guida di sopravvivenza ai principi azzurri assassini

di Claire Penny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - La giornata del falò ***
Capitolo 2: *** Dolci amari ricordi ***
Capitolo 3: *** Ovunque ***
Capitolo 4: *** Rivincite ***
Capitolo 5: *** Non c'è (quasi) nessuno ***
Capitolo 6: *** Un gioco da vampiri ***
Capitolo 7: *** Scheletri nell'armadio e pietre preziose sulla coscienza ***
Capitolo 8: *** Il re delle fate e l'angelo custode ***
Capitolo 9: *** Vecchie conoscenze ***
Capitolo 10: *** Salti nel vuoto ***
Capitolo 11: *** Assassine ***
Capitolo 12: *** Bugie, mezze verità e realtà distorte ***
Capitolo 13: *** Sopravvissuta ***
Capitolo 14: *** Il primo morso ***
Capitolo 15: *** Preparativi per un ballo di copertura ***
Capitolo 16: *** Indovina chi viene a cena...? ***
Capitolo 17: *** Tra piani ben studiati, strani incontri e musica di dubbio gusto (parte 1) ***
Capitolo 18: *** Tra piani ben studiati, strani incontri e musica di dubbio gusto (parte 2) ***
Capitolo 19: *** Risposte ***
Capitolo 20: *** Poesie mortali ***
Capitolo 21: *** Gratitudine ***
Capitolo 22: *** Ho imparato ad odiare ***
Capitolo 23: *** Bramosia ***
Capitolo 24: *** Colpe ***



Capitolo 1
*** Prologo - La giornata del falò ***


Dal diario di Em, 1 ottobre:
 «[…]Dunque, sono qui che fingo di prendere appunti mentre il prof di chimica blatera in quella che comincia a sembrarmi a tutti gli effetti una lingua sconosciuta, come se qualcuno dei presenti riuscisse a seguire qualcosa durante la prima ora di lezione. Illuso.
Oggi è il primo giorno di ottobre, il che significa che Serena sarà di pessimo umore. Anche senza guardare sull’agenda ricordo bene cos’ha in programma per il nostro incontro dopo la scuola; ce l’ha ripetuto ogni giorno nelle ultime due settimane, per cui sono sicura che se le altre lo dimenticheranno Serena avrà la sua crisi isterica mensile e decisamente non ho voglia di sorbirmela.
Per quanto mi riguarda, ho fatto la mia parte; al contrario delle altre però, io non sono così entusiasta per quanto succederà oggi, anzi, sono più che altro preoccupata. Ormai l’esistenza del club è di dominio pubblico e se, o meglio, quando anche noi-sappiamo-chi lo verranno a sapere – se non l’hanno già scoperto grazie ai loro misteriosi metodi segreti – sono abbastanza sicura che non verranno a congratularsi con noi per l’ottima pensata. Permalosi come sono, potrebbero escogitare qualche genere di ripicca. O di vendetta

Il momento in cui Em scrisse l’ultima parola, corrispose a quello in cui la campanella suonò per segnare la fine dell’ora e, mentre tutti si apprestavano ad alzarsi, il professore gridò alla classe le pagine da ripassare, rimanendo però inascoltato.
Em si recò al proprio armadietto camminando con aria tranquilla e sicura di sé, come se andasse tutto bene e, anche se sapeva che in realtà quasi niente in quel momento andava bene, risultava ormai molto convincente nel fingere il contrario. Del resto era da un anno che recitava quella parte, sperando che un giorno si sarebbe talmente immedesimata in tale ruolo da autoconvincersi che tutto andasse bene davvero.
Quando fu sul punto di girare l’angolo un brivido le corse lungo la schiena, spingendola a rallentare il passo. Poi però proseguì, cercando di farsi coraggio. Il suo sforzo venne ricompensato quando vide che davanti al suo armadietto non c’era nessuno e che sembrava tutto in ordine e la sensazione costante sensazione d’inquietudine che solitamente l’accompagnava per buona parte della giornata lasciò il posto ad una sensazione di sollievo temporanea.
Mentre prendeva i libri che le sarebbero serviti per la lezione successiva, lanciò uno sguardo al ripiano più alto, dove si trovava una busta di plastica che conteneva il necessario per quella che Serena aveva rinominato la “Giornata del Falò” e sospirò. Sentiva che quello sarebbe stato un lungo ottobre.
La scuola finiva alle tre in punto, mentre l’appuntamento per il falò da Serena era alle tre e mezzo. Dato che la casa di quest’ultima non distava solo pochi isolati dalla scuola, Em decise di lasciare la sua auto nel parcheggio dell’istituto e di andarci a piedi. Almeno in quel modo avrebbe potuto perdere un po’ di tempo.
Giunta a metà del vialetto però notò Aly che, appena fuori dal cancello discuteva animatamente al telefono per poi riattaccare di punto in bianco e lanciare tra sé un’imprecazione.
-Ehi, Aly, che succede?- chiese Em quando la raggiunse, anche se un’ipotesi più che valida le era venuta in mente nel momento stesso in cui l’aveva vista.
La ragazza voltò verso Em, e quest’ultima notò che nei suoi occhi c’era qualcosa di molto simile al terrore.
-La mia auto è dal meccanico, ho dimenticato la roba per l’incontro di oggi, mia mamma non risponde al telefono e ci restano solo venti minuti! Se Serena lo scopre mi becco la sua superpredica e sinceramente preferirei evitarla- rispose, agitata. -Tu te ne sei ricordata?-.
Em come risposta le mostrò la busta di plastica. Riguardandola le tornò in mente la bugia che aveva rifilato a sua madre quando quella mattina quest’ultima le aveva chiesto come mai stesse portando i suoi libri, gli stessi che fino a poco tempo fa considerava i suoi preferiti, a scuola. “Dei volontari dell’ospedale raccolgono libri per i bambini e i ragazzi ricoverati”, era la risposta che Serena aveva suggerito di dare nel caso qualcuno avesse fatto domande, proprio come era successo ad Em.
-Se aspetti tua madre non ce la farai ad arrivare in tempo. Dai, vieni con me, ti accompagno con la mia macchina- propose.
Aly le saltò al collo e l’abbracciò forte, ripetendo la parola “grazie” tante volte e tanto rapidamente da farlo sembrare uno scioglilingua. Em, suo malgrado, sorrise e si diressero insieme verso il parcheggio.

* * *

Dal diario di Serena, 1 ottobre:
«Oggi sento che potrei uccidere.
Sul serio, se oggi qualcuno mi farà arrabbiare, non risponderò delle mie azioni. Questo periodo dell’anno stuzzica la mia irascibilità e non posso farci niente, se non provare in qualche modo a distrarmi. Fortunatamente, al momento ho un’ottima scusa per non pensare alle 1001 ragioni per cui dovrei essere incavolata con l’intero universo: oggi le ragazze verranno a casa mia per la prima volta dopo il trasloco, quindi ho deciso di impegnarmi nelle pulizie. Almeno per un po’ terrò lontana la mia mente dai brutti pensieri. […]»

Serena finì di sistemare le ultime cose in previsione di quello che sarebbe successo di lì a pochi minuti. Erano oltre due settimane che organizzava quel pomeriggio e niente doveva andare storto. Le altre sarebbero arrivate da un momento all’altro e voleva che tutto fosse pronto per l’evento di quel giorno.
Suo padre era al lavoro e non sarebbe tornato prima delle sette, come ogni giorno.
Alle tre e trenta in punto il suono del campanello invase la silenziosa quiete della casa. Serena non amava particolarmente quelle mielose note che annunciavano l’arrivo di qualcuno ma in quel momento le parve la musica più bella che avesse mai sentito e si precipitò subito alla porta. Quando aprì si trovò davanti Aly, Clare ed Emily.
-Ciao, Serena- salutarono in stereo le tre ragazze.
Serena rivolse loro un caloroso sorriso e le invitò ad entrare, dopodiché si fece consegnare le giacche delle sue ospiti e le ripose ordinatamente nell’appendiabiti all’ingresso.
-Caspita, la tua nuova casa è bellissima e soprattutto enorme!- commentò Clare, guardandosi intorno.
-Ehm, grazie- rispose Serena, cercando di sfoderare la sua aria più disinvolta da perfetta padrona di casa.
Dopo i convenevoli di rito, Serena condusse le sue ospiti nel seminterrato che suo padre aveva adibito a secondo soggiorno. Purtroppo  l’arredamento era ancora un po’ spartano e la temperatura leggermente più bassa rispetto al salotto del pianoterra, ma nella Giornata del Falò, come suggeriva il nome stesso, serviva un caminetto e l’unico che c’era in casa si trovava lì. Serena si era quindi attrezzata con plaid, tè e cioccolata calda, in modo da mettere le sue ospiti il più possibile a loro agio. Era la prima volta che invitava delle ragazze nella nuova casa e voleva fare una buona impressione a tutti i costi. Aly fu la prima a notare tutto quello che era stato preparato per lei e le altre ospiti.
-Sei riuscita a fare tutto questo da sola e in meno di mezz’ora, solo per noi? Sei incredibile! Posso?- chiese, indicando una delle tazze di cioccolata ancora fumante e Serena annuì sorridendo.
Anche se cercava di non darlo troppo a vedere, ricevere complimenti dalle altre, specie dopo tutto il lavoro che aveva fatto per organizzare quel pomeriggio, per lei non poteva che essere una gran soddisfazione.
Qualche minuto più tardi arrivarono anche Rachel ed Elise, le ultime aggiunte al “club”. In realtà erano state le uniche ad essersi unite al gruppo, fino a quel momento. Clare, Em, Aly e Serena erano le fondatrici, anche se era stata quest’ultima a proporre l’idea che aveva dato il via a tutto.
Una volta che tutte si furono accomodate tra il divano e le due poltrone presenti, fu proprio Serena a prendere la parola.
-Allora ragazze, inutile girarci intorno, sapete perché siamo qui. Nelle ultime settimane abbiamo raccontato e condiviso le nostre esperienze, ci siamo confortate e sostenute. Tenete ancora il diario vero?-. Fece una pausa durante il quale guardò le ragazze una ad una e tutte loro annuirono. –Benissimo. Purtroppo abbiamo ancora molta strada da fare, ma abbiamo tutti gli strumenti per farcela e sono convinta che ne usciremo molto più forti di prima. Avete portato tutte i vostri libri? Bene, ammucchiateli qui davanti, al centro del tappeto-.
Tutte obbedirono, svuotando i loro sacchetti sul tappeto e creando una pila ordinata. I libri erano pressoché gli stessi, a parte qualche eccezione. Serena unì i suoi a quelli delle altre ed in breve le tre pile che avevano formato superarono il mezzo metro ciascuna.
In totale, quasi due metri di bugie che avevano incantato ed illuso tutte le ragazze presenti, spingendole a credere che avrebbero potuto far avverare uno dei sogni più  comuni tra le adolescenti – e non solo – ma anche più difficili da realizzare.
Purtroppo si erano accorte troppo tardi di essere rimaste vittime di una meravigliosa illusione terribilmente realistica e quello era il motivo per cui tutte e sei si trovavano lì in quel momento.
-Okay, adesso che si fa?- domandò Elise, fissando i libri.
-Accendiamo il fuoco- rispose semplicemente Serena. –Poi, una alla volta, buttiamo un libro tra le fiamme. Liberarci di ciò che ha dato inizio a tutto questo ci farà stare molto meglio, fidatevi-.
Nessuna obbiettò, sembravano essere tutte d’accordo, eccetto Aly, che pareva tutto meno che convinta. Serena si era aspettata una reazione simile da parte sua, del resto il suo era un caso un po’ particolare, forse il più grave tra quelli che aveva avuto modo di analizzare da quando il club aveva preso vita. Nei cinque stadi del dolore lei era rimasta ferma al primo, la negazione, molto più a lungo rispetto alle altre e, fino a non molto tempo prima, sembrava seriamente intenzionata a rimanerci. Negli ultimi tempi tuttavia aveva dato segno di qualche piccolo miglioramento e Serena si stava impegnando davvero a fondo perché Aly continuasse su quella linea.
Senza aggiungere altro, Serena avanzò verso il caminetto, dove aveva sistemato una piccola piramide fatta di legna e pagine di vecchi quotidiani, prese un fiammifero e lo strofinò contro il bordo ruvido della sua confezione, accendendolo, infine avvicinò la fiammella alla carta ed attese che prendesse fuoco. Una volta trasmessa la fiamma alla vecchia pagina di giornale, spense il fiammifero e attese, sperando che il fuoco non si estinguesse subito, come talvolta accadeva. Era stato suo padre ad insegnarle quella procedura qualche estate prima, quando facevano il barbecue nel giardino della loro vecchia casa.
Fortunatamente il fuoco non si spense e ben presto lambì la piccola piramide. Allora Serena si voltò verso le altre.
-Chi vuole cominciare?- chiese in tono allegro, nel tentativo di infondere un po’ di entusiasmo al gruppo.
Le ragazze si scambiarono qualche occhiata incerta ma alla fine, come c’era da aspettarsi, fu Clare ad alzarsi per prima.
-Al diavolo, comincio io- disse.
Si avvicinò al cumulo di libri, ne prese uno a caso e con passo sicuro si avvicinò al caminetto, dove il fuoco, nel frattempo, era rapidamente propagato. Nel momento in cui gettò il libro tra le fiamme, la piramide crollò sotto il suo peso. Clare rimase ad osservare quelle stesse lingue di fuoco annerire e poi iniziare lentamente a divorare i bordi delle pagine, dopodiché tornò al suo posto e, come per ricompensarsi, si ficcò in bocca una manciata di marshmellow.
Incoraggiate da quel gesto, anche le altre presenti si fecero avanti una alla volta per imitare Clare: prima Serena, poi fu il turno di Rachel, di Elise e di Em, la quale gettò il suo libro tra le fiamme con una facilità estrema, quasi come se, al contrario di coloro che l’avevano preceduta, a quel gesto non attribuisse alcun particolare significato. Non rimase nemmeno a guardare mentre il volume cominciava a bruciare e tornò subito al proprio posto, vicino a Clare.
A quel punto, Serena guardò Aly.
-Manchi solo tu- la incoraggiò.
Quest’ultima abbassò lo sguardo prima verso il mucchio di libri che andava riducendosi sempre di più.
-Io…io non sono più tanto convinta di volerlo fare- ammise.
Ne seguì un attimo di silenzio che fu Clare a rompere, esattamente un secondo prima che fosse Serena ad intervenire di nuovo.
-Non tirarti indietro proprio adesso Aly, non dopo tutti i progressi che hai fatto- la incoraggiò.
-Fallo, vedrai che poi ti sentirai più leggera- aggiunse Rachel e, accanto a lei, Serena annuì.
Inaspettatamente anche Elise, quella che fino a poco tempo prima era ridotta più o meno come Aly, intervenne.
-Credimi, lo sappiamo come ti senti, ci siamo passate tutte ma devi reagire. Fallo solo per te, per dimostrare a te stessa che puoi farcela-.
Alla fine, dopo un lungo sospiro, Aly si arrese, si alzò, prese un libro e lo gettò nel fuoco. Mentre tornava al suo posto, Serena iniziò ad applaudirla e le altre la imitarono. Aly sorrise per ringraziarle del loro sostegno, un vero e proprio evento considerato che da quando la conoscevano, raramente l’avevano vista sorridere.
Dopo quella sorta di rituale, il pomeriggio proseguì come un normale incontro tra amiche. Le ragazze parlarono a lungo della scuola, dei compiti che sembravano sempre troppi nonostante l’anno scolastico fosse cominciato da poco e di qualche pettegolezzo generico. Risero insieme mentre arrostivano i marshmellow, continuando a buttare qualche altro libro quando il fuoco cominciava ad affievolirsi e, una volta che tutti ebbero terminato la propria tazza di cioccolata, Serena, che avrebbe voluto che quel pomeriggio continuasse in eterno, propose di andare in cucina a prepararne dell’altra e tutte la seguirono.
Quando furono le sei e mezza il campanello annunciò l’arrivo della madre di Elise, venuta a prendere la figlia e Rachel. Serena la fece accomodare mentre le ragazze recuperavano i loro effetti.
A detta di Elise, la signora Wickham era il genere di madre che si preoccupava più di ciò che gli altri pensavano della sua famiglia, che della famiglia stessa. Controllava i figli in qualunque cosa facessero e ovunque andassero, facendo attenzione a far rispettare i rigidi orari e le consolidate abitudini che aveva stabilito ma, più che da un’eccessiva apprensione verso la sua prole, tutto ciò erano motivato principalmente dal suo desiderio quasi maniacale di mostrare alla gente del quartiere quanto la sua fosse il prototipo della famiglia perfetta.
Ovviamente la donna si mostrò gentilissima con le altre ragazze, ribadendo per l’ennesima volta quanto fosse contenta che sua figlia frequentasse delle brave ragazze di buona famiglia come loro, eccetera, eccetera. Solo a Clare riservò qualche occhiata diffidente, ma se non altro ebbe il buonsenso di non dire nulla di inappropriato.
Serena non poté fare a meno di pensare, sorridendo tra sé, che se solo avesse saputo la ragione per cui la sua adorata figliola frequentava quelle “brave ragazze”, probabilmente l’avrebbe spedita in un collegio in Svizzera seduta stante.
Dopo che Rachel ed Elise se ne furono andate, nell’arco di un’ora la casa si svuotò. Em ed Aly se ne andarono insieme circa mezz’ora dopo, mentre Clare rimase un po’ di più.
-Giù sono rimasti dei libri- avvertì quest’ultima
-Me ne occuperò domani- rispose Serena.
Seguì qualche minuto di silenzio, mentre sistemavano quant’era rimasto del loro pomeriggio insieme. Mentre infilavano le tazze della lavastoviglie, Clare riprese a parlare.
-Allora…a quanto pare ormai il nostro club non è più così segreto. Ho sentito per caso delle matricole che ne parlavano, l’altro giorno in mensa-.
Serena sospirò. –Sinceramente non ho mai creduto che la sua esistenza sarebbe potuta passare inosservata a lungo. Lo sai com’è, prima o poi qualcuno ci fa caso e comincia a parlarne. La voce si sparge e nel giro di un paio di giorni lo viene a sapere tutta la scuola-.
Già, nella scuola superiore di una piccola città come quella in cui vivevano, le novità erano poche e, di conseguenza, fare a gara a chi scopriva qualcosa di nuovo era al primo posto tra le attività più praticate. Al secondo posto c’era l’annoiarsi, seguito a ruota dal creare circoli e comitati che fungevano da copertura per gli scambi clandestini di pettegolezzi ancora non ufficiali. Quest’ultima voce era praticata soprattutto dalle casalinghe che non avevano granché da fare durante il giorno a parte tenere in ordine la casa, preparare pranzo e cena e preservare la patina di apparente perfezione che ricopriva ogni membro della propria famiglia. Tipo la madre di Elise.
-Credi che l’abbiano saputo anche i…diretti interessati?- chiese Clare, abbassando il tono di voce, come se temesse che qualcuno potesse essere in ascolto. Timore nemmeno troppo infondato, date le circostanze.
-E te lo chiedi? Conoscendoli saranno stati i primi a saperlo- rispose sicura Serena, mentre impostava il tipo di lavaggio per la lavastoviglie.
-Tu credi?-
-Certo. Loro sanno sempre tutto, hanno occhi e orecchie ovunque, l’hai dimenticato?- chiese, ironica per poi premere il tasto di avvio. A quel punto l’elettrodomestico cominciò ad emettere il suo ronzio tipico.
La conversazione non ebbe modo di proseguire perché in quel momento il padre di Serena entrò in casa. La sua solita aria stravolta da un’altra faticosa giornata di lavoro però scomparve non appena si accorse della presenza della loro ospite, lasciando il posto ad un caloroso ed accogliente sorriso.
Clare rimase fin quando Serena non ebbe finito di apparecchiare la tavola dopodiché, nonostante le insistenze dei padroni di casa affinché rimanesse a cena con loro, Clare declinò gentilmente l’invito e diede appuntamento all’amica per il giorno dopo a scuola, prima di lasciare casa Dale.
-Sembra una ragazza simpatica, quella Clare. Mi fa piacere che tu l’abbia invitata- commentò il padre di Serena mentre cenavano.
-Veramente ho invitato anche altre ragazze, eravamo in sei. Abbiamo passato il pomeriggio chiacchierando nel seminterrato e abbiamo anche acceso il camino, spero non ti dispiaccia-.
In realtà Serena sapeva bene che non gli sarebbe dispiaciuto affatto. La sua vita sociale negli ultimi mesi era stata così miserabile che anche se avesse annunciato a suo padre di aver fatto amicizia con gli appartenenti ad una gang di narcotrafficanti, lui ne sarebbe stato comunque entusiasta: finalmente sua figlia stava smettendo di essere l’intrattabile adolescente auto-esiliata dal mondo con cui l’uomo aveva dovuto convivere nel corso dell’ultimo anno e mezzo.
-No, tesoro, anzi, mi fa molto piacere- disse l’uomo sorridendo.
Serena ricambiò il sorriso e continuò a mangiare in silenzio.
Tutto come previsto. Tutto normale. Tutto come prima che commettesse l’errore più grande della sua esistenza.
Tutto come se non fosse mai stata fidanzata con un vampiro.

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Capitolo 2
*** Dolci amari ricordi ***


Dal diario di Clare, 3 ottobre:
«Quella carogna di Max non molla. Oggi è venuto a cercarmi mentre ero in classe e ha convinto, anzi obbligato il prof a lasciarmi uscire. Ebbene sì, l'ha soggiogato.
Appena mi sono trovata fuori con lui, nel corridoio, mi ha preso e mi ha trascinata nel sottoscala. Non mi sono opposta perché mi teneva il polso così stretto, che con un movimento brusco avrei rischiato di farmelo rompere, anche se sono certa che non avrebbe mai fatto qualcosa del genere di proposito.
Una volta soli ha cominciato a chiedermi come mai non mi faccio più sentire, a dirmi che gli mancavo e bla, bla, bla…le solite balle. Nel frattempo ha iniziato ad accarezzarmi il viso in quel modo che mi ha sempre fatto sciogliere e a guardarmi con quei suoi occhi magnetici…lo so, avrei dovuto ricordargli che era stato lui a rompere con me anche se non ufficialmente (e dovevo dirglielo usando un tono deciso e incazzato al punto giusto, della serie non-mi-faccio-più-fregare-da-te) ma non ce l’ho fatta, non sono stata abbastanza forte…poi però si è avvicinato ed ha provato a baciarmi. Solo a quel punto ho capito che si stava spingendo troppo oltre e finalmente sono riuscita a trovare la forza sufficiente per liberarmi dalla sua presa ed andarmene. Fortunatamente lui non mi ha seguita.
Per quanto mi vergogni ad ammetterlo, questo episodio mi ha fatto capire che lui ha ancora un forte ascendente su di me. Se devo essere sincera non sono nemmeno convinta che sia stato indispensabile soggiogare il professore per convincerlo a farmi uscire dalla classe. Ora che lui non c'è, mi piace pensare che probabilmente lo avrei ignorato, ma in realtà…beh, credo che sarebbe bastato qualche altro secondo di insistenze e l’avrei seguito di mia spontanea volontà. Se le altre del club venissero a saperlo me ne vergognerei terribilmente […]»
 
Dopo aver riportato quanto successo quella mattina a scuola, Clare chiuse il piccolo e anonimo quaderno con la copertina blu che aveva adibito a diario personale e lo ripose nel solito nascondiglio, in fondo al cassetto della sua scrivania, occultandolo tra i libri e altro materiale scolastico. Questo era il modo migliore che aveva escogitato per far passare il proprio diario inosservato nel caso qualcuno, come ad esempio suo fratello, avesse avuto motivo di curiosare tra la sua roba.
La ragazza si lasciò cadere a peso morto sul letto. Aveva i compiti da fare, le faccende che le aveva assegnato sua madre ancora da cominciare e un altro milione di cose a cui pensare, tuttavia in quel momento l’unica cosa sulla quale riusciva a concentrarsi e su cui i suoi pensieri continuavano a tornare nonostante i suoi tentativi di distrarsi era Max, il ragazzo che due anni prima aveva chiesto a lei, Clare Taylor, la solitaria e "cattiva" ragazza del secondo anno, di accompagnarlo al ballo d'autunno, snobbando tutti gli inequivocabili segnali e ammiccamenti vari che da diverso tempo Sharon Harrison, una delle ragazze più belle e popolari del terzo anno, gli inviava.
Ed era stato proprio a partire da quel momento, dall'istante successivo a quell'inaspettato invito, che Max era radicalmente entrato nella vita e nel cuore di Clare. Peccato solo che, a due anni di distanza da quando tutto ciò era accaduto, di quel ragazzo troppo meraviglioso per essere vero, non era rimasto quasi niente.
Durante l'anno e mezzo che era seguito a quell'inaspettata proposta, Clare si era data da fare per tenerselo stretto, così come le avevano caldamente consigliato anche le sue compagne, le poche che avevano continuato a rivolgerle la parola anche dopo che la notizia del suo arresto, che all’epoca era ancora un recente e succulento pettegolezzo, si era diffusa.
Clare, che con i ragazzi era sempre stata piuttosto imbranata, aveva seguito i consigli delle altre ragazze, si era impegnata per riuscire a migliorarsi, per essere più femminile, più affascinante, meno insicura e la sua determinazione aveva ben presto dato i suoi frutti, facendo sì che lei e Max trascorressero una serata a dir poco perfetta, tanto che quest’ultimo, al momento di accompagnarla a casa, le aveva chiesto un appuntamento. Un vero appuntamento, solo loro due. Clare aveva ovviamente acconsentito senza pensarci due volte, tuttavia non era riuscita a godersi fino infondo la felicità che l’aveva pervasa a seguito di quell’avvenimento. Dopo le vicende non proprio positive che l’avevano segnata negli ultimi mesi era infatti difficile per lei riuscire a lasciarsi andare completamente poiché temeva di perdere nuovamente tutto quello che si stava impegnando a costruire da un momento all’altro. Inoltre non riusciva a capacitarsi di come un ragazzo bello, carismatico e popolare come Max che, stando ad alcuni pettegolezzi che circolavano a scuola, tra le sue ex annoverava anche una modella professionista, potesse essere rimasto colpito da lei.
Eppure, nonostante le insicurezze di Clare, Max sembrava riflettere alla perfezione i sentimenti che, di giorno in giorno, la ragazza sentiva crescere verso di lui e che faceva di tutto per dimostrare: la ricopriva di attenzioni come nessuno aveva mai fatto prima facendole trovare nell’armadietto pensierini di vario tipo o biglietti con scritte poesie che lui stesso inventava. La andava a prendere per portarla a scuola ed era sempre lui ad insistere per riaccompagnarla a casa. Ogni volta in cui lei aveva bisogno di qualcuno al suo fianco, Max era lì e il più delle volte non doveva nemmeno chiamarlo perché il suo intuito lo avvertiva prima che potesse farlo Clare con una telefonata.
Contrariamente a quanto si sarebbe mai aspettata poi, Max non sembrava vergognarsi minimamente di farsi vedere in giro con lei, anzi, si lasciava andare a gesti di affetto nei suoi confronti anche in pubblico. Spesso lui l’abbracciava mentre camminavano per i corridoi della scuola senz’alcun imbarazzo. Con un po’ di cattiveria, Clare ricordò lo sguardo incredulo di Sharon la volta in cui, mentre si salutavano prima di tornare in classe, lui, invece che con la solita carezza, l’aveva salutata baciandola sulle labbra. Un gesto talmente inaspettato da coglierla totalmente impreparata. Sorrise tra sé ricordando quanto ci avesse messo a riprendersi e a realizzare che era successo davvero.
Erano stati mesi fantastici, quelli. Forse i più belli che avesse mai vissuto fino ad allora.
Ma poi…poi lui aveva deciso di dirle tutto.
Nonostante gli sforzi fatti per dimenticare quanto accaduto, ricordava ancora troppi dettagli di quella sera: il film al cinema, il braccio di Max intorno alle sue spalle che la stringevano a lui con fare protettivo durante le scene più paurose e la passeggiata al chiaro di luna che era seguita. Ma proprio durante quel momento da soli nel parco, lui le aveva preso le mani e con estrema serietà le aveva raccontato tutto. Lui era un vampiro.
Clare era rimasta sorpresa solo fino a un certo punto da quell’informazione. Ormai la maggior parte della gente era a conoscenza del fatto che esistessero i vampiri, anche se ufficialmente rimanevano ancora delle creature leggendarie. La ragazza dovette tuttavia ammettere che in quegli ultimi tempi aveva tenuto la testa così a lungo tra le nuvole da non aver prestato minimamente attenzione alle piccole cose attraverso le quali di solito nascevano i primi sospetti, come ad esempio la pelle decisamente troppo pallida e perennemente gelata, il fatto che non lo avesse mai visto mangiare e che non venisse mai a scuola quando c’era il sole ma nonostante ciò avesse voti altissimi.
Dopo aver compiuto un gesto importante come quello di dirle la verità, Clare era convinta che il loro rapporto si sarebbe consolidato, invece la luna di miele era durata giusto il tempo di fare un assaggino del suo sangue, quella sera stessa, dopo la grande rivelazione. Un’esperienza che si poteva definire trascendentale e che ancora non esprimeva a pieno quello che la ragazza aveva provato.
Solo qualche giorno dopo però, le cose avevano cominciato a cambiare, e non in meglio.
Max era diventato improvvisamente più freddo nei suoi confronti. Non sgarbato o scontroso, ma tutte le attenzioni ed i piccoli gesti gentili a cui Clare era ormai abituata, erano diminuiti improvvisamente. Era sempre lui a prenderla e riportarla a scuola ma le poesie, i fiori e gli altri piccoli pensieri di cui ormai da un po’ erano disseminate le sue giornate, erano scomparsi poco alla volta.
Successivamente, a risentirne era stato il tempo che trascorrevano insieme, che nel giro di una settimana era stato quasi dimezzato. Max aveva smesso persino di andare a trovarla di notte e di tenerla d’occhi dall’albero davanti alla finestra della sua camera mentre dormiva. Un mese più tardi, era lei a doverlo chiamare se voleva vederlo.
A quel punto, anche se a malincuore, Clare era arrivata a valutare seriamente per la prima volta l’idea di lasciarlo. Era certa che se non l’avesse fatto lei, di lì a poco l’avrebbe piantata lui, quindi nonostante il solo pensiero di rompere con lui la facesse stare male tanto intensamente da sfiorare il dolore fisico, tanto valeva affrontare apertamente la situazione e provare ad uscirne con un po’ di dignità.
Per qualche giorno, nonostante andasse contro la volontà di ogni cellula del suo corpo, si era costretta ad evitare Max per pensarci su ma, dopo oltre una settimana in cui si erano visti solo di sfuggita, era accaduto qualcosa di decisamente inaspettato: era il giorno di San Valentino e lei si trovava alla lezione di algebra. Ad un certo punto, qualcuno aveva bussato e, quando la porta si era aperta, era caduta la mandibola a tutta la classe: sulla soglia dell’aula c’era il bidello, il quale teneva in mano in mano un magnifico ed immenso mazzo di rose rosse. L’uomo aveva annunciato di aver ricevuto il compito di consegnare quei bellissimi fiori a Clare Taylor, la quale, nel giro di mezzo secondo, si ritrovò addosso una ventina di paia d’occhi, compresi quelli della professoressa. Tra le rose c’era un biglietto in cui Max, tramite versi poetici, le chiedeva di incontrarlo quella sera per quella che riprometteva sarebbe stato l’appuntamento più romantico e memorabile della sua vita.
A quelle parole, Clare era avvertito un tuffo al cuore.
C’era solo un evento che avrebbe potuto far sì che ciò aveva detto Max si realizzasse, ossia il sogno nel cassetto di ogni ragazza: la trasformazione, quello che veniva anche definito il “matrimonio dei vampiri”.
La ragazza non poteva credere Max desiderasse passare con lei il resto della sua esistenza. Tutte le insicurezze e le paranoie che le l’avevano tormentata negli ultimi giorni sparirono come per magia. Non era mai stata così lontana dall’idea di lasciarlo come in quel momento.
Sì, lo voleva, volva passare con lui il resto dell’eternità.
Invece ancora una volta aveva frainteso le intenzioni del suo ragazzo.
La serata, di per sé, era stata bellissima: cena (cioè lei che mangiava e lui che la guardava mangiare) nella villa ottocentesca del suo ragazzo, quella che si ergeva nel bosco, con vista sul lago (anche se non era mia riuscita a spiegarsi come ci fosse finita una villa ottocentesca di quelle proporzioni nel bel mezzo della foresta e a diversi chilometri dalla civiltà); musica meravigliosa e un lento ballato occhi negli occhi nell’ampio terrazzo che dava sul lago, sotto la pallida luce della luna. Quando era giunta l’ora del morso, in quel momento di assoluta perfezione, Clare aveva provato emozioni ancora più intense di quella prima volta nel parco. Sempre come quella volta però, quando aveva riaperto gli occhi era ancora lei, la solita umana Clare.
Lì aveva finalmente capito: aveva frainteso tutto, e non solo per quanto riguardava le intenzioni di Max a proposito di quella serata.
Poche altre volte nella sua vita Clare ricordava di essersi sentita così stupida. Improvvisamente tutto le sembrava così ovvio che non poteva credere di essere stata così cieca, di aver scelto di ignorare tutti i segnali negativi degli ultimi tempi e di dimenticare l’atteggiamento scostante di Max davanti ad un mazzo di fiori. Eppure nemmeno a quel punto la ragazza riuscì a trovare il coraggio di lasciarlo.
Da quel momento in poi, la relazione tra i due era continuata in questo modo: lui la ignorava, non la cercava quasi mai e più di una volta Clare lo sorprese addirittura a flirtare con altre ragazze ma non appena ricominciava ad accarezzare l’idea di lasciarlo, lui, con un tempismo da orologio svizzero, la sorprendeva con qualche gesto abbastanza romantico da farla tornare sui suoi passi e lei ci ricascava puntualmente ogni volta.
Nel profondo però sapeva, nonostante cercasse di negarlo, che se la cosa più impegnativa che Max poteva offrirle era un morsetto al chiaro di luna, allora la loro storia non avrebbe mai potuto avere il lieto fine che segretamente continuava ad agognare.
Le cose però avevano cominciato a cambiare l’autunno successivo, all’inizio dell’anno scolastico quando, durante il cambio dell’ora, Clare era stata fermata in corridoio da un ragazzino che non aveva mai visto, probabilmente una matricola, che le aveva consegnato un biglietto anonimo. Lo aveva letto in fretta: qualcuno voleva vederla nell’aula d’Inglese all’ora di pranzo. Il "messaggero" aveva poi cercato di svignarsela, ma Clare era riuscita a fermarlo e ad interrogarlo sull'identità del mittente. Per tutta risposta lui le aveva detto di aver ricevuto il preciso ordine di non rivelarne il nome ed era successivamente riuscito ad approfittare di un momento di distrazione di Clare per scampare all'interrogatorio, confondendosi tra la folla del corridoio.
A quel punto a Clare non erano rimaste che due scelte: ignorare la cosa o andare all’appuntamento e scoprire chi e perché la voleva incontrare. Certo non avrebbe mai immaginato che a mandarle quel messaggio fosse stata Serena, ex vice-capitano delle cheerleader, ex membro del comitato studentesco, ex miss popolarità e, soprattutto, ex di Tristan, alias il vampiro più figo che girasse nel loro istituto.
Nella scuola non c'era anima viva che non conoscesse la loro storia, in quanto per lungo tempo era stata la trama della gossip-soap più seguita dagli studenti: si erano messi assieme circa un anno e mezzo prima, alla fine dell’anno scolastico, quando la popolarità di Serena era al suo apice, nonostante fosse solo al secondo anno. Qualunque studente avrebbe dato un rene, o un polmone, o un arto per far parte del suo giro e lei ne era sempre stata perfettamente consapevole. Tuttavia, con immenso stupore da parte di tutti, poco tempo dopo Serena aveva lasciato le cheerleader, il comitato studentesco e anche la maggior parte delle attività extra-scolastiche in cui era impegnata. Tutto questo, come si era venuto a sapere poco tempo dopo, lo aveva fatto solo per assecondare il volere del suo fidanzato vampiro.
Dopo l’estate, al suo ritorno a scuola, la relazione di Tristan con Serena continuava, ma la vita sociale di quest’ultima e la sua popolarità erano in caduta libera. Non pranzava nemmeno più con il suo solito gruppo, né usciva con loro dopo la scuola o nel week-end com’era solita fare fino a poco tempo prima, stava invece sempre e solo con il suo “ragazzo” e, ovviamente, era impossibile trovarli in qualche locale normalmente frequentato dai loro coetanei (o meglio, dai coetanei di Serena): i vampiri detestano quel genere di posti, troppo rumorosi e puzzolenti per i loro finissimi sensi. Se ne stavano sempre a casa di lui, o al cinema, o in qualche luogo tetro e buio dove Tristan potesse sentirsi a suo agio, con buona pace di Serena e del suo carattere estroverso e festaiolo.
Nonostante i numerosi sacrifici e la devozione di Serena nei confronti del suo zannuto fidanzatino però, la loro storia era finita esattamente un anno dopo essere cominciata, poco prima del ballo di fine anno. Clare era venuta a conoscenza del motivo della loro rottura durante una delle prime riunioni del club: come sempre quando c’è di mezzo un vampiro, era stato lui a lasciare lei e, tanto per aggiungere un po' di sale alle ferite, lo aveva fatto per un’altra ragazza, una del primo anno neanche particolarmente avvenente, anzi, un po’ sciatta e anonima, che era arrivata da poco in città. Una pesantissima umiliazione per Serena, che si chiedeva ancora come avesse fatto Tristan a notarla visto che, come lei amava ripetere, tra lei e il muro non vi era alcuna differenza: si mimetizzava anche troppo bene.
Clare invece aveva capito perché Tristan avesse preferito quella scialba ragazzina a Serena e, anche se non ne avevano mai parlato apertamente, era convinta che anche quest'ultima infondo, lo sapesse: i vampiri adorano le creaturine vulnerabili, spaventate e anonime, che passano inosservate alla maggior parte degli sguardi umani. Di conseguenza, una piccoletta del primo anno in una scuola in cui non conosce nessuno, è decisamente il loro prototipo di ragazza ideale.
Confusa da quella bizzarra situazione, Clare si era guardata intorno, convinta di avere sbagliato aula. In quella sala regnava un silenzio di tomba e le tapparelle erano tutte abbassate, compresa quella che copriva il vetro della porta.
Serena però le era andata incontro come per darle il benvenuto e, parlando a bassa voce, per rassicurarla sul fatto che era stata proprio lei a mandarle il biglietto. Solo poco dopo, quando i suoi occhi si erano abituati alla penombra della stanza, Clare si era accorta che non erano sole: sedute poco distanti c'erano altre due ragazze, Alyssa Mlynowski ed Emily Cortese. All’epoca, lei conosceva solo Aly e solo perché le era capitato di pranzare con lo stesso gruppo un paio di volte. L’apice della loro confidenza era stato scambiarsi i convenevoli.
Prima che Clare avesse il tempo di porre qualsiasi domanda su quella sempre più confusa situazione, Serena le aveva chiarito le idee con un semplice gesto, ossia indicando la lavagna sulla quale era riportato il testo che, a grandi linee, Clare aveva ancora in mente.
 
So che siete confuse ma è meglio evitare di parlare ad alta voce. Probabilmente sapete già che sono l’ex di Tristan (il vampiro). Non ci conosciamo ma so che anche voi siete le ex di alcuni dei vampiri della nostra scuola. Se state soffrendo quanto me per la fine della vostra relazione, sappiate che sto cercando di formare una specie di gruppo di sostegno per ragazze nella nostra situazione che desiderano tirarsene fuori al più presto per rifarsi una vita decente”.
 
Una volta letto, Clare si era voltata verso Serena e quest’ultima le aveva sussurrato poche parole.
-Loro- aveva detto, indicando Emily ed Aly. -Hanno già detto di sì ma posso capire che tu sia confusa, perciò propongo di trovarci domani nell’aula di scienze al primo piano, stessa ora. Così mi dirai cos'hai deciso-.
Clare, anche se ancora un po’ confusa, aveva annuito ed aveva afferrato la maniglia della porta, ansiosa di andare a pranzo per affogare temporaneamente i suoi pensieri nel cibo precotto della mensa, ma Serena l’aveva trattenuta e non aveva permesso a nessun’altra di uscire prima di aver pulito a fondo la lavagna. Allora finalmente Clare aveva capito il perché di tutta quella discrezione: temeva che qualche vampiro fosse nei paraggi e che venisse a sapere della sua idea. Ecco spiegato il divieto di parlare a voce alta, delle tapparelle abbassate e il biglietto anonimo. Poteva sembrare eccessivo, ma effettivamente con i vampiri non si era mai troppo prudenti e tutte le presenti lo sapevano bene.
Infine Serena fece uscire le ragazze con un intervallo di qualche minuto, in modo che nessuno sospettasse che si erano incontrate.
Durante il pranzo, Clare aveva giocherellato col cibo mentre cercava di prendere una decisione riguardo alla proposta di Serena. Inizialmente aveva pensato di rifiutare: dopotutto lei non era l’ex di un vampiro…o almeno non ancora. Aveva quindi lasciato la mensa per andare a cercare Max, come alla ricerca della conferma definitiva alla sua decisione. Sarebbe bastato un suo bacio, una sua carezza o anche solo un suo sorriso e lei sarebbe corsa subito da Serena per rifiutare la sua proposta.
Quando l'aveva trovato però, al posto della gioia che provava ogni volta che si accorgeva della sua presenza, aveva sentito come se una mano invisibile le afferrasse lo stomaco e glielo stringesse con tutta la forza che aveva. Era proprio il suo vampiro quello che, accanto al termosifone, sorrideva malizioso mentre flirtava con quell’oca di Sharon mentre giocherellava con una delle sue extension platinate?!
Dopo aver capito che non si trovava di fronte ad un'allucinazione, si era sentita così umiliata che non aveva avuto la pazienza di aspettare il giorno dopo: era tornata in mensa e, passando accanto al tavolo in cui Serena stava pranzando da sola, aveva lasciato cadere di proposito il suo braccialetto. Quando si era chinata per raccoglierlo aveva sussurrato all'orecchio di Serena un rapido ma chiaro "Ci sto".
Max probabilmente doveva aver intuito quanto stava succedendo perché da quel giorno in poi non aveva più cercato Clare, nemmeno per darle qualche genere di spiegazione ma, al contrario, aveva cominciato a farsi vedere in giro con Sharon sempre più spesso. Secondo le voci che giravano a scuola però non erano una coppia ufficiale e non avevano mai avuto modo di diventarlo perché Sharon amava troppo stare al centro dell’attenzione per lasciarsi eclissare da Max.
Questa una delle conseguenze di stare con un vampiro: lui e soltanto lui doveva essere il protagonista indiscusso della coppia e non ammetteva alcuna forma di concorrenza. Agli umani era concesso al massimo il privilegio di sguazzare nella loro ombra e dovevano anche mostrarsi grati per questo.
Negli ultimi tempi però Max era tornato alla carica per motivi ignoti e Clare non sapeva bene cosa aspettarsi, né quale fosse il comportamento migliore da tenere. In ogni caso, era felice di essersi sbarazzata di tutto ciò che le ricordava il suo ex (regali, oggetti in prestito, la matita che lui aveva mordicchiato durante la prima lezione in cui si era seduto accanto a lei e che aveva dimenticato sul banco, eccetera…) quando la rabbia scatenata dalla scenetta tra lui e Sharon era ancora ben presente in lei, quel giorno stesso. In questo modo non aveva niente su cui poter basare eventuali ripensamenti.
-Clare! La cena!- gridò sua madre dal fondo delle scale.
A quelle parole Clare riemerse dal mare di pensieri da cui si era lasciata trasportare fino a quel momento e solo allora si accorse che fuori era sceso il buio. Decise quindi per il momento di mettere da parte quei ricordi dolci e amari e scese a cenare con il resto della sua famiglia.

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Capitolo 3
*** Ovunque ***


Dal diario di Aly, 4 ottobre:
«Un anno e un mese esatti. Fatico a rendermi conto del fatto che sia già passato tutto questo tempo dall’ultima volta che ho visto James, quella notte, nel bosco. Devo avere qualche problema con la percezione del tempo, perché per me è come se fossero passati al massimo pochi giorni.
Ogni tanto mi porto ancora la mano al collo, nel punto in cui amava mordermi, per sentire le cicatrici lasciate dai suoi denti. Dai suoi perfetti, bianchissimi denti.
Il ricordo dell’ultima volta in cui ha lasciato il suo segno su di me è ancora impresso, anzi, marchiato a fuoco nella mia memoria: dopo essersi nutrito del mio sangue (che lui definiva "una libagione ancora migliore dell'ambrosia") e con gli occhi lucidi, mi aveva detto addio, un addio che ho riascoltato nella mia testa un imprecisato numero di volte e di cui ricordo alla perfezione ogni singola parola.
“Alyssa, il tuo profumo per me  come il canto di una sirena a cui mi è impossibile resistere. La tua bellezza risplende come la luna in questa notte magnifica (e poco importa se mentre parlava una grossa nuvola avesse scelto proprio quel momento per piombare davanti alla suddetta luna). Amo ogni cosa di te ma, ahimè devo andarmene. No! Taci, amor mio! (N.B.: non avevo detto niente) Ogni tua parola si trasformerebbe per me in una dolorosa pallottola d’argento che porterei appresso nel cuore. Ricorda solo questo, mia dolce Alyssa: lo sto facendo per noi. Per un domani che...potrebbe durare per sempre".
A quelle parole, ovviamente, mi ero sciolta come burro sui pancake ed il mio lato ragionevole era andato a farsi benedire, impedendomi di conseguenza di vedere la verità per quello che era: James mi stava lasciando. E io, invece di iniziare a pormi qualche domanda sul significato ambiguo delle sue ultime parole, avevo continuato a crogiolarmi nei suoi complimenti e in quelle due parole che ogni ragazza sogna di sentir pronunciare dal proprio fidanzato vampiro, “per sempre”, anche dopo che lui se n'era andato, lasciandomi sola nel bosco alle due di notte. Meno male che non c’eravamo inoltrati troppo.
Quando ho raccontato questa storia alla seconda riunione del club, Serena e Clare hanno trattenuto a stento una risata e, considerati i miei livelli di permalosità dell’epoca, dire che mi ero sentita offesa è un eufemismo. Adesso però, dopo un anno di “gruppo di sostegno", quando rivivo quell’episodio finalmente non mi sento più triste e depressa come qualche tempo fa. Ora provo più che altro vergogna per essermi comportata come una tonta imbecille, per essermi fidata ciecamente di lui e  per aver creduto alle sue parole anche se mentre le pronunciava era perfettamente consapevole che non sarebbe mai più tornato, che non ci sarebbe mai stato alcun eterno domani. Del resto però, ragionando col senno di poi non si va da nessuna parte. Bisogna semplicemente cercare di imparare dai nostri errori, come ha detto una volta Serena. Quelle parole ora sono il mio mantra.
...
Okay, lo ammetto, nonostante tutto provo ancora qualcosa per James e forse lo proverò sempre. Sento ancora quel piccolo fremito dentro di me quando lo sento nominare. Sogno ancora molto spesso il suo ritorno ma, rispetto solo a qualche mese fa, le mie ansie, le mie paranoie ed i miei momenti di sconforto sono notevolmente diminuiti e questo l’hanno notato anche le altre.
L’anno scorso, quando dovevo prendere una qualunque stupida decisione mi chiedevo “cosa farebbe James?” come se questo avesse potuto in qualche modo farmi sentire più vicina a lui e, nei momenti in cui la disperazione prendeva il sopravvento, mi spingeva addirittura a credere che in questo modo avrei potuto farlo tornare. Ora riesco a non farmi più influenzare così pesantemente.
Nonostante tutto però, c'è ancora qualcosa che continua a preoccuparmi.
È stata già abbastanza dura dovermi liberare della mia collezione dei libri sui vampiri che comprendeva la saga di “Twilight” , quella de “Il diario del vampiro”, più diversi libri derivanti dalle scopiazzature dei primi due che non so come ho fatto a leggere. So però che presto Serena ci chiederà di sbarazzarci anche degli oggetti che ci tengono ancora legate ai nostri ex e non sono affatto sicura di  riuscire a farcela, né di volerlo, a dirla tutta. C’è sempre quella vocina, quella piccola parte di me che continua a sussurrami: “E se James tornasse, come la prenderebbe? Non puoi buttare il poema epico di cinquanta pagine che ha scritto in tuo onore ispirato, a suo dire, dal modo in cui abbracci il cuscino mentre dormi. E come potresti cestinare la cornice che ha intagliato e dipinto a mano nella quale ha inserito un ritratto di voi due in stile vittoriano realizzato sempre da lui? Oppure la copia di "Dracula" che ti ha regalato dopo averti sorpresa a leggere "Breaking Dawn", sulla cui prima pagina aveva scritto: Con la speranza che non ti veda mai più leggere certi obbrobri! Tuo, James.
Già, per non parlare delle mille altre cose disseminate qua e là nella camera e nei ricordi. Tornerà vedrai. Non è colpa sua, la sua concezione del tempo è diversa, tutto qui. Abbi solo un altro po’ di pazienza...”
. […]»
 
Aly richiuse il suo diario e si accasciò sul tavolo sospirando forte.
-Cos’hai, angelo mio?- chiese Helena, mentre sfornava la sua crostata alla marmellata di mele, impregnando l’aria del delizioso profumo della pasta frolla cotta alla perfezione e della frutta calda.
-Lo sai cos’ho. Mi manca lui- rispose Aly, affondando il viso nella nicchia tra le sua braccia.
Helena si sfilò i guanti da forno e si sedette davanti a lei.
-Stellina…lo sai che alla tua età queste situazioni sono normali. È solo questione di tempo, vedrai che troverai un ragazzo di cui ti innamorerai, che ricambierà i tuoi sentimenti e ti renderà la persona più felice della Terra. Magari lo conosci già e ancora non hai capito che è quello giusto, magari è un tuo compagno di scuola, un amico, qualcuno che non immagini nemmeno-.
La ragazza si chiese in quale universo parallelo avrebbe potuto amare una persona che non fosse James.
-In realtà a scuola c’è qualche ragazzo a cui credo di interessare ma…-
-…ma non sono lui- concluse Helena al suo posto, rivolgendole un sorriso comprensivo. -Credimi, so bene come ti senti-.
Aly riemerse dalla sua nicchia per lanciarle uno sguardo scettico. Sapeva che da lei poteva aspettarsi tutto l’affetto e la sicurezza che voleva e di cui aveva bisogno; che era l’unica oltre alle ragazze del club per cui la sua compagnia sembrava non essere un peso da sopportare in silenzio come le avevano già dimostrato troppe persone, tuttavia dubitava fortemente che Helena sapesse esattamente ciò che stava provando. Lei non aveva per niente l’aria di una a cui un vampiro aveva rubato il cuore per poi restituirglielo a brandelli. Quest’ultima però, quando si accorse dello sguardo di Aly, si fece seria.
-So che può sembrare una frase fatta, ma sto dicendo davvero. Non è una storia che mi piace molto rivangare ma, quando avevo circa la tua età, mi innamorai di una persona meravigliosa. Non ho mai creduto nell’anima gemella, ma quello era il genere di ragazzo che sembrava essere stato creato su misura per essere l’uomo dei miei sogni. Siamo rimasti insieme per tre anni. Eravamo arrivati a quel punto del rapporto in cui si iniziano a fare progetti, a pensare seriamente al futuro. Parlavamo spesso di matrimonio, di dove saremmo andati a vivere, di come avremmo chiamato i nostri figli e cose di questo genere. Progettavamo una vita insieme. Mi sorprendevo di volere tutto questo, proprio io, che avevo sempre guardato tutto ciò con scetticismo semi-femminista. All’improvviso però, proprio quando credevo che le cose non potessero andare meglio, lui scomparve. Così, da un giorno all’altro. Mi lasciò solo un biglietto in cui mi chiedeva di non cercarlo e di dimenticarlo. Ne sono uscita a pezzi. Pensavo di meritare almeno una spiegazione, dopo tutto quello che avevamo passato. Si era reso conto di non amarmi più? Aveva cambiato idea ed aveva capito di non essere disposto ad impegnarsi seriamente? Si era innamorato di un’altra? Avevo commesso qualche sbaglio di cui non mi ero resa conto? Mi sono tormentata a lungo con domande di questo genere-. Sorrise tristemente, quando si accorse dell’espressione sinceramente stupita di Aly.
-E com’è finita?- chiese incuriosita la ragazza. L’idea che sua nonna avesse avuto un’esperienza così simile alla sua non l’aveva mai minimamente sfiorata e non le faceva affatto piacere sapere che qualcuno a cui teneva aveva provato un dolore così simile a quello che lei stava provando in quel momento ma, se non altro, la faceva sentire un po’ meno sola per la prima volta dopo tanto tempo. Serena, Clare e le altre del gruppo erano brave ragazze, sempre pronte ad ascoltarla e sostenerla, tuttavia nessuna di loro si era trovata in una situazione simile alla sua con i loro ex, di conseguenza la potevano capire solo fino ad un certo punto.
-Beh, io ero completamente sola. I miei familiari mi consideravano una specie di pecora nera, quindi nessuno di loro mi è stato accanto e ciò mi ha spinto a reagire in maniera molto diversa dalla tua, portandomi a commettere un grosso errore: ho ceduto quasi subito al corteggiamento di un ragazzo che conoscevo da tempo e che sapevo essere innamorato di me. Volevo amare e sentirmi amata come prima, così ho cominciato a frequentarlo ma già dopo qualche settimana ho capito che non era in quel modo che sarei tornata ad essere felice. Le persone non possono essere semplicemente rimpiazzate, se le abbiamo amate così come io amavo Kevin. Non era in quel modo che sarei riuscita a superare la fine della mia relazione. Stavo facendo del male sia a me stessa che a quel ragazzo, che non c’entrava nulla con tutta quella storia. Si era solo trovato nel posto sbagliato al momento giusto. Ruppi con lui, lasciandolo lì, col cuore infranto, mentre io mi ritrovai, oltre che col cuore infranto che avevo già prima, anche con un orribile senso di colpa per come mi ero comportata nei suoi confronti. Gli piacevo davvero, invece io l’avevo solamente usato come toppa con il quale avevo cercato di ricucire lo squarcio causato da Kevin. Giusto poco tempo dopo però, ho scoperto di essere incinta e la preoccupazione per la creaturina indifesa che stava crescendo dentro di me ha fatto sì che rivedessi la scala delle mie priorità. A quel punto ho capito che lui non meritava né me, né tanto meno le mie lacrime. Avevo qualcosa di immensamente più importante a cui pensare-.
In quel momento, Aly finalmente capì perché Helena fosse sempre stata così restia a parlarle di suo nonno: raccontare di una delusione così cocente significava riviverne tutta la sofferenza che ne era derivata e Aly era certa che il fatto che ormai fossero passati molti anni, non rendesse la cosa meno dolorosa. D’istinto si alzò e andò ad abbracciarla, abbraccio che sua nonna ricambiò prontamente e con tutto il calore che poteva darle, come sempre. Dopotutto, per certi versi l’aveva cresciuta di più lei che i suoi genitori, sempre troppo occupati anche solo per ascoltarla. Ma ad Aly ormai non importava più, c’aveva fatto l’abitudine e aveva imparato a chi doveva rivolgersi in caso di bisogno, o per una chiacchierata, o anche solo se voleva sentirsi a casa.

***

-Sono tornata!- gridò la ragazza appena fu rientrata in quella che chiamava la sua “dimora ufficiale”, ossia quella che divideva con sua madre e suo padre.
Certo, l’appartamento in quel condominio di lusso era molto più grande ed elegante del cottage rustico di sua nonna, per Aly però quel posto era troppo freddo, troppo formale, nonostante ci fosse cresciuta. Quando era lì non aveva mai la sensazione di essere davvero “a casa”, si sentiva più come l'ospite di un prestigioso hotel. Un motivo in più per non prendere sul serio sua madre quando la rimproverava servendosi di uno tra i più celebri luoghi comuni delle frasi genitoriali, ossia: "questa casa non è un albergo".
Aly aveva fatto appena pochi passi nel corridoio d'ingresso mentre si dirigeva verso la sua stanza, quando udì un familiare ticchettio. In quello stesso momento, sua madre uscì dalla camera matrimoniale. La ragazza notò come prima cosa che, oltre alle scarpe dai tacchi vertiginosi, indossava uno dei suoi completi eleganti, gli stessi che metteva per andare al lavoro, con l'unica differenza che la sua camicetta era meno abbottonata del solito, mettendo in questo modo in mostra una generosa porzione di decolleté. Un po’ troppo generosa, secondo Aly.
La donna era intenta ad infilarsi un orecchino e, quando vide la figlia, le rivolse un sorriso distratto, più di cortesia che materno, e passò oltre, dirigendosi all’ingresso.
-Ciao tesoro, scusami se stasera non ti faccio compagnia ma ho una cena con dei colleghi e non posso assolutamente mancare- disse, mentre indossava il suo trench beige. -Non so a che ora tornerò. Anche papà torna tardi, ha del lavoro da sbrigare in ufficio, lo conosci…comunque Maria Rosa ha chiesto una giornata di permesso, quindi ti ho ordinato una pizza ai quattro formaggi con poco gorgonzola, come piace a te. Il fattorino dovrebbe essere qui tra poco. I soldi sono sul bancone della cucina. Mi raccomando, entro le undici a letto, okay? Buona serata!-.
Poi, come al solito, se ne andò prima che Aly avesse il tempo di risponderle.
-Buona serata anche a te- disse, rivolta alla porta.
Mentre si dirigeva in camera sua per mettere giù la sua borsa con i libri di scuola e cambiarsi, si chiese se qualche altro ragazzo in quella città potesse contare le persone a cui importava davvero di lui sulle dita di una mano; se ci fosse qualche altro genitore la cui unica cosa che sapevano con certezza sul conto dei propri figli era il gusto preferito della pizza o i cibi che erano soliti ordinare al ristorante cinese take-away sotto casa. Avrebbe voluto conoscere quei ragazzi.
Forse, anzi, quasi certamente, nella sua scuola c’era qualcun altro con una situazione familiare simile, ma non era esattamente qualcosa di cui si era soliti vantarsi in giro. Ciò non toglieva però che le sarebbe piaciuto conoscere meglio quei suoi coetanei: avrebbero avuto molte cose di cui parlare. Magari anche i loro genitori usavano le cene di lavoro o gli straordinari in ufficio come scuse per coprire le loro relazioni extra-coniugali, stupidamente convinti che nessuno sospettasse niente.
La pizza arrivò pochi minuti dopo. Aly riconobbe il fattorino: era un ragazzo che frequentava la sua scuola. Era abbastanza carino nonostante il giubbino di denim slavato, la t-shirt con la stampa del logo della pizzeria per cui lavorava e il suo atteggiamento un po’ apatico.
Aveva i capelli dello stesso colore di James: neri come la notte.
Aly lo pagò lasciandogli una generosa mancia, tanto che il ragazzo gli concesse addirittura un breve sorriso di ringraziamento un attimo prima di andarsene. Mentre si allontanava, Aly rimase a fissarlo fin in quando girò l’angolo, scomparendo definitivamente.
Proprio come ha fatto James.
Richiuse la porta e vi si appoggiò contro. Si passò le mani sul viso, sugli occhi e tra i capelli, che strinse e tirò forte, fino a farsi male. Come se quel gesto fosse bastato ad estirpare definitivamente quel pensiero fisso, quella paranoia, quell’ossessione che s’insinuava in ogni suo più piccolo pensiero, anche in quelli più innocui, che in apparenza non avevano niente a che fare con lui. Non ne poteva più. Per quanto provasse a dimenticarlo, lui era sempre ovunque.
Decisa più che mai a distrarsi, Aly recuperò la sua pizza, accese il televisore e saltò sull’immacolato divano bianco, ignorando per l’ennesima volta il divieto imposto da sua madre di mangiarci sopra. Dopo cena infilò gli avanzi nel frigo e si sdraiò di nuovo sul divano, addormentandosi poco dopo, con la tv accesa.
E, ancora una volta, sognò il ritorno di James.


*NdA: Hello everybody! Spero che il nuovo capitolo vi sia piaciuto. Se avete voglia, fatemi sapere come la pensate! Si accettano commenti di qualunque genere. ;)
P.s. come forse qualcuno avrà notato, ho avuto qualche problema con il capitolo precedente. Volevo solo correggere alcuni errori grammaticali di cui non mi ero accorta e, senza volerlo, ho cancellato la mia nota di fine capitolo. Ci tenevo quindi a precisare ancora una volta che quella che state leggendo è una storia satirica che mira a prendersi un po' gioco dei luoghi comuni presenti spesso in libri e saghe di genere soprannaturale (o urban fantasy) degli ultimi tempi. Prima che mettiate mano ai pomodori e prendiate la mira però, voglio sottolineare il fatto che i suddetti libri piacciono anche a me, quindi keep calm.
Arrivederci al prossimo capitolo :)*

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Capitolo 4
*** Rivincite ***


Dal diario di Serena, 5 ottobre:
«[...]Ieri sono cominciati a spuntare i primi manifesti che pubblicizzano il ballo di Halloween. Sarà tra tre settimane e io, per la prima volta da quando frequento il liceo, me ne ero completamente dimenticata.
Fino a poco più di un anno fa vedere quei poster decorati a tema macabro che tappezzavano le bacheche e i corridoi della scuola mi avrebbe messo allegria. Ho sempre amato l’aria di festa che si respira solitamente in questi giorni, l’elettricità dell’attesa, le aspettative da film romantico delle ragazze e quelle da film vietato ai minori dei ragazzi…
Detesto non riuscire più a sentire niente di tutto questo. Detesto non essere più una di quelle ragazze che si preoccupa di vestiti, acconciature, trucco e (soprattutto) accompagnatore come se non esistesse niente di più importante nella vita oltre a questo genere di eventi.
Okay, forse (e dico forse) durante la mia vecchia vita da cheerleader non mi avrebbe fatto male prendermi cinque minuti per fare una revisione della mie priorità, ciò non toglie comunque che avevo diritto a godermi ancora per un po’ la spensieratezza (o dovrei chiamarla “ingenuità”?) di quei tempi.
A volte non so davvero cosa darei per tornare alla vita che avevo prima di incontrare Tristan.
Durante l’ultimo ballo a cui avevo partecipato prima di mettermi con lui, il mio cavaliere era stato Adam Gardner, con cui avevo trascorso quello che ancora oggi ricordo come una delle serate più divertenti degli ultimi anni. Certo, magari Adam non era esattamente l’emblema della responsabilità, la sua idea di romanticismo consisteva nel pomiciare di nascosto nelle aule vuote durante l’orario di lezione con il rischio di essere beccati e di sicuro non era il tipo di ragazzo che scriveva sonetti d’amore o fermava treni in corsa con le sue mani un istante prima che ti travolgessero, però sapeva farmi ridere, mi ascoltava ed era anche premuroso. Il genere di ragazzo che se si accorge che hai freddo, si toglie la giacca per mettertela sulle spalle.
Una cosa su tutte però apprezzavo di lui: se gli proponevo di fare qualche pazzia insieme, non mi faceva una predica di tre ore sul fatto che non mi rendevo conto che assecondando queste idee folli avrei messo a repentaglio la mia fragile vita umana (cit. Tristan), anzi, mi assecondava e spesso era lui il primo a proporle.
Non so se andrò al ballo. So che dovrei, se non altro per dimostrare a me stessa che ho superato la parte peggiore del periodo post-rottura ma, ad essere completamente onesti, non sono sicura che riuscirò a farcela. Per mesi ho fantasticato sul mio arrivo al ballo, con me e le altre ragazze che uscivamo dalla nostra limousine, tutte bellissime nei nostri meravigliosi vestiti, attirando l’attenzione di tutti, diventando le regine della festa e divertendoci come non mai mentre i nostri ex si rodevano ai margini della pista da ballo, lontano dai riflettori sotto cui erano abituati a vivere – almeno in senso metaforico.
L’unico problema però è che si tratta appunto solo di questo, una fantasia. E rarissimamente, per non dire mai, le fantasie diventano realtà.
Intanto, mio padre è così entusiasta che abbia ricominciato a farmi una vita che non me la sento di rivelargli la verità, ossia che non sono e non tornerò mai ad essere quella che ero fino all’anno scorso.»

Quel giorno si preannunciava come uno degli ultimi sprazzi d’estate prima che i freddi venti autunnali cancellassero del tutto il ricordo della bella stagione. Serena, influenzata dal sole che splendeva nel cielo terso e dal tepore dell’aria, si alzò di buon umore, cosa che, specie negli ultimi tempi, era abbastanza eccezionale.
Dopo la colazione e la doccia, la ragazza aprì le ante del suo armadio alla ricerca di indumenti che riflettessero il suo buonumore ma, diversi minuti di infruttuosa ricerca più tardi, fu costretta ad ammettere che il suo guardaroba, più che quello di una diciassettenne, sembrava quello di un’impiegata di un’agenzia di pompe funebri: nero, grigio scuro, blu scuro, prugna, ancora nero, verde muschio, verde schifo, altro nero, più nero, nerissimo. La stessa gamma di colori che erano soliti indossare gli alternativi depressi della sua scuola, quelli da cui tutti, pure i gatti neri, si tenevano alla larga.
Okay, questa decisamente non sono più io. Pensò Serena, davanti all’ennesima prova inconfutabile del plagio subito da Tristan durante la loro relazione. Dov’erano finiti i suoi veri vestiti, quel trionfo di colori vivaci e capi a volte un po’ stravaganti che aveva attentamente scelto e che riflettevano la sua personalità? Serena conosceva la risposta: erano stati progressivamente sostituiti su consiglio (leggi: obbligo) suo ex, che riteneva che quelle tonalità e quello stile fossero infantili, da ragazzine. Lei però, con grande sollievo, ricordò di non averli buttati ma di averli solo trasferiti nell’angolo destinato agli indumenti che non metteva più e che al primo cambio di stagione solitamente finivano nei magazzini di qualche associazione di beneficenza.
Nonostante fossero passate diverse stagioni da quando si era messa con Tristan però, i suoi vestiti erano ancora lì. Non aveva mai trovato il coraggio di sbarazzarsene definitivamente. Sorrise tra sé rendendosi conto che, nonostante il lavaggio del cervello messo in atto dal suo ex nel periodo in cui stavano insieme, era riuscita a non arrendersi del tutto alla sua volontà. Una piccola parte di lei era sempre rimasta vigile, in attesa di riprendere il controllo.
Continuando a sorridere, si tuffò tra i vestiti della vecchia Serena, quelli che aveva scelto senza sottostare ai gusti di qualcun altro ma, al massimo, dietro i consigli di qualche amica.
 -Shorts, quanto mi siete mancati!- disse, mentre recuperava un paio di pantaloncini bianchi che un tempo erano stati tra i suoi preferiti e che Tristan le aveva impedito di indossare perché a suo dire la facevano apparire come una donna discinta, termine forbito in uso ai suoi tempi sinonimo dell’odierna espressione “ragazza facile”.
Al diavolo la sua stupida educazione puritana. Siamo nel ventunesimo secolo! Pensò la ragazza, elettrizzata dall’idea di poter tornare a fare ciò che voleva senza doverne rendere conto a nessuno. Dopotutto, quello era uno dei piaceri dell’essere single che lei si era negata a lungo, troppo a lungo, nella vana speranza che Tristan tornasse sui suoi passi.
Dopo aver indossato gli shorts ed una maglietta arancione con lo scollo a “V” – ricordando con un sorrisino perfido le occhiatacce che le avrebbe lanciato il suo ex alla vista di un indumento tanto “provocante” addosso alla sua ragazza – , Serena riscoprì un rituale a cui fino ad un paio d’anni prima non avrebbe rinunciato neanche al costo di saltare la prima ora di lezione: truccarsi e acconciarsi i capelli. Quando stava con Tristan lo faceva solo qualche volta il sabato sera perché a lui le ragazze piacevano “al naturale”.
Una volta che ebbe stirato i capelli, messo l’eyeliner, il mascara e passato un leggero strato di fondotinta illuminanti, ammirò compiaciuta il risultato allo specchio, recuperò la borsa, s’infilò gli occhiali da sole e uscì.
Quando scese dalla sua auto, buona parte degli studenti che si trovavano nel parcheggio della scuola diressero il proprio sguardo in direzione di quella che Serena aveva già ribattezzato come la nuova versione di sé stessa; non più la cheerleader frivola dei primi tempi e nemmeno la succube di un vampiro possessivo. Era una persona diversa, più matura e consapevole: Serena 3.0.
A quel punto, se si fosse trovata in un film, l’inquadratura sarebbe stata tutta per lei, la scena si sarebbe svolta in slow-motion ed avrebbe mostrato la sua camminata sicura e fiera mentre una canzone vittoriosa risuonava in sottofondo.
Tra i presenti ad assistere all’evento, neanche a farlo apposta, c’erano anche Tristan e la sua nuova cagnolina, che poi tanto nuova non era più, dal momento che il suo ex la teneva al guinzaglio da ormai quasi un anno. Erano appena scesi dalla Lamborghini rossa fiammante e sempre perfettamente tirata a lucido del vampiro, la stessa con cui era passato a prendere Serena per tutta la durata della loro relazione.
Per la prima volta da quando era venuta a conoscenza dell'esistenza dell'altra, Serena non provò né rabbia, né gelosia vedendo l’anonima ragazzina con le spalle racchiuse nella stretta protettiva del suo ex. Tutto quello che sentiva per lei era compassione, perché le sembrava di rivedere sé stessa non molto tempo prima; qualcuno che non sarebbe mai più voluta tornare ad essere.
Serena passò di proposito davanti alla coppietta e sia lei, che Tristan finsero di ignorarsi. Peccato però che Serena lo conoscesse troppo bene per non accorgersi dell’occhiata che gli aveva lanciato, per quanto rapida e discreta.
-Serena!- la chiamò qualcuno, facendole distogliere l’attenzione dal suo momento glorioso.
La ragazza non riuscì a trattenere la sorpresa quando si voltò e si accorse che la voce apparteneva a Kelly, quella che era stata la sua migliore amica dai tempi delle elementari fino a un paio d'anni prima e che aveva smesso di frequentare quando Tristan aveva detto a Serena che, secondo lui, quella ragazza non era per niente affidabile ed inoltre la considerava una meretrice, altro termine di cui pure il vocabolario del diciannovesimo secolo rifiutava di ammettere l’esistenza e che era sempre riconducibile all’espressione “ragazza di facili costumi”.
Era da oltre un anno e mezzo che non rivolgeva la parola a Serena, cioè da quando avevano litigato proprio a causa del suo ex.
Probabilmente, in un altro momento ci avrebbe pensato su almeno una trentina di volte prima di rispondere al saluto e, per precauzione, si sarebbe anche voltata per assicurarsi che dietro di lei non ci fosse nessuna ragazza col suo stesso nome. Tuttavia, dato che era l’alba di una nuova Serena e che si trovava nella posizione ideale per far innervosire Tristan, come avrebbe potuto non approfittarne? Sorrise a Kelly e attraversò lo spazio che la separava dalla sua vecchia amica camminando sempre con passo sicuro e a testa alta, anziché guardando l’asfalto immersa nelle sue paranoie come aveva fatto per troppo tempo.
-Ciao Kelly! Come stai?- chiese, accantonando per un momento la questione “ex”.
-Tutto bene, e tu invece?- le rigirò la domanda Kelly.
-Sto decisamente bene- rispose. Non aveva mai pronunciato quelle parole con così tanta convinzione.
-Ci credo, non ti vedevo così da un pezzo!- commentò Kelly squadrandola scrupolosamente dalla testa ai piedi. -Mi piace come sei vestita! E i capelli ti stanno proprio bene oggi!-.
Serena si sentì sul punto di arrossire. Non era più abituata a ricevere quel genere di complimenti e di sicuro non si aspettava di riceverli proprio da Kelly. -Grazie mille, anche tu sei in gran forma! Come va con le cheerleader?-
Kelly era stata nominata capitano della squadra dopo il chiacchierato ritiro di Serena. Quest’ultima sapeva che la ragazza che aveva davanti era sempre stata tra le più brave sia nella danza, che nelle acrobazie e che possedeva il carisma e la determinazione necessari per essere un’ottima leader, tuttavia non poté fare a meno di pensare che, in un mondo parallelo in cui Tristan non si era mai intromesso nella sua vita, ci sarebbe dovuta essere lei al suo posto. Aveva rinunciato alla sua passione, il cheerleading, e anche a molto altro per qualcuno che di sicuro non avrebbe mai meritato un così grande sacrificio da parte sua.
Dal modo in cui Kelly la stava guardando, Serena capì che probabilmente dovesse avere intuito quali fossero i pensieri che le frullavano in testa. Era sempre stata bravissima a decifrare i suoi sguardi e le sue espressioni, una qualità che possedeva anche Serena nei suoi confronti. Non per niente erano state migliori amiche per così tanto tempo.
 -Qualche volta è dura, ma ce la caviamo. Ci siamo qualificate per il campionato nazionale, ma immagino tu lo sappia già-.
Serena annuì. Certo che lo sapeva, avevano appeso manifesti ovunque nella scuola. Era la prima volta dopo diversi anni che nella loro scuola veniva raggiunto un risultato degno di nota in ambito sportivo. La ragazza non riuscì a fare a meno di chiedersi se, con lei come capitano, sarebbero riusciti a raggiungere lo stesso traguardo.
-Sai- continuò Kelly, abbassando per un attimo gli occhi. -Devo confessarti che non mi sono ancora abituata del tutto al fatto di non vederti più agli allenamenti-.
Quelle parole colpirono Serena dritta al cuore, come una freccia scoccata a distanza ravvicinata. Non riusciva quasi a credere che dopo tutto quello che era successo tra loro, a Kelly importasse ancora qualcosa di lei.
-Davvero?- chiese, alzando involontariamente la voce di un’ottava.
-Beh, nessuna delle altre ride alle mie battute, anche a quelle sceme, come facevi tu- rispose Kelly in tono scherzoso. Nei suoi occhi però, Serena lesse sincerità e, poco ma sicuro, nessuno sapeva leggere i suoi sguardi meglio di lei.
Seguì un breve silenzio durante il quale Serena rifletté sulle parole migliori da usare per cercare di sfruttare al meglio la possibilità che Kelly, per ragioni ignote, aveva deciso di concederle.
-Kelly, dovremmo andare in classe, ma…vorrei che continuassimo il discorso. Che ne dici se dopo le lezioni ci trovassimo al Rouge Café? Offro io-.
Il volto della sua amica ritrovata s’illuminò, come se non si fosse minimamente aspettata quell’invito.
-Certo, volentieri!- rispose quest’ultima, sorridendo.
Decisamente, quella giornata si stava rivelando migliore di quanto non avesse immaginato.
 
***
 
Serena camminava ad un metro da terra. Era da tanto che non provava una simile sensazione, aveva dimenticato cosa volesse dire sentirsi così leggeri e felici. L’ultima cosa che aveva detto a Kelly prima della loro conversazione di quella mattina era stata: “Non voglio vederti mai più!”, parole pronunciate al culmine dell’ultima di una lunga serie di discussioni, nata dopo che, per l’ennesima volta, la sua amica aveva tentato di farle aprire gli occhi di fronte alla pessima influenza che Tristan stava avendo su di lei.
Serena avvertì quel senso di colpa particolarmente forte che l’assaliva quando ripensava a quale stupidaggine aveva fatto preferendo quell’idiota del suo ex a quella che per oltre metà della sua vita era stata una presenza costante e rassicurante, nonché la sua più grande amica. Si chiese come sarebbero andate le cose se avesse dato ascolto al suo lato ragionevole anziché a quello sentimentale/ormonale.
Serena trascorse le prime due ore di lezione a rimuginare su tutto ciò, dopodiché cercò di distrarsi focalizzando la sua attenzione sulle lezioni. Ben presto però si rese conto che si trattava di un’impresa più complicata del previsto: anche se ripeteva sempre che ragionare con il senno di poi serviva solo ad aumentare la quantità dei suoi rimorsi - che equivaleva a torturarsi psicologicamente e del tutto inutilmente - ogni pensiero a cui si aggrappava, anche il più stupido, la riconduceva al punto di partenza.
Durante il cambio dell'ora, proprio mentre ripensava a tutte le scelte sbagliate compiute negli ultimi due anni, alzò lo sguardo e si accorse che, poco distante da lei, l’attuale ragazza di Tristan se ne stava appoggiata agli armadietti con un sorriso ebete stampato in faccia mente lui le parlava guardandola dolcemente negli occhi e giocherellando con una ciocca dei suoi anonimi capelli castani. Da considerare il fatto che casualmente l’intera sequenza stava avendo luogo a meno di un metro dall’armadietto di Serena.
Sapeva che prima o poi sarebbe arrivata ed eccola qui: la ripicca di Tristan.
Serena però, al posto del moto di rabbia e invidia che probabilmente il vampiro si aspettava, sentì solo un’improvvisa voglia di ridere per la pateticità della situazione. Quella scenetta stimola-gelosia così poco sottile era davvero una caduta di stile per un vampiro di classe come il grande Tristan Dmytrus. Una cosa del genere se la poteva aspettare al massimo da uno come Adam.
Lei fece come se niente fosse: aprì il suo armadietto, ripose i libri dell’ora appena terminata e si mise a cercare quelli per l’ora successiva. Nel frattempo, con la coda dell’occhio, vide il suo ex salutare con un lungo ma casto bacio sulle labbra la sua fidanzatina, che pochi attimi dopo scomparve dal suo campo visivo. Tristan però non si mosse e a quel punto la sicurezza di Serena cominciò a vacillare.
-Oh, ciao Serena. Scusami, non ti avevo vista- esordì lui.
Come no.
-Ehi, Tristan, Come mai non accompagni la tua dama in classe? Non hai paura che inciampi sulle scale, che scivoli sul pavimento bagnato o che un meteorite la colpisca mentre tu non puoi farle scudo col tuo corpo?-.
Tristan non si smentì e ignorò il sarcasmo di Serena. -Tanto perché tu lo sappia, la mia dama ha un nome. Si chiama Mary Annabelle e mi farebbe piacere se non parlassi di lei con quella nota sprezzante nella voce-.
-Ma io non voglio certo far piacere a te e comunque…hai detto Mary Annabelle?!-
-Lo so, non è un nome meravigliosamente melodioso?- chiese lui con tono quasi sognante.
No, secondo Serena era meravigliosamente ridicolo. Represse una risata istintiva mascherandola da colpo di tosse e non disse altro per evitare di fare la figura dell’invidiosa e di dare in questo modo soddisfazione a Tristan.
-Se lo dici tu…- rispose invece, mordendosi un labbro per nascondere ogni taccia che potesse indicare un'espressione divertita.
-Ho notato che invece tu hai ripreso a frequentare Kelly-.
La ragazza cercò di ignorare la sua constatazione, ma lui rincarò la dose.
-Pensavo che ormai avessi capito di quale falsità e ipocrisia sia capace quella ragazza-.
Serena richiuse il suo armadietto sbattendolo forte. Non tanto forte quanto avrebbe voluto per evitare di attirare l’attenzione generale e dare a Tristan la soddisfazione di vederla perdere il controllo, ma comunque abbastanza forte da infastidire il suo delicatissimo udito.
-Che vuoi farci, Tristan, sono una mortale, i mortali sono inferiori e non imparano mai. Non è forse questo che andate predicando tu e gli altri tuoi compari?-.
A quel punto, la ragazza superò il vampiro che un tempo aveva amato e da cui aveva creduto di essere amata a sua volta senza neanche guardarlo in faccia, diretta verso l’aula in cui aveva la lezione successiva. Pochi passi dopo però ebbe un ripensamento, si fermò e, senza voltarsi e imitando il tono di Tristan, aggiunse: -Ah, per favore, evita di parlare di parlare dei miei amici con quella nota sprezzante nella voce. Non sei più nessuno per esprimere giudizi su chi frequento-.
Dopo quelle parole, proseguì aspettandosi una replica da parte del suo ex, che però non arrivò e a quel punto capì che quel round lo aveva vinto lei. Sorrise compiaciuta tra sé.
Un punto per Serena 3.0.

 


*NdA: Salve figliuole/i!! Se avete avuto la pazienza di arrivare fino a questo punto, devo (come sempre) ringraziarvi profondamente.
...
Ok, vi rivelerò un segreto: quando devo scrivere le note autrice sento come se, al posto delle idee, nella mia testa ci fosse il famoso cespuglio di erba secca che rotola per la desolazione e, tanto per peggiorare le cose, sono affamata come un orco, cosa che non mi aiuta a rimanere lucida.
Quindi, vi basti sapere che sono profondamente grata a chiunque segua questa storia e che spero vi appassioni come scriverla sta appassionando me.
Alla prossima! :)*

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Capitolo 5
*** Non c'è (quasi) nessuno ***


Dal diario di Em, 6 ottobre:
«(...)Lo sapevo. Sapevo che non poteva essere finita così. Non quando c’è di mezzo qualcuno abituato ad ottenere tutto ciò che vuole a qualunque costo come Elijah. Era da quasi un anno che le cose sembravano avere finalmente raggiunto un loro equilibrio, anche se precario.
Invece adesso lui mi fa questo.
So che l’ha fatto solo per causa mia, per quello che è successo tra di noi e non riesco più a sopportare il senso di colpa dovuto alle azioni che compie col solo scopo di farmela pagare.
Non ce la faccio più.
Lo odio.
E odio anche me stessa per aver permesso che tutto questo succedesse.
Non era abbastanza per lui staccare la porta del mio armadietto a scuola e appallottolarla come fosse carta per poi distruggere tutti i miei libri e le cose che conteneva.
Non era abbastanza farmi trovare il corpo esanime di Cookie, il cane della mia vicina, davanti alla mia porta d'ingresso.
Non era abbastanza nemmeno entrare in casa mia di nascosto, come a farmi intendere che potrebbe rifarlo quando vuole, solo per lasciare una fotografia strappata sopra il mio letto. La stessa foto che aveva tanto insistito per scattarmi con la sua amata polaroid poco prima di partire per la Transilvania a causa di non so quali questioni familiari ed aveva voluto un modo per avermi sempre con sé, dal momento che mi ero rifiutata di partire con lui.
No, a quanto pare non era abbastanza.
Quando oggi l’ho visto in compagnia ho capito subito che c'era qualcosa che non andava. Ormai lo conosco troppo bene per non capire quando sta progettando qualcosa, qualcosa che avrà senz’altro conseguenze su di me, in un modo o nell'altro.
L’ho visto solo per pochi istanti, tra la folla dell’atrio principale della scuola, al termine delle lezioni. Sembrava particolarmente preso dalla sua conversazione con LEI.
So che avrei dovuto fingere di non accorgermi di niente e passare oltre, ma non ci sono riuscita. È come se Eli fosse perennemente circondato da un'aura che emana vibrazioni negative verso cui non posso fare a meno che provare repulsione  mista ad una controversa attrazione.
Poi, per un momento, un brevissimo momento, mi è sembrato di scorgere il suo sguardo gelido fissare oltre la spalla di LEI, oltre il fiume di studenti che, ignaro di tutto, continuava a scorrerci davanti e a riversarsi fuori dall'istituto, per posarsi infine su di me.
In quell'istante, potrei giurare di aver sentito il mio cuore saltare un battito e non in senso positivo. Mi sono affrettata ad distogliere il mio ma, quando poco dopo ho rialzato gli occhi nella sua direzione, sembrava ancora completamente preso dalla conversazione con quell’altra, tanto che non sembrava nemmeno essersi accorto della mia presenza. Ho quindi proseguito per la mia strada cercando di convincermi che fosse stato solo uno scherzo della mia mente a farmi immaginare tutto.
Dopo un po' però, ho smesso di cercare di rifugiarmi nelle scuse campate in aria e mi sono dovuta arrendere: quando c’è di mezzo Eli, fidarsi del proprio istinto è tutto.
Con lui non esistono le coincidenze.»
 
Quel giorno, Serena era a dir poco raggiante. Da che aveva fondato il gruppo, Em non ricordava di averla mai vista sorridere in quel modo.
Quel pomeriggio, alla riunione, quando fu il suo turno per parlare dei progressi fatti negli ultimi giorni, annunciò di aver cominciato a riallacciare i rapporti con una vecchia amica con la quale non parlava da quando aveva iniziato a frequentare Tristan, proprio perché quest’ultimo gliel’aveva impedito.
-Non me l’aveva espressamente proibito, ovviamente- stava raccontando mentre stringeva nervosamente il pugno. -Faceva piccole insinuazioni, commenti sottili ma ambigui, giusto per mettermi la pulce nell’orecchio e io, come una perfetta idiota, ci sono cascata. Alcuni suoi comportamenti o piccole abitudini alle quali di solito non davo peso o che addirittura non avevo mai notato, hanno iniziato ad infastidirmi. Questo ci ha portato a discutere sempre più di frequente, poi a litigare seriamente e, infine, alla dichiarazione di guerra ufficiale, che nel nostro caso si è conclusa con la reciproca decisione di fingere che l’altra avesse smesso di esistere, almeno fino ad oggi-. La sua mano si rilassò un po’. -Quando questa mattina è venuta a parlarmi non so dirvi quanto mi sia sentita felice, alla faccia di tutti i Tristan con le loro Mary Annabelle-
-Mary Annabelle?!- esclamarono Clare ed Aly in stereo.
-Chi è?- domandò Rachel.
-L’ultima di una lunga serie di “anime gemelle”. Definizione vampiresca per indicare il proprio attuale "rifornimento ambulante di bibita al gusto di emoglobina"- rispose Serena. -Sappiate che secondo Tristan è un nome meravigliosamente melodioso. Testuali parole-.
Quando capì che il turno di Serena stava per finire, Em iniziò a sentirsi agitata anche se, come sempre, cercò di reprimere ogni segno che potesse darlo a vedere alle altre, tra cui la sua vecchia abitudine di mordicchiarsi le unghie. Di lì a poco sarebbe toccato a lei parlare.
Voleva davvero raccontare quanto accadutole poco prima mentre usciva da scuola, lo voleva disperatamente. Sapeva però che, se l’avesse fatto, avrebbe dovuto raccontare di conseguenza la storia dall’inizio. La vera storia.
Non quella che tutti avevano supposto, che lei non aveva mai smentito e grazie alla quale era entrata nel gruppo.
Purtroppo però credeva, anzi, era certa che le altre non l'avrebbero capita. Quindi, quando fu il suo turno, si alzò in piedi e ripeté le solite cose, le stesse frasi di sempre che ormai conosceva a memoria
-Elijah mi ha lasciata un anno e due mesi fa. Da allora, la mia vita da allora mi sembra vuota, ultimamente però riesco a non pensare più a lui così spesso e questo mi fa sentire meglio...-
Bla, bla, bla.
Eccetera, eccetera.
In quell’occasione però, mentre pronunciava quelle parole, si sentì molto più in colpa del solito.
Alla fine della riunione, Serena assegnò a tutte un compito: ristabilire i contatti con qualcuno che erano solite frequentare prima di mettersi coi rispettivi ex.
Em, da brava padrona di casa, invitò tutte a rimanere fin quando volevano ma Rachel, Elise ed Aly se ne dovettero andare quasi subito. Clare rimase per aiutare Em e Serena a riordinare il salotto e poi se ne andò anche lei, lasciando sole le due ragazze.
Inizialmente, Em credeva che anche Serena fosse in procinto di andarsene, quest'ultima però contraddisse le sue previsioni. Si appoggiò con la spalla allo stipite della porta della cucina e iniziò a fissarla silenziosamente, con un aria vagamente diffidente della quale Em finse di non accorgersi.
-Emily?- la chiamò Serena, dopo un paio di minuti.
-Che c’è?- rispose lei, mentre fingeva di essere troppo impegnata a riporre le confezioni di biscotti e snack vari nella dispensa per accorgersi del suo sguardo.
-Dimmi la verità, va tutto bene?-
-Si, certo, perché me lo chiedi?- fece Em dopo un attimo di esitazione.
Probabilmente un attimo di troppo.
-È solo che...oggi mi sembri un po’ turbata- constatò Serena. -Lo sai che se qualcosa non va puoi parlarmene liberamente, vero? E se non vuoi farlo con me, puoi rivolgerti a qualcuna delle altre. Se hai bisogno di sfogarti...-
-Te l’ho detto, va tutto alla grande!- ribadì Em in tono scontroso, infastidita dall'insistenza di Serena.
La ragazza rimase interdetta da quell’improvviso cambiamento d’umore ed Em si rese conto della durezza eccessiva con cui si era rivolta a lei, pentendosene immediatamente. In quell’ultimo anno, la ragazza aveva imparato ad osservare le ragazze del club da una prospettiva diversa rispetto a quella da cui erano abituate ad essere guardare dalla maggior parte delle persone. Di conseguenza, sapeva che per quanto Serena si sforzasse di apparire forte, la sua autostima e la sua sicurezza erano state non poco compromesse da diversi problemi familiari prima e dalla controversa storia con Tristan poi.
-Scusami, a dire il vero quella di oggi non è stata una gran giornata. Ho visto Eli- confessò in un sospiro. Quella fu la cosa più sincera che uscì dalle sue labbra quel giorno, E anche quella che la fece sentire meglio.
-Scusami tu, a volte non mi rendo conto di quando è il momento di stare zitta- disse Serena, avvicinandosi ad Em. -Prima però dicevo sul serio: il nostro gruppo non serve solo a scroccare merende pomeridiane, lo abbiamo fondato prima di tutto per ascoltarci e sostenerci. Prenditi tutto il tempo che ti serve, Emily. Quando ti sentirai pronta, noi ci saremo-.
 
* * *
 
Ristabilire le amicizie che le storie coi loro ex avevano interrotto.
D’accordo, ma se la ragazza in questione non aveva mai avuto amici, cosa poteva fare? Em per un attimo fu tentata di mentire ancora una volta e di inventarsi una telefonata ad un’amica di vecchia data, ma subito scartò l'idea. Aveva già raccontato fin troppe bugie alle altre ragazze e giurò a sé stessa che non ne avrebbe inventate di nuove, per nessuna ragione. Decise quindi che alla riunione successiva semplicemente detto la verità: che non era mai stata in grado di farsi degli amici, che quand’era arrivata in città, poco più di due anni prima, aveva capito subito che i suoi coetanei non erano interessati all’ultima arrivata, che avevano già i loro gruppetti formati dagli amici che conoscevano probabilmente dai tempi dell’asilo e con cui erano cresciuti nelle vie di quella noiosa città.
In poche parole, non c’era posto per la ragazzina timida e silenziosa. Troppo complicata da gestire.
Poi però, proprio quando Em era ormai rassegnata alla sua solitudine, era arrivato Eli e…
Basta! Si ordinò. Non voleva rivivere il ricordo del suo periodo con Eli, non voleva ricordare tutto ciò che aveva passato con lui, voleva solo nasconderlo nel più recondito angolo della sua memoria e non rivangarlo mai più, eppure quest’ultimo continuava a riapparire nei momenti più inopportuni, pronto a rovinarle in meno di un attimo ogni momento in cui Em riuscisse ad intravedere una parvenza di serenità.
Nel gruppo, lo stesso gruppo che Serena aveva scherzosamente ribattezzato "il club della sopravvissute ai principi azzurri dannati" il suo esatto opposto era Aly. Al contrario di Em, lei si aggrappava con tutte le sue forze ai ricordi dei giorni passati con il suo ex, James, e questo perché il bastardo non aveva nemmeno avuto la decenza di lasciarla come si deve.
Oh, no, lui non le aveva semplicemente chiuso la porta in faccia di punto in bianco, così come avevano fatto gli ex delle altre e come è solito fare più o meno la maggior parte dei vampiri una volta stanchi delle loro mortali! Lui aveva lasciato aperto un piccolo spiraglio di speranza per Aly, lasciandole intendere che fosse una cosa temporanea, una specie di pausa di riflessione da cui sarebbe potuto tornare da un momento all’altro. Con questa scusa James aveva trovato il modo perfetto per parare il suo marmoreo posteriore e, al tempo stesso, tenersi la bambolina a disposizione nel malaugurato caso in cui gli fosse tornata la voglia di giocarci. Em, tuttavia, dubitava fortemente che sarebbe mai potuto accadere: era risaputo quanto i vampiri amassero le novità, così come il fatto che non volesse loro molto per stancarsi dei loro "passatempi" e che quasi mai tornassero sui propri passi. Erano sempre alla costante ricerca di qualcosa che desse loro nuove emozioni, sia che durassero anni (come raramente accadeva) o il tempo di un brivido. Secondo Em quel comportamento era probabilmente una conseguenza – o meglio, un effetto collaterale – dell’immortalità.
Nonostante tutto però, Em sapeva che Aly non era una stupida. Ad essere sinceri, nei primi tempi dopo averla conosciuta aveva creduto che un po' lo fosse ma poi, incontro dopo incontro, aveva capito che in realtà era una ragazza a posto, intelligente, simpatica, ma ingenua. Troppo ingenua.
James l’aveva resa creta nelle sue mani promettendole tutte le attenzioni che non aveva mai ricevuto dai suoi genitori.
Alla fin fine, questo era ciò che accomunava tutte loro: i loro ex si erano insinuati nella loro vita sfruttando le loro più grande vulnerabilità, i punti deboli: la solitudine ed il senso di abbandono, altre due caratteristiche che condividevano. Avevano promesso di alleviarle, di riempire per sempre quella voragine buia che sentivano dentro e purtroppo loro ci avevano creduto. Tutte quante.
Decisa più che mai a distrarsi da quel groviglio di pensieri, Em cominciò a preparare la cena. Sua madre sarebbe tornata a momenti. Doveva ricominciare a recitare la parte della normale figlia adolescente.
 
* * *
 
Pochi minuti più tardi, Em si trovava da sola, nel buio della sua camera, a stringere con forza il suo cuscino, come se fosse ciò fosse potuto bastare per fermare le lacrime ormai imminenti.
Aveva cercato di creare una bella atmosfera in casa, si era ripromessa che avrebbe cercato di sorridere il più possibile e che durante la cena avrebbe ascoltato con più interesse sua madre parlare di come le era andata la giornata.
Almeno per una sera, voleva essere la figlia che sua madre desiderava riavere indietro, la figlia con cui Em sentiva di non avere più niente in comune.
Quando aveva udito la porta d’ingresso aprirsi, aveva preventivamente sfoderato il sorriso di bentornato più caloroso che riuscisse ad offrire, ma questo era scomparso prima ancora che sua madre potesse vederlo.
C’erano due voci provenienti dall’ingresso: una era di sua madre, l’altra dell’ultima persona che avrebbe voluto vedere dopo una giornata come quella appena trascorsa e che, con la sua sola presenza, aveva già rovinato tutti i suoi sforzi per rendere la serata piacevole: Sean.
La madre di Em, Sarah, era rimasta incinta poco prima di compiere vent'anni. Nonostante la gravidanza le avesse impedito di continuare gli studi – nonché il su periodo di "follie" al college - non si era mai chiamata pentita per aver scelto la maternità, per quanto inaspettata, e non perdeva occasione per ribadire che la piccola Emily era la cosa più bella che la vita avesse mai potuto donarle. Purtroppo però, i suoi genitori, ossia i nonni di Em, non avevano preso altrettanto bene la notizia della gravidanza e della decisione di portarla avanti. La famiglia di Sarah era stata meticolosamente costruita sulle precarie basi dell’apparenza per essere vista da tutti come il prototipo della famiglia ideale e, di conseguenza, quell’evento inatteso per loro poteva rappresentare solo una cosa: il fallimento di tutti i progetti che avevano accuratamente studiato per fare della minore dei loro figli una perfetta appartenente all'alta società cittadina. In poche parole, la più grave mancanza di rispetto che avesse potuto avere nei loro confronti.
Da parte sua, Em ricordava la sua infanzia come il periodo più sereno della sua vita. Sarah si era sempre fatta in quattro per non farle mancare nulla sia materialmente che affettivamente e c'era riuscita nonostante le precarie finanze, i turbolenti e continui litigi con i suoi genitori e l'improvviso abbandono da parte del suo compagno nonché padre di Em, pochi giorni prima del nono compleanno di quest'ultima.
I problemi tra la donna e sua figlia erano però affiorati qualche anno prima, quando Em aveva varcato ufficialmente il confine tra infanzia e adolescenza. Nel giro di breve tempo, Sarah era regredita all’età in cui aveva dovuto rinunciare a libri e feste per pannolini e biberon, fermamente decisa a riprendere da dov’era rimasta. Aveva iniziato a vestirsi quasi come una coetanea della figlia, a comportarsi in maniera molto simile e tutto questo, aggiunto al successo che la bellezza della donna già riscuoteva sull’altro sesso, aveva fatto sentire Em ancora più insicura di quanto non fosse già.
Ricordava ancora la prima volta in cui le avevano scambiate per sorelle: sua madre aveva passato il resto della giornata circondata da un'aura di felicità, mentre Em ricordava di aver desiderato ardentemente che una botola si materializzasse sotto i suoi piedi per poi aprirsi e inghiottirla. Suo malgrado, poco alla volta aveva imparato a convivere con episodi di quel genere, più che altro perché non si era trovata di fronte a molte alternative.
Ciò che non sapeva però, era che il peggio doveva ancora arrivare. E invece era arrivato puntuale all’inizio dell’estate precedente.
Em sapeva che sua madre usciva da un po’ con qualcuno, tuttavia era convinta che, almeno in quell’ambito, Sarah avesse conservato un briciolo di buonsenso, per questo motivo non aveva mai ritenuto ci fosse alcuna ragione per preoccuparsi…e questo rese la sera in cui conobbe Sean molto più traumatica.
Sarah aveva preparato con cura ogni minimo dettaglio di quella serata: aveva fatto sì che ogni angolo della casa splendesse di luce propria facendosi aiutare anche da Em, che aveva dovuto infilarsi in angoli della casa di cui ignorava addirittura l’esistenza per accontentare la madre, la quale, più nervosa che mai, continuava ad andare avanti e indietro passando l’aspirapolvere anche tre volte nella stessa stanza.
Esasperata da quel comportamento germofobico, ad un certo punto Em aveva convinto Sarah a prepararsi un bagno caldo per rilassarsi un po’ mentre lei si occupava delle ultime faccende. In questo modo, finalmente in casa era tornata la calma.
Circa un’ora dopo però, quando era suonato il campanello ed Em era andata ad aprire, si era trovata di fronte a qualcosa a cui non era minimamente preparata: al posto dell’uomo elegante dall’aspetto curato e col mazzo di rose che aveva immaginato e idealizzato per tutto il pomeriggio, si era trovata davanti un tizio in jeans, t-shirt e giacca di pelle, con la barba leggermente incolta e una bottiglia di vino nella mano destra. Forse un po' troppo casual, ma Em dimenticò in suo look non appena il suo sguardo curioso raggiunse il volto della persona che aveva di fronte.
Fu costretta a battere le palpebre per diverse volte prima che il suo cervello riuscisse a realizzare ed accettare il fatto che quell'uomo non potesse avere più di ventisei, ventisette anni al massimo.
-Tu devi essere Emily. Ciao, io sono Sean- aveva esordito lui, tendendole la mano.
Em però era ancora così sconvolta, che a malapena era riuscita a balbettare qualcosa di simile ad un “scusa un momento” prima di precipitarsi nella camera dove sua madre stava finendo di prepararsi, senza nemmeno invitare l'ospite ad entrare.
-Dimmi che il ragazzo alla porta è il figlio dell’uomo con cui esci e che il tuo adulto e maturo fidanzato deve ancora arrivare- aveva detto un istante dopo essere entrata senza nemmeno bussare.
La donna aveva distolto lo sguardo dalla specchiera e osservato la figlia con aria interrogativa. -Cosa stai dicendo? Sean è arrivato?-.
Sean.
In quel momento, la ragazza si era sentita mancare la terra sotto i piedi. Dov’era la sua mamma? La donna che quand’era piccola le raccontava le storie, le medicava ginocchia e gomiti sbucciati e che la sgridava quando combinava qualche guaio come le mamme normali, dov’era? Em non era più così certa che la donna che aveva davanti, col tubino nero succinto, il trucco a parer suo esagerato e la pelle inscurita dalle lampade abbronzanti fosse davvero la stessa donna.
-Sean- aveva ripetuto. Poi, quasi senza accorgersene, si era messa ad urlare: -Sean! Ma quanti anni ha? Sei impazzita, forse? È uno scherzo? Quello potrebbe essere il mio ragazzo!-.
A quelle parole, per un secondo, un maledetto secondo, nello sguardo di Sarah aveva intravisto la persona che cercava da tanto tempo e che rivoleva disperatamente, come se per un attimo fosse rinsavita. Quasi subito però la pseudo-mamma/aspirante sorella maggiore che vive in un universo troppo distante da quello in cui fino a pochi anni prima era felice con sua figlia, aveva ripreso il controllo.
-Lo sapevo, avrei dovuto parlartene prima. Scusa se non l’ho fatto ma immaginavo che se te l’avessi anche solo accennato tu avresti reagito così e...-
-E come dovrei reagire, scusa?!- l'aveva interrotta Em, sull'orlo dell'esasperazione. -Mia madre esce con un ragazzo che potrebbe quasi essere suo figlio! Solo a me questa cosa sembra a dir poco assurda?-
Sua madre sospirò. -Emmy…sapevo che non avresti capito subito. Lo sai che dopo tuo padre non ci sono quasi più stati uomini nella mia vita. Con il poco tempo a disposizione che mi rimaneva quando non mi occupavo di te e o del lavoro coltivare un rapporto serio è sempre stato difficile, poi però Sean è arrivato, quasi all’improvviso. All’inizio ero confusa, quasi spaventata e anche a me sembrava strano ma, per qualche motivo, ho accettato di uscire con lui e, per quanto strano, mi sono trovata bene come non mi capitava da anni…-.
Lo sguardo sognante della donna era tornato a quel fatidico primo appuntamento, Em però aveva interrotto quasi subito i suoi viaggi mentali.
-D’accordo, beh, scusa se ho rovinato gli ultimi sedici anni della tua vita. Anzi, sai cosa? ho un’idea: tu e Sean stasera cenerete soli soletti mentre io me ne andrò da qualche parte e per una volta non rovinerò niente, contenta? Buona serata!-
La ragazza aveva fatto per andarsene proprio mentre sua madre tirava fuori il suo tono più autoritario.
-Emily Alexandra Cortese! Piantala di fare l’immatura e torna subito qui!- aveva gridato Sarah.
-Da che pulpito!- aveva ribattuto Em un attimo prima di uscire sbattendo la porta della camera.
Dopo aver sceso le scale in tutta fretta si era ritrovata all’ingresso con Sean ancora disorientato e per giunta anche a disagio a causa della lite che probabilmente era stata udita da tutto il vicinato. Em però, nonostante fosse consapevole di essere l'artefice di quella situazione, non era affatto dispiaciuta. Quel ragazzino non avrebbe dovuto intromettersi nella vita sua e di sua madre. Stava dando il colpo di grazia al loro già precario rapporto.
Eppure, nonostante tutto, in quel momento era stata lei a sentirsi come se la sua presenza, anzi, la sua intera esistenza fosse un errore, nonché un ostacolo alla vita di sua madre e, certamente, anche di Sean.
Perseguitata da quel pensiero era uscita di casa, aveva recuperato la bici parcheggiata di fronte al garage ed era corsa via, percorrendo stradine e viali che ancora non conosceva bene, cercando di perdersi di proposito. Voleva solo stare da sola e più lontana che poteva da sua madre e da lui, Sean.
Ancora non sapeva che quella sera la solitudine non rientrava nei piani che il destino aveva per lei...
 
-Emily!- chiamò sua madre bussando alla porta e distraendola dai suoi ricordi proprio al momento giusto.
-Vattene!- rispose Em.
-Emily, per favore, ascoltami…-
-No! Non voglio stare a sentire te e tutte le tue chiacchiere su quanto il mio comportamento sia immaturo e maleducato nei confronti tuoi e di Sean, quindi sparisci!-.
Sua madre aprì la porta anche se Em non le aveva dato il permesso, facendola infuriare ancora di più.
-Non hai nemmeno mai provato a parlarci, come puoi giudicarlo se non lo conosci? Non è come gli altri ragazzi della sua età, è molto più…-
-Non me ne frega niente!- la interruppe Em. -Fai quello che vuoi col tuo Sean! Andate fuori a cena, in vacanza insieme, sbaciucchiatevi in pubblico, sposatelo! Ma almeno, mentre fai tutto questo, ricordati due cose: primo, questo non ti farà tornare a quando avevi la sua età; secondo, io non voglio avere niente a che fare con lui, né con te. Adesso esci e chiudi la porta, grazie-.
La donna rimase dov’era per qualche secondo ma non trovò le parole adatte per risponderle, quindi si limitò ad obbedirle.
Em si girò sul fianco, in direzione della finestra, e prese ad osservare le stelle che s’intravedevano tra una nuvola e l’altra. Fino a qualche tempo prima, dopo una lite del genere avrebbe chiamato Eli e lui, nel giro di pochi minuti, sarebbe entrato da quella finestra, l'avrebbe ascoltata mentre si sfogava e poi l'avrebbe stretta a sé consolandola mentre lei piangeva. Avevano passato tante serate come quella. Ora però non aveva più neanche lui. Era sola, completamente sola.
O forse…
Lo sguardo di Em si posò sul cellulare, che si trovava sul comodino accanto al suo letto.
No, non poteva disturbare le altre. Non l'aveva mai fatto, non aveva mai nemmeno parlato loro della sua situazione familiare, se non in modo superficiale. A dire il vero era già tanto se aveva rivolto loro la parola al di fuori delle sedute del club.
Poi però le tornarono in mente le parole di Serena, il suo sguardo amichevole e la piacevole sensazione che aveva provato dopo essersi confidata con lei. Guardò il suo cellulare, tentata, ma qualcosa ancora la frenava.
Dimosta loro che non sei così asociale come dicono suggerì il suo lato ragionevole.
Prima che avesse il temo di ripensarci, allungò la mano per prendere il telefono, cercò in rubrica il numero di Serena e premette il tasto “chiama”.
-Em?- esordì incerta Serena, dopo pochi secondi di attesa. -Va tutto bene? Hai sbagliato numero?-.
Em fu tentata di rispondere di sì e riagganciare, invece fece un lungo respiro e decise di andare fino in fondo. Era ora di uscire dal guscio.
-No, Serena, ecco volevo sapere…hai voglia di fare due chiacchiere?-.

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Capitolo 6
*** Un gioco da vampiri ***


Dal diario di Clare,10 ottobre:
«Dopo le Leggi di Murphy, sono lieta di inaugurare oggi, 10 Ottobre 2012, la prima Legge di Clare. Tale legge afferma: "Se durante la giornata trovi due o più vampiri sulla tua strada, non importa quanto tu sia stato felice e allegro fino a quel momento perché  dal secondo successivo in poi, le cose sono inesorabilmente destinate a peggiorare e incasinarsi fino a farti rischiare l'esaurimento". Tale legge è stata dimostrata giusto questa mattina a scuola, quando ho notato Tristan e Xavier che parlavano in corridoio. Normalmente non avrei minimamente fatto caso a quei due, visto e considerato che non ho quasi mai avuto a che fare con loro; li conosco solo perché sono gli ex di Serena ed Elise. In quel momento però, un brutto presentimento mi ha messa in guardia e pensandoci bene ho capito che la situazione in cui mi trovavo non aveva esattamente l'aria di una coincidenza.
Il vantaggio di essere stata la ragazza di un vampiro è che, per questione di sopravvivenza,  l’intuito viene costantemente stimolato e messo alla prova. Ormai potrei fare la veggente.
Come volevasi dimostrare infatti, pochi istanti dopo averli superati cercando di fingere di essere troppo persa nei miei pensieri per far caso a loro, ho udito una specie di sibilo ed uno spostamento d’aria. Mi sono voltata e loro non c'erano più. Sapevo che me li sarei trovati davanti ancora prima di girare la testa. I vampiri amano questo genere di trucchetti sfigati, peccato che ormai abbiano smesso di impressionarmi da secoli.
Infatti, eccoli lì: alti, bellissimi e con la loro solita aria beffarda di superiorità che sembra sempre dire “io so qualcosa che tu non sai”. Mi chiedo come ho fatto a trovarla affascinante, ora come ora  mi sembra solo terribilmente irritante, il promemoria che serve a ricordare quanto amino prendere perennemente in giro qualunque appartenente alla sottosviluppata comunità umana.
Ovviamente è stato Tristan a parlare per primo. Quel cretino si comporta sempre come se si trovasse un gradino sopra i suoi simili, oltre che, ovviamente, due gradini sopra l’intera umanità.

Sfortunatamente, tale convinzione è rafforzata dal fatto che le zoccole della scuola lo hanno eletto il più figo tra i vampiri che frequentano il nostro liceo.
Tutto merito di quei suoi capelli color bronzo scompigliati ad arte da testimonial della L'Oreal.
Max non lo ha mai sopportato molto, si lamentava del fatto che lui si ostinasse a comportarsi da capoclan quando invece è ampiamente risaputo che i vampiri sono tenuti ad obbedire solo a chi li ha creati e spesso diceva che Tristan era sempre stato solo un imbecille pieno di sé e che passa tre ore davanti allo specchio tutte le mattine per dare ai suoi capelli quell'aspetto ribelle che poi spaccia per "naturale".
Gerarchie vampire, valle a capire...
Ad ogni modo quest’ultimo, contrariamente a quanto mi aspettavo, ha saltato i convenevoli ed è andato dritto al sodo. Anche la falsa gentilezza con cui generalmente tratta le persone traspariva meno del solito e pur conoscendolo solo superficialmente, ho capito subito che un comportamento simile non si addiceva a lui, così come non si addice alla maggior parte dei vampiri. Loro non si arrabbiano mai. Se ritengono di aver subito un torto vi pongono semplicemente rimedio a modo loro, ossia vendicandosi nel modo più crudele possibile, ma non danno mai a nessuno la soddisfazione di vederli perdere il controllo. Devono dare l’illusione di avere sempre il coltello dalla parte del manico
[…]».
 
-Tu, quella psicopatica di Serena e le altre- esordì Tristan, con il tono calmo ma affilato mentre la guardava coi suoi felini occhi azzurri. -Dovete dare un taglio a questa storia, è chiaro?-
-Non ho idea di cosa tu stia parlando- rispose Clare, cercando di mantenere la calma almeno in apparenza mentre dentro di lei sentiva lo stomaco contorcersi per la preoccupazione.
Tristan avvicinò il suo volto a quello di Clare fino a quando tra loro non rimasero appena una decina di centimetri. -Non fare la finta tonta. Sai benissimo a cosa mi riferisco-
-Sopravvaluti la mia onniscienza, Tristan. Siete voi vampiri a sapere sempre tutto, io sono solo una povera ragazza mortale, lo hai dimenticato?- ribatté, fissandolo dritto negli occhi.
Clare sapeva che sfidare un vampiro, specie se protetto da un suo simile antico e potente come Xavier, era una delle mosse più azzardate e pericolose che potesse compiere ma subito dopo la rottura con Max si era ripromessa che nessun ragazzo, vampiro o umano che fosse, l’avrebbe più privata della sua dignità e, anche se sapeva che l’essere che aveva davanti era perfettamente in grado di passare da affascinante ragazzo coi modi da gentiluomo d’altri tempi ad assassino privo di scrupoli nel giro di uno schiocco di dita, era fermamente intenzionata a rimanere fedele a sé stessa.
Gli occhi glaciali di Tristan si rimpicciolirono in uno sguardo a dir poco ostile e la ragazza udì un verso simile ad un ringhio provenire dal profondo della gola del vampiro. Per un istante, Clare credette seriamente che l’avrebbe aggredita lì, in pieno giorno, nel corridoio della scuola dove tutti avrebbero potuto udire le sue urla. Xavier però scelse proprio quel momento per intervenire. Lui, al contrario dell’altro vampiro, non aveva un'aria ostile, anzi, sembrava seccato dal comportamento del suo simile.
-Tristan, mon ami, stai esagerando!- gli disse con il suo leggero accento francese, posandogli una mano sul petto ed invitandolo ad arretrare di qualche passo. Tristan gli lanciò un'occhiata non proprio amichevole, tuttavia gli obbedì, smise di sibilare e in meno di un attimo tornò alla sua aria superba e alla sua strategica posa da statua greca.
-Pardón- si scusò Xavier, sorridendo cordiale.
Clare, grazie a ciò che aveva raccontato Elise alle riunioni del club, sapeva che in realtà il vampiro che aveva davanti parlava perfettamente la loro lingua così come altri sei o sette idiomi. La cadenza derivante dalla sua terra d’origine serviva solo ad accentuare il suo fascino, che già di per sé non lasciava comunque indifferenti: Xavier era dannatamente bello e carismatico anche per gli standard dei vampiri.
Era capace di incantare chiunque grazie al suo bell'aspetto, alle parole, ai modi eleganti, ma anche solo attraverso un semplice sguardo. Era stata proprio questa sua capacità a renderlo un abile manipolatore e, dal momento che da quanto si diceva in giro, la sua età si aggirava intorno ai settecento anni, aveva avuto tempo a sufficienza per affinare questa sua sottile ma pericolosissima dote, che esercitava soprattutto sulle sue amanti.
Quest’ultima cosa Elise non l’aveva mai ammessa chiaramente, Clare però l’aveva supposto dal modo in cui lei parlava del suo ex e dal modo in cui si comportava quando lo faceva - come se fosse ancora sotto la sua influenza. A parer suo, Elise era quella che più di tutte era stata plagiata, forse anche più di Aly…e quest’ultima era già di per sé un caso piuttosto grave.
C’era poi un’altra caratteristica che distingueva quel vampiro alto quasi due metri coi capelli biondi come il grano e gli occhi di un caldo color nocciola dagli altri della sua specie, un dettaglio che le era stato rivelato da Max quando ancora stavano assieme: al contrario della maggior parte dei suoi simili, Xavier non era stato trasformato per caso, lo aveva voluto. Era sempre stato talmente ossessionato dalla sua avvenenza e dal suo fascino da essere disposto ad accettare qualunque compromesso pur di conservarli. Anche quello che implicava la definitiva rinuncia alla sua vita, alla sua identità, alla sua anima.
Qualunque cosa, in cambio della giovinezza eterna. A Clare ricordava la storia raccontata in uno dei suoi libri preferiti, Il ritratto di Dorian Gray.
-Volevamo solo avvisarti- disse Xavier, fissandola intensamente negli occhi.
Clare capiva il motivo per cui Elise era ancora così ossessionata da lui: la sua voce era profonda, dolce, rassicurante ed al contempo misteriosa. Una specie di canto delle sirene al maschile. Avrebbe potuto parlare per ore anche delle previsioni del tempo o dei mille modi in cui preferiva bere il sangue delle vergini...il suo tono sarebbe risultato comunque ammaliante.
-Veniamo anche per conto di Max, Eli e Will. Siamo preoccupati per il vostro...ehm, gruppo di studio?- azzardò, fingendo di sapere poco o niente di quello di cui stava parlando.
Seh, credici.
-Chiamalo pure club- lo corresse Clare, con un tono molto meno deciso e distaccato di quello che avrebbe voluto uscisse dalla sua bocca.
-D’accordo, club- ripeté Xavier con un mezzo sorriso. -Il fatto è che sappiamo che è stata Serena a fondarlo e perciò siamo qui: per mettervi in guardia-
-Cos’è, una specie di minaccia?- chiese la ragazza, tentando inutilmente di sfoderare uno sguardo ostile.
Xavier, per tutta risposta, rise.
Se la sua voce era ammaliante, la sua risata era a dir poco ipnotica. Clare si accorse che si stava sforzando più di quello che aveva creduto necessario per resistergli. Non aveva mai avuto una così forte tentazione di pendere dalle labbra di qualcuno.
-No, anzi, non vogliamo che tu, Elise, Emily, Rachel e Alyssa veniate prese in giro da quella pazza-.
Nonostante la diffidenza che Clare si stava letteralmente imponendo di provare, il tono di Xavier sembrava così sincero che la ragazza prese la pericolosa decisione di provare a scoprire dove intendesse arrivare il vampiro. Ragion per cui, anche se conosceva bene il rischio a cui andava incontro, lo assecondò.
-Cosa vorresti dire?- chiese, sempre cercando di mostrarsi indifferente.
-Serena sta facendo il doppio gioco, ecco cosa voglio dire- rispose lui, calmo. -In realtà è ancora innamorata di Tristan. Sapevi che ha continuato ad inviargli messaggi quasi ogni giorno fino a poco tempo fa? Sono serio, non ti sto prendendo in giro. Tristan, passami il tuo cellulare, così può vederlo coi suoi occhi-.
Tristan, obbedì senza proferire parola. Xavier digitò qualcosa e poi passò il telefono a Clare, che lesse: “Non posso credere che di punto in bianco non t’importi più niente di me!” risaliva a circa un mese dopo la loro rottura.
-Vai pure avanti, leggili tutti-.
Anche se Clare sapeva che sapeva che così facendo avrebbe assecondato il volere dei vampiri, non riuscì a resistere alla tentazione e obbedì. Il messaggio seguente diceva: “Potresti almeno degnarti di darmi una spiegazione!”;
Non ti sei ancora stancato di fare il baby-sitter a quella sfigatissima matricola???”;
DOBBIAMO PARLARE!!!”;
Ti credi tanto onnipotente??? Sei solo uno stupido cadavere!!!”;
Ho sconvolto totalmente la mia vita per te e non mi merito nemmeno di sapere perché mi hai gettato via come un sacco dell’immondizia?? RISPONDI, SE HAI ANCORA UN PO’ D’INTEGRITÁ!!”;
Ti amo, Tristan…se davvero hai provato quello che io sto ancora provando, dimmi almeno come fare per non sentire più niente, visto che per te è stato così facile. Mi devi almeno questo”.
I messaggi erano tanti, troppi e provenivano proprio dal numero di Serena, erano autentici. Alternava sfoghi rabbiosi conditi di insulti indirizzati a Tristan e alla sua nuova ragazzina, a struggenti dichiarazioni d’amore eterno. Clare cercò di non scomporsi, ma quando si accorse che l’ultimo messaggio risaliva a fine agosto di quello stesso anno, quindi poco più di un mese prima, il suo smarrimento iniziale evolse rapidamente in una rabbia indescrivibile: Serena, la ragazza che aveva fondato il club, lo presiedeva, che si era sempre comportata come se fosse più forte delle altre…era solo una facciata. Improvvisamente, tutti i preziosi consigli che aveva elargito fino a quel momento, le parole di conforto e le rassicurazioni che Clare aveva sempre tenuto a mente, persero ogni significato. Erano parole vuote, frasi fatte e adeguate alle circostanze, niente di più.
Restituì il telefono a Xavier senza dire una parola e cercando di mantenere un'espressione impassibile. Far capire a lui e a Tristan quanto fosse arrabbiata e delusa era l’ultima cosa che desiderava fare, non intendeva dare loro anche questa soddisfazione. Purtroppo però perfettamente consapevole del fatto che che ai vampiri basta un’occhiata per comprendere lo stato d'animo di chi hanno davanti ed infatti a Xavier bastò un’occhiata per comprendere di aver raggiunto quello che sicuramente era stato il suo obbiettivo fin dall’inizio.
Clare abbassò lo sguardo e si morse un labbro. Sentì qualcosa di appena percettibile muoversi accanto a lei e, ancora prima di alzare gli occhi, capì di essere di nuovo sola.
 
***
Una volta a casa, Clare poté finalmente concedersi di pensare a ciò che aveva scoperto quella mattina senza doversi preoccupare di perdersi qualche passaggio importante nelle spiegazioni dei professori.
Innanzitutto, ormai era chiaro che i loro ex erano a conoscenza del club e, anche se Xavier durante la loro conversazione era rimasto sul vago, Clare aveva capito che in realtà la sapeva lunga sull’argomento: chi l’aveva fondato, chi ne faceva parte, che scopo aveva, e, purtroppo, anche il modo migliore per seminare zizzania tra le componenti. Ma perché avevano rifilato a lei la patata bollente su Serena? E soprattutto, ora che ce l’aveva, cosa doveva farne?
Quando c’erano di mezzo i vampiri, niente accadeva per caso. Era tutto studiato nei minimi dettagli, erano preparati a qualunque mossa, anche la più ingegnosa, e sembravano sempre un passo avanti a chiunque cercasse di tenergli testa in qualche modo. Quindi non era un caso se a parlarle erano stati Tristan e Xavier. Avevano impersonato perfettamente la versione vampiresca di “poliziotto buono e poliziotto cattivo”.
Per essere certi di riuscire a farsi ascoltare da lei dovevano aver studiato il modo più efficace, probabilmente Max li aveva informati su com’era meglio comportarsi per assicurarsi di avere la sua completa attenzione, Clare ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Del resto, come aveva detto Xavier, erano venuti anche per conto di Elijah, Will – l’ex di Rachel – e, appunto, Max.
D’accordo, ma perché proprio lei? Con uno charme e una voce come i suoi, Xavier avrebbe potuto persuadere chiunque di loro a dargli retta: per Aly sarebbe stato come trovarsi di fronte la versione francese di James e quindi, se anche lui le avesse chiesto di rotolare su un fianco e abbaiare, lei avrebbe obbedito senza pensarci due volte. Rachel, per quanti progressi avesse fatto, a sentire anche solo pronunciare il nome di Will sarebbe andata in paranoia e avrebbe fatto qualunque cosa pur di sapere qualcosa di più su ciò che aveva detto il suo caro ex. Elise…beh, il solo fatto di trovarsi davanti Xavier sarebbe bastato per annullare completamente la sua forza di volontà. Per quanto riguardava Serena, invece…Clare non sapeva più che pensare. Solo il giorno prima era certa che, in una situazione come quella, la fondatrice del loro club avrebbe ignorato i due vampiri e sarebbe passata oltre anche se Tristan le avesse personalmente sussurrato all’orecchio paroline dolci per rabbonirla, ma quanto accaduto poche ore prima, il dubbio insinuato dai due vampiri non accennava a lasciarla in pace, mettendo in questo modo in discussione qualunque cosa avrebbe potuto pensare della fondatrice del loro gruppo prima della conversazione di quella mattina.
Per quanto riguardava Em, invece, Clare non riusciva proprio ad immaginarsela mentre ascoltava inebetita le parole di Xavier con gli occhi da triglia lessa tuttavia, se era entrata a far parte del club un motivo doveva esserci. Parlava pochissimo di Eli e della relazione che avevano avuto, questo era vero, ma se anche il vampiro con il quale aveva avuto una relazione faceva parte dei Magnifici Cinque, allora doveva senz’altro aver parlato di quello che sapeva di Em agli altri e, per qualche ragione, non l’avevano ritenuta idonea per quella conversazione. Forse, molto semplicemente, avevano concluso che parlare con il muro sarebbe stato più produttivo.
E forse era proprio per questo che avevano scelto Clare.
La rivelazione arrivò all'improvviso, cominciando finalmente a dare un senso a tutta quella strana storia: i vampiri non erano interessati alla persona più influenzabile, ma nemmeno a quello più testardo. Sapevano che lei era sveglia ma ragionevole, decisa ma non del tutto insensibile al fascino dei vampiri come sembrava esserlo Em.
A volte Clare si chiedeva come avesse fatto Eli a conquistarla. Di sicuro doveva essere stato un lavoraccio.
Alla fine di quella lunga riflessione, giunse alla conclusione che le pareva più sensata: il clan formato dai loro ex aveva scelto lei perché contavano sul fatto che le altre l'avrebbero ascoltata e le avrebbero creduto abbastanza facilmente.
Sapevano che c’era una forte possibilità, anzi, era praticamente una certezza, che le ragazze si sentissero tradite, esattamente come lei, e che, di conseguenza, si rivoltassero contro Serena.
Clare tuttavia, pur sapendo di fare il gioco dei vampiri, non riusciva a reprimere un fremito di rabbia ogni volta in cui veniva anche solo sfiorata dal pensiero della ragazza che aveva fondato il loro gruppo e che aveva incoraggiato tutte loro ad essere forti mentre mandava messaggi disperati a Tristan, supplicandolo di tornare sui suoi passi.
Il suo lato impulsivo cercava di convincerla a rivelare alle altre quanto aveva scoperto il prima possibile, ma il suo lato ragionevole l'avvertì che in quel modo avrebbe fatto esattamente il volere dei loro ex e che in questo modo avrebbe sancito la fine del club, dando loro esattamente ciò che desideravano. Quindi, anche se la cosa le costò non poca fatica, mise da parte tutte le emozioni negative che al momento provava verso la ragazza che fino a quella mattina aveva tanto ammirato e decise che, alla fine della riunione successiva, l’avrebbe affrontata apertamente.


*NdA: mi scuso per gli aggiornamenti lenti, purtroppo ho avuto qualche problema col computer (e anche con l'ispirazione). Ringrazio tutti quelli che hanno messo la mia storia tra le seguite, le ricordate o le preferite e, soprattutto, PinkyRosie FiveStars, per le sue gentilissime e graditissime recensioni. Alla prossima! :)*

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Capitolo 7
*** Scheletri nell'armadio e pietre preziose sulla coscienza ***


Dal diario di Em, 14 ottobre:
«[...]Puoi tentare in ogni modo di liberarti di una bugia: provando a dimenticarla, rinnegandola, evitandola, seppellendola sotto mille verità, ripetendola abbastanza a lungo da rimanerne vittima a tua volta…tanto, presto o tardi, troverà comunque il modo di tornare da te.
E più tempo passa, peggiore sarà la sua vendetta

-Em?- la chiamò Serena per la seconda volta.
Em in realtà l’aveva sentita ma avrebbe preferito non parlare. Rachel, Aly ed Elise avevano fatto i compiti per casa ed avevano raccontato le loro chiacchierate con vecchi amici o parenti che non vedevano da tempo con cui avevano lasciato qualche questione in sospeso o con cui semplicemente avevano perso i contatti dai tempi delle relazioni con i loro ex.
Serena sorrideva e annuiva soddisfatta.
Sarebbe stato tutto normale, se non fosse stata per una cosa: Clare non si era presentata e nessuno conosceva il motivo della sua assenza.
In quel momento però, gli occhi delle presenti erano tutti fissi su Em. Quest’ultima sospirò e, fissando il pavimento, si accinse a raccontare quello che non avrebbe mai voluto dover condividere con le altre ragazze, ma venne interrotta subito dal suono del campanello. Rachel andò ad aprire e poco dopo tornò nel soggiorno con Clare al seguito. Da brava padrona di casa, invitò l’ospite appena arrivata ad accomodarsi e le offrì snack e bibite che aveva preparato appositamente per l'incontro, come da tradizione, ma lei gentilmente rifiutò.
Em capì subito che c’era qualcosa che non andava in Clare: nonostante i suoi modi sembrassero quelli di sempre, il suo sorriso sembrava forzato, non raggiungeva gli occhi e, sebbene fosse sempre stata molto partecipe durante le riunioni, quella volta scelse di prendere posto sulla sedia nell’angolo più remoto.
-Ciao Clare- la salutò Serena. -Em stava per raccontarci quanto accadutole durante la settimana, poi sarà il tuo turno. Infine faremo un breve riepilogo così ti informeremo su ciò che ti sei persa, okay?-.
Clare annuì in modo quasi impercettibile e senza nemmeno guardare Serena negli occhi. Ora era chiaro che c’era davvero qualcosa che non andava.
-Scusa Em, ti abbiamo interrotto, continua pure- la invitò Serena.
Em riprese a fissare il pavimento e a parlare con un tono di voce insolitamente basso.
-Beh, io…in realtà questa settimana non ho parlato con nessun parente né con nessun vecchio amico o conoscente che facesse parte della mia vita prima di iniziare a frequentare Eli- confessò.
Fece una pausa per rialzare un attimo lo sguardo ed osservare le reazioni intorno a sé, ma le altre avevano ancora gli occhi puntati su di lei, in attesa di conoscere la motivazione.
-Io…io non l’ho fatto apposta, avrei davvero voluto ristabilire i contatti con qualcuno ma…la verità è che non ho mai avuto molti amici, né qui, né dove abitavo prima. Le persone che mi conoscono superficialmente, come i miei compagni di classe o i professori, pensano che il mio comportamento solitario derivi dal fatto che sono esageratamente sicura di me e che mi senta superiore a tutti, ma vi posso assicurare che non è affatto così. Al contrario, io sono timida, introversa, tremendamente insicura e non sono mai riuscita a stringere davvero amicizia con qualcuno perché sono convinta che non avrei niente da offrire in cambio. Fino a poco tempo fa era mia madre la mia migliore e unica amica ma, poco dopo il nostro trasferimento, ha avuto un’improvvisa regressione e ha deciso di fingere di avere di nuovo vent’anni, con tanto di fidanzato toy boy, così io sono passata in secondo piano. Per quanto riguarda le parentele, non c’è molto da dire: non vedo mio padre da quando avevo otto anni, non so che fine abbia fatto e non m’interessa saperlo. Gli unici parenti che ho sono mio zio, fratello di mia madre, che vive poco lontano da qui con sua moglie e mia cugina. Quest'ultima probabilmente la conoscete, Kelly Esposito, frequenta la nostra scuola: è la cheerleader le cui priorità sono i bei vestiti e la sua popolarità. L’avreste mai detto che condividiamo lo stesso albero genealogico? Ad ogni modo non abbiamo mai avuto un vero rapporto: i nostri genitori hanno litigato diversi anni fa e da allora ci parliamo raramente. Ecco in che modo sono finita nella tela di Eli: lui mi trattava come se fossi davvero importante. Come se valessi qualcosa. In questo modo ho ignorato tutti quei piccoli ma inequivocabili segnali che mi dicevano di stare alla larga da lui-.
Quando Em rialzò lo sguardo, notò che la stavano ancora fissando, ma in modo diverso: c’era compassione nei loro occhi, non più semplice curiosità. Persino Clare aveva abbandonato la sua aria antisociale e la stava guardando quasi commossa, con i suoi occhi di un'imprecisata sfumatura tra l'azzurro ed il grigio.
-Em, noi…non avevamo idea di tutto questo- esordì infine Aly.
-Ci dispiace tantissimo- aggiunse Elise -se ti abbiamo fatta sentire esclusa in qualche modo. Non ne vado fiera ma devo ammettere anch’io inizialmente pensavo che te la tirassi un po’-
-Non fa niente- sorrise tristemente Em. –penso che a tutte sia capitato almeno una volta di avere delle impressioni iniziali sbagliate su qualcuno-
-Praticamente siamo qui per questo- intervenne Clare, che a quelle parole era tornata alla sua aria lunatica. -Molto spesso le impressioni si rivelano errate. Profondamente errate. Tu che ne pensi, Serena?-.
Dal tono tagliente della ragazza, Em comprese che, per qualche motivo, ce la dovesse avere proprio con Serena. Eppure le altre sembravano non essersene minimamente accorte e continuavano a guardare Em mentre elaboravano la sua testimonianza.
-Beh, hai ragione. Noi tutte siamo la prova di questo- rispose Serena, con un espressione un po’ perplessa. A quel punto doveva aver capito anche lei che qualcosa non quadrava. -Ora, Clare, vuoi raccontarci cos’hai fatto in quest’ultima settimana?-
-Certo!- rispose quest'ultima, sorridendo in un modo che ad Em parve leggermente inquietante. -Da dove comincio? Da quello che ho capito avete parlato di parenti e amici, io invece ho scelto qualcun altro. Un mio ex ragazzo. Sentivo di avere delle questioni in sospeso con lui e questo mi rattristava parecchio. La nostra storia era finita quando mi aveva mollato per un'emerita sfigata così, da un giorno all’altro, senza tante cerimonie. Pensavo di meritarmi almeno una spiegazione ma lui rifiutava di incontrarmi o di parlarmi, perfino di rispondere ai miei messaggi…ero davvero a pezzi, è stato un periodo orribile. La cosa veramente patetica era che me ne andavo in giro fingendo di stare bene e dicevo a tutti che quell’esperienza mi aveva resa più forte…davo persino consigli alle mie amiche su come affrontare situazioni simili e loro mi ascoltavano pure, credendo che avessi superato il problema con facilità! Appena mi ritrovavo da sola però, cadevo di nuovo nella disperazione e, puntualmente, cedevo alla tentazione di sommergere il mio ex di sms dove sfogavo il dolore derivante dalla mia rabbia repressa e dalla mia infinita tristezza. Se solo ci ripenso mi vergogno da morire-.
Dopo quelle parole, Em ebbe la conferma definitiva che quella storia dovesse per forza avere qualcosa a che fare anche con Serena perché quest’ultima, seduta proprio accanto a lei, era letteralmente sbiancata e in quel momento stava fissando Clare con gli occhi sbarrati. Non era affatto da lei reagire così, anzi. Em si chiese in che modo avesse a che fare con quella storia. Che fosse Serena la causa della fine di quella relazione? E soprattutto, anche se fosse stato così, perché tirare fuori la questione proprio ora?
Clare, nonostante avesse notato l’espressione sbalordita di Serena, continuò come se non ci avesse fatto caso.
-Anche se spesso avevo ancora qualche “ricaduta”, continuai a mostrarmi sicura di me e a dare consigli. Lo so, avrei dovuto dir loro la verità, ma avevo paura di fare la figura dell’ipocrita e della debole. Qualche tempo dopo però, il mio ex incontrò una mia amica e le fece leggere tutti i messaggi che gli avevo inviato anche nello stesso periodo in cui le stavo aiutando…che figuraccia eh? Quand’è venuta a dirmelo sono impallidita di colpo. Me ne sono pentita e ho capito che se fossi stata onesta fin dall’inizio avremmo potuto aiutarci a vicenda e tutto quel casino non sarebbe mai successo-.
Al termine di quell’aneddoto, nel soggiorno di Rachel calò un silenzio pesantissimo. Era ormai chiaro a tutte che ciò che Clare aveva raccontato aveva in qualche modo a che fare con Serena, l’espressione di quest’ultima era inequivocabile.
Solo dopo parecchi istanti di pesantissimo silenzio la leader del gruppo si alzò in piedi quasi all’improvviso, facendo sussultare Aly e Rachel. Fissò per un attimo Clare e poi, con uno scatto quasi felino, si mosse vero di lei, l’afferrò per un polso e la trascinò fuori dalla stanza senza che l’altra opponesse la minima resistenza. Probabilmente, al contrario delle altre presenti, si era aspettata una reazione simile.
Em, Aly, Rachel ed Elise rimasero nel salotto, in silenzio, scambiandosi qualche occhiata perplessa e confusa, incerte se fosse il caso di dire qualcosa o aspettare fino a quando, dopo qualche istante, Rachel parlò.
-Ma voi siete riuscite a capire se alla fine Clare ha chiarito col suo ex?-.
 
* * *

Dal diario di Serena, 14 ottobre:
“[…] Sapevo che prima o poi tutto questo sarebbe successo. Per qualche ragione mi ero costretta a dimenticarmene temporaneamente, mettere tutto in secondo piano, come se fosse possibile mettere i problemi in stand-by…e invece oggi Clare mi ha fatto riaprire gli occhi. Non l’ha fatto nel migliore dei modi, ma non la biasimo, tanto non ha molta importanza, ormai. Come temevo, i vampiri sono venuti a sapere del gruppo e ora stanno cercando di metterci l’una contro l’altra.
Per quanto riguarda Em…beh, Clare aveva ragione anche in questo caso: è facile farsi un’opinione sbagliata delle persone, anche su quelle che ti sono vicine
”.
 
Serena e Clare rimasero faccia a faccia senza dire niente per quella che a Serena parve un’eternità. Sapeva che avrebbe dovuto essere lei a cominciare a parlare, a spiegare, a chiarire il perché delle sue azioni ma, dopo il modo in cui Clare si era comportata davanti a tutte loro, sentiva di non dovergli niente, tanto meno una spiegazione su fatti di cui non sapeva praticamente nulla, se non quel poco che probabilmente le era stato accennato per farla volutamente fraintendere. Certo, Clare non aveva esplicitamente spiegato quello di cui era venuta a conoscenza, tuttavia il suo racconto di poco prima ed il suo tono allusivo avevano lasciato poco spazio ai dubbi.
Dopo un lungo istante di silenzio carico di tensione, quest’ultima prese una sedia da quelle presenti intorno al tavolo al centro della stanza, la girò in modo che si trovasse di fronte a Serena e vi si accomodò accavallando le gambe con un gesto inaspettatamente elegante.
-Prenditi pure tutto il tempo che ti serve, ma non ti lascerò andare finché non mi darai una spiegazione- disse.
Il suo tono era calmo ma risoluto.
-Non vedo cos’altro potrei dirti, visto che da come ti comporti sembra che tu sappia già tutto e forse anche più di me- rispose acida Serena, fissando un punto indefinito della stanza, nel tentativo di ignorare lo sguardo penetrante di Clare.
-Quindi è vero?- chiese quest’ultima.
-La cosa ti riguarda?- fece Serena, guardandola finalmente negli occhi
-Parli sul serio? Mi riguarda eccome- sbottò l’altra. -Così come riguarda Aly, Em, Rachel ed Elise. Sei stata tu a fondare il club, tu hai deciso di assumerti la maggior parte delle responsabilità che comportava e, soprattutto, tu e soltanto tu ti sei autoproclamata terapista, psicologa, leader e so-tutto-io del gruppo. Certo che sei proprio un’ipocrita! Incoraggi le altre a non tenersi dentro niente, neanche le cose di cui si vergognano o con cui si sentono più a disagio, ma sei la prima a mettersi sulla difensiva quando si parla dei tuoi problemi!-.
Serena non sapeva cosa dire. Era stizzita dal rimprovero di Clare e dalla vergogna per essere finita in quella situazione. Mai come in quel momento avrebbe voluto rispondere per le rime, era sempre stata brava a farlo, ma la sua dote sembrava averla improvvisamente abbandonata e non le rimaneva quindi che rimanere in silenzio ad ascoltare Clare farle la predica.
-Sai, ho sempre pensato che tu fossi eccessivamente orgogliosa, ma ho sempre sopportato di buon grado questo tuo difetto perché so che è inutile cercare la perfezione nelle persone e perché, nonostante questo, ti consideravo lo stesso un'ottima guida. Oggi però vengo a sapere così di punto in bianco che proprio tu, la stessa persona che pretende di aiutarci e che ha stilato una meticolosa e precisissima lista delle regole fondamentali da seguire per superare lo schifoso periodo che stiamo passando, se ne frega ampiamente delle prima la prima di quelle stesse regole: ammettere di avere un problema…-
-Quello che dici non ha minimamente senso!- la interruppe Serena, voltando le spalle a Clare. -Se non avessi saputo di avere un problema perché mai avrei dovuto fondare il club!?-
-Non lo so, magari perché ti sentivi sola dopo che Tristan ti aveva piantato!- continuò l’altra, esternando finalmente la sua rabbia e le sue riflessioni di quegli ultimi giorni e alzando ulteriormente la voce per sovrastare quella di Serena. -E nello stesso momento ti sei guardata intorno ed hai finalmente capito che della tua vita tutta pompon, lucidalabbra, arcobaleni e cuoricini non era rimasto niente. Avevi solo bisogno di sapere che in giro c’era qualcuno più disperato di te, così ti sei messa alla ricerca di quel qualcuno e hai trovato noi. Per te eravamo semplicemente le più patetiche del villaggio e stando insieme a noi tu potevi definirti normale, persino saggia! Per questo hai deciso di eleggerti “leader”, solo che non hai tenuto conto di un piccolo dettaglio: per quanto tenti di elevarti e fare la superiore, sei e rimani comunque un membro del gruppo, perché anche tu hai i nostri stessi problemi e, come noi, hai ancora molta strada da fare per riuscire a superarli. Perciò smettila di comportarti come se fossi superiore a chiunque ti circondi, perché qui siamo tutte esattamente allo stesso livello!-.
Dopo quelle parole, quello sfogo, Clare si sentì subito meglio, più leggera. Finalmente aveva avuto modo di esternare tutti i pensieri frutto delle sue riflessioni degli ultimi due giorni.
Nel frattempo, Serena continuava a fissarla senza alcuna particolare espressione sul volto.
L’anno trascorso con il gruppo tuttavia, aveva insegnato a Clare che dietro quell’apparente noncuranza, la ragazza che aveva davanti poteva celare mille potenziali reazioni diverse e la sua indecifrabilità era solo una maschera che indossava quando aveva bisogno di prendere tempo mentre sceglieva quella più appropriata alla situazione.
Clare sospirò. Non voleva fare la parte della cattiva ma non riusciva a tollerare l’idea che Serena continuasse a usare due pesi e due misure. Era certa che Tristan e Xavier le avessero fornito di proposito una versione della storia che mirava a screditare la leader del club, tuttavia avrebbe voluto conoscere anche la sua versione per potersi fare un’idea più completa della situazione. Era infatti convinta che quello che le era stato raccontato dai vampiri, seppur vero, fosse solamente la punta dell’iceberg e che gli eventi che avevano portato Serena all’esasperazione fossero molto più complessi.
-Tu non puoi capire- parlò finalmente l’altra ragazza, con voce rotta.
-Allora aiutami a farlo- la incalzò Clare ammorbidendo il suo tono, vedendo che Serena era finalmente sul punto di cedere. –Anch’io all’inizio ero convinta che nessuna di voi avrebbe saputo comprendere i miei pensieri fino infondo. Cazzo, ne eravamo convinte tutte e credo che finora sia stata l’unica volta nella mia vita in cui sono stata felice di avere torto-.
Serena fece un respiro profondo, dopodiché ricominciò a parlare con voce appena udibile, fissando il pavimento.
-Ho smesso di cercarlo più o meno a fine agosto- ammise. –Non voglio più farlo, ogni giorno che passo resistendo alla tentazione di contattarlo in qualche modo mi sento sempre più motivata a stargli lontano. Ho sbagliato Clare, lo so che ho fatto una cazzata, ma non è tutta ipocrisia. Diciamo che è un po’ come quando un fumatore scoraggia i suoi conoscenti a fumare: non lo fa per ipocrisia, ma perché non vuole che qualcun altro ripeta i suoi stessi errori. Lo stesso valeva per me, volevo evitare che anche voi soffriste come ho sofferto io in quest’ultimo anno. Il senso di colpa e di vergogna che mi attanagliava subito dopo avergli inviato un messaggio o aver tentato di chiamarlo era diventato così grande che non so come ho fatto a sopportarlo-.
A quel punto Serena trovò il coraggio di rialzare lo sguardo, incrociandolo con quello di Clare. Questa la guardava seria, tuttavia nella sua espressione c’era molta meno durezza rispetto a poco prima.
-Ricordi la nostra prima riunione?- chiese, alzandosi in piedi e facendo un passo verso l’amica. -Eravamo solo in quattro, io non ero ancora sicura di quello che stavo facendo perché sapevo di provare ancora qualcosa per Max; Em non ci guardava nemmeno negli occhi e non ha quasi spiccicato parola...e ancora non ho idea di come Aly si sia convinta a venire, dato che ha pianto per quasi tutto il tempo come se l’avessimo rapita e costretta a prendere parte alla riunione-.
A quel ricordo, Serena accennò ad un sorriso ed annuì.
-Chiedesti ad ognuna di noi quale fosse l’obbiettivo che avremmo perseguito durante il nostro percorso insieme. Ricordi cosa dicesti quando fu il tuo turno?- domandò Clare.
-Giurai che avrei rappresentato ed aiutato tutte le ragazze che i vampiri avevano fatto soffrire quanto noi e che non avevano avuto la possibilità di prendersi la loro rivincita ma, soprattutto, che avremmo fatto di tutto per riuscire diffondere la verità in merito alle abitudini, alle reali intenzioni e a tutto ciò che riguardava i vampiri dal punto di vista che i più ignorano. Volevo che le ragazze smettessero di guardarli come gli eroi romantici che si presentano e che imparassero a vederli per com’erano veramente, pregi e difetti- rispose Serena.
Clare sorrise. -Non ti avevo mai vista motivata come in quel momento. Sono davvero convinta che fino ad ora tu abbia fatto un ottimo lavoro e la prova sta nel fatto che se i vampiri stanno cercando di metterci una contro l’altra, significa che li stiamo in qualche modo infastidendo. Il fatto che tu abbia ceduto alla tentazione di cercare Tristan non ti rende debole, ti rende semplicemente uguale a chiunque altro. Noi siamo un gruppo, ma devi permetterci tu di sostenerti, altrimenti il nostro aiuto sarà completamente inutile-.
Serena sentì di essere sul punto di mettersi a piangere. Gli occhi le bruciavano e la sua vista cominciò ad offuscarsi. Clare le si avvicinò ancora e l’abbracciò proprio mentre la prima lacrima iniziava a rigarle la guancia. Pochi istanti dopo, la porta della cucina si aprì e Aly, Rachel, Elise e persino Em, che fino a qual momento Serena pensava fosse allergica alle manifestazioni d’affetto di qualunque tipo, si unirono senza dire niente all’abbraccio e rimasero lì per diversi istanti, unite come non lo erano mai state prima.
 
***
 
Ora che Serena non aveva più nulla da nascondere si sentiva molto più leggera di quanto non avesse immaginato e, cosa più importante, aveva ritrovato la motivazione di portare avanti il suo progetto.
Dopo l’abbraccio di conforto, erano tornate tutte in soggiorno e Serena stava chiarendo le ragioni per cui lei e Clare avevano discusso, nel caso qualcuna delle altre si fosse persa qualche passaggio mentre origliavano al di là della porta.
La ragazza si era preparata a sguardi di rimprovero e cenni di dissenso, ma ciò che temeva più di ogni altra cosa era la possibilità di non essere più considerata come la ragazza forte e combattiva che si era messa alla guida del loro gruppo ma anche su questo Clare aveva avuto ragione perché non trovò la minima traccia di delusione o disapprovazione nei loro occhi, anzi, ci vide l’ultima cosa che si sarebbe potuta aspettare: comprensione.
-Mi vergogno tantissimo, sia per quello che ho fatto. L'unica cosa che posso dire in mio favore è che sento che qualunque sia il sentimento che ancora mi lega a Tristan, si sta indebolendo sempre di più, e lui ovviamente se n’è accorto. Ecco perché oggi è venuto a parlarmi dopo avermi visto in compagnia di Kelly. Ha capito che il suo ascendente su di me comincia a perdere effetto e questo, anche se non lo ammetterebbe mai, gli rode infinitamente. La sensazione che mi da questa consapevolezza è un ottimo deterrente contro ogni altra tentazione-.
Verso la fine del suo discorso, sul volto di Serena comparve un sorriso. Si rendeva conto che questa era una vittoria per lei, nonché un’ispirazione per le altre ragazze presenti, lo vedeva dalle loro espressioni e più di tutto lo vedeva nell’insolita luminosità dello sguardo di Aly.
A pensarci bene, forse era quest'ultimo dettaglio, la vera vittoria.
-Ad ogni modo, c’è un altro aspetto della questione da non dimenticare assolutamente: come mi ha fatto notare Clare, i nostri ex cominciano a percepirci come qualcosa di scomodo, il che è anche lusinghiero in un certo senso, ma sapete bene quanto me che chiunque si metta tra i vampiri e le loro brutte abitudini corre un rischio non trascurabile. Ovviamente non passeranno subito alle “maniere forti” ma cercheranno di dividerci. Ci metteranno l’una contro l’altra come hanno cercato di fare tirando fuori questa storia. Per cui, se qualcun altro ha degli scheletri nell’armadio, farà meglio a tirarli fuori subito, così che non possano essere nuovamente usati come arma contro di noi-.
Seguì un momento di silenzio per dare a tutte la possibilità di parlare. Le ragazze si guardarono a vicenda negli occhi, cercando di leggervi qualcosa di nascosto, qualche segreto, qualche omissione, ma nessuna parlò.
-Bene- continuò Serena. -A questo punto direi che possiamo…-
-Aspettate!-.
Cinque paia d’occhi scattarono all’unisono in direzione della persona che aveva parlato. L’ultima da cui la maggior parte delle presenti si sarebbe aspettata un intervento: Em.
-Io ce l’ho uno scheletro nell’armadio- a parte la sua voce, nella stanza non volava una mosca. -Mi dispiace di non avervene parlato prima, è solo che…beh, spero solo che possiate capirmi-.
La ragazza si fermò un attimo per prendere fiato, come se, anziché ad un discorso, si stesse preparando ad una lunga apnea.
Serena era molto curiosa di sapere cos’avesse da dire e la sua memoria tornò alla loro conversazione telefonica di un paio di giorni prima: era durata poco meno di un’ora ed Em aveva parlato per quasi tutto il tempo, dandole solo lo spazio necessario per delle brevi risposte. Serena aveva quindi compreso che doveva essere passato molto tempo dall’ultima volta che si era confidata con qualcuno ed era stata felice che si fosse fidata abbastanza da decidere di aprirsi con lei e solo con lei. Era convinta che durante quei cinquanta minuti di conversazione le avesse raccontato praticamente ogni cosa, ma dalla sua espressione colpevole, Serena capì che qualunque cosa stesse per dire, di certo non faceva parte di quello che le aveva raccontato durante il suo lungo sfogo.
-Non vi ho detto tutta la verità riguardo alla fine della mia relazione con Elijah, il vampiro che la maggior parte di voi conosce come Eli- ammise, fissando il pavimento. -Anzi, a dirla tutta, non vi ho detto la verità, punto. Come sapete, ci siamo messi assieme nel periodo in cui mia madre ha deciso di diventare una di quelle femme fatale che se la spassano coi ragazzi dell’età dei propri figli. La sera in cui mi ha presentato il suo compagno ero sconvolta, abbiamo finito col litigare e alla fine sono uscita e me ne sono andata al parco nonostante fosse piuttosto tardi. Ancora non sapevo che questa città, comprendesse una buona percentuale di abitanti vampiri e tanto meno potevo sapere che quello fosse uno dei luoghi in cui Eli amava bazzicare nelle notti limpide come quella. Ricordo ancora quando me lo ritrovai accanto di punto in bianco, sulla panchina che avevo scelto per autocommiserarmi e insultare tra me mia madre e il suo fidanzatino. Stavo per mettermi ad urlare, ma lui mi tranquillizzò dicendomi che non aveva alcuna intenzione di farmi del male. Sentii subito di potermi fidare di lui. Lì per lì mi parve strano, visto che, come ormai sapete, non sono il genere di persona che da fiducia facilmente, ma lo interpretai come un segno. Ci misi un bel po’ a capire che molto probabilmente mi stava influenzando, o forse addirittura soggiogando, chi lo sa. Ci incontrammo nello stesso posto, sulla stessa panchina per un paio di settimane. Mi sentivo felice, non ero più sola e persino i problemi con mia madre non sembravano avere importanza con Eli accanto. Beh, è inutile che vi descriva ciò che provavo, ci siamo passate tutte…Lui era il centro del mio universo, bla bla bla…bastava che mi guardasse per farmi dimenticare come si respira, bla bla bla…ogni volta che mi toccava, che fosse per prendermi la mano o per ammazzare una zanzara che gli stava rubando il drink, cominciavo a iperventilare, eccetera, eccetera. Era tutto facile e spontaneo con lui e quindi dopo poco diventammo ufficialmente una coppia. Il castello di cristallo però, andò in frantumi quasi subito. Eli cominciò a controllarmi. Sapevo che i vampiri erano tipi gelosi, ma lui era estremamente possessivo. Mi ritrovai a non avere più una privacy, ogni cosa che facevo e ogni decisione che prendevo doveva prima essere analizzata attentamente anche da lui. Inizialmente, rincretinita com’ero, pensavo fosse normale, che lo facesse perché mi amava, perché si preoccupava per me ed aveva paura di perdermi. Non avevo mai avuto un ragazzo, prima di allora e pensavo che non ci fosse niente di strano. Poi però cominciò ad esagerare ancora. Ero convinta che, come ogni vampiro che si rispetti, anche lui possedesse un ego smisurato e che quindi non avrebbe mai sospettato che potessi tradirlo. Invece cominciò a vedere un potenziale rivale in ogni ragazzo con cui avessi a che fare. Sì, lo so, è ridicolo, gli unici ragazzi che frequentavo abitualmente erano i miei compagni di classe, con i quali parlavo poco e quasi esclusivamente di argomenti inerenti alla scuola...eppure Eli era convinto che ognuno di loro aspettasse solo un suo momento di distrazione per provarci con me. Quando mi confidò questa sua "ipotesi" stavo per ridergli in faccia: i ragazzi di solito non mi guardano sotto quell’aspetto. Anzi, non mi hanno mai guardata e basta. Diciamo che è già tanto se considerano che esisto. Dissi ad Eli ciò che pensavo, lui però rispose che mi sottovalutavo, che in realtà ero bellissima, che ogni ragazzo avrebbe dato di tutto per essere al suo posto e che la mia umiltà, così come la mia mortale fragilità, mi rendeva ancora più desiderabile. Sapete come sono fatti i vampiri: più hai l’aria bisognosa del cucciolo bastonato, più si sentono attratti da te e, modestamente, in quel periodo io ero un vero e proprio caso umano. Ovviamente però quelle parole mi avevano inebetita e di conseguenza avevo smesso di preoccuparmi. Che idiota. Poco tempo dopo il mio vicino di banco dell’ora di Storia ci ha quasi rimesso la pelle perché mi aveva invitato ad andare a casa sua per terminare una relazione a cui dovevamo lavorare. David Turner, non so se lo conoscete-.
-Vuoi dire Dave-Otto-Dita?!- chiese Clare, sconvolta.
-Precisamente. Quella volta ci rimise il mignolo della mano sinistra. L’anulare se l’è giocato per non avermi restituito una matita che gli avevo prestato qualcosa come un milione di anni prima. Secondo Eli, l’aveva tenuta di proposito perché era ossessionato da me. Il bue che da del cornuto all’asino-.
-Perché Dave non l’ha denunciato alla comunità dei vampiri?- domandò Aly.
-Perché Eli lo minacciò dicendogli che se mi avesse importunato ancora o fosse andato a lamentarsi con qualcuno, di lì a poco avrebbero cominciato a chiamarlo Dave-Senza-Mani-.
A quella risposta, Serena vide Aly sbiancare. A volte dimenticava che, oltre ad essere la più sensibile tra loro, non sapeva quanto i vampiri potessero diventare violenti. James era un emerito stronzo, questo sì, tuttavia non aveva mai fatto del male, né minacciato nessuno, continuando a far vivere Aly nell’illusione che i vampiri non fossero altro che principi azzurri immortali, almeno fino al giorno in cui le aveva dato il benservito.
-Se con un fidanzato psicopatico dovevi stare sempre all’erta, con un fidanzato vampiro psicopatico è meglio dormire con tre occhi aperti e un paletto sotto il cuscino. Arrivata a quel punto, ogni sentimento positivo che provavo per lui venne sostituito dalla paura che un giorno non troppo lontano sarei potuta diventare io il capro espiatorio della sua gelosia- continuò Em. –Presi quindi la sofferta decisione di lasciarlo, ma quando glielo comunicai, lui sfoderò la sua arma migliore: l’abilità recitativa. Interpretò alla perfezione la parte del vampiro disperato e innamorato follemente che però anteponeva la felicità della sua amata alla propria e disse che anche se era il sacrificio più grande che avesse mai fatto, era disposto a lasciarmi andare per la strada che avevo scelto di percorrere. Ero infinitamente sollevata, anche perché mi ero aspettata che nel migliore dei casi avrebbe cercato di farmi fuori seduta stante, per questo mi ero preparata un erogatore pieno di acqua aromatizzata all'aglio che avevo tenuto dietro la schiena per tutta la durata del nostro incontro. A quel punto mi chiese però di esaudire un suo desiderio e cioè di trovarci nella nostra panchina al parco per un ultimo incontro, arrivando a giurare sul suo creatore che non mi avrebbe fatto alcun male pur di riuscire a convincermi. Sapete anche voi che venire meno ad un giuramento di questo genere per i vampiri significa la perdita del proprio onore, ossia la peggiore delle sorti, quindi acconsentii. La sera successiva mi recai ai giardini e vidi che il percorso era illuminato da decine di candele. Sopra alla panchina si trovavano un enorme mazzo di rose rosse e una scatolina di velluto. Quando la aprii sentai a credere ai miei occhi: conteneva uno zaffiro stellato nero meglio conosciuto come "Stella di Mezzanotte". Lo riconobbi perché c’era una foto sul mio libro di Scienze Naturali e ne ero rimasta affascinata: è una gemma di colore blu molto scuro che presenta un effetto ottico molto particolare: quando la pietra viene illuminata, sopra di essa appare un disegno simile ad una stella. 116 carati-.
Em lanciò una veloce occhiata alle ragazze e notò che avevano tutte gli occhi spalancati per l’incredulità.
-In quello stesso momento è apparso Eli, spiegandomi che l’aveva comprata – presumo per vie non esattamente legali – qualche tempo prima, con l'intenzione di farmi una sorpresa per il mio compleanno. Poi cominciò con le frasi romantiche e struggenti, mi disse che per lui io ero come la stella nella gemma, che lui avrebbe voluto essere per sempre il mio cielo, la notte che mi avrebbe consentito di splendere in eterno. Solo in quel momento capii quali fossero le sue vere intenzioni: non voleva solamente vedermi un’ultima volta e non voleva nemmeno cercare di farmi semplicemente cambiare idea…voleva trasformarmi! Ero sconvolta. All’inizio della nostra storia avevo fantasticato milioni di volte su quel momento, ma nei miei sogni io avevo almeno vent’anni e lui non era un fidanzato violento e possessivo. Eli però fraintese la mia espressione, pensando che fossi scioccata per la felicità. Quando gli spiegai che non era così…beh, vi ricordate la mattina in cui diversi alberi tra cui un abete secolare vennero trovati sradicati in quel parco? Opera sua. Aveva giurato di non farmi del male, per cui, dopo essersi reso conto che non stavo scherzando e che davvero preferivo la mortalità ad un’eternità con lui, aveva sfogato la sua rabbia contro la prima cosa che gli era capitata a tiro. Da allora però non si è mai completamente arreso, anzi. Ogni tanto lui ci tiene a ricordarmi quanto l’ho fatto sentire umiliato e si diverte a farmi vivere nella paura di ciò che potrebbe succedermi. Secondo me, l’unico motivo per cui non mi ha ancora uccisa è perché la morte sarebbe una vendetta troppo rapida e misericordiosa, per come la vede lui. Preferisce torturarmi lentamente-.
Quindi Em alzò gli occhi e le guardò una alla volta. Elise, Rachel, Clare, Aly ed infine Serena. Quest’ultima, era più perplessa e confusa che mai.
-Ma allora perché ti sei unita a noi? Perché quando ti ho proposto di entrare a far parte del gruppo tu non mi hai spiegato che la tua situazione era completamente diversa dalla nostra?- chiese, con un tono molto meno comprensivo e calmo di quello che aveva sempre usato con lei. Serena aveva sempre provato simpatia per Em nonostante la sua serietà ed il suo essere così silenziosa e, nonostante nei primi tempi avesse sospettato che nascondesse qualcosa, non se ne era particolarmente preoccupata perché era convinta che si trattasse di un segreto simile al suo.
-Perché…beh, quando si è sparsa la voce che io ed Eli ci eravamo lasciati, hanno dato tutti per scontato il fatto che a rompere fosse stato lui e io non ho mai smentito, anzi, ho incoraggiato la gente a crederlo. Se gli altri vampiri avessero saputo che Eli era stato mollato da un’umana avrebbero perso rispetto per lui e non volevo dargli un’ulteriore ragione per farmi odiare. Eli aveva solo da guadagnarci con quella versione della storia. Quando mi hai chiesto se volevo far parte del gruppo ti ho risposto subito di sì perché ero certa che prima o poi anche i nostri ex ne sarebbero venuti a conoscenza e volevo che Eli pensasse che stavo soffrendo anch’io per la fine della nostra relazione, tanto da dover chiedere aiuto. È brutto da dire, ma in effetti la mia strategia ha funzionato: da quando vi frequento le sue ripicche nei miei confronti sono diminuite-
-CHE COSA?!- gridò Serena alzandosi di scatto dalla poltrona.
Nessuno fiatava, a parte Em, che cercò di dire qualcosa, probabilmente per provare a placare l’ira funesta di Serena che, come fu chiaro a tutte nel giro di mezzo secondo, stava per abbattersi su di lei. Tutte loro avevano avuto modo di conoscere le crisi di rabbia a cui di tanto in tanto era soggetta tuttavia, dallo sguardo infuriato di Serena si poteva chiaramente intuire che qualunque cosa stesse per succedere, era di gran lunga peggiore a quello a cui erano abituate.
Em tentò disperatamente di difendersi. -Volevo dirvi la verità per evitare che venisse fuori nel momento sbagliato…Dio solo sa quanto io mi senta in colpa per avervi…-
-…trattate come perfette imbecilli?- concluse Serena al posto suo, facendo un passo in direzione di Em. -Hai almeno una vaga idea del perché noialtre siamo qui? I genitori di Aly sono arrivati a pensare di farla ricoverare perché la sua depressione si stava aggravando tanto da non sapere più come gestirla, Elise era praticamente catatonica, non ha mangiato né bevuto per giorni, mentre io ho perso il conto delle volte in cui ho pensato al suicidio! E tu ci hai usate frequentando il nostro gruppo nonostante non ne avessi minimamente bisogno?!?-.
Seguì un lungo istante di silenzio durante il quale nessuno osò nemmeno muoversi. Poi Serena parve ricomporsi, si voltò dando le spalle ad Em, poi sibilò: -Sei fuori. Sparisci. E vedi di non farti più vedere-.
Em cercò di dire qualcosa, ma prima che riuscisse a trovare le parole giuste i suoi occhi s’inumidirono ed emise un singhiozzo soffocato. Si alzò, afferrò la sua giacca e, senza nemmeno infilarselo, uscì di corsa dall’abitazione.


*N.d.A. Piccolo appunto: lo zaffiro "Stella di Mezzanotte" esiste davvero, ho trovato la foto in un libro sui minerali ma, per quanto ne so, si trova nel museo di Storia Naturale di New York e nessun vampiro ha mai tentato di comprarlo illegalmente.
Detto ciò, colgo l'occasione per rinnovare i miei soliti ringraziamenti a chi segue questa storia dall'inizio e anche a chi l'ha appena scoperta.
Siete più dolci di un cupcake alla vaniglia
:)*

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Capitolo 8
*** Il re delle fate e l'angelo custode ***


Dal diario di Aly, 17 ottobre:
«[…]E dicevano che, tra tutte, quella messa peggio ero io.
Dopo tutto il casino successo all’ultimo incontro, tra le balle di Em, il comportamento passivo-aggressivo di Clare e l'ipocrisia dimostrata da Serena, forse la prossima volta ci penseranno due volte prima di additarmi come il “caso disperato” del gruppo.
Le ragazze probabilmente sono ancora convinte che non sappia ciò che si diceva (e forse si dice ancora) su l mio conto, sul fatto che io sarei quella fissata, ossessionata, che vive nel passato e non si decide a rassegnarsi. Credono che il dolore mi abbia resa stupida.
Invece so perfettamente quello che si dice alle mie spalle, così come so che il sorriso comprensivo di Serena inizialmente nascondeva la convinzione secondo cui nemmeno con il suo aiuto e quello delle altre sarei riuscita a risollevarmi e che Rachel ed Elise avevano l’abitudine di prendermi in giro – mi è capitato di sorprenderle per caso mentre credevano di essere sole. Mi imitavano, distorcendo le parole che con fatica ero riuscita a pronunciare davanti a loro e alle altre. Dopo quell'episodio avevo seriamente preso in considerazione l'idea di lasciare definitivamente il gruppo, ma sapevo che l’alternativa al gruppo era una vita che avrei passato a deprimermi e chiudermi in me stessa mentre rimpiangevo James e attendevo vanamente il suo ritorno, quindi avevo deciso di andare avanti e stringere i denti.
Ad un certo punto avevo finito col convincermi a mia volta del fatto che fossi l’unica dover affrontare molte più difficoltà rispetto alle altre, soprattutto considerato l’atteggiamento sicuro che ostentavano durante gli incontri, come se avessero ormai superato tutti i loro problemi da un pezzo e continuassero a riunirsi solo per abitudine e per non lasciare indietro la povera sfigata (ossia la sottoscritta).
Di sicuro Em non è stata molto corretta nei nostri confronti, non posso certo dire il contrario, tuttavia sono del parere che la reazione di Serena sia stata esagerata e decisamente poco coerente, considerato che meno di dieci minuti prima le avevamo perdonato qualcosa di altrettanto grave, ma tanto sono certa che farglielo notare non la farebbe tornare sui suoi passi in merito al reintegro di Em nel gruppo: Serena sa essere veramente testarda, purtroppo.
Inoltre ho anche un paio di motivi personali per avercela con lei, ad esempio il fatto di aver rivelato davanti a tutte che, quasi un anno fa, quando il dolore per l'abbandono di James per me era ancora ben presente e mi torturava tanto da compromettere anche le abitudini più basilari e fondamentali come mangiare o dormire, i miei genitori avevano preso seriamente in considerazione l'idea di spingermi a “prendermi una pausa”.
Ovviamente, quando mi avevano parlato di questa possibilità, non avevano usato parole specifiche come “ricovero” o “manicomio”, erano rimasti più sul vago. Solo i pazzi vanno internati e la loro figlia di certo non poteva esserlo! Sarebbe stata una vergogna per una perfetta famiglia benestante come la nostra, senza contare che non avrebbero saputo spiegarlo ai loro amici con le perfette famiglie benestanti e perfetti figli sani di mente.
Mi avevano parlato di quanto mi avrebbe giovato cambiare aria per un po'. Avevo persino trovato il dépliant di una clinica specializzata, in camera dei miei. A giudicare dalla brochure sembrava che un ricovero in quel posto equivalesse ad un soggiorno in un hotel a cinque stelle con attività da villaggio vacanze. Unica differenza: un paio di pilloline della felicità al giorno e i colloqui regolari con "esperti altamente specializzati e qualificati", come c'era scritto. Parole che non ho mai dimenticato.
Parlavano di imbottirmi di farmaci e farmi parlare con uno psichiatra anche se non mi avevano mai chiesto il motivo per cui ero ridotta in quello stato. Non sapevano nemmeno, e ad oggi ancora non sanno, dell’esistenza di James».

Aly aveva sempre amato il bosco dietro casa di sua nonna. Da piccola era convinta che ci vivessero gli elfi, gli gnomi e le fate e che questi la spiassero mentre giocava o quando faceva le passeggiate assieme ad Helena.
Aly aveva una profonda nostalgia della sua infanzia. Quando ci pensava, il primo pensiero ad essa correlato era proprio la casa di sua nonna e le foglie verdi del bosco in una calda ed assolata giornata d'estate, probabilmente perché la maggior parte del tempo al cottage lo aveva trascorso durante le vacanze estive, mentre i suoi genitori si trovavano in qualche località esotica all’estero.
Una volta sola Aly aveva osato chiedere la ragione per cui veniva affidata alla nonna anziché partire con loro, e la risposta dei suoi era stata: “Perché sei ancora piccola e dove andiamo noi ci sono solo adulti. Ti annoieresti”. Parole in codice che, tradotte dal genitoriese, equivalevano a: “Volevamo prenderci qualche giorno di ferie dal mestiere di genitori”.
Tuttavia, anche dopo essere cresciuta abbastanza per gli standard turistici dei suoi, Aly si era sempre rifiutata di partire per un luogo che non fosse la casa di sua nonna. Per come la vedeva lei, nessuna spiaggia esotica poteva essere paragonata alla piccola ma sempre accogliente proprietà di sua nonna, dietro al quale si estendeva il bosco che tanto aveva stuzzicato la sua fantasia.
 
Aly si sedette su una roccia e affondò le dita nel muschio morbido e umido. Sopra di lei, le foglie ancora verdi erano poche, la maggior parte ormai erano di colore giallo o arancione, indebolite dalle temperature che si abbassavano progressivamente e in attesa della prima folata d’aria un po’ più intensa che le avrebbe per sempre strappate all’albero in cui erano nate e cresciute solo alcuni mesi prima.
La foglia ingiallita di una betulla scelse proprio quel momento per lasciarsi rapire dal vento, che lentamente la fece vorticare mentre lo sguardo di Aly ne seguiva i movimenti sinuosi che la portarono a posarsi delicatamente sul tappeto composto dalle sue sorella.
Suo malgrado, la ragazza dovette ammettere che era ormai cambiato il modo in cui percepiva il bosco, rispetto a quando era bambina. Si chiese quando quel luogo che un tempo le trasmetteva una sensazione tanto piacevole avesse cominciato a perdere quella sua magia, quell’atmosfera che le trasmetteva una sensazione di serenità unica al mondo, ma la risposta le venne in mente subito: paradossalmente, quella magia era cessata nel momento in cui aveva avuto modo di conoscere un altro tipo di magia, ossia quella del primo amore, quando aveva incontrato James, proprio lì, dove si trovava in quel momento.

Era il 31 agosto di due anni prima, l’ultimo giorno delle sue vacanze da Helena. Sarebbe dovuta tornare a casa, nel caos della città, il pomeriggio successivo. Dopo cena aveva detto ad Helena che sarebbe uscita a fare l’ultima passeggiata nel bosco prima che facesse buio. Era una sua piccola tradizione segreta, quella dell’ultima passeggiata al tramonto in solitaria, e la rispettava ogni anno: era il suo modo per salutare quel luogo, in attesa dell'estate successiva.
-Non inoltrarti troppo e stai attenta- si era raccomandata come suo solito Helena.
Aly aveva sempre dato retta all’avvertimento di sua nonna, ma quella sera qualcosa era andato diversamente. Non aveva mai temuto il bosco, neanche con il buio imminente. Non aveva avuto paura nemmeno quando, mentre era seduta su quella stessa roccia a guardare attraverso gli alberi scorci di cielo diventare sempre più scuri, aveva udito un fruscio alle sue spalle. Si era voltata, convinta si trattasse di qualche animale, invece aveva visto qualcosa d’insolito: una figura.
Convinta che la sua mente, assieme ai giochi di luce del crepuscolo, le stessero giocando qualche strano scherzo, si era avvicinata per guardare meglio, eppure quella che le sembrava di vedere in controluce era proprio la sagoma di una persona, in piedi accanto ad una vecchia quercia, poco distante da lei.
La ragazza aveva cercato di elaborare in fretta una spiegazione alternativa all'ammettere la presenza di qualcuno - la cui corporatura di certo non combaciava con quella di Helena - proprio lì, a solo qualche metro da lei. In quello stesso momento però, la figura si era mossa, lasciando poco spazio ai dubbi.
Era stato allora che, per la prima volta, Aly aveva avuto paura del bosco.
Il suo cervello le aveva impartito immediatamente l’ordine di correre via, ma le sue gambe si erano rifiutate di eseguirlo.
Poi però la figura aveva parlato. La prima volta in cui Aly aveva sentito la sua voce.
-Ciao, Alyssa- aveva esordito.
Quando aveva udito il suo nome, per un istante e per una ragione a lei ignota, la ragazza aveva avvertito un senso di familiarità che aveva attenuato un po’ la sua paura.
Nello stesso momento, la figura si era avvicinata di qualche passo, come se avesse percepito lo stato d'animo di Aly, ancora molto teso.
La ragazza era riuscita a scorgere qualche tratto del viso del suo misterioso interlocutore e a capire che si trattava di un ragazzo all'incirca della sua età, ma non a determinare se lo conoscesse.
-Chi sei?- aveva chiesto Aly, con voce incerta.
-Un amico- aveva risposto lui, evasivo. -Caspita, sei cresciuta molto-
-Ci…conosciamo?-
-L’ultima volta che ci siamo visti avevi circa sei anni. Non mi sorprende che non ti ricordi di me. È successo proprio qui vicino: eri insieme a tua nonna, hai visto uno scoiattolo ed hai iniziato a seguirlo per cercare di osservarlo da vicino. Tua nonna si era distratta un momento e non si è accorta di nulla, così ti sei persa. Fortunatamente però hai incontrato il Re delle Fate del bosco, che ti ha preso per mano e ti ha riportato sul sentiero da cui eri arrivata. La storia ti dice niente?-.
Aly era incredula: sì, quella storia le diceva parecchio. Ecco perché quella voce non le era giunta nuova: aveva risvegliato un ricordo che non rivangava da tempo ma che era ancora ben impresso in qualche recondito angolo della sua memoria.
Improvvisamente, nonostante la luce del giorno andasse diminuendo, il volto della persona che aveva davanti era divenuto nitido come fosse mezzogiorno. Era stato dopo quell’episodio, risalente a quasi dieci anni prima, che Aly si era convinta dell’esistenza delle creature fantastiche che popolavano il bosco.
-Sì- aveva continuato lui, leggendo la risposta nello sguardo sorpreso della ragazza. -Te lo ricordi, vero?-
Aly però si era mostrata diffidente, nonostante conservasse pochi dubbi in merito alla veridicità delle parole del ragazzo.
-Beh, secondo questa logica, tu ora dovresti essere molto più...vecchio, eppure sei identico a come ti ricordavo-.
Il ragazzo aveva sorriso. Aly se n’era accorta perché facendolo aveva scoperto i denti, che sembravano brillare di luce propria come nella pubblicità del dentifricio.
-Diciamo che li porto bene-.
In quel momento, Aly aveva compreso a chi, o meglio, a che cosa si trovasse davanti. La pelle inumanamente chiara, i canini leggermente pronunciati, quello sguardo intenso e ipnotico, l'estrema figaggine. Descrizione che combaciava con qualcosa che Aly aveva già avuto modo di conoscere, anche se solo superficialmente.
-Diciamo che probabilmente li porti bene da un bel pezzo, giusto?- azzardò.
In meno di un secondo, lui quasi azzerò la distanza tra loro. In questo modo, Aly era riuscita a vederlo ancora più chiaramente. Sì, era esattamente come lo ricordava. Anzi, sembrava addirittura più giovane.
-L’ho capito subito che eri una bambina sveglia, quando ti ho incontrata la prima volta-.
-Ne sono lusingata. Dicono che sia la prima impressione, l’unica che conta davvero- aveva ribattuto la ragazza.
Lui aveva ridacchiato.
-Hai capito cosa sono, mi trovo a meno di un metro da te, eppure sembra che la cosa ti lasci indifferente. Quindi o sei molto coraggiosa, o molto incosciente, o una fanatica dei libri di vampiri-.
Prima di incontrare James, Aly aveva a malapena sentito parlare di Twilight, annessi e connessi. Amava i libri ma preferiva i classici e, di conseguenza, la trama di quel romanzo non aveva stimolato abbastanza la sua curiosità da convincerla a leggerlo, nonostante la sua popolarità. Ancora non sapeva che, in un futuro molto prossimo, i libri di Jane Austen, delle sorelle Brontë e di Oscar Wilde che conservava gelosamente sugli scaffali della libreria della sua camera, sarebbero stati progressivamente sostituiti da decine e decine di volumi a
di saghe appartenenti al cosiddetto genere "urban-fantasy" o “paranormal-romance” più o meno riuscite.
-La prima o la seconda ipotesi, scegli tu. Di sicuro non la terza- aveva risposto.
-Mi fa piacere sentirtelo dire. Almeno non hai strane aspettative su di me- aveva detto, continuando a sorridere.
La ragazza aveva rivolto lo sguardo alla porzione di cielo che riusciva a scorgere attraverso gli alberi.
-Fidati, se c’è una cosa che ho imparato è che nella vita è meglio non avere aspettative. Prendi quello che viene e accontentati. Solo in questo modo sarai certo di non rimanere deluso-.
Il vampiro l'aveva guardata per qualche istante, affascinato.
-Parole molto sagge per una ragazza così giovane, ma anche molto malinconiche. Hai una visione un po’ pessimista delle cose-.
-Più che pessimista, io direi realista. Spesso le due cose vengono confuse- si era giustificata Aly, abbassando nuovamente lo sguardo e incrociando così gli occhi verde ghiaccio del vampiro. Era un colore quasi innaturale, magnetico e bellissimo. Si era chiesta se esistessero persone con iridi di quello stesso colore, o se fosse un’esclusiva dei vampiri.
-In effetti il confine tra le due cose è molto labile- aveva detto lui.
-Come quello tra coraggio e incoscienza- aveva concluso Aly.
Il sorriso del vampiro era divenuto ancora più enigmatico, ma non aveva aggiunto altro.
Poco dopo però, Aly si era accorta di aver perso la cognizione del tempo. La luce del crepuscolo era ormai scomparsa quasi del tutto. Al suo posto brillava in cielo una meravigliosa luna a cui mancava solo un minuscolo spicchio per essere completa. Di sicuro di lì a poco Helena avrebbe cominciato a preoccuparsi - se non l'aveva già fatto.
La ragazza aveva quindi salutato - un po' a malincuore - il suo misterioso interlocutore vampiro, ed aveva fatto per andarsene. Lui però l’aveva fermata prima che si allontanasse.
-Aspetta!- aveva esclamato. Aly si era voltata subito. -Mi farebbe piacere rivederti, sempre che tu ne abbia voglia, domani, sempre qui, alla stessa ora-.
Lei gli aveva sorriso, audace.
-Mi dispiace, ma non accetto appuntamenti da persone di cui non conosco neanche il nome. Ho già corso abbastanza rischi parlando con uno sconosciuto- aveva risposto ironica.
Lui si era morso il labbro inferiore, un suo piccolo vizio che Aly aveva considerato molto sexy fin dalla prima volta in cui gliel'aveva visto fare, ossia quella.
-Mi chiamo James. James Miller- aveva detto infine il vampiro.
-D’accordo, James Miller. Ci vediamo domani, qui, alla stessa ora. Buonanotte- aveva detto, sussurrando l’ultima parola, dopodiché se n’era andata.
La mattinata seguente Aly l’aveva trascorsa al telefono, cercando di convincere i suoi genitori a venirla a prendere il giorno successivo anziché quel pomeriggio.
Alla fine, al termine di una delle discussioni più lunghe ed estenuanti che avesse mai dovuto affrontare, la ragazza era riuscita a prenderli per sfinimento e li aveva convinti, a condizione che non ci sarebbero stati altri capricci da parte sua.
Il resto, come si suol dire, era storia. Una meravigliosa storia durata troppo poco, che ad Aly era sembrata uno di quei sogni bellissimi che capitano raramente e da cui ci si sveglia con una magnifica e piacevole sensazione di felicità in grado di condizionare le prospettive dell'intera giornata che si ha davanti.
Purtroppo però, da quel sogno Aly era stata svegliata bruscamente quando James l’aveva abbandonata all’improvviso ed il ricordo di quello stesso sogno incompleto, lasciato a metà senza un perché, l’aveva torturata a lungo, intaccando anche tutto ciò che fino a quel momento l’aveva resa felice, facendogli perdere ogni valore e significato. Le sensazioni che aveva provato nel bosco quando ancora non aveva conosciuto James erano probabilmente la cosa che le mancava di più.
Anche quella sera alla luna mancava giusto uno spicchio, per essere perfettamente piena. Era già alta nel cielo nonostante il sole non fosse ancora tramontato, bianca, quasi evanescente. Aly emise un lungo sospiro.
-Vorrei che tutto tornasse com’era una volta, così magari la smetterei di soffrire- disse tra sé, mentre sentiva gli occhi prima bruciargli e poi inumidirsi di lacrime che le offuscarono la vista.
Da bambina parlava spesso da sola, quando si trovava nel bosco. Lo faceva perché sperava che le fate che vivevano nei dintorni la sentissero e decidessero di mostrarsi a lei, così da poter giocare assieme e magari dnargli un paio di ali.
Aveva smesso di farlo quando aveva circa tredici anni, ma aveva conservato quella segreta speranza fino alla sera in cui James non le aveva rivelato la verità a proposito del "Re delle Fate" su cui fino a quel momento aveva basato tutte le sue convinzioni riguardo alle creature magiche che popolavano quel luogo.
-Non succederà mai, tesoro- le rispose a sorpresa, la voce di Helena.
Aly si accorse solo allora dello scalpiccio provocato dai passi di sua nonna sulle foglie secche. Qualche istante dopo, la donna comparve dallo stesso sentiero da cui era arrivata la nipote, stretta nel suo cardigan di lana, con i lunghi capelli argentei raccolti in una treccia che le ricadeva su una spalla. Era incredibilmente bella, e non una bellezza della serie “ha quasi sessantuno anni ma ne dimostra quarantacinque” perché, al contrario, Helena dimostrava la sua età, o al massimo qualche anno in meno, ma rimaneva comunque bellissima.
Pochi anni prima, mentre Aly curiosava tra le vecchie foto di famiglia, gliene era capitata tra le mani una che ritraeva sua nonna assieme a sua madre, quando avevano rispettivamente venti e due anni ed Aly era rimasta piacevolmente sorpresa nell'accorgersi di quanto lei stessa somigliasse alla Helena della foto.
Hai i suoi stessi occhi verdi, i suoi stessi capelli biondi, la sua stessa pelle chiara e i suoi stessi lineamenti delicati. Peccato che quasi tutto questo abbia saltato una generazione…” Aveva detto la madre di Aly quando aveva sorpreso la figlia a fissare quella foto, riferendosi in modo sottointeso ai suoi capelli castano chiaro e agli occhi del medesimo colore, caratteristiche molto probabilmente ereditate dal padre che non aveva mai conosciuto. Un uomo che da pochissimo tempo per Aly aveva un nome: Kevin.
-Come hai detto?- chiese, emergendo dal suo mare di pensieri.
-Una delle regole più odiose della nostra vita è che non si può tornare indietro. È dura, ma è una delle più giuste poiché tutte le esperienze, anche e soprattutto quelle negative, ci insegnano qualcosa che ci rende più maturi e più forti- spiegò pazientemente Helena, sedendosi accanto alla nipote che nel frattempo si era spostata per lasciarle un po’ di posto sulla roccia. –Non credi anche tu?-
-Pare facile, detto così-  replicò Aly.
Sua nonna sospirò. -Angelo mio, so che crogiolarsi nelle proprie sofferenze può diventare una vera e propria dipendenza, lo capisco, l'ho fatto anch'io e so che può sembrare la via più facile-.
Aly abbassò lo sguardo, provando un vago senso di vergogna alle parole di Helena.
-Ricorda solo che ogni volta che avrai bisogno di me, io ci sarò- continuò quest'ultima. -Così come sono certa che ci saranno anche le tue amiche ed i tuoi genitori, per quanto tu sia convinta del contrario. Tuttavia nessuno di noi può affrontare i problemi al posto tuo. Devi reagire. Sono certa che tu possieda la forza di volontà necessaria per riuscire a rialzarti e andare avanti, ma soltanto tu puoi decidere se farlo o continuare a vivere nel rimpianto. Dipende solo da te-.
Aly rivolse lo sguardo a sua nonna. Trovava incredibile il fatto che, anche dopo tutto quello che aveva fatto, il modo in cui si era comportata nell'ultimo anno, ci fosse ancora qualcuno capace di credere in lei. E forse era proprio di questo che aveva bisogno, più che di qualunque altra cosa. Helena aveva ragione: stava solo a lei decidere se continuare a piangersi addosso o stringere i denti e andare avanti.
James se n'era andato. Non sapeva il perché e forse non l'avrebbe mai saputo, ma non poteva certo passare la vita a provare rimorso. Torturarsi con supposizioni e teorie del tipo "e se mi fossi comportata in modo diverso? Lui sarebbe ancora qui?" sarebbe stato solo tempo buttato alle ortiche e lei ne aveva già perso troppo. Più di un anno, per la precisione.
Helena le sorrise a sua volta, la strinse in un abbraccio ed Aly posò la testa sulla sua spalla.
Rimasero così, in silenzio, a gustarsi quel momento perfetto, più a lungo che poterono.
 
***

Quando Aly fece ritorno alla "dimora ufficiale" era quasi mezzanotte. Aprì e richiuse la porta cercando di fare meno rumore possibile e, prima di andare in camera, si tolse le scarpe, per non rischiare che il rumore dei suoi passi svegliasse i suoi genitori…sempre che si trovassero entrambi in casa e non da qualche altra parte.
Mentre si avviava per il corridoio però, con la coda dell’occhio notò la presenza di qualcuno seduto sul divano. Si bloccò trattenne il fiato per qualche istante, indecisa de gridare o meno, ma poi si accorse che si trattava di sua madre e riprese a respirare.
-Mamma, perché sei ancora…-
-Hai visto che ore sono?- la interruppe la donna, ignorando le parole della figlia.
Aly lanciò un’occhiata all’orologio analogico appeso a una delle pareti in cucina. Era in ritardo di oltre un’ora sul coprifuoco ufficiale in vigore nei giorni feriali ma prima di allora non aveva mai avuto noie da parte dei suoi genitori se anche qualche volta non lo rispettava. Aveva fatto le ore piccole a casa di James un’infinità di volte e sia sua madre che suo padre avevano sempre fatto finta di niente. Quella regola era sempre stata solamente una delle tante formalità che contribuivano a dare alla famiglia Mlynowski un’aria rispettabile.
-Cos’è questa improvvisa preoccupazione nei miei confronti? Siamo nella Settimana dell’Istinto Materno?- chiese, irritata dal comportamento improvvisamente apprensivo di sua madre.
La donna si alzò dal divano. Indossava la vestaglia ed era a piedi nudi. I capelli, solitamente impeccabili, le ricadevano sulle spalle disordinati. Aly non la vedeva con un’espressione così severa e arrabbiata da quando era bambina.
-Bada a come parli, Alyssa!- la rimproverò.
-Okay, riformulo la domanda- continuò la ragazza, per nulla intimorita dalle parole della madre. -Chi sei tu e che ne hai fatto di mia madre? Sai, bella signora, quarantadue anni, perennemente tirata a lucido, che se ne è sempre fregata di sua figlia…Dove la posso trovare?-.
Quello che successe in seguito, Aly lo avrebbe sempre ricordato come se avesse osservato la scena da un punto di vista esterno: il viso di sua madre che si contraeva, l’espressione furente, i passi veloci verso di lei e, soprattutto, lo schiocco provocato dallo schiaffo e il dolore improvviso e bruciante sulla guancia.
Non seppe mai quanto tempo passò a fissare la madre, incredula. Non aveva nemmeno memoria dell’ultima volta in cui lei o suo padre l'avevano punita ed era certa che, in qualunque modo lo avessero fatto, la punizione corporale non fosse mai rientrata nei loro metodi educativi. Ma non fu solo questo il motivo per cui la ragazza rimase di sasso, con la mano a coprire la guancia dove nel frattempo il bruciore si stava trasformando in un dolore pulsante. Perché davanti a lei non c’era la sua solita mamma, non c’era la donna in carriera affascinante, sempre perfettamente vestita e truccata, con una maniacale attenzione per i dettagli e l’auricolare dello smartphone perennemente agganciato all’orecchio. No, la persona che le stava di fronte era lontana anni luce dall’altra: aveva le unghie rosicchiate, i capelli spettinati, gli occhi spenti, acquosi e arrossati di chi ha finito di piangere da poco ma è sul punto di ricominciare e per di più…era odore di sigaretta, quello che sentiva? Impossibile, sua madre aveva smesso di fumare quando aveva saputo di essere incinta di lei e, per quanto ne sapesse, non aveva mai ricominciato, né aveva mai lasciato in giro indizi che lo facessero supporre. Eppure era certa che fosse odore di fumo, quella nota acre che aleggiava intorno alla donna e strideva con quella del deodorante per ambienti alla lavanda.
Non sapendo in che altro modo reagire, Aly si voltò e si diresse in camera sua senza proferire parola. Si chiuse la porta alle spalle e rimase lì, in piedi, al buio, con le mani e la fronte appoggiate alla porta. Pochi istanti dopo udì i singhiozzi.
Sta piangendo. Quando mai mia madre ha pianto? pensò, sempre più confusa dal comportamento di quest’ultima. Non si era commossa nemmeno al funerale di sua suocera, l’altra nonna di Aly, tre anni prima, nonostante l’avesse sempre considerata una seconda madre.
Cosa stava succedendo? Perché, proprio quando Aly decideva di dare una svolta alla sua situazione, questa si complicava ancora di più? Come mai poco alla volta tutte le certezze su cui aveva basato la sua vita fino ad allora andavano sgretolandosi? Non trovando la risposta, decise di andare a letto e tentare di dormirci sopra.
Ogni forza, ogni energia, l’avevano abbandonata improvvisamente, come risucchiate dalle domande che gli occupavano la mente. Non aveva nemmeno voglia di spogliarsi  e mettersi il pigiama, quindi si limitò a togliersi la giacca e le scarpe e ad infilarsi sotto le coperte, così com’era.

Il sonno di Aly, arrivato pochi istanti dopo aver appoggiato la testa sul cuscino, venne disturbato dal rumore, appena percettibile, della porta che si apriva lentamente. Nonostante il buio, Aly riconobbe la sagoma della madre, che rimase lì a fissarla per circa un minuto prima di avvicinarsi e sdraiarsi sul letto accanto alla figlia. Nessuna delle due disse una parola e si addormentarono così, insieme.

Il mattino dopo, quando Aly si svegliò, era di nuovo sola. Mancavano pochi minuti al suono della sveglia, quindi la spense e andò a farsi una doccia. Mentre attraversava il corridoio, si accorse che l’odore di sigaretta era scomparso, ma che tuttavia c’era qualcosa di altrettanto insolito nell’aria…qualcosa che sapeva di dolce e che le ricordava una tavola calda…pancake? Eppure Maria Rosa, la donna che si occupava delle pulizie, di solito arrivava alle nove, quando sia Aly che i suoi genitori erano già usciti da un pezzo e l'unico pasto che preparava abitualmente per la famiglia Mlynowski era la cena...
Appena entrò in cucina, vide sua madre armeggiare con una padella e un mestolo. Il bancone della cucina sembrava un campo di battaglia dove le principali armi usate erano state farina e uova, a giudicare dallo strato bianco che ricopriva il piano di lavoro e dalla quantità di gusci ammucchiati qua e là. Aly si accomodò al suo solito posto a tavola, che era già stata apparecchiata, e in quel momento sua madre si voltò e le sorrise:
-Buongiorno, stellina-.
Bene, era sveglia da venti minuti e già le cose non potevano essere più strane. I suoi genitori non la chiamavano “stellina” da quando andava all’asilo e sentirglielo pronunciare ora, a diciassette anni compiuti, le dava davvero una sensazione strana, quasi spiacevole, come se il contesto generale non fosse adeguato a quella semplice espressione affettuosa.
Aly si limitò a rispondere con un sorriso tirato.
Mentre faceva la doccia, aveva provato ad immaginare come sarebbe stato affrontare sua madre dopo quanto successo la sera precedente, ma gli scenari a cui si era preparata erano completamente diversi e di sicuro non prevedevano la sua genitrice che preparava la colazione di prima mattina con tanto di grembiule e sorriso radioso in pieno stile madre-casalinga perfettina, del genere che si vede nelle pubblicità dei biscotti.
Del resto, se Aly avesse potuto descrivere la sua famiglia con un solo aggettivo, avrebbe avuto pochi dubbi su quale scegliere: disfunzionale. A dispetto della facciata di serenità che i suoi componenti avevano sempre dato a vedere agli altri.
Quand'era piccola, Aly non invitava mai le sue amichette per i pigiama party o per la merenda, perché le cose, a casa sua, andavano molto diversamente rispetto a quello che vedeva nelle altre famiglie e non voleva che le altre bambine lo venissero a sapere e lo raccontassero a scuola.
I genitori delle sue coetanee non litigavano, le mamme preparavano torte e biscotti fatti in casa e si facevano aiutare dalle figlie e dalle piccole ospiti, i papà raccontavano barzellette e indovinelli che poi le bambine riproponevano a scuola, i fratelli e le sorelle maggiori a volte mettevano a disposizione le loro cose e spiegavano come usarle, come i trucchi o i videogiochi.
A casa di Aly, invece, Maria Rosa preparava volentieri dolci e spuntini, ma non voleva che nessuno s’intromettesse nel suo lavoro. Per quanto li avesse sempre desiderati, non aveva fratelli o sorelle. Più di ogni altra cosa però, temeva che i suoi genitori si sarebbero messi a litigare davanti a lei e alle sue amiche e non riusciva a immaginare vergogna più grande.
Poi Aly era cresciuta e i litigi tra i suoi genitori erano cessati quasi all'improvviso, lasciando il posto ad una fredda indifferenza reciproca. La ragazza non avrebbe saputo dire quale delle due cose fosse la peggiore ma, alla fine, come sua madre e suo padre, se n’era semplicemente fatta una ragione. Nonostante questo però, negli anni delle medie e delle superiori aveva invitato a casa sua gli amici ed i due ragazzi che aveva frequentato prima di James, solo quand’era assolutamente sicura che non ci fossero i suoi nei paraggi.
In quel momento però lei era lì, seduta nel posto che occupava solo nelle rare occasioni in cui cenava con la famiglia al completo, di solito durante il fine settimana. Nel suo piatto c’erano pancake dalla consistenza un po’ gommosa innaffiati di sciroppo d’acero. Accanto a lei c’era sua madre, che si era accomodata a sua volta e stava bevendo del succo d’arancia. Quando si accorse dello sguardo della figlia, le sorrise nuovamente. Dopo quel gesto, La ragazza concentrò tutta l’attenzione sui suoi pancake gommosi, cercando di ignorare il nuovo atteggiamento della madre, tanto la faceva sentire a disagio.
Una volta terminata quella che ad Aly sembrò la colazione più lunga di sempre, fuggì in camera sua a prendere le cose per la scuola e uscì in fretta dopo aver biascicato un “grazie” in risposta a sua madre, che le aveva augurato di passare una “buona e produttiva giornata”, altra cosa che non aveva mai fatto.
La ragazza non ricordava di essere mai stata così contenta di trovarsi nella sua auto, con il suo solito disordine, diretta verso la sua solita scuola. Aveva solo voglia di riempirsi la testa di nozioni, spiegazioni svogliate di professori annoiati e chiacchiere frivole dei suoi compagni.
La normalità è decisamente sottovalutata, decretò.
Evidentemente però, quel giorno le “solite cose” non erano incluse nei programmi che il destino aveva per Aly, perché mentre prendeva i libri dal suo armadietto, si accorse che nel viavai generale del corridoio c’era un punto fermo: una ragazza che consultava una piantina della scuola con aria parecchio spaesata, quasi impaurita.
Ciò che attirò l’attenzione di Aly fu il suo stile decisamente eccentrico: l’accollato vestitino nero a pois bianchi, Converse nere che dovevano aver visto tempi migliori ai piedi e gli occhiali senza montatura da brava ragazza stridevano parecchio con i lunghissimi capelli che le arrivavano fino alla vita e che dall’azzurro delle radici sfumavano gradualmente fino ad arrivare al color lilla delle punte.
Aly non aveva mai amato i capelli dai colori assurdi come quelli, normalmente le sembravano pacchiani e anche l’effetto sfumato, nonostante fosse la moda del momento, le era andato in disgrazia dopo che metà delle ragazze presenti in quello stesso istituto aveva cominciato a girare con i capelli bicolore. Alcune poi, forse a causa del colore fai-da-te che si trovava al supermercato o dell’incompetenza di qualche parrucchiere, avevano ottenuto un terribile e ridicolissimo effetto, come se si fossero attaccate delle extension del colore sbagliato, eppure se ne andavano in giro, fiere del loro look, anziché con un sacchetto di carta in testa.
Tuttavia doveva ammettere che con la carnagione chiara e quei lineamenti fini da bambolina di porcellana, quella ragazzina minuta rappresentava a pieno la categoria delle ragazze che stanno bene in qualunque modo e con qualunque cosa. Anche coi capelli azzurri e lilla. Il genere di ragazza che più cerca di passare inosservata, più attira l’attenzione.
Soprattutto quella dei vampiri.
-Nuova?- chiese Aly, avvicinandosi.
La ragazza sobbalzò, come se l’avesse colta di sorpresa alle spalle, anche se si trovava in bella vista davanti a lei. Aly capì che da qualunque posto venisse, non doveva essere molto abituata a stare tra la gente.
Probabilmente, prima di approdare in quella scuola, doveva aver studiato a casa o comunque non in un istituto così affollato.
-Scusa, non volevo spaventarti- disse Aly, alzando le mani.
-No, ehm, ecco…io non…cioè, sì, sono nuova- rispose infine, con un filo di voce.
Se Aly avesse dovuto descrivere l’espressione “pesce fuor d’acqua” con un immagine, l’avrebbe fatto con una foto di quella ragazzina, parecchi centimetri più bassa del suo già modesto metro e sessantatre, nonostante tutto ciò contribuisse a renderla ancora più carina e tenera. Era come un cuccioletto smarrito.
-Io…io sono Fay, sono appena arrivata e…non ho idea di come trovare la mia classe- continuò.
Aly si presentò a sua volta e controllò l’orario di Fay. Scoprì con non poco stupore che quella ragazza aveva la sua età e che la sua prima ora di lezione era educazione civica, come la sua. Mentre l’accompagnava in classe, notò che Fay le stava praticamente appiccicata mentre camminavano e teneva i libri davanti a lei come fossero uno scudo. Questo confermò la supposizione di Aly secondo cui, da qualunque parte del mondo venisse quella piccoletta, non doveva essere un posto molto popolato.
-Non prenderla male ma non mi sembri molto abituata alla presenza…beh, delle persone in generale- commentò quest’ultima.
-È così infatti- ammise candidamente lei.
Aly sorrise. -Ti ci abituerai, non preoccuparti-.
Quando entrarono in classe, trovarono la solita situazione che precedeva l’arrivo dell’insegnante: capannelli di studenti che chiacchieravano, gente che sonnecchiava, Lauren e Zack che si facevano gli occhi dolci. Nulla di nuovo.
Quando Aly, dopo aver preso posto in un banco in penultima fila, notò Fay affrettarsi ad occupare quello accanto al suo, decise di sopportare in silenzio la sua nuova groupie: non le era mai capitato di trovarsi nei panni dell'ultima arrivata ma intuiva che non dovesse essere una sensazione molto piacevole ed inoltre quegli occhioni da cerbiatto impaurito a causa dell'ambiente sconosciuto le facevano una tenerezza infinita.
La lezione si presentava né più né meno noiosa del solito almeno fino a quando, circa un quarto d’ora più tardi, la porta dell’aula si aprì senza che nessuno bussasse per annunciarsi. Aly, come molti altri nella classe, capirono di chi si trattava ancora prima che questo entrasse perché solo pochi studenti erano dediti a comportamenti simili: quelli affetti da vampirismo.
Infatti a comparire nell'aula fu Will, l’ex di Rachel.
Il momento in cui entrò in classe, con i suoi catodici quindici minuti di ritardo da divo, furono accolti in maniera diversa: se ormai professori e ragazzi non facevano nemmeno più caso agli orari in cui gli appartenenti alla congrega dei vampiri entravano in classe, per le ragazze (e anche per qualche professoressa) la cosa era ben diversa: durante il tragitto dalla porta al banco, l’attenzione di queste ultime era strettamente focalizzata sul tenebroso strafigo di turno.
Aly ricordò con un vago senso di vergogna che, quando ancora non stava con James, anche lei era abituata a seguire quella plateale entrata con lo sguardo fin quando il vampiro non si sedeva, osservando la scena come se fosse in slow-motion. Un paio di volte avrebbe pure giurato di aver visto un leggero effetto vento scompigliare ad arte i capelli del belloccio durante la sua falcata da passerella, nonostante le finestre fossero chiuse.
Anche in quel momento Will stava dando prova della sua migliore camminata mentre le compagne di classe di Aly si esibivano in sorrisi ebeti ed i loro ormoni iniziavano a ballare una lambada collettiva.
D'un tratto però, proprio al culmine della sua sfilata, lo sguardo apparentemente disinteressato di Will venne eccezionalmente attratto da qualcuno. Aly, che fino a quel momento lo aveva a malapena notato, si accorse che stava guardando nella sua direzione. Per un attimo, lo stomaco gli andò in subbuglio e non in senso positivo: ora che si erano apertamente schierate "contro" i vampiri, attirare l’attenzione di uno di loro era qualcosa di cui preoccuparsi. Poi però, guardando meglio, si accorse che Will non stava fissando lei, ma qualcosa alla sua destra, o meglio, qualcuno: Fay, la quale non sembrava aver minimamente fatto caso a quello sguardo, né tanto meno alla presenza di Will, presa com’era a trascrivere appunti sul suo quaderno.
Il vampiro si sedette ed il resto della lezione trascorse indisturbata…o quasi. Perché nonostante le cose in apparenza fossero le solite, Aly si accorgeva delle occhiate che di tanto in tanto Will lanciava a Fay. Occhiate discrete, rapide, quasi impercettibili. Probabilmente, se Aly non avesse conosciuto così bene i vampiri, non se ne sarebbe nemmeno accorta ma – purtroppo o per fortuna – li conosceva eccome.
Alla fine della lezione, non appena Fay si alzò, lei la imitò subito e si mise prontamente al suo fianco, per evitare che Will tentasse un qualsiasi tipo di approccio con lei, fingendo che il suo gesto fosse del tutto casuale.
L'occhiataccia che le scoccò Will tuttavia, le fece capire di essersi appena  guadagnata la promozione ad angelo custode dell’ignara Fay.




*NdA: Per i ringraziamenti di questo capitolo una menzione speciale, oltre che a tutti voi bei bambini che seguite la mia storiella con una pazienza che io non avrei mai, alla mia sfiga cronica che, intervenendo per far sì che a lezione di danza mi strappassi muscolo e tendine, mi ha fatto dono di taaanto tempo libero che mi ha concesso di ultimare questo capitolo prima del previsto (sto cercando di guardare la parte mezza piena del bicchiere, capitemi).
Piccolo consiglio: ai fini della storia vi consiglio di ricordarvi di Fay... Il perchè lo saprete più avanti.
;)*
 

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Capitolo 9
*** Vecchie conoscenze ***


Dal diario di Clare, 18 ottobre:
«Mi mancano i vecchi tempi. No, non quelli in cui stavo con Max, quelli ancora precedenti. Non che sia stato un periodo meravigliosamente felice, non ho avuto chissà quali soddisfazioni, né le cose andavano particolarmente bene, se non altro però erano tempi molto più semplici, questo sì, e oggi più che mai mi manca quella spensieratezza.
C’è un motivo se oggi mi sento così nostalgica: ieri pomeriggio, mentre tornavo a casa dalla biblioteca, ero con la testa fra le nuvole e ho sbagliato fermata della metro, ritrovandomi nel mio vecchio quartiere.
Lo so, sarei dovuta tornare indietro il prima possibile, invece ne ho approfittato per fare un giro, ritrovandomi poco dopo nel piazzale attorno al quale sorge il vecchio condominio nel quale abitavo, poco distante dal mio vecchio portone di casa. Non è cambiato nulla da quando me ne sono andata…a dirla tutta, non è cambiato niente da quando, da piccola, trascorrevo in quello stesso piazzale interi pomeriggi a giocare con i miei fratelli e gli altri bambini della zona. Era tutto esattamente come lo avevo lasciato.
 […]»

Clare era sul punto di andarsene, dopo quell’imprevista immersione nei ricordi della sua vecchia vita, quando udì una risata a lei familiare provenire dalla gradinata esterna dell’edificio. Sapeva che sarebbe dovuta andarsene subito, che i suoi genitori non avrebbero voluto che lei tornasse lì e che frequentasse certi posti e certa gente. Glielo avevano categoricamente proibito dopo il suo arresto, nonostante in quei posti, dei quali parlavano quasi con disprezzo, avessero trascorso la maggior parte della loro vita coniugale e quella gente fossero i figli dei loro vicini, nonché gli amici d’infanzia di Clare e dei suoi fratelli. Sembrava quasi che la fortuna che li aveva accompagnati negli ultimi anni avesse fatto dimenticare loro il luogo da cui provenivano e tutto quello che vi avevano passato.
Per un istante la ragazza si sentì come se fosse tornata indietro nel tempo, come se abitasse ancora lì, nel quartiere più umile della città, in quel vecchio condominio grigio, in quel piccolo appartamento con due sole camere da letto che aveva accolto ben sei persone. Tutto un altro mondo rispetto al quartiere residenziale e alla casa a due piani con il grande giardino in cui viveva ormai da quasi tre anni.
Allora perché il suo istinto l’aveva condotta lì?
Clare attraversò il cortile diretta verso il luogo da cui proveniva la risata. Arrivò davanti alla scalinata e lì si ritrovò nel bel mezzo di un déjà-vu. Sul pianerottolo se ne stavano seduti a chiacchierare due ragazzi e una ragazza, mentre un’altra se ne stava in piedi, di spalle, davanti a loro, un paio di gradini più in basso. La maggior parte delle persone che aveva conosciuto negli ultimi due anni avrebbe sicuramente commentato in maniera sprezzante su quanto sembrassero tipi poco raccomandabili, con quelle felpe oversize che esibivano slogan provocatori, i capelli dai tagli e dai colori improbabili, il linguaggio spesso scurrile e le lattine di birra in mano, probabilmente rubate dalla scorta personale dei genitori. Clare però vedeva tutt’altro: vedeva i suoi vecchi amici, compagni sia di scuola, che di mille avventure e disavventure.
La risata che aveva udito poco prima era quella di Nikki, la ragazza che fino a pochi anni prima era stata la vicina di casa nonché migliore amica di Clare. Assieme a lei c'erano Melanie, Ben e Diego. Vivevano tutti nello stesso complesso residenziale. Se solo fosse stato lì anche Nate, il gruppo sarebbe stato di nuovo al completo, la vecchia banda finalmente riunita.
I ragazzi risero ad una battuta di Diego che, come al solito, stava impersonando il comico della situazione, ignari della sua presenza e del suo sguardo nostalgico ad una realtà che ormai non la riguardava più da anni e non poté fare a meno di chiedersi se durante tutto quel tempo avessero mai parlato di lei o anche solo sentito un po’ la sua mancanza.
Qualche istante dopo però, la suoneria con cui il suo cellulare l’avvisava dell’arrivo di un messaggio, irruppe improvvisamente nei suoi pensieri facendola tornare alla realtà. La ragazza infilò immediatamente la mano nella tasca dei jeans e lo spense ma quando rialzò lo sguardo, i suoi occhi incontrarono quelli increduli di Nikki. Clare, ricordando solo in quel momento che si trovava nell’ultimo posto in cui avrebbe dovuto mettere piede, si voltò e fece per andarsene, ma dopo solo pochi passi udì una voce.
-Clare!- esclamò Nikki.
La ragazza rallentò, improvvisamente indecisa sul da farsi. Avrebbe dovuto correre via, prendere la metro, tornare a casa e fingere che non fosse successo niente, ma la verità era che aveva una tremenda voglia di riabbracciare i suoi amici, parlare con loro e fingere di essere ancora parte del gruppo, anche se solo per qualche minuto.
Dietro di lei sentì Nikki scendere gli ultimi gradini mentre la chiamava e fu allora che prese la sua decisione: si fermò e si voltò.
-Dove diavolo scappi, Scheggia? Non si salutano più i vecchi amici?- chiese sorridendo e correndole incontro.
Clare non poté fare a meno di sorridere nel sentirsi chiamare con il vecchio soprannome che si era guadagnata anni prima, quando Ben aveva definito la sua altezza "un metro e una scheggia", marchiandola definitivamente anche se da allora era cresciuta ancora di diversi centimetri.
Quando Nikki l’ebbe raggiunta, si strinsero in uno degli abbracci più forti che avesse mai ricevuto.
Qualche istante dopo, oltre la spalla di Nikki, Clare vide Diego, Melanie e Ben scendere a loro volta. Le loro espressioni confuse divennero sorprese e gioiose quando si accorsero della sua presenza e le andarono incontro a loro volta.
Solo in quel momento, tra gli abbracci e i sorrisi degli amici con cui era cresciuta, Clare realizzò a pieno quanto gli fosse davvero mancata quella parte della sua vita e, quando si accorse che si stava facendo tardi, prese una decisione: non le importava cos’avrebbero detto i suoi se l’avessero scoperta, sarebbe tornata lì ogni volta che avrebbe potuto.
 
***

Lucy, la madre di Clare, era ai fornelli quando la figlia rincasò. Erano quasi le sette, per cui decise di rimandare i compiti a dopo cena e di aiutare sua madre ad apparecchiare la tavola, come d’abitudine.
Suo padre, nonostante ufficialmente il suo orario lavorativo lo volesse a casa all’incirca per quella stessa ora, era quasi certo che, come spesso accadeva, non sarebbe tornato prima delle otto.
Gli strani effetti sonori provenienti dal salotto, fecero infine capire alla ragazza che Jake e Chloe, i suoi fratelli minori, si trovavano alle prese con uno dei loro videogame.
Prima di entrare in cucina, Clare si soffermò per un momento a guardare sua madre che mescolava tranquilla qualcosa in una pentola. Aveva un’aria serena, non c’erano rughe di preoccupazione a corrugarle la fronte, niente sguardi accusatori puntati verso di lei, nessun imminente terzo grado sul perché del suo ritardo e su dove e con chi fosse stata fino a quel momento. Clare non avrebbe saputo dire con esattezza quando tutto questo fosse cessato, quando i suoi genitori avessero deciso di ridarle la fiducia che aveva perduto dopo quella fatidica sera, ma di certo erano passati diversi mesi.
Cos’avrebbero detto se, dopo tutto quello che tutta la sua famiglia aveva affrontato, avessero scoperto che aveva incontrato nuovamente le persone che secondo loro erano stati la causa di tutti i problemi della loro figlia? La ragazza non lo volle nemmeno immaginare. Scacciò quel pensiero, entrò in cucina come se niente fosse e si mise ad apparecchiare.

***

Le ragazze erano impegnate in una discussione sul ballo di Halloween che, dai toni seri con la quale stava venendo portata avanti, pareva trattarsi di una questione di via o di morte. Da tale argomento i pensieri di Clare si erano completamente dissociati una manciata di minuti dopo il suo arrivo e in quel momento stava guardando Serena fingendo di ascoltarla, mentre la sua mente si trovava in realtà da tutta un’altra parte.
Mai come quella sera le ragazze del club le erano sembrate così irritanti e gli argomenti che affrontavano così insulsi e superficiali. L’unico momento dalla sua vita in cui aveva in qualche modo provato ad interessarsi di vestiti a meringa, limousine e tutto ciò che ruotava attorno a quel genere di feste tanto attese e altrettanto osannate combaciava con lo stesso periodo in cui lei e Max erano stati assieme. Non che l’amore le avesse fatto andare temporaneamente a genio quello che secondo il suo parere era sempre stato uno degli eventi più sopravvalutati di sempre ma, al contrario di lei, il suo ex aveva sempre amato quel genere di serate – nonostante vi partecipasse praticamente da quando i balli scolastici erano stati istituiti – e Clare, come in tante, troppe altre cose, anche in quel campo aveva sempre fatto il possibile per assecondarlo e compiacerlo.
-Elise!- esclamò Rachel ad un certo punto, riportando l’attenzione di Clare nell’elegante soggiorno di Aly.
-Che c’è, ora non posso più esprimere il mio parere?- chiese Elise in tono quasi sprezzante.
Rachel, la cui indole era tanto pacifica da sfociare spesso nella remissività, non provò nemmeno a ribattere.
Nel frattempo, per la prima volta dall’inizio dell’incontro, la curiosità di Clare fu stimolata abbastanza da spingerla a cercare di capire cosa stesse succedendo.
-C’è modo e modo per farlo- rispose Aly al posto di Rachel.
-Ho solamente detto che l’idea di Serena non mi piace- si difese la ragazzina, in tono tutt’altro che diplomatico.
-No, tu hai detto che era uno schifo e che nemmeno le più sfigate dell’intera scuola avrebbero assecondato un’idea del genere- sottolineò Aly. –Che differenzia leggermente dal semplice “non mi piace” in quanto manca di una componente basilare come l’educazione-.
Elise-la-silenziosa che improvvisamente aveva cominciato a fare la stronza senza alcuna apparente ragione? Agli occhi di Clare, l’incontro diventò improvvisamente interessante.
Serena le lanciò un’occhiata non molto benevola, ma preferì passare sopra all’insolenza della ragazzina e con un cenno della mano suggerì a Aly di fare altrettanto.
-Va bene, diciamo che è stato un malinteso e passiamoci sopra, ok?- incalzò diplomatica, dopodiché il suo sguardo cadde proprio su Clare e decise di fare di fare di lei il suo diversivo.
-Clare, non hai detto praticamente niente. Immagino che anche tu sia senza accompagnatore per il ballo. Che ne pensi della mia proposta di andarci tutte insieme?-.
La ragazza stava per rispondere, quando si accorse che Elise stava sussurrando qualcosa a Rachel, guardandola in modo non proprio lusinghiero. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo a quella che, fino all’incontro precedente, si era sempre mostrata una ragazza abbastanza riservata e soprattutto educata, ma decise anche lei di ignorarla.
-Già, il ballo- ripeté. –Sapete, non penso che verrò, non è esattamente il genere di evento che preferisco. Senza offesa, ma sinceramente l’ho sempre visto come niente di più che un’occasione per le ragazze di indossare abiti da bamboline e atteggiarsi a celebrità e per i ragazzi di provarci con loro a colpo sicuro-.
-Cose che non ti riguardano, insomma- disse Elise, a voce più alta e squadrando quasi con disprezzo gli abiti non proprio femminili che indossava Clare.
Quest’ultima sentì riaffiorare repentinamente i vecchi istinti che un tempo le suscitavano gli sguardi e i commenti delle ragazzine snob che la fissavano in quel modo, con quell’aria di arroganza e superiorità. Era passato diverso tempo dall’ultima volta che si era scontata con una di loro e, nonostante non riuscisse a capire quale potesse essere il motivo per cui Elise si stesse comportando in quel modo nonostante prima di allora si fosse sempre mostrata riservata, introversa e beneducata come la figlia di buona famiglia che era, Clare fu ugualmente tentata di tirarli un pugno sul bel faccino che in quel momento aveva impressa un’espressione a dir poco strafottente.
-Scusa, cosa vorresti dire?- le chiese Clare in tono alterato.
-Oh, niente, solo che non mi sembra che ragazzi e vestiti femminili facciano per te. Perché, mi sbaglio forse?- rispose lei, in tono falsamente innocente.
Clare si guardò un attimo intorno: Aly e Rachel fissavano Elise come se improvvisamente le fossero spuntati dei tentacoli al posto delle braccia e Serena, anche lei sorpresa dal comportamento ostile ed immotivato di Elise, tentò di mettersi in mezzo per placare gli animi prima che Clare potesse risponderle per le rime.
-Okay ragazze, non so quali problemi abbiate, ma fateci il favore di lasciarli fuori da qui. Litigare è l’unica cosa che serve in questo momento al gruppo…-
-Sento un po’ di ipocrisia nell’aria- la interruppe Elise. -Sbaglio o sei stata proprio tu a fare una scenata ad Em per poi sbatterla fuori, davanti a tutte?-.
Serena, punta nel vivo e colta alla sprovvista, balbettò qualcosa, tentando di trovare le parole adatte a ribattere.
-Era diverso- tentò di giustificarsi. -Lei ha preso in giro tutte noi…-
-In realtà penso che Emily sia stata la più onesta- continuò Elise, esaminandosi le unghie con noncuranza. -L’unica che ha avuto il coraggio di dire la verità. Dimmi Serena, se Clare non l'avesse scoperto, ci avresti mai detto dei disperati messaggi d’amore che continuavi a mandare a Tristan?-.
Serena non disse una parola. Il suo volto divenne una maschera di indecifrabilità. Aly fece per dire qualcosa in sua difesa ma non ne ebbe il tempo perché la ragazza, umiliata, si alzò, afferrò al volo la sua giacca ed uscì dall’appartamento sbattendo la porta.
Per alcuni istanti, nessuna delle presenti riuscì a dire o fare qualcosa per cercare di prendere in mano la situazione. Erano ancora tutte intente a realizzare quanto fosse appena successo, mentre i loro sguardi erano puntati su Elise, che sembrava non farci minimamente caso.
Alla fine, Aly si alzò senza dire niente e, dopo aver lanciato un’occhiata carica di ostilità ad Elise, si precipitò all’inseguimento di Serena, dimenticando nella fretta di chiudere bene la porta.
-Ma che diavolo ti prende oggi?- chiese Rachel alla sua migliore amica.
Elise si alzò in piedi, rivolse uno sguardo di sufficienza alla sua amica e ignorò completamente la sua domanda.
-Sai cosa? Sono stanca. Chiama tua madre e dille che venga a prenderci. Non ce la faccio più a stare in questo covo di sfigate. Io lascio-.
Fu in quel preciso momento che Clare smise di provare a contenere i suoi vecchi impulsi. Con quelle parole Elise aveva decisamente passato ogni limite per lei tollerabile. Non aveva idea di quale fosse il suo problema, ma non le importava minimamente: nessuno aveva il diritto di trattare così le ragazze che negli ultimi tempi le erano state più amiche di chiunque altro e che, tra l’altro, avevano anche cercato di aiutare la ragazza che le stava insultando apparentemente in modo gratuito.
Senza pensarci due volte, Clare si alzò in piedi, si diresse verso Elise, alzò la mano e le tirò uno schiaffo tanto violento da farle quasi perdere l'equilibrio. Il tutto, sotto gli occhi allibiti di Rachel.

* * *

Dal diario di Serena, 20 ottobre:
«[...] Avevo davvero creduto che sarei riuscita a cambiare le cose. Lo speravo davvero, sia per me, che per le altre. Ero ormai quasi convinta che sarei riuscita a fare la differenza. Non avrei mai immaginato che sarebbe finita così. Forse dovrei ricominciare a pensare solo a me stessa, come un tempo. Del resto non si può salvare chi non vuole essere salvato

-Insomma, ultimamente frequento questo tipo…- stava raccontando Kelly.
-E come si chiama? Quanti anni ha? Non mi dire che anche questo va all’università come Anthony…-.
Kelly rise. -Oddio Serena, non ricominciare con questa storia. Anthony infondo era un bravo…-
-Un bravo cosa? Un bravo manipolatore? Un bravo traditore? Un bravo idiota? No, aspetta, sarebbe meglio dire un eccellente idiota- commentò Serena subito prima di infilarsi una forchettata di insalata in bocca. Non mangiava un'insalata decente da oltre un anno e mezzo, ossia da quando costituiva circa il settantacinque percento della sua dieta da cheerleader. Quando si era messa con Tristan, quest’ultimo le aveva suggerito (leggi: imposto) una dieta speciale che desse al suo sangue il sapore che piaceva a lui. Dieta che aveva portato avanti anche dopo che la loro storia era finita, sia per abitudine, sia per la segreta speranza di Serena che il vampiro avrebbe deciso di tornare da lei anche grazie al richiamo del suo sangue.
Già, Tristan. Chissà se lui e i suoi compari sapevano già che i loro sforzi per mandare a rotoli il club stava funzionando alla perfezione e senza nemmeno troppi sforzi. Elise se n’era andata definitivamente dopo la colluttazione con Clare ed aveva trascinato il suo zerbino Rachel con lei. Nessuno aveva più notizie di Em da quando Serena l’aveva cacciata e Clare negli ultimi giorni sembrava più distante che mai. Solo Aly, proprio colei su cui inizialmente nessuno avrebbe mai scommesso, sembrava tener duro nonostante tutto. Aveva la sensazione che le cose stessero andando discretamente bene per lei, ultimamente. Aveva persino trovato una nuova amica, una ragazzina minuta coi capelli azzurri che la seguiva ovunque andasse. Le poteva osservare anche in quel momento: stavano pranzando insieme qualche tavolo più in là e sembrava che tra loro si fosse già creata una certa complicità.
-Fidati, è decisamente diverso da Anthony- assicurò Kelly, riportando su di lei l'attenzione di Serena. -E, no, non frequenta l’università. Ha la nostra età ma è molto più maturo degli altri ragazzi con cui sono uscita-
-Lo conosco?-
-Non lo so, può essere- rispose, rimanendo vaga.
-Allora dimmi come si chiama- la incalzò Serena. Kelly però glissò.
-Te lo farò conoscere quando le cose si faranno più serie. Adesso non voglio correre troppo, ho paura di…spaventarlo-.
Serena guardò l’amica per un secondo e poi scoppiò a ridere.
-Spaventarlo? Solo perché gli presenti una tua amica?-
Kelly sorrise a sua volta ma senza convinzione. -Al momento giusto sarai la prima a cui lo presenterò, ma per il momento preferisco che le cose restino come sono-.
A seguito di quella frase, tra le due ragazze calò il silenzio ma Kelly, temendo che Serena potesse percepire quelle parole come un passo indietro nel loro tentativo di riconciliazione, si affrettò a rassicurarla.
-Tranquilla, non penso che dovrai attendere molto. Se tutto va per il verso giusto, al ballo saremo ufficialmente una coppia- disse, in tono complice.
Dall’altra parte del tavolo, afferrò la mano libera di Serena e la strinse.
-Sono davvero felice di averti ritrovata- aggiunse, questa volta sorridendo in maniera sincera.
A quelle parole, Serena dovette reprimere la commozione che gli serrò la gola e gli fece bruciare gli occhi, segnale inequivocabile che avvertiva dell’imminente comparsa delle lacrime.
Dio solo sapeva quanto si era odiata negli ultimi tempi per aver tagliato i ponti con lei, un anno e mezzo prima. Il rimorso per quanto era successo aveva cominciato a perseguitarla già da quando stava ancora con Tristan, ma allora aveva cercato di affogare i sensi di colpa provando a convincersi che fosse Kelly quella dalla parte del torto e concentrandosi sul suo rapporto con Tristan. Quando lui l'aveva lasciata però, lei si era vista costretta ad affrontare le conseguenze delle sue scelte.
Non avrebbe mai immaginato che Kelly sarebbe stata disposta a darle una seconda possibilità e aveva tutta l'intenzione di sfruttarla al meglio, ricostruendo il loro rapporto poco alla volta, senza forzare le cose.
Alla fine, Serena ricambiò la stretta di Kelly.
-Anch’io ne sono felice- rispose. -Non sai quanto-.

* * *
Dal diario di Aly, 23 ottobre:
«Scusatemi

Mancava solo poco più di una settimana al ballo. L’anno precedente, Aly aveva trascorso quella sera con le altre del club a casa di Clare, a parlare delle magiche feste di Halloween a cui avevano partecipato con i loro ex negli anni precedenti, ad insultare quegli stessi ex, a mangiare dolci e caramelle che in teoria avrebbero dovuto essere destinati ai bambini che passavano a fare “dolcetto o scherzetto” e ad ignorare il campanello che suonava in continuazione.
“Quei marmocchi ci rinunceranno, prima o poi” aveva detto Clare scocciata.
“Ma non hai paura degli scherzi che potrebbero farti?” le aveva chiesto Aly.
Clare aveva alzato le spalle. “La maggior parte di loro ha i genitori al seguito, non li lascerebbero mai combinare qualcosa di davvero grave. Scommetto che i più non sono neanche attrezzati per fare degli scherzi come si deve”.
Purtroppo per Clare, i suoi pronostici erano stati contraddetti da una banda di ragazzini delle medie che, al contrario dei bambini più piccoli, ancora più che caramelle desideravano un pretesto per poter fare bravate senza conseguenze, e lì ne avevano trovato uno perfetto.
Avevano quindi avvolto nella carta igienica buona parte dei due alberi che si trovavano nella parte anteriore del giardino e decorato le finestre con stelle filanti, schiuma da barba e uova non esattamente fresche.
Quando le ragazze si erano accorte dei danni, ormai non c’era più un vetro pulito in tutte le finestre del piano terra. Clare allora aveva cominciato ad imprecare come uno scaricatore di porto e a correre da una stanza all’altra cercando qualcosa con cui pulire quel macello prima che i suoi genitori, che erano fuori con i due figli più piccoli, rincasassero. Si era poi scusata con le sue ospiti e le aveva invitate ad andarsene ma queste, per tutta risposta, si erano a loro volta armate di strofinacci per aiutarla ed insieme erano riuscite a risistemare tutto appena in tempo.
Nonostante quella svolta imprevista, Aly ricordava quella serata come una delle più divertenti trascorse con Clare, Serena ed Em. Quella collaborazione aveva rotto il ghiaccio e spazzato via quasi tutto il disagio iniziale che ancora persisteva tra loro.
La ragazza, nonostante il dolore che provava per l’improvvisa scomparsa di James fosse all'epoca una ferita ancora recente che bruciava ancora molto, quella sera aveva sentito che con quelle ragazze, con quel gruppo in apparenza così male assortito, poteva addirittura essere finalmente l’inizio di qualcosa di bello dopo tante delusioni, convinzione che si era consolidata col passare dei mesi…fino a quel giorno.
Si trovavano nello stesso posto, il salotto di Clare, ma la situazione era radicalmente cambiata: non c’era Em, l’atmosfera era tesa e la padrona di casa aveva l'aria totalmente assente.
-Aly- disse Serena ad un certo punto, cercando per l’ennesima volta di dare il via ad una conversazione definibile tale. -Ho visto che hai una nuova amica-
-Ti riferisci a Fay?- l'assecondò Aly. -Beh, non so se possiamo definirci esattamente “amiche”…per il momento ci vediamo solo a scuola. Però sì, è simpatica, anche se un po’ timida-.
Serena annuì e bevve un altro sorso di tè dalla sua tazza. Nella stanza calò di nuovo il silenzio. Clare, nel frattempo, aveva lo sguardo assorto, rivolto verso la finestra che dava sul giardino anteriore. Non aveva mangiato, bevuto, né detto praticamente niente da quando Serena ed Aly erano arrivate. Fisicamente era lì con loro ma i suoi pensieri sembravano trovarsi lontano anni luce.
Che dipenda da Max? si chiese Aly. Era l’unica ragione plausibile che le venisse in mente per spiegare quel comportamento così insolito da parte sua, tuttavia nutriva qualche dubbio anche su questa ipotesi, poiché nei suoi occhi non sembrava esserci traccia di quella sfumatura particolarmente malinconica che Aly aveva imparato a cogliere negli sguardi delle sue compagne ogni qualvolta i loro pensieri o le loro parole andassero al loro amore perduto.
Nonostante tutti gli incontri avvenuti in quegli ultimi tempi durante i quali c’erano stati litigi e le discussioni all’interno del gruppo, Aly avrebbe sempre ricordato quella riunione come la più triste a cui avesse mai partecipato. Dopo qualche altra vuota frase di circostanza, Serena decise di tirarsi fuori da quella pesante ed inconcludente situazione con una scusa che ad Aly suonò come palesemente campata in aria, ma che a Clare parve non importare, anzi, sembrò quasi sollevata e, poco dopo che Serena se ne fu andata, Aly capì che a quel punto non aveva più ragione di rimanere. Ringraziò Clare per il tè e i dolci e se ne andò.
Solo quando fu quasi arrivata alla sua auto, parcheggiata nella via accanto alla casa di quest’ultima, si accorse di aver dimenticato alcuni libri di scuola di cui aveva bisogno per fare i compiti nel salotto di Clare e tornò sui suoi passi.
Appena svoltato l’angolo però, vide proprio quest'ultima uscire di fretta da casa, chiudere a chiave la porta e salire nella sua auto per poi immettendosi in tutta fretta nella carreggiata, tagliando la strada ad un’altra auto che sopraggiungeva nel suo stesso senso e che prontamente suonò il clacson.
Ad Aly la cosa parve in qualche modo sospetta: quando si erano messe d’accordo per la riunione, Clare non aveva accennato ad alcun genere di impegno per quel giorno, tuttavia il suo comportamento quasi inospitale, unito a quella partenza pericolosa e azzardata, faceva presupporre che avesse cercato di liberarsi di loro il prima possibile per non mancare ad un appuntamento o qualcosa del genere.
Improvvisamente alla ragazza sorse un dubbio, un dubbio che, se si fosse rivelato fondato, avrebbe potuto segnare la fine definitiva del club e non aveva alcuna intenzione di lasciare che ciò accadesse.
Nonostante sin dall’inizio le cose tra loro si fossero mostrate difficili, quel gruppo, che le altre lo volessero ammettere o no, le aveva salvate e non intendeva rinunciarci e lasciare che si sfaldasse completamente mentre rimaneva a guardare. Doveva almeno provare a fare qualcosa
Tornò quindi alla sua auto e partì seguendo lo stesso percorso di Clare.
 
***

In altre circostanze, Aly si sarebbe sentita una ficcanaso per ciò che stava facendo, ma considerato che in ballo c’erano la sopravvivenza del loro gruppo e, soprattutto, l’amicizia tra le loro componenti, impose ai suoi sensi di colpa di tacere e si concentrò sulla ricerca dell’auto di Clare. Quest’ultima aveva un vantaggio di un paio di minuti ed Aly non era certa che sarebbe riuscita a raggiungerla prima che svoltasse per qualche strada secondaria. La fortuna però quel giorno fu dalla sua parte: si ritrovò nel bel mezzo del traffico in attesa davanti ad uno dei semafori la cui luce rossa durava più di tutte le altre del quartiere messe insieme. Sebbene Aly avesse più e più volte maledetto quello stesso semaforo, quella volta dovette ringraziarlo perché in quel modo ebbe tempo a sufficienza per provare a scorgere l’utilitaria rossa di Clare, riconoscibile anche grazie all’ammaccatura accanto ad uno dei fanali posteriori, merito di un tamponamento di qualche tempo prima. Dall’alto dell’abitacolo del suo fuoristrada, Aly la scorse quasi subito: era la prima della fila, un paio di automobili davanti a lei, ed il suo indicatore di direzione stava segnalando l’intenzione di svoltare a destra, sulla strada principale. Aly la imitò e, quando dopo quelle che parvero ore finalmente il semaforo diventò verde, seguì l’auto tenendosi a debita distanza per evitare di essere riconosciuta, cosa già di per sé difficile quando si guidava un fuoristrada grande ed appariscente come quello in suo possesso.
Dopo dieci minuti di pedinamento però, Aly si accorse che intorno a lei le vie e gli edifici che la circondavano stavano diventando sempre meno familiari. Sapeva, a grandi linee, dove si trovava ma non aveva mai frequentato quei posti, i cosiddetti “bassifondi”, la zona più malfamata della città. Sapeva che Clare aveva vissuto da quelle parti fino a pochi anni prima, era uno dei primi segreti che aveva condiviso con le ragazze del club e con nessun altro, poiché inizialmente temeva che se tale informazione si fosse diffusa nella loro scuola avrebbe compromesso ulteriormente la sua reputazione non proprio immacolata.
Aly non dovette attenere molto per capire che l’ipotesi da lei formulata sulle cause del comportamento insolitamente asociale dell’amica non era poi così azzardata come aveva creduto all’inizio. Tutto le fu più chiaro quando vide Clare che, dopo aver parcheggiato davanti ad un vecchio condominio il cui intonaco doveva aver visto tempi assai migliori, attraversava il cortile che l’edificio circondava, andando incontro ad un gruppetto di ragazzi dall’aria non certo raccomandabile che se ne stavano seduti su una delle panchine che delimitavano il confine del cortile.
Dalla confidenza con cui si salutarono, ad Aly rimasero ben pochi dubbi: la causa del comportamento di Clare erano i ragazzi che in quel momento ridevano e scherzavano con lei. Quasi sicuramente gli stessi che, solo pochi anni prima, avevano causato il suo arresto.
 
***
Direi una bugia se vi dicessi che non avevo idea di quello che mi aspettava quella sera”.
Così era cominciato il racconto di Clare a proposito della notte che Clare aveva definito come la peggiore della sua vita. Aly non poteva fare a meno di pensarci mentre, dopo aver impostato il navigatore per riuscire ad uscire da quel labirinto di vicoli grigi e degradati e tornare sulla strada principale, aveva lasciato Clare, una delle poche persone che fino a poco tempo prima aveva creduto sua amica, sua vera amica, in compagnia degli stessi ragazzi con cui, esattamente un anno prima, aveva giurato di non voler più avere niente a che fare.
Lo sapevo eccome, ma non me ne importava. Anzi, ne ero perfino entusiasta”.
Certo all’epoca Clare era una ragazzina. Ma ora che frequentava l’ultimo anno delle superiori era ancora giustificabile? Secondo Aly, no.
Era risaputo che alle feste che si tenevano al Garage c’erano ragazzi più grandi e che alcol e droga giravano senza problemi, tuttavia quello rimaneva l’evento più ambito della zona ed io e i miei amici eravamo stati invitati per la prima volta dal ragazzo che Melanie frequentava all’epoca, uno dell’ultimo anno. Ovviamente i miei genitori non mi avrebbero mai dato il permesso di andare e quindi, con la complicità della mia amica Nikki, mi ero creata un alibi dicendo ai miei che sarei andata a casa sua a dormire. Probabilmente sarebbero stati più sospettosi e avrebbero fatto più domande se in quei giorni i miei fratelli più piccoli non fossero stati entrambi alle prese con una brutta influenza e quindi bisognosi di cure costanti. Si raccomandarono solo di non andare a letto troppo tardi, dopodiché ebbi campo libero. Nikki abitava al piano inferiore del mio stesso condominio e, una volta a casa sua, anziché guardare film e mangiare marshmellow come avevo detto ai miei, ci preparammo a dovere per la festa, con vestiti decisamente poco adatti a delle quasi quindicenni e ci truccammo il viso con una quantità assurda di cosmetici. Qualche tempo fa, sul profilo Facebook di Nikki, ho rivisto per caso una foto che c’eravamo scattate quella sera e per poco non sono scoppiata a ridere: sembravamo due drag queen che tentavano di sfoggiare uno sguardo da femme fatale. Dire che eravamo ridicole è un eufemismo.
Quando gli altri nostri amici passarono a prenderci eravamo eccitate come non mai. Io inoltre ero in agitazione anche perché tra di loro c’era Nate: avevo una cotta per lui e, stando a ciò che dicevano le mie amiche, anche lui ce l’aveva per me, ragion per cui speravo ardentemente che quella sera sarebbe potuto succedere qualcosa, tipo un bacio.

Qualunque genere di aspettativa nutrissi per quella serata però, andò in fumo pochi minuti dopo il nostro arrivo. Avevo immaginato una scena simile a quelle telefilm per adolescenti, una situazione in cui tutti si divertono…ma quella festa di divertente non aveva proprio nulla: c’era della schifosa musica martellante tenuta a volume così alto da farmi girare la testa, tutti i partecipanti avevano come minimo diciannove o vent’anni e, nonostante la serata fosse iniziata da poco, la maggior parte di loro era già sbronzo marcio, fatto o pomiciava non molto discretamente in giro per la sala. Se fosse dipeso da me, me ne sarei andata dopo cinque minuti, ma non volevo che gli altri - soprattutto Nate - pensassero che fossi una bambina, quindi decisi di tenere duro e, per cercare di rilassarmi, accettai un cocktail non meglio identificato che mi offrì proprio Nate. A quello ne seguì un altro, poi un altro e un altro ancora…fino a quando non mi ritrovai completamente ubriaca. Da lì i miei ricordi sono abbastanza confusi: la situazione si fece più sopportabile ed iniziai a ridere senza motivo. Venni trascinata in pista a ballare assieme agli altri e andammo avanti per non so quanto tempo. Parlai con alcuni ragazzi che non conoscevo, tutti più molto più grandi di me, sentii qualcuno di loro strusciarsi su di me e provare ad allungare le mani…se solo ci ripenso, mi si rivolta lo stomaco, ma in quel momento ero troppo ubriaca per reagire.
Non so precisamente da quanto tempo fossimo lì quando qualcuno diede l’allarme urlando che la polizia stava arrivando e che dovevamo sbrigarci ad andarcene. Nonostante il mio stato ricordo perfettamente la reazione dei presenti: un secondo prima sembravano un branco di zombie che si muovevano per inerzia e l’attimo dopo erano tutti improvvisamente svegli e vigili che correvano e spingevano per uscire prima dell’arrivo degli sbirri.
Nella calca persi quasi subito di vista Nate e quasi tutti gli alti, rimanendo da sola con Nikki. La folla premeva e, quando in lontananza il suono delle sirene cominciò a farsi più distinto, il panico triplicò e la gente cominciò a spingere più forte. Riuscimmo ad uscire da una porta secondaria e cominciammo a correre ma all’improvviso ebbi un mancamento e caddi a terra, proprio mentre le auto della polizia si fermavano davanti allo stabile. Nikki mi gridò di alzarmi perché stavano arrivando ma non ce la facevo, ero in preda ad una fortissima nausea e non riuscivo nemmeno ad alzarmi, figuriamoci a correre. Le chiesi una mano e lei cercò di aiutarmi a rimettermi in piedi ma, proprio in quel momento, la torcia di un poliziotto ci illuminò e Nikki mi lasciò andare e scappò via.
Crollai di nuovo a terra come un sacco di patate. Non riuscii a trattenermi e vomitai sull’asfalto. Quel gesto mi fece sentire fisicamente meglio…una magra consolazione visto che, per quanto sbronza fossi, ero comunque abbastanza lucida da rendermi conto che pur di salvarsi la pellaccia, la mia migliore amica mi aveva lasciata sola, ubriaca e mezza svenuta, in un vicolo buio.
L’agente con la torcia mi aiutò a rialzarmi e mi chiese qualcosa che non ricordo. Non riuscii a rispondere e allora mi chiese un documento. Gli porsi il portafoglio e, quando si rese conto di avere davanti una ragazzina, mi disse che doveva riportarmi a casa. In quel momento cominciai a dare di matto. Piansi, supplicai e urlai che non volevo che i miei venissero a sapere dov’ero stata e cosa mi era successo. Ero così agitata che il poliziotto fu costretto ad ammanettarmi, minacciando di portarmi in centrale anziché a casa, se avessi continuato. Solo a quel punto mi imposi di calmarmi. Piansi durante tutto il viaggio verso casa. Ero stanca, terrorizzata dalla reazione che temevo avrebbero avuto i miei e, soprattutto, ero delusa come non mai dalla codardia dimostrata da Nikki
”.
Mentre riviveva quella serata, lo sguardo di Clare era fisso sul pavimento ed Aly poteva giurare di aver visto i suoi occhi farsi più lucidi.
Quando i miei genitori aprirono la porta e si trovarono davanti la loro figlia ubriaca e vestita quasi come una prostituta, rimasero talmente scioccati che si limitarono a ringraziare e scusarsi col poliziotto, e a mandarmi nella camera che all’epoca dividevo con mia sorella maggiore. Mi aspettavo una sgridata memorabile, una punizione esemplare, una sberla…invece non fecero niente. Non mi parlarono per quasi una settimana. A scuola, viceversa, la notizia del mio “arresto” - anche se non era un arresto nel senso stretto del termine - si diffuse nel giro di una mattinata. Vennero aggiunti dettagli che rendessero più succulento il pettegolezzo e si arrivò addirittura ad una versione secondo la quale, pur di ribellarmi, io avrei picchiato non uno, ma addirittura due poliziotti, finendo persino per rompere il naso ad uno di loro. I miei compagni cominciarono a trattarmi come se fossi una tosta ed iniziai a ricevere molta più considerazione. Prima che tutto ciò accadesse io per gli altri ero solo “quella che sta sempre con Nikki Delane”. Lei era quella popolare e, fino a poco tempo prima, avrei dato qualunque cosa per essere altrettanto conosciuta. A quel punto però non mi importava più di essere qualcuno, evitavo Nikki, evitavo il resto del gruppo, evitavo chiunque perché mi sentivo solo stupida e in colpa e tutto ciò che volevo era che i miei ricominciassero a parlarmi. Quando ciò successe però, fu per dare a me e ai miei fratelli la notizia che mio padre aveva finalmente ottenuto la promozione ed il contratto a tempo indeterminato, il che stava a significare che di lì a poco ci saremmo trasferiti. Allora capii la ragione per cui non avevo ricevuto una punizione: il fatto che stessi per lasciare la casa, il quartiere e le persone con cui ero cresciuta, ai loro occhi era già una punizione sufficientemente crudele per la mia bravata. Nonostante i miei sensi di colpa mi dicessero che era esattamente quello che mi meritavo, non riuscii a non arrabbiarmi con i miei genitori per quello che mi stavano facendo. Da allora il nostro rapporto non è più stato quello di prima.
Dopo esserci trasferiti, i miei ripresero a parlarmi quasi normalmente e la prima cosa che mi dissero fu che non ero in punizione. Mi fu però vietato nella maniera più assoluta di tornare nel nostro vecchio quartiere senza una valida ragione e senza essere accompagnata da uno di loro. Io ovviamente appena potevo infrangevo la regola e prendevo la metro per tornare in quella che sentivo come la mia vera casa. Rivedevo i miei amici, feci addirittura pace con Nikki, anche se non mi chiese mai davvero scusa per il suo comportamento di quella sera. Non saprei dirvi se avrei mai avuto davvero il coraggio di dare un taglio alla mia vecchia vita, se non avessi incontrato Max
”.
Aly sospirò.
Quindi sarebbe finita così? Sarebbero tutte tornate ad essere ciò che erano prima di incontrare i loro ex e fare le medesime cose, come se nulla fosse accaduto? Avrebbero ripreso ad ignorarsi come quando non si conoscevano? Ad Aly sembrava impossibile. Lei non sarebbe mai potuta tornare ad essere la stessa di prima, per quanto ci avesse potuto provare. Quasi non ricordava nemmeno più a che punto avesse lasciato la sua vita prima di James. Aveva un discreto numero di amici, una vita sociale normale, buoni voti anche se non eccelleva in nessun campo in particolare e, di tanto in tanto, attirava l’attenzione di qualche ragazzo. Nulla di che, tutto nella media, tutto come avrebbe dovuto essere.
Contrariamente alle altre però, lei non sarebbe mai più voluta tornare indietro. Quello che aveva dovuto affrontare nell’ultimo anno era quasi impossibile da descrivere. Aveva sofferto, aveva pianto ed era stata sul punto di mollare talmente tante volte che non sarebbe riuscita a contarle, ma ce la stava facendo, stava dimostrando a sé stessa quant’era forte e, per la prima volta dopo tanto tempo, era ottimista riguardo al proprio futuro.
D’altro canto però, sapeva che non sarebbe mai riuscita ad arrivare fino a lì senza Serena, Clare ed Em. Erano state loro quelle forti, all’inizio. Era strano pensare che la situazione fosse cambiata tanto da capovolgersi. Così, mentre Aly cercava di tenere insieme quanto rimaneva del loro gruppo, le altre stavano tornando ad essere quelle di prima, tentando di seppellire quanto accaduto negli ultimi anni, cercando semplicemente di ignorare il fatto che non esiste un modo per tornare davvero indietro, per dimenticare quanto avevano passato.
Quando tornò alla dimora ufficiale, Aly si sentiva delusa, ma non aveva la minima intenzione arrendersi a sua volta. Clare era con i suoi vecchi amici sbandati, Serena stava ricominciando a frequentare la sua amica cheerleader - le aveva viste a pranzo un paio di giorni prima mentre chiacchieravano con la complicità di cui sono capaci due persone che hanno condiviso tanto e che si conoscono a fondo - ed Em…beh, anche se non per sua scelta, era di nuovo sola.
Già, Em. Ad Aly mancava quella ragazza più di quanto non avrebbe creduto. Nel club era una presenza silenziosa ma a modo suo rassicurante. Era sempre stata gentile con Aly e non della serie sono-gentile-perché-mi-fai-pena, come spesso le era accaduto. Aveva imparato a riconoscere quel genere di persone e l'atteggiamento che Em aveva sempre tenuto nei suoi confronti non aveva nulla a che fare con la pietà e la compassione. Nonostante la sua propensione al silenzio, le era sempre stata simpatica e nonostante le bugie che aveva raccontato, l’aveva perdonata quasi subito, al contrario di Serena, che solo a sentirla nominare s’innervosiva.
Eppure forse erano proprio lei ed Em, quelle che potevano ancora fare qualcosa per far sì che quanto avvenuto nell’ultimo anno non fosse vano. Magari non sarebbe andato a posto tutto e subito, ma con il tempo e un po’ d’impegno…
Aly si bloccò all’improvviso. Qualcosa si era mosso al margine del suo campo visivo.
La consapevolezza di non essere sola nella propria stanza l’avvolse in una sensazione per niente piacevole.
I suoi genitori erano ancora al lavoro e Maria Rosa stava spazzando il pianerottolo, l’aveva vista uscire armata di scopa appena due minuti prima, senza contare che non sarebbe mai entrata nella sua stanza in modo così silenzioso e, soprattutto, senza prima bussare.
Sentì il suo cuore accelerare. Non aveva idea di chi o cosa si sarebbe trovata di fronte se si fosse voltata.
-Ciao, Aly-
Al suono di quella voce, Aly spalancò gli occhi e trattenne il fiato. La conosceva bene.
Si voltò.
Lui era lì, in carne ed ossa, esattamente come lo ricordava. E le stava sorridendo.
Aly sussurrò in modo appena udibile: -James-.
Quest'ultimo fece un passo verso di lei, con aria leggermente perplessa.
-Perché sei così sorpresa? Non ti avevo forse detto che sarei tornato da te?-.



 

*NdA: E l'oscar per la categoria "gli aggiornamenti più lenti del globo", il premio va...a The Butterfly Effect Theory!
Battute penose a parte, mi scuso se ci sto mettendo un po', purtroppo ultimamente sono abbastanza piena di impegni (eufemismo: la verità è che frequento casa mia solo per dormire, ormai credo che i miei stiano seriamente pensando di diseredarmi e disconoscermi) ma se mi avete sopportato anche per questo capitolo sappiate che vi amo che non sono degna di tanta pazienza :)
P.s. il nuovo capitolo è già quasi pronto, cercherò di pubblicarlo prima del prossimo allineamento dei pianeti
...*

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Capitolo 10
*** Salti nel vuoto ***


*NdA: Non so cosa penserete voi lettori belli di questo capitolo, però ci tenevo a sottolineare che la trama di "Guida di sopravvivenza ai principi azzurri assassini" si è sviluppata proprio dagli avvenimenti di questo capitolo e di quello che seguirà perciò, capitemi, ne sono abbastanza orgogliosa. Spero lo apprezziate anche voi :)*

 

Dal diario di Serena, 24 ottobre:
«[...]Quindi…finisce tutto così? Oltre un anno buttato nel cesso? Non da me usare certi termini, ma la verità è che nessun vezzeggiativo o sinonimo più gentile riuscirebbe a migliorare questo schifo di situazione. Quando ho avuto l’idea di fondare il club volevo davvero cambiare le cose ed ero sinceramente convinta che ce l’avrei fatta. Invece ora mi ritrovo qui, con in mano un biglietto, un pezzo di carta strappata con sopra scritta una sola, stupida e totalmente inutile parola. Quella che ha dato il colpo di grazia definitivo al nostro gruppo e a tutto quello che avevamo costruito insieme

Se già incontrare una volta la cricca dei vampiri quasi al completo nei corridoi della scuola era difficile da definire “coincidenza”, alla seconda volta Serena capì che doveva esserci qualcosa che non andava. Alla terza, iniziò a chiedersi se fosse il caso di preoccuparsi seriamente.
Dal momento che ormai la voce secondo cui il club era giunto ai titoli di coda si era già sparsa, a Serena non veniva in mente un solo motivo plausibile che potesse spiegare il meeting strettamente privato che aveva luogo nei corridoi ad ogni cambio d’ora tra gli zanne-dotati della loro scuola. Avevano ottenuto ciò che volevano, avevano vinto. Nessun altro si sarebbe più opposto alla supremazia dei vampiri. Aveva avuto la presunzione di poter cambiare le cose e dare loro una lezione che avrebbero ricordato in eterno - letteralmente - ,  invece aveva regalato loro una ragione in più per alimentare il proprio già smisurato ego.
Tristan, Max, Xavier, Eli ed Evelyn - l’unica vampira del clan, che raramente si faceva vedere in compagnia degli altri suoi simili - avevano formato un capannello in corridoio, non molto lontano dall’armadietto di Serena, un capannello di puro concentrato di inumana bellezza che distraeva qualunque studente passasse loro accanto. I componenti di quell'esclusivo gruppo però, nonostante solitamente amassero crogiolarsi in quegli stessi sguardi, quel giorno non sembravano fare minimamente caso alle occhiate adoranti che venivano loro rivolte. Sembravano troppo concentrati a sussurrare tra loro in modo appena udibile, una forma di comunicazione tipicamente vampira che sfruttava il loro udito straordinario per far sì che nessun altro riuscisse ad udire ciò che stavano dicendo. Serena lo aveva imparato quando stava con Tristan, e all’epoca si era anche allenata molto per cercare di comprendere le sue conversazioni con gli altri vampiri quando parlavano a voce così bassa.
Lo aveva fatto perché non voleva sentirsi esclusa, inutile, inferiore, anche se infondo era consapevole del fatto che nulla avrebbe mai potuto intaccare quest’ultima convinzione. Più antichi erano i vampiri, più era radicata in profondità l'idea che gli umani fossero interscambiabili, utili solo per alimentarsi e divertirsi quando l’eternità che avevano di fronte iniziava ad annoiarli, e Serena sapeva bene di non essere nessuno per metterla in discussione. Per quanto lo avesse desiderato e ci avesse provato, ad un certo punto si era dovuta rassegnare che ai loro occhi lei sarebbe rimasta niente di più che una mortale come un’altra, come tante altre.
Nonostante il consueto caos di fine giornata, la ragazza volle provare ad origliare. Negli ultimi mesi di relazione con Tristan era diventata piuttosto brava ad isolare e concentrarsi sui singoli rumori o sulle singole voci, per cui decise di provare a rimettere in pratica tale abilità, nonostante fosse un po' fuori allenamento.
Senza voltarsi, fingendosi troppo presa dal contenuto del proprio armadietto, cercò le voci dei vampiri, i loro sussurri. Dopo vari tentativi e con non poca fatica, finalmente cominciò a distinguere qualche parola.
-…un problema…-.
Serena riconobbe subito il vampiro che aveva pronunciato quelle parole. Anche dopo tutto quel tempo, la prima voce che era riuscita ad isolare ed identificare era stata quella del suo ex. Prima però che il turbine di emozioni che la pervadeva ogni volta in cui i suoi pensieri iniziavano a concentrarsi su di lui, la ragazza cercò di allontanare il volto di Tristan dai suoi pensieri e riconcentrarsi sulla conversazione.
-…non è pericoloso…-.
Xavier, ne era quasi certa.
-…uno solo…-.
Evelyn, l’unica voce femminile.
-…perché è qui?-.
Non ebbe dubbi: Max. E, per quanto il suo tono di voce fosse a malapena captabile dall'udito umano, Serena fu quasi certa di scorgervi una nota di rabbia.
Per quanto si sforzasse però, non riusciva a capire quale fosse il soggetto della conversazione. Era chiaro che si dovesse trattare di qualcosa di inaspettato e che per qualche ragione costituiva un problema. Un problema non irrisolvibile, ma abbastanza serio da meritare l'attenzione del clan.
Fu allora che, quasi per caso, udì lo stralcio di frase più lungo. L’ultimo che riuscì a distinguere con chiarezza prima di perdere del tutto la concentrazione proprio a causa di quelle parole, pronunciate ancora da Evelyn.
-…proprio adesso che è tornato James…-.
Serena si chiese se non avesse capito male e provò a rimettersi in ascolto, ma sembrava che improvvisamente le voci fossero cessate. In realtà i vampiri si trovavano ancora lì, ma lei non riusciva più ad isolare alcuna voce: la sua mente era ormai troppo occupata ad elaborare quanto appena udito.
James era tornato? Era di nuovo in città?
La ragazza si chiese quale potesse essere la ragione di quell'inaspettato ritorno - sempre che avesse capito bene - ma, prima che la sua mente iniziasse a formulare ipotesi, giunse alla conclusione che la prima cosa da fare era avvertire Aly. Chiuse quindi l’armadietto e corse a cercarla, sperando di riuscire ad intercettarla prima che se ne andasse.
Serena non aveva la minima idea di quali sarebbero potute essere le parole migliori da usare per comunicarle quanto aveva appena scoperto, anche se non poteva dirsi assolutamente certa di quanto aveva appreso. Non riusciva nemmeno ad immaginare quali sarebbero state le conseguenze per Aly, come avrebbe potuto reagire a quella notizia, una notizia che aveva atteso per tanto tempo ma che non era minimamente preparata a gestire con la lucidità e la fermezza necessaria, non ancora.
Tra tutti quei pensieri contrastanti, c’era un'unica certezza: lo scenario peggiore da immaginare era quello in cui Aly si fosse trovata davanti James di punto in bianco, senza alcun preavviso.
Mentre passava davanti al gruppo dei vampiri, che continuavano a parlare sottovoce tra loro, Serena si accorse di una cosa: accanto a Tristan, appoggiata al muro, c’era Mary Annabelle. Non aveva minimamente fatto caso alla sua presenza e, da parte sua, la ragazzina sembrava proprio che desiderasse non essere notata: indossava jeans chiari e una maglietta bianca, teneva i capelli raccolti in un’anonima coda e i libri alla mano, aveva un'espressione assente, il suo sguardo fissava il vuoto. Attendeva come un bravo cagnolino che il suo padrone finisse di sbrigare le sue questioni, questioni di cui lei non faceva e non avrebbe mai fatto parte, perché non abbastanza importante.
Perché umana.
Per un momento, un millesimo di secondo, a Serena parve di vedere il proprio viso al posto di quello della ragazzina. Sapeva bene cosa significasse trovarsi al suo posto, ricordava benissimo lo spiacevole senso di inferiorità che provava ogni volta in cui si trovava nella stessa stanza con un vampiro - Tristan compreso - e quell'odiosa sensazione derivata dalla consapevolezza che per quanto avrebbe potuto provarci, non sarebbe mai stata considerata abbastanza bella, colta o affascinante per i loro standard. Sensazione che tendeva ad insinuarsi immancabilmente in ogni pensiero, anche quelli più felici e ottimisti. Un promemoria che puntualmente le ricordava quanto lei non fosse degna di far parte di quel mondo e quanto dovesse sentirsi onorata e lusingata del fatto che anche un solo vampiro avesse deciso di accordarle il privilegio di tollerare la sua compagnia.
I ricordi di tutte quelle emozioni la travolsero solo incrociando lo sguardo sottomesso di Mary Annabelle, una ragazzina che, tra l'altro, non sembrava aver mai avuto molta familiarità con la propria autostima.
Serena però non era più la ragazzina indegna, il giocattolo, la concubina, la libagione di qualche vampiro, ormai ne era uscita. Lei era e sarebbe sempre stata semplicemente Serena e mai come in quel momento fu felice di ciò. Non avrebbe più permesso a nessuno di privarla della sua dingità.
Alla fine, il suo sguardo lasciò il volto di Mary Annabelle per mettersi nuovamente alla ricerca di quello di Aly, incontrando però quello di Clare che, accanto alla porta del bagno delle ragazze, era impegnata a digitare un messaggio sul proprio cellulare, con le dita che si muovevano sulla tastiera ad una velocità impressionante.
Serena decise di ignorare i ricordi del suo recente atteggiamento distaccato e di parlarle di quanto aveva appena scoperto. Del resto, era la sola persona che al momento poteva comprendere a pieno la gravità della situazione e aiutarla.
-Clare!- la chiamò.
Questa alzò lo sguardo dal display del cellulare e, quando si accorse dell’espressione allarmata di Serena, le andò subito incontro.
-Che succede?- chiese, riponendo il telefono in una delle tasche anteriori dei suoi jeans.
-Hai visto Aly? È questione di vita o di morte- disse Serena.
-Non credo che oggi sia venuta a scuola- spiegò Clare. -Non l'ho vista ad Algebra e nemmeno a Inglese-.
Un bruttissimo presentimento attraversò il corpo di Serena sotto forma di nodo allo stomaco.
-Dobbiamo andare subito da lei-.
Per strada Serena cercò di spiegare a Clare quanto accaduto poco prima nel modo più sintetico possibile. Quest’ultima ascoltava in silenzio mentre faceva sfrecciare la sua auto a diverse miglia orarie oltre il limite di velocità, in direzione dell’abitazione di Aly.
Dopo aver parcheggiato alla meno peggio sulla strada davanti al condominio, le due ragazze si precipitarono verso l’ingresso dell’edificio. Non dovettero nemmeno suonare al citofono poiché, proprio in quel momento, una vicina di Aly che entrambe conoscevano di vista - un’anziana signora che vestiva in modo impeccabile anche quando portava fuori la spazzatura - , aprì il portoncino per uscire e le lasciò entrare senza fare domande in cambio di un frettoloso “Salve, signora Mitchell!”.
L’ascensore era occupato, per cui alle due ragazze non rimase che farsi quattro piani di scale a piedi, a metà del quale erano già sfinite. Quando finalmente suonarono alla porta di Aly erano distrutte, con i muscoli delle gambe doloranti e il fiatone di chi ha appena finito di correre una maratona.
Nel momento stesso in cui Aly aprì la porta e le riconobbe, la ragazza impallidì di colpo. Nonostante la stanchezza, quella reazione non sfuggì all’occhio attento di Serena, che capì che il suo brutto presentimento iniziale andava inesorabilmente concretizzandosi.
-Aly- esordì, cercando di riprendere abbastanza fiato da riuscire a parlare in modo comprensibile. -Scusaci per essere venute senza preavviso ma si tratta di…-
Smise di parlare nel momento stesso in cui la porta si aprì ulteriormente rivelando accanto ad Aly la presenza di James.
-Salve ragazze- sorrise lui. -Clare e Serena, giusto?-.
Le due non risposero. Erano incredule, nonostante fossero consapevoli che ci fosse una concreta probabilità di trovarsi di fronte alla stessa situazione che in quel momento si presentava loro davanti.
In quell’attimo, anche se nessuna di loro ebbe il coraggio di dire niente, Serena era certa che tutte e tre avessero percepito la sua stessa sensazione: qualcosa tra loro che andava in frantumi.
La consapevolezza di essere arrivate troppo tardi avvolse la ragazza, mettendola di fronte al fatto che le già tenui speranze di salvare il club a cui si era disperatamente aggrappata, erano ormai sul punto si andare completamente in fumo.
-Mi dispiace ma siete capitate in un brutto momento- continuò lui. –Stavamo…-
-Aly!- esclamò Clare, scuotendo la testa come se non potesse credere alla scena a cui stava assistendo. -Lo hai invitato ad entrare?!-.
Un vampiro può entrare in un abitazione privata solo se espressamente invitato ma, una volta invitato, potrà fare ritorno a tale abitazione ogni qualvolta lo desideri. L’invito, tuttavia, può essere ritirato dalla stessa persona che lo ha accordato”. Serena ricordava bene quelle parole, derivanti dall’Enciclopedia Completa del Vampiro che aveva studiato da cima a fondo quando la sua relazione con Tristan era ancora agli inizi, convinta che mostrarsi preparata sulla natura del suo nuovo fidanzato sarebbe stato sufficiente a guadagnarsi la sua stima.
Aly, incapace di sostenere gli sguardi delusi delle sue amiche, abbassò il suo e si strinse nel cardigan sformato che indossava. James le circondò le spalle con un gesto che voleva essere protettivo, ma che a Serena parve più possessivo, una dichiarazione di proprietà.
 Il sottointeso era chiaro: Lei è il mio giocattolo e voi non me lo ruberete.
-In realtà non ha mai ritirato l’invito- rispose lui al posto di Aly, nonostante Serena e Clare cercassero di ignorarlo. -Anche dopo la mia partenza non mi ha mai tradito, sapeva che sarei tornato-.
A quelle parole, Clare lo guardò finalmente negli occhi con quanto più disprezzo riusciva a trasmettere. -Sta’ zitto, cadavere mal resuscitato. Aly sa rispondere anche senza che qualcun’altro parli al posto suo-.
Nonostante la pesante offesa ricevuta, James non si scompose. Il suo sorriso si affievolì appena, trasformando l’espressione di falsa cortesia in una di superbia. La più classica, tra quelle della sua specie, nonché la più irritante.
-Aly è semplicemente troppo gentile per dirvi di andarvene. Sto solo facendo un favore sia a lei, che a voi, evitando di farvi perdere altro tempo- dichiarò.
-Oh, certo. Beh, ti ringrazio ma del tuo altruismo facciamo volentieri a meno- ribatté Clare in tono pesantemente ostile. Resistere alle provocazioni non era mai stato il suo forte. -Serena, dì qualcosa!- incalzò.
Serena però, che fino a quel momento aveva osservato la discussione in silenzio, non aveva idea di cosa dire. La scena che aveva davanti era la prova definitiva del suo fallimento e sapeva, era certa che qualunque cosa avesse detto non sarebbe servito a niente, non avrebbe mai cambiato le cose per il semplice motivo che non era una scelta che dipendeva da lei, ma da Aly, la quale era ancora troppo fragile per riuscire ad affrontare la prova più difficile davanti a cui il destino avrebbe potuto metterla: il ritorno improvviso del vampiro da cui era stata ossessionata per oltre un anno. D’altra parte, quello di James era stato un colpo davvero basso: si era presentato da Aly di punto in bianco, ben sapendo che cogliendola alla sprovvista, la ragazza non avrebbe avuto il tempo di ragionare lucidamente su quanto stava accadendo ed in questo modo sarebbe stato più facile farla ricadere nella rete da cui poteva ricominciare a controllarla come aveva sempre fatto.
Serena fece un passo avanti, superando Clare. Guardava Aly, la quale continuava a tenere lo sguardo basso, segno che provava almeno un po' di vergogna per la scelta compiuta, ma non abbastanza da decidere di tagliare definitivamente i fili che la rendevano la marionetta di James. Si chiese cosa le avesse detto, cosa lui le avesse raccontato in merito a quell’anno di assenza e cosa le avesse promesso se lei lo avesse nuovamente accolto come suo compagno. Probabilmente Aly inizialmente aveva tentato di opporre una lieve resistenza facendo appello alla sicurezza acquisita negli ultimi tempi, ma Serena era certa che all’ennesimo gesto o parola affettuosa di James, tutte le sue difese fossero inesorabilmente crollate. Sì, era certa che le cose fossero andate pressappoco in quel modo.
La ragazza si avvicinò ad Aly, accostò le labbra all’orecchio e le sussurrò qualcosa, dopodiché indietreggiò. Aly finalmente alzò lo sguardo e, per un breve istante, le due si fissarono, dopodiché Serena rivolse la sua attenzione a James.
-Tu sei la più grande carogna che abbia mai avuto il dispiacere di incontrare, anche per gli standard della tua razza- disse, puntando l’indice verso il vampiro con fare accusatorio. Il tono estremamente calmo e controllato strideva con la durezza delle sue parole. -Ma sono convinta che prima o poi il karma ti fotterà e che Aly quel giorno sarà lì, in prima fila, ad assistere-.
Per un momento, un breve, meraviglioso momento, vide la sicurezza vacillare negli occhi verde ghiaccio del vampiro, che però si ricompose subito dopo come se quel commento non lo avesse in alcun modo toccato.
-Penso che sia davvero ora che ve ne andiate- disse, e subito dopo chiuse la porta in faccia alle due ragazze senza che Aly reagisse in alcun modo a quel gesto.
Il viaggio di ritorno fu molto più tranquillo di quello all’andata, nonché molto più silenzioso. Quando tornarono a scuola per recuperare l’auto di Serena, il parcheggio era ormai quasi deserto ed in giro non si vedeva nessuno. Serena ringraziò Clare ma quest’ultima, prima di andarsene, volle sapere cos’avesse detto ad Aly.
-Le ho solo ricordato che non è la stessa persona dell’anno scorso. Le ho detto di non dimenticare quanto sia diventata forte-.
***
La mattina dopo, quando Serena aprì il suo armadietto, notò un pezzo di carta, probabilmente strappato da un quaderno, su cui c’era scritta un’unica parola. Una parola che però, nella sua semplicità, poteva racchiudere mille significati diversi. Un significato che a Serena fu subito chiaro e che le fece mancare la terra sotto i piedi. La grafia era quella di Aly e diceva solo: “Scusatemi”.

* * *

Dal diario di Clare, 25 ottobre (prima parte):
«Non avrei alcun motivo per scrivere qui. Questo  il diario del club e, stando a quanto riportava il messaggio inviatomi ieri sera da Serena, il club non esiste più. Dovrebbe essere un sollievo, visto che in questo modo ho evitato il di dirle che anch’io volevo mollare, ma la verità e che dopo quanto successo a casa di Aly, mi sento schifosamente in colpa.
Voglio dire, lo so che non  certo colpa mia se Aly ha la forza di volontà di un robot telecomandato quando si trova di fronte a quell’imbecille di James, ma sento che avrei potuto fare di più per lei. Per noi.
Quando abbiamo cominciato mi sentivo così fuori posto a stare con quella banda di disagiate che pensavo sarei durata al massimo un paio di settimane prima di cedere alla tentazione di inventarmi una scusa e tirarmene fuori. Ero convinta di non avere problemi gravi quanto i loro, dal punto di vista emotivo. Dopo questi tredici dannati mesi insieme però, ho dovuto ricredermi. Il posto nel club l’ho sempre meritato tanto quanto le altre.
Devo ammettere che, da questo punto di vista, Serena ha fatto davvero un ottimo lavoro, sia con noi che con sé stessa: ci ha costrette a toglierci una volta per tutte le mani dagli occhi per guardare in faccia la realtà e vedere davvero che cosa eravamo diventate, come avevamo ridotto la nostra vita e fino a che punto ci eravamo annullate in nome di quella che era solo un’imitazione tremendamente realistica dell’amore.
Non che il “club” abbia mai vissuto un vero periodo d’oro, in realtà. Il nostro è stato un gruppo disfunzionale fin dall’inizio a causa di tutti i problemi che ognuna di noi si portava appresso e dei nostri caratteri dannatamente diversi, tuttavia siamo riuscite a creare un (precario) equilibrio e a mantenerlo, almeno fino all’altro giorno.
Nonostante tutto, eravamo diventate amiche. Una banda di amiche disagiate, è vero, ma pur sempre amiche.
Eravamo un po’ come una famiglia
: non siamo noi scegliere dove nascere, chi saranno i nostri genitori o i nostri parenti ma, a prescindere dalle nostre differenze, impariamo ad amare chi ci sta intorno con tutto noi stessi. Tra di noi è stata la stessa cosa. [...]».

-Diego, passami quel coso, non fare l’egoista- stava dicendo Nikki quando Clare arrivò davanti alla porta della camera di Melanie.
Il vecchio gruppo si era dato appuntamento a casa di quest’ultima poiché pioveva da quella mattina e sembrava non avesse la minima intenzione di smettere. Era ormai terminata la stagione dei temporali che arrivavano veloci e senza preavviso in branchi di grosse nuvole scure e se ne andavano altrettanto in fretta, lasciando come unico ricordo del proprio passaggio un temporaneo sollievo dal torrido caldo estivo. Erano tornate le nuvole di un grigio smorto, opaco e malinconico che sembravano non avere né inizio, né fine. Ci si svegliava in una qualsiasi mattina di ottobre ed erano là, al posto del cielo terso e del sole cocente a cui ci si era ormai abituati. A quel punto, non rimaneva altro da fare che rassegnarsi al fatto che, a parte qualche sporadica comparsa, il sole non si sarebbe quasi più rivisto e che quelle nuvole avrebbero accompagnato buona parte delle proprie giornate fino alla primavera successiva.
Clare entrò nella stanza e per un momento gli altri ragazzi s’irrigidirono tutti insieme improvvisamente, come fossero stati sorpresi a compiere qualche genere di reato. Quando però si accorsero che era lei, espirarono tutti nello stesso momento, visibilmente sollevati.
-Cazzo, Scheggia, mi hai fatto prendere un colpo- esordì Mel. -Per un attimo ho creduto che fosse tornata mia madre-.
Clare sorrise. -Non che io abbia niente contro tua madre, ma se mi scambi per lei mi sento offesa- commentò, facendo scoppiare a ridere gli altri presenti.
La ragazza era sul punto di chiedere loro cos’avessero da nascondere di così terribile da temere persino la distratta madre di Melanie, quella che ogni tanto usciva senza troppo preavviso e senza dire dove andava per poi tornare quando voleva, anche un paio di giorni dopo, lasciando Mel e sua sorella più piccola a casa da sole. Poi però un particolare odore dolciastro le saltò al naso. Un odore a lei familiare. Guardò in direzione di Diego e si accorse che quello che Nikki gli aveva chiesto era uno spinello fumato quasi a metà. Il ragazzo aspirò un’ultima volta, dopodiché lo passò all'amica, la quale lo imitò.
Dopo aver realizzato quel che stava succedendo, Clare per un attimo si sentì completamente fuori posto. Eppure era presente anche lei la prima volta in cui avevano deciso di provare a fumare una canna, durante un noioso venerdì sera di qualche anno prima, ai giardini del quartiere. Nate aveva tirato fuori dalla tasca del giubbotto uno di quei cosi, annunciando fieramente di averlo rubato a suo fratello maggiore.
-Tuo fratello si droga?- aveva chiesto Mel, quasi scandalizzata.
Nate aveva riso. -Fumarsi uno di questi ogni tanto non è “drogarsi”. Ti rilassa un po’, tutto qui. Che dite, proviamo?-
Avevano acconsentito tutti. In realtà Clare non era stata molto convinta della scelta, ma non volendo passare per la santarellina sfigata di turno, quando lo spinello aveva fatto il giro ed era finito delle sue mani, con un po' d'incertezza l’aveva messo tra le labbra ed aveva aspirato una, due, tre volte. Proprio lei, che in tutta la sua vita aveva a malapena provato a fumare una normale sigaretta – tra l’altro con scarso successo.
A seguito di quell’episodio, nessuno di loro era diventato un accanito fumatore di marijuana. Solo Nate di tanto in tanto tirava fuori erba e cartine - rigorosamente rubate dalla scorta personale di suo fratello - e se ne rollava una. Tuttavia, trovandosi nuovamente davanti a quella scena, Clare ebbe l'impressione che per gli altri quella situazione non fosse più così insolita come ricordava, anzi.
Nikki, Ben e Diego avevano gli occhi più arrossati e lo sguardo più vacuo di quello di Mel, la quale invece appariva perfettamente lucida e sembrava molto più presa dal suo cellulare che dai presenti. Probabilmente stava scambiando messaggi con lo spasimante di turno. Mediamente, ne cambiava uno ogni mese.
Clare si accomodò accanto a Nikki sul letto rifatto alla meno peggio e questa, dopo un ultimo tiro, le offrì lo spinello. La ragazza ebbe un attimo di esitazione e sentì le vecchie insicurezze insinuarsi tra i suoi pensieri: non le andava di intontirsi come quella prima volta al parco con Nate. Non le era piaciuta la sensazione di confusione e smarrimento che le aveva provocato quella sostanza ma, se voleva stare nel gruppo, sapeva di dover dimostrare loro di farne ancora parte, di non essere cambiata solo perché ora viveva in un quartiere più agiato.
Ma tu ormai sei diversa” le sussurrò un pensiero proveniente da qualche angolo della sua mente. Clare decise di ignorarlo e prese in mano la canna. Proprio quando stava per portarselo alla bocca però, sentì il ronzio del campanello diffondersi nell’appartamento, un suono a malapena udibile a causa dell’alto volume dello stereo.
-Vado io- disse Mel, in tono svogliato.
Fece ritorno poco dopo con un espressione che Clare non avrebbe saputo decifrare, a metà tra lo stupore e la confusione.
-Scheggia, è per te- si limitò a dire.
La ragazza si affrettò a restituire lo spinello a Nikki, che lo accettò ben volentieri e ne approfittò per aspirare un’altra boccata.
Il panico s’impossessò del corpo di Clare, rendendo i suoi movimenti ed i suoi passi molto più rallentati. Era certa che alla porta avrebbe trovato i suoi genitori o per lo meno uno dei due. Dovevano essersi accorti delle sue assenze ingiustificate degli ultimi giorni ed avevano iniziato a tenerla d’occhio, pronti a sgamarla in compagnia delle persone che le avevano categoricamente proibito di frequentare e che oltretutto stavano fumando erba solo due stanze più in là.
Ad ogni passo, Clare sentiva che la sua fine era vicina e si maledì per essere stata così poco attenta e così tanto ingenua da credere che sarebbe riuscita a farla franca in eterno. Non osava nemmeno immaginare quale sarebbe potuta essere la reazione dei suoi nel trovarla lì. Questa volta non ci sarebbero state attenuanti, la punizione che avrebbe ricevuto avrebbe fatto sembrare allettante anche un anno di isolamento ad Alcatraz, ne era più che certa.
Quando però arrivò all’ingresso non ci trovò i suoi genitori, bensì l’ultima persona che avrebbe mai pensato di trovarsi davanti: Max.
Nello stesso momento in cui Clare incrociò gli occhi azzurri del suo ex, questa si bloccò all’istante, sconcertata e totalmente colta alla sprovvista.
Se non altro, con quello si spiegava la strana reazione di Melanie.
Il vampiro indossava un paio di jeans slavati, maglia bianca e giacca di pelle, la sua combinazione preferita, nonché quella che gli donava di più.
Se ne stava lì, davanti alla porta, con quell’aria da bel tenebroso che da sempre faceva strage di cuori tra la fauna femminile della scuola e che, nonostante tutto quello che aveva passato a causa sua, non lasciava indifferente nemmeno la ragazza, per quanto lei si vergognasse ad ammetterlo.
-E tu che ci fai qui?- le parole le uscirono di bocca prima che avesse il tempo di formulare qualcosa di più appropriato.
D’altra parte, quali sono le parole più appropriate da utilizzare quando il vampiro che ti ha spezzato il cuore si presenta nell’ultimo posto nel quale ci si aspetterebbe di incontrarlo?
Max però non parve fare minimamente caso alla reazione della sua ex. Probabilmente doveva essersi aspettato un'accoglienza del genere. Del resto era difficile sorprendere i vampiri, essendo loro quasi dei chiaroveggenti per quanto riguardava i comportamenti degli esseri umani.
-Sono venuto a prenderti-  rispose lui, serio.
Clare contrasse il viso in un’espressione perplessa. Quella situazione era talmente assurda che aveva temporaneamente accantonato tutto il risentimento che covava verso di lui.
-Tu…cosa?-
-Le spiegazioni dopo. Adesso vieni con me- disse, dopodiché fece per afferrarle il polso, ma per una volta Clare fu più svelta ed evitò la sua presa.
-Si può sapere con quali pretese e quale coraggio ti presenti qui?- domandò irritata.
Nel frattempo, alle sue spalle, sentì gli occhi di Mel, Nikki, Ben e Diego puntati su di loro.
-Ti sto impedendo di buttare via la tua vita- rispose lui, risoluto.
-Per quello sei in ritardo di oltre un anno e mezzo- ribatté lei, riferendosi chiaramente al periodo in cui era iniziata la loro storia.
Max sospirò e le rivolse un mezzo sorriso di compassione. -Ma guardati, te ne stai qui a fumare canne con i tuoi amici sbandati…sempre che si possano chiamare “amici”, dopo quello che mi hai raccontato sul loro conto-.
Clare s’irrigidì. Era certa che anche lui si fosse accorto della loro presenza e che avesse tirato fuori quell’argomento di proposito. Aveva passato intere serate a sfogarsi con Max su quanto accaduto con Nikki alla festa al Garage e su altri episodi accaduti i passato che riguardavano il resto del gruppo.
La sicurezza di Clare vacillò. -Non ti azzardare a…-
-La ragazza che mi ha aperto, Melanie- continuò lui, interrompendola. -Non è forse la stessa che si è portata a letto il ragazzo che ti piaceva, un certo Nate, se non sbaglio, pur essendo a conoscenza di quello che provavi per lui, per poi mettercisi insieme e mollarlo un paio di giorni dopo, allontanandolo in questo modo dal gruppo? E dalla descrizione che mi hai fatto di lui, mi è sembrato di riconoscere Diego, quello che una sera ha approfittato del fatto che eri ubriaca e che eravate rimasti soli per provare a metterti le mani addosso, giusto? Immagino poi che ci sia anche Nikki, la detentrice del premio Migliore Amica del Decennio, quella che ti ha lasciato sola e semisvenuta in mezzo alla strada, in piena notte, per evitare di essere beccata dalla polizia e che non si è nemmeno mai sprecata a rivolgerti una sola parola di scuse. Sì, devo dire che hai davvero gusti impeccabili, in fatto di amicizie-.
Di fronte a quelle parole, Clare non seppe più come reagire. Sapeva che gli altri avevano sentito tutto e non aveva idea di cosa stessero pensando. Forse Nikki, Ben e Diego avevano la mente troppo annebbiata per capire fino in fondo quanto stava succedendo, ma Melanie aveva sentito tutto e di sicuro si sarebbe preoccupata di rinfrescare loro la memoria non appena fossero tornati a ragionare.
Fortunatamente la ragazza non aveva avuto il tempo di togliersi la giacca e non aveva lasciato niente di suo nella camera, perché non avrebbe mai avuto il coraggio di tornare a riprenderlo ed affrontare gli sguardi, o peggio, le parole degli altri. Spinse quindi da parte Max e corse fuori, verso le scale esterne. Come aveva immaginato però, dopo solo una manciata di secondi lui le fu accanto.
-Non avevo altra scelta- le disse.
Lei lo ignorò, diretta alla sua macchina. Camminava più veloce che poteva ma per Max stare al passo con lei non era certo un problema.
-Clare…-
-No! “Clare” un cavolo!- esclamò la ragazza, fermandosi e voltandosi d’istinto e senza preavviso verso il vampiro, rischiando di scontarsi con lui. -Si può sapere cosa vuoi ancora da me? Un anno fa mi hai buttata via come se non valessi nulla, come se fossi stata niente di più di un qualunque oggetto usa-e-getta. Ho cercato di farmene una ragione, di risollevarmi assieme a Serena e alle altre ma tu, con la tua banda di vampiri sfigati non potevate lasciarci in pace, vero? No! Dovevate renderci la vita impossibile fino a rovinare il nostro rapporto e distruggere tutto quello che avevamo costruito! Perché ora stai cercando di allontanarmi anche dalle ultime persone che mi restano? Non sei ancora soddisfatto? Non credi di avermi rovinato abbastanza l’esistenza? Sei uno stronzo, Maximus. Lo sei sempre stato e l’unico rimpianto che avrò per il resto della mia vita sarà quello di non essermene accorta in tempo!-.
Detto ciò, la ragazza si diresse nuovamente alla sua macchina, convinta di aver chiuso una volta per tutte quella discussione. Max però non si dimostrò dello stesso avviso e, una volta salita in auto, Clare se lo ritrovò sul sedile del passeggero, per nulla intenzionato a lasciar perdere, nonostante lo sfogo che la ragazza gli aveva appena rivolto.
-Ti conviene scendere prima di subito- gli intimò col tono più risoluto, ma lui non le diede retta.
-Voglio parlarti e voglio che tu mi stia a sentire, Clare Danielle Taylor. E se alla fine di tutto mi dirai ancora che non vuoi più vedermi allora d’accordo, sparirò-.
Clare non sapeva come reagire. Aveva appena detto a Max quello che lei e tutte le ragazze del club avevano sempre sognato ma non avevano mai avuto il coraggio di dire ai rispettivi ex. Nella sua mente aveva immaginato di mandarlo a quel paese una volta per tutte in almeno mille modi diversi, ma ognuna di quelle fantasie si concludeva nel medesimo modo: lei pronunciava la fatidica frase ad effetto che lasciava Max senza parole, dopodiché lei usciva di scena trionfante. Non aveva mai messo minimamente in conto il fatto che fosse praticamente impossibile avere l’ultima parola con i vampiri e che, a maggior ragione, Max non era il tipo da darla vinta tanto facilmente nemmeno con i suoi simili. Del resto però non si sarebbe mai aspettata di vivere una scena del genere al di fuori della sua testa, e nella sua testa era tutto terribilmente più semplice.
Clare non sapeva che fare: da una parte l’orgoglio cercava di convincerla a mantenere la fermezza che aveva mostrato fino a quel momento e a rifiutare qualunque proposta di Max, per quanto condita da atteggiamenti apparentemente affabili che lo facevano sembrare l’incompreso, la vera vittima di tutta quell’assurda situazione. In contrapposizione però c’era il lato di lei che ancora soffriva per l’inconcludente fine della loro relazione e che desiderava disperatamente sapere cosa volesse dirle con così tanta insistenza. Prima che avesse il tempo di decidere però, una terza reazione del tutto inaspettata prese il controllo e fece sì che i suoi occhi s’inumidissero senza che lei potesse fare niente per evitarlo. Infine le lacrime ruppero gli argini e si riversarono sulle sue guance della ragazza, aggiungendo l’umiliazione tra il caos di emozioni contrastanti che stava provando in quel momento.
-Perché mi fai questo?- chiese, con voce rotta dal pianto. -So che a voi vampiri non frega niente di noi stupidi, inutili umani. Allora perché almeno non ci lasciate andare avanti con la nostra vita, dopo averla rovinata?-.
Max la fissò per qualche istante, in silenzio. Per la prima volta da quando Clare lo conosceva, ebbe la sensazione che il vampiro non avesse idea di quale fosse la cosa migliore da dire.
-Pensi davvero che quei ragazzi ti aiuteranno a costruirti una vita migliore?- domandò infine lui. –No, tu sei più intelligente di così. Quando ho saputo che avevi ricominciato a frequentarli sono venuto qui e li ho tenuti d’occhio per qualche giorno. Fidati, da quello che ho avuto modo di osservare posso dirti che si stanno distruggendo qualunque prospettiva di un futuro sereno. Tu sei stata fortunata, Clare. Hai avuto l’opportunità di andartene da qui prima di avere la tentazione di lasciare la scuola, o di iniziare a bere o a drogarti. Perché è questo che succederà loro a breve, se non decideranno di cambiare strada. Ne ho visti tanti come quei ragazzi, sai. Il più delle volte sono svegli, hanno talenti, potenzialità, ma si giocano tutte le loro possibilità di coltivarli in cambio di un altro bicchiere, di un’altra dose, di un'altra scommessa, di un’altra opportunità per fare soldi facili. Stando con quei ragazzi forse mi dimenticherai, ma getterai al vento anche i sacrifici dei tuoi genitori, i progressi che hai fatto a scuola, le vere amicizie…e tutto questo per cosa?-.
Per dimenticarti. Per te. Per colpa tua. Clare lo pensava, ma non l’avrebbe mai potuto ammettere ad alta voce, quindi cercò di aggirare la domanda.
-Max, perché sei qui?- chiese. -Mi stai facendo la predica come se fossi mio padre, fingi di preoccuparti per me, mi dici di non buttare via la mia vita e tiri in ballo le mie amiche dopo che proprio tu assieme alla tua congrega di sanguisughe vi siete dati tanto da fare per metterci l’una contro l’altra. Quindi ti chiedo di nuovo, che cosa vuoi?-.
A quella domanda, Max tirò un pugno al cruscotto che fece sobbalzare la ragazza, la quale non si aspettava una reazione simile.
-Dannazione, Clare! Io non sto fingendo e non c’entro con i tiri mancini di quei quattro idioti! Come puoi pensare che io mi abbassi a certi livelli?-.
Clare non voleva dire quello che pensava. Non voleva che lui lo sapesse ed era perfettamente cosciente del fatto che pronunciando le parole che aveva in mente, lui avrebbe capito. Avrebbe capito che non aveva ancora smesso di amarlo, nonostante tutto. Ma, per qualche ragione, parlò ugualmente.
-Dopo il modo in cui mi hai abbandonata, sinceramente non so più cosa pensare di te. Ed è anche per questo che non riesco a capire perché, nonostante tutto, quello che provo per te non è mai cambiato-.
Tra i due calò il silenzio. Un silenzio sottile e leggero come un velo e freddo come la brina in un mattino d’inverno. Clare non seppe dire quanto durò, forse fu solo un minuto o poco più, ma fu il minuto più interminabile della sua vita.
Se davanti a lei ci fosse stato un ragazzo come tanti, era certa che se ne sarebbe andato all’istante, senza aggiungere altro, ma quello che aveva davanti non era un ragazzo qualunque, e non perché non fosse umano.
Max era, e sarebbe sempre rimasto, il suo primo vero amore. Era responsabile di aver risvegliato in lei quel sentimento del tutto nuovo, folle, impetuoso, inebriante e dolorosamente meraviglioso che l’aveva spinta a rischiare, affrontare le cose mettendosi completamente in gioco e superare ostacoli di cui non si sarebbe mai creduta capace. Il tutto nella più totale incoscienza. Perché provare un sentimento come quello, non lascia spazio alla prudenza. Non ci sono certezze, è un salto nel vuoto che sarebbe potuto terminare nel più tragico come nel più miracoloso dei modi.
Clare aveva saltato, ma il miracolo per lei non era arrivato. Sarebbe stata costretta a portare le cicatrici di quel gesto per sempre con sé e nulla avrebbe davvero potuto cancellarle. Avrebbe solo potuto tentare di nasconderle. Tentare di dimenticarle o di imparare da esse.
Alla fine fu Max a rompere quel silenzio, ma le parole che usò furono le ultime che si sarebbe mai aspettata di sentirgli pronunciare.
-Clare, io…sono gay-.

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Capitolo 11
*** Assassine ***


Dal diario di Clare, 25 Ottobre (seconda parte):
«[...] Ma certe cose non sembrano proprio destinate a funzionare, a prescindere dall’impegno che ci si mette per cercare di preservarle. E come se questo non fosse abbastanza, di solito sono i momenti come questi, quelli in cui lo stupido mondo in cui viviamo sceglie di crollarti completamente addosso, trascinando con sé persino le poche convinzioni che avevi. E tu non puoi fare nient'altro che stare a guardare tutto ciò che avevi costruito e per cui avevi lottato sgretolarsi come un castello di sabbia

La ragazza fissava la tazza di cioccolata ormai non più calda, da troppo tempo. Doveva trovare qualcosa da dire, ma sembrava che più si scervellasse, più le idee le sfuggissero.
Stringeva la tazza con forza, con entrambe le mani. Inizialmente voleva solo scaldarsi, poi però si era resa conto che quel semplice ed anonimo oggetto di uso quotidiano era improvvisamente diventato l’unico appiglio che le impediva di scivolare in un vortice di confusione assoluta e di mantenere un flebile contatto con la realtà.
Non aveva nemmeno idea di come fossero arrivati in quella tavola calda. Ricordava a malapena la cameriera carina che aveva tentato di flirtare con Max mentre prendeva le ordinazioni e che si era sporta molto più del necessario mentre gli versava il caffè, mettendo così in mostra una generosa porzione del suo abbondante décolleté, ignara del fatto che per il vampiro che aveva davanti, le sue tettone avevano la stessa utilità dell’aria condizionata in Groenlandia.
Curiosamente, a seguito di quel pensiero, a Clare erano improvvisamente scomparsi tutti i complessi che si faceva dalla prima superiore a proposito della sua seconda scarsa di reggiseno.
-L’ho sempre saputo, più o meno- esordì infine Max, cominciando a rispondere alle tacite domande che aleggiavano tra loro da quando se n’era uscito con quella frase, poco prima.
-Ho provato ad evitare, a reprimere questa parte di me praticamente da sempre. Per un brevissimo momento dopo essere stato trasformato, ho creduto di essere finalmente libero di essere me stesso, salvo poi accorgermi che i vampiri hanno la mentalità più chiusa di quella degli umani, in merito all’argomento. È ironico, se pensi che hanno sempre fatto della superiorità fisica ed intellettuale il vanto principale della nostra specie. Invece sono talmente fossilizzati nel loro cliché di irresistibili seduttori di giovani fanciulle, da non trovare spazio nella loro comunità per chi non lo rispetta. Sarebbero in grado di guardarmi male per mesi per il semplice fatto che io ora mi trovi in questa dozzinale e puzzolente tavola calda a bere caffè con te, anziché in un bar elegante a bere vino rosso e a lanciare occhiate seducenti a qualche bella ragazza che si finge inconsapevole del proprio fascino-.
Clare cercò per un attimo di immaginare la scena e fu persino troppo facile per lei vedersi Max in quella situazione, però non disse nulla e lo lasciò continuare, sempre tenendo salda la presa sulla tazza.
-Ho capito subito che se non volevo rimanere solo, esiliato dai miei simili, non avevo alcuna scelta: avrei dovuto adeguarmi, reprimere la mia identità e comportarmi come loro, così ho cominciato a passare da una ragazza all’altra, seducendole e nutrendomi per poi passare alla successiva prima che avessero il tempo di innamorarsi. Forse mi detesterai ancora di più per quello che sto per dirti, ma…all’inizio tu per me eri come le altre. Non eri popolare, avevi pochi amici e sembrava cercassi di fare di tutto per non attirare l’attenzione. In parole povere, eri quella che la maggior parte dei vampiri considera la preda perfetta. Tuttavia, dopo un po’ che ci frequentavamo, mi sono accorto che con te le cose stavano prendendo una direzione diversa rispetto al solito. Stavo bene come non mi capitava da anni, forse addirittura da secoli. Mi piaceva parlarti tanto quanto mi piaceva starti ad ascoltare e spesso mi capivi addirittura meglio di quanto riuscissero a fare i membri del mio stesso clan. A quel punto ho capito che per me eri davvero speciale. Tutto ciò mi spiazzava, soprattutto quando ho realizzato che non mi consideravi solo il bel vampiro affascinante da sfoggiare davanti alle altre ragazze,  quello che ti viziava con una miriade di regali costosi o elargiva continuamente aforismi romantici; eri interessata a me semplicemente per com’ero al di là della mia natura di immortale. Con te non ho mai dovuto comportarmi nel modo in cui in genere le ragazze si aspettano che io mi comporti, non ho mai dovuto recitare la parte dello stereotipato vampiro romantico ma tormentato. Allo stesso modo, tu con me ti sei lasciata andare, ti sei mostrata per com’eri davvero senza alcun timore. Ricorderò sempre quando mi hai detto che ero la prima persona nei confronti della quale non sentivi di dover costantemente dimostrare qualcosa e con cui ti sentivi libera, perché io mi sentivo nello stesso modo. Ai miei occhi eri un’incognita, abituato com’ero ad avere a che fare con ragazze prevedibili che amavano solamente giocare a fare le principesse mentre io avevo l’obbligo di ricoprire il ruolo del loro principe salvatore e, nonostante non fossi abituato a sentirmi in qualche modo "disorientato", era anche questo che mi affascinava di te…-
-Dovrei sentirmi lusingata?- lo interruppe Clare con un filo di voce, continuando a fissare la tazza e sforzandosi di controllare la valanga di emozioni contrastanti che dentro di lei premevano per uscire e riversarsi contro il vampiro. –Dopo tutto quello che ho fatto per te, tu mi hai ripagato trattandomi come l’ultima delle stupide. Se pensi davvero che basti piazzarmi qualche bel complimento probabilmente riciclato dal discorso fatto a qualche ragazzina da cui ti sei nutrito nel 1847; se credi sul serio che sia sufficiente elogiarmi sottolineando quanto io sia unica e speciale, allora mi conosci molto meno di quel che credi, Max. Ho smesso più di un anno fa di credere ciecamente ad ogni parola eccessivamente zuccherata che usciva dalla tua bocca-.
Il vampiro abbassò a sua volta lo sguardo, stizzito dall’inaspettata reazione così ostile della ragazza. Aprì e richiuse la bocca un paio di volte, prima di riuscire a trovare le parole giuste con la quale tentare nuovamente di convincere Clare in merito alle sue presunte buone intenzioni.
-Non avrei mai voluto farti soffrire- continuò. –Poi però un giorno Tristan, per prendermi in giro, mi chiese se per caso non mi stessi innamorando. Non mi aveva mai visto uscire con la stessa ragazza per più di qualche mese. Avrei dovuto ignorarlo, lo so, del resto è un imbecille. Invece andai in paranoia e cominciai irrazionalmente a pensare che se il mio clan, la mia famiglia, aveva notato di questo mio cambiamento, c’era la possibilità che prima o poi si accorgesse anche del fatto che nascondevo qualcosa di molto più grosso, per questo ho cominciato a fare lo stupido con le altre ragazze per dimostrare agli altri che ero quello di sempre. Avrei dovuto avere il buonsenso di lasciarti, così forse saresti riuscita a fartene una ragione ed andare avanti più facilmente ma…ero troppo egoista per farlo. Non volevo perderti, eri la persona migliore e l’amica più cara che avessi mai avuto la fortuna di incontrare da non so nemmeno quanto tempo a questa parte, ma allo stesso tempo ero terrorizzato dall’idea che qualcuno potesse scoprire il mio segreto-.
Clare sentì le lacrime salirle nuovamente agli occhi senza che potesse fare niente per reprimerle. Con la coda dell'occhio si guardò rapidamente intorno e fu felice di constatare che il locale in quel momento fosse quasi deserto e che i tavoli attorno a loro fossero vuoti, perché mettersi a piangere per la seconda volta davanti all’ultima persona da cui voleva farsi vedere vulnerabile era già abbastanza umiliante senza che degli sconosciuti si mettessero a fissarla formulando o bisbigliando tra loro supposizioni sicuramente errate su ciò che stava succedendo tra loro.
-Quindi sono stata questo per te? Un’amica?- domandò, cercando inutilmente di controllare il tremore nella propria voce. -Io ti amavo!-
Max non rispose subito e la fissò per alcuni istanti.
Nei suoi occhi, Clare vedeva qualcosa che non avrebbe mai creduto di scorgere negli occhi di un vampiro: rimorso, senso di colpa, pentimento. Sapeva che lui era perfettamente in grado di fingere, recitare quei sentimenti e quelle emozioni come ogni altro soggetto appartenente alla sua specie, ma allora per quale motivo avrebbe dovuto inventare tutta quella storia? A che pro? Avrebbe semplicemente potuto lasciarla nei suoi dubbi e dimenticarsi di lei, invece l’aveva cercata, si era preoccupato per lei senza alcun apparente tornaconto personale.
No, Clare sapeva fin troppo bene che con i vampiri era essenziale fidarsi del proprio istinto, e il suo diceva che Max, per una volta, stava dicendo la verità. Una verità che non sarebbe mai riuscita ad immaginare nemmeno nelle sue fantasie più assurde, ma pur sempre la verità.
-Anche io ti ho amata, per quanto mi era possibile amarti. Quando però mi sono reso conto che quello che provavi stava diventando troppo importante, ho capito che non potevo più continuare a mentirti, ad illuderti, a fingere di essere quello che non ero. Per questo ho deciso di…-
-…provarci con Sharon Harrison davanti a me?- concluse lei, al posto suo. -Un modo davvero di classe per chiudere i rapporti con la ragazza che consideravi unica e speciale-
-Volevo che pensassi che ero solo un’idiota come tanti- spiegò lui. -In questo modo credevo sarebbe stato più facile per te dimenticarmi-.
Clare sospirò, cercando per l'ennesima volta di ricacciare indietro le lacrime.
-Era troppo tardi, Max-
-Lo so- ammise. -E io l’ho capito troppo tardi. So perfettamente di essere l'ultima persona che ha diritto di chiederti qualcosa ma ci voglio provare lo stesso. Perdonami, Clare, te ne prego. So che sarà difficile, forse impossibile. So che non meriterei un così grande sforzo da parte tua dopo tutto quello che sei stata costretta a subire a causa mia, ma dimmi almeno che ci proverai, che mi concederai un'altra possibilità, fosse anche una su un milione, per redimermi da tutto il male che ti ho fatto, da tutta la sofferenza che ti ho causato con il mio egoismo. Non voglio che di quello che c’è stato tra noi, restino solo rancori e rimorso-.
La ragazza rimase a lungo in silenzio, riflettendo sulla richiesta di Max. Si trovava in una situazione la cui probabilità di assistervi era alta quanto quella di avere un incontro ravvicinato del terzo tipo con un extraterrestre: un vampiro che chiedeva perdono ad un umano ammettendo le proprie colpe senza attenuanti, invocando il perdono arrivando addirittura ad implorare la mortale che aveva davanti.
Clare tuttavia, per quanto avrebbe potuto sforzarsi, non sarebbe mai riuscita a guardare le cose da quel punto di vista, perché ai suoi occhi, seduti uno di fronte all’altra a quel vecchio tavolo di una banale tavola calda non c’erano un'umana ed un vampiro. C’erano solo Max e Clare, la specie a cui appartenevano, il luogo ed il tempo da cui provenivano e tutte le altre apparentemente inconciliabili differenze che c’erano tra loro, in quel momento erano passati in secondo piano, ridotti a dettagli del tutto irrilevanti.
Dopo una lunga riflessione silenziosa durante il quale la ragazza riuscì a percepire chiaramente l'agitazione del suo ex in attesa della sua risposta, la ragazza esalò un lungo sospiro ed annuì.
-Ci proverò, ma non posso garantirti che ci riuscirò- sentenziò infine. –Questo è quanto di più sincero posso prometterti ora come ora-.
A quelle parole, Max sorrise radioso. Evidentemente si era aspettato un rifiuto definitivo che avrebbe reso vano anche l’estremo tentativo di farle capire quanto tenesse a lei mostrandosi completamente sincero e spontaneo, come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.
-È comunque più di quanto avessi potuto sperare-.

***

Passeggiare per le vie del centro era un’attività tipica delle coppie che Clare aveva preso l’abitudine di osservare, ogni tanto. I più si tenevano per mano, qualcuno teneva un braccio sulle spalle della compagna, qualcun’altro non teneva nessun tipo di contatto fisico, ma il modo in cui parlava o guardava la persona che aveva accanto tradiva ugualmente i suoi sentimenti.
Mentre camminava al fianco di Max, la ragazza si chiese cos’avrebbe potuto pensare se avesse guardato la scena dall’esterno. Si sarebbe accorta del proprio stato d’animo? Del fatto che provasse qualcosa per il ragazzo che le stava accanto, ma che lui non la ricambiava? Sarebbe riuscita a leggere nei suoi occhi il caos di emozioni contrastanti che dentro di lei continuavano a scontrarsi e mescolarsi nel vano tentativo di trovare il proprio posto?
Forse no, ma di certo avrebbe capito subito che tra quei due ragazzi che passeggiavano davanti alle vetrine dei negozi decorate a tema Halloween c’era qualcosa in sospeso, perché il loro atteggiamento non aveva niente a che fare con quello spontaneo delle normali coppie che si tenevano per mano come se fosse la cosa più naturale del mondo o che sembravano capirsi con un semplice sguardo.
-Clare- disse lui ad un certo punto. -So che questa è una situazione particolare-.
“L’eufemismo del secolo, pensò la ragazza.
-Ma vorrei che ti sentissi libera di parlarmi liberamente. Di chiedermi o dirmi qualunque cosa ti passi per la testa-. Fece una pausa e le sorrise. -Anche perché ti conosco abbastanza da sapere che nonostante il tuo apparente menefreghismo, sai essere piuttosto curiosa-.
Clare si sforzò di sorridere a sua volta, sperando che Max non notasse l'immensa tristezza che continuava ad aleggiarle intorno come un’aura nonostante i suoi gesti affettuosi. Quella che riguardava la sua vorace curiosità era solo una delle mille cose che Max e pochissimi altri avevano capito di lei. D'altra parte, delle persone che aveva conosciuto negli ultimi anni, non erano stati in molti ad interessarsi seriamente a chi avevano di fronte.
Aveva osato sperare una sola volta in tutta la sua vita che le cose potessero migliorare, ossia quando aveva cambiato scuola. Aveva creduto di potersi finalmente reinventare, essere sé stessa, immaginava che se sei fosse giocata bene le sue carte, sarebbe addirittura potuta entrare a far parte del gruppo dei più popolari e guadagnarsi ammirazione e rispetto da parte dei suoi coetanei. I suoi propositi però avevano avuto vita breve perché, in qualche modo, la sua fama di cattiva ragazza era riuscita a precederla, rendendo vani i suoi tentativi di liberarsi dell’odiata etichetta con cui i suoi vecchi compagni di scuola l’avevano marchiata.
Clare però non era mai stata veramente la “cattiva ragazza” che i suoi coetanei additavano e detestava il fatto che un solo errore come ne fa la maggior parte degli adolescenti, a lei fosse costata la possibilità di poter essere sé stessa in libertà.
Alla fine, la ragione per cui tra lei e Max c’era stata da subito una forte intesa e sintonia era proprio la radice comune dei loro problemi: vivevano entrambi intrappolati nel limbo dei pregiudizi e nei luoghi comuni nati dall’ignoranza e dall’incapacità di andare oltre le apparenze.
-Credo di essere ancora troppo scossa per cominciare con le domande inopportune- rispose infine. -Ma se per caso ci fosse qualcos’altro che ti va di condividere, dillo ora o mai più. Non credo che riuscirei a sopportare un altro pomeriggio come questo-.
-D’accordo- acconsentì Max. -Ricordi la storia del triangolo di Sharon?-.
Clare fece una smorfia quasi disgustata. Ricordava quella vicenda fin troppo bene e non solo perché era stata il fulcro del gossip scolastico per diverso tempo, ma soprattutto perché la cosa aveva avuto inizio subito dopo la loro rottura tra lei e Max.
Le cose, stando alle voci di corridoio, erano andate più o meno così: Sharon e Max, dopo la fine della relazione di quest’ultimo con Clare, erano stati sul punto di diventare ufficialmente una coppia. Proprio quando sembrava che le cose fossero ormai ufficiali però, tra di loro era subentrato Cameron King, migliore amico di Sharon, gran figo e, soprattutto, capobranco dei licantropi che vivevano in città e nelle zone circostanti, il quale si era dichiarato a Sharon, supplicandola di lasciar perdere Max e scegliere lui. A quanto pareva, dopo qualche settimana di struggente indecisione da parte di Sharon, sembrava che ad averla vinta fosse stato proprio il lupacchiotto tuttavia, per qualche ragione sconosciuta ai più, il finale di tale avvincente storia era rimasto in sospeso. Sharon e Cameron non erano stati più visti assieme e chi li conosceva bene aveva riferito che del loro meraviglioso rapporto quasi simbiotico erano rimasti solo dei freddi saluti reciproci quando si incontravano per i corridoi della scuola.
-Come potrei non ricordare una storia così coinvolgente? Ad ogni occasione che le si presentava, soprattutto davanti a me, Sharon che impersonava la regina del dramma tormentata dalla struggente decisione dal quale sembrava dipendessero le sorti dell’intero universo, mentre io interpretavo quella che faceva la superiore, se ne fregava e che non moriva dalla voglia di tirargli un pugno sul suo grazioso nasino-.
Max rise. -Per quel che vale, credo proprio che ti avrei assegnato sia il Golden Globe, che l’Oscar-.
Suo malgrado, sorrise anche lei e questa volta, per la prima volta da quando lei e il vampiro avevano iniziato quell’assurda conversazione, lo fece in modo sincero e spontaneo.
-Beh, sarebbe stato il minimo- concordò. -Però, seriamente, cos’è che dovrei sapere?-
Max sospirò. -La vera ragione per cui alla fine né io, né Cameron l’abbiamo avuta vinta con Sharon è che…come dire, ci siamo messi assieme. Io e lui, intendo-.
A quelle parole, Clare smise di camminare.
Non era mai stato facile spaventarla o sorprenderla. Aveva sempre creduto che mostrare la propria paura, vulnerabilità o anche solo il proprio stupore potesse essere interpretato come un segno di debolezza o stupidità. Era una convinzione nata quando faceva ancora parte del gruppo di Nikki e mai abbandonata, perché col tempo era diventato per lei una sorta di meccanismo difensivo. Tuttavia, in quella situazione, ogni abitudine precedentemente acquisita l’abbandonò improvvisamente per lasciare il posto ad un’autentica espressione d’incredulità.
Max e Cameron?
Il vampiro ed il licantropo?
Gli eterni nemici?
Il suo ex ed uno dei ragazzi più ammirati e desiderati della scuola?
Insieme?!
Clare non aveva ancora richiuso la bocca, che si era spalancata per lo shock della notizia, quando Max riprese a parlare.
-Lo so, è assurdo. La verità è che a volte fatico a crederci anche io. È cominciato tutto quando ci siamo incontrati da soli, nel bosco. Ufficialmente avremmo dovuto affrontarci per Sharon, la mia idea però era quella di parlargli e spiegargli che, per quanto mi riguardava, poteva anche averla e tenersela. Ero già stanco di tutti quei suoi modi da primadonna e se per liberarmene avessi dovuto fingere di essere stato battuto da un lupo, era un prezzo che sarei stato disposto a pagare volentieri. Incredibilmente però, quando gli ho proposto il mio accordo, lui mi ha guardato stupito e mi ha detto che era venuto lì con l’intenzione di chiedermi la stessa cosa-.
-Ma allora per quale motivo si era fatto avanti con Sharon?- chiese Clare, perplessa.
-I licantropi non sono retrogradi quanto i vampiri. Nessuno di loro non è mai stato cacciato solo perché omosessuale, non è una ragione valida per mettere in discussione la sua fedeltà o la sua leadership. Cameron però non si sente ancora a suo agio con sé stesso, non credo abbia ancora accettato del tutto questa parte di sé. Del resto è ancora molto giovane, mentre io ho avuto più di qualche secolo per abituarmi alla cosa. Ha finto di essere segretamente innamorato di Sharon per parecchio tempo e quando sono subentrato io non poteva far finta di niente: faceva parte della recita. Doveva lottare per lei, o almeno fingere di farlo-.
Clare annuì tra sé. Tutto tornava, finalmente. Domande che non aveva mai avuto il coraggio di fare ma rimaste in sospeso troppo a lungo, avevano avuto una risposta. Una risposta che di sicuro non si aspettava, ma che chiudeva almeno in parte la questione.
-Da quanto va avanti questa...situazione?- chiese lei, incerta sulle parole più corrette da usare.
-Abbiamo cominciato a frequentarci a fine novembre dell'anno scorso, ma ufficialmente…-
La voce di Max fu interrotta dalla suoneria del suo cellulare. Clare la riconobbe perché da quando lo conosceva non l’aveva mai cambiata: la Nona Sinfonia di Beethoven.
Max adorava la musica classica, una volta le aveva raccontato di quando aveva sentito eseguire quella stessa sinfonia dal vivo, diretta proprio dal suo compositore. Clare aveva sorriso intenerita quando aveva notato nella sua voce e nei suoi gesti lo stesso entusiasmo di un ragazzino che racconta della sua prima esperienza al concerto del proprio idolo. Col tempo, Max le aveva insegnato ad amare quel genere a lei quasi totalmente sconosciuto e ora quelle stesse note le stavano facendo tornare in mente una miriade di ricordi che aveva inutilmente tentato di seppellire.
Si era innamorata di quella musica mentre stavano insieme. L’aveva odiata quando lui l’aveva lasciata. Ora, invece, per lei era improvvisamente tornato ad essere solo un brano di musica classica come un altro, come tanti altri.
In quel momento capì che forse perdonare Max forse non sarebbe stato così impossibile come aveva creduto fino a poco prima.
-Che cosa?!- esclamò Max ad alta voce, strappando Clare ai suoi pensieri e riportandola con i piedi per terra.
Max aveva un espressione sconvolta, un’altra emozione che Clare non si sarebbe mai aspettata di leggere sul suo volto, o su quello di qualsiasi altro vampiro.
-Sì, certo, arrivo subito- disse, dopodiché chiuse la telefonata, quella sua aria incredula però non lo abbandonò.
-Cos’è successo?- chiese Clare, preoccupata.
Qualunque cosa riuscisse a suscitare in un vampiro quel genere di reazione, doveva essere qualcosa di veramente grave.
-Era Xavier. Stava cercando Will perché era da un paio di giorni che non si faceva vedere o sentire. Beh, l’ha trovato. Morto-.

* * *

Dal diario di Serena, 27 ottobre:
«Stupida.
Prepotente.
Arrogante.
Piena di sé.
Oca.
Egocentrica.
Ragazza facile (questa in realtà è la versione gentile dell’insulto).
Esibizionista.
Psicopatica.
Sfigata.
Questi sono solo alcuni degli insulti più frequenti che mi sono stati rivolti negli ultimi anni, all’incirca da quando ho iniziato il liceo. Nessuno ovviamente ha mai avuto il coraggio di dirmeli in faccia ma, quando le si volta le spalle, la gente sa esibire un repertorio di critiche e offese gratuite davvero fantasioso e variegato, anche (e forse soprattutto) da chi meno te lo aspetteresti. Ho sempre cercato di farmi scivolare tutto addosso, di ignorare certe voci ed essere superiore per non dare soddisfazione a chi le metteva in giro.
Nonostante il mio impegno però, quello che ragazze e ragazzi si sussurrano al mio passaggio nei corridoi e quando entro in classe da un paio di giorni a questa parte è qualcosa che mi ferisce molto più profondamente e mette alla prova fino all’ultima briciola della mia pazienza.
ASSASSINA[…]»

Un anonimo vicolo buio ed isolato, un affilatissimo paletto di frassino, un unico colpo dritto al cuore. Così era morto William Gideon Percival McKellen III, diciotto anni dimostrati, duecentosette effettivi. Xavier aveva trovato il suo corpo ad alcuni chilometri dalla scuola, in un area dismessa della zona industriale e, stando alle poche informazioni che il clan dei vampiri aveva fatto trapelare, doveva trovarsi lì da almeno un paio di giorni, ossia da quando aveva smesso di dare sue notizie.
-Max e gli altri stanno cercando di capire chi possa essere stato. Non ha aggiunto molto altro ma ho avuto la sensazione che non volesse dirmi tutto quello che in realtà sapeva o sospettava- stava raccontando Clare.
Serena l’ascoltava e, allo stesso tempo, la osservava. Esteriormente sembrava sempre la solita Clare: felpa nera con la stampa del logo di una band che non conosceva, cappuccio calato fino quasi a nasconderle gli occhi nonostante il regolamento della scuola lo vietasse, jeans strappati, Vans anch’esse nere.
Nel suo atteggiamento però c’era qualcosa di diverso: era comprensibilmente scossa dalla morte di Will e nella sua voce era udibile una nota di preoccupazione per il modo sempre più complicato in cui la situazione intorno a loro andava evolvendosi, tuttavia Serena notò anche che la ragazza che aveva di fronte sembrava molto più calma rispetto solo a qualche giorno prima. Si chiese se dipendesse dalla conversazione che aveva avuto con Max della quale le aveva accennato, promettendole che le avrebbe dato più dettagli in un momento più opportuno.
Serena era felice che per Clare le cose cominciassero a migliorare. Anche se il rapporto con Kelly migliorava ogni giorno di più, non era certa di poterla già definire nuovamente sua “amica” a tutti gli effetti. Nel corso dell’ultimo anno infatti, aveva imparato a dare nuovo peso a certe parole e ad usarle con attenzione e parsimonia. Quindi, per il momento, l'unica persona il cui legame che la univa a Serena poteva essere considerato “amicizia” era proprio Clare.
Nonostante tutto però, non poteva fare a meno di provare una punta d’invidia per quanto successo a Clare, poiché aveva ottenuto ciò che Serena aveva desiderato disperatamente dal momento in cui Tristan l’aveva lasciata: una spiegazione. E, a quanto pareva, quella che Clare aveva ricevuto doveva essere risultata anche piuttosto esauriente.
-Cosa ne pensi del fatto che più di qualcuno è convinto che la colpevole sia una di noi?- chiese Serena mentre un gruppetto composto da tre ragazzine del primo anno passava loro accanto lanciando occhiate curiose e bisbigliando in modo decisamente poco discreto. Serena intercettò lo sguardo di una di loro e la incenerì. La ragazzina tacque immediatamente e abbassò gli occhi.
-Penso che sia l’ennesima dimostrazione del fatto che questa scuola è frequentata in gran parte da idioti- rispose Clare mentre apriva il suo armadietto per riporre i suoi libri.
-Come se avessimo potuto tenere testa a Will fino a sopraffarlo. È assurdo!- continuò Serena.
-È esattamente per questo motivo che secondo me…-.
La frase di Clare s’interruppe quando, una volta aperto lo sportello dell’armadietto, ne scivolò fuori un foglio, che vorticò leggero fino a terra. La ragazza lo raccolse e lo lesse, dopodiché l’espressione sul suo volto si fece perplessa.
-"Aula di Inglese, primo piano, ora di pranzo. Dì anche a S. di venire"- lesse.
Serena ebbe un sussulto. Ad eccezione dell’ultima parte, le parole di quel biglietto le erano fin troppo familiari: erano le stesse indicazioni che un anno prima aveva scritto nei biglietti che aveva poi fatto pervenire a Clare, Em ed Aly, gesto che aveva segnato l’inizio del loro club.

Nessuna delle due ragazze fu particolarmente dispiaciuta di non andare in mensa, alla pausa pranzo; erano entrambe stanche di fingere di non accorgersi di occhiate ambigue e commenti sussurrati a mezza voce al loro passaggio. Di conseguenza, anche un biglietto anonimo che le invitava a presentarsi in un aula vuota, ad un orario in cui a quel piano non c’era nessuno e che chiedeva loro di essere sole era comunque un’alternativa più allettante di un pasto a base di ansia e costante sensazione di disagio.
-E se per caso fosse uno dei nostri ex? O un altro dei vampiri? Dio, spero non sia Evelyn, quella sa essere inquietante anche quando sorride. Anzi, soprattutto quando sorride- stava dicendo Serena.
-E cosa diavolo potrebbe mai volere Evelyn da noi? Ci avrò parlato sì e no tre volte, e si è trattato per lo più di convenevoli e risposte monosillabiche. Senza contare che lei detesta i giocattolini umani dei suoi colleghi, per questo cerca di averci a che fare il meno possibile- spiegò Clare.
-Sarà, ma allora chi potrebbe essere stato a…-
Serena s’interruppe quando Clare aprì la porta dell’aula e davanti a loro apparve una persona, forse l’ultima che si sarebbero mai aspettati di trovarsi di fronte. Era stata convocata a sua volta o era stata lei a scrivere quel biglietto?
-Em?!- esclamarono all’unisono.
La ragazza, che se ne stava seduta sulla cattedra, si voltò verso di loro.
-Ciao Serena, ciao Clare- le salutò, con la voce quasi ridotta ad un sussurro. –Potete chiudere la porta, per favore?-
-Sei stata tu a chiederci di venire?- chiese Serena a denti stretti e in tono decisamente poco amichevole, ignorando la richiesta che le era stata rivolta.
Em, con la sua più classica ed indecifrabile espressione, si limitò ad annuire, dopodiché prese tra le dita una ciocca dei suoi capelli castani ed iniziò a giocherellarci, un suo tic abituale.
Senza aggiungere una parola, Serena fece per andarsene.
-Se te ne vai senza nemmeno sentire prima cosa ho da dire, penso che potresti pentirtene- la avvertì Em.
Serena non l’ascoltò. Era già sul punto di uscire, quando Clare l'afferrò per il polso, costringendola a fermarsi.
-Anche a te è stata data una seconda possibilità. Concedile almeno qualche minuto- la rimproverò a bassa voce quest’ultima.
L’altra si voltò. -Ci ha prese in giro, lo hai dimenticato? Ci ha usate e basta, non è mai stata una di noi!- le ricordò.
Clare lanciò un’occhiata veloce ad Em, che assisteva immobile alla conversazione, e sospirò.
-È vero, ci ha usate, ma io credo che sia davvero pentita di averlo fatto, altrimenti non ci avrebbe raccontato tutto. Concedile solo un paio di minuti, poi potrai andartene, se penserai ancora che sia la cosa migliore da fare-.
Serena fissò combattuta Clare, dopodiché rivolse a sua volta lo sguardo ad Em, che attendeva con aria apparentemente paziente la sua decisione mentre faceva dondolare le gambe.
-D’accordo. Ma solo due minuti, poi me ne vado- acconsentì infine, evitando di guardare Em negli occhi.
Le labbra di quest’ultima si distesero in un sorriso controllato. Sembrava stesse cercando di contenere la contentezza di fronte alla scelta di Serena.
-Grazie- disse, scendendo dalla cattedra. -Ma volevo che ci fossimo tutte, prima di cominciare-.
-Non credo verrà nessun’altro: James è tornato e la prima cosa che ha fatto è stato andare a riprendersi Aly, la cui prima reazione quando se lo è trovata davanti, è stata quella di distendere la propria dignità ai suoi piedi come un tappeto per dargli il bentornato- spiegò Clare. -E non credo che nemmeno Rachel ed Elise si abbiano intenzione di presentarsi, a meno che quest’ultima non senta la mancanza delle mie carezze ad alta velocità-.
-Ho chiesto di venire solo ad Aly e, sì, so che James-lo-stronzo è di nuovo in città- disse Em. -Volevo comunque aspettare ancora un po’, magari ha…-
La frase rimase in sospeso perché in quel momento le ragazze udirono la porta aprirsi di nuovo.
Per un istante, Serena pensò, o meglio, pregò che le speranze di Em fossero state ben riposte, ma rimase delusa quando, al posto di Aly, vide comparire una figura minuta ed una lunga chioma azzurra. Non era Aly, ma la sua nuova amica.
-Ehm…Spero di essere nel posto giusto- esordì incerta, quando si accorse delle tre paia di occhi che guardavano nella sua direzione.
Aveva una voce piuttosto adulta, nonostante la sua corporatura ed il suo visino da bambola. Se non fosse stato per quella particolare caratteristica, Serena difficilmente le avrebbe dato più di dodici anni.
-Dipende. Chi cercavi?- chiese Clare.
-Le...amiche di Aly. Siete voi giusto?-
Le tre ragazze in un primo momento furono incerte su come rispondere. Nessuna di loro era esattamente sicura di potersi definire ancora "amica" di Aly, nonostante quella condizione fosse dovuta esclusivamente alla decisione di Aly.
-Più o meno...- rispose Serena, a nome di tutte.
-Ho letto per caso il biglietto che avete fatto avere ad Aly. Dal momento che lei ha detto di non poter venire, ho deciso di presentarmi in qualità di…ecco, diciamo delegata. Mi ha raccontato di voi e del vostro gruppo-.
Le ragazze si scambiarono un'occhiata.
-Ti ha raccontato proprio tutto?- domandò Serena.
La ragazza annuì e seguì qualche istante di silenzio eloquente.
-Sei Fay, giusto?- intervenne Clare.
-Sì- rispose lei. –Non fraintendetemi, non sono il genere di persona a cui piace intromettersi negli affari altrui, soprattutto considerato che non conosco Aly da molto, ma quando prima ha trovato il vostro biglietto mi è sembrata così amareggiata nel rifiutare, che ho deciso di venire al posto suo. Era davvero combattuta sul da farsi. A dirla tutta poi, il tipo con cui esce, il suo ex-ex-ragazzo...non mi piace per niente-.
Quell’affermazione bastò per suscitare la simpatia delle altre presenti.
-Benvenuta nel club- disse ironica Clare.
Fay sorrise. -In senso letterale o figurato?-

***

-So che siete ancora arrabbiate con me- iniziò Em, rivolgendosi a Clare e Serena. -Ma anche se non faccio più pare del club, ho continuato a tenervi d’occhio, e ho fatto lo stesso con i nostri vampiri preferiti…-
-Sai forse qualcosa a proposito della morte di Will?- azzardò Serena, interrompendola.
-No, purtroppo. Non più di quanto sappiate voi, almeno- smentì la ragazza. -Ero più concentrata su Tristan, Xavier ed Eli, che sono quelli di cui mi sono sempre fidata meno. Sui primi due al momento non ci sono novità. Tristan fa l’innamorato con la sua matricola e Xavier fa il divo irraggiungibile, come al solito. Ma Eli…ho scoperto che ultimamente sta frequentando una ragazza e non credo sia esattamente una casualità che la ragazza in questione risponda al nome di Kelly Ramirez-
-Kelly?!- esclamò Serena, non appena udì quel nome. –Il capitano delle cheerleader? La mia…?-
Si fermò un istante prima di pronunciare la parola “amica”.
-Ti ricordo che è anche mia cugina- sottolineò Em che, per quanto paziente, era sempre stata un po’ infastidita dal latente egocentrismo di Serena, un piccolo difetto sopito dai tempi in cui era ancora l’incontrastata miss popolarità che però, di tanto in tanto, si manifestava ancora a piccole dosi.
Quest’ultima si morse un labbro e non replicò. Em e Kelly non avevano un gran rapporto ed inoltre erano agli opposti sotto talmente tanti aspetti che era davvero difficile per Serena ricordare che fossero parenti.
-Non conosco i dettagli. Del resto è passato un bel po’ dall’ultima volta che io e lei ci siamo rivolte la parola, ma il suo comportamento nei confronti di Eli...beh, diciamo che quando li ho visti, in un angolo seminascosto del parcheggio, il loro atteggiamento non ha lasciato molto spazio al beneficio del dubbio. Si abbracciavano e si guardavano negli occhi come se non esistesse nient’altro. Avete presente, no?-
-Non hai pensato che magari volesse solo farti ingelosire?- chiese Fay con un tono così innocente da farla sembrare quasi una bambina, agli occhi di Serena.
-Eli non si abbassa a certi livelli, lo conosco bene- sospirò Em. -No, lui è molto più sofisticato. Non vuole farmi ingelosire, vuole vendicarsi. Quando lui si è accorto che li stavo osservando, mi ha sorriso e ha scostato una ciocca di capelli dal collo di mia cugina, passandoci lentamente un dito sopra. Ha sempre amato le minacce sottili di questo tipo-.
Per diversi istanti, nessuna di loro disse nulla. Dopo quanto aveva rivelato Em alle altre durante la sua confessione, nessuna di loro avrebbe mai anche solo provato a minimizzare. Elijah era pericoloso anche per gli standard dei vampiri, questa era l’unica certezza che avevano su di lui.
Esisteva ovviamente la possibilità che si trattasse solo di un atto intimidatorio, una delle tante torture psicologiche messe in atto dal vampiro nei confronti di Em che mirava a farla sentire fragile e vulnerabile esattamente come lo era Kelly, anche se questa non sembrava essersene ancora resa conto. Considerati i trascorsi di cui Eli si era reso protagonista però, le ragazze non potevano concedersi il lusso di sperare che tutto sarebbe andato per il meglio e che le cose si sarebbero risolte da sole senza l'intervento di nessuno.
L’indole di Eli era troppo imprevedibile persino per Em, pur essendo quella che, tra le presenti, lo conosceva meglio. Al di là dell’ingannevole facciata del classico vampiro avvenente e dal fascino dannato e romantico al tempo stesso, potevano celarsi mille personalità differenti. Dietro l’ingannevole maschera costruita nei minimi dettagli e indossata con estrema credibilità, poteva esserci chiunque e nessuno.
Osservata da quel punto di vista, la situazione iniziava ad apparire davvero troppo grande ed inquietante, se ad affrontarla c’erano solo quattro ragazze senza nessuna esperienza con quel genere di problemi.
-Qualche giorno fa a pranzo, Kelly aveva accennato al fatto che frequentava da poco un ragazzo, ma non aveva voluto rivelarmi molto su di lui, nemmeno la sua identità. A suo dire, voleva prima essere certa che non si trattasse di un fuoco di paglia- raccontò Serena.
-O semplicemente non sapeva come avresti reagito alla notizia che l’amica con cui hai litigato proprio a causa del tuo ex si fosse messa a sua volta con un vampiro, dando così prova di tutta la sua coerenza- ipotizzò Clare, sarcastica.
-E se la stesse soggiogando?- intervenne Fay, attirando l’attenzione delle altre. Probabilmente intimidita dalla cosa, abbassò prontamente lo sguardo. –Cioè, la mia è solo un ipotesi...non sono mai stata con un vampiro, però mi è capitato di avere a che fare con loro qualche tempo fa-
-Soggiogare una creatura senziente senza una valida ragione è illegale da oltre cent'anni- intervenne Serena, citando l’Enciclopedia Completa del Vampiro. -È una delle leggi più importanti istituite dalla Fratellanza del mondo soprannaturale, il cosiddetto “Oltremondo”, nel secolo scorso-.
-Beh, da quanto ho avuto modo di capire, questo Eli non sembra molto abituato a giocare secondo le regole- commentò Fay.
-Decisamente no- convenne Em.
-Quindi? Cosa proponete di fare?- chiese infine Serena.
-Non mi sembra che abbiamo molta scelta- rispose Clare. –Fintanto che non escono allo scoperto, possiamo solo cercare di tenerli d’occhio-.
Serena sospirò. Anche se detestava stare a guardare, doveva ammettere che Clare aveva ragione: non potevano fare molto altro. Dopotutto, per quanto fondate, quelle su Elijah per il momento rimanevano semplici supposizioni ed inoltre, per quanto detestasse ammetterlo, era del parere che quattro comuni mortali come loro avrebbero potuto fare ben poco contro un vampiro sociopatico e pericoloso come si stava dimostrando Eli. Era necessario studiare la situazione quanto più a fondo possibile e fin nei minimi dettagli per capire come e quando fosse meglio intervenire.
Non potevano tuttavia ignorare il fatto che ci fosse una concreta possibilità che per allora sarebbe già potuto essere troppo tardi. Era un rischio che però, in quel momento, non avrebbero saputo come scongiurare.
-Però forse so chi potrebbe aiutarci- aggiunse Clare dopo qualche istante di silenzio, con l’aria di chi aveva appena avuto una rivelazione. -Max-.
Em fissò la ragazza come se avesse appena annunciato che aveva deciso di prendere i voti e farsi monaca di clausura.
-Mi sono persa qualcosa?- chiese.
L’altra sorrise mesta. -Molto, in realtà-.
*N.d.A. Salve salvino meravigliose personcine che continuate a seguire la mia storia storiellina! Chiusa la parentesi Flanders, spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento :) Come al solito ricordo che accetto ogni genere di commento, che siano complimenti, precisazioni, critiche, insulti (okay, magari insulti no) e quant'altro.
Ringrazio poi per l'ennesima volta chiunque ha messo la storia nei preferiti, seguiti o ricordati  - anche se continuo a pensare che qualcuno l'abbia fatto per sbaglio - e anche, ovviamente, PinkyRosie FiveStars per avermi risollevato l'autostima con le sue (anche troppo) gentili recensioni.
Al prossimo capitolo!
:)*

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Capitolo 12
*** Bugie, mezze verità e realtà distorte ***


Dal diario di Em, 27 ottobre:
 
«[…] Avrei dovuto pensarci due volte prima di essere felice, come ho sempre fatto.
Ci sono un’infinità di dettagli di questa vicenda di cui dovrei preoccuparmi prima di concedermi il lusso di lasciarmi andare e, a dire la verità, ci ho provato. Davvero.
Mi ero ripromessa che se anche le altre avessero accettato di incontrarmi e di concedermi un’altra occasione, non avrei dato niente per scontato, non  mi sarei fatta illusioni e avrei tenuto i piedi ben piantati per terra, pronta ad affrontare un eventuale rifiuto. Invece hanno deciso di perdonarmi
E io per la prima volta ho deciso di essere incoscientemente felice.
Nonostante tutto.»
 
Per Em era stata veramente dura sforzarsi di tenere la mandibola attaccata al resto della faccia. Ciò che l’aveva fatta desistere dal lasciarsi andare all’espressione da “pesce bollito”, come l’aveva definita una volta sua madre, era la volontà di mostrarsi seria, fermamente intenzionata ad aiutare le altre e di far loro capire che essere di nuovo parte del gruppo era la cosa a cui più teneva al mondo. Questo perché era decisa a sfruttare al meglio la seconda possibilità che le era stata concessa.
Stavolta sarebbe stato tutto diverso: niente più bugie, niente più tentativi di giustificare ciò che aveva fatto. Sarebbe stato un nuovo inizio e lei sarebbe stata completamente sincera, ad ogni costo.
Il racconto di Clare tuttavia, si rivelò troppo assurdo per riuscire a mantenere un atteggiamento serio o anche solo dignitoso. Ogni frase che la ragazza pronunciava finiva inevitabilmente col rivelare l’ennesimo colpo di scena di quella bizzarra e quasi incredibile vicenda, a discapito del suo goffo tentativo di mostrarsi imperturbabile almeno fino alla fine del discorso.
Em si consolò guardandosi intorno e accorgendosi che le altre presenti avevano più o meno la sua stessa espressione stampata in volto.
-Il nostro chiarimento è stato interrotto dalla telefonata che Max ha ricevuto da parte di Xavier in cui quest’ultimo gli comunicava di aver trovato il corpo di Will. Ad ogni modo non credo che avesse qualche altro segreto sconvolgente da rivelarmi, altrimenti mi avrebbe chiamata- concluse Clare in un sospiro, sprofondando nel divano di Fay.
Durante l’incontro segreto nell’aula di Inglese, le ragazze avevano infatti capito che c’erano troppe cose da dire e troppe questioni da affrontare per riuscire a farsi bastare l’ora scarsa concessa per la pausa pranzo. A quel punto, Fay aveva gentilmente offerto loro ospitalità a casa propria, un minuscolo appartamento all’ultimo piano di un modesto condominio a pochi isolati dalla scuola.
Intorno a loro, l’ambiente mostrava ancora i segni del recente trasloco, come gli angoli disseminati di scatoloni chiusi col nastro adesivo e recanti scritte che ne indicavano il contenuto, come piatti o asciugamani.
Quando l’attenzione di Em si concentrò nuovamente sulle ragazze, notò che queste si stavano concedendo ancora qualche istante per realizzare quanto avevano appreso. Em tuttavia dubitava che sia loro, ma soprattutto Clare, sarebbero riuscite a farsi una ragione di quanto avevano scoperto quel pomeriggio nel giro di poco tempo. Quella che Clare aveva condiviso apparteneva ad una categoria a parte di informazioni, quelle che necessitavano di un lungo periodo di elaborazione e a cui non ci si abituava mai del tutto.
-Ecco il perché della tresca con Sharon. Sì, in effetti questa è l’unica spiegazione che possa dare un senso all’avere una storia con quella cretina. Probabilmente tutti i suoi ex erano segretamente gay- commentò perfida Serena.
Le ragazze ridacchiarono e persino Clare si concesse un sorriso divertito.
Em decise di approfittare di quell’attimo di spensieratezza per poter finalmente esprimere la domanda che fin dall’incontro nell’aula all’ora di pranzo la stava tormentando. Sentiva che quella probabilmente era l’unica occasione che avrebbe avuto durante quell’incontro per non apparire inappropriata.
-Quindi…a questo punto possiamo dire che il club è ufficialmente ricostituito?- chiese timidamente, rivolgendosi a tutte ma guardando in particolare Serena, mentre parlava.
Quest’ultima accennò ad un sorriso.
-Beh, a questo punto direi di sì- convenne. -Sei d’accordo, Clare?-.
Clare annuì e poi fece l’occhiolino a Em, la quale si limitò a sorriderle nonostante dentro di lei si sentisse sul punto di esplodere dalla gioia e morisse dalla voglia di abbracciare le due ragazze fino a non farle più respirare.
Fu Fay ad interrompere quel momento così emozionante, balzando in piedi all’improvviso come se si fosse appena ricordata di qualcosa di fondamentale importanza.
-Oh, cavolo, scusatemi ragazze, quanto sono maleducata! Non vi ho preparato niente…Volete un tè? Un caffè? Biscotti? Non ho moltissima scelta ma dovremmo riuscire ad arrangiarci…-.
Senza attendere le risposte, si diresse verso la dispensa e cominciò a rovistare per poi tirare fuori due confezioni di biscotti: con le gocce di cioccolato e con il ripieno di crema al limone. Mentre la ragazza metteva sul fuoco il bollitore per fare il tè, Serena ne approfittò per continuare il discorso con Em e Clare.
-Possiamo anche essere di nuovo un gruppo unito- disse. -Ma le nostre regole e le nostre priorità sono cambiate. Qui non si tratta più dimenticare i nostri ex, stavolta si tratta di qualcosa di molto più serio. Adesso il nostro obbiettivo è riuscire a scoprire che intenzioni ha Eli, se ha davvero intenzione di fare del male a Kelly o se vuole solo usarla per spaventare Em-.
-E del fatto che a scuola siano convinti che il nostro gruppo sia diventato una setta di cacciatrici di vampiri, che mi dici?- intervenne Clare. -Più di qualcuno continua a dare credito all'ipotesi che sia stata una di noi ad uccidere Will. Non che me ne freghi molto di quello che pensano certi invertebrati ma se anche uno solo dei vampiri cominciasse a nutrire il minimo sospetto che c’entriamo qualcosa in questa storia, saremo nella merda fino al collo-.
-Grazie per la finezza, Clare- commentò Serena. -Però sì, hai ragione, dovremo occuparci anche di quel problema. Per il momento penso sia meglio essere discrete ed evitare di sbandierare ai quattro venti il fatto che il gruppo si è riformato, anzi, se continueremo a fingere di essere ancora arrabbiate tra noi eviteremo di complicare le cose-.
Serena stava ancora facendo il punto della situazione, quando il ronzio del campanello la interruppe.
-Aspetti qualcuno?- chiese Em a Fay proprio mentre quest’ultima posava un enorme piatto colmo di biscotti sul tavolino basso davanti a loro.
-No, nessuno- rispose Fay, perplessa.
Si diresse verso la porta e guardò dallo spioncino, forse aspettandosi qualche vicino di casa. Nessuna delle ragazze disse una parole, in attesa di sapere chi fosse.
All’improvviso però, un rumore assordante irruppe in quel momento di silenzio, seguito da alcuni movimenti indefiniti in rapida successione che coinvolsero Fay e chiunque si trovasse al di là della porta. Successe tutto talmente in fretta che nessuna delle ragazze riuscì a capire cosa stesse accadendo fino a quando tutto quel fracasso non cessò. Solo a quel punto riuscirono a realizzare davanti a quale incredibile situazione si trovassero: Fay era stata scaraventata contro al muro al lato opposto della stanza ed in quel momento si trovava immobilizzata lì, con i piedi che non toccavano terra e che scalciavano mentre, la ragazzina tentava di liberarsi dalla salda presa della mano che la bloccava in quella posizione stringendole la gola. Ed il proprietario di quella mano era nientemeno che…
-Max! Cosa diavolo…? Lasciala andare!- gridò proprio Clare, la prima che riuscì a reagire di fronte alla situazione che agli occhi delle ragazze appariva del tutto senza senso.
-Non mangiate o bevete niente!- furono le parole che Max rivolse alle ragazze, ignorando l’ordine di Clare e continuando a tenere lo sguardo fisso su Fay. -Non toccate niente per nessuna ragione- ripeté, dopodiché si rivolse a Fay. -Sei stata tu, non è vero?-
Fay però non era in grado di pronunciare una parola e continuava ad emettere gemiti soffocati sempre più deboli e a graffiare la mano del vampiro nell’estremo tentativo di fargli lasciare la presa.
-Non puoi mentire, quindi ora dimmi perché l’hai fatto!- gridò Max. Il suo sguardo irradiava odio puro misto ad una furia che aveva in sé qualcosa di ferocemente animalesco.
Il visino da bambola di Fay si faceva sempre più cianotico ed i suoi movimenti sempre più deboli. Em capì che era sul punto di perdere i sensi e, se nessuna di loro avesse fatto qualcosa alla svelta, Max avrebbe potuto ucciderla.
-Se non la lasci andare non potrà risponderti!- esclamò infine.
Quelle parole ottennero fortunatamente l’effetto desiderato. Dopo un attimo di esitazione, gli occhi del vampiro persero la componente animalesca che iniziava seriamente a terrorizzare le ragazze, dopodiché il vampiro lasciò con riluttanza la presa sulla povera Fay, la quale cadde a peso morto sul pavimento e tossendo e rantolando.
Em fece per andare a soccorrerla, ma Max la fermò.
-Ma quale cazzo è il tuo problema?!- gridò Clare contro il suo ex, furiosa.
-Siete proprio delle ragazzine ingenue- rispose Max serio, continuando a tenere lo sguardo fisso su Fay che, tra un colpo di tosse e l’altro, stava cercando di riprendere a respirare normalmente.
-Di che diavolo parli? E soprattutto, perché continui ad irrompere all’improvviso nelle case altrui? Non hai niente di meglio da fare nella tua non-vita eterna?- chiese Clare, ancora visibilmente alterata.
-La vera domanda è come mai ti ostini a circondanti di persone così poco affidabili- rispose lui. -Vedi questa dolce creaturina? Nonostante il suo aspetto innocuo, in realtà appartiene ad una delle specie più perfide, astute e pericolose dell’Oltremondo. La piccola Fay, altri non è che una fata. E no, non mi riferisco alle fatine buone delle fiabe, né tantomeno a quelle che portano soldi ai bambini in cambio dei loro denti da latte. Parlo di creature dall’aspetto bellissimo, etereo, apparentemente affidabile, innocente e vulnerabile, ma che in realtà nascondono un’indole furba, subdola e malvagia…-.
-Siamo in vena di ragionare per luoghi comuni, a quanto pare- lo interruppe Fay, con voce flebile ma decisa, mentre con difficoltà tentava di rimettersi in piedi. –Allora aggiungiamo anche che i vampiri vengono tutti dalla Transilvania e sanno pensare solo al sangue delle vergini, che il nuoto è lo sport più completo, che ormai in tv danno solo sesso e violenza e che i giovani di oggi non sanno più cosa sia il rispetto. E, per la cronaca, non sono una fata, sono un ibrido: creatura fatata da parte paterna, essere umano da parte materna. Non ho giurato fedeltà a nessuna delle Corti, di conseguenza non appartengo e non agisco per conto di nessuna di queste-.
La ragazzina a quel punto fu costretta ad interrompersi per poter tossire nuovamente.
-Inoltre, mio zannuto e prevenuto amico- continuò. -Le ragazze non corrono alcun pericolo: in casa non tengo cibo fatato, so perfettamente che farlo mangiare con l’inganno agli umani è illegale. E poi il sapore di quella roba mi ha sempre fatto schifo-.
Serena, Em e Clare si fissarono a vicenda, incredule. Improvvisamente, della ragazzina timida dall’aspetto quasi infantile sembrava non essere rimasta alcuna traccia. I suoi occhi, prima sfuggenti, ora fissavano decisi quelli di Max.
Solo in quel momento Em notò una cosa proprio in merito agli occhi della ragazzina di cui nessuna delle presenti sembrava essersi ancora accorta: il colore delle iridi, esattamente come quello dei capelli, sfumava dall’azzurro esterno, al viola che circondava la pupilla.
-Nelle mie vene scorre sangue fatato, è vero, ma le caratteristiche che ho ereditato da mio padre sono limitate: alcune doti magiche e l’incapacità di mentire-.
-E ti presenti come Fay, cioè fata, per nascondere la tua vera identità senza dover alterare la realtà- ragionò Max.
-Impari ad aggirare la verità in mille modi diversi se non puoi dire bugie e quello che fai per vivere ti costringe a rivelare il meno possibile su te stesso- spiegò l’interessata.
-Perché hai bisogno di nascondere la tua identità? Cosa sei, una specie di spia?- chiese Serena. C’era dell’evidente sarcasmo nella sua voce, ma casualmente si avvicinò di molto alla risposta esatta.
-Sono un Guardiano al servizio della Fratellanza dell’Oltremondo- precisò Fay, o qualunque fosse il suo nome.
-Lo sapevo, solo un maledetto sicario poteva avere fatto quello che hai fatto tu!- l’accusò Max in tono sprezzante, pronunciando la parola “sicario” come fosse stato il peggiore degli insulti che potesse rivolgere a Fay. Era infatti evidente che a stento riuscisse a trattenersi dall’aggredirla di nuovo. –Solo voi siete in grado di fare un lavoro tanto preciso e tanto sporco al tempo stesso-.
Fay non reagì in alcun modo alle parole di Max. Si limitava a massaggiarsi il collo nel punto in cui il vampiro l’aveva stretta poco prima e a fissarlo con aria quasi di sfida, nonostante Max torreggiasse su di lei aspettando solo il minimo pretesto per afferrarle di nuovo il collo, ma stavolta con la ferma intenzione di romperlo.
-Ehm…scusate se vi interrompo ma, prima di continuare a discutere e a tentare di ammazzarvi a vicenda, vi dispiacerebbe illuminarci sulla situazione?- s’intromise Serena, cercando di smorzare la tensione di cui la stanza era satura.
-Serena, non è il momento- rispose Max, continuando a tenere gli occhi puntati su Fay. Non batteva nemmeno le palpebre. –È una questione troppo grande e delicata per…-
-Per chi? Per delle comuni ed ignorati mortali come noi?- lo interruppe Clare, avanzando decisa verso il vampiro.
Quest’ultimo, pur non distogliendo nemmeno per un istante lo sguardo dalla mezza fata, alzò la mano in direzione della sua ex, in un gesto che voleva impedirle di farla avvicinare ulteriormente, ma lei, senza esitare, lo sfidò oltrepassando il limite che Max stava tentando di imporle e fermandosi a pochi centimetri da lui.
-Non era quello che volevo dire- tagliò corto Max, capendo di aver usato le parole meno appropriate alle circostanze. –Ma ora, per favore, allontanati da qui. Tu e anche le altre. Andatevene-.
-No- rispose prontamente Clare.
-Perché devi essere sempre così irragionevolmente testarda?- domandò lui, alterato.
-E perché tu devi ad essere sempre così incoerente?- ribatté lei. –Neanche due giorni fa mi supplicavi di perdonarti per tutto quello che mi hai fatto passare, promettendo che non mi avresti più tenuto nascosto niente, a prescindere da tutto-.
Em notò la fermezza e l’ostilità impresse nel volto di Max vacillare sempre di più ad ogni parola che Clare pronunciava e ne rimase colpita. Non credeva che fosse possibile per una normalissima ragazza avere un così forte ascendente su un vampiro, ma in quel momento cominciò a ricredersi.
-Ho deciso di concederti una seconda possibilità perché ero certa che fossi sincero. Non farmi pentire della mia scelta, se davvero ci tieni- aggiunse la ragazza.
Max emise un lungo sospiro dopodiché, pur continuando a tenere ogni suo muscolo in tensione, pronto a scattare nel caso Fay avesse compiuto il minimo movimento sospetto, finalmente rivolse lo sguardo verso Clare.
-Questa situazione è molto più complessa di quello che credi- l’avvertì.
-Beh, in un modo o nell’altro ormai siamo coinvolte anche noi, quindi tanto vale dirci chiaramente come stanno le cose- ribatté Serena, dopodiché si rivolse a Fay. –Tanto per cominciare, mi piacerebbe sapere qual è il tuo vero nome, perché sei qui, come mai ti sei interessata a noi, cosa diavolo è un sicario e, già che ci siamo, perché Max ha così tanta voglia di ucciderti-.
La mezza fata lanciò uno sguardo verso il vampiro, il quale le rivolse riluttante un cenno di assenso, come per accordarle il permesso di rispondere alle domande di Serena.
-Come ho già detto, sono un Guardiano al servizio della Fratellanza, più comunemente detto “sicario”, anche se quest’ultimo titolo ci era stato affibbiato inizialmente con intento dispregiativo. Gli appartenenti all’Ordine dei Guardiani in un certo senso sono simili agli agenti di polizia del vostro mondo. L’intero Ordine è composto esclusivamente da esseri come me, ibridi. Veniamo reclutati ed addestrati con il solo scopo di far rispettare le leggi che garantiscono la pace tra le creature che appartengono all’Oltremondo-
-Il Codice- precisò Serena che, secondo Em, non vedeva l’ora di mettere in mostra tutta la sua preparazione in merito alle usanze del mondo soprannaturale.
-Esatto. Per quasi tutti noi questo mestiere è la sola possibilità di riuscire a convivere in modo soddisfacente con entrambe le dimensioni da cui proveniamo. Essendo ibridi non siamo considerati parte di nessuno dei due ma, al tempo stesso, non possiamo vivere rinunciando ad uno di essi e al momento la Fratellanza è l’unica che ci permette di guadagnarci da vivere senza dover rinunciare ad uno dei due mondi-spiegò la mezza fata. –Il nostro compito consiste principalmente nel preservare la tregua stipulata circa un migliaio di anni fa dalla maggior parte delle specie che voi umani definite “soprannaturali”, quella che in seguito è diventata la Fratellanza, anche se devo ammettere che questo nome da l’idea di una cosa molto più amichevole di quello che è in realtà-
-Identitas et aequitas- aggiunse Serena. -Identità ed equilibrio, i valori su cui è stata istituita la Fratellanza, nonché il suo motto-
-Serena, lo sappiamo che sei abbastanza documentata sull’Oltremondo da poter conseguire una laurea ad honorem ma, per favore, potresti lasciare parlare Fay per più di due minuti senza interromperla?- la rimproverò Em, suscitando non poco stupore da parte dei presenti, abituati alla sua mitezza e alla sua propensione al silenzio.
Per qualche istante, nessuno dei presenti disse niente e si limitarono a scambiarsi qualche occhiata. Poi Fay riprese a parlare.
-Se c’è il sospetto che qualcuno appartenente alle specie legate alla Fratellanza stia infrangendo le leggi, allora i sicari vengono incaricati di occuparsi del problema, ossia di indagare sul presunto reato e di risolvere la questione. Nella maggior parte dei casi, il colpevole viene condotto al cospetto dei rappresentanti della Fratellanza per essere giudicato…-
-Ma non è quello che hai fatto con Will, vero?- l’accusò Max gridandole contro, non riuscendo più a trattenersi. -Ti aveva scoperto, aveva capito chi eri veramente, per questo lo hai ucciso, perché non ti fosse d’intralcio durante chissà quale stupida indagine!-.
Le ragazze, nonostante in un modo o nell’altro avessero tutte avuto modo di conoscere l’ira dei vampiri, di fronte alla furia di Max non riuscirono a non spaventarsi. Era ormai giunto al limite della sopportazione, il suo autocontrollo vacillava e sembrava pronto a saltare addosso a Fay e a squarciarle la gola alla prima parola o mossa sbagliata.
-Che c’entra adesso Will?- domandò Clare. –Non mi dirai che…No, non posso crederci, hai fatto tutta questa scenata perché sei convinto che sia stata lei ad ucciderlo? Lei?! Guardala, peserà sì e no quarantacinque chili per un metro e mezzo…-
-Clare, senza offesa, ma nessuna di voi sa niente dei Guardiani, né di cosa sono capaci- la interruppe lui, in tono abbastanza risoluto da spingere la ragazza a non replicare.
Per un breve attimo, Em notò qualcosa nello sguardo di Max che andava oltre la rabbia cieca che stava dimostrando, qualcosa che molto probabilmente era la ragione portante che stava spingendo il vampiro a comportarsi in quel modo così impulsivo: disperazione.
Pur non condividendo il modo in cui Max stava affrontando quella spiacevole situazione, Em in qualche modo lo capiva. Questa volta non si trattava dei volubili capricci di un vampiro annoiato, ma della morte di quello che per Max doveva essere stato ben più di un semplice amico: era quanto di più vicino avesse ad un familiare e, in quanto tale, meritava giustizia. Anzi, vendetta.
Al contrario delle altre ragazze, reazione di Fay all’atteggiamento ostile di Max consistette nel roteare gli occhi azzurro-viola, incrociare le braccia e sospirare, cosa che sfidò non poco l’esigua dose di autocontrollo rimasta a Max.
-Pensi forse che sia una giustiziera?- chiese.
-Perché, vuoi negarlo? Ti ricordo che non puoi mentire- sibilò lui.
-D’accordo, come vuoi. Non sono una giustiziera. Contento?-.
Per un momento, la sicurezza di Max vacillò. Evidentemente aveva irrotto nell’appartamento con delle precise e radicate convinzioni e Fay doveva averne appena disattesa una.
-Allora nega anche di aver ucciso Will- la sfidò lui. -Negalo e io me ne andrò senza dire o fare altro, anzi, mi scuserò formalmente- la sfidò lui.
A quelle parole, sul soggiorno di Fay calò un silenzio glaciale. La stanza improvvisamente si svuotò di ogni suono o voce. Max, Clare, Em e Serena rivolsero uno dopo l’altra il proprio sguardo verso la giovane mezza fata, mentre, ad ogni secondo che passava, il vuoto lasciato dal silenzio veniva colmato con una verità sempre più chiara, una nuova, sconvolgente certezza: Fay, o qualunque fosse il suo nome, aveva ucciso Will.
 
***
 
Dal diario di Clare, 27 ottobre:
 
«[…]Eravamo in una situazione a dir poco paradossale: più cercavamo di capire cosa stesse succedendo, meno le cose si facevano chiare. Era tutto terribilmente assurdo ed incasinato, per non parlare dell’enorme quantità di domande che per me, Aly e Serena ancora non avevano trovato una risposta.
Com’era riuscito Max ad entrare pur non essendo stato invitato?
Qual era il vero nome di Fay?
Per quale motivo era qui e perché si era avvicinata a noi?
Che cos’era una giustiziera?
Ma soprattutto, per quale ragione aveva ucciso Will?
A quel punto però abbiamo dovuto mettere da parte la nostra curiosità perché dopo la tacita confessione di Fay le cose sono irrimediabilmente precipitate e Max non ha più avuto alcuna ragione per continuare a sforzarsi di controllare la sua furia[…]»
 
L’unica ragione che in quel momento impediva a Max di aggredire l’ibrido per ucciderlo nel modo più fantasioso e sadico che gli suggerisse il suo istinto non era il suo autocontrollo, di quello ormai non era rimasto nulla. No, a frapporsi tra lui ed il suo obbiettivo c’era solo Clare.
Clare, che lo conosceva troppo bene per non capire che ormai si trovava sul punto di cedere ai suoi istinti peggiori, ai suoi impulsi più violenti e feroci, nonostante gli anni passati a cercare non di reprimere, ma di dominare tutto ciò. Perché nonostante tutto, lui era anche questo, aveva solo imparato ad esserlo nei momenti opportuni, come quando cacciava nei boschi o quando era assieme a quelli del suo clan. La sua famiglia.
Una famiglia che però, per quanto avesse sempre dimostrato di amarlo, era certo che non avrebbe mai accettato la sua diversità.
Quel pensiero lo attraversò, improvviso e rapido come un proiettile d’argento, facendogli quasi del male fisico, sensazione che, prima di approdare in quella città ed incontrare Clare, non provava più ormai da molti più anni di quanti potesse contarne.
Prima di quel momento, l’ultima volta che aveva provato lo stesso genere di sofferenza risaliva a quando era stato quando si era costretto a troncare quella che per lui era stata una relazione di copertura, ma che per la ragazza era stata invece la prima autentica storia d’amore della sua vita. Spezzandole il cuore nel peggiore dei modi voleva assicurarsi che lei non avrebbe più provato a tornare da lui e che, nel caso fosse invece stato Max ad avere la tentazione di tornare sui suoi passi, Clare l’avrebbe odiato a tal punto da non cedere per alcuna ragione a qualunque suo tentativo di riconciliazione.
Eppure, nonostante tutto ciò che si era ripromesso, non era riuscito a stare lontano da lei per più di qualche mese e così, pur sapendo che in quel modo avrebbe reso vani tutti i suoi sforzi per non soffrire e non far soffrire la ragazza più di quanto non avesse già fatto, aveva scelto di osservare da lontano il procedere della sua vita, decidendo di intervenire solo quando aveva capito che la situazione per lei stava ormai precipitando.
In realtà, prima che si presentasse senza preavviso a casa dell’amica d’infanzia di Clare – sempre che si potessero definire “amici” lei e tutti gli altri presenti – c’erano state un paio di occasioni in cui non era riuscito a resistere ed aveva tentato di ripristinare il loro rapporto, sperando che per qualche assurdo motivo lei avrebbe capito da sola come stavano le cose e quanto lui ne stesse soffrendo.
Il piano che aveva precedentemente messo in atto però aveva funzionato anche troppo bene e ciò era stato ampiamente dimostrato dai ripetuti rifiuti di Clare di fronte alle sue richieste di chiarimento. Chissà quanto le dovevano essere costati, con quale forza doveva essersi aggrappata alle promesse fatte a sé stessa di non cedere alle sue lusinghe nonostante una parte di lei desiderasse disperatamente assecondare le sue richieste. A Max tornò in mente l’ultimo di quegli episodi, risalente solo a poche settimane prima, durante il quale aveva fatto irruzione nella classe in cui si trovava Clare ed era arrivato persino ad infrangere il Codice soggiogando il professore per convincerlo a lasciarla uscire dalla classe, così da poterle finalmente parlare.
Invece lei non aveva ceduto nemmeno quella volta, anche se nei suoi occhi aveva visto chiaramente la lotta contro sé stessa scatenata dalla forte tentazione a cui lui l’aveva messa di fronte.
Clare era sempre stata una ragazza forte. Peccato solo che quel suo pregio spesso venisse eclissato dalle stesse insicurezze che cercava in tutti i modi di nascondere.
A parte Cameron, Clare era stata la prima a cui aveva rivelato il suo segreto e lei si era dimostrata molto più comprensiva di quanto non avrebbe mai potuto sperare. Confessarle di essere omosessuale non era stata una cosa programmata, non si era preparato un discorso scegliendo con cura le parole adatte, come tante volte aveva immaginato di fare con Will, Evelyn o Xavier. Era stata una scelta impulsiva, sulle cui conseguenze non aveva riflettuto. Aveva visto solo il bel viso di Clare, lo stesso viso che lei si ostinava a nascondere sotto i cappucci delle felpe, rigato dalle lacrime e aveva capito che non poteva continuare a nasconderle la verità. Se c'era qualcuno che aveva il diritto di sapere, quella era lei. Era il minimo che le doveva dopo tutto quello che aveva fatto per lui nonostante il modo in cui Max l’aveva ripagata.
Di sicuro lei non aveva idea di quanto la sua sola presenza l’avesse aiutato, invece lui l’aveva solo ferita, cercando oltretutto di convincersi di averlo fatto per il suo bene.
Al vampiro tornarono per un momento in mente i tempi in cui aveva realizzato che la ragazza che aveva accanto e che aveva scelto solo come copertura e nutrimento, non era nemmeno lontanamente simile alla maggior parte delle altre ragazze che aveva finto di amare durante quei quasi mille anni della sua esistenza. Anche lei ogni giorno era costretta ad indossare una maschera che non rifletteva per niente la sua vera personalità e in base alla quale le persone la giudicavano. La sola differenza con quella di Max era che lei non aveva avuto scelta. Se lui la portava per evitare di rimanere solo, Clare era stata costretta a portarla a causa delle perfide voci e delle insinuazioni sul suo conto, la maggior parte delle quali non aveva alcun fondamento e da cui non le era nemmeno stata data la possibilità di difendersi. Era diventata la cattiva ragazza prima ancora che qualcuno potesse darle anche solo una possibilità di mostrare chi era davvero, intrappolandola nel limbo del pregiudizio.
Max ricordò la sera in cui lei gli aveva sussurrato le parole che in un mondo perfetto avrebbero dovuto rappresentare l’apice della felicità nella loro vita insieme.
Mi sto innamorando di te”.
Parole pronunciate quasi in un soffio, un sospiro sulle labbra dopo un suo bacio.
Ricordava anche il profondo senso di colpa che l’aveva attanagliato nei giorni seguenti e quanto ardentemente avesse desiderato addormentarsi per poi svegliarsi il giorno dopo e scoprire che tutti i suoi problemi si erano risolti, che era finalmente in grado di ricambiare i sentimenti di quella ragazza che lo stava facendo sentire vivo come non gli accadeva da tempo immemore, esattamente nel modo in cui lui avrebbe voluto e che lei avrebbe meritato.
E, nonostante tutto, lei non solo non era mai riuscita ad odiarlo, ma addirittura non aveva mai smesso di amarlo.
In un mondo ideale, Clare sarebbe stata senza dubbio stata la sua anima gemella, la persona per la quale aveva attraversato quasi un millennio e che avrebbe scelto di trasformare per averla accanto fino alla fine. Ma quelo in cui vivevano non era il mondo perfetto. Era il mondo in cui la sorte amava cambiare le regole, che si divertiva a prendere le cose già difficili per renderle impossibili, nel contorto gioco dell’esistenza.
La sua Clare, che non appena aveva notato i muscoli di Max contrarsi, pronti a scattare in direzione di Fay, si era frapposta tra lui e il suo obiettivo, coprendolo facilmente data la minuta corporatura di colei che voleva difendere. Qualcuno di cui non conosceva assolutamente nulla, nemmeno il vero nome.
Guardandola in quel momento, inerme e vulnerabile mentre cercava di riprendersi in fretta dall’aggressione subita poco prima per prepararsi allo scontro con una creatura che alle spalle aveva secoli di esperienza più di lei, sembrava una bambina. Anche guardandola meglio non dimostrava più di quattordici anni. In realtà Max Sapeva che ne aveva molti di più, considerando il fatto che per essere ufficialmente nominato Guardiano, oltre ad un lungo addestramento specifico, era richiesto anche il compimento del diciannovesimo anno di età.
L'ibrido emise un altro colpo di tosse.
-Se non sei una giustiziera, perché lo hai ucciso? Perché hai ucciso Will?- ringhiò Max.
-Qualcuno può gentilmente spiegarci cosa diamine è una giustiziera?- s’intromise Serena, sull’orlo dell’esasperazione.
-I giustizieri sono ex Guardani radiati dall’Ordine. Il nostro non è un lavoro semplice e, nonostante ciò che ci insegnano all’accademia, spesso è difficile non rimanere personalmente coinvolti dalle realtà che dobbiamo affrontare nei nostri compiti. Identitias et aequitas, identità ed equilibrio, non sono solo il motto della Fratellanza ma fanno parte anche del nostro giuramento e riassumono i valori che ognuno di noi deve sempre tenere a mente: perseguire gli obbiettivi assegnatici senza dimenticare chi siamo e cosa rappresentiamo e ricordare di affrontare ogni situazione da un punto di vista neutrale, razionale, mantenendo il distacco emotivo necessario a non farci influenzare e ad evitare di compromettere la nostra capacità di giudizio. Purtroppo però talvolta alcuni di noi dimenticano tutto questo e, per un motivo o per l’altro, si lasciano coinvolgere, mettendosi ad applicare le leggi dell’Oltremondo a loro piacimento secondo il loro giudizio personale e morale. Ci sono varie categorie di giustizieri: i più comuni sono i fanatici convinti che il codice sia troppo permissivo e che di conseguenza vedono infrazioni e pratiche illegali ovunque. Spesso si arrogano il diritto di decidere e mettere in atto la punizione per i “criminali” che catturano. Altri molto comuni sono gli anarchici che si uniscono a coloro che vorrebbero eliminare la Fratellanza e far precipitare entrambi i mondi in una guerra eterna. Poi ci sono i razzisti che lottano perché una sola specie domini tutto l’Oltremondo e, anche se meno numerosi, esistono anche gli idioti che si fanno intortare dall’oggetto della loro indagine e che creano un caos infinito in nome di quello che chiamano “vero amore”, ma che quasi sempre alla fine si rivela frutto di un plagio il cui finale spesso e volentieri fa sembrare quello di Romeo e Giulietta un lieto fine stile Disney- spiegò la mezza fata, dopodiché si rivolse a Max con aria per nulla intimorita nonostante l’aggressione con tutti i presupposti per risultare mortale dalla quale c’era solo Clare a dividerla. -Sono stata inviata qui per trovare e catturare un vampiro a cui a quanto pare piace uccidere e creare disordini almeno quanto ama fregarsene del Codice-.
-Quello non poteva essere Will!- tuonò Max. -Lo conoscevo da quando Xavier lo aveva trasformato, più di duecento anni fa. Non ha mai trasgredito nemmeno alla più sciocca delle regole!-
Il momento in cui Max concluse la frase coincise con quello in cui l’ibrido riuscì finalmente a rialzarsi, anche se in modo un po’ incerto.
-Infatti non era lui quello che cercavo- precisò l’ibrido. Max fu sul punto di parlare di nuovo, ma lei lo anticipò, immaginando già ciò che fosse sul punto di chiederle. -Non era lui, ma conosceva l’identità di chi stavo cercando. Sapeva cosa faceva, sapeva che era proibito ma, anziché denunciarlo, l’aveva coperto. Quando sono arrivata in città è stato uno dei primi ad accorgersi della mia presenza, a capire chi fossi e perché fossi qui. Così, non appena ne ha avuta l’occasione, mi ha minacciata intimandomi di non intromettermi. Quando ha capito che non gli avrei obbedito, ha tentato di uccidermi. Mi sono dovuta difendere, non ho avuto scelta. Quello scontro, per come la vedeva lui, non contemplava la possibilità che ne uscissimo entrambi vivi-.
Il resto della storia non fu mai espressa chiaramente. La parte che culminava con l’uccisione di Will rimase un sottointeso, sia per non ferire ulteriormente Max, sia per non rischiare di alimentare ancora la sua ira.
Il sicario, una volta concluso il suo racconto, fece cenno a Clare di spostarsi, la quale la assecondò pur continuando a tenere d’occhio Max. Se solo l’avesse fatto qualche momento prima, probabilmente il vampiro non avrebbe perso tempo e le sarebbe saltato addosso intenzionato, proprio come Will, ad affrontarla in una lotta all’ultimo sangue. In quell’istante tuttavia era troppo confuso per riuscire a concentrarsi su qualcosa in particolare. Era una sensazione che non provava da tempo, abituato com’era ad avere tutto sotto controllo.
L’ibrido non poteva mentire, certo, ma poteva manipolare la realtà per crearne una versione distorta, che mirava ad essere fraintesa di proposito. L’aveva ammesso lei stessa poco prima. Eppure le parole che aveva usato erano state chiare e concise. Non sembrava potessero contenere una seconda rilettura.
Per quanto fosse difficile capacitarsene, Will aveva protetto un altro vampiro reo di aver infranto le leggi del Codice ed era addirittura morto per difenderlo. Ma per quale motivo? Will non era così, non lo era mai stato. Non si limitava a rispettare le leggi del Codice con riluttanza come facevano molti altri vampiri, ne aveva sempre condiviso gli ideali. Perché di punto in bianco avrebbe dovuto…
-Xavier!- affermò, colpito da un’improvvisa rivelazione. -Un vampiro è tenuto ad obbedire solamente al suo creatore. Xavier aveva trasformato Will. Se lui gli avesse ordinato di proteggere il suo segreto a qualunque costo, Will sarebbe stato costretto a farlo-
-Ottima deduzione- rispose Fay. -Tuttavia errata. Ho scoperto la sua identità di recente. Molto di recente. In effetti ho avuto la conferma dei miei sospetti solo oggi. Il vampiro che sto cercando si rende responsabile degli omicidi di giovani donne da circa trecento anni a questa parte e la Fratellanza gli da la caccia da ben prima che l’omicidio per sostentamento diventasse illegale. Quando sono stata inviata qui non avevo idea che fosse proprio lui quello che stavo cercando. L’ho capito solo man mano che raccoglievo indizi-
-Non girarci troppo intorno, vieni al dunque. Di chi si tratta?- chiese Clare, impaziente.
-Questo vampiro ha la fama di vero romantico. Naturalmente conquista facilmente le donne ma, una volta che loro hanno ceduto al corteggiamento, subentra in lui una personalità estremamente gelosa e possessiva. Vede un rivale in ogni uomo che abbia a che fare con la sua fidanzata e questo fa accrescere le sue ossessioni fino a quando non decide di “trasformare” la ragazza in questione per farla sua in eterno, ma…beh, ecco, lui non le trasforma, quando le morde. I Guardiani che hanno studiato il caso prima di me ritengono che, secondo lui, nemmeno il vincolo tra creatore e creato sia sufficiente per garantire la totale devozione della ragazza nei suoi confronti e quindi…-
-…le uccide- completò Em, quasi sottovoce e fissando un punto indefinito della stanza. -In questo modo, nella sua perversa convinzione, restano sue in eterno-
-La sua mentalità è identica a quella di un serial killer-.
-E lui una volta che ha scelto la sua preda, la isola e la convince del fatto che lei non può essere di nessun altro, che gli appartiene- aggiunse Em.
-Solo allora ne fa la sua sposa eterna- completò Fay.
Solo allora gli occhi di Em incontrarono quelli della mezza fata e le due si scambiarono uno sguardo eloquente . A quel punto la verità era ormai chiara a tutti.
-Quel vampiro- disse Em. -Si chiama Elijah Thompson, non è vero?-



*N.d.A. Lo so, sono imperdonabile, tuttavia tra il computer in assistenza (per l'ennesima volta), l'ispirazione che scarseggiava e tutti i miei impegni estivi, non ce l'ho fatta ad aggiornare prima, sorry. In compenso, oltre a questo, al momento ho un altro paio di capitoli che aspettano solo di essere revisionati e pubblicati. Ancora una volta grazie per l'infinita pazienza! :)*

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Capitolo 13
*** Sopravvissuta ***


Dal diario di Em, 28 ottobre:
 
«[...]In sostanza, sono una sopravvissuta. Tutta la mia vita  stata un continuo sopravvivere, a partire dal mio concepimento. Sono sopravvissuta al tentativo dei miei nonni di convincere mia madre ad abortire. Sono sopravvissuta alla decisione di mio padre di andarsene e fingere che io non sia mai esistita. Sono sopravvissuta al trasloco, alla perdita dei miei parenti più prossimi a causa dei continui litigi con mia madre, alla nuova scuola, a Sean e ad Elijah.
Almeno fino ad ora.
Ero sempre stata convinta che a tenermi in vita, la sera in cui ho definitivamente rotto con lui, fosse stata la sua promessa di non farmi del male in alcun modo. Ora invece ho scoperto che  stato proprio il mio rifiuto di assecondare le sue richieste a salvarmi. Perché, secondo Fay, se gli avessi permesso di mordermi, non mi avrebbe trasformata, ma uccisa. Certo, sarebbe stata una chiara violazione del nostro accordo, ma, stando a quello che ho appreso, probabilmente nella sua mente lui l’avrebbe visto più come un modo (decisamente perverso e discutibile) di farmi sua per l’eternità.»

Tu per me sei quella stella. Ti prego, lascia che io sia per sempre il tuo cielo, la notte che ti consentirà di splendere in eterno”.
Con quelle parole, Eli le aveva chiesto il permesso di ucciderla.
Erano rimaste indelebilmente impresse nella sua memoria già da quando aveva creduto che volesse trasformarla. Ora che conosceva il vero significato, la vera intenzione che si celava dietro quella supplica, Em non poteva fare a meno che sentirsi confusa, incredula ma, soprattutto, tremendamente fortunata.
Aveva passato buona parte dell’ultimo anno chiedendosi cosa sarebbe successo se avesse semplicemente rifiutato di incontrarlo quella fatidica ultima volta. Avrebbe dovuto dare un taglio netto alla cosa senza tirarla troppo per le lunghe e forse non si sarebbe trovata a dover affrontare tutta quella situazione.
Del resto però, a formulare ipotesi col senno di poi e ad immaginare ciò che sarebbe potuto succedere facendo una scelta diversa da quella ormai compiuta, si sprecava solo tempo. Negli ultimi mesi infatti, Em aveva imparato a dare molta più importanza a questo fattore, troppo spesso dato per scontato o sottovalutato.
La ragazza, sdraiata sul suo letto ancora sfatto da quella mattina, sospirò piano mentre fissava le stelle fluorescenti che costellavano il soffitto della sua stanza. Continuava a pensare a quanto successo il giorno precedente e ciò che aveva scoperto.
Eli era un serial killer e non solo per una questione - già di per sé discutibile - di sopravvivenza. Uccideva perché ne sentiva l’impulso, il bisogno emotivo, perché lo voleva.
Stando a quanto le aveva riferito la guardiana, lei era l’unica vittima sopravvissuta di cui si aveva notizia ed Em non sapeva se esserne felice o meno, considerando che la mezza fata aveva anche aggiunto che Eli aveva rischiato più volte di farsi catturare pur di ottenere quello che voleva, ossia il sangue delle sue spose.
A quel punto era ormai quasi certo che Eli stesse usando Kelly per arrivare a lei. O forse, ipotesi ancora peggiore, il suo nuovo piano era quello di uccidere Em e fare di Kelly la sua vittima successiva.
L’unica cosa certa era che il suo ex stava progettando qualcosa, conoscendo il suo stile Em ipotizzò che si trattasse di un piano subdolo e sottile come le torture psicologiche che le aveva inflitto durante tutti quei mesi e che, dal suo punto di vista, contemplava almeno una morte: la sua.
Questo era stato l’argomento principale trattato durante il resto dell’assurdo pomeriggio del giorno precedente.
Una volta che Max era riuscito ad attenuare temporaneamente la sua rabbia sforzandosi di tenerla sotto controllo nonostante la difficoltà, lui e Fay avevano finalmente messo in chiaro un po’ di cose, a partire dall’identità di quest’ultima.
-Do per scontato il fatto che quello che vi abbiamo detto e che diremo non uscirà da questa stanza- si era raccomandata l’ibrida, passando in rassegna uno ad uno i volti dei presenti con sguardo serio per sentirsi confermare ciò che aveva appena detto.
Una volta che tutti avevano annuito, Max compreso, il clima attorno a loro si era fatto un po’ meno pesante.
-Okay, ora direi che possiamo continuare con gli ultimi chiarimenti- aveva sentenziato.
Serena era stata la prima ad approfittare del permesso concesso da Fay..
-Credo che un buon punto di partenza potrebbe essere quello di dirci chi sei davvero- disse, suscitando un consenso unanime.
-Il mio vero nome è Violet, ho vent’anni e, come vi ho già detto, sono un Guardiano…-.
-Vent’anni?!- aveva esclamato incredula Serena.
A giudicare dalla sua reazione, Fay, o meglio, Violet, probabilmente si era aspettata un commento di quel genere.
-Se non li dimostro è merito del sangue di fata. Il processo di sviluppo degli ibridi non segue tempistiche precise, la nostra crescita varia da individuo a individuo. Tra dieci anni potrei ancora essere così o dimostrare venticinque anni tra un mese. In entrambi i casi non ci sarebbe niente di strano. Inoltre sono troppo giovane per sapere se da mio padre ho ereditato l’immortalità ma, anche se così non fosse, la mia aspettativa di vita è di qualche centinaio d’anni. Prossima domanda?-
Em aveva approfittato di quell’occasione prima che Serena potesse riprendere nuovamente la parola. -Cosa sai di Elijah?-
Violet aveva rivolto lo sguardo verso di lei.
-Come ho detto prima, la Fratellanza da quando circa mille anni fa è stata creata, ha il compito di vigilare sull’Oltremondo, che riunisce quasi tutte le specie che gli umani definiscono “soprannaturali” sotto le stesse leggi e garantisce loro equi diritti. Tuttavia, molte delle creature più antiche, quelle che fino a quel momento avevano sempre vissuto nell’anarchia più totale che aveva preceduto l’istituzione della Fratellanza, non hanno accettato di buon grado le restrizioni imposte dai Rappresentanti e molti di loro hanno continuato ad infrangere le leggi del Codice Universale. Nel corso degli anni, queste leggi, che tra le altre cose regolavano  l’inconsapevole convivenza con gli esseri umani, sono cambiate, si sono evolute e non sempre con la piena approvazione di tutti. Ogni anno sono numerosi i vampiri, i licantropi e le creature di ogni specie che, nonostante siano giovani e non abbiano mai vissuto il periodo in cui la Fratellanza ancora non esisteva, si uniscono ai ribelli. Al momento il fenomeno è molto marginale e facilmente gestibile ma in passato i miei predecessori si sono trovati spesso ad affrontare delle vere e proprie guerre causate dalle leggi che venivano costituite limitando la libertà delle varie specie. L’ultima risale a circa un paio di secoli fa, quando venne ufficialmente abolita la legge che garantiva il diritto all’omicidio per sostentamento per sostituirla con quella attuale, che rendeva ufficialmente illegale l’omicidio degli esseri umani e di qualunque altra specie senziente-.
Violet si era interrotta per un attimo e si era guardata intorno per capire se le ragazze le stessero prestando attenzione nonostante la lunga ma necessaria premessa prima di arrivare a nominare Elijah. Era rimasta piacevolmente colpita quando aveva notato che sembravano tutte sinceramente interessate a ciò che stava raccontando, ad eccezione di Max, che però era giustificato in quanto aveva vissuto la vicenda in prima persona e probabilmente conosceva la storia meglio di lei, anche se non era sembrato per nulla desideroso di intervenire.
-Ne conseguirono numerosi scontri alla fine dei quali i ribelli vennero sconfitti e i superstiti vennero rinchiusi nelle prigioni del Demimondo, la dimensione artificiale creata dalla Fratellanza. Tutti tranne uno. Damien Elijah Thompson era stato trasformato solo pochi anni prima, tuttavia aveva già dato prova di possedere un’indole particolarmente violenta ed eccessivamente assetata di sangue sin dalla sua creazione. Già prima della guerra, durante il quale si era dimostrato un accanito sostenitore dei ribelli filo-anarchici, era stato accusato di compiere omicidi non necessari ai fini della propria sopravvivenza, ma in qualche modo era sempre riuscito a cavarsela. Era stato inizialmente catturato ma, anche se non è ancora ben chiaro come, è riuscito a fuggire facendo perdere da subito le proprie tracce-.
Violet si era concessa un istante di pausa durante il quale aveva emesso un lungo sospiro. -In conclusione, sono oltre duecento anni che l’Ordine dei Guardiani gli da la caccia. Lui continua a mietere vittime soprattutto tra le giovani donne e in qualche modo riesce quasi sempre scomparire prima che qualcuno riesca ad intervenire. In poche altre occasioni invece, ha ucciso i sicari incaricati di catturarlo-.
Le ragazze erano talmente rapite dalla storia che erano voluti loro alcuni istanti per capire che il racconto di Violet era concluso.
Subito dopo, Serena aveva rivolto ad Em uno sguardo che definire “allarmato” sarebbe stato l’eufemismo del secolo, reazione che l’altra ragazza aveva condiviso in pieno.
-Dobbiamo dirlo subito a Kelly- aveva detto Serena, alzandosi in piedi.
Violet era stata sul punto di intervenire, ma Max l’aveva anticipata.
-No! Non parlerete di tutto questo a nessuno, come avete promesso. Se Kelly è soggiogata non c’è modo di farle comprendere la gravità del pericolo in cui si trova ed inoltre lo direbbe subito ad Elijah-.
Em in quel momento aveva avuto una sorta di rivelazione. Da quanto tempo il vampiro seduto sulla poltrona di fronte a lei conosceva Elijah? Non lo sapeva, Eli non parlava spesso degli altri vampiri del clan o del loro rapporto con loro, di sicuro però ne faceva parte da molto prima che lui ed Em si incontrassero. Possibile dunque, che davvero Max non sapesse niente delle sue “brutte abitudini” o che comunque non avesse mai nutrito alcun sospetto? Le sembrava non poco strano, data la perspicacia di cui la sua specie tanto amava vantarsi. Si rivolse quindi a Max in modo piuttosto diretto, quasi accusatorio, nonostante lo conoscesse appena.
-Tu lo sapevi?- aveva chiesto. -Sapevi quello che faceva Eli?-
-No, non lo sapevo- aveva risposto Max in modo altrettanto diretto, guardandola negli occhi. Non era sembrato però infastidito dal tono di Em. -Eli ha sempre avuto qualcosa di strano. Si è unito a noi solo pochi anni fa ed ha subito messo le cose in chiaro: avremmo avuto la sua incondizionata lealtà in cambio del rispetto della sua riservatezza. Detta così non sembra esattamente “strana” come richiesta, ma lui nutriva un’ossessione fuori dal comune per sua privacy. L’unica volta che uno di noi ha osato aprire la porta della sua stanza…beh, diciamo solo che se io e Xavier non fossimo intervenuti in tempo, credo che lo stato di Tristan sarebbe passato da “non-morto” a “decisamente morto”. Dopo quell’episodio si è estinta qualunque possibilità di conquistare completamente la sua fiducia. Viviamo nella stessa casa, ci rispettiamo, ma non abbiamo nient’altro in comune-.
-Penso che l’unico modo per cercare di capirci qualcosa in più su questa storia sia cercare di estorcere qualcosa a Kelly. Senza ovviamente farle intuire che sappiamo- aveva concluso Em.
-Direi che questo è un lavoro per me- si era offerta Serena.
Violet aveva annuito in segno d’approvazione.
-Allora siamo d’accordo. Tu proverai a parlare con Kelly. Il resto di noi terrà gli occhi aperti. Se ci sono novità importanti fatemelo sapere e organizzeremo un altro incontro. Penso che sarebbe meglio per tutti se continuassimo a trovarci qui. Questo spazio è stato sottoposto ad ogni rituale e incantesimo di protezione conosciuto ed inoltre possiedo una discreta collezione di talismani e amuleti. È il posto più sicuro della zona-.
-Ne sei convinta anche dopo che il qui presente non-morto è quasi riuscito a farti fuori dopo aver sbriciolato la porta ed entrando senza problemi?- aveva chiesto Clare, indicando Max alle sue spalle.
-Sono abbastanza sicura che qualche giorno fa, probabilmente mentre indagava su di me, sia riuscito co qualche scusa a farsi invitare da mia madre ad entrare. Le voglio bene, credetemi, ma nonostante tutti i miei avvertimenti e le mie lezioni di difesa sul mondo soprannaturale, alle volte è un tantino ingenua. Del resto, se non lo fosse, dubito che io sarei mai esistita- disse, in tono ironico. -Solo non avevo capito che il tizio che avevo visto uscire ed allontanarsi dall’edificio mentre tornavo a casa fosse di un vampiro. Mia madre mi aveva solo accennato alla visita di un “affascinante ragazzo” e io non gli avevo dato troppo peso. Del resto lei è sempre ospitale con tutti, anche con i venditori porta-a-porta-.
A mettere ufficialmente fine a quella bizzarra e movimentata riunione ci aveva pensato proprio la madre di Violet, Vivienne, che era rincasata pochi minuti dopo tenendo tra le braccia due enormi sacchetti per la spesa che le occupavano quasi interamente la visuale. Appena varcata la soglia era inciampata nei suoi stessi piedi ed era stato solo grazie alla prontezza di riflessi di Max che la donna aveva evitato di finire a terra assieme alla sua spesa.
Una volta che il vampiro l’ebbe aiutata a rimettersi in piedi, la donna si era accorta della presenza dell’affascinante ragazzo che qualche giorno prima si era presentato sempre lì e di quanto insolitamente affollato fosse il suo appartamento. Nonostante quella visita imprevista, aveva rivolto a tutti un caloroso sorriso e li aveva invitati a rimanere per cena. Gli ospiti avevano rifiutato ringraziando comunque la donna per l’ospitalità e se n’erano andati. Solo quando si erano trovati a metà delle scale avevano udito il rimprovero della donna rimbombare per tutto il condominio.
-VIOLET! COS’È SUCCESSO ALLA PORTA?!-.

***

Nonostante fossero appena le quattro e mezza del pomeriggio, Em era quasi scivolata nel sonno quando udì il ronzio del citofono. Sua madre non sarebbe tornata dal lavoro prima di un’ora ed in quel momento la ragazza non desiderava altro che stare da sola, per cui decise di ignorare chiunque si trovasse dall’altra parte del cancello. Peccato però che quella persona non intendesse rinunciare tanto presto. Il citofono suonò ancora. E ancora. E ancora.
Em cominciò a borbottare tra sé una marea di parolacce in spagnolo.
Alla fine si arrese, si alzò dal letto e, con passo deciso, scese al piano inferiore a vedere chi insistesse tanto a rovinarle uno dei suoi sempre più rari momenti di pace. Andò in soggiorno e scostò appena la tenda della finestra che dava sulla strada per vedere chi ci tenesse tanto a disturbarla e la risposta la lasciò alquanto sorpresa: Sean.
Come mai era lì a quell’ora? Sapeva perfettamente che sua madre non sarebbe tornata dal lavoro prima delle cinque e mezza.
Proprio in quel momento il ragazzo premette nuovamente il pulsante ed il citofono suonò di nuovo. Em non aveva alcuna voglia di fingersi gentile, né di avere a che fare con persone che non sopportava; ce n’erano già fin troppe nella sua vita, in quel momento. Sean però in quel preciso istante alzò lo sguardo e incrociò quello di Em prima che quest’ultima avesse il tempo di tirare la tenda e fingere di non averlo visto.
Addio momento di beata solitudine pensò sospirando la ragazza, prima di recarsi riluttante ad aprire.
Solo qualche minuto più tardi, lei e Sean erano seduti in soggiorno. Lui sul divano, lei sulla poltrona di fronte.
Lui con lo sguardo sfuggente che tradiva l’evidente disagio in cui si trovava a causa della situazione in cui lui stesso si era infilato, lei con gli occhi diffidenti fissi su di lui che di certo non contribuivano ad alleviare nel ragazzo quella sensazione non molto confortevole.
I convenevoli di rito erano finiti neanche un minuto dopo l’ingresso di Sean, lasciando il posto ad un gelido silenzio che Em non sembrava avere alcuna intenzione di provare a sciogliere, anzi.
La ragazza lo fissava con una scrupolosità quasi eccessiva, come non aveva mai fissato nessuno. Non era mai stata il tipo di persona che si perdeva ad osservare la gente, annotandosi mentalmente ogni più piccolo difetto o segno particolare, ma Sean non era solo una persona incontrata per caso alla fermata dell’autobus o seduta accanto a lei in una sala d’attesa. Era, che le piacesse o meno, il compagno di sua madre. Un compagno con quasi dieci anni in meno.
-Dunque…- cercò di iniziare Sean.
-È inutile che stiamo qui a girarci attorno, quindi dimmi perché sei venuto a quest’ora anche se sapevi perfettamente che mia madre non era in casa- lo anticipò Em. Aveva parlato, ma il suo sguardo era rimasto lo stesso.
Per un momento, gli occhi castani di Sean guizzarono da una parte all’altra della stanza, come alla frenetica ricerca di qualcosa su cui posarsi che non fosse lo sguardo poco amichevole di Em. Non trovando una valida alternativa, alla fine emise un lungo sospiro come per prendere coraggio ed incrociò nuovamente gli occhi della ragazza, questa volta in modo più deciso.
-Non sono venuto per tua madre- spiegò. -Sono venuto per te. Speravo che potessimo parlare-.
Em continuava a fissarlo con aria torva, tuttavia Sean riuscì, anche se solo per un istante, ad intravedere una leggera nota di perplessità nell’espressione apparentemente impenetrabile della ragazza e capì quindi che, anche se sapeva che non lo avrebbe mai ammesso o dato a vedere, con quelle parole aveva catturato la sua curiosità e la sua attenzione.
-So di non esserti mai piaciuto. Probabilmente quando tua madre ti ha detto che stava uscendo con qualcuno hai immaginato un uomo con quindici anni più di me, elegante, affascinante e magari anche benestante…non certo un magazziniere ventisettenne con la passione per il rock vecchio stile-.
Decisamente pensò Em, ma non disse niente. Voleva astenersi dai commenti fintanto che non avesse capito dove Sean intendesse andare a parare.
- Non voglio che tu pensi che io sia come quei miei coetanei che cercano apposta di rimorchiare le cosiddette “cougar”. Sarò sincero: non avrei mai pensato di potermi innamorare di una donna più grande, dico davvero, ma Sarah…quando è arrivata in azienda non ho potuto fare a meno di notarla. Aveva la tipica espressione di chi si trova ad affrontare un contesto completamente nuovo ma, nonostante questo, non si è mai lasciata scoraggiare e, credimi, ne avrebbe avuti di motivi per farlo. Alcune delle sue colleghe sanno essere delle vere vipere e una donna bella, socievole e intraprendente come lo è tua madre ha suscitato in loro abbastanza invidia da incoraggiarle a tirare fuori il peggio di sé più di una volta-.
Em continuava ad ascoltare Sean fingendo che qualunque cose le dicesse non la scalfisse, ma dentro di lei, all’altezza dello stomaco, cominciò a sentire una sensazione per niente piacevole con cui purtroppo aveva già una certa familiarità: il senso di colpa. E ancora non sapeva che più Sean avrebbe continuato a parlare, più quella stretta allo stomaco si sarebbe fatta intensa. Sean però, ignaro di tutto questo, andò avanti.
-Ha pianto molte volte al lavoro, sai? Veniva rimproverata per le cose più assurde, presa di mira senza motivo, qualcuno ha addirittura messo in giro voci false e non molto lusinghiere su di lei e il suo passato…ma Sarah ha sopportato, e spesso ancora sopporta, tutto questo a testa alta. Almeno in pubblico. La prima volta che l’ho vista piangere è stato qualche tempo dopo che avevamo cominciato ad uscire. Durante la pausa pranzo mi ha chiamato in lacrime per chiedermi se potevamo incontrarci anche se solo per qualche minuto ed è stato allora che mi ha raccontato di quanto le toccava subire praticamente ogni giorno in ufficio. Si è sfogata come probabilmente non aveva mai fatto con nessuno fino ad allora, nonostante ne avesse tremendamente bisogno. Alla fine non ho potuto fare a meno di chiederle come mai si ostinasse a continuare visto che, con le sue capacità, avrebbe potuto far carriera ovunque. Sai lei cosa mi rispose?-
Em scosse la testa anche se in cuor suo aveva già intuito la risposta.
-Mi disse che lo faceva per sua figlia, per te. Quel lavoro era il più retribuito che era riuscita a trovare e cambiarlo significava trasferirsi di nuovo o essere pagata meno. Quindi preferiva sopportare qualche angheria da parte delle sue colleghe piuttosto che privarti di qualcosa-.
Al senso di colpa che già la stava torturando pesantemente, si aggiunse uno strettissimo nodo alla gola che per un momento la fece sentire come se faticasse a respirare.
-Quando le ho chiesto di te, le ho visto letteralmente gli occhi illuminarsi. In realtà succede ogni volta che lo fa, ma quella volta ne rimasi particolarmente colpito: improvvisamente sembrava non esistesse più nessun problema, o che fossero diventati improvvisamente tutti sopportabili. Mi raccontò di te, del fatto che andavi bene a scuola e che non le avevi mai dato modo di preoccuparsi. Ma aveva aggiunto anche che eri timida e che per te non era facile fare amicizia, ragion per cui passavi la maggior parte del tempo da sola. La sera in cui Sarah mi ha invitato a casa vostra per la prima volta…beh, diciamo solo che mi sono sentito un po’ in imbarazzo e anche in colpa per la situazione che ne è scaturita. Pensavo che ti avesse parlato di me in modo un po’ più approfondito e mi è dispiaciuto molto per come sono andate le cose da quella volta in poi. Non si può certo dire che siamo partiti col piede giusto, però pensavo che col tempo avremo imparato a conoscerci- fece una pausa.
Questa volta toccò ad Em ad abbassare lo sguardo per la prima volta dall’inizio di quell’inaspettata conversazione.
-Ma dopo un po’ mi sono dovuto arrendere al fatto che quest’aspettativa non fosse reciproca- concluse.
Em, che ancora non aveva rialzato gli occhi, si morse il labbro inferiore. Fino a solo qualche minuto prima non si sarebbe mai aspettata di pensare una cosa del genere, ma… stava rivalutando Sean. Aveva conosciuto solo uno degli uomini con cui era uscita sua madre prima di lui e non ne conservava un bel ricordo. Si erano incontrati per caso, una sera in cui lui, un tizio di nome Greg, era passato a prendere Sarah e lei, in via del tutto eccezionale, l’aveva fatto entrare in casa. Em aveva circa dodici anni e stava aspettando l’arrivo della baby-sitter. Mentre la donna finiva di prepararsi, la ragazzina era rimasta per qualche minuto da sola con l’uomo, che esteriormente era esattamente il genere di persona che avrebbe sempre immaginato per sua madre: alto, elegante, dall’aria seria e suo coetaneo. La ragazzina però non aveva nemmeno avuto il tempo di finire di formulare quella positiva prima impressione che l’uomo aveva detto qualcosa del tipo: “Tua madre mi aveva detto che eri una bambina, ma a me sembri una ragazza grande ormai. Non dovrebbe essere un problema per te se per stasera la mamma dorme fuori, vero?”.
Nonostante la giovane età, Em aveva compreso i sottointesi dietro le parole pronunciate in quel modo appositamente per apparire innocue e il tono di voce rassicurante dell’uomo. Da quel momento aveva deciso di non voler avere più niente a che fare con i fidanzati di sua madre nonostante quest’ultima, dopo aver udito quelle parole per caso, avesse rotto con Greg-il-viscido quella stessa sera.
-Emily, io non posso sapere cos’hai passato, né quali siano state le tue esperienze. In parole povere, non so quasi niente di te. Una cosa che so invece con assoluta certezza è che amo Sarah e che voglio costruire una vita con lei. Non riesco ad immaginare un futuro migliore, però…-
-…però io sono d’intralcio al tuo piano da “…e vissero per sempre felici e contenti”, giusto?- fece Em, ma la voce con cui pronunciò quella frase suonò molto meno acida e decisa di quanto si era aspettata.
Sean, tuttavia, non parve minimamente toccato da quel suo commento.
-No, vorrei solo che ne facessi parte anche tu. O meglio, che volessi farne parte anche tu-.
La ragazza rialzò lo sguardo, stupita dalla piega inaspettata che aveva preso la conversazione. Pensava che Sean volesse farle la paternale sul modo in cui si comportava con sua madre, non certo che le chiedesse il permesso di entrare a far parte della sua vita. Del resto, per quale motivo avrebbe dovuto interessarsi a lei? Era sua madre quella che amava, lei era solo un effetto collaterale permanente di una vecchia relazione finita quasi dieci anni prima. Quando aveva deciso di tenere le distanze con Sean era convinta di aver fatto un favore ad entrambi, non avrebbe mai pensato che invece a lui potesse interessare davvero costruire un rapporto con lei e si sorprese a pensare che la cosa non le sarebbe dispiaciuta poi così tanto come aveva immaginato.
I due si guardarono negli occhi a lungo, in silenzio. Sean attendeva nervosamente la risposta di Em torcendosi le dita.
-Spero non ti aspetterai che io inizia a chiamarti “papà”, “papino” o cose del genere- disse in fine lei.
-Oddio, Emily, no! Ho comunque solo undici anni più di te!- esclamò lui.
Incredibilmente, dopo un attimo di silenzio, scoppiarono entrambi a ridere. Una risata autentica e liberatoria. Un modo per i due di lasciarsi alle spalle quanto era accaduto tra loro negli ultimi tempi: l'ostilità, l'indifferenza, la diffidenza stavano lasciando posto ad una nuova possibilità, un altro inizio per loro due che, in quel momento ne erano entrambi convinti, avrebbe portato a qualcosa di nuovo, molto più positivo e forse profondo.
Alla fine, una volta che la risata si fu spenta, la ragazza alzò nuovamente lo sguardo verso Sean e, per la prima volta, gli sorrise sinceramente.
-Puoi chiamarmi Em-.

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Capitolo 14
*** Il primo morso ***


Dal diario di Serena, 30 ottobre:
 
«[...]È stato un pensiero improvviso ed istintivo e sinceramente non credevo sarebbe mai potuto succedere. Quando oggi quella cretina di Courtney mi si è avvicinata dopo la lezione di spagnolo dovevo aspettarmi che non fosse per parlarmi delle previsioni del tempo, considerato che il suo odio verso di me è direttamente proporzionale alla grandezza del suo immenso culone. Eppure la sono stata a sentire pur sapendo che seminare zizzania è al secondo posto tra le sue attività preferite (la prima è quella di alimentare la sua fama di baldracca provandoci con qualunque cosa respiri).
“Sai cosa ho sentito da fonti molto attendibili?” mi ha chiesto con la sua irritante vocetta nasale. 
Non mi ha nemmeno dato il tempo di risponderle che al momento avevo questioni leggermente più importanti a cui pensare, tipo il fatto che una delle mie migliori amiche è la nuova candidata a diventare l’ennesima sposa cadavere di un vampiro psicopatico entro le prossime ventiquattro ore.
“Sembra che QUALCUNO abbia intenzione di celebrare il Matrimonio dei Vampiri, domani sera dopo il ballo” ha continuato. ”Qualcuno il cui nome inizia per ‘T’ e finisce per ‘ristan’, con quel pidocchio della sua fidanzatina”.
Ed eccolo, ecco il momento in cui ho formulato quel pensiero: “CHISSENE FREGA”.
Quello è stato l’istante in cui ho realizzato di non avere tempo per Courtney, né per i suoi gossip da bagno delle ragazze, né per quell’insulso di Tristan, né per Mary Annabelle. Nessuno di loro conta abbastanza, in confronto all’incolumità di Kelly e delle altre. Ho dato fin troppa importanza a cose e persone che non lo meritavano e tutto quello che ne ho ricavato è stata solo un’immensa ed inutile perdita di tempo. Ma ora basta.»
 
Courtney aveva sempre avuto un debole per Tristan, Serena lo sapeva bene. Ricordava che le angherie e i colpi bassi da parte di quella ragazza, con cui aveva condiviso l’esperienza nella squadra delle cheerleader e che nei primi anni del liceo aveva perfino creduto amica, erano iniziate proprio nello stesso periodo in cui Tristan aveva cominciato a manifestare l’interesse verso di Serena, ignorando completamente i comportamenti piuttosto eloquenti ed espliciti che Courtney teneva nei suoi confronti.
Serena sapeva che il vero motivo per cui non era mai riuscita a farsi una ragione del rifiuto di Tristan non dipendeva dal fatto che ne fosse seriamente innamorata, né dal fatto che lui fosse la creatura più attraente e affascinante che avesse mai messo piede in quell’anonima scuola, né dal fatto che avesse il potere di donarle l’immortalità. No. Quello che davvero bruciava a Courtney era il fatto che, per la prima volta, qualcuno avesse preferito un’altra a lei.
Una parte di lei avrebbe voluto rassicurare la sua ex-rivale del fatto che non aveva alcun motivo di preoccuparsi per com’erano andate le cose. Non aveva perso il suo appeal, quello funzionava ancora alla grande, solo che sui vampiri aveva un effetto diverso rispetto a quello che aveva sugli adolescenti umani: era risaputo infatti che i primi detestassero le conquiste facili. E Courtney era una conquista fin troppo facile.
Se non altro però, quella breve conversazione con la sua perfida compagna aveva inaspettatamente avuto un risvolto positivo: per la prima volta Serena era riuscita a vedere con chiarezza quali fossero le sue vere priorità ed era quindi tornata a concentrarsi su di esse.
In testa alla classifica, in quel momento ovviamente non poteva esserci altro che Kelly. La conversazione avevano avuto il giorno precedente era infatti ancora impressa nella memoria di Serena come se fosse appena terminata. Ricordava meglio di qualunque altro dettaglio lo sguardo della ragazza. Quando l’aveva raggiunta al loro solito tavolo al Rouge Café, dopo la scuola si era chiesta come avesse fatto a non notarlo fino a quel momento: vacuo, assente, non sembrava mai davvero focalizzato su qualcosa, così come la sua attenzione. Quando parlava perdeva spesso il filo del discorso e quando invece era Serena a parlare, lei si distraeva di continuo. Non sembrava capace di ascoltarla, se non in modo superficiale. Aveva perso il conto delle volte in cui Kelly le aveva chiesto di ripetere.
L’unico momento in cui Serena era riuscita a risvegliare il suo interesse, era stato quando aveva finto di scivolare “casualmente” nell’argomento “ragazzi”. Infatti, nel momento stesso in cui le aveva chiesto come stessero andando le cose col suo cavaliere misterioso, Kelly si era sciolta in un sorriso fin troppo ebete e a quel punto i sospetti e le ipotesi in merito a quanto  le stesse accadendo avevano iniziato a trovare fondamento: quello che stava vedendo era terribilmente simile all’espressione rincretinita di cui lei e le altre ragazze del club avevano ampiamente fatto sfoggio mentre parlavano dei loro ex ai tempi in cui le loro relazioni erano ancora agli inizi e il disastro emotivo che ne sarebbe seguito era ancora lontano. C’era però  qualcosa in più in Kelly, qualcosa che le dava un’aria ancora più imbambolata del normale.
Era stato allora, proprio mentre la ragazza riusciva finalmente a pronunciare più di due frasi di seguito senza distrarsi, che Serena aveva avuto la conferma che le supposizioni formulate durante l’assurdo pomeriggio del giorno prima erano corrette: Kelly mostrava tutti i segni della soggiogazione. Inoltre, a giudicare dallo stato quasi ipnotico in cui si trovava, Serena ipotizzò che Elijah stesse esercitando quella sua capacità in modo eccellente e, con tutta probabilità, da molto più tempo di quanto non avessero ipotizzato.
A quel punto aveva silenziosamente ringraziato per l’ennesima volta l’Enciclopedia Completa del Vampiro, che ormai conosceva quasi a memoria; l’aveva consultata e studiata quasi più nelle ultime due settimane che non quando stava con Tristan.  D’altra parte, quel grosso tomo con la copertina rilegata in pelle conteneva un’incredibile quantità di informazioni sui vampiri, ma non c’era una sola pagina o una sola riga riguardante la crudeltà con cui erano soliti trattare i mortali – almeno non nel senso sentimentale dell’espressione.


***
-Serena, com’è andata con Kelly?-
La voce di Violet irruppe nei pensieri in cui Serena si era alienata. Quest’ultima, in seguito a quel richiamo, riprese immediatamente contatto con la situazione in cui si trovava: la riunione di aggiornamento con il nuovo club che, rispetto a quello vecchio, aveva perso Aly e guadagnato Violet e Max, anche se quest'ultimo non era ancora arrivato.
Serena ancora non si fidava completamente del fatto che un vampiro dicesse di volerle aiutare in un’impresa il cui obbiettivo consisteva nel catturare proprio un suo simile, ma a garantire per lui c’erano Clare – che per qualche ragione a lei sconosciuta non sembrava più serbare il minimo rancore verso il suo ex – e Violet, che aveva deciso di accettare il suo aiuto dopo una lunga chiacchierata faccia a faccia da sola con il vampiro. Serena tuttavia sospettava che, come lei, la Guardiana si fidasse di Max molto meno di quanto non volesse far credere. Del resto, tra tutte loro era l’unica in grado di fiutare con sicurezza un eventuale doppio gioco; era stata addestrata per affrontare situazioni come quelle, ragion per cui l’aveva eletta come suo nuovo punto di riferimento.
-Se escludiamo il fatto che ho avuto la conferma del fatto che è soggiogata, mio incontro con Kelly non è stato molto proficuo in realtà- rispose, cercando di concentrarsi nuovamente sulla discussione. -Penso sia dipeso dal fatto che la sua forza di volontà al momento è compromessa dal lavaggio del cervello a cui Elijah la sta sottoponendo, quindi è facilmente manipolabile. Aveva lo sguardo perso, la vitalità di un’ameba ed era parecchio confusa. Le uniche domande a cui non ha voluto rispondere sono state quelle sull’identità del suo cavaliere e sulle loro abitudini. Mi ha accennato a qualche loro appuntamento, ma in modo molto vago e superficiale. Credo che lui le abbia imposto di non parlarne con nessuno, o qualcosa del genere-
-Molto probabile- convenne Violet.
-Quindi non sei riuscita a scoprire altro?- chiese Em.
-No, in compenso però mi è tornato in mente un dettaglio di cui mi aveva accennato la prima volta che mi aveva parlato di questa sua nuova fiamma di cui mi ero quasi dimenticata. Kelly aveva detto che mi avrebbe presentato il suo cavaliere dopo il ballo perché quella sera…era certa che sarebbero diventati ufficialmente una coppia. E di solito cosa sancisce questo fatto, tra i vampiri?- chiese Serena in tono eloquente.
-Di sicuro non il cambio della “situazione sentimentale” su Facebook- rispose sarcastica Clare, che fino a quel momento se n’era stata stranamente in disparte e in silenzio. -Di solito si tratta del primo morso-.
-Dobbiamo evitarlo assolutamente- intervenne Em. -Per Eli non esiste un “primo” morso. Esiste solo un morso, che è il primo e anche l’ultimo, stando a quanto ho avuto modo di capire-.
Serena e Clare si voltarono contemporaneamente verso la più giovane del gruppo. Sui loro volti era dipinta un’espressione stupita. Quando se ne accorse, Em arrossì di colpo, concentrò l’attenzione sulle sue unghie, ne scelse una e si mise a mordicchiarla, evidentemente imbarazzata.
-Vuoi dire che lui non ti ha mai…-
-No, Serena, non mi ha mai morsa quando stavamo insieme, okay?- disse Em, mettendosi sulla difensiva.  -Si definiva “all’antica” e diceva di voler aspettare per fare cose importanti come mordermi, o…-
-O fare sesso- completò Clare al posto suo, evitandole un ulteriore imbarazzo. –Non devi vergognartene, ne so qualcosa. Anche Max diceva di pensarla allo stesso modo riguardo alla seconda cosa. Ovviamente all’epoca non avevo nessun motivo per sospettare che questa scelta non fosse dovuta dalla sua educazione d’altri tempi-.
-Sentite, questo è un altro discorso- continuò Violet. -Cerchiamo di rimanere concentrate sulle questioni più gravi, okay? Finora siamo state fortunate, conosciamo le intenzioni di Eli e quando ha in mente di attuarle, ma non dobbiamo dare per scontato che le cose continuino ad andare in questo modo, dobbiamo organizzarci-
-Vorresti dire studiare un piano? Una cosa tipo Mission: Impossible?- chiese Serena.
-Purtroppo non conosciamo abbastanza dettagli, né abbiamo tempo a sufficienza per studiare qualcosa di così preciso, ma una cosa è sicura: avrò bisogno del vostro aiuto e spero vivamente di poter contare anche su Max…-
-Chi ha chiamato i rinforzi?- domandò una voce maschile proveniente dalla porta d’ingresso. Max apparve sulla soglia, inaspettatamente però non da solo. Dietro di lui c’era qualcuno, qualcuno dall’aspetto familiare, alto più o meno quanto il vampiro. Non appena Serena lo identificò, il suo primo istinto fu quello di volgere lo sguardo verso Clare e, con la coda dell’occhio, notò che Em aveva auto la medesima reazione. Nessuna delle tre parlò, ma Serena era certa che il loro pensiero in quel momento fosse stato lo stesso.
Cameron?!

***

I silenzi imbarazzanti stavano diventando ormai un’abitudine in quel bizzarro gruppo e ogni volta ognuno di loro aspettava sempre che fosse qualcun altro ad interromperlo, prolungandolo così all’infinito. Suo malgrado, Clare capì che questa volta toccava a lei quel fastidioso compito.
-Stavo proprio pensando che secondo me eravamo un po’ a corto di specie soprannaturali- commentò con il suo solito sarcasmo, cercando di apparire tranquilla e per nulla turbata dal fatto che il suo ex ragazzo vampiro che aveva fatto coming out solo un paio di giorni prima, si fosse appena presentato alla porta col suo attuale ragazzo licantropo. Evidentemente la faccenda non era già abbastanza incasinata.
A quella sottospecie di battuta, nonostante lei stessa si fosse accorta di quanto il suo tono suonasse forzato, qualcuno ridacchiò, qualcun altro si limitò a sorridere e lei riuscì a sentire quasi fisicamente l’atmosfera alleggerirsi e i presenti tornare a respirare.
-Non penso ci sia bisogno di presentazioni ma, ad ogni modo, lui è Cameron- lo introdusse Max, omettendo di precisare quali rapporti lo legassero a lui.
Clare comprese subito che doveva averlo fatto sia perché sapeva che la cosa ormai era nota a tutti, sia per rispetto nei suoi confronti, evitando di metterla in imbarazzo. Un gesto gentile, ma che non riuscì ad evitarle la stretta al cuore che le provocò il fatto di vedere il proprio ex, che ancora amava, con al suo fianco qualcun altro. Qualcuno che lei conosceva solo di fama, praticamente uno sconosciuto che, dal suo punto di vista, non c'entrava nulla né con tutta quella faccenda, né tanto meno con quello che c'era stato tra lei e Max.
Già, ma cosa c'è stato tra me e Max?
Quel pensiero saltò fuori da chissà dove, istintivo e improvviso, quasi come se non fosse stata lei a formularlo.
Del resto però era una domanda su cui sapeva che prima o poi, una volta superato lo choc iniziale dovuto alla confessione di Max, si sarebbe dovuta fermare a riflettere seriamente, ma aveva preferito rimandare con qualche scusa quel momento e, anche se di sicuro nemmeno quello era tra i più adatti vista la gravità della situazione, non riuscì a fermare il flusso di pensieri che seguirono a quella domanda.
C'era qualcosa che aveva ignorato in tutta quell'assurda storia, qualcosa di fondamentale, ossia che l'unica certezza che fino a poco tempo prima aveva avuto, quella secondo cui Max un tempo l'aveva amata, si era rivelata falsa. Dove lei aveva visto amore, lui prima ci aveva visto un’occasione di cui approfittare, poi una profonda amicizia, nulla di più.
Fu in quel preciso istante, proprio mentre lui ascoltava e commentava le idee che Violet gli stava esponendo, che Clare si rese conto che forse perdonare Max non sarebbe stato poi così facile come aveva creduto all'inizio. Lui si era giocato la sua fiducia per ben due volte e Clare non sarebbe mai riuscita a concedergli una terza possibilità così facilmente. No, questa volta avrebbe dovuto dimostrare di meritarsela, di volerla davvero e di non avere nessuna intenzione di approfittarne.
Probabilmente è la stessa cosa che devono aver pensato i miei genitori di me dopo la storia della festa, concluse, sorridendo amaramente tra sé per quell’ironica coincidenza mentre Max continuava a discutere assieme agli altri, completamente ignaro di quali fossero i suoi pensieri.

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Capitolo 15
*** Preparativi per un ballo di copertura ***


Dal diario di Em, 31 ottobre:
«[…]Odio il rosa, punto
 
-Sei una meraviglia- sentenziò la madre di Em, mentre la figlia continuava a lanciarle occhiate inceneritorie che la donna ignorava, concentrata com'era sulla sua “opera d'arte”.
-No, mamma, sono una meringa. Una meringa rosa, per la precisione. E io detesto le meringhe, ma soprattutto il rosa. In particolar modo ad Halloween-.
Em era felice che i rapporti con sua madre e con Sean andassero migliorando. Dopo il chiarimento con quest’ultimo, la tensione che prima si respirava in casa stava andando diradandosi in modo lento ma costante e tutti e tre sembravano trarne beneficio: in quegli ultimi giorni il clima si era disteso e non c’erano più state liti o discussioni tra Em e Sarah se non per cose di poco conto, situazione che, fino a pochi giorni prima, sarebbe stata considerata quasi utopica.
Era trascorso diverso tempo dall’ultima volta che tra quelle mura la ragazza si era sentita davvero a suo agio, tuttavia era del parere che la madre stesse bruciando le tappe del riavvicinamento e quel vaporoso vestito color rosa confetto rischiava seriamente di comprometterlo.
-Perché non riesci a vedere quanto sei bella?- ribadì la donna per l'ennesima volta.
-Forse perché sembra una bomboniera?- intervenne Sean, comparendo sulla porta della camera. -Andiamo, Sarah, non sarò un esperto di abiti per i balli scolastici ma questo decisamente non è adatto ad una festa di Halloween-.
Em accennò ad un sorriso di gratitudine, ma si guardò bene dal farlo durare troppo a lungo. Il loro rapporto stava certamente migliorando ma ancora non se la sentiva di dargli troppa confidenza. Ci sarebbe voluto del tempo perché decidesse di fidarsi completamente di lui. Di sicuro però si trovavano sulla strada giusta.
-L'ho indossato al mio ultimo ballo di fine anno e da come mi guardavano i ragazzi direi che non mi vedevano esattamente come una bomboniera- replicò Sarah, leggermente offesa.
-Tesoro, non ho alcun dubbio riguardo al fatto che con quel vestito sarai stata uno schianto. Invidio profondamente il ragazzo che ti ha fatto da cavaliere, ma sono abbastanza sicuro che dal '94 ad oggi le mode siano leggermente cambiate-
-Era il '95- precisò la donna. -E purtroppo, come Emily sa bene, al momento non possiamo permetterci un abito nuovo e purtroppo non abbiamo molta altra scelta-.
In realtà, dopo un pomeriggio passato a frugare in ogni più recondito angolo dell'armadio della madre, Em aveva trovato almeno tre o quattro vestiti che le sarebbero potuti stare bene rispettando allo stesso tempo il tema Halloween ma, quando aveva chiesto il permesso di indossarli, Sarah glielo aveva categoricamente proibito, reputando quegli abiti non adatti ad una sedicenne.
-Ma che incredibile coincidenza- disse Sean, in tono ambiguo. –Si da il caso che mia sorella Lauren abbia l'armadio pieno di vestiti che non indossa praticamente mai quindi, quando ho saputo di questo vostro piccolo problema, le ho chiesto se poteva prestarmi qualcosa. Avete all’incirca la stessa taglia-.
Sean porse ad Em la grossa busta di carta gonfia che aveva con sé e che la ragazza non aveva nemmeno notato fino a quel momento, presa com’era a guardarsi allo specchio cercando disperatamente un’angolazione che le permettesse di piacersi almeno un po’…o meglio, di non farsi del tutto schifo.
Quest’ultima, piacevolmente colpita dalla gentilezza e dalla comprensione di Sean in una cosa di cui solitamente i ragazzi faticavano a capire l’importanza, lo ringraziò e, anche se con un po' di incertezza, andò a provarsi gli abiti che le aveva portato, segnandosi mentalmente una crocetta nella colonna di punti a suo favore.
Non sapeva che cosa aspettarsi dai gusti di Sean o da quelli della sorella, che non aveva nemmeno mai incontrato, ma qualunque cosa le avesse dato un pretesto per togliersi di dosso quegli strati di tulle rosa era benaccetto a prescindere.
Mentre si cambiava, Em pensò a quanto assurda sembrasse tutta quella situazione dal suo punto di vista. Fino ad un anno e mezzo prima non avrebbe mai immaginato che sua madre sarebbe riuscita a costruire una relazione stabile o che lei sarebbe riuscita a farsi un'amica. Ora invece Sarah aveva trovato qualcuno che desiderava davvero prendersi cura di lei, anzi, addirittura di entrambe, ed Em aveva trovato delle amiche con le quali sarebbe andata al ballo, una cosa che non avrebbe mai creduto sarebbe potuto succedere, se non nelle sue fantasie.
La ragazza ipensò per un momento a quei giorni bui, quelli che aveva trascorso senza amici, senza sua madre, senza Eli e a tutta la sofferenza aveva spinta ad auto-esiliarsi dentro ad un guscio di apparente indifferenza nei confronti di ciò che la circondava. Se solo avesse saputo cosa l’aspettava al di fuori di quel guscio, lo avrebbe rotto molto prima, e probabilmente quello sarebbe rimasto il suo unico rimpianto.
Em indossò uno dei tre vestiti che le aveva portato Sean, quello che secondo lei più si addiceva al tema della serata e al suo fisico, dopodiché uscì dalla cabina-armadio e tornò nella camera della madre dove, seduti sul letto, quest'ultima e Sean stavano parlando. A quel punto Em si chiarì la voce per attirare la loro attenzione. Quando i loro occhi si posarono su di lei, ammutolirono improvvisamente. Per un attimo la ragazza pensò che stessero per mettersi a ridere, o che stessero cercando le parole più appropriate per dirle che quel vestito non era adatto a lei e che le sarebbe toccato andare al ballo in jeans (una prospettiva comunque migliore rispetto all'andarci con addosso la meringa rosa targata ’95). Invece sua madre disse tutt'altro.
-Ora sei davvero una meraviglia-.
 
* * *

Dal diario di Clare, 31 ottobre:
«[…]Odio le scarpe col tacco. Non sono altro che un inutile strumento di tortura legalizzato[…]»
 
-Devi solo esercitarti-
-Daphne…-                        
-Non è difficile, non sono neanche dieci centimetri!-
-Daphne…-
-E cerca di non cedere all’impulso di tenere le ginocchia in avanti, altrimenti la tua camminata sembrerà quella di un fenicottero ubriaco…-
-Daphne!- esclamò Clare, esasperata.
Sua sorella finalmente tacque.
Come da copione: Daphne decideva di prendersi un paio di giorni di pausa dall'università senza avvisare nessuno e, nel meno opportuno dei momenti, irrompeva in casa di punto in bianco annunciandosi con un semplice “Sono tornata!” come se, invece che al college ad un migliaio di chilometri da lì, fosse andata a farsi un giro di un paio d'ore. Tutto ciò era avvenuto la sera precedente, mentre la famiglia di Clare era riunita intorno al tavolo per una di quelle rare cene a cui era riuscito a partecipare anche suo padre, tornato eccezionalmente prima dal lavoro.
Quando Daphne aveva fatto la sua apparizione a sorpresa, Jake e Maddie erano addirittura riusciti a dimenticare la presenza nei loro piatti di uno dei loro cibi preferiti, il pollo fritto, ed erano corsi ad abbracciare la loro sorella maggiore come non avevano mai fatto con Clare. Sua madre, che fino ad un paio di minuti prima era tranquillissima, aveva cominciato ad agitarsi e, dopo aver abbracciato e riempito la sua primogenita di baci, si era precipitata nuovamente ai fornelli chiedendole cosa preferisse mangiare. Suo padre si era alzato e l’aveva abbracciata come se, anziché da poco più di un mese, non si vedessero da anni.
In tutto ciò, Clare era rimasta seduta a tavola, da sola, a guardare quel perfetto quadretto familiare dall’esterno. Era da un po’ che non provava quel particolare nodo alla gola, ma lo riconobbe subito. Si trattava di una sensazione che l’aveva attanagliata per la maggior parte della sua vita, in particolar modo negli ultimi anni: quella di non sentirsi parte della sua stessa famiglia, di non avere niente i comune con gli altri componenti.
Daphne in casa voleva dire allegria. Voleva dire sua madre sorridente, suo padre con l’aria meno stressata, Jake e Maddie meno capricciosi, poiché l’unica cosa che si contendevano erano le attenzioni della sorella. Per Clare, invece, Daphne in casa voleva dire l’abolizione totale del suo diritto alla privacy, nonché della sua pazienza. Questo sia perché la sua camera era stata – e tornava ad esserlo durante quelle visite - anche la camera di sua sorella maggiore, sia perché quest’ultima non era esattamente famosa per essere il tipo che si faceva i fatti suoi, specialmente quando si trattava di Clare.
Da quando Daphne aveva cominciato le superiori infatti, nonostante tra loro ci fossero appena un paio d’anni di differenza ed il loro rapporto fosse stato quasi sempre alla pari, quest’ultima aveva improvvisamente iniziato a prendere sul serio il suo ruolo di sorella maggiore. Troppo sul serio. Distribuiva consigli che Clare non aveva mai chiesto su argomenti di cui non le era mai importato come vestiti, trucco, atteggiamento da tenere in pubblico per risultare simpatica alle persone e, soprattutto, come piacere ai ragazzi. Dietro le sue pressanti insistenze, Clare aveva anche provato a seguire i suggerimenti della sorella, ma aveva rinunciato quando una sua compagna le aveva chiesto se fosse certa di sentirsi bene.
Era inutile fingere: lei non era al livello di Daphne e non lo sarebbe mai stata. Sua sorella era bella, solare, piaceva a tutti, a scuola aveva sempre vantato una delle medie più alte e ovviamente non era mai stata riaccompagnata a casa ubriaca dalla polizia dopo una festa a cui non aveva nemmeno chiesto il permesso di andare. Non c’era certo da sorprendersi che i loro genitori avessero sempre mostrato una certa preferenza verso di lei, la figlia modello che studiava Legge in una delle università più prestigiose del Paese grazie ad una borsa di studio e che aveva davanti a sé un radioso futuro.
Mentre la famiglia al completo cenava, Daphne aveva voluto sapere le ultime novità. A quella richiesta, i suoi genitori e i suoi fratelli avevano cominciato a parlare tutti nello stesso momento, ricreando quel caos che aveva sempre caratterizzato la sua numerosa famiglia. Solo Clare era rimasta in silenzio a piluccare il purè nel suo piatto e cercando di ritrovare l’appetito perso con l’arrivo – o, meglio, l’irruzione – di sua sorella. Il suo piano per passare inosservata però, era fallito miseramente quando Maddie, nell’ingenuità dei suoi sette anni, aveva rivelato a Daphne che Clare aveva acquistato un vestito “come quello delle Barbie” per andare alla festa di Halloween della scuola. Quest’ultima, capendo che le cose per lei stavano per prendere una brutta piega, aveva tentato di elaborare in fretta una scusa abbastanza convincente da permetterle di alzarsi da tavola e rifugiarsi in una qualunque altra stanza, purtroppo però non fu abbastanza rapida e l’attenzione di Daphne si spostò su di lei.
Anche senza guardarla in faccia, Clare sapeva che gli occhi della sorella stavano scintillando, segnale che precedeva la tempesta di domande che di sicuro avevano già iniziato a frullarle in testa.
Cercando di soddisfare le curiosità di Daphne prima che questa avesse il tempo di esternarle, Clare aveva provato ad anticipare la risposta ad ogni sua possibile domanda.
-No, nessun ragazzo mi ha chiesto di accompagnarlo, vado con delle amiche. Sono tutte ragazze a posto e nessuna di loro ha precedenti penali. Non correggeremo il punch, non fumeremo, non assumeremo sostanze psicotrope, semplicemente balleremo, rideremo, scommetteremo su quali coppie si lasceranno entro la serata e torneremo presto. Il vestito l’ho trovato in un negozio di vestiti di seconda mano e l’ho pagato coi miei soldi. Sì, è un vestito vero, lungo, elegante. Niente borchie o fantasie con i teschi-.
Convinta di aver dato una spiegazione abbastanza dettagliata ed esauriente, Clare si era rilassata, aveva ripreso fiato e si era concessa una cucchiaiata di purè come premio.
-Cosa metterai sopra al vestito?-
Il purè era andato di traverso.
-La giacca che ho indossato al matrimonio di zia Christine, quella corta- era riuscita a rispondere, tra un colpo di tosse e l’altro, mentre sua madre le dava dei colpetti sulla schiena. Avrebbe dovuto immaginare che Daphne non gliel’avrebbe data vinta così facilmente.
-Come borsa?-.
Domanda a trabocchetto. Clare possedeva solo una borsa – di tela e con le borchie e le fantasie con i teschi di cui sopra – che usava per la scuola e che non aveva mai cambiato da quando aveva iniziato il liceo, non esattamente definibile “elegante”. Daphne lo sapeva bene.
-Volevo chiedere alla mamma se poteva prestarmi la sua borsetta piccola- aveva risposto prontamente Clare.
-Si chiama pochette- l’aveva corretta sua sorella.
-Vabbè, è uguale- aveva tagliato corto lei. Era sul punto di battersi da sola un cinque per come stava riuscendo a tenere testa a Daphne, ma quest’ultima l’aveva presa in contropiede.
-E quali scarpe?-.
Altra domanda a trabocchetto.
Merda, perché non c’ho pensato? Si rimproverò. Le rimanevano infatti non più di tre secondi per improvvisare una risposta adatta che soddisfasse sua sorella e che, si sperava, avrebbe chiuso definitivamente la questione.
3
Non poteva certo dirle che il suo piano consisteva nel mettersi le sue Converse nere perché il vestito era abbastanza lungo da nasconderle, ma allora cosa poteva inventarsi?
2
Usare di nuovo la scusa del prestito da parte di sua madre era fuori discussione: Clare portava il trentanove, sua madre il trentasette ed inoltre aveva un pessimo gusto in fatto di scarpe, anche per un’ignorante in materia come Clare.
1
Quali delle sue scarpe sarebbero potute rientrare nella categoria “eleganti”, o per lo meno avvicinarsi? Gli stivaletti con le fibbie? Gli anfibi? Se solo Daphne-la-fashion-victim avesse potuto sentire i suoi pensieri, l’avrebbe strangolata seduta stante.
0.
Sul volto di sua sorella era comparso un sorriso che forse agli altri era parso comprensivo, una cosa del tipo “non-preoccuparti-ci-penso-io”, ma che Clare era sembrato rassicurante esattamente come quello che le rivolgeva il pediatra un attimo prima di conficcarle l’ago nel braccio per farle il vaccino. E di lì a poco ne aveva capito il motivo.

***

-Daphne, arrenditi! Io non so camminare con questi cosi. Sei tu la sorella portata per le robe femminili, io sono il maschio mancato, ricordi? Non confondiamo i ruoli- disse Clare togliendosi le décolleté che le aveva prestato Daphne e lasciandosi cadere a peso morto sul letto. Quest’ultima alzò gli occhi al cielo.
-Perché torni sempre su questo argomento?- chiese la ragazza, rivolgendo gli occhi al cielo mentre riponeva le scarpe nella loro scatola. -Tu sei la sorella perfetta, bla, bla, bla. Io ho ereditato tutti i difetti della famiglia, gne, gne, gne…non credi che sia ora di maturare?-.
Quel che rimaneva della pazienza di Clare si esaurì in quel preciso istante, in seguito a quelle parole.
-È facile per te, parlare, vero? Quando mai hai provato a metterti nei miei panni? Anzi, quando mai hai provato a metterti nei panni di qualcun altro? Ehi, guardatemi, sono Daphne! Devo sempre essere al centro dell’attenzione e la migliore in tutto!- le fece il verso Clare, a sua volta. -Vado al College dei Figli di Papà, prendo il massimo dei voti senza studiare, tutte le ragazze vogliono essere mie amiche e tutti i ragazzi si gettano ai miei piedi!-.
Daphne fissava la sorella con un misto di incredulità e rabbia. Non aveva mai immaginato che lei, la piccola Clare, la stessa persona che da piccola le chiedeva di poter dormire con lei quando c’era il temporale, avesse questa opinione di sua sorella maggiore.
Clare però non aveva finito.
-Sei tutto quello che mamma e papà hanno sempre desiderato. Non c’è da sorprendersi che con me si siano arresi. Hanno puntato tutto su di te. Jake e Maddie sono il loro piano B, io sono la pecora nera, quella che ha disatteso le aspettative e da cui non si aspettano più niente, ormai- continuò Clare, stupendosi di sé stessa per aver saputo pronunciare le stesse parole che per anni si era tenuta dentro, reprimendole insieme alle sue emozioni in proposito.
Daphne la guardava indecifrabile. Clare non aveva la minima idea di quale reazione avrebbe dovuto aspettarsi, ma non credeva nemmeno che sarebbe rimasta in silenzio.
Poi però successe qualcosa di inaspettato: Daphne iniziò a ridere. A ridere davvero, di gusto. Non una di quelle risate isteriche che precedevano una caterva di insulti.
-No, aspetta, fammi capire- disse. -Sei davvero convinta di quello che stai dicendo? Credi davvero che mamma e papà facciano queste assurde preferenze? Che tengano una classifica aggiornata dei figli su cui conviene di più puntare? Dio, Clare, finiscila di fare la vittima e deciditi a crescere! Queste sono solo scuse dietro cui per anni ti sei nascosta per evitare di affrontare le tue responsabilità!-.
Per tutta risposta, Clare sbuffò e si alzò in piedi, facendo per andarsene, ma non appena afferrò la maniglia della porta, Daphne continuò.
-Sai, credevo davvero che dopo la storia della festa al Garage avresti finalmente iniziato a renderti conto di cosa avevi fatto e di che genere persone ti ostinavi a circondarti. Pensavo che tutto questo ti avrebbe spinta a maturare, invece non è cambiato niente. Reagisci sempre nello stesso modo: quando le cose non vanno, tu non fai altro che scappare. La discussione con tua sorella si fa troppo seria? Te ne vai. Hai difficoltà a farti nuovi amici? Anziché cercare di farti apprezzare per come sei, fingi di essere una bulletta sfigata per poter essere accettata da persone con cui sai anche tu di non avere nulla in comune. Mamma e papà ti proibiscono di fare qualcosa? Disobbedisci, perché tanto ormai non hai più niente da perdere, ti hanno etichettato come la figlia difficile, o almeno questa è la scusa che ti racconti per mettere a tacere la tua coscienza ed evitare ancora una volta di affrontare i problemi. Vieni messa di fronte a questo tuo difetto? Incolpi tua sorella. La stessa che per essere quello che è e avere quello che ha si è data da fare, ha lottato per guadagnarselo anziché fuggire e lamentarsi. Dimmi, Clare, dove ti ha portata questa tua ormai consolidata abitudine di fuggire? E soprattutto, dove credi che ti porterà in futuro?-
A quel punto, Clare non seppe più cosa fare, né cosa replicare. Dava ancora le spalle a Daphne e il suo orgoglio le stava categoricamente impedendo di voltarsi verso di lei, ma non aveva la minima idea di come replicare alle sue parole.
Alla fine però fu sua sorella a prendere nuovamente la parola.
-Mettiti pure le Converse, questa sera. Tanto lo so che era quello, il tuo piano. E scusami se ho cercato di aiutarti- disse, dopodiché quella ad uscire sbattendo la porta fu lei, lasciando Clare sola nella loro stanza.
 
* * *
 
Dal diario di Serena, 31 ottobre:
«[...]Ho perso il conto delle volte in cui, in quest'ultimo mese ho cambiato idea riguardo all'andare al ballo, invece adesso eccomi qui, ci sto andando, anche se non esattamente per divertirmi. Mi sono preparata in meno di un'ora, un record, se penso che l'ultima volta che sono andata ad un ballo, per vestirmi, truccarmi e farmi i capelli, di ore ce ne ho messe quasi quattro. La principale differenza tra quella serata e questa sta nel fatto che le aspettative sono parecchio diverse, quasi divergenti. L'altra volta si trattava fare colpo sul mio cavaliere, questa volta devo impedire ad una mia amica di farsi ammazzare dal suo.»
 
La limousine arrivò davanti alla casa di Serena alle sette in punto. Non aveva un cavaliere, né un make-up sofisticato, i suoi capelli erano stati semplicemente piastrati e fermati da un lato con un pettinino. Non si era impegnata più di tanto nella ricerca dell'abito poiché sapeva che al ballo di Halloween l’unico dress code da rispettare era quello di vestirsi unicamente con colori scuri. Il preside aveva infatti abolito le feste in maschera dopo che, alcuni anni prima, dei ragazzi si erano resi responsabili di atti vandalici in alcune aule antistanti la palestra – ossia dove si teneva il ballo – e che, proprio a causa delle loro maschere, non erano stati identificati ed erano rimasti impuniti.
Pochi istanti dopo, Serena sentì il campanello suonare.
Mentre scendeva le scale, nonostante la semplicità del suo look e il suo atteggiamento per niente da “diva”, il padre di Serena si commosse ed iniziò a scattare foto a raffica. Serena trovava incredibile come, nonostante si fosse già trovato in quella situazione un imprecisato numero di volte, la reazione dell’uomo fosse ogni volta la stessa.
In fondo alle scale, assieme al suo emotivo genitore, Serena vide Max, Cameron e Violet che l'aspettavano. Il vampiro ed il licantropo indossavano entrambi degli eleganti completi con la cravatta, nero per Max, grigio scuro per Cameron. Doveva ammettere che, nonostante tutto, insieme formavano una bella coppia, per quanto bizzarra sotto molti aspetti.
Alla loro sinistra c'era Violet, la cui altezza approssimativa di un metro e cinquanta, messa a confronto con quella dei ragazzi che aveva accanto e che superavano entrambi il metro e ottanta, aveva un effetto quasi esilarante. La mezza fata tuttavia era molto graziosa: indossava un vestito di tulle nero senza spalline, con una fascia di raso color bordeaux che le circondava la vita e che culminava su un fianco con un fiocco. I capelli azzurro-lilla, solitamente sciolti, erano stati raccolti dietro la testa in un elaborato intreccio. Non indossava gli occhiali, il che faceva sembrare i suoi occhi azzurri molto più grandi. Se fosse stato un ballo normale, uno di quelli in cui si preoccupava della concorrenza delle altre ragazze, si sarebbe potuta sentire decisamente minacciata dalla presenza di quella minuta ma bellissima ragazza.
-Allora, chi di voi è l'accompagnatore di mia figlia?- chiese il padre di Serena, tornato a ricoprire il ruolo dell'uomo di casa dopo la parentesi emotiva.
I quattro ragazzi si scambiarono un'occhiata, incerti su cosa dire. Alla fine optarono per la soluzione più semplice: la verità.
-Nessuno di loro, papà. Max e Cameron stanno insieme. Sono una coppia- spiegò Serena.
Il padre lanciò ai due un'occhiata perplessa. -Oh- disse, sorpreso. -Scusate il malinteso-.
-Si figuri- risposero i due all'unisono.
-Questa volta non ho accompagnatori, siamo tra amici- spiegò Serena.
-D'accordo, allora niente discorso di raccomandazioni tra uomini. Tanto meglio- sorrise l'uomo evidentemente sollevato, mentre i quattro uscivano. -Allora divertitevi e non fate troppo tardi. Buona serata!-.
I quattro ringraziarono e tornarono alla limousine. Serena guardò suo padre che, in piedi sulla porta, li salutava. Sapeva bene che il suo lato apprensivo, lo stesso contro cui la ragazza si era scontrata numerose volte fin dai primi anni dell’adolescenza, non gli avrebbe permesso di rientrare fin quando la grande automobile nera non avesse girato l'angolo scomparendo definitivamente dal suo campo visivo.
Per un momento, la ragazza si sentì in colpa. Stephen Dale, era convinto che sua figlia, tutto ciò che era rimasto della sua famiglia dopo la morte della moglie, avvenuta ormai quasi dieci anni prima, stesse andando ad una festa organizzata dalla scuola, che avrebbe ballato e riso con le amiche e che il mattino seguente gli avrebbe raccontato i dettagli della serata. Dio solo sapeva quanto Serena avrebbe voluto che le cose fossero davvero destinate ad andare così.
Mentre la limousine si dirigeva verso la casa di Clare, Serena fece una promessa a sé stessa: dopo quella sera, se tutto si fosse concluso per il meglio, per il ballo successivo avrebbe organizzato davvero una serata solo per lei e le sue amiche, le sue vere  amiche, quelle che avevano scelto di starle accanto durante quello che era stato uno dei periodi più difficili della sua vita, ossia i membri di quello sgangherato gruppo nato da un'idea che in quel momento più che mai sembrava allo stesso tempo folle e geniale. Lo stesso gruppo che le aveva portate a conoscersi a fondo come non avevano mai conosciuto nessuno, prima di allora.

***

Dire che Clare era di cattivo umore, sarebbe stato troppo riduttivo.
Dal momento che i suoi genitori avevano conosciuto Max quando frequentava la loro figlia, per evitare malintesi o disagi solo Serena e Violet entrarono in casa. Il modo in cui Clare si presentò davanti a loro però, non aveva minimamente a che fare con il momento magico che solitamente tutte le ragazze sognavano: Clare proibì categoricamente ai genitori di fotografarla, scese le scale con la grazia di un elefante e, quando il fratello undicenne glielo fece notare, lei prima lo fulminò con lo sguardo, poi gli intimò di stare zitto, minacciando ripercussioni sulla sua amata Playstation.
Serena non poté fare a meno di pensare che, se solo avesse abbandonato quel suo atteggiamento così ostile che la privava di ogni fascino, avrebbe potuto tranquillamente fare conquiste tra i ragazzi della scuola, quella sera. Indossava un lungo abito di satin nero decorato sul petto e sull’unica spallina con dei brillanti. Anche lei come Serena non aveva un trucco molto leggero, giusto un filo di matita e mascara intorno agli occhi e un po' di lucidalabbra ma, a distrarre da tutto, questo c'era la bellissima treccia bionda a spina di pesce che le cadeva sulla spalla in modo apparentemente casuale ma che le incorniciava il viso alla perfezione.
-Andiamo, non voglio fare tardi- aveva detto. Sembrava particolarmente ansiosa di andarsene.
Serena inizialmente aveva creduto che la causa del malumore di Clare fosse prospettiva di andare al ballo in compagnia, tra gli altri, del proprio ex col suo attuale ragazzo mentre lei era senza cavaliere ma in quel momento capì che forse c'entrava anche qualcos'altro. Qualcosa che molto probabilmente aveva a che fare con la sua famiglia.
-Ciao, voi dovete essere le amiche di Clare!- aveva esclamato una voce femminile.
Le tre ragazze, che erano sul punto di uscire, si voltarono. Quella che aveva parlato e che in quel momento stava uscendo dalla cucina era una ragazza che Serena non aveva mai visto, ma che identificò ugualmente senza alcuna difficoltà: la sorella maggiore di Clare. Non era difficile indovinare poiché, ad eccezione dei capelli biondo-rossicci, era la copia sputata della sorella, solo in versione più femminile.
-Sì, sono loro. Adesso scusa, ma dobbiamo andare- cercò di tagliare corto Clare.
L'altra ragazza, che più si avvicinava, più sembrava il suo clone, finse di non sentirla.
-Molto piacere, io sono Daphne- disse sorridendo e, invece di porgere la mano alle due ospiti, le abbracciò come se si conoscessero da sempre.
-Questa sera tenete d'occhio mia sorella. La rivoglio intera, intese? È un carico prezioso per me, anche se lei non se ne rende conto- si raccomandò, strizzando l'occhio a Violet e Serena.
Quelle parole colpirono in qualche modo Clare, che improvvisamente smise di insistere e ammutolì.
Dopo qualche altro convenevole, le ragazze lasciarono casa Taylor e si diressero verso la loro ultima tappa prim della scuola: l'abitazione di Em. Qui fu la madre di quest'ultima ad accogliere gli ospiti assieme a quello che le meglio informate identificarono come il suo compagno. Quando scorsero quest’ultimo, Serena e Clare ebbero lo stesso pensiero: Em non aveva esagerato a proposito di Sean: era molto più giovane di Sarah e anche piuttosto avvenente. Entrambi si dimostrarono molto gentili con tutti i presenti mentre aspettavano Em che, al loro arrivo, aveva annunciato dal piano di sopra di essere quasi pronta.
Ad un certo punto, mentre Sarah faceva le solite raccomandazioni del caso, Serena notò che Cameron stava fissando qualcosa sopra alle scale, con la bocca aperta e lo sguardo incredulo. La ragazza puntò lo sguardo nella stessa direzione e subito capì il perché.
Em stava scendendo le scale. O almeno così sembrava. Perché quella bellissima ragazza con l’abito di pizzo nero nero lungo fino al ginocchio, le scarpe col tacco e i capelli castani raccolti in uno chignon ordinato era totalmente diversa dalla Emily che avevano avuto modo di conoscere nell'ultimo anno. Non c’era niente nello stile della ragazza che avevano davanti che ricordasse vagamente quello anonimo della Em di tutti i giorni. Una cosa su tutte la rendeva diversa dal solito: il sorriso raggiante evidenziato dal rossetto color borgogna.
Serena pensò con soddisfazione che almeno una scalinata su tre era stata percorsa come di dovere ed aveva ottenuto l'effetto che ogni ragazza avrebbe meritato.
-Mio Dio, siete bellissime!- esclamò Em, abbracciando Serena, Clare e Violet. Poi si rivolse a Cameron e Max. -Ragazzi, credo di non avervi mai visti così eleganti. Sembrate due gentiluomini-.
-Noi?- fece Clare, ancora incredula. -Tu, piuttosto! Sei...-
-Meravigliosa- completò Violet.
-Molto sexy- aggiunse Cameron, in tono decisamente etero.
Se Serena non avesse notato come si guardavano lui e Max mentre poco prima si dirigevano a casa di Clare, a quel punto probabilmente le sarebbe sorto qualche dubbio in merito all'omosessualità di Cameron.
Em sorrise imbarazzata e prese a fissare il pavimento. Era chiaro che non fosse minimamente abituata a stare al centro dell'attenzione.
-Ma finitela- ribatté. -Siete cento volte più belle di me. Questo vestito non è neanche mio-.
-Ciò non toglie che ti sta d'incanto- commentò Serena.
-Beh, grazie- disse semplicemente. -Ma adesso dobbiamo andare o faremo tardi-.
La madre di Em insistette per scattare almeno due foto: una solo alla figlia e una a tutto il gruppo, dopodiché il vampiro, il licantropo, la mezza fata e le tre mortali tornarono alla limousine, questa volta dirette al ballo.
Durante il viaggio, gli unici a proferire parola furono Max e Violet, che discutevano del piano messo a punto nei giorni precedenti. Fu in quel momento le ragazze capirono che era ora di smettere di fingere che stessero semplicemente andando al ballo. Avevano delle responsabilità a cui attenersi, un piano da rispettare che, se fosse fallito, avrebbe potuto costare la vita ad un'ignara ragazza di appena diciassette anni.
Consci di ciò, l'insolito gruppo scese dalla limousine e si diresse verso l'irriconoscibile palestra addobbata anche all’esterno a tema funebre. Il tema del ballo era infatti “Party al Cimitero”.
Qualcuno aveva protestato a questo proposito dopo la morte di Will, chiedendo anche l'annullamento della festa perché ritenuta irrispettosa nei confronti dello studente defunto. Il preside però aveva risposto che ormai il ballo era stato organizzato, i soldi spesi, i biglietti acquistati e annullarlo avrebbe significato un danno economico non indifferente per la scuola. Per placare gli animi aveva quindi promesso ai contestatori che ci sarebbero state altre iniziative per onorare la memoria di Will, ma a quel punto qualcuno aveva già proposto il sabotaggio del ballo.
Anche se tale invito era rimasto pressoché inascoltato, a Serena tutto questo era sembrato assurdamente ipocrita: come per tutti i vampiri, gli unici veri amici di Will erano i membri del suo clan, i quali non avevano preteso nessun particolare tributo in suo onore, per questo Serena era fermamente convinta che chiunque avesse sollevato la polemica, lo avesse fatto solo per il gusto di sfidare le autorità scolastiche, cosa non insolita nella loro scuola.
Prima di entrare, il gruppo decise di dividersi per evitare di attirare troppo l’attenzione, quindi Max e Cameron ne approfittarono per separarsi dalle altre fare quella che definirono come “una breve ispezione dei dintorni per controllare che tutto sia in ordine” ma che, alle orecchie di tutte suonò più come un “vogliamo sfruttare quella che probabilmente sarà l’unica occasione della serata per stare da soli e pomiciare”.
Inevitabilmente Serena lanciò una rapida occhiata a Clare, la quale si ostinava a mostrarsi impassibile ed indifferente davanti ad una situazione Serena non aveva la minima idea di come e se sarebbe riuscita a gestire al suo posto. Pochi istanti dopo però, si accorse che nonostante la sua apparente noncuranza, la sua amica doveva essere piuttosto nervosa, nonostante cercasse di nasconderlo e ci stesse riuscendo anche piuttosto bene. A tradirla era stata la sua abitudine di torturarsi le pellicine intorno alle unghie, che in quel momento erano molto vicine al sanguinamento.
-Okay ragazze- esordì Violet, dopo che il vampiro ed il licantropo si furono allontanati. -Cerchiamo di comportarci in modo normale e di non attirare troppo l’attenzione, d’accordo?-
Serena, Clare ed Em annuirono, dopodiché fecero il loro ingresso nella palestra.
E subito notarono circa un centinaio di paia d’occhi posarsi su di loro nello stesso momento.
-Ecco, era proprio di questo che stavo parlando- commentò la Guardiana.
In effetti, a seguito di tutto quello che era successo nell'ultimo mese, la popolarità delle ragazze era decisamente aumentata, anche se non in senso unicamente positivo. Loro erano le tre ragazze che, pur non avendo niente di speciale, dopo essere state usate, prese in giro ed umiliate dai vampiri così come era successo a tante altre prima di loro, anziché mettersi buone buone da parte a disperarsi, deprimersi e passare la vita a rimpiangere i giorni in cui erano state felici con il loro “amore” immortale, avevano apertamente dichiarato guerra all’idolatria verso i vampiri. Se poi a loro si aggiungeva la ragazzina nuova coi capelli azzurri, si otteneva un gruppetto di davvero difficile da ignorare per chiunque fosse presente.
Le quattro si stavano dirigendo verso il tavolo delle bevande, decise ad ignorare ogni occhiata ambigua a loro quando accadde l'ultima cosa che Serena si sarebbe aspettata per quella sera che già non si prospettava molto tranquilla: una ragazza stava correndo nella sua direzione. Fece appena in tempo a riconoscerla, che questa le si gettò addosso e l'abbracciò, stringendola tanto forte da farle quasi male.
In quel momento, anche gli occhi dei pochi che ancora non le stavano guardando si posarono su di loro.
-Ehi, ma cosa...che succede?!-
Serena allontanò la ragazza da lei per riuscire a guardarla in faccia. In quel momento notò che non stava piangendo, come le era sembrato un attimo prima, tuttavia la sua espressione era a dir poco sconvolta. Inoltre tremava e non poteva essere a causa del freddo, dal momento che nella sala c'erano come minimo venticinque gradi.
-Si può sapere cos'hai? Che ti è successo?- chiese nuovamente Serena.
Anche se a fatica e con voce rotta, Aly parlò.
-Io...io e James ci siamo lasciati-.

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Capitolo 16
*** Indovina chi viene a cena...? ***


[Poche ore prima]
 
Dal diario di Aly, 31 ottobre:
 
«Quasi non riesco a credere che la sera che ho atteso per non so quanto tempo sia finalmente arrivata. E dire che fino a poco tempo fa avevo perso ogni speranza di poterla vivere…
Stasera presenterò ufficialmente James ai miei genitori e a mia nonna. Conosceranno il mio ragazzo, l’amore della mia vita. È come se stesse per entrare a far parte della famiglia in maniera ufficiosa.
Credo di non essere mai stata tanto in ansia.[…]
Lo so, non dovrei nemmeno aprire questo diario ora che sono fuori dal club, ma non riesco a togliermi di dosso la sensazione che ci sia qualcosa di incompleto in ciò che mi attende, come se ad un puzzle mancasse l’ultima tessera, e non riesco a fare a meno di pensarci. Credo dipenda dal fatto che l’unico dettaglio che mi permetterebbe di definire quella di stasera come la serata “perfetta” sia poter condividere la mia gioia con le mie amiche, mentre invece loro non vogliono più avere niente a che fare con me, né James con loro.
Tutto questo è ingiusto.
So che Clare, Serena ed Em hanno riabilitato il club pochi giorni fa, dopo averlo sciolto anche a causa della mia decisione di lasciarlo. Fay era andata ad informarsi da parte mia, ma James è venuto a saperlo e a quel punto mi ha chiesto di scegliere tra lui e loro (Fay inclusa), promettendomi che, se avessi scelto lui, questa volta sarebbe stato diverso, si sarebbe preso davvero cura di me, non se ne saprebbe più andato, non mi avrebbe dato alcuna ragione per soffrire nuovamente a causa sua e avrebbe reso la nostra relazione ufficiale per tutti, anche per i miei genitori e gli altri vampiri del clan.
Ho fatto la mia scelta, ma sono sincera: a volte non posso fare a meno di chiedermi se ho fatto quella giusta [...]»
 
Aly non avrebbe potuto sperare in meglio, per quella sera. Non ricordava nemmeno più l'ultima volta in cui c'era stato un clima così piacevole, durante una cena con i suoi. Di solito i pasti che consumavano insieme erano caratterizzati dai suoni prodotti dalla tv accesa e dal tintinnio delle posate sui piatti. Erano rarissime le occasioni in cui qualcuno di loro riusciva ad avviare una conversazione definibile tale, o comunque a dire qualcosa di più interessante di “passami l’insalata”.
Per tutto il giorno la mente di Aly non aveva fatto altro che proiettare filmini mentali in cui si ipotizzava che cosa sarebbe potuto succedere quella sera. Quello che temeva più di ogni altra cosa erano proprio i silenzi a cui i membri della famiglia Mlynowski erano ormai abituati, ma che sarebbero potuti divenire motivo di imbarazzo per il loro ospite.
Con immenso sollievo della ragazza però, l’atmosfera in quella sala da pranzo non sarebbe potuta essere migliore e buona parte del merito era proprio dei suoi genitori, gli stessi a cui per anni aveva evitato di presentare amici e ragazzi con cui usciva. I due stavano facendo sfoggio del loro lato migliore, mostrandosi affabili e attenti nei confronti di James e di ciò che diceva.
Da parte sua, James si stava comportando in modo impeccabile: si era presentato con un bellissimo mazzo di fiori colorati per sua madre e una costosa bottiglia di vino rosso per suo padre. Aveva stretto la mano ad entrambi ed aveva salutato Aly con un casto bacio sulla guancia. Poi, mentre suo padre faceva a James qualche domanda sulla sua famiglia, carriera scolastica, le sue ambizioni per il futuro, con particolare riguardo alla scelta del college che avrebbe frequentato l’anno successivo (ignorando ovviamente che il ragazzo che aveva davanti aveva già conseguito cinque lauree) e altre cose di quel genere, sua madre aveva lanciato ad Aly un'occhiata di piena approvazione, alla quale lei aveva risposto con un sorriso sincero.
Stava andando tutto per il meglio, di lì a poco sarebbe arrivata anche Helena, che Aly aveva invitato in segreto per fare una sorpresa ai suoi cari, e allora sarebbe stato tutto perfetto.
O quasi.
Aly cercò di non pensarci, ma il ricordo della profonda delusione impressa sui volti di Clare e Serena davanti alla porta di casa sua affiorava ogni volta che era sul punto di sentirsi davvero felice e realizzata. E quando ripensava alle parole che le aveva sussurrato Serena prima di andarsene, sentiva una stretta allo stomaco.
Fortunatamente, lo squillo del telefono la distrasse da quel pensiero prima che potesse contaminare la serenità di quel momento. Dal numero che comparve sul display del cordless, la ragazza capì che si trattava di Helena.
-Ehi! Siamo tutti qui! James è arrivato, manchi solo...-
-Scusami tesoro ma ho avuto un contrattempo e sono in ritardo- la interruppe la donna. –Cominciate pure senza di me, io arriverò per il dolce, puoi perdonarmi?-
Aly sospirò. Era tutto okay. Per un momento aveva creduto che sua nonna stesse per dirle che non sarebbe venuta. -Certo, non preoccuparti-.
-Grazie, angelo mio. Scusami ancora. Ci vediamo tra poco- disse, e subito dopo riattaccò.
La serata proseguì superando ogni più rosea aspettativa di Aly. I suoi genitori sembravano particolarmente di buonumore e la complicità tra loro non sembrava affatto la solita facciata che davano a vedere agli altri. Aly raramente li aveva visti così affiatati, negli ultimi anni.
I due coniugi erano rimasti particolarmente colpiti da James, dal suo fascino e dalla sua intelligenza, esattamente come la figlia aveva previsto. Sapeva meglio di chiunque altro quanto fosse difficile rimanere impassibili di fronte alla cortesia e ai modi garbati che il vampiro metteva in ogni suo gesto. Inoltre, il fatto che mostrasse un autentico rispetto nonché un sincero interessamento nei confronti delle opinioni altrui anche quando non combaciavano con le sue, gli fece guadagnare parecchi punti agli occhi dei padroni di casa.
Esattamente all'ora del dessert, si udì il ronzio del citofono. I genitori di Aly e James erano impegnati in un confronto su quali secondo loro fossero i migliori college del Paese, quindi Aly approfittò della loro distrazione per offrirsi di andare a rispondere.
Quando Helena entrò in casa, come prima cosa abbracciò forte la nipote e la baciò sulla guancia come era solita fare e le consegnò un piccolo regalo, probabilmente la causa del suo ritardo: i tortini alla zucca che la donna era solita preparare ad ogni Halloween con le zucche che coltivava personalmente nell’orto dietro al suo cottage. Aly sorrise dolcemente guardando quei dolcetti avvolti nella pellicola trasparente. Le ricordavano gli anni della sua infanzia e apprezzò molto il fatto che sua nonna avesse voluto tenere fede a quella loro piccola tradizione.
Contrariamente a quanto si era aspettata Aly, Helena si era mostrata diffidente quando la nipote le aveva annunciato del ritorno di James sia in città che nella sua vita. Quando le aveva chiesto il motivo, la donna aveva risposto che, secondo lei, Aly non avrebbe dovuto perdonarlo così in fretta perché la fiducia era cosa più preziosa che una persona poteva concedere ad un’altra, qualcosa che, una volta persa, andava riconquistata poco alla volta, altrimenti perdeva di significato. Davanti all'entusiasmo della ragazza però, alla fine Helena non aveva potuto fare a meno di sorridere e dirsi felice per lei.
Dopo i convenevoli, Aly condusse la nonna in sala da pranzo.
-Ehi, ho una piccola sorpresa per voi- annunciò.
Dietro di lei, Helena fece la sua apparizione.
-Buonasera a ...-
Tutti.
Ma quella frase rimase per sempre in sospeso.
Aly si voltò verso di lei per capire cosa non andasse e vide il suo sguardo allibito, per non dire incredulo, fisso su qualcosa. La ragazza guardò nella stessa direzione e si rese conto che il motivo della sua reazione era proprio James.
Inizialmente Aly ipotizzò che sua nonna fosse semplicemente impreparata alla bellezza del suo ragazzo. Non era una cosa insolita, anzi, accadeva abbastanza spesso e ormai ci era quasi abituata. Dopo qualche istante però, realizzò che quel comportamento non si addiceva affatto ad Helena: erano davvero pochissime le cose che nel suo caso avrebbero potuto giustificare una reazione simile ed un ragazzo, per quanto avvenente, non rientrava nella categoria.
La ragazza si stava ancora interrogando sulla ragione di quello sguardo incredulo, quasi sconcertato, quando si accorse che sul volto di James c'era un'espressione fin troppo somigliante, per non dire identica.
Helena a quel punto pronunciò una parola. O meglio, la sussurrò. Tuttavia Aly le era abbastanza vicina da riuscire a coglierla e questo bastò per farle crollare il mondo addosso nel giro di mezzo secondo.
-Kevin-.
 
***
 
In circostanze normali, Aly non avrebbe mai tollerato che James soggiogasse delle persone, sia perché era perfettamente consapevole che si trattasse di una pratica illegale – se non in casi eccezionali – , sia perché privare i mortali del libero arbitrio a parer suo era il modo peggiore di mancare loro di rispetto. Eppure in quell’occasione, quando James invitò gentilmente i suoi genitori a proseguire la discussione sul terrazzo e questi ubbidirono senza fare domande, Aly non si oppose. Non protestò. Non proferì parola. O forse sarebbe più corretto dire che non riuscì a proferirla. Era infatti altamente probabile che se anche James avesse ordinato a sua madre e suo padre di buttarsi giù da quella stessa terrazza, la ragazza non sarebbe comunque riuscita a reagire. Era troppo sconvolta per dire o fare qualunque cosa.
Helena, al contrario, aveva quasi subito cercato di prendere in mano la situazione ed aveva invitato la nipote a sedersi, ma quest'ultima non l’aveva nemmeno degnata di uno sguardo.
Da quando sua nonna era entrata ed aveva pronunciato quel nome, James non era più riuscito a guardare Aly negli occhi e questa per lei era la più palese ammissione di colpa.
James, il suo James, il vampiro al quale aveva donato oltre un anno della sua vita e per il quale aveva pianto altrettanto tempo, era anche l'ex di sua nonna.
Di sua nonna.
Aly non riusciva a parlare, né a pensare. L'unica cosa che riuscì a fare fu assistere passivamente alla conversazione tra Helena e James.
-Non posso crederci- iniziò la donna, scuotendo la testa. Sul suo volto c'era un'espressione a metà tra lo sdegno e il disgusto.
-Helena, io...- provò a dire James, ma lei subito lo interruppe.
-Tu cosa? Stai per dirmi che hai una spiegazione? Che non ne avevi idea? Che non te l'aspettavi?- Helena rimpicciolì gli occhi. -Puoi dire quello che vuoi, tanto ormai non credo più a nessuna delle tue parole. Ho smesso di farlo quarant'anni fa-.
Quarant'anni fa. Quarant'anni fa James stava con mia nonna.
Da parte sua, Aly non aveva mai visto James così in difficoltà. Il suo finissimo sesto senso questa volta aveva fallito alla grande, cogliendolo impreparato. Lo dimostrava il fatto che, per la prima volta da quando lo conosceva, fosse letteralmente senza parole.
-Che diavolo credevi di fare, mettendoti con mia nipote? A quale perverso gioco stai giocando? E, ti prego, risparmiati la parte in cui ti giustifichi. So bene che con te non esistono le coincidenze, Kevin James Miller-.
In quel momento Aly sentì come se, nella grande confusione che regnava nella sua testa, un altro tassello di quel complicato puzzle fosse andato al proprio posto. Kevin era il primo nome di James. Come faceva a non saperlo? Lui sapeva tutto di lei, Aly gli aveva raccontato fino al più insignificante dettaglio della sua vita ed era convinta che lui avesse fatto lo stesso...Invece in quel momento stava realizzando che, se non tutto, il suo fidanzato aveva omesso una buona parte di ciò che era stato davvero importante nella sua lunga esistenza. Sempre che quello che le aveva raccontato fosse la verità. A malincuore, Aly si trovò a dover considerare seriamente quell'opzione. Del resto, in quello stesso istante, si trovava davanti a quella che probabilmente era stata la sua più grande menzogna.
Fino a non molto tempo prima era fermamente convinta che nessuno avrebbe mai potuto capire davvero fino in fondo ciò che aveva passato negli ultimi tempi, neanche sua nonna che, per quanto comprensiva, “di sicuro non aveva affatto l'aspetto di qualcuno a cui un vampiro aveva spezzato il cuore”. Così aveva pensato. Invece, a quanto pareva, la loro esperienza era così simile da avere addirittura lo stesso protagonista.
Kevin quindi non era suo nonno, come aveva creduto quando Helena le aveva parlato di lui per la prima volta. No, decisamente non lo era. Non poteva nemmeno lontanamente considerare quella possibilità. Tutta quella faccenda era già abbastanza assurda ed inoltre lui e sua madre non si somigliavano minimamente...
Hai gli stessi occhi azzurri...
Quelle parole, provenienti da chissà quale angolo della sua mente, risvegliarono improvvisamente Aly.
“...gli stessi capelli biondi...
Sentì gli ultimi pezzi di quel bizzarro e surreale puzzle andare al proprio posto.
“...la stessa pelle chiara e gli stessi lineamenti delicati di tua nonna”.
Anche senza chiedere conferma a quella sua improvvisa rivelazione, Aly capì di avere la risposta. Ora sapeva, ora capiva il motivo di tutto quello che stava vivendo e che aveva vissuto negli ultimi due anni. E questo stava significare che quella sulla sua identità non era stata la più grande bugia di James. Il vampiro che era stato al suo fianco aveva fatto qualcosa di ben peggiore oltre che omettere di essere stato il ragazzo che quarant’anni prima aveva spezzato il cuore ad Helena.
-Stavi con me perché amavi lei- riuscì finalmente a dire Aly, anche se con voce flebile.
Tanto bastò a James per sentirla e, finalmente, trovare il coraggio di guardare nella sua direzione. Nello stesso istante anche Helena si voltò verso la nipote.
-Aly, che stai dicendo?- chiese James, perplesso.
Probabilmente pensava che fosse lo choc a parlare per lei, facendole pronunciare frasi sconnesse. La ragazza però era fin troppo consapevole del senso delle sue parole.
-Stavi con me perché ti ricordavo Helena da giovane, vero?- chiarì lei, con voce più decisa. -Per questo ti trovavi nel bosco, le volte in cui ti ho incontrato e chissà quante altre: la sorvegliavi. Tu la ami ancora-.
James sembrava sul punto di dire qualcosa, ma alla fine richiuse la bocca. Non c'era niente da dire e lo sapeva bene anche lui.
-Spesso mi fanno notare quanto io e lei ci assomigliamo- continuò Aly. -È per questo che mi hai avvicinata, quella sera nel bosco. In me hai rivisto Helena quando aveva più meno la mia età-.
-È così?- chiese Helena, incredula, tornando a guardare James. O forse sarebbe stato meglio chiamarlo Kevin. James non era nessuno, James non esisteva. James era solo un alter ego, personaggio, una parte recitata alla perfezione che, da parte sua, Aly aveva idealizzato fin troppo, specialmente nel corso dell'ultimo anno.
Lasciami fingere che tu sia lei. In cambio, sarò il ragazzo dei tuoi sogni. Era il patto che avevano inconsapevolmente stretto. Aly tuttavia si chiese quanto tutto ciò fosse avvenuto in modo inconsapevole. E se, nel profondo del suo subconscio, avesse già capito che le cose stavano più o meno così? Perché spesso, quando una cosa sembra troppo perfetta per essere vera, probabilmente non lo è e sin dalla prima volta che lo aveva incontrato, aveva sempre pensato che James sembrava fatto su misura, che fosse troppo perfetto.
A confermare definitivamente le ipotesi di Aly fu la risposta di James che seguì.
-Sì, è così- ammise. -Quella sera di due anni fa in cui vidi Alyssa passeggiare nel bosco, ebbi quanto più si avvicina ad un'allucinazione. Vedevo te, Helena, forse fu a causa del gioco di luci del crepuscolo, ma il viso di Aly era diventato il tuo. Avevo la sensazione di essere tornato indietro nel tempo e...non sono riuscito a resistere alla tentazione di avvicinarmi e parlarle-.
Per alcuni istanti, Helena non seppe cosa rispondere. Di certo non era minimamente preparata a quello che le stava succedendo eppure, nonostante questo, alla fine riuscì a mantenere in controllo della situazione senza lasciarsi sopraffare dal vortice di emozioni che l’aveva travolta in maniera così improvvisa.
-Quindi da quel momento hai finto che Aly fosse me- concluse Helena.
-Tutto questo non ha alcun senso- intervenne Aly, avvicinandosi di qualche passo. -Ma tanto ormai ho smesso di provare a capire quelli della vostra specie. Avete una logica tutta vostra. Dimmi solo una cosa: per quale motivo l'hai lasciata, se l'amavi? È una tua abitudine? I tuoi rapporti sentimentali hanno una precisa data di scadenza? O forse…-
-Non sopportavo di vederla invecchiare- rispose James, prima che Aly avesse il tempo di aggiungere altre domande. -E non perché io sia superficiale, ma perché tutto questo mi metteva di fronte all'unica, inesorabile verità: lei un giorno sarebbe morta, mentre io sarei dovuto rimanere qui in eterno-.
Poi si rivolse direttamente ad Helena, che lo guardava senza parole. Aly avrebbe dato volentieri un arto per conoscere i pensieri di sua nonna in quel momento.
-Non ho mai voluto nemmeno prendere in considerazione l'idea di trasformarti perché in questo modo ti avrei privato della cosa che più amavo di te, quella che ti rendeva la ragazza di cui mi ero innamorato: l'umanità. Renderti come me, un povero diavolo costretto a vagare per sempre su questa Terra senza uno scopo, prima o poi ti avrebbe tolto il sorriso, la voglia di vivere, tutto quello che faceva di te la donna che amavo. Che amo. Perché nonostante il male che ti ho fatto non ti sei lasciata andare, anzi, hai reagito e ne sei uscita più forte di prima. Hai avuto una bellissima figlia, che a sua volta ti ha dato una splendida nipote. Tutto quello che hai non avresti mai nemmeno potuto sognarlo, nel mio mondo. Sarebbe rimasto un'irraggiungibile utopia. Tutti bramano l'immortalità e l'eterna giovinezza senza sapere che dietro a tutto ciò c'è il nulla più assoluto, una vuota esistenza destinata a non finire mai. Un viaggio eterno che non porta da nessuna parte-.
Helena non disse nulla. Fissò James per qualche istante, basita, incapace di rispondere a quella che, in un altro contesto, avrebbe potuto considerare la dichiarazione più struggente che Aly avesse mai sentito.
Ad un certo punto, la donna si alzò e disse solo che aveva bisogno di qualche minuto per metabolizzare tutto quello che stava succedendo. Aly dubitava che le sarebbero bastati un paio di minuti, specialmente se per arrivare a quel punto erano serviti oltre quarant'anni, ma non disse niente e, quando sua nonna le passò accanto per dirigersi verso il soggiorno, lei si limitò a lasciarla passare.
Ora era sola con James. Anzi, era sola con Kevin. Una persona di cui aveva solo sentito parlare. In pratica, uno sconosciuto.
Aly sapeva che pronunciando la frase successiva, avrebbe distrutto definitivamente quanto rimaneva delle convinzioni che per troppo tempo erano state il punto fermo della sua vita. Quelle stesse convinzioni alla quale si era aggrappata così saldamente e disperatamente.
-Quindi finisce così- disse, semplicemente.
James alzò improvvisamente lo sguardo, come se non si fosse minimamente aspettato quelle parole. Aly fu stupita da quella reazione: era convinta di aver solamente espresso quant'era già nell'aria da quando era iniziata quell'assurda conversazione.
-Aly, aspetta- la fermò lui, alzandosi e dirigendosi verso di lei. -Io non ero preparato a niente di tutto questo, altrimenti ti avrei spiegato...-
-Certo, perché altrimenti avresti continuato a tenermi nascosto tutto, non è vero? O mi avresti soggiogata per farmi dimenticare. O te ne saresti andato di nuovo senza dire niente a nessuno. Del resto è così che tu affronti i problemi, no? Io vorrei solo sapere per quale motivo sei tornato. Perché sinceramente a questo punto mi pare chiaro che non l'hai fatto in nome del nostro amore- ribatté caustica la ragazza.
-Me l'ha chiesto Xavier- rispose semplicemente il vampiro, dopo un breve attimo di esitazione. -Mi ha chiesto di tornare perché la storia di quel vostro gruppo cominciava a dargli fastidio. Diceva che le ragazze cominciavano ad essere più diffidenti nei loro confronti e attribuiva la colpa al vostro gruppo. Voleva che lo aiutassi a dividervi-.
Aly rimase in silenzio per qualche secondo. Aspettava quella sensazione, come di una pugnalata dritta allo stomaco, la stessa che sentiva ogni volta che scopriva che lui aveva tradito la sua fiducia. Questa volta però non sentì niente. Aveva smesso definitivamente di fidarsi di James. Qualunque fosse il sentimento che l’aveva legata a lui, si era spezzato definitivamente in quell’istante.
-E tu, ovviamente, non potevi certo disobbedire al tuo creatore, giusto?- sorrise amaramente la ragazza. –Ma hai almeno un po' di rimorso? Voi vampiri ce l'avete una coscienza? Anzi, meglio non saperlo. Preferisco concedervi il beneficio del dubbio-.
Detto ciò, Aly prese la sua giacca, la sua borsetta e uscì dalla sala da pranzo, decisa ad andarsene al ballo anche senza cavaliere. Un attimo prima di uscire però, cambiò idea e si diresse in soggiorno. Helena guardava le luci della città dalla finestra più grande, immersa nei suoi pensieri. Aly le si avvicinò e l'abbracciò da dietro, posando la testa sulla sua schiena. Helena le strinse le mani e la ragazza, anche se non poteva vederla, intuì che stesse sorridendo amaramente, esattamente come lei.
-Non hai idea di quanto mi dispiaccia- disse Helena dopo un lungo momento di silenzio. -Non credevo che Kevin avrebbe trovato il modo di far del male a me o alla nostra famiglia ancora una volta-
-Non ti devi scusare di niente- rispose Aly. -Almeno ora so chi è davvero James. O Kevin. Dio, è tutto così assurdo...-
-Il Principe Azzurro Assassino. Così lo avevo rinominato dopo aver saputo chi...o meglio, cosa fosse-
-Direi che suona bene. Se fossi ancora membro del club, lo proporrei a Serena come nome per il suo programma di recupero-
-Cosa ti fa pensare di non esserlo più?- chiese Helena.
Aly sospirò, ricordando il loro ultimo incontro mentre un moto di vergogna e di rabbia verso sé stessa s'impossessava di lei. -Il fatto che quando le altre sono venute da me per cercare di aiutarmi, la mia reazione è stata quella di sbattere loro la porta in faccia-
O meglio, di lasciare che James lo facesse al posto suo, giusto per sottolineare la sua incapacità di prendere una decisione in autonomia.
-Se Serena e le altre sono vere amiche e se sei disposta ad ammettere i tuoi sbagli e a scusarti con loro, sono certa che ti concederanno volentieri un'altra possibilità- disse la donna, voltandosi verso la nipote e prendendole il viso tra le mani. -Sei una brava ragazza, Aly. Sei gentile, altruista e intelligente. Hai tutte le qualità necessarie per essere un'ottima amica. Non lasciare che le tue insicurezze ti fermino-.
Nonostante tutto quello che aveva appena vissuto, la ragazza trovò la forza per rivolgere un sorriso ad Helena.
-D'accordo- disse Aly, con un filo di voce. -Andrò a scusarmi con le ragazze. Ma tu cosa farai qui? Vuoi che revochi a James il mio invito a entrare? Sarebbe costretto a lasciare la casa-.
A quel punto, lo sguardo di sua nonna si fece improvvisamente meno benevolo e più determinato.
-Non preoccuparti angelo, me ne occuperò io- rispose. -Io e il signor Miller abbiamo ancora qualche cosetta di cui discutere, prima di considerare la serata conclusa-.


*N.d.A. : Per la serie "a volte ritornano"...rieccomi qui.  Spero abbiate gradito il nuovo colpo di scena (assieme al coming out di Max è stata una delle prime idee che ho avuto mentre lavoravo sulla stesura della storia). Vi avverto: il prossimo capitolo molto probabilmente richiederà un po' più tempo perchè c'è molta carne al fuoco ma spero ne valga la pena :) Nel frattempo colgo l'occasone per augurare a tutti buon Natale (in ritardo), buon anno (in anticipo) e buona fortuna con i buoni propositi per il 2016 (non so voi,io in genere li disattendo cinque minuti dopo la mezzanotte)...In ogni caso, Auguri!*

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Capitolo 17
*** Tra piani ben studiati, strani incontri e musica di dubbio gusto (parte 1) ***


-Clare, Max, Cameron- disse Serena, con gli occhi increduli ancora fissi su Aly. -Mi dispiace ma credo proprio che il premio “Vicende Assurde dell'Anno 2012” dovrò assegnarlo ad Alyssa Mlynowski-.
-Mi sembra il minimo- convenne Clare.
Aly sorrise amaramente. -Sì, direi che me lo merito-.
Serena non riusciva a credere che la sua “profezia” si fosse avverata sul serio: il karma aveva davvero presentato il suo conto a James, permettendo così ad Aly di aprire gli occhi una volta per tutte. Magari di lì a poco avrebbe scoperto di essere una veggente. Considerata la piega che stavano prendendo le cose in quell'ultimo periodo, non sarebbe stata poi così sorpresa della cosa.
-D’accordo, questa parentesi è stata decisamente…interessante e sconvolgente ma adesso dobbiamo procedere con il piano- intervenne Violet. –Tutto il resto possiamo metabolizzarlo dopo-
-Quale piano?- chiese Aly.
Quest’ultima, dopo aver superato lo choc iniziale causato dagli avvenimenti dell’ultima ora, aveva iniziato a guardarsi intorno ed aveva realizzato di avere parecchie altre ragioni per sentirsi perplessa e confusa, già a partire dalla situazione in cui si trovava in quel preciso momento: le altre ragazze, dopo averla incontrata nella palestra in pieno stato confusionale, l’avevano condotta nel corridoio dalla parte opposta della scuola. Aly non riusciva nemmeno a ricordare come fossero riuscite a arrivare lì, tanto era sconvolta.
Il secondo dettaglio che l’aveva spinta a chiedersi se fosse uscita ufficialmente di testa o se fosse la scena intorno a lei ad essere totalmente priva di senso, era stato l’arrivo di Cameron Stone con al seguito Max, l’ex di Clare. Perché quest’ultima non sembrava minimamente toccata dalla presenza del vampiro con cui aveva avuto una relazione che stava lì, a meno di un metro da lei? Ciò che rendeva tutto questo ancora più assurdo, era proprio il fatto che, esclusa Aly, tutti presenti si stessero comportando come se in tutto ciò non ci fosse niente di strano.
La ragazza intuì che in quegli ultimi giorni dovesse essersi persa qualche passaggio fondamentale che spiegava in modo (più o meno) logico quello a cui stava assistendo. Paradossalmente però, in quel momento erano tutti gli altri a guardare Aly come se il racconto della vicenda da lei vissuta poco prima fosse impossibile da credere.
-Adesso però potreste spiegarmi voi come mai siete qui tutti insieme e il motivo per cui siamo dovuti venire nel corridoio più remoto della scuola per parlare-.
-È una lunga storia- sospirò Clare.
Aly si rivolse allora a colei che, secondo il suo parere, poteva darle la spiegazione più chiara e allo stesso tempo sintetica. -Fay? Per caso ha a che fare con…-
Violet annuì prontamente. -Sì, ha a che fare con il motivo per cui sono qui. A proposito, non serve che continui a chiamarmi Fay, ho detto loro il mio vero nome-.
A quel punto Serena fu la prima a fare due più due e ad intervenire di conseguenza.
-Un momento, Aly conosceva la tua vera identità?- domandò.
Violet si voltò verso la ragazza che aveva chiesto spiegazioni
-Sono stata io a metterla al corrente di tutto, pochi giorni dopo il mio arrivo qui. Aly mi aveva messa in guardia sul fatto che avevo attirato l’attenzione di gente “poco raccomandabile” e che dovevo fare attenzione-.
-Cioè?- chiese Em.
-Si era accorta di come mi guardava Will- spiegò Violet.
Al margine del suo campo visivo, Aly notò Max irrigidirsi.
-In realtà inizialmente pensavo che fosse interessato a lei nell’altro senso…insomma, che ne fosse attratto perché Violet rappresentava la novità del momento- puntualizzò.
-Mi marcava stretta ogni volta in cui c’era la possibilità che Will mi si avvicinasse- continuò la Guardiana. –A quel punto ho deciso di rivelarle chi ero e perché mi trovavo qui. Avevo paura che Will le avrebbe fatto del male se avesse continuato ad intromettersi-
-Credevo di proteggerla quando invece mi stavo solo mettendo in pericolo. Non ne faccio una giusta, eh?- disse  Aly, facendo un mezzo sorriso amaro e abbassando lo sguardo.
-Sei stata molto coraggiosa invece- commentò Clare. –Voglio dire, hai sfidato un vampiro per evitare che si prendesse gioco di Violet, hai cercato di evitare che qualcun’altro vivesse quello che hai…che abbiamo vissuto noi-
-Inoltre- continuò Violet. -È stato grazie al tuo avvertimento che ho iniziato ad osservare meglio Will e questo mi ha dato modo di capire quali fossero le sue intenzioni. Sei stata molto più utile di quello che credi, mi hai risparmiato un bel po’ di lavoro-.
Lo sguardo di Aly incrociò istintivamente quello di Serena, che le sorrise. La ragazza ebbe la sensazione che quel sorriso racchiudesse in qualche modo le parole che la fondatrice del loro gruppo le aveva sussurrato quella volta, davanti alla porta di casa sua.
Lo so, so che sei più forte di tutto questo. E sono convinta che infondo lo sappia anche tu”.

***

La spiegazione in merito a quanto accaduto al club nei giorni in cui Aly era stata impegnata a pendere nuovamente dalle labbra di James/Kevin diede una risposta alle domande più importanti che si stava ponendo.
Venne aggiornata a proposito di Elijah, sulla sua abitudine di sacrificare ragazze in nome della sua distorta e psicopatica visione dell’amore “eterno” e del fatto che Kelly, stando a quanto raccontato da Serena, fosse quasi certamente la sua prossima vittima designata.
-È…è qualcosa di…- Aly non riusciva a trovare le parole adatte a descrivere quello che pensava.
-…incredibile?- l’aiutò Em.
-…disgustoso?- rincarò Clare.
-…assolutamente folle- concluse Aly. -Ma tanto le intenzioni di Elijah, quanto le vostre-
I presenti si scambiarono un’occhiata eloquente. Erano consapevoli di aver avuto troppo poco tempo per studiare bene la situazione, sicché il loro piano non poteva certo considerarsi perfetto, nonostante la supervisione di due esperti come Violet e Max, i quali avevano trascorso le ultime quarantotto ore a programmarlo e revisionarlo più e più volte, affinché fosse il più possibile a prova di imprevisto – e, se c’erano di mezzo dei vampiri, c’era una probabilità del centodue percento che se ne presentassero.
-Pensavo che dopo tutto quello che abbiamo passato nell’ultimo anno aveste capito. Loro saranno sempre e comunque due passi avanti a noi. Voi puntate sull’effetto sorpresa, sulla loro convinzione che delle giovani umane non potranno mai mettere in atto nulla di davvero pericoloso contro di loro…ma allora, con tutte le ragazze che ci sono nella nostra scuola, per quale motivo lui avrebbe scelto proprio Kelly, la migliore amica di Serena, nonché la cugina di Em? Andiamo, non mi direte che sono stata l’unica a pensare ad una trappola!-
-Non sei stata l’unica- le rispose Clare. -Pensi forse che nessuna di noi abbia notato la scritta “ESCA PERFETTA” che campeggia a caratteri cubitali sopra la testa dell’ignara e al momento rimbecillita Kelly? È stata una delle prime possibilità che abbiamo considerato, ma qual è l’alternativa? Starcene qui e vedere che succede? Abbiamo già perso troppo tempo-
-Come stavo dicendo- proseguì Violet, cercando di riportare l’attenzione sull’argomento principale. -Il vostro unico compito è cercare Kelly, allontanarla con una qualsiasi scusa e metterla al sicuro da Elijah. Al resto pensiamo io, Max e Cameron e voi non dovrete intromettervi per nessuna ragione-.
Aly non era ancora convinta della cosa, ma non trovava le giuste parole a supporto della sua visione delle cose. Era troppo difficile pensare con calma e lucidità dopo il cumulo di cose assurde che le era franato addosso nelle ultime ore, compromettendo seriamente la sua visione razionale delle cose. Nonostante questo però, rimaneva del parere che quanto stessero per fare fosse fi troppo rischioso e la sensazione che qualcosa sarebbe andato terribilmente storto era ben presente in lei.
Alla fine però, notando la determinazione negli occhi delle sue amiche, non vide altre alternativa che cedere.
-D’accordo, facciamolo- disse, con una voce che era poco più che un sussurro.
Aveva paura, certo, ma il pensiero che Clare, Serena, Em, Violet e persino Max e Cameron potessero venire feriti - o peggio - prevaleva su ogni altro timore. Forse il suo aiuto non avrebbe fatto alcuna differenza, forse avrebbe finito nuovamente per trovarsi in pericolo, ma doveva almeno provare a proteggerli.
 
***
 
Quella che era ormai già nota come “Notte dei Colpi di Scena” continuò a tenere alta la sua credibilità quando Violet condusse le ragazze nell’angolo più remoto del parcheggio della scuola, dove il suo vecchio maggiolone azzurro le attendeva, posteggiato lì da quella mattina, in attesa del momento propizio. La mezza fata aprì il doppio fondo del bagagliaio rivelando, al posto della ruota di scorta, un arsenale di armi di qualunque genere da utilizzare contro qualsiasi creatura ostile con cui potesse avere a che fare.
Max e Cameron, non necessitando di armi (dal momento che potevano considerarsi loro stessi un’arma) si erano separati dal resto del gruppo ed erano tornati nella palestra a tenere d’occhio Eli, Kelly e la situazione in generale.
-Sembra il bagagliaio dell’Impala dei fratelli Winchester- commentò Clare.
Aly notò uno strano luccichio nei suoi occhi. Più che spaventata da tutta quella roba, ne sembrava affascinata.
Nello scomparto segreto però, non c’era solo un vasto assortimento di armi quali pistole, balestre, pugnali e pallottole d’argento in quantità sufficiente da sterminare un branco di licantropi, c’erano anche fiale e boccette contenenti liquidi variopinti, erbe, fiori essiccati e alcuni oggetti di cui probabilmente solo i sicari conoscevano l’utilizzo.
-Questo a che serve?- chiese Em prendendo in mano una piccola boccetta contenente una strana sostanza nera e densa.
-Buio sottovuoto. Sta’ attenta a non romperla o non vedremo più niente per un po’- rispose prontamente Violet, mentre recuperava un pugnale, lo estraeva dal suo fodero rivelando una lama lunga e sottile e ne esaminava l’affilatura. Aly notò non senza un po’ d’inquietudine che era leggermente incrostato di sangue secco vicino all’impugnatura.
-Questo invece?- domandò Serena, prendendo una specie di grosso e nodoso pezzo di legno dall’aria piuttosto vecchia. Quando Violet si voltò per controllare, sbarrò gli occhi e ordinò a Serena di rimetterlo subito al suo posto.
-Quello è il pezzo di una delle radici di Yggdrasill- spiegò severa. -È rarissimo e vale una fortuna. Una grattugiata di quella roba rende miracolosamente efficace qualsiasi antidoto e istantaneamente letale qualsiasi veleno. Ti consiglio di lavarti le mani il prima possibile-.
Serena avvampò per l’imbarazzo e obbedì immediatamente alla mezza fata.
-Ygg…cosa?- provò a ripetere Aly.
-Yggdrasill, l’Albero del Mondo nella mitologia nordica. Secondo la leggenda i suoi rami sorreggono i nove mondi e l’intera volta celeste, mentre le sue radici sprofondano negli inferi-.
Gli sguardi stupiti delle ragazze puntarono tutti verso colei che aveva fornito la spiegazione. Non Violet, ma bensì Clare, che quando si accorse di avere addosso gli occhi di tutte, si limitò ad un’alzata di spalle.
-Mi piace la mitologia- si giustificò.
-Come sei riuscita a procurarti la radice di un albero mitologico?- chiese Aly a Violet.
L’ombra di un sorriso ambiguo comparve sul suo viso dai lineamenti ancora infantili di quest’ultima, che nel frattempo aveva finito di controllare i pugnali ed era passata ai paletti di legno.
-È un po’ come quando i genitori chiedono ai figli “da chi hai comprato la marijuana che ti ho trovato nello zaino?”. Diciamo che conosco certi individui che conoscono altri individui. Io chiedo, loro procurano, io pago e non faccio domande. Fintanto che il servizio è buono, non ho motivo di ficcare il naso-.
Aly si chiese quale fosse la valuta utilizzata nel mondo soprannaturale e, considerato il tono da gangster vissuta della minuta Violet, quanta della roba che teneva riposta nel bagagliaio fosse considerata “legale” in quello stesso mondo, ma ancora una volta il suo istinto le suggerì che era meglio non indagare oltre.
Dopo aver controllato ed affilato per bene l’ennesimo paletto, l’ibrido ne consegnò uno ad ognuna di loro, con tanto di apposita fondina da nascondere sotto il vestito, mentre per sé tenne il pugnale, una delle piccole balestre che Aly aveva notato poco prima, alcune munizioni per quella stessa arma e una fiala di liquido viscoso e scuro che la ragazza decise di non voler identificare.
-Paletti di frassino: i più letali per i vampiri. Utilizzateli esclusivamente per difendervi, mai per attaccare e non estraeteli a meno che la situazione non degeneri, siamo intese? Ci sono domande?-
Le ragazze si scambiarono qualche occhiata ma nessuna di loro disse niente. L’unico pensiero comune era che mai come in quel momento Violet era sembrata così adulta e sicura di sé. Del resto, nonostante in loro presenza l’avesse mostrata solo in un paio di occasioni, era quella la sua vera natura, la sua quotidianità, il suo lavoro.
Quello che Clare, Em, Serena ed Aly stavano vivendo era per loro qualcosa di completamente nuovo, eccezionale e del tutto sconosciuto, il che comportava tutte le implicazioni del caso: cuore a mille, adrenalina in circolo e sufficiente agitazione da provocare qualche piccolo tic nervoso alle ragazze. Al contrario, Violet non appariva per niente in ansia, anzi, era calma, lucida e la sua attenzione sembrava totalmente focalizzata sulla valutazione del suo compito.
Come doveva essere la sua vita? Convivere con pochissime certezze, tra cui la consapevolezza che la sua vita sarebbe potuta durare per centinaia di anni – se non addirittura per sempre – così come di finire quella stessa sera, o alla missione successiva, o a quella dopo ancora. Un’esistenza perennemente in bilico che però, stando a quanto aveva detto, rappresentava l’unica possibilità per gli ibridi come lei. Doveva essere una specie di effetto collaterale per chi nelle vene aveva sangue mortale e immortale insieme. Una condanna per qualcuno che non aveva altre colpe se non quella di essere nato.
-Ora tornerete dentro e vi comporterete come se niente fosse. Dobbiamo aspettare che la festa entri nel vivo, prima di agire- ordinò Violet. -Aly starà con me, voialtre cercate di non starvene troppo “in branco”, o attirerete l’attenzione dei vampiri. Socializzate, ballate, divertitevi ma cercate di non perdervi mai di vista e tenete sempre d’occhio la situazione, mi raccomando. Quando Max sarà riuscito ad allontanare Eli da Kelly, manderò Aly a richiedere al dj una specifica canzone. A quel segnale dovrete recarvi subito nei bagni delle ragazze, Serena porterà lì Kelly e la tratterrete ad ogni costo. Di Eli ci occuperemo io, Max e Cameron. Per ogni evenienza, tenete i cellulari a portata di mano. Tutto chiaro?-
Clare alzò la mano e l’attenzione generale si concentrò su di lei.
-Quale sarebbe la canzone che darà il segnale?-
-L’ultima di Justin Bieber- rispose prontamente Violet. Le ragazze si scambiarono uno sguardo poco convinto dalla scelta del brano, ma nessuna obbiettò. -Altro?-
La mano di Serena si alzò e l’ibrido le diede la parola. –E se Kelly si rifiutasse di seguirmi? È soggiogata, se provassi a trascinarla in bagno contro la sua volontà, lei potrebbe mettersi a gridare ed attirare l’attenzione di Eli-
Violet, che probabilmente aveva previso anche questo dettaglio, estrasse dalla sua borsetta a tracolla una bustina contenente pochi grammi di polvere argentata.
-Questa dovrebbe inibire la sua forza di volontà per un tempo sufficiente. Fa in modo che la respiri o versagliela nel bicchiere. Può causare colpi di sonno, quindi tienila d’occhio dopo che gliel’avrai somministrata- spiegò la mezza fata, dopodiché richiuse la borsa, di aggiustò i capelli e guardò le ragazze una ad una, con aria determinata. Okay, ragazze. Diamo a quel bastardo quel che si merita-.
 
* * *

Il punch alla frutta faceva schifo. Questa era la cosa più interessante che Em aveva avuto modo di notare negli ultimi venti minuti, ossia da quando Violet aveva mandato lei e le altre a fare gli agenti sotto copertura mentre aspettavano che le note di Beauty and a Beat si diffondessero nella sala. Per ammazzare il tempo, che sembrava scorrere sempre più lento, la ragazza scansionò la sala alla ricerca delle sue amiche, tanto per vedere come se la stavano passando con la loro copertura.
Notò che Aly aveva presentato Violet a due ragazze dell’ultimo anno, quasi certamente delle sue compagne di classe, forse le stesse che aveva frequentato prima di mettersi con James e a cui aveva accennato qualche volta, durante le prime sedute del club. La Guardiana, da parte sua, si mostrava a suo agio, interessata a qualunque fosse l’argomento della conversazione e a ciò che le altre avevano da dire in proposito. Sembrava una normale studentessa che si godeva il ballo mentre socializzava con le ragazze che, come lei, si erano presentate senza cavaliere – tra le quali spesso si formava una specie di sorellanza solidale. Em però cominciava ormai a capire di cosa fosse realmente capace Violet ed era convinta che probabilmente, mentre sorrideva e conversava con le sue compagne di scuola come se la sua attenzione fosse focalizzata tutta lì, in realtà al tempo stesso aveva tutti i sensi all’erta mentre teneva d’occhio ogni angolo della sala, pronta ad intervenire non appena si fosse accorta che qualcosa non andava.
Aly, al contrario, se ne stava un po’ in disparte: sorrideva anche lei e, di tanto in tanto, la vedeva pronunciare qualche parola, ma erano per lo più interventi brevi, espresse solo se le veniva rivolta direttamente una domanda. Em non aveva idea di come dovesse sentirsi in quel momento, considerato il turbine di emozioni che aveva dovuto affrontare nelle ultime ore. Né lei, né tantomeno le altre l’avrebbero certamente biasimata se per quella sera avesse scelto di tirarsi indietro, invece Aly era voluta rimanere ad aiutarle, nonostante i rischi e nonostante l’assurda situazione con cui si era appena dovuta confrontare. Doveva riconoscerlo: Serena aveva visto giusto quando aveva scelto di credere che in lei ci fosse più forza di quella che per troppo tempo aveva dimostrato, soprattutto nei giorni bui in cui ancora non si era rassegnata all’abbandono di James.
Lo sguardo di Em continuò a vagare per la sala alla ricerca di Clare, ma non la trovò. Non se ne sorprese più di tanto: probabilmente anche lei si era rifugiata in un angolo come Em. Quella sera non sembrava proprio dell’umore per partecipare ad un ballo. Anzi, a dirla tutta, Clare non sembrava il tipo di persona a cui piaceva partecipare ai balli in generale. Da quando l’aveva conosciuta aveva capito che la sua reputazione da “cattiva ragazza” era frutto di un pregiudizio nato a seguito di un singolo episodio – di per sé nemmeno così eclatante o straordinario – avvenuto anni prima e di cui si era pentita, a cui però si erano poi aggiunte un milione di perfide voci infondate che ci avevano ricamato sopra all’inverosimile, creando ed alimentando le assurdità che ancora giravano sul conto della ragazza. Em aveva imparato a vedere la vera Clare e a scinderla da quella ragazza subdola, strana e problematica di cui si sentiva parlare tramite i gossip nei corridoi, ma aveva capito anche che l’unica nota veritiera che girava a proposito della sua compagna di sventure era quella riguardante la sua (poca) femminilità, dettaglio che, ovviamente, per un periodo le era costata l’etichetta di “probabile lesbica”, voce che la sua storia con Max aveva messo a tacere quasi definitivamente.
Già, Max. di sicuro la sua presenza e quella di Cameron non contribuivano molto a migliorare l’umore di Clare, che già di per sé non sembrava esattamente alle stelle, nonostante entrambi cercassero di comportarsi con discrezione. Anche se quest’ultima aveva avuto più tempo di Aly per poter elaborare la sconvolgente verità che le aveva rivelato il suo ex, non la si poteva comunque biasimare. Per quanto Clare ci tenesse a nascondere le proprie fragilità, agli occhi delle ragazze del gruppo era chiaro che fosse ancora innamorata di Max e che stesse soffrendo da morire nel sapere non solo che il cuore del vampiro apparteneva a qualcun’altro, ma anche che non era mai stato realmente suo – non nel senso in cui lo aveva inteso lei, almeno – e che mai sarebbe potuto esserlo.
Em si mise quindi alla ricerca di Serena, per cercare di scacciare la bruttissima sensazione che aveva provato quando aveva provato a mettersi nei panni di Clare. Individuò la fondatrice del club vicino alla console del dj, mentre ballava con alcune cheerleader, le sue ex compagne di squadra. Ovviamente queste ultime erano tutte fornite di vestiti firmati per il cui pagamento una comune mortale come Em avrebbe dovuto accendere un mutuo, acconciature elaborate che dovevano aver richiesto diverse ore di preparazione, trucco multistrato che necessitava di un’aggiustatina in media ogni quindici minuti e, ovviamente, cavalieri accuratamente selezionati tra gli sportivi della scuola, preferibilmente dalle squadre di football o basket. Nonostante Serena non avesse adempiuto a nessuno degli obblighi sopraelencati, sembrava comunque a suo agio tra loro. Em sapeva, sempre grazie alle confessioni del club, che l’unica ragazza con cui Serena era apertamente in guerra era Courtney Dawson, “una stronza che si è fatta una reputazione pugnalando alle spalle e aprendo le gambe” come l’aveva definita una volta.
In quel momento, guardando Serena mentre si divertiva assieme alle sue vecchie amiche in quello che sembrava essere il suo habitat naturale, le venne spontaneo chiedersi se avrebbero mai avuto modo di conoscersi se non fosse stato per i loro ex. La risposta che si diede le venne altrettanto spontanea: molto probabilmente no. Tutte loro provenivano da contesti sociali differenti, sia nella vita, che nel piccolo perfido mondo che è il liceo. Non avevano praticamente niente in comune, ad eccezione di qualche corso, il che precludeva quasi ogni possibilità di socializzazione tra loro.
Fu strano per Em realizzare che dopotutto, i loro ex, per quanto si fossero dimostrati subdoli, egoisti, e perfidi sotto i più disparati aspetti, almeno un merito ce l’avevano: avevano fatto sì che Em, Clare, Serena ed Aly s’incontrassero e di questo avrebbero dovuto essere loro grate, nonostante tutto.
-Vedo che non sono il solo ad annoiarmi- esordì una voce accanto ad Em.
La ragazza era talmente immersa nei suoi pensieri che a quelle parole sobbalzò e si voltò di scatto per vedere chi le avesse rivolto la parola.
-Oh, ciao David!- esclamò sorpresa, quando si accorse che il ragazzo che le aveva parlato altri non era che il compagno di classe di cui Eli era stato immotivatamente geloso durante la sua complicata relazione con Em e che non le rivolgeva la parola dall’anno precedente proprio a causa delle minacce ricevute dal suddetto vampiro.
-Fammi indovinare: tu te ne saresti voluta rimanere a casa a guardare un film a caso in tv, beatamente spalmata sul divano, ma le tue amiche ti hanno convinta ad unirti a loro per celebrare questa assurda festività che da decenni ormai non ha altro che un significato puramente commerciale e ora stai solo aspettando il momento giusto per andartene senza passare per un’asociale- azzardò, mentre si serviva un bicchiere di punch.
-Più o meno- mentì Em, evasiva. –Anche per te è così?-
-Più o meno- rispose a sua volta il ragazzo, assaggiando un sorso della bevanda. Gesto che in breve mutò la sua espressione annoiata in una di disgusto, a conferma dell’opinione di Em in proposito di quell’orribile punch.
-Abbastanza imbevibile, eh?- disse la ragazza in tono comprensivo.
-Bleah. Ora capisco perché sei qui: presti soccorso alle vittime intossicate da questa roba. Ottima idea, ma personalmente ritengo che la prevenzione sarebbe un metodo più efficace- disse il ragazzo, occultando il bicchiere tra quelli già usati e abbandonati sopra il tavolo.
A quelle parole, Em ridacchiò.
-Hai ragione. Credo che seguirò il tuo consiglio-.
In quel momento, il suo sguardo si posò casualmente sulla mano sinistra di David ed il suo sorriso scomparve in fretta, alla vista dei moncherini che il ragazzo aveva al posto del mignolo e dell’anulare.
Quando David si accorse di cosa stesse fissando Em, quest’ultima si affrettò ad abbassare gli occhi, ma si accorse subito di aver rovinato quel momento di leggerezza tra loro. Il primo dopo tanto tempo.
Prima che il senso di colpa tornasse prepotente ad oscurare qualunque altra emozione però, il ragazzo prese la parola.
-Ti prego, non ritenerti responsabile per questo- disse, serio. –Tu non c’entri niente, sei una vittima delle circostanze tanto quanto me-.
Em cercò di pensare in fretta a qualcosa per replicare, ma non le venne in mente niente di appropriato e finì per rimanere in silenzio a fissarsi le scarpe. Non avrebbe mai pensato che proprio quella sera, tra le altre cose, avrebbe dovuto fare i conti anche con quella faccenda e non si sentiva minimamente pronta per una conversazione di quel genere. David però andò avanti.
-Lo so, Avrei dovuto avere il coraggio di affrontare questo argomento in un momento e in un luogo appropriati, anziché evitarti per tutto questo tempo e di questo mi dispiace- continuò. –Ma voglio farti sapere come la penso, rassicurarti sul fatto che non ti ho mai ritenuta in qualche modo colpevole per quello che è successo anche se sono certo che tu sia convinta del contrario-.
Solo a quelle parole Em riuscì finalmente a guardarlo di nuovo negli occhi.
-Stai scherzando?- chiese. Ma esaminando l’espressione sincera di David, capì che era serissimo. –Tu devi scusarti con me? Sono io quella che ha sprecato oltre un anno della sua vita impegnandosi in una relazione con il più grande psicopatico del mondo. Sono io che mi sono rifiutata per troppo tempo di vedere quanto grave e pericolosa fosse in realtà la situazione, continuando a frequentare Eli anche quand’era ormai chiaro che fosse fuori di testa. Sono stata io a prendere tutte queste stupide decisioni pur di non rischiare di rimanere nuovamente sola e non passa giorno in cui io non mi chieda come sarebbero potute andare le cose se non mi fossi ostinata ad aggrapparmi a questa relazione senza senso. Quindi sì, David, mi sento colpevole. So di essere colpevole. Perché se non mi fossi rifiutata vedere tutto il marcio che c’era sotto quel sottile strato dorato in superficie, se fossi riuscita a vedere Eli semplicemente per quello che era, senza lasciarmi influenzare dai sentimenti che credevo di provare per lui, forse tu…-
La frase, che Em non ebbe il coraggio di finire, venne inaspettatamente ripresa proprio dal ragazzo.
-…avresti ancora le dita- concluse amaramente David al posto suo. –So come la pensi, ma credi forse che questo faccia di te una sua complice? Pensi che io non mi fossi accorto del fatto che era lui la parte malata della coppia? Lui mi ha minacciato. Lui mi ha aggredito. Lui e solo lui è il responsabile. Credi forse che se anche l’avessi lasciato tu sarebbe stato tutto diverso? Sinceramente, io non credo. Avrebbe continuato a starti addosso, a sorvegliarti, a tormentarti e a minacciare chiunque ti stesse intorno esattamente come faceva prima. Non voglio nemmeno pensare a cosa sarebbe potuto accadere a te, in quel caso. Detto tra noi, secondo me, nelle giuste condizioni, uno come lui sarebbe capace di uccidere-.
Em si morse un labbro, cercando di non tradire la risata amara che avrebbe voluto farsi a quelle parole.
-Ti conosco da quando eravamo al primo anno, Em- proseguì il ragazzo. -Anche se non sei mai stata particolarmente loquace, qualcosa su di te l’ho imparata: sei un po’ timida, ma non sei certo una pazza da manicomio come quel tipo. Quando ho saputo che vi eravate lasciati ho tirato un sospiro di sollievo per te, ma ho continuato a girarti al largo per paura che si trattasse solo di una pausa di riflessione, sai, noi ragazzi non siamo informati tanto quanto le ragazze, per quanto riguarda i pettegolezzi- disse, riuscendo addirittura a strappare un mezzo sorriso ad Em. –Poi però ho visto Elijah andare in giro con quella cheerleader e ho capito che tra voi era davvero finita. Peccato solo che fosse ormai troppo tardi-.
La ragazza lo guardò perplessa. –Troppo tardi per cosa?- chiese.
David arrossì di colpo e distolse lo sguardo da Em, indirizzandolo sulla pista da ballo, dove gli studenti si stavano scatenando sulle note di un brano di Jennifer Lopez.
-Beh, per…invitarti al ballo-.
Em rimase talmente basita da quelle parole che i pensieri le si aggrovigliarono, impedendole di rispondere tempestivamente. David però interpretò male quel silenzio.
-Come amici, ovviamente- si affrettò ad aggiungere.
La ragazza aprì e richiuse la bocca un paio di volte, cercando di mettere ordine tra i mille pensieri e le altrettante emozioni che avevano improvvisamente compromesso le sue capacità oratorie, a causa delle parole che le erano appena state rivolte.
-Mi sarebbe piaciuto- riuscì a dire, nonostante l’evidente imbarazzo. -Cioè, venire con te al ballo. Sarebbe stata una buona…idea-
-Oh. Forte.- rispose David, spiazzato.
Per un lungo istante rimasero entrambi in silenzio, fissando dei punti vaghi della sala.
Em in realtà non aveva mai provato a vedere David sotto una luce diversa da quella del compagno di classe ma, ad essere onesti, non si era mai soffermata a guardare alcun ragazzo che conosceva da un punto di vista differente, negli ultimi tempi. Il caos che Eli aveva creato nella sua vita, unito alla sua poca autostima e all’ormai radicata convinzione che, a parte il suo ex, nessuno avrebbe mai potuto considerarla in qualche modo interessante o attraente, l’aveva scoraggiata e distratta dalla possibilità di guardarsi seriamente intorno.
Davvero una di quelle che lei aveva sempre considerato come una delle più grandi – ed infondate – paranoie di Eli conteneva un briciolo di verità? Davvero David era in qualche modo – e per qualche ignota ragione – interessato a lei?
Quasi come a dare una risposta a quel pensiero, in quel momento il ragazzo si fece coraggio e, deciso ad interrompere quel silenzio che ormai si stava dilungando troppo, tornò a guardare Em negli occhi.
-Beh, io ormai sono qui con i miei amici e tu con le tue amiche- constatò. –Però ti andrebbe di…ecco, insomma, di ballare? Solo per una canzone, niente di impegnativo. Poi potrai tornare tranquillamente a…sorvegliare il punch-
Em sorrise, imbarazzata ma lusingata da quel bizzarro invito e, senza indugiare, annuì.
 
***
 
L’ingresso della palestra, reso macabro dallo stile “vecchi cimitero abbandonato” con cui era stato decorato, era quasi deserto. La festa era entrata nel vivo e quasi tutti i partecipanti si trovavano all’interno a godersi la festa. Solo Clare sembrava non riuscire a farsi contagiare dall’atmosfera di Halloween ed era certa che non dipendesse solo dal fatto che si trovava in quel posto per una motivazione ben diversa da quella che accomunava la maggior parte dei presenti.
La sua discussione con Daphne era ancora ben impressa nella sua memoria e le parole di sua sorella maggiore continuavano a risuonarle in testa come se le avesse appena pronunciate.
Aveva trascorso gli ultimi anni nella sua ombra, fermamente convinta che l’unico ruolo che avrebbe potuto ricoprire con successo fosse la disgrazia della famiglia.
Qualche anno prima, per un certo periodo, era addirittura arrivata a pensare che Daphne ci godesse a vederla fallire in ogni sua impresa: farsi degli amici, trovarsi – e tenersi – un fidanzato, riuscire a prendere i voti più alti della classe in almeno un corso…
Ora però, dopo ciò che si erano dette il giorno prima, il suo punto di vista stava cominciando a cambiare. Stava rimettendo tutto in discussione. Per Clare fu parecchio dura mettere da parte il proprio orgoglio e le convinzioni a cui si era affidata per anni – alcune delle quali erano piuttosto radicate – pur di riuscire ad osservare le cose con più obbiettività, ma era decisa a dimostrare a sua sorella e soprattutto a sé stessa di essere matura abbastanza da riuscire ad affrontare quella situazione.
Doveva mettere tutto in discussione, cercare di guardare le cose da un punto di vista neutrale, anzi, diametralmente opposto al suo. In poche parole, doveva riuscire a mettersi nei panni di sua sorella. Le bastò però già solo immaginare la scena della loro discussione della sera prima dal punto di vista di Daphne per iniziare ad avere dei ripensamenti ed avvertire quella strana e spiacevole sensazione allo stomaco che solitamente preannunciava sensi di colpa.
O indigestione, a seconda delle circostanze.
Clare però non aveva mangiato quasi niente a cena, per cui fu costretta ad ammettere che forse Daphne aveva ragione: non sapeva affrontare i suoi problemi e, pur di evitare di farci i conti, preferiva fuggire.
Esattamente come aveva fatto Nikki quella sera, al Garage.
In quell’istante, un attimo prima che i ricordi di quell’orribile serata la risucchiassero nuovamente facendogliela rivivere per l’ennesima volta, Clare di accorse di non essere più sola.
Si voltò e notò che poco distante da lei c’era Matthew Reid, un ragazzo del suo anno con cui frequentava il corso di Storia ed Educazione Civica.
Matthew, che evidentemente non si era accorto della presenza della ragazza seduta sugli scalini dell’ingresso, a pochi metri da lui, tirò fuori dalla tasca interna della sua giacca un accendino ed un pacchetto di sigarette, ne estrasse una dalla confezione e se l’accese, incurante del fatto che i professori avrebbero facilmente potuto beccarlo.
Clare, al contrario dei suoi vecchi amici, non aveva mai preso il vizio del fumo. Secondo lei, che era cresciuta in una famiglia dove le necessità erano tante ed il denaro era poco, le sigarette non erano altro che un inutile spreco. Eppure in quel momento, mentre se ne stava lì seduta cercando di trovare una motivazione valida per tornare dentro e sembrare almeno un po’ convincente mentre fingeva di divertirsi, ne avrebbe volentieri fumata una. Magari l’avrebbe aiutata a rilassarsi.
Nikki diventava sempre un po’ meno nervosa dopo la sua sigaretta post-pranzo. Forse per una volta si sarebbe potuta adattare a quella soluzione. Ovviamente sarebbe stato solo per quella sera, non aveva la minima intenzione di iniziare a fumare seriamente.
-Ehi Matt, me ne offriresti una?- chiese, attirando l’attenzione del ragazzo.
Quando Matt la riconobbe, le lanciò un’occhiata sorpresa, ma si limitò ad avvicinarsi porgendole pacchetto e accendino senza dire una parola.
Clare sfilò a sua volta una sigaretta dalla confezione, se la mise tra le labbra e, anche se con un po’ d’incertezza, cercò di accenderla. Ci riuscì al terzo tentativo, dopodiché restituì l’accendino a Matt, il quale si sedette accanto a lei sui gradini dell’ingresso mentre esalava una piccola nuvola di fumo dalla bocca.
-Da quando fumi?- chiese il ragazzo, un istante prima che Clare iniziasse a tossire dopo aver tentato senza successo di inspirare come se fosse una fumatrice esperta.
-Non da molto immagino- si rispose da solo. –Come mai qui fuori?-
-Avevo voglia di prendere una boccata d’aria- rispose lei, una volta che fu tornata a respirare normalmente. –E non sono molto in vena di festeggiamenti, a dirla tutta-.
Matt annuì comprensivo e per qualche istante rimasero entrambi in silenzio. Clare fece qualche altro – disastroso – tentativo di aspirare dalla sigaretta, dopodiché ci rinunciò definitivamente e buttò a terra la cicca, calpestandola con una delle sue Converse nere per spegnerla.
-Belle scarpe. Molto eleganti- la prese in giro Matt.
-Se vuoi vedere dei tacchi a spillo devi tornare dalla dama che hai accompagnato qui stasera. A proposito, dove l’hai lasciata?-
Matt alzò le spalle. -L’ultima volta che l’ho vista si stava strusciando su Adam Gardner mentre giocavano ad ispezionarsi le bocche con la lingua a vicenda- rispose, in tono totalmente disinteressato. –Se conosco Courtney abbastanza bene, credo che a quest’ora si saranno già imboscati nello stanzino dell’inserviente-.
-Potrei dire che mi dispiace, ma direi una balla- disse Clare. –Sai bene quanto me che Courtney Dawson è una stronza ninfomane-.
-Beh, credi forse che l’abbia invitata per via della sua sofisticata personalità?- chiese Matt, sarcastico.
-Certo che no! Pensavo che l’avessi fatto per il suo carattere colto e raffinato e per la sua innata classe- ribatté Clare, riuscendo a strappare una risata al suo compagno.
-Non sapevo chi invitare e alla fine ho pensato a Courtney come ultima spiaggia: speravo di riuscire almeno a combinarci qualcosa entro la serata. Devo essere proprio uno sfigato se persino la ragazza più facile della scuola mi scarica senza troppi problemi-.
-Lasciala perdere- disse Clare, facendo un gesto vago con la mano. –Adam è l’ex di Serena Dale e sai quanto quelle due si detestino. Per Courtney non è altro che una ripicca-.
Matt sorrise mentre schiacciava il mozzicone della sua sigaretta sullo stesso gradino su cui era seduto per poi lanciarlo via.
-Per quel che vale, anch’io sono qui da sola- continuò Clare. -O meglio, con le mie amiche. Quindi non deprimerti, non sei l’unico sfigato in circolazione-.
-Le tue amiche, il tuo ex e il ragazzo del tuo ex, ad essere precisi. Quindi sì, credo proprio di non essere l’unico che sta passando una brutta serata- precisò Matt con nonchalance.
A quelle parole, Clare lo guardò stupita, con tanto di bocca leggermente aperta ad enfatizzare la sua espressione.
-Non fare quella faccia, lo sa tutto il branco, ormai. Beh, non è ancora una cosa ufficiale, ma i lupi sono come una famiglia, non ci si può nascondere le cose molto a lungo. Sappiamo tutti che Cameron e Tristan stanno insieme, ma facciamo finta di niente perché sappiamo che per Cameron è una questione delicata. Abbiamo deciso di rispettare i suoi tempi- spiegò Matt.
Quello che però fu esposto da Matt come un chiarimento, contribuì invece ad intensificare l’aria sorpresa di Clare.
-Sei un licantropo?- domandò.
-Wow, sei perspicace- commentò ironico lui.
Il tono con cui il ragazzo le rispose, irritò Clare.
-Scusami se non me ne vado in giro con una lista aggiornata degli studenti che appartengono a qualche altra specie- ribatté.
-Tecnicamente mi trasformo solo una volta ogni ventotto giorni, durante la luna piena. Per il resto del tempo sono cento percento essere umano…Beh, se escludiamo il fatto che sono più veloce, più forte, più intuitivo, più affascinante…-
-…E che sai prendere al volo i frisbee con la bocca. Sì, ho afferrato- lo interruppe Clare, che ricevette in cambio una finta occhiataccia. -È solo che non ti ho mai visto fare comunella con quelli del branco. Da quanto fai parte del Luna Piena Fan Club?-
-Da quando avevo nove anni. Sai, la solita storia: tua madre ti dice “non toccare quel cane randagio che è sporco e sicuramente ti passa qualche malattia” e tu sei costretto ad obbedire. Allora ripieghi su quel grosso lupo dai denti a sciabola che sta rovistando nella tua spazzatura. Lui non gradisce le coccole, ti morde ed improvvisamente ti ritrovi ricoperto di pelliccia mentre combatti contro l’istinto di abbaiare al postino-.
Clare aveva capito che, nonostante l’ironia con cui Matt aveva raccontato l’episodio e nonostante sembrasse essersi adattato più che bene alla sua condizione, diventare un lupo mannaro non doveva certo rientrare nei suoi piani di vita iniziali. Tuttavia, la ragazza non riuscì a trattenersi e rise.
-Se non mi vedi spesso con Cameron, Jason e gli altri del branco è perché non mi è mai piaciuto molto il cliché dei lupi mannari che socializzano solo tra loro. Non fraintendermi, quei ragazzi mi piacciono, siamo ottimi amici, ma non voglio che la mia identità dipenda solo dalla mia appartenenza al branco. Io sono prima di tutto Matt Reid, un singolo individuo. Un affascinante singolo individuo. Poi sono anche un licantropo, uno studente, un giocatore di baseball, un gran bel fusto…siamo multidimensionali, cara signorina Taylor. Tu non credi?-
Era strano per Clare sentirsi rivolgere quelle parole, specie dopo tutto il tempo che aveva trascorso a cercare di amalgamarsi prima al gruppo di Nikki, poi ai suoi compagni di classe ed infine alle compagnie di Max, arrivando spesso al punto di annullare la propria personalità per tentare di facilitare la cosa. Invece tutto quello che aveva ottenuto era stato riuscire a dimenticare chi era davvero Clare Taylor.
In quel momento alla ragazza fu chiaro quanto sua sorella avesse ragione su di lei: il più grande difetto di Clare era sempre stato quello di fuggire da qualunque cosa assumesse i contorni di un ostacolo o di un problema ed era dovuta arrivare al punto di ritrovarsi a fuggire addirittura da sé stessa, da quello che era, prima di riuscire a rendersi conto di quanto fosse stata vigliacca e immatura.
Dopo qualche istante di silenzio, Matt si alzò in piedi, si stiracchiò e si voltò verso Clare, ignaro di quali fossero i suoi pensieri in quel momento e di esserne stato l’ispiratore, grazie a quella sua confessione-riflessione di poco prima.
-Beh, io me ne torno dentro. Se non altro, Courtney e tutte le sue chiacchiere a proposito del suo smalto color borgogna ora sono un problema di Adam- disse, dopodiché tese la mano a Clare. –Vieni con me o preferisci restare qui ad elemosinare sigarette che non sai fumare?-
Clare, dopo un attimo di esitazione, prese la mano che Matt le stava offrendo e si rimise in piedi.
-Saggia decisione- disse il ragazzo, sorridendo. –Ora, che ne dici se andiamo a fingere di divertirci fintanto che il dj mette pezzi decenti? Sperando che continui su questa linea e che non decida di mettere roba da mammolette tipo Justin Bieber…-
 
 
*N.d.A. Un paio di precisazioni: 1- I riferimenti a Yggdrasil fanno effettivamente parte della mitologia nordica, tuttavia le proprietà delle radici che ho descritto sono frutto della mia mente contorta.
2- Ho scelto di ambientare la storia nel 2012 in quanto è stato l’anno in cui ho effettivamente iniziato a scrivere la storia (ovviamente in versione molto più grezza). Quindi non prendetemi per ritardata, so in che anno siamo.
3- Non intendo offendere Justin Bieber, né chi lo ascolta. Le opinioni espresse in questo capitolo non sono le mie ma quelle di Matt Reid.
4- Questo capitolo era stato inizialmente progettato per comprendere i POV di tutte e quattro le ragazze, ma poi ho visto che stava diventando troppo lungo, quindi ho deciso di dividerlo in due parti.
 
Detto ciò, come al solito mi auguro che abbiate gradito e prometto di aggiornare più in fretta possibile.
Un ringraziamento come sempre va a chi mi ha messo tra seguiti e preferiti, con menzione speciale a Nhial, l’ultima buonanima che ha recensito la storia.
Un bacio, Fly*

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Capitolo 18
*** Tra piani ben studiati, strani incontri e musica di dubbio gusto (parte 2) ***


Serena non pensava a nulla. La sua mente si limitava a registrare quanto le succedeva intorno, senza formulare alcun pensiero al riguardo.
Sentiva la musica, il cui volume sembrava alzarsi sempre di più, fino a coprire quasi del tutto le voci intorno a lei. Si muoveva seguendo il ritmo, imitando i passi degli altri ragazzi che si scatenavano in pista, come se si trovasse lì semplicemente per la loro stessa ragione: divertirsi. Guardava le sue vecchie compagne di squadra che ballavano e ridevano con lei come se facesse ancora parte del loro gruppo. Come se l’ultimo anno e mezzo non fosse mai esistito.
Serena aveva deciso di concedersi il tempo di quella canzone per fingere di essere ancora la vecchia sé stessa un’ultima volta e dimenticare tutto il resto.
Certo, la Serena di una volta non si sarebbe mai presentata al ballo senza un vestito accuratamente scelto e, soprattutto, senza un cavaliere, ma di questo non sembrava importare minimamente a qualcuna delle altre, nonostante loro fossero tutte provviste di accompagnatore. Quando Sophie e Becky l’avevano notata ai bordi della pista mentre sorseggiava un bicchiere di quello che aveva ufficialmente eletto come il peggior punch della Storia e l’avevano raggiunta, non le avevano chiesto nulla, se non di unirsi a loro. E lei, nonostante fino a quel momento si fosse ripetuta che l’unica ragione per cui si trovava lì era salvare la vita a Kelly, non aveva saputo dire di no alla prospettiva di avere un ultimo assaggio della vita che aveva vissuto per buona parte dei suoi anni alle superiori.
Perché nonostante tutto ciò che aveva vissuto in quell’assurdo ultimo periodo, nonostante quello che aveva suo malgrado imparato, nonostante tutte le persone più o meno simpatiche che aveva avuto modo di conoscere, aveva amato quella vita. Ragion per cui aveva deciso che le avrebbe dato l’addio definitivo solo dopo quella canzone, un’orecchiabile pezzo pop che negli ultimi tempi aveva sentito spesso passare alla radio e di cui molto probabilmente nel giro di qualche mese quasi tutti avrebbero dimenticato.
Verso la fine del brano, Sophie prese una mano a Serena e le fece fare un’impeccabile piroetta con tanto di casquè, gesto che fece guadagnare loro applausi e gridolini da parte delle altre cheerleader e dei loro ragazzi.
A quel punto, il dj annunciò che la traccia successiva era dedicata a tutte le coppie ed invitò quindi tutti i presenti a portare il proprio partner in pista. Mentre le note di “the only exeption” dei Paramore si diffondevano nella sala, Serena decise di approfittare di quel momento per andare in bagno a darsi una rinfrescata ed evitare di doversene stare da sola in un angolo ad assistere al momento più melenso della serata.
Mentre lasciava la pista, con sua grande sorpresa notò che tra le coppie che si erano formate, ce n’era una composta da Em e David Turner, entrambi tanto imbarazzati quanto impacciati a ballare. Lui in particolare, cingeva la vita di Em in modo adorabilmente goffo, come se avesse paura di farle male. Davanti quella scena, Serena non poté fare a meno di sorridere tra sé per la tenerezza che suscitava.
Curiosamente, il bagno delle ragazze era quasi vuoto. Nessun gruppetto di studentesse riunito a scambiarsi i pettegolezzi dell’ultim’ora, nessuna ragazza dal cuore infranto che piangeva standosene chiusa in uno dei cubicoli o che veniva consolata da qualche sua amica, nessuna paranoica del make-up che, davanti allo specchio, controllava lo stato del proprio eyeliner per la quattrocentesima volta. Oltre a lei c’era solo una ragazzina impegnata a lavarsi le mani.
Avvicinandosi però, la giovane si accorse che quell’anonima ragazzina, che indossava con un semplice vestito nero senza maniche di una taglia di troppo che le arrivava fino a sotto le ginocchia ed un paio di scarpe con il tacco basso, altri non era che Mary Annabelle. La sola ragione per cui Serena non l’aveva riconosciuta subito era che i suoi capelli castani erano sciolti e acconciati in tanti morbidi boccoli, anziché raccolti nella solita coda di cavallo.
La ragazza non poté fare a meno di notare come persino il lato “elegante” della sua ex-rivale in amore fosse incredibilmente sciatto e privo di personalità, esattamente come tutto il resto che la riguardava.
Serena, facendo finta di niente, si piazzò davanti allo specchio per controllare la situazione del leggero strato di trucco che aveva messo al posto dello spesso strato di fondotinta, delle ciglia finte, dal rossetto dalla tonalità esagerata e da tutto quello che in passato era stata abituata a spalmarsi in faccia nelle occasioni come quella.
Ad un certo punto però, con la coda dell’occhio, notò che Mary Annabelle la stava osservando di sottecchi.
Quest’ultima, quando si accorse di essere stata notata, si affrettò a distogliere lo sguardo, chiaramente imbarazzata, e a dirigersi verso l’asciugamani elettrico, riempendo il pesante e gelido silenzio di quella stanza con il pesante e fastidioso rumore prodotto dal dispositivo. Di certo, una volta finito, non si sarebbe mai aspettata di voltarsi e trovarsi faccia a faccia con Serena che, a meno di un metro da lei, la fissava indecifrabile e in modo decisamente più diretto della breve occhiata che le aveva rivolto poco  prima. Quando se ne accorse, Mary Annabelle sussultò e Serena vide la paura impossessarsi del suo sguardo. Per uscire dal bagno avrebbe necessariamente dovuto passare accanto alla ex del suo ragazzo, la quale le bloccava il passaggio mentre continuava a guardarla in silenzio, come in attesa di qualcosa.
Dallo sguardo della ragazzina, Serena intuì che probabilmente stava cercando di scegliere tra le uniche due opzioni a sua disposizione: mettersi a urlare per attirare l’attenzione di qualcuno – come ad esempio Tristan – o affrontarla apertamente. Osservandola mentre cercava di mantenere un atteggiamento dignitoso nonostante le si leggesse chiaramente la paura, anzi, il terrrore negli occhi, la ragazza non poté fare a meno di notare quanto in quel momento Mary Annabelle sembrasse più piccola ed indifesa che mai.
-Stai tranquilla, non ti mangio- esordì Serena.
Mary Annabelle continuò a guardarsi intorno con discrezione, probabilmente valutando le possibili vie di fuga.
-Volevo solo scambiare due parole con te, visto che se n’è presentata l’occasione- continuò la ragazza. –Poi ti lascerò tornare a vivere la tua serata da sogno con il tuo solo e grande amore, non preoccuparti-.
-Sinceramente, non credo che noi due abbiamo niente da dirci. Non ti conosco nemmeno- rispose Mary Annabelle, tentando di rendere il suo tono risoluto. Tentativo reso però vano dal suo sguardo, che tradiva la sua agitazione. Non riusciva infatti a sostenere quello di Serena per più di un paio di secondi.
-Oh, andiamo, sappiamo tutte e due che non è vero. Sai benissimo chi sono, così come io so chi sei tu, Mary Annabelle-
-Anna, per favore- la corresse la ragazzina. Con il tono piatto e quasi rassegnato di chi è ormai abituato a puntualizzare quella correzione. –Chiamami solo Anna. Odio il mio nome-
-Curioso- commentò Serena. –Per quanto ne so, a Tristan invece piace molto. Una volta l’ha definito…-
-“Meravigliosamente melodioso”- completarono le due ragazze, all’unisono.
-Lo so, me lo ripete ogni volta che tocchiamo l’argomento. È un po’ irritante- ammise Anna.
-Oh, lui ama ripetersi. Ogni volta in cui commettevo l’errore di proporgli di fare qualcosa di diverso, di uscire un po’ dalla routine, di provare cose nuove, mi propinava il suo famoso discorso sulla fragilità umana, sull’incoscienza dei mortali, sul fatto che i giovani come noi tendono a non riflettere mai sulle conseguenze, esponendosi così ad innumerevoli rischi, eccetera. Sempre le stesse parole. Non cambiava nemmeno un avverbio-.
Dall’occhiata che le rivolse Anna, Serena capì due cose molto importanti: che stava iniziando ad abbandonare la convinzione che fosse lì per ucciderla e che molto probabilmente Tristan non aveva perso l’abitudine di demolire l’autostima delle sue ragazze tramite i suoi pallosi monologhi sulle sostanziali differenze tra umani e vampiri, mettendo bene in chiaro quale secondo lui fosse la specie superiore.
-Senti, lo so che probabilmente sono l’ultima persona che dovrebbe parlarti a questo proposito; ovviamente sarai liberissima di non ascoltarmi ma mi sono trovata nei tuoi panni e, che tu ci creda o no, non ci tornerei nemmeno in cambio dell’immortalità. Beh, ovviamente mentirei spudoratamente se ti dicessi che non ti ho mai odiato, o invidiato, o che non ho fantasticato sui modi più disparati per ammazzarti, o scritto il tuo nome accompagnandolo ad una serie di aggettivi poco gratificanti sul muro del bagno del primo piano. A proposito, di quello mi sono pentita, ero in un brutto momento. Ti chiedo scusa-.
La ragazzina poteva anche aver capito che Serena non aveva intenzione di farle del male, tuttavia, osservando la sua espressione era facile intuire quanto fosse perplessa e confusa dalle parole della ex del suo ragazzo.
-Ehm, okay- rispose, incerta.
-Lo so, sto usando troppi giri di parole ma non mi aspettavo di avere la possibilità di parlarti e quindi non mi ero preparata un discorso. In breve, il punto è questo: sin dalla prima volta che ti ho visto – che ti ho visto in compagnia di Tristan, altrimenti non credo che ti avrei mai notata – mi sei sembrata la ragazzina più patetica di tutto il pianeta Terra. Anonima, insignificante, scialba sia nell’aspetto che nel carattere, la perfetta rappresentazione della mediocrità. E sai qual è la cosa che più tra queste ti rende tremendamente irritante? Il fatto che in tutto ciò tu sembri tentare a tutti i costi di sentirti a tuo agio, di farti andare bene questa insipida realtà a prescindere-.
Serena esaminò il volto della ragazzina, cercando di leggervi le emozioni che stava provando di fronte alle sue parole. Vi trovò l’indecisione. Anna era talmente impreparata a ricevere critiche così pesanti e per di più da parte sua, da ritrovarsi confusa davanti alla scelta sulla reazione da tenere a seguito di quelle parole, ossia: mettersi semplicemente a piangere o arrabbiarsi ed insultarla a sua volta.
-So che sei relativamente nuova, qui- continuò imperterrita Serena. –Ti sei trasferita la scorsa primavera. Fortunatamente non mi sono mai trovata in una situazione del genere ma sono certa che non dev’essere stata un’esperienza piacevole. Voglio dire, essere costretti lasciare i propri amici a metà dell’anno scolastico e ritrovarsi di punto in bianco in una nuova scuola piena di sconosciuti, specialmente se non hai un carattere particolarmente estroverso, non dev’essere affatto semplice. Se mi fossi trovata al tuo posto, l’ultima cosa che avrei desiderato accadesse fosse diventare l’invisibile succube di un ragazzo, a prescindere dalla specie di appartenenza di quest’ultimo, e onestamente credo nemmeno tu abbia mai aspirato ad un ruolo simile. Scommetto invece che la mattina del tuo primo giorno in questa scuola tu ti sia alzata un’ora prima solo per scegliere con cura i vestiti da mettere e prepararti a dovere e magari anche per fare qualche prova allo specchio su come ti presentarsi agli altri. Sono certa che tu sia entrata in questo edificio in ansia, spaventata, col cuore a mille, ma nonostante tutto decisa a mostrarti affabile, sorridente e sicura di te perché, si sa, di prima impressione ce n’è una sola e nessuno vuole trascorrere gli anni del liceo a pranzare da solo nel tavolo vuoto vicino ai bidoni della spazzatura. Per quanto certa gente cerchi in ogni modo di mostrarsi cinica, insofferente verso chiunque, a suo agio nella solitudine, la verità è che ognuno di noi ha disperatamente bisogno di qualcuno al suo fianco-
-Ma io ho qualcuno- intervenne Anna, rianimata dalle ultime parole di Serena. –Ho Tristan, che ti piaccia o meno. Ed è stato proprio lui, all’inizio della nostra storia, a mettermi in guardia su di te. Mi aveva detto che, semmai avessi provato a parlarmi o a metterti in contatto con me in qualche modo, non avrei dovuto credere ad una sola parola di quello che avresti detto perché non riuscivi ad accettare la fine della vostra relazione ed eri completamente fuori…-
-Sto parlando di qualcuno che ti faccia stare bene, che sia lì per te quando hai bisogno senza secondi fini, qualcuno che non si ritiene migliore di te, ma allo stesso livello e che non s’impegni costantemente a distruggere la tua autostima, ma che ti apprezzi semplicemente per come sei- la interruppe Serena. –E comunque, come ti ho detto prima, sei libera di non ascoltarmi e dimenticare tutto quello che ti sto dicendo non appena sarai uscita da quella porta. Ad essere sincera, non m’importa molto di cosa deciderai di fare, una volta che sarai tornata da Tristan. La sola ragione per cui ti sto dicendo tutto questo è che guardandoti mi sembra di rivedere me stessa ai tempi in cui ero io l’ombra di quel disgraziato e guardandoti  mi rendo finalmente conto di quanto fossi caduta in basso. Io però mi sono dovuta risollevare da sola. Nel mio caso nessuno è venuto a sbattermi la verità in faccia, almeno all’inizio. Ora, tu puoi scappare e cercare in ogni modo di dimenticare quello che ti ho detto, magari rifugiandoti subito tra le braccia di Tristan, così da poterti ancora illudere che lui sia il grande amore della tua vita e che io sia solo una povera pazza in pieno esaurimento nervoso, ma quando ti renderai conto di quello che stai facendo a te stessa – e succederà prima o poi – non potrai dire che nessuno ti aveva avvisata. Non avrai il diritto a rifugiarti in questa scusa, tienilo a mente-.
A seguito di queste parole, Serena fissò per alcuni secondi il volto offeso e confuso della ragazzina, dopodiché si voltò verso lo specchio e continuò ad esaminare lo stato del proprio trucco come se niente fosse accaduto. Accanto a lei, Anna fissava un punto imprecisato davanti a sé, incapace di reagire, esattamente come aveva previsto Serena. La ragazza aveva appena espresso i suoi pensieri senza censure, andandoci giù in modo davvero pesante e ammettendo anche di averla insultata pubblicamente tramite la scritta sul muro del bagno che tutta la parte femminile dell’istituto aveva avuto modo di leggere…e Anna non aveva minimamente provato a difendere quel che rimaneva della sua dignità – sempre ammesso che gliene fosse rimasta. Certo, aveva tentato di dire qualcosa non appena Serena aveva alluso alla relazione con Tristan, ma quest’ultima era sicura che, più che un goffo tentativo di tenerle testa, quelle parole fossero una risposta pronta a cui il vampiro l’aveva preventivamente preparata tramite lavaggio del cervello, nel caso in cui la sua bella si fosse trovata in una situazione come quella che avevano appena vissuto.
Dopo qualche secondo di indecisione, Anna si diresse verso la porta senza dire una parola, probabilmente decisa a tornare il più presto possibile dal suo cavaliere e di dimenticare quell’incontro, proprio come aveva previsto Serena.
-Ah, dimenticavo- aggiunse quest’ultima, senza distogliere lo sguardo dallo specchio. –Ho sentito che stavate pensando di celebrare il matrimonio dei vampiri, stasera dopo la festa. Non so se sia effettivamente vero, considerata l’attendibilità della fonte da cui ho avuto la notizia, ma ti consiglio di riflettere con calma prima di accettare il morso che ti trasformerà in una pallida principessina immortale. Non crescerai mai più né fisicamente, né emotivamente, ciò significa che resterai una ragazzina immatura per l’eternità; inoltre, per il Vincolo del Creatore, sarai costretta ad obbedire per sempre ad ogni ordine che t’impartirà Tristan, a prescindere dal fatto che stiate insieme o meno. Fossi in te ci penserei un po’ su. Buona serata-.
Anna, che si era fermata mentre era già sulla soglia, aprì e richiuse la bocca un paio di volte, cercando invano una frase d’effetto con cui controbattere. Come prevedibile, non la trovò e alla fine si limitò ad uscire dal bagno in silenzio.

***

Kelly sembrava un fantoccio. Una marionetta i cui fili venivano tirati da Elijah che, elegantissimo nel suo completo nero, non la perdeva di vista un attimo e non si allontanava mai da lei per più di un metro.
Dopo averli osservati attentamente per un po’, Aly ebbe la conferma definitiva del timore che aveva espresso agli altri quando, poco dopo il suo inaspettato arrivo al ballo, l’avevano messa al corrente del piano: Eli era troppo sveglio per farsi fregare da un branco di ragazzine che potevano contare sul solo aiuto di un vampiro ed un sicario.
La giovane distolse per un attimo lo sguardo dalla “coppietta felice” e lanciò un’occhiata a Violet, la quale stava portando avanti una conversazione con due ragazze che frequentava abitualmente prima di incontrare James.
James. Quel nome riecheggiò di nuovo nella sua mente assieme a buona parte dei ricordi che lo riguardavano, in particolare quelli di poco prima, nonostante i continui tentativi di Aly per riuscire a tenere i suoi pensieri lontani da lui, da quello che ormai era ufficialmente e definitivamente diventato il suo ex.
In un certo senso tutto ciò aveva un che di ridicolo: lui l’aveva usata come surrogata della donna che veramente amava, si era preso gioco dei suoi sentimenti, aveva sfruttato ogni suo punto debole e ogni momento in cui si era sentita vulnerabile a suo vantaggio, l’aveva irrimediabilmente plagiata per poi abbandonarla e tornare solo dietro richiesta, o meglio, ordine di Xavier e, nonostante questo, lei aveva smesso di considerarlo il suo ragazzo solo quando non aveva avuto altra scelta se non quella di realizzare una volta per tutte che James non l’amava.
La cosa che più si rimproverava Aly però, era quella di essere dovuta arrivare al limite, prima di riuscire finalmente a rendersi conto che per tutto quel tempo aveva preferito inventare e credere alle storie più assurde pur di rifiutarsi di vedere come stavano davvero le cose.
-Strana serata, non è vero?- esordì una voce familiare accanto a lei.
Aly si voltò verso la voce, trovandosi faccia a faccia con l’ultima delle persone che si sarebbe aspettata di incontrare quella sera.
-Ciao, Rachel- la salutò, incerta.
Sia lei che le altre non avevano più parlato con Rachel ed Elise, in seguito al memorabile ceffone che Clare aveva rifilato alla migliore amica della ragazza che le stava accanto. Non che avessero lasciato qualche questione in sospeso: durante l’ultimo incontro a cui avevano partecipato, proprio a casa di Aly,  Elise era stata estremamente chiara riguardo a ciò che pensava del club e dopo quel giorno aveva anche tolto il saluto a tutte loro, imponendo quella decisione anche a Rachel.
-Ciao Alyssa- ricambiò la ragazza. –Scusami se compaio così all’improvviso, ma potrei parlarti un momento? Si tratta di una questione piuttosto urgente-.
Aly lanciò prima un’occhiata a Violet, la quale sembrava ancora presa dalla conversazione con le altre sue compagne, e poi un’altra alle spalle di Rachel, cercando Elise nei paraggi. Contrariamente a quanto immaginava, non la trovò. Da quando aveva conosciuto le due ragazze, era la prima volta che non le vedeva insieme e, cosa ancora più strana, era la prima volta che la remissiva, timida ed insicura Rachel veniva a parlarle di sua spontanea volontà. Davanti a quell’insolita circostanza Aly si insospettì, ma cercò di non dare a vedere i suoi dubbi e decise di assecondare la ragazza.
-Certo- acconsentì. –Di che si tratta?-
Rachel, per tutta risposta, si guardò intorno con circospezione, gesto che contribuì ad alimentare i sospetti di Aly.
-Non qui- rispose infine. –Vieni con me-.
Le due ragazze uscirono dalla sala ed imboccarono il corridoio che dalla palestra portava all’atrio principale della scuola. Immerso nella semi-oscurità e nel silenzio, l’ambiente in cui erano abituate a trascorrere sei ore quasi ogni giorno assumeva un aspetto alquanto tetro e Aly si ritrovò a pensare che quel corridoio così grande e vuoto che sembrava perdersi nel buio sembrava il luogo perfetto in cui ambientare l’inquietante scena che nei film horror precedeva l’apparizione del serial killer. Inoltre, due normali ragazze che avevano lasciato la sala della festa isolandosi dal resto dei loro compagni proprio durante la notte di Halloween, assomigliavano fin troppo allo stereotipo delle vittime predilette nei film di quel genere.
La schiena di Aly venne attraversata da un brivido che non aveva niente a che fare con il freddo, ma che tentò di ignorare.
-Ti confesso che è stata dura raccogliere il coraggio necessario per venire qui stasera- iniziò Rachel, distraendo l’altra ragazza dai suoi pensieri. –Ma dovevo farlo. È il minimo, dopo quello che ho combinato-.
A quelle criptiche parole, l’attenzione e la curiosità di Aly si acuirono ulteriormente.
-Cos’avresti fatto?- chiese allora.
Rachel abbassò lo sguardo sul pavimento di linoleum, prima di ricominciare a parlare.
-Vi ho tradito- disse, con voce appena udibile. –Ho fatto il doppio gioco. Ho preso in giro voi quattro e anche Elise-.
Davanti a quell’inaspettata confessione, Aly restò basita. Non ebbe però il tempo di chiedere a Rachel di cosa stesse parlando, perché la ragazza continuò a parlare senza alzare lo sguardo di un solo centimetro, proprio per evitare di dover affrontare direttamente la reazione scaturita dalla sua amissione.
-Non l’ho fatto di proposito o, per meglio dire, non l’ho fatto di mia volontà. All’inizio dell’anno scolastico Will mi ha costretta a dire in giro che ci eravamo lasciati e a fingermi profondamente turbata e depressa per questo. Dopo che la notizia ha cominciato a diffondersi, lui ha preteso che ne andassi a parlare con Serena perché mi invitasse alle sedute del club e così è stato. Quello che non aveva programmato Will era che Xavier lasciasse Elise proprio in quegli stessi giorni e che lei mi chiedesse di potersi unire a sua volta al gruppo. Non credevo che la sua presenza sarebbe stata un problema, anzi, ero convinta che avrebbe aumentato la mia credibilità, invece, come al solito, ho fatto male i conti e non mi sono minimamente preoccupata del fatto che Elise si è sempre dimostrata molto più sveglia di me. Dopo qualche tempo ha cominciato ad accorgersi che qualcosa non andava ed ha quindi ha cominciato a sorvegliarmi fino al giorno in cui mi ha sorpresa a parlare con Will. Ovviamente non mi ha affrontata subito, probabilmente aveva intuito che se mi avesse rivelato di aver scoperto il mio segreto, io sarei stata obbligata a dire tutto a Will, quindi ha organizzato quella scenata davanti a voi per riuscire ad allontanarmi dal gruppo ed essere certa che non mi avreste più cercata. Sono venuta a sapere tutto questo solo qualche giorno dopo quella famosa discussione e la ragione per cui non ve ne ho mai parlato fino ad ora è, ovviamente, Will. Lui mi ha soggiogata per costringermi a fare tutto questo e perché non rivelassi niente nel caso in cui mi fossi pentita, cosa che è successa poco dopo avervi conosciute. Con la morte di Will il vincolo del soggiogamento è stato spezzato, tuttavia non riuscivo a trovare il coraggio di affrontarvi, dopo il modo in cui ci eravamo lasciate. Ero certa che non mi sareste mai state a sentire-.
Dopo essersi tolta finalmente il peso del segreto che si era portata appresso per troppo tempo, Rachel si appoggiò contro gli armadietti accanto a cui si trovava e si lasciò andare ad un lungo sospiro liberatorio, alla fine del quale trovò finalmente la forza per alzare lo sguardo verso Aly. Quest’ultima notò subito che gli occhi della ragazza erano arrossati e acquosi, come se stesse per piangere.
-Ma perché? Perché a Will interessavano gli affari del gruppo?- chiese Aly. Tra tutti i vampiri invischiati in quella sempre più complessa vicenda, aveva sempre visto Will come quello che ricopriva il ruolo più marginale, almeno fino ad un’ora prima, quando le altre le avevano detto che era stata Violet ad ucciderlo per difendersi dal suo tentativo di eliminarla. A quel punto, il quesito sorgeva spontaneo: chi era davvero William McKellen?
-Elise ha scoperto anche questo- proseguì Rachel. –Ha detto di aver “indagato” personalmente su Will poiché si era posta le stesse domande. In questo modo è venuta a sapere qualcosa che credo nessuno avrebbe mai immaginato: Will era a sua volta obbligato ad eseguire gli ordini di qualcun’altro-
-Fammi indovinare- intervenne a quel punto Aly che, a seguito di quelle parole, fu vittima di un déjà-vu piuttosto recente. –Per caso si trattava di Xavier che cercava di distruggere il nostro gruppo dall’interno? Ho sentito una storia simile, giusto un paio d’ore fa-
Inaspettatamente però, Rachel scosse la testa. –Lo credevo anch’io. Del resto Xavier è il creatore di Will e, in quanto tale, sarebbe dovuto essere l’unico a poter obbligarlo a fare qualcosa. Invece Elise ha scoperto che non si trattava di un semplice ordine di questo genere: Will era a sua volta soggiogato. Da Elijah-.
Quell’informazione scosse Aly più di quanto non avesse fatto tutto il resto. Per quanto ne sapeva, era impossibile per un vampiro soggiogare un suo simile. James le aveva spiegato dettagliatamente il motivo diverso tempo addietro e, anche se in quel momento non riusciva a ricordare a memoria tutti i meccanismi per cui tale azione risultava impossibile, uno lo aveva ben chiaro: la mente degli umani e delle altre creature viventi era più malleabile rispetto a quella dei vampiri che, essendo parzialmente “morti”, non producevano onde cerebrali, o le producevano  in maniera diversa. In parole povere era come se la loro mente fosse criptata e quindi protetta da ogni possibile influenza esterna.
Aly era sul punto di esporre i suoi dubbi a Rachel, quando ricordò quello che le avevano detto le altre poco prima, mentre le riassumevano quant’era accaduto mentre lei era impegnata a calpestare per l’ennesima volta la propria dignità per dedicarsi al culto di James. Violet le aveva rivelato che Elijah era un pericoloso assassino che era sempre riuscito a sfuggire alla cattura da parte degli altri sicari, in modi sorprendenti anche per loro. Aly sapeva inoltre che non era insolito per alcuni vampiri possedere delle doti che normalmente gli altri loro simili non avevano.
E se Elijah fosse stato uno di loro?
-Mi stai dicendo che Eli è in grado di soggiogare anche i vampiri?-
Rachel annuì. –Neanch’io potevo crederci quando l’ho scoperto, ma poi Elise mi ha descritto nel dettaglio gli incontri tra i due a cui aveva assistito. A suo dire, Will si comportava esattamente come me, pendeva completamente dalle sue labbra, tanto da sembrare un fantoccio completamente privo di volontà propria. E dire che quando ero con lui non dava alcun segno di tutto questo. Era spontaneo e, anzi, ogni tanto mi accennava alla all’insofferenza che aveva sempre provato nei confronti di Elijah…-
-Un momento- la interruppe Aly, che ascoltando quella spiegazione aveva avuto un improvviso presentimento. Un presentimento che pregò con tutto il cuore essere sbagliata. –Hai detto che si comportava come al solito?
Nessun segno di indebolimento, o scarsa capacità di attenzione come accade sugli umani?-
-No, assolutamente- rispose Rachel. –Probabilmente la soggiogazione ha effetti diversi sui vampiri-.
-Rach, potresti avere appena salvato più di una vita- disse Aly, dopodiché, prima che l’altra ragazza avesse il tempo di chiederle il motivo di quelle parole, si tolse le decolleté tacco dieci che indossava, le raccolse al volo e si mise a correre più velocemente che poteva verso la palestra.


*NdA: Come sempre, mi scuso per la lentezza dei miei aggiornamenti. Se continuate a seguire questa storia nonostante questo mio difetto, posso solo rendervi grazie e distribuire biscottini virtuali a tutti voi. Tanto per rassicurarvi, sappiate che sono già a metà del prossimo capitolo.
Cambiando leggermente discorso, vi informo che sto lavorando ad un piccolo spin-off della storia dedicato ad uno dei personaggi secondari, spero di poterlo pubblicare al più presto e conto su di voi perchè mi diciate se a vostro parere è una buona idea*

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Capitolo 19
*** Risposte ***


Nonostante non avesse mai guardato con particolare interesse Matt-Reid-Quello-Della-Classe-Di-Storia, Clare si stava divertendo molto in sua compagnia e, dal momento che quella su cui stavano ballando era la quinta canzone di seguito, la ragazza poteva dirsi abbastanza sicura che per lui fosse lo stesso.
Poco distante da loro, Serena si era appena ributtata in pista con le sue vecchie amiche cheerleader ed in quel momento si stava scatenando come se fosse l’ultima festa della sua vita. Clare non ricordava di averla mai vista ridere e divertirsi in quel modo, da quando si conoscevano.
A bordo pista, dal lato opposto della sala, era possibile scorgere tra la folla di studenti Em e Dave, che in quel momento stavano rappresentando perfettamente l’immaginario collettivo dei due timidi imbranati che tentano di portare avanti una conversazione cercando di non far trasparire il loro nervosismo, ma ottenendo in questo modo l’effetto esattamente contrario.
Era un peccato pensare che quella che aveva tutte le potenzialità per essere una festa memorabile sotto molti aspetti, per loro non fosse altro che una farsa. Dopo tutto quello che avevano passato negli ultimi tempi, Clare era del parere che una serata in cui non pensare ad altro che a ballare e divertirsi senza preoccuparsi di nient’altro l’avrebbero meritata tutta. Invece, proprio in quel momento, lo sguardo di Clare scivolò involontariamente di nuovo su Elijah e Kelly, che continuavano a starsene in un angolo, il più lontano possibile dalle luci colorate della sala. Il vampiro stava sussurrando qualcosa all’orecchio della sua dama, la quale ascoltava con aria incantata.
-Qualcosa non va?- chiese Matt, notando l’improvviso cambiamento di umore di Clare.
A quelle parole, la ragazza riportò la sua attenzione sul ragazzo e scosse leggermente la testa in risposta, più per cercare di liberarsi da quel pensiero che per negare, dopodiché gli rivolse il suo sorriso più spontaneo.
-Scusa, mi è solo tornata in mente una cosa…niente di importante comunque- mentì.
In quel momento il dj cambiò nuovamente canzone, scegliendo un pezzo R’n’B dal ritmo più rilassato rispetto ai precedenti e, a quel punto, il ragazzo si avvicinò un po’ di più a Clare per poi cingerle la vita ed attirarla verso di lui. Di fronte a quel gesto, la reazione istintiva della ragazza consistette nell’avvampare all’istante ed irrigidirsi, cosa di cui Matt si accorse quasi subito.
-Ehi, rilassati- le suggerì lui a quel punto, sorridendole rassicurante.
Clare però in quella situazione cominciava a non sentirsi più così a suo agio e decise quindi di mettere in chiaro le cose con quello che stava diventando il suo cavaliere non-ufficiale, allontanandosi dalla sua presa.
-Matt, non voglio che tu fraintenda. Ho accettato di ballare con te ma…come posso dirlo in modo gentile?- si chiese, facendo appello al suo lato “delicato”. Di certo non il punto di forza del suo carattere. Dopo qualche secondo di riflessione si arrese ed espresse ciò che voleva dire nell’unico modo che conosceva, ossia senza mezzi termini. -Non ho nessuna intenzione di fare da rimpiazzo last-minute di Courtney, quindi togliti dalla testa qualunque genere di…aspettativa tu avessi su di lei perché io non l’asseconderò-.
Il ragazzo rivolse a Clare uno sguardo a metà tra il perplesso e il divertito, dopodiché fece l’ultima delle cose che la ragazza si sarebbe aspettata: iniziò a ridere.
-Puoi stare tranquilla Taylor, non ti ho chiesto di ballare solo perché mi serviva un “rimpiazzo”. Ad essere sincero, avevo chiesto a Courtney di accompagnarmi solo perché Chris e Justin, gli amici con cui sono venuto, sono entrambi fidanzati e non volevo metterli a disagio- confessò Matt. –Col senno di poi, credo che sarebbe stato meglio fare il quinto incomodo. Courtney ha passato le ultime due settimane a parlarmi dei colori del vestito e degli accessori che avrebbe indossato. Voleva assicurarsi che mi sarei attenuto al suo tema. Una rottura infinita-.
Clare rise a sua volta. -È il rischio incluso negli inviti last-minute. Il tempismo è fondamentale in questi casi, altrimenti ti rimane la scelta tra quelle che la maggior parte dei ragazzi considera le “difettate”: le grasse, le problematiche, quelle con qualche difetto fisico evidente, quelle che hanno fatto voto di castità fino al matrimonio, quelle che hanno appena rotto con i loro fidanzati e che quindi passerebbero tutta la serata a parlare del loro ex, le sfigate in generale, eccetera- spiegò sarcastica.
-Non mi sembra che tu corrisponda ad una di queste categorie- affermò Matt. –A meno che tu non mi stia nascondendo qualcosa-.
-Tutti nascondono qualcosa- disse Clare. –E se questo voleva essere un complimento, ti consiglio di lavorarci un po’ su-
-Ehi, sto cercando di improvvisare, cerca di apprezzare il mio notevole sforzo di essere un bravo cavaliere- si difese il ragazzo.
Per un momento entrambi si guardarono negli occhi senza dire una parola, dopodiché scoppiarono a ridere nello stesso momento e continuarono a ballare.
Qualche istante dopo però, accadde qualcosa che attirò l’attenzione di Clare e che la riportò alla vera ragione per cui si trovava lì. Vide infatti Aly irrompere nella sala correndo a piedi nudi con le proprie scarpe in mano. La ragazza, dopo aver percorso diversi metri e attirato l’attenzione di più di qualche studente, si decise a rallentare fingendosi calma.
Clare la seguì con lo sguardo e si accorse che si stava dirigendo verso la postazione del dj. Prima ancora che la sua amica facesse la richiesta, capì due cose: quale sarebbe stata la canzone successiva e che quel momento di spensieratezza in compagnia di Matt stava per volgere al termine.
A conferma dei suoi timori, vide Aly scambiare poche parole con il ragazzo alla consolle, quest’ultimo che annuiva e subito dopo prendeva possesso del microfono.
-Ehi, ehi, ehi, ragazzi! Vi state divertendo?- chiese. In risposta ottenne urla e gridolini entusiasti degli studenti. –Molto bene, perché la festa è appena entrata nel vivo! La prossima canzone è stata scelta da Aly e la dedica alle sue amiche!-
Subito dopo le note di “Beauty and a beat” si diffusero nella sala, dividendo i presenti in tre categorie: i prevenuti nei confronti di Justin Bieber, che iniziarono a lamentarsi e a lasciare la pista, le ragazzine – in particolare un gruppetto di matricole – che apprezzarono la scelta del brano e gli indifferenti, i quali si adattarono alla canzone senza fare tante scene.
Clare riportò lo sguardo su Matt, il quale non fece una piega nonostante poco pima avesse confessato di non apprezzare molto il cantante la cui voce in quel momento sovrastava quelle di tutti i presenti, anzi, ricambiò il suo sguardo e le sorrise complice. In quel momento, la ragazza capì come doveva esseri sentita Cenerentola nell’istante in cui aveva udito i primi rintocchi scandire la mezzanotte e ricordarle che l’incantesimo che le aveva permesso di partecipare al ballo del principe stava per esaurire il proprio effetto facendola tornare la povera disgraziata che in realtà era.
Oltre la spalla di Matt, Clare notò Aly dirigersi verso i bagni e guardarsi intorno alla ricerca del suo volto e di quello di chiunque altro conoscesse il vero significato della dedica della canzone e capì quindi di dover campare in fretta una scusa per lasciare Matt, nonostante ogni cellula del suo corpo cercasse di dissuaderla.
-Matt- lo chiamò infine.
-Uhm?-
-Scusami ma…devo andare-
-Andare dove?- chiese lui, confuso. –Sono appena le dieci e mezza-
Clare percepì una stretta all’altezza dello stomaco. –Aly…mi ha appena fatto un cenno che nel codice delle ragazze significa “ho bisogno di te adesso”. Non posso ignorarla, ha appena rotto con James, è un po’ instabile stasera-.
Matt lasciò la presa con cui le aveva cinto la vita durante le ultime canzoni che avevano ballato insieme e per lei fu come venire improvvisamente privata di una coperta che la riparava dal freddo circostante.
-Oh, d’accordo- si limitò a dire lui in tono inaspettatamente serio e distaccato, evitando di guardarla direttamente negli occhi e arretrando di un passo, come per ristabilire una formale distanza di sicurezza. Fu come se tutta la confidenza che si era creata tra loro in quei momenti fosse improvvisamente svanita.
Quando la ragazza comprese che quell’improvvisa freddezza era dovuta al fatto che lui doveva aver frainteso le sue parole convincendosi che Clare stesse solo cercando una scusa abbastanza credibile per scaricarlo, la morsa sullo stomaco strinse un po’ di più.
-Davvero, scusami, mi farò perdonare- disse, dopodiché si voltò e, facendosi largo tra i suoi compagni, le ingombranti gonne delle sue compagne, si diresse verso gli spogliatoi della palestra dove si trovavano i bagni in cui, come prestabilito, si sarebbe dovuta svolgere la seconda parte del piano. Il tutto, sforzandosi di non pensare a Matt Reid lasciato solo nel bel mezzo del ballo per la seconda volta nella stessa sera.
 
***
 
Quando Em raggiunse il bagno, trovò le altre ragazze già riunite lì, ma le bastarono pochi istanti per capire che  doveva essere successo qualcosa che le aveva costrette a cambiare il piano originale: Violet era lì con loro anziché fuori a vedersela con Eli, non c’era traccia di Kelly ed inoltre tutte le presenti stavano discutendo a animatamente, anche se cercavano di mantenere basso il tono di voce generale.
La ragazza comprese allora di trovarsi davanti ad un imprevisto, probabilmente solo il primo di una lunga serie, quella sera.
-Per quale motivo lo hai fatto?- stava chiedendo Serena ad Aly, in tono più aggressivo che perplesso. –Kelly è ancora nelle grinfie di Elijah, non ho nemmeno avuto il tempo di avvicinarla!-
-Scusami, ma non potevo aspettare- si giustificò Aly. -Dovevo mettervi subito al corrente di quello che è appena successo-
-Beh, spero per te che sia una questione di vita o di morte, perché ogni secondo che Kelly trascorre in compagnia di quell’infame è un secondo in più in cui rischia la vita- la avvertì Serena in tono tagliente.
-Ehi, Serena, cerca di stare calma, siamo tutte qui per lo stesso motivo. E comunque non mi sembravi molto concentrata sul tuo compito mentre ti davi ai balli di gruppo con le cheerleader, due minuti fa- la rimproverò Clare, pronunciando la parola “cheerleader” come fosse un insulto, cosa di cui Serena si accorse e a cui ribatté prontamente.
-Aspettate, ma la persona che ha appena parlato non è forse la stessa che ha passato metà serata appiccicata allo scarto di Courtney Dawson mentre gli faceva lo sguardo da triglia lessa?-
Come prevedibile, l’accusa di Serena scatenò le ire di Clare, la quale le lanciò uno sguardo omicida talmente intenso che avrebbe convinto chiunque a rimangiarsi le parole appena pronunciate. Peccato che, in quanto ad orgoglio e testardaggine, Serena non fosse seconda praticamente a nessuno e sostenne l’occhiata furiosa di Clare fino a quando Violet comprese che erano pericolosamente vicine al punto di cominciare a darsele e decise di intervenire prima che una delle due avesse modo di far avverare la sua previsione.
-Fino ad ora eravate quasi riuscite a farmi dimenticare che ho a che fare con ragazzine delle superiori ma, grazie a questo diplomatico scambio di opinioni per niente immaturo, siete riuscite a riportarmi alla realtà, vi ringrazio profondamente- commentò l’ibrido con abbondante sarcasmo. –E per inciso, tutte voi vi siete lasciate un po’ andare, questa sera. Confondersi con gli altri studenti faceva parte del piano e vi siete fatte prendere dalla situazione. Non ve ne faccio una colpa, ma se davvero tenete alla vita di Kelly, ora state zitte e ascoltate quello che ha da dire Aly-.
Secondo Em c’era qualcosa di vagamente comico nel fatto che a pronunciare quelle parole di rimprovero fosse stata una ragazza che fisicamente dimostrava almeno tre o quattro anni meno di loro la cui voce sembrava non aver ancora subìto fino in fondo gli effetti della pubertà, tuttavia il suo tono risultò abbastanza risoluto da convincere sia Clare che Serena a non replicare e portare nuovamente Aly al centro dell’attenzione.
Successivamente quest’ultima iniziò a raccontare nel modo più breve e conciso possibile dell’inaspettato incontro tra lei e Rachel avvenuto solo pochi minuti prima e condivise con le altre presenti le rivelazioni che l’ex affiliata del gruppo le aveva fatto riguardo ad Eli, la sua presunta capacità di soggiogare altri vampiri, il coinvolgimento di Will, il doppio gioco di Rachel, la scoperta di tutto quel perverso meccanismo da parte di Elise e la decisione i quest’ultima di “sacrificarsi” facendosi cacciare dal club per cercare di fermare tutto ciò.
Tutte le altre ascoltarono senza mai interrompere il riassunto di quanto accaduto e, alla conclusione della descrizione dell’episodio, seguì un lungo momento di silenzio durante il quale le ragazze si scambiarono sguardi preoccupati e confusi.
-Hai pensato che potrebbe essere stata lei stessa sotto l’influenza di Eli?- chiese Serena, dopo aver ragionato qualche istante su quanto aveva appena appreso.
-Non mostrava nessun sintomo tipico della soggiogazione- rispose prontamente Aly. –Era davvero in preda ai sensi di colpa, credetemi, ne so qualcosa- aggiunse, stringendosi nelle braccia e fissando il pavimento con aria colpevole.
-Tutto questo sa di trappola- commentò Clare. –Rachel potrà anche avere ammesso di aver fatto il doppio gioco ma, se anche tutto questo fosse vero, chi ci può assicurare che non stia facendo anche il triplo gioco? Secondo me è un tentativo di distrarci-
-Non è questo il punto- intervenne Violet. –Credo che ciò che preoccupa Aly sia la  possibilità che Will possa non essere l’unica vittima delle presunte capacità di Elijah, non è vero?-
La ragazza annuì. –Potrebbe aver soggiogato Tristan, Xavier, Evelyn…-
-O Max- completò Serena, lanciando un’occhiata a Clare, che prontamente prese la parola.
-Questa storia è assurda- si affrettò a commentare, dopo l’insinuazione sulla lealtà del suo ex. –Scommetto quello che volete che è tutta una trovata di Elijah, che è stato proprio lui a soggiogare Rachel per costringerla a rivelarci questo “grande piano segreto” così da confonderci e farci perdere tempo. La prova di tutto questo sta nel fatto che noi ora siamo qui a discutere anziché essere di là a tentare di salvare la vita a Kelly. Gli stiamo solo regalando tempo prezioso-.
-Di là ci sono Max e Cameron, la coppietta felice è sotto controllo- le ricordò Serena.
-E se invece Aly avesse ragione?- ipotizzò Em, che era sempre più propensa a credere a ciò che sosteneva Aly. Del resto nessuno meglio di lei sapeva che Eli sarebbe stato capace di tutto. Non sarebbe stata per nulla sorpresa nello scoprire che lui fosse già a conoscenza di tutte le mosse che Max e Violet avevano pianificato per riuscire a catturarlo e stesse usando quelle stesse strategie contro di loro.
-Se quello che ha detto Rachel fosse vero, potremmo aver lasciato Kelly in balìa del nemico, o meglio, con la sola protezione di Cameron, che però è ignaro di tutto e non abbastanza forte da tenere testa ad Eli e Max contemporaneamente-.
L’ipotesi di Em, tanto terribile quanto plausibile, mise le ragazze di fronte all’unica certezza di quel momento: la situazione si stava rivelando molto più complessa di quanto pronosticato inizialmente.
Em si sentì stupida per essere arrivata al ballo con la convinzione che tutta quella dannata vicenda si sarebbe risolta nel giro di un paio d’ore, che il piano avrebbe funzionato alla perfezione, che non ci sarebbero stati intoppi, che dell’incubo rappresentato da Elijah dopo quella sera sarebbero rimasti solo un cumulo di brutti ricordi che lei avrebbe prontamente confinato nell’angolo più remoto della sua memoria per non doverli mai più rivivere.
A causa delle sue aspettative troppo alte e fantsiose, aveva smesso di guardare la situazione da un punto di vista realistico. Da lì sarebbe stato semplice accorgersi che sognare un nuovo inizio senza Eli era praticamente un’utopia: il suo ex aveva trascorso un intero anno a tessere intorno ad Em una complessa ragnatela fatta di terrore, minacce e torture psicologiche di vario tipo. Non si sarebbe arreso di fronte al piano – nemmeno troppo elaborato – di un gruppo di ragazzine, di una Guardiana forse un po’ troppo giovane e di un vampiro che facevano affidamento principalmente sull’effetto sorpresa sperando e pregando di coglierlo impreparato.
-Torniamo in palestra, c’è un solo modo per fare chiarezza su questa cosa- stava dicendo Violet, quando Em ricominciò ad ascoltare. -Il siero della verità-.
-Il siero della verità? Intendi come quello di Harry Potter?- chiese Serena, leggermente scettica.
-Diciamo di sì. Qualche goccia di quella roba e qualunque creatura senziente risponderà ad ogni domanda che gli verrà posta nella più totale onestà. Sapremo subito se uno dei vampiri è stato vittima delle presunte capacità di Elijah, anche nel caso quest’ultimo abbia imposto loro di dimenticare: il siero agisce sia sulla parte conscia che inconscia della mente- spiegò l’ibrido, incamminandosi verso l’ingresso della palestra con tutto il gruppo al seguito. –Però ci sono delle limitazioni: non ne ho molto, posso ricavarne al massimo quattro o cinque dosi molto esigue, quindi dovremmo porre le domande giuste poiché il suo effetto durerà qualche minuto al massimo. Inoltre sarò costretta a far saltare la mia copertura per poter interrogare i vampiri-
-Ma questo vorrebbe dire mettere a rischio tutto il piano e anche la vita di Kelly!- esclamò Serena.
-Lo so, ma purtroppo questo è l’unica possibilità che abbiamo per capire se quello che ha detto Rachel è vero e come sicario non posso ignorare questo potenziale pericolo- replicò Violet.
L’ibrido aveva preso la sua decisione ed i membri del club avevano ormai imparato che l’unico modo per far sì che le cose non diventassero più complicate di quanto non fossero già era quello di dare ascolto a chi ne sapeva più di loro e rimanere unite.
Non restava quindi che scoprire se qualcuno dei vampiri stesse facendo involontariamente il doppio gioco a favore di Eli.
 
***
 
-Inviare una mezzosangue che sembra appena uscita dalle elementari a catturare uno dei vampiri più ricercati dell’Oltremondo. La Fratellanza ha sempre avuto uno strano senso dell’umorismo-.
Nonostante il commento di Evelyn, accompagnato dal suo mezzo sorriso beffardo che riusciva ad essere irritante e seducente allo stesso tempo, Violet rimase impassibile e porse alla vampira la fialetta contenente il siero della verità.
-Voi ci avete convissuto per anni senza mai scoprire la sua vera identità- fu la risposta del sicario, che pronunciò quelle parole con una calma disarmante.
Serena si trattenne par miracolo dallo scoppiare a ridere mentre la vampira, stizzita, lanciava a Violet uno sguardo in tralice.
Evelyn, Xavier, Tristan e Max si trovavano in piedi davanti alla Guardiana, ciascuno con in mano una fialetta riempita per un terzo del liquido ambrato che, stando a quanto aveva detto l’ibrido, avrebbe obbligato i quattro vampiri a rispondere a qualunque domanda venisse loro posta nella più totale onestà.
Serena lanciò un’occhiata oltre l’angolo seminascosto del cortile in cui si trovavano, oltre il parcheggio, verso la palestra in cui Cameron, Em e Clare erano rimasti a sorvegliare Kelly ed Elijah i quali, per quanto ne sapeva, fino a quel momento si erano comportati da normale coppietta al ballo, completamente presi l’uno dall’altra.
Per l’ennesima volta la ragazza si chiese cosa stesse tramando Eli, come progettava di agire e se davvero avrebbe provato ad uccidere Kelly entro quella sera. Del resto, ogni mossa pianificata e messa in atto fino a quel momento era basata su ipotesi, supposizioni e indizi che lei e gli altri avevano raccolto in pochi giorni e forse troppo in fretta, senza avere il tempo di verificare fino in fondo le teorie basate sui loro sospetti.
Non che avessero avuto molta scelta, considerato che la situazione in cui erano invischiate si era evoluta in modo troppo precipitoso.
L’ultima mossa azzardata era stata proprio quella di lasciare che Violet girasse per la sala della festa mostrando ai vampiri, ovviamente escludendo Max, il marchio che la identificava come Guardiana della Fratellanza – un piccolo tatuaggio sul polso sinistro che assomigliava ad una “x” scritta in un particolare carattere corsivo che né Serena, né le altre avevano mai notato – e chiedere loro di seguirla.
In seguito l’ibrido aveva chiesto ad Aly e Serena di accompagnarla, senza però specificarne il motivo. L’unica cosa che disse loro fu che sarebbero dovute rimanere in disparte e in silenzio fino a quando non fossero state interpellate ed entrambe avevano annuito, nonostante la leggera perplessità.
-Bevi- ordinò il sicario fissando Evelyn dritta negli occhi. Quest’ultima, spaventosamente bella nell’abito a sirena viola scuro che avvolgeva perfettamente le linee sinuose del suo corpo e con i liscissimi capelli corvini che le incorniciavano il viso, sostenne lo sguardo di Violet e trangugiò il siero in un sorso.
Per qualche istante l’unico rumore che si udì fu quello del vento che soffiava tra i rami degli alberi, portando con sé le foglie ormai indebolite dal clima sempre più freddo.
Serena notò lo sguardo di Evelyn farsi leggermente più assente e la sua aria di sfida per lasciare posto ad una non meglio decifrabile.
-Evelyn, dimmi il tuo nome completo, dove sei nata, chi ti ha trasformata e quando- disse Violet.
La risposta di quest’ultima non si fece attendere.
-Mi chiamo Evelyn Temperance Carver, sono nata a New Castle, Inghilterra nel 1783, sono stata trasformata quando avevo diciassette anni da Xavier Moran-.
Temperance? Mary Annabelle imparerebbe ad apprezzare il suo nome se sapesse qual è il secondo di Evelyn. pensò Serena mentre si mordeva il labbro inferiore per reprimere il sorriso che stava per affiorare.
-Sei consapevole del fatto di dare a chiunque ti stia accanto per più di cinque secondi l’impressione di essere un’emerita stronza?- fu la domanda successiva, che lasciò interdetti tutti i presenti, in particolar modo Aly e Serena.
-Ehi! Non provare ad insultarla!- protestò Tristan, ma Xavier gli scoccò un’occhiata pregna della soggezione che solo lui sapeva esprimere, zittendolo all’istante e rimettendolo al suo posto.
-Sì, lo sono- fu la calma e spiazzante risposta della vampira, che non sembrava essere minimamente stata toccata dall’insulto appena rivoltole.
-E come mai ti comporti così?- continuò Violet.
-Perché non voglio passare per debole. Vivo con un clan di soli maschi cresciuti nelle epoche più misogine della Storia. Ho paura che mi considerino debole solo perché sono una femmina- ammise Evelyn. –Invece con gli umani lo sono perché mi irritano terribilmente. Per me non sono altro che un gregge di pecore senza un briciolo di intelligenza-.
Se nella prima parte della risposta Serena era quasi riuscita a provare empatia verso quella che ormai aveva ribattezzato tra sé “Temperance”, nella seconda parte quest’ultima era tornata a riflettere il cliché del vampiro fermamente convinto di appartenere ad una razza migliore e superiore sotto ogni punto di vista, il quale considera tutti gli umani come degli stupidi esseri utili solo ai fini della propria sopravvivenza, annullando in Serena qualunque sensazione positiva avesse percepito nei confronti dell’altra.
Ad un tratto, Aly si chinò verso l’altra ragazza e, sottovoce, le chiese per quale motivo secondo lei Violet avesse posto quelle domande.
-Credo si tratti di una prova. Vuole capire se il siero sta facendo effetto- ipotizzò Serena.
Nel frattempo, il sicario era passato ad interrogare Evelyn in merito al vero argomento per cui aveva convocato quasi l’intero clan.
-Che rapporto hai con Elijah, il membro del clan a cui appartieni?- chiese, precisa e diretta.
-Molto superficiale. Negli anni in cui ha fatto parte del nostro clan non ha mai dato la possibilità di conoscerlo più a fondo a nessuno di noi. Di conseguenza non mi ha mai ispirato molta fiducia-.
-Avevi mai avuto il sospetto che praticasse attività contrarie al Codice?-
-Vista la sua riservatezza avevo immaginato che avesse avuto qualche problema con la Fratellanza ma non credevo che la situazione potesse essere così grave-.
A quel punto, Violet passò all’ultima domanda, quella più importante.
-Sei mai stata soggiogata o hai subito tentativi di soggiogazione da parte di Elijah?-
A quelle parole, Xavier, Tristan e Max si scambiarono occhiate perplesse appena percettibili che però non sfuggirono all’occhio allenato di Serena.
-No, non mi è mai successo- rispose la vampira, escludendosi in questo modo dalla lista dei potenziali soggiogati da Eli.
Violet scrutò Evelyn per qualche altro istante, esaminandone lo sguardo che apparentemente ricambiava quello del sicario ma che invece, se osservato con più attenzione, lasciava intravedere la vacuità dovuta all’effetto del siero.
A quel punto le attenzioni della ragazza si spostarono su Tristan, il quale aveva preventivamente impresso sul suo volto un’espressione beffarda incorniciata dallo stesso mezzo sorriso che Serena un tempo aveva trovato irresistibilmente affascinante, ma che ora le sembrava solo un irritante e patetico tentativo di fare lo spavaldo di fronte a ciò che lo attendeva.
-Ciao bella fatina- esordì, in tono quasi canzonatorio.
-Bevi- ordinò Violet, con voce atona e aria indecifrabile.
Serena si chiese se imparare ad avere a che fare con atteggiamenti del genere fosse incluso nell’addestramento da sicario o se i nervi saldi della ragazza fossero una dote naturale. In ogni caso, le stava invidiando parecchio quella capacità.
Il vampiro obbedì e bevve  il liquido tutto d’un fiato, per poi puntare nuovamente i suoi occhi in quelli di Violet, la quale sostenne quell’occhiata senza tradire alcuna emozione.
Com’era successo poco prima per Evelyn, di lì a poco anche lo sguardo di Tristan si fece più assente, come se fosse sotto ipnosi, e a quel punto l’interrogatorio ebbe inizio.
-Dimmi il tuo nome completo, dove e quando sei nato, chi e quando ti ha creato- intimò la mezza fata.
-Stanislav Dmytrus, sono nato a San Pietroburgo intorno al 1670 e sono diventato un vampiro all’età di diciannove anni per mano di Xavier Moran. Ho iniziato a farmi chiamare “Tristan” dopo il mio trasferimento in Inghilterra.
Ci sono un russo, un’inglese e un francese…sembra l’inizio di una barzelletta che non fa ridere. Pensò Serena, mentre si chiedeva quale quesito scomodo avrebbe posto Violet per testare l’effettiva efficacia del siero.
A quel punto però, quest’ultima si voltò proprio verso Serena, le rivolse uno strano sorrisetto e le pose l’ultima delle domande che si sarebbe aspettata in quel momento: -Serena, hai qualcosa da chiedere a Tristan?-
La ragazza, di fronte a quell’inaspettata richiesta rimase interdetta e lanciò un’occhiata confusa prima a Tristan e poi al sicario. Sia lei che Aly erano entrambe convinte che la loro presenza al fianco di Violet fosse dovuta ad una precauzione presa da quest’ultima in caso si fosse presentato qualche inconveniente che avesse richiesto il loro aiuto. Non erano certo preparate alla possibilità di intervenire nell’interrogatorio.
-Tipo cosa?- chiese Serena, spiazzata.
-Qualunque cosa- fu la risposta, sempre accompagnata da quel sorriso appena accennato ma eloquente che fece finalmente intuire alla ragazza le reali intenzioni di Violet: le stava dando l’opportunità di ottenere almeno una delle risposte che aveva disperatamente cercato di strappare a Tristan sin dal momento in cui lui aveva deciso di mettere fine alla loro storia.
Colma di gratitudine verso la ragazza dai capelli viola/azzurri, Serena lanciò un’occhiata verso il suo ex e fece un passo verso di lui, mentre le miriadi di domande accumulate nel tempo che avrebbe voluto rivolgergli si dissolvevano in quello stesso momento, dopo aver affollato la sua mente per oltre un anno e provocandole numerose emicranee.
Tra tutte le questioni in sospeso, tra tutti gli interrogativi che avevano compromesso in modo fin troppo significativo la vita di Serena nell’ultimo anno e senza le cui risposte era sempre stata certa che non sarebbe mai stata capace di voltare definitivamente pagina, solo uno sopravvisse. Proprio quello che considerava il più banale, patetico e scontato. Quello che, esternandolo, era convinta l’avrebbe fatta apparire come la ragazzina debole e frignona che aveva fatto di tutto per smettere di essere, soprattutto agli occhi di Tristan.
Eppure era l’unica domanda ancora lì, in attesa di essere espressa e Serena, nonostante la sua riluttanza, sapeva bene il perché. Perché era l’unico interrogativo della cui risposta le importava davvero.
-Ehm…allora- esordì, incerta.
Lo stato semi-ipnotico in cui il siero sembrava aver fatto cadere Tristan avrebbe potuto rendere quella situazione molto più facile, se non fosse stato per gli sguardi attenti e probabilmente più curiosi di quanto volessero dare a vedere di Aly, Violet, Xavier e Max che Serena avvertiva su di sé
-Tu mi hai…- ricominciò, dopo un lungo sospiro. –Insomma, tu mi hai mai…cioè…mi amavi davvero quando stavamo assieme?-
Tristan la fissò in silenzio per qualche secondo, attimi durante i quali Serena trattenne involontariamente il respiro.
-Non lo so- rispose infine il vampiro.
Per Serena, che si era aspettata un “no” secco che chiudesse per sempre la questione, quella risposta fu spiazzante.
-In che senso?- chiese.
-Nel senso che non l’ho mai capito- spiegò Tristan. -Quando sono stato trasformato avevo diciotto anni, m’infatuavo di una ragazza diversa ogni giorno, bastava che mi rivolgesse un sorriso, una parola gentile…il fatto di provenire da una famiglia facoltosa e di essere di bell’aspetto mi ha sempre garantito numerose ammiratrici, tuttavia non credo di aver mai provato quello che gli altri definiscono “amore”, quello vero, profondo, che instupidisce chi lo vive-.
Dopo quella risposta, Serena fissò per qualche istante il vampiro con uno sguardo che agli altri parve indecifrabile.
-Quindi mi stai dicendo che tu non hai mai imparato ad amare qualcuno. Non in questo senso almeno- concluse. –“Uno degli effetti collaterali più significativi della trasformazione riguarda la capacità di apprendimento, la quale viene gravemente compromessa nella maggior parte dei casi. Per tale motivo, nel 1527 nel Codice venne introdotto il divieto assoluto di creare nuovi vampiri che non avessero ancora raggiunto il quindicesimo anno di età. Dure sanzioni sono previste per chiunque trasgredirà a tale legge”-.
Le parole riportate nell’Enciclopedia Completa del Vampiro, nonostante la loro formale oggettività, risuonarono nella memoria di Serena, mettendola finalmente di fronte alla spiegazione la cui ricerca per tanto tempo l’aveva tormentata: no, Tristan non l’aveva mai amata. O meglio, forse l’aveva fatto al meglio delle sue possibilità ma quello che lui aveva provato per lei e per ogni altra ragazza sin da quando Xavier l’aveva creato non era nemmeno lontanamente paragonabile al sentimento che Serena aveva nutrito nei suoi confronti, convinta di essere ricambiata.
Quello che lui sentiva, quello che lui aveva più volte chiamato “amore” in realtà non era altro che una potente infatuazione mista ad attrazione.
Improvvisamente, tutta la rabbia, il risentimento, il dolore e qualunque altra emozione si ostinasse a tenere Serena legata a Tristan si dissolse come per magia, lasciando nella ragazza il posto ad un sentimento per lei totalmente nuovo: la pena.
In quel momento e per la prima volta, Serena realizzò che la loro relazione si era trovata su un binario morto sin dal primo giorno. Lei stava crescendo sia fisicamente, che emotivamente, presto sarebbe diventata una donna, mentre lui sarebbe rimasto per sempre giovane e avvenente, certo, ma anche immaturo e totalmente incapace di evolversi, come un bruco destinato a rimanere per sempre tale e non divenire mai la bellissima farfalla che sarebbe potuto essere.
In un certo senso, tutta quella strana situazione aveva un che di ironico: un tempo il desiderio di Serena di rimanere per sempre fissata nella sua bellezza adolescenziale era secondo solo a quello di trascorrere l’eternità assieme a Tristan come sua “sposa”. Mai avrebbe potuto immaginare che proprio la condanna del vampiro all’eterna giovinezza sarebbe stata la ragione che l’avrebbe definitivamente allontanata da lui.
A quel punto la ragazza lanciò un’occhiata a Violet, come a darle il permesso di procedere con il suo interrogatorio, per poi farsi nuovamente da parte, ascoltando distrattamente il resto della conversazione fino a quando capì che la sua presenza lì era ormai completamente inutile e decise di tornare nella palestra. Le risposte che voleva lei, tanto, le aveva già ottenute.



*NdA: credo sia abbastanza inutile, arrivati a questo punto, continuare a scusarsi per i miei lentissimi aggiornamenti. Vi basti sapere che non ho dimenticato questa storia (non potrei mai, sono quattro anni che ci lavoro) ma purtroppo il mio tempo libero e l'ispirazione non coincidono praticamente mai (chi come me ha la passione per la scrittura sa di cosa parlo). Al momento sto progettando gli ultimi capitoli e lo spin-off che riguarderà Violet e il suo lavoro come sicario di un mondo soprannaturale decisamente diverso da quello dell'immaginario collettivo. Titolo: "Guida di sopravvivenza alle eroine del mondo soprannaturale". Spero gradiate quest'idea :)*

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Capitolo 20
*** Poesie mortali ***


Serena se n’era andata prima che Violet finisse di interrogare Tristan. Nessuno disse nulla quando questo avvenne. Aly avrebbe voluto seguirla, abbracciarla e consolarla. Nessun altro meglio di lei avrebbe saputo capirla, in quel momento.
Per quanto bramato, atteso e cercato, il momento in cui ci si trova finalmente faccia a faccia con la verità non è mai come lo si immagina, per quanto fervida possa essere la propria fantasia, soprattutto se si tratta di una verità scomoda. Per quanto l’intuito possa mettere le persone davanti ad ipotesi e sospetti altamente verosimili, averne la conferma lascia ogni volta addosso la sensazione di aver ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Uno di quegli schiaffi dati con risentimento e rabbia repressi troppo a lungo, quelli che fanno bruciare e pulsare la pelle. Ci si vede tagliata ogni possibile via di fuga dalla realtà. A partire da quel momento, ci si potrà più nascondere nell’illusione o nella seppur minima probabilità di avere torto. Non resta altra scelta che accettare ed affrontare la situazione davanti a cui ci si trova.
Violet trattenne Aly posandole una mano sulla spalla e lanciandole un’occhiata dal chiaro sottinteso: meglio lasciarla sola.
La ragazza obbedì controvoglia e guardò Serena allontanarsi oltre il parcheggio, mentre i suoi capelli neri e la gonna del lungo vestito di velluto nero che indossava ondeggiavano sinuosi, mossi dal vento.
Nel frattempo, Violet andava avanti con il suo interrogatorio, che Aly da quel momento seguì con meno attenzione.
Tristan negò qualunque coinvolgimento nei piani di Elijah e qualunque tentativo di soggiogamento nei suoi confronti. La cosa non sorprese più di tanto la ragazza: nonostante i rapporti tra loro si fossero sempre tenuti su un piano strettamente formale e superficiale, Aly aveva sempre avuto la sensazione che Tristan non fosse esattamente il più sveglio del clan, al contrario di Elijah. Se quest’ultimo avesse voluto servirsi di qualcuno, di sicuro la sua scelta sarebbe ricaduta su qualcuno di più affidabile, soggiogazione o meno.
Per lungo tempo Aly si era chiesta cosa ci avesse visto una ragazza brillante come Serena in Tristan, a parte il fatto che lui poteva vantare molte delle superficiali caratteristiche che contribuivano a renderlo l’apparentemente perfetta incarnazione dei vampiri romantici dell’immaginario collettivo delle adolescenti: era dotato di una bellezza particolare, con i capelli castano-ramati e gli occhi color ambra che creavano un particolare contrasto con la carnagione chiarissima. I lineamenti marcati del suo viso si accordavano perfettamente all’enigmatica espressione che era solito mostrare a chi lo circondava, in particolare alle ragazze, una sorta di mezzo sorriso beffardo che sembrava però nascondere qualcosa, come una velata malinconia. Alla fine, Aly era arrivata alla conclusione che fosse stato proprio quest’ultimo dettaglio a catturare inizialmente l’attenzione di Serena. Il suo istinto più forte, quello che la spingeva sempre a cercare di risolvere i problemi altrui, l’aveva condotta dal vampiro. Con ogni probabilità, la ragazza aveva creduto di vedere dietro il criptico atteggiamento di Tristan qualcosa in più, una tristezza più profonda di quella che era possibile intravedere dal suo sguardo e che aveva convinto Serena a tentare di alleviare almeno in parte l’antica sofferenza che credeva che il vampiro tentasse di celare.
Ma la verità, secondo Aly, era che quella di Tristan non fosse altro che una maschera creata su misura, un’esca perfetta per attrarre ragazze come Serena e che dietro la facciata dell’anima tormentata, non ci fosse niente di più che il banalissimo desiderio di assecondare la propria sete di sangue e di nutrire ancora una volta il suo già immenso ego.
Ecco la sola cosa in cui Tristan riusciva perfettamente: recitare la parte del perfetto cliché del vampiro, così come lo volevano le giovani, le stesse che poi usava solamente per raggiungere i propri egoistici fini. Non c’era nessun tormento interiore, nessun trauma o rimpianto conseguente a qualche evento accaduto secoli prima il cui ricordo ancora lo straziava. Era tutta solo una farsa, un trucco semplice ma efficace.
Tristan probabilmente non soffriva per la sua condizione così come altri suoi simili. Lui faceva ciò per cui esisteva e le sue uniche preoccupazioni erano quelle strettamente indispensabili per il quieto vivere di ogni vampiro: nutrirsi, sentirsi venerato quasi come un dio dai mortali ed avere il rispetto dei suoi simili.
Quando Aly tornò a concentrarsi sull’interrogatorio da cui si era estraniata mentre rifletteva sull’ex di Serena, si accorse che era Violet aveva finito con Tristan ed in quel momento era il turno di Max, che stava giusto per rispondere alla domanda più fondamentale.
-No, Elijah non ha mai tentato di soggiogarmi- disse, con voce ferma.
La ragazza emise un leggero sospiro di sollievo ed era certa che anche Violet stesse provando la sua stessa sensazione. Max non aveva fatto il doppio gioco.
A quel punto c’era ancora una possibilità che riuscissero a mettere in atto il loro piano originale, magari con qualche piccola modifica.
Alla fine toccò a Xavier. Il vampiro, uno dei più anziani del clan e secondo per età solamente a Max, da quando Aly e Serena erano comparse al fianco di Violet, non le aveva degnate di un solo sguardo. I suoi occhi erano fissi sulla Guardiana ma, al posto dell’odio o dell’insofferenza che quelli di Evelyn e Tristan dimostravano chiaramente nei suoi confronti, quelli di Xavier esprimevano un formale rispetto. Un dettaglio insolito.
Aly invece, nonostante non fosse mai stata ricambiata, lo fissava con profondo disprezzo. Lui la stava ignorando, si ostinava a fingere di considerarla solo una ragazzina insignificante, quando lei, grazie all’ammissione di James, sapeva che le cose stavano in modo ben diverso.
Xavier aveva prima cercato di mettere le componenti del club una contro l’altra e, dopo aver miseramente fallito, aveva obbligato il suo ex a tornare in città, ben sapendo che in questo modo avrebbe dato il colpo di grazia al gruppo, che allora, solo poche settimane prima, era già gravemente compromesso. Ma nonostante fosse andato veramente vicino a raggiungere il suo scopo, anche questa volta i suoi tentativi di sabotare il club erano andati in fumo e la prova definitiva del suo fallimento si trovava proprio davanti a lui: era la stessa Aly, libera una volta per tutte dall’influenza di James e apertamente schierata accanto a Violet.
Le ragazzine non stavano più solo giocando a fare le ribelli. Avevano iniziato a fare sul serio ed il vampiro, nonostante si ostinasse a mostrarsi superiore ed impassibile come sempre, l’aveva capito.
Dopo che ebbe bevuto il siero, Xavier si preparò alle domande che sarebbero seguite, continuando a guardare  Violet negli occhi. Ma anche questa volta, così come aveva fatto con Tristan, dopo aver chiesto le generalità – ed aver scoperto che il nome originale del vampiro era Madius e che lo aveva cambiato alcuni secoli addietro in seguito alla morte del suo primo creato, che di nome faceva, appunto, Xavier – la guardiana aveva rivolto a quest’ultimo un sorriso perfido, per poi voltarsi verso Aly.
-Hai niente da chiedere a Xavier per provare che stia dicendo la verità?- le chiese Violet, eloquente.
La ragazza, che aveva sperato in una proposta del genere dopo che la mezza fata aveva lasciato che Serena ponesse una domanda a Tristan, non se lo fece ripetere due volte. Sapeva già perfettamente cosa chiedere al creatore del suo ex ragazzo ed il fatto che ad assistere ci fossero gli altri membri del suo clan rendeva la situazione più che perfetta, secondo il suo punto di vista.
-Allora, Xavier- iniziò, facendo un passo verso l’interrogato. –Per quale ragione hai ordinato a James di tornare in città? Spiegami le cose nei dettagli-.
Il vampiro, nonostante il leggero intontimento provocato dal siero, finalmente la guardò negli occhi, e lo fece con più decisione di quella che Aly si sarebbe aspettata. Normalmente uno sguardo del genere avrebbe fatto sentire la ragazza in soggezione ma, dopo tutte le azioni spregevoli di cui Xavier si era reso responsabile nel tentativo di sabotare il club e dopo tutto il dolore che le aveva inflitto tramite James, in quel momento non ci sarebbe stata occhiata in tralice o minaccia più o meno esplicita in grado di farle abbassare lo sguardo. L’ira verso di lui era troppa.
-L’ho fatto…- disse, a denti stretti, come se cercasse di impedire alle sue labbra di pronunciare quelle parole. –L’ho fatto perché non sopportavo più quel vostro gruppo di ragazzine frustrate. All’inizio ai miei occhi eravate solo delle stupide mortali che non riuscivano a farsi una ragione del fatto che i loro amati vampiri non fossero più interessati a voi, ma poi siete uscite allo scoperto e la voce su quello che stavate facendo si è sparsa. E, incredibilmente, molti degli studenti hanno iniziato ad ascoltare le lagne di voi piccole ingrate e a guardarci in modo diverso, a mostrarsi più diffidenti verso di noi. Ero molto sorpreso, non posso negarlo, ma poi ho capito: gli umani sono irrimediabilmente attratti da tutto ciò che assume i contorni di un tentativo di ribellione. Voi cercavate di opporvi a qualcosa di ormai consolidato, all’ordine naturale delle cose. E nonostante il vostro obbiettivo avesse avuto fin dal primo momento l’inconfondibile odore della causa persa, la determinazione che ci avete messo per riuscire a raggiungerlo è stata sufficiente ad attirare l’attenzione di molte ragazze e la cosa ha iniziato a darci leggermente noia. Ero però consapevole del fatto che il vostro simpatico club non era così non era poi così unito come cercavate di dare a vedere. Avevate caratteri e personalità troppo differenti per riuscire ad andare d’accordo così facilmente come volevate far credere-.
Xavier a quel punto sorrise in modo perfido. Aly, suo malgrado, dovette ammettere che nonostante la rabbia che provava verso quell’individuo fosse talmente intensa da sfociare quasi nell’odio vero e proprio, il vampiro che aveva davanti rappresentava l’essenza stessa del fascino. Era certa che lui ne fosse fin troppo consapevole e che avesse imparato ad esercitare tale qualità anche solo con il minimo gesto, attraverso piccoli dettagli appena accentuati che tuttavia riuscivano a fare la differenza, proprio come quel sorriso. Era quasi come un superpotere.
-Sapevo che mi sarebbe bastato mettere in dubbio la lealtà di una sola tra voi e che l’istinto autodistruttivo che contraddistingue la vostra specie avrebbe provveduto al resto. Ho scelto Serena perché la consideravate alla stregua di un leader e pendevate quasi dalle sue labbra senza sapere quale ipocrisia si celasse dietro alle sue belle parole. A quel punto però vi siete mostrate più forti, o più stupide, a seconda dei punti di vista, di quello che credevo. Lei è riuscita a riconquistare la vostra fiducia nonostante tutto. Non è stata però una sconfitta sotto ogni punto di vista: a fare le spese di quella vicenda è stata la ragazzina di Elijah, Emily, se non sbaglio. A quel punto ho avuto la certezza che, anche se non nel modo che avevo programmato, ben presto vi sareste messe una contro l’altra, ma non volevo correre altri rischi…-
-Così hai deciso di usare James come garanzia- concluse Aly al posto di Xavier, con la nota aspra nella voce a tradiva l’ira che a stento riusciva a contenere.
-Esattamente- confermò il vampiro.
-Ma non avevi messo in conto che avrei scoperto che lui e mia nonna hanno avuto una storia e che la tua “garanzia” avrebbe ammesso di esserne ancora innamorato, permettendomi così di capire con chi avessi a che fare e dandomi finalmente il coraggio di lasciarlo una volta per tutte-
Lo sguardo di Xavier si fece leggermente perplesso.
-Credo che sarebbe stato difficile anche per un chiaroveggente, mettere in conto una situazione del genere- intervenne Violet, intromettendosi. –Scusami Aly, ma devo interrogarlo prima che finisca l’effetto del siero-
Aly annuì e si fece da parte, nonostante desiderasse con tutta sé stessa portare avanti quella discussione.
-No, Elijah non ha mai tentato di soggiogarmi- disse Xavier, anticipando la domanda della Guardiana. –Però ho notato che ultimamente frequentava qualcuno non esattamente conforme ai suoi standard, diciamo così. La cosa non mi aveva mai particolarmente insospettito, ma recentemente ho notato che la persona in questione mostra alcuni segni tipici della soggiogazione-
-Se si tratta di Kelly, lo sappiamo già- lo anticipò Violet.
Xavier aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma in quello stesso momento, una voce assai familiare ad Aly chiamò forte il nome della mezza fata, facendo voltare tutti i presenti.
Serena, Em, Clare e Cameron stavano correndo nella loro direzione, tutti accomunati dalla medesima espressione allarmata sui loro volti. Prima ancora che li raggiungessero, Max, Aly e Violet, furono attraversati dallo stesso brutto presentimento. Presentimento che si concretizzò pochi istanti dopo.
-Non ditemelo- sussurrò invano la Guardiana.
-Sono scomparsi- annunciò Cameron., ansimando a causa della corsa.
-Ti avevo detto di non dirmelo- disse lei. –Come hanno fatto? Non li stavate tenendo d’occhio?-
-Sono svaniti nel giro di un istante- intervenne Serena. -È successo tutto talmente in fretta che non riesco ancora a capire come abbiano fatto. Li abbiamo persi di vista per un attimo, questione di un paio di secondi al massimo, e loro non c’erano più-
-Lo sapeva- affermò sicuro Max, ormai libero dagli effetti del siero. –Sono pronto a scommettere che Elijah sapesse che stava per succedere qualcosa-
-Cosa facciamo adesso?- chiese Aly.
-Non è tutto- intervenne Clare. –Em…ha trovato qualcosa, proprio al tavolo acanto a cui si trovavano l’istante prima di scomparire nel nulla-
Solo in quel momento Violet e Aly si accorsero che Em si stava praticamente facendo sorreggere da Clare. Aveva uno sguardo sconvolto e gli occhi sembravano sul punto di inondarle le guance di lacrime.
La ragazza allungò alla guardiana un foglio bianco ripiegato, con mano tremante. Quest’ultima lo aprì e diede un’occhiata al contenuto. Mentre leggeva il suo volto si fece tetro e, quando ebbe finito, rivolse ad Em uno sguardo indecifrabile, mentre la ragazza fissava il vuoto davanti a sé, piangendo in silenzio.
-Cosa dice?- domandò Max.
Violet rilesse quindi il messaggio, questa volta ad alta voce:
-“Sotto la luce della luna
e il chiarore delle stelle,
sorvegliate da due creature,
ci sono due sorelle.
Sulla prima veglia
la giovane guardiana
col sangue di due mondi
ed una fredda lama.
Sulla seconda veglia
un solo e vecchio vampiro
non possiede armi
è freddo il suo respiro.
A mezzanotte sotto il salice
fanciulla per fanciulla
o le foglie, l’erba e la terra
Diverranno la sua culla-.
Dopo aver ascoltato quei versi, sul gruppo calò un silenzio spettrale carico di apprensione che durò per un tempo che parve infinito.
Per quanto scritta divinamente, quella poesia era un ultimatum i cui termini ero piuttosto chiari: Elijah voleva che Violet gli consegnasse personalmente Em in cambio di Kelly e la guardiana aveva appena un’ora di tempo per decidere se assecondare la richiesta o cercare di escogitare in fretta un piano alternativo per riuscire a strappare Kelly dalle grinfie del vampiro.
Dopo parecchi istanti però, uno dei presenti ebbe il coraggio di porre fine a quel pesante silenzio: Xavier, incredibilmente.
-Credo che non sia il migliore dei momenti per farvelo sapere, ma credo sia opportuno informarvi che la persona che ultimamente stava legando con Elijah è proprio l’elegante licantropo lì accanto a voi-.





*N.d.A. Ebbene sì, sono ancora viva. So di essere scomparsa per un bel po' di tempo e che solo per la lunga attesa avreste meritato un capitolo molto più lungo ma, come forse avrete notato, ho trascorso gli ultimi mesi a revisionare la storia, in particolare i primi capitoli che, diciamocelo, erano scritti in modo un po' penoso. Al momento sono stranamente carica di preziosissima ispirazione ed intendo sfruttarla al massimo, così da evitare di far passare un'altra era geologica prima di aggiorare di nuovo, quindi non temete, questa storia non verrà assolutamente lasciata in sospeso (ho già programmato nel dettaglio il finale, giusto per rassicurarvi). Come sempre, grazie della vostra infinita pazienza. A big kiss :)*

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Capitolo 21
*** Gratitudine ***


L’accusa lanciata da Xavier agì come l’innesco che portò ad una serie di eventi in successione talmente rapida da impedire alle ragazze di riuscire a comprendere ciò che avevano davanti fino a quando i suddetti eventi non furono conclusi.
Tra il momento in Cameron fu additato come la temuta spia la cui esistenza sembrava ormai scongiurata ed il momento in cui Violet reagì lanciandosi contro di lui ed immobilizzandolo, Clare calcolò che non dovessero essere trascorsi più di cinque o sei secondi.
Quando tutto finì, le ragazze stavano ancora cercando di realizzare quanto appena rivelato da Xavier.
O meglio, le ragazze e Max.
Contrariamente ad Em, Aly e Serena, il primo volto su cui subito dopo si posò lo sguardo di Clare non fu quello di Cameron che, come avrebbe notato in seguito, era sdraiato, con la faccia premuta contro l’asfalto con Violet a tenergli le braccia bloccate ed un ginocchio premuto contro la schiena nonostante non avesse nemmeno accennato a muoversi dopo essere stato tirato in ballo. Il primo volto la cui reazione attirò prima di ogni altro lo sguardo della ragazza fu quello di Max, il quale, a sua volta, fissava il licantropo tramite un’espressione sconvolta. Clare osservò attentamente la reazione del suo ex, riuscendo a cogliere l’esatto istante in cui l’incredulità si trasformò in consapevolezza, poi in disperazione e, successivamente, in ira. Tutte emozioni che il vampiro si costrinse a controllare, a reprimere quasi completamente, ma che Clare identificò comunque per due ragioni: lo conosceva fin troppo bene e si era trovata nei suoi panni solo pochi giorni prima.
Nel frattempo Violet, che non si era concessa nemmeno mezzo secondo per mostrare stupore o una qualsiasi altra emozione di fronte a quell’inaspettato colpo di scena, mentre continuava a tenere ferme le braccia del nuovo sospettato con una mano sola, si frugò nella tasca segreta del vestito con quella libera, estraendone una fialetta identica per forma e contenuto a quelle che aveva somministrato a Xavier, Max, Tristan ed Evelyn. La sola differenza stava nella quantità di siero: una dose molto più esigua. Paragonando la durata dell’effetto del siero con la quantità assunta poco prima dai vampiri  pochi minuti, Clare dedusse che probabilmente quello che si poteva ottenere dal poco liquido dorato rimasto erano non più di sessanta secondi di verità allo stato più puro.
Violet imprecò a bassa voce, probabilmente dopo essere giunta alla medesima conclusione, dopodiché tolse alla fiala il tappo con i denti e si alzò, dando allo stesso tempo uno strattone alle braccia di Cameron per costringerlo a mettersi in ginocchio. Infine posò il piccolo contenitore sulle labbra del ragazzo per costringerlo a bere le poche gocce di siero rimaste. Lui non oppose la minima resistenza ed assecondò ogni mossa della Guardiana.
-Dimmi chi sei e come ti chiami- intimò lei, risoluta.
-Cameron Joshua King, licantropo discendente e capobranco- rispose l’interrogato, con fermezza.
-Cosa significa licantropo discendente?- chiese sottovoce Clare a Serena.
-Non sono molto informata sull’argomento, ma credo significhi diventare licantropo per predisposizione genetica, anziché tramite morso. Probabilmente i suoi genitori sono a loro volta lupi mannari- spiegò l’altra.
-Quando hai capito di essere omosessuale?- domandò a bruciapelo Violet.
L’istante successivo, sul gruppo calò il gelo più assoluto.
L’attenzione generale si soffermò per alcuni interminabili secondi su colei che dirigeva l’interrogatorio. Le ragazze erano a dir poco sbigottite dalla nonchalance con cui aveva formulato il quesito posto per testare l’efficacia del siero e che aveva in questo modo messo in luce davanti a tutti il più importante e delicato segreto che il licantropo custodiva. Successivamente il loro sguardo prese ad oscillare istintivamente tra Max che, nonostante continuasse a cercare di celare ciò che provava, doveva essere comprensibilmente allarmato da ciò che sarebbe potuto conseguire a quella domanda, e Violet, la quale ignorava completamente qualsiasi occhiata a lei rivolta, concentrata com’era a fissare Cameron come se in quel momento non esistesse nient’altro e nessuno intorno a loro.
-Circa tre anni fa- fu la risposta, data con tono più incerto e a malapena udibile.
Clare sentì qualcuno ridacchiare, poco distante da lei. Nonostante la semi oscurità, riconobbe in Tristan l’autore di quel gesto tanto disgustoso quanto inappropriato, che mise in luce il disprezzo del vampiro verso tutto ciò che Cameron rappresentava.
La ragazza sapeva bene di non poter pretendere comprensione o empatia da uno come l’ex di Serena. Ricordava bene le conversazioni avute con lui all’epoca in cui frequentava Max e, nonostante non fossero mai state discussioni particolarmente lunghe ed esaurienti, era comunque certa di non potersi aspettare da lui un atteggiamento maturo e consono alla situazione o per lo meno un’apertura mentale che superasse quella di un cetriolino sottaceto.
Successivamente, Violet andò dritta al cuore della questione. I secondi scorrevano inesorabili e non le rimaneva molto tempo per ottenere le informazioni di cui aveva disperatamente bisogno.
-Hai mai frequentato Eli? Hai mai subito tentativi di soggiogazione da parte sua?- chiese la Guardiana.
-Sì- ammise semplicemente il licantropo.
A quella confessione seguì un lungo istante di silenzio e Clare si accorse di stare trattenendo involontariamente il respiro.
-Per quale ragione? Cosa ti ha costretto a fare?- incalzò l’altra.
Clare capì che la calma che aveva contraddistinto Violet fino a quel momento stava iniziando ad esaurirsi grazie al tono di voce dell’ibrido, che si faceva meno controllato e più impaziente ad ogni secondo che passava.
-Mi ha avvicinato ed ha tentato di soggiogarmi circa un paio di settimane fa- rispose meccanicamente Cameron. –Ma, anche se con grandissima difficoltà, sono riuscito a resistergli e ad oppormi, liberandomi così dalla sua influenza. Questo tuttavia non l’ha scoraggiato ed ha trovato comunque il modo per manipolarmi, tramite il ricatto. Ha detto che sapeva molte più cose di me di quante non ci tenessi far sapere, informazioni che riguardavano non solo la mia vita ma anche quella di…alcune persone a me molto vicine. Prima che aggiungesse altro avevo già capito di cosa stava parlando e dove sarebbe andato a parare. Infatti mi disse che se non avessi fatto alcune cose per lui, avrebbe rivelato a tutti che…-
Il giovane s’interruppe ed il suo sguardo si spostò per un istante su Max, che lo ascoltava cercando a sua volta di controllare le proprie emozioni grazie ad uno sforzo che Clare poteva solo immaginare.
Per chiunque fosse a conoscenza del reale rapporto tra il vampiro ed il licantropo, la minaccia dietro cui Cameron aveva accettato di eseguire gli ordini di Elijah era già chiara: obbedisci o tutti verranno a sapere della vostra relazione.
Anche Violet ovviamente afferrò al volo il sottinteso nell’occhiata di Cameron.
-…avrebbe rivelato a tutti che eri omosessuale- rispose la Guardiana al posto del ragazzo, omettendo parte della verità per evitare di coinvolgere Max.
-Gli ordini erano semplici: sorvegliare te, Clare, Serena ed Alyssa. Studiare le vostre abitudini e ferirgli qualunque dettaglio mi sembrasse insolito o in qualche modo degno di nota. Ed è quello che ho fatto- disse, con una semplicità disarmante. –Inizialmente ho provato a mentirgli, ma lui ha un talento innato per distinguere le menzogne dalla realtà e questo l’ho imparato a mie spese. Così ho semplicemente assecondato la sua richiesta e vi ho tradito. Credetemi, vorrei che ci fosse un modo per rendere le mie parole meno spietate, ma so perfettamente che questo non alleggerirebbe le mie colpe. Ho fatto il doppio gioco e me ne assumo tutta la responsabilità-.
-Quindi Elijah era a conoscenza di ogni dettaglio riguardante il piano?- domandò Violet, sospirando.
La risposta era ormai ovvia per tutti. Clare per un attimo si chiese per quale ragione la Guardiana stesse sprecando tempo prezioso con un quesito banale come quello. Quasi subito però si rese conto che probabilmente l’effetto del siero era ormai sul punto di esaurirsi, se non era già terminato.
-Sì, Elijah sapeva- confermò Cameron, in tono mortificato. –E mi sento un verme per quello che ho fatto. So che può sembrare una giustificazione fin troppo banale, ma posso giurarvi che stavo per rivelarvi tutto. Lo avrei fatto anche senza quella roba che estorce la verità-
-Wow, un tempismo invidiabile- commentò caustica Serena.
Cameron si rivolse allora direttamente a lei.
-Lo so…so che è difficile da credere, mi rendo conto che fidarvi di me è quanto di più assurdo possa chiedere. La verità è che ho avuto paura. Sono stato un codardo, ma l’ho fatto perché temevo di perdere tutto quello che ho, tutta la mia vita. Da quando ho capito di essere…ciò che sono, il mio solo ed unico terrore è stato quello che si venisse a sapere. Avevo paura di perdere il rispetto dei miei familiari, dei miei amici e degli altri membri del branco, temevo di rimanere solo. Poi però, quando poco fa mi sono reso conto che Eli era scomparso e Kelly con lui, è come scattato qualcosa nella mia testa. Ho finalmente realizzato la gravità e l’assurdità di ciò che stavo facendo e, soprattutto, quanto poco valesse il mio segreto in confronto a tutto quello che stava succedendo. Sono arrivato a cedere ai ricatti di un vampiro bastardo, a disonorare tutto ciò che sono e che rappresento, a tradire coloro che amo e che avrei dovuto proteggere. E per cosa? Per qualcosa che non avrei comunque potuto nascondere ancora a lungo? Il fatto di non averlo capito prima è solo uno dei tanti sensi di colpa nati da questa situazione che probabilmente mi tormenteranno per tutta la vita, cosa che credo di meritare ampiamente-.
Il licantropo pronunciò le ultime parole guardando Max dritto negli occhi con decisione, abbandonando per un qualche momento la stessa discrezione che si era impegnato a mantenere ad ogni costo durante l’interrogatorio. E fu proprio quello sguardo intenso ed eloquente a far capire a Clare che, nonostante questo non sminuisse in alcun modo il tradimento di cui si era reso responsabile, Cameron stava dicendo la verità, siero o meno.
-Si fotta ciò che penseranno gli altri- continuò, continuando a fissare Max. –A causa delle mie paure ho messo in pericolo fin troppe persone, non solo Kelly, e questa è solo l’ennesima prova di quanto possa essere distruttivo vivere nella menzogna -.
L’espressione del vampiro si fece meno furiosa e più insicura. Le parole del suo ragazzo lo stavano chiaramente invitando ad uscire allo scoperto e, per una frazione di secondo, l’intensità con cui Max rispose allo sguardo del licantropo diede a Clare la sensazione che il vampiro fosse sul punto di assecondare le parole del suo ragazzo e cedere a sua volta, che stesse per succedere qualcosa di improvviso ed inaspettato ad opera di uno dei due. L’aria era satura di elettricità solo grazie ai loro sguardi eloquenti.
Invece non successe nulla. Rimasero entrambi al proprio posto, mentre una nuova folata di vento sferzava le rade chiome degli alberi.
Nello stesso momento, la ragazza avvertì impotente l’ennesimo nodo allo stomaco, davanti ad una nuova prova che dimostrava quanto il sentimento che legava i due ragazzi tra cui si trovava andasse ben oltre l’affetto superficiale che aveva percepito inizialmente. Un nuovo monito del fatto che lei in quella storia era sempre contava meno di nulla.
***
Mentre l’attenzione di tutti i presenti era concentrata sulla scena surreale scaturita in seguito all’accusa mossa da Xavier contro Cameron, Em se ne stava più in disparte possibile, ad osservare la situazione dall’esterno.
Il licantropo appariva davvero tormentato dal rimorso per ciò che aveva fatto. Se quanto diceva di provare si fosse rivelata solo una farsa, la ragazza avrebbe dovuto ammettere che Cameron era davvero un ottimo attore.
I sentimenti di Em verso di lui erano contrastanti. Era propensa a credere che ciò che stava dicendo fosse la verità, tuttavia non poteva ignorare il fatto che se Kelly in quel momento si trovava in balìa di Eli mentre rischiava inconsapevolmente la propria vita, era anche a causa del lupo mannaro inginocchiato poco distante da lei.
Ora che anche lei si trovava nel bel mezzo di un ricatto perpetrato dal suo ex, Em poteva capire cos’avesse provato Cameron all’idea che la vita che aveva costruito fino a quel momento ed il futuro che stava progettando potessero essere cancellati di punto in bianco. Era la stessa sensazione che lei provava al pensiero che la sorte di sua cugina dipendesse da una sua decisione, però tutto questo non era comunque sufficiente a permettere alla ragazza di assolvere completamente il licantropo dalle sue colpe, almeno ai suoi occhi.
Eppure c’era una persona che sentiva meritare la sua rabbia ed il suo rancore molto più di chiunque altro lì presente: sé stessa.
Em iniziò a giocherellare distrattamente con una ciocca sfuggita al suo chignon, un gesto che ripeteva spesso quando era nervosa, dopodiché lanciò un’occhiata al suo riflesso nel finestrino nell’automobile di Violet. Il trucco era leggermente sbavato sul contorno degli occhi e l’acconciatura per cui sua madre aveva lavorato quasi un’ora aveva iniziato un po’ a disfarsi a causa del vento e degli avvenimenti delle ultime ore.
Si chiese quale fosse stato il momento in cui aveva dimenticato che quella del ballo era solo una copertura, lasciandosi tentare dalla prospettiva di sentirsi bella e desiderata almeno per qualche ora e dimenticando quale fosse la vera ragione per cui lei e le altre si trovavano lì, quella sera. Forse era stato il momento in cui era scesa dalle scale di casa sua ed i presenti l’avevano guardata come non avrebbe mai creduto di poter essere guardata: come se fosse bella. O forse era stato il momento in cui David l’aveva invitata a ballare e le aveva confessato di provare un certo interesse nei suoi confronti. Em non avrebbe saputo dirlo con sicurezza ma, quello che sapeva per certo era che il biglietto lasciato da Eli l’aveva bruscamente riportata alla realtà, quella stessa realtà che aveva fatto l’errore di provare temporaneamente a dimenticare, quella in cui il suo ex giocava a fare il predatore e lei era la sua preda.
Ora però, dopo oltre un anno, Eli si era stancato di giocare. Aveva sempre ottenuto quello che voleva ed era giunto per lui il momento di prenderselo. Una volta per tutte.
Come ho fatto ad illudermi che mi avrebbe lasciato vivere? Che sarei riuscita a liberarmi di lui? Si domandò Em, prendendosi il viso tra le mani.
Quasi le sembrava di riuscire a sentirlo pronunciare con la sua voce profonda le parole riportate nel biglietto su cui aveva indicato le sue condizioni per il rilascio di Kelly. Aveva sempre amato la poesia. Solo un anno prima, i versi che il vampiro scriveva parlavano della bellezza che vedeva in Em, della grazia con cui sfogliava le pagine di un libro, della dolcezza con cui gli sorrideva.
A quel tempo la ragazza non avrebbe mai potuto immaginare che le poesie d’amore che le dedicava sarebbero un giorno diventate poesie di morte.
A mezzanotte sotto il salice” aveva scritto.
-Che ore sono?- chiese sottovoce Em.
-Le undici e venticinque- la informò Clare lanciando un’occhiata all’orologio d’argento che aveva al polso.
Che domanda inutile pensò Em subito dopo. Avessero avuto a disposizione anche tutta la notte, non sarebbe cambiato nulla. Avevano impiegato giorni ad elaborare un piano che Eli aveva mandato a monte in un secondo grazie ad un’idea semplice, quasi banale, come quella dello scambio degli ostaggi.
-Vedrai che troveremo una soluzione- aggiunse Clare, notando l’espressione demoralizzata e rassegnata di Em. –Andrà tutto bene. Eli è da solo, noi siamo in sette e forse di più-
Eli.
Poteva anche essere uno solo, ma Em dubitava che la superiorità numerica costituisse un problema per lui. Da solo era stato in grado di fuggire per trent’anni alla giustizia del suo mondo. Da solo era riuscito a scombinarle completamente la vita, in ogni senso.
La ragazza rievocò i ricordi più importanti che lo riguardavano: Eli nella notte del loro primo incontro, Eli mentre la baciava per la prima volta, Eli mentre la consolava dopo l’ennesima lite con sua madre, Eli che sapeva sempre le ricordava ancora una volta che non doveva più avere paura di rimanere sola perché lui l’avrebbe amata per sempre come nessun’altro, Eli che, mentre camminava con lei lungo uno dei corridoi della scuola, le teneva il braccio intorno alle spalle con fare fin troppo protettivo; Eli la prima volta in cui aveva minacciato un ragazzo la cui sola colpa era stata quella di aver lanciato ad Em un’occhiata a parer suo troppo prolungata, Eli durante la loro prima discussione, dopo che lei era venuta a sapere delle sue aggressioni a David; Eli che la fissava costernato mentre lei le diceva di non voler più continuare quella relazione morbosa, Eli che, avendo giurato di non farle del male, riversava la sua rabbia su quanto gli stava intorno, in seguito al rifiuto di Em di farsi mordere. Eli che le rivolgeva un sadico sorriso mentre abbracciava Kelly.
Non credeva che sarebbe riuscita ad odiarlo più di quanto non avesse fatto fino ad allora. Quel vampiro l’aveva psicologicamente torturata così a lungo da riuscire quasi nel suo intento: portarla ad un’esasperazione tale da spingerla ad arrendersi e consegnarsi volontariamente a lui, come desiderava.
Almeno l’avrebbe uccisa e sarebbe finita una volta per tutte. Poi però Serena Clare ed Aly erano entrate nella sua vita. Un imprevisto, il migliore che le fosse mai accaduto in tutta la sua vita e che aveva contribuito in modo fondamentale a cambiare il destino al quale era ormai rassegnata. In loro, Em aveva visto inizialmente un buon diversivo per confondere Eli e prendere tempo, ma poi aveva scoperto qualcosa di meglio, qualcosa che non si sarebbe mai aspettata di trovare in un posto e in un momento senza speranza come quello: l’amicizia, quella più sincera.
Sarebbe sempre stata infinitamente grata a tutte loro per aver condiviso con lei un sentimento così grande, puro e meraviglioso come quello. Nonostante la diffidenza che aveva inizialmente mostrato nei loro confronti e gli errori di cui si era macchiata. Ma, per quanto quelle tre ragazze l’avessero aiutata e fatta sentire davvero importante per la prima volta nella sua vita, non avrebbero potuto fare nulla contro la sempre più evidente follia e la cattiveria del suo ex e, da parte sua, Em sentiva che c’era un solo modo per ringraziarle della fiducia che avevano posto in lei nonostante tutto e ripagarle almeno in parte per quanto avevano fatto per lei, anche se era certa che non avrebbero compreso subito le motivazioni di quanto stava per fare: avrebbe fatto sì che non dovessero più mettersi o trovarsi in qualche modo in pericolo a causa sua.
 
Un giorno capirete. Pensò Em tra sé, mentre sfruttava il momento in cui l’attenzione generale era focalizzata su Cameron e su quanto aveva da dire per arretrare di qualche passo. Voi avete fatto fin troppo per me. Di sicuro, molto di più di quanto meritassi. Ma è proprio per questo non posso stare a guardare mentre cercate l’ennesima soluzione a problemi che sono soltanto miei e che finirebbero solamente col mettere a repentaglio la vostra vita ancora una volta. Non avrei mai creduto che così tante persone sarebbero state disposte a mettersi in gioco e a rischiare così tanto solo per me e Dio solo sa quanto vi voglia bene e vi sia grata per questo, ma non posso trascinarvi in tutto questo. Sono certa che un giorno riuscirete a capirmi.



*N.d.A. sono ancora qui, nonostante tutto. I capitoli finali sono già stati progettati e aspettano solo di essere scritti. Buon Natale a tutti!*

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Capitolo 22
*** Ho imparato ad odiare ***


L’asfalto era terribilmente freddo. Em sentiva i suoi piedi nudi farle più male ogni secondo di più, tanto che, quando iniziarono ad intorpidirsi a causa del freddo, ne fu immensamente grata, perché il dolore finalmente si attenuò un po’.
Nonostante tutto, la ragazza non accennò a fermarsi o rallentare, né aveva la minima intenzione di farlo: se gli altri non avevano ancora scoperto la sua fuga, sarebbe comunque successo molto presto e allora Violet e forse anche Max, avrebbero subito iniziato a cercarla. Lei però voleva evitare ad ogni costo di essere trovata o almeno ritardare il più possibile il momento in cui sarebbe avvenuto, perché temeva che Clare, Serena ed Aly avrebbero tentato in qualche modo di partecipare alle ricerche ed Em non avrebbe potuto sopportare di saperle in pericolo a causa sua ancora una volta. Le aveva coinvolte nei suoi problemi, le aveva trascinate nel vortice di terrore senza fine in cui viveva da oltre un anno, le aveva esposte ad un rischio molto più grande di quanto non avessero compreso. Lei era l’unica responsabile di tutta quella situazione ed era anche l’unica in grado di porvi fine senza che qualcun altro mettesse in gioco la propria incolumità per preservare la sua, quella di una ragazza la cui esistenza procurava solo danni a chiunque commettesse l’errore di provare ad avvicinarla.
A mezzanotte sotto il salice”.
Em non aveva avuto il minimo dubbio. Appena aveva sentito pronunciare quelle parole da Violet, mentre leggeva il messaggio lasciato da Eli, aveva capito subito a quale posto si riferisse quest’ultimo e dove, con ogni probabilità, lui e Kelly si trovavano in quel momento.
La strada era deserta. I bambini del quartiere avevano finito da ore di andare di casa in casa a chiedere “dolcetto o scherzetto” ed infatti, mentre camminava il più velocemente possibile in direzione del luogo in cui era convinta che il suo ex stesse tenendo in ostaggio sua cugina, Em non incrociò anima viva. La via secondaria che aveva scelto di percorrere per evitare quelle principali dove Violet avrebbe potuto intercettarla con più facilità era quasi priva di illuminazione, eccezion fatta per pochi lampioni piazzati però a grande distanza gli uni dagli altri.
La ragazza avrebbe avuto fin troppe ragioni per tornare indietro: la giacca leggera che indossava non era sufficiente a ripararla dalle fredde folate di vento, i piedi le facevano talmente male da darle la sensazione di camminare su frammenti di vetro sempre più acuminati, era spaventata dall’oscurità che la circondava, era completamente sola e pienamente consapevole di stare andando incontro alla morte.
Una lacrima provò a scorrere sulla sua guancia, ma lei l’asciugò con un gesto brusco, si costrinse a reprimere le altre e ad ingoiare il nodo che sentiva stringere in gola. Se proprio doveva morire, l’avrebbe fatto senza perdere un’altra briciola della poca dignità che le era rimasta, guardando Eli dritto negli occhi per far sì che l’ultima cosa che lui vi avrebbe letto sarebbe stato tutto l’odio ed il disprezzo che aveva serbato nei suoi confronti durante quell’ultimo anno. Non le importava più niente delle minacce che avrebbe potuto rivolgerle o dei mille modi in cui avrebbe potuto torturarla prima di mettere fine una volta per tutte alla sua agonia. Non aveva più niente da perdere.
Contrariamente a quanto immaginava, quando arrivò al posto indicato da Eli era completamente sola e non aveva udito strani rumori n percepito la presenza di qualcuno oltre a lei. Aveva percorso quasi un chilometro, nonostante le condizioni avverse, ma nessuno degli altri l’aveva ancora trovata.
Sempre che mi stiano cercando pensò la ragazza in un impeto di pessimismo. Un istante dopo però si pentì di quel pensiero e si rese conto di quanto fosse assurdo, considerato quello che il bizzarro club di cui faceva parte aveva fatto per lei nelle ultime settimane.
Senza alcuna esitazione, Em si addentrò nel parco, lo stesso che poco più di un anno prima aveva fatto da cornice al primissimo incontro tra lei ed il suo ex.
La ragazza seguì il medesimo percorso compiuto quella maledetta sera, addentrandosi nella penombra dei giardini, in direzione della panchina su cui Eli l’aveva vista per la prima volta mentre, in lacrime, ripensava al litigio che aveva avuto con sua madre a causa di Sean.
Appena i suoi pensieri sfiorarono i ricordi riguardanti sua madre e di tutto ciò che avevano passato, Em avvertì l’unica esitazione che la spinse, per un momento, a fermarsi. Per la prima volta provò un autentico sollievo all’idea che ci fosse Sean con Sarah. Era dovuta arrivare quasi al confine tra la vita e la morte per ammetterlo, ma ormai era certa che sua madre non avrebbe potuto trovare un uomo migliore di lui, nonostante la differenza d’età. Sarebbe stata dura per lei, nei mesi successivi, ma Em era certa che Sean le sarebbe stato sempre accanto, l’avrebbe amata e confortata ogni giorno. Sarebbero stati felici, alla fine.
Em ricominciò a camminare, pentendosi per un istante di non aver portato con sé il cellulare, che aveva invece abbandonato tra le foglie del giardino all’ingresso della scuola prima di andarsene. Avrebbe voluto mandare un messaggio a sua madre solo per dirle un’ultima volta che le voleva bene. L’unico conforto della ragazza fu il pensiero di essere riuscita ad appianare quasi tutte le divergenze che aveva avuto con lei in passato. Almeno nessuna delle due sarebbe andata incontro al proprio destino con il rimorso. Entrambe sapevano di essere la persona più importante nella vita dell’altra. Questo era tutto ciò che contava.
E fu con quella consapevolezza che Em arrivò di fronte al salice i cui rami spogli e ricurvi lasciavano intravedere la panchina posizionata sotto il suo tronco, come un triste ed inquietante baldacchino.
E, seduti su quella panchina, esattamente come aveva previsto, c’erano Elijah e Kelly.

***
Un anno e quattro mesi. Tanto era passato da quella sera d’inizio estate in cui Eli ed Em si erano incontrati.
Ed in quel momento la scena si stava ripetendo, esattamente come allora, solo a parti invertite.
Prima ancora che Em posasse lo sguardo sul vampiro, lui già si era accorto della sua presenza e stava guardando nella sua direzione. La ragazza, quando lo notò, non né fu affatto sorpresa. Ormai lo conosceva troppo bene per riuscire ancora a provare stupore di fronte ai gesti quasi profetici del suo ex. Sapeva che probabilmente, nella sua insana mente contorta, doveva aver già previsto ogni cosa.
Em, dopo un lungo istante, distolse lo sguardo da quello di Eli e lo spostò su Kelly. Questa, con tutta probabilità completamente ignara del pericolo in cui si trovava, era seduta accanto al vampiro sulla panchina  teneva la testa posata sulla sua spalla. Aveva gli occhi chiusi ed in volto aveva dipinta un’espressione pacifica. Posata sulle spalle, a proteggerla dal vento, aveva la giacca del suo cavaliere. L’orlo del suo lungo vestito blu notte sfiorava il terreno ed era sporco di terra ed erba.
Fanciulla per fanciulla,
o le foglie, l’erba e la terra
diverranno la sua culla”.
I versi finali della poesia le risuonarono in testa.
-Ciao, Em- esordì la voce calda e profonda di Elijah, riportando l’attenzione della ragazza su di lui.
Quella voce, dal timbro profondo e in apparenza calmo, stridette con la sensazione profondamente sgradevole che Em avvertì irradiarsi in lei non appena la udì, simile a quella che l’attanagliava prima di un esame importante per il quale riteneva di non aver studiato abbastanza ed era certa che avrebbe fallito, ma in forma molto più acuta.
I due non si rivolgevano la parola dal loro ultimo incontro, quello in cui Eli aveva cercato di convincerla a farsi mordere, ricevendo il rifiuto che aveva segnato l’inizio del periodo infernale che Em aveva vissuto fino ad allora e che in quel momento stava per giungere al suo culmine.
-Ciao, Eli- rispose, cercando di mantenere un tono controllato e di non far trasparire la sua agitazione, nonostante fosse consapevole che di sicuro il suo ex avrebbe notato la minima traccia d’incertezza nella sua voce.
-Mi sorprendi, pensavo saresti venuta in compagnia- commentò lui.
-Credo che questa storia abbia finito per coinvolgere troppe persone che non c’entrano. Lasciale perdere, è una questione tra noi due e basta- disse Em.
Il vampiro sorrise amichevole.
-Lieto che tu te ne sia finalmente accorta. Sai, in questi ultimi tempi ho come avuto la sensazione che usassi quelle stesse persone per nasconderti-.
Di fronte a quella frecciata, la ragazza rimase in silenzio alcuni secondi, sforzandosi di apparire impassibile e cercando con cura le parole con cui proseguire.
-Come sta Kelly?- chiese, sviando il discorso.
Eli abbassò gli occhi sulla giovane addormentata come se si fosse ricordato solo in quel momento della sua presenza.
-Oh, lei sta benissimo- rispose. –Credo sia un po’ stanca, sai, i preparativi per i grandi eventi spesso possono essere molto estenuanti-.
-Ora sono qui, come avevi chiesto. Lasciala andare- disse Em, ignorando l’allusione dell’altro ed andando dritta al punto.
A quelle parole, l’atteggiamento affabile del vampiro lasciò il posto ad una di leggero disappunto. Quando se ne accorse, Em smise involontariamente di respirare, sperando di non aver essere stata troppo avventata o di aver usato un tono troppo aggressivo per i gusti del suo ex. Era ben consapevole infatti che anche il minimo cambiamento d’espressività in lui poteva significare anche essere sul punto di sfogare tutta l’ira di cui era capace e lei non poteva permetterlo: Kelly era ancora nelle sue mani.
-Non sei mai stata molto brava con i convenevoli, Emily. Non parliamo da quasi un anno, ma tu hai comunque fretta di arrivare al sodo. Certe abitudini non cambiano mai- si limitò a constatare.
-Suppongo di no- rispose lei, cercando di apparire calma. –Ma ti prego, ora dille di andarsene-.
Elijah, con un movimento tanto rapido quanto inaspettato, quasi azzerò la distanza tra lui e la sua ex in meno di un attimo. Per quanto la ragazza tentasse di controllare le proprie emozioni, il suo cuore reagì a quell’avvicinamento improvviso accelerando rapidamente, mentre il respiro le si mozzava nuovamente in gola.
Negli occhi castano scuro del vampiro, Em colse una fugace nota di compiacimento per l’effetto che quel gesto aveva avuto su di lei. Di sicuro gli aveva ricordato il periodo in cui il controllo che esercitava sulla vita della ragazza era al suo apice.
-Solo se giuri che resterai qui al suo posto- sussurrò il vampiro. –Ed intendo un giuramento vero, non uno di quelli tipici di voi umani, vuoti, senza alcun significato, che raramente vengono adempiuti. Solo allora lascerò che Kelly torni a casa incolume-
-D’accordo, avrai quello che vuoi. Tu però in cambio devi garantirmi che non farai in alcun modo del male né a lei, né alle altre ragazze, né a Violet, né a Cameron, né a Max. Assicurami che li lascerai in pace per sempre e non pianificherai alcun genere di vendetta contro di loro- rilanciò lei.
Eli la guardò dritta negli occhi per qualche secondo, indecifrabile. Infine si posò la mano destra sul cuore, come a voler dimostrare la sua buona fede e la serietà di ciò che si apprestava a promettere.
-Giuro sul mio creatore che non verrà fatto loro un solo graffio. Possa la mia immortale esistenza terminare nel preciso istante in cui mi sfiorerà anche solo l’idea di venire meno a tale accordo- disse, con tono solenne.
A quel punto, Em si sentì sollevata dalla maggior parte del peso che sentiva gravare su di lei dal momento stesso in cui Violet aveva letto ad alta voce il messaggio che il vampiro aveva scritto poco prima di lasciare il ballo. I suoi amici erano finalmente al sicuro dalle ritorsioni di Eli. Poteva morire felice, letteralmente.
-Ora però è il tuo turno- aggiunse il vampiro dopo una breve pausa, allontanando i pensieri della ragazza dagli unici veri amici che aveva mai avuto e riportandoli su sé stessa e ciò che la attendeva.
-Cosa desideri che dica?- Chiese Em con un filo di voce, guardando rassegnata negli occhi la sorte che aveva inutilmente provato ad evitare per dodici lunghissimi mesi.
Se non altro, se non altro, se ne sarebbe andata con la consapevolezza che il tempo che era riuscita a guadagnare non era stato vano.
-Prometti che resterai con me qualunque cosa succeda- disse Elijah, prendendole le mani e stringendole tra le sue, in una fredda morsa a cui Em non accennò nemmeno ad opporsi. Il suo volto era così vicino a quello di Em che la ragazza riusciva a sentire il suo respiro freddo sulla pelle.
-Prometti che non tenterai di fuggire ancora una volta da me, dai nostri sentimenti e da tutto ciò che ci lega sin dalla notte in cui il destino ha scelto di condurmi da te. Prometti che accetterai di diventare la mia sposa, la mia eterea principessa della notte e che staremo insieme per sempre. Promettimi che sarai solamente mia e di nessun altro. Promettimi che smetterai di opporti a tutto questo, che smetterai di fingere che il tuo posto in questo mondo sia tra la mediocrità umana, perché noi meritiamo molto, molto di più-
-Lo prometto. Farò come chiedi- rispose meccanicamente la ragazza.
-Ed io inoltre, in cambio della tua definitiva prova di devozione- aggiunse il vampiro. –Giuro che non ti lascerò mai più. Mai. A partire da questa notte, tu ed io diventeremo due inscindibili metà della stessa carne e dello stesso spirito. Nelle nostre vene scorrerà lo stesso sangue e ci apparterremo in eterno-.
Elijah si avvicinò ad Em di un altro passo, lasciò le sue mani per cingerle dolcemente i fianchi, attirandola a sé e annullando ciò che restava della distanza tra loro. La ragazza dovette fare appello ad ogni muscolo del suo corpo per non assecondare l’istinto che le suggeriva di indietreggiare.
-Mia dolce, bellissima Emily- le sussurrò il vampiro all’orecchio. -Se solo potessi vederti attraverso il mio sguardo anche solo per un’istante, comprenderesti la ragione per cui ho dovuto fare tutto questo. Non credere che per me sia stato semplice guardarti da lontano mentre lasciavi che la tua mortale paura prendesse il sopravvento allontanandoti da me e da tutto quello che avevamo costruito. Durante quest’ultimo, terribile anno abbiamo sofferto insieme. A stento sono riuscito a sopportare il dolore di vedere il tuo dolce volto mascherato di paura ogni qualvolta incrociavo i tuoi occhi. Ma tu ora sei qui e sei ancora più bella della sera in cui ti ho incontrata-.
Il vampiro posò la sua mano gelata sul volto della ragazza, sfiorandole le labbra con il pollice mentre lei rimaneva immobile, sperando e pregando che tutto finisse nel modo più rapido ed indolore possibile. Reprimere le lacrime stava diventando quasi impossibile ed avvertiva chiaramente che una parte di lei, quella egoista e vigliacca, sarebbe stata disposta a fare qualunque cosa, anche a scarificare Kelly, pur di fuggire dall’orribile incubo che stava vivendo.
Intanto, Elijah continuava imperterrito con i suoi vaneggiamenti.
-Ho sempre saputo che presto o tardi avresti capito che la paura che credevi di provare nei miei confronti era in realtà paura verso l’esistenza senza fine che ti aspettava se fossi rimasta con me, ma non importa. Lo capisco. Per voi umani, così abituati a vivere in un mondo dove ogni cosa ha una fine, l’eternità è qualcosa di estremamente affascinante ma, al tempo stesso, terribilmente spaventoso. Ti assicuro però che puoi stare tranquilla. Ti ci abituerai-.
Detto ciò, il vampiro infilò una mano nella tasca dei suoi pantaloni e ne estrasse l’ultima cosa che Em si sarebbe aspettata di rivedere quella sera. Incastonato in un elaborato intreccio di quello che con tutta probabilità era vero oro e agganciato ad una catenella dello stesso materiale, c’era la Stella di Mezzanotte, lo zaffiro che Eli aveva cercato di regalarle quando le aveva chiesto di lasciarsi “trasformare” per la prima volta.
Senza dire una parola, lui sorrise ed agganciò il gioiello al collo dell’amata, dopodiché indietreggiò leggermente per ammirarla.
-Ora sei perfetta- disse, in tono quasi commosso.
A quel punto si avvicinò nuovamente, accostò le proprie labbra a quelle di lei e, quando fu abbastanza vicino da sfiorarle, si fermò per sussurrarle le stesse parole che, un tempo, erano state per la giovane un’immensa fonte di gioia.
-Ti amo, Em-.
La ragazza sentì la bocca di Eli premere sulla sua con controllata decisione. Solo allora si rese conto di aver trascorso l’ultima ora cercando di prepararsi emotivamente a qualunque crudeltà avrebbe potuto infliggerle il suo ex, ma di non esserlo minimamente verso un gesto del genere.
Em cercò di non opporre alcuna resistenza verso quell’assurdo bacio che, nonostante tutto, le diede fin da subito una sensazione fin troppo familiare.
Sentì confondersi in lei il sapore dolce dei ricordi inizialmente felici in compagnia di quello che aveva inizialmente creduto fosse il suo primo amore, nonché anima gemella, con quello aspro dei ricordi dell’ultimo anno e in particolare dell’ultimo mese, che la travolsero senza che lei potesse fare nulla per fermarli.
In quel preciso istante, Em prese pienamente coscienza di quanto stava facendo. Quell’improbabile ed indesiderato bacio aveva ottenuto un effetto che nemmeno l’acuta mente di Elijah sarebbe riuscita a prevedere: aveva ridato alla ragazza un attimo della lucidità che il dolore e l’esasperazione avevano offuscato fino a quel momento.
Fu come una scossa elettrica che attraversò i pensieri della ragazza per un brevissimo istante, sufficiente però ad illuminare la sua mente, mostrandole la situazione in cui si trovava sotto un punto di vista molto più consapevole.
Era come se stesse guardando dall’esterno la scena in cui lei stessa era protagonista, rendendosi conto definitivamente dell’errore che stava commettendo: aveva scelto di consegnarsi volontariamente alla morte, e di ciò non era pentita, ma con quel suo atteggiamento remissivo si stava annullando ancora una volta; stava dando ad Eli l’illusione di essere una sua proprietà.
Non era in quel modo che desiderava morire, annullando definitivamente sé stessa di fronte al suo aguzzino, all’essere che più odiava al mondo. Non dopo aver sofferto così tanto per riappropriarsi della sua vita,  soprattutto se ciò voleva dire vanificare tutti gli sforzi che Serena, Clare, Aly, Violet e Max avevano fatto per tenerla al sicuro e farle capire che lei valeva ogni difficoltà in cui si erano imbattuti e contro cui avevano lottato senza esitazione fino a quella sera. Non poteva e non voleva.
Come si era ripromessa prima di varcare l’ingresso di quel maledetto parco, per nessuna ragione al mondo avrebbe ceduto anche il suo ultimo grammo di dignità al suo assassino.
Con tutta la forza che le rimaneva, la ragazza assestò al vampiro lo spintone più violento che avesse mai dato a qualcuno in vita sua, cogliendolo del tutto impreparato ad una reazione simile e costringendolo a lasciarla andare e ad allontanarsi di appena un paio passi. Non si aspettava certo di riuscire a fargli perdere l’equilibrio, ma non era quello il suo intento.
Voleva mettere in chiaro una volta per tutte che lui avrebbe anche potuto impossessarsi del suo corpo e farne quello che voleva, ma la sua anima, la sua essenza, ciò che la rendeva Emily Alexandra Cortese, non gli sarebbe mai potuto appartenere. Non gliel’avrebbe mai ceduto.
Quando si rese conto di quanto successo, Elijah rivolse ad Em uno sguardo che la ragazza inizialmente non seppe identificare.
Sembrava incredulo, come se rifiutasse di realizzare quanto era appena successo. Bastarono però pochi secondi perché l’espressione sul suo volto si facesse sempre più inquietante e tetra, dettaglio che faceva presagire la furia che il vampiro avrebbe sfogato a breve, proprio come l’anno prima, sempre in quello stesso parco, quando lei lo aveva rifiutato per la prima volta.
A quel punto, la ragazza sentì il suo coraggio opporsi al panico che premeva per impossessarsi nuovamente di lei, dando vita ad un’altra estenuante lotta contro sé stessa: l’istinto contro la ragione.
Il vampiro scoprì gli affilatissimi denti di cui disponeva ed iniziò ad emettere un suono gutturale e profondo, simile al ringhio di un lupo.
-Siete tutte uguali- disse, muovendosi lentamente verso di lei. –Meschine, ipocrite, inaffidabili, ingorde. Potremmo darvi la luna, e ancora non sarebbe abbastanza. Mettiamo a repentaglio la nostra stessa immortalità per la vostra inutile e viscida vita mortale, ma per voi ormai è solo un gesto banale, quasi scontato-.
La ragazza rimase paralizzata al suo posto, indecisa su come comportarsi. Eli le afferrò il mento e glielo sollevò bruscamente, per far sì che lei lo guardasse dritto nei suoi occhi castano scuro.
-Vi offriamo amore e vita eterni, e voi non vi mostrate minimamente riconoscenti, pensando solo ai vostri vili desideri. Vi mostrate vulnerabili, deboli e stupide, ma non appena ottenete ciò che volete, vi rivelate per quello che siete veramente: esseri subdoli ed egoisti. Dimmi, Emily, chi è il vero parassita? Chi si nutre della linfa vitale altrui? Chi è il vero vampiro?-
Em non riuscì a rispondere. Non aveva la minima idea di cos’avrebbe potuto dire.
Elijah la lasciò andare, le voltò le spalle e fece per allontanarsi.
La ragazza ci mise qualche secondo di troppo per capire quali fossero le intenzioni del suo ex, ma poi lo sguardo di quest’ultimo si posò su Kelly, che se ne stava accasciata sulla panchina, completamente ignara di quanto le succedeva intorno. In quell’istante, ciò che doveva fare divenne improvvisamente chiaro.
-Fermati!- gridò.
Inaspettatamente, il vampiro ubbidì e si voltò nuovamente verso di lei, mentre il vento gli scompigliava la lunga frangia castana che quasi gli nascondeva gli occhi. Si trovava a meno di un metro dalla cugina di Em.
-Hai infranto il nostro accordo- gli ricordò lui. Il suo atteggiamento era tornato ad essere inquietantemente calmo. –Ed in un lasso di tempo insolitamente breve, oserei dire. Questo significa, nel caso non l’avessi ancora capito, che non sono più tenuto ad accontentarti in alcun modo. Certo, potrei semplicemente ucciderti e poi andarmene, ma sarebbe troppo semplice. No, Em. Tu resterai viva fino a quando non avrai visto tutti coloro a cui tieni morire in modo atroce e nella consapevolezza che la responsabilità di tutto ciò che gli accadrà sarà solamente tua. Kelly, Serena, Clare, la ragazzina di James, quello stupido sicario della Fratellanza, quell’abominio traditore di Maximus, tua madre… Magari potrei fare in modo che sia proprio tu ad ucciderli, uno alla volta. Rimarresti cosciente di tutte le deliziose torture che infliggerai loro, ma non potrai fare niente per fermarti. E solo quando, dilaniata dal dolore e dai sensi di colpa, m’implorerai di ucciderti, allora forse ti accontenterò. Sì, penso proprio che farò così-.
Il vampiro diede nuovamente le spalle ad Em per osservare Kelly.
-Ora però sono assetato. Quindi per il momento dovrai accontentarti di restare a guardare- disse lui, chinandosi verso la ragazza incosciente.
-Io invece non credo proprio- replicò Em, attirando nuovamente l’attenzione del vampiro. –A meno che tu non voglia venir meno ad una promessa. E sappiamo entrambi che non lo farai: hai giurato sul tuo creatore-
Il tono fermo della ragazza confuse per un momento Eli, che la fissò perplesso per qualche secondo, prima di lasciarsi andare ad una breve risata.
-Tu hai rifiutato la mia offerta, hai infranto il nostro accordo. Non ho la minima intenzione di darti una seconda…-
-Io non ho in alcun modo infranto il nostro accordo- puntualizzò lei, interrompendo l’altro e, contro l’istinto di ogni cellula del suo corpo, si mosse verso di lui. –Tu mi hai chiesto di rimanere con te a prescindere da tutto, di smettere di fuggire da ciò che io provo nei tuoi confronti, di permetterti di fare di me la tua eterea principessa della Notte, ed io ho accettato. Infatti sono ancora qui e non ho intenzione di andare da nessuna parte. Soprattutto però ho particolarmente intenzione di mantenere fede alla tua richiesta di smettere di rinnegare il sentimento che mi lega a te. Perché io provo solo odio, nei tuoi confronti, Eli. Nient’altro che questo. Ti detesto come non ho mai detestato nessuno in vita mia. Prima di incontrarti non avevo mai desiderato veder qualcuno soffrire fino ad arrivare a contorcersi ai miei piedi supplicando pietà, invece ora è solo questo, quello che desidero per te. È l’unico insegnamento che ti devo. Quindi puoi stare tranquillo, mio principe del Nulla Cosmico. Nemmeno volendo potrei rinnegare ciò che provo. In altre parole, l’accordo è ancora perfettamente valido. Ora sta solo a te finire ciò che hai iniziato, Damien Elijah Thompson. Prendimi e fa’ di me la tua principessa della Notte. Una principessa che ti odierà in eterno e che serberà rancore nei tuoi confronti in questa vita e nella prossima, qualunque essa sarà-.
Eli la fissava mentre la sua ira aumentava ad ogni parola che Em pronunciava e avvelenava il suo sguardo solitamente magnetico e rendendolo sempre più simile ad una belva feroce in procinto di sfogare la sua ira.
Quando la ragazza finì di parlare si trovava a meno di mezzo metro dal vampiro. In parte si sentiva come un agnello che si offriva al suo predatore, tuttavia era anche perfettamente consapevole del fatto di aver appena dimostrato al suo ex di non avere nulla in comune con un animale vulnerabile e debole ma, anzi, di essere l’esatto opposto.
Em stava assaporando quelli che sapeva essere gli ultimi attimi di quel senso di trionfo prima che il terrore per la sorte che l’attendeva prendesse il sopravvento su ogni altra emozione. Invece non ebbe nemmeno il tempo di rendersi pienamente conto di quanto stava per succedere.
Con un movimento repentino Elijah le afferrò la nuca ed affondò i denti nel collo della ragazza.

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Capitolo 23
*** Bramosia ***



*ATTENZIONE!!! Il finale del capitolo precedente ha subìto un'importante modifica, pertanto vi consiglio di rileggerlo, altrimenti potreste avere qualche difficoltà nella comprensione di questa parte della storia. Perdonate i miei casini*


Violet correva come non aveva mai corso in vita sua.
Era questione di pochissimi secondi. Aveva una sola occasione d’intervenire e strappare Em dalle mani – e dalle fauci – di Elijah prima che questo potesse aggiungere anche il suo nome alla già lunghissima lista delle sue vittime.
La Guardiana cercò di rimanere lucida, concentrata su quanto si apprestava a fare e di non lasciarsi travolgere e distrarre ancora una volta dal pensiero di quanto era accaduto poco prima nel parcheggio della scuola, con Em che si allontanava di soppiatto approfittando del fatto che l’attenzione generale fosse focalizzata sulla confessione di Cameron, e lei non si era accorta di nulla. Aveva ignorato completamente quanto le stava accadendo intorno, presa com’era dalla confessione del licantropo. Come aveva potuto dimenticare uno dei primi nonché fondamentali insegnamenti del suo addestramento?
Ogni senso deve essere sempre attivo, all’erta. In questo modo non avrete mai bisogno di qualcuno che vi guardi le spalle e niente riuscirà a cogliervi di sorpresa”.
Se Athena, la sua mentore, fosse venuta a sapere del modo disastroso in cui stava affrontando il suo primo incarico sarebbe rimasta parecchio delusa, così come l’intero Ordine dei Guardiani, di cui Violet era entrata ufficialmente a far parte solo da una manciata di mesi, forte delle lodi che i suoi insegnanti avevano a lungo sperticato in merito alle sue capacità.
-Non potevi prevedere che avrebbe deciso di sacrificarsi al suo carnefice- le aveva detto Max, quasi leggendole nel pensiero mentre, poco prima, dall’alto del tetto di un anonimo condominio a quattro piani, osservavano il parco del quartiere situato al lato opposto della strada. Posto che Serena aveva indicato loro come teatro del primo incontro avvenuto tra Em ed Elijah, nonché, sempre a detta delle ragazze, unico luogo pubblico dei dintorni in cui si potesse trovare un salice.
Violet non aveva risposto. Era rimasta in silenzio cercando di scorgere, oltre i rami degli alberi, qualche segno della presenza della ragazza o del suo psicopatico ex, acuendo il più possibile la vista. Un compito difficile nonostante i prodigiosi sensi ibridi di cui disponeva.
I due non avevano osato avvicinarsi ulteriormente, poiché il rischio di compiere qualche passo falso facendo percepire ad Elijah la propria presenza era troppo concreto.
Con la coda dell’occhio, Violet aveva osservato per un secondo il vampiro accanto a lei, il quale a sua volta stava guardando verso il parco.
Max non avrebbe potuto capire come si sentiva. L’empatia non era certo uno dei punti forti dei vampiri e, in ogni caso, raramente la dimostravano verso qualcuno al di fuori dei loro simili. Sarebbe stato inoltre difficile fargli comprendere quel valore fondamentale con cui venivano cresciuti ed addestrati i Guardiani, quel profondo senso dell’onore e del dovere che condizionava non solo il loro lavoro, ma ogni aspetto della loro vita e che in quel momento la stava facendo sentire sull’orlo di un baratro sul cui fondo si trovavano solo buio, vergogna e fallimento. Era infatti la prima missione importante che Violet affrontava da sola e si rendeva conto di aver commesso un’imperdonabile quantità di errori da principiante fin dal suo arrivo in quella minuscola ed apparentemente insignificante città, a partire da quando Will era riuscito a scoprire la sua vera identità prima ancora che lei avesse il tempo di accorgersi del suo coinvolgimento nei piani di Elijah.
Aveva accettato quell’incarico con entusiasmo, determinazione ed un’incosciente dose di ottimismo, nonostante il peso delle aspettative che gravava sulle sue spalle e a cui all’inizio non aveva dato troppa importanza. Le cose però non erano andate in modo ben diverso da come si aspettava e, a prescindere dall’esito che avrebbe avuto la vicenda, la ragazza non aveva idea di come sarebbe stata riaccolta nella sede dell’Ordine dei Guardiani, se e quando vi avrebbe fatto ritorno. Per una come lei, abituata a calcolare ogni eventualità con la relativa probabilità che si concretizzasse, ciò non poteva che considerarsi una costante e dolorosa tortura da cui i suoi pensieri faticavano ad allontanarsi, nonostante la grande capacità di concentrazione di cui si sapeva in grado e di cui in quel momento aveva disperatamente bisogno.
-Non aveva mai dato segni di volerlo assecondare- aveva continuato il vampiro, ignaro dei pensieri della Guardiana accanto a lui. -Ha sempre collaborato, sembrava decisa a…-
-Esiste un punto di rottura in ognuno di noi, Max- era intervenuta lei, interrompendolo. -Em deve averlo raggiunto dopo aver saputo dell’ultimatum di Elijah e non posso biasimarla. Ha sopportato questa schifosa situazione per più tempo di quanto la maggior parte delle ragazze della sua età sarebbe mai stata capace e la sua poca autostima di certo non l’ha aiutata. Sicuramente crede di non meritare quanto stiamo facendo per salvarla, è convinta di essere l’unica responsabile di tutto e che la soluzione dipenda solo da lei. Sì, avrei dovuto prevedere questa svolta, dal momento che sono stata addestrata anche per prevenire situazioni del genere. Tutti i Guardiani lo sono. O almeno, dovrebbero esserlo-.
Solo allora Violet si era resa conto di quanto il clima tra lei ed il vampiro che le stava accanto si fosse fatto strano. Era fermamente convinta che Max non avrebbe mai smesso di odiarla e che la tolleranza che dimostrava nei suoi confronti fosse semplicemente un modo per facilitare la loro temporanea collaborazione. Lei, a prescindere da tutto, restava comunque la responsabile della morte di Will, un membro del clan di Max, ossia quanto di più simile avesse ad un familiare. Nessuna circostanza attenuante avrebbe mai potuto alleggerirla del peso di tale colpa, agli occhi del vampiro. Eppure le parole che le aveva rivolto assomigliavano tremendamente ad un tentativo di conforto. Qualcosa di decisamente inusuale per un succhiasangue, soprattutto se in possesso di una valida ragione per detestarla come minimo in eterno.
Poco dopo, Violet era finalmente riuscita a scorgere, seppur per un breve istante, un figura che combaciava con quella di Em varcare l’entrata del parco ed aveva quindi deciso di mettere temporaneamente da parte ogni sua perplessità e preoccupazione che non avesse a che fare con Elijah. L’unica cosa che contava era riuscire a tirare fuori di lì le due ragazze e catturare quel dannato vampiro. Non avrebbe potuto permettersi di sbagliare ancora. Erano finiti i tempi delle simulazioni a cui aveva preso parte durante il suo addestramento o degli incarichi di poco conto in cui aveva affiancato qualche Guardiano con centinaia d’anni di esperienza. Il rischio peggiore in cui incorreva non era più quello di venire rimproverata dagli insegnanti per lo scarso rendimento, questa volta in gioco c’erano delle vite e non solo quelle delle due ragazze in ostaggio, ma anche di tutte quelle che Elijah avrebbe potuto uccidere in futuro, se Violet non fosse riuscita a fermarlo.
Non posso lasciarmi vincere dallo sconforto. Non ora aveva pensato.
Nonostante la fitta vegetazione del parco avesse impedito a Max e Violet di assistere al momento in cui Elijah ed Em si incontrarono, la zona, ad eccezione di qualche sporadica auto di passaggio nelle vicinanze e di qualche cane che abbaiava, era fortunatamente abbastanza silenziosa da consentire ad entrambi di origliare il dialogo tra il vampiro e la ragazza.
Ad ogni parola, l’agitazione di Violet aumentava. Sentiva il suo battito cardiaco accelerare ed era stato molto difficile per lei riuscire a rimanere calma e concentrata. Prima di approdare in quella città, aveva studiato a fondo il caso di Elijah, rileggendo più volte gli scritti che testimoniavano i fallimenti dei suoi predecessori ma, anche dopo essersi documentata fin nei minimi dettagli, l’unica cosa che aveva perfettamente chiara era che ogni reazione del suo nemico, nonché obbiettivo, erano imprevedibili.
Qualche volta aveva affrontato i Guardiani mandati a catturarlo, uccidendoli senza difficoltà, altre volte era scomparso improvvisamente, senza lasciare dietro di sé la minima traccia, come smaterializzato.
Mentre Violet cercava di pensare in fretta ad usa soluzione che le consentisse di cogliere di sorpresa Eli o quanto meno di affrontarlo con una minima chance di vittoria, quest’ultimo si era improvvisamente avvicinato ad Em e l’ibrido aveva trattenuto il fiato, temendo per un istante che il vampiro stesse per aggredire la ragazza una volta per tutte. Qualche secondo dopo però, aveva ricordato quanto Elijah si fosse sempre dimostrato metodico e preciso nel rituale che metteva in atto prima di uccidere le sue vittime, proprio come ogni serial killer. Non avrebbe mai ucciso Em senza prima aver ottenuto il suo permesso di quest’ultima di farsi mordere.
A Violet allora non era rimasto altro da fare che ascoltare impotente il vampiro e la ragazza negoziare sulla vita di quest’ultima.
Come avrebbe potuto evitare il peggio? Em si stava offrendo a lui come sacrificio in cambio della salvezza delle altre ragazze, di sua cugina e persino della sua e di quella di Max. Ciò rendeva la situazione ancora più instabile, poiché, ad accordo raggiunto, Eli avrebbe potuto aggredire la ragazza in qualunque momento.
Non farlo, Em. Non farlo, ti prego aveva supplicato la Guardiana tra sé.
Em però, dopo essersi assicurata che il vampiro non avrebbe torto un capello a nessuno degli altri coinvolti nella faccenda, aveva accettato senza esitare.
Max, al suo fianco, aveva imprecato.
-Dobbiamo fare qualcosa e in fretta- aveva poi aggiunto.
Violet però non era riuscita a dire niente, né a guardarlo in faccia. Temeva, anzi, era certa che lui avrebbe letto nel suo sguardo il caos che dominava i suoi pensieri e la totale incapacità di ideare in fretta un piano per salvare la vita della ragazza prima che Eli avesse il tempo di mettere in atto i suoi spregevoli propositi, così come avrebbe dovuto saper fare ogni altro bravo Guardiano al suo posto. Invece lei se ne stava lì, bloccata, mentre un senso di inutilità misto a vergogna la pervadeva, alimentando il peso che percepiva all’altezza dello stomaco e che, ad ogni secondo che passava, le rendeva un po’ più difficile respirare.
Identitias et aequitas. Identità ed equilibrio. Ricordati chi sei e non lasciarti sopraffare dalle emozioni” le diceva sempre Athena, citando il motto della Fratellanza.
Era soprattutto la seconda parte a darle problemi. Avrebbe dovuto cercare ad ogni costo di controllarsi per non lasciarsi distrarre dalle sensazioni percepite dal suo lato umano ma, in quel momento, anche una cosa che per lei si era sempre dimostrata semplice come quella, si stava dimostrando inspiegabilmente ardua.
-Violet?- l’aveva chiamata Max, forse percependo che qualcosa non andava.
La mente della Guardiana però era sempre più dissociata dalla situazione in cui si trovava e che avrebbe dovuto saper affrontare senza alcuna esitazione. Sentiva i suoi pensieri collidere, vagare nel frenetico tentativo di combinarsi in una soluzione rapida ed efficace ai suoi problemi, cosa che però, istante dopo istante, assumeva sempre più i contorni di un’utopia. Sentiva su di sé lo sguardo preoccupato di Max, che attendeva vanamente una risposta decisa che mettesse fine ad ogni complicazione e che consentisse ad ogni individuo coinvolto suo malgrado in quella terribile vicenda di tornare a casa incolume e possibilmente entro breve, con la sicurezza che Eli non avrebbe più potuto nuocere a nessuno. Sentiva il peso delle aspettative degli altri Guardiani. Sentiva, ancora più forte, quello della fiducia che Aly, Clare e Serena avevano riposto in lei. Sentiva, in lontananza, il surreale dialogo tra Em ed Eli che proseguiva.
-Sto pensando- aveva risposto bruscamente Violet.
-Beh, pensa in fretta- aveva incalzato Max. -Non credo che la sceneggiata di Elijah andrà avanti ancora a lungo. La bramosia del sangue è una delle cose più strazianti che ci possa capitare di provare. Non resisterà per molto, soprattutto ora che Em gli ha ufficialmente dato il permesso di farsi sgozzare-.
Nonostante i due stessero bene attenti a parlare con voce appena udibile per non far percepire la loro presenza all’altro vampiro, il timore di Max si concretizzò quando, solo pochi istanti dopo aver espresso la sua preoccupazione, si udì la voce di Elijah sussurrare un drammatico “Ti amo” e, in seguito, il silenzio.
Quelli che seguirono, furono probabilmente i secondi più lunghi che Violet ricordasse di aver mai vissuto.
La Guardiana aveva smesso di respirare, mentre la sua mente si ostinava a rifiutare di ammettere che molto probabilmente era troppo tardi. Aveva ufficialmente fallito e che, per quanto veloce avesse potuto correre, Em, se non era già morta, lo sarebbe stata entro pochi istanti, mentre lei si trovava su quel tetto, in tutta la sua inettitudine e completamente impreparata.
Aveva sentito lo sguardo di Max su di lei, come alla ricerca della definitiva conferma di ciò che entrambi stavano pensando. Violet però continuava a fissare le chiome degli alberi del parco, incapace di ricambiare quello sguardo e in attesa anche del più flebile suono che le ridesse la minima speranza.
Un suono, o meglio, una voce che, proprio quand’era stata sul punto di arrendersi, era arrivata. Si trattava sempre di quella di Elijah, solo che questa volta non c’era traccia della nota pseudo-romantica con cui aveva portato avanti la conversazione fino a quel momento, anzi, il suo atteggiamento sembrava esattamente l’opposto e il suo tono suonava parecchio adirato. Il vampiro stava infatti inveendo contro Em, colpevole, a suo dire, di essere un’ingrata egoista.
Violet aveva ripreso a respirare quando aveva capito che, qualunque cosa avesse fatto la ragazza per contrariare il suo ex, le aveva consentito di guadagnare un po’ di tempo e, a quel punto, aveva avuto finalmente il coraggio di ricambiare lo sguardo di Max. C’era ancora una possibilità. Certo, era piccola, forse una su mille, ma c’era. Quell’attimo di sollievo però ebbe vita breve. La Guardiana infatti capì subito di avere solo una manciata di secondi a disposizione prima che Elijah iniziasse a sfogare la sua ira e per farlo aveva a sua disposizione due potenziali vittime.
Se mi avvicino percepirà la mia presenza. Se aspetto ancora potrebbe uccidere sia Em che Kelly…
Violet necessitava urgentemente di un diversivo, un modo qualsiasi di distrarre il vampiro anche solo per pochi istanti, quanto bastava per consentirle di coglierlo alla sprovvista ed aumentare così le probabilità di riuscire a sopraffarlo, ma la sua mente sembrava incapace di reagire, di darle una minima idea, qualcosa su cui poter pianificare l’attacco. Era come se fosse stata svuotata di ogni capacità e mancasse solo il cespuglio di erba secca che rotolava spinto dal vento, per rendere a pieno l’idea della desolazione.
Nel frattempo, la voce di Em aveva intimato ad Eli di fermarsi, ma Violet aveva iniziato a percepire quelle parole come se fossero sempre più lontane. Era ormai certa che avrebbe fallito. Non sarebbe mai riuscita a fermare Elijah e lui avrebbe continuato a mietere vittime anche a causa della sua incompetenza, sfogando su tante altre giovani ragazze le sue perverse fantasie, la sua follia omicida e la sua brama di sangue.
Brama di sangue.
Si era concentrata per un momento su quelle tre parole. Esse avevano innescato qualcosa nei pensieri nella Guardiana. Qualcosa in cui aveva ormai smesso quasi definitivamente di sperare: l’idea di cui necessitava disperatamente.
Come lei ben sapeva e come Max aveva sottolineato poco prima, era impossibile per qualunque vampiro ignorare a lungo il richiamo del sangue umano e, se Eli aveva pianificato di nutrirsi del sangue di Em, significava che molto probabilmente nei giorni precedenti doveva aver digiunato in attesa della grande serata, per potersela godere a pieno. Questo avrebbe reso l’umore del vampiro molto più instabile, ma il suo comportamento molto più istintivo e quindi prevedibile.
In quel momento, Violet aveva finalmente realizzato cosa doveva fare.
Non era l’illuminazione in cui aveva sperato, non aveva minimamente a che fare con le possibilità che aveva vagliato fino a pochi istanti prima e non era un piano a prova di imprevisto, anzi, le probabilità che le cose finissero male erano piuttosto alte, la Guardiana però era consapevole di avere a disposizione pochissimo tempo e nessun’altra valida alternativa.
A quel punto, aveva sentito rinascere parte della fiducia in sé stessa che credeva di aver perduto: sentiva di aver  finalmente ripreso il controllo di quella precaria situazione, anche se solo temporaneamente. Il senso di smarrimento si attenuò e la ragazza ricominciò a pensare in modo lucido, come imponeva il suo ruolo.
-Max, ascoltami bene- aveva detto, attirando l’attenzione del vampiro che fino a quel momento era stato impegnato ad ascoltare la conversazione tra Elijah ed Em. -È fondamentale che ora tu faccia esattamente quello che ti dirò: devi tornare al parcheggio. Nel bagagliaio della mia auto c’è una valigetta di pelle nera con all’interno alcuni antidoti, recuperala e poi torna immediatamente qui. Lascia le chiavi alle ragazze, dì loro di parcheggiare la macchina davanti all’ingresso del parco e attendere. Probabilmente ti faranno delle domande, tu rimani sul vago e spiega loro che l’unico modo che hanno per aiutare Em senza incasinare tutto è quello di fare quanto ho detto e niente di più. Mi raccomando, sii chiaro: nessun’improvvisazione, nessuna mossa avventata. Non voglio altre aspiranti martiri questa notte. Potrei non riuscire a salvarle-.
Max aveva annuito. Stava ascoltando con attenzione ogni singola parola. In volto aveva impressa un’espressione fin troppo seria per gli anni che dimostrava.
-Dì a Xavier, Evelyn e Tristan di tornare qui con te. Per incentivarli puoi dire loro che, se ci offriranno il loro aiuto, il loro nome non avrà alcuna rilevanza nei documenti dei Guardiani sull’indagine su Elijah e su chi gli ha fornito qualsiasi genere di aiuto in questi anni. Recatevi direttamente al parco e ricorda che c’è la possibilità che al tuo ritorno io stia già lottando contro Elijah. In tal caso, il vostro aiuto sarebbe più che gradito. Ora vai e fai più in fretta che puoi- aveva ordinato la Guardiana. Max non se l’era fatto ripetere.
Violet era quindi rimasta sola su quel tetto, con ogni suo senso pienamente concentrato su quanto stava accadendo nel parco. Aveva ben chiaro quale sarebbe stato il momento giusto per intervenire, ma l’attesa si era dimostrata molto più difficile da sopportare di quanto credeva. Era stata costretta ad ascoltare impotente Elijah nel suo delirante tentativo di terrorizzare Em, mentre le giurava che si sarebbe vendicato del torto subìto costringendola ad uccidere tutti coloro a cui teneva, prima di toglierle la vita. Aveva poi assistito – con grande stupore – al momento in cui la dolce ed apparentemente indifesa Em aveva tirato fuori gli artigli affilati in suo possesso, artigli di cui Violet non aveva nemmeno sospettato l’esistenza, per ribadire la validità del loro accordo nonostante il suo comportamento apertamente ostile nei confronti del vampiro, il quale era stato chiaramente preso alla sprovvista da quella semplice umana da cui si era certamente aspettato solo l’accondiscendenza e l’obbedienza incondizionata necessarie a realizzare le sue fantasie di morte, non certo l’astuzia necessaria a progettare un inganno simile.
A quel punto, la giovane ibrida aveva distintamente percepito che Elijah, accecato dall’ira e dalla fame, era ormai prossimo a sfogare tutta la frustrazione accumulata sulla ragazza.
Solo pochi attimi più tardi, un grido aveva squarciato la quiete di quell’ultima fredda sera di ottobre.
Stava succedendo: Eli stava mordendo Em.
La Guardiana però aveva atteso ancora, attenta e immobile, contando mentalmente i secondi che passavano.
Il suono dell’urlo si era disperso nell’aria e tutt’intorno era tornato il silenzio. Un silenzio ingannevolmente pacifico.
Violet aveva continuato a contare, sforzandosi di tenere a distanza ogni genere di emozione che potesse distrarla dal suo piano, soprattutto la preoccupazione per quanto stava accadendo ad Em.
…otto…nove…dieci.
All’undicesimo secondo, l’ibrida era scattata in piedi ed era saltata giù dal tetto, atterrando con una facilità estrema, ed aveva cominciato a correre in direzione del parco.
In quel momento Violet correva come non aveva mai fatto prima, consapevole del fatto di avere a disposizione pochissimi secondi per riuscire a salvare Em e catturare Elijah. Sapeva che sfruttare il brevissimo lasso di tempo compreso tra il momento in cui Elijah sarebbe stato troppo inebriato dal sangue per percepire tempestivamente il suo arrivo ed il momento in cui per Em sarebbe stato troppo tardi era a dir poco un azzardo, ma era anche la sua unica possibilità di prevalere sul vampiro.
Era come avere a disposizione un solo proiettile in canna e un fugace istante per prendere la mira e riuscire a centrare due bersagli.
Tra gli alberi, la Gurdiana identificò le sagome del vampiro e della ragazza, strette in un abbraccio che a distanza poteva facilmente essere scambiato per un gesto romantico. La scena però mutò alla stessa velocità con cui la giovane si avvicinava, mettendola ben presto davanti alla cruda realtà: Damien Elijah Thompson, uno degli assassini più ricercati dell’Oltremondo completamente in balia del suo lato più selvaggio e crudele, caratteristica talmente spiccata da garantirgli una fama ultracentenaria.
Violet ebbe a malapena il tempo di accorgersi del modo in cui il vampiro aveva afferrato Em, con le unghie quasi conficcate nel braccio e nella nuca della ragazza e il viso completamente affondato nel collo di lei, dopodiché estrasse la daga d’argento dalla fondina che aveva allacciato intorno alla vita, compì un balzo e, proprio nel momento in c conficcò l’arma nel corpo di Elijah.

 


Violet correva come non aveva mai corso in vita sua.
Era questione di pochissimi secondi. Aveva una sola occasione d’intervenire e strappare Em dalle mani – e dalle fauci – di Elijah prima che questo potesse aggiungere anche il suo nome alla già lunghissima lista delle sue vittime.
La Guardiana cercò di rimanere lucida, concentrata su quanto si apprestava a fare e di non lasciarsi travolgere e distrarre ancora una volta dal pensiero di quanto era accaduto poco prima nel parcheggio della scuola, con Em che si allontanava di soppiatto approfittando del fatto che l’attenzione generale fosse focalizzata sulla confessione di Cameron, e lei non si era accorta di nulla. Aveva ignorato completamente quanto le stava accadendo intorno, presa com’era dalla confessione del licantropo. Come aveva potuto dimenticare uno dei primi nonché fondamentali insegnamenti del suo addestramento?
Ogni senso deve essere sempre attivo, all’erta. In questo modo non avrete mai bisogno di qualcuno che vi guardi le spalle e niente riuscirà a cogliervi di sorpresa”.
Se Athena, la sua mentore, fosse venuta a sapere del modo disastroso in cui stava affrontando il suo primo incarico sarebbe rimasta parecchio delusa, così come l’intero Ordine dei Guardiani, di cui Violet era entrata ufficialmente a far parte solo da una manciata di mesi, forte delle lodi che i suoi insegnanti avevano a lungo sperticato in merito alle sue capacità.
-Non potevi prevedere che avrebbe deciso di sacrificarsi al suo carnefice- le aveva detto Max, quasi leggendole nel pensiero mentre, poco prima, dall’alto del tetto di un anonimo condominio a quattro piani, osservavano il parco del quartiere situato al lato opposto della strada. Posto che Serena aveva indicato loro come teatro del primo incontro avvenuto tra Em ed Elijah, nonché, sempre a detta delle ragazze, unico luogo pubblico dei dintorni in cui si potesse trovare un salice.
Violet non aveva risposto. Era rimasta in silenzio cercando di scorgere, oltre i rami degli alberi, qualche segno della presenza della ragazza o del suo psicopatico ex, acuendo il più possibile la vista. Un compito difficile nonostante i prodigiosi sensi ibridi di cui disponeva.
I due non avevano osato avvicinarsi ulteriormente, poiché il rischio di compiere qualche passo falso facendo percepire ad Elijah la propria presenza era troppo concreto.
Con la coda dell’occhio, Violet aveva osservato per un secondo il vampiro accanto a lei, il quale a sua volta stava guardando verso il parco.
Max non avrebbe potuto capire come si sentiva. L’empatia non era certo uno dei punti forti dei vampiri e, in ogni caso, raramente la dimostravano verso qualcuno al di fuori dei loro simili. Sarebbe stato inoltre difficile fargli comprendere quel valore fondamentale con cui venivano cresciuti ed addestrati i Guardiani, quel profondo senso dell’onore e del dovere che condizionava non solo il loro lavoro, ma ogni aspetto della loro vita e che in quel momento la stava facendo sentire sull’orlo di un baratro sul cui fondo si trovavano solo buio, vergogna e fallimento. Era infatti la prima missione importante che Violet affrontava da sola e si rendeva conto di aver commesso un’imperdonabile quantità di errori da principiante fin dal suo arrivo in quella minuscola ed apparentemente insignificante città, a partire da quando Will era riuscito a scoprire la sua vera identità prima ancora che lei avesse il tempo di accorgersi del suo coinvolgimento nei piani di Elijah.
Aveva accettato quell’incarico con entusiasmo, determinazione ed un’incosciente dose di ottimismo, nonostante il peso delle aspettative che gravava sulle sue spalle e a cui all’inizio non aveva dato troppa importanza. Le cose però non erano andate in modo ben diverso da come si aspettava e, a prescindere dall’esito che avrebbe avuto la vicenda, la ragazza non aveva idea di come sarebbe stata riaccolta nella sede dell’Ordine dei Guardiani, se e quando vi avrebbe fatto ritorno. Per una come lei, abituata a calcolare ogni eventualità con la relativa probabilità che si concretizzasse, ciò non poteva che considerarsi una costante e dolorosa tortura da cui i suoi pensieri faticavano ad allontanarsi, nonostante la grande capacità di concentrazione di cui si sapeva in grado e di cui in quel momento aveva disperatamente bisogno.
-Non aveva mai dato segni di volerlo assecondare- aveva continuato il vampiro, ignaro dei pensieri della Guardiana accanto a lui. -Ha sempre collaborato, sembrava decisa a…-
-Esiste un punto di rottura in ognuno di noi, Max- era intervenuta lei, interrompendolo. -Em deve averlo raggiunto dopo aver saputo dell’ultimatum di Elijah e non posso biasimarla. Ha sopportato questa schifosa situazione per più tempo di quanto la maggior parte delle ragazze della sua età sarebbe mai stata capace e la sua poca autostima di certo non l’ha aiutata. Sicuramente crede di non meritare quanto stiamo facendo per salvarla, è convinta di essere l’unica responsabile di tutto e che la soluzione dipenda solo da lei. Sì, avrei dovuto prevedere questa svolta, dal momento che sono stata addestrata anche per prevenire situazioni del genere. Tutti i Guardiani lo sono. O almeno, dovrebbero esserlo-.
Solo allora Violet si era resa conto di quanto il clima tra lei ed il vampiro che le stava accanto si fosse fatto strano. Era fermamente convinta che Max non avrebbe mai smesso di odiarla e che la tolleranza che dimostrava nei suoi confronti fosse semplicemente un modo per facilitare la loro temporanea collaborazione. Lei, a prescindere da tutto, restava comunque la responsabile della morte di Will, un membro del clan di Max, ossia quanto di più simile avesse ad un familiare. Nessuna circostanza attenuante avrebbe mai potuto alleggerirla del peso di tale colpa, agli occhi del vampiro. Eppure le parole che le aveva rivolto assomigliavano tremendamente ad un tentativo di conforto. Qualcosa di decisamente inusuale per un succhiasangue, soprattutto se in possesso di una valida ragione per detestarla come minimo in eterno.
Poco dopo, Violet era finalmente riuscita a scorgere, seppur per un breve istante, un figura che combaciava con quella di Em varcare l’entrata del parco ed aveva quindi deciso di mettere temporaneamente da parte ogni sua perplessità e preoccupazione che non avesse a che fare con Elijah. L’unica cosa che contava era riuscire a tirare fuori di lì le due ragazze e catturare quel dannato vampiro. Non avrebbe potuto permettersi di sbagliare ancora. Erano finiti i tempi delle simulazioni a cui aveva preso parte durante il suo addestramento o degli incarichi di poco conto in cui aveva affiancato qualche Guardiano con centinaia d’anni di esperienza. Il rischio peggiore in cui incorreva non era più quello di venire rimproverata dagli insegnanti per lo scarso rendimento, questa volta in gioco c’erano delle vite e non solo quelle delle due ragazze in ostaggio, ma anche di tutte quelle che Elijah avrebbe potuto uccidere in futuro, se Violet non fosse riuscita a fermarlo.
Non posso lasciarmi vincere dallo sconforto. Non ora aveva pensato.
Nonostante la fitta vegetazione del parco avesse impedito a Max e Violet di assistere al momento in cui Elijah ed Em si incontrarono, la zona, ad eccezione di qualche sporadica auto di passaggio nelle vicinanze e di qualche cane che abbaiava, era fortunatamente abbastanza silenziosa da consentire ad entrambi di origliare il dialogo tra il vampiro e la ragazza.
Ad ogni parola, l’agitazione di Violet aumentava. Sentiva il suo battito cardiaco accelerare ed era stato molto difficile per lei riuscire a rimanere calma e concentrata. Prima di approdare in quella città, aveva studiato a fondo il caso di Elijah, rileggendo più volte gli scritti che testimoniavano i fallimenti dei suoi predecessori ma, anche dopo essersi documentata fin nei minimi dettagli, l’unica cosa che aveva perfettamente chiara era che ogni reazione del suo nemico, nonché obbiettivo, erano imprevedibili.
Qualche volta aveva affrontato i Guardiani mandati a catturarlo, uccidendoli senza difficoltà, altre volte era scomparso improvvisamente, senza lasciare dietro di sé la minima traccia, come smaterializzato.
Mentre Violet cercava di pensare in fretta ad usa soluzione che le consentisse di cogliere di sorpresa Eli o quanto meno di affrontarlo con una minima chance di vittoria, quest’ultimo si era improvvisamente avvicinato ad Em e l’ibrido aveva trattenuto il fiato, temendo per un istante che il vampiro stesse per aggredire la ragazza una volta per tutte. Qualche secondo dopo però, aveva ricordato quanto Elijah si fosse sempre dimostrato metodico e preciso nel rituale che metteva in atto prima di uccidere le sue vittime, proprio come ogni serial killer. Non avrebbe mai ucciso Em senza prima aver ottenuto il suo permesso di quest’ultima di farsi mordere.
A Violet allora non era rimasto altro da fare che ascoltare impotente il vampiro e la ragazza negoziare sulla vita di quest’ultima.
Come avrebbe potuto evitare il peggio? Em si stava offrendo a lui come sacrificio in cambio della salvezza delle altre ragazze, di sua cugina e persino della sua e di quella di Max. Ciò rendeva la situazione ancora più instabile, poiché, ad accordo raggiunto, Eli avrebbe potuto aggredire la ragazza in qualunque momento.
Non farlo, Em. Non farlo, ti prego aveva supplicato la Guardiana tra sé.
Em però, dopo essersi assicurata che il vampiro non avrebbe torto un capello a nessuno degli altri coinvolti nella faccenda, aveva accettato senza esitare.
Max, al suo fianco, aveva imprecato.
-Dobbiamo fare qualcosa e in fretta- aveva poi aggiunto.
Violet però non era riuscita a dire niente, né a guardarlo in faccia. Temeva, anzi, era certa che lui avrebbe letto nel suo sguardo il caos che dominava i suoi pensieri e la totale incapacità di ideare in fretta un piano per salvare la vita della ragazza prima che Eli avesse il tempo di mettere in atto i suoi spregevoli propositi, così come avrebbe dovuto saper fare ogni altro bravo Guardiano al suo posto. Invece lei se ne stava lì, bloccata, mentre un senso di inutilità misto a vergogna la pervadeva, alimentando il peso che percepiva all’altezza dello stomaco e che, ad ogni secondo che passava, le rendeva un po’ più difficile respirare.
Identitias et aequitas. Identità ed equilibrio. Ricordati chi sei e non lasciarti sopraffare dalle emozioni” le diceva sempre Athena, citando il motto della Fratellanza.
Era soprattutto la seconda parte a darle problemi. Avrebbe dovuto cercare ad ogni costo di controllarsi per non lasciarsi distrarre dalle sensazioni percepite dal suo lato umano ma, in quel momento, anche una cosa che per lei si era sempre dimostrata semplice come quella, si stava dimostrando inspiegabilmente ardua.
-Violet?- l’aveva chiamata Max, forse percependo che qualcosa non andava.
La mente della Guardiana però era sempre più dissociata dalla situazione in cui si trovava e che avrebbe dovuto saper affrontare senza alcuna esitazione. Sentiva i suoi pensieri collidere, vagare nel frenetico tentativo di combinarsi in una soluzione rapida ed efficace ai suoi problemi, cosa che però, istante dopo istante, assumeva sempre più i contorni di un’utopia. Sentiva su di sé lo sguardo preoccupato di Max, che attendeva vanamente una risposta decisa che mettesse fine ad ogni complicazione e che consentisse ad ogni individuo coinvolto suo malgrado in quella terribile vicenda di tornare a casa incolume e possibilmente entro breve, con la sicurezza che Eli non avrebbe più potuto nuocere a nessuno. Sentiva il peso delle aspettative degli altri Guardiani. Sentiva, ancora più forte, quello della fiducia che Aly, Clare e Serena avevano riposto in lei. Sentiva, in lontananza, il surreale dialogo tra Em ed Eli che proseguiva.
-Sto pensando- aveva risposto bruscamente Violet.
-Beh, pensa in fretta- aveva incalzato Max. -Non credo che la sceneggiata di Elijah andrà avanti ancora a lungo. La bramosia del sangue è una delle cose più strazianti che ci possa capitare di provare. Non resisterà per molto, soprattutto ora che Em gli ha ufficialmente dato il permesso di farsi sgozzare-.
Nonostante i due stessero bene attenti a parlare con voce appena udibile per non far percepire la loro presenza all’altro vampiro, il timore di Max si concretizzò quando, solo pochi istanti dopo aver espresso la sua preoccupazione, si udì la voce di Elijah sussurrare un drammatico “Ti amo” e, in seguito, il silenzio.
Quelli che seguirono, furono probabilmente i secondi più lunghi che Violet ricordasse di aver mai vissuto.
La Guardiana aveva smesso di respirare, mentre la sua mente si ostinava a rifiutare di ammettere che molto probabilmente era troppo tardi. Aveva ufficialmente fallito e che, per quanto veloce avesse potuto correre, Em, se non era già morta, lo sarebbe stata entro pochi istanti, mentre lei si trovava su quel tetto, in tutta la sua inettitudine e completamente impreparata.
Aveva sentito lo sguardo di Max su di lei, come alla ricerca della definitiva conferma di ciò che entrambi stavano pensando. Violet però continuava a fissare le chiome degli alberi del parco, incapace di ricambiare quello sguardo e in attesa anche del più flebile suono che le ridesse la minima speranza.
Un suono, o meglio, una voce che, proprio quand’era stata sul punto di arrendersi, era arrivata. Si trattava sempre di quella di Elijah, solo che questa volta non c’era traccia della nota pseudo-romantica con cui aveva portato avanti la conversazione fino a quel momento, anzi, il suo atteggiamento sembrava esattamente l’opposto e il suo tono suonava parecchio adirato. Il vampiro stava infatti inveendo contro Em, colpevole, a suo dire, di essere un’ingrata egoista.
Violet aveva ripreso a respirare quando aveva capito che, qualunque cosa avesse fatto la ragazza per contrariare il suo ex, le aveva consentito di guadagnare un po’ di tempo e, a quel punto, aveva avuto finalmente il coraggio di ricambiare lo sguardo di Max. C’era ancora una possibilità. Certo, era piccola, forse una su mille, ma c’era. Quell’attimo di sollievo però ebbe vita breve. La Guardiana infatti capì subito di avere solo una manciata di secondi a disposizione prima che Elijah iniziasse a sfogare la sua ira e per farlo aveva a sua disposizione due potenziali vittime.
Se mi avvicino percepirà la mia presenza. Se aspetto ancora potrebbe uccidere sia Em che Kelly…
Violet necessitava urgentemente di un diversivo, un modo qualsiasi di distrarre il vampiro anche solo per pochi istanti, quanto bastava per consentirle di coglierlo alla sprovvista ed aumentare così le probabilità di riuscire a sopraffarlo, ma la sua mente sembrava incapace di reagire, di darle una minima idea, qualcosa su cui poter pianificare l’attacco. Era come se fosse stata svuotata di ogni capacità e mancasse solo il cespuglio di erba secca che rotolava spinto dal vento, per rendere a pieno l’idea della desolazione.
Nel frattempo, la voce di Em aveva intimato ad Eli di fermarsi, ma Violet aveva iniziato a percepire quelle parole come se fossero sempre più lontane. Era ormai certa che avrebbe fallito. Non sarebbe mai riuscita a fermare Elijah e lui avrebbe continuato a mietere vittime anche a causa della sua incompetenza, sfogando su tante altre giovani ragazze le sue perverse fantasie, la sua follia omicida e la sua brama di sangue.
Brama di sangue.
Si era concentrata per un momento su quelle tre parole. Esse avevano innescato qualcosa nei pensieri nella Guardiana. Qualcosa in cui aveva ormai smesso quasi definitivamente di sperare: l’idea di cui necessitava disperatamente.
Come lei ben sapeva e come Max aveva sottolineato poco prima, era impossibile per qualunque vampiro ignorare a lungo il richiamo del sangue umano e, se Eli aveva pianificato di nutrirsi del sangue di Em, significava che molto probabilmente nei giorni precedenti doveva aver digiunato in attesa della grande serata, per potersela godere a pieno. Questo avrebbe reso l’umore del vampiro molto più instabile, ma il suo comportamento molto più istintivo e quindi prevedibile.
In quel momento, Violet aveva finalmente realizzato cosa doveva fare.
Non era l’illuminazione in cui aveva sperato, non aveva minimamente a che fare con le possibilità che aveva vagliato fino a pochi istanti prima e non era un piano a prova di imprevisto, anzi, le probabilità che le cose finissero male erano piuttosto alte, la Guardiana però era consapevole di avere a disposizione pochissimo tempo e nessun’altra valida alternativa.
A quel punto, aveva sentito rinascere parte della fiducia in sé stessa che credeva di aver perduto: sentiva di aver  finalmente ripreso il controllo di quella precaria situazione, anche se solo temporaneamente. Il senso di smarrimento si attenuò e la ragazza ricominciò a pensare in modo lucido, come imponeva il suo ruolo.
-Max, ascoltami bene- aveva detto, attirando l’attenzione del vampiro che fino a quel momento era stato impegnato ad ascoltare la conversazione tra Elijah ed Em. -È fondamentale che ora tu faccia esattamente quello che ti dirò: devi tornare al parcheggio. Nel bagagliaio della mia auto c’è una valigetta di pelle nera con all’interno alcuni antidoti, recuperala e poi torna immediatamente qui. Lascia le chiavi alle ragazze, dì loro di parcheggiare la macchina davanti all’ingresso del parco e attendere. Probabilmente ti faranno delle domande, tu rimani sul vago e spiega loro che l’unico modo che hanno per aiutare Em senza incasinare tutto è quello di fare quanto ho detto e niente di più. Mi raccomando, sii chiaro: nessun’improvvisazione, nessuna mossa avventata. Non voglio altre aspiranti martiri questa notte. Potrei non riuscire a salvarle-.
Max aveva annuito. Stava ascoltando con attenzione ogni singola parola. In volto aveva impressa un’espressione fin troppo seria per gli anni che dimostrava.
-Dì a Xavier, Evelyn e Tristan di tornare qui con te. Per incentivarli puoi dire loro che, se ci offriranno il loro aiuto, il loro nome non avrà alcuna rilevanza nei documenti dei Guardiani sull’indagine su Elijah e su chi gli ha fornito qualsiasi genere di aiuto in questi anni. Recatevi direttamente al parco e ricorda che c’è la possibilità che al tuo ritorno io stia già lottando contro Elijah. In tal caso, il vostro aiuto sarebbe più che gradito. Ora vai e fai più in fretta che puoi- aveva ordinato la Guardiana. Max non se l’era fatto ripetere.
Violet era quindi rimasta sola su quel tetto, con ogni suo senso pienamente concentrato su quanto stava accadendo nel parco. Aveva ben chiaro quale sarebbe stato il momento giusto per intervenire, ma l’attesa si era dimostrata molto più difficile da sopportare di quanto credeva. Era stata costretta ad ascoltare impotente Elijah nel suo delirante tentativo di terrorizzare Em, mentre le giurava che si sarebbe vendicato del torto subìto costringendola ad uccidere tutti coloro a cui teneva, prima di toglierle la vita. Aveva poi assistito – con grande stupore – al momento in cui la dolce ed apparentemente indifesa Em aveva tirato fuori gli artigli affilati in suo possesso, artigli di cui Violet non aveva nemmeno sospettato l’esistenza, per ribadire la validità del loro accordo nonostante il suo comportamento apertamente ostile nei confronti del vampiro, il quale era stato chiaramente preso alla sprovvista da quella semplice umana da cui si era certamente aspettato solo l’accondiscendenza e l’obbedienza incondizionata necessarie a realizzare le sue fantasie di morte, non certo l’astuzia necessaria a progettare un inganno simile.
A quel punto, la giovane ibrida aveva distintamente percepito che Elijah, accecato dall’ira e dalla fame, era ormai prossimo a sfogare tutta la frustrazione accumulata sulla ragazza.
Solo pochi attimi più tardi, un grido aveva squarciato la quiete di quell’ultima fredda sera di ottobre.
Stava succedendo: Eli stava mordendo Em.
La Guardiana però aveva atteso ancora, attenta e immobile, contando mentalmente i secondi che passavano.
Il suono dell’urlo si era disperso nell’aria e tutt’intorno era tornato il silenzio. Un silenzio ingannevolmente pacifico.
Violet aveva continuato a contare, sforzandosi di tenere a distanza ogni genere di emozione che potesse distrarla dal suo piano, soprattutto la preoccupazione per quanto stava accadendo ad Em.
…otto…nove…dieci.
All’undicesimo secondo, l’ibrida era scattata in piedi ed era saltata giù dal tetto, atterrando con una facilità estrema, ed aveva cominciato a correre in direzione del parco.
In quel momento Violet correva come non aveva mai fatto prima, consapevole del fatto di avere a disposizione pochissimi secondi per riuscire a salvare Em e catturare Elijah. Sapeva che sfruttare il brevissimo lasso di tempo compreso tra il momento in cui Elijah sarebbe stato troppo inebriato dal sangue per percepire tempestivamente il suo arrivo ed il momento in cui per Em sarebbe stato troppo tardi era a dir poco un azzardo, ma era anche la sua unica possibilità di prevalere sul vampiro.
Era come avere a disposizione un solo proiettile in canna e un fugace istante per prendere la mira e riuscire a centrare due bersagli.
Tra gli alberi, la Gurdiana identificò le sagome del vampiro e della ragazza, strette in un abbraccio che a distanza poteva facilmente essere scambiato per un gesto romantico. La scena però mutò alla stessa velocità con cui la giovane si avvicinava, mettendola ben presto davanti alla cruda realtà: Damien Elijah Thompson, uno degli assassini più ricercati dell’Oltremondo completamente in balia del suo lato più selvaggio e crudele, caratteristica talmente spiccata da garantirgli una fama ultracentenaria.
Violet ebbe a malapena il tempo di accorgersi del modo in cui il vampiro aveva afferrato Em, con le unghie quasi conficcate nel braccio e nella nuca della ragazza e il viso completamente affondato nel collo di lei, dopodiché estrasse la daga d’argento dalla fondina che aveva allacciato intorno alla vita, compì un balzo e conficcò l’arma nel corpo di Elijah.

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Capitolo 24
*** Colpe ***


Nessuno dei presenti sapeva bene quale fosse la cosa migliore da fare.

Da quando Violet si era accorta dell'assenza di Em e si era precipitata a cercarla assieme a Max, sul gruppo rimasto al parcheggio era calato un pesante silenzio.

Serena non avrebbe saputo dire con sicurezza che tipo di silenzio fosse. Non apparteneva alla categoria dei silenzi imbarazzanti, né a quelli meditativi, né a quelli apertamente ostili, ma nemmeno a quelli neutrali. L'unico del cui significato era certa, era quello che accomunava lei, Aly e Clare, il quale custodiva tutta la loro preoccupazione per le sorti di Em e Kelly.

La parte più ottimista di Serena continuava a tentare di rassicurarla, a ripeterle che Violet e Max non erano certo degli sprovveduti: la prima possedeva le capacità necessarie per affrontare la situazione, il secondo l'esperienza. Insieme avrebbero di certo salvato le due ragazze e catturato Elijah. Eppure nessuno di questi pensieri riusciva a placare, o per lo meno ad attenuare la sua ansia.

La giovane lanciò un'occhiata ai vampiri di fronte a loro. Se ne stavano tutti e tre lì, davanti a loro, immobili come statue, mentre mostravano le solite irritanti maschere di imperturbabile indecifrabilità e fissavano punti vaghi intorno a loro. Nessuno degnava le ragazze di uno sguardo. Non le consideravano minimamente.

Com'era sempre stato, del resto.

Serena si chiese se effettivamente importasse loro qualcosa delle due ragazze ostaggio del vampiro ricercato a cui avevano inconsapevolmente dato asilo, o se la loro unica preoccupazione fosse quella di vedere la loro reputazione macchiata indelebilmente agli occhi della Fratellanza e a quelli della comunità dei loro simili.

Del resto, Em e Kelly erano solo due ragazzine come ne avevano incontrate tante, forse troppe. Probabilmente per i vampiri non sarebbe cambiato niente, se anche una di loro, o entrambe, fossero morte. Se loro tre ne fossero usciti puliti, si sarebbero semplicemente limitati a trasferirsi in un'altra insignificante cittadina e ricominciare tutto dall'inizio per l'ennesima volta. I ricordi di quanto accaduto non li avrebbero tormentati per il resto della loro esistenza. Non avrebbero mai sofferto d'insonnia immaginando cos'avessero provato le due ragazze nei loro ultimi momenti. Non avrebbero mai versato lacrime, al pensiero di ciò che avrebbero potuto fare per evitare quella situazione. Non sarebbero mai stati toccati dallo strazio del rimorso e dei sensi di colpa. Loro sarebbero semplicemente andati avanti, come avevano sempre fatto. Il tempo avrebbe sbiadito il ricordo di quella sgradevole esperienza ed Em e Kelly sarebbero diventate solo due volti confusi, persi nelle pieghe dei secoli che avrebbero vissuto.

Serena strinse i pugni abbastanza forte da conficcarsi le unghie nei palmi. Non poteva accettarlo. Non poteva accettare che tutto finisse lì e che loro non subissero nemmeno stavolta le conseguenze di ciò che li vedeva coinvolti. Non poteva accettare la loro indifferenza. Avrebbero dovuto soffrire, così come stava soffrendo lei, anzi, di più.

Se solo avessi il potere di manipolare le vostre emozioni e farvi sentire come avete fatto sentire gli altri, mi basterebbe anche solo un solo minuto con voi. In quel minuto concentrerei tutto il dolore che avete inflitto a chi vi stava intorno sin dal giorno in cui il vostro creatore vi ha piantato i canini nel collo. All'inizio continuereste a fare i distaccati, non ho dubbi su questo. Continuereste a fingere di non provare niente, ma non resistereste più di trenta secondi prima di crollare ed iniziare a supplicare pietà. Pensò la ragazza, immaginando la scena.

In quello stesso momento, Tristan, forse percependo quel misto di ansia e rabbia crescente che era lo stato d'animo della sua ex, finalmente la degnò di uno sguardo. Serena se ne accorse quasi subito e ricambiò con decisione. Per un brevissimo attimo, si illuse che per una volta, una sola maledetta volta, i loro pensieri fossero sintonizzati sulla stessa frequenza. Che lui stesse per fare qualcosa che le dimostrasse finalmente che ricordava com'era essere un umano, che sapeva provare qualcosa di simile all'empatia.

Invece Tristan deluse le sue aspettative per l'ennesima volta e si limitò a sfoderare in direzione della ragazza il suo solito nonché odiosissimo sorriso sghembo, aggiungendoci, come se non bastasse, un occhiolino.

Per Serena, fu la goccia che fece traboccare il vaso.

-Che hai da sorridere?- sbottò, mentre la sua ira prendeva il sopravvento su ogni altra emozione, nonché il pieno controllo sul suo corpo.

Di colpo, i due manichini che gli stavano a fianco, si rianimarono a loro volta, indirizzando i loro sguardi verso Serena. Cameron, che era stato ammanettato alla bell'è meglio con una catena d'argento e lasciato da Violet in custodia a Clare – non casualmente, come sospettavano le altre ragazze – volse la sua attenzione dall'asfalto che aveva osservato negli ultimi venti minuti, a colei che aveva rotto la tregua che quel gelido silenzio aveva fino ad allora sancito, imitato dalla sua temporanea custode e da Aly.

-Qual è il tuo problema?- chiese Tristan, ostentando insofferenza.

-Trovi che tutto questo sia divertente?- reagì Serena.

-Di sicuro ha reso interessante quello che credevo fosse destinato ad essere il solito noioso ballo scolastico- fu la risposta che diede il vampiro e che fece perdere definitivamente la testa alla ragazza, la quale, a quelle parole, reagì dirigendosi con decisone verso il suo ex.

Per qualche istante, l'unico rumore che si udì fu quello dei passi di Serena, accentuato dai tacchi alti delle scarpe che indossava la ragazza.

-Oh, quindi il fatto che due ragazze stiano rischiando la vita anche a causa vostra, per te non è altro che una simpatica evasione dalla routine quotidiana?!- esplose Serena, a pochi centimetri dalla faccia di Tristan, il quale non si mosse di un millimetro, né accennò minimamente a cambiare espressione. –Sei proprio un inutile e vuoto scarto di cadavere-.

La giovane sapeva bene che insultare il suo ex davanti a ai suoi simili avrebbe di sicuro provocato una sua reazione. Non si sarebbe mai lasciato offendere così da una semplice mortale lasciandole l'ultima parola, a maggior ragione di fronte al suo creatore, ma era troppo furiosa per preoccuparsi delle conseguenze delle sue parole.

-E tu sei proprio una povera psicopatica bisognosa di attenzioni costanti che non sa gestire la sua rabbia, così come non sa gestire la sua vita, ma si arroga il diritto di dire agli altri cosa fare della loro- ribatté Tristan.

Quelle parole avrebbero potuto alimentare non poco l'ira che Serena provava nei confronti del vampiro, il tono con cui lui le rivolse quelle accuse lasciò però trasparire la sua difficoltà a mantenere la freddezza e la calma che contraddistinguevano ogni sua parola o gesto, cosa di cui la ragazza, grazie alla confidenza che un tempo li aveva uniti, si accorse subito. Si sarebbe limitata a scuotere la testa e a tonare da Aly e Clare, se Tristan non avesse aperto nuovamente bocca per dire la cosa che tra tutte, in quel momento, era la più sbagliata.

-Apri gli occhi, Serena: se quella sfigata di Emily morirà – e molto probabilmente succederà – sarà solo per causa sua. Elijah sarà pure un bastardo, ma lei si è consegnata a lui nonostante il tempo e l'energia che avete sprecato per cercare di difenderla. Ancora non riuscite a vedere che si tratta di una causa persa? Emily se l'è cercata. Perché dovrei provare pena per qualcuno che rinuncia alla sua vita, che si arrende così facilmente senza lottare?-

Nel giro di pochissimi istanti, l'espressione di Serena si fece più cupa che mai. Tutti i presenti intuirono che stesse per succedere qualcosa, in particolare Clare ed Aly, che conoscevano Serena troppo bene per non capire che di lì a poco avrebbe tentato di fare qualcosa di avventato e, con tutta probabilità, anche stupido.

Serena, infatti, completamente accecata dalla rabbia, non provò nemmeno a resistere o a meditare per un solo attimo sull'impulso di chiudere le dita della mano destra e caricare il pugno in direzione della mandibola di Tristan. Lo fece come se, semplicemente, non avesse altra scelta. Qualcuno però intervenne tempestivamente per fermarla prima che potesse riuscire nel suo intento, bloccandole il polso a mezz'aria e facendo così aumentare esponenzialmente l'ira della ragazza. Quando quest'ultima si voltò per fulminare con lo sguardo il responsabile, non avrebbe mai creduto di trovarsi faccia a faccia con Xavier, che la fissava severo. Eppure nemmeno lo sguardo pregno della soggezione che solo lui sapeva incutere riuscì a distogliere Serena dal suo proposito o dalla rabbia che la dominava.

-Lasciami- sibilò lei, fissando a sua volta Xavier negli occhi, per niente intimorita.

-Sai perfettamente che, tra i due, quella che finirebbe per farsi più male saresti tu. Lascia che me ne occupi io- le disse, riuscendo a placare almeno in parte il suo scatto d'ira grazie alla sua voce suadente e convincendola a farle abbassare la mano. A quel punto, il vampiro si rivolse a Tristan. –Quel pugno te lo meriteresti, considerato il comportamento assolutamente inappropriato che stai dimostrando. Sembra che tu non stia minimamente considerando la gravità della situazione in cui ci troviamo-.

Tristan, infastidito e probabilmente umiliato dal fatto di essere stato rimproverato dal proprio creatore davanti alla sua mortale ex-ragazza, si limitò a distogliere lo sguardo e a sbuffare, proprio come avrebbe fatto ogni normale figlio adolescente di fronte all'ennesimo richiamo del padre.

Il moto di pena che Serena aveva percepito quando, poco prima, lui le aveva confessato di non essere in grado di amare realmente qualcuno, tornò a farsi sentire, eclissando per qualche attimo la rabbia. Per la seconda volta durante quella serata, si trovava davanti alla dimostrazione inconfutabile di quanto il suo ex fosse tremendamente patetico e immaturo, nonostante la sua nascita risalisse ad oltre due secoli prima.

-Wow, vi lascio soli per dieci minuti e già minacciate di prendervi a botte?- esordì la voce di Max alle spalle di Serena. –Perché li hai interrotti, Xavier? Mi sarebbe piaciuto vedere Tristan prendersele da una ragazza-.

-Sta' zitto- ribatté Tristan.

Max ignorò la reazione dell'altro vampiro e si rivolse direttamente alle ragazze, anticipando le risposte alle domande che era certo fossero impazienti di porgli.

-No, Em e Kelly non sono ancora fuori pericolo ed Eli non è ancora stato catturato. Violet se ne sta occupando ma ha poco tempo e, soprattutto, ha bisogno dell'aiuto di tutti voi. Incluso quello di Cameron- disse, soffermandosi per un momento con lo sguardo su quello che, almeno fino a poco prima, era stato il suo ragazzo. –Clare, togligli le catene-.

Serena guardò l'amica che obbediva senza esitare all'ordine impartito dal suo ex e non riuscì a fare a meno di provare compassione per lei, nonostante tutto ancora così innamorata di Max da concedergli per l'ennesima volta la sua più cieca fiducia.

-Raduna il tuo branco e correte al parco il prima possibile. Se ci aiuterete a catturare Elijah, Violet potrebbe riconsiderare la tua posizione in questa storia e forse non verrai esiliato dal branco- disse il vampiro, in tono tanto distaccato da suonare quasi gelido.

Cameron annuì, mentre si massaggiava i polsi finalmente liberi dal bruciore intenso causato dal contatto della sua pelle con l'argento. Guardandolo, Serena ebbe la sensazione che volesse dire qualcosa ma, quando anche Max se ne accorse, si affrettò a distogliere lo sguardo da quello del licantropo. Quest'ultimo, di fronte a quella reazione, si limitò ad abbassare la testa e a dirigersi verso la palestra della scuola senza aggiungere altro.

-Vale anche per voi- continuò Max, rivolgendosi ai membri del suo clan. –Concedeteci il vostro aiuto e, in cambio, Violet ha giurato che nessuno di voi verrà accusato di aver aiutato Eli. Uscirete da questa storia senza doverne rispondere a nessuno-.

-E secondo te siamo così disperati da esserci ridotti a farci ricattare da un'ibrida?- intervenne Tristan. –Non ci va affatto di farci coinvolgere ulteriormente in questa maledetta storia. Tu fa' pure come vuoi Max, noi riusciremo a cavarcela anche senza i trabocchetti di una stupida fata-

-Prima di essere una fata, è una Guardiana, Tristan- lo riprese nuovamente Xavier. –I Guardiani sono votati al dovere e all'onore prima di qualunque altra cosa, non c'è quindi ragione alcuna per non fidarsi di lei. Inoltre dovresti smetterla di parlare a nome mio e di Evelyn, perché questo tuo atteggiamento non mi piace affatto-.

La voce di Xavier mutò mentre pronunciava quelle parole, facendosi sempre più profonda, tetra e gutturale, tremendamente simile ad un ringhio che suscitò non poca inquietudine in Serena.

Tristan, stizzito, decise di farsi da parte. Nei suoi occhi intrisi d'ira, Serena lesse la forte tentazione di ribellarsi alle rigide regole della comunità dei vampiri, in particolare verso quella che gli imponeva di non contraddire o contestare mai un ordine, un rimprovero o una decisione derivante dal proprio creatore.

-Benissimo, fate pure come volete, piegatevi ai ricatti di una ragazzina che molto probabilmente vi sbatterà davanti ai Rappresentanti della Fratellanza a rispondere di accuse campate in aria non appena avrà ottenuto quello che vuole. Io mi chiamo fuori da tutto questo- annunciò, definitivo.

S'incamminò quindi a passo deciso verso la palestra, dove nel frattempo la festa andava avanti e gli studenti si divertivano, ignari di quanto stesse succedendo lì fuori.

-Stupide lâche- lo insultò Xavier nella sua madrelingua, guardando il vampiro che lui stesso aveva trasformato mentre si allontanava.

Max non disse nulla, si limitò a dirigersi verso il maggiolone di Violet, aprire il bagagliaio in cui la Guardiana teneva riposte tutti i suoi "strumenti del mestiere" e recuperò una valigetta nera, simile per forma e dimensione ad un comune beauty case.

Dopo aver richiuso il baule, il vampiro lanciò le chiavi a Serena, la quale le afferrò al volo.

-Voi tre parcheggiate quest'auto davanti all'ingresso del parco ed aspettate lì. Mi raccomando, non fate niente di avventato. Anzi, non fate proprio niente. Nessun atto eroico improvvisato, Violet è stata chiara in merito. Ha anche aggiunto che, se vi metteste nei guai, molto probabilmente non riuscirebbe a salvarvi e non vi vuole sulla coscienza, per cui sarebbe carino da parte vostra farle almeno questo favore-

-D'accordo- convennero all'unisono Aly e Serena, mentre Clare si limitò ad annuire.

-Mi fido di voi- aggiunse Max, un attimo prima di scomparire all'incredibile velocità che solo i vampiri riuscivano a raggiungere, seguito a ruota da Xavier ed Evelyn.





*NdA: Ebbene si, sono ancora viva. Avrei voluto pubblicare questo capitolo in versione un po' più lunga ma, considerato il tempo attualmente a mia disposizione, ho capito che mi ci sarebbe voluto troppo e non volevo rimandare ancora l'aggiornamento. So che in questa nuova parte non c'è stata molta azione, spero comunque che non sia risultata troppo fiacca. In ogni caso, sappiate che la prossima sarà molto meno tranquilla!
Un grazie speciale a chiunque continui a sopportare i miei tempi biblici di pubblicazione
:)*

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