A game of Pokémon - The begin of the end

di Ashura_exarch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Rhaegon I ***
Capitolo 3: *** Haerrik I ***
Capitolo 4: *** Daeron I ***
Capitolo 5: *** Manny I ***
Capitolo 6: *** Bhaela I ***
Capitolo 7: *** Robert I ***
Capitolo 8: *** Miana I ***
Capitolo 9: *** Calla I ***
Capitolo 10: *** Doran I ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Le celle di Raventree Hall erano terribilmente umide, colpa probabilmente delle radici dell'albero-diga. Esse, prima che l'albero morisse, erano penetrate in profondità nella terra, infiltrandosi persino nei robusti blocchi di pietra del castello dei Blackwood e strisciando lungo le pareti come vipere. Un'escrescenza particolarmente grossa era presente anche nella cella di Ethan. Sbucava fuori da un angolo in alto, strisciava lungo tutto il soffitto diramandosi in pezzetti più piccoli, per poi ritornare di nuovo all'interno della roccia.
E da quelle fessure l'acqua non faceva altro che gocciare, con un rumore talmente fastidioso da far impazzire a lungo andare. Non era un flusso né regolare né forte, ma creava un baccano assurdo, perfettamente percepibile se c'era assoluto silenzio. Era davvero snervante non poter far nulla di diverso dall'ascoltare quella tortura.
Probabilmente questa cosa era stata studiata, non doveva essere casuale. Esattamente come le celle del Nido dell'Aquila erano più destinate a far impazzire i prigionieri piuttosto che a tenerli tali a causa della suggestione perpetrata dal baratro che si spalancava sul fianco della montagna, così la goccia d'acqua nelle celle dei Blackwood doveva essere destinata a togliere il sonno, e a lungo andare anche il senno.
Ethan non riusciva a capacitarsi di aver vissuto praticamente tre quarti della sua vita così vicino a quel posto, eppure così inconsapevole della sua esistenza. Pensava a come potesse dormire beatamente allora, quando ancora non poteva sentire cadere quella stupida goccia d'acqua. Del resto non avrebbe mai potuto immaginare che un giorno sarebbe finito prigioniero nella sua stessa casa. Ma sapeva a cosa andava incontro quando aveva scelto di disertare dai Guardiani della Notte, e aveva più volte ringraziato i Sette Dei di essere riuscito a ritornare a Raventree Hall. Se fosse stato catturato da un altro lord non avrebbe avuto nemmeno il tempo di spiegare la situazione, l'avrebbero subito messo a morte. Aveva rischiato più volte di essere sorpreso, a Barrowton era stato quasi scoperto, mentre era stato quasi ucciso da una freccia nei pressi di Seagard. Aveva ringraziato la Vecchia più e più volte per avergli illuminato la via per tornare a Raventree Hall. Casa sua. Per morire lì.
Lord Andros non aveva detto nulla quando si era presentato al suo cospetto. Aveva preso la spada e l'aveva fatto rinchiudere nelle celle del castello, stando bene attento a non rimuovere la viscosa tela di Ariados che la celava alla vista. Due grossi uomini d'arme che Ethan non ricordava di avere mai visto lo avevano preso per le braccia e trasportato di peso fino a quella squallida cella, lasciandolo in compagnia del carceriere. Poco dopo anche lui se n'era andato, lasciandolo completamente solo e immerso nel buio e nel silenzio. E con quella goccia, naturalmente.
E così Ethan Blackwood, figlio secondogenito di lord Andros Blackwood e disertore dei Guardiani della Notte, aspettava la morte mentre ascoltava il rumore prodotto da quella stupida goccia d'acqua. Perché era sicuro che prima o poi sarebbero venuti a prenderlo. Era sempre così per i confratelli disertori, nessuna pietà, solo la morte poteva essere il loro destino.
Era talmente impegnato con quella dannata goccia che quasi non si accorse dei passi, dapprima appena udibili in lontananza e poi sempre più vicini e rimbombanti. Alzò la testa solo quando sentì tintinnare un mazzo di chiavi e cigolare la porta della sua cella. Davanti a lui c'erano due uomini, uno completamente vestito di nero e un altro con una lanterna in mano. Il primo era di spalle, ma Ethan riconobbe il secondo.
- Grazie, Rynyer, puoi andare. - disse l'uomo in nero, come a confermare l'ipotesi di Ethan. Rynyer, l'anziano carceriere, sorrise con la sua bocca sdentata e si allontanò, consegnando però prima la torcia all'uomo in nero, che solo allora si voltò.
Dapprima Ethan faticò a mettere a fuoco, era da troppo tempo che non vedeva una luce, ma poi scattò in piedi appena riconobbe i lineamenti severi di lord Andros Blackwood. Suo padre.
Ethan non disse nulla per lo stupore, e lord Andros fece lo stesso per altri motivi. Lo guardò per alcuni attimi mentre appoggiava la torcia sul freddo pavimento di pietra della cella. Poi, sempre restando in silenzio, si avvicinò lentamente al figlio sedendosi accanto a lui nella brandina. Prima che potesse dire qualsiasi cosa, Ethan fu stretto dall'abbraccio paterno.
Non disse nulla, si limitò a ricambiarlo. Era da tanto che non riceveva un abbraccio. Era da tanto che non rivedeva qualcuno di caro. Era da tanto che non rivedeva un membro della sua famiglia, almeno sei anni.
- Padre.
Ethan alla fine si lasciò sfuggire queste parole, la voce traballante per la commozione. Andros Blackwood non lo aveva mai abbracciato, né lui né suo fratello Hectar, nemmeno quando erano piccoli, tanti anni prima. Non un'esternazione d'affetto che andasse al di là di parole dolci o carezze affettuose quando ancora era innocente e non aveva lasciato il castello di famiglia. Adesso, quando vi ritornava da disertore marchiato per l'eternità da un velo di vergogna, aveva ricevuto la prima dimostrazione che il padre alla fin fine gli voleva bene.
- Figlio mio.
Nonostante cercasse di nasconderlo, anche Andros Blackwood era emozionato, Ethan lo capiva dall'incrinatura che aveva nella voce. Nonostante ciò evitò di dar a vedere di averlo capito.
- Sono contento di vedervi ancora su questa terra, padre mio. Ho sentito alcune storie, su alla Barriera. Parlavano di un'epidemia di morbo grigio scatenatasi nelle Terre dei Fiumi, l'anno scorso.
A sentire questo lord Andros si rabbuiò, seppure avesse abbassato la testa quasi impercettibilmente. Ethan era diventato piuttosto bravo a discernere lo stato d'animo delle persone, tale abilità è fondamentale per la sopravvivenza.
- Sì - confermò lui con voce leggermente più fredda e controllata - Le storie che hai sentito dicevano il vero. Ha imperversato per almeno quattro lune, soprattutto nelle nostre terre e in quelle dei Wayn, dei Paege e degli Shawney. Oltre a qualche centinaio di persone fra il popolino sono morti anche lord Wayn, ser Janos Paege e la figlia di lord Shawney.
Ethan aveva visto sia lord Ruben Wayn che ser Janos Paege una sola volta, ad un torneo a Delta delle Acque. Darna Shawney invece era considerata una delle fanciulle più belle a nord del Tridente, e lord Andros aveva valutato il suo matrimonio con Ethan o con suo fratello Hectar, il tutto vanificato dai loro desideri.
- Qualche caso c'è stato anche ai piedi della Valle, mi ricordo che anche lord Grell si ammalò. Per fortuna ne è uscito vivo, anche se i segni della malattia saranno indelebili. Te lo ricordi, Viserys Grell? Eravate scudieri assieme a Delta delle Acque.
Sì, Ethan si ricordava di Viserys Grell. Lo chiamava "il falso drago" a causa del suo nome. Si ricordava di lui come di un ragazzino dalla fervida immaginazione, il quale immaginava di cavalcare il proprio Gyarados su per la Forca Verde. Solo che ai tempi il suo pokemon era ancora un Magikarp smagrito, pure deboluccio.
- Lord? - Ethan si era stupito - Per caso suo padre è morto?
- Sì - rispose Andros - Lord Valarr Grell è passato a miglior vita poco dopo che tu fosti partito per la Barriera. Era andato ad Harrenhal su invito di lady Wode, e aveva trascorso qualche giorno tra quelle mura. Una volta tornato al suo castello si ammalò gravemente, i maestri dissero che non c'era nulla da fare. Sembra che il morbo che affliggeva lady Wode avesse contagiato anche lord Grell, il popolino dice così almeno. Lo ritengo poco probabile comunque. Lady Wode è spirata poco dopo, e adesso alla guida di Harrenhal c'è lord Bowman.
Casa Bowman. Ethan non l'aveva mai sentita nominare, nonostante maestro Denys avesse insistito perché studiasse bene l'araldica quand'era ancora giovane. Prese poi a ripensare al suo amico d'infanzia. Viserys Grell aveva un anno meno di Ethan, luna più luna meno, e lui proprio non riusciva a figurarselo alla guida di un castello. Impacciato com'era faticava solo a tenere dritta una lancia, figuriamoci a guidare un intero possedimento.
- Mi dispiace, se l'avessi saputo avrei inviato un corvo di condoglianze al giovane Grell.
- Sì, so che l'avresti fatto se avessi potuto. L'epidemia ha infuriato a nord della Forca Rossa, invece a sud del fiume niente. Eppure i Bracken sono così vicini a noi. Sono pronto a giurare che la malattia sia stata invocata da quella strega che è la moglie di Edgarth Bracken.
In effetti Ethan si ricordava di lady Elna Bigglestone. L'aveva vista un paio di volte quando questa veniva in visita a Delta delle Acque, tanti anni prima. La rammentava come una donna asciutta, rigida e perfettamente dritta come un bastone. Aveva sentito dire del suo carattere schivo e oscuro, e anche dell'incertezza delle sue origini. Casa Bigglestone infatti era estinta dai tempi della Danza dei Draghi, Ethan l'aveva imparato studiando araldica, ma a quanto pare al padre di lord Edgarth non era importato di fronte alla dote che il padre di lei, un mercante, intendeva concedere per il matrimonio.
- Figlio mio, tu invece come stai?
Questa domanda un po' colse alla sprovvista Ethan. Non si aspettava che suo padre glielo chiedesse. Decise comunque di rispondere.
- Bene, almeno per ora. Alla Barriera faceva un freddo cane, è vero quel che si dice in giro. Persino i pokemon Ghiaccio tremano di freddo lì in cima.
Ethan si lasciò scappare una risatina. Lord Andros non si scompose, pur sorridendo leggermente. Il giovane Blackwood comunque tornò quasi subito serio.
- Bloodlimb è morto. E' successo due anni fa. L'avevo portato con me mentre io e altri ranger andavano di pattuglia. L'avevo mandato in avanscoperta per vedere se ci fossero tracce di bruti, e ce n'erano eccome. Di bruti. Probabilmente l'hanno scambiato per un pokemon selvatico e gli hanno tirato una freccia. Gli ha inchiodato l'ala al corpo, penetrando in profondità. Riuscì a riportarlo indietro al Castello Nero, ma il maestro disse che non c'era nulla da fare.
Parlare di Bloodlimb non piaceva ad Ethan. Lui e il Rufflet erano stati inseparabili sin da piccoli, e quella bestia testarda l'aveva voluto seguire quando aveva deciso che avrebbe preso il nero. Non aveva potuto fermarlo, erano compagni da una vita e di certo non si sarebbero separati in quel momento. Si era rivelato un viaggio a senso unico per entrambi.
- Gli sono stato vicino fino alla fine.
Una lacrima rischiò di uscire dall'occhio di Ethan, ma riuscì a trattenerla. Gli faceva ancora male pensare al suo amico defunto.
- L'ho sepolto sotto un albero diga. Ho scavato una buca bella profonda, non volevo che qualche lupo o la Madre sa cos'altro si potesse mettere a scavare per divorare la carcassa. Sarei rimasto a vegliarlo per giorni, ma alla fine i miei confratelli mi hanno riportato indietro.
Lord Andros rimase impassibile. Doveva essere conscio del profondo legame che c'era stato tra il ragazzo e il suo pokemon, visto che anche lui un tempo ne aveva posseduto uno. Non era mai sceso nei dettagli però, per cui Ethan non sapeva molto di lui.
- Ho notato che siete diventato signore di Raventree Hall. - disse Ethan, cercando di cambiare discorso - Il lord mio nonno è deceduto?
Lord Blackwood annuì grave.
- Esattamente. Contrasse il morbo grigio di cui ti parlavo prima. Tua madre gli prestò assistenza sino alla fine assieme a septa Lorelle.
Solo allora Ethan si ricordò di avere altri parenti oltre a suo padre. La prigionia gli stava proprio dando alla testa.
- La lady mia madre? - chiese scosso - Come sta? E gli altri?
Lord Andros si rabbuiò di nuovo. Ethan vide il suo viso austero contrarsi ancora di più.
- Contrasse il morbo grigio dal lord tuo nonno. Lo Sconosciuto l'ha reclamata sei lune fa.
Ad Ethan crollò il mondo addosso quando sentì queste parole. Non si sarebbe mai aspettato che sua madre sarebbe morta. Forse però era meglio così, non l'avrebbe visto morire per la vergogna che aveva causato alla famiglia.
- L'ho sepolta a Cairns. Le piaceva quel villaggio, amava passare le belle giornate di sole sulla collina che dava sull'abitato.
Ethan non disse nulla. Non avrebbe mai potuto visitare la tomba della madre, visto che presto anche lui sarebbe finito a marcire dentro una fossa.
- Hectar invece - proseguì il lord, con un tono leggermente più alto e tranquillo - è stato fatto cavaliere dal principe Laerion in persona. C'erano tutti: lord Tully, lady Wode, persino Edgarth Bracken, quell'inetto.
Ethan constatò con piacere che le due case si odiavano ancora. Come poteva essere altrimenti poi?
- E' successo meno di una luna dopo la tua partenza, ad un torneo a Delta delle Acque. Tuo fratello si è fatto valere, disarcionando un cavaliere misterioso, il giovane Deddings e quel gigante di Garth Tully. Purtroppo nulla poté contro il principe Laerion, ma costui rimase impressionato dal suo valore, nominandolo cavaliere.
Ad Ethan si scaldò il cuore a sentire che il fratello si era fatto un nome. Certo, quel nome poteva essere benissimo rovinato dalle sue azioni scellerate, ma oramai il danno era stato fatto.
- Si è sposato l'anno dopo, e quello dopo ancora è nata la sua prima figlia, la piccola Arlis. Congratulazioni, zio.
Il giovane Blackwood rimase sorpreso. Zio lui? Si era già dimostrato un pessimo membro di famiglia, figuriamoci. Cercò di mantenere un'espressione imperturbabile, chiedendo chi fosse la sposa.
- Lady Catryn, sì. La conobbe ad un altro torneo ad Approdo del Re. Non era una grande manifestazione, ma riuscì a vincerla disarcionando lord Hayford. Come regina dell'amore e della bellezza incoronò lei, lady Catryn Pyle. Una volta tornato qui non pensava che a lei, sembrava così triste. Così contattai lord Pyle e mi accordai per il matrimonio. I Pyle non sono una grande casata, e un matrimonio con noi Blackwood gli avrebbe di sicuro portato un minimo di importanza.
Andros Blackwood non sarà stato un gran padre, ma non negava mai la felicità ai propri figli, e quello che gli aveva appena raccontato lo dimostrata. Esattamente come la sua benedizione quando Ethan gli aveva comunicato il desiderio di voler prendere il nero.
- Adesso è di nuovo incinta - continuò lord Andros - Sia Hectar che lei pregano per un maschio, come del resto anch'io. Maestro Denys ha calcolato che il parto dovrebbe avvenire tra meno di due lune. Mi dispiace che tu non possa assistere. Avrei tanto voluto farti vedere tua nipote, ma lady Catryn non ha acconsentito.
Lord Andros si rabbuiò ancora. Ethan non ricordava di aver mai visto una tale variazione di carattere in suo padre, né mai se lo sarebbe aspettato. A quanto pare quegli anni, oltre che a farlo più magro e tirato, lo avevano reso un po' più dolce, loquace e aperto. Lo ricordava ai vecchi tempi, austero e sempre composto, un nobile che non lasciava mai trapelare le proprie emozioni.
- Domani morirai.
Ethan non si stupì di quella affermazione, sapeva già che sarebbe successo.
- Lo so, padre.
- Sarò io stesso ad eseguire la sentenza.
Questo sorprese di più il giovane Blackwood.
- Sai - cominciò a spiegare lord Andros - Le leggende dicono che i Blackwood provengono dal Nord. E nel Nord chi pronuncia la sentenza deve essere anche colui che la esegue. E io non farò eccezione. Per quanto Skell sia bravo con la spada non ho intenzione di sottrarmi alla legge ancestrale.
Sì, Ethan si ricordava anche di Skell il Lussurioso. Era un armigero vetusto, aveva combattuto nella Ribellione di Matarys, questo lo ricordava. Era più vecchio di lord Andros, ma era ancora abile con la lama. Ethan ricordava che lord Emmett Blackwood, suo nonno, faceva eseguire a lui le condanne. Era chiamato il Lussurioso per le selvagge notti d'amore che era solito passare a Raventreeton oppure in altri villaggi e anche per i bastardi che aveva seminato per tutta la Valle di Blackwood. Gli esempi più lampanti erano ser Jacor Rivers, un lesto cavaliere che si aggirava sempre per il castello, e anche Kylis Rivers, si vociferava una delle ragazze più belle di tutte le terre dei Blackwood. Pur avendoli riconosciuti come suoi figli non aveva avuto interesse a togliere da loro il marchio da bastardi.
- Come desiderate, padre.
Ethan abbassò la testa, sconsolato. Aveva gettato vergogna sulla sua famiglia, e come se non bastasse sarebbe stato suo padre a togliergli la vita. Mai un Blackwood aveva commesso azioni più riprovevoli quali abbandonare i Guardiani della Notte. Sperava almeno che il fatto di aver recuperato la spada potesse in qualche modo far vivere la sua memoria in modo positivo nelle menti dei suoi parenti più stretti.
Quando lord Andros prese le mani del figlio tra le sue questi trasalì. Aveva capito che il lord suo padre era cambiato molto, ma non pensava fino a tal punto. Aveva sempre detestato il contatto fisico, e invece adesso non solo l'aveva abbracciato ma gli stava anche stringendo le mani. E quando con un dito gli sfiorò il mento e gli fece rialzare il volto, quella che Ethan vide sul volto di suo padre fu un'espressione risoluta ma allo stesso tempo fraterna.
- Figlio mio, so quello che pensi. Molti lord e gente del popolino guarderanno ai Blackwood con disgusto, disonorando la tua memoria. Ma io non lo farò, né così Hectar e i suoi discendenti. Hai portato a termine un'impresa a dir poco epica recuperando la spada. Sono fiero di te, Ethan. Tu sei un vero Blackwood
Ethan. Sentirsi chiamare per nome lo fece sentire felice. Suo padre mai l'aveva chiamato per nome, limitandosi ad apostrofarlo come "figlio mio", "figlio", "figliolo" e cose del genere. Ma oramai aveva capito che lord Andros Blackwood gli riservava ancora molte sorprese.
- Forza - lo spronò, allargando per la prima volta le labbra in un sorriso. Ethan non ricordava di averlo mai visto sorridere, e men che meno in modo così evidente.
- Raccontami come è andata.
Ethan si decise, doveva dire tutto. Voleva passare le ultime ore che gli rimanevano con suo padre, e solo con lui. Così cominciò a raccontare.

Parlarono per tutta la notte. Non si fermarono nemmeno quando la torcia si fu consumata del tutto, e continuarono al buio e sapendo di essere l'uno accanto all'altro solo avvertendo l'uno il calore corporeo dell'altro.
Parlarono di molte cose. Di come il regno fosse cambiato negli ultimi anni, dei lord e delle lady che adesso c'erano nelle Terre dei Fiumi, delle voci che giravano riguardo ai movimenti di Maelor l'Esule e sulla Compagnia Dorata, degli eroici Blackwood del passato. Parlarono soprattutto di questi, personaggi del calibro di Roderick Blackwood, lady Agnes Blackwood, Benjicot Blackwood il Sanguinoso, Alysanne Blackwood la Nera, oppure anche di bastardi come Robb Rivers il Rosso oppure Brynden Rivers Sangue di Corvo e delle loro imprese, eroiche che fossero o meno.
Ma parlarono anche del viaggio di Ethan oltre la Barriera e nelle terre ancora dopo. E di tutto ciò che aveva visto. E di come aveva ritrovato la spada. Lord Andros fu molto attento sotto questo aspetto, e annuiva ogni volta che un particolare fatto lo colpiva.
Solo quando lord Andros calcolò che l'alba sarebbe sorta di lì a poco fu costretto ad andarsene. Nessuno era a conoscenza del fatto che fosse lì con lui, nemmeno Hectar. Quando questi aveva chiesto a lord Andros di poter visitare il fratello il padre gli aveva risposto con un secco rifiuto. Aveva spiegato ad Ethan che non voleva fargli vedere suo fratello per non fargli venire in mente strane idee, Hectar era fatto così. Forse avrebbe tentato di farlo scappare, ma né Andros né Ethan volevano questo, né se lo potevano permettere.
- Sei consapevole che morirai di qui in capo a poche ore? - gli aveva chiesto il padre prima di andarsene.
- Certo, padre. Avrei per questo un ultimo favore da chiedervi. Prima di morire vorrei pregare sotto l'albero del cuore, nel parco degli dei.
E così Andros Blackwood aveva concesso al figlio quest'ultimo desiderio, facendolo scortare un'ora prima dell'esecuzione nel parco degli dei per lasciarlo con sé stesso nell'ultimo frangente della sua vita. Per quell'ora pregò i sette dei, ringraziando la Vecchia per avergli illuminato la via per il compimento dell'impresa e per il ritorno a casa e anche la Madre per avergli concesso la fortuna più di una volta. Ringraziò il Fabbro per avergli concesso di ritrovare la spada, mentre chiese perdono alla Fanciulla per non aver mai conosciuto l'amore. Ringraziò il Padre per essere riuscito nei suoi propositi dove altri prima di lui avevano fallito, e chiese al Guerriero di dargli il coraggio per affrontare quell'ultimo viaggio. Pregò poi lo Sconosciuto di concedergli una morte veloce, e nonostante non fosse il suo credo chiese anche ad Arceus di fargli rivedere un'ultima volta il suo amato Bloodlimb prima che i Sette Inferi o qualsiasi altro posto in cui dovesse andare fagocitasse per sempre la sua anima.
Quando gli stessi due armati del giorno prima lo vennero a prelevare dal parco degli dei, Ethan seppe che la sua ora era giunta. Non oppose resistenza, né ebbe paura di quello che stava per succedere. Aveva abbandonato i Guardiani della Notte pur di riportare indietro la spada, infrangendo così il sacro voto che sin dall'Età degli Eroi vincolava i Guardiani alla Barriera, era giusto che morisse.
Il viaggio non fu lungo. Il patibolo era stato allestito a Raventreeton, precisamente nella piazza centrale del villaggio. Le case circondavano lo spiazzo circolare, e la primavera nascente conferiva all'ambiente una gradevole tonalità accesa. Una piccola piattaforma rialzata di legno era stata allestita al centro della piazza, e sopra di essa il ceppo su cui Ethan avrebbe dovuto poggiare la testa.
Erano già tutti lì quando il giovane Blackwood, con le mani legate dietro la schiena, arrivò dopo meno di un'ora di cavalcata scortato dai due armigeri. Si erano riuniti tutti gli abitanti del villaggio, e alcuni erano accorsi persino dagli insediamenti vicini.
Anche alcuni nobili avrebbero presenziato all'esecuzione. Distaccato dalla folla, a cavallo, Ethan riconobbe il suo amico d'infanzia Viserys Grell. Aveva i capelli castani scompigliati e in disordine, e una cicatrice grigia gli deturpava la faccia. Lord Viserys lo squadrava con uno sguardo indecifrabile, che Ethan non avrebbe saputo dire se fosse dettato dalla compassione o dal disgusto. Dietro di lui c'erano due armigeri e un araldo, i quali recavano tutti il simbolo di casa Grell, ovvero i tre usignoli rossi sulla banda bianca obliqua. Il tutto era ornato da una cappa blu che andava a completare l'uniforme degli uomini di Grellington. Viserys invece era interamente vestito di nero, anche il mantello lo era. Chissà perché era venuto, magari si ricordava che un tempo erano stati amici.
Davanti al patibolo stava invece Hectar Blackwood. Ethan cercò di non guardarlo mentre veniva trasportato attraverso la folla urlante, ma gli riuscì ugualmente di vederlo. Portava un elegante farsetto rosso scuro con l'emblema di casa Blackwood, ovvero l'albero del cuore bianco attorniato dai corvi neri, mentre per il resto era vestito con un'impersonale cappa nera. I capelli erano più lunghi di quanto Ethan ricordasse, e si era anche fatto crescere la barba. Nonostante suo fratello fosse bravo a mascherare le emozioni, Ethan vide che piangeva, seppur silenziosamente.
Quando arrivò al patibolo Ethan vide che lord Andros era già arrivato. Stava a fianco del ceppo, accanto a lui ser Jacor Rivers, il quale appena vide Ethan gli porse il fodero della spada. Le guardie costrinsero Ethan ad andare sino al ceppo e ad inginocchiarsi.
Guardò un'ultima volta suo padre. Era vestito esattamente come la notte prima, e non sembrava assolutamente come aveva dimostrato di essere. Nel suo vestito di velluto nero appariva austero ma allo stesso tempo elegante, e l'espressione risoluta non lasciava dubbi riguardo allo zelo con cui avrebbe compiuto il suo dovere di lord.
Mentre il lord estraeva la spada dal fodero ser Jacor zittì la folla con un cenno della mano, facendo intendere che lord Andros era in procinto di enunciare la sentenza. E così infatti fu.
- Quest'oggi - cominciò - viene giustiziato Ethan Blackwood, colpevole di aver disertato dai Guardiani della Notte.
Mentre diceva ciò Andros Blackwood rimase impassibile, nonostante stesse per uccidere il proprio figlio con le sue stesse mani.
- Adempirò io stesso all'esecuzione, in quanto è giusto che chi emetta la sentenza debba essere anche colui che la esegue. In nome di Jaehaemond della casa Targaryen, primo del suo nome, re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lord dei Sette Regni e Protettore del Reame, io, Andros della casa Blackwood, lord di Raventree Hall e della Foresta Nera, ti condanno a morte.
Quando ebbe finito il suo discorso lord Andros alzò la spada. Ethan abbassò da solo la testa, non volendo essere costretto da quei rudi armigeri. Era pur sempre un Blackwood, e i Blackwood non si opponevano mai al loro destino.
Mentre la folla urlava e un rumore secco di aria spostata indicava che la spada aveva incominciato la sua discesa verso il suo collo Ethan alzò leggermente gli occhi verso l'orizzonte in lontananza. Là, sopra le dolci colline, oltre la Forca Rossa e sotto le candide nubi, gli sembrò di vedere un uccello volare, un pokemon forse. Un Rufflet sembrava.
Sentì un po' di freddo sul retro del collo, e subito l'immagine del patibolo sotto di lui si sbiadì. Poi più nulla.

Note dell'autore
Terza fanfiction cominciata. La mia vita comincia ad essere strana, ma parecchio strana.
Esatto, è come sembra, mi sono lanciato in questa pazzia. Perdonatemi ma un crossover tra Game of Thrones e i pokemon ce l'ho sempre avuto in mente. Cercherò di prenderlo con le pinze, perché so che non sarà facile da gestire e ho già visto progetti come questo fallire alla radice.
Prima però voglio chiedere scusa a tutti quelli che hanno letto le os su Tywin Lannister e Aerys Targaryen. Ebbene sì, erano delle mezze trollate. All'epoca pensavo ancora di fare un mix tra i libri e la serie tv, ma poi (per fortuna dico io) ho cambiato idea.
Insomma, ditemi se quest'idea vi convince, perché sinceramente la sto già adorando non avendola neppure iniziata.
Ah, prima che mi dimentichi, parta pure la sigla: http://youtu.be/4oEgHOtmBkw

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Capitolo 2
*** Rhaegon I ***


Rhaegon

Un altro giorno stava trascorrendo tranquillo - si fa per dire almeno - sulla grande Approdo del Re. La città, avvolta dalla sua stessa puzza, dal vociare dei mercanti, dai versi degli animali, dai ruggiti dei pokemon, dal cozzare delle lame, dal tintinnare dei soldi e da tante altre cose, ferveva di vita come la capitale dell'immensa Westeros doveva essere.
Le giornate si stavano facendo man mano sempre più lunghe e calde, segno della fine della primavera e dell'approssimarsi dell'estate, incoraggiando così molti degli abitanti ad uscire per strada per godersi un po' di calda aria aperta, oppure anche di andare ai moli per farsi una nuotata nelle gelide ma piacevoli acque della Baia delle Acque Nere, oppure anche sulle rive del Fiume delle Rapide Nere, la cui acqua in quel periodo scorreva meno impetuosa del solito.
A festeggiare l'arrivo imminente della nuova stagione folle di bagnanti seminudi o completamente svestiti si potevano trovare a piccoli gruppi lungo tutto il bagnasciuga. Nell'aria c'era giubilo ed erano in molti a sembrare divertiti da quell'atmosfera, anche coloro che di norma avrebbero dovuto svolgere il proprio lavoro come i marinai con le gambe nell'acqua mentre stavano seduti sui moli, oppure anche le cappe dorate della Guardia Cittadina le quali spesso disertavano le postazioni per farsi un bagno oppure per pescare nel fiume. Tutti sembravano essere felici. Almeno tutti tranne uno.
Rhaegon Targaryen non dormiva oramai da due notti, e non era più uscito dalle sue stanze nemmeno per andare alla latrina. Non accettava cibo e non si cambiava i vestiti, non lasciando nemmeno entrare nessuno nei suoi appartamenti. Pur avendo più di trent'anni si comportava ancora come un bambino capriccioso. Cosa che in un certo senso ancora era realmente.
Il principe, dopo aver ricevuto quella sconvolgente notizia, aveva deciso di ritirarsi dal mondo intero, isolandosi da tutto e da tutti. Non accettava di vedere nessuno e non rispondeva ai richiami fattigli da dietro la porta della sua camera. Tentava persino di resistere ai suoi bisogni fisiologici, anche se non con molto successo. Piuttosto che mollare tutto e arrendersi alla realtà dei fatti aveva preferito pisciarsi addosso, invece di richiedere almeno un pitale come la buona educazione avrebbe previsto.
Schifato dal suo stesso olezzo, alla fine Rhageon era stato costretto ad aprire la finestra anche perché si moriva dal caldo in quella stanza chiusa. Era come un grande forno, era giunto a questa conclusione, e non voleva certo finire lessato come i cuochi lessavano le carni degli animali giù al Fondo delle Pulci. Il caldo poi aveva acuito la puzza di pipì, costringendo l'uomo a spalancare completamente le imposte per poter respirare.
Camminava avanti e indietro davanti alla finestra, fermandosi ogni volta subito prima di toccare il letto o il suo leggio per voltarsi e riprendere a camminare. Erano due giorni che era intento a fare questo e poco altro, gettando di tanto in tanto qualche sguardo distratto al panorama fuori dalla finestra.
Nemmeno una nuvola solcava il cielo, e essendo gli appartamenti di Rhaegon sulla parte della Fortezza Rossa che dava sul mare, una fresca brezza marina soffiava costantemente su quella facciata, spazzando costantemente le pareti esterne. In basso il mare cristallino era punteggiato da velieri di ogni dimensione, anche se da quell'altezza sembravano tutti minuscoli.
All'inizio aveva osservato per un po' il panorama, ma si era presto stancato di quel paesaggio in lento mutamento. Come il bambino che era aveva preso a fare i capricci, barricandosi nella sua stanzetta e impedendo a qualsivoglia persona di penetrare nel suo piccolo rifugio segreto. Doveva ancora riprendersi dalla notizia, e aveva deciso di elaborare il lutto da solo, senza l'ausilio di nessuno.
L'ennesimo bussare alla porta di legno all'inizio sembrò non destare alcun effetto nel principe. I colpi erano leggeri e delicati, e forse Rhaegon nemmeno se ne accorse nella foga del suo camminare. Alla successiva mandata si fecero più forti, pur mantenendo una certa leggerezza e un ritmo gradevole. Era sicuramente una donna.
Rhaegon si riscosse all'improvviso, spaventato, segno che era stato colto di sorpresa. Pur avendo sbarrato la porta lui stesso aveva ancora paura che qualcuno la potesse sfondare, forse un membro della Guardia Reale, o magari uno dei suoi stessi fratelli, infuriato per il suo comportamento. Ma la voce che udì non apparteneva a nessuno di questi.
- Figlio mio, fa il bravo e apri.
Era sua madre, la riconobbe dal tono rauco e dalla voce traballante seppur autoritaria. Ma per quanto le volesse bene aveva fatto un giuramento a sé stesso e decise di ignorarla, tornando a camminare avanti e indietro facendo finta di niente.
La donna bussò un'altra volta, ma non ottenendo risposta decise apparentemente di lasciar perdere. Rhaegon esultò mentalmente pur continuando nella sua futile attività. Si lasciò scappare per sbaglio una risatina, quasi subito repressa per paura che la madre potesse essere ancora lì fuori. Cosa in effetti vera.
- Rhaegon, aprimi.
Detta con voce più bassa anche se molto più inquietante, l'uomo la udì lo stesso. Si immobilizzò e smise immediatamente di respirare. Restò a fissare la porta ad occhi sgranati, terrorizzato, come se un gigantesco Tyranitar la dovesse sfondare da un momento all'altro. Non fece il minimo movimento mentre una goccia di sudore freddo gli scendeva dai capelli per penetrare nel farsetto, strisciandogli lungo la schiena. Poi trovò il coraggio sufficiente per una debole risposta.
- N-no...
- Rhaegon.
Probabilmente aveva parlato in tono talmente basso che la lady sua madre non l'aveva nemmeno udito. Il principe rimase di nuovo spaventato da quelle parole impersonali eppure così autoritarie, e non poté fare a meno di provare ad indietreggiare. Tentativo fatto fallire dal suo stesso terrore, la cui morsa gli attanagliava il corpo facendolo diventare quasi un pezzo di marmo.
- Aprimi.
Rhaegon, sospinto da una strana forza molto più potente di lui, alla fine fu quasi costretto ad andare ad aprire. Avanzò a scatti, come cercando di rifiutarsi, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che se non l'avesse fatto l'intera faccenda sarebbe finita molto male.
Si avvicinò cautamente alle assi di legno, togliendo quella che bloccava l'entrata. Dopodiché procedette ad aprire la porta, azione che richiese molto più tempo di quanto Rhaegon avrebbe mai potuto immaginare. La porta si aprì con un lento cigolio, rivelando gradualmente la figura leggermente in carne della lady sua madre.
Ella lo guardò non appena la visuale glielo consentì. Si guardarono negli occhi, lei con i suoi azzurri e lui con quelli violetti. Lei con i lunghi capelli castani e lui con i lunghi capelli argentei. Lei col suo fisico robusto e lui col suo smilzo. Difficilmente qualcuno avrebbe detto che erano madre e figlio, anche se così era.
A Rhaegon prese voglia di vomitare. Non ce l'avrebbe mai fatta a sostenere uno sguardo come quello della madre troppo a lungo. La regina madre Bethany poteva anche sembrare una qualsiasi nobile grassa e arrogante, ma era la sua forza d'animo e la sua fermezza che aveva evitato al reame molte grane nel corso degli anni.
Fortunatamente per lui fu la madre a prendere l'iniziativa. Ella, senza distogliere lo sguardo, avanzò verso di lui e lo abbracciò, apparentemente ignorando la puzza di piscio e la viscidità dei suoi vestiti sporchi. Non era però un abbraccio vero, quasi una cosa di circostanza, come per ribadire il loro rapporto all'interno della famiglia.
Lady Bethany si staccò quasi subito dal figlio, il quale restò confuso. La regina continuò a guardarlo negli occhi, rimproverandolo silenziosamente per i suoi capricci. Rhaegon non poté fare altro che chinare umilmente la testa, esattamente come un bravo pargolo quando finalmente capisce di avere sbagliato.
Senza dire una parola la regina lo prese per mano e lo portò di fianco al letto. Dopo che si fu sistemata lo guardò di nuovo, come ad invitarlo a fare altrettanto. Rhaegon seguì l'ordine (perché alla fine di questo si trattava) con leggera riluttanza, distogliendo lo sguardo dalla parente mentre sentiva la soffice superficie del materasso premere contro il suo fondoschiena. Cercò di ignorarla, facendo finta di guardare lo specchio dall'altro lato dell'ambiente.
Quando però la madre gli prese il mento non poté fare a meno di seguire i movimenti delle sue mani. La sua non era una presa ferrea, ma stretta abbastanza da imporre la sua autorità materna su quel figliolo particolare. Lui, pur mantenendo un visibile broncio, girò la sua testa verso quella di lady Bethany.
- Rhaegon. - esordì lei - Adesso basta. Hai fatto abbastanza capricci. Non hai risposto a nessuno, né a servi, né a ser Jared e nemmeno a Bhaela che pure è stata tanto gentile con te.
Rhaegon non rispose.
- Sei stato cattivo, sappilo. Devi imparare a superare il lutto, esattamente come ho fatto anch'io quando sono morti tuo padre e tuo fratello. Non sei più un bambino, almeno lo spero, impara ad essere uomo.
Sentir nominare suo padre e suo fratello turbò ancor di più il povero Rhaegon Targaryen. Re Jaehaemond e il principe Laerion erano gli unici ad averlo probabilmente mai capito, e se n'erano andati sin troppo presto da questo mondo. Ma Rhaegon era l'ultimogenito nato dall'unione tra Jaehaemond Targaryen e Bethany Bracken, doveva saperlo che i più vecchi - come Laerion appunto, che era il primogenito - muoiono prima. Ma se era vero che i vecchi morivano, perché sua madre, che era decisamente più anziana di suo fratello, non era morta prima di lui?
Rhaegon continuò comunque a rimanere in silenzio, non esternando nulla di quel ragionamento finale. Sapeva che sua madre era una donna rancorosa e non voleva di certo provocarla. Era anche abbastanza intelligente da aver capito che magari sarebbe potuto risultare in qualche modo offensivo.
- Capisco che fossi molto attaccato a tua zia Jaella, ma cerca di capire. Tutti prima o poi dobbiamo morire, e lei era vissuta anche fin troppo.
Rhaegon rimase scosso da queste parole. Era vero che la zia Jaella era vecchia, molto più di suo padre, di sua madre, di Laerion e degli altri della famiglia, ma non avrebbe mai immaginato - e nemmeno voluto - che morisse. Era forse la persona a cui voleva più bene al mondo, e non poteva accettare che se ne fosse andata. Al massimo sua madre se ne poteva andare, come avevano fatto tutti gli altri. Lei era cattiva, non le era mai piaciuta.
Prese ad accarezzarsi la corta barbetta argentata nervosamente, come se stesse facendo fatica a nascondere quei pensieri nefandi. Era pur sempre la propria madre contro cui stava mentalmente ingiuriando, e rinnegare i propri genitori non era decisamente una cosa bella. Ma Rhaegon questo non lo sapeva, e anche se l'avesse saputo non l'avrebbe capito.
- E' il cerchio della vita. Lo Sconosciuto arriva prima o poi per prendere la tua vita, e non ci si può opporre. Alla fine è toccato anche a Jaella, esattamente come è toccato a Laerion, a tuo padre e ai suoi fratelli. Un giorno sarà anche il nostro turno. E' inevitabile, prima o poi quel momento arriva per tutti.
Il ragionamento della regina Bethany non faceva una piega, anzi, era abbastanza ovvio per tutti che la vita dovesse andare così. Ma non per Rhaegon. Lui non era così acuto, non capiva le meccaniche della vita, e mai lo avrebbe fatto. A suo tempo il Gran Maestro Quenkal aveva detto che la mente di Rhaegon si sviluppava tre volte più lentamente del normale, e probabilmente era vero, visto che a trent'anni il principe si comportava come se ne avesse dieci.
Rhaegon lo aveva sentito dire una volta, mentre origliava una conversazione tra sua madre e il Gran Maestro. Non sapeva bene cosa volessero dire, ma percepiva non essere qualcosa di bello. Non poté fare a meno di pensare che adesso anche il Gran Maestro Quenkal era morto da alcuni anni. Se lo ricordava ancora, i lunghi capelli bianchi e la catena che portava al collo molto più grande di lui.
- Rhaegon, devi mostrare la stessa forza dei tuoi fratelli come farebbe un vero Targaryen. Non puoi ridurti così.
"Io sono un vero Targaryen!" pensò rabbiosamente. Ma in cuor suo sapeva che la madre aveva ragione, non era nulla in confronto ai fratelli. Laerion non se lo ricordava ed era tanto tempo che non vedeva Naelys, ma pensare agli altri lo faceva sentire insignificante. Bhaela era così forte e tenace, sembrava un vero guerriero nonostante fosse una donna. Jaehaerys, suo fratello il re, era forte anche lui seppur in modo diverso; quella sua postura sempre eretta e lo sguardo pronunciato gli davano un'aria solenne. Baelor invece gli faceva paura, era malvagio. Ricordava quando da piccolo lo spaventava con delle maschere bruttissime; lo odiava, e sapeva che faceva così solo perché era più forte di lui.
Gli altri invece... gli volevano bene. Jaehaemion gli ricordava tanto il loro padre e sapeva che lo amava, nonostante lo desse mai a vedere. Maera invece era sempre stata lì dopo la morte di Jaehaemond, a fargli da mamma, quasi come che la loro fosse morta. Era così dolce, Maera. L'avrebbe sposata se solo non lo fosse già stata a Baelor. "Quel bastardo" pensò con rabbia Rhaegon "Quel bastardo mi ruba sempre tutto. Lo odio!".
- Sei o non sei un drago?
Questa domanda lasciò Rhaegon interdetto per un attimo. Ci stava pensando proprio in quel momento, mentre decideva quali dei suoi fratelli meritassero il suo affetto. Era un drago come loro? O più probabilmente solo solo una lucertola?
- Io sono un drago.
Quest'affermazione stupì persino il principe stesso. Si accorse di averlo detto solamente quando vide la madre fare uno sguardo compiaciuto, anche se non troppo. Ma Rhaegon era conscio di aver mentito, non credendo nemmeno nelle sue stesse parole. Lui non sarebbe mai stato un drago, e nemmeno un pokemon. Non sarebbe mai stato nemmeno una lucertola. Che cos'era lui davvero?
- Un drago, esatto. - ripeté la regina - E i draghi non piangono. L'acqua gli fa male, è per questo che nessun drago piange, come anche fa ogni pokemon di fuoco. Nessuno di loro versa mai una lacrima, esattamente come noi Targaryen. Perché noi siamo draghi. Anche tu lo sei.
"Io piango. Io sono debole. Io non sono un drago.". Se era vero che nessuna di quelle creature piangeva, pensò Rhaegon, allora tutte le loro emozioni non facevano altro che restare imprigionate al loro interno. E ciò non andava affatto bene, rischiavano di esplodere come una casa attaccata da uno stuolo di pokemon infuriati. Rhaegon si sentiva proprio così in verità, sul punto di esplodere.
- Tuo padre e tuo fratello Laerion erano draghi, e per questo non hanno mai pianto. Anche Jaehaerys, Jaehaemion e Baelor sono draghi e non piangono. Persino Bhaela e Maera non piangono, perché anche loro sono draghi. Vuoi essere da meno?
Il principe, nonostante la sua mente semplice, non poté fare a meno di notare che la madre non aveva citato sua sorella Naelys. E lei allora che faceva? Piangeva? Non era un drago come loro? Queste domande rimasero nella testa di Rhaegon, anche se aveva una voglia matta di enunciarle ad alta voce.
- No, madre. - si limitò ad annuire.
- Molto bene. Spero che tu abbia compreso quello che volevo dirti.
- Certo, madre.
Aveva compreso che tutti, nella sua famiglia, anche i figli dei suoi fratelli, erano draghi. Tutti tranne lui. Lui non era un drago. Nemmeno un pokemon. Neanche una lucertola. Lui non era niente. Si costrinse comunque a smettere rapidamente di lacrimare per far contenta la parente, la quale annuì leggermente quando con la manica della veste si asciugò la faccia appiccicosa per le lacrime e il sudore vecchi di giorni.
- Sono contenta di vedere che mi hai capito.
Si alzò, si sistemò appena i vestiti e fece per uscire dalla stanza.
- Tra poco arriveranno dei servi per rifare la stanza, cambiarti e pulirti. Mi raccomando, non fare storie e lascia che facciano il loro lavoro. Non ti vogliono fare del male, sono stata io a farli chiamare.
Quando la regina fu uscita Rhaegon quasi riprese a frignare. Gli occhi gli divennero di nuovo lucidi e fece per buttarsi sul materasso, ma in qualche modo riuscì a trattenersi sino all'arrivo dei servi. Se davvero non era un drago almeno doveva far finta di esserlo. Glielo aveva spiegato una volta Maera, la vita è solamente apparenza. E le parole della madre gli avevano tolto qualsiasi dubbio, la sorella gli aveva detto il vero. Quindi avrebbe mantenuto la facciata di un drago, e quando loro se ne sarebbero andati... sarebbe tornato il bambino di prima.
I servi non ci misero molto a bussare alla porta. Non ottenendo risposta entrarono di loro spontanea volontà, e trovarono Rhaegon ancora seduto sul letto, intento a fissare il vuoto. Non si mosse e non scappò come di solito faceva alla vista degli estranei, rimase semplicemente seduto sul materasso, estraniato da tutto e da tutti.
Un servo provò a chiamarlo, ma il principe parve non udirlo. Al che, dovendo eseguire gli ordini impostigli dalla regina, lo prese delicatamente e lo fece alzare per portarlo a lavare, mentre gli altri rifacevano il letto e pulivano la stanza per togliere quell'orribile puzzo.
Lo lavarono lui e alcuni altri in una stanza poco lontana, la quale dava non sul mare ma sulla città sottostante. Mentre lo strofinavano Rhaegon osservò Approdo del Re in tutta la sua vastità. Immaginò quanta gente, quanti pokemon e quanti abitanti vi dovessero abitare, numeri talmente alti che la sua mente semplice non avrebbe mai avuto la forza di realizzare.
Il suo sguardo spaziò per luoghi molto diversi, dal Grande Tempio di Baelor sulla Collina di Visenya ai resti della Fossa del Drago su quella di Rhaenys. Guardò anche verso luoghi più bassi, come il Porto oppure il Fondo delle Pulci. Si ritrovò più volte a pensare come facesse il suo malvagio fratello a portare senza provar vergogna lo stesso nome del pio monarca vissuto più di due secoli prima.

Pianse solo quando i servi se ne andarono dopo averlo rivestito e riportato nella sua camera, che nel frattempo era stata pulita, rifatta ed aveva anche assunto un odore gradevole, merito di qualche unguento. Prima di abbandonarsi di nuovo alle lacrime Rhaegon arrivò quasi a complimentarsi con sé stesso per aver resistito per così all'impulso di scoppiare a piangere.
Si buttò quasi subito a peso morto sul letto, senza quasi guardare il nuovo ambiente che lo circondava. Quasi sfondò il baldacchino, ma non glie ne sarebbe importato comunque nulla. Affondò la testa tra i cuscini mentre ne afferrava un altro e se lo stringeva al petto. Non si curò nemmeno di chiudere di nuovo la porta con l'asse. Che lo vedessero piangere per il bambino che era, questa la crudele sentenza non detta, stabilita se da lui stesso o da sua madre nemmeno Rhaegon lo sapeva. Lasciò infine che le lacrime cominciassero a scorrere da sole, abbandonandosi nuovamente alla disperazione e lasciando che le proprie deboli forze venissero totalmente impiegate nello sforzo di versare le lacrime.
Mentre provvedeva a sfare nuovamente il letto scalciando di tanto in tanto e agitandosi, si mise di nuovo a ripensare a sua zia Jaella. Cioè, non era propriamente sua zia, era già la zia di suo padre, questo lo aveva imparato guardando gli arazzi quand'era più piccolo assieme alla stessa Jaella. Lei gli aveva insegnato a leggere il proprio nome ed il suo, come anche gli tutti gli altri della sua famiglia. Aveva anche provato ad insegnargli a scriverli, ma la mano di Rhaegon si era rivelata troppo tremolante per riuscire a vergare come si deve anche solo una lettera.
Se c'era qualcun'altro che voleva bene e capiva Rhaegon ancor più di suo padre e di Laerion, quella era sicuramente Jaella Targaryen. Figlia di Rhaegar il Saggio e sorella di Jacaerys il Temerario, sorellastra di Aegon il Buono e di Rhaenys la Tenace. Zia di tre re e prozia di un altro, Jaella Targaryen aveva vissuto per più di otto decadi prima di spegnersi due giorni prima nella Fortezza Rossa, all'età di ottantasei anni. Rhaegon non si ricordava mai di aver pianto così tanto.
Non gli era mai stato permesso di vedere il corpo. All'inizio si era persino rifiutato di credere che la zia fosse morta quando Maera era venuta per dirglielo. Aveva iniziato a piangere allora, con la sorella che tentava di consolarlo. Vedendo i suoi sforzi vani, Maera se n'era andata, lasciandolo sfogare. Sfogo che ancora non era terminato dopo quasi tre giorni.
L'avevano bruciata nel cortile della fortezza la sera precedente. Dovevano aver esposto il corpo da qualche parte, altrimenti non avrebbero aspettato così tanto. Rhaegon non aveva visto il rogo, solo un fumo più scuro del cielo notturno quando aveva aperto la finestra. Il vento l'aveva raccolto e l'aveva trasportato chissà dove, sul Mare Stretto.
Se c'era una cosa che il principe non riusciva a concepire era che la sua amata zia fosse finita in fumo. Le membra che un tempo si erano strette a lui, nel letto della principessa, mentre ella gli narrava le leggende e le gesta degli antichi Targaryen, come Aegon il Conquistatore, Daeron il Giovane e Aemon il Cavaliere di Drago, adesso erano semplicemente svanite nell'aria, consumate dalle fiamme, le ossa ridotte in polvere. Era pur sempre una Targaryen, e i Targaryen morti mai avrebbero conosciuto il freddo abbraccio della terra, solo le fiamme li attendevano oltre la morte.
Ma così Rhaegon non avrebbe mai potuto depositare un fiore sulla sua tomba. Non avrebbe mai avuto un posto dove ricordarla adeguatamente. Aveva persino sentito dire da uno dei servi che la sua camera da letto sarebbe presto stata occupata da qualcun altro. Rhaegon voleva morire, morire solamente per potersi ricongiungere con l'unica persona che gli avesse veramente voluto bene. Nessuno adesso gli voleva bene, nemmeno Maera. Sentiva che per lui non provava affetto, ma solo compassione.
Rhaegon voleva morire, e provò a soffocarsi sia trattenendo il respiro più a lungo che poteva che tuffando la testa contro i cuscini, premendoseli spasmodicamente contro la faccia. Ma lo Sconosciuto non arrivò.

Perse la cognizione del tempo mentre piangeva. Potevano essere passati giorni interi come benissimo pochi minuti, ma la faccia rigata dalle lacrime del principe oramai conosceva solo la superficie morbida e umidiccia dell'ormai zuppo materasso. Non avrebbe mai smesso di piangere se non avesse sentito i battiti alla porta.
Dapprima non se ne accorse, preso com'era a frignare, ma quando essi si fecero insistenti si girò senza tuttavia alzarsi. Aspettò alcuni momenti per capire se non se li era immaginati, non smettendo comunque di singhiozzare. Quando li sentì, bofonchiò qualcosa di incomprensibile che poteva suonare come un "vattene via" e si rituffò nel suo giaciglio.
Ma non smisero di bussare. Adesso Rhaegon si era veramente infuriato. Chi era che lo stava disturbando? Voleva solo piangere in pace! Se sua madre voleva che superasse il lutto almeno che glielo lasciasse fare a modo suo, facendogli finire le lacrime, e non voleva essere disturbato mentre lo faceva.
Pensando che fosse sua madre si alzò definitivamente dal letto e corse verso la porta spalancandola. Voleva urlargli tutto il suo disprezzo per lei, gridandogli in faccia di andarsene, che non la voleva, che voleva essere lasciato in pace.
Ma quando aprì la porta la persona che si ritrovò davanti non era sua madre.

Note dell'autore
Esatto, mi piacciono i protagonisti particolari. E dopo Neville di I am legend vi beccate anche Rhaegon Targaryen (personaggio inventato da me, chiariamoci, come la stragrande maggioranza di quelli che compariranno).
Chiedo scusa se ancora i pokemon non sono apparsi, ma essendo il protagonista del prologo un condannato a morte e quello del primo capitolo uno con problemi non sono esattamente il genere di persone a cui vengono fatti usare.
A presto,
A_e



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Capitolo 3
*** Haerrik I ***


Haerrik

Quella notte nessuno riuscì a dormire a Capo Tempesta. Tutto cominciò poco prima dell'Ora del Pipistrello, quando ancora al sorgere del sole mancava poco. Fu attorno a quel periodo che cominciarono a sentirsi i primi rumori, e nel giro di mezz'ora l'aria si era riempita di grida, versi e latrati. I primi raggi del sole mattutino avevano rischiarato una fortezza in preda alla confusione più totale.
Nessuno riuscì a capire com'era successo. Semplicemente pareva che ad un certo punto qualcuno fosse penetrato nottetempo nelle stalle e avesse irritato oppure spaventato gli animali. La parte peggiore però era che anche i pokemon si erano infuriati. Uno di loro aveva sfondato i possenti ma vecchi portoni di legno, fuggendo all'esterno e dando via ad un fuggi fuggi generale.
Molti pokemon erano usciti subito con al seguito i cavalli, mentre per qualche strano motivo alcuni erano rimasti all'interno come se non fosse successo nulla. "Bé, meno lavoro per noi" pensò con un sospiro di sollievo Haerrik. Si era appena svegliato e non gli andava proprio di giocare a fare il cacciatore.
Quando Nynt, il maestro dei cavalli, aveva udito il trambusto all'esterno si era precipitato a vedere cosa succedeva, non prima di aver incaricato suo figlio Nysen di restare a guardare i ragazzi delle stalle, tra i quali c'era anche Haerrik. Era rientrato di corsa dopo pochi minuti, quando oramai tutti si erano svegliati e si chiedevano cosa stava succedendo. Era sudato e aveva il fiatone, i capelli grigi che gli ondeggiavano attorno alla faccia. Aveva spiegato in fretta la situazione (almeno quello che aveva capito) e in testa ai ragazzi della stalla era di nuovo uscito per riacchiappare i pokemon evasi.
Haerrik invece era stato mandato assieme a Oss e Aley a controllare la stalla per vedere se c'era rimasto qualche animale dentro. Avrebbero poi dovuto tornare a riferire a Nynt o a suo figlio - più a questo che all'altro - la situazione all'interno, e nel caso non fosse stata problematica sarebbero andati ad aiutare gli altri a riprendere i fuoriusciti.
I tre costatarono con piacere che molti dei cavalli erano rimasti al loro posto, addormentati o solo lievemente nervosi. Anche qualche pokemon non si era mosso, ma era stata la maggioranza di loro a dare in escandescenza, ed era questo il problema più grosso. E non era per niente una cosa bella.
I pokemon non erano come gli animali normali, erano molto più particolari. E soprattutto pericolosi. Ma la loro caratteristica principale era tutto il chiasso che facevano. Una volta aveva Haerrik sentito dire che erano stati gli antichi valyriani a dare il nome ai pokemon. La parola derivava da due vocaboli, pokaerys e aeklemon, rispettivamente aventi il significato di "bestia" e "rumoroso". Almeno così aveva sentito dire. Così in un colpo solo aveva arricchito la propria cultura e imparato che anche gli antichi valyriani avevano capito come girava il mondo.
- I cavalli ci sono quasi tutti - disse Oss dopo una veloce conta - Sono rimasti ventinove su quaranta.
Nonostante nessuno di loro sapesse né leggere né scrivere gli stallieri sapevano tutti far di conto. Era un requisito fondamentale per molti mestieri in fondo, vi erano anche stati costretti. Era stato maestro Quetor prima e maestro Laezroth poi a insegnare al piccolo Haerrik a far di conto. Nei nove anni in cui aveva abitato a Capo Tempesta si erano avvicendati tre maestri, di cui l'ultimo era stato maestro Dewey. Era originario dell'Altopiano e si sentiva. Era anche nobile, di casa Orme si diceva, lo si percepiva nel suo modo di parlare. Haerrik aveva preferito decisamente Quetor e Laezroth ai modi spocchiosi dell'altro. Peccato fossero morti per la loro età avanzata.
- Meno male - annuì Aley in tono grave.
Era una cosa sia positiva che negativa. Le stalle non sembravano essere state danneggiate più di tante, constatò Haerrik, solo qualche asse spezzata e qualche divisione abbattuta, nulla di che. Il lavoro di un falegname avrebbe risolto tutto. Ma adesso toccava loro andare fuori ad aiutare gli altri, e non sarebbe stato per nulla un compito facile.
- Allora andiamo, dobbiamo andare da Nysen a dirglielo.
I tre uscirono quasi immediatamente dalle stalle, stando bene attenti a richiudere dietro di sé i resti del portone. Era la prima cosa che ad Haerrik avevano insegnato, richiudere sempre il portone alle proprie spalle, anche se magari poteva essere del tutto inutile. Le possenti porte erano state infatti per metà divelte dai cardini. Un'anta era caduta a terra, mentre l'altra pendeva in modo decisamente sbagliato.
Appena uscirono videro che la situazione non era delle migliori. Già solo nel grande piazzale del castello c'erano almeno una decina di combattimenti in corso, ed era già tanto se si riusciva a distinguere uno scontro dall'altro. Verso l'angolo nordovest cinque stallieri stavano tentando di mettere con le spalle al muro un Infernape, mentre dalla balconata soprastante altri due erano pronti con una grande bacinella d'acqua per gettargliela addosso e destabilizzarlo. Un Monferno invece si era arrampicato sulla grata di ferro che chiudeva le porte del castello, disperdendo quelli sotto di lui bersagliandoli con palle di fuoco. Un Quilava correva all'impazzata per il cortile, schivando agilmente gli altri pokemon e gli stallieri che tentavano di prenderlo, mentre un Fletchinder e un Fearow volavano in circolo al di sopra della confusione, lanciandosi di tanto in tanto qualche attacco l'un l'altro. Queste erano le prime cose che saltavano all'occhio.
Non persero tempo, individuando subito Nysen alle prese con un riottoso Zebstrika assieme ad altri due stallieri. Il pokemon era circondato dagli uomini, e si muoveva lentamente nitrendo in modo minaccioso e percettibile. Quelli che l'attorniavano se ne tenevano bene a distanza, mentre sembravano star aspettando solo l'occasione giusta per intrappolarlo.
E così infatti fu. Quando ormai Haerrik e compari erano quasi arrivati da Nysen questi con uno scatto fulmineo si gettò contro il pokemon, schivando agilmente un fulmine diretto contro di lui e saltandogli in groppa dopo averlo preso per il collo. Lo Zebstrika nitrì furiosamente, scalciando e ondeggiando per far cadere quel cavaliere indesiderato.
- Le briglie, presto! Datemi il morso! - urlò agli stallieri a terra.
I due, senza perdere tempo, cercarono di avvicinarsi il più possibile per riuscire a gettare a Nysen le redini. Il pokemon ne era infatti sprovvisto, ma lo avrebbero sicuramente calmato o almeno stordito se fossero state montate.
Haerrik, Aley e Oss decisero di dare una mano. Si consultarono brevemente con Symond ed Elmetto, gli stallieri che stavano aiutando Nysen, e adottarono in fretta una strategia. Era estremamente semplice, ma se fossero stati attenti e l'avessero applicata a dovere avrebbero avuto sicuramente successo.
I tre si sparpagliarono attorno allo Zebstrika, e cominciarono a fare quanto più rumore possibile. Certo, era un'impresa riuscire a farsi sentire in mezzo a tutto quel casino, ma diedero fondo all'aria nei loro polmoni per potercela fare. Agitavano le braccia in alto e urlavano come dei forsennati, correndo a scatti e arrestandosi di colpo. Sembrava che qualche strana entità li stesse possedendo, facevano quasi paura. E in fondo era proprio questo l'effetto che volevano ottenere.
Si tenevano a distanza abbastanza ravvicinata per mettere alle strette il pokemon, il quale nel frattempo era tenuto faticosamente a bada da Nysen che cercava di calmarlo e di bloccarlo al tempo stesso. Ad un segnale concordato i tre scattarono contemporaneamente in avanti urlando a squarciagola e protendendo minacciosamente le braccia in avanti, e allora successe quel che doveva succedere.
Lo Zebstrika allora si impennò in tutta la sua altezza. Nella sua posa normale superava di poco i cinque piedi, Haerrik aveva visto qualche uomo più alto di cosi. Ma eretto in tutta la sua vera altezza uno Zebstrika arrivava anche a superare i sette piedi e mezzo, abbastanza da farsela fare addosso anche da un gigante come lo doveva essere stato ser Duncan l'Alto.
Si impennò nitrendo, e per poco Nysen non cadde rovinosamente. Riuscì in qualche modo a tenersi aggrappato al collo della animale, stringendosi spasmodicamente e penzolando per metà nel vuoto. Lo Zebstrika non parve farvi caso e agitò gli zoccoli anteriori per scacciare quei pazzi che gli stavano davanti.
Fu allora che Symond ed Elmetto agirono. I due, che si erano portati alle spalle del pokemon, si lanciarono gridando contro di lui, tenendo ben strette le briglie. Urlarono per attirare l'attenzione di Nysen, il quale subito voltò la testa e capì le loro intenzioni. Sfortunatamente anche il pokemon fece lo stesso.
Percependo di essere assalito da più lati decise di agire. Atterrò pesantemente sulle zampe anteriori, quasi schiacciano Aley che riuscì a spostarsi per poco dalla mortale traiettoria. Il pokemon, con il capo leggermente girato all'indietro per capire chi lo stava attaccando, scalciò.
Symond fu rapido e scansò subito la testa, facendo finire lo zoccolo nel vuoto. Elmetto invece fu colpito in pieno. Quasi per un riflesso involontario aveva chinato la testa subito prima che il calcio partisse, e lo zoccolo colpì con un rumore metallico il pesante elmo che lo stalliere portava sempre sulla testa e da cui derivava anche il suo nome.
Elmetto cadde frastornato, portando con sé anche quel che aveva. Symond invece riuscì a gettare a Nysen un semplice morso, che però si fece bastare. Afferrò al volo lo strumento e lo infilò fulmineamente nella bocca semiaperta dello Zebstrika. Questi, furente, riprese a scalciare e a nitrire, e per poco a Oss non venne sfondata la testa. Nel farlo però chiuse la bocca e decretò così la sua cattura.
Appena vide che il morso era finito in bocca al pokemon Nysen si riassestò rapidamente sul suo dorso e diede un secco strattone. Immediatamente lo Zebstrika si impennò di nuovo, facendo sprizzare scintille tutt'attorno. Per non essere colpito sul volto Haerrik dovette proteggersi con un braccio, e un attimo dopo sentì un terribile bruciore. Quando tornò a guardare vide che un getto di elettricità gli aveva incenerito buona parte della manica, lasciandogli scoperto un pezzo di carne viva. Ma lì per lì non sentì alcun dolore, forse a causa dell'eccitazione per quelle circostanze.
Haerrik si buttò a terra, e così fecero anche Oss, Aley e Symond (Elmetto c'era già invece, giacendo incosciente a qualche piede di distanza). Era una delle cose da fare quando un pokemon di tipo Elettro stava attaccando, buttarsi a terra dava un'alta probabilità di non essere colpiti. Ciò non voleva dire di essere al sicuro, ma fortunatamente per loro il pokemon fu domato prima che potesse attaccare nuovamente.
Nysen era incredibilmente bravo come stalliere, e un giorno avrebbe sostituito degnamente suo padre Nynt alla guida delle stalle di Capo Tempesta. Se la cavava bene soprattutto con i pokemon, e se già suo padre era capace di fornire i migliori pokemon di tipo Elettro, Fuoco, Lotta e Volante ai membri della casa Baratheon allora Nysen avrebbe sicuramente fatto di meglio.
A dimostrazione delle sue innate capacità riuscì a calmare in fretta lo Zebstrika sussurrandogli parole in una delle orecchie. Per un attimo Haerrik pensò che Nysen dovesse avere il Dono, ma gli passò di mente quasi subito. Il Dono era una cosa rara, e Nysen sapeva fare quella cosa di certo per la sua esperienza con gli animali, non certo perché sapeva parlare con i pokemon. Del resto c'era già Gravven Wensington per questo, l'attendente di lord Orson. Lui sì che possedeva veramente il Dono.
Nysen smontò delicatamente dal pokemon e allentò la presa del morso, sempre continuando a parlargli mentre lo accarezzava. Lo Zebstrika sembrò calmarsi tutt'a un tratto, chinando subito umilmente il capo. Il magro stalliere fece uno sguardo compiaciuto, conducendolo verso i suoi sottoposti sdraiati a terra.
- Alzatevi! - gli urlò - Ho bisogno di qualcuno che lo riporti nelle stalle!
Tutti, tranne Elmetto per ovvie ragioni, si rialzarono. Aley si fece avanti per prendere le briglie, le quali gli vennero consegnate dal sudato Nysen.
- Tu - ordinò a Symond accennando nel mentre ad Elmetto steso per terra - Riporta il tuo amico nelle stalle, non mi sembra messo bene. Poi torna qui, se ne occuperà maestro Dewey.
I due stallieri eseguirono gli ordini, l'uno facendo avanzare il pokemon tenendosi rasente il muro per non incappare nel clamore degli scontri, mentre l'altro correndo con il ragazzo svenuto in braccio. Haerrik li osservò per un attimo mentre se ne andavano, poi Nysen disse a lui e ad Oss di seguirlo per aiutarlo in una nuova cattura.
Mentre si dirigevano verso lo scontro successivo dalle mura interne uscirono anche i nobili, risvegliati da tutto quel baccano notturno. Gravven Wensington si precipitò fuori da una porticina laterale del palazzo principale mentre si stava ancora infilando precipitosamente un farsetto.
- Presto! Di là, di là! - provò a ordinare a un gruppo di stallieri che gli stavano passando accanto correndo, i quali lo ignorarono bellamente. L'attendente gli urlò dietro, ma servì a ben poco data tutta la confusione circostante.
Mentre incedevano attraverso il cortile trasformatosi in un campo di battaglia ad una balconata si affacciò lady Naelys. Haerrik non poté fare a meno di non guardarla. Nonostante la luna fosse ormai in procinto di scomparire nel cielo i suoi raggi facevano brillare i suoi lunghi capelli argentei da Targaryen, riconoscibili anche da miglia di distanza. Il ragazzo non poté fare a meno di pensare alla sua bellezza, nonostante oramai avesse più di quarantacinque anni e il suo corpo pareva appartenere ad uno scaricatore di porto piuttosto che ad una donna. Forse Haerrik da adulto sarebbe diventato robusto come sua nonna, chi poteva saperlo.
Restò a fissarla per un attimo di troppo. Lo sguardo della lady ricadde rapidamente su di lui, e mosse la bocca come a volergli dire qualcosa. Agitò anche una delle sue braccia ad indicare qualcosa dietro di lui. Haerrik non capì, ma lo intendette anche troppo bene quando sbatté violentemente la faccia a terra.
Sentì di avere il sapore schifoso del terreno in bocca, e sputò subito un grumo di saliva mista a terriccio. Si puntellò subito sui gomiti, trattenendosi dall'imprecare. Si guardò attorno, e vide che anche Nysen e Oss erano a terra a fianco a lui.
- Che cazzo è successo? - chiese con voce ansante.
Oss alzò la testa e indicò debolmente con un braccio il muro davanti a loro. Buona parte dei mattoni era stata divelta dalla muratura, e adesso giacevano spezzati grossolanamente a terra. Probabilmente qualche pokemon aveva lanciato un attacco verso di loro e Nysen aveva spinto a terra i due ragazzi.
- State tutti bene? - chiese questo tossendo mentre si rialzava.
- Sì - disse Oss, nonostante si stesse stringendo il braccio.
- Che è successo? - ripeté Haerrik verso il superiore.
- Una palla di fuoco - un altro colpo di tosse - Stava venendo dritta verso di noi. Me ne sono accorto in tempo e mi sono buttato addosso a voi. La sicurezza dei ragazzi prima di tutto.
Haerrik si voltò e vide che la sezione di muro che un attimo prima era davanti a lui adesso era scomparsa, lasciando al suo posto uno strato di mattoni semifusi che stavano lentamente colando a terra. Il ragazzo rabbrividì al pensiero che anche la sua carne sarebbe diventata così se fosse stato colpito. Doveva solo ringraziare Nysen e la sua prontezza di riflessi, altrimenti avrebbe fatto la fine di una sventurata pecora arrostita da un drago.
Haerrik si rialzò, e proprio in quel momento da una porta laterale uscì ser Baelon. Era magnifico, avvolto nel mantello color ocra di casa Baratheon, recante il cervo nero incoronato. Sotto doveva indossare la camicia da notte, ma anche se così fosse stato non si vedeva per nulla. La spada pendeva sul suo fianco, tintinnando nel fodero ogni volta che sbatteva contro la sua pelle, mentre con una mano guantata l'uomo teneva l'elsa.
Nonostante si fosse appena svegliato come tutti loro sembrava fresco come una rosa, e i suoi capelli neri come il carbone sembravano essere più lucidi alla luce delle fiamme. Il suo sguardo era risoluto, decisamente era intenzionato a mettere fine a tutta quella faccenda, e stava puntando direttamente a Wensington l'attendente, il quale si trovava a qualche decina di metri di distanza.
Fu solo per un attimo che Haerrik vide suo padre, il quale poi passò oltre senza probabilmente averlo nemmeno notato né riconosciuto, tanto sporco era di cenere e terra. Il ragazzo si sentì leggermente offeso da quel comportamento. Sarà anche stato solo il suo figlio bastardo, ma era l'unico figlio che aveva! Per la Madre, come si permetteva di ignorarlo così?
Haerrik Storm venne presto distolto dai suoi pensieri da un nuovo richiamo di Nysen, il quale gli ordinò di seguirlo assieme ad Oss. Mentre si apprestavano a prendere parte ad un'altra cattura, Haerrik notò che l'erede di Capo Tempesta si era appartato per parlare con Gravven Wensington, stando bene attento a non dare nell'occhio. Assieme a loro c'era anche Nynt, il quale annuiva ogni volta che ser Baelon diceva qualcosa.
Nel giro di un'oretta la situazione pareva essere migliorata un poco. Grazie all'ausilio di acqua, museruole, reti, morsi, qualsiasi attrezzo adatto per intrappolare le bestie, molti dei pokemon erano stati ricatturati. Certo, ancora qualche bestia ostinata resisteva qua e là, ma grazie al lavoro instancabile degli scudieri molti dei pokemon fuggitivi vennero ripresi.
Haerrik poté vantare di aver contribuito alla cattura di un Magmortar, del Quilava che scorrazzava per il cortile e di un Galvantula che si era arrampicato in un anfratto della Torre dell'Ingranaggio. Il ragazzo era salito su nella torre, e assieme ad Owen, l'assistente del maestro Dewey in quel momento nelle stalle a curare i feriti, aveva abilmente districato una rete dalle maglie fittissime mentre dalla finestra sottostante altri scudieri distraevano il pokemon. Quando poi il pokemon Elettroragno aveva cominciato a bersagliare coloro che lo disturbavano con palle di tela appiccicosa Owen e Haerrik gli avevano buttato la rete addosso. Il pokemon, nel tentativo di liberarsi, aveva perso la presa sulla parete ed era precipitato di sotto nel cortile, dove alcuni scudieri prontamente lo riportarono nelle stalle.
Appena fu tornato nel cortile vide che un folto gruppo di stallieri si era radunato al centro dello spiazzo, intenti ad osservare la cima del Fortino di Durran. Haerrik li raggiunse, curioso di sapere cosa li intrattenesse, e quello che vide fu davvero stupefacente.
Appena alzò la testa gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo di due secoli e mezzo, quando sopra i cieli di Capo Tempesta si affrontarono i draghi Arrax e Vhagar. Erano infatti in corso almeno tre battaglie aeree differenti, e tutte vedevano almeno un partecipante di tipo Fuoco. Un Charizard stava affrontando un Pidgeot, un Talonflame lanciava implacabilmente attacchi contro un Emolga mentre un Fletchinder stava inseguendo ad una velocità spaventosa uno Spearow.
Haerrik non poté fare a meno di restare a bocca aperta. Non era tanto per il fatto che ben tre battaglie diverse infuriavano sopra la fortezza, quanto per il modo in cui esse venivano combattute. Gli sfidanti non parevano star combattendo, sembravano anzi quasi danzare. Schivavano agilmente le lingue di fuoco lanciate dagli avversari e scivolavano leggiadramente per le correnti d'aria, facendo sembrare l'intero processo quasi un grande ballo.
Ma per quanto lo spettacolo potesse sembrare bello era presto destinato a finire a causa della bellicosità dei suoi partecipanti. I maestri della Cittadella avevano appurato che lo spirito di autoaffermazione dei pokemon li portava quasi automaticamente a combattere contro i propri simili solo per affermare la loro superiorità, un po' come i branchi di lupi su nel Nord dei Sette Regni.
Il primo a cadere fu l'Emolga, il quale venne colpito da una palla di fuoco scagliata dal Talonflame e precipitò nel vuoto percorrendo cerchi concentrici sempre più piccoli, mentre il fuoco che l'aveva avvolto disegnava strane spirali nell'aria circostante. Precipitò dritto contro il tetto liscio del fortino, e sembrò che l'impatto dovesse essere inevitabile
Solo allora Haerrik si accorse che sulla cima del Fortino di Durran stavano un nugolo di persone. Alcune tendevano una vasta rete, altre erano armate di corde e altre ancora di rampini, mentre due stallieri particolarmente corpulenti reggevano un bacile pieno d'acqua mentre un terzo armato di secchio scrutava preoccupato il cielo.
Appena l'Emolga rimbalzò sulla rete l'uomo col secchio lo immerse nel bacile e gettò dell'acqua addosso al pokemon. Bastò tanto per spegnere le fiamme, e immediatamente un altro servo, approfittando del fatto che fosse stordito, gli saltò addosso e lo assicurò con delle corde, provvedendo poi a riportarlo nella fortezza.
Poco dopo fu il turno del Talonflame che aveva battuto l'Emolga. Il pokemon aveva preso la non troppo saggia decisione di scontrarsi contro il Charizard, non uscendone vincitore. Probabilmente il pokemon Fiamma gli spezzò un'ala, dato che il Talonflame ricadde malamente sul tetto del fortino con una traiettoria innaturale. Fu immediatamente acciuffato da chi si trovava lì.
Haerrik seppe in quel momento di voler salire sul tetto del fortino. Lui doveva essere là per assistere a quel combattimento spettacolare, probabilmente non ne avrebbe mai visto nessun altro del genere. Forse solo se fosse venuta una guerra si sarebbe potuta verificare quest'eventualità, ma ovviamente nessuno ci sperava per ovvi motivi.
Appena fece per muoversi verso l'entrata del fortino venne raggiunto da Oss e Aley, i quali l'avevano visto uscire dalla folla e dirigersi freso il Fortino di Durran.
- Dove vai? - gli chiese uno.
- Non penserai di andare lì a farti ammazzare? - disse l'altro.
- Non senza di noi almeno - risposero in coro.
Erano i suoi migliori amici. Erano cugini, almeno questo gli sembrava di aver capito. Venivano da un villaggio delle terre di lord Staedmon, ma erano emigrati a Capo Tempesta quando ancora erano piccoli assieme ai loro genitori a seguito della Primavera di Sangue. Avevano abitato con i propri parenti nell'ammasso di baracche che si era formato attorno alla fortezza, ma quando un'epidemia di febbri aveva sterminato le loro famiglie erano rimasti orfani assieme a molti altri ragazzi.
Era stato allora che Nynt, il maestro delle stalle di Capo Tempesta, aveva avuto l'idea degli stallieri. Dopo aver ottenuto il consenso di lord Baratheon aveva proceduto a raccogliere dalla strada i bambini, portandoli dentro le mura del castello e facendone dei perfetti stallieri. Alcuni di loro erano divenuti persino scudieri, la maggior parte di cavalieri erranti, addirittura qualcuno del figlio di qualche nobile di piccolo calibro.
Haerrik invece era lì semplicemente perché era stato rifiutato da suo padre quando sua madre si era presentata con lui. Quando, un giorno di dodici anni prima, sua madre si era presentata con lui in braccio, nessuno aveva voluto credere che si trattasse del figlio naturale di ser Baelon Baratheon, e le guardie non l'avevano nemmeno lasciata entrare, schernendola e invitandola ad andarsene.
Proprio in quel momento però passava sulle mura lady Naelys, la quale si incuriosì di tutto quel trambusto al ponte levatoio e andò a vedere. Una volta saputa la storia fece entrare i due e mandò a chiamare maestro Quetor, il sapiente in servizio al tempo a Capo Tempesta. Non ci volle però la sua conferma per attestare che la donna diceva il vero: se già i capelli neri come il carbone del bambino non fossero stati una prova sufficiente si potevano considerare anche i suoi splendidi occhi violetti, caratteristica peculiare dei Targaryen che ser Baelon aveva ereditato dalla madre.
Baelon Baratheon venne convocato seduta stante e venne messo di fronte alle sue colpe. Il risultato di un'azzardata avventura amorosa dell'anno precedente, non c'erano dubbi. Tutti sapevano che ser Baelon si dilettava a scorrazzare per le campagne quando poteva, e quel che combinava oltre andare a caccia lo si poteva intuire. La madre lo mise di fronte a suo figlio, obbligandolo a guardarlo.
Un servo gli raccontò le testuali parole della nonna:"Allora? Neghi ancora di essere suo padre? Io non sono stupida e nemmeno la maggior parte degli abitanti di Capo Tempesta. Oramai a quest'ora la voce si sarà diffusa, le guardie avranno sicuramente parlato. Prova un po' di vergogna per una volta, guarda il risultato della tua dissolutezza".
L'uomo non aveva replicato, aveva solo abbassato la testa. Aveva chiesto sommessamente alla madre il permesso di andarsene, e poco dopo la principessa Naelys accordò a Haerrik e sua madre il permesso di rimanere nel piccolo villaggio fuori le mura del castello. Da quel momento l'erede di Capo Tempesta non uscì più dalla fortezza se non per stretta necessità, e le voci che parlavano della sua passione per le donne morirono nel giro di un paio d'anni.
Poi, meno di nove lune dopo, l'epidemia di febbri. Haerrik era rimasto contagiato, ma la madre morente riuscì a portarlo fino a maestro Quetor, penetrando nottetempo nella fortezza quando le guardie l'avevano già cacciata una volta. Era spirata poco dopo, consumata dalla stessa malattia del figlio. Lui invece era stato capace di guarire grazie alle abili cure del maestro, ed era solo a lui che doveva la vita. Poi in mancanza di parenti (e dopo il rifiuto di Baelon Baratheon di prendersene cura), il piccolo Haerrik era stato dato a Nynt, il quale era stato ben contento di crescerlo come uno dei suoi ragazzi di stalla, poiché un paio di braccia in più non avrebbero di certo fatto male.
Nonostante il rifiuto del padre, Haerrik non se l'era affatto presa per questo. Certo, era il figlio di uno dei nobili più potenti dei Sette Regni, ma non avrebbe desiderato nulla dalla vita di più di quanto già non avesse. Nelle stalle aveva vitto, alloggio, amici, una casa. Nessuno lì lo chiamava bastardo (complice anche il fatto che molti altri lo erano), o se lo facevano era solo quando non prestava attenzione ed erano costretti a ricorrere alle maniere forti. Aveva conosciuto Oss e Aley, i suoi due migliori amici, e molti altri come Symond ed Elmetto, e amava il cameratismo che si era creato tra tutti loro.
Ma non stette a riflettere su tutto ciò che poteva perdere quando assieme ai suoi amici si affrettò a salire su per le scale del Fortino di Durran. Le scale erano strette e ripide, e ogni tanto erano costretti ad appiattirsi contro il muro per lasciar passare qualcun altro che scendeva o saliva di fretta. Da dentro il forte nel forte sembrava molto più piccolo di quanto non apparisse, e ciò era dovuto al fatto che le mura del Fortino di Durran erano spesse svariati piedi.
Quando finalmente arrivarono alla fine delle scale nessuno si accorse della loro entrata sulla cima del fortino, anche perché tutti erano col capo per aria a scrutare attenti e preoccupati quello che accadeva sopra di loro. Haerrik e i suoi amici si gettarono una rapida occhiata intorno per vedere dove sistemarsi. L'angolo ovest era occupato dalle reti contenenti i pokemon più ingombranti, i quali per essere riportati nelle stalle necessitavano di essere calati direttamente dalla cima della torre. Nel frattempo che loro facevano le scale anche il Pidgeot era caduto, andando a far compagnia al Talonflame (l'Emolga, essendo abbastanza piccolo, era già stato riportato nelle stalle, avevano visto uno stalliere con in braccio il pokemon mentre salivano).
Gli angoli nord e sud, anche se era poco corretto parlare di angoli visto che la cima della torre era una circonferenza perfetta, erano già occupati da coloro che reggevano gli estremi della rete così come il centro, leggermente rialzato rispetto al resto del piano. Così i tre optarono per l'angolo est, la parte che dava sul mare, dove c'erano meno persone a intralciarli. Si appostarono dietro un grosso merletto e stettero ad osservare la scena che si svolgeva sopra le loro teste.
Il Charizard, dopo aver sconfitto il Pidgeotto, fece per attaccare il Fletchinder. Haerrik pensò che la stazza del pokemon Fiamma gli avrebbe fatto sicuramente avere la meglio, ma si dovette presto ricredere. Charidard aveva sì una grossa mole, ma nel volo era lento, decisamente troppo per l'avversario.
Appena provò ad attaccarlo Fletchinder distolse per un attimo la propria attenzione dallo Spearow giusto per fare una spettacolare e velocissima inversione ad U nel cielo. Il Charizard non ebbe nemmeno il tempo di reagire mentre l'altro pokemon lo colpiva con il becco in pieno petto. Dopodiché con tre rapidi colpi di ali Fletchinder si portò a distanza di sicurezza dall'avversario, si girò e riprese la propria caccia.
Charizard ruggì per la rabbia, ma dopo alcuni attimi smise di battere le proprie ali prendendo così a cadere di sotto.
- La rete! Tendete la rete! - urlò qualcuno.
Haerrik ebbe solo un attimo per ragionare. Quel pokemon doveva pesare almeno duecento libbre a giudicare dalla grandezza, solo un pazzo avrebbe provato a sollevarlo. Figuriamoci cosa avrebbe fatto quando si sarebbe schiantato ad una velocità così elevata.
In effetti quando Charizard atterrò sulla rete la forza dell'impatto fu così violenta che tutti coloro che la reggevano ricevettero una spinta, come uno strattone in avanti. Non poterono fare a meno di assecondarla, e molti di loro caddero a terra dopo pochi piedi di corsa forzata. Due uomini si schiantarono contro i merletti, mentre un altro fu meno fortunato trovando un tratto di mura senza niente per fermarlo. Le gambe si schiantarono con violenza contro la pietra del muretto, l'uomo cadde in avanti e volò oltre il bordo della torre, cadendo nel vuoto. Nessuno riuscì a sentire quando si schiantò nel cortile sottostante.
Haerrik ebbe un brivido. Aveva intravisto per un attimo la faccia dell'uomo prima che volasse di sotto, e ne era rimasto turbato. Esprimeva un terrore cieco di fronte alla consapevolezza che di lì a pochi secondi sarebbe precipitato giù dalla torre, i lineamenti tirati e i muscoli contratti. Si considerò fortunato di non essere stato chiamato per svolgere quel compito, ma non per questo non avrebbe accettato se gliel'avessero chiesto. Gli sarebbe veramente piaciuto dimostrare il suo coraggio e il suo valore a quel padre che non lo considerava solo perché era un bastardo.
Il meglio del combattimento però doveva ancora venire. Una volta sconfitto il Charizard il Fletchinder aveva ripreso ad inseguire lo Spearow, il quale però aveva notevolmente distanziato l'inseguitore nel mentre del combattimento tra questi e il pokemon Fiamma. La distanza però si ridusse in pochissimo tempo, ma ad Haerrik non sembrava che fosse stato Fletchinder ad acquisire velocità quanto Spearow a ridurre la propria. Ma non gli sembrava nemmeno che fosse stanco, forse... l'aveva fatto intenzionalmente?
Per un attimo sembrò che il pokemon Sfavillante dovesse raggiungere e sopraffare lo Sguardofermo, ed allungò anche le proprie zampe artigliate per tentare di ghermirlo. Ma la sua morsa si chiuse sull'aria, dal momento che lo Spearow riacquistò slancio tutto d'un tratto, sorprendendo sia il suo inseguitore che gli spettatori a terra. Il Fletchinder lanciò un ululato di frustrazione e riprese l'inseguimento.
Ma lo Spearow era troppo in gamba. Ogni volta che sembrava essere stato raggiunto riusciva a svincolarsi dal tiro nemico grazie ad improvvise e provvidenziali virate, oppure buttandosi in picchiata sulla fortezza oppure salendo ancora di più nel cielo. Haerrik non aveva mai visto uno spettacolo tanto bello quanto pericoloso.
La battaglia, se così si poteva chiamare in quanto al massimo era il Fletchinder a lanciare di tanto in tanto degli attacchi, sembrò durare per un tempo infinito. Haerrik di preciso non seppe dire quanto tempo passò, però di sicuro doveva essere molto in quanto ad un certo punto cominciò a fargli male il collo da quanto lo teneva alzato. Si vide costretto ad abbassare la testa per un attimo, prendendosi a massaggiare il retro della nuca con una mano per cercare di far cessare il dolore.
Fu proprio in quel momento che lo Spearow si stancò. Fece improvvisamente una brusca virata, scendendo in picchiata contro il Fortino di Durran. L'inseguitore prontamente lo imitò, lanciandosi sulla sua scia. Il ragazzo non vide nulla di ciò essendo col capo chino, ma poté intuire qualcosa dalle esclamazioni di stupore di chi lo attorniava, in partiolare Aley e Oss avevano gli occhi sgranati.
Sentì come un tonfo provenire dall'altra parte della torre, come se vi si fosse schiantato qualcosa. Quando finalmente rialzò la testa Haerrik si vide arrivare contro letteralmente una scheggia. Non ebbe tempo di scansarsi, semplicemente fece quello che l'istinto gli suggeriva: arcuò la schiena e si piegò leggermente in avanti.
La testa dello Spearow si andò ad incassare esattamente tra il suo braccio sinistro e il suo fianco, incastrandosi. Haerrik non sapeva bene perché l'avesse fatto, forse aveva in qualche modo realizzato che se si fosse scontrato con il pokemon nella maniera sbagliata probabilmente sarebbe stato squarciato in due dalla forza con cui gli stava venendo incontro.
Fu in una frazione di secondo che realizzò: aveva la sua opportunità. Era un'occasione più unica che rara, poteva provare a catturare la bestia che ormai era l'unica ad essere rimasta libera di portare scompiglio. Se fosse riuscito nell'intento avrebbe in tal modo dimostrato di essere veramente coraggioso, degno di discendere da due nobili stirpi quali i Targaryen e i Baratheon.
Vennero ambedue spinti, il pokemon avanti e il ragazzo indietro, l'uno sbattendo le ali e l'altro cercando di opporre resistenza. Haerrik provò a serrare la stretta, cercando di tenere fermo il corpo del pokemon e di bloccargli le ali al contempo, impresa molto difficile se non impossibile. Lo Spearow invece, rendendosi conto di cosa stava accadendo, tentò furiosamente di divincolare il capo dalla presa dimenandosi come un folle e sbattendo contemporaneamente le possenti ali, creando spostamenti d'aria che costringevano le persone vicine a coprirsi il volto.
Per alcuni attimi sembrò che il ragazzo potesse riuscire nella sua impresa, ma la realtà della differenza di forza venne ben presto a galla. La possanza del pokemon ebbe la meglio e lo Spearow riuscì a liberarsi, sbattendo vigorosamente le ali per prendere quota. Fondamentale fu il momento in cui Haerrik sbatté violentemente la schiena contro la cinta muraria dall'altro lato della torre, venendo costretto ad allentare la presa per il dolore. Il pokemon approfittò di quel momento per tornare libero, salendo poi velocemente in aria.
Haerrik venne aiutato ad alzarsi da un irsuto inserviente. Lo conosceva, frequentava le stalle in quanto i figli del suo defunto fratello abitavano lì poiché lui non li poteva mantenere. Gli piaceva chiacchierare, e si fermava sempre a parlottare con Nynt. Si chiamava Dorran, o forse Dorvan, Haerrik non ci aveva mai fatto poi tanto caso.
- Tutto bene, ragazzo?
- Sì, credo essere ancora tutto intero.
L'impatto era stato abbastanza violento, ma non sentiva particolarmente male in un singolo punto, quanto più egualmente su tutta la schiena, forse le scapole erano più doloranti.
- Che è successo all'altro, allo Sfavillante? - chiese all'inserviente, curioso di sapere il destino dell'avversario dello Spearow.
- Si è schiantato qui proprio un attimo fa. Ha sbattuto contro la torre ed è caduto di sotto. Non c'è nessuno lì sotto pronto a prenderlo, si è schiantato in terra. Forse è morto, non so. E' proprio vero che i pokemon sono animali più per-
- Attenzione!!!
L'urlo giunse come attutito alle orecchie dei due, ma entrambi furono abbastanza reattivi da abbassarsi dopo aver visto la macchia con la coda dell'occhio. Lo Spearow, una volta tornato in aria, era di nuovo sceso in picchiata verso il basso. E sembrava che il suo bersaglio fosse proprio Haerrik.
Il ragazzo riuscì a vedere il suo volto per un attimo. Il becco e gli occhi erano distorti da un'espressione furiosa, probabilmente il pokemon era preda di un attacco d'ira caratteristico della sua specie. E a quanto pare l'oggetto della sua collera era proprio Haerrik, forse perché aveva tentato di catturarlo poco prima.
Haerrik sentì l'aria che si spostava mentre il pokemon passava proprio sopra la sua testa, facendo appena in tempo a rifugiarsi dietro un grosso merlo. Si sporse poi di un poco per provare a vedere che fine aveva fatto il pokemon, ma la voce di Dorran (o Dorvan) lo fece voltare.
- Dietro di te ragazzo!
Haerrik ebbe un presentimento e si buttò a terra, e un attimo dopo l'affilato becco del pokemon perforò l'aria in cui l'istante precedente era presente la sua testa. Oramai era appurato, quello Spearow ce l'aveva con lui. E non si sarebbe fermato fin quando non l'avesse ucciso, anche questo era sicuro, gli Spearow e i Fearow erano fatti così. Pokemon crudeli e vendicativi, perseguitavano un uomo colpevole di avergli fatto uno sgarbo sino ad ucciderlo o a farlo impazzire, non c'era scampo.
Il ragazzo si rialzò, stando bene attento a vedere dove fosse il pokemon. Mentre si rimetteva in piedi teneva lo sguardo fisso sullo Spearow che nel frattempo volteggiava in aria svariati piedi sopra di lui. Temeva che sarebbe ritornato subito all'attacco, ma l'uccello si limitò per quel momento a descrivere ampi cerchi sopra il Fortino di Durran.
Pensò velocemente a cosa fare, sicuramente non ci sarebbe voluto molto perché la bestia ritornasse alla carica. Poteva provare a rientrare nella torre, la solida costruzione l'avrebbe di sicuro protetto dagli attacchi. No, il pokemon l'avrebbe persino demolita a costo di arrivare a lui. Altrimenti avrebbe potuto fare causa comune con gli altri inservienti e catturarlo assieme a loro. No, nemmeno questo avrebbe funzionato, gli Spearow accettavano la sconfitta solo quando chi sfidavano era anche colui che li sottometteva. Per cui restava una sola opzione...
- Haerrik, attento! - gridò Aley.
- Sta arrivando! - gli fece eco Oss.
Ma il ragazzo aveva già iniziato a correre verso la rete. Evitò un attacco del pokemon buttandosi in avanti e facendo una sgraziata ma efficace capriola e subito dopo arrivò alla rete. Scansò un paio di inservienti increduli e ne afferrò un lembo.
- Che fai?! - chiese uno, ancora indeciso sul da farsi.
Haerrik non rispose. Fece scorrere velocemente con le mani la rete e si diresse subito verso il merlo più vicino. Legò un'estremità della rete alla pietra e fece lo stesso con la merlatura dalla parte opposta dello spiazzo. Forse il piano che aveva ideato aveva qualche speranza di funzionare. Non gli restò che tornare al centro della torre e alzare lo sguardo al cielo, andando alla ricerca del suo nemico alato.
Nel mentre che lui preparava la trappola lo Spearow era scomparso tra le nuvole. L'aveva attaccato con impeto sino ad un attimo prima e adesso sembrava essersi volatilizzato, questo era strano. Haerrik si guardò tutt'attorno, dall'interno delle Terre della Tempesta allo sconfinato muro d'acqua del Mare Stretto, ma nulla, sembrava scomparso. Appunto, sembrava.
- Dietro di te! - urlò ad un certo punto qualcuno.
Ma Haerrik era pronto, e non si sarebbe fatto cogliere facilmente di sorpresa. Si girò e vide lo Spearow scendere in picchiata verso di lui. Per incoraggiarlo a venire Haerrik spalancò le braccia e si mise ad inveire contro di lui.
- E' me che cerchi?! Vieni a prendermi, stupida bestia!
La furia del pokemon a quelle parole fu ben visibile, e i suoi lineamenti si distorsero ancora di più di quanto non fossero già alterati. Lanciò uno spaventoso verso di collera e acquisì ancora più velocità, puntando dritto alla sua preda.
Haerrik restò fermo, immobile, cercando di non scappare cedendo alla paura. Non seppe nemmeno lui come riuscì a mantenere tutto quel sangue freddo, forse era più che sicuro che il suo piano sarebbe riuscito. Perché se non lo fosse stato sarebbe di certo morto, e non aveva intenzione di farlo a quell'età.
Tenne le braccia aperte sino a pochi istanti prima dell'impatto, muovendole solo quando fu certo che lo Spearow non avrebbe potuto cambiare traiettoria. Alzò fulmineamente la rete, fino a quel momento giacente floscia a terra, per quanto le sue braccia gli consentirono. Dopo di che si buttò di lato, lasciandosi cadere sulla superficie ricurva del tetto della torre e prendendo a ruzzolare giù per il dislivello.
Un istante dopo il pokemon penetrò l'aria dove prima c'era lui, finendo dritto nella rete. Accortosi del pericolo provò disperatamente a cambiare direzione, ma era troppo tardi. L'alta velocità lo fece ben presto avviluppare nella rete, e il pokemon perse slancio, finendo per schiantarsi malamente contro uno dei merletti sottostanti.
Haerrik vide solo qualche frammento di questa scena mentre rotolava, andando infine a schiantarsi contro la merlatura. Si rimise subito in piedi benché fosse dolorante, ma pensò prima di tutto al suo dovere. Si lanciò contro il pokemon, saltandogli addosso mentre questo era ancora prigioniero delle maglie di corda e ferro.
- Presto, aiutatemi! - gridò - Qualcuno lo leghi!
Nonostante lo stupore, immediatamente alcuni stallieri vennero a dargli manforte. Dopo poco anche Aley e Oss arrivarono, ognuno reggendo una robusta corda. Lo Spearow combatté furiosamente contro gli aggressori tentando di liberarsi, ma fu uno sforzo vano. Ben presto qualcuno riuscì ad immobilizzargli le zampe, poi un'ala, e alla fine fu il turno del becco.
Dopo alcuni minuti l'emergenza si poteva considerare rientrata. Con la cattura dello Spearow tutti i pokemon fuggiaschi erano stati ripresi, e Haerrik si asciugò soddisfatto la fronte imperlata di sudore. I suoi capelli erano fradici, e per questo li lasciò liberi di ondeggiare al vento perché si asciugassero.
Si diresse verso il bordo della torre e si sporse. Mentre passava vide lo Spearow lanciargli un'occhiata al veleno. Questa sarebbe stata solo la prima battaglia di una guerra più lunga e intensa. Nel cortile sottostante riconobbe, più dall'armatura che dalla faccia, ser Baelon Baratheon, il quale guardava la cima del fortino incuriosito, probabilmente chiedendosi cosa fosse la causa di quella tutta confusione.
Sorrise. Quando l'erede di Capo Tempesta sarebbe venuto a sapere dell'impresa del suo figlio bastardo forse per Haerrik Storm ci sarebbe stata qualche speranza. Forse.

Note dell'autore
Chiedo infinita venia per il ritardo, ma l'ambiente scolastico negli ultimi tempi è stato caldissimo per non dire rovente. Per il prossimo capitolo cercherò di fare prima, lo prometto. Intando però godetevi la lunghezza di questo.

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Capitolo 4
*** Daeron I ***


Daeron

- Principe, la prego, venga qui! Giù alla Porta Insanguinata si stanno preoccupando!
"E' un posto sicuro" aveva detto Vilon "Qui non ci troverà nessuno, è talmente sperduto che a nessuno verrà in mente che potremmo essere qui". E invece a quanto pare non era così sperduto come sembrava.
Neo del Crinale - nome quanto mai appropriato - era effettivamente un fortilizio minuscolo, e casa Brune sicuramente non aveva una nomea tale da fargli acquisire fama. Sperduto sui monti di fronte alla Lancia del Gigante, era riparato da un costone roccioso. Nonostante ciò si poteva perfettamente scorgere il Nido dell'Aquila, e per un gioco di prospettiva non era possibile la vista inversa. Daeron ci aveva provato un paio di volte a scorgere Neo del Crinale dal Nido dell'Aquila, ma non gli era mai riuscito. Lo trovava quasi inconcepibile.
Ma che l'attendente di lord Arryn li trovasse subito, quasi si fossero nascosti dietro un tendaggio, questo sì che era inconcepibile.
- La prego, principe Daeron, venga giù!
Per la verità Daeron non aveva nessuna voglia di venire giù. I tornei lo annoiavano, aveva deciso sin da subito che avrebbe disertato l'evento sportivo. E se ciò avesse richiesto l'utilizzo dei privilegi e dei diritti derivanti dal suo rango, sarebbe ricorso anche a quelli pur di non essere costretto ad assistere al torneo.
- Non credo che lo farò - rispose dall'alto delle mura, mentre grattava la testa del suo Vhagar, il quale sembrava apprezzare non poco il gesto mentre se ne stava seduto per terra.
- Signore! - urlò l'attendente in risposta.
- Ecco, lo sapevo che non dovevamo farlo! - squittì Robert Arryn, al suo fianco.
Non faceva altro che squittire, quello. Daeron non riusciva a credere che fossero imparentati, seppur solo alla lontana. Una sua prozia aveva infatti sposato il nonno di Robert, rendendo quindi suo padre Baelor e lord Aeron Arryn cugini.
- Lo sapevo che non dovevamo andare!
Vilon Brune, lui taceva. Restava in disparte a capo chino, stando zitto e con lo sguardo per terra. Daeron Targaryen certe volte si chiedeva come faceva ad essere amico di due tipi così. Normalmente nemmeno li avrebbe considerati. Ma quando era arrivato al Nido dell'Aquila come protetto, cinque anni prima, c'erano solo loro come altri ragazzini della sua età, ed era finito inevitabilmente per stringere se non amicizia almeno una sorta di affinità. Ma certe volte desiderava avere come compagno qualcosa di meglio.
L'unico vero amico che sentiva di avere era il suo Vhagar. L'aveva trovato quando otto anni prima lui e suo fratello Viseghar avevano fatto un viaggio clandestino nella Fossa del Drago. Mentre vagavano per le stalle il piccolo Daeron, che allora aveva sì e no cinque anni, aveva visto un uovo sperduto nel bel mezzo del corridoio. Un uovo pokemon.
Si era chiesto cosa ci facesse lì, le stalle dei pokemon erano da tutt'altra parte. Aveva pensato di andare a chiamare il fratello per farglielo vedere e lasciarlo lì, ma qualcosa gli disse che se non l'avesse salvato sarebbe sicuramente finito rotto, magari da qualche sbadato che passava di lì senza guardare per terra. Già lui aveva rischiato di pestarlo in precedenza prima di accorgersene.
L'aveva preso e l'aveva portato a Viseghar, chiedendogli cosa doveva fare. Il fratello si era grattato la nuca, poi aveva detto "Visto che era nel bel mezzo della strada vuol dire che non l'hanno voluto. Perché non lo prendi tu?". Perché devo prenderlo io? Se non l'hanno voluto i suoi genitori perché lo devo prendere io? aveva risposto Daeron. "Perché" e la risposta di Viseghar non gli era ancora passata di mente "Se ci fossi stato tu al posto dell'uovo non avresti desiderato che ti prendesse qualcuno?". Tale frase era bastata per convincere Daeron a prendersene cura.
Da allora per vari mesi aveva nascosto l'uovo nella sua cameretta. Aveva fatto molta attenzione a non farlo trovare dai servi, sapeva che suo padre non lo avrebbe tollerato. Ogni quando sapeva di essere solo prendeva l'uovo e si sdraiava sul letto, tenendolo premuto contro la sua pancia calda e guardando le sue striature blu e nere con qualche macchia rossa qua e là. Chissà cosa sarà? si chiedeva, e poi pensava Mi importa? Avrò un pokemon!.
E fece così finché un giorno, mentre era impegnato ad ammirarlo, con un sonoro CRACK so fermò un'incrinatura sul guscio dell'uovo. Poi un'altra. E un'altra ancora. Daeron era rimasto fermo immobile ad osservare la scena, estasiato. Di lì a poco una testolina fece capolino dalla parte rotta dell'uovo. Una testolina blu ricoperta da pelo nero.
Inizialmente aveva tenuto nascosta la nascita del suo nuovo amico a tutti, perfino a Viseghar. Ma non ci era voluto molto perché una servetta lo scoprisse mentre riordinava la sua stanza, correndo urlante a comunicarlo al principe Baelor Targaryen, padre di Daeron e Viseghar. Quando era stato chiamato a rispondere delle sue "colpe", Daeron aveva affrontato suo padre a testa alta. Non aveva ceduto alla paura, e nonostante fosse solo un bambino seppe comportarsi come un vero Targaryen, non cedendo mai alle minacce paterne.
Quella volta non ebbe la minima idea di cosa rischiò, ma grazie all'intercessione della madre Maera aveva potuto tenere il suo nuovo amico. C'era voluto un po' per trovargli un nome, ma alla fine aveva optato per Vhagar, ovvero lo stesso nome del drago della regina Visenya. In fondo anche quel pokemon era un Drago per metà, gli aveva detto Viseghar. E nessun nome poteva essere più adatto come quello del più grande drago mai vissuto dopo Balerion il Terrore Nero. Non l'aveva chiamato così perché quel nome non gli piaceva.
E così dalla sua nascita fino a quel momento Daeron e Vhagar erano stati inseparabili, l'uno pronto a dare la vita per l'altro. Daeron voleva bene a quel Deino, e il pokemon ricambiava il sentimento se non alla pari anche di più. Era l'unico vero amico che poteva dire di avere, anche se in quell'occasione non gli stava tornando molto utile, limitandosi ad incassare le coccole del suo padrone mentre era questo a discutere con l'attendente.
- Mio principe, signore! Lord Aeron è molto turbato! Ha mandato tutti i suoi uomini in perlustrazione senza trovarvi, se vostro padre venisse a sapere che fate questo genere di capricci...
- Io non ho paura di mio padre - rispose freddamente Daeron.
Forse lo disse perché essendo suo figlio aveva un rapporto particolare, ma effettivamente Baelor Targaryen era una persona da temere. Abile con la spada, lesto di lingua e crudele come solo un Targaryen sapeva essere, incarnava lo stereotipo del perfetto nobile per non dire del perfetto erede al trono. Solo che non era lui il principe della Roccia del Drago, bensì suo nipote Aegon, cugino di Daeron e figlio di Jaehaerys, suo zio il re.
- Dovresti invece.
Finalmente il tetro Vilon interruppe il suo silenzio. Forse aveva ragione, ma il principe lo ignorò per quel momento.
- Ho già detto quel che farò - continuò parlando con l'attendente - E quel che farò sarà restare qui.
Il suo tono era fermo e senza emozione, il tono che si confaceva ad un comandante. Forse un giorno avrebbe rivestito una carica importante, e per questo voleva essere pronto. Si era esercitato per molto tempo da solo a pronunciare discorsi, ed esercitandosi con i suoi amici era riuscito a renderli totalmente a lui fedeli, tanto che l'avrebbero seguito in capo al mondo. Certo, per quanto potesse essere utile al settimo in linea di successione avere ben due seguaci.
- Mio signore... - fece per continuare l'altro, ma una mano guantata gli tappò la bocca. Daeron, fino ad allora disinteressato al discorso pur mettendoci un po' di carisma per sembrare più convincente, sobbalzò al rumore del metallo che cigolava. Dapprima osservò per un istante la mano, poi fece lentamente scorrere lo sguardo lungo il braccio del proprietario. Che si rivelò essere ser Hector Brune.
Tra tutte le persone che sperava di non vedere quel giorno Daeron aveva messo al primo posto ser Hector. Nominato sua guardia del corpo da lord Arryn quando Lorgon era morto quattro anni prima per un'infreddatura, a Daeron non era mai piaciuto. Inflessibile, altezzoso, rigido, ma anche schietto e pronto a prendere in giro il prossimo quando se ne presentava l'occasione. Se al tutto poi si aggiungeva che era lo zio di Vilon tal cosa lo faceva ronzare attorno al principe ancor più di quanto lo avrebbe fatto normalmente.
- Forse - cominciò - non avrai paura di tuo padre. Ma se il re venisse a sapere che suo nipote fa le bizze? Cosa direbbe?
Il fatto che gli desse del tu a Daeron dava ancora più fastidio. Gli si poteva parlare così solo quando era lui ad autorizzare che lo si facesse, non certo per un capriccio. Lord Arryn gli dava del tu, pur mostrandogli la dovuta deferenza, come anche lady Vanessa e ser Bors, ma solo perché glielo permetteva LUI. Anche Robert e Vilon gli davano del tu, solo perché lo voleva LUI. Ma ser Hector, nonostante le proteste, gli parlava sempre così, come se fossero amici intimi. E questo lui non lo voleva.
- Non direbbe niente. Il re e ad Approdo del Re, molto lontano da qui. E poi cosa potrebbe interessargli di me, sono il figlio del suo secondo fratello.
- Nulla, ma da un membro di casa Targaryen in quanto parte della famiglia reale si esige educazione, e non mi sembra che tu in questo momento sia educato. Lord Arryn ha già chiesto a maestro Pyman di mandare un corvo ad Approdo del Re per avvisare sua maestà della tua scomparsa, ma sei ancora in tempo per impedirlo.
Daeron stava per ribattere, ma venne subito zittito.
- Vuoi forse che il re venga disturbato per una sciocchezza del genere? Sai cosa dico io? Mai disturbare il drago che dorme. Oramai non sei più un ragazzino, fra pochi anni sarai un uomo, devi imparare a comportarti da tale. E non mi risulta che gli uomini facciano i capricci.
Il principe cercò di sfruttare quella breve pausa per dire qualcosa, ma venne di nuovo battuto sul tempo.
- Al massimo le lady grasse e grosse fanno così. E sinceramente non mi sembra che a te, mio principe, manchino gli attributi e che tu abbia un bel paio di tette in via di sviluppo. Per cui o sei un uomo oppure un eunuco, ma non mi risulta che i Targaryen fabbrichino eunuchi. Per cui se sei un uomo comportati da tale. Mi sono spiegato? Oppure quel corvo deve per forza spiccare il volo?
Daeron fumava letteralmente dalla rabbia. Nessuno si era mai permesso di parlargli così, se fosse stato ad Approdo del Re a qualcuno che avesse detto delle cose del genere avrebbe fatto mozzare la lingua. Ma adesso non era ad Approdo del Re, bensì in uno sperduto fortilizio nella Valle.
- Allora, mio principe, vieni?
Vhagar emise dei brevi e concitati versi che a ben pensare sembravano risatine. I pokemon erano animali quanto mai intelligenti, in grado di capire la maggior parte dei discorsi degli umani. Daeron non gradì quel gesto, e gli tirò un calcio non troppo forte. Il Deino si alzò da terra, risentito, soffiandosi via seccato un ciuffo di pelo nero dal muso.
Il principe dopo quel discorso, nonostante si sentisse umiliato, ridicolizzato, oltraggiato, sottovalutato e preso in giro, acconsentì molto riottosamente a seguire l'invito della guardia del corpo a tornare a valle, del resto non poteva fare altro se non obbedire. Questa volta era stato scavalcato in carisma, nonostante la voce di Daeron non avesse mai vacillato. Ser Hector l'aveva battuto. Ma non avrebbe permesso che succedesse di nuovo.

Il principe prese il posto che gli spettava nella tribuna d'onore di malavoglia. Scortato da ser Hector, venne fatto sedere nella fila di sedili più alta, quella che spettava ai nobili dal sangue più regale quali lord Arryn, lord Royce e appunto lui, il principe Daeron Targaryen. Nessuno gli disse nulla per la sua fuga forse perché era il nipote del re, ma la disapprovazione nello sguardo di lord Arryn era evidente. L'uomo però si mise a parlare con lord Royce e la sua attenzione venne distolta dal giovane.
Si sedette a non molta distanza dai grandi lord, pur restando un po' in disparte verso l'angolo del padiglione. Ser Hector non protestò per questa sua scelta, nonostante fosse abbastanza irritato di suo. Forse pensava che il principe si volesse solo riparare dall'ombra, era in effetti una giornata più calda del normale quella che stava vivendo la Valle. Forse l'estate stava davvero arrivando come si diceva in giro.
Accanto a lui si sedette Robert Arryn, figlio di lord Aeron ed erede del Nido dell'Aquila. Vilon Brune invece fu costretto ad andare a sedersi più in basso in mezzo ai nobili di bassa lega e signorotti di medio rango non essendo nobile quanto i due amici. A Daeron un po' fece pena quel ragazzo, non era per nulla giusta quella discriminazione. Ma le cose andavano così nei Sette Regni, e non poteva farci nulla. Per il momento.
I tornei lo annoiavano a morte, Daeron non capiva cosa ci fosse di divertente nel guardare uomini fare a gara per chi si ammazzava prima. Non si capacitava di come i ragazzi della sua età avessero la testa intasata dai tornei e fremessero all'idea di assistere ad uno, forse perché non si tenevano più con frequenza come un tempo. Ad Aemond e in particolare a Viseghar i tornei piacevano, ma a Daeron non era mai andato giù vederli.
Stette lì a non fare nulla per almeno una buona ventina di minuti. Il marasma di gente attorno a lui, sia nobili che popolani, era un continuo e fastidioso mormorio ripetitivo. Anche Robert Arryn a fianco a lui parlottava eccitato con un altro ragazzo, voltandosi ogni tanto per dire qualcosa che Daeron nemmeno sentiva - o ascoltava. Un altro buon motivo per vivere al Nord era perché quella terra era talmente desolata che non vi si tenevano tornei.
Vhagar si era accoccolato ai suoi piedi e si era messo a sonnecchiare. "Beato lui che ce la fa in mezzo a tutto questo casino" pensò il principe, frustrato "Non so cosa darei per scambiarmi di posto con lui. Chissà, forse se dico ad Arceus che sono disposto a rinunciare al mio rango reale per diventare un pokemon mi scambierà con Vhagar".
Per la noia del non fare niente il suo sguardo prese a vagare per il campo sportivo. Tutta la struttura era stata eretta al di sotto dell'incombente fortezza della Porta Insanguinata. Daeron alcuni giorni prima era salito in cima alla fortezza e aveva osservato il campo del torneo sotto di lui, e gli era apparso sin troppo strizzato in quella pietrosa spianata angusta compresa tra la Lancia del Gigante e il Bersaglio Immobile.
Ad adornare i bordi del campo oltre che a delimitarli in modo marcato stavano appesi i blasoni recanti i simboli delle casate a cui i partecipanti al torneo appartenevano. Daeron riconobbe, oltre al noto falcone e alla luna degli Arryn, le frecce degli Hunter, la torre rossa dei Redfort, la torre gialla dei Grafton e le torri blu dei Frey, i cuori e i corvi dei Corbray, le rune e il cancello di entrambe le casate dei Royce, i quadrati degli Hardyng, il salmone dei Mooton ed altri emblemi che non si ricordava.
Senza che se ne rendesse conto il tempo passò veramente in fretta, e alla fine si chiese come mai tutto d'un tratto la folla si fosse zittita di colpo. La risposta era situata qualche metro più in basso, ovvero dove il corpulento maestro Pyman si accingeva a dare il via al torneo.
- Quest'oggi - tuonò col suo vocione, zittendo coloro che ancora parlavano - Si svolge qui sotto le mura del castello della Porta Insanguinata il grande torneo della Valle, bandito da lord Devron Royce, lord della Porta Insanguinata e delle Porte della Luna, per stabilire chi sarà il futuro marito di Bernyce Royce, la splendida lady sua figlia!
A queste parole fece seguito un risolino ben troppo udibile. Lady Bernyce Royce, trent'anni e più d'età, grassoccia, dal seno cadente, la faccia piena di lentiggini, con le labbra sporgenti e d'un idiozia che Daeron raramente aveva visto, era paonazza in volto e molto divertita e lusingata dalle parole del maestro. Il principe si chiese chi mai avesse avuto il coraggio di iscriversi al torneo sapendo che il premio sarebbe stato lei. Forse i contendenti erano attratti più dalla dote che dalla donna: la signoria della Porta Insanguinata. Lady Bernyce era infatti l'unica figlia ed erede di lord Devron, e difficilmente qualcuno si sarebbe fatto sfuggire quest'occasione.
- Tre campioni la difenderanno, e altrettanti cavalieri in tredici lizze consecutive si contenderanno la sua mano! I campioni in persona sceglieranno casualmente i loro sfidanti estraendone i nomi da delle urne! Chi disarciona un campione diventa campione a sua volta! Chi mantiene il titolo di campione per più tempo sarà dichiarato vincitore e avrà la benedizione di lord Royce per prendere la mano di lady Bernyce! Al vincitore inoltre verrà consegnata la bellezza di cinquemila dragoni, al secondo classificato tremilacinquecento e al terzo duemila!
"Altro buon motivo per partecipare. E non vincere".
Il maestro si fece da parte apparendo visibilmente affaticato dalle urla appena emesse. In quanto maestro del torneo era però tenuto ad adempiere al dovere iniziale di spiegare le regole al pubblico. Il suo posto venne presto preso da un araldo, il quale cominciò a declamare i nomi dei campioni.
- I campioni iniziali chiamati a difendere lady Bernyce sono ser Moras Waynwood, ser Gyles Grafton e ser Bors Arryn! Si facciano avanti per rendere omaggio a lord Royce e reclamare il posto che gli spetta!
Immediatamente si udì un rumore di zoccoli. Quasi come dal nulla (in realtà da un'entrata laterale seminascosta) comparvero sulla pista tre cavalieri, ognuno in sella al proprio cavallo. Il primo era bardato di verde col simbolo del timone nero spezzato dei Waynwood, il secondo di rosso e nero con la torre infuocata dei Grafton, mentre il terzo di bianco e azzurro con il falcone e la luna degli Arryn. Avanzarono né troppo lentamente né troppo velocemente, portando al trotto i loro cavalli con abili movimenti di briglie.
I tre si posizionarono di fronte al palco rialzato dei grandi lord, mettendosi l'uno a fianco all'altro e alzandosi la visiera dell'elmo. Daeron li guardò con una leggera curiosità. Non aveva mai visto Moras Waynwood e Gyles Grafton, ma conosceva Bors Arryn. Il forzuto castellano trentacinquenne del Nido dell'Aquila appariva così stretto in quell'armatura, quasi ci fosse stato ficcato dentro a forza. A Daeron quasi venne da ridere al pensiero che da un momento all'altro il cavaliere sarebbe esploso.
- Noi giuriamo - risposero i tre in coro - Di difendere lady Bernyce da coloro che tenteranno di arrivare a lei! La difenderemo anche a costo della vita! Per i Sette, che il torneo abbia inizio!
Le voci apparivano molto diverse le une dalle altre. Mentre quella di Moras Waynwood era stridula e traballante, quella di Gyles Grafton era bassa e atona, mentre quella di Bors Arryn era roca e cupa. Si intuiva che non erano entusiasti di essere stati scelti come campioni. Moras Waynwood, diciannove anni e terzo figlio di lord Waynwood, era stato scelto per aver fedelmente prestato servizio come scudiero di lord Royce sino a prima che Daeron arrivasse nella Valle; Gyles Grafton, quarantasette anni e zio di lord Grafton, era stato selezionato in merito alle sue imprese durante la Follia di Luffeo, mentre invece Bors Arryn per due motivi: il fatto di essere fratello di lord Aeron e la malaugurata coincidenza di essere rimasto vedovo da meno di un anno.
- Si procede adesso con la prima estrazione! Chi di voi intende dare il via al torneo? - chiese l'araldo ad alta voce rivolto ai tre cavalieri.
Inizialmente nessuno si mosse, ma forse spinto dall'inevitabilità della situazione alla fine fu il giovane Waynwood ad avanzare. Senza che scendesse da cavallo un inserviente gli porse l'urna stracolma dei nomi dei partecipanti alle lizze, e dopo aver frugato un po' estrasse un pezzo di pergamena accartocciato. Tenendolo non saldamente col guanto di ferro esso gli scivolò di mano, ma venne preso al volo dall'inserviente il quale lo porse all'araldo, che procedette a leggerlo.
- Il primo sfidante della prima lizza, il quale affronterà ser Moras di casa Waynwood, sarà... ser Parsifer di Città del Gabbiano!
Ser Moras si andò a posizionare ad un lato della lizza, mentre dall'altra parte del campo fece il suo ingresso un altro cavaliere. Non era colorato come i precedenti, e il suo scudo recava un emblema che Daeron non aveva mai visto: quattro monete d'oro su un campo blu, il quale stava al di sotto di una sezione gialla più piccola. Il ragazzo si voltò verso Robert, il quale molto probabilmente sapeva chi era. Era un patito di tornei, tanto per cambiare.
- Conosci quel cavaliere? - gli chiese.
- Certamente! - rispose lui entusiasta, felice di vedere l'amico interessato - Ser Parsifer di Città del Gabbiano era il capitano della guardia cittadina di lord Grafton, almeno fino a tre lune fa, quando è stato congedato per l'anzianità. E' arrivato assieme a ser Gyles, pare siano amici.
"Mi chiedo cosa sarebbe successo se fosse stato ser Gyles a pescarlo allora".
Quando i due cavalieri si furono posizionati alle estremità del campo un tamburo prese a rullare.
- Quando il rullo terminerà - annunciò l'araldo - caricate! Abbassate le lance!
I due eseguirono il comando. La lancia di ser Moras era riccamente decorata di verde e nero, mentre quella di ser Parsifer era di semplice legno marroncino. Il suono dello strumento sembrò durare per un tempo infinito, ma quando si interruppe i due spronarono immediatamente i cavalli i quali partirono in un forsennato galoppo.
Ser Parsifer mirò allo scudo, mentre ser Moras al fianco dell'avversario. I cavalli si sorpassarono dopo pochi secondi, e la lancia di ser Parsifer esplose in mille pezzi contro lo scudo di ser Moras. L'avversario invece mancò il bersaglio facendo finire la lancia nel vuoto. Non sembrò però frutto di un errore, quanto più di una prova.
Quando i cavalli arrivarono alle estremità del campo si fermarono. Ser Parsifer sollevò la visiera dell'elmetto, e a Daeron sembrò di vedere una massa di capelli bianchi tentare di uscire. Si fece dare un'altra lancia e si voltò. Ser Moras invece si tenne quella che già aveva, abbassandola di nuovo. Quando ambedue furono di nuovo allineati cominciarono un nuovo scontro.
Ser Parsifer mirò nuovamente allo scudo, e la sua mossa risultò fin troppo prevedibile all'avversario. Ser Moras tenne la protezione solo con un paio di dita della mano sinistra, mentre con la destra faceva finta di regolare la lancia in modo fallimentare. All'ultimo istante spostò la lancia quel tanto che bastava per colpire ser Parsifer, mentre l'arma dell'avversario impattava contro lo scudo mal tenuto e lo faceva volare via. Ser Parsifer, colto di sorpresa, venne disarcionato, atterrando malamente poco più in là.
Waynwood si fermò e smontò da cavallo estraendo la spada, ma l'anziano cavaliere si rialzò a fatica su un ginocchio e si tolse l'elmo, rivelando una lunga chioma bianca. Respirava a grandi boccate e aveva un mezzo sorriso ebete sul volto. Disse qualcosa, probabilmente che si arrendeva, Daeron non riuscì a sentirlo per la distanza. La prima vittoria del torneo andò quindi a ser Moras Waynwood.
Procedette poi sul campo Bors Arryn, il quale estrasse il nome di ser Maron Plumm, un cavaliere delle Terre dell'Ovest di una casata nobile ma non particolarmente ricca. Plumm riuscì a spezzare due lance contro l'avversario, venendo però disarcionato alla terza. Il cavaliere si arrese subito senza che l'Arryn dovesse scendere di sella.
Daeron rimase impressionato. Non si aspettava che ser Bors fosse così bravo in sella al suo cavallo. Certo, era muscoloso e robusto, ma nonostante gli fossero state spezzate addosso ben due lance riusciva ancora a tenersi perfettamente in groppa all'animale senza nemmeno essersi un po' scomposto. Possibile che... potesse vincere lui il torneo? Nonostante il principe non se ne intendesse un granché l'incontro tra lui e Plumm gli fece venire questo presentimento.
A Grafton invece capitò ser Boras Templeton, cavaliere di Novestelle detto Stellabianca per la sua chioma argentea simile a quella dei Targaryen. Non era però imparentato con loro, suo padre aveva semplicemente sposato una donna di Volantis dalla quale ser Boras aveva ereditato i capelli, oltre che un'ingente fortuna. Nonostante potesse sembrare che ser Boras fosse più anziano dell'avversario in realtà era tutto il contrario. Erano i capelli argentei e le rughe ad ingannare, in quanto il più vecchio tra i due era ser Gyles.
Nonostante non ne fosse pratico, persino Daeron fu costretto ad ammettere che il duello tra i due fu sublime. Sei lance per parte furono spezzate in poco più di una decina di minuti, e Stellabianca cadde solo alla settima senza però arrendersi. Estraendo la spada ne diede la conferma, e Grafton smontò anch'esso di sella per accettare la sfida. Il duello terrestre fu altrettanto spettacolare, con i due cavalieri che si equiparavano in forza e abilità. Alla fine però fu ser Gyles a spuntarla, facendo perdere l'equilibrio a ser Boras con una spallata e facendolo così cadere a terra. Gli era poi montato addosso e gli aveva puntato la spada sul collo scoperto, decretando così la sua sconfitta.
Il vecchio cavaliere, nonostante l'età, appariva forte come se di anni ne avesse venti e non quasi cinquanta. Non per niente quattordici anni prima aveva guidato l'assalto a Piccolasorella quando il re aveva riconquistato l'arcipelago strappandolo ai pirati di Luffeo. Doveva essere stato al massimo della forma allora, ma nemmeno adesso sembrava debole. "Forse anche lui ha qualche possibilità di vincere" azzardò Daeron. Ancora non lo sapeva, ma il torneo lo stava pian piano prendendo.
Iniziò così la seconda lizza, che venne in seguito ricordata come l'Assalto dei Redfort. A tutti e tre i campioni infatti capitarono degli esponenti di quella casata, iscrittisi in massa al torneo.
- La moglie del precedente lord Redfort era una Frey - spiegò Robert - E lo sai quanto sono prolifici quelli.
Il primo a farsi avanti fu Joseth Redfort detto Torrerossa, uno dei più forti cavalieri viventi della Valle aveva detto Robert, il quale gareggiò contro Moras Waynwood.
In effetti così si dimostrò, essendo il primo ad abbattere uno dei campioni. Dopo quattro lance spezzate Torrerossa, evidentemente scocciato dallo stallo dello scontro, scese di sella ed estrasse la spada. Waynwood scelse codardamente di rimanere in sella e di caricarlo con la lancia, ma Redfort lo schivò agilmente e spezzò l'arma con un secco fendente dall'alto in basso, costringendo così a scendere di sella ser Moras. Poi ebbe gioco facile, sottomettendo il campione in appena pochi istanti e divenendo così il nuovo campione.
Jon, fratello minore di Joseth, venne estratto per gareggiare contro Bors Arryn, e si rivelò un'accoppiata sfortunata per il Redfort. Alla quarta lancia infatti il cavaliere venne sbilanciato dal colpo di ser Bors cadendo malamente di sella. L'urlo straziante che emise toccata terra evidenziò che doveva essersi come minimo rotto qualcosa. Venne subito trasportato via da alcuni inservienti, e poco dopo tra le tribune cominciò a circolare la voce che si fosse rotto una gamba.
Jason Redfort invece gareggiò contro ser Gyles in uno scontro se possibile ancora più spettacolare del precedente. Le lance spezzate furono ben tredici, con entrambi i partecipanti sul punto di cadere più di una volta. Alla quattordicesima fu ser Jason a cadere di sella per una distrazione dettata dal nervosismo, e capita l'antifona decise di arrendersi subito senza passare allo scontro diretto con l'avversario.
Per la terza lizza il nuovo campione Joseth Redfort estrasse come primo sfidante ser Roland Frey, detto la Torre-in-Fiamme. Effettivamente il suo emblema recava le due caratteristiche torri blu dei Frey, solo pervase dal fuoco e avvolte in un cupo rossore. "Sarebbe stato ironico se le due torri infuocate si fossero affrontate" pensò Daeron riferendosi a ser Gyles, immaginandosi la scena. Robert gli disse che il suo soprannome derivava dal fatto di aver incendiato una torre del castello di Lord Blackwood durante la Seconda Ribellione di Maelor, quindici anni prima, mentre lo conquistava.
Entrambi prestanti fisicamente e determinati a rimanere in sella, Daeron si chiese quale fra le due torri sarebbe crollata prima. La risposta fu: la torre blu. A dispetto delle apparenze la Torre-in-Fiamme cadde alla terza lancia, appoggiando pure male il piede a terra e slogandosi una caviglia.
Un altro Redfort venne estratto per gareggiare contro Bors Arryn. Il pio Jammos Redfort, noto per la sua fervente fede per il Credo, alla settima lancia spezzata decise di ritirarsi dalla competizione credendo che i Sette avessero decretato la superiorità di ser Bors rispetto a lui. - I sette hanno dato il verdetto! - decretò uscendo dal campo. Queste parole vennero approvate da septon Clodoth, il religioso del Nido dell'Aquila seduto poco lontano.
L'ultimo scontro della terza lizza vide cadere un secondo campione. Ad affrontare ser Gyles scese ser Layn Corbray, figlio secondogenito di lady Corbray di Casa del Cuore. All'ottava lancia spezzata anche ser Layn similmente a Torrerossa scese di sella, puntando sulla stessa strategia, venendo subito imitato da ser Gyles.
Ma la spada che estrasse dal fodero non era una lama qualsasi: Lady Forlon, la lama ancestrale di Acciaio di Valyria appartenente a Casa Corbray, istoriata dalle rune dei Royce ai quali prima apparteneva. Evidentemente lady Diana aveva concesso al figlio l'utilizzo della spada per quell'occasione speciale affinché si assicurasse la vittoria. Daeron restò affascinato dal luccichio che la luce solare produceva riflettendo sulla lama, e Vhagar accanto a lui alzò la testa chiedendosi cosa stesse ammirando il suo padrone.
Probabilmente ser Layn si aspettava che l'avversario sarebbe stato scoraggiato dalla vista della possente lama e si sarebbe arreso spontaneamente, impotente di fronte a quell'arma vecchia di migliaia di anni eppure ancora così affilata e assetata di sangue. Ser Gyles scelse però di combattere. Mai errore più grosso poteva essere commesso.
Forse per la fatica derivata dai due precedenti duelli, ser Gyles apparve subito in difficoltà, più contro Lady Forlon che contro colui che la brandiva. Fatale fu l'attimo in cui fu troppo lento a parare un attacco. Ser Layn sfruttò quell'occasione per riassestarsi ed effettuare un possente colpo trasversale dall'alto verso il basso. La lama valyriana penetrò come burro il ferro dell'arma di ser Gyles, arrivando sino all'elsa e recidendo anche buona parte di quella. E due dita di ser Gyles. Un gridolino spaventato di lady Bernyce fece da sfondo al tutto.
In seguito il cavaliere cadde a terra per lo shock, non rispondendo nemmeno quando ser Layn lo invitò ad arrendersi. Lord Royce concesse la vittoria a ser Layn e dispose che ser Gyles fosse portato da maestro Pyman affinché fosse curato. L'uomo semisvenuto e le due dita - a Daeron sembrarono l'anulare e il mignolo, anche se da lontano non si vedeva bene - furono portati fuori in fretta dagli inservienti, forse c'era ancora qualche possibilità di riattaccargliele.
Ecco un altro motivo per il quale a Daeron non piacevano i tornei, ci scorreva sin troppo sangue. Certo, la colpa era stata anche di ser Gyles, era da sciocchi affrontare una lama valyriana senza prima aver valutato i rischi. Ma il principe aveva udito di cavalieri morti ai tornei perché una lancia li aveva trapassati, oppure perché un frammento gli era finito in un occhio, oppure ancora perché erano rimasti schiacciati dal proprio cavallo. "Muore meno gente in una battaglia" si disse tra sé e sé ridendo sommessamente.
Nonostante lo sgomento di alcune lady il torneo riprese quasi subito. Torrerossa estrasse un altro cavaliere della Valle: ser Mors Lynderly, un anziano nobile di piccolo calibro che però seppe dare del filo da torcere all'avversario. Alla quinta lancia spezzata entrambi scesero da cavallo e si affrontarono in duello, con alla fine ser Mors sconfitto a causa della differenza d'età e di forza.
Ser Bors per il suo quarto avversario scelse ser Aron Sunderland, figlio minore del lord delle Tre Sorelle. Pareva che l'isolano si fosse allenato molto in previsione del torneo, in quanto ser Bors prima di farlo cadere di sella dovette spezzare ben quindici lance. Egli però non rinunciò, rialzandosi da terra ed estraendo la spada. Il castellano del Nido dell'Aquila accettò la sfida, riuscendo a trionfare non senza difficoltà dopo un duello di tre minuti buoni.
Il primo sfidante di ser Layn Corbray invece fu ser Arlan Royce, figlio di lord Jaremy Royce di Runestone e suo erede. Lord Devron storse il naso alla sua entrata, Daeron non poté fare a meno di notarlo. Da quello che gli aveva detto Robert (e dai pettegolezzi delle servette del posto) sapeva che i Royce delle Porte della Luna e i Royce di Runestone si odiavano a morte nonostante condividessero lo stesso sangue.
Una volta il principe aveva sentito dire che Jaremy Royce aveva deflorato la promessa sposa di lord Devron, svergognandolo e mettendolo in ridicolo di fronte a tutta la Valle, creando così attriti tra le due casate destinati a durare varie generazioni. Ovviamente lord Devron parteggiò fin da subito per Layn Corbray, e Daeron non poté fare a meno di pensare che se al posto di ser Gyles ci fosse stato Arlan Royce oppure suo padre Jaremy lord Devron avrebbe senz'altro sorriso.
Il duello fra ser Layn e ser Arlan non fu lungo ma molto intenso. Dopo due tesissime manche in cui due lance vennero spezzate per parte, già ser Layn si apprestava a scendere di sella e ad estrarre Lady Forlon.
- Che c'è? - lo schernì Royce - Senza la lamuccia della tua mammina non riesci a battere un piccolo cavaliere? Codardo!
Tanto fu sufficiente per richiamare ser Layn in sella. Furente, immediatamente spronò il suo destriero al galoppo, avanzando a gran velocità contro l'avversario. Ed era proprio a quello che ser Arlan puntava. Era risaputo che Layn Corbray perdeva velocemente le staffe, e forse anche gli avversari successivi avrebbero giocato su questo punto casomai fosse riuscito a sconfiggere il Royce.
Corbray sembrò manovrare con difficoltà la lancia, mentre apparve chiaro sin da subito che Royce sapeva perfettamente cosa stava facendo. La lancia arancione di ser Arlan impattò contro lo scudo di Layn facendolo volare via e sbalzando il cavaliere a terra. L'impatto fu talmente violento che anche Lady Forlon venne strappata dal fodero e scaraventata chissà dove.
Ser Layn si rialzò, confuso. Ser Arlan gli piombò addosso quasi subito, stendendolo a terra e facendolo rotolare di qualche metro. Il Royce lo derise, puntandogli la lama al collo e deridendolo per la sconfitta. Ma si distrasse, e questo decretò la vittoria di ser Layn. Corbray era infatti vicino al suo scudo che era voltato via quando la lancia lo aveva colpito. Lo afferrò velocemente e con un rapido colpo di mano, sfruttando l'effetto sorpresa, colpì la spada di Royce facendogli perdere la presa. Dopo che la lama fu caduta a terra ser Layn sfruttò l'attimo di stupore dell'avversario per sbattergli lo scudo in testa.
Appena il tempo perché lo stordito ser Arlan fosse portato via dal campo dagli inservienti che ser Joseth Redfort procedette ad estrarre un nuovo nome. Quando l'araldo lo lesse molti non poterono fare a meno di trattenere un grido di eccitazione.
- Ser Ronas Martell!
Daeron sobbalzò.
Ronas Martell? Quel Ronas Martell? Lancialucente, il nipote di Duncan Martell detto la Lancia del Deserto? Possibile che uno dei cavalieri ritenuti i migliori dei Sette Regni si trovasse lì quel giorno? Persino Daeron che non seguiva molto la mondanità conosceva ser Ronas Martell, detto Lancialucente. Le imprese del dorniano erano note il tutti i Sette Regni, da Arbor alla Barriera, e chiunque lo conosceva per la sua nomea.
Divenne famoso alla tenera età di dieci anni quando, scudiero del nonno, aveva preso il suo posto alla Battaglia del Bosco delle Piogge quando ser Duncan era stato ferito, guidando i dorniani in una seconda carica contro l'esercito di Maelor Darksister. A venticinque anni era considerato uno dei più grandi cavalieri viventi, degno della fama di suo nonno Duncan Martell Lancia del Deserto, eroe della Ribellione di Matarys e della Seconda Ribellione di Maelor. Poteva vantare già vari tornei vinti all'attivo, e molte lady stravedevano per lui.
Joseth Redfort, detto Torrerossa, possente armatura di metallo, elmo con una piccola cresta rossa, l'enorme stallone nero bardato di rosso e bianco come i colori di casa Redfort e scudo recante la fortezza rossa simbolo della sua famiglia, si posizionò velocemente sul campo da gioco. Il cavaliere dondolava piano la lancia, scrutando l'altra estremità del campo in attesa che il suo avversario facesse la sua trionfante entrata come se dovesse vincere già prima di cominciare.
Daeron, quando si ritrovava a fantasticare sui cavalieri, non poteva non pensare a come fossero fisicamente. Alti, forti, muscolosi, i capelli lunghi ricadenti sulle spalle, biondi possibilmente. Era un'immagine fissa, e il principe si era figurato che tutti i veri cavalieri dovessero essere così, e Ronas Martell, se le storie sul suo conto erano vere, non doveva essere da meno. Se lo immaginò, anche se avrebbe dovuto aspettare solamente pochi secondi per vederlo.
Invece Ronas Martell risultò essere l'esatto contrario di quel che tutti si aspettavano. Molti pensarono ad uno scherzo quando in campo fece il suo ingresso un ometto basso in sella ad un cavallo smagrito che aveva visto sicuramente tempi migliori. Non indossava nessun'armatura, e soprattutto non portava alcuno scudo recante il sole trafitto dalla lancia di casa Martell. Delle strette protezioni di cuoio gli avvolgevano gli arti e il petto, mentre un'anonima maglia di lino scolorito dal sole e di una non proprio gradevole tonalità giallo-verdognola gli copriva il resto del torace e delle braccia. Ai piedi indossava calzari di pelle, mentre teneva sulle gambe degli stretti pantaloni verdi.
In testa indossava un mezzo elmo di metallo leggero che gli lasciava completamente scoperta la faccia. Che non risultava essere particolarmente attraente: lentiggini, corti capelli riccioluti biondo sporco e un accenno di labbro leporino che gli faceva risultare il labbro superiore leggermente sproporzionato rispetto al resto della bocca. Daeron era avvantaggiato poiché stava in un punto da cui si vedevano abbastanza bene i partecipanti al torneo (e anche perché Lancialucente gli passò proprio davanti).
- Chi sei tu? - chiese l'araldo, spazientito - Non abbiamo chiamato il buffone di corte. Smamma, è ser Ronas Martell che vogliamo.
L'altro lo squadrò dall'alto in basso con aria di sufficienza, chiedendo solamente: - Datemi la lancia.
- Ma per piacere!
L'araldo era infuriato.
- Qui si sta celebrando un torneo, e non vogliamo che dei popolani lo disturbino con stupide messinscene! Per cui al massimo tu potresti essere il messo che chiama Ronas Martell, non Ronas Martell! Certo lui non si vestirebbe con questi stracci, per cui adesso o te ne vai oppure...
"Quello ha proprio una bella parlantina" pensò Daeron, divertito. Ma "quello con la bella parlantina" venne infine zittito dallo "straccione".
- Molto bene, posso andarmene a cercare Ronas Martell per poi tornare nuovamente, perché Ronas Martell sono io. Se non ci credete chiedete conferma a ser Doran Wyl oppure a Jon Uller, miei amici anch'essi iscritti al torneo. Oppure volete disturbare mio padre Lawren giù a Dorne, oppure la Lancia del Deserto, mio nonno? Oppure anche lord Derrick? Volete che sia il re in persona a riconoscermi, che mi fece i suoi encomi quando guidai la carica contro Maelor al Bosco delle Piogge? Oppure lord Wylde, che cadde quel giorno e che mi lodò prima di morire per le ferite? Potreste chiamare anche il Primo Cavaliere già che ci siete, no? E se invece che scomodare tutta questa gente dai loro castelli mi deste quella lancia?
La folla cominciò a rumoreggiare. Pur apparendo poco più che uno straccione nessuno poteva sapere tutti quei dettagli senza essere Ronas Martell. O lo scherzo era stato architettato magistralmente oppure l'araldo aveva appena commesso un magistrale errore. Apparve evidente che era la seconda ipotesi ad essere quella giusta visto che l'araldo, paonazzo, si fece da parte, ordinando sommessamente che una lancia venisse data al cavaliere.
Quando Lancialucente ottenne la sua arma gli sfidanti si prepararono ad affrontarsi. Da una parte ser Joseth Redfort Torrerossa, uno dei cavalieri più forti della Valle, e dall'altra ser Ronas Martell Lancialucente, uno dei cavalieri più forti dei Sette Regni a dar retta alle chiacchiere. Se Daeron non avesse saputo l'identità dello sfidante di Torrerossa non avrebbe scommesso mezzo soldo bucato su di lui.
Martell non sembrava trovarsi a suo agio con quella pesante lancia di legno, saggiandola con la mano non apparendo molto sicuro su come agire. D'altro canto Torrerossa appariva sicuro della sua vittoria, non poteva certo perdere contro uno straccione del genere, fosse quello Ronas Martell oppure no. I dorniani, gente difficile da capire.
Appena i tamburi finirono di rullare Torrerossa si lanciò al galoppo. Partì come un fulmine diretto contro l'avversario, deciso a farlo crollare alla prima lancia. Ser Ronas invece partì in ritardo, come se nel frattempo si fosse addormentato nell'attesa del torneo. Manovrava la lancia con difficoltà facendola oscillare paurosamente, ad un certo punto sembrò anche che stesse per farla cadere.
- Ritirati! - gridò qualcuno dalla folla - Ritirati finché sei in tempo! Non sei Lancialucente! Ritirati, buffone!
Martell sembrò più concentrato a tenere la lancia che stare a sentire le rimostranze del pubblico. Alla fine, stancatosi di non saperla manovrare, abbassò il braccio tirandolo leggermente indietro, dando l'impressione di voler far cadere a terra l'arma e arrendersi, dando fine a tutta quella farsa che stava diventando quello scontro.
E invece, per lo stupore di tutti, si rivelò essere una strategia ben precisa. Quando Torrerossa gli fu a non più di dieci piedi di distanza Lancialucente non alzò la lancia per contrastarlo come chiunque dotato di buonsenso avrebbe fatto. Semplicemente... la lanciò. Con un movimento repentino fece schizzare la lunga lancia di legno in avanti, abbassandosi e schiacciandosi contro la sella del cavallo per evitare l'arma dell'avversario.
Torrerossa fu colto completamente di sorpresa. Aveva tenuto lo scudo tutto a destra, sicuro che l'avversario avrebbe lasciato cadere la lancia, commettendo il fatale errore di lasciare scoperto il petto. La lancia del dorniano impattò contro l'armatura di lui con un rumore sordo ed esplose in mille pezzi. Ser Joseth cadde rovinosamente a terra, mentre invece nel frattempo ser Ronas era arrivato incolume dall'altra parte del campo.
Alcuni emisero delle grida di stupore per quella dimostrazione di abilità, altri si lasciarono sfuggire delle imprecazioni.
- Cazzo, è veramente Lancialucente! - esclamò qualcuno.
- Nessuno avrebbe potuto fare una cosa del genere se non lui! - urlò un signorotto da una panca più in basso.
Torrerossa si rialzò presto, furente. A parte lo scombussolamento dovuto alla sorpresa non aveva subito molti danni, e provvide immediatamente ad estrarre la spada per continuare il duello. Dal canto suo Lancialucente girò il suo "destriero", e vedendo che ser Joseth si preparava dalla battaglia smontò anch'esso da cavallo.
- La mia lancia! - urlò a qualcuno nelle tribune.
Immediatamente un'arma gli venne lanciata addosso, e Daeron per un istante pensò che il cavaliere stesse per venire trafitto. Invece Lancialucente, in un'altra dimostrazione d'abilità, afferrò al volo la lancia facendo un'agile piroetta. Adesso che ser Ronas era sceso da cavallo Daeron lo poteva osservare bene: oltre che non particolarmente bello di faccia era anche basso, ma in compenso appariva agile. Lancialucente si tolse il mezzo elmo, lasciandolo cadere a terra e rivelando dei capelli biondicci, coi riccioli appiccicati alla testa dal sudore.
Torrerossa avanzò incombente contro di lui, lo spadone sguainato e la maglia di ferro che tintinnava al contatto con l'armatura. Lancialucente invece rimase dov'era, sulla difensiva, affidandosi ad una lancia corta di legno d'arancio e dalla punta non particolarmente affilata e alle sue misere protezioni in cuoio.
Senza nemmeno aspettare che l'avversario si stabilizzasse ser Joseth partì all'attacco con un possente affondo. "Abbastanza forte da tranciare anche una corda robusta" valutò Daeron. Lancialucente però non faticò a schivarlo, facendo un'agile piroetta verso destra. Di rimando Torrerossa fece seguire allo spadone la stessa traiettoria, tentando inutilmente di raggiungerlo.
Ronas Martell, sembra senza nemmeno fare troppa fatica, riuscì ad evitare la pesante spada di Torrerossa e a portarsi dietro di lui. Ed effettuò con la lancia un fulmineo affondo, penetrando tra le giunture dell'armatura presenti nelle gambe. Il gemito di ser Joseth indicò chiaramente che la lancia aveva colpito l'obbiettivo.
La lama doveva essere penetrata dietro il ginocchio, poco al di sopra del polpaccio, ma non molto a fondo dato che ser Joseth si mosse quasi subito. Si voltò, e mentre lo faceva caricò un possente colpo con il braccio, torcendo la spada. Quando si fu quasi girato del tutto fece scattare avanti la lama, lasciando appena un istante a Lancialucente per schivare. Senza dargli tregua fece rientrare lo spadone verso di lui, provando a colpirlo di rimando e mancandolo di poco. Lancialucente sarà anche stato forte, ma nemmeno Torrerossa scherzava.
Ronas Martell fece un balzo indietro, e una volta atterrato si pulì con una mano la fronte grondante di sudore. Joseth Redfort si puntellò con la spada a terra, cadendo su un ginocchio e ansimando pesantemente. Appena appoggiò la gamba a terra un piccolo rivolo di sangue prese a sgorgare dall'armatura, andando a formare una chiazza rossa sotto il ginocchio.
Ma Torrerossa non parve demordere. Dopo appena una decina di secondi, durante i quali Ronas Martell lo guardava pensieroso attendendo che ripartisse all'attacco, ser Joseth si rialzò di scatto e con un urlo spaventoso si avventò contro Lancialucente, deciso a concludere quella battaglia in quel momento. Lasciò andare lo scudo e prese con entrambe le mani la sua arma, pronto ad assestare un fendente mortale.
La lama calò come una falce al di sopra di ser Ronas. Quello però doveva aver previsto tale mossa, dato che balzò di lato scambiandosi nel frattempo la lancia dalla mano destra alla sinistra. Mentre ser Joseth veniva trascinato a terra dal colpo andato a vuoto, ser Ronas colpì di nuovo alle gambe dell'avversario, questa volta penetrando di una buona decina di centimetri nella giuntura con l'arma, trapassando la gamba di ser Joseth. Questi emise un urlo, più furibondo che dolorante.
- Basta così! - decretò lord Royce, alzandosi dal proprio seggio - Ser Ronas è chiaramente il vincitore di quest'incontro. Egli adesso è il nuovo campione. Direi che per questa mattina può bastare, concedo a tutti due ore per rifocillarsi. Il torneo riprenderà presto.
Mentre un gruppo di scudieri si precipitava ad aiutare il furibondo Torrerossa ad uscire fuori dal campo, Daeron guardò ser Ronas che pacatamente, come se nulla fosse successo, tornava indietro per raccogliere l'elmo. "Mi sbagliavo. Ecco chi vincerà il torneo." pensò con un piccolo moto di curiosità "Forse quest'evento sarà più interessante di quel che mi aspettavo.". E non sapeva ancora quanto avesse ragione.

Note dell'autore
Eccoci qua, terzo capitolo. Avrei voluto metterci più cose, ma la telecronaca del torneo mi ha preso più del previsto, e mi ha costretto a dividere i capitoli. Non disperate, arriverà anche la seconda parte. Prima o poi.
Purtroppo anche qui i pokemon non sono molto presenti... almeno non ancora, aspettate di leggere l'altra parte, era anche per questo che mi è dispiaciuto maggiormente dividerle.

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Capitolo 5
*** Manny I ***


Manny

Alberobianco risultò essere esattamente come il gruppo pensava: completamente vuoto e deserto. Prima di esso avevano ispezionato i villaggi di Pietranera, Sorgenteghiacciata e Casa-sul-Torrente, tutti vuoti. I bruti sembravano essersi volatilizzati, di loro nessuna traccia. Nessun altro segno di vita poi, né animali né pokemon. Anche la natura sembrava farsi più rada e spoglia man mano che proseguivano.
Già da un po' Manny si chiedeva se non avessero dovuto già essere rientrati alla base. Erano quattro giorni che proseguivano verso nord solo per ottenere lo stesso risultato: villaggi vuoti e abbandonati, la neve che ricopriva le case facendole crollare. Quei risultati desolati e desolanti stavano facendo venire i nervi a fior di pelle ai ranger in perlustrazione, che cominciavano a mostrare già da un po' evidenti segni di nervosismo.
Il sole cominciò a tramontare poco dopo che arrivarono ad Alberobianco, ma ser Aden non si diede per vinto. Ordinò a tutti di esplorare le poche case del villaggio in cerca di qualche segno degli abitanti. Evidentemente non accettava il risultato scarso, visto che il Lord Comandante Fossoway li aveva inviati in perlustrazione per scoprire perché i bruti si stessero riversando in massa verso la Barriera, arrendendosi pur di venire fatti passare.
Tutto era cominciato da due inverni prima, quando ancora Manny era poco più di un poppante e abitava nelle Terre dei Fiumi con la sua famiglia. I bruti avevano cominciato a venire verso sud appena le temperature si erano fatte più rigide, certi organizzati in vere e proprie bande armate con l'intenzione di passare con la forza, altri solo in grandi gruppi di donne e bambini frignanti, tutti con un solo obbiettivo: passare la Barriera e andare a sud.
All'inizio i Guardiani non avevano esitato a rifiutare loro il passaggio e ad uccidere quelli che tentavano di forzare gli ingressi, uomini, donne o bambini che fossero. Ma di fronte a un sempre maggiore afflusso di gente alcuni avevano ceduto e li avevano fatti passare. Altri invece si mantenevano fedeli al dogma dei Guardiani, e molti altri ancora non seppero minimamente come comportarsi.
Ci pensò il nuovo Lord Comandante Garreth Butterwell a stabilire il da farsi: impedire a qualunque costo l'ingresso dei bruti a Westeros, ucciderli se necessario. Grazie a questa linea i Guardiani erano andati avanti sino alla Primavera di Sangue, quindici anni prima, quando lord Butterwell era stato portato via da una polmonite e al suo posto era stato eletto il più moderato Hurdon Cartwell, il quale aveva stabilito di far passare i fuggiaschi.
Molti nutrivano dei dubbi verso questa politica, ma gli anni avevano fatto presto a passare e con essi anche i Lord Comandanti. Ogni successore di Cartwell aveva adottato un comportamento diverso riguardo ai bruti, e ancora quello di Rylen Fossoway rimaneva un mistero per tutti. Più che voler accogliere i rifugiati sembrava più che altro voler scoprire la causa di quella migrazione ininterrotta che andava avanti quasi da un ventennio, ed era per questo che inviava regolarmente squadre di ranger in perlustrazione per tentare di capirci qualcosa. Erano due anni oramai che queste missioni non portavano a nulla di costruttivo.
Dopo un rapido sopralluogo per accertarsi che il posto fosse davvero deserto il gruppo si riunì nello spiazzo principale, non molto distante dall'albero-diga.
- E' deserto come appare - osservò Beron Staunton.
- Già - ser Aden Hetherspoon non appariva contento - Ma voglio evitare di avere sorprese, qualcuno deve esaminare per bene tutto. Per, quante case ci sono in tutto?
- Mah - rispose l'interpellato con fare interrogativo, inarcando il sopracciglio dell'occhio guasto - Direi sei o sette, non so contare molto bene, ma credo che sia la cifra giusta.
- Allora, Per e Yora, controllate la parte sud. Manny e Kyle la parte nord. Tash, Dyv e Mio-Erede, voi verrete con me, controlleremo qui nei dintorni per vedere se qualche bruto ci vuol fare una sorpresa. Staunton, tu pensa ai cavalli e accendi il fuoco. Ci accamperemo qui per stanotte, non voglio arrischiarmi a proseguire oltre.
La squadra era composta da nove ranger, che oltre al Ranger Anziano ser Aden Hetherspoon e a Manny erano Kyle il Serio, Yora di Skagos, Beron Staunton, Tash l'Issatore, Per il Vecchio, Dyv di Città di Harroway e Rynkel Mio-Erede. E decisamente il Serio era quello che a Manny stava meno simpatico di tutti.
Kyle proveniva da Vecchia Città, dalla Cittadella per la precisione. Aveva studiato per diventare un maestro, ma era stato mandato alla Barriera dopo essere stato accusato dello stupro di una nobile di basso rango. Il caso era stato portato davanti a lord Hightower, che per non avere problemi l'aveva mandato alla Barriera due anni prima.
Era stato detto il Serio perché non sorrideva mai, ed era sempre avvolto da un'aria saccente quasi che fosse stato un maestro. Che probabilmente avrebbe corrisposto a verità se solo non fosse stato accusato di quel crimine infame. Era stato rifiutato come attendente del maestro Zick semplicemente perché c'erano già Cappello e Ril Quellobasso per questi ruoli. Era stato rifiutato anche dai costruttori per il suo fisico non particolarmente prestante, e per questo era stato dato ai ranger. L'unico suo pregio era quello di avere una vista acutissima, cosa utile almeno quella.
Dopo che tutti si furono allontanati per adempiere alle proprie mansioni, Kyle e il Serio si avviarono verso le capanne nella parte nord del villaggio. Cominciarono da quella più distaccata dall'agglomerato, secondo il Serio almeno si sarebbero liberati subito della zona più pericolosa. A Manny sembrava sempre di essere nella zona pericolosa, col Serio di fianco. Non se ne stava mai zitto, e la sua logorrea poteva risultare molto svantaggiosa nei momenti in cui dovevano starsene in silenzio.
Appena entrarono nella capanna li accolse un ambiente davvero desolato. Nella stanza regnava un freddo pungente, quasi che un fuoco non vi venisse acceso da mesi. Effettivamente lo spiazzo del focolare appariva sgombero da pezzi di legno e da cenere, tranne che per qualche sporadica scheggia congelata.
- Decisamente qui non si accende il fuoco da un po' - sottolineò in maniera ovvia il Serio mentre Manny si chinava ad esaminare i resti del falò.
"Grazie, signor sotutto. Per Arceus, vedi se dovevo venire alla Barriera per ritrovarmi questo idiota sempre tra i piedi". In quattro anni di permanenza nell'estremo Nord Manny non aveva mai incontrato nessuno che gli desse così fastidio. Il Serio era risultato sgradito a tutti fin dal suo arrivo, e negli ultimi tempi si era appiccicato in maniera del tutto sgradevole proprio a Manny, soprattutto adesso che erano insieme in missione al di là della Barriera. Stava seriamente cominciando a chiedersi se veramente avrebbe infranto il giuramento da guardiano "dimenticandosi" un confratello nelle distese gelate in mezzo alla Foresta Stregata, in preda ai lupi, ai bruti e a... altre cose.
Mentre Manny si rialzava il Serio prese ad ispezionare l'arredo in maniera sin troppo rumorosa. Se arredo si potevano chiamare due tende logore e una buca di terra ricoperta da un grosso sasso. Le tende erano di un color rosa sbiadito e risultavano ruvide, indurite da molti anni di freddo. La buca invece non conteneva nulla di interessante, pochi ramoscelli e un tozzo di pane andato a male e duro come il marmo. "Sì, decisamente qui non abita nessuno da mesi" pensò Manny gettando via quel cibo immangiabile.
Uscirono dopo poco, dirigendosi verso le altre capanne. Quella che avevano appena controllato era leggermente distaccata dal resto del villaggio, e per tornarvici dovevano percorrere una cinquantina o più di piedi tra gli alberi. Appena si incamminarono il Serio prese di nuovo a parlare su quanto quel posto fosse deprimente e desolato.
Ma Manny aveva altro per la testa. Sentiva una strana sensazione fin dal giorno precedente, che si era fatta più forte sin da quando erano arrivati in vista del villaggio. Si sentiva uno strano pizzicorino sulla nuca, quasi fosse sempre sotto lo sguardo di qualcuno. O qualcosa.
La Foresta Stregata lo aveva messo a disagio sin da quando vi si erano addentrati, ma mai come adesso. Nonostante non fosse la prima volta che vi andava per una pattuglia, sentiva che c'era qualcosa di diverso in quel periodo. Sentiva di non essere solo, o meglio di non esserlo assieme ai compagni. C'era qualcun'altro, anzi, qualcos'altro che li seguiva da un po'. Almeno era questa la sensazione che tormentava il Guardiano già da un po' di notti.
Un fruscio, appena percettibile. Il Serio smise di parlare appena Manny sguainò la spada, i riflessi allerta. Proveniva da dietro di loro, questo Manny l'aveva capito. Rimase immobile per un attimo con il Serio che lo guardava stupito. Poi si voltò fulmineamente, puntando la spada al collo del presunto aggressore. Che si rivelò essere Rynkel Mio-Erede.
- Scusa amico - fece lui alzando le mani - Non volevo spaventarti. Solo che dovevo passare di qua e per farlo ho dovuto smuovere un po' di cespugli. Ho fatto un po' di casino?
- Aye, eccome se l'hai fatto - rispose Manny stizzito, rinfoderando la spada - Se fossi stato un bruto saresti già morto e sepolto.
- Non sono mai stato un granché nel muovermi furtivamente.
Rynkel abbassò le mani sorridendo. Aveva il sorriso facile lui, riusciva sempre a sorridere per tutto.
- Truffare era il mio mestiere, non sfilare i soldi dalle tasche dei proprietari. Erano loro stessi a darmeli.
- Sì, sì - intervenne il Serio, ripresosi da un attimo di spavento - Sappiamo tutti quello che facevi prima di finire qui, Duskendale alla fine aveva finito i fessi da truffare e hai provato a venire ad Approdo del Re, solo che quelli delle Cappe Dorate ti hanno preso al primo...
- Sappiamo anche - lo interruppe Rynkel - come tu ti sia fatto quella nobildonna giù a Vecchia Città e come il promesso sposo era andato a piangere dal benevolo lord Hightower, e di come tu abbia gagliardamente tremato davanti...
- Adesso basta! - li interruppe Manny. Il Serio era diventato tutto rosso, sembrava un pokémon di tipo Fuoco, mentre Mio-Erede aveva assunto un non troppo rassicurante sorrisetto malizioso. Aveva già abbastanza preoccupazioni per la testa e non aveva intenzione di farne nascere un'altra con un litigio tra confratelli, cosa assolutamente da evitare.
- Mio-Erede, che stai facendo qui? Non dovevi stare con ser Aden a perlustrare il bosco?
- Sì - rispose questi senza distogliere lo sguardo dal Serio - Mi ha detto di andare da questa parte e io ci sono andato, ho solo eseguito un ordine. E' stata solo la sfortuna che ci ha messo sulla stessa strada, non ti pare?
Manny non sapeva se credergli o no, Mio-Erede era notoriamente un gran contaballe, ma per quella volta decise di far finta di nulla. Erano a tante, troppe miglia a nord della Barriera, ed avere dei dissidi coi suoi compagni non rientrava tra le sue prerogative. Adesso voleva solo pensare ad assolvere il suo dovere e tornare dietro il muro di ghiaccio al più presto.
- Sì, va bene, adesso torna a cercare bruti però. - concluse Manny, facendogli cenno che poteva andare.
- Certo, ser Manny del Formaggio! - ghignò Mio-Erede prima di svanire tra i cespugli.
- Ah, certa gente non cambierà mai - sospirò Manny, rivolto più a sé stesso che al compagno. Il quale però male interpretò le parole e prese con un nuovo sproloquio.
- Guarda, non me ne parlare, giù alla Cittadella ce n'erano di palloni gonfiati, pensa che una volta c'erano due dorniani...
Manny lo lasciò sproloquiare mentre cominciò ad incamminarsi nuovamente verso il villaggio. Durante il breve tragitto ripensò a Mio-Erede e al motivo per cui era alla Barriera. Prima abitava a Duskendale e per vivere si occupava di truffe, spesso a danno di vecchi mercanti o locandieri in punto di morte. Era abile al punto di farsi proclamare erede universale di tutti i beni della vittima (da qui il suo soprannome), accumulando così una discreta fortuna.
Ma alla fine il suo volto era diventato troppo noto a Duskendale ed era stato costretto a cambiare aria. Aveva pensato che Approdo del Re sarebbe stato il luogo perfetto, ma appena vi aveva messo piede era stato arrestato dalle Cappe Dorate. A quanto pare persino lord Rykker aveva udito di questo truffatore e si era addirittura disturbato a mandare un corvo al comandante delle Cappe Dorate per farlo arrestare. Poi appena era passato il reclutatore dei Guardiani della Notte Rynkel si era subito offerto volontario per la Barriera piuttosto che marcire in una putrida cella per il resto dei suoi giorni.
Lui e Manny erano stati imbarcati assieme per la Barriera. Lui era salito sulla nave quando questa aveva fatto scalo a Padelle Salate assieme ad altri tre criminali. E perché era lì? Semplicissimo, aveva rubato dalle scorte di lord Bracken. Nessuna importanza avevano le motivazioni di Manny: la sua famiglia moriva di fame. E lady Elna cosa aveva risposto? "Come tutti del resto", sue testuali parole, ed era stato mandato alla Barriera.
Lui e Rynkel avevano subito fatto amicizia, e quando il secondo era stato soprannominato Mio-Erede Manny era diventato Ser Formaggio, in quanto aveva preso il nero per una forma di formaggio. "Mai nessuno era stato punito per crimine più stupido" si ritrovava spesso a pensare Manny sul proprio fato.
Usavano quei soprannomi per scherzo, del resto erano amici e potevano fare poco o nulla col loro passato. Avevano sbagliato e adesso erano alla Barriera per sempre, decisamente meglio scherzarci sopra piuttosto che compatirsi. E così Rynkel era lì per un pugno di monete, mentre invece Manny per un po' di formaggio.

In tutto il resto del villaggio non trovarono nulla di interessante. Esplorarono l'ultima casupola assieme a Per e Yora, i quali avevano finito di ispezionare la propria parte di villaggio, ma nemmeno da quel posto risultò esservi nulla di particolare. In definitiva quello era l'ennesimo villaggio deserto in tutti i sensi.
Quando ebbero finito, non sapendo cosa fare, decisero di andare al falò che Beron Staunton aveva acceso nel mentre che loro scandagliavano le case. Il sole era definitivamente tramontato, motivo in più per fare in quel modo. Aveva fatto veramente un buon lavoro, il fuoco ardeva e scoppiettava che era una meraviglia da guardare. E ancor di più da individuare da lontano. I guardiani dovevano solo sperare che non ci fossero bruti nei paraggi.
Aspettarono pazientemente che ser Aden e gli altri terminassero il loro giro di ricognizione, cominciando nel frattempo a pasteggiare e a conversare. Qualcuno tirò fuori della carne secca, Yora aveva con sé un corno di birra, così fecero un giro di bevute ognuno e si dividettero le dure striscioline. Manny assaporò la sua per parecchio tempo, gustando il sale che si scioglieva in bocca. Era decisamente una bella distrazione dal freddo pungente della notte appena calata.
- Spero che abbiate lasciato un po' di birra anche per me.
Nessuno si era accorto del sopraggiungere di Aden Hetherspoon. All'udire le sue parole tutti i discorsi si interruppero e calò un silenzio di tomba. Il Ranger Anziano prese posto davanti al falò, sistemandosi accanto a Per il Vecchio e a Yora di Skagos. Tash, Dyv e Rynkel lo seguirono a ruota. Manny si ritrovò stretto così tra Mio-Erede e Beron Staunton, ma non si poteva certo lamentare. Tutti i posti erano meglio di quelli vicino a Kyle il Serio, e compativa per questo Dyv e Tash.
- Bel lavoro, Staunton. - disse Hetherspoon mentre masticava una striscia di carne - Questo fuoco è venuto fuori proprio bene. Talmente bene che se fossi stato un bruto saresti già morto. La prossima volta vedi di farlo in un posto più riparato.
Beron Staunton, inizialmente galvanizzatosi, chinò la testa affranto a sentire il severo tono del Ranger Anziano. Effettivamente il bivacco era sorto al centro del villaggio, in un luogo facilmente avvistabile dall'esterno. Oramai comunque era stato fatto lì, non ci si poteva fare più nulla.
- Comunque - proseguì il ranger - Passatemi quella birra.
Yora, che aveva in quel momento il corno in mano, glielo diede repentinamente. Ser Aden tracannò una bella sorsata, poi ridiede la birra al legittimo proprietario.
- Scommetto che questa te l'ha data Dawsin. In effetti mi sono sempre chiesto cosa facesse quel cuoco col grano che metteva da parte. Bé, niente di speciale, ma decisamente meglio di quello schifo che Fossoway chiama vino.
"Sicuramente" pensò Manny "Quando stava nelle Terre dell'Ovest beveva birra migliore.". Solo che quanto si era trattato di scegliere ser Aden aveva scelto la parte sbagliata. Era al seguito di Ascar Lannister quando questi tentò di portare rinforzi a Maelor Darksister che assediava Vecchia Città, ed era uno dei suoi fedelissimi. Era stato uno dei primi a radunarsi a Lannisport e aveva combattuto a Castamere e al Lago Rosso. Infine era rimasto ferito alla Battaglia dell'Acqua Insanguinata ed era stato preso prigioniero dalle truppe fedeli al re. Poi, quando Rylen Lannister gli aveva dato la possibilità di scegliere tra la Barriera e la decapitazione l'alternativa da scegliere era parsa ovvia.
Sì, decisamente birra e vino erano migliori prima. E pensare che mentre tutto questo succedeva Manny correva mezzo nudo per il suo villaggio nelle Terre dei Fiumi, con Harry che rideva e Garry che lo rincorreva. Ah, la sua famiglia, quanto gli mancava. Harry, il solo fratello più grande di lui, poi venivano Garry, Morne, Benny, Norry ed Enna, senza contare il piccolo Jon, il pargolo che Harry aveva avuto dalla figlia del fornaio. Poi c'era Nyx. Ma non pensava di averlo mai conosciuto un granché, suo fratello minore, nonostante fosse più piccolo solamente di un anno rispetto a lui. C'era suo padre anche, un uomo tanto buono. E sua madre...
Manny venne distolto dai suoi pensieri da ser Aden, il quale aveva ripreso a parlare.
- Tsk, se Fossoway avesse voluto che indagassimo a fondo ci avrebbe dovuto dare più scorte. Che volete ne capisca uno dell'Altopiano. Sapete che vi dico? Domani ci rimettiamo in marcia e arriviamo fino al Lago Azzurrabrina. Se anche lì non troviamo niente torniamo indietro. Mi fanno male le terga a forza di dormire per terra, non vedo l'ora di stare di nuovo nel mio letto del Castello Nero, e voi?
Un mormorio di assenso si diffuse tra la truppa in nero. Decisamente tutti erano d'accordo con l'idea di ser Aden.
- Bene, allora faremo così. Ma ci dobbiamo arrivare a quel lago, sapete come diventa Fossoway quando non gli va bene qualcosa. Magari gli diciamo che siamo andati anche un po' oltre, non tanto ma un po', giusto per farlo più contento.
Tutti acconsentirono, anche Manny. Il Lord Comandante era senza dubbio una brava persona, ma quando ci si metteva sapeva essere anche peggio di Kyle il Serio. L'aveva visto una volta accanirsi contro un attendente che non aveva svolto un non meglio determinato compito. A quel poveraccio gli c'era voluto come minimo un mese per riprendersi.
Poi quell'uomo stava sempre col suo Tropius al fianco. Manny sapeva che quella specie era tranquilla, ma guardando quello del Lord Comandante mai si sarebbe detto. Quel pokemon era intrattabile e nel migliore dei casi lanciava sguardi minacciosi e ringhi a qualsivoglia persona gli passasse davanti, tranne ovviamente il padrone. Nel peggiore dei casi invece menava testate a più non posso, e parecchi confratelli si erano ritrovati senza sensi per non avergli prestato la dovuta attenzione. Il poveretto già citato aveva quasi perso un dito per un morso che gli era stato rifilato dal pokemon.
Manny si era sempre chiesto come il Lord Comandante si fosse procurato tale creatura. Aveva chiesto in giro, e nei quattro anni che aveva vissuto alla Barriera ne aveva sentite di tutti i colori. Alcuni dicevano che quella bestia proveniva dall'Isola dei Volti Verdi, al centro dell'Occhio degli Dei, altri che fosse un tempo proprietà di uno dei lord dell'Altopiano (stando alle voci di lord Sawyer Tarly, detto il Cacciatore Folle), altri ancora addirittura che fosse nato e allevato presso i Dothraki.
Tra tutte le ipotesi quella che Manny riteneva più verosimile era la seconda. Fatto sta che stando ai confratelli più anziani quando Rylen Fossoway era arrivato alla Barriera oltre trent'anni prima quel Tropius era con lui, e questo in parte smontava la tesi del Cacciatore Folle visto che questi era nato circa due anni dopo l'entrata di Fossoway nei Guardiani della Notte (almeno stando alle voci).
Comunque sia il Tropius sembrava avere un profondo legame col Lord Comandante, e prendeva ordini solo da lui. Molti ranger anziani dicevano che quando Fossoway e Tropius scendevano in battaglia non temevano nulla. Aveva sentito dire che i bruti avevano cominciato a temere "la Foglia della Mela", metafora per dire che Tropius era la foglia della mela dei Fossoway, loro stemma araldico.
- Vedo che siamo tutti d'accordo. - concluse ser Aden.
Calò per un attimo il silenzio, mentre il Ranger Anziano addentava una striscia di carne secca e prendeva a masticarla. A Manny sembrava quasi di udire la carne dura come cuoio scricchiolare sotto la pressione dei denti del cavaliere.
- Allora - fece questi con la bocca mezza piena - Io direi di metterci a riposare adesso o comunque tra poco, se vogliamo arrivare all'Azzurrabrina entro domani dobbiamo essere belli freschi. A fare i turni di guardia staranno due persone per volta. Staunton, Mio-Erede, inizierete voi che siete giovani. Fate passare un paio d'ore, poi svegliate chi vi pare per continuare la guardia.
Staunton annuì grave, mentre Mio-Erede fece uno dei suoi sorrisi sornioni. I confratelli restarono a parlare accanto al fuoco ancora per un po', poi complice anche la birra si addormentarono come se nulla fosse. Manny fu uno degli ultimi. Era così stanco per quei giorni al freddo e al gelo che non fece nemmeno molto caso a dove si lasciò prendere dal sonno. Si guardò per un attimo attorno, e notò di essersi addormentato tra Yora di Skagos e Per il Vecchio. Il suo ultimo sguardo prima di perdere coscienza fu rivolto a Staunton e Mio-Erede che si allontanavano dal falò, ma non se ne accorse nemmeno.

- Manny, vieni!
La voce squillante di suo fratello Garry lo spronò a continuare a correre con loro. Quando erano piccoli facevano sempre questo genere di giochi. Chiaramente Manny, essendo di tre anni più grande, vinceva quasi sempre. Quasi.
- Eccomi! - rispose, precipitandosi dietro alla scheggia che suo fratello era.
Sembrava quasi un pokemon da quanto era veloce. Garry era sempre stato una piccola belva, sin da quando era stato in grado di camminare. Tra tutti i suoi fratelli era quello che più preferiva, persino più di Harry. Se si fissava su qualcosa e decideva di perseguire un obbiettivo nulla poteva fermarlo, fosse quello di vincere un gioco o di rubare un pezzo di formaggio dalla dispensa.
Il bambino si fermò all'Albero del Penny, appoggiando una mano sul suo tronco morto. Manny lo raggiunse presto, e per un attimo si fermò a guardare lo splendido panorama. Distaccato dal resto del bosco, l'albero si trovava su un piccolo rialzo dal quale si poteva ammirare l'intera terra sottostante. Il villaggio di Pennytree era veramente una bella vista, ma non era questo che ai fratelli interessava.
- Che c'è Garry? Stavo con la mamma, aveva bisogno di me.
- Facciamo una gara?
- Mi hai disturbato per questo?!
- Dai Manny! Una gara!
- No, devo aiutare mamma. E tanto vincerei io.
- Non è vero!
- Sì che lo è! Tant'è vero che ho vinto l'ultima volta. E quella prima. E quella prima ancora. E quell'altra prima ancora. E...
- Questa volta vincerò io!
- Come no. Adesso torno da mamma.
Manny si voltò, facendo per ritornare verso casa. Dietro di lui Garry cominciò a singhiozzare, e probabilmente lacrime cominciarono a scendergli dagli occhi.
- Sei cattivo!
Il ragazzo non rispose e non si girò, sorridendo sotto i baffi. La verità era che moriva dalla voglia di fare quella gara, ma voleva giusto stuzzicare un po' il suo fratellino. Era testardo come pochi, si incaponiva come nessuno quando voleva ottenere qualcosa. Voleva solamente vedere se avrebbe ceduto o no. Ma sapeva già la risposta.
Cominciò a camminare simulando il suo ritorno a casa. Voleva sembrare convincente così da farlo arrabbiare un po'. Ah, quanto si sarebbe divertito adesso!
- Non la vuoi fare perché hai paura di perdere contro uno più piccolo di te! Dillo che hai paura di perdere!
Manny si bloccò all'istante. Questo non era affatto quello che voleva sentirsi dire. Pensava che Garry avrebbe detto cose del tipo "Rimani!" oppure "Non è vero, vinco io!", ma evidentemente aveva fatto male i suoi calcoli.
Questo era decisamente troppo. Farsi insultare così dal suo fratellino, questo non poteva permetterlo. Non aveva paura di perdere, però gli scocciava darla vinta così facilmente al fratello. Gli avrebbe teso un bel trabocchetto, così avrebbe imparato a non provocarlo.
- Facciamo così - disse girandosi verso il fratello - Adesso vieni qua e ci mettiamo in posizione. Conto fino a tre e poi partiamo. Vince il primo che arriva al ceppo dietro casa, va bene?
Garry, il quale era nel frattempo arrivato da lui, si asciugò velocemente gli occhi.
- Va bene! - esclamò tutto contento.
- Uno...
Garry, tutto eccitato, si piegò con un ginocchio a terra, pronto a partire non appena il fratello avesse terminato il conto alla rovescia.
- Due...
Poi, appena finito di pronunciare la parola "due", Manny prese a correre. Aveva giocato sporco stavolta, ma l'aveva voluto Garry. Così avrebbe imparato a disturbarlo.
- Non vale! - gli urlò dietro il fratellino - Non vale! Non vale!
Manny nemmeno lo ascoltò, pensò solamente a correre. Le immagini del bosco gli sfrecciavano accanto, veloci. In men che non si dica attraversò buona parte del colle, e ben presto avvistò casa sua. Man mano che continuava a correre la dimora si faceva sempre più grande, per quanto la casupola di un taglialegna lo potesse essere.
Più si avvicinava e più particolari riusciva a scorgere. Il camino che emetteva fumo, il carretto carico di legna posteggiato vicino alla finestra del retro, l'onnipresente fessura sul tetto. Sulla soglia c'era sua madre, che gli sorrideva in maniera dolce e comprensiva.
Quando fu abbastanza vicino Manny si fermò, guardandosi indietro. Nessuna traccia di Garry, era riuscito a seminarlo con successo. Quindi tornò a guardare la madre, sorridendo a sua volta e alzando un braccio in segno di saluto. La madre però rimase immobile.
Non vedendo nessuna reazione da parte del genitore Manny si avvicinò alla casa. L'espressione della madre non mutò nel mentre che la distanza tra i due si riduceva. Questa cosa non gli piaceva per niente.
- Mamma?
Nessuna risposta.
- Mamma, stai bene?
Ancora niente. Quando il ragazzo fece per toccare l'inquietante volto immobile della madre questo scivolò per terra come se fosse stato una maschera. Al suo posto venne fuori un ammasso informe di carne putrefatta, brulicante di vermi. E gli occhi di sua madre erano tondi e bianchi, e lo stavano fissando.
Improvvisamente quel bel sogno si era trasformato in un incubo. Manny urlò, facendo un balzo indietro. Tutto collassò precipitando nell'oscurità, mentre nell'aria riecheggiavano le urla di un neonato.

Manny si svegliò di soprassalto, agitandosi nel giaciglio che si era ricavato con la pelle che ricopriva la sella del suo cavallo. Non aveva mai avuto così caldo nelle sue nere vesti pesanti, sentiva di stare cuocendo a fuoco lento.
Poco lontano Dyv stava riattizzando il fuoco con un bastone, quando si accorse che Manny si era risvegliato.
- Mannaggia a te, potevi anche tornare tra noi prima. Dannazione, almeno il Vecchio non mi avrebbe disturbato per venire a fare il turno di guardia. Tornatene nel mondo dei sogni, e la prossima volta vedi di svegliarti dieci minuti prima.
Manny si infilò un dito all'interno della scollatura della pelliccia, allargandosela leggermente per farsi aria. Nonostante stesse quasi morendo dal caldo decise di seguire il consiglio spassionato di Dyv, e tornò così a distendersi sul freddo suolo delle terre oltre la Barriera.

Una risata. Bassa e roca, ma riecheggiante nel vasto spazio in cui si era ritrovato. Tutto era immerso nell'oscurità, non si vedeva quasi nulla. Manny si ritrovò letteralmente ad avanzare alla cieca, cercava di mettere le mani davanti a sé per avvertire la presenza di eventuali ostacoli. Non sapeva perché ma sentiva di dover andare avanti, nonostante sapesse in cuor suo che nulla di bello lo stava aspettando.
Volti nell'oscurità, tutto attorno a lui. Altre risate si aggiungevano al cupo sottofondo, andando a comporre una spettrale melodia. Nonostante non riuscisse a vedere nulla, Manny poteva essere sicuro di non essere solo dovunque fosse. E quella cosa non gli piaceva per niente.
All'improvviso, nonostante avesse preso le dovute precauzioni, andò a sbattere contro una di quelle facce. Anzi, più che altro fu quella a comparirgli davanti, materializzandosi in un attimo. Quasi cadde a terra dallo spavento, ma riuscì chissà come a rimanere in piedi. Nonostante gli avesse quasi fatto prendere un colpo non si mosse nemmeno di un pollice. C'era qualche strana forza che gli impediva di farlo.
Al contrario delle altre facce questa non emetteva suoni. Era contorta in un ghigno malizioso, denti bene in mostra ed occhi chiusi, ma era qualcosa di falso. Il vero occhio lo osservava dalla fronte. Un occhio azzurro come il ghiaccio.
Manny restò senza fiato per alcuni istanti. I muscoli del torace divennero immobili e totalmente inerti, presto all'uomo venne a mancare l'aria. Presto sentì di aver finito le scorte polmonari e disperatamente si affannò per respirare di nuovo, senza però ottenere successo. Sarebbe morto soffocato di lì a poco se non avesse fatto qualcosa. Doveva...
Improvvisamente, nonostante fosse buio pesto, vide che una gigantesca voragine si stava aprendo sotto di lui. Tentò disperatamente di togliersi di lì per non cadervi dentro, ma non ci riuscì. Sentì il vuoto sotto di sé, cominciò a precipitare. L'aria gli frustava il viso mentre cadeva in una spirale di follia infinita.

Atterrò in maniera non proprio delicata sulla gelida terra. Si sentiva tutto indolenzito, come se non si muovesse da giorni. Fece per tossire, ma quello che gli uscì fu una specie di soffio stentato appena udibile. Provò ad alzarsi ma non ci riuscì. Fu così costretto ad afferrare col braccio un ramo vicino per potersi sollevare.
Una volta in piedi costatò che si trovava in mezzo alle frasche. Non si ricordava come ci era finito, sicuramente non da solo. Si guardò attorno, osservando attentamente l'ambiente che lo circondava. La Foresta Stregata assumeva la sua particolare aria spettrale di notte, risultando un cupo ammasso di alberi inquietanti e soffi di vento sussurranti.
Cautamente si guardò attorno, poi si decise ad uscire dai cespugli in mezzo ai quali era. Si ritrovò in uno stretto sentiero naturale formatosi tra gli alberi. Guardò in entrambe le direzioni. A sud nulla. A nord anche, però... sarà forse stata solo una sua impressione, ma non era una luce quella che scorgeva?
Si diresse senza quasi rendersene conto verso quella direzione, senza nemmeno sapere in fondo perché. Semplicemente decise di seguire l'istinto, e il suddetto istinto gli diceva di andare verso quella luce. Era... confortante, rispetto a tutto l'ambiente che lo circondava, per non parlare del freddo che in quel momento stava provando.
Man mano che avanzava il bagliore si faceva sempre più intenso. Avvertì delle voci ancora prima di vedere degli esseri umani. Cauto, decise di posizionarsi dietro alcuni piccoli arbusti quando seppe di trovarsi in prossimità della luce. Quando si fu trovato un buon posto, sbirciò dall'intrico di foglie davanti a sé.
C'era un piccolo villaggio composto da rozze capanne, in mezzo al quale si trovava un falò. Attorno ad esso c'erano vari umani, molti dei quali dormivano. Due invece erano svegli accanto al fuoco, e conversavano.
- Direi di svegliare quello del formaggio - disse uno - Prima lo ha fatto proprio poco dopo che è toccato a noi. Io dico che gliela dobbiamo far pagare.
Un grugnito fu la risposta dell'altro.
- Bene, allora lo faccio. Così impara a svegliarsi dopo di noi.
L'uomo si rivolse quindi verso uno degli individui addormentati, facendo per richiamarlo.
- Sveglia, Ser Formaggio!

- Sveglia, Ser Formaggio!
Quelle parole, pur non urlate né dette ad un livello alto, bastarono per far risvegliare Manny e Kyle il Serio, il quale si era addormentato a pochi pollici da lui. Non molto più in là stava Dyv, in piedi di fronte al focolare con accanto Tash, il quale stava letteralmente crollando dal sonno.
- E' arrivato il tuo turno di fare la guardia. - continuò Dyv - Io ho già dato abbastanza.
L'Issatore biascicò qualcosa che probabilmente serviva a dare manforte al confratello, ma aveva la bocca talmente impastata che non si capì nulla. Manny si stupiva sempre che uno grande e grosso come lui riuscisse a ridursi a tali livelli, o forse si faceva solamente delle illusioni riguardo a quelli con una corporatura prominente.
- Anche Tash è stanco, adesso te e qualcun altro venite a darci il cambio. Sveglia il Serio, lì accanto. Certo non gli farà male un po' di attività notturna.
L'uomo si passò una mano in faccia, tentando di riprendersi dal risveglio non proprio desiderato. Mentre lo faceva ripensò a tutti i sogni avuti quella notte. I primi due... oramai quel genere di incubi li aveva sin troppo spesso. Da quando la madre era morta dando alla luce Enna erano state poche le notti in cui aveva avuto dei sonni tranquilli, per cui non se ne rammaricò più di tanto.
Quello che lo turbò invece fu l'ultimo. Da quando quattro giorni prima aveva lasciato la Barriera ogni notte sognava una cosa del genere. Non aveva idea di cosa pensare, non sapeva cosa stava sognando. Sentiva di essere lui il protagonista del sogno, ma allo stesso tempo percepiva di... non esserlo. Era come se si trovasse nelle vesti di qualcun altro, o forse anche nella pelle.
Non aveva ancora capito se in sogno fosse un bruto, un animale, un pokemon o chissà cos'altro. Qualcos'altro... No, non ci voleva nemmeno pensare. Tutte le leggende che aveva udito degli orrori che si celavano al di là della Barriera: tormente assassine, belve feroci, tribù di cannibali... e gli Estranei. No, decisamente voleva tornare a sud quanto prima.
Non si sentiva sicuro lì, aveva paura, ma cercava di controllare le proprie emozioni. Non voleva mica risultare un disertore. Si ricordava dell'ultimo confratello che aveva provato a disertare, era un ragazzo magrolino proveniente da Approdo del Re. Decisamente la Barriera non era fatta per lui, nei sei mesi che era stato lì era deperito vistosamente.
Poi, una notte, era scomparso. La sua fuga non era comunque durata molto, era stato riportato alla Barriera da un gruppo di abitanti di Città della Talpa ai quali aveva chiesto aiuto, illudendosi che provassero pietà per lui. Era stato lord Fossoway in persona ad ucciderlo tramite decapitazione, non prima di aver fatto un discorso ai guardiani radunati davanti al patibolo. Manny era di guardia sulla Barriera mentre ciò succedeva, ma anche se non aveva sentito aveva visto tutto. Il Lord Comandante che estraeva la lama, il suo Tropius che scalpitava, la testa del ragazzino che veniva staccata dal collo, la pozza di sangue...
Manny si alzò in piedi. Sbadigliò mentre lo faceva, assaporando il freddo pungente dell'aria notturna. Si sentiva tutto indolenzito, fu per questo che decise di sgranchirsi un po' i muscoli del collo e delle braccia. Distese entrambi gli arti superiori, piegando al contempo la testa verso sinistra, nel tentativo di riscaldarsi e scacciare il torpore. E fu questo a salvargli la vita.
Avvertì lo spostamento d'aria in ritardo, quando oramai tutto si era compiuto. Fu cose se un improvviso alito di vento gli avesse accarezzato la pelle del collo, oppure come se la pelliccia di qualche animale gli avesse fatto il solletico. A richiamare di più la sua attenzione fu il lamento strozzato che sentì provenire da davanti sé, e quasi senza rendersene corto si ritrovò ad alzare lo sguardo. Era come se qualcuno stesse soffocando come aveva fatto lui in sogno, e così effettivamente fu.
Con evidente sgomento in volto Dyv si stava tastando la gola, incredulo. Da essa infatti spuntava la coda di una freccia. Il suo sguardo era terrorizzato, e lo spostò presto su Manny. Provò a chiedere aiuto, ma al posto delle parole dalla sua bocca uscì solo un mare di sangue. Restò per un attimo in piedi, poi si accasciò a terra. E fu in quel momento che Manny si rese conto che se non si fosse stiracchiato ci sarebbe stato lui al suo posto.
Non ci fu nemmeno il tempo per rendersi conto di cos'era successo che un'altra freccia si conficcò sibilando nella gamba di Tash. Questo, il quale si era appena accorto di quel che era successo a Dyv, non ebbe il tempo di reagire e lanciò un possente urlo che riecheggiò per tutta la foresta circostante. Fatto ciò non poté fare a meno di cadere malamente a terra, continuando a lamentarsi disperatamente e a tenersi la gamba.
Tutti i guardiani si risvegliarono all'istante, allarmati dal richiamo del compagno. Alcuni lo fecero confusamente come Kyle il Serio, il quale si guardava attorno spaesato, probabilmente non sapeva nemmeno dove si trovava. Altri invece, come ser Aden, in men che non si dica scattarono in piedi, pronti ad affrontare il nemico e con la spada in pugno.
- Tutti attorno al fuoco! In cerchio! In cerchio!
L'ordine risuonò chiaro nella notte, e tutti immediatamente cercarono di avvicinarsi al focolare, chi prontamente e chi meno. Manny estrasse la lama e si posizionò accanto al superiore, mentre subito dopo a fianco gli si mise Per il Vecchio. Tutti presero a scrutare guardinghi il bosco e le case tutt'attorno, a malapena illuminate dalla luce del focolare.
Tash invece giaceva a pochi piedi più in là, proprio accanto al cadavere ancora caldo di Dyv. Aveva preso a piangere, implorando i compagni di aiutarlo. Sì, decisamente Manny aveva sopravvalutato quelli grandi e grossi. Tash continuò a singhiozzare per all'incirca un minuto, diventando l'unico rumore che disturbava l'irreale silenzio sceso sulla foresta.
- Aiutatemi! Aiutatemi! Vi prego! Aiut-
Andò avanti così almeno finché una nuova freccia gli si piantò nel collo, zittendolo e uccidendolo all'istante. Subito tutti alzarono la guardia ancor più di quanto già non lo fosse.
- Garny, maledetto vecchio, ti avevo detto di prendere bene la mira.
Tutti si voltarono immediatamente verso dove erano arrivate la freccia e la voce femminile.
- Uscite allo scoperto, maledetti bruti! - gridò ser Aden - Lo sappiamo che siete lì!
Detto fatto. Una decina di uomini - almeno - uscirono dalla boscaglia, accerchiando repentinamente i guardiani, i quali dal canto loro non si mossero. Dovevano mantenersi compatti se volevano avere qualche possibilità di vittoria.
Manny osservò i nemici. Erano vestiti di pelli nemmeno troppo lavorate e tenute insieme da legamenti ricavati dai tendini animali. Alcuni indossavano dei mezzi elmi scolpiti rozzamente nel legno, nella rocca oppure rubati a qualche Guardiano della Notte. Tutti avevano in mano delle armi, da delle semplici lance con la punta di pietra a spade forgiate da un fabbro delle Terre dell'Ovest, indubbiamente strappate dalle mani dei cadaveri di qualche ranger. Due bruti avevano un arco e non poche frecce. Uno era un vecchio piuttosto attempato (doveva essere il Garny nominato dalla voce) e l'altro era una donna. La stessa donna che aveva parlato.
- Oh oh, sembra che dei corvi siano scesi dal cielo per beccare qualche cadavere! - disse la donna con tono ilare - Solo che a parte due corvi a terra non vedo altri corpi. Mi sa che avete attaccato qualche preda troppo grossa, e magari anche troppo viva. Credo che i corvi stanotte resteranno a becco asciutto!
Alcuni dei bruti scoppiarono in delle grasse risate. La donna invece mantenne lo stesso sorriso sardonico, quasi a voler prendere in giro i guardiani. "Una moglie di lancia" pensò Manny "Solo una moglie di lancia potrebbe parlare così.". Alla Barriera la gerarchia della società bruta era abbastanza nota. Manny sapeva quanto bastava per stabilire che le mogli di lancia erano pericolose quanto gli uomini, se non di più. Erano nemici insidiosi, da uccidere assolutamente.
- Chi sei? - chiese Beron Stauton con fare incerto. La spada che aveva in mano tremava. "La farà cadere di questo passo.". Il guardiano aveva paura e si vedeva, Manny non riuscì a spiegarsi dove avesse trovato il coraggio di porre un quesito alla moglie di lancia.
- Ma come, i corvi non mi conoscono?
La donna si alterò sembrando offendersi, anche se il ghigno canzonatorio le restò sul volto.
- Possibile che la fama di Ondar, moglie di lancia di Tiessach il Grande, non sia giunta fino alla Barriera? Mi sembra impossibile che nemmeno uno di voi corvi mi conosca.
"Ma certo, Ondar. Non poteva essere nessun altro.". Ondar era responsabile della morte di non meno di una ventina di ranger negli ultimi tempi. Il suo simbolo, un cerchio sanguinolento, era stato ritrovato su molti cadaveri di ranger scomparsi al di là della Barriera e lasciati nottetempo ai limiti della Foresta Stregata. Era una delle mogli di lancia di Tiessach il Grande, meglio conosciuto dai guardiani come Tiessach l'Infame.
L'inverno precedente, quando ancora Manny non era arrivato alla Barriera, il bruto aveva catturato una pattuglia di ranger comandata da ser Holimer Buckwell, cavaliere encomiato dal re in persona per la sua fedeltà durante la Primavera di Sangue e ritiratosi nei Guardiani della Notte per le ferite riportate. Solamente un uomo dei dieci che lo accompagnavano ritornò a sud, descrivendo tutte le ignobili torture inflitte da Tiessach ai confratelli, in particolare era truce il momento in cui ser Holimer era stato costretto a mangiare dei pezzi delle proprie interiora. Ovviamente tutti coloro rimasti in mano bruta erano morti. Quel sopravvissuto era ancora vivo, cieco e mezzo folle ma vivo e vegeto, e abitava segregato al Forte Orientale.
Ondar era una delle più brutali mogli di lancia di Tiessach, e qualsiasi uomo tremava di fronte a lei. Nessun uomo che fosse un Guardiano della Notte almeno, anche se c'erano dei dubbi sulla virilità di alcuni di loro. "Non ho paura di lei" pensò Manny "Non mi fa paura.".
La osservò mentre quella continuava a ridere e a prendersi gioco di loro. Se non fosse stata una nemica Manny avrebbe pensato che sarebbe anche potuta essere una bella donna. Sui trent'anni, corpo formoso ma allo stesso tempo robusto, denti insolitamente bianchi per un bruto, ma soprattutto i capelli rossi. I bruti chiamavano i rossi "baciati dal fuoco", e li tenevano in grande considerazione. Sicuramente Ondar era una delle mogli preferite di Tiessach non solo per la sua brutalità ma anche per il fatto di essere baciata dal fuoco.
- Allora, corvetti - riprese la moglie di lancia dopo un bel po' di risatine - Fa freddo questa notte, che ne dite se ci scaldiamo un po'?
Mise nuovamente mano all'arco e alle frecce, facendo poi un cenno al suo compagno che la imitò.
- Adesso io incoccherò la freccia e conterò fino a tre. Poi la scoccherò, e uno di voi corvi cadrà al suolo. Se proverete a muovervi i miei uomini vi attaccheranno. Allora, cosa fate, corvetti miei?
Con un ghigno malizioso estrasse una freccia dalla faretra e la incoccò nell'arco. Poi la puntò contro il gruppo di guardiani e prese a contare.
- Uno...
Manny pensò velocemente a cosa fare. Ser Aden avrebbe certamente ordinato di attaccare, ma probabilmente la bruta avrebbe scagliato lo stesso la sua freccia. Poteva colpire uno qualsiasi di loro, Manny compreso. Si ripromise di togliersi di lì non appena il ranger avesse comandato l'attacco.
- Due...
Vide ser Aden molleggiare la spada, pronto per scattare. Beron Staunton sembrò farsi più piccolo al confronto dei compagni. Yora di Skagos, oltre alla spada, estrasse furtivamente anche il pugnale. Mio-Erede cercò di ripararsi il più possibile dietro al suo piccolo scudo nero. Per il Vecchio sputò in direzione dei bruti. Kyle respirava affannosamente.
- Tr-
- ORA!!!
Il grido del ranger giunse all'improvviso e i bruti furono lenti a reagire. I guardiani invece se l'aspettavano, così riuscirono a caricare. Gli arcieri scoccarono comunque i loro dardi. La freccia di Garny si piantò a terra, mancando i parecchio l'eventuale bersaglio. Quella che scagliò Ondar si conficcò dritta nel centro dello scudo di Mio-Erede, il quale crollò all'indietro per il violento contraccolpo. Yora nel frattempo lanciò il suo pugnale, che con letale precisione si conficcò nell'occhio di un bruto.
Manny senza pensarci corse in avanti, urlando con quanto fiato aveva in corpo. Quasi immediatamente si trovò davanti un bruto, il quale provò a colpirlo con la sua ascia. Manny, quando questo menò un fendente con la sua pesante ascia, decise di non combatterlo ma di scansarlo. Evitato agilmente il colpo approfittò del suo sbilanciamento in avanti per assestargli una ginocchiata al fianco e lo sorpassò. Con la coda dell'occhio vide Yora di Skagos ingaggiare il combattimento con quel bruto.
Una lancia di un secondo bruto lo sfiorò proprio mentre sbirciava, così si decise di non perdere di vista il proprio obbiettivo. Continuò a correre, finché gli venne incontro un bruto urlante che menava fendenti a destra e a manca. Non fu difficile da abbattere, bastò abbassarsi quando quello provò un affondo e trafiggerlo al ventre dal basso. Manny estrasse la spada, si rialzò velocemente e proseguì verso il proprio obbiettivo.
Fin da quando Ondar aveva deciso di rompere gli indugi Manny l'aveva scelta come proprio avversario. Era pericolosa per quanto fosse una donna, e se l'avesse uccisa avrebbe contribuito non poco a debellare gli ultimi capi dei bruti rimasti oltre la Barriera. In fondo, nonostante all'inizio avesse odiato quell'ambiente e il suo nuovo incarico, aveva preso a cuore la missione e ci teneva ad adempiere al suo dovere rispettando i voti che aveva pronunciato.
Evitato un altro bruto si ritrovò finalmente di fronte agli arcieri. Almeno ad uno di essi. Ondar si era posizionata a vari piedi di distanza, scagliando frecce contro i nemici. Alcune erano andate a segno, poiché Manny vide ser Aden zoppicare e Per giacere a terra con due dardi che gli spuntavano dalla schiena.
Quello che Manny affrontò fu Garny, il vecchio arciere agli ordini di Ondar. Vedendoselo davanti all'improvviso, il bruto si spaventò e tentò di scagliare contro di lui la freccia che stava incoccando in quel momento. Erano a distanza ravvicinata, per cui se il dardo l'avesse colpito la forza l'avrebbe sicuramente trapassato. Ma Garny si dimostrò nuovamente un inetto con l'arco, mancando il bersaglio.
Manny così gli si avvicinò senza indugio. Vide chiaramente il terrore del vecchio, il quale provò a proteggersi con l'arco prendendolo in mano come se fosse una spada. Quando Manny fu giunto a pochi passi da lui provò a colpirlo, ma il Guardiano della Notte lo scansò senza fatica, facendo toccare terra ad un'estremità dell'arco, immobilizzandolo con il piede e spezzandolo con un secco colpo di spada.
Il vecchio probabilmente capì che per lui era finita, ma cercò ugualmente di proteggersi con le mani. Manny non esitò comunque nell'ucciderlo. Gli si avvicinò e con una mano lo afferrò dietro alla nuca, costringendolo a spingersi in avanti. Poi con la spada sguainata lo trafisse all'altezza del cuore. Il vecchio non emise nemmeno un lamento, e quando Manny estrasse la spada si accasciò a terra senza muoversi più.
Non era la prima volta che uccideva un bruto. Nei suoi quattro anni alla Barriera ne aveva affrontati di nemici, e ne aveva uccisi quasi altrettanti. La sua prima uccisione si era registrata alla terza perlustrazione oltre la Barriera, sotto gli ordini dello stesso ser Aden. Avevano sorpreso un piccolo accampamento di bruti ed avevano ingaggiato un furioso combattimento, da quale solo pochi dei guardiani presenti erano usciti. Manny era tra quelli.
Aveva ucciso il suo primo nemico, quel giorno. Era una donna, la quale però gli si era fatta incontro brandendo un'ascia. Manny aveva esitato. Com'è possibile, si era chiesto, che io uccida una donna?. Ma alla fine, temendo per la propria vita, l'aveva fatto. Le era passato alle spalle e l'aveva uccisa menandole un colpo tra le scapole. Si era tormentato per mesi per aver strappato quella vita, ma poi quando uccise un secondo bruto, poi un altro e poi un altro ancora smise di struggersi. Era il suo dovere di Guardiano della Notte, e se si fosse lasciato sopraffare dai sentimenti non avrebbe mai potuto svolgere il proprio ruolo.
Manny fece per pulirsi la spada nel mantello. Odiava doverla utilizzare quando era sporca, e in mancanza di uno straccio si doveva arrangiare. Avrebbe poi lavato l'indumento ad un fiume, oppure se fosse stato paziente sarebbe ritornato alla Barriera e l'avrebbe dato ad un attendente addetto.
Proprio mente lo stava facendo però avvertì un'esplosione di dolore alla gamba. Non ce la fece più a sorreggerla, così si ritrovò costretto in ginocchio. Per evitare di cadere con la faccia nella neve si sorresse con una mano e guardò inavvertitamente in basso. Dal suo ginocchio spuntava la punta ormai rossa di una freccia.
- Garny! NO!
L'urlo arrivò distorto dalla rabbia ma fin troppo chiaro da dietro alle spalle di Manny. Cercò di girarsi per vedere il bastardo che l'aveva colpito, ma non ce la fece a farlo e a sorreggersi allo stesso tempo. Cadde così di fianco, rivolgendosi parzialmente verso la direzione opposta e potendo vedere il suo aggressore.
A quanto pare Ondar aveva visto tutta la scena dell'uccisione di Garny, e senza perdere tempo si era avvicinata a Manny mentre quello era distratto colpendolo con una freccia. La moglie di lancia si stava avvicinando sempre di più, estraendo nel frattempo una nuova freccia dalla faretra. La sua faccia era distorta da un'espressione furiosa.
- Tu! Maledetto bastardo! Come hai osato uccidere Garny!?!
Incoccò la freccia nell'arco e si preparò ad uccidere Manny.
- Muori corvo! MUORI!!!
Manny ebbe solamente un attimo per realizzare che era finita. Tutta la sua vita gli passò davanti in un attimo, da quando giocava con Garry a quando era morta sua madre, dal furto della forma di formaggio all'uccisione della donna bruta. Si rese conto che non voleva morire in quel momento, ma aveva troppo poco tempo per reagire. Non riuscì a decidere se rassegnarsi oppure no.
Ma, proprio mentre Ondar stava per rilasciare il braccio, venne spinta in avanti e cadde lunga distesa nella neve. La freccia partì comunque, ma essendo stata bruscamente distolta dalla traiettoria andò a conficcarsi nel terreno immediatamente vicino a Manny. Quello, incredulo, guardò il proprio salvatore. Beron Staunton, quello smidollato, stava in piedi a poca distanza, ansimante. Poi il giovane guardiano si scagliò contro la moglie di lancia, la quale nel frattempo si stava rialzando.
Manny realizzò che era l'occasione giusta per spostarsi. Provò ad alzarsi, ma la gamba si rivelò troppo messa male per poter anche solo sperare di zoppicare. Si trascinò fin quando poteva con la gamba sana verso una zona in cui non infuriava il combattimento, poi crollò a terra. Così si ritrovò a strisciare nella neve, gomiti immersi nella terra e con la gamba ferita che si trascinava pesantemente.
Mentre strisciava e la neve si compattava e scricchiolava sotto il suo peso, rischiò di finire calpestato molte volte durante il tragitto. Ogni qualvolta qualcuno gli veniva addosso l'istinto gli diceva di ripararsi la testa, ma tutte le volte decise di fingersi morto. Questa strategia si era rivelata vincente già in altre occasioni, e anche questa volta lo fu.
Individuò ser Aden con non poca difficoltà. Inizialmente in mezzo alla confusione non riuscì a distinguere nulla dal turbinare di pelli grigie e nere, ma poi grazie ad un attimo di tregua lo scorse. Era anch'egli chino a terra, una freccia nella schiena. Rynkel stava duellando con un bruto a poca distanza, mentre Yora lo proteggeva.
Manny riuscì a trascinarsi fin dov'erano ser Aden quasi per miracolo. Fece un giro ampio, che gli richiese anche fin troppo tempo. Almeno però evitò di essere scorto, e finalmente riuscì a posizionarsi accanto al comandante. La freccia l'aveva colpito alla spalla destra, fortunatamente non era un colpo mortale. Con un po' di lavoro probabilmente maestro Darem sarebbe riuscito ad estrarla.
- Manny - fece ser Aden, accorgendosi di lui - Credevo fossi morto. Che hai fatto?
- Una freccia... nel ginocchio...
L'uomo si stupì della propria voce. Ancora non si era sentito, sicuramente non si doveva essere reso conto che lo shock gli aveva fatto assumere un tono assurdamente roco. Trovò comunque la forza di continuare.
- Voi...
- Una freccia nella spalla. Niente di che, solo non riesco più a muovere il braccio della spada. Odio dover farmi proteggere, vorrei tanto combattere.
Proprio in quel momento giunsero attorno al comandante anche i guardiani rimanenti. Rynkel si posizionò dietro a Manny e al ranger, spada e scudo ben alzati e rivolti nella direzione opposta. Yora invece si mise davanti al comandante, spada in una mano e pugnale nell'altra. La mano del pugnale sanguinava, dove prima c'era il mignolo adesso c'era un moncherino fumante per il freddo.
Ci fu una pausa dai combattimenti, e un silenzio innaturale calò sul campo di battaglia. I bruti accerchiarono nuovamente il gruppo, senza però attaccare. Manny guardò a terra, cercando di identificare i corpi sparsi qua e là. Per il Vecchio giaceva come prima, immobile, probabilmente era morto. Kyle il Serio era steso un poco più in là, anch'esso immobile. I corpi di Dyv e Tash erano nelle stesse posizioni in cui si erano accasciati all'inizio del combattimento. Vari bruti facevano compagnia a tutti loro, ma pur essendone morti per lo meno una mezza dozzina i nemici restavano comunque troppi.
Però... Manny aveva l'impressione che mancasse qualcuno. Sapeva che non era il momento giusto, ma cercò di fare mente locale per ricordare, cosa non facile data la situazione critica. Rynkel, ser Aden, Yora con lui in mezzo... Tash, Dyv, Kyle e Per a terra morti... Ma certo! Dov'era Beron Staunton? L'ultima volta che Manny l'aveva visto era quando l'aveva salvato da Ondar.
La risposta giunse quasi immediata. In mezzo ai bruti si aprì un varco, dal quale eruppe Ondar, la quale tirava Beron Staunton per i capelli. Aveva la faccia pesta e gonfia e il sangue gli scendeva copiosamente dal naso, segno che probabilmente era rotto. Un braccio gli pendeva inerte. La moglie di lancia lo gettò malamente a terra, bloccandogli la testa contro il terreno con un piede prima che potesse scappare.
- Maledetti corvi - eruppe - Mai che vi facciate ammazzare senza fare storie.
Ser Aden alzò orgogliosamente la testa. Ondar lo guardò in cagnesco, ma presto spostò lo sguardo su Manny, adagiato accanto al ranger.
- Tu! - ringhiò - Hai ucciso Garny, e la pagherai! Ti scuoierò e userò la tua pelle come mio stendardo! At-
La donna non fece in tempo a finire la frase che tre bruti accanto a lei vennero spazzati via. Caddero a terra oppure volarono via come fuscelli di legno, non facendo nemmeno in tempo ad urlare. Gli altri si abbassarono istintivamente, persino Yora e Rynkel lo fecero, pur mantenendo alta la guardia.
Al primo attacco ne fese seguito quasi subito un secondo, il quale abbatté non meno di altri quattro bruti. Alcuni finirono direttamente addosso a Yora, il quale, superato l'iniziale stupore, li finì velocemente col suo pugnale. Ondar lasciò perdere il povero Beron Staunton e si girò con un'espressione incredula, e non poté fare nulla per evitare un nuovo attacco diretto verso di lei.
La bruta venne scaraventata addosso a ser Aden, il quale venne travolto. Entrambi caddero addosso a Manny, e tutti e tre si ritrovarono in uno strano miscuglio di corpi in mezzo alla neve. Manny si ritrovò disorientato, tra il dolore per il ginocchio e il "combattimento" a cui stava prendendo parte non riuscì più a fare niente di sensato.
Ad un certo punto ser Aden sembrò scomparire. In realtà, come Manny apprese più tardi, era stato tirato fuori dalla mischia da Rynkel Mio-Erede, sopraggiunto a causa della fuga degli altri bruti, spaventati dal misterioso assalitore.
Così infine si ritrovarono solamente loro due a combattere, Manny e Ondar. La donna riuscì presto a inchiodarlo a terra, ginocchia sul petto e mani a bloccare le braccia del confratello. In una di esse brandiva un pugnale.
- Bastardo di un corvo! Ancora non ne hai abbastanza!?!
Alzò la mano con il pugnale, la punta rivolta verso il basso e pronta a trafiggere le carni di Manny.
- Muori, corvo! MUORI!
Manny pensò di essere spacciato. Ebbe una reazione analoga a quella di prima, con scene familiari che gli passavano davanti agli occhi come la lunga ma statica e relativamente breve vita di una pianta. Come un albero che viene abbattuto egli stava per essere falciato, e la sua guardia sulla Barriera avrebbe avuto la sua fine.
Ondar sembrò congelarsi in un instante, la lama del coltello sospesa a mezz'aria. La presa si fece poco a poco più lenta, mentre una chiazza rossa si andava a formare dove la punta della lama spuntava dalla pancia della bruta. Il coltello cadde e il ferro sbatté rumorosamente sul terreno accanto alla testa di Manny. La presa di Ondar si fece molle, e poi la donna si accasciò addosso a Manny, ormai morta.
L'uomo non riuscì a credere a cos'era appena successo. Stava nuovamente per morire e nuovamente era stato salvato da un suo confratello. Chi avrebbe dovuto ringraziare al pari di Beron Staunton? Deciso a guardare in volto il suo salvatore, si scrollò di dosso il cadavere ancora caldo, imbrattandosi di sangue. Non gli fu difficile scorgere la lama che aveva trafitto Ondar.
Solo che nessuno la brandiva. Restava sospesa a mezz'aria, come tenuta da un fantasma. Poi un drappo legato all'elsa la rimise nel fodero, il quale era anch'esso tenuto dal drappo. Che fosse stato salvato da uno spettro? O peggio ancora da un Estraneo? La risposta era così ovvia, ma essendo scampato alla morte due volte in meno di una decina di minuti Manny doveva ancora riprendersi dallo shock.
Ma un raggio di sole - perché nel frattempo era spuntata l'alba - rischiarò la "creatura", mettendola finalmente in mostra al guardiano della notte. Un sorriso ilare, un ghigno quasi canzonatorio, era impresso sul fodero della spada. Poco al di sopra un occhio rotondo dalla sottile pupilla nera lo scrutava. Un occhio azzurro e freddo come il ghiaccio.

Note dell'autore
Ed eccoci col quarto capitolo! Imploro perdono per il mostruoso ritardo, ma l'inizio di aprile si è rivelato l'inferno sceso in terra per quanto riguarda la scuola. E pensare che credevo di aver superato il momento critico...
So che la storia non possa sembrare molto avanzata a livello di trama fino a adesso, ma sto cercando di equivalere Martin nella complessità (e complice anche il fatto di non avere tutto il tempo del mondo per scrivere), ma vi giuro, da da questo capitolo viene fatto un importante passo avanti.
A presto,
A_e

PS ora provvedo anche a rendere più leggibile il testo a livello di carattere, mi piange il cuore a vedere un opera semi-martiniana straziata dall'Arial.

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Capitolo 6
*** Bhaela I ***


Bhaela

Per tutta Approdo del Re quel giorno cominciò in maniera splendida. Era appena l'alba quando le Cappe Dorate di vedetta sulle mura cittadine avvistarono qualcosa avvicinarsi all'orizzonte. Dapprima sembrava solo un tremolio nella calda aria che sapeva di estate imminente, ma più il tempo passava e più la forma si ingrandiva, assomigliando ad un volatile. Un volatile bianco.
La voce che il corvo bianco era stato avvistato si sparse dalle Cappe Dorate sulle mura ai poveracci al Fondo delle Pulci ancora prima che esso andasse a posarsi sul davanzale dello studio del Gran Maestro Cedric. Il Gran Maestro, in quel momento assente in quanto si trovava ad assistere il re, venne informato poco dopo da un servitore dell'arrivo dell'uccello e si precipitò nei suoi alloggi.
Ma il Gran Maestro capì fin dalla prima occhiata che non si trattava di un corvo, bensì di una colomba. Aveva intuito immediatamente che non poteva provenire dalla Cittadella: era troppo lontana, e di certo una colomba non avrebbe mai potuto coprire grandi distanze. Almeno questo fu quello che disse a qualsivoglia membro della famiglia reale che incontrò, Bhaela compresa.
In sostanza il messaggio non recava l'annuncio del cambio di stagione deciso dai saggi di Vecchia Città, bensì il lieto evento del parto della principessa Perenelle alla Roccia del Drago. Aegon Targaryen e sua moglie Perenelle Tully si erano ritirati sull'isola già da quasi due lune prevedendo l'imminenza della nascita, e si erano attrezzati al meglio. La piccola Dhaella aveva fatto qualche storia per rimanere a corte, ma alla fine la madre era riuscita a convincerla a seguire lei e il padre.
La missiva era stata vergata dal principe Aegon in persona, il quale aveva fatto sapere di voler chiamare il figlio appena nato - un maschietto - Rhaegar, come il trisavolo Rhaegar il Saggio. Certo, magari non di proprio pugno, più probabilmente era stato maestro Aledor a farlo sotto dettatura. Ma la struttura leggermente sgrammaticata era facilmente identificabile col lessico del principe Aegon.
Bhaela pensava a qualche altro nome. Jaehaemond ad esempio, come il nonno del principe. Altre alternative interessanti sarebbero stati Daeron, Maekar oppure Viserys. Perenelle si diceva indecisa, mentre Aegon non si era mai espresso al riguardo, anche se Bhaela non si sarebbe mai aspettata quel nome per qualche strano motivo.
La donna fu la quinta ad essere informata dopo ovviamente il Gran Maestro, il re, la regina madre e il Primo Cavaliere. Riuscì ad avere la lettera, anche se il Gran Maestro era piuttosto riluttante a cedergliela.

Cari congiunti,
sono felicissimo di informarvi della nascita del mio tanto desiderato figlio maschio.
Il parto è stato più semplice del previsto, Perenelle sta bene e maestro Aledor dice che si riprenderà in fretta. Dhaella è così contenta di avere un fratello, dovreste vederla. E' così allegra! Spero che anche voi possiate condividere la gioia che ha preso me, mia moglie, mia figlia e il resto della corte nel sapere che il regno ha un nuovo erede.
Ho deciso di chiamarlo Rhaegar, come re Rhaegar il Saggio. Per quanto gli ultimi giorni del suo dominio siano stati travagliati dai complotti e dalle guerre il suo è stato uno dei regni più lunghi per i Targaryen, dalla Ribellione di Robert sino a quella di Matarys, e spero tanto che per il piccolo possa andare in questo modo e anche meglio. Certo, senza ribellioni ovviamente.
So che mio padre il re non sta bene, e gli porgo i miei auguri di pronta guarigione. Mando calorosi saluti anche al Primo Cavaliere lord Morgan e a voi, zia Bhaela. Spero di poter presentare presto il mio pargolo a corte.
Aegon Targaryen, principe della Roccia del Drago ed erede del regno

Le forti emozioni contenute nella lettera si trasmisero presto anche a Bhaela, la quale non poté fare a meno di stringersela al petto. Era evidente che il nipote stava provando probabilmente uno dei momenti migliori della sua vita, e Bhaela si sentì sinceramente felice per lui. E dall'Incidente del Bosco del Re Bhaela non era quasi mai stata felice.
La Regina Madre Bethany diede ordine di far suonare tutte le campane della città a festa per annunciare il lieto evento, e che i septon indicessero una settimana di preghiere in favore del neonato futuro re. Ordine che fu eseguito in meno di un'ora, e per tutto il pomeriggio Approdo del Re risuonò dell'allegro rumore metallico delle campane.
Rumore che infine cambiò da uno scampanellio di festa ad uno a lutto.

Fino a una settimana prima Morgan Bar Emmon era apparso in forma smagliante, diceva di non essersi mai sentito meglio adesso che il principe stava per dare il tanto desiderato erede alla corona. All'ultima riunione del concilio ristretto, quattro giorni prima, il Primo Cavaliere era apparso leggermente affaticato, ma nulla di che, doveva solo essere stanco per tutto il lavoro che era costretto a svolgere.
Ma dopo aveva continuato a peggiorare. Il giorno prima dell'arrivo della notizia della nascita del piccolo Rhaegar Targaryen il Gran Maestro Cedric aveva riferito che il Primo Cavaliere aveva continuato a star male per tutta la notte, rimettendo la cena a più riprese. Bhaela era andata a fargli visita, e Bar Emmon era terribilmente pallido e sudato.
L'uomo a malapena si reggeva in piedi, e anche solo per fare due passi aveva dovuto appoggiarsi ad un servo. Era però apparso sorridente e affabile come al solito, dicendo di aver esagerato con i dolci di recente. Bhaela non gli aveva creduto, ma per evitare di risultare scortese aveva finto di essere appagata dalla risposta.
La buona nuova dalla Roccia del Drago sembrava però aver rimesso in forze il Primo Cavaliere. Bar Emmon era di persona (sostenuto sempre da un servo) andato a trovare il re per porgergli le congratulazioni per essere diventato nonno. Bhaela l'aveva incrociato per strada, e le era parso in condizioni leggermente migliori rispetto ai giorni precedenti. La principessa in quel momento aveva sperato che sia lui che il fratello si sarebbero rimessi presto.
Ma evidentemente gli dei avevano deciso diversamente. Poco dopo il tramonto il Gran Maestro era stato chiamato d'urgenza nelle stanze di lord Bar Emmon, allertato dai servitori. Essi avevano riferito che le condizioni del Primo Cavaliere erano improvvisamente precipitate dopo il tramonto. Aveva cominciato a muoversi come un ossesso, a delirare pronunciando frasi senza senso e a perdere sangue dalla bocca. Cedric riferì di aver capito che non avrebbe potuto fare nulla sin dal principio, così si era limitato a fargli bere del latte di papavero.
Bar Emmon era trapassato poco dopo. La voce si era sparsa in fretta per la Fortezza Rossa, e Bhaela era stata una delle prime persone ad accorrere sulla scena. Il cadavere del Primo Cavaliere era ancora caldo quando la principessa l'aveva visto. Era disteso sul suo letto sopra le lenzuola, come se non avesse fatto in tempo ad infilarcisi, ed era bloccato in una posizione di estrema tensione. Sembrava che, nel momento della morte, si fosse allungato per afferrare qualcosa, fallendo. I suoi occhi erano ancora aperti, la bocca leggermente socchiusa dalla quale scorreva ancora del liquido a cui Bhaela preferiva non pensare.
Fu lei stessa a coprire il corpo con uno dei lenzuoli di lino disposti di fianco al letto. Non gli piaceva l'idea che i resti di lord Bar Emmon diventassero un attrazione da guitto e che frotte di persone si spintonassero per vederlo. Diede disposizioni ai servitori di farlo rimuovere il prima possibile e di farlo portare nel tempio interno del castello. E che entrambi gli ambienti, sia il tempio che quella stessa stanza da letto, restassero chiusi a chiave sino a nuovo ordine.
Oramai era sera inoltrata e difficilmente si sarebbe potuto fare qualcosa, così Bhaela disse di far ripulire il corpo e di farlo coprire con unguenti per fermare o quantomeno rallentarne la decomposizione. Grazie agli studi di anatomia impartitigli dai vari Gran Maestri sapeva che i cadaveri si decomponevano in fretta. Anche troppo.

Era rientrata da poco nelle sue stanze private quando un leggero bussare alla porta attirò la sua attenzione.
- Mia signora - disse una voce da fuori - Posso entrare?
- E' aperto, venite pure.
L'anta di legno venne velocemente aperta e richiusa, e un uomo in armatura fece il suo ingresso nella stanza. Indossava un'armatura completa nonostante l'ora tarda, il tutto ornato da un candido mantello bianco che dalle spalle gli scendeva sino ai piedi, coprendogli tutta la storia. Era grosso più di Bhaela, anche se di poco, e la superava in altezza di una spanna. Ma in un confronto tra i due sarebbe stata sicuramente la Guardia Reale ad uscirne sconfitta.
- Mi avete fatto chiamare? - chiese lui.
- Veramente avevo richiesto la presenza di lord Darren. Dov'è il lord comandante?
- Sarebbe venuto lui stesso, ma il re aveva richiesto la sua persona e non ha potuto rifiutare.
- Non importa - continuò Bhalea - Voi, ser Lucas, andrete benissimo per portare questo messaggio. Vi prego di informare tutti i membri del concilio ristretto che una riunione urgente è stata indetta per domani mattina.
- Certamente, principessa.
L'uomo chinò umilmente il capo per poi andarsene.
"Ser Lucas Templeton" pensò Bhalea "Il più stupido della Guardia Reale. Possibile che ci fosse solo lui disponibile stanotte?". Oh, certo che era possibile. Con ser Marq Smallwood alla Roccia del Drago con Aegon e ser Jaran Blackbar alle Torri Gemelle con Jaehaemion ad Approdo del Re restavano solo in cinque. Togliendo poi ser Adrian Bushy - il quale era sicuramente con Baeron da qualche parte nel Fondo delle Pulci - e ser Barden Florent nel Bosco del Re con Viseghar rimanevano in tre. Il lord comandante Darren Marsh sembrava ormai che fosse diventato la guardia personale del re, e lo stesso si poteva dire di Jared Cockshaw con la regina. Quindi sì, quel bestione senza cervello di Lucas Templeton era l'unico disponibile. Oramai comunque aveva comunicato il messaggio, ed entro un'ora tutti i membri del concilio sarebbero stati informati.
La riunione era prevista per il primo mattino successivo, per cui il buonsenso avrebbe suggerito di stendersi immediatamente a letto al fine di riposarsi al meglio. Probabilmente nemmeno i lord protettori potevano immaginare quanto faticose fossero le riunioni del concilio ristretto, e ci volevano lunghe ore di sonno per compensare tutto lo stress accumulato da quegli incontri. Ma la principessa aveva bel altre intenzioni.
Il Gran Maestro Cedric era stato talmente bravo che aveva formulato una diagnosi per la morte del Primo Cavaliere sul momento. Febbre fulminante, l'aveva chiamata. Aveva detto di aver studiato dei casi simili alla Cittadella e di aver sentito che verso il regno di Aegon il Buono c'era stata un epidemia del genere a Lorath.
Il saggio era stato talmente bravo da non accorgersi che dai suoi alloggi mancava un libro. Era un tomo vecchio, risalente come minimo a prima dell'inizio del secolo ma ancora perfettamente conservato. Alla luce di una candela la principessa cominciò a leggerlo. Intrugli e pozioni, di maestro Korio Xuvys di Lys. Bhaela aveva ben altra diagnosi per la morte di lord Morgan Bar Emmon.

Come previsto la riunione si tenne poco dopo che il sole fu sorto. Il primo ad arrivare fu il mattiniero lord Olyvar Rykker, il maestro del conio, ma vi trovò già Bhaela ad aspettarlo. Avendo indetto lei la riunione pur non facendo parte del concilio ristretto ci si aspettava che fosse la principessa stessa a presiederla.
Ad arrivare furono, in successione escluso lord Rykker: Grennan Sunderland, maestro della flotta; Maric Stokeworth, maestro delle leggi; il Gran Maestro Cedric; ser Halys Chelsted, il castellano della Fortezza Rossa; ser Darren Marsh, lord comandante della Guardia Reale. Con un po' di ritardo di presentarono lord Maron Brune, il comandante della Guardia Cittadina, e un septon di nome Norbert che disse di essere venuto per sostituire l'Alto Septon, anch'egli in condizioni poco permissive. "Aye" pensò Bhaela "Sembra che questa febbre fulminante stia falcidiando tutte le personalità di Approdo del Re. Che tempismo perfetto.".
Infine, con più ritardo di tutti, fece il suo ingresso Medrick Woolfield, maestro dei sussurri. Bhaela e gli altri avevano già cominciato a discutere quando l'uomo fece il suo silenzioso ingresso nella sala. Woolfield era sempre stato silenzioso, il quella sua bizzarra cappa di satin di seta viola, esattamente come lo stemma della sua casata.
Ma questo non permise a Bhaela di non notare la presenza di una persona in più nella stanza del concilio.
- Lord Medrick - constatò infine - Ben trovato.
Quello, interpellato, chinò leggermente il capo in segno di rispetto.
- Mi dispiace di avervi fatto attendere - si scusò con la sua voce strascicata - Ma la... principessa Bhaerys voleva parlarmi.
"Certamente" pensò Bhaela "O magari suo padre. Quando mai non sei a parlare con Baelor". Quei due erano sempre stati "amici", se così si può definire un rapporto di vicinanza frequente. E mai come negli ultimi tempi erano stati insieme. Bhaela si chiedeva spesso cosa facessero quei due da soli, oltre complottare, complottare e ancora complottare.
Un leggero brusio si era alzato con l'arrivo del maestro dei sussurri. Lord Rykker e lord Sunderland si erano messi a parlottare tra di loro lanciando di tanto in tanto occhiate al nuovo arrivato. Lord Stokeworth dondolava in avanti e indietro, come se fosse molto timido, mentre septon Norbert cominciò a recitare a bassa voce una preghiera alla Madre. Darren Marsh e Maron Brune si misero a discutere tra di loro, mentre Woolfield rimase in silenzio quando invece di fianco a lui maestro Cedric si era abbandonato ad uno dei suoi attacchi di parlantina mista a megalomania. Ser Halys invece sembrava perso nel nulla come suo solito.
- Miei lord... - provò a richiamare l'attenzione Bhaela, senza tuttavia ottenere successo - Miei lord...
Cominciava a spazientirsi. Aveva indetto quel concilio urgente per risolvere la situazione di vuoto di potere, non per perdere tempo in chiacchiere. Persino la Guardia Reale la stava trascurando. Se Bhaela fosse stata Maegor il Crudele probabilmente l'avrebbe fatto giustiziare per questo. "Ma io non sono Maegor il Crudele" si rammentò mentalmente.
- Miei lord!
Certe volte avere un fisico enorme era di grande aiuto. Così, quando la voce profonda di Bhaela risuonò tonante per la stanza tutti si zittirono all'istante. Tutti la guardarono con sguardi contrastanti, chi con disappunto, chi confuso, chi impassibile e così via. La principessa invitò tutti a sedersi, cosa che venne fatta all'istante.
- Stavo dicendo - fece la donna, schiarendosi la voce - Prima dell'interruzione, che ho indetto questa riunione urgente per un motivo più che valido. Con il nostro re a letto malato e incapace di governare adeguatamente l'unico che poteva farlo davvero era il Primo Cavaliere.
Non si era mai abbandonata ad elogiare un nobile, soprattutto un nobile morto, ma Morgan Bar Emmon era una brava persona in fin dei conti, per cui decise di fare un'eccezione per quella volta.
- Morgan Bar Emmon è stato forse il miglior Primo Cavaliere dai tempi di re Aenar e di lord Walys Fossoway, e siamo tutti addolorati per la sua perdita. Era un uomo nobile e di buon cuore, capace e intraprendente, ricordiamo tutti come da semplice erede di un castello nell'Uncino di Massey abbia saputo diventare un grande maestro della flotta e poi un grande Primo Cavaliere. Possano i Sette condurlo nel cammino verso la beatitudine.
Tutti chinarono la testa in segno di rispetto per il defunto. Tutti tranne lord Woolfield, ma nessuno ci fece caso. Bhaela si sentì quasi sporca a dire quelle cose. Forse il septon avrebbe potuto dire parole del genere, ma non di certo lei. Lei non ci credeva nemmeno nei Sette, non dopo... dopo... Non ci credeva più e basta.
- Se il re non è in grado di scegliersi un Primo Cavaliere, tale scelta spetta al concilio ristretto.
La principessa decise di andare dritta al punto. Odiava i concili, ma era stata costretta dal dovere ad indirne uno. Avevano tergiversato abbastanza e voleva concludere il prima possibile. E poi già a quell'ora aveva cominciato a far caldo, aveva voglia di volare con la sua Meleys per sentirsi schiaffeggiare dal vento freddo delle alte quote. Era da un po' che non volava con la sua Altaria, voleva librarsi sull'enorme Approdo del Re e lasciarsi trasportare dal vento.
- E come rappresentante del regno io farò da garante. Un Targaryen deve sempre essere presente alle decisioni importanti.
Bhaela guardò i lord, uno per uno. Alcuni, come Sunderland, riuscirono a rimanere perfettamente impassibili. Altri, come l'austero Rykker, lasciarono trapelare la propria disapprovazione. Chelsted invece, anche nel bel mezzo del concilio, sembrava sempre perso nel suo mondo. "Il potere non è affare da donne" aveva detto una volta Aerys II Targaryen, il Re Folle. E guarda caso era morto per colpa di una donna. E Bhaela, fosse stata in loro, non avrebbe sottovalutato così sé stessa. Soprattutto perché era abile con la spada quanto con il pugnale. Il fisico da guerriero myriano della principessa dissuase ben presto chiunque avesse da ridire sulle sue parole.
Ma Bhaela poteva quasi sentire quel che si chiedevano mentalmente "Perché lei? Se ci dev'essere proprio un Targaryen, perché non Baelor?". Già, Baelor di qua, Baelor di là, Baelor su, Baelor giù. Sembrava che suo fratello volesse a tutti costi essere contemporaneamente da tutte le parti. Bhaela sapeva dell'ambizione del fratello, ed era stata lei ad indire per prima il concilio perché era sicura che Baelor l'avrebbe pilotato per eleggere come Primo Cavaliere un suo uomo. O peggio ancora sé stesso.
Nonostante il disappunto dei lord, mascherato o meno che fosse, nessuno disse nulla dopo sua ultima frase, così Bhaela continuò a parlare.
- Quindi, miei lord, come ho già detto prima abbiamo il compito di scegliere il nuovo Primo Cavaliere in vece del re. Avete qualche idea?
Era stata franca. Forse anche troppo. Non aveva la minima idea di chi potesse prendere il posto di lord Morgan, non conosceva bene le personalità capaci ed importanti che vivevano in quel periodo nel Continente Occidentale. D'altro canto lord Morgan era rimasto in carica per undici anni, fin dalla morte di Jaehaemond e dalla presa di potere di Jaehaerys, e la sua morte era stata così repentina e inattesa che non si era pensato ad un sostituto.
Nemmeno gli altri membri del concilio ristretto a quanto pare avevano pesci da prendere, Bhaela lo capì dalle facce perplesse e pensanti dei vari lord. Dopo qualche silenzioso momento carico di imbarazzo - dettato dall'assenza di personaggi importanti nelle menti dei lord - a intervenire fu lord Sunderland.
- Se mi posso permettere - suggerì - credo che nessuno di noi abbia in mente un candidato adatto. Ma io sono dell'idea che dovremmo escludere sin da subito chi non lo è.
Un mormorio di approvazione percorse la sala.
- Direi di partire dagli alti lord - proseguì - Mi sembrano quelli più portati per la carica di Primo Cavaliere.
"Sensato" disse Bhaela. Gli alti lord erano quelli più disponibili - e soprattutto desiderosi - di diventare Primo Cavaliere, ma ognuno aveva più difetti che pregi, e difficilmente avrebbero potuto imitare la saggia politica portata avanti fino a poco prima da Bar Emmon. Egli era stato uno dei più grandi Primi Cavalieri dell'ultimo secolo, forse di tutta la storia dei Targaryen, e Bhaela aveva veramente paura che lo sarebbe rimasto per un bel po'.
- Voi avete qualche idea? - chiese Bhaela a lord Grennan - Visto che l'avete proposto penso che siate voi la persona a dover sottoporre per prima un candidato al nostro giudizio.
- Bé, hmm - lord Sunderland non aveva pensato a quell'evenienza, per cui ci pensò un po' su - Magari... visto che teoricamente sarei un vassallo di lord Arryn la logica mi porterebbe a proporre lui. Ma non credo che lord Aeron sia la persona adatta.
- Già - concordò il Gran Maestro Cedric - Tra tutti gli alti lord penso che sia il meno adatto a ricoprire la carica di Primo Cavaliere. Io sono cresciuto nella Valle e ho prestato servizio al Nido dell'Aquila finché a dettar legge c'era lord Alyn, e ricordo che era molto insoddisfatto del proprio primogenito. Si lamentava della sua timidezza e della sua inesperienza, diceva che perfino le sue figlie sarebbero state migliori di lui al comando della Valle. Decisamente no, direi di scartare lord Arryn a prescindere.
Bhaela non poté che concordare mentalmente col Gran Maestro. Aveva visto lord Arryn qualche volta, l'ultima quando si erano recati nella Valle per il matrimonio di lady Sarelle Arryn con Myles Redfort, l'erede della sua famiglia. Il re era correlato a lord Aeron tramite sposalizio in quanto aveva preso in moglie sua sorella Alyssa, la quale purtroppo era morta nel dare alla luce i gemelli venuti dopo Aegon. Solo uno, Baeron, era sopravvissuto. L'altra, una femmina, era morta poco dopo.
I figli di lord Arryn però rimanevano pur sempre suoi nipoti, per cui aveva accettato di buon grado di recarsi al Nido dell'Aquila per vedere il matrimonio tra Sarelle Arryn e il Redfort. Anche Bhaela l'aveva seguito, nonostante non avesse mai visto la nipote né tantomeno il suo promesso sposo. E Aeron Arryn gli aveva dato sempre la stessa impressione: un completo idiota. Non aveva mai smesso di ridere alla famiglia reale e fare battute stupide fortunatamente non a loro, nemmeno quando sua moglie l'aveva pregato di smettere. Bhaela si chiedeva come la donna potesse sopportare un marito così. La Targaryen era stata comunque lieta di rivedere il nipote Daeron, ed era l'unica nota positiva di quel viaggio.
Era da quando erano tornati dal Nido dell'Aquila che il re si era ammalato. Probabilmente era l'aria di lassù ad avergli fatto male. Troppo fredda, decisamente si stava eccessivamente esposti alle intemperie, figurarsi che d'inverno gli Arryn si ritiravano a vivere nel castello più in basso, quello delle Porte della Luna. Posto carino ma non molto adatto ad un nobile.
Bhaela si riscosse. Non doveva perdere di vista l'obbiettivo, doveva nominare il Primo Cavaliere prima della fine della mattinata se voleva scappare alla routine di corte.
- Concordo con voi - disse rivolta a qualcuno dei due, non sapeva nemmeno se a lord Sunderland o al Gran Maestro - Altre idee?
- Forse - intervenne Rykker - Qualche altro lord della Valle potrebbe andare bene.
L'intera sala ci pensò un attimo su, ma appariva chiaro sin da subito che quella non sarebbe stata la soluzione.
- Lord Sunderland - disse Bhaela infine - Voi che siete nativo di quelle parti, cosa ci suggerite?
- Hmm - iniziò, assumendo nuovamente la sua espressione pensierosa - Al momento non mi viene in mente nessun valido candidato. Sicuramente non uno della mia famiglia, conosco poco mio nipote lord Beron e ancora meno i suoi figli. Delle altre case delle Tre Sorelle so che lord Longthorpe è troppo vecchio anche solo per lasciare la sua isola e che suo figlio non si scomoderà di certo nemmeno se arrivasse un'orda di schiavisti ad invadere il suo castello. Lord Torrent invece sa a malapena leggere, è ignorante come una capra, mentre suo figlio è ancora peggio. Degli altri lord della Valle so poco o nulla. Magari il Gran Maestro può dirci di più?
- Oh sì, forse posso esservi d'aiuto, qualcosa conosco.
"Qualcosa eh?" pensò Bhaela. Cedric, oltre che aver servito al Nido dell'Aquila sino alla dipartita di lord Alyn Arryn e alla sua successiva riconvocazione alla Cittadella e promozione a Gran Maestro, era un Redfort di nascita. Sicuramente conosceva tutto su tutti i nobili della Valle, era talmente pettegolo che probabilmente era in confidenza anche con i Barbari delle Montagne.
- Vediamo, da dove partire? Ci sono così tanti nobili nella Valle... Sicuramente però non vi consiglio nessuno della mia famiglia. Mio cugino Derrick è un bravo lord, nulla più di un bravo gestore di un castello. I suoi fratelli e i relativi figli sono tutti uguali, guerrieri irsuti sempre pronti alla guerra e mai alle parole. Mio fratello Davos è un brav'uomo, ma è solo il castellano di Redfort. E noi un castellano ce l'abbiamo già.
Ser Halys sembrò ritornare per un attimo alla realtà, annuendo alla citazione fattagli dal Gran Maestro, per poi ritornare a fantasticare su chissà cosa. "Povero Chelsted" pensò per un attimo Bhaela, distraendosi. Era il castellano della Fortezza Rossa da più di una decina d'anni, e cominciava oramai ad avere una certa età. Da quando l'anno prima tutti i suoi figli erano morti nell'incendio della fortezza di famiglia sembrava che nulla riuscisse più ad avere la sua attenzione, nemmeno le altre persone. Nessuno aveva avuto il cuore di sollevarlo dall'incarico in quella situazione, nemmeno il re. Così l'uomo continuava a partecipare alle riunioni del concilio ristretto pur non ascoltandole nemmeno.
- Poi, per quanto riguarda gli altri, lord Egen dev'essere abbastanza preso da tutta la sua discendenza per pensare ad altro, mentre lord Moore non è abbastanza appropriato per-
- Vi prego - intervenne Bhaela leggermente spazientita - Limitatevi a riportarci la situazione dei principali lord. - . "Altrimenti qui facciamo notte".
- Oh, va bene. D'accordo, ehm... Sì, allora, lord Belmore è ancora troppo giovane, la stessa cosa vale per lord Grafton. Lord Hunter è invece troppo vecchio, nonostante sia ancora un combattente tutt'altro che risibile. Lord Waynwood è come lord Hunter, solo senza l'abilità nel combattere. Poi, vediamo... ah sì, i Corbray non presentano membri degni di nota al momento, mentre per lord Devron Royce delle Porte della Luna vale la stessa cosa di lord Waynwood. Per quanto riguarda suo cugino Jaremy di Runestone lo sconsiglio vivamente. Chi abita lì dice che sembra quasi un'incarnazione del Re Folle. Con molto meno potere fortunatamente.
Una breve pausa carica di riflessioni fece da cornice al discorso del Gran Maestro.
- Molto bene - intervenne infine lord Woolfield, aprendo bocca per la prima volta dall'inizio del consiglio - Abbiamo così appurato che non c'è nessuno nella Valle che possa fare al caso nostro.
Il suo sguardo ricadde sulla principessa.
- Io comunque consiglierei di non ricercare il nuovo Primo Cavaliere in posti così lontani - continuò - Se mi posso permettere-
- Certo - intervenne Rykker, interrompendolo quasi come se non l'avesse nemmeno ascoltato (cosa probabilmente vera)  - Lord Woolfield ha ragione. Forse nelle Terre della Tempesta si cela la soluzione. Conosco lord Fell, forse lui potrebbe essere in grado di sostituire Bar Emmon.
"Certamente, un uomo meschino e dal braccino corto quanto lo sei tu. I Sette Inferi si mangino la tua anima, dannato.". Decisamente lord Rykker non gli stava simpatico, e dopo questa uscita a proposito di lord Fell Bhaela aveva deciso all'istante che il maestro del conio non avrebbe più avuto voce in capitolo in quel concilio. Lord Fell era lì quando... quando... era successo... e non aveva fatto niente, quel bastardo.
- Sapete, lord Fell-
- Sappiamo tutti - lo interruppe Bhaela, decisa a troncare quel discorso - Quanto voi e lord Fell vi conosciate bene, ma lo conosco anch'io e so che non è l'uomo adatto.
La principessa lanciò un'occhiata carica d'odio a lord Rykker. L'uomo fece uno sguardo offeso e scandalizzato per essere stato interrotto come egli stesso aveva poco prima fatto con Woolfield. E non rispose, rimanendo in silenzio. Aveva pur sempre a che fare con un'esponente della famiglia Targaryen, per quanto fosse una donna - alta e robusta più di qualsiasi uomo normale - che cominciava ad essere in età.
- Non mi va di discutere oltre.
Bhaela si era stufata. Voleva mettere fine a tutto il più presto possibile.
- Dobbiamo lasciar stare i piccoli lord. E a ben guardare anche quelli grandi. Sappiamo tutti come Brandon Stark non sia a posto con la testa, mentre Tully, Lannister e Baratheon sono dei completi idioti. Tully per di più è un traditore, ricordatevelo bene. Nemmeno dei Lannister c'è da fidarsi, metà di loro combatterono per Maelor durante la Primavera di Sangue. I Buonfratello sono Uomini di Ferro, e tanto basta ad escluderli. Lady Tyrell è vecchia, potrebbe morire in qualsiasi momento e il suo erede è ancora un ragazzetto inesperto. Diffiderei anche di lord Martell, per quanto ci sia rimasto sempre leale. I dorniani non mi piacciono, e sono sicura che non piacciano neanche a voi.
Si era lasciata decisamente andare, Bhaela fu la prima a capirlo. Il suo discorso era suonato molto simile ad una sfuriata, ad uno sfogo della frustrazione che sentiva montare dentro di sé sempre di più. Se ne voleva andare, ecco la verità, ma in quel momento non era proprio il caso. Così cercò di proseguire il discorso in maniera da formare un ragionamento logico.
- Ma Derrick Martell è l'unica scelta valida. Forse avrei proposto Duncan Martell, ma è vecchio e da quel che ne so confinato a letto, e per quanto sia già stato Primo Cavaliere due volte in passato non è sicuramente più adatto a tale ruolo. Sperando che lord Martell abbia almeno la metà dell'abilità di Duncan, io propongo lui come alternativa a Bar Emmon, pace all'anima sua.
Un silenzio di tomba scese sulla sala. Il "discorso" della principessa sembrava aver colto nel segno. O almeno sembrava aver profondamente turbato i presenti. Molti avevano assunto espressioni riflessive, come ad esempio l'eterno pensante lord Sunderland, mentre Maric Stokeworth aveva sgranato gli occhi, quasi stregato da quella specie di comizio.
- Gran Maestro, provvedete subito a mandare un corvo a Lancia del Sole per informare lord Derrick.
L'uomo non rispose. Guardò il tavolo, come se non sapesse cosa fare. Stranamente non aveva come al solito attaccato con il suo caratteristico e irrefrenabile fiume di parole.
- Ahem.
Fu un colpo di tosse di lord Woolfield però a richiamare l'attenzione della principessa.
- Forse... forse avrei una proposta, un'alternativa valida ai candidati presi in considerazione.
E con "ai candidati presi in considerazione" probabilmente si riferiva a qualsiasi persona avessero anche solo pensato fugacemente per un attimo. Sicuramente stava per proporre, realizzò Bhaela, un suo uomo o uno di Baelor, o comunque qualcuno che avesse qualche tipo di affare con loro. Non lo zittì subito solamente perché era curiosa. Se ne pentì immediatamente.
- Magari un membro della famiglia reale potrebbe svolgere il compito di Primo Cavaliere del re, è già accaduto molte volte in passato, anche vostro fratello lo fu per vostro padre. Per cui mi chiedo se il principe Baelor possa...
- No.
La risposta di Bhaela era stata secca e decisa. Aveva capito le intenzioni del maestro delle spie appena aveva cominciato a parlare della famiglia reale, si era già pentita di avergli concesso di parlare.
- Ma, principessa Bhaela, potrebbe-
- Ho. Detto. No.
Un silenzio carico di tensione subentrò all'affermazione decisa della Targaryen. Il maestro delle spie stava osservando la principessa con uno sguardo indecifrabile, mentre Bhaela lottava per non lasciarsi deformare il volto dalla rabbia dopo la proposta di lord Woolfield. Probabilmente gli sarebbe saltata addosso da un momento all'altro. E decisamente in modo molto più violento in cui lo facevano le puttane del Fondo delle Pulci.
- S-se permettete, principessa - chiese ad un certo punto Maric Stokeworth, aprendo bocca forse per la prima volta quel giorno - Io d-dovrei assolvere le mie funzioni corporali.
Un altro silenzio, stavolta pregno di un leggero imbarazzo, avvolse i presenti, almeno finché il lord comandante della Guardia Reale non provò a romperlo.
- Sì, credo che tutti avremmo bisogno di una pausa.

Bhaela si fece portare una caraffa d'acqua da alcuni servitori. Normalmente avrebbe optato per il vino, ma più il giorno procedeva e più l'afa si faceva insopportabile, solo l'acqua avrebbe potuto moderare la calura. Il vino altrimenti l'avrebbe infiammata ancora di più di quanto già quella riunione non avesse fatto, e non si voleva ritrovare a bruciare come un pezzo di legno di sera nel caminetto.
La principessa era furiosa. Furiosa per quel che aveva provato a fare lord Woolfield. Furiosa per il patetico tentativo di Baelor di prendere il potere adesso che il loro fratello sua maestà il re era a letto malato. Furiosa per la morte da "febbre fulminante" di Bar Emmon. Furiosa che Baelor esistesse. Furiosa con Baelor. Furiosa di Baelor.
Si trovava in una stanza non molto lontano dalla sala delle riunioni. Stava affacciata ad una finestra, assaporando la leggera brezza mattutina che filtrava dalle ante aperte e che rinfrescava leggermente quell'ambiente afoso. Se quella era primavera lei era Rhaenyra prima di essere mangiata da Soledifuoco. Ma quanto ci mettevano alla Cittadella per appurare che quella era l'estate? Aveva più raziocinio lei che tutti quei vecchi dementi messi assieme.
Un leggero ma deciso bussare la distolse dalle proprie divagazioni ingiuriose sugli Arcimaestri di Vecchia Città. Si voltò appena mentre diceva che era aperto.
- Mia signora - disse Darren Marsh con un leggero inchino.
- Lord Darren, siete voi. Cosa c'è?
- Ecco, hanno chiesto di vedervi. E parlarvi in privato.
"Cosa?" pensò per un attimo Bhaela confusa "Chi è che mi vuole. E sono loro a chiedere di vedermi?".
- Stanno aspettando fuori - continuò l'uomo - Possono entrare?
- Sì sì, falli venire pure.
Bhaela si voltò completamente questa volta, curiosa di vedere chi l'aveva disturbata. Così magari si sarebbe potuta sfogare con loro. Del resto lei era una principessa, nessuno le avrebbe potuto dire niente anche se virtualmente non aveva nessun potere. Certe volte era grata ad Arceus per essere nata dove era nata. Solo certe volte.
Nella stanza fecero il loro ingresso in fila indiana tre componenti del concilio ristretto. Erano Sunderland, Stokeworth e septon Norbert. Gli ultimi due apparivano nervosi, il septon stava intonando piano una preghiera alla Madre mentre il maestro delle leggi tremava leggermente. Sembrava comunque che alla fine il bagno l'avesse usato.
"Cosa vogliono?" si chiese la principessa, perplessa e del tutto sorpresa della loro visita. Non si aspettava di rivederli, almeno non in quel momento, credeva che lo avrebbe fatto comunque a breve alla ripresa della riunione. Avvertì l'arrivo dei guai quando ancora i suoi visitatori dovevano aprire bocca.
- Ci dispiace avervi disturbata, mia signora - cominciò lord Sunderland - Ma abbiamo affari urgenti di cui discutere.
- Per questo c'è già la riunione tutt'ora in corso. - rispose lei con fare annoiato.
In realtà era tutt'altro che annoiata. Era attenta. Mentre giocherellava con una ciocca dei suoi capelli albini guardava con attenzione i suoi interlocutori. Avevano in mente qualcosa, lo sentiva. Non amava i complotti, e sperava per loro che non volessero organizzare qualche gioco di potere. Bhaela non era mai stata portata per la politica, come del resto anche Jaehaemion e Maera. Gli altri invece sembravano dei regnanti nati, come Jaehaerys e Laerion. Già, Laerion...
- Lo sappiamo.
Sembrava che Sunderland stesse parlando a nome di tutti loro. Anche Darren Marsh annuiva mentre il maestro della flotta parlava, segno che anche lui era al corrente di quel complotto in procinto di essere rivelato.
- Ed è proprio per questo che abbiamo scelto questo momento per venirti a parlare.
Adesso avevano catturato completamente l'attenzione di Bhaela. Li avrebbe ascoltati, anche se tutto quel discorso alla fine si fosse rivelato un inutile vaneggiamento.
- Fin da quando lord Woolfield ha menzionato il principe Baelor noi tutti abbiamo avuto un brutto presentimento. Sapete fin troppo bene quanto vostro fratello sia desideroso del potere, e crediamo... che sia in connubio con gli altri membri del concilio per farsi eleggere nuovo Primo Cavaliere...
"... questo ovviamente dopo aver tolto di mezzo il predecessore, cosa perfettamente riuscita." pensò Bhaela, concludendo il discorso di lord Sunderland. Se il maestro della flotta l'avesse esternato personalmente quello sarebbe stato alto tradimento, magari ser Darren stesso gli avrebbe separato la testa dal collo ad un ordine di Bhaela. Ma non l'avrebbe fatto per due ragioni: primo, nulla del genere era stato detto ad alta voce; secondo, la principessa era perfettamente d'accordo con lui.
- Ti chiediamo di fermarlo, mia signora.
- E come?
La richiesta di lord Sunderland gli sembrava assurda.
- Io sono una donna, praticamente non ho poteri reali. Potrei esservi di ben poco aiuto nelle decisioni politiche.
- Poco ma buono - rispose il maestro della flotta, i lunghi capelli castani che ondeggiavano ogni volta che muoveva la testa - E' vero che non disponi di effettivi poteri, e che solamente i membri del concilio ristretto si potrebbero opporre ad una tale decisione. Ma in quanto unico membro della famiglia reale capace di intendere e di volere presente ad Approdo del Re potresti darci un apporto fondamentale per la riuscita dell'impresa.
Bhaela ci pensò su. Effettivamente aveva ragione, non poteva imporre nulla ma poteva invece agevolare le decisioni dei membri del concilio ristretto. Ah, le sottigliezze della politica. Bhaela odiava le sottigliezze della politica. Diciamo che odiava la politica in generale, e anche molte altre cose.
- Tutti noi conosciamo il principe Baelor, e sappiamo che dietro l'apparenza è piuttosto sgradevole - disse Sunderland, pronunciando l'ultima parola con uno strano tono - Per cui vi stiamo chiedendo di formare una piccola "alleanza". Sappiamo quanto odiate la politica, ma sarà solo per oggi, garantito.
Le affermazioni di Sunderland erano di nuovo ricadute pericolosamente vicino alla soglia del tradimento, ma nemmeno stavolta la principessa diede peso a questo fatto. Concordava con il maestro della flotta, e per quanto odiasse i giochi di potere doveva ammettere che stavolta toccava a lei prendere le decisioni. Se non altro l'avrebbe fatto per il bene del regno.
- D'accordo, accetto. Ma solo per oggi.

La ripresa della riunione del concilio ristretto si dimostrò infuocata fin da subito. In tutti i sensi. Dalla finestra della stanza infatti si poteva scorgere del fumo salire dal Fondo delle Pulci, probabilmente a causa dell'afa era scoppiato un incendio. Chissà, magari la scintilla del martello di un fabbro, un focolare lasciato incustodito, un pokemon non guardato, ognuna di queste cose poteva aver dato fuoco a qualche mucchio di paglia marcia o a qualche catasta di legno vecchio nella parte peggiore di Approdo del Re. Non che l'atmosfera alla Fortezza Rossa in quel momento fosse di molto migliore.
Fin dalle prime battute Bhaela capì che mentre i tre del concilio erano da lei gli altri avevano egualmente complottato per lo scopo opposto. Da cosa lo capiva? Semplice, dal fatto che adesso Rykker, Brune e il Gran Maestro parlavano come se Baelor fosse stato la loro dolce mammina ancora adesso. L'improvvisa e rinnovata devozione con cui ne parlavano dava alla principessa il voltastomaco. Se solo ne avesse avuto la possibilità avrebbe sguainato la spada e li avrebbe aperti in due seduta stante. Nel frattempo Chelsted annuiva a qualsiasi affermazione con aria assente, probabilmente sarebbe presto stato usato come una marionetta in una possibile votazione.
Il Gran Maestro non aveva inviato un corvo a lord Martell come gli era stato richiesto, e Bhaela stava facendo fatica a controllare la rabbia. Lei era una Targaryen, e quell'insulso essere di un Redfort le doveva rispetto, deferenza e obbedienza assoluta, non fare il bello e il cattivo tempo sulle sue decisioni. La principessa stava cominciando a riconsiderare le posizioni di Maegor il Crudele riguardo alla sorte dei Gran Maestri. Il re infatti ne aveva decapitati due di propria mano, il Gran Maestro Gawen perché aveva protestato alla sua ascesa al trono e il suo successore Desmond per non aver fornito un aiuto sufficiente al parto della regina Alys Harroway. Erano stati uccisi per molto meno di aver disatteso un ordine, se Bhaela fosse stata regina...
- Principessa - disse Woolfield, cercando di mantenere un tono più calmo e pacato possibile - Non è stato raro che la posizione di Primo Cavaliere sia stata affidata ad un membro della famiglia reale. Pensate ad esempio a Baelon Targaryen per suo padre Jaehaerys il Conciliatore, oppure per Viserys Targaryen quando sul trono ci furono suo fratello Aegon III, e poi i suoi figli Daeron I e Baelor il Benedetto - e rimarcò l'ultima parola in tono mellifluo - prima di diventare re egli stesso.
"Già, chissà perché Viserys alla fine è diventato lui stesso re.".
- Oppure anche vostro zio Aenar in favore di Aerys, suo fratello maggiore, prima di portare la corona dopo di lui. Non capisco perché siate così riluttante a concedere a vostro fratello cotale privilegio.
- Non sono tenuta a fornirvi spiegazioni - rispose lei con fare sprezzante - Se proprio devo farlo parlerò col diretto interessato.
- Sapete benissimo - intervenne Rykker - che vostro fratello al momento è in visita a Rosby.
- Bé - ribatté Sunderland - Se si è scomodato per andare a Rosby mentre le condizioni del Primo Cavaliere precipitavano vuol dire che non ci teneva poi molto ad avere quella carica.
"Eccome se ci tiene" pensò Bhaela "Probabilmente il fatto di andare a Rosby è stato solo un diversivo. Sono pronta a scommettere che in realtà non ha nemmeno lasciato la città, quel figlio di puttana. Se chiedessimo a Rosby sono sicura che lord Damon risponderebbe che Baelor è stato con lui per tutto il tempo.". Ecco un'altra cosa che Bhaela odiava del fratello, sembrava avere amici dovunque. Sarebbe stato davvero bene come maestro delle spie, se non che una carica del genere non si addiceva ad un membro della famiglia reale.
- Vi ricordo che il principe - protestò Woolfield - è partito prima che lord Morgan cominciasse a mostrare i sintomi della malattia. Come poteva immaginare che sarebbe morto di lì a poco?
"Lui non immaginava. Lui sapeva.".
- Già - lo sostenne Brune - Sono stato io in persona ad accompagnarlo fino alle mura e a farlo uscire dalla Porta del Drago.
- Poco importa, non è comunque adatto per il ruolo di Primo Cavaliere - continuò Bhaela imperterrita.
- E chi vorreste proporre al suo posto? - disse Rykker - Quell'idiota di Rhaegon?
- Non. Offendete. Mio fratello. - ringhiò Bhaela. Era a tanto così dallo snudare la sua lama.
- Sappiamo tutti - cominciò a parlare il Gran Maestro - che i dorniani sono gente infida e astuta. Prendete Duncan Martell. E' stato Primo Cavaliere per due incarichi, entrambe le volte in momenti delicati quali erano la Ribellione di Matarys e la Primavera di Sangue. La prima volta era un ragazzino, la seconda un vecchio, ma si è dimostrato sagace in entrambe le occasioni. Aveva il reame in mano sua, ma non ha nociuto in alcun modo alla corona. Questo solo perché non aveva modo di farlo. So di ripetermi, ma non c'è da fidarsi dei Martell.
- Calmatevi, principessa - gli aveva nel frattempo sussurrato ser Darren mettendo una mano sul fodero della sua spada - Non è il momento di lasciarsi cogliere dall'ira.
Bhaela sbuffò, ma sapeva che il cavaliere aveva ragione. Una strage nel bel mezzo di una riunione di un concilio ristretto sarebbe stata di ben poco aiuto in quel momento, a parte ovviamente provocare qualche morto in più e lasciare libera la strada per Baelor. E Bhaela non aveva intenzione di concedere questo vantaggio a suo fratello.
- Effettivamente - fu lord Woolfield a continuare la conversazione - Nessun dorniano a parte il già citato ser Duncan è mai stato Primo Cavaliere. E ci deve pur essere un motivo per questo. Ebbene, io dico di continuare su questa strada. Il mio voto va al principe Baelor.
"Adesso è una votazione, tsk". Il tono mentale di Bhaela era sia indignato che sprezzante allo stesso tempo, ma questa decise di dargliela vinta. Erano, nella peggiore delle ipotesi, cinque contro cinque, un perfetto pareggio non avrebbe cambiato le cose. "Massì, lasciamoglielo pure fare.".
- Visto che avete cominciato - disse lei ad alta voce - direi di procedere con le votazioni.
Furono in molti a guardarla in modo perplesso. Una votazione nel concilio ristretto non veniva effettata da... quando? Il regno di Aegon il Buono, morto quarant'anni prima? Molto probabile, e c'erano i suoi perché. Ma a Bhaela non importava da quanto venisse fatta, trovava che fosse la cosa giusta da fare.
- Lord Sunderland? - chiese, spronando il maestro della flotta.
- Io mi pronuncio per lord Martell, e questo è quanto.
- Molto bene. Lord Rykker?
- Il principe Baelor è il più indicato per questa carica, anche se rimango del parere che Unwin Fell non sia del tutto da scartare.
"E siamo uno a uno.".
- Lord Woolfield, avete per caso cambiato idea?
- L'ho già detto, ritengo il principe la persona più indicata - disse lui, accarezzandosi i corti e sudaticci capelli castani - per questo tipo di ruolo. Sì, decisamente il mio voto va a lui.
- Lord Brune?
- Il principe.
"Merda.". La risposta secca e decisa del lord comandante della Guardia Cittadina aveva portato i sostenitori di Baelor in netto vantaggio, Bhaela cominciava seriamente a temere di essersi sbagliata. Ma era solo l'ansia del momento, la situazione era infatti destinata a rimanere neutrale, non molto diversa da quelle di prima.
- Septon Norbert?
- Per la Madre, io parlo a nome dell'Alto Septon. E l'Alto Septon ritiene che il matrimonio contratto dal principe con sua sorella Maera non sia consono ad un membro della famiglia reale. Noi del Credo non facciamo politica, per cui il mio voto va a chiunque non sia il principe Baelor. E quindi credo che lord Martell sia una valida alternativa.
"Tre a due.".
- Ser Darren?
- Per quanto sia mio compito proteggere i membri della famiglia reale, non lo è certo quello di agevolarli nell'ascesa politica. Non sono mica il Primo Cavaliere io. Vada per lord Martell.
"Tre a tre.".
- Gran Maestro?
- Il mio parere - disse quello con fare lento e strascicato - è il medesimo di prima. Il principe Baelor va eletto Primo Cavaliere per molte ragioni, ad esempio...
- Sì, abbiamo capito. - lo interruppe bruscamente Bhaela - Lord Stokeworth?
- L-lord Martell va bene. L-la mia fedeltà va alla corona, ed è per questo c-che voglio veder diventare P-primo Cavaliere l'uomo che più se lo merita.
Pur balbettando lord Maric aveva riportato la situazione in parità. Quando lo guardava Bhaela gli faceva un po' di pena. Sapeva che era un esperto giurista, lei non aveva mai partecipato ad una riunione del concilio ristretto prima di allora, ma aveva udito tutto su di lui dai commenti ironici dei servitori. La balbuzie e l'insicurezza di lord Stokeworth erano motivo di grande ilarità a corte, non passava giorno che non si ridesse di lui.
- Per quanto mi riguarda - riprese Bhaela - Io voto per lord Martell. Conosco abbastanza bene mio fratello da sapere che il ruolo di Primo Cavaliere del re non è adatto a lui.
La faccia di lord Rykker si crucciò, ma quelle degli altri membri del concilio ristretto rimasero perfettamente impassibili.
- Molto bene, direi che con questo abbiamo concluso. - Bhaela si alzò, facendo per andarsene - Maestro Cedric, inviate immediatamente un corvo a lord Derrick Martell per informarlo della sua nomina. Fatelo...
- Un momento! - esclamò lord Rykker scandalizzato - E ser Halys? Lui non vota?
- Ehm, dovrebbe? - chiese Bhaela.
- Certo che deve! - c'era un che di maligno nel fare del maestro del conio - E' anch'egli un membro del concilio ristretto, e quindi ha il diritto di voto come noi. Vero, ser Halys?
Il cavaliere interpellato annuì, probabilmente senza nemmeno sapere cosa gli era stato chiesto. La sua espressione assente dava conferma di tutti i sospetti i Bhaela, i "nemici" del concilio intendevano usarlo come uno strumento.
- Invece lui non voterà. Guardate com'è ridotto, nemmeno ci sta ascoltando e annuisce meccanicamente.
- Ma rimane pur sempre un membro del concilio ristretto!
- Effettivamente - intervenne il maestro delle spie - Questo è vero, per cui teoricamente anche lui deve votare...
- Ma che sciocchezze andate dicendo - disse lord Sunderland - Nelle sue condizioni non gli è possibile votare, mi pare ovvio.
- Certamente che è possibile per lui esprimere la propria opinione!
I toni si stavano facendo concitati e anche piuttosto alti, tanto che si dovevano sentire in tutti i corridoi adiacenti.
- Mica è la lingua a mancargli! Allora, ser Halys, voi per chi vi esprimete? Per il principe Baelor o per Lord Martell?
- Sì, sì. - fece lui muovendo leggermente la testa.
- Vedete? - continuò lord Rykker imperterrito - Ha detto sì.
- Esatto! Ha detto sì! - Bhaela non ne poteva più - E "sì" in questo momento non costituisce una risposta!
- E perché no? Ha annuito quando ho parlato del principe Baelor!
- Lui annuisce sempre, adesso non fate il furbo.
- Nessuno sta facendo il furbo. Questa è una votazione e ser Halys ha votato per il principe, mi sembra molto chiaro.
- Come osate...?!
"... prendervi gioco di me" sarebbe dovuto uscire anch'esso dalla bocca della donna. Aveva anche portato mano all'elsa della spada, pronta ad estrarla e a decollare lei stessa l'uomo che aveva avuto l'insolenza di contrastarla, ma accadde qualcosa che bloccò quella discussione e anche qualsiasi altra disputa in corso in quel momento.
- Basta!
La voce, pur distorta e arrochita dalla malattia, giunse forte e chiara in ogni dove della sala. Tutti si girarono verso la porta, desiderosi di sapere chi l'avesse interrotti in un momento così delicato e di magari mandarlo via a calci. Calci per i quali sarebbero sicuramente tutti stati uccisi, visto che il "disturbatore" altri non era che re Jaehaerys.
Jaehaerys Targaryen, terzo del suo nome, era stato fino a qualche anno prima un uomo atletico, non grosso quanto la sorella ma abbastanza temibile con la spada e la lancia. Ebbene, quello che Bhaela si ritrovò davanti era solamente la sua pallida ombra. Magro, provato dalla malattia, una barbetta rada ad increspargli le guancie, i capelli argentei che gli ricadevano flosci sulle spalle, gli occhi che lacrimavano per la fatica di rimanere aperti, e il tutto sostenuto da un servitore. Una camicia di lino pregna di sudore gli copriva il torace, mentre dei pantaloni di tela ormai madidi gli penzolavano flosci ogni qualvolta si muoveva.
Bhaela era sgomenta. Quello non poteva essere suo fratello. Il re che aveva conosciuto non si era mai lasciato ridurre così da una malattia, come ad esempio quando era stato ferito al primo attacco contro le Tre Sorelle oppure alla Battaglia del Bosco delle Piogge. Eppure, davanti a quell'essere, tutti meno lei chinarono la testa in segno di rispetto, tranne ser Darren che si precipitò a sostenere il proprio monarca.
- Sire, perché non mi avete fatto chiamare? - chiese preoccupato - Vi avrei portato io stesso!
- Lo so... lo... so... coff coff...
Per quelle quattro parole l'uomo pareva aver fatto una fatica immensa, al punto che dopo un violento colpo di tosse aveva dovuto riprendere fiato. Respirò pesantemente per alcuni attimi, finché fece cenno al servitore che lo sosteneva di lasciarlo andare. Rischiò di crollare a terra tanto gli mancavano le forze, ma venne subito ripreso dal lord comandante della Guardia Reale.
- Sire, dovete stare a letto per guarire, il Gran Maestro ve l'ha raccomandato.
- Ne... sono consapevole... coff... ma tutto il vostro discutere... ha richiamato la mia attenzione... stavate facendo un bel po' di confusione... coff coff... vi si sentiva persino dalle mie stanze... coff coff...
- Perdonateci, vostra maestà - disse Woolfield mesto, col capo chino - Non era nostra intenzione...
- Bar Emmon... è morto, vero?
- Purtroppo sì, mio re.
- Immagino... che stiate discutendo... su chi mettere al suo posto... coff coff...
- Esattamente, vostra maestà.
Il re si fece così ricapitolare i contenuti di quella riunione (esclusi ovviamente i vari litigi e alleanze segrete che vi erano state). Jaehaerys non parlò più mentre Woolfield gli diceva tutto per filo e per segno, si limitava ad annuire lievemente ogni tanto. Infine, quando credette di averne recepito abbastanza, gli fece un cenno con la mano, al che il maestro delle spie tacque.
- Molto bene... coff coff... credo di aver capito... e... credo di aver preso una decisione...
"E' pur sempre il re" pensò Bhaela "La scelta finale spetta comunque a lui.".
- Credo...
I membri del concilio rimasero tutti, Bhaela compresa pur non facendone parte, col fiato sospeso.
- Che lord Woolfield abbia ragione... un membro... coff... della famiglia reale... è quello che ci vuole adesso...
"Merda.".
- So che Baelor è a Rosby... coff... Gran Maestro, mandate subito un corvo ad avvertirlo...
- Sarà fatto, vostra grazia.
Mentre il re si allontanava lentamente e il concilio si scioglieva, Bhaela rimase immobile nella sala. Guardò per terra e digrignò i denti. Aveva perso, in un campo che per di più detestava. E lei odiava perdere.

Note dell'autore
Ecco, quinto capitolo. Scusate ma questi tempi si stanno rivelando più difficili del previsto, lasciandomi molto meno tempo da dedicare alla storia.
Comunque, alla faccia di quelli che dicono che la trama fin'ora non c'era, adesso non potete dire che non ci sia. Rosicate, bitches!

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Capitolo 7
*** Robert I ***


Robert

Il torneo riprese esattamente dopo il tempo che lord Royce aveva concesso a tutti per rimettersi in sesto. I cavalieri e i vari nobili erano tutti tornati alle loro tende per consumare il proprio pasto, mentre Robert, assieme al padre, Daeron, lord Royce e qualche altro signorotto che non conosceva era tornato al padiglione paterno.
Il fresco che c'era stato di primo mattino, quando ancora lui, Daeron e Vilon si nascondevano a Neo del Crinale, era scomparso per lasciare il posto ad un afa soffocante come non se n'erano mai percepite nella storia della Valle. "Forse" si era ritrovato a pensare più volte Robert "E' vero che l'estate sta arrivando.".
Il padiglione di lord Arryn era piacevolmente fresco e ombroso rispetto al torrido esterno, Robert dovette ammettere che ci si stava davvero bene. Una tavola era stata approntata per i nobili, alla quale avevano preso posto tutti loro. Il lord suo padre si era seduto a capotavola, mentre il principe al lato opposto. Robert si era sistemato accanto a quest'ultimo, e si era trovato subito a proprio agio.
Il pranzo era stato ottimo in un ambiente altrettanto piacevole: erano stati serviti dei deliziosi spiedini di castrato ancora colanti del grasso di cottura contornati con delle patate arrostite nel suddetto grasso. Per finire, probabilmente per compensare l'alta temperatura esterna, erano stati serviti dei biscotti di farro e zucchero di canna guarniti di panna gelata. "Scesi direttamente dal Nido dell'Aquila una mezzora fa" aveva assicurato il servitore che si occupava di portare i piatti e servire da bere.
C'era stato vino per tutti, perfino per Daeron, mentre invece a Robert era stata data solo dell'acqua. "Sei troppo giovane ancora per il vino" gli aveva detto strizzandogli la guancia suo padre. Ma a Daeron l'avevano dato il vino, probabilmente solo per il fatto che fosse il principe e in qualità di suo protetto lord Arryn non gli doveva far mancare mai nulla. Nonostante fosse un poco geloso, Robert era riuscito a godersi ugualmente il pranzo.
Ma il suo amico non era sembrato apprezzare allo stesso modo. Se n'era sempre stato il silenzio con aria annoiata, appoggiato con un gomito sul tavolo e mezzo girato verso una direzione casuale. Aveva giocherellato col cibo per tutto il tempo, solo qualche volta aveva staccato qualche boccone di carne che aveva prontamente fatto cadere nelle fauci del suo pokemon, accoccolato ai suoi piedi.
A Robert quel Deino aveva sempre messo soggezione, nonostante Daeron continuasse ad affermare che fosse buono come il pane. Una volta Robert aveva provato ad accarezzargli la testa ma era riuscito a ritrarre la mano prima di venire morso. Se davvero quella creatura era "buona", lo era solo con Daeron.
Ovviamente lord Aeron glielo lasciava tenere dovunque andasse, sempre perché era un principe, pur abbastanza basso nella successione. Ah, il lord suo padre, cosa non avrebbe fatto per non far bella figura con la corona. Peccato che facendo così aveva sembrato tralasciare suo figlio. Robert ancora non aveva un pokemon, suo padre diceva che erano bestie pericolose, adatte a rozzi bruti del volgo e non certo ad un nobile. Ma Daeron non sembrava di certo un rozzo bruto del volgo.
Quando ripresero posto sulle pedane Robert si sedette nuovamente vicino al suo amico, notando un particolare che lo fece sorridere. Daeron infatti sembrava molto più attento al torneo che stava per ricominciare di quanto non lo fosse stato prima. Il ragazzo poté veder luccicare negli occhi al di sotto dei capelli argentei a caschetto striati di bruno dell'amico quello stesso luccichio che lui stesso provava ogni qualvolta guardava un torneo. Certo, questo era di un'intensità molto ridotta, ma c'era. Robert Arryn era sempre stato un appassionato di tornei, e gli faceva piacere aver visto finalmente Daeron venire anch'esso contagiato dalla sua passione.
L'araldo richiamò l'attenzione una volta che tutti si furono sistemati. Quando lord Royce gli fece cenno di parlare, l'uomo suonò un corno e poi cominciò a declamare i cavalieri che avrebbero dovuto giostrare.
- Ecco! Ecco che ricomincia il torneo! Silenzio, miei signori!
Immediatamente tutte le voci si zittirono sulla piana al di sotto delle Porte della Luna.
- La competizione riprenderà da dove si era interrotta! Fra pochi istanti il Campione ser Bors Arryn si dovrà confrontare... - al che Arryn estrasse un nome dall'urna e lo porse all'araldo - ...con ser Donnel Darke!
"Darke di Duskendale" pensò Robert, ricollegando il nome alle lezioni di araldica impartitegli da maestro Pyman in tutti quegli anni "Discendenti degli estinti Darklyn". Donnel Darke era un cavaliere dalla corporatura non particolarmente prominente, ma che riuscì a spezzare due lance contro il forzuto zio di Robert prima di cadere da cavallo e dichiararsi sconfitto.
Il secondo avversario di Layn Corbray fu invece un nuovo Redfort, ser Jaremy, fratello minore di Torrerossa. Somigliava davvero molto a Torrerossa, soprattutto per il fisico. Riuscì a mettere seriamente in difficoltà l'uomo di Casa del Cuore, facendolo cadere giù da cavallo già alla prima lancia e saltandogli addosso. Il combattimento corpo a corpo era stato davvero concitato, molti spettatori fra cui Robert stessi erano stati col fiato sospeso, ma alla fine ser Layn era riuscito ad estrarre la spada. Redfort, memore del fato toccato a ser Gyles Grafton, si arrese subito.
Una volta che Jaremy Refort fu uscito dal campo l'araldo si fece di nuovo avanti, portando l'urna e chiamando nel frattempo ser Ronas Martell per estrarre un nuovo nome. Il dorniano si fece attendere un po'. "Certo, vuole creare l'atmosfera" pensò Robert. Quando un cavaliere faceva così il ragazzo si sentiva molto eccitato, voleva in fondo essere una dimostrazione di superiorità nei confronti degli avversari.
Quando i grandi lord cominciavano a spazientirsi, Lancialucente apparve da un ingresso laterale. Era a piedi, e stava conducendo il suo cavallo senza fretta. A Robert quasi venne da ridere quando guardò la faccia di suo padre. Lord Arryn appariva irritato, mentre lord Royce al suo fianco era senza parole. Alla fine non ce la fece più, e all'erede del Nido dell'Aquila scappò una risatina. Daeron, seduto al suo fianco, sorrise anch'esso.
Quando finalmente Martell si affiancò all'araldo gli diede le redini del suo cavallo. Il pover'uomo, già recante l'urna con due mani, si dovette contorcere e arrabattare in modi impossibili per tenere le redini e non far cadere l'urna allo stesso tempo, provocando il divertimento generale. Robert un po' si spazientì, lui voleva il torneo, non certo vedere un araldo comportarsi come un buffone.
Ronas Martell rovistò un po' con la mano dentro l'urna guardando tuttavia dall'altra parte, estraendo infine un pezzetto di carta all'apparenza più stropicciato degli altri. Si riprese le redini del cavallo, non prima di aver consegnato il biglietto al già stracarico araldo, il quale o per fortuna o per bravura era ancora riuscito a non far cadere nulla.
L'uomo, sfinito, appoggiò l'urna per terra e riprese fiato un attimo. Ci furono altre risate apparentemente senza motivo, poi procedette a leggere.
- Il prossimo sfidante... per ser Ronas Martell è... ser Ben Simisage!
Immediatamente la folla, a sentire quel nome, si ammutolì. Anche Robert rimase quasi pietrificato, non si aspettava che quello fosse proprio lì. Nemmeno una mosca volava in quel momento, si poteva distintamente udire il sibilo del vento che infuriava appena poche decine di metri più in alto. Alcuni spettatori, non molto distanti dai ragazzi, fissarono il Deino di Daeron.
Il principe invece era rimasto tale e quale a com'era prima, il nome sembrava non aver sortito nessun particolare effetto su di lui. Anzi, le improvvise attenzioni altrui riservate al suo pokemon cominciarono a spazientirlo. Con uno sguardo truce fulminò tutti coloro che stavano fissando Vhagar, i quali immediatamente si voltarono da un'altra parte facendo finta di niente.
- Insomma, cos'avrebbe di particolare quel nome? - chiese irritato a Robert quando ebbe finito di guardar male la gente. L'amico in risposta sgranò gli occhi.
- Davvero non lo sai?
Robert era confuso. Come poteva Daeron, che pure era un membro della famiglia reale, non sapere nulla sui Simisage?
- Sapere cosa? Dimmi cosa devo sapere, odio quando la gente guarda Vhagar in quel modo.
- Va bene - rispose Robert, ancora sorpreso dalla dimostrazione di "ignoranza" dell'amico - Anche se mi sembra strano che proprio tu, un Targaryen... bé, comunque, sicuramente conoscerai la Battaglia della Strada del Re.
- Certamente - rispose Daeron - Quando re Aegon il Buono si scontrò contro suo cugino e pretendente al trono Matarys. Sarà stato... sessant'anni fa?
- Sessantadue.
- Però, non sapevo conoscessi così bene la storia.
- Sai, maestro Pyman ha sempre voluto che fossi preparato. E' incredibilmente noioso ma anche utile, ti invidio ogni volta che sei libero di esplorare la Lancia del Gigante mentre io sono bloccato a studiare col maestro. Comunque mi sembra strano che tu non conosca la storia della tua stessa famiglia.
- Non sono uno a cui importa molto della storia. O della geografia. O di qualsiasi altra materia letteraria. Conosco un po' di araldica, ma niente di che. Procedi insomma.
- Bé, Aegon rischiò la vita parecchie volte in quello scontro, tanto che si scontrò col grande ser Andrew Mallister e per poco non venne ammazzato da Ormond Deddings, detto lo Sgozzanobili. Poi il re si scontrò direttamente con Matarys, e stava quasi per soccombere quando in suo aiuto venne Havel, un soldato di lady Wode. Grazie al suo aiuto il re poté ribaltare la situazione, in quanto facendogli scudo Havel gli permise di trovare la giusta occasione per uccidere Matarys e infine per annientare le sue forze rimanenti. Dopo la battaglia il re fece cavaliere il suo salvatore e gli conferì il titolo di lord di Padelle Salate, la città che sta sulla Baia dei Granchi. Havel assunse il cognome di Simisage e il suo discendente Lautrec possiede ancora oggi quel posto.
- E dove sarebbe tutta questa specialità? Ho sentito di molti altri divenuti signori di qualche terra grazie ad imprese simili.
- Vedi, Havel e tutta la sua famiglia... sono dei pokemon.
Lì Daeron parve davvero impressionato, al punto che aprì la bocca per lo stupore.
- Dei pokemon? Cosa?
- E' la reazione che hanno tutti quando sentono per la prima volta parlare di loro.
- E' che, sembra strano... voglio dire, una cosa del genere so essere possibile ad Essos, ma pensavo che a Westeros...
- Se dici così allora vuol dire che non hai studiato l'araldica come dai a vedere. Oltre a lord Simisage posso citarti, che so, lady Froslass di Corona della Regina, lord Poliwrath di Grande Wyk...
Robert si interruppe lì, vedendo che l'attenzione dell'amico era stata attirata da qualcosa, o meglio da qualcuno alle sue spalle. Robert, girato verso l'interno della tribuna, si voltò e vide per la prima volta l'oggetto di quella discussione.
Ser Ben Simisage si presentò a cavallo, ma era palesemente a disagio. Evidentemente non era abituato a montare degli animali, in fondo lo era anche lui per certo versi. Faceva leggermente impressione, il manto verde foresta e le zampe all'apparenza morbide a penzoloni, mentre si faceva consegnare la lancia.
Appariva come un normale membro della propria specie, solamente con diverse cinture di cuoio che lo legavano alla sella (evidentemente non era capace di cavalcare, o comunque se lo faceva lo faceva in una modalità scorretta) e un mezzo elmo che gli schiacciava il caratteristico ciuffo di... capelli? No, peli suonava decisamente meglio.
Nessun grido di acclamazione e incoraggiamento si levò dal pubblico, né per il pokemon né per il suo sfidante ser Ronas Martell, il quale evidentemente non aveva il sostegno del pubblico. A Lancialucente, proprio come a Daeron inizialmente, la fama e poi la vista dell'avversario non avevano destato nessuna particolare reazione. Evidentemente a Dorne le usanze e i comportamenti verso i pokemon erano molto più aperti. Oppure semplicemente non gli importava.
I due cavalieri si passarono vicino quando s'apprestarono a raggiungere le proprie postazioni di partenza, e quando i cavalli passarono a meno di dieci pollici di distanza i due si fecero un inchino, prima Lancialucente e subito dopo il pokemon come risposta. Robert non sapeva se quella fosse un'altra usanza dei dorniani, ma credette di no visto che nel precedente incontro di Martell con Torrerossa. Forse Lancialucente pensava di aver trovato un combattente al suo livello? Oppure lo scontro era troppo particolare per non stabilire un qualsiasi tipo di rapporto con l'avversario?
Umano e pokemon presero i propri posti, stabilizzando le lance e sistemandosi gli elmi. Quando venne dato il segnale apposito entrambi diedero di speroni, partendo in un galoppo sfrenato. Sia Martell che il suo avversario sembrarono non apprezzare più di tanto le modalità di combattimento, visto che le prime quattro lance andarono a vuoto.
Robert sentiva che nessuno dei due vi aveva messo una reale intenzione di vittoria. Lui, in tutta la sua breve vita, aveva assistito a non meno di una decina di tornei, e conosceva bene il comportamento di chi si prepara a sfidare un cavaliere sperando di disarcionarlo. Conosceva anche quello di chi sperava di essere disarcionato, e nei due sfidanti non aveva riscontrato né l'uno né l'altro. Era come...
Ma certo, si stavano studiando. "Che stupido" si maledì Robert "Come ho fatto a non pensarci prima? Stanno valutando la forza l'uno dell'altro, devono ancora cominciare a fare sul serio.". I cavalieri più bravi facevano così quando trovavano un avversario di cui non erano in grado di quantificare l'abilità a colpo d'occhio. "Ecco che partono...".
La quinta lancia fece per la prima volta sussultare gli astanti. Stavolta entrambi gli sfidanti sembrarono fare sul serio, tanto che Robert poté vederli belli concentrati già prima che si fossero avvicinati l'uno all'altro. Lancialucente colpì in pieno lo scudo di Simisage ed esplose in mille pezzi, facendolo sussultare ma paradossalmente anche rimettendolo nella corretta posizione sulla scomoda sella. L'arma del pokemon invece mancò il bersaglio, passando al di sopra della spalla sinistra di Martell e mancandolo per poco meno di una spanna.
- Ecco, così si fa!
Il grido del giovane Arryn risuonò forte e chiaro per tutto il campo, facendo voltare alcune teste a guardarlo. Perfino quella del lord suo padre, il quale lo guardò severo. Non aveva mai approvato quella sua passione per i tornei, a quanto pare Aeron Arryn voleva che il figlio non diventasse un bravo cavaliere ma solo un bravo lord, nulla più, esattamente come lui.
Il ragazzo si fece piccolo piccolo per l'imbarazzo nella sua postazione. Non aveva la minima idea di dove avesse mai potuto trovare la forza e il coraggio per fare quel grido. Daeron lo guardò divertito mentre cercava di nascondersi col braccio, e il sorriso malizioso gli restò impresso per parecchio tempo in seguito. Vhagar invece continuava a sonnecchiare tranquillo ai piedi del proprio padrone.
L'urlo sembrò comunque aver avuto qualche effetto, poiché entrambi i contendenti sorrisero a sentire quella specie di sostegno. Martell si risistemò l'elmo mentre Simisage si spostò più in avanti sul dorso del cavallo, la coda color verde foglia che sferzava nervosamente l'aria sopra il didietro dell'animale.
Armeggiò per un po' con le cinghie che lo tenevano legato al cavallo, e si sollevò un mormorio di dissenso dalla folla. Nelle lizze dei tornei i cavalieri dovevano essere disarcionati e non era ammesso l'uso di qualsiasi mezzo che lo potesse impedire, e per questo Simisage aveva inizialmente chiesto di poter combattere a piedi fin da subito. Gli era stato detto di no ma maestro Pyman, vedendo il curriculum di tutto rispetto del pokemon (tre primi posti e sette secondi posti in tornei di tutte le Terre dei Fiumi, il più importante dei quali quello di Delta delle Acque di due anni prima), vincitore di numerosi tornei e uno dei pochi della sua razza ad essere mai stato fatto cavaliere, non gli aveva potuto rifiutare quell'opzione.
Robert si chiese quanti guai avesse affrontato (e avrebbe dovuto affrontare) il maestro per quella decisione in caso di vittoria del pokemon. Ma del resto l'avversario di Simisage rimaneva Lancialucente, ed una sua vittoria risultava piuttosto improbabile anche tenendo conto dei vantaggi che la sua particolare specie gli conferiva. Il dorniano era semplicemente troppo abile per perdere, indifferentemente dalla razza dell'avversario.
Solo che Simisage non sembrava stare stringendo le cinture, sembrava piuttosto che le stesse allentando. "Ha in mente qualcosa, ci scommetto il mio farsetto di velluto di Tyrosh". Era palese, almeno per Robert, che il pokemon stesse escogitando qualcosa. Che fosse una manovra simile a quella di Lancialucente con Torrerossa di poco prima? No, decisamente il dorniano non era tipo da farsi cogliere di sorpresa con una delle sue stesse tecniche. Ma allora cosa stava escogitando?
I due finalmente partirono. Lancialucente si avviò ad un trotto leggero, mentre Simisage assestò un poderoso colpo di cosa al deretano della sua cavalcatura, la quale imbizzarrita parti al galoppo. Repentinamente Simisage spostò la lancia di lato... e la lasciò cadere. Con un fendente carico di energia erbacea tranciò di netto una delle cinghie che lo legavano al cavallo, poi un altra e poi un'altra ancora.
Nel frattempo Martell aveva sollevato la propria lancia, allineandola col pokemon intento a liberarsi. Ma quando il colpo sembrò ormai inevitabile, Simisage riuscì a rompere anche l'ultima cintura si alzò in piedi sul dorso del cavallo e con un'elegante capriola saltò sopra alla lancia. Atterrò nel punto dove Martell teneva l'arma con la mano destra e gli assestò un poderoso calcio al ventre.
Evidentemente però Lancialucente si era aspettato qualcosa del genere, visto che appena il colpo sembrò andare a segno si inarcò paurosamente, stringendo nella morsa formata dal suo corpo e dalla lancia l'avversario, lasciandosi poi cadere di lato. Entrambi scivolarono giù dalla cavalcatura, ma mentre Martell si schiantò malamente sul terreno Simisage fece un giro della morte a mezz'aria per poi atterrare nella polvere con un'altra capriola.
Il pokemon si rialzò subito, la faccia attraversata da un sorriso. O almeno ciò appariva, Robert non sapeva se quella fosse la sua espressione normale oppure no visto che anche ad inizio gara ce l'aveva. Comunque, anche se il sorriso fosse stato vero sarebbe ben preso morto, in quanto Martell si rialzò, seppure malfermo, trattenendo ancora la lancia da torneo. La gettò a terra e si fece dare la sua personale, mantenendosi poi sulla difensiva.
I due si girarono attorno per un po'. Simisage, il manto verde sporco di polvere e la faccia incrostata di terra, sferzava violentemente l'aria dietro di sé con la coda, gonfiando regolarmente il petto forse per apparire più grande; in faccia aveva sempre quella specie di sorriso, che rendeva difficile capire le sue vere intenzioni. Martell, il braccio sinistro penzoloni e probabilmente rotto, la sua lancia di legno d'arancio della destra, un'espressione risoluta sul viso, le labbra serrate.
Robert poteva non comprendere molte cose, ma almeno una l'aveva capita: entrambi i contendenti erano ben determinati a vincere quell'incontro. Entrambi però esitavano ad attaccare, aspettando che fosse l'altro a fare la prima mossa. Robert aveva visto solo Lancialucente combattere e unicamente una volta, ma aveva intuito che non era tipo che attaccasse per primo. Così si limito a sedere e ad aspettare trepidante. Daeron al suo fianco guardava l'incontro con espressione indecifrabile mentre accarezzava la testa del suo pokemon.
Robert seppe di avere ragione quando fu Simisage, con un gran balzo, ad attaccare Martell. Gli saltò direttamente addosso, sembrando coglierlo di sorpresa. Essendo controsole, Lancialucente si coprì col braccio della lancia per evitare di venire abbagliato, e Simisage gli atterrò addosso. Robert sospettò lo avesse fatto per proteggersi non dal sole ma dall'avversario.
Entrambi rotolarono per terra, la lancia di ser Ronas che se andava lontano per conto suo. Simisage fu il primo ad andare in vantaggio nel corpo a corpo, immobilizzando con una zampa il braccio rotto di ser Ronas. Martell urlò di dolore, muovendo spasmodicamente l'altro braccio. A Robert inizialmente sembrò che l'avesse fatto casualmente.
- Ti arrendi? - chiese a voce alta il pokemon.
Martell non rispose, tendendo dietro di sé il braccio sano. La sua mano artigliò una pietra che si trovava sul campo e, con una rapidità sorprendente, la batté in tesa all'avversario. Quello riuscì a notare i suoi movimenti con la coda dell'occhio ed ebbe un attimo di preavviso, appena sufficiente per non farsi colpire in un punto che l'avrebbe messo altrimenti fuorigioco.
Cadde all'indietro, la testa colpita appena dietro il punto dove ci sarebbe dovuto essere l'orecchio. Martell si rimise in qualche modo in piedi, sovrastandolo per un attimo. Poi alzò la pietra per aria mentre respirava a grandi boccate.
- Ti... arrendi...? - annaspò.
Stavolta fu il turno di Simisage di non rispondere, apparentemente essendo rimasto intontito dal colpo subito. Poi, con un movimento fulmineo delle gambe, falciò quelle di Lancialucente, il quale lasciò cadere la pietra e atterrò sul fianco destro. Simisage gli fu nuovamente sopra, afferrò il sasso al volo e mentre con una mano lo teneva sollevato con l'altra prese Lancialucente per il collo, minacciando non verbalmente di colpirlo.
Martell rimase immobile per alcuni secondi, guardando negli occhi forse l'unica... creatura il tutto il Continente Occidentale che era mai riuscita a batterlo. Sputò infine un grumo di sangue alla sua destra, poi si lasciò andare ad una tenue risata.
- Mi arrendo.

Il torneo però non aveva ancora finito di concedere combattimenti spettacolari. Dopo che Simisage ebbe sconfitto Lancialucente fu di nuovo il turno di suo zio Bors, il quale si ritrovò a fronteggiare ser Oswyn Grafton, un cugino di ser Gyles. Riuscì a liquidarlo in quattro lance, vincendo così la sua sesta lizza. Robert fece un rapido calcolo, e capì che se suo zio avesse vinto anche la prossima sarebbe stato de facto anche il vincitore del torneo, poiché visto il numero dei partecipanti le lizze totali sarebbero state dodici. Provò un moto di stima per il parente, desiderando nel profondo di essere come lui.
Layn Corbray come secondo avversario ebbe ser Terrence Mooton, un cavaliere proveniente da Maidenpool. A Robert diede una cattiva impressione fin da subito, sembrava troppo presuntuoso. Schernì sin da subito Corbray un po' come aveva fatto Arlan Royce, ma molto più pesantemente. Ser Layn, furioso, era partito subito alla carica, ma Mooton pareva aver previsto tutto poiché colpì con precisione Corbray alla spalla, disarcionandolo. Il cavaliere piombò a terra, seguito subito dopo dall'avversario il quale scese con tutta tranquillità da cavallo, dirigendosi poi verso il nemico a terra e puntandogli la lama al collo.
- Ti arrendi? - chiese con fare canzonatorio.
Questa volta Lady Forlon non bastò a far vincere Layn Corbray. Mooton aveva dimostrato un'innata bravura e astuzia, e l'avversario non ebbe altra possibilità se non quella di arrendersi. Robert avrebbe giurato che ser Terrence fosse più che pronto ad ammazzare ser Layn nel caso si fosse rifiutato. L'aveva capito dagli occhi, ser Terrence aveva lo sguardo di una persona assetata di sangue.
Il primo avversario per ser Ben Simisage fu invece Marcyl Corbray, fratello di Oswyn. Il pokemon, il quale era apparso in seria difficoltà con Martell unicamente per il fatto che anche il nemico era un combattente formidabile, non ci mise molto a sconfiggerlo, appena due lance e si passò ad un breve combattimento all'arma bianca. Simisage aveva provveduto presto a disarmare ser Marcyl, costringendolo alla resa.
Bors Arryn ebbe gioco altrettanto facile con ser Kyle, un cavaliere che prestava servizio alla Porta Insanguinata e che come proprio stemma aveva adottato una muraglia rossa. "Come il sangue che nel tempo ha colorato le pietre della fortezza" disse il cavaliere stesso presentandosi alla folla. Era andato giù alla terza lancia e si era arreso non appena suo zio era sceso da cavallo estraendo la spada. Era fatta, aveva vinto, ma il torneo proseguì lo stesso.
La prima lizza da campione per ser Terrence Mooton fu anche l'ultima. Si ritrovò a fronteggiare lord Morton Hunter, uno dei favoriti alla vittoria del torneo. Il campione si fece una grassa risata quando l'araldo lo annunciò subito dopo l'estrazione. Evidentemente non era mai venuto a conoscenza della fama dell'avversario.
L'abilità in combattimento del signore di Arcolungo era rinomata in lungo e in largo per la Valle, Robert ne aveva sentito parlare più volte da cavalieri in visita al Nido dell'Aquila. In gioventù lord Hunter era stato un formidabile cavaliere e vincitore di molti tornei. Aveva combattuto sia nella Prima che nella Seconda Ribellione di Maelor, prestando in mezzo alle due guerre servizio come mercenario prima sulle Stepstones e poi nelle Terre Contese prima di essere richiamato in patria per la morte del lord suo padre. Si era fatto valere anche nell'assalto alle Tre Sorelle, e teneva periodicamente dei tornei fuori dal suo castello. Si diceva che non disertasse mai a nessuna competizione cavalleresca in tutta la Valle, e l'ultimo torneo tenutosi pochi mesi prima a Città del Gabbiano lo aveva visto trionfare nella lizza finale contro Torrerossa. Girava voce che Redfort fosse ancora infuriato per questo.
Robert non aveva mai visto Morton Hunter in vita sua, e quando lo scorse per la prima volta gli sembrò un anziano lord come molti altri. Era vestito di una pesante armatura metallica, ma aveva preferito lasciare alzata la visiera così da avere una buona vista del combattimento. Alcune ciocche di capelli bianchi sporgevano da sotto l'armatura, e la sua presa sulla lancia non sembrava tanto forte. Il suo scudiero lo dovette aiutare persino a tenerla in mano. Ser Terrence si lanciò spavaldo alla carica, accompagnandosi con una risata selvaggia.
A quanto pare la scenetta di lord Hunter era stata solo apparenza. Aveva continuato a dondolare la lancia per quasi tutta la cavalcata verso il centro del campo, salvo poi riassestarla a pochi attimi dall'impatto con l'avversario. Mooton si ritrovò spiazzato, e mentre la sua lancia colpiva lo scudo con le cinque frecce di lord Hunter la lancia avversaria esplose in mille pezzi contro il suo petto, facendolo violentemente sbalzare all'indietro.
Mooton cadde supino a terra, ma a quanto pare Hunter non era ancora soddisfatto. L'anziano lord saltò giù dal cavallo mentre era ancora al galoppo e piombò su ser Terrence mentre questi tentava di rialzarsi. Gli assestò un violento pugno in faccia facendogli di sicuro saltare qualche dente, e inchiodatolo a terra puntandogli la spada contro lo costrinse alla resa. Mentre usciva Robert si fece una grassa risata a vedere Mooton rosso e fumante di rabbia.
Arrivò così la seconda lizza per ser Simisage, il quale dovette affrontare il cavaliere errante ser Mike il Marinaio. Non ci furono storie, il pokemon vinse in un battibaleno. Nemmeno ci fu bisogno che le lance si scontrassero per far cadere il cavaliere avversario, visto che ci pensò Simisage stesso balzandogli addosso.
Quando il Marinaio uscì mesto dal campo l'araldo si fece di nuovo avanti. Robert infine si era fatto dire il suo nome da un signorotto dei palchi inferiori, si chiamava Ubrick. Si fece avanti quindi suo zio per estrarre un nuovo nome, quindi porse il foglietto all'araldo. La faccia di Ubrick sembrò oscurarsi per un attimo alla vista del nome, poi tornò normale e passò quindi a declamare il nominativo del contendente.
- Il prossimo a sfidare ser Bors Arryn sarà... ser Jonothor Arryn!
A Robert, se in quel momento avesse mai bevuto qualcosa, gli sarebbe andata di traverso. Quell'accoppiata era l'ultima delle cose che poteva capitare. E che doveva capitare. La reazione del pubblico circostante fu più o meno la stessa, in quanto era risaputo in lungo e in largo l'odio fraterno che Bors e Jonothor Arryn provavano l'uno per l'altro. Daeron si fece una risatina all'udire gli sfidanti dello scontro prossimo, avendo vissuto vari anni nella Valle sapeva tutta la storia.
Figli di lady Vanessa Royce, seconda moglie di lord Alyn Arryn, non si erano mai sopportati fin da bambini, e la crescita non aveva fatto altro che acuire il loro odio. Ogni pretesto era buono per litigare, nonostante gli sforzi della lady loro madre per riappacificarli. D'altro canto lord Alyn ci aveva messo del suo, ignorando questa inopportuna faida familiare sino alla morte.
La repentina comparsa dell'altro zio di Robert impedì a chicchessia di formulare qualsivoglia pensiero. Robert non fece fatica a riconoscerlo: indossava una pesante armatura di metallo, comunque più leggera di quella del fratello. Bors lo sovrastava di almeno un pollice ed era largo il doppio, ma di faccia Jonothor era molto più spaventoso. Portava un elmo senza visiera, ornato ai lati dalle ali di un'aquila di bronzo, che lasciava intravedere i suoi lineamenti. Lineamenti distorti in un largo sorriso maligno.
Quando si passarono accanto il castellano del Nido dell'Aquila evitò lo sguardo, mentre suo fratello lo guardò voltargli le spalle sempre con quell'orribile ghigno impresso sul volto. Robert parteggiò sin da subito per il più anziano dei suoi zii, Jonothor non gli era mai piaciuto. Lo prendeva a male parole ogni qualvolta lo vedeva, e per un futuro lord della Valle non era proprio una cosa consona. Bé, ad essere sinceri Jonothor Arryn prendeva a male parole chiunque. Quando Ubrick l'araldo lo sfiorò egli gli ringhiò qualcosa che poteva suonare come "stammi lontano!".
I due sfidanti si posizionarono alle estremità del campo. Bors Arryn, silenzioso come sempre e interamente coperto dall'armatura, alzò la propria lancia puntandola verso il fratello. Da parte sua Jonothor appena ebbe afferrato l'arma lanciò un insulto allo scudiero che gliel'aveva portata. Per qualche strano motivo lady Bernyce si fece una grassa risata. "Forse oltre ad essere brutta è anche corta di cervello".
Quando venne dato il segnale per procedere entrambi si lanciarono in una corsa selvaggia. Si avvicinavano a velocità vertiginose, sembrò intercorrere solo un attimo dalla partenza al momento in cui entrambe le lance esplosero in mille pezzi sugli scudi ornati dall'aquila e dalla luna. Le prime sei lance furono tutte così, ma alla settima Bors Arryn diede segni di cedimento.
- Non sai fare di meglio, fratello? - gridò Jonothor Arryn. Bors parve infuriarsi e si lanciò alla carica. Il fratello approfittò di quel momento e all'ottava corsa cercò di deviare la sua lancia verso un fianco, ma andò a vuoto. Bors nel frattempo si era rimesso dal furore improvviso e continuò a tenere il ritmo precedente sino alla dodicesima. Alla tredicesima Jonothor quasi cadde da cavallo, a quella successiva il castellano sembrò di nuovo sul punto di venire disarcionato. Alla quindicesima caddero entrambi.
Immediatamente i contendenti si rialzarono, passando ambedue alle spade. Robert fremette a quella vista, entrambe le lame dall'elsa a forma del falcone degli Arryn sguainate e rilucenti sotto la luce del sole. Tutti e due i cavalieri portavano un mantello blu e bianco col simbolo della loro casata, e ciò rendeva difficile distinguerli. Robert riconobbe suo zio Jonothor dalla figura senza celata, ma appena cominciarono a duellare lo perse di vista.
Sarebbe stato scorretto dire che i due Arryn avessero cominciato a combattersi, mentre sarebbe stato più appropriato definire il loro duello una danza. Certo, una danza sgraziata da una parte per l'ingombrante stazza di Bors e per i movimenti leggermente impacciati di Jonothor causati dall'armatura, ma che sapeva mantenere un ritmo mortale al punto di tenere la folla col fiato sospeso fino all'ultimo.
Fendenti a decine vennero eseguiti, potenti colpi a dozzine vennero menati, imprecazioni - soprattutto, anzi, unicamente da parte dell'Arryn più giovane - a centinaia vennero lanciate, interi litri di sudore e sangue scorsero dalle giunture di metallo delle armature. Colpi furono schivati, altri invece no, entrambi subirono molte ferite e ammaccature. Robert avrebbe giurato, anzi ne era sicuro, che i suoi zii non mirassero a sconfiggere l'avversario, ma ad ucciderlo, vista la potenza e la velocità dei loro colpi.
Nessuno seppe dire con esattezza per quanto lo scontro durò. Alcuni dissero dieci minuti buoni, altri venti, altri addirittura un'ora. Sta di fatto che gli astanti non si annoiarono mai. E per tutta la durata dell'incontro Robert non seppe distinguere uno zio dall'altro, ma continuò sempre a fare silenziosamente il tifo per Bors. Non avrebbe parlato una seconda volta dopo lo scontro di Lancialucente.
A più riprese entrambi gli Arryn sembrarono sul punto di cedere, ma tutte le volte riuscirono a recuperare lo svantaggio con una rapida capriola oppure con un fendente ben assestato per far sbilanciare l'avversario. Quando oramai la sfida sembrava non terminare più Jonothor fece un passo falso, venendo trascinato in avanti da un fendete caricato con troppa forza andato a vuoto. Bors ne approfittò all'istante e, nonostante la grossa stazza, lo scartò e gli assentò una gomitata nella schiena, facendolo cadere carponi con un gemito. Poi calciò via la sua spada.
Jonothor sbatté contro la terra con un rumore metallico, girandosi subito dopo ricercando alla cieca la spada. Il fratello si chinò su di lui, puntandogli la lama al collo e intimandogli silenziosamente di porre fine allo scontro. Il sudore sulla faccia dell'Arryn più giovane era evidente attraverso la celata, almeno questo Robert intuì dai vaghi riflessi lucenti sul suo viso appena visibile.
- Mi... arrendo...
Le parole furono appena sussurrate, ma nel silenzio della piana sembrarono quasi un grido. Immediatamente la folla eruppe in un rumoroso applauso nei confronti di Bors Arryn. Ci furono grida come "Il migliore! Il migliore!", "Viva ser Bors!" oppure "Viva gli Arryn!". Qualcuno gridò addirittura "Viva il re!".
Quando uno scudiero si avvicinò a Jonothor Arryn per porgergli la sua spada e aiutarlo a rialzarsi questi lo cacciò in malo modo, riprendendosi la lama e assestandogli un colpo di piatto all'altezza dello stomaco. Il ragazzo cadde a terra prono senza fiato, e ci vollero altri tre scudieri per aiutarlo a caracollare fuori dal campo. L'Arryn nel frattempo se n'era andato, furente.
- Ser Bors!
Il richiamo di lady Bernyce giunse forte e chiaro.
- Fate i complimenti a vostro fratello, la sua prestazione è stata favolosa!
- Certamente, mia lady.
Bors Arryn nemmeno si tolse la celata per rispondere a lady Bernyce, segno che non era interessato a lei. In più la sua voce metallica distorta dall'armatura suonava piatta e priva d'emozioni. Probabilmente era attratto molto di più dalla sua dote, Robert lo capì al volo. Effettivamente essere il castellano del Nido dell'Aquila non gli garantiva certo uno stipendio così lauto, a questo il ragazzo non aveva mai fatto caso. Effettivamente non ricordava di aver mai visto suo zio maneggiare del denaro.
Nonostante la spettacolarità del duello meritasse almeno una pausa lord Royce e suo padre concordarono che non ci dovevano essere riardi sulla tabella di marcia, così si riprese subito con le altre gare. Lord Hunter scese in campo per affrontare ser Cedric Frey, detto Torreghiacciata per essere nato durante il particolarmente duro inverno occorso nel regno di Aenar Targaryen, il prozio di Daeron e Robert. "Sua sorella Bhaerys ha sposato per prima mio nonno, lord Alyn Arryn. Mia zia Alyssa, mio padre e l'altra mia zia erano il frutto della loro unione. Alyssa è andata in sposa al re ma è morta.". Nel dare alla luce una coppia di gemelli di cui uno morto, ma Robert preferiva non pensare ai propri cugini. Non aveva mai conosciuto i principi Aegon e Baeron, troppo grandi per stare con lui. Ma essendo lui destinato a diventare un lord della Valle prima o poi sarebbe arrivato il momento.
Cedric Frey, un bestione sia con l'armatura che senza, appariva gigantesco sul suo cavallo. Robert si chiese se ser Duncan l'Alto fosse alto effettivamente a quel modo. Parve mettere in seria difficoltà lord Hunter, spezzandogli addosso quattro lance. Ma l'anziano signore doveva essersi ritrovato varie volte in situazioni del genere, e Cedric Frey cadde alla quinta lancia. Non era però intenzionato ad arrendersi, così anche lord Morton smontò da cavallo ed estrasse la spada. Frey provò a far valere la propria stazza contro l'anzianità dell'avversario, ma la sua abilità era troppo per lui. Si arrese nel giro di un minuto.
Un altro Frey, ser Gregor, presumibilmente il fratello di ser Cedric in quanto gli somigliava come una goccia d'acqua - ed era anche più grosso di lui -, detto Torre-che-crolla per aver distrutto uno dei torrioni di Delta delle Acque durante la Primavera di Sangue quindici anni prima. Simisage non si scompose a vederlo e nemmeno durante il duello, a fronte delle sette lance che la Torre-che-crolla gli spezzò addosso. Il pokemon riuscì a batterlo con un'azione copia di quella fatta con Ronas Martell sua lancia, e stavolta ebbe l'effetto sperato facendo precipitare a terra il Frey. Simisage gli era poi saltato addosso e l'aveva costretto alla resa. Certe volte la stazza era solo d'impaccio.
Bors Arryn doveva essersi stancato molto dopo il combattimento col fratello, ma se anche fosse stato vero non lo diede a vedere. Giostrò contro ser Doran Wyl, uno degli amici che Lancialucente aveva nominato nel suo discorso contro il presuntuoso araldo Ubrick, e se era di abilità anche solo lontanamente paragonabile al dorniano allora se ne sarebbero viste delle belle. Wyl spezzò quattro lance contro suo zio, salvo poi cadere alla quinta e cominciare a combattere a terra. Oppose una fiera resistenza, ma le differenze tra lui e ser Bors erano troppo marcate, così alla fine si arrese.
Incredibile ma vero, alla fine lord Hunter conobbe la sconfitta dopo appena due lizze da campione. A sconfiggerlo fu ser Ormund Kettleblack, cavaliere errante si diceva proveniente dalle Terre della Corona. Lord Hunter poteva anche essere un formidabile combattente, ma aveva la sua età, e Kettleblack puntò a sfinirlo trattenendolo per ben dodici lance. Poi l'anziano, stancatosi, era sceso da cavallo e aveva estratto la spada, imitato dall'avversario. Kettleblack era incredibilmente agile, e riuscì infine a disarmare Hunter. L'anziano lord riconobbe la sconfitta e uscì dal campo tra gli applausi generali.
La successiva lizza fu poco emozionante per tutti e tre i campioni, i cavalieri che li sfidatono furono di talmente poca abilità che vennero disarcionati e si arresero solo dopo poche lance. Simisage riuscì a vincere a quel modo pur trovandosi scomodo in sella contro ser Walton Hersy, mentre Erryk Elesham cadde contro Bors Arryn e Illifer Tollett contro il neocampione Kettleblack.
Altri due Redfort uscirono per la penultima lizza, ser Justin contro Simisage e ser Eustace contro lo zio di Robert. Justin, detto Piccolatorre in contrapposizione a suo cugino Joseth, era effettivamente di stazza minuta, ma si dimostrò una furia in battaglia. Seppe tenere a bada Simisage per undici lance, non concedendogli mai tregua, e non si fece sorprendere come Frey ed Hersy alla manovra del salto sulla lancia. Passò poi a combattere a terra, dove però ebbe la peggio contro il pokemon. Eustace Redfort durò il tempo di una lancia, visto che venne disarcionato subito per poi arrendersi. Ser Addam Rykker invece cadde contro Kettleblack dopo tre lance senza rialzarsi.
L'ultima lizza del torneo vide ser Ben Simisage affrontare e sconfiggere facilmente ser Alyn Melcolm. Gioco più duro ebbe Bors Arryn contro Jon Uller, l'altro amico di Lancialucente, il quale lo tenne impegnato per sette lance prima ci cadere scompostamente e rompersi un braccio. L'ultimo cavaliere del torneo fu ser Garreth Hardyng, il quale ruppe nuovamente sette lance contro ser Ormund Kettleblack prima di cadere e perdere il duello a terra.
La fine delle competizioni fu accolta tra applausi scroscianti e frasi di rammarico per la mancanza di altri eventi come la mischia, la mischia coi pokemon o il tiro con l'arco. A lord Royce evidentemente non interessavano le altre discipline, sicché una volta terminato il torneo gli spalti cominciarono a svuotarsi lentamente, tutti che facevano ritorno alla propria tenda per riposarsi. La premiazione infatti ci sarebbe stata solo nel tardo pomeriggio.
Robert e Daeron tornarono al tendone di lord Arryn, e lì passarono il resto della giornata a non fare praticamente nulla. La temperatura aveva continuato ad alzarsi, al punto che anche lord decorosi come Devron Royce per rinfrescarsi erano stati costretti a togliersi il farsetto. Dentro alla tenda si stava benino, riparati quanto basta dal sole. Ma non dalla calura. I ragazzi si misero a torso nudo, mentre Vhagar si distese per terra, lingua di fuori e pancia scoperta. "Deve fargli veramente caldo con tutta quella pelliccia addosso" pensò Robert, provando un po' di pena per il pokemon dell'amico.
Quando oramai il sole era prossimo a tramontare dietro le montagne lord Arryn diede ordine di far convocare tutti per la premiazione. Gli araldi, Ubrick in testa, fecero il giro del campo per annunciarlo, e Robert e Daeron udirono gli urli a decine di piedi di distanza. A comunicarglielo fu però ser Hector Brune, il quale intimò ai ragazzi di rivestirsi con sguardo truce. Daeron ricambiò l'occhiata prima di eseguire l'ordine, mentre Robert chinò immediatamente la testa. Lo zio di Vilon gli metteva soggezione, e ringraziava i Sette che fosse il guardiano di Daeron e non il suo.
Correva voce che lord Royce volesse indire un banchetto per festeggiare la fine del torneo, e effettivamente nell'aria si sentiva l'odore di carne speziata e vino, ma poteva anche essere solamente il pasto di un cavaliere in una tenda vicina. Vhagar alzò la testa, attirato dall'odore, e cominciò a seguirlo fin quasi ad uscire dalla tenda.
- Fermo - gli disse il Targaryen in tono pacato.
Il pokemon si fermò immediatamente, si voltò e tornò dal suo padrone, docile come un cagnolino. Certe volte Robert invidiava l'amico per l'empatia che riusciva ad avere con bestie del genere. "Bé" pensò "se in passato i Targaryen cavalcavano i draghi non vedo che difficoltà possano avere a fare lo stesso coi tipi Drago".
Si rimisero i farsetti, Daeron il suo nero e rosso e Robert quello bianco e blu, e scortati da ser Hector Brune tornarono alle tribune, prendendo gli stessi posti di prima. Quando tutti gli spettatori ebbero ripreso i propri posti una processione di cavalieri cominciò a sfilare per il campo sottostante. Robert riconobbe lord Hunter, Piccolatorre, ser Arlan Royce e il fin troppo vistoso Simisage. Erano tutti i partecipanti del torneo.
Una volta schieratisi i cavalieri si rivolsero verso la tribuna d'onore, dove sedevano Aeron Arryn, lord Devron Royce, sua figlia Bernyce e varie altre personalità importanti della Valle. Dopo di che si inchinarono tutti all'unisono. Quasi tutti, visto che in un angolo Jonothor Arryn, tetro, era rimasto immobile.
- Alzate la testa.
Il tono di lord Arryn era pacato, sembrava non aver notato che il fratello non aveva abbassato il capo.
- Cavalieri, io e lord Royce vi siamo grati per aver presenziato a questo torneo. Ognuno di vuoi ha combattuto molto bene, e lord Royce vorrebbe dire due parole.
Detto questo Aeron Arryn si fece da parte per permettere a Devron Royce di prendere la parola.
- Lord Arryn vi lusinga, e tutti voi ve lo meritate. Ma i premi andranno a pochi.
Il silenzio più assoluto scese sulla piana. Lord Royce stava riprendendo fiato, evidentemente sarebbe stato lui ad annunciare le ricompense.
- Al terzo classificato, ser Ormund Kettleblack - cominciò - per le sue quattro lizze vinte, vanno duemila dragoni.
L'interpellato si fece avanti. Era un uomo grosso, non quanto gente come Torrerossa o i Frey, ma era comunque bello macilento. Portava un'armatura pesante ornata da un mantello rosso, sul quale era impressa quella che sembrava un calderone nero. Uno scudiero gli venne incontro, consegnandogli un piccolo forziere. Ser Ormund lo prese sottobraccio, si rivolse di nuovo a lord Royce e chinò il capo, poi tornò tra le schiere dei cavalieri in armatura.
- Al secondo classificato, ser Ben Simisage - e qui lord Royce fece una faccia strana - per le sue sette lizze vinte, vanno tremila e cinquecento dragoni.
Il pokemon si fece avanti, il ciuffo che ondeggiava ad ognuno dei suoi strani passi arcuati. Lo stesso scudiero gli porse due forzieri ricolmi di monete. Il pokemon li prese entrambi sottobraccio e fece la riverenza ai signori più in alto. L'espressione di lord Royce divenne ancora più anomala, ma si ricompose subito dopo.
- Al primo classificato, ser Bors Arryn, castellano del Nido dell'Aquila - ed enfatizzò l'unico titolo che lo zio di Robert possedesse - vanno cinquemila dragoni.
Bors Arryn si fece avanti, imponente nella grande armatura. Lo scudiero stavolta non gli porse nulla, mostrandogli un forziere più grosso che provvide poi a portare via, presumibilmente nella tenda del cavaliere.
- E oltre ciò - nella voce di Devron Royce c'era una nota d'orgoglio - vi spetta anche la mano di lady Bernyce Royce, mia figlia.
La suddetta fece un risolino sgradevole. Bors Arryn rimase immobile, ma Robert poté facilmente immaginare la faccia davvero poco entusiasta dello zio sotto l'elmo. Per questo non lo stupirono le parole che disse poco dopo.
L'Arryn alzò la propria celata, rivolgendosi a lord Royce: - Col vostro perdono, credo di non essere degno della mano di lady Bernyce.
Lord Royce si gelò sul posto. Evidentemente non si aspettava che qualcuno avrebbe potuto rifiutare la mano della lady sua figlia pur con la dote che vantava. Evidentemente sperava che questa potesse essere sufficiente per permetterle di trovare un nuovo marito dopo il torneo.
- Io sono solo un castellano - continuò - e non sono degno di un tale onore.
Royce era sul punto di sbottare. - Perché mai non dovrei... cominciò. Ma lord Arryn, intuendo il pericolo e ritenendo sconveniente un litigio tra il suo castellano ed il suo alfiere, si pose come arbitro tra le parti.
- Perché - fece - Non chiedere alla diretta interessata la risoluzione del problema?
Lord Royce parve scontento, ma non si oppose.
- Cara - disse alla figlia - Cosa ne dici? Ritieni ser Bors degno della tua mano.
La fanciulla ci pensò su e poi, con fare imperioso, ordinò allo zio di Robert: - Mostrati.
L'uomo si tolse l'elmo, rivelando dei corti capelli castani tagliati di recente. Aveva la mascella squadrata, un mento molto pronunciato, un naso fin troppo grosso segnato da una brutta cicatrice e gli occhi azzurri. Lady Bernyce lo squadrò per un po' con aria indagatrice, tentando di assumere un'aria intelligente. A Robert sembrò solo stupida. Infine si pronunciò.
- Apprezzo la vostra sincerità - disse con fare vagamente altezzoso - E concordo con voi nel dire che non siete adatto alla mia mano.
Bernyce si rivolse poi al padre.
- Padre mio, col vostro permesso vorrei essere io a scegliere il mio futuro marito fra questi valorosi.
Lord Royce parve sorpreso da questa prospettiva. Ma Robert sapeva che lady Bernyce era molto affezionata al padre e costui la ricambiava, sicché non lo stupì vederlo infine cedere con un cenno del capo.
- Bene, allora...
Lady Bernyce sondò la folla alla ricerca di un candidato ideale. Gente come Arlan Royce occhieggiò quando la fanciulla lo squadrò. Robert infine distinse fin troppo bene quando lo sguardo della donna si posò su suo zio Jonothor, situato nell'ultima fila di cavalieri con lo sguardo rivolto da qualsiasi parte che non fossero le tribune.
- Ser Jonothor!
L'uomo si voltò, attirato dall'appello. L'eccitazione nella voce di lady Royce era facilmente percepibile.
- Avete dimostrato un valore senza pari nel torneo, facendomi divertire come non ho mai fatto. Sarete voi il lord mio marito!

Le voci che giravano sul banchetto di lord Royce si rivelarono infine fondate. Ovviamente vennero invitati solamente i nobili di alto rango, ma intere pentolate di cibo vennero destinate anche ai cavalieri più umili e agli restanti spettatori. Al tavolo allestito nel mezzo dell'accampamento, proprio di fronte alla tenda di lord Royce, vennero però fatte sedere solamente una trentina di persone. Robert e Daeron erano tra questi, e il ragazzo riconobbe tra i commensali altre facce note oltre a quella del padre, di lord Royce e sua figlia. Layn Corbray era seduto accanto a lord Royce, mentre Arlan Royce era dalla parte opposta del tavolo, invece lord Hunter si era messo a chiacchierare amabilmente con un altro degli uomini seduti a tavola.
C'erano anche i suoi zii, Jonothor a capotavola accanto alla sua futura coniuge, e Bors al lato opposto. Bors pensava ai fatti propri, mentre Jonothor sembrava più tetro del solito, restando a fissare il piatto davanti a sé e annuendo fugacemente alle domande postegli. "Sembra non essere molto felice" pensò Robert "Probabilmente anche lui puntava unicamente al premio in denaro.".
I piatti furono pochi ma sostanziosi. Il ragazzo in particolare apprezzò il coniglio speziato che venne servito con delle sugose patate arrosto. Non era dissimile dal pasto consumato in precedenza, ma riuscì ad apprezzarlo ugualmente come gli altri commensali. In più venne servito un delizioso rosso di Arbor, del quale stavolta lord Arryn, forse particolarmente di buon umore, aveva concesso di assaggiare anche al figlio.
Una coppa venne riempita a Robert. "E' piccola" aveva pensato "Che peccato, vorrei più vino". Il calice era effettivamente ristretto, e quel vino andò giù piuttosto in fretta. Robert lo sentì scendere fino allo stomaco, poi avvertì la gola bruciare. Gli piaceva quella sensazione, era gradevole e contrastava perfettamente la leggera brezza fresca serale che si era alzata poco prima.
Chiamò il servitore con la brocca e si fece riempire nuovamente il calice. Poi guardò timoroso il padre temendo un rimprovero, ma lord Arryn era impegnato a parlare e a ridere con lord Royce. Avendo paura che si potesse girare da un momento all'altro si scolò la coppa tutto d'un fiato e poi si infilò in fretta alcune patate in bocca, cominciando a masticarle per dare l'impressione di non star facendo nulla di male. Il sapore del sugo e delle patate gli riempì il palato, ma non cancellò il sapore del vino. Ne chiese un'altra coppa, e constatato che il padre non era interessato a lui la bevve con più tranquillità.
Così, tra un calice di rosso di Arbor e una sugosa patata oppure un pezzo di coniglio, Robert cominciò pian piano a perdere il conto dei bicchieri che stava mandando giù. Mangiò sempre di meno, e bevve sempre di più. Parlò con Daeron e cominciò a ridere per un qualche motivo. Aveva un gran caldo e si sentiva più vivo che mai.

Quando si svegliò non ricordava praticamente nulla dopo quel momento. La prima cosa che avvertì fu lo sgradevole sapore acquoso dell'erba nella sua bocca. Tirò su lentamente il viso da terra, confuso, per poi sputare con vigore quando s'accorse di cosa stava mangiando. Tossì e sputacchiò alcuni fili verdi, sentendo che stava per vomitare.
Si girò su un fianco, e gli venne un conato. Per qualche miracolo riuscì a non dare di stomaco, e appoggiandosi una mano sul ventre si sporse in avanti. Respirò a grandi boccate e provò a fare mente locale, fallendo miseramente. Si guardò attorno e vide di essere ancora in mezzo al labirinto di tende. Una tenue luce filtrava da dietro le montagne, stava albeggiando proprio in quel momento.
Provò a rimettersi in piedi ma ricadde subito in avanti, atterrando dolorosamente su un ginocchio. Un altro conato venne soffocato a fatica, Robert si sentiva malissimo. Non ricordava di aver mai provato nulla del genere: gli mancava il respiro e sentiva come un blocco all'altezza dei polmoni. Non ce la faceva a respirare col naso, doveva per forza farlo rumorosamente con la bocca.
Si mise carponi, tentando di rialzarsi, e stavolta ce la fece. Non da solo però: una mano era intervenuto a sorreggerlo. Presto alla mano si aggiunse un braccio, e poi un'intera persona. Robert girò la testa, confuso, e si ritrovò a ricambiare lo sguardo di Daeron.
- Cosa...? - boccheggiò.
- Ti sei ubriacato.
- U-ub...
- Sì, ma adesso non parlare. Vieni, ti riporto alla tenda.
Il Targaryen sorresse l'amico per tutto il tragitto, il suo Deino che gli trottava allegramente dietro. Il viaggio fu relativamente breve, ma a Robert girava la testa, e dovunque posasse lo sguardo sembrava che la terra stesse venendo smossa da aratori invisibili. Ce la fece a non dare di stomaco fin quasi al padiglione, ma poi non resistette più.
Vomitò non una, non due ma ben tre volte in breve sequenza, piegato dietro ad una piccola tenda vuota, Daeron al suo fianco che lo osservava con uno strano sguardo. Gli sembrò di rimettere anche l'anima, il respiro a pezzi. Gli occhi gli lacrimavano e le sue orecchie erano un inferno, per non parlare del blocco al ventre che adesso si era trasformato in un terribile bruciore.
Quando si fu rimesso un poco Robert si raddrizzò. Cercò di non fare smorfie di dolore ma gli risultò estremamente difficile, così alla fine rinunciò. Si voltò allora verso l'amico, che lo squadrò da capo a piedi. Doveva fare veramente pena in quel momento.
- Cosa... è successo... - chiese in un sussurro con voce spezzata.
- Te l'ho già detto - rispose l'altro - Ti sei ubriacato. L'avevo capito subito, ma anche io avevo bevuto e così non ci ho fatto molto caso. Solo che io sapevo dove fermarmi, mentre tu no. Eri ancora astemio, vero?
Robert non rispose, ma la verità si poteva intuire.
- Abbiamo riso parecchio ieri sera a cena - disse Daeron con un mezzo sorriso - Ma a un certo punto abbiamo litigato non mi ricordo nemmeno per cosa, e poi tu ti sei alzato e sei andato via. Ti ho cercato per tutta la notte, e alla fine avevo smesso, poi però mentre tornavo alla tenda ti ho trovato.
- Mio padre - chiese Robert a voce tremante - Lo sa?
- Non lo so, ma credo di no, altrimenti ci sarebbero armigeri sparsi a cercarti per tutto il campo. Penso che si fosse ubriacato anche lui.
Robert tirò un respiro di sollievo o almeno ciò che doveva esserlo, visto che al suo posto uscì solamente un rantolo strozzato. Si portò una mano alla fronte e percepì che era madida di sudore.
- Hai... un fazzoletto...? - chiese all'amico.
- Tieni.
Daeron tirò fuori un pezzo di seta e glielo porse. Sembrava il pezzo strappato di un abito, ma il ragazzo non vi fece caso e si asciugò la testa. La pezza si inzuppò in breve tempo diventando fredda al tatto, e Robert chiuse gli occhi, assaporando quella frescura.
Quello che invece avrebbe dovuto chiudere, ovvero le orecchie, rimase aperto e completamente esposto al terrificante urlo che risuonò subito dopo per tutto il campo. Era terribile, disumano, distorto, animato da puro terrore. Le orecchie dolettero a Robert, e se le dovette tappare per smettere di sentire quella cacofonia.
Daeron non sembrava aver subito gli stessi danni, ma si era immediatamente voltato verso la fonte di quell'orribile suono. Dopo un attimo di titubanza si era avviato e anche Robert, seppur a malincuore, lo seguì. Passarono alcune tende e scoprirono che la fonte dell'urlo non si trovava a molta distanza. Nel mentre che camminavano la gente cominciò ad uscire dai padiglioni, confusa per il brusco risveglio e attirata dallo strano suono.
Infine arrivarono in un piccolo spiazzo tra le pareti di seta. Lì, proprio davanti ad una tenda dai motivi blu e bianchi, era sdraiata una donna. Aveva le vesti lacere e piangeva. Il grosso seno cadente era esposto, mentre le terga erano visibili per metà e per l'altra coperte da un lembo di un vestito che una volta doveva essere stato stupendo. Aveva i capelli castani e la faccia chiazzata da numerose lentiggini, e... Robert avvicinò lo sguardo, riconoscendola. Era lady Bernyce Royce.
Un cavaliere, Robert era ancora troppo disorientato per capire chi, si avvicinò alla ragazza e si tolse il mantello, coprendola dalla piccola folla che si era formata attorno alla scena.
- Cosa è successo? - le chiese in modo gentile.
In quel preciso momento dalla tenda bianca e blu uscì un uomo. Aveva il farsetto aperto e i pantaloni sbottonati, i corti capelli in disordine. Era confuso e sembrava non sapere dove si trovava. Robert lo fissò e, nonostante la mente annebbiata dai fumi dell'alcol, riconobbe anche lui. Era suo zio, Bors Arryn.
- Lui... - fece la donna tra le lacrime - Mi ha... mi ha...
- L'hanno stuprata! - urlò qualcuno.

Quando maestro Pyman visitò lady Bernyce constatò che aveva veramente subito violenza. La voce dello stupro della fanciulla fece in breve tempo il giro del campo, e in capo ad un'ora tutti parlavano del fattaccio. Lord Arryn convocò una riunione d'urgenza con le principali personalità presenti: lui stesso, lord Royce, e lord Hunter. Septon Clodoth venne ammesso in quanto religioso e maestro Pyman in quanto sapiente, mentre ser Layn Corbray, ser Arlan Royce e ser Joseth Redfort in quanto rappresentanti delle maggiori casate della Valle. Anche Daeron e Robert vennero convocati, l'uno per il fatto di far parte della famiglia reale - anche se stavolta la presenza di Vhagar non era stata accettata e il pokemon era stato legato ad un asta poco fuori la tenda - e l'altro in quanto futuro governatore della Valle. E poi ovviamente le parti lese e lesionanti: ser Jonothor e ser Bors Arryn.
La riunione avvenne nel padiglione di lord Arryn. Quando tutti furono entrati lord Aeron ordinò a due guardie di sorvegliare l'esterno e di impedire a chicchessia di mettersi ad origliare il risultato della discussione. Non che ce ne fosse bisogno, tutti i partecipanti urlavano come se si trovassero a decine di piedi di distanza l'uno dall'altro.
- L'ha stuprata! - urlava furioso Jonothor Arryn - Ha stuprato la mia promessa sposa! Mi ha disonorato!
Lo zio di Robert si fissava i piedi, Robert non capiva se fosse ancora stordito o meno. Jonothor fissava furente il fratello, sembrava che gli dovesse saltare addosso da un momento all'altro. In un angolo maestro Pyman stava confortando lady Bernyce, avvolta in una pesante coperta e ancora in lacrime.
- Ha disonorato tutta la mia casata!
Anche lord Royce era furioso.
- Adesso nessuno vorrà più sposare mia figlia!
Da parte sua lord Aeron cercava di mantenere calme le acque. L'ultima cosa che voleva era uno scontro fratricida, così si era immediatamente frapposto tra i fratelli cercando di parlare ragionevolmente. Ma tra tutti i partecipanti era forse l'unico a tentare di apprendere la via della diplomazia.
- Suvvia Jon, non precipitiamo a conclusioni affrettate. Lord Royce, mi rivolgo anche a voi, vedete in che stato confusionale si trova mio fratello, potrebbe non essere stato lui.
- Potrebbe?!
 Jonothor dava l'impressione che sarebbe saltato in aria da un momento all'altro.
- POTREBBE!?! Tu non puoi capire! Era vergine ed era stata promessa a ME! Sarò costretto a rigettarla per evitare il disonore!
- Casa Royce non ha mai raggiunto un punto così basso dalla caduta dei primi uomini - si accodò lord Royce - Non potrò mai perdonare un affronto del genere.
Un tetro silenzio scese nella tenda. Lord Hunter, Layn Corbray, Arlan Royce e Torrerossa osservavano la scena in silenzio. "Sono i rappresentanti delle grandi case" pensò Robert "Ma adesso sono ridotti a meri spettatori". Il ragazzo si chiedeva quale sarebbe stato il risultato della riunione. Voleva bene a suo zio Bors e non gli piaceva Jonothor, sperava che il castellano ne uscisse fuori. Daeron dal canto suo guardava pensoso lo svolgersi della discussione.
- Io sostengo - riprese lord Royce - La necessità della pena di morte.
A quelle parole Bors gemette, segno che stava ascoltando.
- Già! - concordò Jonothor - Per quel che ha fatto si merita la decapitazione!
- Suvvia - intervenne lord Arryn - Non diciamo fesserie. La pena di morte mi sembra eccessiva...
- E allora - lo interruppe il fratello - Quali provvedimenti dovrebbero essere adottati?!? Se si perdona un crimine del genere allora tutti, dal più grande signore al più infimo contadino, si sentiranno in diritto di poter infrangere la legge come e quando gli pare!
- Ma non sappiamo nemmeno se è colpa sua! - il padre di Robert stava perdendo la pazienza - Maestro Pyman ha espresso i suoi dubbi, e io mi fido di lui.
Anche Robert trovava alquanto strane le circostanze del crimine. Quando era stato interrogato Bors non era stato in grado di rispondere nemmeno alle domande più semplice, richiedendo solo con voce tremante qualcosa dal bere e sostenendo di non ricordare niente. Non erano state trovate tracce di sperma sulle sue brache e nemmeno sul resto dei suoi vestiti, e ciò era strano visto che sembrava non essersi mai spogliato dal giorno prima.
- Al diavolo il maestro! - Jonothor Arryn si era infuriato definitivamente - Se occorre sarò io personalmente ad ucciderlo.
- Non diciamo fesserie! Qui nessuno uccide nessuno!
- Io lo farò - continuò il cavaliere imperterrito - E non sarai certo tu ad impedirmelo, fratello!
- Io sono il lord della Valle!
Alla fine anche il padre di Robert si era messo ad urlare.
- Comando io qui, e nessuno si azzardi a contraddirmi! Altrimenti quello che verrà decapitato sarai tu!
"La discussione sta sfuggendo di mano". Robert si girò per cercare sostegno, ma Daeron sembrava scomparso. Probabilmente si era defilato mentre i due Arryn avevano cominciato ad alzare la voce. Il ragazzo si diresse allora verso lord Hunter, pregandolo di aiutarlo a mettere un freno alla litigata.
- Mi dispiace, ragazzo - gli disse - Ma io posso fare ben poco, questo è un vero e proprio affare di famiglia.
La risposta degli altri era stata più o meno la stessa in termini più o meno garbati. Layn Corbray aveva declinato gentilmente l'offerta, Arlan Royce aveva risposto a male parole mentre Torrerossa aveva emesso un mugugno. Allora Robert pensò di rivolgersi a persone come septon Clodoth e maestro Pyman, forse loro che conoscevano bene la sua famiglia sarebbero stati ascoltati. Nel frattempo lord Arryn aveva cominciato a cedere alle richieste del fratello, arretrando su posizioni quali l'unione da parte di Bors ai Guardiani della Notte. Jonothor, sostenuto da Devron Royce, era però irremovibile: voleva la pena di morte.
Improvvisamente un ruggito riecheggiò per la sala, talmente forte da far tremare il tavolo di legno al centro dei tendaggi. Robert e gli altri si dovettero tappare le orecchie per non rimanere assordati, e d'istinto tutti chiusero anche gli occhi. Quando finalmente tutto ebbe fine i presenti si voltarono verso la fonte del rumore.
Il principe Daeron a quanto pare, quando era sgattaiolato fuori dalla tenda non visto, era andato a liberare il suo pokemon, conducendolo poi di soppiatto nella tenda. Il ruggito probabilmente era servito a mettere fine al litigio. "Forse" pensò Robert speranzoso "Ha qualcosa da dire. E' un membro della famiglia reale, lo ascolteranno sicuramente.". Il giovane Arryn ci sperava con tutto il cuore, non voleva spargimenti di sangue all'interno della sua famiglia.
- Miei lord - cominciò il Targaryen - Mi dispiace per questa brusca interruzione.
Nel frattempo grattò la testa di Vhagar, il quale sembrava fare le fusa come un gatto.
- Ma era l'unico modo per farvi smettere. Ho ascoltato l'intera faccenda, e ho capito che voi siete troppo alterati per trovare una soluzione ragionevole.
A quell'affermazione Jonothor Arryn parve infervorarsi ancor di più, ma Daeron non gli diede il tempo di ribattere.
- Per cui avrei io una soluzione a questo problema: un giudizio per combattimento. Ma non uno qualsiasi.
La tensione era percepibile.
- Un giudizio dei sette.
Ci fu un attimo di silenzio, poi septon Clodoth prese la parola.
- Il principe ha ragione - disse - Stiamo parlando di un crimine infamante disprezzato dagli dei, e non dobbiamo prendere una decisione alla leggera, per di più per il fatto che accusato e accusatore sono consanguinei. Un giudizio dei sette sarebbe la cosa migliore da fare, gli dei sanno la verità e daranno il loro responso.
Nemmeno una mosca volava nella tenda.
- E sia - concesse alla fine lord Arryn - Avverrà domattina.
Poi si rivolse ai fratelli.
- Uscite, tutti e due, e andate a cercarvi dei campioni. Altrimenti metterò a morte entrambi.
Robert non sapeva se in quel momento suo padre fosse serio oppure no.

Note dell'autore
Eccomi qui, sesto capitolo, dove finalmente c'è la trama. E che trama direi, e vi spoilero che è da qui che inizieranno tutti i casini.
Ci ho messo un po' a scrivere, ma maggio è stato infernale. Prometto di recuperare a giugno, visto che a luglio non sarò in Italia e non potrò fare un bel nulla, così voglio cercare di portarmi avanti con la storia il più possibile.
A presto,
A_e

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Capitolo 8
*** Miana I ***


Miana

Si svegliò di soprassalto, avvertendo un terribile presentimento. Si ritrovò distesa in mezzo alla sabbia, la superficie rovente che le scottava la delicata pelle olivastra. Sempre da sdraiata si tastò le braccia, l'unica parte che la veste lasciava scoperte, e scoprì che anche solo toccarle le faceva male. Nonostante potesse non sembrare Miana era sempre stata piuttosto delicata alla luce del sole, per questo preferiva di gran lunga le sale oscure della Città Ombra sotto Lancia del Sole.
Provò ad alzarsi, ancora un po' stordita. Le sue mani affondarono nella sabbia soffice del deserto, ma la donna riuscì ugualmente a trovare una presa salda e la forza necessaria per tirarsi su. Si trovava dietro una duna, ma a giudicare dalle scottature doveva essere lì da un bel po', almeno dalla mattina visto che il sole doveva essersi spostato. Si guardò attorno, a desta e a sinistra, davanti e dietro, ma il risultato era sempre lo stesso: un mare desolato di onde sabbiose. Era questo il deserto di Dorne.
Si schermò la faccia con una mano, cercando di proteggere gli occhi dai raggi solari. Sempre osservando l'orizzonte, distrattamente stavolta, si impose di stare calma. Provò a fare mente locale: come mai si trovava lì? Com'era possibile che dalla sua casa della Città Ombra si fosse improvvisamente ritrovata lì nel bel mezzo del nulla?
Quando comprese ricadde mollemente a terra. Atterrò con un rumore non del tutto sgradevole sulla soffice sabbia, abbandonandosi sulla superficie irregolare. Non era arrabbiata però. Lasciò anzi che la sua bocca si piegasse in un sorriso, e poi prese a ridere di gusto. Rimase lì a sghignazzare per un bel po' di tempo, divertita da quello che le era successo. Non poteva non essere andata che in quel modo, non c'erano dubbi.
Ricordava ancora il discorso che aveva fatto tempo prima a Dainis, sua protetta nonché sua cugina di secondo grado. Dainis Martell era diventata sua apprendista quattro anni prima, quando era scappata da suo padre Bryce, lord dei Giardini dell'Acqua. Le aveva offerto rifugio e aveva indirizzato suo padre da qualche altra parte, anche se era stata difficilmente creduta in quanto già nota come signora dei sussurri per lord Derrick, anche lui cugino solo di terzo grado. Era stata poi anche l'artefice della riconciliazione tra Dainis e suo padre, ma la ragazza era comunque voluta rimanere con lei.
Tredici anni separavano Dainis da Miana Martell, la prima era a malapena una donna mentre la seconda aveva appena superato la soglia dei trenta, divenendo una femmina fatta. Gli amanti della Serpe Oscura, così come era nota Miana nei bassifondi, erano tanti, ma con nessuno era riuscita a generare un'erede per il suo impero di spie. Nessuno poteva nulla a Dorne senza che Miana lo venisse a sapere, ma per tenere in piedi il suo "regno" Miana necessitava di un successore. E chi meglio di Dainis, sua apprendista prediletta nonché appartenente anche lei alla famiglia regnante di Dorne?
Solo che ancora la ragazza era piena di difetti. Non era più troppo giovane, ma aveva ancora bisogno di tempo per maturare. Era impulsiva, emotiva, e non dimenticava mai nulla. Certo, quest'ultimo fattore poteva rivelarsi un vantaggio, ma stavolta per Miana non lo era stato.
L'aveva presa da parte alcuni giorni prima e le aveva fatto un bel discorso sul cosa vuol dire essere una signora dei sussurri.
- Ricordi - le aveva detto - Tutte le volte che abbiamo studiato assieme le storie dei più grandi signori dei sussurri del passato? Mysaria la Larva per Daemon Targaryen, Varys l'Eunuco per il Re Folle e Viserys l'Ambizioso per Rhaegar il Saggio? Tutti loro hanno impartito delle lezioni, ovvero come fare e come non fare la spia. Tu non sei ancora pronta per succedermi, prendi esempio da tutti loro.
Le aveva allora raccontato come lei stessa aveva sorpreso un giorno la sua maestra, organizzando un finto complotto ai suoi danni e mettendola con le spalle al muro. Ricordava ancora come ella aveva tremato inizialmente alla vista dei pugnali. Poi si era guardata attorno, e aveva esaminato uno per uno coloro che l'avevano assalita. Infine aveva posato lo sguardo su un malvivente piccolo, e gli aveva detto semplicemente "rivelati". Miana si era così tolta il cappuccio, rivelando la lunga chioma di capelli corvini e la faccia piccola ma graziosa. La sua maestra aveva allora sorriso. "Sei pronta" le aveva detto infine. Si era ritirata poco dopo dal ruolo di maestra dei sussurri di Dorne, lasciando a lei il suo posto. Lord Derrick all'epoca aveva ancora dodici anni ed era da poco il signore del paese, Miana solo quattro più di lui, ma si era dimostrata una dei suoi più preziosi consiglieri.
Da allora erano passati altri quattordici anni, e anche lei si era presa un'allieva. Aveva sempre prospettato di fare una fine simile a quella della propria maestra, ma non pensava che quel momento sarebbe arrivato così presto, soprattutto da parte di un allieva con così poca esperienza. Miana era stata al servizio della maestra da quando di anni ne aveva sette, e ne erano passati altri nove prima della sua rivincita.
Ecco perché si era sentita strana dopo che lei, Dainis e Clarton avevano bevuto quel vino. Clarton era l'amante di Dainis, un grosso uomo del volgo proveniente dalla Città Ombra. Aveva un suo fascino, Miana l'aveva dovuto ammettere, ma su di lei non aveva mai fatto effetto. Invece Dainis ne era profondamente attratta. Se l'avesse scoperto suo padre di certo non ne sarebbe stato contento.
Insomma, lei e la cugina stavano chiacchierando quando Clarton era arrivato portando una bottiglia di vino. "Distillato da mio cugino di Vaith" aveva detto "Fatto e spedito direttamente a me". Così aveva riempito tre calici e avevano preso a bere. Miana aveva riso parecchio, doveva essersi ubriacata. Poi erano stati tutti colti da una stanchezza avvolgente, e si erano abbandonati dove si trovavano. L'ultima cosa che la donna ricordava era di aver visto Dainis che ancora beveva e Clarton già bello che andato disteso sul tavolo. Poi più nulla.
Astuto, non c'era nulla da dire in proposito. Dainis aveva corrotto quel buon vino con un potente narcotico, e per non destare sospetti anche lei e l'amante l'avevano bevuto. Probabilmente Clarton era anche all'oscuro del piano della Martell, o se non lo era aveva recitato davvero bene la sua parte. Poi qualche uomo ai suoi ordini doveva aver prelevato Miana e l'aveva portata lì.
Ricordava essere sera al momento della bevuta, per cui ora che era pomeriggio... Miana calcolò che doveva essere lì da mezza giornata se aveva fortuna, oppure due giorni al massimo, non di più. Al sole di Dorne comunque bastava anche una sola ora per scottare anche la pelle più coriacea, per cui il tempo lì perdeva di significato.
La donna si guardò nuovamente attorno. Aveva un gran caldo, ma aveva imparato a non togliersi mai i vestiti di fronte ad alte temperature. Avrebbe esposto la pelle per nulla. Tutt'attorno a lei l'aria tremolava per l'afa, il debole vento che trasportava fastidiosi granelli di sabbia. Non c'era il benché minimo punto di riferimento da prendere per orientarsi, dalla sua posizione non si vedeva assolutamente nulla.
Almeno Dainis le aveva lasciato una borsa con delle provviste, la Martell se n'era accorta solo in quel momento. C'era un po' d'acqua in una borraccia, poi varie strisce di carne essiccata e qualche manciata di frutta secca come noci e noccioline, e anche qualche tipo di frutta amara adatta agli ambienti caldi, come datteri e prugne. C'era poi anche quella che doveva essere stata una pera, oramai marcia per l'esposizione al sole. Miana la gettò via, e la guardò mente rotolava giù dalla duna creando delle piccole folate di sabbia.
Scelse una direzione a caso e cominciò ad avanzare lentamente verso chissà dove. Il cibo lo aveva e per un po' non sarebbe stato un problema. La vera questione era: dove andare per essere trovata? Non aveva la minima idea di dove fosse, poteva essere vicinissima ad una fortezza come anche nel bel mezzo del deserto. Scartò subito l'ultima ipotesi, se era vero che non poteva essere lì da più di un paio di giorni non doveva essere lontana da Lancia del Sole. Anche i narcotici più potenti avevano una durata limitata che di solito non superava la giornata piena, per cui anche andando a cavallo o in groppa ad un veloce pokemon non poteva essere stata portata molto lontana da casa. Sperò con tutto il cuore di stare andando nella giusta direzione.
Il sole presto abbandonò lo zenit, e cominciò lentamente a tramontare dietro le immense dune. Arrivò la prima notte, e Miana non poté fare altro che fermarsi dove si trovava per mangiare qualcosa. Non aveva toccato nessuna delle provviste per tutto il giorno per resistere alla tentazione di mangiare tutto in una volta sola, e nonostante avesse una fame da lupi razionò tutto al meglio. Doveva essere avara con sé stessa se voleva sopravvivere.
Bevve pochi sorsi ridotti d'acqua, la quale nel frattempo era diventata tiepida. Faceva schifo ma cercò di mandarla giù ugualmente. Sgranocchiò una delle strisce di carne e mangiò qualche dattero e un paio di noci. Si scavò un piccolo riparo in mezzo alla sabbia e vi si coricò. Si tolse poi la mantellina di seta e ricoprì con quella l'ingresso della buca per proteggersi da eventuali predatori. In verità la seta l'avrebbe protetta ben poco, ma essendo gialla come anche la sabbia forse avrebbe tenuto nascosto il punto in cui stava Miana. Pregò di essere ancora viva la mattina dopo, poi si addormentò.

Proseguì alla stessa maniera per vari giorni. Ne contò quattro, poi si stancò e smise di farlo, aveva cose più importanti a cui pensare. Come ad esempio il fatto di non sapere se la direzione che aveva preso era quella giusta. Per quanto ne sapeva poteva anche starsi allontanando da Lancia del Sole per inoltrarsi sempre più in profondità nel deserto. Ma per l'appunto non ne era a conoscenza, per cui poteva solamente andare avanti e sperare per il meglio.
L'aspetto peggiore era che l'acqua a sua disposizione era drammaticamente poca rispetto al resto delle sue scorte. Pur impiegando tutta la sua buona volontà per non sprecarla razionandola, aveva per forza di cose dovuto assumerla regolarmente per non disidratarsi. Dopo cinque giorni - incluso quello in cui si era svegliata - aveva bevuto l'ultima goccia d'acqua, e da allora la borraccia non era stata più toccata. Aveva l'altro cibo, certo, e i datteri e le prugne erano abbastanza acquosi, ma nulla avrebbe potuto sostituire adeguatamente il prezioso liquido.
Suo padre, quando ancora Miana abitava a corte, le aveva fatto studiare geografia col maestro di cui non si ricordava nemmeno il nome. Dalle cartine aveva visto che Dorne, comparato a terre come l'Altopiano e il Nord, era davvero un paese piccolo. Ma quel deserto, nonostante le apparenze, sembrava non finire più. O le proporzioni di quella mappa erano davvero sbagliate oppure Miana aveva completamente perduto il senso dell'orientamento. La seconda ipotesi era anche la più probabile.
La donna continuò a marciare per giorni nella sua direzione, se voleva avere qualche speranza di sopravvivere l'unica opzione disponibile era quella di perseverare. Se fosse riuscita a resistere ai morsi della fame, ai dannosi raggi del sole e ai piedi brucianti e pieni di dolore, forse sarebbe uscita viva da quell'avventura.
Presto però, nonostante le pesanti restrizioni autoimposte, il cibo cominciò a scarseggiare. Le noccioline furono le prime a terminare, seguite dalle noci e dalle prugne. Miana riuscì a far durare le striscioline di carne per qualche giornata ancora, ma alla fine anche quelle terminarono. Riuscì quasi per miracolo a razionare i datteri in maniera tale da farseli durare per un po'. Ma per quanto esattamente era un dilemma. Quanto le mancava la Città Ombra, con le sue case fresche e oscure, e la sua coppa coi limoni canditi, sempre pronti per essere gustati...
Quando finalmente avvistò un fiume aveva quasi del tutto finito il cibo. La sua prima reazione fu quella di lasciarsi cadere sulla duna su cui si trovava. Le forze l'avevano completamente abbandonata, e così rotolò sulla sabbia fin quasi a finire in mezzo all'acqua, venne fermata poco prima da una roccia sporgente.
Non era un fiume quanto più un torrente, ma per Miana non fece differenza. Vi affondò la faccia e cominciò ad ingurgitare acqua a grandi sorsi. Quasi si strozzò, ma non le importava. Se ci fosse stato qualcuno alle sue spalle in quel momento avrebbe avuto gioco facile a prenderla per il collo, spingerla giù e annegarla.
Quando finalmente riemerse aprì la borsa, tirò fuori la borraccia, la aperse e la immerse all'interno delle acque che scorrevano. Erano piuttosto limpide, leggermente miste alla sabbia ma meglio di nulla. Miana ebbe a quel punto un idea. Per evitare di ingurgitare anche i granelli tagliò un pezzetto della sua veste e lo appose sul tappo, di modo che quando avesse avuto voglia di bere la sabbia sarebbe stata fermata dalla seta mentre l'acqua vi sarebbe passata attraverso.
Rimase ferma lì a rifocillarsi per un po', e dopo aver riempito e buttato giù due borracce d'acqua consecutivamente riprese la marcia. Adesso che aveva a disposizione una scorta d'acqua permanente il cibo era diventato l'ultimo dei suoi problemi. Decise di lasciar perdere i datteri per il momento, avrebbe rimandato il momento di mangiarli il più a lungo possibile.
Cominciò così a seguire il letto del fiume verso valle. Se aveva calcolato bene le distanze, il corso d'acqua che stava scendendo doveva essere un affluente del Flagello, del Vaith oppure del Sangue Verde, se non addirittura uno dei tre. Se avesse avuto fortuna prima o poi sarebbe dovuta arrivare alla civiltà entro pochi giorni.
Dopo una o due giornate di cammino incontrò una strada. Più che una strada sembrava essere un sentiero secco appena visibile tra la sabbia dorata, che eppure mostrava i caratteristici segni che lasciavano le carriole durante il loro percorso. Forse nessuno ci camminava da anni, ma la donna si sentì più motivata. Si stava avvicinando alle terre abitate, se non ci era già avrebbe dovuto entrare nei domini degli Allyrion oppure dei Vaith da un momento all'altro.
Era tarda mattinata quando scoprì il sentiero e prese a seguirlo, e si fermò solo dopo che il sole era scomparso dietro le dune all'orizzonte. La luce del giorno non era ancora però totalmente scomparsa, così Miana decise di riempire la borraccia un'ultima volta. Si allontanò dalla strada e si diresse verso il fiume. Il corso d'acqua distava meno di una mezza dozzina di piedi dal sentiero e Miana vi si diresse sicura, entrando senza quasi farci caso in un piccolo avvallamento.
Immediatamente il terreno sotto i suoi piedi cedette. Si sentì cadere in avanti e le mancò il respiro. La sabbia tutt'attorno parve innalzarsi all'improvviso, o magari era solo lei che cadeva. Durò tutto una manciata di secondi, forse nemmeno quelli, e il deserto si richiuse velocemente sulla sua parte inferiore del corpo, che andava dal seno in giù. Il braccio destro rimase sotto, incastrato sotto troppa e pesante sabbia per muoversi.
Miana nel procedimento cozzò la mandibola contro il duro terreno sotto di lei, e rimase intontita per alcuni istanti senza capire cos'era successo. Guardò impotente la borsa con i suoi alimenti, acqua e datteri, volare e atterrare pesantemente a non molta distanza da lei. Si aprì e la borraccia ne venne sbalzata fuori, rovesciando per terra la poca acqua che ancora era all'interno la quale venne subito assorbita. I datteri invece restarono all'interno della borsa.
Quando finalmente si fu ripresa restò immobile per alcuni istanti. Realizzò in un attimo che forse era finita nelle sabbie mobili. Non erano rare nel deserto di Dorne, e non pochi viaggiatori scomparivano mettendovi per sbaglio un piede dentro. Doveva muoversi il meno possibile se voleva sopravvivere. Provò ugualmente ad allungare il braccio libero per tentare di trovare un appiglio al fine di issarsi cautamente fuori. Tutto inutile, dovunque serrasse le mani la sabbia fine le scivolava via tra le dita facendole il solletico.
Però... c'era qualcosa di strano in tutta quella faccenda. Miana non sentiva il bagnato sotto i propri piedi, e sapeva che le sabbie mobili si formavano sopra le falde acquifere sotterranee a causa delle penetrazioni umide. Si formava così una bolla d'aria mista a acqua e sabbia, una poltiglia immonda che non lasciava più andare chi ne restava invischiato. E alla donna sembrava che fosse unicamente della sabbia compatta ad intrappolarla.
Provò a muoversi, e scoprì che non stava andando sotto. Se fossero state veramente sabbie mobili sarebbe stata trascinata lentamente e inesorabilmente in giù, verso un'atroce morte per annegamento. Invece no, lei continuò a rimanere incastrata sotto tonnellate di sabbia, ferma esattamente dov'era prima. Cominciò a dubitare d'essere effettivamente finita preda delle sabbie mobili.
Così, senza più il timore di affondare, cominciò a dimenarsi per uscire. Almeno ci provò, visto che sotto il terreno sentì la sabbia opporre una fiera resistenza ai suoi movimenti, una resistenza troppo forte per i suoi arti che tornarono preso nella stessa posizione di partenza. Tentò allora di allungare il braccio e assieme ad esso tutto il proprio corpo, protendendosi verso la borsa per cercare di afferrarla. Forse le sarebbe stata d'aiuto. Ma qualcun'altro ci arrivò prima di lei.
Quando la sua mano fu a meno di cinque pollici di distanza dal manico, accanto alla borsa si formò dapprima una piccola collinetta sabbiosa, dalla quale emerse una testa. Era piccola, ovale e soprattutto aveva due grosse fauci irte di denti aguzzi. Non sembrava però minacciosa, anzi, le zigrinature potevano ricordare vagamente un sorriso. Due occhi neri posti ai lati erano attraversati da pupille bianche a forma di croce.
Preso la creatura emerse completamente, e alla testa s'aggiunse un corpo davvero piccolo se posto a confronto col capo. Era tozzo e avvolto da un carapace che poteva ricordare quello di una tartaruga. Dai quattro buchi agli angoli partivano altrettante zampe che terminavano senza nulla di particolare, semplicemente finivano senza dita, zoccolo o altre diavolerie.
Miana guardò confusa l'intera scena. L'essere rimase fermo a guardarla per qualche istante. Nonostante i suoi occhi non si fossero mai mossi, la donna era sicura che stessero squadrando proprio lei, e non potendo fare altro ricambiò lo sguardo. Poi capì. Delle sabbie mobili che sabbie mobili non sono, un Trapinch che spunta all'improvviso dalla sabbia...
A conferma dei suoi sospetti il pokemon cominciò ad annusare l'aria, poi si orientò verso la borsa. In un attimo ci infilò la testa e cominciò a mangiare tutto ciò che c'era dentro. Nonostante i datteri fossero abbastanza morbidi il caldo aveva fatto solidificare la loro superficie, facendoli scrocchiare ad ogni morso. Così la donna avvertì dolorosamente ogni briciola di cibo scivolare via per sempre nella gola del pokemon.
Dapprima Miana rimase impietrita sul posto. Era caduta in una trappola senza nemmeno accorgersene, e non era certo un vanto per un capo delle spie. Sapeva che delle bestie come i Trapinch erano piuttosto comuni nell'interno del deserto e che erano animali abbastanza intelligenti, ma che addirittura organizzassero trappole per poi derubare chi vi cadeva dentro, questa le era nuova.
- Fermo! - gridò,
Non seppe lei nemmeno perché lo fece, forse sperando vanamente che il piccolo delinquente si fermasse. Per tutta risposta il Trapinch mise per un attimo la testa fuori dalla borsa mentre stava ancora masticando con le sue grandi mascelle. Poi socchiuse gli occhi ed emise un sibilo che Miana trovò terribilmente simile ad una risata, tornando subito dopo a mangiare. "Sfotte pure, quel piccolo bastardo...".
La donna, superata la sorpresa iniziale, decise che non si sarebbe fatta gabbare da un pokemon. Cominciò nuovamente a dimenarsi per tentare di uscire. Fece quanta più pressione possibile col braccio incastrato, e quando vide la sabbia che v'era sopra sollevarsi cominciò a sperare per il meglio.
Quando l'arto emerse dalla sabbia cercò di liberare anche il resto del corpo. Fu difficile trovare un appiglio saldo col quale issarsi fuori, ed effettivamente non ne trovò nessuno. Però riuscì a strisciare fuori dalla sabbia appiattendosi completamente contro il terreno, i granelli roventi che strusciavano contro la sua pelle, infiltrandosi nelle vesti.
Nel frattempo il pokemon aveva capito le sue intenzioni, e così senza neppure aver finito di mangiare aveva afferrato il manico della borsa con la bocca e aveva cominciato a correre lungo il fiume, trascinando l'oggetto e sollevando in continuazione una nuvola di polvere e sabbia trasportata del vento.
A fatica Miana si rialzò e si mise all'inseguimento. Dovette faticare parecchio anche solo per guadagnare qualche piede, e quel dannato piccoletto correva veloce nonostante quelle zampette minute che si ritrovava. Le dibatteva talmente forte che i loro movimenti risultavano quasi invisibile, ma la donna cercò di mantenere il passo e correre più veloce dell'avversario.
Lentamente e faticosamente, riuscì pian piano ad avvicinarsi al ladro. Nei fatti erano solamente pochi piedi a separarli, ma Miana faticò ad acciuffarlo per via della stanchezza che l'esperienza dei giorni precedenti le aveva fatto accumulare. Si sentiva sfinita, ed era già un miracolo della Madre se riusciva a mettere un piede davanti all'altro. Le girava la testa per colpa del sole alto, ma tenne duro e continuò a correre.
La distanza cominciò infine ad accorciarsi. Anche il pokemon se ne accorse, ed agitò di più le zampe per allontanarsi. Ma oramai Miana ce la stava mettendo tutta, e presto o tardi l'avrebbe raggiunto. Ecco, mancavano pochi pollici. Il Trapinch era proprio sotto di lei. Allungò una mano per afferrare la borsa, che continuava a strascinarsi pesantemente sulla sabbia. Sette pollici, cinque, tre, due, ce l'aveva quasi fatta...
Sprofondò in un istante, e si sentì immergere fino alla vita. Riuscì a tirare indietro la faccia prima di farla finire dentro al fango, e sentì le sue gambe bagnarsi. Le sue braccia rimasero sollevate, ancora allungate verso il Trapinch fuggitivo. Dapprima fu confusa, ma poi realizzò. Stavolta c'era finita per davvero nelle sabbie mobili.
Cercò di non farsi prendere dal panico, e in parte ce la fece. Solo in parte, perché la sensazione di stare affondando verso la morte non era certo facile da ignorare. Se poi si aggiungeva il fatto che bastava anche un movimento minimo per sprofondare, Miana doveva stare completamente immobile, cosa peraltro impossibile se voleva uscire. Provò per un attimo a destreggiarsi tra la melma, tentando di arrivare ad una sponda che sembrava solida, ma il solo muoversi le fece arrivare il livello della superficie appena sotto le ascelle. Rimase allora immobile definitivamente.
Cercò di riflettere. Le sabbie mobili non erano mai molto profonde e raramente portavano alla morte di chi vi finiva dentro. Il pericolo mortale era però quello di restare intrappolati nell'argilla senza via d'uscita, esposti a qualsiasi cosa fosse capitava. Si poteva morire di fame, sete, sbranati dalle bestie, divorati dagli insetti, per il caldo, per il freddo - visto che nel deserto di notte la temperatura calava drasticamente - e in decine di altri modi ancora. Ma quella pozza sembrava abbastanza scavata da inghiottire anche un cavallo intero.
Si guardò febbrilmente attorno alla ricerca di un appiglio. Non c'era nulla da afferrare che sembrasse anche lontanamente solido, così cercò di avvicinarsi ancora alla riva. L'acqua le salì a mezza spalla, le braccia cominciarono a farsi pesanti. La tentazione di lasciarle andare all'abbraccio letale della sabbia era allettante, fin troppo.
Si fermò di nuovo, e contemplò ciò che l'attorniava. Era finita in una piccola riva fangosa nella quale passava un'ansa del fiume, il quale si era ingrossato notevolmente. Forse non era poi così lontana dalla civiltà. La trappola naturale in cui era finita - Miana la distingueva dalla terra asciutta per via del colore più "acquoso" - sembrava estendersi su buona parte di essa. Era lunga per vari piedi, forse più di una decina, ma larga non molto più di tre o quattro.
Si voltò quindi verso la riva solida che le sembrava più vicina, e si ritrovò davanti la faccia curiosa del Trapinch. Non vedendola più inseguirlo si doveva essere fermato e tornato indietro per vedere il fato della sua inseguitrice. Sembrava sempre sorridere, e vederlo con quel leggero ghigno non fece altro che irritare la già frustrata Miana.
- Sei contento? Adesso per colpa tua morirò.
Il pokemon emise di nuovo quello sgradevole sibilo che era la sua risata.
- Ti diverti? Piccolo bastardo maledetto, aspetta che venga fuori e poi vedrai.
Miana allungò una mano verso la superficie più vicina, sulla quale si trovava proprio il piccolo pokemon. La sua mano riuscì a toccare terra proprio a pochi pollici da lui, ma il Trapinch non si spostò. Guardò invece incuriosito la mano, poi nuovamente Miana.
- Cosa vuoi? Spostati, devo venire fuori di qui.
Nessuna reazione, continuò semplicemente a guardarla con quella sua aria apparentemente ingenua e innocente.
"Maledizione, questo non si sposta.". - Guarda che ti tiro una manata se...
Non fece in tempo a terminare la frase perché il pokemon le aveva appena serrato la mano nelle sue fauci. Era stato talmente fulmineo che Miana emise un grido spaventato, e provò a divincolarsi. La presa però era troppo salda, nonostante non la avvertisse particolarmente stretta. Poi il Trapinch cominciò a tirare.
All'inizio le sembrò che le volesse strappare la mano per mangiarsela. "Eh no cazzo! Non ho vissuto tutti questi anni per farmi mangiare da un pokemon qualsiasi". Ma poi si accorse di star venendo trascinata interamente fuori dalla pozza dov'era. Infine capì, il piccoletto la stava aiutando ad uscire. Vedendolo chiudere gli occhi e impuntarsi sulle zampe per avere maggiore forza, anche lei quando sentì le braccia al sicuro sulla terraferma cominciò a strisciare in avanti. Fu un lavoro lungo e sporco, ma alla fine ne venne fuori.
Si rialzò e con le mani tentò di ripulirsi un po' del fango che le incrostava i vestiti. Inutile, quella poltiglia immonda gli si appiccicava alle mani e non ne voleva sapere di andarsene. Decise che si sarebbe lavata tutta, vestiti compresi, in un tratto del fiume più avanti.
Si voltò a guardare il suo "salvatore". Il pokemon la guardava dal basso in alto, osservandola curioso. Aveva la testa inclinata, come se stesse aspettando qualcosa. La donna rivolse tutta la propria aggressività contro il Trapinch.
- Vuoi che ti ringrazi anche? Dopo che hai mangiato quel poco cibo che mi rimaneva dovrei solamente maledirti e spedirti nei Sette Inferi!
Si girò e prese ad avanzare a grandi falcate verso il fiume. Non si accorse che il pokemon aveva cominciato a seguirla.

Il Trapinch le stette appresso mentre si spogliava e si lavava nel fiume, e non si allontanò nemmeno quando mise ad asciugare le proprie vesti. Quando riprese a camminare il pokemon continuò a seguirla, e Miana cominciò ad irritarsi. Quando trovò un sasso glielo tirò. Lo colpì sul carapace, ma o non gli aveva fatto molto male oppure al Trapinch non importava, continuò imperterrito a starle dietro.
Si accampò in riva al fiume quando arrivò la sera. Per la prima volta da quando era nel deserto trovò una pianta, almeno ciò che aveva dovuto un tempo esserla. Un albero morto e secco, cavo e spezzato. Finalmente avrebbe potuto accendere un fuoco, erano troppe le notti in cui aveva patito il freddo.
Scavò una piccola buca nella sabbia e cominciò a spezzare, un po' con le mani e un po' con alcuni calci ben assestati, il cadavere del vegetale. Sistemò la legna nella buca e, con un paio di pietre che aveva raccolto e conservato durante il cammino, riuscì a creare la scintilla dalla quale si originò il falò. Si accoccolò di fronte alle fiamme, assaporando il calore e sentendo il sudore gelarsi man mano che la temperatura diminuiva. Era contenta, forse qualcuno avrebbe avvistato il fumo e sarebbe venuto a salvarla.
Sentiva però uno strano pizzicorino sul collo, come se qualcuno la stesse osservando. "Dannazione" pensò "Dev'essere ancora quel Trapinch". Si girò e constatò che effettivamente il pokemon non se n'era andato, e la stava guardando dai limiti della luce proiettata dalle fiamme. Aveva sempre la testa inclinata, come se stesse aspettando qualcosa.
Quello fu troppo per Miana. Le aveva rubato e mangiato il poco cibo che le rimaneva, l'aveva intrappolata in una buca e poi infine fatta finire nelle sabbie mobili. Poco importava che poi l'avesse aiutata ad uscirne fuori, l'aveva tediata in continuazione da quando si era salvata. Adesso ne avrebbe pagato le conseguenze.
Afferrò uno dei rami che alimentavano il fuoco, prendendolo per l'estremità non in fiamme. Lo prese a mo' di torcia, si alzò e si allontanò dal fuoco, diretta contro il pokemon. Adesso gli avrebbe fatto vedere cosa significava dare fastidio alla signora dei sussurri di Dorne. Nella vita era così, potevi aiutare qualcuno e quello in cambio ti ammazzava, ma a questo Miana non ripensò minimamente.
- Allora, te ne vuoi andare?! - urlò, agitando il bastone che aveva in mano.
Il Trapinch non si mosse, anzi, al massimo inclinò ancora di più la sua testa. Quel suo sorrisetto le dava sui nervi.
- Ti concedo tre secondi per toglierti di mezzo, oppure ti infilzo. Uno...
Nessuna reazione da parte del pokemon.
- Due...
Ancora niente.
- Tre.
Non si mosse.
- L'hai voluto tu.
Miana menò un fendente col bastone, le fiamme che si dimenavano sulla punta. Trapinch riuscì a schivare il colpo, anche se di poco, e con le sue zampette corse velocemente fra le gambe di Miana. La donna provò allora nuovamente a colpirlo, ma anche stavolta andò a vuoto.
- Vuoi giocare? Sono stanca, non ho voglia di fare storie.
Abbatté il bastone a terra, facendo spezzare la parte carbonizzata e lasciando solo un moncone incandescente.
- Adesso si fa sul serio.
Trapinch stavolta scappò subito senza nemmeno aspettare la mossa della donna. Si diresse dalla parte opposta, verso il fiume, e Miana lo inseguì, le fiamme del ramo che si protendevano fameliche nell'aria. Il pokemon superò il falò e si diresse verso il fiume, poi quando fu arrivato in prossimità della corrente si fermò.
"E' in trappola". Ci si era cacciato da solo, forse spinto dalla paura nei confronti delle fiamme. L'acqua era però un nemico ben più temibile del fuoco per lui, questo Miana l'aveva imparato leggendo gli appunti dei maestri della Cittadella. Lo doveva riconoscere, i maestri avevano fatto un lavoro egregio secoli prima, classificando tutte quelle strane creature in base alle caratteristiche in diciotto tipi diversi per distinguerli più facilmente, ognuno con i suoi pregi e difetti. Miana si era documentata per imparare di più sulla fauna di Dorne, e si ricordava che i Trapinch si facevano più deboli se messi in contatto con l'acqua.
Il pokemon non si girò, si guardò attorno come per valutare le sue vie di fuga, ma non ce n'erano. A destra, a sinistra e davanti vi era l'impetuoso corso d'acqua, e buttarvisi era fuori discussione, sarebbe probabilmente annegato. Poteva tornare indietro, ma in quel caso ci sarebbe stata Miana con la sua "mazza". Si era messo con le spalle al muro.
Solo a quel punto si voltò, quando oramai la donna gli era a meno di tre piedi di distanza. La guardò con occhi supplichevoli, ma Miana aveva già ben chiaro cosa fare. Gli assestò un colpo al fianco, e lo fece violentemente ribaltare sulla schiena, esponendo il sotto del carapace all'aria. Il pokemon la guardò, confuso. Lei gli puntò il moncone incandescente alla gola.
Avrebbe potuto ucciderlo, sarebbe stato così facile. Ma per qualche ragione non lo fece. Rifletté per alcuni istanti, combattuta tra l'idea di trafiggerlo e mangiarselo oppure risparmiarlo. D'altro canto non avrebbe avuto niente con cui rompere il carapace, quindi...
- Bah.
Ritirò il bastone.
- Alzati e vattene. Ti risparmio solo perché prima mi hai salvato la vita. Ma se ti fai vedere di nuovo non sarò più così generosa.
Il pokemon si rialzò lentamente, e la guardò. Rimase nuovamente lì a fissarla, e la donna si irritò di nuovo. Stava per dirgli di andarsene, ma il pokemon, quasi come l'avesse letta nel pensiero, cominciò a camminare sulle proprie zampe. Si allontanò dal raggio di luce del fuoco e la guardò un'ultima volta con la sua espressione misteriosa. Miana ricambiò lo sguardo, truce. Il Trapinch rimase per alcuni secondi a guardarla, poi si voltò e scomparve nella notte.

Stava correndo al massimo che gli permettevano le proprie zampe, ma non c'era nulla da fare, l'avversario era troppo veloce. Arrancò sulla sabbia a più non posso per cercare di sfuggirgli, diretto in una direzione non ben definita. Eppure... Forse c'era una direzione che l'avrebbe salvato... Certo, doveva sperare per il meglio...
Sentiva il rumore del suo nemico. Era vicino, dietro di lui. Dannatamente vicino, e strisciava troppo velocemente. Forse non ce l'avrebbe nemmeno fatta ad arrivare in salvo, oppure quella l'avrebbe ammazzato ugualmente, l'aveva già avvertito prima. Ma tanto valeva tentare.
Una luce! Eccolo, il fuoco! Il bagliore apparve come una scintilla nella notte, lo notò con la coda dell'occhio destro. Immediatamente cercò di cambiare direzione, ma doveva stare attento all'inseguitore. Fece un bel giro ampio, giusto per star sicuro che non si accorgesse del cambio di direzione. Sperava con tutto il cuore che l'avrebbe aiutato e che si fosse dimenticata della promessa omicida di poco prima.
Aveva fatto un terribile sbaglio a non andarsene subito, di notte nel deserto i predatori come quello andavano a caccia, e lui non era mai stato in grado di affrontarli. Ma aveva a tutti i costi voluto restare vicino alla donna, non sapeva nemmeno lui bene perché, maledisse sé stesso per la sua testardaggine. Ma paradossalmente colei che l'aveva minacciato di morte poche ore prima avrebbe anche potuto salvarlo.
Il bagliore si avvicinava lentamente. Maledizione, pensò, le mie zampe non mi fanno correre abbastanza. Un sibilo, e sentì qualcosa mordere l'aria appena dietro di lui. Dannazione, urlò una voce nella sua testa, ce la devo fare!
Finalmente, dopo una corsa che parve infinita, superò l'ultima fatidica duna e si ritrovò a poche decine di piedi dal falò. La donna era lì che dormiva, ignara di quello che le stava accadendo poco distante. Eccola!, esultò, Ancora pochi passi, la sveglio e-
D'un tratto gli mancò il respiro. Provò a muoversi, ma si ritrovò bloccato in una stretta che non gli lasciava tregua. D'istinto aveva chiuso gli occhi, ma vide distintamente il contorno delle spire che l'avevano infine avvolto. Provò a respirare, ma una di esse gli serrava la gola, e di conseguenza emise un rantolo strozzato. Quando aprì gli occhi vide una bocca spalancata, ornata da due denti simili ad artigli affilati.

Quando Miana si svegliò aveva una mano serrata sulla gola. "Un sogno" pensò, tranquillizzandosi "Era solo un sogno.". Rilasciò l'arto, il quale ricadde mollemente accanto a lei. "Merda, perché mi faccio condizionare? Adesso sogno pure di essere ammazzata dai serpenti. Bah.". Però... c'era qualcosa che non le tornava. Le sensazioni di quel sogno erano state troppo chiare, troppo nitide per essere solo il frutto della sua fantasia. C'era qualcosa di molto strano in tutta quella faccenda.
Poi lo udì, e si rizzò in piedi più veloce che poté. Era un suono squillante, come un tintinnare di campanellini, e proveniva non molto distante da lei. "Un serpente a sonagli! Allora non avevo tutti i torti!". Il fuoco si era spento, ma alcune braci ardevano ancora sotto la cenere. Afferrò il fido bastone con la punta incandescente, e guardò in tutte le direzioni per capire dove fosse il serpente.
Lo individuò facilmente. Era sulla cima della duna sopra di lei, aveva appena catturato una preda e agitava eccitato la coda con il sonaglio in segno di vittoria. La stava stritolando lentamente, e si stava preparando a dare il colpo di grazia alla povera bestiola, lo intuiva dalla bocca aperta e dai denti avvelenati bene in mostra.
"Mi sono spaventata per niente" si disse cercando di calmarsi "Adesso lo ammazzerà, lo mangerà e se ne andrà. Non dovrebbe nemmeno badarci a me dopotutto.". Fece per disinteressarsi di tutta quella storia, quando gli venne la curiosità di sapere cos'aveva catturato. Almeno avrebbe potuto calcolare grossolanamente quanto gli ci sarebbe voluto per digerirlo e di conseguenza quanto tempo aveva lei per andarsene al fine di evitare guai.
Da quella distanza però non lo vedeva bene, così decise di avvicinarsi. Giusto un po' più vicino, e per precauzione si portò dietro il bastone, non avrebbe mai potuto sapere se il serpente l'avrebbe attaccata oppure no. Quando fu più o meno ad una ventina di piedi di distanza aguzzò la vista e finalmente potette distinguere i lineamenti del povero animale destinato a morire.
Quasi le prese un colpo quando lo riconobbe. "Quel piccolo idiota!". Miana era sconcertata. "Non mi dire che non se n'era ancora andato! Cazzo, nemmeno Dai è mai stata così ostinata!". Probabilmente il Trapinch non era mai andato molto lontano dopo che l'aveva quasi ucciso col bastone, e adesso ne stava pagando le conseguenze. "Non lo sapeva che di notte questo posto brulica di serpenti a sonagli?!?".
Aveva cominciato a camminare ancora prima di rendersene conto. Si avvicinò di soppiatto al serpente, decisa a coglierlo alle spalle. Aumentò il passo quando vide il rettile cominciare a mordere il pokemon. L'animale era troppo concentrato a stringere e mordere la propria preda per badare a lei, così non la vide mentre alzava il piede. Poi, cercando di mettervi tutta la propria forza, lo pestò sulla coda a sonagli.
Sentì qualcosa spezzarsi sotto il proprio sandalo. Sentì immediatamente il serpente allentare la presa sul pokemon, e la donna non perse tempo. Ignorando i sibili di dolore, menò il ramo come fosse stato una mazza, prendendo il serpente in piena testa. Continuò a colpirlo anche quando si accasciò a terra, e continuò finché il cranio del rettile non si fu ridotto ad una poltiglia verdognola.
Quando fu sicura di averlo ucciso, passò a controllare il Trapinch. Si era accasciato a terra, ma sembrava più impaurito che ferito. C'erano vari graffi sul carapace, segni lasciati dai morsi del serpente. Quell'animale non doveva essere stato molto furbo, se l'avesse voluto uccidere avrebbe dovuto morderlo sul collo.
Allungò una mano verso il pokemon, ma quello si mostrò reticente.
- Vieni qui, razza d'idiota. Non ti faccio nulla.
Anche se di malavoglia il Trapinch si lasciò prendere il braccio. La donna lo esaminò, e vide che almeno una volta il serpente aveva fatto centro. C'erano due buchi nella sua pelle arancione, poco al di sotto dell'entrata del carapace, su una delle zampe anteriori. Dopodiché rimise a terra il pokemon.
- Ce la fai a camminare? - gli chiese.
Il pokemon la guardò interrogativo, e provò a muovere un passo. Appena provò ad appoggiare la zampa a terra si ritrasse, le fauci contorte in una smorfia di dolore. "Piccolo stupido. Adesso mi toccherà portarlo in braccio.".

Camminò senza sosta per due giorni, fermandosi giusto il tempo per abbeverarsi e per controllare le condizioni del pokemon. Continuò a marciare seguendo il corso del fiume, finché infine scorse qualcosa all'orizzonte. Dapprima le sembrò solo un'ennesima duna, ma più si avvicinava e più la duna assomigliava ad una fortezza. "No, è solo un miraggio" si disse "E' dello stesso colore della sabbia, è solo una duna dalla strana forma". Ogni suo dubbio si dissipò però quando vide la "duna dalla strana forma" brulicare di vita. C'erano uomini sui parapetti, sulle torri, alle finestre, ai piedi delle mura, tutti intenti nelle loro mansioni. Sopra un merletto garriva uno stendardo al poco vento che soffiava in quel momento, figurante una mano dorata su sfondo rosso e nero. Quella era Grazia degli Dei, sede di casa Allyrion. Miana cominciò disperatamente a correre.
Quando arrivò alla porta principale alcuni si erano già accorti di lei, e un balestriere aveva già caricato la propria arma.
- Via di qui - disse, puntandogliela addosso - Non vogliamo mendicanti.
- Non sono una mendicante! - gli gridò lei.
- E chi sareste voi, di grazia? - le chiese un armigero da una finestrella poco al di sopra della sua posizione.
- Miana Martell, al servizio di lord Derrick Martell. E se non vi muovete a farmi entrare ne pagherete le conseguenze!
A sentire quel nome i soldati si riscossero. La sua fama era nota in tutta Dorne e anche al di fuori, era risaputo che Miana Martell manteneva le promesse fatte, sempre. La grata di ferro venne alzata e Miana entrò dentro Grazia degli Dei. Mentre avanzava nella piazza, le vesti ormai lacere che le pendevano malamente, le si fece incontro un uomo grasso dalla pelle abbronzata. Portava una leggera armatura sopra la pelle madida di sudore, e boccheggiava.
- Mi dispiace, milady, per il trattamento che avete subito - disse - Ma di questi tempi è bene non fidarsi di nessuno.
- Chi siete voi? - chiese la donna in modo sgarbato.
- Ser Tobbott Allyrion, se vi compiace.
Ser Tobbott era il fratello ed erede di lady Allyrion, Miana l'aveva visto un paio di volte a qualche festa indetta da suo cugino il lord a Lancia del Sole. Ma in quel momento non gli importava minimamente chi fosse.
- Mi serve un maestro, una coperta e dell'acqua calda.
- Certamente. Mandate subito a chiamare il maestro! - urlò ad alcune guardie - Volete che vi visiti in una stanza del fortino oppure vi va bene nelle mura?
- Non è per me, razza d'idiota.

Più tardi, mentre aspettava che il maestro arrivasse, stava stringendo a sé il pokemon. Era avvolto in una coperta lacera, bruciava di febbre, e i suoi occhi socchiusi lacrimavano. Tutta colpa del veleno, indubbiamente.
- Che ostinato che sei - disse la donna a voce alta - Perché non sei già morto? A quest'ora avresti dovuto esserlo da un pezzo. Sei più forte di quel che sembri, eh?
Lo guardò per un po'.
- Oberyn - disse infine - E' un bel nome, non ti pare? Vedrai che ti piacerà. Se sei davvero così forte, resisti finché non arriva il maestro. Allora potrei anche pensare che sei degno di restare con me.

Note dell'autore
Settimo capitolo gente. Ormai avevo perso le speranze di farli così in fretta, ma questo mi è venuto un po' più corto del normale e così è andata bene. Può sembrare non c'entrare niente con la trama, ma piano piano tutti i pezzi del puzzle si incastreranno.

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Capitolo 9
*** Calla I ***


Calla

Quella sera a Capo Tempesta si tennero grandi festeggiamenti. Lord Orson aveva deciso di indire una festa per ricompensare gli stallieri per il duro lavoro di due settimane prima, quando c'era stata la fuga di massa dei pokemon dalle stalle. Non era stata organizzata prima perché Nynt, il maestro dei cavalli, aveva richiesto alcuni giorni per far riprendere i ragazzi.
Giorni che lord Orson era stato felice di concedere anche per avere il tempo di invitare qualche altro lord suo vassallo. Del resto sarebbero serviti almeno alcuni giorni solamente per spedire gli inviti. Per il capo di casa Baratheon qualsiasi motivazione era buona per festeggiare, e del resto nessuno lo biasimava, in tempi come quelli bisognava stare allegri. La notizia della morte del Primo Cavaliere era appena arrivata tramite i corvi e lord Orson aveva addotto alla festa un altro scopo, quello di alzare il morale dei cortigiani. Del resto un nuovo Primo Cavaliere era stato eletto, e come aveva detto il signore di Capo Tempesta "non c'è bisogno di disperare".
A Calla le feste non erano mai piaciute, in primis per tutto il chiasso che vi regnava. Poi un altro motivo era la puzza: poteva non sembrare ma certe volte i nobili ammassati potevano arrivare ad odorare allo stesso modo dei popolani. Alla ragazza piaceva fare il bagno spesso, anche d'inverno, e non sopportava gli odori forti, specialmente i cattivi odori.
Un'altro dei motivi per cui non apprezzava i banchetti era per la presenza dei corteggiatori. Calla era una bella ragazza, su questo nessuno poteva mettere bocca, anche se non certo la più attraente tra le nobili delle Terre della Tempesta. Il suo defunto padre però, Barristan Baratheon, era stato uno degli amici più fidati del principe Laerion, ed era tenuto presso gran conto alla corte del re.
Ma sia suo padre che il principe erano morti da lungo tempo, e Calla faticava a comprendere il motivo per cui era tanto desiderata. Aveva sentito dire una volta a Gravven Wensington che era la nipote preferita di lord Orson, ma Calla stessa dubitava di essere tenuta in gran conto per questo. Che i suoi pretendenti credessero di ottenere il favore di lord Baratheon per questo? Poveri illusi.
Partecipò comunque alla festa, non per piacere ma per dovere. Era una lady ancora nubile, e alla ormai "veneranda" età di vent'anni non era neppure promessa in sposa. Secondo lord Orson prima o poi si sarebbe dovuta trovare un marito. Tra le sue proposte più frequenti c'erano, oltre che a Gravven Wensington e suo cugino Rowan Baratheon, anche Norbert Connington, erede di Posatoio del Grifone. Quello che tra tutti le stava più antipatico.
E chi le venne incontro quando entrò nella Sala Grande della fortezza se non lui? Era accompagnata da due dame di compagnia, due fanciulle frivole e talmente superflue da rendere impossibile anche solo tentare di avviare una conversazione, e indossava una lunga veste giallo intenso scollata. L'estate doveva star arrivando davvero perché negli ultimi giorni faceva davvero caldo, così aveva optato per quell'abito che oltre rinfrescarla rimarcava anche le sue origini familiari.
- Ma che splendido vestito, lady Calla! Come mai non vi avevamo mai visto prima con esso addosso?
"Sono appena entrata" pensò lei stizzita "E' un nuovo primato, non era mai passato così poco tempo tra il mio arrivo e i suoi squallidi tentativi di sedurmi.".
Norbert Connington le si avvicinò sorridente con un paio di suoi amici nobili che lei non conosceva. Dagli stemmi sui farsetti poté però intuire la loro provenienza. "Wagstaff e Morrigen. Due bifolchi senz'altro, se sono nati da case altrettanto bifolche.".
- E' un vestito estivo - rispose - Ecco perché non l'avevate mai visto.
- Capisco - ribatté lui con un sorrisetto che la innervosì subito - State meravigliosamente, lasciatevelo dire.
- Grazie molte.
Cercò subito di allontanarsi, mentre le due dame attaccarono bottone con i compari di Connington e cominciarono a ridere alle loro battute oscene. La sala non era ricolma, non era una grande festa dopotutto, ma la donna dovette comunque farsi strada con le braccia tra i vari nobili per tentare di arrivare al tavolo. Non era certo un comportamento signorile quello che stava tenendo, ma quando si alterava non riusciva a rispettare tutto quello stupido galateo.
Era quasi arrivata al tavolo quando Connington la raggiunse nuovamente.
- Aspettate! - le fece - Non scappate così? Come mai siete fuggita? Sembra che io non vi stia particolarmente simpatico.
- Ma bravo - fece lei di rimando - Avete colto nel segno.
- E posso chiederne il motivo, se non sono impertinente?
La domanda venne posta sempre con quel suo sorrisetto sornione, ed era questo un'altro dei motivi perché Calla non sopportava Connington, sembrava sempre prendere in giro la persona all'altro capo della conversazione.
- Lo siete eccome, un impertinente, ma bando alle ciance. Mi tediate con le vostre proposte di matrimonio, esattamente come tutti gli altri. La mia pazienza nei vostri confronti si è esaurita da tempo, e fatemi il favore di riferirlo a tutti gli altri miei corteggiatori. Sapete, non mi va di sprecare il fiato stasera.
Detto questo girò i tacchi e si avviò verso il tavolo. Questa volta Connington non la seguì, era rimasto impietrito sul posto. Probabilmente nessuna donna gli aveva mai risposto a quel modo, e quella reazione l'aveva lasciato di sasso. Calla sorrise compiaciuta. Aveva ottenuto una vittoria, anche se piccola, nei confronti della moltitudine di nemici che affrontava quotidianamente.

Vittoria che fu piuttosto effimera, dato che il destino - o magari lord Baratheon - a tavola le mise vicino proprio Connington. Quando egli arrivò Calla stava scherzando con una dama seduta vicino a lei, ma appena lo scorse il sorriso le morì sulle labbra. Tentò di voltarsi per non dare a vedere di averlo visto, ma non servì.
- Ma guardate un po' chi ho qui! - disse, deliziato - Sembra che dopotutto voi mi amiate!
- Non dite sciocchezze - fu la secca replica di lei - Io non vi amo, sarà stato lord Baratheon che facendo la disposizione dei posti ci avrà accidentalmente affiancato.
- Accidentalmente.
Non le piacque il modo in cui rimarcò l'ultima parola, ma non ci poté fare niente. Non sarebbe certo potuta andare da lord Baratheon, che in quel momento stava scherzando con lord Grandison, per lamentarsi di una quisquilia del genere, sarebbe apparsa frivola come la maggior parte delle dame presenti. E lei frivola non era di sicuro.
Per sua fortuna Connington si disinteressò presto a lei. Inizialmente le rivolse qualche attenzione, ma poi trovò qualcosa di meglio da fare - ad esempio trangugiare vino come se non ci fosse stato per lui un domani - e la lasciò stare per il resto del banchetto. L'uomo preferì mettersi a parlare e a ridere con i suoi due compari, Morrigen e Wagstaff, piuttosto che tentare di sedurla come di solito faceva.
Calla poté così dedicare un po' di tempo alla sua mente, tempo che impiegò per riflettere. Fece scorrere lo sguardo per la sala gremita di gente, e notò qualche lord che conosceva, come ad esempio il già citato Grandison, lord Penrose e quel fetente di lord Unwin Fell. Fell aveva fama di uomo avaro e avido, e quel suo modo di fare mellifluo non le era mai piaciuto. Una volta aveva provato ad organizzare un matrimonio tra Calla e suo figlio Ulrich, ma la donna si era fermamente opposta a tale unione.
Calla prese così a giocherellare con i propri lunghi capelli neri corvini, osservando passivamente quel che succedeva attorno a lei. Le portate arrivarono e furono portate via in continuazione, la ragazza ne toccò a malapena due o tre. Le feste non le avevano mai messo appetito, così mangiò solamente quel che la attirò maggiormente, il che fu veramente poco.
Gli ospiti più passava il tempo e più si facevano ubriachi e anche lord Orson, seduto su una piattaforma rialzata assieme ad alcuni dei suoi vassalli maggiori, si fece presto brillo. A quel punto la festa degenerò. L'ubriachezza collettiva portò all'improvvisazione di piccole battaglie a chi mangiava o beveva di più, a approcci sessuali indesiderati, a volgari gare di rutti e ad altre cose disdicevoli per un nobile.
Calla seppe quando fu il momento di andarsene quando vide un nobile poco distante vomitare. Erano tutti talmente ubriachi al punto che nessuno si accorse di Calla che si alzava la veste per evitare di sporcarla coi resti di cibo sparsi per terra e cominciava ad arrancare verso la porta. Nemmeno Connington, anch'egli ubriaco e intento ad abbordare una giovane dama, parve rendersi conto che la sua "preda preferita" si stava dileguando.
Era anche questo che Calla disprezzava delle feste, tendevano a degenerare col passare delle ore. A lei il vino piaceva, ma si era sempre saputa controllare per evitare di ubriacarsi. Non riusciva a spiegarsi come lord Orson potesse permettere che una simile confusione regnasse nella Sala Grande, ma del resto era quella la fine che facevano la maggior parte delle celebrazioni in tutto il Continente Occidentale. E probabilmente anche ad Essos. Gli uomini in fondo erano uguali dappertutto, e mai sarebbero cambiati.
Uscì dalla Sala Grande dall'ingresso principale praticamente non vista, le guardie erano ubriache sia dentro che fuori, quelle dentro per aver partecipato alla festa e quelle fuori per compensare di non averlo fatto. "Che comportamento contradditorio" pensò Calla leggermente divertita "Certe volte la vita è proprio beffarda.".
Le era venuta voglia di fare una passeggiata. Dentro al castello c'era un caldo soffocante, mentre fuori nel cortile la brezza della sera lasciava sulla pelle una sensazione incredibilmente piacevole. "Come si sta bene" pensò la ragazza "Forse potrei uscire fuori e fare una passeggiata al chiaro di Luna". C'era la Luna, quella sera, era crescente.
Sempre tenendosi alzato il vestito - non voleva sporcarsi di terra - passò vicino alle stalle. Immediatamente il fetore della paglia e degli escrementi assalì il suo naso. Purtroppo per arrivare alla grata di ferro e quindi al pontile di legno che permetteva di uscire dal castello era necessario transitare di là, così cercò di farsi forza e di non pensare al puzzo. Non poteva direttamente tapparsi il naso in quanto con le mani si stava tenendo su la splendida veste, e poi tenersi il naso non era certo un comportamento adatto ad una dama.
Passò vicino all'ingresso delle stalle e sentì provenire da dentro grida, schiamazzi e risate: anche lì stavano festeggiando. "Certo, lord Orson ha indetto la festa per loro" pensò "Ma non li avrebbe mai fatti entrare nella Sala Grande assieme agli altri nobili.". Era strano che la festa si tenesse ugualmente senza i festeggiati, ma sembrava che essi avessero rimediato da soli. Almeno gli era stato fornito il cibo, e a giudicare dal tono delle voci anche del vino. Dovevano esserci parecchi ubriachi lì dentro.
Le giunsero le note di una canzone. Dapprima cominciò una sola voce malferma per colpa del vino, ma più proseguiva e più il numero dei cantanti aumentava. Il tono, pur scoordinato e confuso, divenne sempre più forte, e così Calla poté distinguere meglio le parole. Gli stallieri stavano cantando La moglie del dorniano.

La moglie del dorniano era bionda come l'oro
e più caldo della primavera era il suo bacio.
Ma la lama del dorniano era acciaio nero,
e terribile era il suo bacio.

La moglie del dorniano cantava immergendosi,
dolce come una pesca era la sua voce.
Ma la lama del dorniano cantava sguainandosi,
freddo come una sanguisuga era il suo morso atroce.

"Che canzone tetra" pensò la donna "Eppure ha un tono così allegro. Probabilmente sono così ubriachi che non si rendono nemmeno conto di cosa stanno dicendo.". E probabilmente era vero, ma Calla decise di non fermarsi per chiederglielo. Sapeva che disturbare un uomo ubriaco essendo una donna non era una cosa prudente, così passò oltre l'ingresso della stalla. Qualcuno la vide e le fischiò, ma lei lo ignorò.

Mentre al suolo giaceva, con le tenebre attorno,
                           e il sangue che dalla sua lingua colò,
                           i suoi fratelli per lui pregarono, standogli accanto in contorno,
                           così lui rise e sorrise e per loro cantò:

"Fratelli, oh fratelli, i miei giorni son finiti,
                           la lama del dorniano la mia vita s'è presa.
                           Ma questo nulla importa, tutti gli uomini hanno i giorni contati,
                           gustando la moglie del dorniano ho compiuto l'impresa!".

Gli ultimi versi della canzone le arrivarono mentre si era già allontanata. Entrò in una zona buia del cortile, la quale non veniva raggiunta dalla luce delle torce. Era al di sotto delle fondamenta di un torrione, e non ci sarebbe stato lo spazio del resto nemmeno per una finestra, figuriamoci per una torcia. Forse, anzi, sicuramente a causa del buio qualcuno le andò a sbattere contro.
- Che modi! - gridò lei, lasciandosi scappare un lamento. Chiunque le fosse venuto addosso si era scontrato duramente con le sue parti basse, le aveva fatto male.
Sentì un tonfo, segno che chi l'aveva urtata era caduto per terra. Calla aveva visto le stelle per alcuni secondi, il colpo le era arrivato dritto al pube in una zona abbastanza delicata, ma dopo poco cercò di distinguere il maleducato che le aveva fatto questo. Dapprima faticò per via del buio, ma poi i suoi occhi si abituarono e...
Un ragazzino! Un ragazzino le era andato a sbattere addosso! Nonostante l'oscurità fosse abbastanza pesante riuscì a distinguerne i lineamenti, e vide che era molto sporco. Doveva essere uno stalliere, magari scappato alla festicciola che aveva visto prima.
- M-mi dispiace - farfugliò lui ancora a terra - Non vi avevo visto...
- Mi hai fatto male.
Nonostante il dolore, Calla non ce la fece ad arrabbiarsi con lui, era poco più che un bambino. La sua voce era ancora abbastanza acuta, nonostante si notasse qualche inflessione profonda, segno che la pubertà era ancora ai suoi primi segnali. Sicuramente non aveva fatto apposta a scontrarsi con lei, non certo come facevano quei porci di Morrigen e Wagstaff. Una volta il secondo si era scontrato con lei solo per tentare squallidamente di sedurla.
- Vieni, ti aiuto ad alzarti - gli disse, porgendogli la mano.
Immediatamente il ragazzino stese una delle proprie braccia per afferrare l'aiuto che gli veniva porto, e Calla quasi si stupì di quanto fosse forte quella stretta se paragonata a chi la stava azionando.
- Cosa stavi facendo? - chiese la donna mentre lui si rialzava.
- Volevo andare nelle stalle.
Ciò si intuiva anche dalla direzione che stava prendendo, opposta a quella di calla. Di certo non sarebbe potuto andare nella Sala Grande, dove i nobili lo avrebbero riconosciuto e cacciato anche da ubriachi fradici.
- Hanno detto che i ragazzini non possono festeggiare e ci hanno messo nelle cucine. Jorah ci ha fatto mangiare qualcosa, ma tutti si lamentavano.
Jorah era il capo delle cucine di Capo Tempesta, Calla lo aveva intravisto qualche volta.
- Ma a me non interessa la festa. Io devo andare... dagli animali. Per dargli da mangiare.
C'era stata una strana esitazione nella voce del ragazzo quando aveva dovuto dire il motivo per cui stava andando verso la stalla. Che stesse nascondendo qualcosa? Probabile, ma sicuramente sarebbe stata qualche sciocca magagna da stalla, che alla donna non sarebbe sicuramente interessata, così non insistette.
Dopo che l'ebbe aiutato a rialzarsi fece avvicinare il ragazzino.
- Mi raccomando - gli disse - La prossima volta guarda dove vai.
- Lo farò, milady. Grazie.
Dopodiché lo lasciò andare, e ognuno andò per la propria strada. Il ragazzino prese a correre nuovamente verso la stalla, mentre Calla si diresse verso la grata, che già intravedeva. C'erano due guardie, una addormentata e l'altra ubriaca, Calla lo capiva dal modo in cui si reggeva in piedi. Questa era l'efficiente sorveglianza di Capo Tempesta.
Mentre camminava ripensò a quel ragazzino. Vestiva di stracci, o comunque di vesti molto povere, la donna provò quasi pena per lui. Di certo però non gli avrebbe dato nulla da vestire, era tanto se l'aveva perdonato per essergli andato a sbattere contro. Gli venne in mente la sua faccia. Aveva delle labbra secche e degli zigomi abbastanza pronunciati. I capelli erano neri, al punto che a Calla ricordò il cugino Baelon. "Già, anche Baelon ha gli occhi...".
Viola? Quel ragazzino aveva gli occhi viola? Calla restò per un attimo confusa e si fermò. Un ragazzino dai capelli neri e gli occhi viola? Dove aveva già sentito quella descrizione? Si voltò per cercarlo, ma si era già dileguato. Le era appena andato a sbattere contro il bastardo di Baelon Baratheon. "Come si chiamava? Aspetta, iniziava con la H... Harrold... Horace... Hobber... no, aspetta... iniziava con Ha... Harren? No... Harys... ecco, Haerrik! Si chiama Haerrik Storm!". Sapere che quel ragazzino era imparentato con lei, seppur alla lontana, le fece tornare il buon umore. Aver incontrato un parente che non le stesse antipatico la fece sentire felice.
Arrivò finalmente al cancello, e si sentì rincuorata alla vista della pesante grata di ferro. Quel buio le aveva messo addosso un'angoscia terribile che l'incontro con Haerrik non aveva allentato. Si avvicinò ad una delle guardie, quella sveglia anche se ubriaca, e gli chiese di lasciarla uscire. Sulle prime l'uomo non rispose, continuando a guardare il vuoto con aria spaesata, ma alla fine rispose.
- A-aprire... la grata?
- Esatto.
- N-non si può.
La sua voce era malferma, e quasi per farsi coraggio alzò la caraffa di vino, se la portò alla bocca e ne trangugiò avidamente alcuni sorsi.
- O-ordini di lord Orson, non lasciare entrare né- hic, uscire nessuno.
Il singhiozzetto emesso durante la frase gli conferì un'aria ancora più ridicola di quanto già lo fosse. Aveva un passo traballante e a stento si reggeva in piedi, la cappa giallo caldo gli ricadeva floscia dietro la schiena, aveva l'elmo di traverso e la faccia di un viola paonazzo. Doveva essere ubriaco fradicio, nemmeno semplicemente alticcio.
- E come mai?
- Gli ordini- hic, non si discutono.
- Se non mi volete lasciar passare, alzerò la grata da sola.
Calla si diresse così verso la leva posta a poca distanza in grado di alzare la pesante grata. Era un grosso bozzolo di legno contornato da qualche sporgenza appena definibile come un braccio della leva, ma tant'era, le guardie si arrangiavano. Provò a posizionarsi davanti ad uno di essi e a spingere, aveva visto parecchie volte uomini anche minuti aprire da soli la grata. Ce la poteva fare, ne era più che sicura.
Solo che qualcun altro la afferrò prima. Calla venne spinta all'indietro, si girò e si ritrovò faccia a faccia con la guardia alticcia.
- L-lord Orson ha detto di non lasciar passare- hic, nessuno.
Il suo alito puzzolente investì la faccia della donna, che distolse lo sguardo nauseata.
- Gli ordini del lord- hic, si rispettano.
- Lasciami!
Calla si divincolò facilmente dalla sua presa, anche se aveva per un attimo temuto che non la lasciasse più andare. E aveva anche temuto che il vino gli avesse fatto venire strane idee, ma a quanto pare si era sbagliata. Corse via. e l'armigero restò a guardarla imbambolato come se avesse appena visto un miraggio lontano. "Meno male che il vino non ha lo stesso effetto su tutti" pensò Calla "Altrimenti chissà cosa mi avrebbe fatto...".
Ma non si sarebbe rassegnata, assolutamente no. Aveva deciso che sarebbe uscita dal castello per una passeggiata e l'avrebbe fatto, qualsiasi ostacolo le si fosse parato davanti. Calla Baratheon era nota per la sua testardaggine, dote ereditata da suo padre Barristan. O questo almeno aveva sempre sentito dire, aveva solamente un vago ricordo del padre. Lui era morto durante la Primavera di Sangue, quando Calla di anni ne aveva cinque. Aveva guidato lo schieramento dei Baratheon alla battaglia del Bosco delle Piogge assieme ad Aidan Storm, fresco di investitura nella Guardia Reale, e dicevano avesse combattuto con valore. Era poi stato trafitto da una lancia e Storm era morto poco dopo proteggendo il re Jaehaerys all'epoca ancora principe, almeno questo le era stato detto fin da quando poteva ricordarsi.
Distolse la mente dal padre, e ripensò al metodo per uscire da Capo Tempesta senza farsi vedere. Sorrise: Calla conosceva almeno un passaggio segreto che sicuramente non era noto alle guardie. C'era quello del Vecchio Parco degli Dei, che però era pericolante, e quello del canale sotterraneo. Optò per il secondo, il primo le aveva sempre fatto paura e raramente si era avventurata per più di qualche piede al suo interno.
Percorse a ritroso il tragitto che dalla Sala Grande l'aveva portata sino alla grata. Arrivò fin davanti ai grandi portoni di legno della sala principale di Capo Tempesta, ma a quel punto si fermò. D'un tratto realizzò di non volere nuovamente passare di là. Sentiva al di là della spessa porta ancora i rumori della festa: le giungevano attutite ma nitide le voci degli ubriachi, le risate, il rumore metallico delle postate e il cozzare dei boccali di vino e birra, si sentiva anche il latrato di qualche cane. Decisamente non le andava di entrare. "Poco male" pensò "Ci sono altre vie per arrivare al passaggio. E io le conosco".
Quando era piccola lei amava scorrazzare per il castello ed esplorare ogni suo pollice, abitudine disapprovata da molti dei nobili che vi risiedevano ma che l'aveva resa simpatica a tutti i cortigiani di rango più basso. Poi era tornata "sulla buona strada", come aveva detto la septa che l'aveva in custodia, imparando le buone maniere e tutta la prassi di corte, ma non aveva dimenticato i giorni in cui era stata libera di circolare per Capo Tempesta.
Si poteva arrivare al canale sotterraneo tramite varie strade, ma molte di esse passavano direttamente all'interno del castello. E purtroppo per entrarvi Calla avrebbe dovuto per forza passare per la Sala Grande. Ma ricordava esserci un ingresso in profondità nelle stalle che le avrebbe permesso di aggirare la confusione della festa, portandola dritta nei sotterranei.
Si diresse così verso la rimessa degli animali, la quale era ancora animata dalle risate e dai suoni degli stallieri ebbri di vino. Sicuramente Calla non avrebbe voluto passargli vicino, e per fortuna le stalle avevano più di un ingresso. Quello principale e quello sulla sinistra erano occupati dai festanti, ma l'apertura a destra appariva silenziosa, così la donna si diresse spedita da quella parte.
L'ala destra delle scuderie era immersa nel silenzio e nel buio, contrastando alla grande con l'aria allegra e illuminata dello spazio che c'era a pochi piedi di distanza. L'immobilità veniva interrotta ogni tanto dagli scossoni che riceveva la parete e dalle voci troppo alte degli stallieri dall'altra parte della stalla. Quella parte era adibita soprattutto a residenza dei pokemon, e Calla ne poté vedere qualcuno agitarsi nervosamente nel proprio spazio, evidentemente disturbato dal chiasso prodotto da chi probabilmente lo curava. La maggior parte però dormiva e non sembrava curarsene.
Con qualche difficoltà e dopo essere inciampata varie volte, Calla arrivò in vista delle scale. In cima ad esse vi era una porticina di legno che portava ad un corridoio, il quale ad un certo punto si biforcava, proseguendo da una parte per le cucine e dall'altra per le cantine. La sua meta erano le cantine.
Stava quasi per salire il primo gradino, quando una voce familiare la fece sobbalzare.
- Ti ho già chiesto scusa, vero?
La donna restò impietrita sul posto. Poi si rilassò, riconoscendo la voce acuta del ragazzino che l'aveva urtata prima. Sorrise al pensiero che ancora lui credesse di essere nel torto. Allora Calla si girò con l'intenzione di rincuorarlo.
- Sì, me l'hai...
Ma si interruppe, perché dietro di lei non c'era nessuno. Aveva pensato che Haerrik fosse esattamente alle sue spalle, ma a quanto pare si sbagliava.
- Mi devi perdonare, ma era quel che dovevo fare.
Calla girò immediatamente la testa verso dove era venuto il suono della voce. Proveniva da uno degli spazi alla sua sinistra, a qualche piede di distanza dalla porta. Spinta dalla curiosità decise di avvicinarsi per sbirciare. Con chi stava parlando il giovane bastardo? Con un pokémon? O con qualcuno?
- Se non l'avessi fatto saresti scappato, e a lord Baratheon non avrebbe fatto piacere.
Quando arrivò in prossimità della cella dove presumibilmente si trovava il ragazzo Calla si abbassò, riparandosi dietro al divisorio di legno. C'era qualcosa che la spingeva a nascondersi, non sapeva nemmeno esattamente cosa. Forse era il dubbio di star interrompendo qualcosa di importante, oppure la paura di intromettersi in qualcosa che non la riguardava. Ma ormai era tardi per le recriminazioni, così alzò piano la testa, attenta a non produrre il minimo rumore.
Ci mise alcuni attimi, il tempo che gli occhi si abituassero al buio - lo erano già, ma quella parte delle stalle era ancora più oscura -, è individuò Haerrik Storm. Il ragazzo era seduto con la schiena contro il muro, ma non guardava dalla sua parte, bensì sembrava squadrare il soffitto con occhi sognanti. A quanto pare non l'aveva sentita parlare poco prima, altrimenti avrebbe scrutato verso di lei. Accanto a lui, assicurato a terra da delle catene, vi era un pokemon. Calla faticò a rammentare di che specie si trattasse, ma alla fine, dall'orientamento delle penne sulla testa, dedusse che era uno Spearow.
- Ci stai male qui dentro, non è vero?
Come a conferma dell'ipotesi di Calla il pokemon emise un verso caratteristico.
- Già, effettivamente non sei nelle condizioni migliori in cui potresti essere. Magari potrei parlare con Nynt e farti portare qualcosa in più. Sai, Nysen e io...
La donna ritirò la testa, aveva sentito abbastanza. Quella conversazione - o meglio monologo - non era affar suo, ed era anche abbastanza noiosa. Attenta a non produrre il minimo suono si scostò dal divisorio e si diresse nuovamente verso la porta. Salì piano le scale e aprì l'anta di legno. Non seppe nemmeno perché lo fece, forse perché non voleva essere disturbata da nessuno nella sua passeggiata.
Quando fu però nel corridoio la porta le sfuggì di mano, forse per l'emozione o forse perché aveva le mani sudate. Si richiuse vibrando, producendo un rumore secco che alle sue orecchie fu come il suono di un'esplosione. Pensando che il ragazzo si fosse finalmente reso conto di non essere solo Calla si mise a correre. Sarebbe uscita prima che chiunque potesse solamente udire il suono dei suoi passi.

Rischiò di essere scoperta più volte, ma riuscì a passare inosservata. C'era un via vai continuo dei servitori dalla cucina alle cantine, e Calla era dovuta rimanere nascosta per un po' nell'ombra. Alla fine i viaggi avevano acquisito un certo ritmo, cosicché la donna aveva potuto capire quand'era il momento giusto per passare. Quando fu sicura che non sarebbe passato nessuno si mise a correre e raggiunse in men che non si dica le cantine.
Non ci ritornava da anni, eppure era tutto uguale a come lo ricordava. Gigantesche botti di vino erano accatastate in ogni dove, e l'odore del liquore permeava l'aria. Calla inspirò la fragranza dell'alcolico e l'assaporò per un secondo, poi si ricordò che aveva poco tempo prima che tornasse un altro servitore e decise di darsi una mossa.
Si diresse a passo spedito verso una grossa botte contro una parete umida. Conteneva un vino forte e speziato, Calla l'aveva assaggiato una volta ma non le era piaciuto, esso a fermentare lì fin dai giorni di re Rhaegar. Il lord Baratheon di allora era un gran bevitore e aveva riempito le cantine. Si diceva che le sapesse svuotare altrettanto velocemente, ma quel barile era in qualche modo sopravvissuto. Era vino forte e per questo adatto a pochi palati, così era stato assaporato da poche persone in nove decadi. Ricordava di averlo visto prendere una volta a Willem Baratheon, suo nonno. Era morto cinque anni prima, quando lei aveva quindici anni.
Facendo attenzione a non aprire il rubinetto che permetteva di far uscire il vino, Calla tolse i freni e fece rotolare la botte di alcuni pollici in avanti. Il muro dietro il barile rivelò una grata, larga una quindicina di pollici e alta tre piedi e mezzo o poco più. La donna rimise i freni al barile e strinse con le mani il ferro, poi fece forza. La grata era vecchia, così venne via subito con una nuvola di polvere. Non veniva aperta da molto tempo, da quando Calla aveva smesso di frequentare quegli ambienti.
L'apertura conduceva ad uno stretto passaggio, usato occasionalmente come canale di scolo in caso di alta marea. Non sembrava ma le cantine erano posizionate parecchio in basso rispetto al resto del castello, ed era successo più di una volta che si fossero allagate per il mare grosso. In quel caso le botti venivano prese e trasferite faticosamente nelle cucine.
Calla appoggiò la grata per terra e si inginocchiò. "Per i Sette" pensò contrariata "Mi sporcherò tutto il vestito". Ma era ben determinata ad uscire da quell'ambiente soffocante che era diventato Capo Tempesta quella notte, così prese ad avanzare carponi. Decise di non richiudersi la grata alle spalle per avere via libera al suo ritorno. L'aveva appoggiata esattamente dietro la botte, se avesse avuto fortuna nessuno si sarebbe accorto che il canale era aperto.
Calla entrava a malapena nel condotto, se lo ricordava più grande. "Forse perché allora ero una bambina" rammentò tristemente. L'alta marea non si verificava ormai da un po' di anni, così per la gioia della donna il canale era abbastanza asciutto. Alcuni tratti però erano umidi, così Calla dovette faticare per mantenere la presa e non scivolare. Ad un certo punto il pavimento cominciò ad avere una certa pendenza, così Calla fu costretta a reggersi con maggiore forza per non scivolare.
Continuò a strisciare per un po', finché avvertì con un sospiro di sollievo lo sciabordio dell'acqua non molto lontano da lei. Stava arrivando nel canale vero e proprio. A conferma della sua tesi si ritrovò infine davanti ad un'altra grata, la quale si dimostrò più difficile da spostare. La manutenzione non veniva fatta da anni e il ferro si era deformato nella pietra, ma alla fine Calla riuscì a toglierla ed uscì dal passaggio. Appoggiò la grata alla parete e si guardò attorno.
Era emersa in una piccola scala, la quale si inerpicava nella roccia fino alle sale di Capo Tempesta. Scendendo nella direzione opposta invece si sarebbe potuti arrivare ad un piccolo canale che comunicava col mare. Calla era già stata lì, e sapeva che oltre il canale c'era la spiaggia. Già si immagino a passeggiare sulla sabbia al chiaro di luna.
Prese a scendere gli scalini. Erano stretti, ripidi e viscidi per l'umidità, e la donna si dovette appoggiare al muro per non perdere l'equilibrio. "Ma guarda te se devo fare questo sforzo per arrivare fuori dalla fortezza". Oramai doveva essere passata almeno un'ora da quando se n'era andata dalla festa, si erano già accorti della sua assenza? Probabilmente no, erano tutti troppo ubriachi.
Quando ebbe sceso alcune decine di scalini finalmente vide un'apertura, da cui filtrava una leggera brezza fresca. Calla la attraversò, e non ebbe paura di cadere in acqua, visto che aveva viaggiato fin lì prevalentemente al buio e di conseguenza aveva gli occhi abituati all'oscurità.
Sbucò infine sul canale. L'acqua sotto di lei sbatteva continuamente contro la roccia, producendo un rumore uniforme e persistente. Il canale era costeggiato da due stretti camminamenti scolpiti nella roccia, i quali conducevano all'esterno. Calla si diresse verso sinistra, e dopo poco scorse uno spicchio di cielo notturno fare capolino tra la roccia. Le stelle le illuminarono leggermente il cammino.
Ricordava che più o meno in quel punto ci sarebbe dovuta essere una grande grata di ferro, la quale però era crollata in mare ai tempi di lord Ormund Baratheon, il padre di lord Orson. Lord Ormund aveva tentato di recuperarla mandando alcuni pescatori, ma aveva fallito tre volte, una per l'alta marea, una volta per il mare mosso e un'altra per una burrasca. Tutte e tre le volte era morto almeno un pescatore nel tentativo di recuperare la grata, e si dicesse che i loro fantasmi vagassero ancora per quei passaggi. Calla non era impressionabile da certe storie, così proseguì ugualmente.
Ma si spaventò lo stesso e sobbalzò, rischiando di cadere in acqua, al sentire due voci provenire da poco più avanti da dove si trovava.
- Ti ripeto, è un'occasione unica, non devi lasciarla scappare. Non si ripeterà più.
- Te l'ho già detto, non mi interessa.
Calla si era aggrappata alla parete per evitare di precipitare in acqua. Venne oppressa da una terribile sensazione, la consapevolezza che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Le sembrò di rivivere la stessa situazione di poco prima, si stava nuovamente intromettendo in affari che non la riguardavano. Ebbe la tentazione di girarsi e tornare da dove era venuta.
Ma la curiosità fu troppo forte. Camminò in avanti, appoggiando piano i piedi sulla roccia, attenta a non produrre il minimo rumore. Quando arrivò ad una sporgenza della roccia si appiattì contro la parete e sporse poi la testa quanto bastava per vedere cosa c'era al di là.
Due uomini stavano sul camminamento, uno di spalle rispetto a Calla e l'altro di fronte a lui. La donna riconobbe senza fatica ser Rowan Baratheon, suo cugino e in passato anche suo corteggiatore. Aveva corti capelli neri, occhi verdi e una sgradevole faccia da maiale a cui si aggiungeva un costante rossore sulle guancie rubiconde. L'aspetto lo faceva sembrare costantemente ubriaco. Calla l'aveva visto duellare con altri cavalieri nel cortile di Capo Tempesta qualche volta, ed era sempre riuscito a disarmarli, ma non aveva idea se si fosse trattato di fortuna o di bravura da parte sua.
L'altro uomo non lo riconobbe subito. Aveva le caratteristiche dei Baratheon: capelli neri e spalle larghe, ma nulla più che lo potesse identificare subito. C'erano troppi altri Baratheon, tra legittimi e illegittimi. Nel secondo caso era merito di suo nonno Willem, i cui appetiti sessuali erano stati ereditati dal nonno, Robert.
- Non dovresti rifiutare così alla leggera - disse suo cugino.
- Non sto rifiutando alla leggera, ci ho pensato.
- Davvero?
- Sono settimane che mi tedi con queste proposte, e ho già detto di no.
- Pensaci ancora.
Rowan Baratheon afferrò le spalle all'interlocutore.
- Il re è malato, non gli resta molto da vivere. Il principe ereditario è lontano, alla Roccia del Drago, e molti nutrono dubbi sul fatto che sappia governare un regno. Suo figlio è un infante e suo fratello è un beone. Gli zii sono l'uno peggio dell'altro: Jaehaemion è un idiota, mentre Rhaegon è un ritardato. L'unica alternativa valida...
L'uomo scostò malamente le mani di Rowan.
- Ne abbiamo già parlato, non... - ma suo cugino non lo lasciò finire.
- Aspetta, se ci appoggi diventeresti signore di Capo Tempesta. Tu sei rispettato molto più degli altri Baratheon, e sicuramente tutti i lord di queste terre ti seguirebbero. Abbiamo dalla nostra parte già molte casate, e se anche tu...
- Appoggiarvi? - nel tono dell'uomo c'era ilarità mista a disprezzo - E perché mai dovrei? Non ne vedo il motivo. Almeno non dopo tutto il casino che avete combinato giorni fa. Non ti è sembrato un po' esagerato liberare metà degli animali delle stalle del castello solamente per potermi approcciare? E a cosa è servito? A nulla, visto che poi sono dovuto andare a dirigere i lavori di ricattura. Sai come si chiama la cosa che state facendo tu e i tuoi amici? Tradimento. Io otterrei comunque Capo Tempesta, mentre se vi denunciassi voi sareste gettati in cella per essere decapitati o mandati alla Barriera, dipende come si sente il re in quel momento. Effettivamente ci sono troppi Baratheon, sbarazzandosi di qualcuno si starebbe solo meglio.
La faccia di Rowan venne progressivamente distorta dalla rabbia. Probabilmente non era mai stati insultato da nessuno a quel modo.
- Questa è l'unica risposta che avrai da me. E se non vuoi che ti denunci a mio padre fareste meglio ad andartene da Capo Tempesta stanotte stessa, tu e tutti i tuoi amici.
L'uomo puntò un dito contro Rowan.
- Se domattina ti vedo ancora qui ti farò incarcerare con l'accusa di tradimento. Mi hai proprio stancato. E adesso, se vuoi scusarmi, mi attendono alla festa.
L'uomo si girò, e finalmente Calla lo poté vedere in faccia. Oltre ai capelli corti e alle spalle larghe possedeva una faccia dai lineamenti squadrati ma in un certo modo graziosi. E i suoi occhi viola non facevano altro che mettere in risalto gli zigomi pronunciati. Era ser Baelon Baratheon, l'erede di Capo Tempesta. "Ecco perché diceva che l'avrebbe ottenuta comunque".
Ser Baelon mosse un passo nella sua direzione, e Calla si rese improvvisamente conto di essere pericolosamente esposta. Sarebbe dovuta già andarsene, e se fosse restata lì anche solo un istante di più l'avrebbero scoperta. Si staccò dalla roccia, ma non poté fare altro.
La faccia di Rowan venne attraversata da un ghigno di malvagità pura. Infilò la mano destra sotto il mantello e ne estrasse qualcosa che rilucette alla luce della luna. Calla ne fu per un attimo abbagliata e non seppe distinguere cos'era. Ser Baelon mosse un altro passo, ma la mano sinistra di Rowan gli afferrò la spalla destra.
- Cugino, se permetti... - cominciò.
Baelon fu costretto a girarsi, Calla poté vedere l'espressione annoiata sul suo volto mentre lo girava. Probabilmente era maleducazione per un nobile ignorare qualcuno, e anche se di malavoglia Baelon si voltò per ascoltare il cugino.
Fu allora che Rowan alzò il pugnale e lo affondò nella parte sinistra del petto di Baelon. Cinse poi l'intero braccio sinistro attorno al collo del Baratheon e lo tirò verso di sé, permettendo alla lama di affondare ancora più in profondità. Baelon emise un rantolo strozzato, quasi come gli mancasse il fiato. Rowan fece girare più volte il polso, e Calla sentì l'orribile rumore di qualcosa che veniva strappato. Aveva colpito dove c'era il cuore.
- Avevi ragione, ci sono troppi Baratheon - gli sussurrò all'orecchio, ma a Calla sembrò che l'avesse urlato - Meglio sbarazzarsi di qualcuno.
Baelon ebbe qualche sussulto, ma smise presto di muoversi. Rowan tirò indietro la mano che stringeva il pugnale, e Calla poté vedere che le dita superiori erano completamente sporche di sangue. Il pugnale fece uno strano rumore quando venne tirato fuori dalla carne del Baratheon. Rowan tenne in equilibrio Baelon per un attimo, poi lo spinse all'indietro. Il corpo scivolò oltre il canale alla sua sinistra, e quando impattò con l'acqua produsse come il rumore di un sasso quando cade in uno stagno.
La donna restò immobile per un attimo. Aveva appena visto morire un suo parente, ucciso per di più da un consanguineo. L'omicidio di consanguinei era peccato mortale per i Sette Dei, come le avevano sempre insegnato da piccola, anche se Rowan e Baelon Baratheon erano ben lontani dall'essere parenti stretti. Si sentì lo stesso sconvolta e disorientata. Quella sensazione terribile di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato la colse di nuovo in tutta la sua potenza.
Si lasciò inavvertitamente scappare un gridolino di spavento, e subito si coprì la bocca con una mano. Troppo tardi, Rowan voltò la testa e la vide. Quel suo ghigno malefico si amplificò ancora di più e cominciò ad avanzare verso di lei, la mano che stringeva il coltello che oscillava al suo fianco, come quasi aspettasse il momento giusto per colpire.
Calla indietreggiò in preda al panico, e per poco non rischiò di cadere di sotto. Riacquistò in qualche modo l'equilibrio e si mise ad arrancare sulla roccia. Sentiva i passi di Rowan risuonare dietro di lei, così cercò di correre. Fallì, e l'unico risultato che ottenne fu quello di inciampare sul suo stesso vestito e cadere in avanti.
Batté malamente la guancia, e sentì un dolore bruciante sulla faccia. Quando aprì gli occhi vide che nella parete accanto a lei c'era una piccola rientranza, forse abbastanza grande da contenerla. Si rialzò velocemente e si guardò dietro: Rowan non era ancora arrivato. Si fece forza, e nonostante gli occhi avessero iniziato a lacrimarle copiosamente riuscì ad infilarsi nel vano. Cercò di far entrare tutta la veste, ma qualche lembo rimase fuori, terribilmente esposto. A quel punto cominciò a piangere per davvero.
Pochi istanti dopo comparvero gli stivali di Rowan. Calla li sentì battere contro la pietra, e li vide fermarsi di fronte alla rientranza dove si era nascosta. Poi Rowan si inginocchiò, un'espressione trionfante sulla sua orribile faccia. Calla aveva fallito nel nascondersi a quanto pare.
- Cuginetta cara - disse, trattenendosi dal ridere - Facevi una passeggiata notturna?
- I-io... - provò a farfugliare la donna.
- Devi aver visto il mio... incontro con Baelon. Decisamente il momento sbagliato per una passeggiata.
Rowan si avvicinò all'apertura, portando il pugnale all'altezza del proprio volto. Calla lo vide inarcare il braccio per prepararsi a colpire, ma le lacrime agli occhi la fecero per un attimo diventare cieca. Rowan si trasformò in una macchia di colore indistinto, e Calla si rese conto di stare per fare la stessa fine di Baelon. Dopo averla uccisa Rowan l'avrebbe buttata in mare e poi sarebbe stata ripescata giorni dopo, divorata dai pesci. La sua mente si figurò quella scena, non lasciando posto ad altri pensieri se non alla consapevolezza di star vivendo gli ultimi istanti di vita.
Improvvisamente però la macchia che rappresentava Rowan scomparve dalla sua vista. Calla fu disorientata per alcuni istanti, e le orecchie presero a ronzargli. L'udito però non era stato compromesso come gli occhi, e poté udire un confuso rumore proveniente da non molto lontano. In un primo momento esitò, ma come sempre alla fine la curiosità ebbe la meglio su di lei e si sporse.
Dapprima vide solamente due specie di nebulose scure orbitarsi intorno, ma poi quando si strofinò gli occhi con una mano riuscì finalmente a distinguere cosa stava davvero succedendo. Riconobbe subito Rowan, il quale si stava azzuffando con qualcosa di piccolo e veloce. Calla non lo vide bene, così dovette socchiudere gli occhi. Era Haerrik Storm.
"Quel ragazzino!" pensò "Deve avermi seguita. Dannazione a me quando non sto attenta a sbattere le porte". Haerrik stava combattendo con una furia cieca, menando calci, pugni e anche morsi a più non posso. Rowan provava a contrastare i colpi con il pugnale ma era troppo lento, non era decisamente un tipo da corpo a copro. Per un attimo Calla riuscì a vedere in faccia il ragazzo e si accorse che stava piangendo. Non stava però singhiozzando, stava versando lacrime come avrebbe fatto un adulto. Doveva aver assistito anche lui all'uccisione di Baelon. Suo padre.
Quando Haerrik morse la mano in cui Rowan teneva il pugnale l'uomo lanciò un urlo e lo lasciò cadere. La lama produsse un rumore metallico rimbalzando sulla roccia, e finì sul ciglio del canale. Il ragazzo diede poi una ginocchiata nello stomaco all'uomo, il quale fu costretto ad arretrare sui gomiti. Haerrik poi gli si gettò addosso, prendendogli a pugni la pancia. Calla lo guardò combattere; doveva aver già fatto risse del genere, ma qui era diverso: stava combattendo per vendetta, e per la vita... di Calla?! Possibile che la stesse difendendo?
Ma la situazione si capovolse d'improvviso. Rowan riuscì in qualche modo ad allungare la mano e a recuperare il pugnale, ma sfortunatamente per lui dalla posizione in cui si trovava era molto difficile menare un fendente. Ci provò ugualmente, e la lama quasi raggiunse il petto semi-esposto dalle vesti lacere di Haerrik. Calla urlò, ma il ragazzo riuscì a bloccarlo con entrambe le mani.
Per alcuni attimi ci fu una sorta di tira e molla tra Haerrik e Rowan, ma l'uomo era troppo forte per lui, e la lama cominciò lentamente a scivolare in avanti. Aveva però una curvatura verso il basso, e quando Haerrik cedette fu talmente rapido a scansarsi che il pugnale non lo colpì, andandosi invece a conficcare nella gamba di Rowan, il quale lanciò un altro urlo di dolore.
Il ragazzo si mise poi a prenderlo a calci, ma l'uomo riuscì ad afferrarlo per un piede e a farlo cadere. Gli rotolò sopra e gli si mise sullo stomaco, impedendogli di muoversi. Visibilmente scosso, Rowan si tirò fuori il pugnale dalla gamba. Era ancora più rosso del solito, e sembrava fradicio di sudore. Era pronto a calare il colpo.
- Maledetto bastardo - gli gridò - Sei ancora più fetente di tuo padre!
- Da che pulpito! - disse una voce alle sue spalle.
Calla nel frattempo non se n'era stata a guardare. Si era alzata e, sentendosi in dovere di fare qualcosa, aveva afferrato un grosso sasso e si era faticosamente portata alle spalle di Rowan. L'uomo non l'aveva notata perché era troppo occupato a combattere Haerrik, ma girò appena la testa alle sue parole. La pietra calò sull'attaccatura del collo e Rowan rotolò di lato, stordito ma non fuorigioco.
Calla corse subito da Haerrik e lo aiutò a rialzarsi, ma il ragazzo aveva lo sguardo fisso su Rowan. Digrignava i denti dalla rabbia, e calde lacrime gli rigavano il viso.
- Maledetti! - gridò l'uomo dietro di loro - Ve la farò pagare.
Calla si voltò, appena in tempo per vedere Rowan, il quale zoppicava tenendosi la gamba fradicia di sangue, salire la stretta scala per capo tempesta. Il pugnale era sparito chissà dove, forse gli era caduto in mare. La donna lo vide sparire nella roccia, e piano piano il rumore da lui prodotto si affievolì. Sobbalzò quando Haerrik la prese per mano e la strattonò dalla parte opposta.
- Vieni, dobbiamo andare - disse con voce stranamente ferma.
- Ma... - Calla era perplessa.
- Non possiamo andare di là, rischiamo di incontrarlo di nuovo. Dirà che siamo stati noi ad uccidere ser Baelon e che poi l'abbiamo aggredito. A chi pensi che crederanno? Ad un bastardo e a una nobile di basso rango oppure al figlio del castellano di Capo Tempesta?
Calla si rese conto che aveva ragione. Arstan Baratheon, fratello minore di Barristan e padre di Rowan, era il castellano dell'imponente fortezza, e Orson si fidava di lui come un fratello. Aveva più volte insistito perché Calla e Rowan - certe volte Derrick, suo fratello minore - fossero promessi sposi, ma il primo si era sposato a sua volta e aveva avuto un figlio mentre al secondo era nato un bastardo due anni prima, così le proposte alla fine erano cadute. La donna sapeva di non stargli simpatica, e se anche lui fosse stato invischiato in quella specie di complotto avrebbe senza dubbio spalleggiato suo figlio.
Mentre camminavano lungo il canale la donna fece caso ad un particolare all'apparenza insignificante: poco prima il ragazzo, mentre spiegava le motivazioni della loro fuga, aveva apostrofato Baelon come "ser" e non come "mio padre". Aveva avvertito una certa disperazione nella sua voce, ma era normale, in fondo era il suo genitore, anche se questi non l'aveva mai riconosciuto. Si sporse leggermente, e si accorse che Haerrik stava ancora piangendo ma che cercava di nasconderlo, così la donna fece finta di niente.
- Grazie - gli disse invece.
Il ragazzo rimase in silenzio.

Dal canale arrivarono su una spiaggia, e dalla spiaggia risalirono un crinale sassoso per inoltrarsi in una natura quasi incontaminata. Probabilmente Rowan aveva già allertato le guardie, così decisero di nascondersi in una macchia d'era alta per decidere il da farsi. La fortezza incombeva ancora su di loro, nonostante si fossero allontanati ormai di almeno un paio di chilometri. Calla non si ricordava di aver mai camminato così tanto in vita sua, e i piedi avevano presto cominciato a farle male.
- Potremmo scappare a piedi - disse debolmente mentre si massaggiava i suddetti, ma già mentre lo diceva sapeva che non sarebbe stato fattibile.
- Sarebbe un suicidio - Haerrik decise di obbiettare ugualmente - A cavallo e con i cani ci prenderebbero in poche ore.
- Allora cosa facciamo?
- Mi viene in mente una sola possibilità.
Mentre si riposava un po' a causa di tutte le emozioni di quella sera, Calla ascoltò sempre più incredula il "piano" elaborato dal bastardo. Era una cosa assolutamente folle, e la probabilità di essere scoperti era altissima. Lei non temeva ripercussioni dirette, avrebbe potuto denunciare a lord Orson Rowan per l'omicidio di Baelon, ma Haerrik probabilmente sarebbe stato ucciso prima. Aveva paura per l'incolumità di quel ragazzo, e inizialmente diede il proprio dissenso per quel piano.
- Non se ne parla, è troppo pericoloso.
Haerrik non le rispose subito, ma quando lo fece ci mise tutto sé stesso.
- E' la nostra unica speranza di fuggire, non abbiamo altre alternative. Funzionerà, ne sono sicuro, non si aspetteranno che ritorni dentro le mura.
In quel momento uno scalpiccio di zoccoli richiamò l'attenzione di entrambi, e Haerrik fece appiattire ancora di più Calla nell'erba. A poca distanza si stava avvicinando un soldato della guarnigione di Capo Tempesta, riconoscibile dalla cappa giallo oro. Si fermò e scese da cavallo, mettendosi a perlustrare la zona circostante.
- Allora, ti fidi di me? - le sussurrò Haerrik sbrigativo.
Calla ci pensò su un attimo. Era stato astuto, le aveva riservato la scelta proprio nel momento peggiore, ma la donna ci rifletté comunque su un attimo. Poi accettò, temendo che l'uomo li potesse scoprire da un momento all'altro.
L'armato si era messo a perlustrare un piccolo gruppo di arbusti a poca distanza, così i due si misero a strisciare silenziosamente dentro l'erba alta. Calla sentì il proprio splendido vestito impigliarsi e strapparsi più volte, ma cercò di non pensarci. Gliel'aveva regalato Boremund, il fratello minore di Baelon, un paio d'anni prima per il suo compleanno, e lei ci teneva molto. Involontariamente si ritrovò a pensare che adesso era lui l'erede di Capo Tempesta. In quel momento era in viaggio nelle Terre dell'Ovest, si diceva per fare la corte a qualche lady.
La guardia, una volta finito di ispezionare gli arbusti, passò all'erba dove si nascondevano, ma ormai se l'erano lasciata alle spalle. Erano arrivati in un piccolo avvallamento roccioso, e lì dovettero stare attenti a non smuovere nulla per non provocare rumore. Continuarono così per un bel po', e videro almeno altre due guardie che perlustravano le zone, riuscendo sempre ad aggirarle in qualche modo. La caccia era aperta.
Alla fine arrivarono ad un cumulo di detriti. O almeno ciò che sembrava tale. Haerrik si mise a scostare il più piano possibile un intrico di rovi, piante ed erbacce cresciuto sulla superficie della catasta che Calla mai avrebbe osato toccare. Non si sarebbe mai sognata di farlo, chissà quali malattie le riservavano quei vegetali.
Con sua estrema sorpresa da sotto le erbacce spuntò una porticina. Era abbastanza squallida, non più di due ante di legno costruite alla bell'è meglio, ma perlomeno era stata mascherata abbastanza bene. Haerrik scostò piano le ante, rivelando al di là della porta un piccolo tunnel che si snodava nella terra. Poi il ragazzo le fece un gesto, invitandola ad entrare.
Avanzare dentro quel bugigattolo non fu come farlo nel canale. Se prima si era appoggiata sulla pietra leggermente umida adesso lo faceva sulla nuda terra. Il fango le entrò presto sotto le unghie, e persino alcuni insetti le caddero in testa dal soffitto. Dovette ricorrere a tutta la propria forza di volontà per non lanciare un gridolino d'orrore. Haerrik si infilò nel buco - perché di questo alla fine si trattava il tunnel - e si richiuse la porta alle spalle. Poi toccò lievemente Calla, dicendole non verbalmente di avanzare.
Quella che seguì fu la camminata - o meglio la strisciata - più lunga della vita di Calla. Se davvero del proprio vestito era sopravvissuto qualche bel particolare, sarebbe stato presto cancellato. Sentiva la fredda e ruvida terra graffiargli i palmi delle mani, e sentiva le ginocchia impattare sul duro terreno mentre la preziosa seta si imbrattava di poltiglia marrone.
Più procedevano e più Calla ebbe la sensazione che il tunnel si stesse allargando in altezza. Il suo sentore ebbe conferma quando andò bruscamente a sbattere contro una parete. Nel tunnel era completamente buio ed Haerrik le aveva assicurato che era tutto dritto fino al castello, ed era per questo che non si era aspettata nessun ostacolo davanti a sé. Quando sbatté malamente il naso contro la terra si lasciò sfuggire un gemito.
Da dietro Haerrik la toccò, come a volerle dire di proseguire. Si massaggiò un attimo il naso dolorante, poi si aggrappò con le mani alla parete di terra e si tirò faticosamente su. Batté duramente la testa contro il soffitto duro, ed emise un altro gemito di dolore. Decisamente quello non era il suo momento fortunato. Il rumore giunse però stranamente attutito, come se qualcosa di morbido vi fosse sopra.
- Apri - le disse Haerrik.
Lei non capì subito, e il ragazzo le dovette ripetere l'ordine. Poi realizzò che la cosa contro cui era andata a sbattere e che credeva il soffitto del tunnel era in realtà una botola. Scoprì che era fatta di legno, e ciò spiegava lo strano rumore che aveva sentito prima, ma quando l'aprì si ritrovò sommersa da un mare di paglia. Una puzza terribile le invase il naso, e quasi le venne da vomitare. Haerrik le spintonò i piedi, ansioso di alzarsi, e la costrinse ad uscire. Calla sbucò nelle stalle.
Una volta che anche lui fu uscito dal passaggio segreto si richiuse piano l'apertura alle spalle, e fece segno a Calla si stare bassa. Erano sbucati in una delle cellette per gli animali situate nelle stalle, che in quel momento era vuota. Si sentivano però molti rumori all'esterno, probabilmente gli stallieri erano stati informati di cosa Haerrik non aveva commesso ed avevano cominciato a cercarlo anche loro. Sicuramente lord Orson aveva predisposto una ricompensa per chiunque l'avesse trovato e riportato da lui. O meglio da Rowan.
Restarono in silenzio finché tutti i rumori all'esterno non furono svaniti. Probabilmente in quella cella avevano già guardato, così nessuno sospettava che vi fossero all'interno proprio in quel momento. Haerrik sbirciò dai divisori e socchiuse la porticina che permetteva l'accesso ai cavalli, poi quando fu sicuro che non ci fosse nessuno fece cenno a Calla di uscire.
Assieme strisciarono nell'ombra, evitando qualsiasi punto in luce o troppo esposto, e Haerrik la guidò fino alla parte della stalla adibita ai pokemon. Si diresse verso una celletta e l'aprì, entrandovi. Calla lo seguì, e stupì nel riconoscere lo Spearow con cui il ragazzo aveva "conversato" qualche ora prima. Haerrik cominciò a liberarlo dalle catene che lo trattenevano al suolo.
- E adesso? - chiese lei disorientata.
- Adesso ti trovi un pokemon tuo. Mica avrai pensato che un solo Spearow potesse portarci a tutt'e due?
- Ma io... io non sono mai stata a cavallo di un pokemon.
- Dannazione - mormorò il ragazzo.
Haerrik sembrò meditare un attimo, poi le consegnò l'unica catena che ancora vincolava lo Spearow ad una zampa, la quale probabilmente serviva per farlo camminare nella direzione voluta.
- Aspetta qui - le disse, e uscì.
Calla rimase come imbambolata, la catena nella destra che penzolava e produceva un leggero tintinnare. Si sentì schiacciata da tutto quello che le era successo quel giorno: solamente per farsi una passeggiata al chiaro di luna aveva assistito ad un omicidio e adesso era probabilmente ricercata per ciò. Era talmente presa che si accorse troppo tardi che qualcuno si era infilato nella cella.
- Ah! - gridò lei quando si sentì toccare - Lasciami!
- Zitta!
Riconobbe la voce di Haerrik, e poi anche la sua persona. Aveva urlato per niente.
- Ci farai scoprire!
Troppo tardi. Si udirono quasi subito schiamazzi e richiami, e tutti gli animali che fino a poco prima stavano beatamente dormendo si risvegliarono all'unisono, cominciando a produrre un gran baccano che avrebbe richiamato l'attenzione anche di un sordo.
Haerrik non perse tempo. Consegnò nella sua mano un'altra catena e riprese la propria.
- Corri! - le urlò.
Calla eseguì alla lettera, anche se oramai non capiva più nulla, e lo seguì fuori dalla celletta. Haerrik le aveva procurato un Pidgeotto, un giovane esemplare dalle lunghe piume rosse e dal petto prominente. Quando Calla strattonò la sua catena il pokemon la seguì, anche se visibilmente di malavoglia.
Haerrik aprì le porte della stalla, e d'improvviso si ritrovarono nella fredda aria notturna del cortile di Capo Tempesta. C'erano molte guardie che correvano qua e là con delle torce, e subito una mandria di stallieri si mise a correre verso di loro.
- Svelta, monta su!
Haerrik diede una forte pacca allo Spearow, il quale con un forte sbatter d'ali si sollevò da terra in un attimo e cominciò ad alzarsi in volo. Il ragazzo si aggrappò ad una delle due zampe con una mano, evidentemente era troppo grande per salire in groppa al piccolo pokemon.
- Io non so come fare! - urlò la donna disperata.
- Monta su e dai di speroni! - le urlò di rimando Haerrik, una mano alla bocca per amplificare la propria voce - Partirà da solo! Poi tieniti forte!
- Prendetela!
Un gran numero di uomini si stava avvicinando, così Calla, spaventata a morte, seguì le parole di Haerrik. Montò in groppa al pokemon e fece come aveva visto fare decine di volte ai cavalieri di rientro, ovvero calciò rientrando con le gambe in quelli che dovevano essere i fianchi del pokemon. Quello ebbe uno scossone e immediatamente scattò in avanti, travolgendo cinque o sei stallieri che gli si erano parati incontro.
Fece due giri concentrici dentro il piazzare della fortezza, sfiorando con la punta delle ali i camminamenti sui quali le sentinelle sgomente provarono ad allungare le braccia per afferrarla. Poi, quando fu abbastanza in alto, il pokemon virò fino a raggiungere Haerrik e lo Spearow, che si stava dimostrando parecchio forte per sostenere un peso morto come lo era il ragazzo.
Calla provò a muovere la mano, e la sentì ancora. Miracolosamente era ancora viva. Spaventata a morte, ma viva. Con la stessa mano tremante si asciugò la fronte madida di sudore, e si rese conto di star volando praticamente di fianco ad Haerrik. Senza sapere perché si abbandonò ad una risata liberatoria, assieme alla quale sgorgarono lacrime calde dai suoi occhi. Erano in salvo. Per il momento.

Note dell'autore
Ottavo capitolo, qui ci ho messo veramente tutto me stesso. Ho un po' riadattato la canzone La moglie del dorniano perché non mi piaceva la versione tradotta a cazzo di cane. Una canzone senza rime è una bestemmia per me, come un arbitro senza fischietto: senza senso di esistere.
Questo sarà l'ultimo pezzo che pubblicherò prima di andarmene in vacanza, per cui ci rivediamo ad agosto! Chissà, forse mi ci scappa anche una os questa settimana...

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Capitolo 10
*** Doran I ***


Doran

La mattinata cominciò in maniera convulsa. Si poteva dire che quel giorno fosse cominciato da quando Bernyce Royce era stata trovata nuda all'aria aperta, e nessuno da allora aveva più dormito, Doran compreso. Tutto l'accampamento fremeva per ciò che era successo solamente la notte precedente, e la notizia che era stato indetto un giudizio dei sette aveva presto fatto il giro del campo.
Una volta appresa la notizia lui e Ronas erano stati tra i primi ad accorrere alle tende degli alti lord, ma erano stati trattenuti a distanza da un cordone di guardie. Poi avevano visto Bors e Jonothor Arryn uscire dallo spazio del lord loro fratello, e poco dopo un araldo aveva annunciato la decisione del Protettore della Valle.
Inutile dire che subito Ronas era stato in prima fila per partecipare al combattimento, anche se non era chiaro da quale parte lo avrebbe fatto. In più Lancialucente pretendeva di tirare in ballo anche l'amico, e Doran non era stato entusiasta di dover prendere una decisione del genere a notte fonda. Ma la risposta era scontata: lui e Ronas Martell erano cresciuti assieme, e nessuno dei due avrebbe abbandonato l'altro in caso di bisogno. Lo stesso valeva anche per Jon Uller, ma essendo ancora alle cure del maestro per le ferite riportate durante il torneo non ebbe voce in capitolo in quel momento.
Nonostante avesse opposto una debole resistenza alla fine Doran Wyl aveva ceduto, accettando di accompagnare Ronas nel combattimento.
Ma sulla parte da aiutare avevano quasi avuto un litigio. "Bors Arryn ha stuprato una vergine!" diceva lui "Jonothor è nel giusto ad accusarlo!". "Suvvia, non sei tanto idiota da farti infinocchiare" aveva ribattuto Lancialucente "E' chiaro che non è stato lui. E poi, anche se fosse, era ubriaco e non poteva sapere quello che faceva.". Doran era indignato dal fatto che un cavaliere del calibro di Lancialucente volesse difendere uno stupratore, ma alla fine era stato lui ad avere la meglio.
Sia Doran che Ronas si erano presentati al cospetto di Bors Arryn per offrirgli la propria partecipazione, che era stata prontamente accettata. L'Arryn di mezzo, un uomo enorme e di poche parole, si era limitato a fare un cenno del capo facilmente interpretabile come un assenso. Oltre a loro fino a quel momento solamente ser Roland Frey, la Torre In Fiamme, aveva fatto lo stesso schierandosi per Bors. Sembrava che invece nessuno si fosse ancora espresso a favore di Jonothor Arryn.
Ma col sorgere del sole cominciò anche la gara per accaparrarsi i posti. Saputa della partecipazione di Lancialucente Ben Simisage, ansioso di confrontarsi di nuovo con il dorniano, si era schierato con Jonothor Arryn. Lo stesso aveva fatto Joseth Redfort, desideroso di prendersi una rivincita. Saputo però dell'iscrizione di Torrerossa suo cugino Justin Piccolatorre aveva ottenuto di combattere per Bors Arryn; pareva infatti che tra i due Redfort non corresse buon sangue. Lo stesso valeva per Cedric e Gregor Frey, l'uno combattente per ser Bors e l'altro per ser Jonothor. Morton Hunter aveva deciso di non perdere l'occasione di partecipare a un evento così raro e si era schierato con l'Arryn più giovane, ottenendo di avere ser Terrence Mooton, ancora infuriato per la sconfitta inflittagli dall'anziano cavaliere, schierato con Bors Arryn. Gli ultimi a dirsi pronti a partecipare furono ser Boras Templeton Stellabianca e ser Layn Corbray con la sua lama valyriana, entrambi a favore di Jonothor. Gli schieramenti erano così completi.
Doran sospettava che molti di loro più che dal senso del dovere fossero mossi dalla voglia di mettere in risalto il proprio nome partecipando ad una manifestazione così importante. Poco importava ci fosse il rischio di morire, uomini come Hunter erano abituati al combattimento, mentre gente del calibro di Simisage e Lancialucente era semplicemente troppo brava per farsi sopraffare.
Ma Doran temeva di più per sé stesso. Lui non era all'altezza di molti di loro, e una voce dentro di sé gli diceva che non era ancora troppo tardi per tirarsi indietro. Non lo era nemmeno per fare la figura del codardo, e l'uomo si sentiva tutto meno che tale. Fu per questo che non ritirò il proprio sostegno all'accusato.
All'alba tutto era pronto, il campo per la disputa già allestito dove fino a poche ore prima c'era lo spazio per le lizze da torneo. Il giudizio era stato previsto per la tarda mattinata, quando il sole era alto e faceva diventare le armature dei veri e propri forni, facendo bollire lentamente la carne al loro interno e facendo annegare il malcapitato nel proprio sudore.
Dopo l'iscrizione nella notte Doran aveva provato a dormire, ma non ce l'aveva fatta. Sapere che di lì a poco avrebbe messo in gioco la propria vita gli impedì di chiudere occhio, così quando le prime luci cominciarono a filtrare da dietro le montagne uscì dalla tenda per fare un po' di pratica con la spada. Ronas lo raggiunse poco dopo e si mise a duellare con lui. La temperatura non era ancora ottimale, ma entrambi semplicemente non vi fecero caso.
- Mi chiedo ancora se sia stata una buona idea - disse Doran, quasi tra sé e sé.
- Certo che lo è - ribattè Ronas, scansando un fendente - I giudizi dei sette sono rarissimi. In quasi quattro secoli di regno Targaryen sono stati talmente pochi da essere contati sulla punta delle dita di una mano. I nostri nomi saranno scritti nei libri di storia.
- Non mi riferivo a quello - puntualizzò Doran, lanciandosi in un nuovo attacco - A me non interessa diventare famoso. Dico, non sarà pericoloso? I giudizi non sono i tornei, qui gli avversari punteranno ad uccidere.
- Di che ti preoccupi? - sorrise l'altro - Mi sembra che noi dorniani sappiamo il fatto nostro. E poi se hai paura ti coprirò le spalle.
- Non ho paura per me - gli rispose - Ma per te.
- Per me?
Dopo aver scansato un nuovo fendente Ronas Martell mise giù la spada, incuriosito.
- Perché mai dovresti aver paura per me?
- Due contendenti si sono offerti di combattere solamente per prendersi la rivincita su di te.
- Mi pare una cosa normale, i duelli hanno sempre funzionato così.
- Ma quella non è gente qualsiasi.
- Chi, gente come Torrerossa? Quell'energumeno mi fa un baffo, troppo lento per i miei gusti. Ci sono andato anche leggero con lui quando abbiamo combattuto alla lizza.
- E che mi dici del pokemon?
- Simisage, lui sì che è interessante. Non ho mai visto un pokemon che fosse anche un nobile e un cavaliere, tantomeno un pokemon che sapesse combattere come lui.
- Guarda cosa ti ha fatto al braccio, non dovresti combattere con una ferita del genere.
Dopo il combattimento con Simisage il maestro aveva controllato il braccio di Ronas. Non era rotto ma nemmeno completamente sano, e per questo il maestro l'aveva fasciato strettamente, raccomandandogli di tenerlo il più immobile possibile. Nonostante le proteste per via del fatto che Lancialucente usasse il braccio sinistro per combattere, aveva deciso di seguire il consiglio del sapiente.
- Non è nulla, la mano destra va bene lo stesso per tenere la lancia.
Doran non era del tutto sicuro che l'amico gli stesse dicendo la verità. Lo conosceva bene, e Ronas Martell era un tipo a cui non piaceva ammettere quando era il caso di darsi un contegno. Era sicuro di farcela con un braccio solo, ma pensando ai suoi avversari Doran ne dubitava seriamente. Non lo tranquillizzava il fatto che fosse sopravvissuto ad una battaglia a nove anni.
Presto li raggiunse anche Jon Uller, e lui sì che era messo male. Il suo braccio era veramente rotto, e il maestro lo aveva immobilizzato dentro un gesso e appeso al collo di Uller. Nonostante ciò l'uomo era sorridente, non mostrando il minimo segno di dolore o di sofferenza causata dall'arto rotto. Era in momenti come quello che Doran lo ammirava.
- Allora Jon, come andiamo? - gli chiese scherzosamente Ronas.
- Semmai ci siamo assomigliati adesso siamo due gocce d'acqua - replicò Uller, riferendosi alle braccia ferite di entrambi.
Tutti e tre scoppiarono in una grossa risata. Era sempre stato così, adoravano scherzare e fare battute tra di loro. La loro infanzia trascorsa a Lancia del Sole - più alla Città Ombra - era stato un periodo fantastico, Doran Wyl non lo rimpiangeva mai. Lui e Ronas erano cugini, il primo terzogenito di Lawren Martell, il secondo sempre terzogenito di Elaena Martell, andata in sposa a lord Vernan Wyl di Wyl. Jon Uller invece lo avevano incontrato un giorno che il lord suo padre era venuto in visita a Lancia del Sole, e da allora non se n'era più andato.
Avevano passato molti anni insieme, scoprendo i piaceri della vita - il sesso in particolare - e cercando avventure. Adesso avevano tutti e tre venticinque anni (Uller quasi ventisei, era il più vecchio dei tre) ed erano quasi dieci che viaggiavano senza meta per i Sette Regni. Qualcuno non vedeva ancora di buon occhio i cavalieri erranti, ma se c'era una vita da condurre Doran Wyl voleva che fosse proprio quella. Di certo però non voleva che né la sua né quella dei suoi amici terminassero in quel modo e soprattutto in quel luogo.
- A parte scherzi - fece Uller - Il maestro ha detto che devo tenere il braccio al collo per almeno una luna a partire da oggi. Che cazzo, mi sa che non potrò fare quel torneo a Delta delle Acque. Non vi dispiace allora se vi faccio da scudiero?
Risero di nuovo.
- Nessun dispiacere - replicò Ronas - Mi serviva proprio qualcuno che mi togliesse la merda da sotto gli stivali.
- A me invece c'è da riattaccare lo scudo dopo che quell'Arryn fetente me l'ha rotto - disse Doran.
- Strano che lo chiami fetente - ribatté Uller - A me risulta che combatterai per lui.
- Colpa di Ronas. Mi ci ha trascinato lui nel combattimento, come se in tutta la Valle non ci fossero stati altri cavalieri ansiosi di prendervi parte.
- Che c'è? - fece Lancialucente, mettendo la mano sana avanti - Mi serviva un po' di sostegno morale! Però non mi andava di lasciarti in tribuna a fare la lady che strilla e sviene, mi servirai a portata di mano.
Risero nuovamente, stavolta fino alle lacrime. Mentre se ne asciugava una Doran pensò che da nessuna parte si era mai sentito bene come in compagnia di Ronas e Jon. Non avrebbe scambiato il suo posto con nessuno, tantomeno avrebbe voluto perderlo in quel combattimento. Era determinato a non morire. "Sopravvivrò" si disse "Se c'è Ronas ne uscirò vivo, e anche lui. In fondo ha affrontato una battaglia, una vera battaglia. Cosa mai potrà esserci di peggio?".

Mai avesse formulato quell'ultimo pensiero. Giusto un'ora prima dell'inizio del giudizio il cielo cominciò a rannuvolarsi, e nel giro di pochi minuti si era passati da una splendida giornata ad una nera coltre minacciosa. Cominciò a piovere nella mezz'ora precedente, dapprima come una leggera pioggerellina che andò man mano ingrossandosi.
Iniziò anche a tirare un forte vento. Nella loro tenda i tre dorniani si stavano preparando, Ronas e Doran indossando le proprie armature e Jon Uller passandogli le armi. Doran guardò con apprensione la struttura di tela venire scossa dalle intemperie, ma sapeva dall'esperienza che non sarebbe crollata. Però... quel vento era davvero forte. Qualcuno avrebbe potuto benissimo venire sbalzato giù dalla propria sella.
Quando uscirono la terra si era già trasformata in un pantano di fango. I loro stivali di cuoio affondarono nella melma, ma fortunatamente non più di tanto in quanto le loro armature leggere aumentavano di poco il loro peso complessivo. Gli altri partecipanti invece, nelle loro armature di acciaio pesante, avrebbero sicuramente incontrato più difficoltà.
Raggiunsero i cavalli, li slegarono e vi montarono in sella. Erano nervosi per il temporale, e Doran dovette trattenere il suo quando un tuono rimbombò in lontananza. Serpe, il cavallo del Wyl, era giovane e aitante in confronto a Vecchio, il destriero di Doran. Si chiamava così perché era... vecchio. Da quando il precedente cavallo di Lancialucente era morto quattro anni prima Ronas aveva cominciato ad usare quello, chiamandolo così perché "Si vede che è vecchio! Non gli do più di un anno di vita, ma lo prenderò lo stesso.". E ne erano passati quattro, in cui l'anziano ronzino si era dimostrato più che affidabile per il dorniano.
Condussero piano i cavalli fino allo spiazzo del torneo per non farli scivolare nel fango. Si affiancarono agli altri partecipanti quando ormai mancavano solo dieci minuti all'inizio di tutto. I cavalieri si agitavano nelle loro armature, a disagio nella pioggia quanto i loro cavalli. Sopra di loro un fulmine illuminò la zona, seguito poco dopo da un fragoroso tuono. "Di bene in meglio" pensò tetro Doran.
Probabilmente lord Arryn stava tenendo un discorso o qualcosa del genere, a Doran parve di sentire la sua voce perdersi nel vento senza però riuscire a distinguere bene le parole. Dopo un po' si avvicinò Ubrick, l'araldo con cui Ronas aveva avuto un alterco, e fece cenno a tutti gli uomini a cavallo di avanzare.
Mentre declamava i nomi dei partecipanti - resi inudibili a causa di tutto il frastuono causato dal vento - i cavalieri si disposero lentamente alle estremità opposte del campo, mettendosi in fila come dei bravi soldatini. Per poco Doran a causa della scarsa visibilità non andò a sbattere contro un altro cavaliere, non avrebbe saputo dire chi. Doveva aguzzare gli occhi solo per vedere attraverso la fitta pioggia, e non si immaginava come dovesse essere per quelli bardati più pesantemente.
Provò a guardare verso le tribune d'onore, quelle riservate ai grandi lord. Riconobbe i contorni del palco, ma non riuscì a vedere più di così. Scorse del movimento, probabilmente anche quella zona era in subbuglio per l'imminente gara. Gli parve quasi di riuscire a scorgere la grassa figura di Bernyce Royce che spintonava dei malcapitati per arrivare al suo seggio d'onore.
Si accorse che la sua gamba destra ballottava. Lo faceva spesso quando era nervoso, e per cercare di fermarla vi mise una mano sopra. Non funzionò granché, sentiva l'irrefrenabile voglia di continuare a muovere l'arto.
Per cercare di calmarsi guardò chi aveva accanto. Alla sua sinistra c'era ser Cedric Frey, la Torre-di-Ghiaccio, lo riconobbe dalle torri blu su sfondo grigio della bardatura del cavallo. "Che assurdo soprannome" pensò Doran "Ne ho sentiti di migliori". Alla sua destra invece aveva ser Terrence Mooton, il quale stava parlottando con sé stesso dentro l'armatura. "Quello è matto" dedusse Doran "Sta parlando come se ci fosse qualcuno nell'armatura con lui. Mah, valli a capire questi Uomini dei Fiumi.". Poi si rese conto di ciò che stava pensando. "Che sto facendo?" si chiese "Forse sto per morire e mi ritrovo a pensare alla sanità mentale degli altri. Forse anch'io sono matto.".
Provò a scrutare davanti a sé per individuare il proprio avversario, ma la pioggia aveva reso impossibile anche vedere ad un palmo dal naso. Cercò allora di individuare Ronas tra i suoi alleati, ma oltre la cresta blu di Cedric Frey il mondo piombava in un grigiore spazzato dal vento, mentre era sicuro del fatto che Mooton fosse quello che delimitava l'ala destra dello schieramento. Decisamente una pessima giornata per effettuare un giudizio dei sette.
Arrivarono degli scudieri fradici, i quali consegnarono ad ogni cavaliere delle lance appositamente fabbricate. La lancia di Doran era stata colorata di giallo e di verde, i colori della sua casata, con anche dei pallini rosa qua e là ad indicare la gamba che veniva morsa dalla serpe dei Wyl nell'emblema. "E' bella. Peccato che tra pochi minuti debba già finire distrutta", perché probabilmente quella sarebbe stata la sua fine.
La lancia si rivelò molto più pesante del previsto. Quella da torneo era parsa più leggera a Doran, anche se pure quella aveva una certa massa. Dovette aiutarsi con entrambe le braccia ad issarla, e trovò un po' di difficoltà a sorreggere sia quella che lo scudo. Pensò di abbandonarlo, ma sarebbe stata davvero una pessima scelta. Riuscì in qualche modo a tenere in equilibrio la lancia, ma cominciò a sentire il proprio braccio cedere lentamente. Pregò che il segnale di inizio arrivasse presto.
E quando quello arrivò l'uomo si pentì subito di averlo chiesto. Tutti diedero di speroni ai propri destrieri, e altrettanto fece Doran con Serpe. Il cavallo nitrì e partì al galoppo, facendo quasi cadere all'indietro il cavaliere che lo montava. La lancia si sbilanciò pericolosamente, rischiando di finire contro Mooton. Fortunatamente Doran riuscì a riacquistare il controllo dell'arnese e lo puntò di nuovo in avanti.
Mentre avanzava aguzzò la vista per vedere chi sarebbe stato il suo avversario. Distinse un'imponente figura in mezzo alla foschia, e man mano che si avvicinava la riconobbe: vide uno scudo con le torri gemelle blu su sfondo grigio, e visto che due Frey su tre erano con ser Boras quello non poteva essere altri che ser Gregor Frey, la Torre-che-Crolla. "Di bene in meglio" pensò Doran in un attimo.
Le punte delle lance si stavano avvicinando velocemente l'una all'altra, e Doran riconobbe le sagome degli altri sfidanti avversari. Mooton, che aveva spronato più di tutti il cavallo, impattò per primo contro un cavaliere minuto che non poteva essere altri se non lord Morton Hunter. Ser Terrence venne sbalzato giù di cavallo, mentre lord Morton proseguì la sua corsa andando dietro a Doran.
Gregor Frey cercò di raddrizzare la propria lancia a pochi attimi dall'impatto, e Doran cercò di fare lo stesso con la propria. Da come però venne direzionata al momento dello schianto il dorniano capì di aver dolorosamente sbagliato i calcoli. La sua lancia infatti riuscì a passare tra lo stretto spazio che correva tra lo scudo e il busto di ser Gregor, finendo nel vuoto dietro di lui. L'uomo ebbe un moto di terrore e se la fece scappare di mano.
La lancia della Torre-che-Crolla invece lo colpì in pieno, al fianco. Doran si sentì immediatamente scaraventare di lato in un'esplosione di dolore, e in un attimo perse il controllo delle briglie. Cadde sul fianco destro nel fango, Serpe che continuava a galoppare nonostante fosse rimasto senza cavaliere. Impattando batté la testa, e immediatamente perse i sensi.

Quando si risvegliò il clangore della battaglia che infuriava attorno a lui lo accolse prontamente. Riprese lentamente i sensi, restò fermo ad osservare le gocce di pioggia che cadevano nel fango tutt'attorno a lui. Riuscì a muovere la mano, e con essa cercò di pulirsi gli occhi dal fango, tentando di vedere qualcosa.
E fu così che si accorse di essere faccia a faccia con un cadavere. La faccia bianco cereo solcata da fiumi d'acqua piovana, gli occhi sbarrati e lo squarcio sanguinante nella gola fecero venire un colpo al giovane dorniano. Si spaventò a morte e cacciò un urlo che passò del tutto inascoltato nel caos dello scontro, allontanandosi di qualche pollice. "E' un cadavere" cercò di calmarsi il più in fretta possibile "Non può farti niente. Ciò che è morto resta morto".
Era Layn Corbray. Un grosso squarcio nel collo, visibile al di sotto dell'elmo ammaccato, gli deturpava il pur gradevole aspetto. Il sangue a terra era ancora poco, segno che era morto recentemente, e che il suo uccisore probabilmente era ancora nei paraggi. "Merda, mi devo muovere. Qui rischio seriamente di lasciarci la pelle. Se la spada valyriana non ha difeso lui...".
Si alzò in piedi, sputando un po' del fango che gli era finito in bocca. Estrasse immediatamente la propria lama dal fodero, un modello più corto e maneggevole a differenza di quelle degli avversari, e assunse una posa guardinga. Assomigliava più ad una daga lunga, a pensarci bene. Anche Ronas e Jon ne avevano di simili. "A proposito, dov'è Ronas?" si chiese.
Si guardò intorno. A terra, oltre a Corbray, giacevano anche Boras Templeton, i capelli bianchi inzaccherati dal fango, e Roland Frey, ferito ad una gamba. "Corbray e Stellabianca sono morti. Siamo avvantaggiati nel numero, anche se la Torre-In-Fiamme non può più combattere. Arceus, vedi di non fare cilecca.".
Un luccichio attirò la sua attenzione, e voltò immediatamente lo sguardo. Proveniva da una spada, e Doran non faticò ad indovinare quale fosse dato che Lady Forlon non era col corpo di Corbray. Non ci fu nemmeno bisogno di provare a pensare chi fosse il suo uccisore, dato che era Terrence Mooton ad impugnarla. Subito dopo aver ucciso Corbray doveva avergli rubato la spada per sostituirla alla propria, e con la nuova lama aveva subito ingaggiato un combattimento con lord Hunter, il quale non sembrava però impiegare molta difficoltà a tenere a bada quel cavaliere dall'indole malsana.
Altri scontri nel vivo erano quelli tra i due Frey, i due Redfort e i due Arryn, segno che le faide familiari erano infine riemerse tra tutti i partecipanti. Sembrava però che per quel momento Doran fosse passato inosservato, perché altrimenti probabilmente sarebbe già stato a combattere contro qualcuno. "Trova Ronas, non ti distrarre!" gli ricordò una voce nella propria testa. Spaziò lo sguardo sulla battaglia, ma non riuscì ad individuare l'amico.
- Doran!
Infatti ci aveva pensato Stellalucente ad individuare lui. Il dorniano si voltò subito nella direzione opposta, e fu contento di vedere il viso familiare venirgli incontro. Solo... c'era anche qualcun'altro vicino a lui. Un ombra gli si stava avvicinando furtiva alle spalle, e Doran intuì chi potesse essere.
- Attento! Dietro di te! - gli gridò, cercando di farsi sentire.
Probabilmente ebbe successo, perché l'attacco lanciato da Simisage finì nel vuoto appena sopra la spalla di Ronas, che aveva proprio fatto in tempo a scansarsi. Il cavaliere provò a girarsi, ma si ritrovò immediatamente addosso il pokemon, che lo trascinò subito nel fango e cominciò una zuffa talmente veloce che Doran da spettatore fece fatica a distinguere chi stesse colpendo chi.
Evitò il colpo proveniente da dietro solamente per la propria prontezza di riflessi. E anche perché aveva sentito i pesanti calzari di verro cozzare contro il fango alle sue spalle. Si scansò repentinamente verso sinistra, e dove un attimo prima c'era lui calò un grosso spadone intriso di sangue. "E' enorme! Chi mai...". La risposta gli arrivò immediatamente.
- Fanculo, stronzo di un dorniano.
Era Gregor Frey, la Torre-che-Crolla. Dietro di lui, a una decina di piedi di distanza, si poteva scorgere il corpo senza vita del fratello Cedric, l'armatura e l'acciaio che la componeva deformati dove lo spadone l'aveva trapassato. "Ecco perché è pieno di sangue. Ora che anche l'altro Frey è morto dovremmo essere cinque contro cinque. Merda, non si mette bene.".
Frey si fece di nuovo avanti, brandendo la propria grande arma. Era davvero minaccioso in quella sua enorme armatura e con quello sguardo iniettato di sangue, ma Doran non si lasciò intimidire. Aveva visto di peggio, una volta lui e Jon avevano fatto a botte con alcuni armigeri di lord Tarly. Il Cacciatore Pazzo li aveva lasciati andare solamente perché con loro c'era anche Ronas, ma quell'esperienza era comunque stata ben più paurosa di ciò che stava vivendo in quel momento, anche se decisamente meno importante.
Provò a sincronizzarsi con i movimenti dell'avversario. Non era certo un asso del combattimento come l'amico, ma se la sapeva cavare egregiamente come tutti i dorniani che si rispettino. Frey si stava avvicinando a passi lenti ma concisi, e Doran capì subito che il momento giusto per attaccarlo sarebbe stato quando si fosse sbilanciato per colpirlo. Si preparò a scattare, sperando di non scivolare sul fango in quel momento cruciale.
Uno, due, tre secondi, Frey continuava ad avvicinarsi sempre di più con la sua lama insanguinata. Doran avvertì ogni singola goccia di pioggia cadergli in testa e ogni singola folata di vento schiaffeggiargli il viso. Sapeva di essere pericolosamente vicino alla morte, ma del resto ad andare in giro con uno come Ronas ci si poteva sempre essere. Erano i rischi del mestiere del cavaliere errante in fin dei conti.
La Torre-che-Crolla fece mulinare la spada con una lentezza sfiancante, al dorniano parve vedere tutta l'azione in modo rallentato. Si gettò alla destra del cavaliere, passando poco al di sotto della traiettoria della sua spada. Scivolò nella mota e si lasciò trascinare per inerzia, mentre con la sua lama provò a fendere l'avversario. Il rumore dell'acciaio che cozzava contro altro acciaio risuonò per tutto il campo di battaglia, misto ovviamente a grida, imprecazioni e suoni vari. La spada del dorniano rimbalzò contro le protezioni dell'Uomo dei Fiumi, non causandogli alcun danno.
"Merda.". Frey provò a colpirlo di nuovo, ma anche stavolta fu troppo lento e Doran fece in tempo a scansarlo. Stavolta però non cercò di colpirlo, sapeva già che non avrebbe avuto successo. Non poteva combattere alla cieca, doveva trovare un suo punto debole. E quel bestione non sembrava averne, almeno di visibili. L'unica parte scoperta era il volto - Frey aveva sollevato la visiera - e a meno di non colpirlo lì non l'avrebbe mai sconfitto. Avrebbe significato ucciderlo. "Lui ci ha provato con me, è bene che gli ricambi il favore.".
Continuò ad evitare il colpi di Frey, spingendosi ogni volta un po' più lontano in modo che il cavaliere dovesse arrancare per raggiungerlo. Se dalla sua parte la Torre-che-Crolla aveva la stazza Doran possedeva molta più agilità, la quale gli sarebbe senz'altro tornata utile. Il grosso nemico cominciò a fare sempre più fatica per raggiungerlo, stremato dal combattimento precedente ma deciso a non demordere dal poter uccidere una seconda preda. Del resto anche Doran era sfinito per il colpo di lancia infertogli poco prima dallo stesso Frey, ma cercava di tollerare il lancinante dolore al fianco.
Trovò il momento giusto quando Frey, con un possente urlo, si lanciò alla carica in un ultimo e potente attacco. Doran gli si fece incontro, quasi a voler incontrare la sua spada, ma proprio mentre la lama gli stava per calare sulla testa scivolò intenzionalmente, finendo a terra e aggrappandosi alle gambe di Frey. Il grosso cavaliere, colto di sorpresa, provò a staccarselo di dosso col solo risultato di perdere l'equilibrio e finire nel fango anche lui.
Il dorniano uscì frastornato dallo scontro, avendo sbattuto la testa sia dopo la caduta accidentale che quando la Torre-che-Crolla gli era finito addosso, ma si riprese quando vide la spada di Frey giacere a poca distanza, immersa nel fango. "Deve averla persa nella caduta.". In quel preciso istante realizzò di avere la sua occasione.
Cercò la propria spada, trovandola sotto una delle gambe di ser Gregor. Faticò non poco ad estrarla, complice anche la mole dell'avversario. Era rimasta incastrata, e l'altro per giunta si stava riprendendo dopo essere rimasto stordito per alcuni attimi dalla caduta. "Dai, forza, forza, vieni fuori...".
Con un sibilo la lama emerse dal fango, scintillando mentre veniva bagnata dalla pioggia, l'acciaio gocciolante solcato da decine di fiumiciattoli. Doran restò per un attimo a rimirarla. "La mia spada non è mai stata così bella come in questo momento.". Poi si decise ad agire. Riuscì a mettersi sopra a Frey in una posa per la quale i suoi amici in circostanze normali l'avrebbero sicuramente preso in giro per mesi, e puntò la spada verso la testa di Frey.
Il cavaliere, nonostante non si fosse ripreso del tutto, capì subito le intenzioni dell'avversario, e provò a divincolarsi. Non fosse stato per la sua velocità Doran probabilmente sarebbe scivolato di lato, ma riuscì in qualche modo a far calare il braccio sulla faccia di ser Gregor. La lama non incontrò praticamente resistenza, ma Doran continuò ad affondare la spada. Sentiva il corpo sotto di sé muoversi ancora e non voleva correre rischi, e si fermò solo quando sentì il metallo grattare contro gli anelli della cotta di maglia del paracollo dell'avversario.
Solo a quel punto ritirò l'arma, estraendola da quel che rimaneva della faccia di ser Gregor. Doran guardò con un misto di orrore e fascino il suo operato: la spada era penetrata nella guancia, perforando la gola della Torre-che-Crolla. L'elmo dell'enorme cavaliere cominciò a sembrare un mare da quanto sangue cominciò ad uscire dalle ferite e ad accumularcisi dentro.
Pensare che tutto quel macello da lui causato poco prima era senziente e si muoveva gli fece provare una sensazione strana. Aveva combattuto, ferito e menomato altri uomini prima di allora, ma questa era la prima persona che uccideva. La vista comunque non gli provocò particolari emozioni. "Ho visto di peggio" pensò "Come quando quel matto di lord Tarly fece mangiare un serpente vivo a quel criminale".
Restò ad osservare il cadavere per alcuni attimi, i quali comunque gli sembrarono degli anni. Poi il fragore della battaglia lo richiamò alla realtà e si voltò ad osservare gli altri combattimenti, ai quali precedentemente non aveva prestato attenzione. Bors e Jonothor Arryn stavano ancora combattendo, il primo con vari squarci nell'armatura e con l'aquila dell'elmo tagliata, mentre il secondo con la testa scoperta e sanguinante per una ferita. Sembrava che non si fossero mai dati tregua per tutto il tempo dello scontro. Lo stesso si poteva dire per i due Redfort, anche se Piccolatorre piegava una gamba in modo strano.
Ma lo scontro che più di tutti catturò la sua attenzione fu quello tra Mooton e lord Hunter. Il suo sguardo venne richiamato da un vero e proprio lampo che quasi lo spaventò. Pochi istanti dopo ne seguì un altro, e Doran con sgomento realizzò che proveniva... dalla spada di Mooton! Lord Hunter sembrava in difficoltà ma non di certo intimorito, nella sua lunga vita doveva aver visto cose ben più incredibili.
Un nuovo fulmine carico di elettricità attraversò l'aria, andando a scaricarsi nel terreno poco lontano. Doran poté udire le grida spaventate degli spettatori, anche se solo come eco lontane in quella cacofonia di suoni. Buttando alle ortiche ogni sorta di prudenza si avvicinò, provando a scoprire la causa di quello strabiliante fenomeno. "Non esistono lame magiche, dev'esserci una ragione perché faccia così.". Quando fu a meno di una decina di piedi di distanza si fermò per non rimanere coinvolto dallo scontro, aguzzò la vista e...
"Bastardo, così non vale.". Poco sopra l'elsa della spada di Mooton era appostato un piccolo Joltik, largo a malapena quanto la lama. Il minuscolo pokemon era carico di elettricità, Doran lo poteva vedere anche da lontano emettere in continuazione un mare di scintille, e ogni qualvolta la spada di Mooton si scontrava con quella dell'avversario impregnava il ferro di energia elettrica, provocando luminosi fulmini al contatto delle due lame. Il dorniano non aveva idea se ciò servisse solo a fare scena o potesse effettivamente danneggiare lord Hunter, ma lo considerò ugualmente una scorrettezza. "Ecco con chi parlava prima della carica. Gli stava impartendo gli ordini, quel maledetto bastardo.".
Nei giudizi dei sette erano ammessi solo i cavalieri e nessun esterno - uomo, animale o pokemon che fosse - poteva prendervi parte. Doran odiava chi si comportava slealmente violando le regole, e anche se apparteneva ad una religione diversa non poteva sopportare una scorrettezza palese come quella.
Forse in un altro momento ci avrebbe pensato su due volte - e magari anche di più - ma improvvisamente una rabbia incontenibile prese il sopravvento su di lui. Non riuscì a controllarsi, complice anche la ferocia che quella battaglia richiedeva, e cominciò ad avanzare verso Mooton. Non gli passò neanche per la testa che il cavaliere fosse un suo compagno in quella lotta, semplicemente lo voleva punire.
Lord Hunter aveva appena parato un fendente con lo scudo, lasciandolo sollevato. Il suo avversario stava provando a sfruttare quel momento in cui l'anziano lord aveva la guardia aperta per colpirlo, ma fu la spada di Doran la prima ad agire. Il dorniano non calcolò nemmeno con precisione dove volesse esattamente andare ad impattare, semplicemente caricò un potente colpo e lo sferrò con tutta la forza che riuscì a mettere nel braccio.
La lama colpì ser Terrence sulla spalla destra, molto vicino all'articolazione che la univa al braccio. Risuonò un inquietante rumore metallico quando la spada colpì l'armatura, deformandola. Mooton, colto di sorpresa, urlò di dolore e lasciò cadere la spada oltre che il suo intero corpo a terra. Doran poté scorgere lo sguardo stupefatto di lord Hunter attraverso la celata dell'elmo.
- Per la bontà del Guerriero! - sembrò esclamare lord Hunter sotto la celata, anche se era difficile distinguere le sue parole.
Doran avrebbe voluto gridargli qualcosa di rimando, ma tutto d'un tratto gli mancò il respiro. Mooton era stato sorprendentemente veloce a rialzarsi, e il suo pugno aveva colto il dorniano completamente di sorpresa. Essendo girato non se n'era potuto nemmeno accorgere, e finì gambe all'aria in men che non si dica, la spada che volava chissà dove.
Perse l'orientamento per qualche attimo, quanto bastò a Mooton per scagliarsi contro lord Hunter e farlo cadere a terra. Impiegò sorprendentemente poco tempo per sistemare il nobile, e qualche secondo dopo, proprio mentre Doran cercava di rialzarsi in piedi, si attestò davanti al dorniano e con un calcio in pieno petto lo rispedì a crogiolarsi nel fango.
- Traditore - fece il cavaliere - Come hai osato attaccare un tuo compagno di squadra? Questo è un giudizio sacro agli dei!
- Forse ai tuoi, ma non ai miei - ribatté Doran, sputando un grumo di fango che gli era finito in bocca - E il traditore siete voi, ser Terrence, visto che avete violato le regole.
Messo davanti al fatto compiuto, l'altro non poté far altro che digrignare i denti per la frustrazione sotto l'elmo, o almeno questo Doran si figurò.
- Idiota di un dorniano, la pagherai. Joltik, carica.
La spada che ser Terrence impugnava si illuminò per le scintille che in quel momento il piccolo pokémon cominciò ad emettere. Il cavaliere se la portò frontalmente, impugnandola a due mani e preparando un fendente che probabilmente avrebbe tagliato a metà il dorniano nell'eventualità quasi sicura che lo centrasse.
- Muori!
Sembrò passare appena un attimo prima che il fulmine colpisse Doran. Fu come se tutta la sua pelle avesse preso fuoco nello stesso momento, come se fosse stato messo al rogo. Il dolore che provò in quel momento era qualcosa di indescrivibile, che mai aveva sperimentato prima di allora, e fu probabilmente per questo che svenì. Prima di perdere i sensi riuscì però a vedere che un'altra sagoma si era sovrapposta a Mooton, parando il colpo. Poi però più nulla.

Si risvegliò all'asciutto. Immediatamente cominciarono i dolori, e ancora prima di aprire gli occhi sentì un fremito che lo attraversava. Gli venne l'istinto di muoversi, e immediatamente tutti i muscoli del suo corpo gridarono per la sofferenza. Gli sfuggì un gemito non appena provò a muoversi, gemito che non passò inosservato a chi gli stava accanto.
- Ben svegliato, ragazzo. - fece una voce vicino a lui.
Fu allora che Doran riaprì gli occhi. Non era più sul campo di battaglia, ma all'interno di una tenda. Un focolare ardeva in un braciere poco lontano, e una debole luce rischiarava la seta marroncina di cui erano composte le pareti della struttura. Stava disteso su un giaciglio di legno foderato di paglia, e accanto a lui c'era un seggio. E sul seggio c'era un uomo.
Sembrava anziano, almeno questo suggerivano i capelli grigi che gli attorniavano la fronte e le rughe che la solcavano. La sua faccia era piccola e canuta, ma in compenso appariva gentile e rassicurante. "Un benefattore" fu la prima cosa che pensò Doran una volta che lo ebbe guardato in faccia per la prima volta. Poi lo sguardo gli cadde su uno scudo appoggiato accanto all'ingresso della tenda; uno scudo marrone recante tre frecce bianche legate assieme.
Fu allora che realizzò che chi aveva davanti era lord Morton Hunter, uno dei più formidabili cavalieri viventi dei Sette Regni, oltre che uno dei più nobili signori della Valle di Arryn. Nonché suo avversario durante il giudizio dei sette di poco prima, avversario che però Doran aveva soccorso contro ser Terrence Mooton. A proposito, che era successo? Dov'erano Mooton, gli Arryn, i Redfort, Ronas, il Simisage e tutti gli altri? Com'era finito il giudizio?
- Lord Hunter - farfugliò il dorniano, ancora stordito - Voi... cosa...
- Zitto, ragazzo - gli intimò Hunter, senza tuttavia apparire arrabbiato - Il septon ha detto che non devi sforzarti troppo per qualche giorno, per cui ascoltami. Non so cosa ti sia saltato in mente prima quando sei venuto ad aiutarmi, potevo benissimo cavarmela da solo. Ho affrontato situazioni peggiori di quella nella mia vita, come alle Tre Sorelle o quando facevo il mercenario per la Compagnia Dorata nelle Stepstones. Nessuno aveva chiesto il tuo aiuto.
Doran sapeva di essere stato inopportuno, ma non si immaginava così tanto. Si preparò mentalmente per una sfuriata e magari anche per qualche conseguenza spiacevole. Doveva aver compreso che ad aiutare gli sconosciuti non ci si guadagnava mai nulla, eppure si ostinava ad essere sempre gentile. Dannato il suo spirito cavalleresco.
- Eppure - continuò lord Hunter - Devo ammettere che il tuo intervento è stato provvidenziale. Mi trovavo in seria difficoltà; certo, avevo già combattuto contro dei pokémon in vita mia, ma mai contro una di quelle bestie in comunione con un umano. Ero un po' disorientato a dir la verità. Ma grazie al tuo aiuto ho abbattuto l'avversario.
- L'avete... - chiese Doran - L'avete ucciso?
- No, assolutamente - rassicurò il lord - Solo, gli ho lasciato un paio di dita in meno per ricordargli di non riprovarci mai più a fare una slealtà del genere.
Il dorniano restò in silenzio per un attimo.
- Il giudizio - chiese poi - com'è finito?
- Ahimè, avete vinto voi - si lamentò Hunter - Jonothor Arryn si è arreso a suo fratello poco dopo la tua dipartita. Saranno passati meno di due minuti, ma è successo di tutto in quel mentre. Alla fine, quando l'Arryn minore si è arreso, si è fatta la conta dei morti. Dalla tua parte sono deceduti la Torre-di-Ghiaccio, trafitto all'inizio da una lancia, e anche ser Justin Piccolatorre, ucciso dall'altro Redfort che comunque è perito anch'egli per mano del tuo amico Lancialucente.
"Alla fine Ronas ha sistemato quel bestione. Ben gli sta".
- Dalla nostra parte invece - continuò Redfort - Oltre a Torrerossa anche Layn Corbray, ser Boras Templeton e la Torre-che-Crolla sono morti. Che destino crudele, troppi giovani di grandi casate sono morti oggi. E se penso che quell'indegno di Mooton dopo aver ucciso Corbray ha osato impugnare Lady Forlon... bah, non voglio nemmeno pensarci.
Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale Doran rabbrividì ripensando a Gregor Frey e alla fine che gli aveva fatto fare.
- Alla fine lord Arryn - continuò l'altro - Ha dovuto esiliare suo fratello per la falsità comprovata delle accuse da lui mosse. Mi dispiace per lui, ma questa è la legge degli dei.
"Ben gli sta a quel fetente" pensò Doran compiaciuto. Jonothor Arryn non gli era mai stato simpatico, e a prescindere se avesse ragione o meno ad accusare ser Bors dello stupro della sua promessa sposa era contento per com'era finita tutta quella storia.
- Da quanto sono qui?
- Tre giorni. - rispose lord Hunter - Ormai la maggior parte dei nobili se n'è andata. Sono rimasti solo il mio seguito e pochi altri che hanno deciso di intrattenersi con lord Arryn e col giovane principe Daeron. Oltre anche ai tuoi amici.
- Sono qui?
- Sì, stanno qui fuori, sono ansiosi di parlarti. Visto che adesso sei sveglio vado a chiamarli.
Il lord si alzò e si diresse verso l'ingresso della tenda. Prima di scostare la seta che la divideva dall'esterno però si voltò e riprese a parlare al dorniano.
- Comunque grazie per ciò che hai fatto. Sono decenni che sono un cavaliere, ma non ho mai visto un comportamento lodevole come il tuo. Sarai sempre il benvenuto a Sala dell'Arco Lungo, e anche i tuoi amici.
Detto questo uscì. Doran rimase nel silenzio più assoluto, a contemplare il fuoco che ardeva nel braciere. Poteva sentire le voci lontane di Ronas e di Jon che discutevano con lord Hunter, e decise di godersi quell'attimo di pace prima della tempesta di domande che sicuramente gli avrebbero rivolto gli amici. Non poté fare a meno di sorridere. "In fondo" pensò "Non è stata una cattiva idea venire nella Valle.".

Note dell'autore
Nove mesi hanno contribuito a far risalire la mia voglia di continuare questa storia. Non assicuro aggiornamenti continui però, ho anche altro a cui pensare.

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