto
fra l’animo di Athena e quello di Saga. Nulla che non si
possa risolvere. So
che possono convivere splendidamente, ma non è usando la
forza che gli
indicherai la via”.
“Madame”
si inchinò
Arles “Se lo volete, è tutto vostro.
Sarà un allievo eccezionale”.
Ninive,
a fianco della
sua dea, scosse la testa con rimprovero ma non parlò. Il dio
della guerra le
passò accanto, senza fermarsi, e Vesta rimase per qualche
istante ferma. Non
sapeva bene cosa fare ma poi notò lo sguardo triste di Saga
e capì.
“Lascia
ad Ares la
rabbia. Tu sei divinità di guerra, nata già
armata di tutto punto. È questo che
devi ricordare. Athena, nelle varie reincarnazioni, ha dimenticato
forse il suo
lato da guerriera e questo è un problema. Ma tu puoi
risvegliare questa
memoria, Saga!”.
“Athena
non vuole
questa guerra”.
“Nessuno
di noi vuole
questa guerra” intervenne Ninive “Non diventare
come Ares, il cui unico scopo
nella vita è combattere ed uccidere. Athena non è
così. Athena salva, prova un
fortissimo desiderio di protezione. Difende il mondo, difende noi.
È questo che
dovrai fare. Proteggere i tuoi guerrieri e donare loro la forza per
vincere. E,
se si tratterà di attaccare, non tirarsi indietro. Fare
tutto per proteggere e
salvare. Non hai mai provato il desiderio di voler attaccare pur di
impedire
che a qualcuno a te caro venisse fatto del male?”.
Saga
si girò verso
Hestia. Era proprio questo! Lui la vedeva fragile e spaventata.
Abituato
com’era alle guerriere del tempio, aveva completamente perso
la testa per
quella creatura desiderosa di protezione. Sorrise, come illuminato da
una
strana luce nuova.
“Hai
capito, ora?”
parlò Hestia, prendendogli la mano.
Ninive
si allontanò, serena,
lasciandoli da soli. Vide Arles esercitarsi con l’enorme
spada rossa e nera di
Ares e poi proseguì, raggiungendo le sue colleghe vestali.
“Ora
hai compreso?
Quello che provi quando ti sono accanto, lo devi provare per tutti
coloro che
confidano in te e in te si rifugiano. Solo così potrai
sprigionare a pieno la
tua energia”.
Saga
chiuse gli occhi.
Il suo cosmo, ora fuso con quello di Athena, brillava e scorreva
potente come
mai prima d’ora e la sensazione era piacevole.
“Se
poi…” continuò lei
“…lascerai un posto speciale per me, non mi
lamenterò”.
“Ma…”
riaprì gli occhi
Saga “Io credevo…”.
“Si
credono a tante
cose. Anche di aver capito come vivere il resto della propria vita. Ma
non
sempre è così”.
Mano
nella mano,
rimasero poi in silenzio osservando dall’alto la vicina
Atene.
Arles
si esercitava
con la spada. Dopo non molto tempo, notò lo sguardo adorante
di Shura.
“Cosa
c’è?” domandò,
ridacchiando.
“Quella
spada…” iniziò
il capricorno.
“Sì,
cos’ha? Vuoi
provarla?”.
Shura
tentennò,
indeciso sul da farsi, mentre Arles gli porgeva lo spadone. Poi lo
afferrò
saldamente con due mani. Era pesante, molto più di quanto si
aspettasse. Ne
ammirò la lama, specchiandosi in essa. Provò poi
qualche mossa e la restituì al
proprietario.
“Combattiamo!”
esclamò.
“Scherzi?
Shura…io
sono un dio. Non sarebbe uno scontro equo. Se vuoi puoi allenarti con
Phobos.
Anche lui sa usare molto bene le spade e…”.
“No!
La mia Excalibur
ha bisogno di essere temprata come si deve e non lo sarà mai
con avversari miei
pari. Spero tu possa capire”.
“Come
vuoi. Se ti
senti all’altezza, sappi che io sono Ares e non so cosa sia
la pietà!”.
Lo
scontro provocò un
gran rumore e gli Dei ospiti accorsero, allarmati.
“Ma
che fanno?”
domandò Artemide.
“Si
allenano” rispose
Aiolos.
“Ah,
bene. Ottima
idea. Tu…quello che porti con te è un arco!
Perciò credo che dovrai farmi
vedere quello che sai fare”.
Aiolos
rimase qualche
istante fermo, stupito dalla proposta. Poi sorrise, mentre Artemide
estraeva
una freccia dal feretro.
“E
tu, vuoi fare lo stesso?”
fu la domanda che Zeus rivolse a Ioria.
Il
leone strinse i
pugni. Non vedeva l’ora di aumentare il potere dei suoi
fulmini! E Zeus era
l’unico in grado di insegnarli come fare.
Anche
altri guerrieri
trovarono negli Dei ospiti dei degni maestri. Efesto spiegò
a Mur nuove
tecniche per la riparazione delle armature e per il loro potenziamento.
Death
Mask si ritrovò con Hade fra i piedi. L’intento
del dio era potenziarlo ed il
cavaliere non era riuscito a sfuggirgli. Demetra trovava affascinante
il potere
del cavaliere dei Pesci e quindi decise di aiutarlo a migliorare.
Kanon, il dio
Poseidone, non cercò il suo allievo ma fu lui a
raggiungerlo. Camus,
consapevole dell’aiuto ricevuto dal dio in battaglia, voleva
migliorare. Ermes,
svolazzando con i suoi sandali alati, era incuriosito da Milo e lo
seguiva. Lo
scorpione, capendo che era un ottimo allenamento tentare di colpirlo,
ci si
divertiva. Inoltre, Ermes governava la medicina ed era sicuro di poter
rendere
ancora più letale il veleno di quel cavaliere. Shaka
guardava il tutto con un certo
disprezzo, finché la voce di Apollo non risuonò
nella sua mente.
“Il
tuo atteggiamento
provoca più danni che benefici. Devi migliorare”
gli parlò il dio luminoso.
“Come
osi?” si stizzì
Shaka e Apollo sorrise, sapendo come i mortali fossero deboli se punti
nell’orgoglio.
“Io
posso renderti più
veloce” parlò Eolo ad Aldebaran, posandosi sulla
spalla del cavaliere più alto.
Il
toro non trovò
nulla da ridire ed iniziò l’addestramento.
Dohko,
scettico, fissò
gli Dei rimasti senza un all’allievo mortale e
preferì non commentare.
“Qualcosa
non va?”
domandò Dioniso e Pan lo appoggiò annuendo.
“Niente.
È che non
vedo la vostra utilità in questa battaglia”.
Di
tutta risposta, Pan
iniziò a suonare il suo strumento, stordendo il cavaliere
della bilancia che fu
riempito di botte da Dioniso.
“Direi
che anche tu
hai bisogno di migliorare!” commentarono le
divinità.
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Capitolo 11 *** XI- contatto ***
XI
CONTATTO
Era
passato del tempo
dall’ultimo attacco e ormai molti pensavano che il nemico si
fosse dedicato ad
altre attività. Quella sera, subito dopo il tramonto, per il
tempio
echeggiavano canzoni in greco antico. Grazie, o per colpa, di Dioniso.
Eccedendo con l’alcol, molte divinità erano
piuttosto allegre.
“Credevo
non venissi”
sorrise Ariadne, vedendo arrivare Death Mask.
Si
erano dati
appuntamento sulla spiaggia, in un punto isolato fra le rocce, dove
nessuno
poteva disturbarli o spiarli. In lontananza, le luci della
città.
“E
perché non avrei
dovuto?” domandò lui.
“Oggi
Hade ti ha
decisamente torturato con l’addestramento e poi
c’è la festa. Pensavo preferissi
passare il tempo a fare baldoria”.
“Addestrarti
è più
utile”.
“Sai,
maestro…ora so
rispondere alla domanda”.
“Quale
domanda?”.
“Quella
che mi hai
fatto tempo fa, riguardo la strada che devo intraprendere. Ora la so.
Io non
sono una vestale. Sono una sacerdotessa di Athena. Questa è
la realtà”.
“Bene,
sono felice che
finalmente ti sia decisa”.
Lei,
di tutta
risposta, tolse il velo che le copriva il velo. Scosse i capelli,
liberandoli.
Erano ramati e ricci. Sorrise, e Death Mask incrociò i
bellissimi occhi verdi
di lei per la prima volta.
“Sono
certa che la mia
dea comprenderà. E anche le mie sorelle vestali. Non posso
scappare da ciò che
sono nata per essere”.
“Ne
sei assolutamente
certa?”.
“Al
cento per cento”.
Il
velo lo tenne un
po’ fra le mani e poi lo fece portar via dal vento. Rise,
vedendolo sparire
nella notte.
“Maestro…”
parlò, dopo
un po’ “Adesso che ho preso queste decisione, posso
chiederti un bacio?”.
“Hei!
Non sono cose
che si chiedono così alla leggera”.
“Perché?”.
“Perché
è il tuo primo
bacio. Hai aspettato tanto, non voglio che tu lo riceva solo per fare
un
esperimento. Il primo bacio dev’essere dato per
amore”.
“E
come si capisce se
si è innamorati?”.
“Non
è facile da
spiegare…”.
“Provaci”.
“Beh…quando
ci si
innamora…si provano un sacco di nuove sensazioni. Si pensa
costantemente ad una
persona e si è tristi quando questa non ci sta vicino. Si
vuole passare più
tempo possibile con lei e non si riesce ad immaginare la propria vita
senza
e…”.
Death
Mask si fermò.
Non voleva parlare alla vestale di desideri carnali o di altri dettagli.
“Quindi…io
posso
chiederti un bacio comunque” sorrise lei.
“Ariadne…”.
“Non
ho mai provato
una sensazione così. Ed è così bella,
che spero non passi mai. Penso a te ogni
giorno, ogni ora, ogni secondo e…sì, ne sono
certa! Sono innamorata! Però lo
capisco. Se non provi anche tu qualcosa per me, non fa niente. Non
voglio
ricevere un bacio se…”.
Death
Mask la
interruppe, sfiorandole il viso con le mani e baciandola. Non si era
mai
sentito così vicino ad una persona, mai così
affine con un altro vivente.
Lei
abbracciò il suo
maestro, una volta che il loro lungo bacio fu finito. Rise.
“Chissà
cosa direbbero
le mie ex colleghe nel vedermi così. Cosa direbbero le
vestali?”.
“Che
sei fortunata?”.
Lei
rise ancora. Poi
ricominciarono a baciarsi, abbracciandosi forte come spaventati di
poter essere
divisi.
“Maestro…”
domandò
lei, scostandosi per qualche momento “…tu non vuoi
fare l’amore?”.
Death
Mask tossì un
paio di volte, fissandola con aria interrogativa. Certo che voleva fare
l’amore! Lui voleva SEMPRE fare l’amore ma non era
il caso, pensava, con la sua
allieva.
“Non
cercare il
risvolto romantico della cosa” sbottò lei
“Non parliamo di niente di eterno! La
notte è tutta per noi. Scopiamo! Se poi sarà per
sempre o solo per questa
notte, non fa differenza!”.
Con
una rapidità degna
di un cavaliere, Ariadne sganciò le due fibbie che ne
sorreggevano la veste e
mostrò il seno, con aria di sfida.
“Guarda
il mio corpo,
Death Mask. È quello di una donna, ormai. Freme dal
desiderio di essere
toccato, esplorato, amato. Non tirarti indietro, perché
sento di non resistere
più”.
Il
cancro rimase
spiazzato. Deglutì, non sapendo che dire. Non si aspettava
una tale scena da
parte di una vergine vestale, anche se molto particolare come era la
sua
allieva.
“Ary…”
cercò di
parlare.
Cercò
di trovare una
ragione valida per trattenersi ma non ne trovò. Lei era
bella, l’amava e lo
desiderava. Cosa c’era di male? Cosa poteva mai succedere? Di
certo Vesta non
li avrebbe puniti! La strinse a sé e
l’aiutò a togliere del tutto il chitone
candido. Lei, con indosso solo dell’intimo molto poco da
vestale, lo fissò con
curiosità. Come si toglieva un’armatura? Da dove
si iniziava?
“C’è
il trucco” la
capì Death Mask e le mostrò che, con un solo
gesto, poteva far sì che
l’armatura si togliesse e si ricomponesse poco più
in là.
“Bel
trucco” annuì
lei, con ora davanti il suo maestro con solo i pantaloni.
Lui
la baciò ancora e
poi la sollevò fra le braccia, scendendo dallo scoglio dove
si erano
arrampicati per schivare gli schizzi delle onde. Delicatamente, la
stese poco
più in là, dove la sabbia morbida la accolse. Si
fermò a guardarla qualche
istante, illuminata dalla luna. Quella pelle candida, che mai si era
esposta
alla luce diretta del sole, accendeva in lui forti desideri. Il
cavaliere, al
contrario, era ben abbronzato con solo qualche cicatrice a schiarirlo.
Tolse i
pochi indumenti che gli erano rimasti e si chinò su di lei.
Le tolse i piccoli
slip chiedendole quasi il permesso. Notò che lei era un
po’ agitata, o forse a
disagio. Le diede un piccolo bacio e poi le sorrise.
“Vuoi
che vada avanti?
Lo vuoi davvero?” le chiese e lei annuì,
baciandolo ancora.
“La
sabbia mi fa il
solletico” ammise Ariadne.
Lui
riprese a
baciarla, cercando di farla rilassare. Era tesa e se ne stava seduta.
Death
Mask le passò la lingua sul collo ed iniziò a
toccarla, con dita fin troppo
esperte. Lei chiuse gli occhi e si stese.
“Puoi
fermarmi in
qualsiasi momento” le sussurrò il cancro
“Se vuoi che smetta, dillo”.
Lei
non parlò.
Desiderava quell’uomo come non aveva mai desiderato qualcosa
in vita sua e il
modo in cui lui la toccava faceva aumentare sempre più
quella voglia. Ora non
aveva paura. Nessun ripensamento. Solo pazza eccitazione.
Lui
sentiva quel
desiderio. Cercò di essere delicato, ricordando che lei era
alla prima
esperienza. Entrò in lei piano e Ariadne sussultò
provando un leggero fastidio.
“Ti
ho fatto male?”
domandò subito lui.
“Un
po’. Ma non
preoccuparti. Va avanti”.
Lui
le diede ancora un
bacio e poi iniziò piano l’antica danza del sesso
con lei. Ariadne, non molto
esperta, non sapeva bene che cosa fare ma, da quel che notava, Death
Mask lo
sapeva benissimo anche per lei! Quanto le piaceva quella sensazione!
Del tutto
nuova, solo immaginata e mai vissuta, la travolse e la sorprese. Death
Mask
accelerò e lei inarcò la schiena.
“Ariadne!”
sussurrò
lui.
“Death
Mask!” gemette
lei.
“Grida
il mio nome. Il
mio vero nome” continuò lui, accostando la bocca
all’orecchio di lei. “Grida!”
le disse, poi mormorandole come si chiamasse in realtà.
Lei
spalancò gli
occhi, sentendolo, e urlò di piacere.
Le
prime luci
dell’alba, colsero i vari cavalieri di sorpresa.
C’era chi aveva fatto festa e
si era addormentato dove gli era capitato, chi non si era accorto del
tempo che
passava e chi sperava di poltrire ancora un po’. Death Mask
ed Ariadne,
abbracciati, si svegliarono quando la marea si alzò. Il
mare, accarezzando i
piedi dei due, diede il buongiorno.
“È
tardi. Saranno in
pensiero per noi al tempio” si alzò lei.
Con
le vesti umide a
causa delle onde che si infrangevano fra gli scogli, si
rivestì alla bene e
meglio. Death Mask pareva sempre uguale, salvo i capelli un
po’ più spettinati.
“Cerchiamo
di non dare
troppo nell’occhio” le fece l’occhiolino,
cercando di riordinarle i ricci.
Ridacchiarono
ma ben
presto la loro allegria terminò. Solo loro erano in grado di
vedere quei
guerrieri alati, perciò non si stupirono nel notare che
nessuno in città ci
fece caso.
“Ci
attaccano!”
esclamò Death Mask “Presto! Dobbiamo raggiungere
il tempio!”.
Correvano
in fretta,
mentre in cielo apparivano sempre più ali. Stavolta,
però, alle loro spalle
figuravano delle creature dalla forza spaventosa, che andava ben oltre
quella
dei Titani.
“Chi
sono quelli?” domandò
Ariadne.
“I
figli del Kaos e la
loro progenie” spiegò Death Mask, schivando con un
salto una signora che
passava con il cesto del pane.
“Corri,
Ary!”
aggiunse.
I
soldati avevano
oscurato il cielo del grande tempio. I corni di guerra di Ares si
udirono
chiaramente. Era il segnale che la battaglia aveva inizio.
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Capitolo 12 *** XII- eserciti ***
XII
ESERCITI
Ahriman
si ergeva
fiero fra le sue truppe. L’armatura verde cupo, con riccioli
più chiari,
brillava. Spalancò le ali, mostrando che anch’esse
avevano una parte coperta
dalle vestigia. Abbassò la visiera dell’elmo,
fatto a spuntoni che si
rivoltavano all’indietro. Sulle spalle, un mantello scuro.
Davanti a sé,
l’esercito di guerrieri alati ed i resuscitati Titani. Alle
spalle, i figli e
la progenie del Kaos. Gaia, come promesso, era presente.
Però era parecchio
indietro. Un’osservatrice silenziosa. Il generale Ahriman
gridò.
“Non
abbiate pietà.
Seguite lo schema!” furono le sue parole.
Era
in terra, fra i
guerrieri semplici. Segno che era pronto allo scontro diretto.
“Combatte
pure lui”
notò Arles e lanciò anch’esso gli
ordini alle sue truppe.
I
primi a colpire
furono i guerrieri alati, sbattendo le ali di colpo e facendo partire
una
raffica di proiettili di luce. Death Mask lo notò e
parò. Ariadne era alle sue
spalle. Doveva portarla al sicuro! Ma lei non aveva alcuna voglia di
nascondersi. Alla seconda raffica, reagì d’istinto
mettendo le mani davanti a
sé e le luci svanirono, risucchiate da una sorta di vortice
violaceo.
“Ma
che…” si stupì il
cancro, mentre attorno alla giovane si creava una luce d’oro.
Ariadne
chiuse gli
occhi e ,quando li riaprì, indossava la sacra armatura
d’oro dei gemelli. La
prima cosa che fece, fu togliere la maschera che le copriva il viso,
dettaglio
che avevano tutte le armature femminili del tempio. Poi sorrise.
“Galaxian
Explosion!”
urlò, abbattendo un sacco di alati con la forza di quel
colpo.
“La
Galaxian?” si
stupì Saga “Ma allora abbiamo anche il cavaliere
dei gemelli!”.
“E
quella chi è?” si
chiese più di qualcuno, osservando Ariadne mentre spediva in
dimensioni
misteriose tutti i nemici che le capitavano sotto mano.
“Non
distraetevi!” li
rimproverò Arles “Non è un
gioco!”.
Erebo,
immenso dio
oscuro, avvolse la battaglia nell’oscurità del suo
potere.
“Io
sconfiggerò le
tenebre!” scandì Shaka, con alle spalle Apollo.
Concentrandosi,
espanse il suo cosmo a forma di loto. Luminoso, avvolgente e portatore
di una
pace assoluta, si scontrò con il buio. Creando scintille, la
battaglia fra i
due tinse il cielo.
“Ma
quante volte
dobbiamo ucciderli ‘sti qua?” protestò
Shura, notando i Titani.
Questa
volta, però, la
sua spada si mostrò molto più forte e con un solo
colpo abbatté uno degli
avversari. Stessa cosa fece Ioria, grazie al fulmine potenziato da
Zeus. Camus
diede il ben servito a Oceano e Teti in un attimo e poi
guardò il dio del mare.
Ponto, personificazione di tutte le acque, li stava chiaramente
sfidando.
“Ti
infilzerò con il
mio tridente e ti userò come bandiera!”
ghignò Kanon.
Camus,
non abituato a
certi eccessi d’entusiasmo, non parlò ma
serrò i pugni.
Anche
gli altri
cavalieri stavano eliminando i Titani con relativa facilità.
Ma sapevano che
era solo il primo squadrone. Saga, concentrando tutto il suo potere e
trafiggendo Krono con un raggio di luce, guardò
versò la valle. Hypnos e
Thanatos combattevano fianco a fianco, accanto al loro signore Hade. La
reincarnazione di Athena sì stupì. Quelle due
divinità, figlie della dea Notte,
moglie di Erebo, combattevano contro la loro stessa famiglia.
Evidentemente
avevano preferito rimanere fedeli ad Hade, sterminando le astrazioni,
che erano
loro fratelli. Notte si infuriò per questo, accusando i
gemelli di tradimento.
Ma i due non retrocedettero di un solo passo, pur non trovando il
coraggio di
colpire la loro stessa madre.
Le
furie trovarono
nelle amazzoni degne avversarie. Arles ne osservò per un
po’ i movimenti ma poi
si dedicò ad altro. Sapeva che le sue amazzoni non avrebbero
lasciato scampo
alle loro avversarie. Artemide, trovandosi di fronte Etere ed Emera,
non esitò
un solo istante. Aiutata da Aiolos, iniziò il suo scontro
lanciando frecce
sacre. Aldebaran fu ostacolato da Tifone, figlio di Tartaro e Gaia. Era
un
mostro enorme ma il toro non si fece intimorire nemmeno per un istante,
aiutato
dalla potenza di Eolo. Molti guerrieri si ritrovarono contro i giganti,
creature enormi che parevano non provare dolore. Tartaro, il signore
del
sottosuolo, entrò in campo con un potente terremoto. Dohko,
seguito da Pan e
Dioniso, sapeva che lo doveva fermare, o quell’essere avrebbe
raso al suolo
ogni cosa. Arles voleva Gaia. Saga pareva pensare la stessa cosa,
perché
guardava in su, verso la donna sospesa nel cielo. Ma i guerrieri alati
la
protessero, creando attorno a lei una barriera formata dai loro corpi.
“Morirete
con lei,
allora!” esclamò Arles.
“Non
ti avvicinerai!”
esclamò Ahriman.
Arles
si accigliò.
Quel fastidioso ragazzino gli dava sui nervi!
“Benissimo!”
gli
rispose “Fatti sotto!”.
L’armatura
nera e
rossa di Ares brillava e grondava del sangue versato dai nemici
abbattuti.
L’alto pennacchio scarlatto dell’elmo si ergeva al
di sopra degli eserciti. Con
la spada stretta in una mano, sfidò Ahriman lanciando il suo
grido di guerra.
Ahriman, di tutta risposta, lanciò pure lui un urlo
terrificante. I due cosmi
si scontrarono ed il loro attrito provocò un frastuono
simile ad un tuono.
Arles corse, veloce come solo un dio poteva fare, e raggiunse il
generale.
Spezzò la sua guardia con la spada, sollevandolo da terra.
Con un battito
d’ali, Ahriman riprese il controllo e ringhiò. Il
dio della guerra ghignò.
Sperava di distrarre quella creatura a sufficienza da permettere a Saga
di
colpire Gaia.
“Non
morire troppo
presto” disse.
“Non
sottovalutarmi,
divinità indegna!” rispose Ahriman, scendendo in
picchiata verso il suo
avversario.
Arles
parò non la
spada e si stupì di quanta forza riuscisse a sprigionare
quel mortale. Rapido,
contrattaccò e colpì il generale alla spalla.
L’armatura verde si sgretolò in
quel punto, non resistendo alla potenza del dio della guerra. Ahriman
non si
perse d’animo e rispose subito, con un colpo provocato dal
movimento delle ali.
Ares si scansò ed un piccolo taglio gli si formò
sulla guancia. Vedendo il
proprio sangue, perse il controllo e colpì ripetutamente e
duramente il
generale, che venne di nuovo sbalzato all’indietro. Questa
volta, non riuscì a
reagire abbastanza in fretta e cadde in malo modo sulla schiena, a
pochi passi
da Kanon e Camus.
Il
dio dei mari e il
cavaliere dell’acquario mostravano tutta la loro forza contro
Ponto. Con solo
l’imposizione delle mani, Kanon produceva un frastuono ed un
contraccolpo che
mettevano in difficoltà l’avversario.
“Ma
guarda un po’…”
ridacchiò, notando Ahriman “Piovono
generali!”.
Il
guerriero di Gaia
si rialzò e gemette. La caduta ne aveva danneggiato le ali.
Guardò in su. Saga
si stava aprendo un varco fra gli alati, tentando di raggiungere Gaia.
“No!”
gridò Ahriman,
cercando di volare per aiutarla.
Con
un ala spezzata,
però, arrancò con fatica e con
facilità Arles lo afferrò, sbattendolo
violentemente in terra.
“Levati
dai coglioni!”
sbottò il generale.
Stava
perdendo il
controllo. Con l’ultimo colpo, gli si era sfilato
l’elmo ed ora guardava con
occhi circondati di rosso il suo avversario. Arles osservò
qualche istante
quello sguardo quasi familiare e si preparò ad affrontare
l’attacco del nemico.
Saga
era stanco di
saltellare per raggiungere gli alati. Con il raggio prodotto dallo
scettro, ne
abbatté un nutrito gruppetto. Poi chiuse gli occhi per
qualche istante. Aveva
bisogno della sua armatura! Ma non sapeva come indossarla! Parando il
contrattacco
con lo scudo, alzò lo scettro al cielo. E con un balzo
spiccò il volo. Le ali
dell’armatura della dea lo stavano supportando in
quell’impresa. Riuscì a
colpire Gaia, anche se solo di striscio. Gli altri guerrieri
osservavano quella
scena, combattendo. La sconfitta di Gaia significa la sconfitta del
capo delle
forze nemiche.
“Gaia!”
gridò Ahriman.
Stava
richiamando a sé
tutte le energie possibili, incurante di ciò che questo
significasse per il suo
corpo mortale. Lanciando un altro urlo, bruciò oltre il suo
limite la sua
forza. Ares, stupito da una tale manifestazione di potenza,
capì che doveva
fare altrettanto, se non voleva rischiare. Il cosmo rosso del dio della
guerra
avvolse l’atmosfera come una nebbia di sangue.
“Morirai!”
parlò
Ahriman, con quel tono basso ed inquietante che aveva quando non aveva
controllo.
“Non
credo proprio!”
rispose Arles, con lo stesso tono.
I
cosmi dei due,
caricati al massimo, vennero richiamati dai loro padroni e scagliati
contro
l’avversario. Travolti l’uno dalla potenza
dell’altro, chiusero gli occhi non
potendo fare altro. Molti degli Dei rimasero spiazzati da una tale
manifestazione di energia da parte del generale. Un semplice mortale
era quasi
in grado di tenere testa ad un dio! Ares stesso non se
l’aspettava ma, com’era
prevedibile, il suo cosmo iniziò a respingere e distruggere
quello di Ahriman.
Il generale cadde in terra, ferito in più punti.
Guardò in alto e vide Gaia. La
dea si stava ritirando, assieme agli alleati in grado di seguirla.
“Gaia!”
la chiamò il
generale.
Lei
continuò per la
sua strada.
“Madre
Gaia!
Aiutatemi!” gridò ancora Ahriman, arrancando nel
tentativo di rialzarsi.
Gaia
si voltò. Guardò
negli occhi il suo sottoposto per qualche istante, senza apprensione
alcuna sul
viso. Lui sperava che mandasse qualcuno a portarlo via dal nemico che
lo
circondava. Ma lei tornò a voltarsi e sparì fra
le nubi in cielo.
“Gaia…”
gemette lui,
con la voce carica di sconforto.
“Hai
espresso l’ultimo
desiderio?” domandò Arles, puntando la spada alla
gola dell’avversario.
Ora
che la battaglia
era finita, i guerrieri di Athena ed i loro alleati si erano radunati
attorno a
colui che consideravano una minaccia e l’assassino di molti
dei loro colleghi.
Ahriman
sollevò il
capo. Un rivolo di sangue gli colava dalla bocca. Con sguardo spento,
assente, rimase
immobile qualche istante, quasi con sfida. Poi, sfinito,
riabbassò la testa.
Questo movimento, fece sì che un piccolo ciondolo si
liberasse dall’armatura e
si mostrasse alla luce del giorno.
“Fai
quel che devi”
furono le parole del generale, pronto a morire.
Arles
sollevò la
spada, deciso a decapitarlo, ma qualcuno gridò fra i
guerrieri.
“No!”
si sentì fra la
folla.
Ariadne,
con
l’armatura dei gemelli ancora indosso, fermò la
mano di Arles.
“Ti
prego, aspetta”
gli domandò.
“Cosa?”
sbottò il dio
e si sentì mormorare fra la folla.
“Chi
ti ha dato quel
ciondolo? Dove lo hai preso?” chiese lei al generale.
“Lo
vuoi? Te lo puoi
prendere, donna. Fra poco non avrò alcun collo attorno cui
agganciarlo” ghignò
Ahriman, quasi con disprezzo.
“Dove
lo hai preso?”
insistette Ariadne.
“Ma
che importanza
ha?”.
“Dimmi
dove lo hai
preso!”.
“Ce
l’ho sempre avuto!
Sei contenta, adesso? Fammi morire in pace”.
“L’hai
sempre avuto?”.
“Sì,
sei pure sorda?
Fin da bambino. Che importanza ha?”.
Ariadne
si mise una
mano attorno al collo e, dopo pochi attimi, fra le dita mostrava un
ciondolo
identico, sorretto da una sottile catenina. Era una medaglietta con
sopra
inciso il nome “Ary”.
“A
quanto pare
frequentavamo la stessa bottega orafa” storse il naso il
generale.
“Questo
ciondolo lo ha
fatto fare mia madre quando sono nata. E ne ha dato uno
uguale…a mio
fratello!”.
“Io
non ho sorelle”.
“Io
ho un gemello.
Mamma ha voluto che avessimo questi ciondoli come segno. Sperava che in
futuro
ci potessimo rincontrare ed è successo”.
“Ma
che cosa stai…”
iniziò a parlare lui ma il dolore che provava per le ferite
era grande.
Lottò
per non cedere
ma non ci riuscì. Sputò sangue e perse i sensi.
Ariadne gli si avvicinò, nonostante
tutti gli altri presenti non apprezzassero un gesto del genere.
“Ariadne!”
chiamò
Ninive, facendosi largo fra la folla.
Quando
la vide, con
l’armatura d’oro addosso e le mani poggiate sul
nemico, rimase per qualche
istante sconcertata e spaventata.
“Ariadne!”
gridò “Ma
tu…”
“Ariadne!
Togliti da
lì!” si aggiunse Death Mask
“Quell’uomo è pericoloso!”.
“Perché
indossi
un’armatura d’oro?” balbettò
Ninive.
“Posso
spiegare. Ma
vieni qui, per favore. Avvicinati”.
“Voglio
una
spiegazione ora, Ary! Come hai potuto farmi questo?”.
“Farti
cosa?! Ho solo
seguito la mia strada!”.
“Sciocchezze!
Hai
messo a repentaglio la tua vita!”.
“Non
è di questo che
dobbiamo parlare ora, mamma!”.
“Mamma?!”
esclamarono,
in coro, Death Mask e Saga.
“Mamma!
Avvicinati!
Guarda! L’ho ritrovato! Ha la collana…”.
“Quale
collana?” parlò,
confusa, Ninive.
“Quella
uguale alla
mia! Oh, mamma…è Ary! È lui! Mio
fratello”.
“Ary?
Il mio
piccolo?”.
“Sì,
mamma. È lui!”.
Arles
e Death Mask si
fissarono. Il mormorio fra la folla si faceva più forte.
Erano tutti sfiniti e
feriti.
“Tentate
di curarlo”
ordinò Zeus, mosso da pietà grazie allo sguardo
supplicante di Apollo “Se
riuscirà a vivere, saprà darci un sacco di
informazioni. E spiegazioni”.
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Capitolo 13 *** XIII- fratelli ***
XIII
FRATELLI
La
polvere della
battaglia stava lentamente svanendo. Tutti coloro che non avevano
subito ferite
importanti davano una mano per sistemare i numerosi danni al santuario.
Hestia
e le sue vestali si erano offerte come supporto e cura dei malati. La
dea
camminava sicura e nessuno poté fare a meno di notarla. Per
la prima volta la
vedevano senza il velo che le copriva il viso. Dietro di lei, Saga la
seguiva
per controllare la situazione generale. Kanon sorrise. Il fratello
aveva il
braccio sinistro bendato proprio con il velo della dea. Il fatto che
Hestia
avesse compiuto un gesto simile, significava molto.
“Come
stai,
gemellino?” domandò Saga, vedendo Kanon.
“Qualche
botta. Nulla
di irreparabile. E tu?” rispose il dio del mare.
“Il
mio braccio
sinistro si è beccato qualche colpo di troppo. Quel dannato
scudo pesa una
tonnellata!”.
“Cosa
pensi di fare
con il prigioniero?”.
“Il
generale Ahriman?
Intanto vediamo come procede la cosa. Non ha ancora ripreso i sensi. Il
suo
animo è molto debole ed ha riportato danni ingenti in
battaglia”.
“Si
è ritrovato
davanti Arles, mica la nonnina di turno! Mi stupisco che sia
vivo…”.
“Lo
hanno fermato.
Altrimenti non avrebbe avuto alcuna pietà”.
“Lui
è Ares,
ricordatelo. Ma perché dici che è debole
nell’animo?”.
“Non
reagisce. Per
guarire, dovrebbe almeno tentare di…”.
“Capito.
Ma se si
risveglierà, cosa succederà?”.
“Non
lo so. Vedremo
quel che avrà intenzione di fare. Se vorrà di
nuovo attaccarci, la sua fine
sarà inevitabile. Specie sapendo che Gaia starà
di certo ricomponendo il suo
esercito. Non ci serve un nemico fra le mura! Ma il fatto che sia
figlio di
Ninive, complica le cose!”.
“Non
avevo idea che
avesse dei figli! Poi…a quanti anni li ha avuti?”.
“Non
fare il
pettegolo, Kanon! E dammi una mano a riordinare questo
porcile!”.
“Mi
piace che la
figlia di Ninive sia una di noi!” commentò Milo,
vedendola rientrare al tempio.
“Ed
io sono felice di
essere uno dei vostri. Però ora, scusate, ho proprio bisogno
di fare un bagno!”
sorrise Ariadne, cercando Death Mask con lo sguardo.
Il
cavaliere del
cancro non era fra i presenti perché si stava sorbendo la
predica di Ninive.
“Come
ti sei
permesso?” gli stava urlando.
“L’ho
solo resa ciò
che è nata per essere: una guerriera! Una sacerdotessa
d’oro!” ribatteva lui.
“Lei
è la mia
bambina!”.
“L’hai
tenuta
rinchiusa tutta la vita come vestale. Era giusto che desiderasse di
più”.
“Lei
è tutto quello
che ho! Senza lei…io sono sola!”.
“Questo
non è vero”.
“Secondo
te io come mi
sento? Mia figlia è diventata l’ultima cosa che
volevo diventasse e mio figlio,
che non vedevo dal giorno della nascita, è in punto di
morte!”.
“Perché
non vai da
lui, invece di fare la predica a me e ad Ariadne?!”.
“Tu
non ne avevi il
diritto!”.
“Ma
io…”.
“Calmati,
Death Mask”
furono le parole di Mur, che si era avvicinato incuriosito dal tono
della
conversazione.
“Non
dirmi di
calmarti, caprone!” ringhiò il cancro.
“Cerca
di comprendere
questa donna. Pur non essendo padre, la capisco benissimo. Quando siamo
morti,
dieci anni fa, il mio fratello minore era solo un bambino. Ora Kiki ha
diciassette anni e sento di averlo perduto. Ed è una
sensazione angosciante.
Pensa a come debba sentirsi Ninive, che in poco tempo si è
accorta di avere un
figlio fra le schiere nemiche ed una figlia che ora è una di
noi, non più una
fanciulla che le rimane sempre accanto fra le vestali”.
“Grazie,
Mur. Hai
descritto perfettamente il quadro della situazione”
annuì Ninive,
rattristandosi.
Era
vero. Si sentiva
priva di punti di riferimento ed era spaventata. La guerra non era
ancora
finita e non capiva più come reagire al succedersi di certi
eventi.
“Come
sta?” domandò
Arles ad Hermes, riferendosi al generale Ahriman.
Hermes,
che si stava
occupando dei feriti più gravi, si stupì di
quella domanda.
“Perché
lo vuoi
sapere?” domandò.
“Beh…è
un ottimo
combattente. Merita il mio rispetto”.
“Allora
ti rispondo
dicendoti che ha subito gravi danni, come immagino tu sappia. Le ferite
si
stanno rimarginando. Mi preoccupano un po’ le ali, che pare
siano lesionate
profondamente. Per il resto…dovrebbe svegliarsi ma non lo
fa”.
“E
come mai?”.
“Non
lo so. Però ho
trovato una strana ferita sul suo petto”.
“Strana?!”.
“Sì,
come un morso”.
“Forse
in battaglia
qualche bestia…”.
“No,
non è recente.
Non capisco cosa sia. Quella non guarisce. Inoltre, spesso gli si alza
la
febbre”.
“A
cosa credi sia
dovuto?”.
“Non
ne ho davvero
idea. Sto facendo il possibile”.
“Ne
sono certo.
Avvisami, se si riprende”.
Ariadne
stava
abbracciata a Death Mask. Nel loro solito angolino appartato della
spiaggia,
appena finito di fare l’amore, guardavano insieme le stelle.
Erano trascorsi
dai mesi dalla battaglia, e quasi nulla pareva cambiato. Ninive si era
ritirata
fra le stanze riservate alle vestali e non ne usciva mai. Ahriman
ancora
rimaneva privo di sensi e tutti gli altri, Dei e soldati, avevano
ripreso gli
allenamenti.
“Death…”
mormorò
Ariadne, non chiamandolo quasi mai con il vero nome.
“Dimmi,
mia amazzone”
rispose lui.
“Mi
accompagneresti da
Saga?”.
“A
fare cosa?”.
“Lui
è il capo. Devo
chiedergli il permesso di vedere mio fratello”.
“Il
generale?! Ma è
pericoloso!”.
“Pericoloso?
No, non
lo è. È ferito e probabilmente ancora in
coma”.
“Potrebbe
risvegliarsi
di colpo! E se ti facesse del male? Ti ricordo che ha tenuto testa ad
Ares!”.
“Lo
so! Per questo
vorrei che tu mi accompagnassi. Fammi da guardia del corpo!”.
Death
Mask la guardò
un po’ male. Non ne aveva alcuna voglia. Ma a quello sguardo
dolce non riusciva
a resisterle. Poteva fargli fare qualsiasi cosa! Sospirò.
Doveva proprio andare
da Saga.
“È
permesso?” domandò
timidamente Ariadne, sbirciando nella sala dove si riposavano i
cavalieri
d’oro.
In
quel momento,
c’erano solo Saga ed Hestia. La dea stava controllando la
ferita di lui e,
quando sentì bussare, si sentì quasi in
imbarazzo.
“Oh,
finalmente!”
sorrise Saga “Il cavaliere dei gemelli! Lieto di poterti
parlare”.
“Scusate
se fin ora
non mi sono presentata” si scusò Ariadne,
inchinandosi.
“La
situazione non è
stata delle più facili, ultimamente. Sei giustificata. Che
posso fare per te?”.
“Sono
venuta a
chiedere il permesso di vedere mio fratello, il generale nemico
Ahriman”.
“Non
mi pare una buona
idea”.
“Voglio
solo vederlo.
Niente di più”.
“Non
so se ha aperto
gli occhi”.
“Non
importa. Voglio
solo salutarlo. Potrebbe anche morire, ed io solo ora l’ho
compreso ed ho avuto
il coraggio di venire qui a…”.
“Comprendo
il legame
che si crea fra gemelli, anche se non siete cresciuti assieme.
Tuttavia, non mi
sento sicuro a lasciarti da sola con lui”.
“Ci
sarà Death Mask
con me” lo indicò lei, sulla porta “E
poi ci saranno le guardie poste a
sorveglianza del generale. Non sarò sola. Se ci
sarà qualche problema, me ne
andrò immediatamente”.
Saga
rimase in
silenzio, pensieroso. Hestia ne sfiorò la spalla, dolcemente.
“Lasciala
andare”
parlò la dea “Se quel ragazzo dovesse morire,
rimpiangerà tutta la vita di non
averlo nemmeno salutato”.
“E
va bene!” sospirò
Saga “Ma spero che Death Mask non ti perda mai di
vista”.
“Non
succederà” si
affrettò a dire il cancro e Saga gli sorrise in modo strano.
Davanti
alla stanza
dove il generale era in cura, stavano alcune guardie armate. Era
piccola, con
una finestra di dimensioni tali da rendere impossibile la fuga da
lì. La camera
era di colore chiaro, con ampi archi in pietra. Il letto, a ridosso
della
finestra, era semplice e povero. Essenziale. Tutt’attorno, i
sigilli di Athena
ad impedire al nemico l’eventuale ribellione. Hermes fece
entrare Death Mask e
Ariadne, spiegando loro che il ferito non dava segno di volersi
risvegliare. La
portatrice dell’armatura dei gemelli si avvicinò
cauta al letto. Il generale stava
steso, con addosso una veste leggera e la collana.
“Non
ha mai dato alcun
cenno di risveglio?” domandò Ariadne e Hermes
scosse la testa.
Lei
sedette su un
piccolo sgabello che il dio guaritore usava quando medicava il giovane.
Guardando il ciondolo uguale al suo, abbassò gli occhi ed
iniziò a cantare. La
sua voce, bella come quella della madre, riecheggiò limpida
per i corridoi. Era
triste, perché sapeva che altre battaglie
l’attendevano e perché soffriva nel
vedere il gemello così. Hermes e Death Mask ascoltarono in
silenzio quella
specie di requiem senza riuscire a fare altro. Ahriman gemette, prima
reazione
dopo tanto tempo. Lei non lo notò e continuò a
cantare, ad occhi chiusi.
“Ariadne…”
si allarmò
Death Mask.
Lei
riaprì gli occhi e
sobbalzò. Ahriman la guardava, con grandi occhi smeraldo.
Gli stessi che aveva
lei.
“Ciao”
lo salutò.
“Ciao”
mormorò lui “Ti
conosco?”.
“Certo!
Non ricordi?”
sorrise lei, mostrandogli la collana che avevano in comune.
“Pensavo
fosse tutto
un sogno” ammise lui.
“No,
non lo è”.
“Dove
sono?”.
“Al
tempio di Athena.
Ti abbiamo curato. Sei rimasto privo di sensi per mesi”.
Ahriman
distolse lo
sguardo. Ora ricordava quella battaglia. E la sua mente andò
con il pensiero a
Gaia.
“Perché
mi avete
salvato?” domandò, poi.
“Perché
noi non siamo
quel genere di persone”.
“Ares
pare di sì”.
“Lui
è il dio della
guerra. È normale che voglia sterminare i suoi
nemici”.
“Sperate
che io
combatta contro Gaia? Non succederà mai!”.
“Non
parliamo di
guerra, adesso! Io sono qui per parlare con te. Mi pare che ne abbiamo
di
argomenti da affrontare io e te, non trovi?”.
“Forse
hai ragione.
Sei veramente mia sorella?”.
“Sì”.
“Non
ci somigliamo
molto”.
“Oh,
ma dai! Guardati!
Hai i miei occhi! Ed il mio ghigno”.
Ahriman
ridacchiò,
nello stesso modo di Ariadne.
“Ok,
allora parlami di
te. Come ti chiami?”.
“Hai
ragione, scusa!
Io sono Ariadne. E tu so già che sei Ahriman”.
“Sono
famoso!”.
“Più
di quanto pensi.
Allora…parlami di te. Come è stata la tua
vita?”.
“Prima
che te ne
parli, dimmi: come si chiama lei?”.
“Lei?”.
“Nostra
madre. Lo
sai?”.
“Sì,
lo so. Sono
cresciuta con lei”.
Quelle
parole parvero
far male ad Ahriman e lei lo notò.
“Mamma
si chiama
Ninive. Ed è una vestale”.
“E
nostro padre?”.
“Lei
non ne parla mai.
Ho provato tante volte a chiedere, almeno il suo nome. Io credo
che…le abbia
fatto del male, capisci? Che non sia stato un qualcosa di
voluto”.
“Uno
stupro,
intendi?”.
“Sì.
Lei era
praticamente una bambina. Aveva quindici anni. È stata
accolta al tempio delle
vestali poco prima che nascessimo. Purtroppo, al tempio della dea
vergine non
possono vivere maschi, anche se sono solo dei neonati. E quindi mamma
ti ha
dovuto affidare ad un orfanotrofio”.
“Non
poteva lasciar
perdere la dea vergine e crescerci assieme?”.
“Era
piccola, Ahriman.
Non sarebbe mai stata in grado di crescerci. Mi ha raccontato questa
storia tante
volte e, credimi, ogni volta è scoppiata in
lacrime”.
“Ed
io che dovrei
fare? Mi ha lasciato in quel orrendo posto dove non riuscivo mai a
sorridere. E
per questo non sono mai stato adottato. Fino a quando è
arrivata Gaia. Che ora
ho capito definitivamente che mi ha scelto solo perché le
serviva un esercito”.
“Capisco
che tu abbia
sofferto”.
Arles,
avvisato che il
generale si era svegliato, aveva raggiunto la camera.
“Vedo
che sei sveglio”
disse.
Ahriman
lo riconobbe e
si mise a sedere, con una certa fatica.
“Sei
venuto a
finirmi?” chiese il generale.
“Non
infierisco sui
feriti, non mi diverte. Come va la spalla?”.
“Fa
un male cane,
grazie”.
“Prego.
Ma ho
interrotto una conversazione importante. Scusatemi. Me ne vado
subito”.
“Oh,
no! Resta!” parlò
Ariadne “Tu conoscevi la mamma quando era al santuario!
Parlaci di lei in
quegli anni, per favore! Aiutalo a sapere qualcosa di
più”.
“Sì,
è vero. La
conoscevo. Però…ragazzo! Le tue ali sono
danneggiate! Dovresti spiegarle in
modo da non farle sforzare ulteriormente”.
“Non
accetto consigli
a riguardo da parte di un aptero, mi spiace”
sbottò Ahriman.
“Come
vuoi! Ad ogni
modo sì, conoscevo vostra madre quando stava qui al
tempio”.
“Era
una guerriera di
Athena?” chiese il generale.
“Sì,
ed era molto
brava. Avete preso da lei, si vede! Siete entrambi dei combattenti
formidabili”.
“E
come mai è andata
via dal tempio?”.
“Non
l’ho mai saputo.
Ricordo che al tempo c’erano un sacco di bambini e ragazzini
al tempio, e noi
ci sentivamo tanto grandi. Non lo eravamo per niente! Ma dovevamo
esserlo,
perché non avevamo alternativa. Orfani, l’unica
cosa che potevamo fare era
combattere. Quando poi calava la sera, lei cantava per far dormire i
piccoli e
per lenire le sofferenze dei più grandi”.
“Ma
non vi ha dato
spiegazioni?”.
“No.
È andata via e
basta. Ci è mancata. Per le canzoni e per le botte che ci
dava. Ma credo che
dovreste parlare con lei, per sciogliere certi nodi”.
“Anche
Ariadne canta
bene. L’ho
sentita”.
Lei
sorrise,
arrossendo.
“Merito
del nonno!”
ammise “Mamma è figlia di Apollo. È
stato lui ad insegnarmi tutto!”.
“Ah!”
si stupì Arles
“Apollo è suo padre! Da come si abbracciavano e
sbaciucchiavano pensavo che…”.
“Ma
che pensieri fai!
È una vestale!” la rimproverò Ariadne.
“Scusate!”.
I
tre si sorrisero,
anche se Ahriman poi storse il naso in una smorfia di dolore. E poco
dopo
sobbalzarono, perché Ninive era entrata in stanza sbattendo
la porta.
“Stai
lontano da
quell’uomo!” esclamò la vestale, rivolta
alla figlia ed indicando Arles.
“Come?!
Mamma…stai
bene?”.
“Stai
lontano da lui.
Il suo cuore è di pietra. Non farti fare del male”
insistette lei.
Arles
la guardò con
aria interrogativa. Ninive si avvicinò alla figlia ed
iniziò a tirarla per un
braccio.
“Ma
che vuoi?” sbottò
la guerriera in oro.
“Fidati
di me! Non
lasciare che la sua megalomania coinvolga anche te!”.
“Ma
di che parli?!”
iniziò ad innervosirsi Arles.
“La
tua megalomania,
Arles! Ti ha portato fino al punto di farti divenire un dio. Sei
soddisfatto
adesso? O cerchi ancora qualcosa di più?”.
“Io
non so di che cazzo
parli!”.
“Tu
lo sai benissimo”.
“No,
non lo so. E se
non me lo spieghi, non lo posso capire. Parla, o vedi di finirla!
Ricorda che
son comunque Ares, e se mi girano i coglioni divento
pericoloso”.
Ninive
rimase in
silenzio qualche istante. Poi guardò i suoi figli.
“Visto
che siete qui…”
iniziò “Immagino sia giusto che sappiate alcune
cose”.
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Capitolo 14 *** XIV- 1973 ***
XIV
1973
Arles
era abbastanza
agitato. Con l’elmo rosso sul capo e la maschera blu a
coprirgli il viso,si
sentiva ancora a disagio. Doveva abituarsi all’idea di essere
gran sacerdote.
Allo specchio, vedeva Saga in lacrime e la sua voce gli martellava il
cervello.
“Stai
zitto” gli
ordinò Arles, distogliendo lo sguardo.
“Perché
fai questo?”
domandava Saga.
“Perché
è la cosa
giusta. Ora taci!”.
Sedette
sul trono e respirò
a fondo. Fin ora stava andando tutto bene e voleva continuasse
così. Era notte
ormai. Forse poteva ritirarsi ed andare a riposare. Si alzò
e quasi inciampò.
Quella dannata veste era una tortura! Per non parlare della maschera.
“Toc,
toc!” parlò una voce
femminile, con una risatina.
“Chi
c’è?” domandò
Arles.
“Ma
buonasera, gran
sacerdote! Posso abbracciarti?”.
Lei
rise. Era Ninive,
con indosso l’armatura dell’Ofiuco.
“Come
ti permetti di
rivolgerti così al gran sacerdote?”
sbottò lui.
“Guarda
che lo so che
sei tu! Smettila di recitare”.
“Lo
sai?”.
Lei
annuì e tolse la
maschera che ne copriva il viso. Era giovane e da poco aveva
quell’armatura. Il
suo viso dolce forse non era adatto ad una guerriera. Lui la vide
sorridere e
fece lo stesso. Tolse la maschera blu. Ninive lo abbraccio, ridendo
felice.
“Amore,
posso essere
la prima a congratularsi con te?”.
“Sarai
la prima, e
probabilmente l’ultima”.
“Perché?!”.
“Perché
voglio che sia
così. Nessun’altro ha capito che sono io,
vero?”.
“Death Mask, Shura ed Aphrodite. Credo.
Loro ti conoscono bene. Immagino
lo abbiano intuito. E poi dai…si capisce che non sei
Shion!”.
“Non
farmi agitare”.
“Aiolos
è un po’
rimbambito e non credo che lo capirà. Gli altri gold e
futuri gold sono
piccoli. Non penso che notino qualcosa”.
“Bene”.
“Ma
perché ti agiti
tanto? Shion lo hai trovato morto, giusto? Allora è giusto
che sia tu ora al
suo posto. Sei adatto a questo ruolo”.
“Lo
so. Ma non tutti
lo capiscono”.
Lei
annuì, fingendo di
comprendere la mente contorta di lui.
“Che
morbida che è
questa veste” commentò, accarezzandola.
“Tiene
un caldo
assurdo. Il sarto di questo posto è un vero
idiota”.
“Allora
toglila” parlò
lei, con tono neutro, e si stupì nel vedere che Arles faceva
una faccia davvero
strana.
“Che
c’è?” gli
domandò.
“Mettiti
nei miei
panni. Ho quindici anni” ghignò lui.
“Anch’io!”.
“Beh…non
so tu, ma io
ho gli ormoni incasinati! E non puoi farmi venire certe idee
che…”.
“Arles!
Sei un bambino
cattivo”.
“Non
sono più un
bambino, è quello il problema”.
“Lo
so”.
Lei
gli diede un bacio
e poi si diresse verso le tende alle spalle del trono.
Guardò in su, verso la
statua di Athena. Si sentì un pianto di neonato, subito
placato dalle ancelle
che si prendevano cura della reincarnazione della dea. Poi
notò una porticina e
l’aprì. Lui non amava vederla gironzolare, specie
in quei luoghi che ancora non
conosceva bene.
“Bellissimo!”
esclamò
lei.
Era
entrata
nell’immensa sala con la vasca termale del gran sacerdote.
Era una stanza
magnifica, con imponenti colonne in marmo chiaro, che sorreggevano ampi
archi,
ed il soffitto decorato con un mosaico rappresentante le costellazioni.
L’acqua
limpida, che riempia la vasca anch’essa decorata a mosaico,
era una tentazione
irresistibile per Ninive. Con le mani, la toccò. Era calda.
Da un lato,
l’altezza era poca e si poteva stare seduti. Dal lato
opposto, la profondità
era notevole e si finiva immersi anche stando in piedi. Un sistema non
molto
chiaro alla sacerdotessa di
canali e
scoli faceva scorrere continuamente acqua calda e pulita.
“Ary,
facciamo il
bagno?” propose lei.
“Non
chiamarmi Ary,
non lo sopporto” sbottò Arles.
Lei
rispose con una
linguaccia ed iniziò a spogliarsi. Lui distolse lo sguardo,
cercando di fare
pensieri il più lontani possibile dalla balla ragazza nuda
nella vasca.
“Dai,
vieni. L’acqua è
bellissima” ridacchiò Ninive.
“Non
credo sia il
caso”.
“E
perché?”.
“Perché
non credo di
riuscire a rispondere delle mie azioni. Specie se siamo entrambi
nudi”.
“E
allora non
risponderne”.
Per
convincerlo, lei
lo schizzò, inzuppandone il vestito. Lui protestò
per un po’ poi scoppiò a
ridere. Gli ricordava quando da bambini giocavano assieme, non molto
tempo fa.
“Finiscila!”
ridacchiò.
I
bordi della vasca si
erano fatti scivolosi e rischiò di cadere come uno stupido.
Si sentiva come ubriaco,
e non lo era per niente! A quel paese le regole! Nessuno aveva accesso
a quella
sala senza il suo permesso, quindi nessuno correva il rischio di
scoprirlo. In
un istante, fu nudo ed immerso nell’acqua calda. Che bella
sensazione!
Ghignando, col viso immerso a metà, si diresse verso Ninive
che però si mosse
agilmente verso la direzione opposta.
“Non
guardarmi così!”
sorrise lei.
“E
come dovrei
guardarti?” rispose lui, anch’egli sorridendo.
Riuscì
a spingerla
contro uno degli angoli, dove non poté più
scappare.
“Allora?
Adesso che mi
dici?” ridacchiò.
“Dovresti
fare un
colpo di telefono ad Aiolos. È preoccupato per la sparizione
del cavaliere dei
gemelli. Teme di esserne le causa perché girano voci che
Shion avesse scelto
Sagitter come successore”.
“Non
è un problema
mio”.
“Come
sei crudele!”.
“Mai
detto il
contrario”.
“Ma
tu…mi ami davvero,
Arles?”.
“Certo,
hai dubbi? È
colpa tua. I tuoi occhi blu mi hanno stregato”.
“Che
bugiardo!”.
I
due si baciarono. Si
amavano come solo da così giovani si può amare
qualcuno. In quel modo assurdo
che ti convince che un sentimento possa durare per sempre.
“Ora
che sono gran
sacerdote…” iniziò Arles
“Posso farti un regalo”.
“Davvero?”.
“Spesso
mi ripetevi
che Shion non ti faceva mai andare da nessuna parte. Ebbene, io ti
manderò in
missione. Così vedrai cosa c’è al di
fuori del tempio”.
“Dici
sul serio?! Ma è
bellissimo, grazie! E che missione è?”.
“Shion
ha lasciato
molta libertà ai maestri d’argento. A me la cosa
non piace molto e vorrei
sapere chi di loro è ancora sotto il nostro controllo e chi
sta facendo
vacanza”.
“Ottimo.
E dove devo
andare?”.
“In
varie parti della
Grecia, se ti va”.
“Ma
certo che sì!
Finalmente! Mi sento davvero inutile stando qui tutto il
giorno”.
“Farmi
compagnia è
inutile? Guarda che sostenere il gran sacerdote è
importante!”.
“Non
ne dubito”.
“Vuoi
essere mia
questa notte? So che è contro le regole ma…io
sono il capo qui e se non ti
punisco io…non lo può fare
nessun’altro! Inoltre, ho visto il tuo viso.
Sappiamo bene che non puoi uccidermi.
Perciò…”.
“Sarebbe
un grande
onore”.
Lei
si lascò baciare
sul collo e guardò in su. Là, da una delle
finestre che aprivano un varco fra
le mura altissime, si intravedeva la statua di Athena. Ninive le
sorrise. Se
disapprovava ciò che stava per succedere, la
pregò di lanciarle un segno.
Nessun cenno divino apparve, perciò lei si lasciò
possedere.
Quella
notte pioveva
forte. Ninive aveva trascorso quasi un mese lontano dal tempio per
compiere la
sua missione ed aveva udito strani racconti sul grande tempio. Un
traditore fra
loro. Aiolos? Aiolos era morto? Incredula, aveva raggiunto la casa del
gran
sacerdote. Lì aveva trovato Arles, assieme a Death Mask.
“Lasciaci”
aveva
ordinato il gran sacerdote al cancro.
Il
giovanissimo
cavaliere, di soli nove anni, lasciò la sala e
lanciò solo uno sguardo a
Ninive, prima di uscire. Rimasta sola con Arles, lei non sapeva bene
come
comportarsi.
“È
vero quello che ho
sentito?” mormorò.
“Che
cosa hai
sentito?” volle sapere il gran sacerdote, senza togliere la
maschera.
“Che
Aiolos è morto e
che quella neonata è…”.
“Sì,
è vero”.
“Cosa
è successo?
Aiolos non è un traditore!”.
“Ha
cercato di
fermarmi”.
“Fermarti?”.
“Dovevo
ucciderla. Lo
dovevo fare. E lui mi ha fermato”.
“Uccidere
chi?”.
“Quella
bambina”.
“La
reincarnazione di
Athena?”.
Ninive
sobbalzò. Non
credeva Arles capace di tanto.
“Sì,
lei. Nessuno pare
rendersi conto che fra non molto il sigillo di Hade verrà
spezzato ed inizierà
una nuova guerra santa. Come possiamo affrontarla così? Non
percepivi quanto
debole fosse quella bambina?”.
“Era
solo una
neonata!”.
“Fin
da neonati coloro
che possiedono un cosmo lo fanno ardere! Non ricordi quello che
aleggiava
attorno a Ioria quando è nato? Lei, come dea, doveva
possedere un’energia
almeno pari a quella dell’aspirante leone d’oro. Ma
non era così. Era debole,
probabilmente rinata nel modo sbagliato”.
“È
una dea! Non fa le
cose in modo sbagliato!”.
“Il
mio compito è
difendere questo mondo. E questo è l’unico modo
possibile. Credimi, quella
bambina non sarebbe mai stata in grado nemmeno di difendere se
stessa”.
“E
Aiolos? Che ti
aveva fatto?”.
“Aveva
capito tutto”.
“E
allora?”.
Ninive
scoppiò a
piangere e lui lo capì, nonostante nemmeno lei avesse tolto
la maschera. Era molto
affezionata al sagittario ed ora pensava al piccolo Ioria, rimasto da
solo.
“Sei
felice, adesso?”
domandò poi, sempre piangendo.
“No,
non lo sono di
certo. Ma tutto quel che faccio, lo faccio per…”.
“Sì,
lo so: un bene
superiore. Ed io lo capirò, vedrai. Sei l’uomo che
amo, ti rimarrò accanto per
sempre”.
“Ho
quindici anni. Non
posso definirmi un uomo”.
“No,
è vero. Un uomo
non manderebbe un bimbo di nove anni ad uccidere un amico. Povero
Shura”.
“Non
mi aspetto che tu
capisca. Pare che non ci riesca nessuno”.
“Ma
io ti amo. Questo
è ciò che conta. Perché anche tu mi
ami, vero?”.
“Certo
che ti amo.
Ma…”.
“Ma?”.
“Credo
non sia
prudente per noi continuare questa storia. Non adesso. Cerca di capire
almeno
questo. La gente le nota le piccole cose. È stato un azzardo
permetterti di
venire qui un mese fa. Qualcuno avrebbe potuto capire
che…”.
“Allora
finirla è
prudente per TE, non per NOI”.
“Lo
è per tutto. Per
me, per ciò che sono ora e per ciò che devo fare.
Sei una grande guerriera, hai
un glorioso futuro qui al tempio. Ma per un po’ è
meglio che fra me e te non ci
siano contatti di alcun tipo”.
“Intendi
dire che
dovrei ignorarti?”.
“Intendo
dire che devi
comportarti con me come si comporta una sacerdotessa
d’argento con il gran
sacerdote. Hai capito?”.
“Ma
io credevo che tu
mi amassi!”.
“Io
ti amo. Ma
proteggere il mondo dalla follia degli Dei ha la priorità
sul resto, non
trovi?”.
Ninive
annuì. Si
congedò dalla tredicesima casa ed iniziò a
scendere le scale, lentamente. Vide
Ioria, in lacrime per la perdita del fratello, e lo salutò
accarezzandogli la
testa. Poi raggiunse la modesta casa all’interno del tempio
dove dimorava a vi
lasciò l’armatura. Era certa che presto
un’altra sacerdotessa l’avrebbe
indossata degnamente. Non aveva intenzione di portarla ancora, di
servire il
grande tempio ed il suo sacerdote. Anche se questo significava lasciare
quel
luogo e non sapere dove andare. A complicare il tutto, vi era in lei la
consapevolezza di non poter rimanere oltre, o rischiava punizioni
severe.
Presto tutti avrebbero saputo che aveva infranto il veto a cui erano
legate le
sacerdotesse di Athena. Non poteva nascondere a lungo di essere incinta.
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Capitolo 15 *** XV- consapevolezza ***
XV
CONSAPEVOLEZZA
“E
poi, cosa è
successo?” domandò Ariadne, non avendo mai sentito
quella storia così ricca di
dettagli.
“Vagai
a lungo per
Atene” riprese Ninive “Sopravvivevo con piccoli
lavoretti o facendo
l’elemosina. Non sapevo cos’altro fare. A volte,
qualcuno mi offriva un pasto
caldo o un letto per la notte. Gli facevo pena, e lo sapevo bene.
Quando ho
avvertito le prime contrazioni, ammetto di essere stata presa
totalmente dal
panico. Era notte, non sapevo dove andare o a chi rivolgermi. Mi misi a
piangere e caddi in terra. Rialzando lo sguardo, Hestia era
lì. Mi porgeva la
mano. Mi ha dato la forza e condotta al suo tempio. Lì ho
partorito i miei
gemelli”.
“Oh,
mamma” non sapeva
che altro dire Ariadne.
“E,
credimi…” aggiunse
Ninive, guardando Arles “…non è stato
per niente facile partorire a soli
quindici anni due creature con il testone grosso come il tuo! Sentii
che quel
tempio era la mia casa. Mi sentivo accolta, protetta, amata. Quindi
feci la
dolorosa scelta di separarmi dal mio figlio maschio per poter rimanere
in quel
luogo. Spero che capirai, Ahriman”.
Il
ragazzo fece per
aprir bocca ma non sapeva bene cosa dire. Guardò Arles.
“Perché
non mi hai
detto niente?” chiese il dio della guerra.
“Cosa
sarebbe
cambiato? Eravamo dei bambini” furono le parole di Ninive.
“Lo
eravamo, certo! Ma
avrei fatto sì che loro due crescessero al tempio. Li avrei
fatti crescere come
gli altri orfani, così non ci sarebbero stati
problemi”.
“Ma
che dici?!
Sarebbero cresciuti senza una famiglia”.
“Credi
che come invece
sono cresciuti…sia meglio?”.
“Hai
fatto la tua
scelta. Fra l’amore ed il potere, hai scelto il
potere”.
“Stronzate!
Perché
ancora ragioni da liceale?!”.
“E
tu perché continui
a ferirmi?”.
“Io
non volevo
ferirti! Volevo che mi restassi vicino, l’ho sempre voluto!
Ma dovevo essere
prudente. Ero uno stupido, ma ho fatto l’unica cosa che
potevo fare”.
“L’unica?”.
“Andiamo,
Ninive. Ci
sono persone che non sono adatte all'amore. Persone che non sono in
grado di
amare ed essere amate. Persone il cui cuore non può essere
compreso. Io ho
fatto la mia scelta, tanto tempo fa. Se me ne pento? Ogni giorno della
mia
vita. Ma non sarei qui se avessi intrapreso una strada
diversa”.
“Ma
cosa stai dicendo?”.
“Se
non me ne hai voluto parlare quella sera, perché non lo
hai fatto ora? Perché, quando mi hai rivisto al tempio mesi
fa, non me ne hai
parlato?”.
“Che
differenza faceva?”.
“Stavo
per uccidere mio…figlio!”.
Arles
titubò un attimo
prima di dire quell’ultima parola.
“Avresti
fermato la
tua lama, sapendolo?” provocò lei “No,
non lo avresti fatto. Dicendo che dovevi
fare ciò che era meglio per tutti, se Ariadne non ti avessi
fermato, ora lui sarebbe
morto. Anche se ti avessi detto tutto”.
“Io
non sono un
mostro!”.
“Sì
che lo sei!”.
“Ma…”.
“Non
ti avvicinare!”.
“Tranquilla,
non ci
penso nemmeno!”.
I
toni della
discussione si erano fatti decisamente accesi. Ariadne cercò
di calmare
entrambi ma, inascoltata, si avvicinò sconsolata a Death
Mask.
“Stai
bene?” le chiese
lui.
“No,
certo che no.
Aspettavo questo momento fin da bambina. Aspettavo il giorno in cui
avrei
rivisto mio padre e mio fratello. Ora che quel giorno è
arrivato…non è affatto
come lo avevo immaginato”.
Una
piccola lacrima
rigò il suo viso e Death Mask sbatté i piedi.
“Adesso
basta!” gridò
“Avete fatto piangere Ariadne, vergognatevi!”.
Ninive
fece subito
silenzio e corse ad abbracciare la figlia, per scusarsi. Nessuno
fiatò. Ariadne
si fece abbracciare dal cavaliere del cancro, non dalla madre.
“Ma…”
riprese la
vestale.
“Non
lo hai ancora
capito, mamma? Sono cresciuta. Ho scelto una strada molto diversa dalla
tua”.
“Ma…Death
Mask! Tu sei
vecchio!” protestò la madre.
“Sono
rimasto in una
sorta di limbo per dieci anni. In pratica, io e Ariadne abbiamo la
stessa età”.
“Non
è così! E tu non
dici niente?” protestò Ninive, cercando di far
entrare Arles nella
conversazione.
“E
cosa credi che
debba dire? È una donna, non una bambina. Un padre con i
suoi rimproveri ormai
non le serve più”.
“Sei
un vigliacco!
Scappi dalle tue responsabilità”.
“Non
scappo! Sono qui,
donna! Κάτάρά! [Katarà!
Maledizione!]”
“Κάτάράμέυος!
[Kataramènos! Maledetto!]”
“E
piantatela!” gridò,
stavolta, Ahriman “Sono stanco, e delle vostre beghe
familiari poco mi importa.
Perciò sparite, continuatele fuori di qui!”.
“Il
ragazzo ha
ragione. Ha bisogno di riposo” concordò Hermes
“E le vostre grida non lo
aiutano”.
“Non
preoccupatevi. Io
me ne vado subito” sbottò Arles, uscendo dalla
stanza sbattendo la porta.
“Ammetto
che è
l’ultima persona al mondo che volevo come suocero,
credimi” commentò Death
Mask, sentendo chiaramente l’“Odio questo
posto” gridato dal collega lungo i
corridoi.
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Capitolo 16 *** XVI- libertà ***
XVI
LIBERTÁ
Il
tempo scorreva
lento ma inesorabile. Il mite inverno di Grecia passava tranquillo.
Nessuno
della neofamiglia riunita aveva più parlato
dell’argomento e non si erano più
ritrovati assieme successivamente. Così facendo, avevano
nascosto la verità a
tutti coloro che li circondavano. Ariadne aveva concentrato ogni forza
nel suo
ruolo di cavaliere d’oro, migliorando ogni giorno. Death Mask
l’aiutava a la
sosteneva. Quella ragazza era sola. Da quando aveva rivelato la
verità, Ninive
si era rintanata in un angolo del tempio assieme ad altre sorelle
vestali e da
lì non si era mossa. Passava le giornate pregando, sperando
di potersi
rinchiudere di nuovo al tempio della sua dea al più presto.
Purtroppo, la
guerra aveva rallentato i lavori di ristrutturazione. Arles trascorreva
i
giorni nel solo modo che conosceva: combattendo. Si allenava, quasi
sempre da
solo salvo quando rafforzava l’Excalibur di Shura. Ahriman
guariva, anche se
non gli era permesso uscire dalle sue stanze. I sigilli della dea
Athena, se
provava a toccarli, lo respingevano. Arles si era tenuto informato
sulle
condizioni di salute del generale ma non gli faceva mai visita, non
trovandolo
appropriato o necessario. Come accadeva, si ritrovava con Hermes e ne
parlavano.
“Quel
giovane non è
come sembra” disse, un giorno, Hermes “Ahriman
è un sognatore, non un
lottatore. Quella stanza è piena di libri ed io
l’ho visto molte più volte
leggere che allenarsi”.
“Questo
perché è
ferito, mi pare ovvio!” rispose Arles.
“Ora
non lo è”.
“E
che cosa vuoi da
me?”.
“Nasconde
ciò che è.
Quando entro nella stanza, nasconde il libro che legge sotto il
cuscino. Ma io
lo vedo. La polvere non si toglie da sola da quei tomi! E, inoltre,
guarda
dalla finestra con occhi distanti”.
“Probabilmente
anela
la libertà. Mi sembra normale”.
“Vorrei
che ci
parlassi. Ninive è sparita e Ariadne non sa come
approcciarsi con lui. Lo viene
spesso a trovare ma è come se Ahriman la
respingesse”.
“Non
ha bisogno di una
famiglia. È un uomo”.
“Tutti
hanno bisogno
di una famiglia, grandi e piccoli! Tu sei più bravo di me in
certe cose.
Conosci bene gli ingannatori e i malvagi. Sono certo che capirai al
volo se
quel giovane lo è o no”.
Entrando
nella stanza,
i due Dei videro il movimento rapido di Ahriman compiuto per nascondere
il
libro che leggeva. Il generale guardò con stupore il dio
della guerra. Hermes
sorrise e tornò ad uscire.
“Che
succede?” domandò
Ahriman “Avete deciso di condannarmi a morte?”.
“No.
Ma che ti viene
in mente!?”.
“Non
so per quale
altro motivo dovresti essere qui”.
“Sono
qui per
riconsiderare la tua posizione. Non possiamo tenerti qui per
sempre”.
“Gaia
ha dato
segnali?”.
“No.
Ma lo farà.
Sappiamo che sta preparando l’attacco successivo. Purtroppo
noi non conosciamo
il luogo dove sorge il suo palazzo ed il suo regno”.
“Ed
io non ve lo
dirò”.
“Non
te lo avrei
chiesto”.
“E
allora che vuoi da
me?”.
“Sapere
che intenzioni
hai”.
Ahriman
fissò negli
occhi il dio della guerra e il dio fece altrettanto con il generale. Il
giovane, ora senza la solita treccia che ne legava i capelli neri,
innegabilmente rassomigliava al genitore.
“Non
combatterò contro
Gaia, l’ho già detto”.
“Questo
l’ho capito,
Ahriman. E ne comprendo anche il motivo”.
“Voglio
andarmene da
qui. Lasciare questo posto per non tornarci. So che forse ti aspettavi
di
sentirti dire qualcosa di diverso”.
“No,
ti sbagli. Non mi
aspettavo nulla di diverso. Pure io me ne andrei volentieri molto
lontano”.
“E
perché non lo
fai?”.
“Perché
devo
combattere questa guerra. È la cosa giusta”.
“Hai
l’aria di uno che
fa sempre la cosa giusta. Beato te”.
“Non
è affatto così”.
Ahriman
sorrise in
modo amaro. Seduto a letto, con le ginocchia raccolte sul petto, non
voleva
crederci.
“Non
è affatto così!”
riprese Arles “In realtà, io sono più
uno che è sempre convinto di fare la cosa
giusta ma non è quasi mai così”.
“Bene.
Almeno so da
chi ho preso. Quando capisci di aver commesso un errore?”.
“Dipende.
A volte non
te ne accorgi proprio”.
“Voglio
solo andarmene.
Non vi darò fastidio. Me ne andrò e non mi
rivedrete”.
“E
cosa pensi di
fare?”.
“Non
lo so. Qualcosa
farò”.
“Non
è molto, come
programma”.
“Voglio
solo non
sentirmi in gabbia”.
“Lo
capisco. Parlerò
con Saga”.
“Saga?”.
“La
reincarnazione
attuale di Athena. Quello che ti ha sigillato”.
“Ah,
si chiama Saga”.
“Gli
parlerò. Vediamo
se riesco a convincerlo”.
Saga
non amava
sentirsi dire “ti devo parlare” da Arles.
Solitamente, portava guai. I due dei
della guerra si fissarono qualche istante. Sotto il colonnato, il vento
freddo
ne muoveva i capelli e le vesti.
“Sei
impazzito?”
sibilò Saga, dopo aver sentito la richiesta di Arles.
“Non
ci farà del male”
spiegò il dio più sanguinario.
“E
questo come lo
sai?”.
“Chiamalo
intuito”.
“Fammi
capire…tu,
causa di indicibili sventure per questo luogo, pretendi che mi fidi di
te?
Liberare il generale nemico, che ha fatto strage di nostri soldati, per
una tua
intuizione? È fuori discussione”.
“Vuoi,
per un attimo,
smetterla di pensare al passato? Concentrati sul qui e ora!”.
“Ah
sì, cancelliamo
anni di mattanza compiuta dalla tua follia omicida e liberiamo un
assassino
perché hai deciso che è giusto!”.
“Ascoltami,
però!”.
“Perché?
Dimmi perché
dovrei liberarlo. Oltre all’intuizione, cosa ti spinge a
volerlo liberare? Non
starai complottando contro di noi?!”.
“Le
motivazioni non ti
riguardano. Mi prenderò io ogni
responsabilità”.
“Tu?”.
“Oh,
Dei! Anche tu mi
ritieni incapace di prendermi responsabilità?”.
“E
chi altro lo
pensa?”.
“Lascia
stare!”.
Saga
si fermò a guardare
con aria interrogativa Arles. Cosa stava nascondendo? Temeva che
potesse
rivelarsi per l’ennesima volta un traditore. Non poteva
pretendere la
liberazione di un nemico come Ahriman. Era troppo pericoloso.
D’un
tratto, si sentì
un grido. E un forte boato.
“Che
succede?” si
allarmò la reincarnazione di Athena.
Le
guardie del tempio
corsero verso quel rumore. E Saga spalancò gli occhi,
capendo.
“È
scappato! Ha
spezzato i miei sigilli!” disse, guardando con sospetto Arles.
“Perché
mi guardi così?””
protestò il fissato.
“Fermatelo!
Ad ogni
costo, fermatelo!” ordinò Saga, rivolto ai soldati.
Ahriman
si era
liberato dei sigilli. Gaia gli aveva insegnato come sfuggirvi. Bastava
conoscere il nome di chi li creava. Ma era consapevole che uscire da
quella
stanza era solo il primo passo. Si liberò facilmente dei
primi soldati semplici
che si ritrovò davanti ed iniziò a correre. Era
veloce. Lanciò un colpo e si
fece strada fra l’esercito che avanzava per fermarlo. Saga
provò a colpirlo da
lontano con il potere del suo scettro, ma Ahriman schivò,
saltando e facendo
una strategica piroetta diagonale. Arles si mosse. Quel giovane era
molto
veloce ma non poteva pretendere di superarlo. Balzò in
groppa all’enorme
cavallo nero con lo sguardo fiammeggiante che ultimamente lo
accompagnava. Le
amazzoni, cavallerizze a suo seguito, lanciarono il loro grido di
guerra.
Volevano seguire il loro signore, ma sapevano di non riuscire a
raggiungere
quella velocità. Il dio delle battaglie sfrecciò
fra le rovine. Dove stava
andando Ahriman? In quella direzione, c’era solo il vuoto! Il
generale fuggì
verso la spiaggia. Diretto verso gli scogli che scendevano a precipizio
sulla
piccola spiaggia, non si guardò indietro.
“Ahriman!”
lo chiamò
Arles.
Con
la sua notevole
velocità, il giovane era riuscito a distanziare i suoi
inseguitori. Ma non
Arles, che lo marcava stretto. Arrivato sull’orlo della
scogliera, non si fermò
e saltò. Spalancò le ali, pronto a volare via. Ma
non ci riuscì. Le ali, a
causa delle ferite di battaglia, parevano non più in grado
di sorreggerlo.
Annaspò in aria, cercando in qualche modo di rimanere
sospeso.
“Ahriman!”
gridò
ancora Arles, spronando il suo cavallo.
Il
dio della guerra
aveva deviato, scendendo sulla spiaggia. Il generale stava precipitando
velocemente e Arles saltò, per riuscire ad afferrarlo.
Prendendolo al volo, il
dio cadde in malo modo e salvò il figlio. Stupito da quel
gesto, Ahriman rimase
immobile fra le braccia del padre, riprendendosi dalla paura. Il dolore
che
provava alle ali era intenso. Ansimava, per la corsa e per lo spavento.
Era
certo di morire.
“Stai
bene?” gli
domandò Arles.
“Sì.
E tu?” rispose il
generale.
“Nulla
di
irreparabile”.
I
due si rialzarono e
si fissarono, insicuri sul da farsi.
“A
piedi non andrai
lontano” commentò il dio della guerra.
“Non
ho la patente”
sbottò Ahriman.
“Prendi”
propose il
padre, sfiorando la criniera del maestoso cavallo nero.
Il
fuggitivo ne
incrociò gli occhi rossi. Non era certo di poterlo cavalcare.
“Prendi
la strada che
costeggia la spiaggia e ti allontanerai in fretta”
continuò il dio.
“Perché
mi aiuti?”.
“Perché
voglio
fidarmi. E comprendo il tuo desiderio di libertà”.
“Grazie”
mormorò, a
voce bassa, Ahriman.
Era
calata la sera. Le
stelle brillavano. Il generale si fermò qualche istante a
guardarle, prima di salire
in groppa al destriero del padre.
“Ad
ogni modo…”
riprese “…Se volete batterla, dovete
sigillarla”.
“Gaia?”.
“Sì.
Ma non ci
riuscirete facilmente. Per indebolirla, uccidete i guerrieri a cui lei
ha
legata. Coloro che portano un marchio come il mio”.
“Quel
segno che hai
sul petto?”.
“Sì.
Trova un
guerriero con lo stesso marchio e uccidilo. Quel segno, ci lega a lei.
Lo ha
fatto per donarci energia e per rimanere sempre in contatto con la sua
mentre.
Per qualche istante, uccidendo uno di noi, lei sarà
indebolita e potrete
sigillarla. Ma dovrete essere rapidi ed usare tutta la potenza
possibile”.
“Lei
lo sapeva che eri
rinchiuso da noi? Che non eri morto?”.
“Certo.
Ma non le è
importato”.
Arles
lesse la
tristezza negli occhi di Ahriman e non chiese altro. Con un piccolo
colpo,
ordinò al cavallo di iniziare a correre. Poi alzò
lo sguardo e vide che sul
bordo della scogliera lo osservavano tutti gli altri Dei.
“Perché
lo hai fatto?”
furono le parole che gli rivolse Saga, una volta che Arles ebbe
raggiunto il
gruppo.
Non
ricevette
risposta. Il dio della guerra continuò a camminare fra le
rovine, senza
voltarsi.
“Ti
rendi conto di
quello che hai fatto?” continuò la reincarnazione
di Athena, afferrandolo per
un braccio.
“Lasciami!”
sbottò
Arles.
Ora
gli Dei lo
circondavano. Inaspettatamente, vide Ninive. Doveva aver smesso di
pregare per
poter controllare la situazione, dopo essere stata informata della fuga
del
figlio.
“Dammi
una
spiegazione” ribatté Saga, dando le spalle ad
Arles “Dammela, ti prego. Toglimi
dalla testa l’idea che tu ci abbia ingannato”.
“Io
non sono dalla
parte di Gaia”.
“E
allora perché?
Perché lo hai lasciato fuggire?”.
Il
dio della guerra
non parlò.
“Il
tuo gesto è
inaccettabile” tuonò Zeus “E devi essere
punito. A quest’ora, quel ragazzo potrebbe
aver raggiunto già Gaia, svelandole dettagli fondamentali!
Un tale
tradimento…merita la morte!”.
“Allora
uccidimi”
sfidò Arles, con tono piatto e distaccato.
“Con
piacere”.
“Fermi!
Non dite
cazzate! Non possiamo uccidere il dio della guerra prima di scendere in
guerra!” fu il commento di Dioniso “Sarebbe un
suicidio!”.
“Abbiamo
un’altra
divinità della guerra!” commentò
Artemide, sfiorando Saga.
“Ares
non lo si può
fermare durante una guerra” annuì Apollo.
“Io
non combatterò
dalla parte di Gaia, lo ripeto!” ribadì Arles.
Ma
ormai gli animi si
erano accesi e tutti guardavano la reincarnazione di Athena. Quella era
casa
sua, spettava a quella divinità esprimersi sul da farsi.
Saga chinò la testa.
Sentiva su di lui una grossa responsabilità. Prese un
profondo respiro.
“Arles…”
iniziò
“…l’atto che hai commesso è
inaccettabile. Non posso passarci sopra come se non
fosse successo nulla. Devi scontare la tua pena. E la pena per il
tradimento
sai bene qual è”.
“Sì,
lo so bene” fu la
risposta, sempre data con il tono piatto precedente.
“Tuttavia,
come ha
detto Dioniso, non posso sottrarti la vita alla vigilia di una
battaglia così
importante. Sappi che la condanna a morte grava su di te. Se ci
tradirai
durante il prossimo scontro con Gaia, chiunque dei presenti
avrà il diritto di
ammazzarti. In caso contrario, la sentenza attenderà la fine
della guerra”.
Arles
non commentò.
Non protestò. Riprese il suo cammino.
“Dammi
una ragione!”
gli gridò dietro Saga “Dammi una ragione per
poterti salvare! Una soltanto!”.
Il
dio della guerra
non disse nulla.
“Io
non voglio che tu
muoia! Dì qualcosa, ed io ti salverò!”.
“Non
ho niente da
dire” finalmente aprì la bocca Arles.
Scese
il silenzio. Gli
Dei si dispersero, Saga nascose le sue lacrime, Ninive raggiunse la
reincarnazione di Ares. Si era rintanato alla terza casa e, da solo, si
stava
curando. La botta presa per salvare il figlio ora la sentiva. Non era
grave, ma
in quel momento non sapeva cos’altro fare.
“Perché
non hai detto loro
la verità?” domandò Ninive.
Arles
sbuffò. Sperava
di rimanere un po’ da solo. Si alzò, cercando
l’uscita.
“Perché
non gli hai
detto che hai salvato tuo figlio?” riprese lei
“Sono certa che non sarebbero
arrivati al punto di condannarti alla morte!”.
“Ninive,
loro sanno
che Ahriman è tuo figlio! Lo hanno visto, quando Ariadne lo
ha rivelato nella
scorsa battaglia. Se scoprissero che è anche figlio mio,
rischieresti anche
tu”.
“Rischierei?”.
“Capirebbero
che tu
hai infranto le regole. Verresti punita per averlo fatto. Saresti la
compagna
di un traditore assassino”.
“E
allora? Accetti la
tua condanna a morte pur di non farmi correre rischi?”.
“Esatto”.
“E
perché?”.
“Perché
una condanna
in famiglia è più che sufficiente, non
trovi?”.
Ninive
rimase senza
parole. Vide Arles allontanarsi, in cerca di un luogo dove poter stare
tranquillo. Aveva taciuto…per lei?
“Ary…”
mormorò, mentre
iniziava a scendere una lieve pioggia.
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Capitolo 17 *** XVII- primavera ***
XVII
PRIMAVERA
I
primi fiori
sbocciavano fra le rovine e nell’aria si sentiva il loro
profumo. Il cavaliere
dei pesci era il più entusiasta della cosa.
Arles e Saga non si parlavano dal giorno in cui era stata
decida la
condanna a morte. Kanon non apprezzava molto quella situazione,
perché
considerava entrambi suoi fratelli, ma non riusciva a far cessare quel
silenzio. Le varie famiglie divine iniziavano a non sopportare la
convivenza ed
il nuovo attacco di Gaia fu visto come una sorta di liberazione,
più che un
evento terribile.
La
dea nemica era
magnifica, avvolta da drappi verdi che fluttuavano a
mezz’aria assieme a lei.
Come sempre, dinnanzi aveva l’intero suo esercito, pronto a
difenderla e a
combattere. Arles iniziò subito a tentare di capire chi
potesse avere il
marchio di Gaia addosso. Ma non era facile, fra tutte quelle armature!
La dea
lo guardò, come intuendone i pensieri.
“Ammazzateli
tutti.
Poniamo fine a questa cosa” ordinò lei ed
iniziò la battaglia.
Un’onda
di guerrieri
alati si abbatté sugli Dei alleati di Athena, con un gran
svolazzare di piume.
Le amazzoni a cavallo gridarono e caricarono, ruotando le spade. Orde
di specter
apparirono dall’oltretomba, trascinando con loro anime e
corpi. Ma i nemici
erano molti, parevano non terminare mai. Ogni dio aveva più
avversari. Saga
capì subito che si trovavano in difficoltà. Ne
era spaventato ma, poco più
avanti, vedeva Kanon e Arles combattere sicuri. Maledetti
tentennamenti! Doveva
ricordarsi che dentro di sé era divinità della
guerra! Cacciò un grido,
probabilmente simile a quel che fece Athena quando fuoriuscì
dal cranio di
Zeus, e parte dell’armatura lo protesse. L’elmo, lo
scudo, le spalle, gli
schinieri…si erano adattati a quella reincarnazione
maschile.
“Era
ora, fratellone!”
sbottò il dio dei mari, con un mezzo sorriso strafottente.
Il
fulmine di Zeus
squarciò il cielo ed iniziò a piovere. Non era
una cosa che gradivano molto ma
Hermes, con i suoi sandali alati, capì. Era una tattica per
bagnare le piume
dei nemici, che così erano costretti ad atterrare.
Facilitando così il
lavoro dei soldati. Lentamente, da entrambe
le parti, il numero dei guerrieri calava. I soldati semplici cadevano e
svanivano fra il fango e l’acqua. Il terreno si era tinto di
rosso ormai.
“Dobbiamo
sigillare
Gaia!” parlò Arles, avvicinandosi a Saga.
“Lo
so. E come credi
di fare? Ci sto provando, ma lei è forte”.
“Dobbiamo
indebolirla.
Basta uccidere uno dei soldati marchiati come Ahriman”.
“Ahriman
era
marchiato?!”.
Una
potente onda
d’urto divise i due. Si guardarono. Dovevano trovare un modo!
Le Norme, figlie
di Erebo e Notte, sorridevano spezzando esistenze con estrema
facilità.
Ghignarono, rivolte verso i tre guerrieri gemelli: Arles, Saga e Kanon.
Tesero
i fili delle loro vite, pronti ad reciderli, ed
i tre Dei gemettero per il dolore. I fili si
assottigliavano sempre più
ma qualcuno riuscì a colpire quelle creature.
“Muori,
schifezza!”
gridò Dioniso.
Assieme
a Pan e Dohko,
distrusse le Norme fra le risate. Probabilmente era un po’
alticcio.
Arles
reagì ed afferrò
uno dei generali alati, in cerca del marchio. Non lo trovò e
lo scaraventò
lontano, con rabbia. Che fosse stata una bugia? Che Ahriman lo avesse
preso in
giro? Si guardo intorno. Loro, alleati sotto il richiamo di Athena,
stavano
avendo la peggio! La pioggia battente lo stava decisamente
innervosendo. Phobos
gridava per la morte del fratello, generali e cavalieri cadevano quasi
senza
far rumore. Gaia rideva.
Illuminati
da un
fulmine, due occhi rossi come il sangue bucarono le tenebre formate
dalle nubi.
Il cavallo nitrì, ed Arles capì.
“Ahriman!”
lo
riconobbe più di qualcuno.
Il
giovane a cavallo
osservava da una collina di ruderi la valle in cui le
divinità si scontravano.
Da lì, avrebbe potuto benissimo attaccare chi voleva e
sentirne perfino la
paura.
“Ahriman!
Mio
generale!” sorrise Gaia “Come sono lieta di
rivederti! Coraggio, schiaccia
questi vermi e finiamola qui”.
“Era
questo che volevi?”
parlò invece Saga ad Arles “Un nemico che ci
conoscesse? Ora ci distruggerà.
Siamo allo stremo!”.
Arles
guardò il
figlio, confuso. Gli aveva detto che non avrebbe partecipato a quella
battaglia! Si sentì ingenuo. Ancora una volta, avrebbe
dovuto seguire la voce
di Saga!
Ahriman
scese da
cavallo, senza dire una parola. Non indossava l’armatura ed i
suoi lunghi
capelli non erano intrecciati come quando combatteva. Aprì
leggermente le ali e
fece una strana smorfia di scherno. Erano tutti fermi a guardarlo! Che
guerrieri patetici!
“Che
cosa c’è, mio
angelo?” domandò Gaia.
“Angelo?
Non sono nato
con queste ali” le rispose il generale “Ma fosti tu
a farle crescere su di me.
Ricordo bene la sofferenza che mi provocò tale
gesto”.
“Ma
hai ottenuto in
cambio la possibilità di volare”.
“Non
lo nego. Però non
definitemi un angelo. Forse, esteticamente, posso anche sembrarlo. Ma
dentro di
me vi è un demone”.
“Un
demone? Ma no, che
dici? Che ti hanno ficcato in testa queste creature inferiori?! Ricorda
chi ti
ha cresciuto! Non fu tua madre né tantomeno tuo
padre!”.
“Nemmeno
tu mi
crescesti, Gaia. Io crebbi da solo. Non ebbi mai un’infanzia
e sono divenuto
adulto in fretta, invecchiando presto”.
“Ahriman…”.
“Ma
che avete da
guardare?” parlò Shura, interruppe il silenzio che
era sceso fra i guerrieri
“Avete bisogno di un invito scritto per ricominciare a
combattere? Non ha
importanza la presenza del generale. Uccideremo anche lui, se
necessario!”.
Accompagnò
le sue
parole con una potente Excalibur, che andò a colpire
l’esercito nemico. La sua
tecnica era notevolmente migliorata, così come erano
migliorati i colpi di
tutti i guerrieri d’Athena. La battaglia riprese. Nonostante
i pesanti
allenamenti, gli alleati non riuscivano ad avere la meglio
sull’esercito di
Gaia. La cosa li stupiva. Avevano tanto faticato per migliorare e
potenziarsi,
eppure queste divinità resistevano perfino alle frecce
d’oro di Aiolos.
“Eolo
ti suggerisce di
spostarti rapidamente di lato, per cercare di colpirlo”
suggerì Milo a Death
Mask, che tentava di avere la meglio su Erebo.
“Da
quando i nani di
Biancaneve sanno come si combatte?!” sbotto il cancro.
“Ma…”.
“Sì,
lo so! È il dio
del vento! Ma ci ho già provato! Anticipa tutte le mie mosse
quel bastardo!”
Ariadne
colpì con
l’ennesima Galaxian Explosion, che però gli Dei
nemici non ebbero difficoltà a
schivare. Questo la amareggiò. Non sapeva che altro fare!
Strinse i denti,
dicendosi che non doveva mollare per nessuna ragione!
Arles
non aveva perso
d’occhio nemmeno un istante il giovane Ahriman, perplesso sul
da farsi. Non
pareva intenzionato a combattere, e allora perché se ne
stava lì?
Il
generale osservava
la scena. Delle due fazioni, non sapeva chi poter considerare
più degna. Da un
lato, Dei primordiali che ribollivano di rabbia e disgusto nei
confronti degli
esseri umani. Dal lato opposto, divinità in corpi mortali
che lottavano per
mantenere un dominio. E intanto non smetteva di piovere.
Guardò Gaia. Era
bellissima ed allo stesso tempo spietata. Non avrebbe esitato un solo
istante a
sterminare tutti i suoi seguaci se in cambio avesse ottenuto la
vittoria. In
mano sua, l’umanità non sarebbe durata un solo
giorno. Poi notò Saga. La
reincarnazione di Athena aveva avvolto l’intera battaglia in
una sorta di
bolla, per impedire che gli innocenti potessero rischiare di essere
colpiti o
di assistere ad immagini che non avrebbero compreso.
Quegli
Dei, seppur
imperfetti, lottavano con tutte le loro forze. Pur essendo consapevoli
del loro
svantaggio. Fino alla morte. E poi…fra loro vedeva sua
sorella. Ammirava le sue
capacità. Era degna di quell’armatura.
Però era allo stremo. Vide Arles, quel
padre che rassomigliava molto più ad un fratello maggiore,
che incitava i
soldati con urla di guerra che non accennavano a smorzarsi. Quelle
grida,
donavano forza e coraggio a chi le udiva.
“Questa
guerra non
finirà mai” constatò Ahriman
“Le due fazioni si equivalgono. A volte, una ha
quasi ragione sull’altra ma poi l’altra trova
sempre un modo per risorgere più
potente”.
Gaia
notò il
rafforzarsi dell’animo dei suoi nemici e ringhiò.
Era pronta a ritirarsi, per
preparare il prossimo attacco fra le sicure pareti del suo castello.
Nemmeno
per un istante si era voltata verso Ahriman. Probabilmente ora lo
vedeva come
uno scarto, un essere difettoso che le creava quasi impiccio. Il
generale lo
sapeva. E sapeva che cosa doveva fare. Lentamente, aprì la
veste verde e nera,
lasciando che la pioggia gli bagnasse la pelle. Arles si
fermò a guardarlo e ad
un tratto capì.
“Ahriman!
No!” gridò e
pure Saga si voltò verso quella direzione.
Videro
il ragazzo
scoprire il marchio che portava e conficcarsi una mano nel petto. Gaia
gemette
e la reincarnazione di Athena capì che era quello il momento
adatto per
sigillarla, assieme all’aiuto di Zeus.
Arles
corse verso
Ahriman che, leggero quasi come un soffio di vento, stava cadendo. Il
nero dei
suoi capelli si tingeva d’argento, mentre lentamente la vita
lo lasciava. Fra
le mani stringeva il suo cuore e il rosso del sangue ora iniziava a far
mutare
di nuovo il colore della sua capigliatura. Il padre raggiunse il
figlio, si
inginocchiò e lo prese fra le braccia. Le labbra del ragazzo
erano bianche
ormai, così come tutto il suo viso. Ma, nonostante tutto, lo
sentì mormorare.
“Dì
ad Ariadne che mi
dispiace. So che lei ci teneva molto ad avere una bella famiglia
felice. Ma io
non sono adatto a queste cose e non potevo più sopportare
tutto questo. Lei è
forte, non è come me che…”.
Non
riuscì a dire
altro. Un fiotto di sangue gli uscì dalla bocca e chiuse gli
occhi. Arles lo
scosse e lo chiamò ma non c’era più
niente che potesse fare. Il cuore di suo
figlio giaceva in terra in mezzo al sangue ed alle lacrime, che
scendevano
delicate sul viso di molti, assieme ai petali dei primi fiori di
primavera.
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Capitolo 18 *** XVIII- loser ***
XVIII
LOSER
Gaia
era stata
sigillata. Saga, esausto, aveva perso i sensi dopo essere riuscito a
vincerla.
Non appena riaprì gli occhi, al sicuro sul giaciglio
all’interno del tempio, si
guardò attorno allarmato.
“Ti
sei svegliato!” lo
salutò Hestia, ora visibilmente sollevata.
“Quanto
tempo sono
rimasto privo di sensi?”.
“Qualche
ora. È notte
ora”.
Saga
si rialzò,
nonostante le proteste di Hestia, che lo invitava a riposare ancora un
po’, e
dei cavalieri d’oro lì riuniti. Ne mancava
qualcuno. Dopo essersi assicurato
che fossero tutti vivi e in buone condizioni, si allontanò
dalla sala senza
curarsi della stanchezza. Aveva ancora un compito da svolgere.
Salì lentamente
le scale ed attraversò le prime due case, giungendo alle
porte della terza.
“Phobos”
parlò,
vedendolo “Mi spiace. Ho saputo che hai perso un fratello in
questa battaglia”.
“La
guerra è vinta, è
questo quello che conta”.
“Il
tuo signore Arles
è alla terza casa?”.
“Sì.
Ma non pare molto
in vena di essere disturbato”.
“Lo
immagino”.
Il
labirinto della
terza era buio e silenzioso. I passi di Saga rimbombavano fra le pareti.
“Sei
venuto a prendere
la mia testa, Athena?” parlò Arles, creando un eco
quasi inquietante.
“Dove
sei? Fatti
vedere” rispose Saga.
Arles
apparve dal
fondo del corridoio, lasciandosi alle spalle il buio.
“Devo
ridiscutere con
le altre divinità la tua condanna a morte”
ricominciò a parlare la
reincarnazione della Dea “Mi pare evidente che tu non abbia
agito per tradirci.
E Ahriman ci ha permesso la vittoria”.
“Non
fa una grande
differenza, che io muoia ora o fra qualche mese nella prossima
guerra”.
“Prossima
guerra?”.
“Le
guerre ci saranno
sempre”.
“Fra
noi divinità,
siamo pronti a formare l’alleanza necessaria per mantenere la
pace”.
“Apprezzo
il tuo
ottimismo”.
“All’alba,
seppelliremo i morti. Anche Ahriman”.
“Lo
farai riposare nel
cimitero dei cavalieri?”.
“Sì.
Si è sacrificato
per raggiungere la pace. Sarà ricordato come un
eroe”.
Arles
quasi rise.
Traditore ed assassino, in pochi attimi divenuto eroe. Era ironico.
“Perché
non mi hai
detto che era tuo figlio?” continuò Saga.
“Cambiava
qualcosa?”.
“Cambiava
molto, a mio
avviso! Non ti avremmo condannato a morte! Ti avremmo
capito!”.
“Tu
mi avresti capito.
Tu soltanto”.
“Forse
hai ragione”.
Saga
sedette in terra,
lasciando che lo scettro sbattesse. Arles lo fissò con aria
interrogativa.
“Sei
pallido, Saga.
Facevi meglio a restare a letto” commentò.
“Smettetela
di
trattarmi tutti come se fossi un bambino!”.
“Non
ti tratto come un
bambino! So che hai combattuto ed hai consumato le tue
energie”.
“Come
hai fatto tu!”.
“Io
non ho sigillato
nessuno”.
“Tutti
quei morti…”
mormorò Saga “Se io non fossi così
debole, potrei riportarli in vita! Invece…”.
“Hai
già fatto molto”.
“Non
è vero! Io…io
vorrei ridarti tuo figlio! Lo vorrei davvero! Ma sono così
inutile che non sono
in grado di farlo!”.
“Se
vogliamo parlare
di questo, allora sono io quello inutile. Nella mia vita ho fatto tante
di
quelle cazzate che non riesco più a contarle. E guardami
ora! Sono uno fra gli
Dei più odiati: quello della guerra! Ma non la guerra giusta
e di difesa come
sei tu. Sono un fallito”.
“Che
bella coppia
siamo, io te”.
Seduti
uno accanto
all’altro, sospirarono all’unisono. Saga
guardò in alto. Aveva gli occhi
lucidi, ma non voleva piangere per l’ennesima volta. Arles,
invece, con sguardo
vuoto e perso verso non si sa quale meta, non era il genere di uomo che
versava
lacrime per sfogarsi.
“Dev’essere
orribile”
ricominciò Saga, con tono triste.
“Cosa?”.
“Sapere
che un figlio
esiste e poi perderlo in così poco tempo”.
“Ma
mi hai visto? Io
non sono un padre. Al massimo un fratello maggiore. E anche in quello
sarei un
disastro, credimi. Però ho sbagliato tutto. Devo ancora
chiedere perdono per
così tante cose…”.
“Immagino
sia questo
il momento giusto”.
“Prima
che Zeus mi
decapiti. Già”.
“E
lei?”.
“Lei
chi?”.
“Ninive.
Le hai
parlato? E con Ariadne?”.
“Più
sto lontano da
loro, e meglio sarà. Non hanno bisogno che le faccia ancora
del male. Ed è
meglio anche che stia lontano da te, fratello”.
“Ma
che dici? Tu…”
“Papà!”
si sentì
gridare per la terza casa, interrompendo la frase di Saga.
“Meno
male che sei
qui!” ansimò Ariadne, trovando lo zio ed il
genitore seduti in terra “Presto,
aiutaci! Mamma è fuori controllo, ti prego vieni con
me!”.
Arles
non ebbe il
tempo di riflettere sul fatto di essere appena stato chiamato
“papà”. Lui ed
Ariadne corsero in fretta fino alla sesta casa, dove Hestia e le
vestali ancora
dimoravano. Le donne erano fuori dalla porta, che tentavano di guardare
all’interno, troppo spaventate per entrare.
“Che
succede?” domandò
il dio della guerra.
“Vieni”
lo incitò
Ariadne, mentre le vestali si spostavano per fargli spazio.
All’interno,
Hestia
tentava invano di calmare Ninive. La donna era fuori controllo. Con
l’abito
nero, simbolo del lutto, gridava di rabbia e dolore. Il suo cosmo,
risvegliatosi, bruciava ardente ed impazzito.
“Ha
ferito delle
vestali” spiegò Ariadne “Non riesce
più a controllarsi”.
“Rischia
di
consumarsi”.
“Fermala.
Ti prego!
Trova un modo! Io ho tentato, ma non ascolta”.
Arles
respinse alcuni
colpi lanciati da Ninive. Hestia, ormai sfinita, si
allontanò. Il dio della
guerre fece segno alla figlia di fare lo stesso. Rimasto solo con lei,
tentò di
farla ragionare.
“Ninive!”
la chiamò
“Calmati!”.
Lei
gridò e un’altra
fiammata del suo cosmo si diffuse per la sesta casa.
“Ninive!
Ti consumerai!”.
“Meglio!”.
“Ma
che dici?!”.
“Oh,
stelle del cielo!
Fate che la mia vita si spenga ora”.
“Ninive!
Non fare
così! Vieni con me. Vieni a dare l’ultimo saluto a
tuo figlio”.
“È
stata tutta colpa
mia!”.
Arles
strinse i pugni
e scattò. Nonostante la resistenza di Ninive,
l’abbracciò. La strinse forte a
sé, combattendo contro il cosmo bruciante che lo aggrediva.
“Calmati”
le disse,
parlando piano e accarezzandone il capo velato.
“Lasciami!
Lasciami
subito! Non mi toccare!” ringhiò lei.
“Devi
calmarti!”.
“A
te che importa?
Lasciami! Lascia che bruci e muoia”.
“No!
Non ti lascio!
Questa volta no. Non avrei dovuto lasciarti andar via allora e non lo
farò
adesso”.
“Bugiardo!”.
“Folle.
Solo questo.
Sempre e solo folle”.
“Bastardo”.
“Può
essere. Ma ti
prego, Ninive, non lasciare che la tua incredibile energia ti uccida.
Ricordo
quando combattevi. Com’eri forte e sicura. Ricordo i tuoi
meravigliosi occhi
blu. Gli unici in grado di vedere la luce dentro di me. Tu credevi nel
mio lato
buono, se è mai esistito. Tu ti sei fidata ed io ho
sbagliato”.
“No,
sono stata io a
sbagliare. Sono una madre orribile. Sono una madre fallita”.
“Ma
perché dici questo?!”.
“Ho
obbligato mia
figlia ad una vita da vestale che non voleva e il mio
bambino…”.
“Ariadne
ora indossa
un’armatura d’oro. Ed Ahriman si è
sacrificato per il bene di tutti. Dovresti
esserne fiera. Fiera con tutta te stessa”.
“Sono
fiera, certo. E
sono distrutta. Mi manca il respiro. Sento il petto che esplode e non
voglio
vivere ancora con questo. Sono sola”.
“Non
sei sola!
Respira. Lentamente. Vieni con me. Andiamo a salutare
Ahriman”.
“Non
ci riesco”.
Il
cosmo di Ninive si
era placato e lei era scoppiata a piangere. Arles lo notava da sotto il
velo
che le copriva il viso.
“Ninive…quando
eravamo
dei ragazzini ti dicevo sempre che eri una guerriera, che non dovevi
piangere.
Ora non userò quelle parole, perché vorrei tanto
riuscire pure io a piangere”.
“Non
tutti ci
riescono”.
“Forse
sono un cuore
di pietra, come hai detto tu. Avanti…dobbiamo salutare
Ahriman. All’alba verrà
sepolto e non lo vedremo mai più. Anche se non è
cresciuto con noi e di lui
sapevamo poco, è pur sempre legato a noi. Lo era e lo
sarà sempre. Sangue del
nostro sangue”.
“Il
nostro bambino”
dissero i due in coro.
“Rispetto
la tua
decisione” riprese Arles “Si essere vestale e
ritirarti dal mondo d’ora in
avanti. Ma, ti prego, vieni con me da Ahriman”.
“Io…”.
“Un
passo alla volta. Coraggio”.
“E
poi mi lascerai da
sola?”.
“Non
dipenderà da me
ciò che sarà dopo”.
“Già,
è vero. Sei
condannato a morte”.
“Ariadne,
Hestia e le
tue sorelle vestali non ti lasceranno mai sola. Vieni. L’alba
è vicina”.
Ninive,
sempre
piangendo, si sforzò di calmarsi. Potenti singhiozzi la
scuotevano. Cadde in
ginocchio. Arles lasciò per qualche istante che si
riprendesse e poi la fece
alzare.
“Andiamo”
le mormorò.
Ed
insieme si
avviarono verso l’uscita della sesta casa.
“Hei!
Tutto bene? Ho
sentito le tue grida!” si allarmò Death Mask,
raggiungendo Ariadne.
“Sì.
Io sto bene. È
mia madre che…” rispose lei, guardando verso la
sesta casa.
“Ninive
è ancora là
dentro? Capisco…ma dobbiamo andare. È quasi
l’alba. Vedrai che…”.
“Sei
sensibile come un
coccodrillo morto!” sbottò Shaina.
“Non
rompere, bella!”
la apostrofò in malo modo il cavaliere “Questa
nave l’hai persa, e lo sai! Ci
ho provato per anni con te, vai a cercarti il principe azzurro
altrove!”.
“Che
cattivo che sei”
ridacchiò Ariadne “Pensa che il nostro incontro
è stato solo un caso. Se io
quella notte avessi incontrato mio padre, invece? Te lo immagini? Se
fosse
stato lui il mio maestro, senza che nessuno dei due sapesse la
verità? E se mi
fossi innamorata di lui?”.
“Saresti
comunque
caduta fra le mie braccia. Questo è fascino italiano,
tesoro!”.
“Coglione!”
replicò
Shaina, poi trascinata via a forza da Milo.
Cavalieri
di Athena,
Dei ed alleati si stavano tutti dirigendo al cimitero. Saga, vestito in
nero, era
pronto a celebrare la cerimonia. A braccia conserte, osservava gli
altri Dei.
Quello era il loro ultimo giorno assieme, poi ognuno avrebbe raggiunto
il
proprio tempio. Chissà se sarebbero rimasti per davvero in
alleanza. Il dolce
suono del flauto di Hypnos cullava le loro menti, alleviando il dolore
dei loro
pensieri. Un canto iniziò a levarsi. Un coro solenne,
triste. L’estremo saluto
a chi aveva combattuto l’ennesima guerra.
“Cominciamo”
si
pronunciò Saga, accendendo le prime candele.
Uscendo
dalla sesta
casa, Ninive ed Arles vennero travolti dall’odore
dell’incenso e dai cori.
Lentamente scesero le scale. Lui la sorreggeva con un braccio,
guardando dritto
davanti a sé. Lei, con la testa bassa, piangeva per ogni
vita spenta e per la
perdita del figlio.
“Arrivano”
mormorò
Thanatos a Saga.
Tutti
i presenti, con
in mano una candela, attendevano. La reincarnazione di Athena
annuì. Si accinse
a spalancare il grande portale dietro a cui i corpi dei caduti
giacevano, per
condurli con ogni onore al cimitero dei cavalieri. Si fermò,
udendo un canto
nuovo. Era così limpido e forte che copriva le voci del
coro. Un timbro
giovane, maschile. A quella melodia, si accesero le prime stelle nel
cielo.
“Che
succede?” si
chiese più di qualcuno.
“Mai
viste stelle così
belle!” commentò qualcun altro.
Guardando
in su, sul
tetto del tempio, videro una figura avvolta in una lunga veste candida
mossa
dal vento. La voce era la sua. Con un gesto della mano,
quell’uomo pareva
controllare il cielo. La luna ne incorniciava il profilo e le stelle
brillarono
come mai prima.
“Ma
chi è? Non sarà
mica un altro rompicoglioni?” sbottò Death Mask.
“Eh
no, che palle!”
concordò Milo.
“Chi
sei? Sai che stai
interrompendo una cerimonia piuttosto importante?”
parlò Shura.
“Scusate”
rispose la
figura.
La
sua voce fece
vibrare i loro cosmi. Era serena, solenne, avvolgente come il cielo
stesso.
Spalancò le ali e scese. I suoi lunghi capelli dello stesso
colore della notte
lo avvolsero, sfiorandone i piedi scalzi. Sorrise, inclinando il viso.
Ariadne
lo fissò, stupita come gli altri, e poi ne
incrociò gli occhi smeraldo.
“Ahriman?”
mormorò
“Ahriman, sei tu?”.
Il
giovane sorrise con
più convinzione, chiudendo gli occhi.
“Ma…com’è
possibile?”
domandò Thanatos “Avevi il tuo cuore in mano! Era
in terra!”.
“Vi
devo ringraziare”
parlò Ahriman “Solo con il sigillo su Gaia, potevo
tornare”.
“Fratello…i
tuoi
capelli…la tua voce…”.
“Mi
devo sdebitare”.
Dopo
quella frase, il
giovane ruotò una mano, dirigendola verso la porta che stava
alle sue spalle.
Dalle sue dita, frammenti sottili e luminosi, simili a polvere di
stelle, si
espansero nella stanza appena spalancata. Il buio in essa si dissolse.
Molti
cosmi la illuminarono.
“Stanno…tornando
in
vita?” domandò Hypnos al gemello Thanatos, forse
convinto di essere in uno dei
suoi sogni strambi.
“I
morti di questa
guerra…si rialzano” confermò il dio dei
defunti.
“Le
anime ed i cosmi
tornano nei corpi dei caduti” sorrise Hade, vedendo fra loro
alcuni dei suoi
uomini.
“Com’è
possibile?” si
chiese Phobos, sorridendo al fratello che usciva dalla sala con le sue
gambe.
Tornando
a posare lo
sguardo su Ahriman, videro che era mutato ancora. Era cresciuto e sul
capo
portava una corona scura.
“Urano”
lo riconobbe
Zeus.
“Il
mio bambino è il
dio Urano?” riuscì a dire Ninive.
Arles,
invece, non
disse nulla. Il giovane si stava avvicinando. Gli si fermò
davanti, mostrando
di essere una spanna più alto del padre. Alle sue spalle,
Dei e guerrieri
iniziavano ad inginocchiarsi dinnanzi al dio supremo del cielo.
“Io
non sapevo di
essere ciò che sono” ammise Ahriman “Ma
voi siete stati gli unici che han
creduto veramente in me. Voi e la mia sorellona Ariadne. Vi ringrazio.
Grazie
mamma, grazie papà”.
“Prego”
borbottò
Arles.
“Non
me lo condannate
a morte, vero?” sorrise la reincarnazione di Urano e Zeus
scosse il capo.
“Oh,
fratellino! Posso
abbracciarti?” domandò Ariadne e, senza aspettare
risposta, corse dal gemello e
lo strinse forte.
La
guerra era finita,
avevano vinto, il potere di Urano aveva donato nuova vita ai caduti.
Nessuno ci
credeva ancora. Nessuno capiva se ciò che vedeva era reale o
solo un sogno.
Hestia si era appoggiata a Saga, come a voler avere conferma che era
tutto
vero. Lui le accarezzò il viso.
“Dai,
andiamo a
festeggiare” propose Ahriman e la folla si mosse.
“Mi
piace l’idea,
cognato” ghignò Death Mask
Ninive
teneva le mani
strette fra loro, in una sorte di preghiera. Arles le stava accanto ma
non la
sfiorava.
La
reincarnazione di
Urano notò questo e si voltò a guardarli, di
nuovo.
“Papà”
parlò “So che
non sei abituato a sentirti chiamare così. E so che non ti
piace farti dare
consigli. Ma una volta, il mio maestro ha detto questo: non si
può cancellare
il passato. Non lo si può cambiare. Quando qualcosa finisce
o si infrange, non
tornerà mai come prima. Questo non significa che non si
debba avere la forza di
provare a rimediare, se è una cosa buona. E ricominciare da
capo”.
Arles
non seppe che
rispondere. Si sentì sfiorare la mano dalle dita di Ninive.
Stavano andando
tutti a festeggiare. La notte era appena iniziata. Il cielo era
magnifico.
Sorrise.
Era
tutto solo un
inizio
FINE
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