I.E.A.

di malabami
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***



 
"That's what you need,
I swear it's true,
a fresh start,
just me and you"
1.
 
Londra, 8 a.m.
L’aria era fresca nonostante Maggio fosse quasi finito, ma Luke ormai si era abituato al clima dell’Inghilterra, tremendamente diverso da quello dell’Australia in cui era cresciuto.
Mentre camminava sul marciapiede, diretto verso quello che sarebbe stato il suo nuovo posto di lavoro, si perse a guardare la vita frenetica di quella città. Era presto ma le strade erano affollate e le macchine creavano un grande frastuono, unito alle voci dei passanti e gli squilli dei cellulari.
Si trovò a una traversa di Clipestone St e non appena svoltò l’angolo si immerse nella calma di Bolsover St; si chiese come mai quella via fosse sempre così tranquilla, in contrasto con il caos generico di Londra.
Era stato lì solo due o tre volte da quando aveva cominciato a lavorare per la I.E.A. dato che il suo attuale lavoro era stare rinchiuso in un laboratorio a esaminare campioni e sfruttare le proprietà dei composti chimici per arrivare ad un possibile risultato.
Entrò nel palazzo e si diresse verso l’ascensore, quarto piano. In quel breve tragitto si mise a pensare agli ultimi anni, da quando si era trasferito da Sydney per iniziare a lavorare fino a quel momento.
Per tre anni era stato relegato in quel laboratorio, per tre anni la compagnia aveva sfruttato solo le sue doti scientifiche e adesso, a ventun anni, aveva la possibilità di sperimentare finalmente sul campo.
Aveva ricevuto una chiamata qualche giorno prima, numero sconosciuto.
“Pronto?”
“Mr. Hemmings?”
“Si? Chi parla?”
“Sono il segretario di Frederick Connell, ha detto che giovedì lei si deve presentare alle 8.30 alla sede centrale, ha ricevuto un trasferimento deve partecipare ad una riunione. L’indirizzo è…” aveva detto la voce dall’altro capo del telefono ma Luke aveva smesso di ascoltare, la sua mente era rimasta ferma a quelle due parole: Frederick Connell.
Ripensò al modo in cui il suo cuore aveva saltato un battito solo sentendo quel nome. Il capo supremo e indiscusso dell’agenzia, nessuno sopra di lui a dare ordini, nessuno neanche al suo livello. Era al comando ormai da quasi quindici anni, nessun uomo era rimasto così a lungo a pilotare quella nave carica di segreti.
Frederick Connell era il capo con la “c” maiuscola, e aveva richiesto la sua presenza ad una riunione. Luke non negava che avrebbe preferito mille volte scalare una montagna piuttosto che avvicinarsi a quell’uomo, ma la possibilità di iniziare un nuovo lavoro gli aveva dato quella carica di coraggio necessaria per affrontare qualsiasi ostacolo.

L’ascensore arrivò al piano e il ragazzo guardò l’orologio, le 8.28 non era mai stato così puntuale. Quando le porte si aprirono con il solito campanello fastidioso Luke fu investito da un mondo tutto nuovo: un via vai di gente frettolosa che trasportava cartelle piene di fogli, rumori di tasti premuti violentemente e stampanti che fotocopiavano fascicoli, persone troppo impegnate a mantenere i loro ritmi per dare ascolto alle sue domande.
Ben presto si ritrovò confuso e disorientato davanti a quella che a prima vista gli sembrò la cosa più simile ad una segreteria. Si avvicinò ad una donna che aveva appena alzato la cornetta del telefono e prima che incominciasse a parlare le chiese informazioni.
“Scusi dov’è la sala riunioni?”
“A destra in fondo al corridoio, chiedi agli agenti” rispose quella e Luke accennò un piccolo “grazie” prima di seguire le indicazioni.
Trovare la destinazione sarebbe stato più semplice se la famosa destra suggerita dalla donna non fosse stata piena di corridoi identici, quindi si fermò in mezzo a tutta quella confusione e fece un respiro profondo. Non era mai stato un grande ammiratore del sovraffollamento.
Vide una ragazza intenta a sistemare una cartella e si avvicinò velocemente.
“Ciao, io sono..”
“Quello nuovo probabilmente, ora prendi quel plico di documenti e seguimi, la riunione inizia in meno di trenta secondi” disse quella chiudendo tutti i fascicoli e incamminandosi verso una porta nera senza nemmeno guardarlo in faccia.
Lui la seguì e non appena ebbe messo piede nella stanza tutto il rumore si placò fino a ridursi ad un silenzio quasi assordante. Scrutò velocemente la sala e le persone presenti: alcuni uomini in giacca e cravatta, un ragazzo in piedi sulla destra e la ragazza dei documenti, che nel frattempo li aveva presi dalle sue mani e appoggiati sul tavolo e si era sistemata vicino al collega. Luke immaginò che fosse una segretaria.
Poi lo vide, se lo ricordava dalle poche visite ricevute nel laboratorio, Frederick Connell in tutta la sua severità e austerità, seduto al capo del tavolo e accerchiato dai suoi dipendenti.
Il ragazzo decise di muoversi dal centro della stanza e optò per un angolo indiscreto, in piedi ad ascoltare l’imminente discorso.
“La farò breve, vi ho chiamati qui oggi perché ho delle missioni da affidarvi, di solito non indìco una riunione per ogni compito ma questa volta è diverso” iniziò a dire e lo stomaco di Luke si chiuse in un secondo.
“Alcuni miei agenti partiranno per New York – disse e i due ragazzi sulla destra esultarono tra di loro – lì troveranno tutte le informazioni per le loro missioni, ne avranno alcune piccole e poco rilevanti ma solo per distogliere l’attenzione dal compito più importante. Pierce Rogers ha scontato la pena ed è uscito pulito da tutti gli ultimi controlli, ma ha ricominciato con il traffico di droga e qualche piccolo crimine. I federali l’hanno incastrato sei anni fa e questo ha fatto si che aumentasse la sua dose di odio verso le autorità; abbiamo scoperto dai nostri agenti sul posto che Rogers potrebbe essere in possesso di informazioni private sul presidente e potrebbe avere in piano un attentato alla Casa Bianca. Per questo motivo dobbiamo intervenire noi, le autorità federali americane non devono assolutamente venire a conoscenza di nulla per il momento, non sappiamo ancora se questa notizia sia vera o falsa e non possiamo permetterci un errore verso la Casa Bianca e soprattutto verso il presidente. Quando avremo delle prove certe sui piani di Pierce Rogers avvertiremo gli americani e lasceremo il compito a loro” disse Connell e nella sala calò, se possibile, un silenzio ancora più grave di quello precedente.
Luke era rimasto estasiato dal modo in cui quell’uomo aveva dato una notizia così importante senza mai mutare espressione e con una freddezza inimmaginabile.

Era perso nei suoi pensieri quando la ragazza si voltò verso di lui.
“Quando ti guarderà dì solo il tuo cognome” gli disse velocemente e si voltò nuovamente verso il tavolo. Non ebbe neanche il tempo di chiedere spiegazioni che la voce di Connell ruppe quel silenzio.
“Inoltre, data la sensibilità della missione sarò costretto a trasferirmi io stesso al centro di controllo nello stato di New York, lavorerò sul campo e seguirò i miei agenti. Ho scelto individui molto validi che saranno affiancati da colleghi già sul posto. Verranno con me l’agente Dunn, l’agente Hood – disse e prima la ragazza, poi il ragazzo fecero un passo avanti – e l’agente…” indugiò l’uomo e posò il suo sguardo sulla figura di Luke che rimase come pietrificato. Agente. Aveva davvero sentito bene? Era proprio lui l’uomo scelto per affiancare il capo?
“Hemmings” disse a voce alta chiedendosi perché il suo cognome dovesse essere così lungo.
“Bene, affiderò il comando qui al mio segretario Martin Burjes, il volo partirà quest’oggi alle quattordici. Arrivederci, ci terremo in contatto per tutta la permanenza negli Stati Uniti” disse e in un secondo la riunione si sciolse e tutti quegli uomini in cravatta lasciarono la stanza.
Luke era senza parole, la sua prima missione sul campo sarebbe stata a New York, con il suo nuovo capo e “individui molto validi”, non riusciva a capire perché lo avesse chiamato. Si diresse verso la porta quando fu fermato.
“Hemmings” disse Connell.
“Si signore?”
“Prima di tutto non mi devi chiamare signore, seconda cosa: ti stai chiedendo perché ti ho fatto chiamare?”
“Sinceramente si” rispose lui abbassando lo sguardo.
“Lavori con noi da tre anni e devi sapere che se entri in contatto con un’agenzia di spie non puoi pretendere che ogni tuo singolo movimento non venga osservato. Ti abbiamo tenuto d’occhio per tutto questo tempo e te la cavi molto bene con la chimica, ma la tua situazione lì dentro stava diventando assurda, premevi ogni giorno per uscire di lì come un animale in gabbia. Così ho deciso di testare le tue capacità sul campo, sai cosa significa?”
“No” rispose, tralasciando quel “signore” che per tanto tempo gli avevano insegnato ad aggiungere alle frasi.
“Che tu lavorerai con noi e noi con te, ma allo stesso tempo sarai da solo, dovrai cavartela seguendo le tue capacità, e noi non siamo responsabili delle tue scelte, dovrai assumerti la totale responsabilità di ogni cosa che farai e dovrai avere sempre ben stampato in mente che ogni tua mossa avrà ripercussioni su tutta l’agenzia. Quindi te lo chiedo ora: sei sicuro di volerti unire a questa missione?”. Pronunciò quelle parole e Luke sentì il cuore esplodere.
Dopo tre anni di laboratorio aveva la possibilità di sperimentare una vera missione, di fare ciò per cui aveva accettato quel lavoro, di vivere la vita che aveva immaginato quando lo avevano assunto.
Una serie di emozioni contrastanti si sprigionarono per il suo corpo e il suo cervello iniziò a pensare a ciò che sarebbe successo se avesse accettato quel compito, tutti i rischi, tutte le possibilità di non tornare a casa vivo, tutto il pericolo.
Non aveva più tempo, Connell lo guardava fisso negli occhi e Luke doveva prendere una decisione.
Respirò profondamente e sorrise.
“Si” rispose.




SPAZIO AUTORE:
Salve a tutti, la farò breve: per chi mi conosce potete saltare questa parte, per chi è "nuovo" mi presento. Mi chiamo Carolina e questa è la seconda fanfiction che scrivo (in realtà è la quarta ma ne ho già cancellate due). La prima si chiamava Force Of Nature e l'ho finita tipo un mese fa, ma avevo fretta di ricominciare a scrivere quindi eccomi qui a pubblicare di nuovo.
E' un'altra fanfiction sui 5 Seconds Of Summer, ma, al contrario della precedente, non parla di cose soprannaturali e non ci sono tutti e quattro. Avremo solo Luke e Calum questa volta.
Bene, ecco il primo capitolo, ho cercato di introdurre a grandi linee il lavoro di Luke e i personaggi principali, ma nei prossimi capitoli verrà approfondito tutto. Questi primi capitoli saranno un po' lunghi perchè non sapevo bene come giostrarmi, ma vi prometto che cercherò di non farveli pesare troppo.
Il banner l'ho fatto io, è la seconda volta che mi cimento con delle cose del genere, quello di Force of Nature era più "semplice", con questo ho cercato di fare un lavoro migliore, ditemi cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere.
Spero vi piaccia come inizio e spero continuiate a seguire questa storia.
Grazie a tutti per l'attenzione, a presto,
Caro :)

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Capitolo 2
*** 2. ***



 
"As humans we ruin everything we touch,
including each other"

 
2.
 
Aveva avuto un piccolo assaggio di quel mondo per una trentina di minuti quel giovedì mattina e aveva già compreso che la vita sarebbe stata tutt’altro che facile da quel momento in poi.
La partenza sarebbe stata alle quattordici, il che significava essere all’aeroporto almeno per le dodici, considerando il fatto che Luke era uscito dal palazzo alle nove di mattina il suo tempo stava scorrendo troppo velocemente.
In tre ore sarebbe dovuto tornare al suo appartamento, preparare tutto il necessario e avviarsi verso Heathrow. Si sentiva stanco ancora prima di cominciare.
Si mosse più veloce della luce e, nonostante fosse stupito di se stesso, ancora non si fidava della sua testa, tanto che si mise a ricontrollare una decina di volte se aveva con sé i documenti di viaggio.
Fortunatamente arrivò con solo due minuti di ritardo ma del suo team nemmeno l’ombra. Si mise a guardare a sinistra e a destra mentre il panico si impossessava velocemente del suo corpo. Fu solo quando vide arrivare uno dei due agenti che il suo cuore riprese  a battere ad un ritmo regolare.
“Ciao, io sono Calum, di solito mi chiamano agente Hood ma tu puoi benissimo chiamarmi per nome” disse l’altro quando fu abbastanza vicino per potergli stringere la mano.
“Piacere, io sono Luke”
“E’ la tua prima volta?”
“Già..” rispose lui sospirando.
“Wow, cosa facevi prima?”
“Tre anni in laboratorio a studiare i casi che arrivavano dalla sede centrale, tu?”
“Meccanica, sai, tutte quelle parti con le macchine e i motori”
“Ah, io non ci capisco nulla di quella roba”
“Beh allora siamo pari dato che io non so nulla di chimica” disse ed entrambi si misero a ridere. Fecero amicizia in due frasi di una conversazione, Calum sembrava piuttosto aperto e il tipo di persona che rimane sempre allegra, Luke avrebbe voluto essere così ma la sua timidezza gli impediva di aprirsi facilmente.
“Non vedo l’ora di tornare a New York” disse Calum entusiasta.
“Ci sei già stato?”
“Si, io e Dunn siamo stati mandati lì due anni fa, credo che il gruppo laggiù sia rimasto lo stesso, oddio erano pochi ma sempre più di noi. Siamo sempre stati in due, ma ora ci sei anche tu!”
“Dunn sarebbe la ragazza di stamattina?” chiese Luke perplesso.
“Esatto, l’agente Dunn è sempre a rapporto, se dovesse mai mancare ad un appello ci sarebbe un’unica spiegazione plausibile: sarebbe morta. Oh guarda, parli del diavolo e spuntano le corna” disse ad alta voce verso una figura che si avvicinava. Luke la riconobbe: capelli neri legati, frangia leggermente spettinata e passo deciso. Quelle erano le caratteristiche che saltavano subito all’occhio.
“Beh devo avere un gran bel paio di corna allora dato che parli sempre di me!” disse la ragazza avvicinandosi a loro.
“Ti presento Luke, è il ragazzo nuovo che lavorerà con noi” disse Calum alla collega e Luke le porse la mano.
“Piacere, Chloe” rispose lei con un mezzo sorriso. Luke pensò che fosse un nome troppo dolce per una persona così determinata come sembrava, non le si addiceva.
“Senti sto morendo di fame, faccio un salto al bar puoi guardarmi la valigia?” disse la ragazza al moro e poi sparì nella folla.
“Già, riconosco quell’espressione” disse Calum a Luke, riferendosi all’impercettibile movimento delle sopracciglia che aveva fatto poco prima, ricordandosi del modo scortese in cui quella mattina la ragazza non lo aveva nemmeno degnato di uno sguardo.
“Che cosa?”
“Quella faccia che hai fatto prima, è sempre così per tutti quelli che ci lavorano insieme. La conosco da due anni e siamo molto amici, ma te lo devo dire in confidenza: è una stronza epocale e sa di esserlo”
“Si, credo di averlo già capito” rispose Luke accompagnando quelle parole ad un altro movimento della fronte.
“Io intendo sul posto di lavoro, al di fuori è totalmente diversa, ma qui è un tiranno. Sa esattamente ciò che vuole e non si fa problemi a passarti sopra. Se poi la prendi sul piano personale è buona come il pane, fidati, non farti ingannare”
“Fatico a crederlo, ma se lo dici tu” rispose lui e in quel momento ritornò Chloe con in mano un pacchetto di patatine mezzo vuoto.

Rimasero a parlare circondati dalle persone che andavano e venivano per tutti i corridoi, finché non videro la figura di Connell avvicinarsi. Ci mancava poco che Luke si mettesse sull’attenti, ma fu frenato dal modo pacato e disinvolto in cui i suoi colleghi salutarono il capo. Per un secondo gli sembrò un loro pari e non un superiore.
Si scambiarono poche parole e iniziarono a camminare, senza però inserirsi in nessuna delle code dei check-in. Luke si guardò intorno leggermente confuso ma non smise di seguire il suo gruppo. Arrivarono davanti ad una porta presidiata da una guardia, Connell fece vedere un documento e gli bastò dire “quattro” per far si che la guardia si scostasse e li lasciasse passare, il che rese la mente di Luke ancora più annebbiata. Seguì il capo per tutto il tragitto senza fiatare e copiò esattamente ogni suo movimento.
Passarono attraverso delle stanze vuote e fin troppo silenziose che li condussero in un’unica sala con due metal detector. A turno fecero vedere i documenti e si lasciarono perquisire dai controllori dell’aeroporto, che poi si misero ad ispezionare le loro valigie. Il tutto finì in una ventina di minuti e dopo aver richiuso i bagagli ripresero a camminare attraverso un corridoio esterno. Quando uscirono si ritrovarono immersi in un rumore assordante causato dai motori accesi e gli spostamenti delle vetture per i carichi. Incontrarono un signore piuttosto giovane che indossava una cravatta nonostante l’ambiente in cui era immerso e quando Connell gli mostrò altri documenti quello si illuminò.
“Venite signori, vi porto al vostro aereo privato” disse e Luke spalancò la bocca. Privato? Aveva davvero sentito bene? Un unico aereo solamente per loro?
“Chiudi la bocca novellino che ti entrano le mosche” disse la sua collega passandogli vicino e superandolo. Luke seguì il consiglio e riprese a camminare. Purtroppo la sua mandibola cedette di nuovo quando si ritrovò davanti al loro mezzo di trasporto. Un aereo più piccolo di quelli di linea ma comunque estremamente grande per contenere solo quattro persone, due assistenti si occuparono delle loro valigie mentre il pilota e l’assistente di volo davano loro il benvenuto. Luke si sentiva estremamente imbarazzato ed emozionato allo stesso tempo, non aveva viaggiato per tre anni e l’unico volo che aveva preso era stato quello dall’Australia all’Inghilterra, e in quel momento si ritrovava insieme ad altre tre persone su un aereo che avrebbe potuto contenerne almeno cinquanta, con interni in pelle e una moquette intonata alle cassettiere. Non sapeva se sentirsi male per tutto quel denaro sprecato o infinitamente bene per la sua situazione. Rimase a ispezionare ogni angolo per una decina di minuti, poi si sedette in uno dei divanetti con l’espressione di un bambino al parco giochi.
Dopo avergli dato tutte le informazioni sul viaggio i piloti si chiusero nella loro cabina e azionarono i motori. Un senso di nausea ed eccitazione pervase lo stomaco di tutti i presenti, l’unica differenza era che, mentre Connell, l’agente Dunn e l’agente Hood non lo davano a vedere e si limitavano a stringere un po’ di più la presa sui braccioli delle poltrone, Luke sembrava in procinto di esplodere come una bomba, tanto che dovette prendersi un bicchiere d’acqua per calmarsi.
Alla fine, dopo aver consumato tutte le sue energie in quei tre minuti di partenza, si abbandonò alla comodità di quel mezzo e si lasciò trasportare dal sonno arretrato, crollando addormentato sulla sua poltrona.

 
***

“Cosa ne pensi di lui?” chiese Connell indicando Luke quando fu abbastanza sicuro che il ragazzo fosse troppo addormentato per sentire la loro conversazione.
“Non l’ho ancora inquadrato bene, sembra a posto” rispose Chloe senza smettere di sfogliare il suo giornale.
“Ha iniziato da noi a diciotto anni, un po’ come te”
“Mh.. io ero due anni più giovane quando mi avete trovata quindi no, non è come me”
“Non essere così crudele”
“Non sono crudele, sono sincera” disse chiudendo la rivista e guardando il capo.
“Voglio che tra di voi scorra buon sangue, questo vuol dire che dovete essere alla pari, capito?”
“Ma per favore, Chloe detesta sapere che qualcuno è alla pari con lei. Ancora non riesce ad accettare che l’immagine nello specchio sia la sua copia, figurati se sarà pari a lui!” intervenne Calum appoggiandosi ad uno dei muri che dividevano il loro scompartimento da quello in cui Luke dormiva beatamente.
“Non è assolutamente vero!”
“E’ tutta la mattina che stai cercando un soprannome con cui etichettarlo per mostrare la tua superiorità!”
“Esattamente, tutta la mattina. Ti rendi conto di quanto tempo ho perso? È meglio che inizi ad aiutarmi oppure non troverò nessun soprannome adatto a lui”
“E il mio soprannome qual è?”
“Che ne dici di testa di cazzo, ti piace?” rispose Chloe sarcastica mentre i suoi occhi si riducevano ad una fessura e il suo sorriso cresceva.
“Si, può andare. Ma per lui?” chiese Calum ridendo e indicò di nuovo il collega.
“Non lo so, ne troverò uno prima o poi, non ho voglia di pensarci” disse Chloe tornando alla sua rivista.

 
***

Passarono le ore e il silenzio era interrotto solamente dal rumore dei motori, i tre agenti erano addormentati come bambini dopo una lunga giornata al parco, Connell leggeva documenti da varie cartelle ma i fogli non creavano nemmeno un minimo suono quando sfogliava le pagine e i piloti erano chiusi nella cabina di comando. Sembrava che il mondo non esistesse più. Il sole entrava dai vetri spessi e creava piccoli fasci di luce che si riflettevano sulla moquette e sui sedili, dando, se possibile, un tocco ancora più elegante e pacifico a quel posto.
Luke aprì prima un occhio e poi lentamente anche il secondo e si ritrovò accovacciato su un divanetto con la testa su uno dei cuscini più duri che avesse mai provato, il collo leggermente dolorante ma era decisamente più energico e rilassato di quando era partito. Si guardò intorno e fu invaso da tutta quella tranquillità, gli ricordava una di quelle domeniche mattina in cui si svegliava e trovava la casa vuota, riempita solo dai granelli di polvere che svolazzavano in controluce. Si alzò facendo attenzione a non disturbare nessuno e camminò verso l’altro scompartimento, diviso dal primo solo da due pezzi di muro ai lati che creavano un enorme open space. Pensò che avrebbe potuto viverci su quell’aereo.
“Dormito bene?” sentì dire e quando alzò lo sguardo si ritrovò Connell seduto ad un tavolo che lo guardava. Il cuore gli saltò di nuovo un battito e non poté fare a meno di chiedersi per quanto sarebbe andata avanti così. Rispose annuendo e si sedette di fronte a lui.
“Come ti trovi per ora?” continuò l’altro incurante della sua reazione.
“Bene, ho parlato poco con gli altri agenti ma sembrano brave persone”
“Qui nessuno è una brava persona”
“Che intende?” chiese Luke perplesso ma molto interessato a quell’argomento.
“In realtà ho sbagliato a formulare la frase, sono persone fantastiche, ma le loro storie non lo sono. La metà delle nostre spie ha alle spalle accuse per furto, alcuni per traffico di droga, altri per atti di vandalismo o violenze varie, pochissimi sono completamente innocenti. Questo perché non sempre le persone più adatte ad un lavoro del genere sono anche quelle più giuste, è quasi sempre il contrario. Tu non hai nessun precedente, nessuna accusa, non hai mai infranto la legge e scommetto che non ci sei neanche mai andato vicino, eppure sei qui. Sapresti dirmi come mai?”
“Sono bravo con la chimica?” provò a indovinare Luke.
“Beh è ovvio che lo sei, ma come mai sei qui su questo aereo, se in questo momento la chimica non ci serve?”
“Non lo so” rispose confuso.
“Perché avevamo bisogno di te. La tua storia smorza quelle degli altri due agenti e il tuo posto non era il quel laboratorio. Sei bravo con la chimica, è vero, ma non ti piace; quello che hai detto all’aeroporto all’agente Hood, sull’essere stato tre anni in laboratorio, gli ho detto io di chiedertelo. Come ti avevo già preannunciato: non stupirti, sei un ragazzo in mezzo a delle spie, non puoi essere vulnerabile. Noi avevamo bisogno di qualcuno nuovo, con poca esperienza di modo che gli altri due agenti insegnassero le loro conoscenze e diventassero delle guide”
“Quindi sono qui solo per fare da burattino per gli altri due?”
“Sapevo che me l’avresti chiesto, la risposta è no. Io credo nelle tue capacità, puoi diventare un’ottima spia, hai solo bisogno di insegnamento” rispose Connell e Luke lasciò passare qualche minuto prima di ricominciare la conversazione. I modi freddi e distaccati di quell’uomo non lo entusiasmavano, ma ne era ammirato.
“Come avete reclutato l’agente Hood?” chiese curioso.
“Tre anni fa, aveva diciannove anni e rubava in media cinque macchine al giorno, le portava da quello che ha sempre descritto come un suo “socio” che le rivendeva e Hood guadagnava una percentuale del ricavato. Non era l’unico al mondo a farlo, ma quello che ci ha colpiti era il suo modo di agire. Rubava con una tale scelleratezza e menefreghismo che a vederlo rimanevi estasiato, non gli importava essere di notte oppure in pieno giorno, lui apriva la macchina, ci saltava dentro e guidava a tutta velocità incurante dei pericoli. Una volta è stato fermato da un poliziotto, la sera stessa gli ha rubato la macchina e l’ha rivenduta. Poteva sembrare un semplice ragazzo determinato, ma è perfetto come spia”
“Wow. E lei?” furono le uniche cose che riuscì a dire Luke. La sua ammirazione verso il collega crebbe a livelli esagerati dopo quel racconto.
“Ha compiuto sei rapine in una settimana, di cui due nello stesso giorno, poi si è iscritta ad una scuola con tanto di carta d’identità falsa sotto il nome di Maggie Lasley. Ha frequentato i corsi e quando la scuola si è accorta dell’inganno lei era già sparita. L’hanno cercata per settimane per la truffa alla scuola ma nessuno l’ha mai seguita per le rapine, era come se lei in quei posti non ci fosse mai stata. Dopo un mese di ricerca la polizia ha definitivamente perso le tracce di Maggie, e contemporaneamente Chloe si è unita a noi”
“Perchè l’ha fatto?”
“Non sono io a dovertelo spiegare, chiedilo a lei, avrai tutto il tempo per farlo”
“Fare cosa?” chiese Chloe spuntando improvvisamente nello scompartimento in cui i due stavano parlando.
“Niente che ti riguardi” le rispose Connell e la ragazza ritornò sbuffando al suo posto.
Luke rimase a guardarla per qualche secondo prima di distogliere lo sguardo e immergerlo nel blu del cielo fuori dal finestrino, mentre la sua testa vagava ancora su quell’argomento. Non l’avrebbe abbandonato facilmente, non si sarebbe fermato finché non avesse conosciuto tutta la verità.




SPAZIO AUTORE:
Holaaa! Salve a tutti sono tornataa! Scusatemi per questa assenza di venti giorni ma ho avuto delle settimane molto impegnate e n più sono appena tornata dalla Grecia perciò non sono proprio riuscita a passare.
Vi ho lasciato un capitolo abbastanza lungo in cui vediamo Luke immergersi un pochino nell'atmosfera di questo nuovo lavoro, ma prossimamente lo vedremo completamente travolto da tutto.
Sono felice che per ora la storia vi intrighi e vi piaccia e spero di essere all'altezza delle vostre aspettative.
Grazie ancora a tutti, cercherò di pubblicare più spesso, ve lo prometto.
A presto,
Caro :)

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Capitolo 3
*** 3. ***



 
"He was made of steele, she was made of air.
He was the prince, the hero, she wasn't there"
 
3.
 
Passarono le ore e, nonostante tutti quanti avessero riposato, la stanchezza si faceva sentire. Erano vicini alla loro destinazione, solo più una quarantina di minuti e poi sarebbero atterrati.
Cominciarono a vedere pezzi di città dai finestrini dell’aereo e sentirono che il veicolo stava progressivamente diminuendo la quota. Connell li chiamò a rapporto.
“D’accordo, è arrivato il momento di prepararci. Sicuramente quando atterreremo a New York avremo gli occhi di molti individui puntati addosso, e non parlo solo di passeggeri comuni, parlo di spie. Sanno che qualcuno della I.E.A. sta arrivando, perciò cercheranno in tutti i modi di individuarci tra tutti gli altri. Per questo motivo dobbiamo nasconderci”
“In che senso?” chiesero gli agenti.
“Nelle cabine là in fondo troverete degli abiti, cambiatevi e mettete i vostri nei bagagli a mano, dopodiché scenderemo dall’aereo e invece di usare l’uscita secondaria prenderemo quella principale, dalla quale escono tutti, ci ritroveremo nel parcheggio sotterraneo. Dunn e Hood voi dovrete stare uniti, fingerete di essere una coppia o quello che volete, l’importante è che stiate insieme. Hemmings sarai un atleta, hai una divisa di una qualsiasi squadra di basket, io invece sarò un semplicissimo uomo come metà della popolazione su questo pianeta. Ora andate” ordinò il capo e gli agenti eseguirono dirigendosi verso tre cabine al fondo dell’aereo.
Luke si ritrovò davanti una divisa di colori sgargianti da coprire con una tuta in felpa e scarpe da ginnastica. Odiava quel modo di vestirsi da sportivi, preferiva di gran lunga una t-shirt al prurito e il calore del poliestere, ma obbedì comunque agli ordini.
Quando uscì dalla cabina già non sopportava più quei pantaloncini, tanto che si mise a maledirli a bassa voce.
“Che succede?” gli chiese Calum.
“Odio queste divise, non le ho mai sopportate, sono di un colore e un tessuto stupidi e fastidiosi” rispose lui irritato.
“Senti novellino, se io mi metto degli scarponcini marroni con le calze blu a metà polpaccio, tu puoi metterti una tuta senza fiatare” lo rimproverò Chloe uscendo dalla sua cabina vestita come una che si è persa per i boschi.
“Cosa dovremmo essere? Degli avventurieri?” chiese ancora lei indicando i suoi vestiti e quelli del collega in coppia.
In quel momento la voce del comandante fuoriuscì dagli altoparlanti “informiamo i gentili passeggeri che stiamo per iniziare la fase di atterraggio, siete pregati di prendere posto sulle poltrone e allacciare le cinture di sicurezza” al che tutti i presenti obbedirono e si sistemarono sui loro sedili.

L’atterraggio durò pochi minuti, e non appena i piloti spensero i motori e uscirono dalla loro cabina i quattro passeggeri scattarono in piedi, ringraziandoli e dirigendosi verso l’uscita. Un altro uomo in divisa era fermo di fronte ad una porta scorrevole ad attenderli e quando li vide li condusse velocemente verso il corridoio centrale, da cui tutti i passeggeri di tutti i voli provenienti da Londra si incamminavano verso il ritiro bagagli. Quando furono immersi nel mare di persone si divisero e il loro accompagnatore ritornò da dove era venuto.
Luke si ritrovò da solo in mezzo ad una folla, guardò a destra e a sinistra ma non riuscì a vedere nessun volto conosciuto, solo persone che camminavano in fretta verso un’unica uscita. Si convinse a non pensarci troppo e tentò di rilassarsi e sembrare il più normale possibile.
Arrivò nella sala del ritiro bagagli e si fermò davanti al nastro trasportatore, aspettando che partisse portando le prime valigie. Notò di fronte a lui Calum e Chloe che ridevano e scherzavano come una normale coppia e pensò che fossero davvero bravi nel loro lavoro, sembrava che non fossero spie, ma semplici persone. Decise di provare a disperdersi ancora di più nella normalità, così infilò il cavo di un paio di cuffie nel telefono e se le mise al collo, per poi iniziare a navigare con il cellulare.
Le valigie cominciarono a scorrere sul nastro e Luke le osservò passargli davanti una ad una, finché non avvistò il suo bagaglio scuro e si allungò per prenderlo. Connell aveva detto che si sarebbero trovati nel parcheggio sotterraneo, quindi si diresse prima verso l’uscita e poi verso i cartelli che indicavano le rampe dei posti auto. Rimase confuso nel notare che nessuno dei suoi colleghi era ancora arrivato, quindi si guardò intorno per capire se avesse sbagliato strada ma fu distratto dallo squillo del suo telefono.
“Pronto?”
“Prendi l’ascensore, scendi di due piani, appena esci svolta a sinistra, quarto posto auto, non farti assolutamente vedere e non dare nell’occhio” gli disse la voce di Connell dall’altro capo del telefono.
Si incamminò con tranquillità verso l’ascensore più vicino e si assicurò di non essere seguito da nessuno, poi schiacciò il tasto che indicava -2 e attese la chiusura delle porte. Era teso da un lato ma l’altra parte di lui sembrava serena e sorprendentemente calma, sapeva ciò che doveva fare e cercava di non commettere il minimo errore, senza però andare nel panico. Preciso, metodico e pacato.
Arrivò a destinazione e si ritrovò davanti ad una macchina scura, mise una mano sulla maniglia e tirò, poi si infilò all’interno.
“Bel lavoro Hemmings, sei andato bene” gli disse il capo seduto al posto del guidatore e lo scrutò per un secondo dallo specchietto retrovisore.
“Grazie” rispose lui e si accomodò finalmente rilasciando tutta la tensione.
Pochi minuti dopo le porte si riaprirono e nella macchina sgattaiolarono Chloe e Calum.
“Ci siamo, possiamo andare” disse lei allacciandosi la cintura di sicurezza e sistemandosi la frangia. Connell mise in moto e partì verso Manhattan, mentre i tre agenti si godevano il viaggio.
“Luke, sei stato grande! Se continui così diventerai anche più bravo di Dunn!” rise Calum e si sporse per vedere la reazione della collega che si limitò ad alzare gli occhi al cielo e sbuffare.
“L’ho detto solo per farla incazzare, ma tu sei stato davvero fenomenale” riprese l’altro a bassa voce con il sorriso più radioso che Luke avesse mai visto. Erano le quattro del pomeriggio e il loro viaggio sembrava appena iniziato.

 
***

Il tragitto dall’aeroporto al centro di Manhattan durò più di un’ora a causa del fitto traffico tipico della città. Luke si ritrovò ad ammirare fuori dai finestrini l’immensità delle costruzioni, sembrava che i grattacieli si ripiegassero su se stessi, pronti a inghiottire qualsiasi cosa, le strade erano larghe e invase da fiumi di passanti che entravano e uscivano dagli edifici come se non avessero avuto nessun altro scopo nella vita. Il sole estivo illuminava le vetrate dei palazzi che riflettevano i raggi creando un effetto ancora più impressionante. Quasi non ci credeva, sembrava impossibile che una città racchiudesse così tanto fascino da fargli battere il cuore più forte che mai. Ed era solo l’inizio.
“Ci siamo quasi” disse Connell svoltando a destra e proseguendo lungo una strada trafficata.
“Dove stiamo andando?” chiese Chloe guardandosi intorno.
“Ai vostri appartamenti. Oh a proposito, prendete le chiavi le consegno a caso, ognuno di voi ne ha uno e sono tutti e tre identici solo con viste diverse, così almeno eviterete di litigare come bambini su chi abbia l’appartamento migliore” continuò porgendo agli agenti tre mazzi totalmente identici con quattro chiavi a testa, ma con sopra diverse placchette marroni: 2B, 2C e 2D.
“Da dove le hai tirate fuori?”
“Erano nella macchina, dove credi che l’abbia presa? Prima di partire ho contattato la centrale qui in città e ci hanno fornito sia il mezzo che i posti in cui voi tre riposerete i vostri culi, e ora forza, scendete e sistematevi. Siete arrivati” ordinò il capo e i tre scattarono fuori dall’auto, recuperarono i bagagli e si appostarono sul marciapiede.
“Più tardi vi informerò sull’ufficio. A presto” continuò e un secondo dopo era ripartito, lasciandoli da soli a osservare l’ambiente.
“Ok, dove siamo?” chiese Calum con l’aria smarrita.
“Madison Avenue all’incrocio con la 37esima strada” rispose Luke leggendo i cartelli sulle vie. Si voltarono e si ritrovarono di fronte ad una casa a tre piani, sembrava più una villa che un complesso di appartamenti ma non si lamentarono affatto; lo stile era sinuoso e accattivante, in totale contrasto con tutti i grattacieli squadrati che la circondavano e una scala di pietra conduceva verso il portone principale, ombreggiato da un enorme albero sul giardinetto anteriore.
“Il mio appartamento sarà sicuramente il migliore” disse Chloe spezzando quell’atmosfera magica e correndo verso l’entrata, seguita poi dai due ragazzi. Salirono di fretta le scale e si precipitarono al secondo piano, poi ognuno entrò nella rispettiva porta.

Non appena Luke mise un piede oltre lo stipite l’allarme iniziò a suonare, mentre il ragazzo provava ogni chiave del mazzo per farlo smettere. Quando ci riuscì si voltò finalmente ad osservare il luogo circostante: lo spazio era abbastanza grande e aperto, un bilocale che per una sola persona bastava e avanzava. Il pavimento era in parquet e il muro che conteneva la porta era fatto di mattoni chiari, contrastanti con il bianco del resto della casa, la cucina era aperta sul salotto e una porta scorrevole di fronte all’entrata conduceva alla camera da letto e al bagno. Non c’erano molti mobili, solo l’essenziale, ma per lui andava benissimo. Si innamorò all’istante di quel posto, la cosa migliore era la luce che entrava dalle finestre e illuminava il pavimento riscaldando l’ambiente.
Non fece nemmeno in tempo ad appoggiare la valigia che il suo telefono squillò per l’arrivo di un messaggio, all’interno c’era l’indirizzo dell’ufficio, avrebbero dovuto essere lì in mezz’ora. Decise di appoggiare malamente i bagagli nella camera da letto e prendere solo il necessario, per poi richiudersi la porta alle spalle.
“Sono degli appartamenti fantastici!” disse Chloe saltellando sulle punte dei piedi e avvicinandosi alle scale.
“Avete ricevuto il messaggio?” chiese Luke.
“Si, 34esima strada, dobbiamo fare tre isolati e poi svoltare a destra. Siamo vicini all’Empire State Building” disse Calum calcolando a mente il tragitto da percorrere.
Si misero in marcia subito dopo, ammirando ad ogni passo la bellezza di quella città. L’aria era fresca e nonostante fossero in un’area molto trafficata il rumore era ancora sopportabile, anzi dava un tocco in più all’atmosfera caotica di New York.
Si ritrovarono di fronte ad un palazzo con ampie finestre perfettamente ordinate e una serie di porte a vetri da cui entravano e uscivano persone senza mai fermarsi. I tre ragazzi si gettarono all’interno e subito puntarono uno dei cinque ascensori presenti, aspettando che arrivasse al terzo piano. Quando le porte scorrevoli si aprirono Luke provò le stesse emozioni di quel mattino quando a Londra era stato investito dalla calma della sala riunioni. Trovarono poche persone che lavoravano tranquillamente, un ambiente sereno e spazioso con una calma quasi irreale e tre scrivanie vuote pronte ad ospitarli, tutte ornate dal simbolo della I.E.A. Appena alzarono lo sguardo però videro Connell che li richiamava verso un’altra stanza separata. Era il suo ufficio e rispecchiava completamente la personalità di quell’uomo: le persiane abbassate lasciavano entrare poca luce che si rifletteva sul pavimento scuro creando strisce bianche, ogni mobile in quella stanza variava dal marrone al nero, mentre un grande proiettore illuminava la parete procurando agli ospiti un leggero fastidio agli occhi.
“Bene, spero vi siate ambientati e non siate troppo confusi. Voi due conoscevate già questo posto, per quanto riguarda te Hemmings cerca di non perderti e trova dei punti di riferimento, questa città è un inferno” attaccò l’uomo parlando prima a Chloe e Calum e subito dopo passando a Luke.
“Siamo qui per la missione Rogers, ma come vi ho preannunciato questa mattina saremo comunque impegnati in altri compiti. Voglio che completiate tutte le missioni a voi affidate senza perdere di vista l’obiettivo primario, intesi? Domani mattina vi darò il primo incarico, adesso sistematevi e mostrate a Hemmings questo posto” continuò e in meno di un minuto fece uscire dall’ufficio tutti e tre.

“Io vi lascio, voglio andare giù al reparto meccanica, ci vediamo dopo” disse Calum e corse verso il primo ascensore libero.
“Novellino, forza, breve tour” disse Chloe aprendo la strada.
Scesero di un piano e furono immersi in un laboratorio pieno di schermi, computer, tastiere tutti sotto il controllo di un'unica persona. Un ragazzo piuttosto alto con addosso una camicia a quadretti faceva scivolare la sedia a ruote sopra il pavimento in pietra, controllando ogni centimetro degli schermi. Aveva i capelli rossi tra cui passava le mani di tanto in tanto e grandi occhi azzurri nascosti dietro le lenti degli occhiali.
“Lui è Victor Foster ed è il miglior hacker che puoi trovare in giro, non l’hanno voluto tra i federali solo perché avrebbe hackerato pure il presidente. E anche perché ha alle spalle un’accusa di furto..” disse Chloe avvicinandosi e salutando quello che Luke immaginò essere un vecchio amico.
“Hei, come va? Comunque non era un vero e proprio furto, siamo solo entrati in casa e abbiamo preso qualcosa, era in prestito” rispose quello stringendo la mano al nuovo arrivato.
“Oh, certo, in prestito. Ora andiamo” continuò la ragazza e fece per uscire dalla porta ma si fermò.
“Ah Vic, gomma da masticare?” chiese Chloe e prese al volo l’involucro che l’amicò le lanciò.
“E’ sempre pieno di gomme da masticare, se ne vuoi una basta chiederglielo e lui te la da, non le mangia mai, le tiene solo nel cassetto” confessò a Luke mentre rientravano nell’ascensore. Questa volta scesero di due piani e, sgattaiolando per diversi corridoi, si ritrovarono  in un garage illuminato da una quantità notevole di finestre. All’interno vi erano quattro macchine di cui tre sembravano appena uscite dalla produzione, mentre la quarta aveva il cofano aperto e la carrozzeria ammaccata. Quando i due entrarono Chloe pronunciò un saluto a gran voce e da sotto la macchina uscì Calum sdraiato sopra una tavola con delle ruote che gli permettevano di scivolare facilmente. Aveva le mani completamente piene di grasso e la faccia sporca, ma il suo sorriso gli copriva l’intero viso.
Piegato sul motore, invece, c’era un ragazzo un po’ più grande di loro che indossava una canotta bianca macchiata dall’olio della macchina. Aveva occhi e capelli marrone chiaro e un tatuaggio su un braccio decisamente troppo piccolo per tutto quell’inchiostro, ma nonostante tutto gli stava bene.
“Lui invece è Oliver Moore, lavora qui al reparto meccanica e tutte quelle cose con le macchine di cui io non capisco niente, è insieme a Hood. È capace di trovarti una macchina in un minuto, ed è capace di rubarne una in trenta secondi”
“Heilà Dunn” salutò quello e poi si presentò anche a Luke, stringendo un po’ troppo forte la sua mano. Subito dopo i due ritornarono al lavoro e Chloe condusse Luke agli uffici di nuovo al secondo piano.
“Dice che non si sposerà mai e quando finirà di lavorare girerà il mondo in una Cadillac” spiegò lei mentre salivano, parlando ancora di Oliver.
“I matrimoni gay sono accettati a New York?” chiese Luke.
“Come fai a sapere che lui..” rimase spiazzata la ragazza e il collega sorrise.
“Basta osservare, sono rimasto tre anni in un laboratorio, se non hai una buona osservazione in chimica non vai da nessuna parte. E poi uno gay ci doveva pur essere” commentò ed entrambi risero, lasciando passare quella prima giornata, con il jet lag addosso e una nuova avventura davanti.



SPAZIO AUTORE:
"Come non mantenere le promesse fatte" un manuale scritto da me. Mi dispiace non aver pubblicato per tipo due o tre settimane ma con tutto quello che avevo da fare e le cose che sono successe in questo periodo scrivere o comunque connettermi non era (purtroppo) una priorità.
Spero che questo capitolo vi piaccia, lo so che nei primi tre sembra che il tempo sia fermo e il viaggio infinito, ma nei prossimi capitoli mi sembra di aver scritto tutto proiettato super velocemente nel tempo e credo che contrasti con l'inizio.
Alla fine vengono presentati due nuovi personaggi: Victor e Oliver, non sono "principali" ma fanno comunque il loro dovere.
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate e ve lo giuro cercherò di pubblicare più regolarmente, lo so che lo dico sempre e poi non mantengo mai la promessa quindi giurare forse è stato un errore ma non vi abbandonerò!
Grazie mille a tutti come sempre,
a presto (non prendetemi alla lettera),
Caro :)

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