Risveglio

di SagaFrirry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I-Risveglio ***
Capitolo 2: *** II-prima battaglia ***
Capitolo 3: *** III- ricordi ***
Capitolo 4: *** IV- desideri ***
Capitolo 5: *** V- secondo attacco ***
Capitolo 6: *** VI- generali e maestri ***
Capitolo 7: *** VII- legami ***
Capitolo 8: *** VIII- famiglia ***
Capitolo 9: *** IX- riordino ***
Capitolo 10: *** X-allievi ***
Capitolo 11: *** XI- contatto ***
Capitolo 12: *** XII- eserciti ***
Capitolo 13: *** XIII- fratelli ***
Capitolo 14: *** XIV- 1973 ***
Capitolo 15: *** XV- consapevolezza ***
Capitolo 16: *** XVI- libertà ***
Capitolo 17: *** XVII- primavera ***
Capitolo 18: *** XVIII- loser ***



Capitolo 1
*** I-Risveglio ***


Era avvolto dal buio. Che bella e, allo stesso tempo, strana sensazione. Di pace, mai provata, e tranquillità. Steso a terra, iniziò lentamente a riprendere consapevolezza del proprio corpo.

“È dunque questo che si prova, quando si muore?” mormorò a se stesso.

“Spero di no!” si sentì rispondere e sobbalzò, credendo di essere solo.

Voltò la testa e, abituandosi un po’ al buio, riuscì a scorgere un viso familiare. Una figura gli stava stesa accanto. I due si fissarono, riconoscendosi.

“Athena ci aveva promesso qualcosa di ben diverso. Spero non sia questo ciò che lei considera il paradiso per i suoi cavalieri” parlò ancora la figura.

“Oh, Arles! Tu ti lamenti sempre!”.

“E tu sei sempre troppo buono, Saga”.

Arles si alzò a sedere, scuotendo la testa. Era un po’ intontito. Però quel posto buio aveva un odore familiare.

“Dove siamo?” domandò Saga, rimanendo steso a terra.

“Non ne ho idea. Però…io e te siamo separati. Due entità diverse. Se è davvero il paradiso dei cavalieri, come spero non sia, allora…sei morto anche tu!”.

“Eh già”.

“E come?”.

“Mi sono sacrificato assieme agli altri cavalieri d’oro per aprire un varco nel muro del pianto”.

“Lo sapevo che tu te ne andavi a morire in un qualche modo stupido!”.

Saga aprì la bocca per ribattere ma non ebbe il tempo di dire nulla, perché Arles si era alzato ed allontanato in fretta. Nel buio, ora non riusciva più a vederlo.

“Sento lo strusciare della tua veste” commentò “ma non ti vedo. Aspettami!” parlò, alzandosi a sua volta.

“Sì, son vestito, per una volta” ridacchiò Arles, camminando verso un piccolo spiraglio di luce che intravedeva in lontananza.

Sentiva la mancanza della luce e del calore del sole, sempre se quella luce quella del sole fosse! I due, fianco a fianco, spinsero assieme la pesante porta che si ritrovarono davanti, dietro la quale si intravedeva la luce.

Accecati, portarono le mani agli occhi per qualche istante e poi si guardarono attorno.

“La tredicesima casa” la riconobbe Saga “Eravamo nella sala del Gran Sacerdote!” e guardandosi vide che addosso portava proprio la veste dell’occupante di quella casa.

“La tredicesima si è aperta!” si sentì una voce “Ciao!”.

In un lampo, Aphrodite della dodicesima casa stava abbracciando Saga, che si divincolò con fastidio. Muovendosi alla velocità della luce, tutti i cavalieri d’oro ora salutavano i due appena destati. Indossavano le loro armature lucenti, che parevano non aver mai affrontato battaglie e conflitti.

“Mancava solo il cavaliere dei gemelli! Ne abbiamo ben due” commentò Milo dello Scorpione.

“Ben svegliati, belle addormentate!” sfotté Death Mask “A quanto pare, Saga, sei di nuovo Gran Sacerdote”.

Saga si osservò le vesti. A quanto pare era così.

“Dove siamo?” domandò.

“Al grande tempio. Non sappiamo ancora il perché” gli rispose Aiolos.

“Ci siamo tutti” annuì Ioria “E allora perché le nostre armature non sono in risonanza? Arles! Se Saga è Gran Sacerdote, spetta a te indossarla! Richiamala!” lo esortò il leone.

“Sì, fallo! Noi ci siamo svegliati con l’armatura già indosso ma…” iniziò a parlare Mur, e Arles lo interruppe con un gesto della mano.

“Quell’armatura non mi appartiene” spiegò con tono solenne. “È di Saga, non mia. Ed è giusto che non voglia essere indossata da me, dopo tutto ciò che ho fatto. Athena deve aver deciso diversamente”

Il gruppo rimase in silenzio per un po’. Arles, in effetti, non era abbigliato da guerriero, bensì con una semplice veste stile Grecia antica di colore chiaro. E l’armatura dei gemelli non voleva avvicinarsi.

“Tu non puoi non essere cavaliere d’Athena! Il tuo cosmo è forte! Non può andare sprecato!”.

Era stato Saga a parlare, ma non molti erano d’accordo, ricordando i trascorsi di Arles.

“Forse Athena lo considera ancora un traditore. Noi ci siamo redenti, morendo per la Dea, ma lui no” fu l’ipotesi di Shura.

“Scempiaggini!”.

“Saga! Calmati! Stanno parlando di me, non di te” sorrise Arles.

“Dobbiamo trovare Athena, dunque” riprese Saga, dopo essersi calmato “Dato che non abbiamo idea del perché siamo qui! Lei lo saprà di certo e saprà anche per quale motivo io e Arles ci siamo divisi. E perché l’armatura di gemini pare non voglia un padrone”.

“A me pare solo che voglia un padrone diverso” concluse Milo, a bassa voce.

Saga ignorò quella frase e si guardò attorno. Non vedeva solo il tempio di Athena da lì, ma ne scorgeva molti altri. Li notava solo ora o si erano mostrati da poco? E perché, dopo il loro sacrificio al muro del pianto, erano tornati tutti in quel luogo?

“Dobbiamo trovare Athena” insistette Saga “Spero siate tutti d’accordo”.

I cavalieri annuirono, tranne Arles che sospirò. Che seccatura era quella divinità!

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Capitolo 2
*** II-prima battaglia ***


II

 

PRIMA BATTAGLIA

 

 

Dopo aver discusso un po’ fra di loro, ed aver capito di essere tutti riapparsi al tempio di Athena da poco, i cavalieri si sentirono chiamare da una voce femminile. Chiamava il leone d’oro, che la riconobbe subito.

“Ma allora è vero! Siete davvero tornati tutti!” parlò lei.

“Marin! Che bello vederti!”.

La sacerdotessa d’argento sorrise e, senza pensarci troppo, corse ad abbracciare Ioria. I suoi colleghi si guardarono con aria d’intesa e non commentarono.

“Marin…” interruppe l’abbraccio Saga “sai dirci cosa sta succedendo qui?”.

“Ci era stato detto che eravate morti” iniziò a spiegare lei “e noi, sopravvissuti alla guerra santa, avevamo perso tutto il nostro potere. Eravamo liberi, la terra era in pace. Quindi abbiamo abbandonato il santuario ed iniziato una vita da civili. Ultimamente, però, il nostro cosmo si è riacceso e sono apparsi questi altri templi qua attorno. Io e Shaina abbiamo pattugliato la zona diverse volte, senza mai trovare anima viva”.

“Quindi gli altri edifici sacri simili a quello in cui ci troviamo ora, e che ci circondano, sono deserti?”.

“Non ne sono sicura, Saga. Credo possano essere come il grande tempio. Solo chi possiede un cosmo d’Athena può vedere per davvero cosa si cela al suo interno. Ad ogni modo, non abbiamo mai avuto alcun problema con i nuovi vicini”.

“E Athena? Avete sue notizie?”.

“No. Dicono sia morta assieme ai cavalieri di bronzo, rimanendo inghiottiti nel regno di Ade che si è sfaldato e distrutto”.

“Noi siamo qui. Quindi è certo che sia viva. Per averci richiamato dalla morte, è molto probabile che ci si prepari all’ennesima guerra. Dohko, tu hai percepito quando lei è rinata la scorsa volta. Ora la percepisci?”.

“La percepisco” annuì Dohko “ma è molto probabile che sia una neonata o una bimba molto piccola”.

“E tu, Shaka? Sei il più vicino agli dèi!” insistette Saga.

“Sono il più vicino agli dèi, non il loro compagno di merende. Come tutti voi, immagino, percepisco molti cosmi sconosciuti qua attorno. È molto probabile che in quei templi vi siano delle divinità”.

“E Athena? Athena la senti?”.

“Sei tu il Gran Sacerdote!” sbottò la Vergine d’oro, non celando una certa invidia.

“Va bene, ho capito” sospirò Saga “Ora mi reco all’altura e vedrò se le stelle mi diranno qualcosa. Nel frattempo, rientrate alle vostre case e state all’erta. Non sappiamo se i nostri nuovi vicini siano buoni o cattivi. Meglio non farci trovare impreparati”.

I cavalieri annuirono, abituati a passare la propria vita all’erta e senza molto svago.

“E io che faccio? Shopping?” domandò Arles.

“Tu resti qui”.

“Ma non ho un’armatura!”.

“Chissene! Tu obbedisci”.

“Athena non mi vuole qui”.

“Quando troveremo Athena, sarà lei a dirmelo di persona. E allora, solo allora, ti lascerò andar via”.

“E se Athena è come dice Dohko? Una bambina o una neonata? Aspettiamo che cresca e intanto me ne sto qua a far niente?”.

“Obbedisci, per una volta. So che non hai alcun rispetto per la dea in cui credo ma, lo devo ammettere, mi sento molto più sicuro a saperti qui, piuttosto che chissà dove o dalla parte di chissà chi”.

“Credi che possa tradirti e combattere contro di te?”.

“Non me ne stupirei. Ed ora andate”.

Arles capì che controbattere era inutile e lasciò che Saga e gli altri si allontanassero. Lui rimase lì, sulla soglia della tredicesima. Il sole tramontava in fretta e soffiava una lieve brezza. Sembrava tutto tranquillo.

 

Era ormai notte fonda. Saga era ancora all’altura ed Arles fissava le stelle dalla tredicesima, sperando di ricevere un segnale. Poi…una luce.

“Cosa è stato?” si chiese.

Aveva visto un lampo improvviso ma ora era passato. Forse se lo era immaginato. Guardò in giù. Alcuni cavalieri si erano affacciati, forse avendo anche loro percepito qualcosa. E le luci riapparvero, si avvicinavano rapidamente.

“Ci attaccano!” gridò Aiolos, già tendendo l’arco.

Un tipo di invasione di quel tipo, dall’alto, era piuttosto rara e i guerrieri rimasero spiazzati per qualche istante. Ma si ripresero in fretta e si prepararono a contrattaccare. Le luci ora si capiva chiaramente che in realtà erano i cosmi di diversi guerrieri alati. Con uno scatto della mano, i nemici lanciarono i loro colpi che illuminarono la notte.

“Crystal wall!” gridò Mur, avvolgendo il tempio temporaneamente e bloccando la prima raffica di attacchi.

“Lasciate che atterrino, o abbatteteli” ordinò Dohko “sarà più facile per noi sconfiggerli su terreni a noi familiari. Non perdeteli di vista”.

“Attaccano anche quell’altro tempio!” notò Milo, dopo aver sentito delle urla femminili.

L’edificio stava crollando, colpito. Arles non sapeva cosa fare. Mentre tutti combattevano, lui non riusciva ad usare i suoi attacchi. Schivò qualche colpo, non avendo alcuna intenzione di nascondersi, e corse verso il tempio le cui colonne cedevano una dopo l’altra. Tutti impegnati nella lotta, non ci fecero troppo caso.

“Aiuto!” gridava una donna.

Arles, chiedendosi perché stesse rischiando la sua stessa vita per voci sconosciute, si ritrovò davanti alle macerie. E adesso? Si chiese. Non potendo usare i colpi dei gemelli, poteva solo aiutare usando la forza fisica. Si inginocchiò ed iniziò a scavare. Sentiva le voci delle donne intrappolate là sotto. I colpi dal cielo non cessavano, e l’unico modo che aveva di schivarli era rintanandosi fra quelle stesse macerie e sperare in meglio. La cosa lo innervosiva parecchio.

“Siete quasi libere!” gridò, quando riuscì ad aprirsi un varco.

Fortunatamente, due delle colonne si erano poggiate l’una sull’altra, impedendo alle fanciulle di rimanervi schiacciate sotto e creando per loro uno spazio relativamente sicuro.

“Il fuoco! Dobbiamo salvare il fuoco!” gli urlò una donna.

“Quale fuoco?” sbottò Arles, senza capire, poco prima di essere colpito.

Gridò e si voltò. Davanti a lui stava un guerriero dal volto coperto, brillante di luce verde, che gli puntava contro una lunga lancia.

“Perfetto” mormorò, a denti stretti, Arles, iniziando a sentirsi parecchio stordito. “Allora è questo che si prova ad essere ferito senza possedere un’armatura o un cosmo” aggiunse, sentendo il sangue caldo lungo il lato sinistro del suo corpo.

Non scostò gli occhi dal suo nemico, e notò in lui un po’ di esitazione. D’istinto, provò ad approfittare di quell’attimo ma il suo corpo non reagì come aveva sperato. Non gli permise di attaccare e, per la debolezza, quasi svenne.

“Che punizione crudele mi hai riservato, Athena. Rinascere per poi morire poco dopo” sospirò, con la vista che si appannava.

Poi, una luce abbagliante ed una voce che gridava il suo nome.

“Athena?” rispose, steso a terra.

Non capì molto, stando fermo dov’era. Vide Saga eliminare tutti i nemici che aveva attorno con…che diavolo aveva in mano? Poi le donne uscirono dal loro nascondiglio, impaurite. Un paio di loro vennero a controllare lo stato di salute del ferito ma Arles era troppo concentrato a fissare Saga che porgeva una sfera di fuoco ad una donna bellissima, vestita di bianco. Anche molte delle fanciulle erano vestite di bianco, mentre altre indossavano drappi azzurri.

“Che succede?” riuscì a chiedere, prima di perdere definitivamente i sensi.

 

“Ma guarda un po’ chi si è risvegliato” furono le prime parole che sentì il ferito, riaprendo gli occhi.

Si mise subito a sedere, poi pentendosene perché avvertì una stilettata di bruciante dolore.

“Stai calmo. Riposa e pensa a guarire”.

Arles alzò lo sguardo e vide Saga, seduto in fondo alla stanza, con le spalle al muro. Aveva…qualcosa di diverso. Gli sorrideva.

“Dove sono?”.

“Nelle stanze del Gran Sacerdote. Sei stato ferito e curato. Ma devi stare tranquillo, o la ferita si riaprirà”.

“Sono stato ferito in modo ben più grave. È solo un graffietto”.

“Ora non hai più armatura e cosmo a proteggerti. Inoltre, se ti avesse colpito poco più in là, ti avrebbe trafitto il cuore. Hai perso molto sangue”.

“Che figura. Sfottimi pure”.

“Non mi azzarderei mai” sorrise ancora Saga, alzandosi ed andandogli vicino.

“I tuoi capelli…” notò Arles.

“Ti piacciono?”.

In mezzo al blu della lunga capigliatura di Saga, spuntavano rari ciuffi lilla.

“Sei andato dal parrucchiere di Athena?” ridacchiò Arles e, di tutta risposta, si beccò una bastonata in testa.

Rimase qualche istante perplesso, massaggiandosi la parte colpita.

“Perché stringi fra le mani lo scettro di Athena?”.

“Lo hai notato solo adesso? Non hai visto come ho massacrato i nostri nemici a suon di bastonate e colpi divini? Stavi troppo male?”.

“Ho ricordi vaghi. Mi spieghi cosa è successo?”.

“Me ne stavo tranquillo all’altura quando ho sentito che ci attaccavano. E ti ho visto correre come uno stupido verso il tempio a noi vicino, senza protezione alcuna. Al che ho pensato: questo è impazzito! Meglio che lo aiuti! Sono corso da te e, quando mi sono avvicinato, mi è apparso lo scettro d’Athena. D’istinto l’ho afferrato ed i nostri avversari sono stati sconfitti”.

“E quelle donne?”.

“Stanno tutte bene, salvo qualche ferita. Sono Vestali, sacerdotesse di Hestia se preferisci”.

“Quindi il fuoco che mi hanno chiesto di proteggere…”.

“Era il sacro fuoco di Vesta. Ma non avere timore alcuno. È salvo ed al sicuro”.

“Era quello che stringevi fra le mani ed hai porto a quella donna?”.

“Lei era Vesta, insieme abbiamo recuperato il sacro fuoco dal tempio per  impedire che si spenga”.

“Ma…il fuoco di Vesta non può essere sorvegliato e toccato solo da fanciulle vergini?”.

“Immagino che Athena rientri in questa categoria”.

Arles rimase un po’ sconcertato. In Saga si era reincarnato il potere di Athena? Forse aveva perso troppo sangue, e stavo immaginando tutto.

“Le vestali saranno nostre ospiti” riprese Saga “ovviamente in una zona apposita del tempio, dove non verranno disturbate da tutti gli uomini del tempio. Questo fino a quanto non sarà ricostruita la loro dimora”.

“Bellissime donne vergini ospiti di un santuario di praticamente soli uomini?”.

“Metterò le nostre donne a fare la guardia”.

“E per quanto riguarda  i nostri nemici?”

“Sono stati respinti”.

“Quelli erano soldatini semplici, ne sono certo. Meglio prepararsi ad altri attacchi”.

“Saremo pronti. Tu ora riposa”.

“Ma…”.

Saga non sentì il resto della frase. Uscì dalla stanza, con lo scettro stretto nella mano destra. La dea Vesta lo attendeva subito dopo l’uscio. Le fece un inchino e lo stesso fece lei.

“Sono davvero lieta e riconoscente. Ci permettete di stare qui e ci aiutate” parlò Vesta.

“Non è sicuro lasciarvi sole, senza protezione e senza una casa” rispose Saga, invitandola a camminare lungo il corridoio della tredicesima e poi all’aperto.

Da lì videro le vestali fare il loro ingresso al tempio con le poche cose che erano riuscite a recuperare dalle macerie del tempio dove vivevano. La dea sorrise. Era bellissima, con lunghi capelli color del grano e la pelle candida, raramente illuminata dal sole. Trascorreva le sue giornate all’interno del suo tempio, assieme alle sacerdotesse che la servivano.

“Guarda che spreco” commentò Death Mask, che pure lui osservava l’arrivo delle donne.

Accanto a lui stava Milo, che annuì. Quelle fanciulle, seppur con il viso velato e quindi non visibile, non riuscivano a celare la loro bellezza in quelle vesti candide e leggermente trasparenti.

“Perché sono di colori diversi, secondo te?” riprese il cancro.

“Sei un ignorante!” sbottò Shaina, facendo sobbalzare  i due uomini “Le vestali in bianco sono quelle vergini. Quelle con i drappi azzurri, invece, sono coloro che si sono unite al culto, facendo voto di castità, una volta aver conosciuto l’atto d’amore”.

“Quindi provarci con una di loro non è così grave?” ridacchiò Death Mask e si prese uno scappellotto.

“Idioti! Piantatela di spiarle e rientrate alle vostre case!”.

“Sissignora!” si mise sull’attenti il cancro, deridendola.

Appena la sacerdotessa d’argento si fu allontanata, Death tornò accanto a Milo, ad osservare l’arrivo delle fanciulle. Scosse la testa.

“Continuo a dire che è uno spreco”.

“Un grosso spreco” concordò Milo.

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Capitolo 3
*** III- ricordi ***


III

 

RICORDI

 

“Dormi ora che

tutte le stelle assieme cantano per te.

Sogna ora che

un poco il cielo appartenga pure a te

e che ti culli poi spiegandoti il perché

il mondo è strano ma sorridi

dico io.

Chiudi gli occhi e

se ti riesce stanotte sogna proprio me

e se il tuo sogno sarà bello come vuoi

allora per sempre uniti insieme saremo noi.

Se davanti a te

vedi battaglie e morti tutti accanto a te

voglio che sappia che qui ci sono io

e che ogni volta che di notte tremerai

sarà la mia voce a scaldarti, vedrai”

 

“Cos’è questa canzone?” si domandò Arles, lungo il corridoio che portava alla grande sala dove ora tutti i cavalieri si riunivano per mangiare.

Era la prima volta che usciva dalla sua stanza da quando era stato ferito ed era ancora piuttosto intontito. Quella canzone, accompagnava dal dolce suono di un’arpa, la conosceva. L’aveva già sentita, ne era certo. E quella voce…

“Ti sei incantato?” si sentì chiedere alle spalle. Era Saga, che lo seguiva a poca distanza.

“Questa canzone…a te non dice niente?”

“No. A me no. A te sì?”

“Mi fa ricordare tante cose”.

“Davvero? Credo sia una delle vestali. Da quando sono nostre ospiti, capita che cantino o suonino per noi. Lo fanno per riconoscenza, e noi non ci lamentiamo. Dai, vieni a mangiare. Io sono affamato!”.

Insieme entrarono nel salone, spingendo la pesante porta d’oro. La donna all’arpa, che suonava al centro del salone circolare, interruppe la canzone.

“Oh no, vi prego!” si affrettò a dire Saga “Continuate. Siete bravissima!”.

Vesta, seduta al tavolo assieme alle sue sacerdotesse, si alzò e si diresse verso Arles.

“Non avevo ancora avuto modo di ringraziarVi per averci salvate” parlò.

“Non vi ho salvate. Ho solo scavato un buco” rispose Arles, in imbarazzo perché poco abituato a sentirsi ringraziare per qualcosa di buono.

“Il Vostro è il viso che per primo abbiamo scorto da sotto le macerie e vi saremo per sempre riconoscenti. Ora, Ninive, puoi ricominciare a suonare” concluse la dea, rivolgendosi alla donna che sedeva accanto all’arpa.

“Ninive…” ripeté Arles.

Ma lei non riprese a suonare. Con un velo bianco celava il volto quindi nessuno poteva scorgerne i lineamenti e l’espressione ma le sue mani tremavano. Vesta la raggiunse, preoccupata. Le sussurrò qualcosa e la suonatrice scosse il capo.

“Chiedo scusa” parlò la Dea “ma temo che la mia somma sacerdotessa sia ancora turbata dalla battaglia e debba riposare. Rivedere il volto di colui che l’ha salvata deve aver fatto riemergere la paura provata in quel momento. La faccio portare nelle nostre stanze”.

“Sono piuttosto scosse” mormorò Saga, rivolto ad Arles “Non sono abituate a battaglie, morti e feriti. Alcune di loro ancora non mangiano dal giorno dell’attacco”.

Arles non rispose.

“Tieni, fatti una birra. Ti vedo ancora un po’ pallido” lo invitò Death Mask, porgendogli un boccale pieno.

“Tu sì che mi capisci. Ma è meglio che per oggi lasci stare. Mangio qualcosa e poi torno a letto”.

“Sei proprio messo male senza cosmo, eh?” ghignò il cancro, scolandosi per Arles tutto il boccale.

La cena proseguì tranquillamente e poi ognuno si congedò. Quella sala si stava riempiendo sempre più, ogni giorno che passava, perché era divenuta una sorta di punto sicuro della città. Molti bambini e feriti venivano accolti per poter essere curati e protetti. Ai cavalieri questo non dava fastidio. Anzi, li faceva sentire indispensabili. Ioria, pedinato da un paio di bambini, raggiunse il fratello riuscendo a seminarli.

“Ma quella donna…” iniziò “io la ricordo! Anche tu, fratellone?”.

“La donna che cantava e suonava l’arpa? Certo”.

I cavalieri d’oro stavano raggiungendo tutti assieme la scalinata per le loro case e discutevano fra loro. In testa al gruppo stavano Saga, con il bastone di Athena, ed Arles. In silenzio.

“La ricordi anche tu?” domandò Milo “Allora non me la sono sognata!”.

“No, non era un sogno!” sorrise Aiolos  “Lei è Ninive. Un tempo stava qua al tempio di Athena. Ci allenavamo assieme per l’armatura del Sagittario. Poi l’ho avuta io e lei non ricordo bene che titolo ottenne. Aveva la nostra età, giusto Saga?”.

“Non lo so. Io non la conosco” ammise lui.

“Ma…è andata via?” volle sapere Mur, ricordandola.

“Sì, nessuno sa il perché” riprese Los “Quando eravate ancora piccoli”.

“Sì. È andata via l’anno in cui tu sei morto, fratello. Poco prima” confermò Ioria “Ricordo che la sua canzone mi venne in mente tante volte, quando ti piangevo. Solo, nella mia casa…”

“Che ricordi tristi!” lo interruppe Shura, non volendo parlare della morte di Aiolos.

“Io Ninive me la ricordo per ben altro” aggiunse Death Mask “Me la ricordo perché era gnocca. La spiavo sempre, vero Shura?”.

“Confermo”.

“Ne ero perdutamente innamorato!”.

“Innamorato?” ridacchiò Arles “Avevi dieci anni! Avevi almeno il cazzo delle dimensioni giuste o ancora era quello di un bimbo?”.

“Ma come ti permetti?!”.

“Eri in preda agli ormoni, altro che amore!”.

“Sempre meglio di te, che al tempo pensavi a conquistare il mondo e prendere il posto di Shion. O eri già Gran Sacerdote quando è andata via?”.

“Lo ero già”.

“Bene. Quindi fatti la predica da solo”.

Arles non disse altro. I cavalieri passarono accanto alla grande arena dove si allenavano e proseguirono verso la prima casa.

“Quindi Ninive è andata via per divenire vestale?” riprese Milo.

“Forse se n’è andata perché ha sentito che quella era la sua strada” continuò Camus.

“Per me è strano. Me la ricordo che cantava la ninna nanna a noi piccoli”.

“Io invece ricordo come pestava noi grandi!” sbottò Aphrodite “Era senza pietà!”.

“Immagina il trattamento che riservava a me, che son più grande ancora!” rise Aiolos.

“E a voi due, principini? Non faceva niente?” volle sapere Shaka.

“Vi ho già detto che non me la ricordo!” sbottò Saga.

Lentamente, iniziarono a risalire le scale, lasciando ad ogni casa un inquilino assonnato. Giunti alla quarta, Death Mask trattenne Arles.

“Posso offrirti una cosetta? Per aiutarti a dormire?” disse.

“Riesci a fare le scale da solo?” si preoccupò Saga, sapendo che la sua altra personalità ancora sanguinava.

“Ma certo! Per chi mi hai preso?” quasi si offese Arles.

 

Una volta soli, Death guardò dritto negli occhi il suo interlocutore.

“Cosa vuoi? Un bacio? Non sono in vena!” si sentì dire.

“Non dire cazzate. Tu a me non puoi nascondere niente. E nemmeno a Saga, ma quello ha paura di prenderle e quindi non apre bocca. E stasera sei un po’…come dire…abbacchiato!”.

“Esiste come termine?”.

“Hai capito il concetto”.

“Sono stanco. La ferita mi ha debilitato”.

“Senza cosmo non deve essere facile”.

“Non sono senza cosmo. Ho il cosmo, ma non riesco ad usarlo!”.

“Ancora peggio! Ma c’è dell’altro”.

“Niente. Solo un po’ di nostalgia. A volte capita, non trovi? Specie rivedendo persone che non vedi da tanto e tanto tempo”.

“Nostalgia dei bei vecchi tempi?”.

“Sì, anche. E poi…ci hai mai pensato che son passati dieci anni dalla guerra santa? Siamo stati dieci anni non si sa dove in attesa. E poi siamo riapparsi. E per il nostro corpo sembra non sia trascorsa neppure un’ora”.

“Non ci avevo dato molto peso. Mi piaceva troppo l’idea di essere vivo. Sigaretta?”.

“No, grazie”.

“In pratica…sei giù di corda perché ti senti vecchio?”.

“Perché sento che la mia vita scorre. Ed ora che non sono un tutt’uno con Saga, è per davvero la MIA vita e voglio viverla perché già ho troppo di cui pentirmi”.

“Senti il desiderio di andare via da qui?”.

“Tu non sai quanto! Ma Saga non me lo permette”.

“Non è il tuo padrone”.

“No, ma ora è un dio. E noi sappiamo quel che succede quando si disubbidisce agli dèi”.

“Sì, ma sei un po’ grande per prendere ordini. Non trovi?”.

“Gli parlerò. Alla fine io e lui siamo cresciuti qui. Non conosciamo altro che il tempio e le sue battaglie. Ora che non ho un’armatura, forse è il momento che provi qualcosa di diverso”.

“Intendi una vita da civile?”.

“Una vita NORMALE. Ho rinunciato a tanto, per essere ciò che sono”.

“Una personalità di Saga indipendente?”.

“Sai cosa intendo!”.

“Sì, lo so. Vedrai che Saga capirà. È parte di te!”.

“Ora vado. Sono davvero molto stanco” tagliò contro l’ex Gran Sacerdote.

“Come vuoi. Ricordati che ho sempre superalcolici per te in questa casa!” si arrese Death Mask.

I due si congedarono, ed Arles sentì il cavaliere del cancro canticchiare la canzone della vestale.

 

Arles raggiunse la tredicesima un po’ a fatica. Saga si era già ritirato nelle stanze di Athena e decise di non disturbarlo. Era davvero stanco. Scostò le tende e raggiunse la camera. Si svestì in fretta e si infilò sotto le coperte. Ma non riuscì ad addormentarsi subito, come sperava. Ah, maledetta nostalgia!

 

Il sole era alto, Saga e Vesta passeggiavano già da un po’ lungo i giardini del tempio. Pian piano, anche gli altri cavalieri si stavano destando, così come le vestali. Ninive era alle prese con un grosso vaso che doveva riempire d’acqua.

“Posso darti una mano?” domandò Camus, sentendosi in dovere di farlo.

“No, come vedi me la cavo benissimo da sola” sorrise lei, muovendosi senza fatica.

“Si vede che hai affrontato l’addestramento da cavaliere”.

“E chi se lo scorda!”.

L’acqua la portò nelle stanza della sua signora e poi si incamminò a passo svelto fra le colonne, per raggiungere le sue consorelle. Ma si sentì chiamare. Girandosi, vide i cavalieri d’oro. C’erano tutti, tranne Saga ed Arles.

“Vieni, Ninive! Stiamo andando a fare colazione” esclamò Ioria.

“No, grazie. Ho già mangiato”.

“Voi vestali vi svegliate prima dell’alba?” storse il naso Milo.

“Sì. Ed una volta anche i cavalieri si svegliavano prima dell’alba”.

“Ah, sì. Io non l’ho mai fatto!” rise lo scorpione.

“Invece lo hai fatto. Me lo ricordo. Perché mi è capitato di doverti venire a svegliare. Eri un vero pigrone”.

“Ti ricordi di noi?” domandò Milo.

“Mi ricordo di tutti voi. Ricordo il vostro arrivo. Quando sono giunta al Grande Tempio non c’era nessuno, se non il futuro cavaliere dei gemelli e suo fratello Kanon”.

“Sì, vero. Io sono giunto al tempio dopo la nascita di Ioria” confermò Aiolos.

“E ricordo quando siete diventati cavalieri d’oro. Chi lo è diventato prima della mia partenza, ovviamente”.

“Io lo sono diventato dopo!” sorrise il leone.

“Ricordo Death Mask e Shura che mi spiavano. Ad un certo punto, mi son dovuta arrendere e fare il bagno nella grotta vicino alla spiaggia”.

“Ah, ecco dove andavi! E noi a cercarti…” ghignò il cancro.

“E come posso dimenticare Aphrodite? Che mi portava i fiori e mi svelava dove trovare quelli più belli fra le colline? Poi Aldebaran, che era davvero un bimbo dolcissimo. E Mur, sempre così paziente anche quando non riusciva ad usare al meglio il suo potere. Shaka, il silenzioso bambino ed il suo rosario, che spesso mi diceva frasi di difficile comprensione sul mio futuro. Le risse fra Milo e Ioria, sedate sempre a fatica da me ed il caro Aiolos. Quante serate passate tutti assieme alla luce delle stelle! Con Camus che a volte ci mostrava l’aurora, con disappunto del gran sacerdote che lo sgridava perché non era una cosa naturale in Grecia. E Voi immagino siate il maestro Dohko. Non ho mai avuto l’onore di conoscerVi. Eravate un’autentica leggenda vivente”.

Dohko annuì.

“Perché sei andata via?” chiese Aiolos “Si è sentita la tua mancanza”.

“Ho trovato un modo diverso di vivere la mia vita”.

“Però…” incalzò Death Mask “…non serve che celi il tuo viso sotto quel velo. Noi ti conosciamo ed ormai non vale più il veto della maschera da sacerdotessa d’Athena”.

“Ho fato un voto. Non mostrerò più il mio volto a uomo alcuno, anche se si tratta di vecchi amici come voi”.

“Però un uomo deve averlo visto, perché la tua veste non è bianca, come le vergini vestali, ma con i drappi azzurri. O mi sbaglio?” sorrise malizioso Milo.

“Non ti sbagli. Ora devo andare”.

“Sicura di non volerti unire a noi?” insistette Mur.

“Sicura. Ho molti lavori da fare. Noi vestali dobbiamo provvedere a noi stesse, ed ho delle vesti da riparare dopo quell’attacco”.

“Immagino che vi siate spaventate molto” parlò Ioria, con fare da cavaliere pronto a salvare il mondo.

“Ed io immagino abbiate fame. Meglio che andiate a mangiare ora. Ci vediamo” si congedò.

“Ma aspetta! Dai, ti offriamo una cosa in memoria dei vecchi tempi!” propose Aiolos.

“Lo apprezzo come pensiero ma proprio non posso. Se non faccio la mia parte, le altre avranno di che ridire e sono la mia famiglia. Forse stasera”.

“Perfetto. Allora a stasera!”.

Ninive si girò, ritrovandosi di fronte Arles. Non si parlarono. Per un attimo, lui intravide lo sguardo color miele di lei da sotto quel velo. Rimasero in silenzio a fissarsi e poi lei scattò, tirandogli uno schiaffo.

“Io ti odio” sussurrò senza farsi sentire dagli altri “Ti odio e ti odierò per sempre, perciò non osare guardarmi mai più. Capito?”.

Arles non rispose rimanendo spiazzato da quell’avvenimento. Lei si allontanò velocemente.

“Che le hai fatto?” domandò Death Mask “Le hai palpato il culo? Se è così, ti capisco. È un gran bel culo!”.

“Che ne so che ho fatto. C’eravate anche voi, no? Avete visto che non ho fatto niente”.

“Le avrai palpato il culo l’ultima volta che l’hai vista! Dai, non ci pensare. Noi ora mangiamo. Vieni?”.

“Ho già mangiato. Vado a parlare con Saga”.

“Credo sia tornato alla tredicesima. L’ho visto risalire”.

“Che palle…di nuovo tredici piani di scale! Voglio l’ascensore!”

 

“Cosa fai?” domandò Saga.

Arles stava radunando le poche cose che possedeva e si preparava a lasciare il tempio.

“Non lo vedi?” rispose “Faccio le valigie. Ti ho cercato per parlartene ma eri a spasso per il tempio”.

“Dove vuoi andare?”

"Via. Non c'è posto per me qui. È meglio che vada"
"Io non voglio che tu te ne vada!"
"Saga, l'armatura mi rifiuta e non riesco più a controllare il mio Cosmo. Sono inutile qui e non sono più un cavaliere d'Athena. Devo andare".
"Ma...fratello...".
"Io non sono tuo fratello. Smettila di chiamarmi così! Io sono Arles, un parto della tua mente malata".
"Almeno tu sai chi sei. Io...io non so chi sono"
"Tu lo sai benissimo. Hai solo paura di affrontare la realtà"
"Sì, è vero. Ho paura. Perché ci sei sempre stato tu accanto a me. Se ora vai via...io..."
"Tu saprai prendere le decisioni giuste, reincarnazione di Athena. Ne sono certo. Solo che devi afferrare la tua vita, e non pensare mai più a ciò che farei io. Perché io farei la cosa sbagliata".
"Non voglio che qualcosa cambi...".
"Non devi farti trascinare dalla corrente, Saga. Sii tu l'artefice delle tue scelte, il mastro di chiavi del tuo destino, l'unico tessitore delle trame della tua esistenza. Non lasciare che altri ti comandino, ti spaventino. Possiedi un potere immenso: usalo!".
"Io...non posso farlo senza di te!".
"Io sono il passato, Saga. È ora che mi lasci alle spalle. Hai uno splendido presente da vivere".

“Ma…dove pensi di andare? Cosa pensi di fare?”

“Non lo so. Le cose arriveranno con il tempo. Ma devo assolutamente andarmene da qui”.

“Perché?! C’è una guerra in corso, te ne sei già dimenticato?”.

“Lo so. E cosa pensi possa fare? Sarei solo un peso. Lo hai visto. Sono stato ferito e mi sei dovuto venire a salvare. Non è così che voglio vivere”.

“Con qualcuno accanto?”.

“No, dipendendo da qualcuno! Meno che mai da te! Ti sono stato fin troppo d’impiccio”.

“Ma non puoi lasciarmi da solo! Sii tu il mio Gran Sacerdote! Ho bisogno di qualcuno che mi consigli”.

“Io sono l’ultima persona al mondo che può fare una cosa del genere. E, vedrai, gestirai questo posto ed il tuo ruolo in modo egregio”.

“Aspetta!”.

Arles sbatté la porta ed uscì. Saga lo seguì ma lui non si voltò.

“È davvero questo ciò che vuoi?” gridò l’inseguitore, e l’inseguito non rispose.

Camminando di corsa, Arles si imbatté di nuovo in Ninive che lo fissò, intrecciando le mani fra loro.

“Ciao, Ninive” tagliò corto.

“L’ultima volta…” iniziò lei, facendolo fermare “L’ultima volta che ti ho visto, eri tu il Gran Sacerdote”.

“È passato tanto tempo”.

“Ora Saga è Dio e Gran Sacerdote. Che stano, no? Però mi fa piacere che vi siate divisi. Almeno so per certo con chi sto parlando”.

“Non credo ti servirà. Io me ne vado!”.

“A quale scopo?”.

“Non è questo il mio posto”.

“Nessun posto sarà mai il tuo posto. Non troverai mai quel che cerchi perché è da quando ti conosco che non fai altro che cercare e guardare oltre a ciò che già hai. E, guarda un po’ che ironia, tu ora non hai nulla mentre la personalità che definivi debole ha tutto ciò che volevi. Non tenterai di uccidere Saga come reincarnazione di Athena?”.

“Lui è potente. È in grado di gestire le guerre, a differenza di quella mocciosa dai capelli viola che ho sopportato anni addietro e che, sì lo ammetto, ho tentato di uccidere”.

“Non fa differenza. Ovunque andrai, non potrai mai essere felice. Ti conosco. È altro ciò che ti manca. Qualcosa che non puoi ottenere con le tue sole forze”.

“Ma tu che ne sai? E poi, che ti importa? Mi odi, giusto?”.

“Io, te lo ripeto, ti conosco”.

“Dì quello che ti pare. Immagino che tu abbia trovato la tua felicità, e son contento per te. Ora, madame, vogliate scusarmi ma non intendo restare ancora”.

“Ti auguro di trovare la pace”.

“Grazie, ma non voglio morire”.

“Tu sei solo. Ti senti solo in un gruppo di cavalieri. Come si fa a sentirsi soli quando si è circondati dalla gente? È questo quello che provi. Lo hai sempre provato. E cerchi di riempire questa sensazione prendendo fra le mani il potere. Così da darti uno scopo”.

“Donna, non ho più quindi anni come l’ultima volta in cui ci siamo visti. Sono cambiato”.

“Non credo” mormorò lei, mentre lui si allontanava in fretta.

“Te ne vai davvero?” lo fermò Death Mask “Ed io con chi mi ubriaco?”.

“Con chi vuoi. Prendetevi cura di Saga, non chiedo altro”.

“Ma, ci verrai a trovare?”.

“Forse, fra qualche tempo. Stammi bene”.

Saga guardò la scena e batté il bastone a terra, forse in preda ad un impeto di rabbia. Si sentiva abbandonato in un momento difficile, e questo non riusciva molto bene ad accettarlo.

“Non ti facevo così vigliacco, Arles” disse, a denti stretti.

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Capitolo 4
*** IV- desideri ***


IV

 

DESIDERI

 

“Hei, cavaliere!”.

Era notte ormai e Death Mask non si aspettava voci nel buio, salvo quelle delle anime vaganti. Pensò di aver sentito male, e continuò a sorseggiare liquore al mapo direttamente dalla bottiglia.

“Cavaliere!” disse di nuovo la voce ed una giovane vestale apparve dall’ombra.

“Buonasera, dolcezza. Ti sei persa? Non è ora per te di andare a nanna?” salutò il cancro.

“Non trattarmi come una bambina”.

Death Mask la osservò. Interamente vestita di bianco, e quindi vergine, copriva il viso sotto un velo sottile.

“Cosa ci fai qui? Non è il tuo posto la quarta casa!” tagliò corto lui.

“Cercavo un cavaliere. E l’ho trovato”.

“E che te ne fai di un cavaliere?”.

“Voglio che mi addestri”.

“PFT! Torna a casa, ragazzina!”.

“Non sono una ragazzina! Ho ventitre anni!”.

“In questo caso: sei troppo vecchia. Il nostro addestramento inizia quando siamo dei bambini. E poi non è roba per te, fidati. Torna a cucire, a suonare o a fare qualsiasi altra cosa facciano quelle come te”.

“Tu mi sottovaluti!”.

“Certo che ti sottovaluto! Rischi di romperti le unghie. O sporcarti il vestitino”.

“Oh, capisco. Hai paura di poter creare qualche situazione imbarazzante. Dato che io sono vergine, potrei rimanere sconvolta se stringendomi durante il combattimento dovessi eccitarti. Mi spiace”.

Death Mask rimase per un attimo a bocca semiaperta, mentre vide chiaramente la vestale umettarsi il labbro con la lingua.

“Non è questo il problema!” ringhiò “Il problema è che essere addestrata da un cavaliere non è una cosa per te. Non è un gioco”.

“Lo so bene. E sono pronta”.

“Sei testarda! E poi è notte, ho sonno. A quest’ora faccio, di solito, un sacco di cose che tu non fai”.

“Come ad esempio?”.

“Bevo, fumo e faccio sesso”.

“Capisco. Ma io durante il giorno non posso esserci. Le altre vestali non approverebbero”.

“E hanno ragione. Poi…come sei arrivata qui?”.

“Nelle altre case non ho trovato gente. Nessuno mi ha fermata ed ho trovato te, un cavaliere d’oro affascinante e sicuro di sé che spero voglia addestrarmi”.

“Io non sono l’uomo più adatto ad addestrare qualcuno”.

“Perché?”.

Death Mask ghignò. Con l’intento di spaventarla, evocò un’anima e la diresse verso la giovane vestale. La ragazza non si scosse. Guardò affascinata quella luce azzurra.

“Fai la dura, eh? Facciamo così…se riesci a restare nella mia casa senza lanciare nemmeno un grido di terrore, allora io sarò il tuo maestro”.

“Ci sto!”.

Il cancro sorrise divertito. La quarta casa, dove viveva, era tappezzata di maschere mortuarie che incessantemente si lamentavano ed urlavano il loro dolore. Uno spettacolo raccapricciante e spaventoso.

La precedette lungo le poche scale che mancavano all’ingresso e poi si fermò alla porta.

“Prego” le disse, invitandola ad entrare.

La vestale non esitò e passò la soglia. Si ritrovò al buio. Sentì dei lamenti.

“C’è qualcuno?” domandò.

Una mano gelida la sfiorò. Si girò e vide molte anime erranti. Non conoscendola, si fecero aggressive. Lei rimase immobile. Le anime fluttuarono lungo le pareti, illuminando i volti dei morti. E lei gridò. Ma non di paura.

“OH, DEI!! Tu vivi qui?! Ma è…fighissimo!”.

Death Mask entrò. Pensava di non aver sentito bene.

“Tu hai ucciso tutte queste persone?” domandò lei.

“Sì. E queste sono le loro anime”.

“È strano. Ma non mi spaventa. E mi piace”.

“Non ti spavento neanche dicendoti che posso trascinarti nel mondo dei morti?”.

“A vedere anime erranti che gemono? Divertente”.

“Ma che razza di vestale sei?!”

“Tu abiti qui?”.

“I miei appartamenti sono su un braccio della croce che forma questa casa”.

“Vivi tra le anime, hai controllo sui morti. Tu puoi separare il corpo dall’anima! Tutto questo è…favoloso!”.

“Non l’ho mai sentito definire così”.

“Scherzi?! Il tuo potere è straordinario”.

“Tutti i cavalieri hanno delle capacità particolari”.

“Ma a me piacciono le tue. Allora…sono stata brava? Non ho urlato. Diventerai il mio maestro?”.

“E va bene. Domani torna qui dopo il tramonto ed iniziamo. Non meravigliarti, però, se dopo poco tempo cambierai idea. I miei addestramenti non sono delicati”.

“Non vedo l’ora”.

“E come farai con il vestito? Con quello non è facile muoversi”.

“Ci sono nata in questo vestito. Vedrai che saprò anche combatterci”.

“Un’ultima cosa. Come ti chiami?”.

“Ariadne. E tu?”.

“Tutti mi chiamano Death Mask”.

“Ed ho capito il perché. Va bene, Death, a domani”.

“Non fare sogni erotici su di me stanotte, piccola!”.

“Nemmeno tu!”.

 

“Ma perché la cosa ti fa arrabbiare tanto?” domandò Camus.

Il cavaliere dell’undicesima casa osservava Saga che camminava nervosamente su e giù lungo il salone della tredicesima, sbattendo lo scettro di Athena a caso.

“Non sono arrabbiato” ringhiò la nuova reincarnazione della dea.

“A me pare di sì”.

“Senti…io ti ho convocato qui per aiutarmi a stare calmo. Così non mi servi!”.

“È che non capisco quale sia il problema. Arles è andato via…e allora?”.

“Siamo nel bel mezzo di una guerra contro ignoti e lui se ne va. Rischiamo la vita, abbiamo bisogno di guerrieri, e lui si fa le scampagnate non so dove!”.

“Lui non ha più un’armatura. Se avesse combattuto, avremmo dovuto proteggerlo. Sarebbe stato un problema, più che una risorsa”.

“Tu non capisci!”.

“E allora spiegami”.

Saga si sforzò di respirare con calma. Guardò lo scettro che teneva fra le mani e sospirò.

“La verità…” iniziò a spiegare “…è che non credo di essere in grado di affrontare tutto questo da solo”.

“Non sei solo. Ci siamo noi”.

“Io non posso essere la reincarnazione di Athena! È la cosa più ridicola che…”.

“Però è così. Lo sei. E prima lo accetti, meglio è. Per tutti”.

“Non so se ne sarò mai capace”.

Camus si avvicinò a passo convinto verso Saga. Senza esitare lo afferrò per le spalle e lo guardò dritto negli occhi, leggermente accigliato.

“Arles non aveva ragione di restare qui. Tu ora hai un ruolo importante e lo devi svolgere con saggezza e impegno. Lascia alle spalle il passato!”.

“Oh, Camus! Io ti invidio. Sei sempre così freddo, distaccato e razionale”.

“Non sono sempre così. Così come tu non sei sempre preso da attacchi di panico”.

Saga guardò il cavaliere dell’acquario. Aveva ragione! Si doveva riprendere! Era furioso, perché non sopportava di essere stato abbandonato da Arles in un momento così delicato, ma non poteva farsi sopraffare dall’ansia e dalla paura. Specie ora che incarnava una divinità!

“Hai ragione! E per prima cosa devo riuscire a scoprire chi sono i nostri nemici” parlò, convinto.

“Giusto. Conoscerli ci aiuterà a combatterli”.

“Non voglio che qualcuno soffra ancora a causa delle guerre fra divinità”.

“Oh, no! Sentimentalismi di Athena! Evitali, per favore! Sono la cosa più inutile che possiede quella dea! Sii te stesso e non farti vincere dai piagnucolii dell’animo di quella donna”.

“Già. Forse è meglio”.

Doveva restare calmo, credere nel proprio potere ed in quello dei suoi cavalieri. Non farsi rapire o sottomettere come faceva sempre l’Athena che aveva servito e fare tutto il possibile per riportare la pace.

“Bene!” esclamò “E ora…”.

Un forte boato scosse la tredicesima. Iniziava un altro attacco.

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Capitolo 5
*** V- secondo attacco ***


V

 

SECONDO ATTACCO

 

Camus richiamò la sua armatura e assieme a Saga uscì dalla tredicesima. Da lì videro un gruppo di soldati fluttuanti, avvolti da luce verde. Erano fermi e fissavano i cavalieri.

“Ave, Dea Athena” scandirono “Siamo qui per proporvi un accordo”.

“Che genere di accordo?” rispose Saga.

“Vi ordiniamo di farvi da parte. È tempo che la Terra e gli esseri umani passino sotto altre divine mani”.

“Io non governo il mondo!”.

“Voi, Athena, assieme agli altri Dei di nuova generazione, avete in mano il globo. Lo state gestendo in modo pessimo. È giunto il momento di ricominciare da capo”.

“Nuova generazione?! Ma di che parli?!”.

“Figli e discendenti di quel mandrillo di Zeus. Ecco di che parliamo. Noi rappresentiamo la Grande Madre Gaia e combattiamo in nome delle primigenie creature nate dal Caos e i loro primi discendenti. Questo mondo è malato. Se vi farete da parte senza fare storie, risparmieremo la vita di coloro che vi servono”.

“Dovrei lasciarvi distruggere il mondo solo perché un branco di vecchi è geloso del fatto di aver perso il controllo totale che aveva un tempo?! Ma scherziamo?!”.

“Se non siete disposta ad arrendervi, Athena, allora attaccheremo”.

“Innanzitutto, non trattarmi come una donnicciola viziata. In secondo luogo, io non combatto con le mezze calzette. Dove sono le divinità che servite? Non hanno il coraggio di mostrarsi? O ci sottovalutano, mandando avanti i soldati semplici?”.

“Le nostre divinità, assieme ai loro generali, non hanno tempo da perdere con voi”.

“In questo caso, nemmeno noi abbiamo tempo per loro!!”.

“Vi faremo estinguere”.

“Vi faremo piangere!”.

Camus guardò un po’ storto il suo collega. Perché faceva tanto lo sbruffone?! I nemici erano molti più del previsto, e loro non erano che una manciata di cavalieri!

“Atterrate!” gridò Aiolos, scoccando la sua freccia d’oro e colpendo in pieno petto uno dei guerrieri.

“Sì, venite giù!” sorrise Milo, scagliando Scarlet Needle.

Saga, come promesso, non combatté contro quegli intrusi. Alzando lo scettro, impedì ai suoi nemici di accidentalmente ferire o coinvolgere civili. Poi corse verso le dimore delle vestali.

“Cosa succede?” si affrettò a chiedere Vesta.

“Restate dentro, al sicuro, qualsiasi cosa accada. Non abbiate timore, vi proteggiamo noi”.

Ariadne si affacciò. Vide il suo nuovo maestro attaccare un paio di invasori. Si sentì inutile. Doveva iniziare l’addestramento il prima possibile!

Ioria lanciava colpi a raffica, riempiendo il cielo dell’assordante rompo del tuono. I nemici stavano cadendo, uno dietro l’altro. Guardandosi attorno, vide un uomo legato. Avevano fatto un prigioniero? Da dove proveniva? Corse fulmineo e lo raggiunse. Era debole, seduto con la schiena contro una colonna. Portava una sorta di maschera in metallo, liscia, a copertura degli occhi. Il nemico che lo doveva sorvegliare era cadavere poco più in là.

“Va tutto bene?” domandò Ioria.

Non ricevette risposta. Sentì, però, il cuore di quell’uomo battere. Doveva portarlo al sicuro.

“Milo! Coprimi!” gridò, individuando il collega a lui più vicino.

“Perché proprio io? Che combini?”.

“Devo portarlo in salvo”.

“Non sai nemmeno chi è!”.

“Era prigioniero dei nostri nemici. Ed è ferito”.

“Ioria ha ragione” interruppe Camus “Potrebbe tornarci utile, e darci delle preziose informazioni su chi ci attacca. Portalo al riparo!”.

“Bah, se lo dite voi” fece spallucce Milo, continuando a lanciare colpi.

“Fidati. Servirà” continuò Camus, mentre Ioria si allontanava.

“Visto che sei qui…” insistette lo scorpione, sempre attaccando i nemici “…cosa ci facevi alla tredicesima?”.

“Ti sembra il momento?!” sbottò l’acquario, congelando gente.

“È sempre il momento!”.

“Ma senti…non sono affari tuoi! Se Saga vorrà convocare pure te, ti convocherà! Ha chiesto di me, ed io ho obbedito. È il mio dovere di cavaliere”.

“Ma ti ha convocato per cosa? Non avevi l’armatura!”.

“Sono affari privati”.

“Affari privati?!”.

Milo stava perdendo la pazienza, e si vedeva da come a casaccio ora lanciasse i colpi. Camus invece, come sempre, era fermo e concentrato.

“Non essere geloso” parlò l’acquario, dopo un po’.

“Geloso?! E di cosa?!”.

“Non so. Fai tante storie…”.

“Non sono geloso!” ripeté ancora Milo, e si allontanò dal compagno.

La battaglia non durò a lungo. I nemici, sconfitti o fuggitivi, non attaccavano più.

“Non è stato poi così difficile” si esaltò Shura.

“Era solo l’inizio” lo raffreddò subito l’acquario.

“Vado a vedere dov’è Ioria” aggiunse Marin, dirigendosi verso l’infermeria.

 

“Ti senti meglio, amico?” parlò il leone d’oro, vedendo che il ferito dava segni di ripresa.

Ioria tentò di togliergli la placca in metallo che ne copriva gli occhi ma venne bloccato.

“Non lo fare” mormorò l’uomo “Non te lo consiglio”.

“Chi sei? Come mai eri loro prigioniero?”.

“Io mi chiamo Phobos. Sono uno dei sommi guerrieri di Ares”.

“Ares?!”.

“Il nostro tempio non è ad Atene ma abbiamo già subito l’attacco diretto delle forze armate di Gaia. Il suo generale, Ahriman, è un uomo senza alcuna pietà”.

“Quindi noi siamo stati fortunati, in un certo senso”.

“Sì, qui ha mandato forze minori. Probabilmente perché sperava di trattare. Da noi, invece, i nemici sono giunti convinti di trovare il nostro signore, che però ancora non si era risvegliato. Senza un dio fra le file, siamo stati sconfitti ed io catturato. Volevano probabilmente usarmi come esca per attirare Ares”.

“Ares e Athena sono sempre stati nemici”.

“Sei un cavaliere di Athena? Ora abbiamo un nemico in comune. Ti ringrazio per avermi salvato, nonostante non sia uno dei tuoi”.

“Sei nemico dei miei nemici, quindi per me sei un amico. Mi chiamo Ioria, a proposito”.

Phobos tentò di alzarsi ma non ci riuscì.

“Resta pure dove sei” continuò il leone “Non c’è fretta. Riprenditi e riposa”.

“I miei compagni saranno in pensiero. Mio fratello Enyo…”.

“Presto sarai in grado di andartene con le tue gambe. Fino a quel momento, inutile correre rischi. Inoltre, sono certo che potrai darci un sacco di informazioni. Insieme lo sconfiggeremo questo nemico!”.

Il ferito rimase un po’ perplesso. Non era abituato a simili gesti d’altruismo. Non era l’unico ferito in quella grande sala, ma sapeva di essere probabilmente l’unico non al servizio di Athena. Leggermente a disagio, tentò di rilassarsi. Forse riposare era la cosa migliore da fare.

 

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Capitolo 6
*** VI- generali e maestri ***


VI

 

GENERALI E MAESTRI

 

“Non vedo l’ora di combattere. È straordinario!” esclamò, piena di entusiasmo, Ariadne.

“Non è mica un gioco!” sbottò Death Mask, accendendosi una sigaretta.

“Lo so bene! Dico solo che è fantastico. Tutti voi lo siete. E, un giorno, sarò anch’io così!”.

“Frena un attimo, piccola pazza! Noi siamo cavalieri d’oro! Io ti sto insegnando a difenderti, cosa che ti servirà nella vita, ma non puoi pretendere di divenire mia pari!”.

“Non trattarmi come una debole!”.

“Vuoi diventare sacerdotessa d’Athena? Benissimo. Rinuncia alla veste ed al ruolo che hai. Non puoi essere vestale e guerriera di questo tempio. Devi scegliere”.

“Sceglierò. Quando sarà necessario”.

“Ora è necessario. Non posso addestrare un’indecisa!”.

“Ma non puoi pretendere che prenda una decisione simile così di colpo!”.

“Sei debole, hai visto? Non sai nemmeno fare una scelta”.

Ariadne era furiosa. Quell’uomo non capiva nulla e pretendeva pure di giudicarla!

“Quella ragazza è forte, non sottovalutarla” parlò una voce.

D’istinto, Death Mask si mise a difesa della sua allieva. Era stato Phobos a parlare. Dopo qualche tempo, si era sentito meglio ed era stato in grado di muoversi. Lentamente, risaliva le scale delle case, diretto dal gran sacerdote. Alla luce della luna, la banda metallica che ne copriva gli occhi brillava in modo innaturale. Con i capelli scuri mossi dal vento, il guerriero vestito di rosso si trovò davanti il cavaliere del cancro.

“Non ho intenzione di creare problemi” parlò.

“Lo spero bene!” lo minacciò Death Mask.

“Però, te lo ripeto, quella ragazza ha un potere enorme. Non lo percepisci?”.

“Certo che lo percepisco. Se no non l’avrei mai accettata come allieva”.

“Allora vedi di non trattarla come un insetto”.

“Non credo siano affari tuoi! Gira al largo”.

“Non te la porto via!” ghignò Phobos, proseguendo oltre.

Death Mask ringhiò. Non staccò gli occhi dal mantello del guerriero di Ares finché questo non sparì nella casa del leone.

“Ma che gente gira per il santuario?!” si chiese il cancro e Ariadne rise.

 

“Mi avete fatto chiamare, Madre Gaia?”.

Ahriman, comandante supremo delle truppe dell’alleanza a cui a capo era stata posta Gaia, entrò nella grande stanza verde della sua signora. Lei stava seduta su un imponente trono fatto di foglie e rami che si intrecciavano. Fra le mani stringeva una coppa, che poggiò sul bracciolo.

“Ben arrivato, mio Ahriman dagli occhi smeraldo”.

“Mi avete convocato. Cosa c’è?”.

Non giunse subito la risposta. Il giovane rimase immobile. Un vento leggero, provocato dalle ampie finestre ad arco della stanza, ne muoveva le vesti ed i lunghi capelli. La dea si alzò e lui si inginocchiò. Gaia, camminando lentamente, lo raggiunse. Senza ancora proferir parola, poggiò il tacco sul ginocchio sollevato del suo generale, lasciando che lo spacco della gonna si scostasse. Allungò la mano, con le unghie lunghe e dipinte di verde chiaro, accarezzando i capelli corvini di lui.

“Oh, Ahriman”.

Lui chinò lo sguardo e lei continuò ad accarezzargli la testa.

“Mio generale: parla. Perché non mi hai portato il prigioniero che ti ho chiesto? E perché ho dovuto attendere tutti questi giorni prima di avere tue notizie?”.

Il tono di lei era solo velatamente di rimprovero. Manteneva una sensualità che Gaia sapeva bene di avere.

“Purtroppo il prigioniero è andato perduto” rispose lui, senza sollevare lo sguardo.

“E come mai?” domandò ancora lei, raddrizzando la gamba.

“Ho eseguito gli ordini, sottovalutando i guerrieri d’Athena”.

“Stai dando forse colpa alle mie disposizioni?”.

“No, certo che no”.

La dea ordinò al suo generale di alzarsi.

“Ti avevo chiesto un guerriero di Ares” riprese.

“Lo so. Lo avevamo catturato ma poi è giunto l’ordine di attaccare il tempio di Athena. Quell’ordine non è stato dato a tutti i guerrieri, ma solo ai soldati semplici. Uno di essi aveva con sé il prigioniero”.

“Io ho dato quell’ordine. Credevo che con Athena si potesse trattare. Credevo che fosse debole come praticamente tutte le sue reincarnazioni”.

“Non lo è. E non lo sono i suoi guerrieri”.

“Dovevi riprendere il prigioniero”.

“Ho dato priorità ai miei uomini. Per questo non sono venuto prima qui. Ho aiutato i feriti”.

“Che animo nobile”.

Per un attimo, la dea diede le spalle al generale. Poi si rigirò e si avvicinò, poggiando la mano sulla veste di velluto nero di lui, seguendone con il dito i ricami verdi. Ahriman non si mosse. Rimase immobile, in attesa di nuovi ordini.

“Ahriman…presto sarà tutto finito. Spazzeremo via quest’umanità che non ti ha voluto. Perché, te lo ricordi…vero? Io solo ti ho accolto in questo mondo. Loro ti odiavano, ti hanno abbandonato. Nessun’altro ti voleva ma io, Ahriman adorato, ti ho fatto crescere forte come un dio. Ricordi questo, vero?”.

“Certo, Madre Gaia. A Voi, e soltanto a Voi, devo la mia vita. E sono pronto a giurarvi in eterno fedeltà”.

“Bravo, giura. Saresti morto appena nato, se non fosse stato per me”.

Le mani della dea accarezzavano la veste del generale. Il suo i occhi tentavano di incrociare quelli di lui ma il giovane teneva lo sguardo fisso, perso lontano. Lei allora ne accarezzò il viso ed accosto le proprie labbra a quelle di Ahriman, che ebbe un fremito. Di fronte aveva Gaia, la dea che, nata direttamente dal Caos, impersonava la fertilità e la forza della terra. Era una fra le più belle mai esistite. E lui, anche se era il più forte fra i guerrieri di quel regno, veniva soggiogato da quel potere divino.

“Cosa c’è, Ahriman? Hai paura che ti sgridi? Ti perdono ogni errore, tranquillo. La vittoria sarà comunque nostra, vedrai”.

Ora le mani della dea scendevano gradatamente e il bacio che diete fu molto più appassionato del precedente.

“Signora, siamo in mezzo ad una guerra” riuscì a dire Ahriman “Non credo sia il caso di distrarci così”.

“Distrarci? Per te è una distrazione? Piccolo, io sono una dea. Con me, saprai cos’è il piacere vero. Qualunque altro uomo ne avrebbe approfittato immediatamente. Tu no. Perché? Che problemi hai?”.

“Io sono il Vostro generale. Vi ho giurato fedeltà. Ma questo non rientra nel mio giuramento”.

“Eppure lo desideri. Lo vedo”.

“Non sono degno di condividere certi momenti con Voi, Madre Gaia”.

“Ansia da prestazione? Pensi di non essere all’altezza?”.

“Meritate un dio, non un essere impuro, orfano e bastardo come me”.

“I bastardi sono i migliori” mormorò lei “O forse non ne sei capace? Le tue donne si son lamentate?”.

Punto sull’orgoglio, Ahriman guardò dritto negli occhi la dea. Era la prima volta che ne incrociava lo sguardo dall’inizio di quel colloquio.

“Così mi piaci, Ahriman. Vieni qui”.

“Non darmi ordini in questo campo, Gaia” rispose lui, afferrandola saldamente.

Nessuno poteva giocare con il suo orgoglio, nemmeno una dea. Nessuno poteva mettere in dubbio la potenza di Ahriman! Le vesti leggere e quasi impalpabili di lei si toglievano come petali di rosa, lasciandone scoperto il cuore vivo, la carne nuda di lei. Gaia, famosa per le sue forme generose, finse pudicizia coprendosi con le mani. Lui ghignò, mentre levava la lunga giacca nera e verde. Sotto di essa, una grossa cinta in tinta col suo sguardo reggeva i pantaloni coordinati con la giacca. Gli stivali li tolse senza nemmeno usare le mani. Con un gesto deciso, fece stendere lei a terra, che rabbrividì. Il pavimento era gelido ma bastò il tocco di Ahriman per scaldarla. Poteva un mortale farle provare quelle sensazioni? Evidentemente sì, perché Ahriman era un orfano che aveva trovato. Percependone il cosmo, lo aveva allevato ed addestrato.

“Adesso ti faccio vedere io se non sono all’altezza!” esclamò il generale, ora completamente nudo.

“Non vedo l’ora” mormorò lei.

Gaia gemette. Era abituata ad intrattenersi con le divinità e non si aspettava che quel giovane mortale potesse farle provare ardente piacere. Ma dovette ricredersi. I loro cosmi ed i loro corpi si fondevano e si mescolavano. Lei strinse forte a sé il suo sottoposto, mormorandone il nome.

“Oh, Ahriman!” ansimò “Tu devi essere solo mio!”.

Il generale non fece molto caso a quelle parole e gridò, di dolore e piacere, quando lei lo morse al petto con una certa violenza, tanto da farne uscire il sangue. Non si era mai sentito così vivo e potente e poco gli importava se quella pazza aveva attacchi di vampirismo. Non era mai stato così in estasi, probabilmente perché mai prima d’ora aveva avuto l’onore di provare l’amplesso divino. Sfinito, col cuore che ancora batteva all’impazzata e la sua energia vitale che pulsava fuori controllo, sorrise.

“Allora...” mormorò “Sono stato all’altezza?”.

“Assolutamente” sorrise a sua volta lei, sfiorando con le mani la ferita sul petto di lui.

 

“Oh, sei qui, finalmente” parlò Saga, vedendo entrare Phobos nei sui alloggi.

“Sì. Appena in grado di camminare, ho voluto parlarle di persona, Dea Athena”.

“Parla, dunque”.

“I nostri nemici sono numerosi. Ma lo sono anche gli alleati”.

“Spiegati”.

“Gli Dei antichi, i figli del Caos ed i loro diretti discendenti, vogliono riprendere il dominio sui figli di Zeus. Tutti i figli di Zeus sono in pericolo. Alleandovi fra voi, riuscirete a…”.

“Alleandoci fra noi? Intendi allearci con Poseidone, Hade, Ares e tutti gli altri Dei che non fanno che altro che desiderare la mia testa?!”.

“Adesso è diverso. Siete in pericolo e se non vi alleate rischiate di perdere il dominio ed i poteri. È questo che volete? Non credo. Sono certo che saprete mettere da parte le beghe familiari per un bene superiore”.

“Io lo faccio per aiutare il mondo e la sua gente”.

“Ed altri lo faranno per puro rendiconto personale. Ma lo faranno. Risponderanno al Vostro richiamo”.

“E se non lo faranno? Se si presenteranno qui come nemici?”.

“Non sono sciocchi. Ci tengono alla loro egemonia”.

Saga annuì. Strinse lo scettro di Athena fra le mani e si recò sotto la statua raffigurante la dea. Alzò entrambe le braccia al cielo e la statua di Nike si illuminò per qualche istante. Aveva lanciato il suo segnale, rivolto a tutti gli Dei figli di Zeus.

“Speriamo bene” disse piano, mentre Phobos sorrideva perché convinto fosse la cosa giusta.

“Presto giungeranno molti Dei, vedrete” parlò.

“Mi auguro non con intenzioni bellicose nei miei confronti, perché sono pronto a riempirli di bastonate, lo giuro!” si affrettò a dire Saga.

 

Ahriman uscì dal grande salone dove lo aveva accolto Gaia e si diresse verso le sue stanze.

“Attento, ragazzino” si sentì dire.

Un’ombra nera aveva parlato. Erebo, signore del buio.

“Attento a cosa?” sbottò, altezzoso, il generale.

“Gli amanti di Gaia non fanno mai una bella fine. Non la conosci la storia di Urano?”.

Ahriman non rispose. Scosse la testa in segno di disprezzo e si allontanò, dicendosi che quella di Erebo era solo invidia.

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Capitolo 7
*** VII- legami ***


VII

 

LEGAMI

 

Saga stava dando dei pezzettini di biscotto alla civetta che ultimamente lo seguiva sempre. Seduto al tavolo assieme a quasi tutti i suoi cavalieri, aveva appena spiegato loro il perché del richiamo rivolto alle divinità.

“Quindi…mi stai dicendo che presto verremo invasi da Dei che un tempo ci erano nemici e che potrebbero esserlo ancora?!” storse il naso Milo.

“Milo, calmati!” lo zittì Camus “Ha fatto la scelta più giusta”.

“Sei impazzito?! Voi due non me la raccontate giusta” si offese lo scorpione.

“Devi fidarti. È pur sempre la reincarnazione di Athena” sorrise Aiolos “Io mi fido!”.

“Sempre se stia ascoltando la voce di Athena, e non quella della propria testa” parlò, scettico, Shaka.

“In una situazione così critica, fare discorsi del genere è controproducente!” furono le parole di Shura.

“Tanto tu lo hai sempre servito, anche quando era traditore” lo zittì il cavaliere indiano.

“Finitela! O vi faccio cavare gli occhi dalla mia civetta!” sbottò Saga, serio.

La tavolata si zittì. E Saga scoppiò a ridere. “Scherzavo!” disse “Come siete suscettibili!”.

“Death Mask, passami il latte” domandò Aphrodite, cambiando argomento.

Il cavaliere del cancro non si mosse.

“Death! Ci sei?” gridò Pesci e l’interpellato si scosse.

“Che c’è?” domandò, come sceso dalle nuvole.

“Sei rincoglionito di brutto la mattina ultimamente, eh?” lo schernì il collega “Chissà che combini la notte nelle tue stanze, porcello!”.

“Sei invidioso, Aphro?” ghignò Death Mask.

“No. Fidati che pure io ho molto da fare la notte” fece l’occhiolino Pesci.

“A chi lo dici!” si unì Milo.

“E con chi?” lo schernì Camus “Non ci sono femmine al santuario”.

“Difatti me le porto da fuori, ciccino!”.

“Parli di donne, non di pizze!”.

“Dai, basta con questi discorsi. Non sapete discutere di altro?” interruppe Saga, accarezzando la civetta.

“Oh, andiamo! Sono argomenti da uomini! Noi e Arles…” iniziò Death Mask.

“Io non sono Arles” scandì bene Saga. E scese il silenzio.

Le vestali, nel loro angolo, ridacchiavano parlando fra loro. Ioria salutò con la mano Ninive, che rispose con un cenno del capo.

“Una cosa non ho mai capito…” riprese a parlare Milo dopo un po’ “Tu, Saga, hai preso fra le mani il fuoco di Hestia, Vesta, che non dovrebbe essere toccato da mani impure. Vale anche se sei puro a metà?”.

“Non capisco la tua domanda, scusa”.

“Hestia, o Vesta, è vergine. Così come tutte le sacerdotesse che si occupano del suo fuoco. Ora…lo sappiamo tutti che Athena è una dea vergine. Però tu…”.

“Io, cosa?”

“Tu non lo sei. Però il fuoco lo hai toccato lo stesso e non ha subito conseguenze. Era perché in te c’è la vergine Athena oppure perché è tutta una leggenda metropolitana quella che solo le vergini ci possono stare vicino?”.

“Non è una leggenda metropolitana. Se tu lo toccassi, quel fuoco, probabilmente bruceresti vivo”.

Milo sorrise. Era felice che tutto il santuario sapesse che aveva avuto a che fare con molte donne!

“Certo che…” riprese “che noia dev’essere! Fare la sacerdotessa vergine, intendo. Non sanno quello che si perdono, vero ragazzi?”.

“Non per tutti la vita ruota attorno al sesso, al cibo e…” iniziò Saga.

“Ti do ragione” si aggiunse Shaka “Però lo dobbiamo ammettere…se passa una bella fanciulla, nessuno di noi dice di no”.

“Mi stupisco di te. Ma adesso basta con questi discorsi. Non credete che…”.

Saga si interruppe. Non sapeva che altro dire. Sospirò, grattando il becco alla civetta con gesto affettuoso.

“Smettila, Milo!” rise Ioria “Non lo tormentare! Cosa vuoi sapere?! Se è vergine?! Certo che no!”.

“E anche se così fosse, che problema ci sarebbe?! Razza di micio fulminato!” si innervosì Saga.

“Micio fulminato sarà tua sorella!”.

“Lode agli Dei, non ne ho!”.

“Ma…mi prendi per il culo?”.

“No. Ma non credo siano affari vostri!”.

“No, non lo sono. Però…” parlò Shaka, trattenendo una risatina “…ora sappiamo perché Athena ha scelto proprio te. Noi siamo tutti dei veri maiali, rispetto a quel che sei tu”.

“Era Arles quello che si circondava di ancelle, non io. E comunque, ripeto, non sono affari vostri!”.

“Amico mio, devi recuperare gli anni persi!” scosse la testa Death Mask.

“Io sto cercando di parlare della guerra e di ciò che ci aspetta! Possiamo concentrarci?!”.

“E come faccio a concentrarmi, dopo aver scoperto una cosa del genere?” sorrise Milo.

Saga si alzò, piuttosto scocciato.

“Hei! Dove vai? Stavo scherzando!” cercò di fermarlo lo scorpione.

“Voi state pure qui a divertirvi, io ho una guerra da pianificare”.

“Non fare il capriccioso! Torna qui! Ti offro una birra!”.

“Non la voglio una birra alle sette di mattina! E comunque fate quel che vi pare. Divertitevi, sbronzatevi, andate a puttane. Avete ragione. Voi vi godete la vita. Io no”.

“No, dai! Aspetta!”.

Death Mask tentò di inseguire Saga, che però lo fulminò con lo sguardo e si allontanò dalla sala. Uscì all’aperto e chiuse gli occhi. Il sole gli scaldava il volto e la veste e si sentì subito più rilassato.

“Buongiorno, Athena” si sentì salutare.

Riaprì gli occhi e vide Vesta davanti a lui. Preferiva chiamarla Hestia, come facevano i greci, ma lei si presentava sempre come Vesta e la cosa un po’ lo confondeva.

“Buongiorno” rispose, senza usare alcun nome.

“Avete già fatto colazione?” domandò lei.

“Veramente…non ho molto appetito. E dammi del tu, per favore”.

“Va bene. Ma in questo caso ti chiamerò Saga, perché non riesco a dare del tu ad Athena”.

“Come preferisci”.

“Nemmeno tu hai appetito? Ti capisco benissimo. Però mi devo sforzare. Devo mostrarmi forte, davanti alle mie sacerdotesse. O cadranno nello sconforto”.

“Siete spaventate dalla battaglia? Posso comprenderlo. Non siete guerriere”.

“Sono preoccupata. Madre Gaia è l’essenza stessa della vita del mondo. Come si può sconfiggere? Ed assieme a lei ci saranno molti altri guerrieri fortissimi, divinità antiche e temute”.

“Non dovete avere alcuna paura perché io ed i miei cavalieri vi difenderemo. E vinceremo questa guerra. Lo posso promettere”.

“Sembri molto sicuro di te”.

“Lo devo essere”.

“Immagino che fra voi cavalieri sappiate darvi forza”.

Saga preferì non rispondere.

“Mi piacerebbe ricevere sempre qualche parola di incoraggiamento quando ne ho bisogno” riprese lei “ma non posso mostrarmi debole. Devo essere una guida, per le mie sacerdotesse”.

“Forse un modo c’è. Vieni con me”.

Saga la condusse fino alla prima casa, dove le disse di attenderlo all’entrata.

“Mur! Ci sei?” chiamò, e il cavaliere dell’Ariete rispose.

Era intento a riparare un paio d’armature, dopo l’ultimo scontro.

“Lavoraccio?” domandò Saga.

“Sì, lavoraccio. E sono stufo di dissanguarmi”.

“Ti aiuto”.

Usando uno degli strumenti di Mur, Saga si procurò una piccola ferita. Alcune gocce di sangue divino bagnarono le vestigia, riparandole.

“Ma…” iniziò l’ariete.

“Sarà un nostro segreto. Ho un favore da chiederti”.

“Prima devo chiederti io una cosa. Hai visto Kiki?”.

“No, perché?”.

“Non lo vedo da ieri sera”.

“Ha diciassette anni. Sarà andato a far festa da qualche parte”.

“Ok. Ho capito. Tornando a noi…che posso fare per te?”.

“Ora ti spiego…”.

 

Dopo non molto tempo, Saga riapparve e sorrise a colei che si ostinava a chiamare Hestia.

“Questo è per te” le disse, porgendole la mano chiusa.

Lei protese la sua e vi ci trovò poggiato un piccolo campanello d’oro, sorretto da una sottilissima catena. Lei lo prese fra le dita e lo fece tintinnare. Aveva un suono lieve e armonioso.

“Ogni volta che avrai paura, suonalo. E mi sentirai vicino”.

Vesta chiuse gli occhi e lo suonò ancora. Era vero. Al vibrare della campanella, il suo cosmo veniva come rincuorato da un tocco esterno: il cosmo di Athena.

“Sei davvero dolcissimo” sorrise lei.

Lui vide il suo sorriso, unica parte del viso scoperta sotto il velo bianco, e ne fu felice. Poi lei si passò una mano fra i ciuffi biondi e strinse fra due dita un unico capello color dell’oro. Lo legò, con un piccolo fiocco, al polso di Saga.

“Io sono la dea che, fra le altre cose, protegge la famiglia. Con questo gesto, spero di fare in modo che ciò che consideri la tua famiglia ti resti accanto. Che sia essa composta da tuoi parenti o tuoi amici. Perché avere qualcuno accanto è importante, e spero che tu ce l’abbia”.

Saga arrossì debolmente. Vesta si congedò, con un piccolo inchino, andando a raggiungere le sue sacerdotesse. Lui fissò quell’unico capello oro che brillava alla luce del sole. Non si era mai sentito definire “dolcissimo” e la cosa lo fece quasi ridere. Poi ripensò a quella frase sulla famiglia e chiuse il pugno.

“Stupido Arles” borbottò “Stupido! Stupido Arles!”.

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Capitolo 8
*** VIII- famiglia ***


VIII

 

FAMIGLIA

 

“Cosa borbotti?” sorrise Mur, uscendo dalla sua casa ed affiancando Saga.

“Niente di che. Ma c’è una cosa di cui volevo discutere con te”.

“E sarebbe?”.

“La mia armatura divina. Come dovrei usarla, secondo te?”.

“In effetti…l’armatura di Athena non mi sembra proprio adatta al tuo fisico. Ma non ti devi preoccupare. Le armature si adattano, specie quelle divine. Sono abituate a diverse reincarnazioni”.

“Athena si è sempre reincarnata in corpo di donna”.

“Dovresti chiedere a chi per primo le ha forgiate”.

“Efesto?”.

“Probabile”.

Un soffio anormale di vento fece allarmare Saga. Guardò in alto, di scatto.

“Indossa l’armatura” ordinò a Mur, mentre scendeva il buio nonostante fosse mattino.

 

I cavalieri, percependo qualcosa, si affrettarono ad uscire con indosso le loro vestigia.

“Che succede?” domandò Hestia.

“Marin!” chiamò Saga “Porta al sicuro le vestali e tutti i civili protetti da questo tempio. Mi raccomando! Non voglio che scorra sangue innocente su questo sacro terreno”.

“Mi pare di conoscerli” commentò Ioria, quando i nemici iniziarono ad apparire.

Oltre ad una moltitudine di guerrieri alati, questa volta fra gli avversari figuravano degli Dei.

“I titani? Ma non li avevamo già ammazzati?!” sbottò Shura.

“Così ricordavo. Ma si vede che non gli è bastato. Deve averli richiamati in vita Gaia” sorrise il leone “Poco male! Se li abbiamo battuti quando eravamo dei ragazzini, figuratevi se non ci riusciamo adesso che siamo uomini fatti!”.

“Non sottovalutarli, fratello” lo ammonì Aiolos “Sono circondati dalle loro truppe”.

Phobos aveva deciso di combattere a fianco dei cavalieri di Athena. L’unico ad indossare l’armatura rossa e nera dei guerrieri di Ares, per un attimo ebbe il timore di essere rimasto il solo rappresentante di quella divinità. Ma non si perse d’animo e ringhiò feroce. Era nato per combattere e quindi era pronto a morire in essa. Gli avversari avanzavano, fra il cielo coperto dalla moltitudine di ali dei guerrieri in verde.

 

Ahriman, generale supremo di Gaia, osservava l’avanzata da un posto privilegiato, volando leggermente più in alto. Si posò su un’altura. Aveva studiato bene il territorio e sapeva come agire.

“Briareo! Gige! Kotto!” chiamò, e tre giganti dalle molte teste e molte braccia apparvero dall’oscurità.

“Agli ordini del generale di Gaia” risposero, in coro, i tre Ecatonchiri.

“Non abbiate pietà alcuna. Distruggete ogni cosa. Schiacciate questi esseri e la loro divinità!”.

“A quelli penso io!” sorrise Shura, vedendo arrivare i giganti.

“Sei sicuro?” domandò Aphrodite.

“Assolutamente! Excalibur freme ed ha bisogno di divertirsi un pochino”.

“Come ti capisco” sorrise pesci, facendo apparire una rosa rossa.

“Krono. Quello lo hai già affrontato quando…” iniziò Mur.

“Quando Arles mi dominava?” lo interruppe subito Saga.

“Ma fa lo stesso. Io spero solo che Kiki non si trovi in mezzo a tutto questo casino e sia a dormire a casa di qualche suo amico”.

“O amica”.

“Come?!”.

“Niente. Andiamo”.

 

“Dove sono i ciclopi? Voglio che circondiate questi piccoli moscerini, avanti!” gridò Ahriman.

Udendo il suo ordine, i tre esseri ringhiarono. Erano Bronte, Sterope e Arge ovvero il tuono, il lampo e il fulmine. Armati con lunghi e grossi bastoni, squassavano la terra creando vibrazioni simili ad un terremoto.

Al loro battere, tuoni e fulmini apparirono in cielo. Ioria sorrise. Nessuno poteva batterlo a suon di fulmini!

I tre Ecatonchiri correvano veloci verso il piccolo esercito di Athena ma l’Excalibur arrestò la loro furia. Feriti, gridarono di rabbia.

“Taglierò ad ognuno le cento braccia!” sfidò Shura, lasciando ancora che il suo braccio colpisse.

“Ed io vi farò vedere come si fanno per davvero i fulmini!” tuonò Ioria, lanciando il lightning plasma contro i tre ciclopi.

Iperione e Teia brillavano. Alle loro spalle, Eos, Elio e Selene, i loro tre figli. Eos, dea dell’aurora, volava dinnanzi al carro trainato da cavalli del fratello Elio. Selene, circondata da luce argentea, lo affiancava.

“Fermerò il vostro avanzare” quasi sermoneggiò Shaka, passando subito alle maniere forti spalancando gli occhi azzurri.

Oceano e Teti, rappresentanti la fecondità dell’acqua, trovarono come avversario Camus, che vide la cosa come una sfida interessante. Oceano era il primogenito fra i titani e conosceva bene il suo potere.

Aldebaran tentò di fermare l’avanzata di Giapeto e Climene, un titano e la sua sposa. Doveva impedir loro di usare il fuoco del loro figlio Prometeo e di raggiungere il sacro fuoco di Vesta, che avrebbero usato di certo contro Athena.

“Non avrò pietà alcuna!” parlò Rea, rivolta ad Aphrodite “Le piante obbediscono a me, non a te. Perciò ti consiglio di desistere con le tue rose”.

“Non mi faccio intimorire!” le rispose pesci, richiamando le sue rose velenose.

L’ariete di ritrovò davanti Crio, detto “l’ariete del cielo”. Intenzionato a far restare un solo ariete, si preparò ad affrontarlo con una pioggia di stelle.

Ceo, l’intelligente, e la sua compagna Febe, si ritrovarono davanti Dohko a fermarli. Il vecchio maestro, con l’aspetto da giovane guerriero, ne aveva viste abbastanza da non temere di certo i nonni di Apollo e Artemide! I suoi draghi erano pronti!

Temi e Mnemosine camminavano affiancate e furono Death Mask e Shaina a fermarle.

“Dove credete di andare, signorine?” sorrise lui.

“Signorine a chi?” sorrise, infastidita, Temi. Concentrandosi e mostrando la potenza del suo cosmo, fece subito capire che non c’era proprio nulla con cui scherzare.

Milo ed Aiolos si occupavano della moltitudine di guerrieri alati. Grazie ai loro colpi a distanza, cercavano di abbatterne il più possibile.

“Sono davvero in troppi” sbottò Aiolos.

“Tanti, non troppi” lo corresse Milo “Noi prevarremo”.

“E così, eccoci qui di nuovo, io e te. Ricordo che una volta ci scontrammo, quando ancora eri poco più di un ragazzino. Ma ora è diverso. Io sono stato richiamato da Gaia, non sono debole come in quel tempo”.

“Nemmeno io sono come ricordi”.

“Lo vedo…Athena!”.

Krono non poté fare a meno di farsi scappare una risatina di derisione. Fra le mani stringeva la falce con il quale aveva ucciso il padre ed era pronto a fare lo stesso con Saga. Ma Saga non aveva alcuna intenzione di farsi uccidere ed evirare come Urano quindi richiamò a sé lo scudo di Athena. Con lo scettro illuminato, fu lui a lanciare il primo colpo, prendendo alla sprovvista Krono, che però si riprese subito.

“Non sparpagliatevi! Sono in pochi!” ordinò Ahriman, notando con orgoglio come i suoi guerrieri stessero avendo la meglio “Li schiacceremo!”.

Shura iniziava ad avere qualche difficoltà. I tre enormi Ecatonchiri, con cento braccia ciascuno, parevano non provare alcun dolore anche se gliele stava tagliando una dietro l’altra grazie ed Excalibur.

“Ti aiuto!” si aggiunse Phobos, togliendo la barra metallica che copriva i suoi occhi.

Lo sguardo rosso sangue del guerriero si mostrò, facendo capire perché il suo nome significasse “paura”. Solo ad incrociarlo, gli Ecatonchiri si immobilizzarono, colti da un terrore a loro sconosciuto. Grazie a questo, Shura non ebbe alcuna difficoltà a decapitarli e porre fine alle loro vite.

Ioria continuava a colpire i ciclopi, che però nonostante le ferite non mostravano alcun segno di voler cedere.

“E va bene!” parlò il cavaliere “Vi farò vedere io le vere zanne del leone!”.

Concentrò il suo cosmo al massimo e colpì. Il suo fulmine, potente e luminoso, partì. Ad esso, però, se ne aggiunse un altro. Stupito, Ioria si guardò alle spalle. I ciclopi erano stati disintegrati ma quel colpo non era stato solo suo! Chi lo aveva aiutato?

Anche Camus si trovava in difficoltà, ma la sua aurora d’un tratto fu più potente, travolgente. Oceano e Teti vennero sbalzati all’indietro, scomparendo fra le acque. Shaka rimase senza parole quando il suo colpo fu così abbagliante da far svanire alla vista Iperione, Teia ed il loro seguito. Uno dopo l’altro, tutti i cavalieri compresero che c’era qualcuno che li aiutava. Altri guerrieri si stavano unendo alle loro schiere.

“Non retrocedete!” gridò Ahriman “Sapete chi dovete colpire per sottometterli!”.

Saga udì quella voce ma non ci fece caso. Lo scontro con Krono non era affatto semplice, specie in quel momento in cui non si sentiva ancora in perfetta sintonia con le proprie capacità e non riusciva ad usare a pieno i poteri di Athena. Krono ruotò la falce e Saga tentò di schivarlo. Senza protezione, se non per lo scudo, fu ferito di striscio. Puntò lo scettro e un potente raggio rispose alla falce. Fra il fragore della battaglia, un suono di corni sormontò tutto. Poi un grido. Un urlo di guerra terrificante si espanse fra le truppe. Che significava? Phobos sorrise, mentre guerriere a cavallo stroncavano vite di guerrieri alati. Ed anche altre creature alate si unirono alla battaglia.

 “I cavalieri alati di Artemide?” li riconobbe Saga, notando con gioia che erano amici.

“Non disperdetevi. Dove sono gli altri squadroni?” comandò Ahriman.

“Altri squadroni?!” si stupì Milo, e pochi istanti dopo molti altri guerrieri in verde apparvero nel cielo.

“Ma quanti sono?!” commentò Aiolos “Li clonano?!”.

Ahriman sorrise. Era bello cogliere il nemico di sorpresa.

“Milo” mormorò il sagittario “Quello lassù dev’essere Ahriman, colui di cui ci ha parlato Phobos. Se riesco a colpirlo, vedrai che gli avversari subiranno un notevole freno”.

“Capito. Che posso fare?”.

“Distrailo. Fai qualcosa che  ti faccia notare”.

Lo scorpione annuì e saltò, allontanandosi da Aiolos. Sparò un paio di Antares con convinzione e poi guardò con sfida Ahriman.

“Hei, tu!” gli gridò “Vieni giù, se hai coraggio!”.

“Credi che io sia stupido?” sbottò il generale, tenendo sempre un occhio sul sagittario.

“No, credo tu sia un vigliacco. Comodo stare lassù mentre gli altri si fanno il culo!”.

Ahriman si limitò ad alzare una mano. Una moltitudine di serpenti velenosi apparvero dal sottosuolo.

“Crei serpenti?! Ma che razza di mostro sei?”

Ahriman non rispose. Shaina si occupò delle bestie, non temendone il veleno. Il grido di guerra si ripeté e il generale d’istinto si voltò verso quella direzione, cercando di capire chi lo emettesse. Aiolos approfittò di quell’unico attimo di distrazione e scoccò la sua freccia.

“No!” urlò uno degli alati, correndo a frapporsi fra la freccia ed il suo signore.

Ahriman si accorse in pochi secondi di quel che era successo. Afferrò l’alato trafitto e lo depose in terra.

“Heon!” lo chiamò, scuotendolo “Amico mio!”.

Non ricevette risposta.

“Avanti! Non puoi morire! Siamo cresciuti assieme e dobbiamo vincere questa guerra assieme! Fratello…”.

Il giocane ferito morì senza parlare ed Ahriman strinse i pugni. Alzò il capo, incrociando lo sguardo di Aiolos. Ora gli occhi del generale stavano mutando, circondandosi di rosso. Gridò d’odio e la sua forza scosse l’atmosfera, creando una corrente di energia bruciante.

“Morirete tutti!” parlò, con una voce d’un tratto bassa e profonda in modo anormale.

“Ahriman!” tuonò una voce di donna.

Il generale non ascoltò, continuando ad accumulare e sprigionare energia. Non sopportava la morte di Heon avvenuta in quel modo. Combattendo, lo avrebbe compreso. Ma non poteva sopportare che fosse spirato per proteggerlo.

“Ahriman!” si sentì di nuovo la voce, questa volta piena di rabbia.

“Madre Gaia…” parve calmarsi l’uomo.

“Ritiratevi. Tornate qui” ordinò lei.

“Ma…Gaia…”.

“Obbedisci! Rientrate”.

Ahriman a fatica si fermò. Avvolse il corpo di Heon con il mantello che portava sulle spalle e poi lo portò via con sé. Così come erano venuti, i nemici scomparvero, facendo riapparire il sole.

 

“Tutto a posto, fratello?”.

Saga era ferito, solo leggermente, ma quella piccola perdita di sangue non era sfuggita a Kanon.

“Kanon?” parlò piano Saga, come se davanti a sé ci fosse un miraggio.

Kanon sorrise. Indossava l’armatura di Poseidone e dietro di sé portava i sette guerrieri marini.

“Sei…Poseidone?”.

“E tu sei Athena. Sai che la cosa mi stupisce non poco?”.

“A chi lo dici”.

Guardandosi attorno, i cavalieri d’Athena iniziarono a riconoscere varie divinità. Artemide, Demetra, Dioniso, Apollo, Hade…

“Avete risposto al mio richiamo” sorrise Saga.

“Certo che sì!” rispose il più grosso e imponente fra gli Dei: Zeus.

“Avevi dubbi? Mica possiamo lasciare che questi vecchi ci soppiantino?” spiegò Ermes, offrendosi poi di aiutare a curare i feriti.

“Ma un po’ ne abbiamo spazzati già via” commentò Ioria.

“Non avete ancora capito con chi avete a che fare. I figli di Urano e Gaia sono forti ma, fidatevi, la progenie nata direttamente dal Kaos e i figli di Tartaro possiedono ben altre capacità. Lo so bene” smorzò il suo entusiasmo Zeus “Ma insieme non dobbiamo aver timore. Li sconfiggeremo. E sigilleremo Gaia, la maledetta che con un cenno starà già facendo rinascere i Titani”.

“E perché sigillarla? Non possiamo ucciderla?” domandò un dio dal pesante elmo calcato sulla testa.

“Non si può uccidere la madre terra, o ciò che rappresenta”.

Il dio parve capire.

“Phobos!” esclamò, invece, notando l’uomo fra  i soldati di Athena.

“Signore! Lieto che vi siate risvegliato” si affrettò a rispondere il guerriero, inginocchiandosi.

“Sei vivo. La cosa mi rallegra. Temevamo ti avessero ucciso”.

“Fortunatamente, i cavalieri di Athena mi hanno salvato. Gli altri stanno bene?”.

“Guarda con i tuoi occhi”.

Enyo, gemello di Phobos, salutò il fratello e lo stesso fece Eris. I tre massimi sacerdoti di Ares, ora riuniti, si sorrisero. Alle loro spalle, le guerriere a cavallo dette Amazzoni stavano in fila sull’attenti.

“Riposo, ragazze” ordinò proprio Ares, togliendosi l’elmo con l’altissimo pennacchio rosso.

Una cascata di capelli neri ne uscì e Saga sobbalzò.

“Arles?” domandò.

“Ciao” si limitò a rispondere l’interessato.

“Arles! Tu sei…Ares?! Ti sei allontanato da qui per diventare dio della guerra?!”.

“Hei, non lo sapevo! Mi ci sono ritrovato in mezzo come al solito!”.

“Mi stai mentendo!”.

“Senti, per quanto mi esalti combattere, sono stanco e non ho voglia di discutere”.

“Eri tu che lanciavi quel terribile urlo di guerra?”.

“Sì. Non ti piace?”.

“Mi pare appropriato al personaggio. E i capelli neri…ti donano”.

“Grazie”.

“Avete finito di discutere?!” interruppe Kanon “Che bello, ora ho ben due fratelli! Però ho una gran fame. Che ne dite di continuare questa bella chiacchierata al coperto, davanti ad una bella tavola imbandita e del buon vino?”.

Nessuno obbiettò.

“State tutti bene?” domandò Ariadne, la prima delle vestali ad uscire allo scoperto.

“Sì, tranquilla” le rispose Death Mask “Solo qualche botta e graffio”.

In realtà entrambe le fazioni avevano subito perdite, specie fra i soldati semplici, i più vulnerabili. Solo Saga parve rattristarsi per questo, ma dovette ricordarsi che quella guerra serviva a salvare il mondo.

 

“Che bello vederti!” esclamò Ninive, correndo ed abbracciando Apollo.

“Ninive! Che gioia! Come stai?” sorrise Apollo.

“Come vuoi che stia? Siamo in mezzo ad una guerra!”.

I due iniziarono a parlare fra loro, felici. Arles storse il naso. Si erano radunati nella grande sala dove si ritrovavano per mangiare. Ora la stanza era decisamente sovraffollata.

“Il nero ti dona davvero” commentò Aphrodite “Ti fa sembrare più giovane”.

“Non sono mica vecchio!”.

“Ma noi ti vogliamo bene lo stesso! E siamo felice che tu sia tornato!”.

“Ok. Ma non abbracciarmi”.

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Capitolo 9
*** IX- riordino ***


IX

 

RIORDINO

 

Ahriman entrò nel grande salone dove erano ricoverati i feriti. Vedendolo entrare, tutti si zittirono, in presenza di un superiore. Lui fece segno di rilassarsi e si avvicinò ad uno dei letti, dove un ragazzo sedeva.

“Ti trovo bene, Alphos. Presto potrai tornare a combattere” disse.

“Combattere? No, grazie” scosse la testa il ferito.

“Come, prego?”.

“Non intendo combattere di nuovo per lei, mi spiace”.

“Ammutinamento?”.

“No, licenza. Me ne vado. Non me la sento più”.

“Ma perché? Cosa ti spaventa?”.

“Non c’è qualcosa che mi spaventa, ma non riesco a combattere per una dea a cui non importa nulla della nostra vita”.

“A Gaia importa della nostra vita”.

“L’hai vista la reincarnazione di Athena? Lei combatteva assieme ai suoi cavalieri. Perché Gaia non lo fa? Perché se ne sta chissà dove a poltrire mentre noi moriamo?”.

“Non dovresti parlare di lei così. Dovresti esserle riconoscente”.

“E di cosa?!”.

“Stai scherzando, Alphos?! Lei ci ha salvati, tutti quanti. Ci ha allevati e ci ha resi forti, donandoci perfino le ali! Senza di lei, noi saremmo tutti morti da bambini!”.

“Ci ha allevati per questo! Lei aveva previsto la guerra ed ha preparato le sue pedine, le sue vittime sacrificali. I suoi pedoni! Ci farà ammazzare tutti e non le importerà. Per lei siamo carne inutile da macello”.

“Non so come certe parole velenose possano uscirti da quella bocca. Faresti meglio a…”.

“Tu dovresti aprire gli occhi, Ahriman. Nessuno dei bambini che ha scelto quella volta si è poi rivelato privo di capacità sfruttabili in battaglia. Ci ha scelti con cura. E poi…ha pianto anche solo una lacrima per Heon? O per chiunque altro? La risposta è no, e tu lo sai. Queste ali, servono a darci un vantaggio in guerra non a donarci la libertà, Ahriman…tu per me sei un fratello, come lo sei per tutti quanti noi! Non morire per soddisfare i capricci di una divinità”.

“Vi sbagliate” rispose il generale, notando che più di qualcuno seguiva la linea di pensiero di Alphos “Se fosse davvero così, allora vorrebbe dire che non abbiamo mai contato niente. Che mai nessuno ci ha ritenuto importanti se non per secondi fini. Siamo stati tutti abbandonati, rifiutati dal mondo. Se è vero ciò che credete, e cioè che Gaia ci vede come dei giocattoli inutili, allora possiamo pure morire sereni perché nessuno verserà lacrime per noi e nessuno mai sentirà la nostra mancanza. Ma non è così. In ogni caso, scenderemo in campo perché, a quanto pare, siamo nati per questo”.

Detto questo, si alzò di scatto e lasciò la sala. Nelle sue stanze, l’armatura che portava in battaglia pareva fissarlo. Con l’elmo che ne celava i capelli ed i lineamenti, lo faceva effettivamente sentire spersonalizzato, reso un oggetto, una pedina. Heon…ricordò di quando erano bambini. Stavano all’orfanotrofio insieme quando Gaia li prese. Anche se la dea non li aveva mai trattati come figli, aveva dato loro un tetto, del cibo, un’istruzione decente, un addestramento adeguato alle loro capacità. Li aveva fatti crescere forti e sicuri di sé, e loro avevano capito quando disprezzabile fosse la razza umana. Loro, benedetti dal sangue di Gaia, portavano fieri sulla schiena le ali che simboleggiavano il patto fatto con lei. Ma ora Heon era morto e fra molti dei feriti serpeggiava il malcontento e la rabbia. Che stava succedendo?

“Ahriman” chiamò la voce di lei.

Il generale si voltò. Gaia era lì, bellissima come sempre. Ma con un’espressione triste. Lui rimase seduto sul letto, piuttosto stanco.

“Avete ordini?” domandò Ahriman.

“No, come potrei chiederti di più?”.

Lei gli andò vicino.

“Gaia…perché avete adottato me e gli altri? È vero che lo avete fatto solo prevedendo questa guerra e che volevate un piccolo esercito da sacrificare?”.

“Posso sedermi?” rispose lei, sempre con lo sguardo triste e dopo un lungo sospiro.

“Prego” si limitò a dire lui, senza guardarla.

“Ary, come ti viene in mente una cosa tanto cattiva su di me? Come puoi pensare che io ti abbia adottato per mandarti a morire?”.

“Perché non combattete con noi come fa Athena? E perché non versate una sola lacrima? Dovremmo essere come dei figli per te!”.

“Lo siete! Anche se i miei veri figli sono altri, voi per me siete tutti speciali. Non vedi come sono triste? E sai perché non combatto? Perché sono la dea della Terra! Non è nelle mie corde! Ma, lo prometto, nel prossimo scontro ci sarò anch’io e li sconfiggeremo. Quei dannati mortali, che ti hanno rifiutato quando eri bambino, la pagheranno”.

Ahriman la guardò. Gli occhi di lei erano lucidi.

“Ora è meglio che ti riposi” aggiunse Gaia, alzandosi “Hai combattuto ma non è ancora finita. E, nel caso te ne dimenticassi, tieni a mente una cosa: io sono tutto ciò che hai. Siete la mia famiglia”.

Una volta uscita dalla camera, Gaia si incamminò lungo il corridoio verde. Sotto il colonnato, incrociò Ponto, uno dei suoi figli biologici.

“Qualche malumore fra le truppe?” sorrise lui.

“Niente di cui preoccuparsi. Ciò che ci preme risolvere è il fatto che quei piccoli stronzi si sono alleati”.

“Di che parli?”.

“Non te l’hanno detto? I figli di Zeus ed i loro amichetti si sono alleati”.

“Non lo sapevo” ammise l’uomo, dai capelli color del mare e lo sguardo profondo come l’oceano.

“Nel prossimo scontro vi voglio tutti. Figli, fratelli, alleati…tutti pronti. Non lascerò nelle mani della progenie di Zeus la vittoria!”.

 

“Ma non ho capito: perché NOI ci dobbiamo trasferire?” brontolò Shaka, spostando un po’ delle sue cose dalla sesta casa.

“Ve lo ripeto” scandì bene Saga, anch’esso con l’essenziale in una scatola “Perché non possiamo stare tutti nel salone di sotto e le case hanno sufficiente spazio per ospitare un dio con il suo seguito”.

“E allora perché non andiamo tutti alla tredicesima?”.

“Perché alla tredicesima ho sistemato Zeus. Gli appartamenti di Athena sono piccoli, non ci stareste tutti, perciò ho preferito spostarvi al posto delle vestali e venire con voi. Notate bene: potrei starmene spaparanzato nei miei alloggi ma non lo faccio, perché voglio fare questo gesto per voi. Perciò non lamentatevi!”.

“E le vestali dove le hai ficcate?”.

“Nella sesta casa”.

“Che cosa?!”.

“Shaka, smettila! Le ho sistemate lì, perché così possono stare nei giardini. Lì non incroceranno i guerrieri che vanno e vengono continuamente e staranno tranquille. E nella casa accanto, la settima, ho alloggiato Artemide e le sue dame. Essendo anche loro tutte vergini, mi auguro non facciate i dementi”.

“E tu? Te la senti di dormire fra noi omaccioni?” ridacchiò Milo.

“Non ti rispondo, perché potrei essere scortese”.

“E nella mia casa chi hai messo?” insistette lo scorpione.

“Ermes”.

“Quello che svolazza, ruba e guarisce?”.

“Esatto”.

“E nella mia?” si unì Mur.

Saga sospirò. D’improvviso, quella sala dove avrebbe dovuto passare molto del suo tempo assieme ai suoi compagni, sembrava troppo piccola. Dopo aver sistemato delle coperte e dei cuscini alla bene e meglio, lasciando che materassi e comodità fossero presi dagli ospiti, stavano sistemando le loro poche cose accanto al posticino dove avrebbero dormito.

“Nella tua casa” rispose Saga “Ho messo Efesto, assieme alla moglie Afrodite. Come attività, siete affini”.

“Bello. Potrebbe insegnarmi qualche trucco!”.

“Prima che me lo chiediate: nella seconda ora c’è Dioniso. Se l’è scelta da solo, dice che è grande e abbastanza vicina all’entrata, così da non perdersi se si sbronza. Nella terza è tornato Arles, Ares, anche se non credo che la occuperà molto perché odia questo posto. Che faccia quel che vuole! Io una casa ai suoi sottoposti gliel’ho data! Alla quarta sta Hades con Persefone. Perché? Presto detto: ha bisogno di un portale per poter parcheggiare 108 specter e farsi le gite nel Meikai. Alla quinta ho messo Apollo. Sa quel che succede se prova a giocare con qualche vergine! Alla nona vivrà Eolo, che come sapete viene chiamato Aiolos quindi immagino abbiate qualcosa in comune. Alla decima c’è Pan, il dio a cui è legata la costellazione del capricorno. L’undicesima, mio caro Camus, sarà la dimora di mio fratello Kanon e della sua sposa, assieme ovviamente ai suoi generali. Infine, alla dodicesima, ho fatto sistemare Demetra. La tredicesima, come detto, è di Zeus”.

“Certi abbinamenti non li ho capiti” si stizzì Milo, più per il commento rivolto a Camus che per altro.

“Ma dovete sempre protestare?!”.

“E tu devi sempre fare l’antipatico?!”.

“Io?!”.

“Ragazzi, che palle!” li zittì Shura “Sono stanco! Piantatela di battibeccare e state zitti! Ho bisogno di dormire! Con tutto rispetto…Athena!”.

“Hai ragione” si calmò Saga “Meglio per tutti se ci facciamo una dormita. Domani è un altro giorno”.

“E di ronda chi c’è?” volle sapere Camus.

“Vari cavalieri di varie divinità. Fra cui un paio dei nostri argento. Rilassatevi”.

La compagnia parve soddisfatta della risposta. Lentamente, si accoccolarono ognuno al proprio posto, cercando di prendere sonno.

“Sapete…” iniziò Aphrodite “…mi ricorda quando eravamo bambini”.

“Oddei, non iniziate a fare i sentimentali o giuro che vi prendo a sberle tutti quanti. E le mie sberle fanno male!” minacciò Shura.

“Cattivo” protestò pesci.

Poi nessuno parlò e si addormentarono. Però Saga non riusciva a chiudere occhio. Rimaneva immobile a fissare il soffitto decorato ad archi e le colonne. D’un tratto, vide Death Mask alzarsi. Non si mosse e non fiatò. Non erano affari suoi quel che faceva il cavaliere nella vita privata.  Sospirò, mentre fuori Kiki riceveva l’ennesima sberla da qualche amazzone con cui tentava approcci espliciti.

 

“Eccomi, scusa il ritardo” salutò Death Mask.

“Credevo non venissi, dopo la battaglia ed il cambio casa” rispose Ariadne.

“Mai saltare un giorno d’allenamento! Stai migliorando”.

“Davvero?”.

“Certo. Avanti, prova ad attaccarmi”.

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Capitolo 10
*** X-allievi ***


X

 

ALLIEVI

 

Saga non aveva raggiunto gli altri a colazione. Era rimasto nella sala dove dormivano. Pettinandosi distrattamente i capelli, guardava il sole filtrare dalla finestra. Sentì la porta aprirsi.

“Era ora che qualcuno di voi scansafatiche venisse a riordinare sto porcile” commentò.

Poi si voltò e vide che ad entrare era stata Hestia. Si scusò immediatamente e lei sorrise divertita.

“Non ti avevo ancora ringraziato per tutto questo. Non era assolutamente necessario farvi scomodare. Potevate far restare me e le vestali qui e voi cavalieri sistemarvi alla sesta casa”.

“Tanto Shaka avrebbe brontolato lo stesso e poi siete nostre ospiti. Non c’è problema”.

“Siete tanto gentili. Guerrieri forti e nobili, come dicono le leggende”.

Un lieve rumore la fece sobbalzare.

“Non è niente” la rassicurò Saga “Non spaventarti per così poco. Sarà il vento”.

“Scusa, hai ragione. È che sono molto tesa ultimamente”.

In realtà il rumore era lo scricchiolio della porta, che Milo aveva iniziato ad aprire. Si era subito fermando, notando chi c’era all’interno della stanza. Ed aveva fatto cenno agli altri cavalieri di stare fermi in silenzio.

“Da quando sei così impiccione?” sussurrò Camus.

“Lo sono sempre stato. Zitti e immobili!”.

“Vedrai che il soggiorno fra i giardini della sesta casa farà rilassare te e le tue sacerdotesse” parlava Saga, e Shaka brontolò.

“È davvero un posto incantevole ma…”.

“La guerra spaventa, questo è ovvio. Ma in quella casa sarete assolutamente al sicuro, tutte quante. A nessuna di voi verrà fatto alcun male e, quando tutto sarà finito, potrete tornare al vostro tempio”.

 “Io sono in pena anche per voi. Quanti di voi guerrieri potrebbero cadere in questa guerra e quanti sono già caduti? Non è giusto”.

“Alcune cose stanno scritte nelle stelle e non ci si può sfuggire”.

“E se veniste uccisi? Chi rimarrebbe a guardia di questo sacro tempio? E se Gaia riuscisse a…”.

“Io non permetterò che accada. Proteggerò questo posto per sempre, così come proteggerò il mondo e…te!”.

Hestia sorrise. Ed abbracciò Saga, mormorando parole di gratitudine. Era spaventata e si notava. Lui si lasciò abbracciare qualche istante ma poi si scostò.

“Hestia…” iniziò.

“Perché non mi chiami Vesta, come fanno tutti?”.

“Perché è come se tu mi chiamassi Minerva. Lo detesterei”.

“Oh, capisco. Allora ti chiamerò sempre Saga”.

“No, ti prego. Non lo fare. Vedimi come Athena, come Athena e basta”.

“Perché?”.

“Hestia, cerca di capire. Anche se una dea si è reincarnata in me, io resto sempre un uomo. E tu una splendida donna che ha giurato di non legarsi mai. Per quanto forte possa essere l’animo di una divinità, parte di me resta umana”.

“Capisco. Mi spiace. Non era mia intenzione arrecarti fastidio”.

“Non mi dai fastidio! È solo che…”.

“Ho capito. Tranquillo. Meglio che vada. Grazie ancora per la dimora che ci hai concesso”.

“Aspetta!”.

La dea salutò ed uscì dalla sala. I cavalieri fuori dalla porta si nascosero nell’ombra e la videro passare. Rientrando, trovarono Saga steso in quello che in quel momento era il suo letto. Nessuno parlò. Ognuno raggiunse il suo giaciglio e finse di non aver né visto né sentito nulla.

“I nostri ospiti erano a far colazione?” domandò Saga.

“Sì. Il salone era strapieno. Nessun problema, però ci dobbiamo abituare alla cosa” rispose Mur.

“Lo posso capire. Ci dobbiamo abituare a tante cose”.

Tornò il silenzio. Milo era agitato. Si notava che fremeva dalla voglia di spettegolare.

“Senti…” inaspettatamente aprì bocca Camus, nonostante i segnali di tacere lanciati dagli altri “…noi abbiamo visto e sentito un po’ troppo, forse”.

“Può capitare. Non voglio parlarne”.

“Posso capirlo. Era per togliere dall’imbarazzo noialtri. Tu sei una divinità e sono più che certo che in poco tempo saprai sfruttare al meglio la freddezza ed il distacco che solo un dio può avere”.

“Mi auguro che…”.

“Ma che stai dicendo?!” non resistette Milo “Spostati, ghiacciolo siberiano! Sei l’ultimo dei presenti che può dare suggerimenti sull’argomento!”.

“Che dici?!” provò a protestare Camus ma lo scorpione non lo fece parlare.

“Qui non si parla di freddezza, logica e distacco, razza di orso polare! Qui si parla di sentimenti, cosa di cui tu non sai molto”.

“Così mi offendi!” di acciglio l’acquario.

“Non è necessario che litighiate per…” tentò di calmarli Saga ma Milo zittì pure lui.

“Ascolta me, Saga! Modestamente, sono un esperto di donne e di tutto ciò che ruota attorno a loro” riprese lo scorpione, con tono altezzoso da grande esperto.

“Non ho alcun problema, Milo. Lasciami in pace” protestò Saga, senza risultato perché il cavaliere proseguì con il suo discorso.

Alla reincarnazione di Athena restavano solo due opzioni: picchiarlo o ascoltarlo. Non volendo menar le mani, rimase in silenzio con le braccia incrociate.

“Si vede dai tuoi occhi, Saga” furono le parole di Milo “I tuoi occhi non mentono ed esprimono chiaramente i tuoi sentimenti. Tu ami quella donna”.

“È Hestia, hai presente?”.

“E con ciò?”.

“L’ha voluta perfino Apollo, e lei l’ha rifiutato”.

“Che c’entra Apollo?!?”.

“Scherzi?” interruppe Aphrodite “Apollo è il più bel dio in circolazione. Basta uno sguardo, e tutte le donne cadono ai suoi piedi. Se si mette a suonare poi…è finita!”.

“E questo cosa ha a che fare con il nostro Saga?!”.

“Niente!” annuì la reincarnazione di Athena.

“Ascoltami! Lei ti piace, e si vede. Purtroppo per te, lei è votata alla verginità. Questo non è bello, lo capisco. Ma non puoi combattere contro i tuoi sentimenti! Non puoi reprimerli, come messer Camus suggerisce. L’amore è come un’ondata di piena. Non puoi controllarla, ti annulla ogni barlume di razionalità ed è inutile resistere. Ti trascina via con la corrente e non sempre lascia qualcosa di bello”.

“Così non mi aiuti” cercò di allontanarsi Saga ma Milo lo bloccò.

“Non puoi scappare! Devi accettare quello che provi. Non sarà facile e…”.

“Senti, ho affrontato la guerra santa! Non saranno i sentimenti a darmi problemi”.

“L’amore dicono sia ben più forte di qualsiasi cosa abbia mai fin’ora affrontato”.

“Stronzate!” tuonò una voce familiare.

Arles, senza alcuna delicatezza, era piombato nella stanza.

“Che fate qui, nullafacenti? Devo ricordarvi io che siamo in mezzo ad una guerra? Non è il caso di allenarvi, invece di stare qui a fare i pigiama party come delle scolarette sceme?”.

“Ma…” protestò Shura.

“Ha ragione” lo zittì Saga “Allenarsi è la cosa migliore”.

“Specie per te” ghignò Arles “Ho visto come combatti. Direi che le tecniche di Athena non ti sono proprio chiare, fratellino”.

“Mettiti nei miei panni! Io disintegravo galassie e mi ritrovo a dover gestire un potere nato per proteggere. L’attacco è qualcosa che non le piace”.

“Bene. Allora è il caso di migliorare”.

“Non sono in vena di farmi fare la predica”.

“Muovi le tue divine chiappe e vieni fuori!”.

“Non darmi ordini!”.

“Sai una cosa? Fai quello che ti pare! Si vede che per te l’adolescenza non è mai finita! Spero che almeno i tuoi cavalieri siano adulti”.

Detto questo, Arles se ne andò. Saga digrignò i denti ma rimase fermo dov’era. Gli altri uscirono, convinti che effettivamente l’allenamento mattutino non aveva mai ucciso nessuno. Solo dopo, Saga si decise a lasciare la stanza, a passo deciso.

 

Death Mask, una volta finito l’allevamento di Ariadne, aveva tentato di rientrare a dormire ma non era riuscito a sgattaiolare come voleva e quindi si era appisolato su un albero e venne svegliato da grida familiari. Sbadigliò, annoiato. Non era ancora mezzogiorno.

“Io non sono un adolescente!” tuonò Saga, tirando una bastonata con lo scettro ad Arles.

“Allora fai l’uomo!”.

“Non sono un uomo! Sono la fottuta dea Athena!”.

“Allora fai la divinità! Credi che a me piaccia stare qui? No, mi fa schifo! Eppure ci sto lo stesso. E lo faccio perché so che è la cosa giusta”.

“Beh, resta al tuo posto e pensa agli affari tuoi!”.

“Sono affari miei se ti fai battere!”.

“Non mi faccio battere!”.

“Adesso basta!” alzò la voce Hestia, rimasta ad ascoltare “Arles! È evidente che c’è un conflitto fra l’animo di Athena e quello di Saga. Nulla che non si possa risolvere. So che possono convivere splendidamente, ma non è usando la forza che gli indicherai la via”.

“Madame” si inchinò Arles “Se lo volete, è tutto vostro. Sarà un allievo eccezionale”.

Ninive, a fianco della sua dea, scosse la testa con rimprovero ma non parlò. Il dio della guerra le passò accanto, senza fermarsi, e Vesta rimase per qualche istante ferma. Non sapeva bene cosa fare ma poi notò lo sguardo triste di Saga e capì.

“Lascia ad Ares la rabbia. Tu sei divinità di guerra, nata già armata di tutto punto. È questo che devi ricordare. Athena, nelle varie reincarnazioni, ha dimenticato forse il suo lato da guerriera e questo è un problema. Ma tu puoi risvegliare questa memoria, Saga!”.

“Athena non vuole questa guerra”.

“Nessuno di noi vuole questa guerra” intervenne Ninive “Non diventare come Ares, il cui unico scopo nella vita è combattere ed uccidere. Athena non è così. Athena salva, prova un fortissimo desiderio di protezione. Difende il mondo, difende noi. È questo che dovrai fare. Proteggere i tuoi guerrieri e donare loro la forza per vincere. E, se si tratterà di attaccare, non tirarsi indietro. Fare tutto per proteggere e salvare. Non hai mai provato il desiderio di voler attaccare pur di impedire che a qualcuno a te caro venisse fatto del male?”.

Saga si girò verso Hestia. Era proprio questo! Lui la vedeva fragile e spaventata. Abituato com’era alle guerriere del tempio, aveva completamente perso la testa per quella creatura desiderosa di protezione. Sorrise, come illuminato da una strana luce nuova.

“Hai capito, ora?” parlò Hestia, prendendogli la mano.

Ninive si allontanò, serena, lasciandoli da soli. Vide Arles esercitarsi con l’enorme spada rossa e nera di Ares e poi proseguì, raggiungendo le sue colleghe vestali.

“Ora hai compreso? Quello che provi quando ti sono accanto, lo devi provare per tutti coloro che confidano in te e in te si rifugiano. Solo così potrai sprigionare a pieno la tua energia”.

Saga chiuse gli occhi. Il suo cosmo, ora fuso con quello di Athena, brillava e scorreva potente come mai prima d’ora e la sensazione era piacevole.

“Se poi…” continuò lei “…lascerai un posto speciale per me, non mi lamenterò”.

“Ma…” riaprì gli occhi Saga “Io credevo…”.

“Si credono a tante cose. Anche di aver capito come vivere il resto della propria vita. Ma non sempre è così”.

Mano nella mano, rimasero poi in silenzio osservando dall’alto la vicina Atene.

 

Arles si esercitava con la spada. Dopo non molto tempo, notò lo sguardo adorante di Shura.

“Cosa c’è?” domandò, ridacchiando.

“Quella spada…” iniziò  il capricorno.

“Sì, cos’ha? Vuoi provarla?”.

Shura tentennò, indeciso sul da farsi, mentre Arles gli porgeva lo spadone. Poi lo afferrò saldamente con due mani. Era pesante, molto più di quanto si aspettasse. Ne ammirò la lama, specchiandosi in essa. Provò poi qualche mossa e la restituì al proprietario.

“Combattiamo!” esclamò.

“Scherzi? Shura…io sono un dio. Non sarebbe uno scontro equo. Se vuoi puoi allenarti con Phobos. Anche lui sa usare molto bene le spade e…”.

“No! La mia Excalibur ha bisogno di essere temprata come si deve e non lo sarà mai con avversari miei pari. Spero tu possa capire”.

“Come vuoi. Se ti senti all’altezza, sappi che io sono Ares e non so cosa sia la pietà!”.

Lo scontro provocò un gran rumore e gli Dei ospiti accorsero, allarmati.

“Ma che fanno?” domandò Artemide.

“Si allenano” rispose Aiolos.

“Ah, bene. Ottima idea. Tu…quello che porti con te è un arco! Perciò credo che dovrai farmi vedere quello che sai fare”.

Aiolos rimase qualche istante fermo, stupito dalla proposta. Poi sorrise, mentre Artemide estraeva una freccia dal feretro.

“E tu, vuoi fare lo stesso?” fu la domanda che Zeus rivolse a Ioria.

Il leone strinse i pugni. Non vedeva l’ora di aumentare il potere dei suoi fulmini! E Zeus era l’unico in grado di insegnarli come fare.

Anche altri guerrieri trovarono negli Dei ospiti dei degni maestri. Efesto spiegò a Mur nuove tecniche per la riparazione delle armature e per il loro potenziamento. Death Mask si ritrovò con Hade fra i piedi. L’intento del dio era potenziarlo ed il cavaliere non era riuscito a sfuggirgli. Demetra trovava affascinante il potere del cavaliere dei Pesci e quindi decise di aiutarlo a migliorare. Kanon, il dio Poseidone, non cercò il suo allievo ma fu lui a raggiungerlo. Camus, consapevole dell’aiuto ricevuto dal dio in battaglia, voleva migliorare. Ermes, svolazzando con i suoi sandali alati, era incuriosito da Milo e lo seguiva. Lo scorpione, capendo che era un ottimo allenamento tentare di colpirlo, ci si divertiva. Inoltre, Ermes governava la medicina ed era sicuro di poter rendere ancora più letale il veleno di quel cavaliere. Shaka guardava il tutto con un certo disprezzo, finché la voce di Apollo non risuonò nella sua mente.

“Il tuo atteggiamento provoca più danni che benefici. Devi migliorare” gli parlò il dio luminoso.

“Come osi?” si stizzì Shaka e Apollo sorrise, sapendo come i mortali fossero deboli se punti nell’orgoglio.

“Io posso renderti più veloce” parlò Eolo ad Aldebaran, posandosi sulla spalla del cavaliere più alto.

Il toro non trovò nulla da ridire ed iniziò l’addestramento.

Dohko, scettico, fissò gli Dei rimasti senza un all’allievo mortale e preferì non commentare.

“Qualcosa non va?” domandò Dioniso e Pan lo appoggiò annuendo.

“Niente. È che non vedo la vostra utilità in questa battaglia”.

Di tutta risposta, Pan iniziò a suonare il suo strumento, stordendo il cavaliere della bilancia che fu riempito di botte da Dioniso.

“Direi che anche tu hai bisogno di migliorare!” commentarono le divinità.

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Capitolo 11
*** XI- contatto ***


XI

 

CONTATTO

 

Era passato del tempo dall’ultimo attacco e ormai molti pensavano che il nemico si fosse dedicato ad altre attività. Quella sera, subito dopo il tramonto, per il tempio echeggiavano canzoni in greco antico. Grazie, o per colpa, di Dioniso. Eccedendo con l’alcol, molte divinità erano piuttosto allegre.

“Credevo non venissi” sorrise Ariadne, vedendo arrivare Death Mask.

Si erano dati appuntamento sulla spiaggia, in un punto isolato fra le rocce, dove nessuno poteva disturbarli o spiarli. In lontananza, le luci della città.

“E perché non avrei dovuto?” domandò lui.

“Oggi Hade ti ha decisamente torturato con l’addestramento e poi c’è la festa. Pensavo preferissi passare il tempo a fare baldoria”.

“Addestrarti è più utile”.

“Sai, maestro…ora so rispondere alla domanda”.

“Quale domanda?”.

“Quella che mi hai fatto tempo fa, riguardo la strada che devo intraprendere. Ora la so. Io non sono una vestale. Sono una sacerdotessa di Athena. Questa è la realtà”.

“Bene, sono felice che finalmente ti sia decisa”.

Lei, di tutta risposta, tolse il velo che le copriva il velo. Scosse i capelli, liberandoli. Erano ramati e ricci. Sorrise, e Death Mask incrociò i bellissimi occhi verdi di lei per la prima volta.

“Sono certa che la mia dea comprenderà. E anche le mie sorelle vestali. Non posso scappare da ciò che sono nata per essere”.

“Ne sei assolutamente certa?”.

“Al cento per cento”.

Il velo lo tenne un po’ fra le mani e poi lo fece portar via dal vento. Rise, vedendolo sparire nella notte.

“Maestro…” parlò, dopo un po’ “Adesso che ho preso queste decisione, posso chiederti un bacio?”.

“Hei! Non sono cose che si chiedono così alla leggera”.

“Perché?”.

“Perché è il tuo primo bacio. Hai aspettato tanto, non voglio che tu lo riceva solo per fare un esperimento. Il primo bacio dev’essere dato per amore”.

“E come si capisce se si è innamorati?”.

“Non è facile da spiegare…”.

“Provaci”.

“Beh…quando ci si innamora…si provano un sacco di nuove sensazioni. Si pensa costantemente ad una persona e si è tristi quando questa non ci sta vicino. Si vuole passare più tempo possibile con lei e non si riesce ad immaginare la propria vita senza e…”.

Death Mask si fermò. Non voleva parlare alla vestale di desideri carnali o di altri dettagli.

“Quindi…io posso chiederti un bacio comunque” sorrise lei.

“Ariadne…”.

“Non ho mai provato una sensazione così. Ed è così bella, che spero non passi mai. Penso a te ogni giorno, ogni ora, ogni secondo e…sì, ne sono certa! Sono innamorata! Però lo capisco. Se non provi anche tu qualcosa per me, non fa niente. Non voglio ricevere un bacio se…”.

Death Mask la interruppe, sfiorandole il viso con le mani e baciandola. Non si era mai sentito così vicino ad una persona, mai così affine con un altro vivente.

Lei abbracciò il suo maestro, una volta che il loro lungo bacio fu finito. Rise.

“Chissà cosa direbbero le mie ex colleghe nel vedermi così. Cosa direbbero le vestali?”.

“Che sei fortunata?”.

Lei rise ancora. Poi ricominciarono a baciarsi, abbracciandosi forte come spaventati di poter essere divisi.

“Maestro…” domandò lei, scostandosi per qualche momento “…tu non vuoi fare l’amore?”.

Death Mask tossì un paio di volte, fissandola con aria interrogativa. Certo che voleva fare l’amore! Lui voleva SEMPRE fare l’amore ma non era il caso, pensava, con la sua allieva.

“Non cercare il risvolto romantico della cosa” sbottò lei “Non parliamo di niente di eterno! La notte è tutta per noi. Scopiamo! Se poi sarà per sempre o solo per questa notte, non fa differenza!”.

Con una rapidità degna di un cavaliere, Ariadne sganciò le due fibbie che ne sorreggevano la veste e mostrò il seno, con aria di sfida.

“Guarda il mio corpo, Death Mask. È quello di una donna, ormai. Freme dal desiderio di essere toccato, esplorato, amato. Non tirarti indietro, perché sento di non resistere più”.

Il cancro rimase spiazzato. Deglutì, non sapendo che dire. Non si aspettava una tale scena da parte di una vergine vestale, anche se molto particolare come era la sua allieva.

“Ary…” cercò di parlare.

Cercò di trovare una ragione valida per trattenersi ma non ne trovò. Lei era bella, l’amava e lo desiderava. Cosa c’era di male? Cosa poteva mai succedere? Di certo Vesta non li avrebbe puniti! La strinse a sé e l’aiutò a togliere del tutto il chitone candido. Lei, con indosso solo dell’intimo molto poco da vestale, lo fissò con curiosità. Come si toglieva un’armatura? Da dove si iniziava?

“C’è il trucco” la capì Death Mask e le mostrò che, con un solo gesto, poteva far sì che l’armatura si togliesse e si ricomponesse poco più in là.

“Bel trucco” annuì lei, con ora davanti il suo maestro con solo i pantaloni.

Lui la baciò ancora e poi la sollevò fra le braccia, scendendo dallo scoglio dove si erano arrampicati per schivare gli schizzi delle onde. Delicatamente, la stese poco più in là, dove la sabbia morbida la accolse. Si fermò a guardarla qualche istante, illuminata dalla luna. Quella pelle candida, che mai si era esposta alla luce diretta del sole, accendeva in lui forti desideri. Il cavaliere, al contrario, era ben abbronzato con solo qualche cicatrice a schiarirlo. Tolse i pochi indumenti che gli erano rimasti e si chinò su di lei. Le tolse i piccoli slip chiedendole quasi il permesso. Notò che lei era un po’ agitata, o forse a disagio. Le diede un piccolo bacio e poi le sorrise.

“Vuoi che vada avanti? Lo vuoi davvero?” le chiese e lei annuì, baciandolo ancora.

“La sabbia mi fa il solletico” ammise Ariadne.

Lui riprese a baciarla, cercando di farla rilassare. Era tesa e se ne stava seduta. Death Mask le passò la lingua sul collo ed iniziò a toccarla, con dita fin troppo esperte. Lei chiuse gli occhi e si stese.

“Puoi fermarmi in qualsiasi momento” le sussurrò il cancro “Se vuoi che smetta, dillo”.

Lei non parlò. Desiderava quell’uomo come non aveva mai desiderato qualcosa in vita sua e il modo in cui lui la toccava faceva aumentare sempre più quella voglia. Ora non aveva paura. Nessun ripensamento. Solo pazza eccitazione.

Lui sentiva quel desiderio. Cercò di essere delicato, ricordando che lei era alla prima esperienza. Entrò in lei piano e Ariadne sussultò provando un leggero fastidio.

“Ti ho fatto male?” domandò subito lui.

“Un po’. Ma non preoccuparti. Va avanti”.

Lui le diede ancora un bacio e poi iniziò piano l’antica danza del sesso con lei. Ariadne, non molto esperta, non sapeva bene che cosa fare ma, da quel che notava, Death Mask lo sapeva benissimo anche per lei! Quanto le piaceva quella sensazione! Del tutto nuova, solo immaginata e mai vissuta, la travolse e la sorprese. Death Mask accelerò e lei inarcò la schiena.

“Ariadne!” sussurrò lui.

“Death Mask!” gemette lei.

“Grida il mio nome. Il mio vero nome” continuò lui, accostando la bocca all’orecchio di lei. “Grida!” le disse, poi mormorandole come si chiamasse in realtà.

Lei spalancò gli occhi, sentendolo, e urlò di piacere.

 

Le prime luci dell’alba, colsero i vari cavalieri di sorpresa. C’era chi aveva fatto festa e si era addormentato dove gli era capitato, chi non si era accorto del tempo che passava e chi sperava di poltrire ancora un po’. Death Mask ed Ariadne, abbracciati, si svegliarono quando la marea si alzò. Il mare, accarezzando i piedi dei due, diede il buongiorno.

“È tardi. Saranno in pensiero per noi al tempio” si alzò lei.

Con le vesti umide a causa delle onde che si infrangevano fra gli scogli, si rivestì alla bene e meglio. Death Mask pareva sempre uguale, salvo i capelli un po’ più spettinati.

“Cerchiamo di non dare troppo nell’occhio” le fece l’occhiolino, cercando di riordinarle i ricci.

Ridacchiarono ma ben presto la loro allegria terminò. Solo loro erano in grado di vedere quei guerrieri alati, perciò non si stupirono nel notare che nessuno in città ci fece caso.

“Ci attaccano!” esclamò Death Mask “Presto! Dobbiamo raggiungere il tempio!”.

Correvano in fretta, mentre in cielo apparivano sempre più ali. Stavolta, però, alle loro spalle figuravano delle creature dalla forza spaventosa, che andava ben oltre quella dei Titani.

“Chi sono quelli?” domandò Ariadne.

“I figli del Kaos e la loro progenie” spiegò Death Mask, schivando con un salto una signora che passava con il cesto del pane.

“Corri, Ary!” aggiunse.

I soldati avevano oscurato il cielo del grande tempio. I corni di guerra di Ares si udirono chiaramente. Era il segnale che la battaglia aveva inizio.

 

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Capitolo 12
*** XII- eserciti ***


XII

 

ESERCITI

 

Ahriman si ergeva fiero fra le sue truppe. L’armatura verde cupo, con riccioli più chiari, brillava. Spalancò le ali, mostrando che anch’esse avevano una parte coperta dalle vestigia. Abbassò la visiera dell’elmo, fatto a spuntoni che si rivoltavano all’indietro. Sulle spalle, un mantello scuro. Davanti a sé, l’esercito di guerrieri alati ed i resuscitati Titani. Alle spalle, i figli e la progenie del Kaos. Gaia, come promesso, era presente. Però era parecchio indietro. Un’osservatrice silenziosa. Il generale Ahriman gridò.

“Non abbiate pietà. Seguite lo schema!” furono le sue parole.

Era in terra, fra i guerrieri semplici. Segno che era pronto allo scontro diretto.

“Combatte pure lui” notò Arles e lanciò anch’esso gli ordini alle sue truppe.

I primi a colpire furono i guerrieri alati, sbattendo le ali di colpo e facendo partire una raffica di proiettili di luce. Death Mask lo notò e parò. Ariadne era alle sue spalle. Doveva portarla al sicuro! Ma lei non aveva alcuna voglia di nascondersi. Alla seconda raffica, reagì d’istinto mettendo le mani davanti a sé e le luci svanirono, risucchiate da una sorta di vortice violaceo.

“Ma che…” si stupì il cancro, mentre attorno alla giovane si creava una luce d’oro.

Ariadne chiuse gli occhi e ,quando li riaprì, indossava la sacra armatura d’oro dei gemelli. La prima cosa che fece, fu togliere la maschera che le copriva il viso, dettaglio che avevano tutte le armature femminili del tempio. Poi sorrise.

“Galaxian Explosion!” urlò, abbattendo un sacco di alati con la forza di quel colpo.

“La Galaxian?” si stupì Saga “Ma allora abbiamo anche il cavaliere dei gemelli!”.

“E quella chi è?” si chiese più di qualcuno, osservando Ariadne mentre spediva in dimensioni misteriose tutti i nemici che le capitavano sotto mano.

“Non distraetevi!” li rimproverò Arles “Non è un gioco!”.

Erebo, immenso dio oscuro, avvolse la battaglia nell’oscurità del suo potere.

“Io sconfiggerò le tenebre!” scandì Shaka, con alle spalle Apollo.

Concentrandosi, espanse il suo cosmo a forma di loto. Luminoso, avvolgente e portatore di una pace assoluta, si scontrò con il buio. Creando scintille, la battaglia fra i due tinse il cielo.

“Ma quante volte dobbiamo ucciderli ‘sti qua?” protestò Shura, notando i Titani.

Questa volta, però, la sua spada si mostrò molto più forte e con un solo colpo abbatté uno degli avversari. Stessa cosa fece Ioria, grazie al fulmine potenziato da Zeus. Camus diede il ben servito a Oceano e Teti in un attimo e poi guardò il dio del mare. Ponto, personificazione di tutte le acque, li stava chiaramente sfidando.

“Ti infilzerò con il mio tridente e ti userò come bandiera!” ghignò Kanon.

Camus, non abituato a certi eccessi d’entusiasmo, non parlò ma serrò i pugni.

Anche gli altri cavalieri stavano eliminando i Titani con relativa facilità. Ma sapevano che era solo il primo squadrone. Saga, concentrando tutto il suo potere e trafiggendo Krono con un raggio di luce, guardò versò la valle. Hypnos e Thanatos combattevano fianco a fianco, accanto al loro signore Hade. La reincarnazione di Athena sì stupì. Quelle due divinità, figlie della dea Notte, moglie di Erebo, combattevano contro la loro stessa famiglia. Evidentemente avevano preferito rimanere fedeli ad Hade, sterminando le astrazioni, che erano loro fratelli. Notte si infuriò per questo, accusando i gemelli di tradimento. Ma i due non retrocedettero di un solo passo, pur non trovando il coraggio di colpire la loro stessa madre.

Le furie trovarono nelle amazzoni degne avversarie. Arles ne osservò per un po’ i movimenti ma poi si dedicò ad altro. Sapeva che le sue amazzoni non avrebbero lasciato scampo alle loro avversarie. Artemide, trovandosi di fronte Etere ed Emera, non esitò un solo istante. Aiutata da Aiolos, iniziò il suo scontro lanciando frecce sacre. Aldebaran fu ostacolato da Tifone, figlio di Tartaro e Gaia. Era un mostro enorme ma il toro non si fece intimorire nemmeno per un istante, aiutato dalla potenza di Eolo. Molti guerrieri si ritrovarono contro i giganti, creature enormi che parevano non provare dolore. Tartaro, il signore del sottosuolo, entrò in campo con un potente terremoto. Dohko, seguito da Pan e Dioniso, sapeva che lo doveva fermare, o quell’essere avrebbe raso al suolo ogni cosa. Arles voleva Gaia. Saga pareva pensare la stessa cosa, perché guardava in su, verso la donna sospesa nel cielo. Ma i guerrieri alati la protessero, creando attorno a lei una barriera formata dai loro corpi.

“Morirete con lei, allora!” esclamò Arles.

“Non ti avvicinerai!” esclamò Ahriman.

Arles si accigliò. Quel fastidioso ragazzino gli dava sui nervi!

“Benissimo!” gli rispose “Fatti sotto!”.

L’armatura nera e rossa di Ares brillava e grondava del sangue versato dai nemici abbattuti. L’alto pennacchio scarlatto dell’elmo si ergeva al di sopra degli eserciti. Con la spada stretta in una mano, sfidò Ahriman lanciando il suo grido di guerra. Ahriman, di tutta risposta, lanciò pure lui un urlo terrificante. I due cosmi si scontrarono ed il loro attrito provocò un frastuono simile ad un tuono. Arles corse, veloce come solo un dio poteva fare, e raggiunse il generale. Spezzò la sua guardia con la spada, sollevandolo da terra. Con un battito d’ali, Ahriman riprese il controllo e ringhiò. Il dio della guerra ghignò. Sperava di distrarre quella creatura a sufficienza da permettere a Saga di colpire Gaia.

“Non morire troppo presto” disse.

“Non sottovalutarmi, divinità indegna!” rispose Ahriman, scendendo in picchiata verso il suo avversario.

Arles parò non la spada e si stupì di quanta forza riuscisse a sprigionare quel mortale. Rapido, contrattaccò e colpì il generale alla spalla. L’armatura verde si sgretolò in quel punto, non resistendo alla potenza del dio della guerra. Ahriman non si perse d’animo e rispose subito, con un colpo provocato dal movimento delle ali. Ares si scansò ed un piccolo taglio gli si formò sulla guancia. Vedendo il proprio sangue, perse il controllo e colpì ripetutamente e duramente il generale, che venne di nuovo sbalzato all’indietro. Questa volta, non riuscì a reagire abbastanza in fretta e cadde in malo modo sulla schiena, a pochi passi da Kanon e Camus.

Il dio dei mari e il cavaliere dell’acquario mostravano tutta la loro forza contro Ponto. Con solo l’imposizione delle mani, Kanon produceva un frastuono ed un contraccolpo che mettevano in difficoltà l’avversario.

“Ma guarda un po’…” ridacchiò, notando Ahriman “Piovono generali!”.

Il guerriero di Gaia si rialzò e gemette. La caduta ne aveva danneggiato le ali. Guardò in su. Saga si stava aprendo un varco fra gli alati, tentando di raggiungere Gaia.

“No!” gridò Ahriman, cercando di volare per aiutarla.

Con un ala spezzata, però, arrancò con fatica e con facilità Arles lo afferrò, sbattendolo violentemente in terra.

“Levati dai coglioni!” sbottò il generale.

Stava perdendo il controllo. Con l’ultimo colpo, gli si era sfilato l’elmo ed ora guardava con occhi circondati di rosso il suo avversario. Arles osservò qualche istante quello sguardo quasi familiare e si preparò ad affrontare l’attacco del nemico.

Saga era stanco di saltellare per raggiungere gli alati. Con il raggio prodotto dallo scettro, ne abbatté un nutrito gruppetto. Poi chiuse gli occhi per qualche istante. Aveva bisogno della sua armatura! Ma non sapeva come indossarla! Parando il contrattacco con lo scudo, alzò lo scettro al cielo. E con un balzo spiccò il volo. Le ali dell’armatura della dea lo stavano supportando in quell’impresa. Riuscì a colpire Gaia, anche se solo di striscio. Gli altri guerrieri osservavano quella scena, combattendo. La sconfitta di Gaia significa la sconfitta del capo delle forze nemiche.

“Gaia!” gridò Ahriman.

Stava richiamando a sé tutte le energie possibili, incurante di ciò che questo significasse per il suo corpo mortale. Lanciando un altro urlo, bruciò oltre il suo limite la sua forza. Ares, stupito da una tale manifestazione di potenza, capì che doveva fare altrettanto, se non voleva rischiare. Il cosmo rosso del dio della guerra avvolse l’atmosfera come una nebbia di sangue.

“Morirai!” parlò Ahriman, con quel tono basso ed inquietante che aveva quando non aveva controllo.

“Non credo proprio!” rispose Arles, con lo stesso tono.

I cosmi dei due, caricati al massimo, vennero richiamati dai loro padroni e scagliati contro l’avversario. Travolti l’uno dalla potenza dell’altro, chiusero gli occhi non potendo fare altro. Molti degli Dei rimasero spiazzati da una tale manifestazione di energia da parte del generale. Un semplice mortale era quasi in grado di tenere testa ad un dio! Ares stesso non se l’aspettava ma, com’era prevedibile, il suo cosmo iniziò a respingere e distruggere quello di Ahriman. Il generale cadde in terra, ferito in più punti. Guardò in alto e vide Gaia. La dea si stava ritirando, assieme agli alleati in grado di seguirla.

“Gaia!” la chiamò il generale.

Lei continuò per la sua strada.

“Madre Gaia! Aiutatemi!” gridò ancora Ahriman, arrancando nel tentativo di rialzarsi.

Gaia si voltò. Guardò negli occhi il suo sottoposto per qualche istante, senza apprensione alcuna sul viso. Lui sperava che mandasse qualcuno a portarlo via dal nemico che lo circondava. Ma lei tornò a voltarsi e sparì fra le nubi in cielo.

“Gaia…” gemette lui, con la voce carica di sconforto.

“Hai espresso l’ultimo desiderio?” domandò Arles, puntando la spada alla gola dell’avversario.

Ora che la battaglia era finita, i guerrieri di Athena ed i loro alleati si erano radunati attorno a colui che consideravano una minaccia e l’assassino di molti dei loro colleghi.

Ahriman sollevò il capo. Un rivolo di sangue gli colava dalla bocca. Con sguardo spento, assente, rimase immobile qualche istante, quasi con sfida. Poi, sfinito, riabbassò la testa. Questo movimento, fece sì che un piccolo ciondolo si liberasse dall’armatura e si mostrasse alla luce del giorno.

“Fai quel che devi” furono le parole del generale, pronto a morire.

Arles sollevò la spada, deciso a decapitarlo, ma qualcuno gridò fra i guerrieri.

“No!” si sentì fra la folla.

Ariadne, con l’armatura dei gemelli ancora indosso, fermò la mano di Arles.

“Ti prego, aspetta” gli domandò.

“Cosa?” sbottò il dio e si sentì mormorare fra la folla.

“Chi ti ha dato quel ciondolo? Dove lo hai preso?” chiese lei al generale.

“Lo vuoi? Te lo puoi prendere, donna. Fra poco non avrò alcun collo attorno cui agganciarlo” ghignò Ahriman, quasi con disprezzo.

“Dove lo hai preso?” insistette Ariadne.

“Ma che importanza ha?”.

“Dimmi dove lo hai preso!”.

“Ce l’ho sempre avuto! Sei contenta, adesso? Fammi morire in pace”.

“L’hai sempre avuto?”.

“Sì, sei pure sorda? Fin da bambino. Che importanza ha?”.

Ariadne si mise una mano attorno al collo e, dopo pochi attimi, fra le dita mostrava un ciondolo identico, sorretto da una sottile catenina. Era una medaglietta con sopra inciso il nome “Ary”.

“A quanto pare frequentavamo la stessa bottega orafa” storse il naso il generale.

“Questo ciondolo lo ha fatto fare mia madre quando sono nata. E ne ha dato uno uguale…a mio fratello!”.

“Io non ho sorelle”.

“Io ho un gemello. Mamma ha voluto che avessimo questi ciondoli come segno. Sperava che in futuro ci potessimo rincontrare ed è successo”.

“Ma che cosa stai…” iniziò a parlare lui ma il dolore che provava per le ferite era grande.

Lottò per non cedere ma non ci riuscì. Sputò sangue e perse i sensi. Ariadne gli si avvicinò, nonostante tutti gli altri presenti non apprezzassero un gesto del genere.

“Ariadne!” chiamò Ninive, facendosi largo fra la folla.

Quando la vide, con l’armatura d’oro addosso e le mani poggiate sul nemico, rimase per qualche istante sconcertata e spaventata.

“Ariadne!” gridò “Ma tu…”

“Ariadne! Togliti da lì!” si aggiunse Death Mask “Quell’uomo è pericoloso!”.

“Perché indossi un’armatura d’oro?” balbettò Ninive.

“Posso spiegare. Ma vieni qui, per favore. Avvicinati”.

“Voglio una spiegazione ora, Ary! Come hai potuto farmi questo?”.

“Farti cosa?! Ho solo seguito la mia strada!”.

“Sciocchezze! Hai messo a repentaglio la tua vita!”.

“Non è di questo che dobbiamo parlare ora, mamma!”.

“Mamma?!” esclamarono, in coro, Death Mask e Saga.

“Mamma! Avvicinati! Guarda! L’ho ritrovato! Ha la collana…”.

“Quale collana?” parlò, confusa, Ninive.

“Quella uguale alla mia! Oh, mamma…è Ary! È lui! Mio fratello”.

“Ary? Il mio piccolo?”.

“Sì, mamma. È lui!”.

Arles e Death Mask si fissarono. Il mormorio fra la folla si faceva più forte. Erano tutti sfiniti e feriti.

“Tentate di curarlo” ordinò Zeus, mosso da pietà grazie allo sguardo supplicante di Apollo “Se riuscirà a vivere, saprà darci un sacco di informazioni. E spiegazioni”.

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Capitolo 13
*** XIII- fratelli ***


XIII

 

FRATELLI

 

La polvere della battaglia stava lentamente svanendo. Tutti coloro che non avevano subito ferite importanti davano una mano per sistemare i numerosi danni al santuario. Hestia e le sue vestali si erano offerte come supporto e cura dei malati. La dea camminava sicura e nessuno poté fare a meno di notarla. Per la prima volta la vedevano senza il velo che le copriva il viso. Dietro di lei, Saga la seguiva per controllare la situazione generale. Kanon sorrise. Il fratello aveva il braccio sinistro bendato proprio con il velo della dea. Il fatto che Hestia avesse compiuto un gesto simile, significava molto.

“Come stai, gemellino?” domandò Saga, vedendo Kanon.

“Qualche botta. Nulla di irreparabile. E tu?” rispose il dio del mare.

“Il mio braccio sinistro si è beccato qualche colpo di troppo. Quel dannato scudo pesa una tonnellata!”.

“Cosa pensi di fare con il prigioniero?”.

“Il generale Ahriman? Intanto vediamo come procede la cosa. Non ha ancora ripreso i sensi. Il suo animo è molto debole ed ha riportato danni ingenti in battaglia”.

“Si è ritrovato davanti Arles, mica la nonnina di turno! Mi stupisco che sia vivo…”.

“Lo hanno fermato. Altrimenti non avrebbe avuto alcuna pietà”.

“Lui è Ares, ricordatelo. Ma perché dici che è debole nell’animo?”.

“Non reagisce. Per guarire, dovrebbe almeno tentare di…”.

“Capito. Ma se si risveglierà, cosa succederà?”.

“Non lo so. Vedremo quel che avrà intenzione di fare. Se vorrà di nuovo attaccarci, la sua fine sarà inevitabile. Specie sapendo che Gaia starà di certo ricomponendo il suo esercito. Non ci serve un nemico fra le mura! Ma il fatto che sia figlio di Ninive, complica le cose!”.

“Non avevo idea che avesse dei figli! Poi…a quanti anni li ha avuti?”.

“Non fare il pettegolo, Kanon! E dammi una mano a riordinare questo porcile!”.

 

“Mi piace che la figlia di Ninive sia una di noi!” commentò Milo, vedendola rientrare al tempio.

“Ed io sono felice di essere uno dei vostri. Però ora, scusate, ho proprio bisogno di fare un bagno!” sorrise Ariadne, cercando Death Mask con lo sguardo.

Il cavaliere del cancro non era fra i presenti perché si stava sorbendo la predica di Ninive.

“Come ti sei permesso?” gli stava urlando.

“L’ho solo resa ciò che è nata per essere: una guerriera! Una sacerdotessa d’oro!” ribatteva lui.

“Lei è la mia bambina!”.

“L’hai tenuta rinchiusa tutta la vita come vestale. Era giusto che desiderasse di più”.

“Lei è tutto quello che ho! Senza lei…io sono sola!”.

“Questo non è vero”.

“Secondo te io come mi sento? Mia figlia è diventata l’ultima cosa che volevo diventasse e mio figlio, che non vedevo dal giorno della nascita, è in punto di morte!”.

“Perché non vai da lui, invece di fare la predica a me e ad Ariadne?!”.

“Tu non ne avevi il diritto!”.

“Ma io…”.

“Calmati, Death Mask” furono le parole di Mur, che si era avvicinato incuriosito dal tono della conversazione.

“Non dirmi di calmarti, caprone!” ringhiò il cancro.

“Cerca di comprendere questa donna. Pur non essendo padre, la capisco benissimo. Quando siamo morti, dieci anni fa, il mio fratello minore era solo un bambino. Ora Kiki ha diciassette anni e sento di averlo perduto. Ed è una sensazione angosciante. Pensa a come debba sentirsi Ninive, che in poco tempo si è accorta di avere un figlio fra le schiere nemiche ed una figlia che ora è una di noi, non più una fanciulla che le rimane sempre accanto fra le vestali”.

“Grazie, Mur. Hai descritto perfettamente il quadro della situazione” annuì Ninive, rattristandosi.

Era vero. Si sentiva priva di punti di riferimento ed era spaventata. La guerra non era ancora finita e non capiva più come reagire al succedersi di certi eventi.

 

“Come sta?” domandò Arles ad Hermes, riferendosi al generale Ahriman.

Hermes, che si stava occupando dei feriti più gravi, si stupì di quella domanda.

“Perché lo vuoi sapere?” domandò.

“Beh…è un ottimo combattente. Merita il mio rispetto”.

“Allora ti rispondo dicendoti che ha subito gravi danni, come immagino tu sappia. Le ferite si stanno rimarginando. Mi preoccupano un po’ le ali, che pare siano lesionate profondamente. Per il resto…dovrebbe svegliarsi ma non lo fa”.

“E come mai?”.

“Non lo so. Però ho trovato una strana ferita sul suo petto”.

“Strana?!”.

“Sì, come un morso”.

“Forse in battaglia qualche bestia…”.

“No, non è recente. Non capisco cosa sia. Quella non guarisce. Inoltre, spesso gli si alza la febbre”.

“A cosa credi sia dovuto?”.

“Non ne ho davvero idea. Sto facendo il possibile”.

“Ne sono certo. Avvisami, se si riprende”.

 

Ariadne stava abbracciata a Death Mask. Nel loro solito angolino appartato della spiaggia, appena finito di fare l’amore, guardavano insieme le stelle. Erano trascorsi dai mesi dalla battaglia, e quasi nulla pareva cambiato. Ninive si era ritirata fra le stanze riservate alle vestali e non ne usciva mai. Ahriman ancora rimaneva privo di sensi e tutti gli altri, Dei e soldati, avevano ripreso gli allenamenti.

“Death…” mormorò Ariadne, non chiamandolo quasi mai con il vero nome.

“Dimmi, mia amazzone” rispose lui.

“Mi accompagneresti da Saga?”.

“A fare cosa?”.

“Lui è il capo. Devo chiedergli il permesso di vedere mio fratello”.

“Il generale?! Ma è pericoloso!”.

“Pericoloso? No, non lo è. È ferito e probabilmente ancora in coma”.

“Potrebbe risvegliarsi di colpo! E se ti facesse del male? Ti ricordo che ha tenuto testa ad Ares!”.

“Lo so! Per questo vorrei che tu mi accompagnassi. Fammi da guardia del corpo!”.

Death Mask la guardò un po’ male. Non ne aveva alcuna voglia. Ma a quello sguardo dolce non riusciva a resisterle. Poteva fargli fare qualsiasi cosa! Sospirò. Doveva proprio andare da Saga.

 

“È permesso?” domandò timidamente Ariadne, sbirciando nella sala dove si riposavano i cavalieri d’oro.

In quel momento, c’erano solo Saga ed Hestia. La dea stava controllando la ferita di lui e, quando sentì bussare, si sentì quasi in imbarazzo.

“Oh, finalmente!” sorrise Saga “Il cavaliere dei gemelli! Lieto di poterti parlare”.

“Scusate se fin ora non mi sono presentata” si scusò Ariadne, inchinandosi.

“La situazione non è stata delle più facili, ultimamente. Sei giustificata. Che posso fare per te?”.

“Sono venuta a chiedere il permesso di vedere mio fratello, il generale nemico Ahriman”.

“Non mi pare una buona idea”.

“Voglio solo vederlo. Niente di più”.

“Non so se ha aperto gli occhi”.

“Non importa. Voglio solo salutarlo. Potrebbe anche morire, ed io solo ora l’ho compreso ed ho avuto il coraggio di venire qui a…”.

“Comprendo il legame che si crea fra gemelli, anche se non siete cresciuti assieme. Tuttavia, non mi sento sicuro a lasciarti da sola con lui”.

“Ci sarà Death Mask con me” lo indicò lei, sulla porta “E poi ci saranno le guardie poste a sorveglianza del generale. Non sarò sola. Se ci sarà qualche problema, me ne andrò immediatamente”.

Saga rimase in silenzio, pensieroso. Hestia ne sfiorò la spalla, dolcemente.

“Lasciala andare” parlò la dea “Se quel ragazzo dovesse morire, rimpiangerà tutta la vita di non averlo nemmeno salutato”.

“E va bene!” sospirò Saga “Ma spero che Death Mask non ti perda mai di vista”.

“Non succederà” si affrettò a dire il cancro e Saga gli sorrise in modo strano.

 

Davanti alla stanza dove il generale era in cura, stavano alcune guardie armate. Era piccola, con una finestra di dimensioni tali da rendere impossibile la fuga da lì. La camera era di colore chiaro, con ampi archi in pietra. Il letto, a ridosso della finestra, era semplice e povero. Essenziale. Tutt’attorno, i sigilli di Athena ad impedire al nemico l’eventuale ribellione. Hermes fece entrare Death Mask e Ariadne, spiegando loro che il ferito non dava segno di volersi risvegliare. La portatrice dell’armatura dei gemelli si avvicinò cauta al letto. Il generale stava steso, con addosso una veste leggera e la collana.

“Non ha mai dato alcun cenno di risveglio?” domandò Ariadne e Hermes scosse la testa.

Lei sedette su un piccolo sgabello che il dio guaritore usava quando medicava il giovane. Guardando il ciondolo uguale al suo, abbassò gli occhi ed iniziò a cantare. La sua voce, bella come quella della madre, riecheggiò limpida per i corridoi. Era triste, perché sapeva che altre battaglie l’attendevano e perché soffriva nel vedere il gemello così. Hermes e Death Mask ascoltarono in silenzio quella specie di requiem senza riuscire a fare altro. Ahriman gemette, prima reazione dopo tanto tempo. Lei non lo notò e continuò a cantare, ad occhi chiusi.

“Ariadne…” si allarmò Death Mask.

Lei riaprì gli occhi e sobbalzò. Ahriman la guardava, con grandi occhi smeraldo. Gli stessi che aveva lei.

“Ciao” lo salutò.

“Ciao” mormorò lui “Ti conosco?”.

“Certo! Non ricordi?” sorrise lei, mostrandogli la collana che avevano in comune.

“Pensavo fosse tutto un sogno” ammise lui.

“No, non lo è”.

“Dove sono?”.

“Al tempio di Athena. Ti abbiamo curato. Sei rimasto privo di sensi per mesi”.

Ahriman distolse lo sguardo. Ora ricordava quella battaglia. E la sua mente andò con il pensiero a Gaia.

“Perché mi avete salvato?” domandò, poi.

“Perché noi non siamo quel genere di persone”.

“Ares pare di sì”.

“Lui è il dio della guerra. È normale che voglia sterminare i suoi nemici”.

“Sperate che io combatta contro Gaia? Non succederà mai!”.

“Non parliamo di guerra, adesso! Io sono qui per parlare con te. Mi pare che ne abbiamo di argomenti da affrontare io e te, non trovi?”.

“Forse hai ragione. Sei veramente mia sorella?”.

“Sì”.

“Non ci somigliamo molto”.

“Oh, ma dai! Guardati! Hai i miei occhi! Ed il mio ghigno”.

Ahriman ridacchiò, nello stesso modo di Ariadne.

“Ok, allora parlami di te. Come ti chiami?”.

“Hai ragione, scusa! Io sono Ariadne. E tu so già che sei Ahriman”.

“Sono famoso!”.

“Più di quanto pensi. Allora…parlami di te. Come è stata la tua vita?”.

“Prima che te ne parli, dimmi: come si chiama lei?”.

“Lei?”.

“Nostra madre. Lo sai?”.

“Sì, lo so. Sono cresciuta con lei”.

Quelle parole parvero far male ad Ahriman e lei lo notò.

“Mamma si chiama Ninive. Ed è una vestale”.

“E nostro padre?”.

“Lei non ne parla mai. Ho provato tante volte a chiedere, almeno il suo nome. Io credo che…le abbia fatto del male, capisci? Che non sia stato un qualcosa di voluto”.

“Uno stupro, intendi?”.

“Sì. Lei era praticamente una bambina. Aveva quindici anni. È stata accolta al tempio delle vestali poco prima che nascessimo. Purtroppo, al tempio della dea vergine non possono vivere maschi, anche se sono solo dei neonati. E quindi mamma ti ha dovuto affidare ad un orfanotrofio”.

“Non poteva lasciar perdere la dea vergine e crescerci assieme?”.

“Era piccola, Ahriman. Non sarebbe mai stata in grado di crescerci. Mi ha raccontato questa storia tante volte e, credimi, ogni volta è scoppiata in lacrime”.

“Ed io che dovrei fare? Mi ha lasciato in quel orrendo posto dove non riuscivo mai a sorridere. E per questo non sono mai stato adottato. Fino a quando è arrivata Gaia. Che ora ho capito definitivamente che mi ha scelto solo perché le serviva un esercito”.

“Capisco che tu abbia sofferto”.

Arles, avvisato che il generale si era svegliato, aveva raggiunto la camera.

“Vedo che sei sveglio” disse.

Ahriman lo riconobbe e si mise a sedere, con una certa fatica.

“Sei venuto a finirmi?” chiese il generale.

“Non infierisco sui feriti, non mi diverte. Come va la spalla?”.

“Fa un male cane, grazie”.

“Prego. Ma ho interrotto una conversazione importante. Scusatemi. Me ne vado subito”.

“Oh, no! Resta!” parlò Ariadne “Tu conoscevi la mamma quando era al santuario! Parlaci di lei in quegli anni, per favore! Aiutalo a sapere qualcosa di più”.

“Sì, è vero. La conoscevo. Però…ragazzo! Le tue ali sono danneggiate! Dovresti spiegarle in modo da non farle sforzare ulteriormente”.

“Non accetto consigli a riguardo da parte di un aptero, mi spiace” sbottò Ahriman.

“Come vuoi! Ad ogni modo sì, conoscevo vostra madre quando stava qui al tempio”.

“Era una guerriera di Athena?” chiese il generale.

“Sì, ed era molto brava. Avete preso da lei, si vede! Siete entrambi dei combattenti formidabili”.

“E come mai è andata via dal tempio?”.

“Non l’ho mai saputo. Ricordo che al tempo c’erano un sacco di bambini e ragazzini al tempio, e noi ci sentivamo tanto grandi. Non lo eravamo per niente! Ma dovevamo esserlo, perché non avevamo alternativa. Orfani, l’unica cosa che potevamo fare era combattere. Quando poi calava la sera, lei cantava per far dormire i piccoli e per lenire le sofferenze dei più grandi”.

“Ma non vi ha dato spiegazioni?”.

“No. È andata via e basta. Ci è mancata. Per le canzoni e per le botte che ci dava. Ma credo che dovreste parlare con lei, per sciogliere certi nodi”.

“Anche Ariadne canta bene.  L’ho sentita”.

Lei sorrise, arrossendo.

“Merito del nonno!” ammise “Mamma è figlia di Apollo. È stato lui ad insegnarmi tutto!”.

“Ah!” si stupì Arles “Apollo è suo padre! Da come si abbracciavano e sbaciucchiavano pensavo che…”.

“Ma che pensieri fai! È una vestale!” la rimproverò Ariadne.

“Scusate!”.

I tre si sorrisero, anche se Ahriman poi storse il naso in una smorfia di dolore. E poco dopo sobbalzarono, perché Ninive era entrata in stanza sbattendo la porta.

“Stai lontano da quell’uomo!” esclamò la vestale, rivolta alla figlia ed indicando Arles.

“Come?! Mamma…stai bene?”.

“Stai lontano da lui. Il suo cuore è di pietra. Non farti fare del male” insistette lei.

Arles la guardò con aria interrogativa. Ninive si avvicinò alla figlia ed iniziò a tirarla per un braccio.

“Ma che vuoi?” sbottò la guerriera in oro.

“Fidati di me! Non lasciare che la sua megalomania coinvolga anche te!”.

“Ma di che parli?!” iniziò ad innervosirsi Arles.

“La tua megalomania, Arles! Ti ha portato fino al punto di farti divenire un dio. Sei soddisfatto adesso? O cerchi ancora qualcosa di più?”.

“Io non so di che cazzo parli!”.

“Tu lo sai benissimo”.

“No, non lo so. E se non me lo spieghi, non lo posso capire. Parla, o vedi di finirla! Ricorda che son comunque Ares, e se mi girano i coglioni divento pericoloso”.

Ninive rimase in silenzio qualche istante. Poi guardò i suoi figli.

“Visto che siete qui…” iniziò “Immagino sia giusto che sappiate alcune cose”.

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Capitolo 14
*** XIV- 1973 ***


XIV

 

1973

 

Arles era abbastanza agitato. Con l’elmo rosso sul capo e la maschera blu a coprirgli il viso,si sentiva ancora a disagio. Doveva abituarsi all’idea di essere gran sacerdote. Allo specchio, vedeva Saga in lacrime e la sua voce gli martellava il cervello.

“Stai zitto” gli ordinò Arles, distogliendo lo sguardo.

“Perché fai questo?” domandava Saga.

“Perché è la cosa giusta. Ora taci!”.

Sedette sul trono e respirò a fondo. Fin ora stava andando tutto bene e voleva continuasse così. Era notte ormai. Forse poteva ritirarsi ed andare a riposare. Si alzò e quasi inciampò. Quella dannata veste era una tortura! Per non parlare della maschera.

“Toc, toc!” parlò una voce femminile, con una risatina.

“Chi c’è?” domandò Arles.

“Ma buonasera, gran sacerdote! Posso abbracciarti?”.

Lei rise. Era Ninive, con indosso l’armatura dell’Ofiuco.

“Come ti permetti di rivolgerti così al gran sacerdote?” sbottò lui.

“Guarda che lo so che sei tu! Smettila di recitare”.

“Lo sai?”.

Lei annuì e tolse la maschera che ne copriva il viso. Era giovane e da poco aveva quell’armatura. Il suo viso dolce forse non era adatto ad una guerriera. Lui la vide sorridere e fece lo stesso. Tolse la maschera blu. Ninive lo abbraccio, ridendo felice.

“Amore, posso essere la prima a congratularsi con te?”.

“Sarai la prima, e probabilmente l’ultima”.

“Perché?!”.

“Perché voglio che sia così. Nessun’altro ha capito che sono io, vero?”.

“Death Mask, Shura ed Aphrodite. Credo. Loro ti conoscono bene. Immagino lo abbiano intuito. E poi dai…si capisce che non sei Shion!”.

“Non farmi agitare”.

“Aiolos è un po’ rimbambito e non credo che lo capirà. Gli altri gold e futuri gold sono piccoli. Non penso che notino qualcosa”.

“Bene”.

“Ma perché ti agiti tanto? Shion lo hai trovato morto, giusto? Allora è giusto che sia tu ora al suo posto. Sei adatto a questo ruolo”.

“Lo so. Ma non tutti lo capiscono”.

Lei annuì, fingendo di comprendere la mente contorta di lui.

“Che morbida che è questa veste” commentò, accarezzandola.

“Tiene un caldo assurdo. Il sarto di questo posto è un vero idiota”.

“Allora toglila” parlò lei, con tono neutro, e si stupì nel vedere che Arles faceva una faccia davvero strana.

“Che c’è?” gli domandò.

“Mettiti nei miei panni. Ho quindici anni” ghignò lui.

“Anch’io!”.

“Beh…non so tu, ma io ho gli ormoni incasinati! E non puoi farmi venire certe idee che…”.

“Arles! Sei un bambino cattivo”.

“Non sono più un bambino, è quello il problema”.

“Lo so”.

Lei gli diede un bacio e poi si diresse verso le tende alle spalle del trono. Guardò in su, verso la statua di Athena. Si sentì un pianto di neonato, subito placato dalle ancelle che si prendevano cura della reincarnazione della dea. Poi notò una porticina e l’aprì. Lui non amava vederla gironzolare, specie in quei luoghi che ancora non conosceva bene.

“Bellissimo!” esclamò lei.

Era entrata nell’immensa sala con la vasca termale del gran sacerdote. Era una stanza magnifica, con imponenti colonne in marmo chiaro, che sorreggevano ampi archi, ed il soffitto decorato con un mosaico rappresentante le costellazioni. L’acqua limpida, che riempia la vasca anch’essa decorata a mosaico, era una tentazione irresistibile per Ninive. Con le mani, la toccò. Era calda. Da un lato, l’altezza era poca e si poteva stare seduti. Dal lato opposto, la profondità era notevole e si finiva immersi anche stando in piedi. Un sistema non molto chiaro alla sacerdotessa  di canali e scoli faceva scorrere continuamente acqua calda e pulita.

“Ary, facciamo il bagno?” propose lei.

“Non chiamarmi Ary, non lo sopporto” sbottò Arles.

Lei rispose con una linguaccia ed iniziò a spogliarsi. Lui distolse lo sguardo, cercando di fare pensieri il più lontani possibile dalla balla ragazza nuda nella vasca.

“Dai, vieni. L’acqua è bellissima” ridacchiò Ninive.

“Non credo sia il caso”.

“E perché?”.

“Perché non credo di riuscire a rispondere delle mie azioni. Specie se siamo entrambi nudi”.

“E allora non risponderne”.

Per convincerlo, lei lo schizzò, inzuppandone il vestito. Lui protestò per un po’ poi scoppiò a ridere. Gli ricordava quando da bambini giocavano assieme, non molto tempo fa.

“Finiscila!” ridacchiò.

I bordi della vasca si erano fatti scivolosi e rischiò di cadere come uno stupido. Si sentiva come ubriaco, e non lo era per niente! A quel paese le regole! Nessuno aveva accesso a quella sala senza il suo permesso, quindi nessuno correva il rischio di scoprirlo. In un istante, fu nudo ed immerso nell’acqua calda. Che bella sensazione! Ghignando, col viso immerso a metà, si diresse verso Ninive che però si mosse agilmente verso la direzione opposta.

“Non guardarmi così!” sorrise lei.

“E come dovrei guardarti?” rispose lui, anch’egli sorridendo.

Riuscì a spingerla contro uno degli angoli, dove non poté più scappare.

“Allora? Adesso che mi dici?” ridacchiò.

“Dovresti fare un colpo di telefono ad Aiolos. È preoccupato per la sparizione del cavaliere dei gemelli. Teme di esserne le causa perché girano voci che Shion avesse scelto Sagitter come successore”.

“Non è un problema mio”.

“Come sei crudele!”.

“Mai detto il contrario”.

“Ma tu…mi ami davvero, Arles?”.

“Certo, hai dubbi? È colpa tua. I tuoi occhi blu mi hanno stregato”.

“Che bugiardo!”.

I due si baciarono. Si amavano come solo da così giovani si può amare qualcuno. In quel modo assurdo che ti convince che un sentimento possa durare per sempre.

“Ora che sono gran sacerdote…” iniziò Arles “Posso farti un regalo”.

“Davvero?”.

“Spesso mi ripetevi che Shion non ti faceva mai andare da nessuna parte. Ebbene, io ti manderò in missione. Così vedrai cosa c’è al di fuori del tempio”.

“Dici sul serio?! Ma è bellissimo, grazie! E che missione è?”.

“Shion ha lasciato molta libertà ai maestri d’argento. A me la cosa non piace molto e vorrei sapere chi di loro è ancora sotto il nostro controllo e chi sta facendo vacanza”.

“Ottimo. E dove devo andare?”.

“In varie parti della Grecia, se ti va”.

“Ma certo che sì! Finalmente! Mi sento davvero inutile stando qui tutto il giorno”.

“Farmi compagnia è inutile? Guarda che sostenere il gran sacerdote è importante!”.

“Non ne dubito”.

“Vuoi essere mia questa notte? So che è contro le regole ma…io sono il capo qui e se non ti punisco io…non lo può fare nessun’altro! Inoltre, ho visto il tuo viso. Sappiamo bene che non puoi uccidermi. Perciò…”.

“Sarebbe un grande onore”.

Lei si lascò baciare sul collo e guardò in su. Là, da una delle finestre che aprivano un varco fra le mura altissime, si intravedeva la statua di Athena. Ninive le sorrise. Se disapprovava ciò che stava per succedere, la pregò di lanciarle un segno. Nessun cenno divino apparve, perciò lei si lasciò possedere.

 

Quella notte pioveva forte. Ninive aveva trascorso quasi un mese lontano dal tempio per compiere la sua missione ed aveva udito strani racconti sul grande tempio. Un traditore fra loro. Aiolos? Aiolos era morto? Incredula, aveva raggiunto la casa del gran sacerdote. Lì aveva trovato Arles, assieme a Death Mask.

“Lasciaci” aveva ordinato il gran sacerdote al cancro.

Il giovanissimo cavaliere, di soli nove anni, lasciò la sala e lanciò solo uno sguardo a Ninive, prima di uscire. Rimasta sola con Arles, lei non sapeva bene come comportarsi.

“È vero quello che ho sentito?” mormorò.

“Che cosa hai sentito?” volle sapere il gran sacerdote, senza togliere la maschera.

“Che Aiolos è morto e che quella neonata è…”.

“Sì, è vero”.

“Cosa è successo? Aiolos non è un traditore!”.

“Ha cercato di fermarmi”.

“Fermarti?”.

“Dovevo ucciderla. Lo dovevo fare. E lui mi ha fermato”.

“Uccidere chi?”.

“Quella bambina”.

“La reincarnazione di Athena?”.

Ninive sobbalzò. Non credeva Arles capace di tanto.

“Sì, lei. Nessuno pare rendersi conto che fra non molto il sigillo di Hade verrà spezzato ed inizierà una nuova guerra santa. Come possiamo affrontarla così? Non percepivi quanto debole fosse quella bambina?”.

“Era solo una neonata!”.

“Fin da neonati coloro che possiedono un cosmo lo fanno ardere! Non ricordi quello che aleggiava attorno a Ioria quando è nato? Lei, come dea, doveva possedere un’energia almeno pari a quella dell’aspirante leone d’oro. Ma non era così. Era debole, probabilmente rinata nel modo sbagliato”.

“È una dea! Non fa le cose in modo sbagliato!”.

“Il mio compito è difendere questo mondo. E questo è l’unico modo possibile. Credimi, quella bambina non sarebbe mai stata in grado nemmeno di difendere se stessa”.

“E Aiolos? Che ti aveva fatto?”.

“Aveva capito tutto”.

“E allora?”.

Ninive scoppiò a piangere e lui lo capì, nonostante nemmeno lei avesse tolto la maschera. Era molto affezionata al sagittario ed ora pensava al piccolo Ioria, rimasto da solo.

“Sei felice, adesso?” domandò poi, sempre piangendo.

“No, non lo sono di certo. Ma tutto quel che faccio, lo faccio per…”.

“Sì, lo so: un bene superiore. Ed io lo capirò, vedrai. Sei l’uomo che amo, ti rimarrò accanto per sempre”.

“Ho quindici anni. Non posso definirmi un uomo”.

“No, è vero. Un uomo non manderebbe un bimbo di nove anni ad uccidere un amico. Povero Shura”.

“Non mi aspetto che tu capisca. Pare che non ci riesca nessuno”.

“Ma io ti amo. Questo è ciò che conta. Perché anche tu mi ami, vero?”.

“Certo che ti amo. Ma…”.

“Ma?”.

“Credo non sia prudente per noi continuare questa storia. Non adesso. Cerca di capire almeno questo. La gente le nota le piccole cose. È stato un azzardo permetterti di venire qui un mese fa. Qualcuno avrebbe potuto capire che…”.

“Allora finirla è prudente per TE, non per NOI”.

“Lo è per tutto. Per me, per ciò che sono ora e per ciò che devo fare. Sei una grande guerriera, hai un glorioso futuro qui al tempio. Ma per un po’ è meglio che fra me e te non ci siano contatti di alcun tipo”.

“Intendi dire che dovrei ignorarti?”.

“Intendo dire che devi comportarti con me come si comporta una sacerdotessa d’argento con il gran sacerdote. Hai capito?”.

“Ma io credevo che tu mi amassi!”.

“Io ti amo. Ma proteggere il mondo dalla follia degli Dei ha la priorità sul resto, non trovi?”.

Ninive annuì. Si congedò dalla tredicesima casa ed iniziò a scendere le scale, lentamente. Vide Ioria, in lacrime per la perdita del fratello, e lo salutò accarezzandogli la testa. Poi raggiunse la modesta casa all’interno del tempio dove dimorava a vi lasciò l’armatura. Era certa che presto un’altra sacerdotessa l’avrebbe indossata degnamente. Non aveva intenzione di portarla ancora, di servire il grande tempio ed il suo sacerdote. Anche se questo significava lasciare quel luogo e non sapere dove andare. A complicare il tutto, vi era in lei la consapevolezza di non poter rimanere oltre, o rischiava punizioni severe. Presto tutti avrebbero saputo che aveva infranto il veto a cui erano legate le sacerdotesse di Athena. Non poteva nascondere a lungo di essere incinta.

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Capitolo 15
*** XV- consapevolezza ***


XV

 

CONSAPEVOLEZZA

 

“E poi, cosa è successo?” domandò Ariadne, non avendo mai sentito quella storia così ricca di dettagli.

“Vagai a lungo per Atene” riprese Ninive “Sopravvivevo con piccoli lavoretti o facendo l’elemosina. Non sapevo cos’altro fare. A volte, qualcuno mi offriva un pasto caldo o un letto per la notte. Gli facevo pena, e lo sapevo bene. Quando ho avvertito le prime contrazioni, ammetto di essere stata presa totalmente dal panico. Era notte, non sapevo dove andare o a chi rivolgermi. Mi misi a piangere e caddi in terra. Rialzando lo sguardo, Hestia era lì. Mi porgeva la mano. Mi ha dato la forza e condotta al suo tempio. Lì ho partorito i miei gemelli”.

“Oh, mamma” non sapeva che altro dire Ariadne.

“E, credimi…” aggiunse Ninive, guardando Arles “…non è stato per niente facile partorire a soli quindici anni due creature con il testone grosso come il tuo! Sentii che quel tempio era la mia casa. Mi sentivo accolta, protetta, amata. Quindi feci la dolorosa scelta di separarmi dal mio figlio maschio per poter rimanere in quel luogo. Spero che capirai, Ahriman”.

Il ragazzo fece per aprir bocca ma non sapeva bene cosa dire. Guardò Arles.

“Perché non mi hai detto niente?” chiese il dio della guerra.

“Cosa sarebbe cambiato? Eravamo dei bambini” furono le parole di Ninive.

“Lo eravamo, certo! Ma avrei fatto sì che loro due crescessero al tempio. Li avrei fatti crescere come gli altri orfani, così non ci sarebbero stati problemi”.

“Ma che dici?! Sarebbero cresciuti senza una famiglia”.

“Credi che come invece sono cresciuti…sia meglio?”.

“Hai fatto la tua scelta. Fra l’amore ed il potere, hai scelto il potere”.

“Stronzate! Perché ancora ragioni da liceale?!”.

“E tu perché continui a ferirmi?”.

“Io non volevo ferirti! Volevo che mi restassi vicino, l’ho sempre voluto! Ma dovevo essere prudente. Ero uno stupido, ma ho fatto l’unica cosa che potevo fare”.

“L’unica?”.

“Andiamo, Ninive. Ci sono persone che non sono adatte all'amore. Persone che non sono in grado di amare ed essere amate. Persone il cui cuore non può essere compreso. Io ho fatto la mia scelta, tanto tempo fa. Se me ne pento? Ogni giorno della mia vita. Ma non sarei qui se avessi intrapreso una strada diversa”.

“Ma cosa stai dicendo?”.

“Se non me ne hai voluto parlare quella sera, perché non lo hai fatto ora? Perché, quando mi hai rivisto al tempio mesi fa, non me ne hai parlato?”.

“Che differenza faceva?”.

“Stavo per uccidere mio…figlio!”.

Arles titubò un attimo prima di dire quell’ultima parola.

“Avresti fermato la tua lama, sapendolo?” provocò lei “No, non lo avresti fatto. Dicendo che dovevi fare ciò che era meglio per tutti, se Ariadne non ti avessi fermato, ora lui sarebbe morto. Anche se ti avessi detto tutto”.

“Io non sono un mostro!”.

“Sì che lo sei!”.

“Ma…”.

“Non ti avvicinare!”.

“Tranquilla, non ci penso nemmeno!”.

I toni della discussione si erano fatti decisamente accesi. Ariadne cercò di calmare entrambi ma, inascoltata, si avvicinò sconsolata a Death Mask.

“Stai bene?” le chiese lui.

“No, certo che no. Aspettavo questo momento fin da bambina. Aspettavo il giorno in cui avrei rivisto mio padre e mio fratello. Ora che quel giorno è arrivato…non è affatto come lo avevo immaginato”.

Una piccola lacrima rigò il suo viso e Death Mask sbatté i piedi.

“Adesso basta!” gridò “Avete fatto piangere Ariadne, vergognatevi!”.

Ninive fece subito silenzio e corse ad abbracciare la figlia, per scusarsi. Nessuno fiatò. Ariadne si fece abbracciare dal cavaliere del cancro, non dalla madre.

“Ma…” riprese la vestale.

“Non lo hai ancora capito, mamma? Sono cresciuta. Ho scelto una strada molto diversa dalla tua”.

“Ma…Death Mask! Tu sei vecchio!” protestò la madre.

“Sono rimasto in una sorta di limbo per dieci anni. In pratica, io e Ariadne abbiamo la stessa età”.

“Non è così! E tu non dici niente?” protestò Ninive, cercando di far entrare Arles nella conversazione.

“E cosa credi che debba dire? È una donna, non una bambina. Un padre con i suoi rimproveri ormai non le serve più”.

“Sei un vigliacco! Scappi dalle tue responsabilità”.

“Non scappo! Sono qui, donna! Κάτάρά! [Katarà! Maledizione!]”

“Κάτάράμέυος! [Kataramènos! Maledetto!]”

“E piantatela!” gridò, stavolta, Ahriman “Sono stanco, e delle vostre beghe familiari poco mi importa. Perciò sparite, continuatele fuori di qui!”.

“Il ragazzo ha ragione. Ha bisogno di riposo” concordò Hermes “E le vostre grida non lo aiutano”.

“Non preoccupatevi. Io me ne vado subito” sbottò Arles, uscendo dalla stanza sbattendo la porta.

“Ammetto che è l’ultima persona al mondo che volevo come suocero, credimi” commentò Death Mask, sentendo chiaramente l’“Odio questo posto” gridato dal collega lungo i corridoi.

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Capitolo 16
*** XVI- libertà ***


XVI

 

LIBERTÁ

 

Il tempo scorreva lento ma inesorabile. Il mite inverno di Grecia passava tranquillo. Nessuno della neofamiglia riunita aveva più parlato dell’argomento e non si erano più ritrovati assieme successivamente. Così facendo, avevano nascosto la verità a tutti coloro che li circondavano. Ariadne aveva concentrato ogni forza nel suo ruolo di cavaliere d’oro, migliorando ogni giorno. Death Mask l’aiutava a la sosteneva. Quella ragazza era sola. Da quando aveva rivelato la verità, Ninive si era rintanata in un angolo del tempio assieme ad altre sorelle vestali e da lì non si era mossa. Passava le giornate pregando, sperando di potersi rinchiudere di nuovo al tempio della sua dea al più presto. Purtroppo, la guerra aveva rallentato i lavori di ristrutturazione. Arles trascorreva i giorni nel solo modo che conosceva: combattendo. Si allenava, quasi sempre da solo salvo quando rafforzava l’Excalibur di Shura. Ahriman guariva, anche se non gli era permesso uscire dalle sue stanze. I sigilli della dea Athena, se provava a toccarli, lo respingevano. Arles si era tenuto informato sulle condizioni di salute del generale ma non gli faceva mai visita, non trovandolo appropriato o necessario. Come accadeva, si ritrovava con Hermes e ne parlavano.

“Quel giovane non è come sembra” disse, un giorno, Hermes “Ahriman è un sognatore, non un lottatore. Quella stanza è piena di libri ed io l’ho visto molte più volte leggere che allenarsi”.

“Questo perché è ferito, mi pare ovvio!” rispose Arles.

“Ora non lo è”.

“E che cosa vuoi da me?”.

“Nasconde ciò che è. Quando entro nella stanza, nasconde il libro che legge sotto il cuscino. Ma io lo vedo. La polvere non si toglie da sola da quei tomi! E, inoltre, guarda dalla finestra con occhi distanti”.

“Probabilmente anela la libertà. Mi sembra normale”.

“Vorrei che ci parlassi. Ninive è sparita e Ariadne non sa come approcciarsi con lui. Lo viene spesso a trovare ma è come se Ahriman la respingesse”.

“Non ha bisogno di una famiglia. È un uomo”.

“Tutti hanno bisogno di una famiglia, grandi e piccoli! Tu sei più bravo di me in certe cose. Conosci bene gli ingannatori e i malvagi. Sono certo che capirai al volo se quel giovane lo è o no”.

 

Entrando nella stanza, i due Dei videro il movimento rapido di Ahriman compiuto per nascondere il libro che leggeva. Il generale guardò con stupore il dio della guerra. Hermes sorrise e tornò ad uscire.

“Che succede?” domandò Ahriman “Avete deciso di condannarmi a morte?”.

“No. Ma che ti viene in mente!?”.

“Non so per quale altro motivo dovresti essere qui”.

“Sono qui per riconsiderare la tua posizione. Non possiamo tenerti qui per sempre”.

“Gaia ha dato segnali?”.

“No. Ma lo farà. Sappiamo che sta preparando l’attacco successivo. Purtroppo noi non conosciamo il luogo dove sorge il suo palazzo ed il suo regno”.

“Ed io non ve lo dirò”.

“Non te lo avrei chiesto”.

“E allora che vuoi da me?”.

“Sapere che intenzioni hai”.

Ahriman fissò negli occhi il dio della guerra e il dio fece altrettanto con il generale. Il giovane, ora senza la solita treccia che ne legava i capelli neri, innegabilmente rassomigliava al genitore.

“Non combatterò contro Gaia, l’ho già detto”.

“Questo l’ho capito, Ahriman. E ne comprendo anche il motivo”.

“Voglio andarmene da qui. Lasciare questo posto per non tornarci. So che forse ti aspettavi di sentirti dire qualcosa di diverso”.

“No, ti sbagli. Non mi aspettavo nulla di diverso. Pure io me ne andrei volentieri molto lontano”.

“E perché non lo fai?”.

“Perché devo combattere questa guerra. È la cosa giusta”.

“Hai l’aria di uno che fa sempre la cosa giusta. Beato te”.

“Non è affatto così”.

Ahriman sorrise in modo amaro. Seduto a letto, con le ginocchia raccolte sul petto, non voleva crederci.

“Non è affatto così!” riprese Arles “In realtà, io sono più uno che è sempre convinto di fare la cosa giusta ma non è quasi mai così”.

“Bene. Almeno so da chi ho preso. Quando capisci di aver commesso un errore?”.

“Dipende. A volte non te ne accorgi proprio”.

“Voglio solo andarmene. Non vi darò fastidio. Me ne andrò e non mi rivedrete”.

“E cosa pensi di fare?”.

“Non lo so. Qualcosa farò”.

“Non è molto, come programma”.

“Voglio solo non sentirmi in gabbia”.

“Lo capisco. Parlerò con Saga”.

“Saga?”.

“La reincarnazione attuale di Athena. Quello che ti ha sigillato”.

“Ah, si chiama Saga”.

“Gli parlerò. Vediamo se riesco a convincerlo”.

 

Saga non amava sentirsi dire “ti devo parlare” da Arles. Solitamente, portava guai. I due dei della guerra si fissarono qualche istante. Sotto il colonnato, il vento freddo ne muoveva i capelli e le vesti.

“Sei impazzito?” sibilò Saga, dopo aver sentito la richiesta di Arles.

“Non ci farà del male” spiegò il dio più sanguinario.

“E questo come lo sai?”.

“Chiamalo intuito”.

“Fammi capire…tu, causa di indicibili sventure per questo luogo, pretendi che mi fidi di te? Liberare il generale nemico, che ha fatto strage di nostri soldati, per una tua intuizione? È fuori discussione”.

“Vuoi, per un attimo, smetterla di pensare al passato? Concentrati sul qui e ora!”.

“Ah sì, cancelliamo anni di mattanza compiuta dalla tua follia omicida e liberiamo un assassino perché hai deciso che è giusto!”.

“Ascoltami, però!”.

“Perché? Dimmi perché dovrei liberarlo. Oltre all’intuizione, cosa ti spinge a volerlo liberare? Non starai complottando contro di noi?!”.

“Le motivazioni non ti riguardano. Mi prenderò io ogni responsabilità”.

“Tu?”.

“Oh, Dei! Anche tu mi ritieni incapace di prendermi responsabilità?”.

“E chi altro lo pensa?”.

“Lascia stare!”.

Saga si fermò a guardare con aria interrogativa Arles. Cosa stava nascondendo? Temeva che potesse rivelarsi per l’ennesima volta un traditore. Non poteva pretendere la liberazione di un nemico come Ahriman. Era troppo pericoloso.

D’un tratto, si sentì un grido. E un forte boato.

“Che succede?” si allarmò la reincarnazione di Athena.

Le guardie del tempio corsero verso quel rumore. E Saga spalancò gli occhi, capendo.

“È scappato! Ha spezzato i miei sigilli!” disse, guardando con sospetto Arles.

“Perché mi guardi così?”” protestò il fissato.

“Fermatelo! Ad ogni costo, fermatelo!” ordinò Saga, rivolto ai soldati.

Ahriman si era liberato dei sigilli. Gaia gli aveva insegnato come sfuggirvi. Bastava conoscere il nome di chi li creava. Ma era consapevole che uscire da quella stanza era solo il primo passo. Si liberò facilmente dei primi soldati semplici che si ritrovò davanti ed iniziò a correre. Era veloce. Lanciò un colpo e si fece strada fra l’esercito che avanzava per fermarlo. Saga provò a colpirlo da lontano con il potere del suo scettro, ma Ahriman schivò, saltando e facendo una strategica piroetta diagonale. Arles si mosse. Quel giovane era molto veloce ma non poteva pretendere di superarlo. Balzò in groppa all’enorme cavallo nero con lo sguardo fiammeggiante che ultimamente lo accompagnava. Le amazzoni, cavallerizze a suo seguito, lanciarono il loro grido di guerra. Volevano seguire il loro signore, ma sapevano di non riuscire a raggiungere quella velocità. Il dio delle battaglie sfrecciò fra le rovine. Dove stava andando Ahriman? In quella direzione, c’era solo il vuoto! Il generale fuggì verso la spiaggia. Diretto verso gli scogli che scendevano a precipizio sulla piccola spiaggia, non si guardò indietro.

“Ahriman!” lo chiamò Arles.

Con la sua notevole velocità, il giovane era riuscito a distanziare i suoi inseguitori. Ma non Arles, che lo marcava stretto. Arrivato sull’orlo della scogliera, non si fermò e saltò. Spalancò le ali, pronto a volare via. Ma non ci riuscì. Le ali, a causa delle ferite di battaglia, parevano non più in grado di sorreggerlo. Annaspò in aria, cercando in qualche modo di rimanere sospeso.

“Ahriman!” gridò ancora Arles, spronando il suo cavallo.

Il dio della guerra aveva deviato, scendendo sulla spiaggia. Il generale stava precipitando velocemente e Arles saltò, per riuscire ad afferrarlo. Prendendolo al volo, il dio cadde in malo modo e salvò il figlio. Stupito da quel gesto, Ahriman rimase immobile fra le braccia del padre, riprendendosi dalla paura. Il dolore che provava alle ali era intenso. Ansimava, per la corsa e per lo spavento. Era certo di morire.

“Stai bene?” gli domandò Arles.

“Sì. E tu?” rispose il generale.

“Nulla di irreparabile”.

I due si rialzarono e si fissarono, insicuri sul da farsi.

“A piedi non andrai lontano” commentò il dio della guerra.

“Non ho la patente” sbottò Ahriman.

“Prendi” propose il padre, sfiorando la criniera del maestoso cavallo nero.

Il fuggitivo ne incrociò gli occhi rossi. Non era certo di poterlo cavalcare.

“Prendi la strada che costeggia la spiaggia e ti allontanerai in fretta” continuò il dio.

“Perché mi aiuti?”.

“Perché voglio fidarmi. E comprendo il tuo desiderio di libertà”.

“Grazie” mormorò, a voce bassa, Ahriman.

Era calata la sera. Le stelle brillavano. Il generale si fermò qualche istante a guardarle, prima di salire in groppa al destriero del padre.

“Ad ogni modo…” riprese “…Se volete batterla, dovete sigillarla”.

“Gaia?”.

“Sì. Ma non ci riuscirete facilmente. Per indebolirla, uccidete i guerrieri a cui lei ha legata. Coloro che portano un marchio come il mio”.

“Quel segno che hai sul petto?”.

“Sì. Trova un guerriero con lo stesso marchio e uccidilo. Quel segno, ci lega a lei. Lo ha fatto per donarci energia e per rimanere sempre in contatto con la sua mentre. Per qualche istante, uccidendo uno di noi, lei sarà indebolita e potrete sigillarla. Ma dovrete essere rapidi ed usare tutta la potenza possibile”.

“Lei lo sapeva che eri rinchiuso da noi? Che non eri morto?”.

“Certo. Ma non le è importato”.

Arles lesse la tristezza negli occhi di Ahriman e non chiese altro. Con un piccolo colpo, ordinò al cavallo di iniziare a correre. Poi alzò lo sguardo e vide che sul bordo della scogliera lo osservavano tutti gli altri Dei.

 

“Perché lo hai fatto?” furono le parole che gli rivolse Saga, una volta che Arles ebbe raggiunto il gruppo.

Non ricevette risposta. Il dio della guerra continuò a camminare fra le rovine, senza voltarsi.

“Ti rendi conto di quello che hai fatto?” continuò la reincarnazione di Athena, afferrandolo per un braccio.

“Lasciami!” sbottò Arles.

Ora gli Dei lo circondavano. Inaspettatamente, vide Ninive. Doveva aver smesso di pregare per poter controllare la situazione, dopo essere stata informata della fuga del figlio.

“Dammi una spiegazione” ribatté Saga, dando le spalle ad Arles “Dammela, ti prego. Toglimi dalla testa l’idea che tu ci abbia ingannato”.

“Io non sono dalla parte di Gaia”.

“E allora perché? Perché lo hai lasciato fuggire?”.

Il dio della guerra non parlò.

“Il tuo gesto è inaccettabile” tuonò Zeus “E devi essere punito. A quest’ora, quel ragazzo potrebbe aver raggiunto già Gaia, svelandole dettagli fondamentali! Un tale tradimento…merita la morte!”.

“Allora uccidimi” sfidò Arles, con tono piatto e distaccato.

“Con piacere”.

“Fermi! Non dite cazzate! Non possiamo uccidere il dio della guerra prima di scendere in guerra!” fu il commento di Dioniso “Sarebbe un suicidio!”.

“Abbiamo un’altra divinità della guerra!” commentò Artemide, sfiorando Saga.

“Ares non lo si può fermare durante una guerra” annuì Apollo.

“Io non combatterò dalla parte di Gaia, lo ripeto!” ribadì Arles.

Ma ormai gli animi si erano accesi e tutti guardavano la reincarnazione di Athena. Quella era casa sua, spettava a quella divinità esprimersi sul da farsi. Saga chinò la testa. Sentiva su di lui una grossa responsabilità. Prese un profondo respiro.

“Arles…” iniziò “…l’atto che hai commesso è inaccettabile. Non posso passarci sopra come se non fosse successo nulla. Devi scontare la tua pena. E la pena per il tradimento sai bene qual è”.

“Sì, lo so bene” fu la risposta, sempre data con il tono piatto precedente.

“Tuttavia, come ha detto Dioniso, non posso sottrarti la vita alla vigilia di una battaglia così importante. Sappi che la condanna a morte grava su di te. Se ci tradirai durante il prossimo scontro con Gaia, chiunque dei presenti avrà il diritto di ammazzarti. In caso contrario, la sentenza attenderà la fine della guerra”.

Arles non commentò. Non protestò. Riprese il suo cammino.

“Dammi una ragione!” gli gridò dietro Saga “Dammi una ragione per poterti salvare! Una soltanto!”.

Il dio della guerra non disse nulla.

“Io non voglio che tu muoia! Dì qualcosa, ed io ti salverò!”.

“Non ho niente da dire” finalmente aprì la bocca Arles.

Scese il silenzio. Gli Dei si dispersero, Saga nascose le sue lacrime, Ninive raggiunse la reincarnazione di Ares. Si era rintanato alla terza casa e, da solo, si stava curando. La botta presa per salvare il figlio ora la sentiva. Non era grave, ma in quel momento non sapeva cos’altro fare.

“Perché non hai detto loro la verità?” domandò Ninive.

Arles sbuffò. Sperava di rimanere un po’ da solo. Si alzò, cercando l’uscita.

“Perché non gli hai detto che hai salvato tuo figlio?” riprese lei “Sono certa che non sarebbero arrivati al punto di condannarti alla morte!”.

“Ninive, loro sanno che Ahriman è tuo figlio! Lo hanno visto, quando Ariadne lo ha rivelato nella scorsa battaglia. Se scoprissero che è anche figlio mio, rischieresti anche tu”.

“Rischierei?”.

“Capirebbero che tu hai infranto le regole. Verresti punita per averlo fatto. Saresti la compagna di un traditore assassino”.

“E allora? Accetti la tua condanna a morte pur di non farmi correre rischi?”.

“Esatto”.

 “E perché?”.

“Perché una condanna in famiglia è più che sufficiente, non trovi?”.

Ninive rimase senza parole. Vide Arles allontanarsi, in cerca di un luogo dove poter stare tranquillo. Aveva taciuto…per lei?

“Ary…” mormorò, mentre iniziava a scendere una lieve pioggia.

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Capitolo 17
*** XVII- primavera ***


XVII

 

PRIMAVERA

 

I primi fiori sbocciavano fra le rovine e nell’aria si sentiva il loro profumo. Il cavaliere dei pesci era il più entusiasta della cosa.  Arles e Saga non si parlavano dal giorno in cui era stata decida la condanna a morte. Kanon non apprezzava molto quella situazione, perché considerava entrambi suoi fratelli, ma non riusciva a far cessare quel silenzio. Le varie famiglie divine iniziavano a non sopportare la convivenza ed il nuovo attacco di Gaia fu visto come una sorta di liberazione, più che un evento terribile.

La dea nemica era magnifica, avvolta da drappi verdi che fluttuavano a mezz’aria assieme a lei. Come sempre, dinnanzi aveva l’intero suo esercito, pronto a difenderla e a combattere. Arles iniziò subito a tentare di capire chi potesse avere il marchio di Gaia addosso. Ma non era facile, fra tutte quelle armature! La dea lo guardò, come intuendone i pensieri.

“Ammazzateli tutti. Poniamo fine a questa cosa” ordinò lei ed iniziò la battaglia.

Un’onda di guerrieri alati si abbatté sugli Dei alleati di Athena, con un gran svolazzare di piume. Le amazzoni a cavallo gridarono e caricarono, ruotando le spade. Orde di specter apparirono dall’oltretomba, trascinando con loro anime e corpi. Ma i nemici erano molti, parevano non terminare mai. Ogni dio aveva più avversari. Saga capì subito che si trovavano in difficoltà. Ne era spaventato ma, poco più avanti, vedeva Kanon e Arles combattere sicuri. Maledetti tentennamenti! Doveva ricordarsi che dentro di sé era divinità della guerra! Cacciò un grido, probabilmente simile a quel che fece Athena quando fuoriuscì dal cranio di Zeus, e parte dell’armatura lo protesse. L’elmo, lo scudo, le spalle, gli schinieri…si erano adattati a quella reincarnazione maschile.

“Era ora, fratellone!” sbottò il dio dei mari, con un mezzo sorriso strafottente.

Il fulmine di Zeus squarciò il cielo ed iniziò a piovere. Non era una cosa che gradivano molto ma Hermes, con i suoi sandali alati, capì. Era una tattica per bagnare le piume dei nemici, che così erano costretti ad atterrare. Facilitando così  il lavoro dei soldati. Lentamente, da entrambe le parti, il numero dei guerrieri calava. I soldati semplici cadevano e svanivano fra il fango e l’acqua. Il terreno si era tinto di rosso ormai.

“Dobbiamo sigillare Gaia!” parlò Arles, avvicinandosi a Saga.

“Lo so. E come credi di fare? Ci sto provando, ma lei è forte”.

“Dobbiamo indebolirla. Basta uccidere uno dei soldati marchiati come Ahriman”.

“Ahriman era marchiato?!”.

Una potente onda d’urto divise i due. Si guardarono. Dovevano trovare un modo! Le Norme, figlie di Erebo e Notte, sorridevano spezzando esistenze con estrema facilità. Ghignarono, rivolte verso i tre guerrieri gemelli: Arles, Saga e Kanon. Tesero i fili delle loro vite, pronti ad reciderli, ed  i tre Dei gemettero per il dolore. I fili si assottigliavano sempre più ma qualcuno riuscì a colpire quelle creature.

“Muori, schifezza!” gridò Dioniso.

Assieme a Pan e Dohko, distrusse le Norme fra le risate. Probabilmente era un po’ alticcio.

Arles reagì ed afferrò uno dei generali alati, in cerca del marchio. Non lo trovò e lo scaraventò lontano, con rabbia. Che fosse stata una bugia? Che Ahriman lo avesse preso in giro? Si guardo intorno. Loro, alleati sotto il richiamo di Athena, stavano avendo la peggio! La pioggia battente lo stava decisamente innervosendo. Phobos gridava per la morte del fratello, generali e cavalieri cadevano quasi senza far rumore. Gaia rideva.

Illuminati da un fulmine, due occhi rossi come il sangue bucarono le tenebre formate dalle nubi. Il cavallo nitrì, ed Arles capì.

“Ahriman!” lo riconobbe più di qualcuno.

Il giovane a cavallo osservava da una collina di ruderi la valle in cui le divinità si scontravano. Da lì, avrebbe potuto benissimo attaccare chi voleva e sentirne perfino la paura.

“Ahriman! Mio generale!” sorrise Gaia “Come sono lieta di rivederti! Coraggio, schiaccia questi vermi e finiamola qui”.

“Era questo che volevi?” parlò invece Saga ad Arles “Un nemico che ci conoscesse? Ora ci distruggerà. Siamo allo stremo!”.

Arles guardò il figlio, confuso. Gli aveva detto che non avrebbe partecipato a quella battaglia! Si sentì ingenuo. Ancora una volta, avrebbe dovuto seguire la voce di Saga!

Ahriman scese da cavallo, senza dire una parola. Non indossava l’armatura ed i suoi lunghi capelli non erano intrecciati come quando combatteva. Aprì leggermente le ali e fece una strana smorfia di scherno. Erano tutti fermi a guardarlo! Che guerrieri patetici!

“Che cosa c’è, mio angelo?” domandò Gaia.

“Angelo? Non sono nato con queste ali” le rispose il generale “Ma fosti tu a farle crescere su di me. Ricordo bene la sofferenza che mi provocò tale gesto”.

“Ma hai ottenuto in cambio la possibilità di volare”.

“Non lo nego. Però non definitemi un angelo. Forse, esteticamente, posso anche sembrarlo. Ma dentro di me vi è un demone”.

“Un demone? Ma no, che dici? Che ti hanno ficcato in testa queste creature inferiori?! Ricorda chi ti ha cresciuto! Non fu tua madre né tantomeno tuo padre!”.

“Nemmeno tu mi crescesti, Gaia. Io crebbi da solo. Non ebbi mai un’infanzia e sono divenuto adulto in fretta, invecchiando presto”.

“Ahriman…”.

“Ma che avete da guardare?” parlò Shura, interruppe il silenzio che era sceso fra i guerrieri “Avete bisogno di un invito scritto per ricominciare a combattere? Non ha importanza la presenza del generale. Uccideremo anche lui, se necessario!”.

Accompagnò le sue parole con una potente Excalibur, che andò a colpire l’esercito nemico. La sua tecnica era notevolmente migliorata, così come erano migliorati i colpi di tutti i guerrieri d’Athena. La battaglia riprese. Nonostante i pesanti allenamenti, gli alleati non riuscivano ad avere la meglio sull’esercito di Gaia. La cosa li stupiva. Avevano tanto faticato per migliorare e potenziarsi, eppure queste divinità resistevano perfino alle frecce d’oro di Aiolos.

“Eolo ti suggerisce di spostarti rapidamente di lato, per cercare di colpirlo” suggerì Milo a Death Mask, che tentava di avere la meglio su Erebo.

“Da quando i nani di Biancaneve sanno come si combatte?!” sbotto il cancro.

“Ma…”.

“Sì, lo so! È il dio del vento! Ma ci ho già provato! Anticipa tutte le mie mosse quel bastardo!”

Ariadne colpì con l’ennesima Galaxian Explosion, che però gli Dei nemici non ebbero difficoltà a schivare. Questo la amareggiò. Non sapeva che altro fare! Strinse i denti, dicendosi che non doveva mollare per nessuna ragione!

Arles non aveva perso d’occhio nemmeno un istante il giovane Ahriman, perplesso sul da farsi. Non pareva intenzionato a combattere, e allora perché se ne stava lì?

Il generale osservava la scena. Delle due fazioni, non sapeva chi poter considerare più degna. Da un lato, Dei primordiali che ribollivano di rabbia e disgusto nei confronti degli esseri umani. Dal lato opposto, divinità in corpi mortali che lottavano per mantenere un dominio. E intanto non smetteva di piovere. Guardò Gaia. Era bellissima ed allo stesso tempo spietata. Non avrebbe esitato un solo istante a sterminare tutti i suoi seguaci se in cambio avesse ottenuto la vittoria. In mano sua, l’umanità non sarebbe durata un solo giorno. Poi notò Saga. La reincarnazione di Athena aveva avvolto l’intera battaglia in una sorta di bolla, per impedire che gli innocenti potessero rischiare di essere colpiti o di assistere ad immagini che non avrebbero compreso.

Quegli Dei, seppur imperfetti, lottavano con tutte le loro forze. Pur essendo consapevoli del loro svantaggio. Fino alla morte. E poi…fra loro vedeva sua sorella. Ammirava le sue capacità. Era degna di quell’armatura. Però era allo stremo. Vide Arles, quel padre che rassomigliava molto più ad un fratello maggiore, che incitava i soldati con urla di guerra che non accennavano a smorzarsi. Quelle grida, donavano forza e coraggio a chi le udiva.

“Questa guerra non finirà mai” constatò Ahriman “Le due fazioni si equivalgono. A volte, una ha quasi ragione sull’altra ma poi l’altra trova sempre un modo per risorgere più potente”.

Gaia notò il rafforzarsi dell’animo dei suoi nemici e ringhiò. Era pronta a ritirarsi, per preparare il prossimo attacco fra le sicure pareti del suo castello. Nemmeno per un istante si era voltata verso Ahriman. Probabilmente ora lo vedeva come uno scarto, un essere difettoso che le creava quasi impiccio. Il generale lo sapeva. E sapeva che cosa doveva fare. Lentamente, aprì la veste verde e nera, lasciando che la pioggia gli bagnasse la pelle. Arles si fermò a guardarlo e ad un tratto capì.

“Ahriman! No!” gridò e pure Saga si voltò verso quella direzione.

Videro il ragazzo scoprire il marchio che portava e conficcarsi una mano nel petto. Gaia gemette e la reincarnazione di Athena capì che era quello il momento adatto per sigillarla, assieme all’aiuto di Zeus.

Arles corse verso Ahriman che, leggero quasi come un soffio di vento, stava cadendo. Il nero dei suoi capelli si tingeva d’argento, mentre lentamente la vita lo lasciava. Fra le mani stringeva il suo cuore e il rosso del sangue ora iniziava a far mutare di nuovo il colore della sua capigliatura. Il padre raggiunse il figlio, si inginocchiò e lo prese fra le braccia. Le labbra del ragazzo erano bianche ormai, così come tutto il suo viso. Ma, nonostante tutto, lo sentì mormorare.

“Dì ad Ariadne che mi dispiace. So che lei ci teneva molto ad avere una bella famiglia felice. Ma io non sono adatto a queste cose e non potevo più sopportare tutto questo. Lei è forte, non è come me che…”.

Non riuscì a dire altro. Un fiotto di sangue gli uscì dalla bocca e chiuse gli occhi. Arles lo scosse e lo chiamò ma non c’era più niente che potesse fare. Il cuore di suo figlio giaceva in terra in mezzo al sangue ed alle lacrime, che scendevano delicate sul viso di molti, assieme ai petali dei primi fiori di primavera.

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Capitolo 18
*** XVIII- loser ***


XVIII

 

LOSER

 

Gaia era stata sigillata. Saga, esausto, aveva perso i sensi dopo essere riuscito a vincerla. Non appena riaprì gli occhi, al sicuro sul giaciglio all’interno del tempio, si guardò attorno allarmato.

“Ti sei svegliato!” lo salutò Hestia, ora visibilmente sollevata.

“Quanto tempo sono rimasto privo di sensi?”.

“Qualche ora. È notte ora”.

Saga si rialzò, nonostante le proteste di Hestia, che lo invitava a riposare ancora un po’, e dei cavalieri d’oro lì riuniti. Ne mancava qualcuno. Dopo essersi assicurato che fossero tutti vivi e in buone condizioni, si allontanò dalla sala senza curarsi della stanchezza. Aveva ancora un compito da svolgere. Salì lentamente le scale ed attraversò le prime due case, giungendo alle porte della terza.

“Phobos” parlò, vedendolo “Mi spiace. Ho saputo che hai perso un fratello in questa battaglia”.

“La guerra è vinta, è questo quello che conta”.

“Il tuo signore Arles è alla terza casa?”.

“Sì. Ma non pare molto in vena di essere disturbato”.

“Lo immagino”.

Il labirinto della terza era buio e silenzioso. I passi di Saga rimbombavano fra le pareti.

“Sei venuto a prendere la mia testa, Athena?” parlò Arles, creando un eco quasi inquietante.

“Dove sei? Fatti vedere” rispose Saga.

Arles apparve dal fondo del corridoio, lasciandosi alle spalle il buio.

“Devo ridiscutere con le altre divinità la tua condanna a morte” ricominciò a parlare la reincarnazione della Dea “Mi pare evidente che tu non abbia agito per tradirci. E Ahriman ci ha permesso la vittoria”.

“Non fa una grande differenza, che io muoia ora o fra qualche mese nella prossima guerra”.

“Prossima guerra?”.

“Le guerre ci saranno sempre”.

“Fra noi divinità, siamo pronti a formare l’alleanza necessaria per mantenere la pace”.

“Apprezzo il tuo ottimismo”.

“All’alba, seppelliremo i morti. Anche Ahriman”.

“Lo farai riposare nel cimitero dei cavalieri?”.

“Sì. Si è sacrificato per raggiungere la pace. Sarà ricordato come un eroe”.

Arles quasi rise. Traditore ed assassino, in pochi attimi divenuto eroe. Era ironico.

“Perché non mi hai detto che era tuo figlio?” continuò Saga.

“Cambiava qualcosa?”.

“Cambiava molto, a mio avviso! Non ti avremmo condannato a morte! Ti avremmo capito!”.

“Tu mi avresti capito. Tu soltanto”.

“Forse hai ragione”.

Saga sedette in terra, lasciando che lo scettro sbattesse. Arles lo fissò con aria interrogativa.

“Sei pallido, Saga. Facevi meglio a restare a letto” commentò.

“Smettetela di trattarmi tutti come se fossi un bambino!”.

“Non ti tratto come un bambino! So che hai combattuto ed hai consumato le tue energie”.

“Come hai fatto tu!”.

“Io non ho sigillato nessuno”.

“Tutti quei morti…” mormorò Saga “Se io non fossi così debole, potrei riportarli in vita! Invece…”.

“Hai già fatto molto”.

“Non è vero! Io…io vorrei ridarti tuo figlio! Lo vorrei davvero! Ma sono così inutile che non sono in grado di farlo!”.

“Se vogliamo parlare di questo, allora sono io quello inutile. Nella mia vita ho fatto tante di quelle cazzate che non riesco più a contarle. E guardami ora! Sono uno fra gli Dei più odiati: quello della guerra! Ma non la guerra giusta e di difesa come sei tu. Sono un fallito”.

“Che bella coppia siamo, io te”.

Seduti uno accanto all’altro, sospirarono all’unisono. Saga guardò in alto. Aveva gli occhi lucidi, ma non voleva piangere per l’ennesima volta. Arles, invece, con sguardo vuoto e perso verso non si sa quale meta, non era il genere di uomo che versava lacrime per sfogarsi.

“Dev’essere orribile” ricominciò Saga, con tono triste.

“Cosa?”.

“Sapere che un figlio esiste e poi perderlo in così poco tempo”.

“Ma mi hai visto? Io non sono un padre. Al massimo un fratello maggiore. E anche in quello sarei un disastro, credimi. Però ho sbagliato tutto. Devo ancora chiedere perdono per così tante cose…”.

“Immagino sia questo il momento giusto”.

“Prima che Zeus  mi decapiti. Già”.

“E lei?”.

“Lei chi?”.

“Ninive. Le hai parlato? E con Ariadne?”.

“Più sto lontano da loro, e meglio sarà. Non hanno bisogno che le faccia ancora del male. Ed è meglio anche che stia lontano da te, fratello”.

“Ma che dici? Tu…”

“Papà!” si sentì gridare per la terza casa, interrompendo la frase di Saga.

“Meno male che sei qui!” ansimò Ariadne, trovando lo zio ed il genitore seduti in terra “Presto, aiutaci! Mamma è fuori controllo, ti prego vieni con me!”.

 

Arles non ebbe il tempo di riflettere sul fatto di essere appena stato chiamato “papà”. Lui ed Ariadne corsero in fretta fino alla sesta casa, dove Hestia e le vestali ancora dimoravano. Le donne erano fuori dalla porta, che tentavano di guardare all’interno, troppo spaventate per entrare.

“Che succede?” domandò il dio della guerra.

“Vieni” lo incitò Ariadne, mentre le vestali si spostavano per fargli spazio.

All’interno, Hestia tentava invano di calmare Ninive. La donna era fuori controllo. Con l’abito nero, simbolo del lutto, gridava di rabbia e dolore. Il suo cosmo, risvegliatosi, bruciava ardente ed impazzito.

“Ha ferito delle vestali” spiegò Ariadne “Non riesce più a controllarsi”.

“Rischia di consumarsi”.

“Fermala. Ti prego! Trova un modo! Io ho tentato, ma non ascolta”.

Arles respinse alcuni colpi lanciati da Ninive. Hestia, ormai sfinita, si allontanò. Il dio della guerre fece segno alla figlia di fare lo stesso. Rimasto solo con lei, tentò di farla ragionare.

“Ninive!” la chiamò “Calmati!”.

Lei gridò e un’altra fiammata del suo cosmo si diffuse per la sesta casa.

“Ninive! Ti consumerai!”.

“Meglio!”.

“Ma che dici?!”.

“Oh, stelle del cielo! Fate che la mia vita si spenga ora”.

“Ninive! Non fare così! Vieni con me. Vieni a dare l’ultimo saluto a tuo figlio”.

“È stata tutta colpa mia!”.

Arles strinse i pugni e scattò. Nonostante la resistenza di Ninive, l’abbracciò. La strinse forte a sé, combattendo contro il cosmo bruciante che lo aggrediva.

“Calmati” le disse, parlando piano e accarezzandone il capo velato.

“Lasciami! Lasciami subito! Non mi toccare!” ringhiò lei.

“Devi calmarti!”.

“A te che importa? Lasciami! Lascia che bruci e muoia”.

“No! Non ti lascio! Questa volta no. Non avrei dovuto lasciarti andar via allora e non lo farò adesso”.

“Bugiardo!”.

“Folle. Solo questo. Sempre e solo folle”.

“Bastardo”.

“Può essere. Ma ti prego, Ninive, non lasciare che la tua incredibile energia ti uccida. Ricordo quando combattevi. Com’eri forte e sicura. Ricordo i tuoi meravigliosi occhi blu. Gli unici in grado di vedere la luce dentro di me. Tu credevi nel mio lato buono, se è mai esistito. Tu ti sei fidata ed io ho sbagliato”.

“No, sono stata io a sbagliare. Sono una madre orribile. Sono una madre fallita”.

“Ma perché dici questo?!”.

“Ho obbligato mia figlia ad una vita da vestale che non voleva e il mio bambino…”.

“Ariadne ora indossa un’armatura d’oro. Ed Ahriman si è sacrificato per il bene di tutti. Dovresti esserne fiera. Fiera con tutta te stessa”.

“Sono fiera, certo. E sono distrutta. Mi manca il respiro. Sento il petto che esplode e non voglio vivere ancora con questo. Sono sola”.

“Non sei sola! Respira. Lentamente. Vieni con me. Andiamo a salutare Ahriman”.

“Non ci riesco”.

Il cosmo di Ninive si era placato e lei era scoppiata a piangere. Arles lo notava da sotto il velo che le copriva il viso.

“Ninive…quando eravamo dei ragazzini ti dicevo sempre che eri una guerriera, che non dovevi piangere. Ora non userò quelle parole, perché vorrei tanto riuscire pure io a piangere”.

“Non tutti ci riescono”.

“Forse sono un cuore di pietra, come hai detto tu. Avanti…dobbiamo salutare Ahriman. All’alba verrà sepolto e non lo vedremo mai più. Anche se non è cresciuto con noi e di lui sapevamo poco, è pur sempre legato a noi. Lo era e lo sarà sempre. Sangue del nostro sangue”.

“Il nostro bambino” dissero i due in coro.

“Rispetto la tua decisione” riprese Arles “Si essere vestale e ritirarti dal mondo d’ora in avanti. Ma, ti prego, vieni con me da Ahriman”.

“Io…”.

“Un passo alla volta. Coraggio”.

“E poi mi lascerai da sola?”.

“Non dipenderà da me ciò che sarà dopo”.

“Già, è vero. Sei condannato a morte”.

“Ariadne, Hestia e le tue sorelle vestali non ti lasceranno mai sola. Vieni. L’alba è vicina”.

Ninive, sempre piangendo, si sforzò di calmarsi. Potenti singhiozzi la scuotevano. Cadde in ginocchio. Arles lasciò per qualche istante che si riprendesse e poi la fece alzare.

“Andiamo” le mormorò.

Ed insieme si avviarono verso l’uscita della sesta casa.

 

“Hei! Tutto bene? Ho sentito le tue grida!” si allarmò Death Mask, raggiungendo Ariadne.

“Sì. Io sto bene. È mia madre che…” rispose lei, guardando verso la sesta casa.

“Ninive è ancora là dentro? Capisco…ma dobbiamo andare. È quasi l’alba. Vedrai che…”.

“Sei sensibile come un coccodrillo morto!” sbottò Shaina.

“Non rompere, bella!” la apostrofò in malo modo il cavaliere “Questa nave l’hai persa, e lo sai! Ci ho provato per anni con te, vai a cercarti il principe azzurro altrove!”.

“Che cattivo che sei” ridacchiò Ariadne “Pensa che il nostro incontro è stato solo un caso. Se io quella notte avessi incontrato mio padre, invece? Te lo immagini? Se fosse stato lui il mio maestro, senza che nessuno dei due sapesse la verità? E se mi fossi innamorata di lui?”.

“Saresti comunque caduta fra le mie braccia. Questo è fascino italiano, tesoro!”.

“Coglione!” replicò Shaina, poi trascinata via a forza da Milo.

Cavalieri di Athena, Dei ed alleati si stavano tutti dirigendo al cimitero. Saga, vestito in nero, era pronto a celebrare la cerimonia. A braccia conserte, osservava gli altri Dei. Quello era il loro ultimo giorno assieme, poi ognuno avrebbe raggiunto il proprio tempio. Chissà se sarebbero rimasti per davvero in alleanza. Il dolce suono del flauto di Hypnos cullava le loro menti, alleviando il dolore dei loro pensieri. Un canto iniziò a levarsi. Un coro solenne, triste. L’estremo saluto a chi aveva combattuto l’ennesima guerra.

“Cominciamo” si pronunciò Saga, accendendo le prime candele.

 

Uscendo dalla sesta casa, Ninive ed Arles vennero travolti dall’odore dell’incenso e dai cori. Lentamente scesero le scale. Lui la sorreggeva con un braccio, guardando dritto davanti a sé. Lei, con la testa bassa, piangeva per ogni vita spenta e per la perdita del figlio.

“Arrivano” mormorò Thanatos a Saga.

Tutti i presenti, con in mano una candela, attendevano. La reincarnazione di Athena annuì. Si accinse a spalancare il grande portale dietro a cui i corpi dei caduti giacevano, per condurli con ogni onore al cimitero dei cavalieri. Si fermò, udendo un canto nuovo. Era così limpido e forte che copriva le voci del coro. Un timbro giovane, maschile. A quella melodia, si accesero le prime stelle nel cielo.

“Che succede?” si chiese più di qualcuno.

“Mai viste stelle così belle!” commentò qualcun altro.

Guardando in su, sul tetto del tempio, videro una figura avvolta in una lunga veste candida mossa dal vento. La voce era la sua. Con un gesto della mano, quell’uomo pareva controllare il cielo. La luna ne incorniciava il profilo e le stelle brillarono come mai prima.

“Ma chi è? Non sarà mica un altro rompicoglioni?” sbottò Death Mask.

“Eh no, che palle!” concordò Milo.

“Chi sei? Sai che stai interrompendo una cerimonia piuttosto importante?” parlò Shura.

“Scusate” rispose la figura.

La sua voce fece vibrare i loro cosmi. Era serena, solenne, avvolgente come il cielo stesso. Spalancò le ali e scese. I suoi lunghi capelli dello stesso colore della notte lo avvolsero, sfiorandone i piedi scalzi. Sorrise, inclinando il viso. Ariadne lo fissò, stupita come gli altri, e poi ne incrociò gli occhi smeraldo.

“Ahriman?” mormorò “Ahriman, sei tu?”.

Il giovane sorrise con più convinzione, chiudendo gli occhi.

“Ma…com’è possibile?” domandò Thanatos “Avevi il tuo cuore in mano! Era in terra!”.

“Vi devo ringraziare” parlò Ahriman “Solo con il sigillo su Gaia, potevo tornare”.

“Fratello…i tuoi capelli…la tua voce…”.

“Mi devo sdebitare”.

Dopo quella frase, il giovane ruotò una mano, dirigendola verso la porta che stava alle sue spalle. Dalle sue dita, frammenti sottili e luminosi, simili a polvere di stelle, si espansero nella stanza appena spalancata. Il buio in essa si dissolse. Molti cosmi la illuminarono.

“Stanno…tornando in vita?” domandò Hypnos al gemello Thanatos, forse convinto di essere in uno dei suoi sogni strambi.

“I morti di questa guerra…si rialzano” confermò il dio dei defunti.

“Le anime ed i cosmi tornano nei corpi dei caduti” sorrise Hade, vedendo fra loro alcuni dei suoi uomini.

“Com’è possibile?” si chiese Phobos, sorridendo al fratello che usciva dalla sala con le sue gambe.

Tornando a posare lo sguardo su Ahriman, videro che era mutato ancora. Era cresciuto e sul capo portava una corona scura.

“Urano” lo riconobbe Zeus.

“Il mio bambino è il dio Urano?” riuscì a dire Ninive.

Arles, invece, non disse nulla. Il giovane si stava avvicinando. Gli si fermò davanti, mostrando di essere una spanna più alto del padre. Alle sue spalle, Dei e guerrieri iniziavano ad inginocchiarsi dinnanzi al dio supremo del cielo.

“Io non sapevo di essere ciò che sono” ammise Ahriman “Ma voi siete stati gli unici che han creduto veramente in me. Voi e la mia sorellona Ariadne. Vi ringrazio. Grazie mamma, grazie papà”.

“Prego” borbottò Arles.

“Non me lo condannate a morte, vero?” sorrise la reincarnazione di Urano e Zeus scosse il capo.

“Oh, fratellino! Posso abbracciarti?” domandò Ariadne e, senza aspettare risposta, corse dal gemello e lo strinse forte.

La guerra era finita, avevano vinto, il potere di Urano aveva donato nuova vita ai caduti. Nessuno ci credeva ancora. Nessuno capiva se ciò che vedeva era reale o solo un sogno. Hestia si era appoggiata a Saga, come a voler avere conferma che era tutto vero. Lui le accarezzò il viso.

“Dai, andiamo a festeggiare” propose Ahriman e la folla si mosse.

“Mi piace l’idea, cognato” ghignò Death Mask

Ninive teneva le mani strette fra loro, in una sorte di preghiera. Arles le stava accanto ma non la sfiorava.

La reincarnazione di Urano notò questo e si voltò a guardarli, di nuovo.

“Papà” parlò “So che non sei abituato a sentirti chiamare così. E so che non ti piace farti dare consigli. Ma una volta, il mio maestro ha detto questo: non si può cancellare il passato. Non lo si può cambiare. Quando qualcosa finisce o si infrange, non tornerà mai come prima. Questo non significa che non si debba avere la forza di provare a rimediare, se è una cosa buona. E ricominciare da capo”.

Arles non seppe che rispondere. Si sentì sfiorare la mano dalle dita di Ninive. Stavano andando tutti a festeggiare. La notte era appena iniziata. Il cielo era magnifico. Sorrise.

Era tutto solo un inizio

 

FINE

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