8 maggio 1922

di Monoi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sei anni dopo ***
Capitolo 2: *** Venere non sorride ***
Capitolo 3: *** Vieni, o notte ***
Capitolo 4: *** E allora ecco il tuo oro ***
Capitolo 5: *** Esci da questo nido di morte ***
Capitolo 6: *** Un veleno peggiore ***
Capitolo 7: *** Le passioni hanno violenta fine ***
Capitolo 8: *** Il manto della notte mi nasconde ***
Capitolo 9: *** Il pericolo è più nei tuoi occhi ***
Capitolo 10: *** Che cosa c'è in un nome? ***
Capitolo 11: *** Qualche triste effetto ancora sospeso nelle stelle ***



Capitolo 1
*** Sei anni dopo ***


Nel silenzio della piccola cappella della Casa di Pony una folata di vento primaverile fece entrare  all'improvviso le grida dei bambini mescolate al profumo dei fiori. Come ogni anno, Miss Pony e Suor Maria avevano organizzato quella piccola celebrazione in ricordo della loro piccola Candy, morta un triste giorno di febbraio di sei anni prima. Tutti i presenti pensarono di nuovo a quanto erano state sensibili le due donne a ricordare Candy il giorno della sua nascita, piuttosto che della sua morte.

Al suono delle risate infantili, qualcuno si irritò per la mancanza di rispetto. Annie, seduta tra Miss Pony e Suor Maria, sorrise. Quelle grida erano le stesse che lanciavano lei e Candy da bambine... Tra le lacrime addolorate che non era riuscita a trattenere durante i primi minuti, alzò il volto, cercando con lo sguardo gli occhi di Tom, seduto qualche fila piú indietro.  Il viso abbronzato del giovane uomo era impassibile e serio, seduto di fianco al padre, ma la vista degli occhi lucidi di Annie, il suo timido sorriso, le grida dei bambini smossero qualcosa nel solido cuore di Tom, che sentì una sorta di bruciore al naso, agli occhi... fu un attimo, un sorriso fugace si fece strada in risposta allo sguardo di Annie, e tanti ricordi invasero la sua mente.

Qualcuno tossicchiò sommessamente, per riportarli volutamente all'ordine. Annie si voltò, abbassando di nuovo la testa, senza poter fare a meno di pensare che ogni qualvolta pensava alla sua Candy, cominciava a comportarsi come lei, con spontaneità e senza pensare all'etichetta. Quanto le mancava. Nonostante le varie  separazioni, erano state insieme per la maggior parte della loro vita, ma da ormai cinque lunghi anni il destino aveva diviso definitivamente le loro strade. E Candy non aveva mai vissuto né la fine della guerra, nè il grande successo ottenuto nei teatri da Terence, non aveva visto Patty studiare e laurearsi, non aveva potuto partecipare alla sua festa di fidanzamento con Archie... Aveva pensato a lei, quel giorno. Pronta per scendere, si era guardata allo specchio, chiedendosi se mancava qualcosa.

Era Candy, il suo affetto, il suo sorriso che era mancato quel giorno. Candy se n’era andata, ed era rimasta per sempre l'adolescente che si affacciava alla vita con tanti sorrisi e qualche lacrima. Chissà come sarebbe stata ora, se fosse stata ancora viva. Ogni volta che notava un piccolo cambiamento su di sè portato del tempo, Annie pensava a come avrebbe potuto cambiare Candy, a come avrebbe potuto crescere e diventare una donna insieme a lei.

Chissà come sarebbe stata la sua vita. Forse a quest'ora sarebbe stata fidanzata anche lei, chi lo sa... Magari con Terry, o con Albert... O per meglio dire, William Andrew. Sarebbe stata invitata anche lei al grande ricevimento che si sarebbe tenuto quella sera nel palazzo del governatore, la festa che aveva indetto in onore di Madame Volkonskaja, la vedova russa che in quei giorni era in visita per la prima volta a Chicago.

Sarebbero andate insieme a quel ricevimento, anche se a Candy non piacevano le feste. Ci sarebbe stata lei per ridere e scherzare, e non sarebbe stata obbligata a passare la serata con Iriza e la sua nuova amica del cuore Emily...

Dall'altra fila di banchi della piccola cappella, Archie osservò gli occhi bagnati di lacrime della sua fidanzata. Nonostante fossero passati sei anni, ancora non riusciva a rassegnarsi. Perdere Stear e Candy a pochi mesi di distanza era stato un brutto colpo per entrambi. Chiuse gli occhi,  ricordando  quel giorno.

*******

Il giorno in cui all'improvviso George era arrivato a palazzo Andrew ed aveva chiesto di parlare immediatamente con Zia Elroy, che aveva lasciato i nipoti da soli nella sala del tè. Qualcosa di grave era accaduto.

"Sarà morto lo Zio William?" Aveva detto Iriza con un sorriso.

Archie non l'aveva degnata di una riposta. Ancora gli capitava di piangere, da solo la notte, quando pensava a suo fratello.

"Signorino Archibald, vostra zia desidera parlare con voi" George in persona era entrato a chiamarlo. La Zia lo attendeva nel suo salottino privato, pallida e agitata.

"Si tratta di Candice..."

"Candy? Che le è successo?" La zia esitava. Era chiaro che cercava le parole migliori per comunicar gli qualcosa di grave. Archie sapeva che Candy era partita un mese prima, all'improvviso, alla ricerca di Albert che se n'era andato da qualche mese. Non vedendo la tornare, lui e Annie avevano pensato che l'avesse trovato.  Chissà, forse si erano finalmente dichiarati e i due adesso vivevano felici e innamorati da qualche parte. Forse era questa la terribile notizia... Zio William cacciava Candy dalla famiglia perché era fuggita con un vagabondo!

"Archibald... suppongo che tu abbia letto quanto è accaduto a Wingermere. Tutti i giornali ne hanno parlato."

"Certo Zia, è stato il piu spaventoso incidente ferroviario mai accaduto, con un centinaio di morti. I giornali ne hanno parlato per settimane."

"Ecco figliolo...” il ticchettio dell’orologio da parete scandiva i secondi ed il coraggio di Zia Elroy. “.....Candice era su quel treno"

No. Non poteva essere. Di nuovo quella sensazione di gelo nel cuore. Non poteva essere successo qualcosa a Candy. Non ora.

"E....?" Aveva chiesto, deglutendo lentamente. Temeva le parole che sarebbero arrivate. La zia era visibilmente angosciata.

"È morta"

Il silenzio aveva seguito quelle parole. Archie era rimasto immobile, lo sguardo fisso sul volto distrutto della zia. Prima di piangere, prima che la sua mente registrasse il vuoto dolore di quella notizia, aveva pensato a Annie. Dentro di sè continuava a pensare che non fosse possibile. Gli sembrava di rivivere per l'ennesima volta lo stesso dolore. Ancora non aveva smesso di piangere per Stear...

"Immagino che siate sicuri di una notizia del genere..."

"Archibald, mi dispiace..." Aveva detto la zia, alzando le braccia verso di lui. Aveva accettato il suo abbraccio con una sorta di indifferenza, di indolenza. Aveva pianto talmente tante lacrime per Stear e prima ancora per Antony, che si sentiva vuoto. Non aveva più dolore dentro di sè, perché quello che doveva sopportare era troppo.

Aveva allontanato la zia con dolcezza, guardandola negli occhi. Continuava a ripetere che le dispiaceva. Erano lacrime sincere: per quando Candy non le fosse mai andata a genio, la zia era piuttosto scossa da quanto accaduto.

"Come l'avete saputo?"

"La polizia di Wingermere ci ha contattato perché una delle valigie delle vittime riportava il nome di Candy."

"La valigia... E... Lei?"

"Dall'incidente è passato un mese e le autorità hanno già provveduto alle esequie delle... salme" aveva risposto George, le cui parole formali non riuscivano a nascondore il tremolio della voce.

"Come in guerra, come in Europa... " Aveva sussurrato, chiudendo gli occhi da cui cominciavano a cadere le prime lacrime.

"Non vorrete dirmi che anche di Candy avremo una bara vuota!" sbottò, spalancando gli occhi all’improvviso.

"No Archibald. Io e vostro Zio William siamo stati a Wingermere. Una decina di persone non erano ancora state identificate. Una di loro era una giovane ragazza bionda, presumibilmente Candice".

"Presumibilmente?" Aveva chiesto con rabbia. George aveva abbassato lo sguardo, gli occhi lucidi.

"Vostro zio ha voluto far riesumare il cadavere della presunta Candice Andrew".

"E...?" Lo incalzó Archie.

"È poco carino da dire, ma era in avanzato stato di decomposizione. Ma si trattava di una donna bionda, con addosso uno dei vestiti che vostro zio le aveva regalato di recente"

 

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Capitolo 2
*** Venere non sorride ***


~~

Archie era corso da Annie. Era stato un miracolo che, tra le lacrime e la rabbia per quel l'ennesimo pezzo di cuore che la morte gli aveva portato via, non avesse fatto un incidente mentre guidava come un pazzo per le vie di Chicago. Forse la zia aveva ragione. Una  maledizione gravava sugli Andrew, solo che la zia aveva sbagliato, non era Candy a portare sfortuna, erano stati gli Andrew a portare sfortuna a Candy e a tutti loro...

Perché a lui no? Perché doveva sopportare tutte quelle perdite, una dopo l'altra, senza poter fare nulla?

Arrivato a casa Brighton, aveva chiesto di parlare con i genitori di Annie. Cosa avesse detto di preciso non lo ricordava.... La coppia, stupita dal suo aspetto insolito e scarmigliato, lo aveva mandato in giardino, dove Annie stava facendo una passeggiata. Annie... Annie... Si era messo a correre per le scale. Si era messo a gridare il suo nome, mentre correva per i viottoli del giardino dei Brighton. Finalmente l'aveva vista, lo stupore nel suo viso al vederlo arrivare così sconvolto, pallido. Si era gettato tra le sue braccia, stringendola più forte che poteva. Cosa sarebbe successo se il destino gli avesse portato via anche lei?

"Archie... Mi stai facendo male... Che succede?"

************

Il leggero colpo di tosse della zia Elroy, seduta di fianco a lui, aveva riportato Archie al presente. Era davvero strano quanto accaduto con la zia, che aveva fatto pace con Candy solo dopo che era morta. Chiaramente la donna era dispiaciuta di quanto le era accaduto, ma i primi mesi il suo dispiacere non era maggiore di quello che dimostrava per la dipartita di qualsiasi giovane di sua conoscenza. Aveva partecipato alla cerimonia indetta da Zio William quando le spoglie mortali di Candy erano state trasferite nel cimitero di famiglia e seppellite accanto alla tomba di Antony. Il suo volto grave e severo non aveva mostrato segni particolari di sofferenza. Ma nel corso dei mesi seguenti, il dispiacere si era approfondito così tanto da diventare, se non il dolore vivo che provava chi amava Candy, quantomeno un grave rimorso per non averla trattata come meritava. Il cambiamento dei sentimenti che muovevano il cura della zia si era palesato alla prima cerimonia organizzata alla Casa di Pony per il compleanno di Candy, un anno dopo la sua morte.

Tutti erano convinti che Madame Elroy non sarebbe mai stata in una umile cappella di un orfanotrofio, eppure, lei era apparsa, il volto non più impassibile ma segnato da emozioni ben più forti e più vive.  Da allora, ogni volta che parlava di Candy, la zia non smetteva di tesserne le lodi. Qualche volta, Archie aveva scorto un luccichio nei suoi occhi...

E non solo. Stupendo ulteriormente tutti coloro che la conoscevano bene, aveva convinto Zio William ad adottare un'altra trovatella della casa di Pony. La cosa aveva oltremodo irritato Iriza e Sarah Legan e stupito ancor di più Archie.

Elroy Andrew guardò di sottecchi il nipote. Quello che era seduto al suo fianco era immerso in pensieri tristi e dolorosi. In effetti, aveva pensato tante volte, Candy e Stear se n'erano andati troppo velocemente, troppo vicini. Archibald era rimasto solo, definitivamente l'unico rimasto di quei quattro ragazzini che le avevano provocato così tanti mal di testa. Non c'era da meravigliarsi che si fosse aggrappato con tanta forza a quella Annie Brighton... E  meno male che per Archie c'era stata lei. Madame Elroy non potè trattene un sospiro. L'altro suo nipote, quello che sarebbe arrivato tra qualche momento e che si sarebbe appoggiato alla parete della cappella, in fondo per non essere visto da nessuno, non aveva avuto nessuno a cui appoggiarsi per sopportare quel dolore.

Tutto era emerso alla luce lentamente, mese dopo mese, particolare dopo particolare. Dopo il suo viaggio a Wingermere, William era cambiato. Spento. Non aveva più visto un sorriso comparire sul suo viso, ogni giorno era più magro e più pallido, gli occhi sempre più arrossati e gonfi. Annullato qualsiasi viaggio di lavoro, gli appuntamenti d'affari ridotti al minimo, e quando tornava a casa, a Chicago o a Lakewood, si chiudeva in camera. Quelle rare volte in cui avevano parlato, William le aveva dato poche risposte. Freddo, sembrava che ogni sua domanda fosse inutile, le rispondeva a monosillabi.

Possibile che quel persistente stato di cattivo umore e indifferenza fosse stato causato dalla morte di Candy? Elroy non aveva mai compreso quali fossero stati i rapporti tra William e quella ragazza. Nonostante fosse stata adottata su richiesta dei nipoti, quelle rare volte in cui aveva parlato di lei con William, aveva avuto l'impressione che la conoscesse.

A settembre di quell'anno, una banale conferenza stampa aveva mostrato al mondo il volto di William Andrew. Nessuna festa, nessuna cerimonia, solo i giornalisti, i fotografi, e dietro al tavolo della sala conferenze del quartier generale delle imprese Andrew, finalmente, il capo della famiglia si era fatto vedere.

In quel primo mese i giornali si erano scatenati: tutti volevano sapere tutto di lui, dov'era vissuto, che aveva fatto, chi frequentava. Com'era prevedibile, il mondo aveva scoperto in suo nipote un uomo di nemmeno trent'anni, biondo, bello e indiscutibilmente ricco, vestito a lutto... Ben presto furono delusi, perché William non faceva alcuna vita sociale, nessuna donna attorno a lui, nel suo passato non avevano trovato nulla di particolarmente interessante, tranne quel piccolo particolare dei due lutti che recentemente avevano colpito la famiglia in circostanze così tragiche. Quei due lutti che William non aveva cessato di portare, nonostante fossero passati sei anni. Oramai per la stampa era diventato "Il miliardario in nero".

Al tempo della conferenza  stampa, Elroy aveva scoperto che William era caduto in depressione. George le aveva confidato che con grande sforzo tentava di nascondere ai collaboratori che William in realtà passava le giornate a guardare nel vuoto e a bere. Un giorno l'aveva affrontato, ed aveva avuto la conferma dei suoi sospetti: sì, William aveva conosciuto Candy, senza che lei sapesse chi lui era in realtà. E aveva scoperto quasi con orrore che quel vagabondo con cui la ragazza aveva abitato per più di un anno in quella scandalosa relazione che tanto la preoccupava, per la quale l'aveva fatta interdire da tutti gli ospedali di Chicago, quell'uomo era proprio William, che aveva perso la memoria e da lei era stato accolto, curato e amato.

Elroy aveva capito tutto troppo tardi. Quella ragazza era si una piccola selvaggia, orfana e senza regole, ma aveva un cuore piu grande di lei. Per la prima volta aveva capito perché tutti i suoi nipoti stravedevano per lei. Soprattutto William. Lui, che non aveva mai sopportato le regole, chiaramente si era innamorato di quella anima libera. Erano uguali. Tutte le volte che Candy l'aveva fatta penare quando aveva tentato di educarla, le faceva tornare alla mente tutta la fatica che aveva fatto con William.

Pochi mesi aveva deciso di accogliere in casa la piccola Catherine della Casa di Pony, un'altra trovatella. Le lunghe trecce castane di Cathy avevano sostituito i codini biondi di Candy tra i mal di testa di Elroy Andrew. Era stato difficile fare imparare le buone maniere, il linguaggio educato, la storia e il francese a quel piccolo demonio che scappava per arrampicar si sugli alberi e andare a pescare nel lago dove una volta scivolavano sull'acqua le imbarcazioni del povero Stear.

Eppure William, con tanta pazienza e dolcezza, l'aveva accompagnata lungo quel difficile percorso di crescita, e insieme erano riusciti in quello che non erano riusciti a fare con Candy. Elroy spostò velocemente lo sguardo da Archie a Catherine, seduta alla sua destra: una fanciulla elegante e ammodo, che sapeva comportarsi in società, anche se ogni tanto si prendeva qualche libertà di troppo. Come adesso,ad esempio... Per quale motivo continuava a girare la testa verso l'ingresso, lasciando sfuggire qualche risatina? Elroy girò il capo e tutto fu chiaro: quello zotico di Jimmy Carter le stava facendo dei gesti. Elroy sospirò, facendo appello a tutta la sua pazienza. Forse era l'influenza di Candice. Anche se lei non c'era più, pareva che il suo spirito benevolo continuasse ad avvolgere tutti quelli a cui aveva voluto bene. O forse erano i bambini allevati alla Casa di Pony che non sapevano comportarsi ad una commemorazione funebre...

"Smettila Cathy!" sibilò Neil all'orecchio della cugina adottiva. Elroy lo fulminò con lo sguardo. Nemmeno lui era immune a quella febbre di maleducazione che sembrava colpire i suoi nipoti? Iriza che aveva inventato una pessima scusa per non esse presente, William che come sempre era in ritardo e si sarebbe tenuto in disparte, invece di sedersi in prima fila, come sarebbe stato giusto che fosse.

"Senti chi parla! È un'ora che ti diverti a tirarmi i nastri del vestito!"

"Bugiarda! Sei tu che ci stai giocando mentre fai la civetta con quel contadino!"

Elroy impallidì. Nemmeno Candice e i ragazzi nel fior fiore della loro giovinezza l'avevano fatta vergognare così tanto. Pazienza per la sedicenne Catherine, ma Neil era un uomo fatto! Avrebbe dovuto contenersi! Per far cessare quei sussurri imbarazzanti si era chinata verso Cathy, guardando il nipote dritto negli occhi.

"Neil, caro, per favore puoi andare a vedere se Zio William è arrivato?"

Mentre ascoltava le orazioni, finalmente senza distrazioni causate dal comportamento dei nipoti, Elroy aveva ripreso il filo dei suoi pensieri.

Grazie anche alla presenza della piccola Catherine, William era uscito da quel primo duro periodo, aveva abbandonato l'alcool, si dedicava agli affari, qualche volta presenziava a qualche evento sociale, in cui era regolarmente attorniato da giovani donne. Elroy aveva a lungo sperato che tra di loro prima o poi trovasse una medicina per alleviare il suo dolore. Perché ormai ne era certa, William non avrebbe mai dimenticato Candy.

Da qualche tempo aveva cominciato a frequentare una giovane amica di Iriza, Emily. Stupida come una capra, talmente sciocca che Elroy non riusciva a sopportarla. Nemmeno il fatto di essere di una famiglia importante era riuscita a fargliela stare simpatica. Ma non c'erano dubbi, bastava guardarla in faccia per capire per qual motivo William gradiva la sua presenza: era sufficiente vedere i suoi grandi occhi verdi e le lentiggini che coprivano il suo volto per capire il motivo per cui, tra tante giovani donne, William l’avesse scelta.

L'ennesimo sospiro di Madame Elroy fece venire una crisi di nervi a Terence Graham, seduto dietro di lei. Il grande attore di Broadway già era particolarmente irritato per la presenza dei giornalisti fuori dalla cappella.

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Capitolo 3
*** Vieni, o notte ***


~~
Oh, non necessariamente erano li per lui, o almeno, non erano li solo per lui, però gli dava fastidio che la stampa si ricordasse della sua Candy, una volta all'anno, solo perché sperava di assistere ad una litigio tra vip, come si vociferava fosse accaduto durante il suo funerale, a Lakewood.

Che fortuna, si disse Terence, che quella quasi scazzottata tra lui e Neal non avesse avuto altri testimoni che gli Andrew e pochi altri. Sarebbe stato un brutto colpo per la  povera Susanna aver saputo la verità.

La verità era che, nonostante lui continuasse a giurare e spergiurare che aveva dimenticato Candy, che aveva deciso di andare avanti con la sua vita, con il teatro, in realtà lui si era sentito morire davvero, quando aveva ricevuto la notizia  da sua madre. Non ci aveva voluto credere.

In quel mesi del 1916 Terry era stato impegnato nella sua resurrezione. Ricordava ancora quella apparizione di Candy nel buio di quella stamberga, che a lungo aveva creduto fosse uno scherzo della sua immaginazione. E quando aveva scoperto che era davvero lei, ormai era troppo tardi.

Eleanor era arrivata a vedere le prove del piccolo spettacolo per cui l'avevano scritturato. Era ripartito da zero, non beveva, lo prendevano per le parti dei comprimari, ma andava bene lo stesso. Lui, come sempre, si era rifiutato di parlare con sua madre, che con gli occhi rossi e un fazzoletto in mano si era aggrappata al suo braccio, implorandolo. E aveva sussurrato quelle parole maledette...

Lui l'aveva guardata, negli occhi, per la prima volta da tanto tempo. L'aveva presa per le spalle, scrollandola forte, rispondendo che non era vero.

Sua madre gli aveva fatto vedere un giornale. C'erano due foto. Non ci aveva messo molto a capire che erano Stear e Candy. Le foto erano decisamente vecchie, i due erano poco più che ragazzini. Forse erano state scattate prima della partenza per il collegio.

Era rimasto stupito, sorpreso, ed anche un po' irritato nel leggere "Dopo anni in cui era rimasto nell'ombra, il grande magnate William Albert Andrew ha diffuso un comunicato  in cui rende nota una triste vicenda accaduta alla famiglia". E dopo righe in cui si elencavano le banche, i giornali, i cantieri, gli edifici commerciali ed i treni di proprietà degli Andrew, in fondo all'articolo, poche righe dicevano "nonostante le ripetute richieste di presenziare agli eventi mondani della primavera,  W.A. Andrew non ha partecipato a nessun ricevimento per rispetto dei due terribili lutti che hanno colpito la famiglia nell'ultimo anno: la prematura scomparsa del nipote Alistair Cornwell, caduto a novembre sul fronte  francese durante un combattimento aereo, e la morte della figlia adottiva Candice White Andrew, tra le vittime del terribile disastro ferroviario di Wingermere dello scorso febbraio. Le esequie della giovane Andrew si terranno in forma privata presso il cimitero di famiglia a Lakewood..."

Vittime. Lutti. Disastro.

....e Candy?

Esequie. Cimitero.

Cosa c’entrava Candy... morte?

"Wi... Wingermere?" Balbettò Terence guardando sua madre. I giornali per settimane avevano raccontato di quella tremenda carneficina. Un treno deragliato aveva preso fuoco, dopo dalle parti di Rockstown, la sera in cui aveva deciso di riprendere in mano la sua vita. Terence era rimasto bloccato tre giorni prima di riuscire a ripartire per tornare a New York, da Susanna.

Candy era sul treno che da Rockstown andava a Chicago... Il treno deragliato a Wingermere. "Mio dio... Quel giorno, nel teatro... Era davvero lei! Era venuta a vedermi!" Terry si era alzato all'improvviso, le mani tra i capelli, il volto disperato. "Ma perché non è venuta a parlarmi...?"

"Non era arrivata a Rockstown per parlare con te, Terry...."

"E tu come lo sai?"

"L'ho vista tra il pubblico, e le ho parlato..."

I rumori dei passi di Neal che ritornava al suo posto riscossero Terence dallo stato di semi trance in cui si era buttato. L'attore aveva guardato il giovane Legan con uno sguardo sprezzante, ricavandone in cambio un'espressione di puro odio.

Perché diavolo si era presentato lì, in mezzo a chi amava Candy e continuava a soffrire il dolore della sua mancanza? E cosa c'entrava in tutto questo la vecchia Elroy Andrew, che al pari dei Legan era sempre stata la peggior nemica di Candy, la causa di tutte le sue infelicità? Che cosa ci faceva lì seduta, tra quello stupido insulso di Archie Cornwell e la ragazzina che aveva preso il posto di Candy in quella odiosa famiglia? Che rabbia gli davano gli Andrew, tutti gli Andrew. Per Candy erano stati solo una grande fonte di sofferenza. Nessuno escluso.

Si volse, cercandolo con sguardo. Eccolo lá, il peggiore di tutti, vestito di nero come un vedovo inconsolabile... Era arrivato tardi e se ne sarebbe andato prima della fine. E pensare che all'inizio, appena lo aveva conosciuto, gli era stato così simpatico. Ed era così gentile con lei. Candy ne parlava sempre in termini entusiasti, lo ammirava, e gli voleva bene. Per lui era stato un modello da imitare, un esempio da seguire.  A lungo, dopo la rottura con Candy, aveva pensato che finché c'era lui al suo fianco, lei sarebbe stata bene. Forse felice. Felice come lui non era stato in grado di essere vicino a Susanna.  Maledizione. Anche Susanna era morta, due anni prima.

Maledizione! Si ripetè tra le lacrime che gli solcavano il viso. Tutte quelle lacrime per la morte del suo amore che aveva ingoiato per non far soffrire sua moglie erano rinate dal suo cuore quando aveva pianto sul letto freddo di Susanna.

Cathy cercava di non voltarsi con tutta la migliore volontà del suo cuore sedicenne. Ma era troppo difficile. Neil si era seduto di nuovo al suo fianco e ciò voleva dire solo una cosa: Zio William era arrivato. "Non girarti, non girarti, non girarti" ordinava una voce dentro di se è lo sguardo di Zia Elroy alla sua sinistra. Ma quel singhiozzo disperato, che proveniva dal banco dietro di le, le aveva fatto gelare il sangue. "No... Non può essere lui..." E la sventurata si girò, solo per ricevere un'occhiataccia da Madame Andrew.

Ma era già troppo tardi. Il volto del grande Terence Graham era solcato da lacrime. "Accidenti se è bello..." Il pensiero che l'aveva sfiorata mentre vedeva quegli occhi blu arrossati dal pianto l'aveva fatta arrossire. Si era girata mestamente, chinando il capo per nascondere quella strana emozione che si stava impossessando di lei, anche se non riusciva chiudere le orecchie al suono strozzato di quei singhiozzi. E a quel tirar su di naso, che stava facendo aumentare la frequenza dei sospiri irritati della zia.

"Idiota..." Sibilò Neal tra i denti.

Lentamente, timidamente, Cathy aveva afferrato il suo fazzoletto e si era girata. In quei pochi secondi che le sembrarono eterni, la sua mano si sporse oltre lo schienale, si fermò a mezz'aria e porse al grande attore il suo piccolo pezzetto di stoffa. Da tanto che se ne vergognava, non osava guardarlo in faccia.

 

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Capitolo 4
*** E allora ecco il tuo oro ***


~~
Attorno a lei, lo sguardo scioccato della zia, Archie che aveva trattenuto il respiro, gli occhi di Annie ingranditi dallo stupore. Cathy continuò a tenere la mano sospesa, e per darsi un tono aveva fatto scivolare lo sguardo sui suoi fratelli, seduti nella fila di banchi dietro al signor Graham. Prima su Tom, che la guardava perplesso, e poi su Jimmy, che dallo stupore aveva spalancato la bocca in una posa assai poco da diciottenne.

E quando ormai si era rassegnata a ritirare indietro la mano ed il suo misero, inutile fazzoletto, un leggero spostamento d'aria sollevò  il sottile pezzo di stoffa, mentre quella profonda voce vibrò nell'aria un "grazie" sussurrato eppure allo stesso  tempo grave.

Un brivido percorse la schiena di Cathy quando, mentre tornava a sedersi composta, i suoi occhi incrociarono quelli del grande Graham in un muto cenno di saluto. Si rimise a posto, accolta dallo sguardo sollevato della zia, dall'aria che i polmoni di Archie  avevano ripreso a respirare, dalle palpebre di Annie che sbattevano incredule. Aveva percepito nitidamente il leggero fischio  provenire dalla bocca di Jimmy e il piccolo colpo di tosse di Tom.

In fondo alla cappella, appoggiato allo stipite della porta, qualcuno aveva sorriso.

Per riprendersi, Cathy guardò Neal di sottecchi. Era livido di rabbia.

Tra i denti serrati sentì un mormorio basso, poco più di un grugnito. Non ci voleva tanta immaginazione per capire che la stava insultando. Certo, di tutti gli uomini con cui avrebbe potuto interagire, aveva scelto proprio quello che Neil odiava con tutto il cuore.

Ricordò con un brivido quanto era successo sei anni prima. Il Capo, come lei è Jimmy chiamavano Candy, era morta da poco. Era troppo piccola all'epoca per capire molte cose. Suor Maria e Miss Pony erano partite in fretta, in quell'auto nera che era arrivata a prenderle, assieme a Rose e Peter, che erano stati scelti tra tutti per salutare Candy in rappresentanza di tutti gli altri piccoli fratelli della casa di Pony.

Lei doveva rimanere a casa, se non fosse stato per Jimmy che si era impuntato e voleva portarla con sè e suo padre. Ricordava lo stupore che l'aveva assalita all'arrivo a Lakewood, in quell'enorme tenuta,  l'arrivo di tutte quelle automobili lucide e nere, tutti quegli uomini vestiti di nero, e quelle donne eleganti coi fazzoletti in mano. La piccola Cathy si era resa conto per la prima volta che Candy era una persona importante, se persone così ricche venivano a salutarla. Nella sua piccola testa si chiedeva se quella era la casa di Candy.

I suoi occhi si erano fatti grandi di stupore quando una bellissima ragazza dai lunghi capelli neri, che avanzava sottobraccio ad un ragazzo bello quanto lei, si era sciolta in lacrime tra le braccia di Suor Maria e Miss Pony. Il suo sguardo muto e stupito si posó su Tom, quello che tutti i bambini di Pony consideravano il loro fratello maggiore, l'unico che assieme a Candy andava a trovarli e a giocare con loro nonostante avesse una casa e una famiglia vera da tanto tempo.

E Tom, anche lui con l'aria triste e abbattuta, aveva svelato con un mezzo sorriso che quella era Annie. "È nostra sorella ragazzi, proprio come Candy. Le ho trovate io, sono arrivate da noi lo stesso giorno d'inverno..." Per la prima volta, Cathy si rese conto che forse, essere adottati non era poi una gran disgrazia. Aveva pianto tanto quando Jimmy era stato adottato dal signor Cartwright, disperata, ed era stata Candy ad abbracciarla, a dire che la capiva, ma che doveva essere contenta per Jimmy e la famiglia che aveva trovato.

Un po' in disparte si udirono voci maschili che gridavano. Il bellissimo ragazzo che aveva accompagnato Annie precipitò verso un gruppo di persone raggruppate all'ingresso del piccolo cimitero che era sorto al confine tra il grande parco di Villa Lakewood e la foresta. Anche Tom si era affrettato a raggiungere il gruppo mentre Jimmy e Cathy lo seguirono, impauriti, tenendosi per mano.

Due giovani uomini stavano litigando e stavano per passare alle mani, ma Tom ed il bel ragazzo erano arrivati giusto i tempo per separarli.

"Vattene Legan! Non hai il diritto di stare qui! Bastardo schifoso!" Urlava quello che Tom stava tenendo fermo da dietro, prendendogli i gomiti, mentre dalla sua bocca uscivano insulti irripetibili.

Cathy e Jimmy, seminascosti dalla schiena del loro fratello maggiore, non riuscivano a vedere bene chi fosse, mentre davanti a loro il bel ragazzo (forse il fidanzato di Annie? Ipotizzava tra se Cathy) riusciva a stento a trattenere un giovane dalla pelle abbronzata e i capelli chiari, che rosso in faccia e semi strozzato dalla sua presa, stava urlando "io la volevo sposare!"

"Smettetela!" un grido più forte squarciò l'aria.

Il bel ragazzo era riuscito a far cadere a terra l'uomo che stava trattenendo e si era alzato con uno sguardo bruciante, mentre i suoi occhi azzurri si posavano alternativamente tra i due litiganti, fulminando li con lo sguardo. I capelli lisci e un po' lunghi erano mezzi arruffati, il petto si alzava ed abbassava affannosamente, i pugni si chiudevano sempre più stretti e la bocca assumeva un'espressione di profondo disprezzo e profondo dolore.

"È stato lui..." Aveva tentato di dire l'uomo a terra, mentre si teneva il braccio sinistro dolorante.

"Ho detto smettetela"

“Cornwell, perchè è qui questo bastardo? Lo sai benissimo tutto il male che ha fatto a Candy...”

“Non dire stronzate! Sei tu che l’hai abbandonata per quell’attricetta! Sei tu che l’hai gettata tra le braccia di quel vergognoso farabutto che si è approfittato di lei... Io la volevo sposare!”

"Basta! Se non siete in grado di comportarvi come si deve tornatevene a casa. Siamo qui piangere per Candy. Persino i bambini della casa di Pony si stanno dimostrando essere più adulti di voi due".

"Ma..." Aveva tentato di dire l'uomo dai capelli scuri che Tom stava ancora tenendo fermo.

"Ho detto basta! Devo essere sempre io quello con la testa sulle spalle? Smettetela di comportarvi come due galli. Dobbiamo seppellire una parte del nostro cuore oggi, e io non so più quanto cuore mi sia rimasto ancora nel petto..."

La voce del bel ragazzo tremava, mentre diceva le ultime parole, che sembravano davvero aver raffreddato gli animi dei due litiganti. Lentamente, quello che era a terra s'era alzato, andando a raggiungere tre donne eleganti e vestite di nero che stazionavano in un angolo del camposanto, dove la terra era pronta a raccogliere la bara che conteneva quel che era rimasto di Candy.

Tom aveva mollato la presa sul l'altro, che si era voltato.

Lì, per la prima volta, Cathy l'aveva visto.

Lunghi capelli scuri incorniciavano un viso dai lineamenti al tempo stesso forti e delicati. Le labbra contorte in una smorfia dura, gli occhi seminascosti da una ciocca, le lacrime rigavano le guance sulle quali una barba di due giorni cresceva disegnando ombre scure su quel viso da cui non riusciva a distogliere lo sguardo.

"Cathy, chiudi la bocca. Sei imbarazzante. Smetti la di guardare quel tipo."

Alle parole di Jimmy, Tom non era riuscito a fare a meno di sorridere. mentre li allontanava dal giovane in lacrime,  sussurrò ai due bambini "quello è Terence Graham. È un attore, gira i teatri del mondo facendo sospirare migliaia di ragazze."

Cathy era arrossita, non sapendo come ribattere. Non era colpa sua se la parola "bello" era troppa poca cosa per descrivere quel giovane che le stava a pochi passi.

"E Candy lo conosceva?"

"Era il suo innamorato".

Lentamente, si erano avvicinati anche loro al gruppo fermo sull'erba, di fronte alla fossa aperta. Mentre Cathy pensava ancora una volta quanto speciale fosse stata Candy, visto che aveva trovato un innamorato così... così.... indescrivibile.

 

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Capitolo 5
*** Esci da questo nido di morte ***


Ringrazio tutti i silenziosi lettori che hanno cominciato a leggere la mia storia. Mi scuso per gli errori che spuntano qua e là, purtroppo scrivo su telefono e come sapete, i correttori ortografici fanno di testa propria. Non ho un beta reader, in un certo senso siete voi i miei beta, quindi non fatevi problemi a segnalarmi gli errori!

Il tema è molto forte. Mi sono sempre chiesta come avrebbero potuto reagire gli amici di Candy di fronte ad una sua prematura scomparsa. Indubbiamente, la presenza di Candy ha operato tutta una serie di trasformazioni nelle loro vite, e allo stesso modo la sua perdita li avrebbe segnati allo stesso modo.

Spero di non deludere nessun fan dei nostri amati personaggi, poiché li faccio agire in alcuni casi in un modo imprevisto. Ho cercato di mantenerne il carattere, anche se alcuni comportamenti sono diversi da quelli cui ci hanno abituato l'anime ed il manga.

In questa FF ho inventato un nuovo personaggio, Catherine. Non pensate male di lei, anche se ha alcune caratteristiche che la rendono simile a Candy non è una Mary Sue, è solo una figura  che mi garantisce un punto di vista diverso alla vicenda e che mi permette di creare nuovi collegamenti tra i vari personaggi. Niente paura quindi: Terence non perderà la testa per lei, Albert nemmeno (anzi, Cathy è DAVVERO la figlia adottiva che Candy non è mai stata), non diventerà amica del cuore di Annie (anzi, il rapporto tra loro sarà solo di reciproca e cortese simpatia ma nulla di più) e non avrà rapporti burrascosi con Zia Elroy, sebbene non sarà tutto rose e fiori. Anche il suo rapporto con i fratelli Legan non ricalcherà pedissequamente quello vissuto dalla sorella maggiore.

Perché la vera protagonista di questa storia è l'assenza di Candy e i sentimenti che ha lasciato nell'animo di chi l'ha amata (ma anche di chi non riusciva a sopportarla).

 



A pochi passi dalla fossa, sopra a una lapide ricoperta di fiori recisi la foto di un pilota con gli occhiali sorrideva al bel ragazzo di prima, il "fidanzato" di Annie, che teneva la testa  bassa e spesso portava le mani al viso, nel tentativo di asciugare le lacrime che indubbiamente gli attraversavano le guance. Annie, gli occhi rossi e le mani accartocciate l'una sull’altra, si era avvicinata a lui lentamente, posando piano la mano sulla sua spalla. Il ragazzo aveva inclinato il capo, appoggiando la guancia sulle sue dita.

Un leggero colpo di tosse da parte di Tom e Cathy aveva distolto lo sguardo dai due innamorati, uniti nel profondo dolore che sembrava quasi stesse per spezzarli.

Chi era quel pilota con gli occhiali? Com’era morto? La lapide diceva che era morto a novembre. Pochi mesi prima. Alistair Cornwell.

Il sacerdote mormorava le sue preghiere, seguito dalle facce mute di dolore e dai singhiozzi soffocati che qua e là sgorgavano dai cuori di chi aveva amato Candy. Il vento di aprile scendeva dalle montagne passando leggero tra le corolle di fiori che crescevano tra i prati, tra i vialetti di ghiaia del cimitero, tra le lapidi di marmo grigie che spuntavano dall'erba.

Cathy piangeva, mentre stringeva la mano di Jimmy. Candy, la loro sorella, non c’era più. Quello che rimaneva di lei era rinchiuso in quella bara bianca. Di fianco alla fossa scavata per lei un’altra lapide con un altro nome che il tempo cominciava a corrodere. Anthony Brown. Chissà chi era.

*********

La funzione nella piccola chiesa della casa di Pony terminò con un ultimo, solenne Amen pronunciato dalla piccola assemblea. Tutti i partecipanti si riversarono fuori, sul piccolo prato davanti all’orfanatrofio, dove un piccolo rinfresco li attendeva. Era una splendida giornata, in cui la primavera matura sbocciava in una giovane estate carica di promesse.

Neal schizzò fuori per primo, il volto scuro, come se stesse scappando. Annie si ricongiunse immediatamente al suo fidanzato, che stava accompagnando Madame Elroy fuori dalla chiesa. Jimmy Carter si alzò dal suo posto, raggiungendo Cathy che, in piedi in mezzo alla piccola folla in movimento, fissava frenetica i volti attorno a se mentre cercava faticosamente di guadagnare l’uscita.

“Che c’è Cathy?”

“Non lo vedo.. dov’è?”

“Di chi stai parlando... di Terence Graham? Guarda che è ancora seduto al suo posto! Non si è neanche alzato!” rispose Jimmy, con il braccio che puntava verso l’attore, seduto al suo posto con il volto nascosto tra le mani.

“No... cerco lo Zio William. L’hai visto?”

“No.”

Usciti dalla chiesa, il sole improvviso accecò per un momento gli occhi scuri di Cathy, che non aveva visto lo scalino e stava perdendo malamente l’equilibrio. Ma un paio di braccia forti e familiari la strinse saldamente, impedendole di cadere. Jimmy? Pensò subito. Ma la voce che le sussurrò all’orecchio non era quella di Jimmy:

“Sei sempre la solita. E sì che sei cresciuta qui, dovresti ricordarti che c’è lo scalino”.

“Scusa Tom...grazie. è che sono un po’ in ansia per zio William. L’hai visto?”

“No Cathy. è già andato via. Come fa sempre.”

Automaticamente, sia Cathy sia Tom alzarono lo sguardo verso la collina del Papà Albero. Lassù in cima, una figura umana nerovestita si stagliava contro il cielo azzurro, a pochi passi dal tronco dell’albero. Troppo distante per vedere cosa stava facendo, Cathy sospirò.

“Ogni anno è così. Fin dalla prima volta. Quando è l’otto di maggio, mi alzo, faccio colazione con Neil e la zia e veniamo qua. Lo Zio si chiude in camera, parte da solo, senza di noi, arriva tardi alla funzione per rimanere in fondo, appoggiato alla porta, e poi prima che finisca, prende la strada della collina di Pony e se ne sta lassù tutto solo. Ho sempre cercato di raggiungerlo, ma se anche mi vedeva arrivare se ne andava, scendendo dall’altra parte. Poi non lo vediamo fino la mattina dopo. Non è a Lakewood, non è nella casa di Chicago, non è negli uffici della Andrew Corporation. Scompare per un giorno e poi riappare, di solito un po’ più pallido e con un sorriso molto triste”.

“E ti dispiace?” chiese Tom, mentre lentamente cominciarono a incamminarsi verso i tavoli del rinfresco.

“Sì. Anch’io volevo bene a Candy, tutti noi le volevamo bene... perché in questa giornata lui non vuole mai dividere il suo dolore con noi? Anche Terence Graham e Neal accettano di stare mezz’ora sotto lo stesso tetto. Perché lo zio deve fare così?”

Prendendo un bicchiere di limonata, Tom pensò a cosa rispondere a sua sorella.

“Non lo so Cathy, non ho mai conosciuto molto bene tuo zio, non saprei che dirti. Prova a chiedere a tuo cugino Archibald, forse lui lo conosce meglio e sa dirti perché si comporta così. Io posso solo immaginare che tuo zio volesse molto bene a Candy e che la sua morte lo abbia ferito molto. Era la sua figlia adottiva. Non pensi che sarebbe altrettanto distrutto se succedesse qualcosa a te?”.

“Sì, probabilmente hai ragione.” concesse Cathy addentando una tartina mentre sorrideva verso Archie, la zia e Annie che li stavano raggiungendo. “Zio William voleva davvero molto bene a Candy, vero?” chiese a Tom, includendo tutti i presenti nella domanda.

Zia Elroy deglutì senza dire nulla, distogliendo lo sguardo per mettersi a fissare intensamente i ricami della tovaglia. Archie e Annie guardarono dapprima Cathy con un certo stupore dipinto in viso, per poi scambiarsi uno sguardo imbarazzato. La giovane rimase interdetta dalla reazione, ma non ebbe il tempo di pensarci troppo perché la zia interruppe a bruciapelo la conversazione chiedendole:

“Dov’è Neal? Dobbiamo rientrare. Catherine, cara, fammi la cortesia di cercarlo e dirgli che siamo in ritardo. Stasera dobbiamo essere al palazzo del governatore, per incontrare Madame Volkonskaja.”
“Certo zia, vado subito. Sarà andato a fumare da qualche parte...”

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Capitolo 6
*** Un veleno peggiore ***


~~

Catherine trovò Neil esattamente dove aveva immaginato che fosse. Sul retro della Casa di Pony c’era il piccolo orticello di Suor Maria. Alla fine del viottolo di ciottoli, il giovane Legan si era seduto a fumare seduto sulla staccionata che delimitava la proprietà dell’orfanatrofio dal bosco di faggi. Anche se le dava le spalle, Cathy indovinò che l’umore del cugino era nero, più che nero. Le spalle si alzavano e abbassavano bruscamente, accompagnando l’aspirazione stizzita del fumo. La ragazza esitò. Se Zio William in quella giornata era inavvicinabile, Neal era intrattabile.

Cathy voleva bene a Neal. Anche se era un damerino viziato e donnaiolo. Anche se la trattava in modo brusco, prendendola a male parole e insultandola spesso, nonostante i ripetuti rimproveri di Zia Elroy. Cathy voleva bene a Neal perché nonostante i suoi modi, era da sempre stato il suo difensore nei confronti di Iriza. Catherine era da sempre il bersaglio d’infiniti scherzi e malignità da parte di sua cugina, che nonostante fosse ormai una signorina dell’alta società, non aveva perso il vizio di divertirsi alle spalle dei più deboli.

Nonostante gli ampi sorrisi e le dolci parole di Miss Legan, Cathy aveva presto dovuto subire le sue sottili angherie. Erano così astute e ben congegnate che Iriza non era mai scoperta, perché apparivano sempre come casualità inspiegabili o come errori imperdonabili commessi da Cathy. Inizialmente, Neal si limitava a metterla in guardia e a darle consigli, ma dopo i primi tempi si erano visti dei litigi furibondi tra i fratelli Legan, perché lui si era messo apertamente contro sua sorella e le impediva, a volte anche in maniera brutale, di mettere in difficoltà Cathy con le sue macchinazioni.

Per lei, Neil era anche più di un semplice cugino. Non era come con Archibald, così elegante e gentile, ma anche così lontano, impegnato nei suoi studi per tutti quegli anni. Neil era come un fratello, con il quale si comportava allo stesso modo con cui si comportava con Jimmy, o Tom. Lo prendeva in giro, e si insultavano anche, a volte, ma vederlo così nervoso e triste, fumare in solitudine seduto sulla staccionata, provocò a Cathy una grande stretta al cuore. La stessa che provava al pensiero di Zio William, e che prima aveva sentito, in misura minore, anche per Terence Graham.

“Oh Candy... ti volevano tutti molto bene eh? Terence Graham era il tuo fidanzato, Neil ti voleva sposare... ma che ci facevi tu, agli uomini?” pensò Cathy, vergognandosi quasi subito del pensiero che aveva avuto. Candy era bella. Molto bella. Radiosa, felice. Era coraggiosa. Ed era libera. E aveva un cuore pieno d’amore per tutti...

Persa nei suoi pensieri, non si accorse subito che Neal stava parlando con qualcuno, nascosto nel boschetto dei faggi. Ma quando Neal scese dalla staccionata togliendosi la giacca, Cathy capì che qualcosa di grave stava per accadere e si affrettò a raggiungerlo alla fine del viottolo.

“Neal! Dobbiamo rientrare! La zia ci aspetta!” urlò trafelata, dopo la corsa che le aveva mozzato le gambe ed il respiro. L’uomo si era voltato a guardarla, la mascella serrata, mentre si arrotolava le maniche della camicia sugli avambracci, lo sguardo torvo.

“Torna indietro Cathy. Dì alla zia che arrivo subito.”

“Ma chi abbiamo qui?” chiese la voce dell’uomo nascosto nel boschetto. Era familiare, in qualche modo, ma Cathy non la riconobbe subito.

“Oh, la piccola orfanella che è stata adottata dagli Andrew. Dì un po’ Legan, nella vostra famiglia avete un hobby ben strano, no?”

“Sta’ zitto Granchester.”

Granchester? Pensò Cathy, nonostante la voce fosse familiare, il nome dell’uomo nascosto nell’ombra non le diceva nulla. Eppure, quella situazione le sembrava un déjà-vu.

“Adottare belle ragazze orfane... beh, molto pratico. E questa di che prezzo grosso della famiglia diventerà amante... tua Legan?”

“Vai al diavolo!” urlò Neil, lanciandosi tra gli alberi “Adesso scappi? Sei un pezzo di merda, un vigliacco! Candy è morta perché tu l'hai abbandonata!”

“Non è vero!” E furono urla, colpi, grugniti, tonfi, rami che si spezzavano e colpi, colpi, colpi, e ancora urla. Cathy tremò. Un conto era assistere alle zuffe tra i suoi fratelli della casa di Pony, bambini, ma mettersi in mezzo tra due uomini grandi e grossi non era per lei. In un momento di relativo silenzio, raccolse a sé il coraggio che aveva e si addentrò tra il fogliame. In mezzo agli alberi, qualche decina di metri più avanti, scorse due forme, di cui una a terra. Cominciò a correre, preoccupata.

“Sta’ lontana Cathy!” urlò verso di lei la figura riversa a terra nel sangue. Con orrore, Cathy si rese conto che Neal aveva avuto la peggio nello scontro e tentava di rialzarsi, tossendo e sputando sangue.

“Ma no, ma no Miss Andrew, non deve aver paura di me.” furono invece le parole dell’altro uomo che si stava avvicinando a lei. Le si gelò il sangue nelle vene quando si rese conto che si trattava di Terence Graham, con il labbro spaccato, i capelli sugli occhi e il sangue - probabilmente di Neal- a imbrattargli il vestito.

“Lei è un mostro!” urlò all’indirizzo dell’uomo, gettandosi verso Neal che continuava a tenersi il ventre, piegato in due.

“Oh no signorina, io non sono un mostro. Il signor Legan lo è. Lo sa vero, che quando studiava in Inghilterra aveva convinto un gruppo di suoi amici a picchiare e a stuprare Candy?”

“Lei sta mentendo!” urlò ancora Cathy, rendendosi conto solo in quel momento delle lacrime che le scendevano dalle guance.

“Assolutamente, è la pura e semplice verità. Chieda ad Archibald Cornwell o a Miss Brighton. Le confermeranno quanto le ho detto. Loro sono al di sopra di ogni sospetto, vero? Sono brave persone, non le mentirebbero mai”.

“Non ci credo! Non è vero!” rispose di nuovo, sostenendo Neal che riusciva a malapena a mettersi in piedi.

“Le ha mai raccontato, il suo caro cugino, che tornati in America ha fatto rapire nuovamente Candy, questa volta occupandosi personalmente di disonorarla per costringerla a sposarlo?”

“Non dire stronzate” sibilò Neal tra i colpi di tosse, stringendo le mani attorno alle spalle di Cathy per sostenersi.

“Cosa? Parla più forte Legan, che non ti sento!”

“Stronzate! Candy ormai era già stata disonorata... io la volevo salvare...”

“Che uomo di alti principi...per quello l'hai intrappolata in una casa dove l'avevi attirata facendo finta di essere me?”

“La smetta signor Graham. Non vede com’è ridotto mio cugino...  se ne vada! Ci lasci stare!”

“Zia Elroy non voleva... diceva che era una poco di buono... che era disonorata...” continuava a mugolare Neal, ormai quasi sul punto di perdere di sensi.

“In effetti questo è vero. Lo sa, Miss Andrew, chi è stato quel bastardo che ha approfittato dell’innocenza e della fiducia che Candy riponeva in lui?”

“Sta zitto! Smettila! Non glielo dire!” urlò Neal, cadendo in ginocchio.

“E perché no Legan? Lo vuoi proteggere? Perché?”

“Neal ti prego, non rispondergli, Neal... La smetta signor Graham, la prego!”

Neal alzò la testa, fissando Terence Graham negli occhi. “Non me ne fotte un cazzo di lui... ma non dirglielo.”

“E perché mai?”
“Guardala, cazzo!” urlò Neal, al limite delle forze.  “Cosa credi, che in questi anni io non abbia mai voluto dire... al mondo intero... che uomo di merda sia? Pensi... che non ci abbia mai provato?” e svenne.

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Capitolo 7
*** Le passioni hanno violenta fine ***


Neal... NEAL!” urlò Cathy disperata scuotendo le spalle del cugino. “Svegliati, svegliati!”
 
“Non si preoccupi, Miss Andrew, non è che io abbia picchiato forte, purtroppo è suo cugino che è uno smidollato e non ha sopportato nemmeno un paio di pugni in corpo.” disse Terence Graham, pulendosi il labbro ed il volto con la manica della camicia.
 
“Sta scherzando vero? Neal sta sputando sangue... avrà un’emorragia interna...” Cathy prese tra le mani il volto esangue di Neal, non sapendo che fare.
 
“Naah. Si sarà rotto un po’ il naso. O al massimo si sarà rotto un dente.” le rispose Graham accendendosi una sigaretta.
 
“E che cosa sta facendo ancora qui? Se ne vada! Altrimenti dovremo chiamare la polizia...” una grassa risata accolse le parole di Cathy. Graham si teneva al tronco di un albero, ridendo a pieni polmoni e facendo innervosire sempre di più la ragazza.
 
“Non mi faccia ridere Miss Andrew. La vostra famiglia è troppo importante perché lasci un evento del genere in pasto alla stampa. Il giovane Legan coinvolto in una torbida lite con un famoso attore... chissà come si divertiranno i giornali.” I lineamenti contratti di Cathy caddero in un’espressione di delusione, facendo divertire ancor di più Terence, che si avvicinò, chinandosi su di lei e soffiandole in faccia il fumo della sua sigaretta.
 
“Potrebbero anche inventarsi che la causa del litigio sia stata lei, Miss Andrew. Anche se non è una gran bellezza...” concluse, sorridendole con fare canzonatorio prima di voltarsi.
 
Mentre si allontanava, convinto di aver mortificato l’amor proprio di quella piccola Andrew, una domanda lo fermò a metà strada: “Perché, mia sorella era più bella di me?”
 
Terence, immobile e senza voltarsi, sibilò tra i denti “Cosa intendi dire, ragazzina?”
 
“Mi ha capito benissimo, signor Graham. Mia sorella Candy, era più bella di me?” Cathy si era alzata in piedi, l’orgoglio da bambina della casa di Pony che le infiammava le guance, le labbra serrate, pronta a qualsiasi risposta.
 
Terence le fu addosso in pochi secondi, afferrandola per le spalle, stringendole forte il mento con una mano, il viso a pochi centimetri dal suo: “Senti, sbarbatella, tu Candy non la devi neanche nominare. Lavati la bocca col sapone prima di pronunciare il suo nome... Altro che sorella! Solo perché quello schifo di famiglia ti ha adottata, chi ti credi di essere?”
 
Lo schiaffo di Cathy colpì Terence Graham con una forza e una velocità che  stupirono prima i suoi sensi e poi il suo orgoglio. Ma le parole della ragazza, se possibile, facevano ancora più male. “Perché lei, signor-grande-attore-dei-miei-stivali, chi è lei per potersi permettere di pronunciare il nome di mia sorella?”
 
D’istinto Terence arretrò di un passo, la mano posata sulla guancia bruciante. La ragazzina della casa di Pony era ancora lì, la testa alta e gli occhi infuocati. Le parole avevano abbandonato la mente dell'attore, lasciandolo muto di fronte all'esplosione verbale che proveniva da quella ragazzetta di fronte a lui.
 
“Candy mi ha visto arrivare qua appena nata, mi ha tenuto in braccio, mi ha asciugato le lacrime e mi ha fatto ridere, mi ha insegnato ad arrampicarmi sugli alberi, ho pianto quando gli Andrew l’hanno adottata, ho riso delle sue gioie, appena ho imparato a scrivere le mandavo le lettere assieme a tutti i miei fratelli della Casa di Pony... Candy era la mia famiglia più di quanto lo possano essere mai tutti gli Andrew messi insieme... e chi è lei per dire a me di non nominarla?”
 
Gli occhi di Terence si facevano sempre più grandi ad ogni frase, ammutolito dalla potenza delle emozioni di quella... Come definirla? Orfanella? Ragazzina? Ribelle? Cos'era quel modo di comportarsi del tutto fuori luogo di fronte ad un adulto, da parte di una giovane della buona società?

“Chi si crede di essere? Lei, che ha preso a pugni Neal? Pensa che Candy ne sarebbe felice? Che cosa pensa avrebbe fatto mia sorella a vederla comportarsi così?”
 
All’improvviso, Terence batté le palpebre, cogliendo il senso delle sue parole. Di sicuro, Candy si sarebbe arrabbiata. Non aveva difeso nessuno, attaccando briga con Legan. Aveva solo sfogato il suo odio nei confronti degli Andrew per come avevano trattato male Candy.

Abbassò la testa, mentre guardava le sue mani che avevano ancora qualche traccia di sangue. Suo o di Neal, non importava neanche più. In realtà, Terence avrebbe voluto picchiare a sangue un altro. Ne era ben consapevole. Si girò, per non far vedere alla piccoletta che gli stava davanti le lacrime che gli bruciavano dentro gli occhi.

Sospirò. Piano, tanto da non essere udibile, ma il movimento delle sue spalle e della sua cassa toracica non passarono inosservati agli occhi di Cathy, che teneva lo sguardo fisso sull'attore. "Tra un po' picchierà anche me" pensò la giovane. E invece, le giunsero le parole che meno si sarebbe aspettata di sentire, per lo meno in quel momento.
 
“Io... io... io l’amavo.” sussurrò Terence agli alberi intorno.

Il suono della sua voce si spense tra le fronde degli alberi. L'attore rimase immobile, ad osservare un piccolo faggio che cresceva a pochi metri da lui. Cathy valutò tra sè cosa rispondere. Poteva anche andarsene, a chiamare qualcuno per recuperare Neal svenuto, ma qualcosa la trattenne.
 
“Tutti qui l’amavamo, signor Graham.” 

Il silenzio accolse la sua frase, ma il torace dell'attore si mosse più di una volta. Buon segno. Cathy continuò.

"E per quanto lei faccia fatica ad accettarlo, anche gli Andrew l'amavano. Anche Neal."

"Stia zitta, signorina." Rispose subito lui, voltandosi aggressivo "ho capito che non è esattamente un esemplare tipico di quella famiglia, ma lei non ha la più pallida idea di cosa sia successo a Candy, negli anni in cui ha vissuto con loro... E anche quando ne era lontana!"

"E allora me lo racconti lei,  Signor Graham, che cosa hanno fatto gli Andrew a mia sorella!" Chiese lei, tremando un po' per l'enormità della richiesta.

Lo sguardo di Terence passò in lampo dalla disperazione alla determinazione. Una lacrima pendeva ancora all'angolo dell'occhio destro, quando un sorriso beffardo contrasse i  muscoli del viso. "Perchè no? La sua richiesta, Miss Andrew, mi alletta non poco. Purtroppo le cose da raccontare sono molte e temo che oggi non riuscirei a dirle tutto quanto meriterebbe la sua attenzione. Inoltre, ho un treno che mi aspetta per riportarmi a New York in tempo per le prove di domani. Sarà per la prossima occasione".

E si era mosso verso Neal, caricandoselo sulle spalle sotto l’occhio stupito e anche un po’ ansioso di Cathy, che cercava di sostenere, per quanto possibile, la testa del cugino penzolante e priva di sensi. Nel movimento, il tabacco e le cartine di Neal scivolarono dalla tasca della giacca e si riversarono sull'erba.

Terence, indeciso se raccoglierle o meno, si fermò, solo per vedere Miss Andrew precipitarsi a raccoglierle con le sopracciglia aggrottate. In pochi secondi, la giovane aprì il coperchio della tabacchiera finemente intarsiata e rovesciò il contenuto sul terreno, disperdendolo attorno. Con un movimento fulmineo nascose le cartine in qualche piega del vestito, tanto velocemente che nemmeno Terence si accorse dove. 

Mentre la ragazza riponeva la tabacchiera da tasca nel panciotto di Neal, incrociò lo sguardo perplesso dell'attore. Arrossendo un po', Cathy cominciò a giustificarsi: "Fumare è un brutto vizio, non trova? Quando scopro il tabacco di mio cugino glielo nascondo o lo butto via. So che lo comprerà di nuovo, ma almeno per qualche ora o per una giornata i suoi polmoni riposano un po'".

Cathy vide l'espressione seria del Signor Graham mutare lentamente. Gli occhi blu si scostarono da lei per mettersi a fissare un punto lontano, tra le foglie. I lineamenti si erano distesi e un lievissimo sorriso aveva spianato le ombre che sempre si notavano sul suo volto. Chissà a cosa stava pensando. Un ricordo, probabilmente felice.

Si incamminarono fuori dal boschetto di faggi, oltrepassando la staccionata alla fine del viottolo. D'un tratto, dopo il lungo e meditabondo silenzio che aveva impegnato l'attore nel suo strano sorriso, una leggera risatina soffocata si sentì provenire dalla gola di Terence Graham. Questa volta fu il turno di Cathy di lanciare un'occhiata perplessa.

"Sa una cosa, Miss Andrew? Mi ero davvero sbagliato. Mi scuso per le mie imperdonabili parole di prima. Lei è davvero la sorella di Candy.”

L'affermazione non stupì più di tanto la ragazza. "Candy per me è stata non solo una sorella, ma un modello da imitare. Quando non so cosa fare, penso a come si sarebbe comportata Candy al mio posto... Beh, a volte comportarmi così è più un male che un bene. Almeno a detta di Zia Elroy. Per fortuna lo zio è sempre dalla mia parte, anche ieri mattina..."

"E sua cugina Iriza? Come sono i rapporti con lei?" La interruppe a bruciapelo Terence, come se volesse cambiare argomento urgentemente. 

"Oh, anche lei la conosce? Beh... Da Iriza ci si deve aspettare qualsiasi cosa. I miei primi mesi con gli Andrew sono stati terribili a causa sua, meno male che c'è Neal..." Rispose Cathy, senza trattenere un sorriso all'indirizzo del cugino incosciente che dondolava sulle spalle di Terence Graham. Pensandoci un po', la situazione era davvero irreale.

"Perché ha detto meno male che c'è Neal?"

“Non è certo un santo, lo so. Perde tempo a spender soldi tra donne di malaffare, non lavora, non fa nulla, è scorbutico e maleducato, mi tratta a male parole e spesso mi insulta, ma è solo un comportamento esteriore. Mai una volta ha osato farmi del male. Anzi, mi ha sempre difeso da Iriza. Hanno persino litigato pesantemente per causa mia.”
 
Un leggero sorriso si era fatto strada tra le labbra di Terence all’idea dei fratelli Legan che litigavano. Anche se in maniere indiretta, era sempre merito di Candy, no? O meglio, dell'influenza che Candy aveva avuto su quella ragazzina. “Iriza... Davvero Neal ha litigato con lei?” chiese, alzando gli occhi verso Cathy.
 
“L’ho visto coi miei occhi signore” gli rispose la ragazza, gli occhi scuri aperti come quelli di un bambino che giurava su quanto aveva di più caro al mondo.
 
Continuarono a camminare in silenzio attraverso il viottolo dei ciottoli lungo l’orto di Suor Maria. Prima di separarsi, sul retro del pollaio di Miss Pony, Terence le porse il suo biglietto da visita.

“Tenga. Se avrà modo di venire a New York, in futuro, mi contatti. Sarà un piacere averla ospite per un tè e raccontarle della Candy che ho conosciuto."

Cathy raccolse il biglietto da visita con gli occhi sgranati, incredula. "N-non so quanto possa essere appropriato incontrarla da sola, signor Graham".

"Capisco... Se vuole, può venire accompagnata da suo cugino. Cornwell, ovviamente, non parlo di Legan. Anche se forse correremo il rischio di prenderci a pugni lo stesso..." precisò con una risata.

Cathy era indecisa se sorridere sollevata o preoccuparsi ulteriormente, quando un pensiero improvviso contorse nuovamente i lineamenti del suo interlocutore in una maschera beffarda. "Oppure venga accompagnata da suo zio William. Scommetto che sarà ancora più divertente." 

Cathy percepì che la frase conteneva un sentimento di compiacimento davvero sinistro e rabbrividì, nonostante la giornata primaverile. Ma ben presto i bei lineamenti del grande attore si rilassarono nuovamente non appena si posarono su di lei, per tornare quelli dell'affascinante Terence Graham che aveva fatto innamorare di sè mezzo mondo.
"E se per caso Legan, o Iriza, o un altro Andrew oserà farle del male, mi scriva pure. Verrò io a salvarla.” concluse con un sorriso triste.
 
Cathy, confusa e con un'oppressiva sensazione di infelicità nel cuore, si voltò per andare a chiamare i suoi fratelli. Mentre guardava la ragazzina allontanarsi, Terence mormorò fra sé, sprofondato nelle sue riflessioni “Come non ho mai fatto con Candy."
 

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Capitolo 8
*** Il manto della notte mi nasconde ***


"Che giornata infinita" pensò tra sé e sé Annie osservando la grande sala del palazzo del Governatore illuminata a giorno. Tutta la migliore società di Chicago e dello stato era stata invitata a quella serata. La famiglia Brighton aveva atteso con ansia l'invito, non sapendo se il proprio status fosse sufficiente per entrare a far parte della cerchia dei fortunati. Dopo alcuni giorni di attesa, la lettera era finalmente arrivata, con enorme sollievo di Mrs. Brighton.

Annie si godeva quei pochi minuti di relativa tranquillità, prima dell'arrivo delle grandi dame e delle fanciulle dell'alta società che avrebbero fatto a gara per conversare con lei. Com’erano cambiate le cose, dopo il suo fidanzamento. La famiglia che l'aveva adottata era sì benestante e con un certo prestigio, ma non aveva particolari legami negli affari importanti, o come diceva Mr Brighton, nei giri che contano. Il fidanzamento di Annie con Archibald Cornwell aveva permesso alla famiglia di entrare a pieno titolo nella società che contava.

Da allora, le personalità che fino a poco prima la snobbavano o la trattavano con fredda cortesia, avevano totalmente cambiato atteggiamento. Erano diventate tutte, a loro dire "amiche" di Annie Brighton. Sua madre continuava a esortarla di accettare tutte quelle manifestazioni di amicizia, per quanto insincere "Perché non si sa mai di chi potrai aver bisogno, un domani".

"Ecco Archibald" le disse sua madre con un sorriso.

Annie attese con una certa trepidazione l'arrivo di Archie. Si erano separati solo poche ore prima, di ritorno dalla lunga e difficile giornata passata alla casa di Pony. Prima la dolorosa cerimonia in ricordo di Candy, e poi l'episodio imbarazzante che aveva visto come protagonisti quelle due teste calde di Terence e Neal. Ormai erano diventati tutti adulti, ma bastava nominare Candy per farli ridiventare adolescenti inquieti.

Al braccio di Archie procedeva una Madame Elroy più elegante ed impassibile che mai. Solo un insolito pallore rimaneva sul suo viso a ricordare l'agitazione vissuta alla Casa di Pony. L'immagine di Cathy che era arrivata all'improvviso sporca di sangue e quella di Neal privo di conoscenza erano state due scene che avevano fatto tremare tutti.
 
"Per l'amor del cielo! Ma che vi è successo? Oh Archibald aiutami, non c'è neanche William oggi a sistemare questo disastro!" Erano le frasi che Madame Elroy continuava a ripetere mentre un medico, fortunatamente presente alla cerimonia, visitava l'incosciente Neal che Tom e gli altri avevano trasportano nella piccola infermeria della Casa di Pony.

"Proprio oggi! Proprio oggi che dobbiamo partecipare a una delle serate più importanti dell'anno! Proprio oggi che l'intera famiglia deve fare le veci di William! Ma il governatore non poteva scegliere un'altra data per dare questa festa?" Madame Elroy non sapeva che pesci pigliare. Fosse stata un'altra dama dell'alta società, pensava Annie, sarebbe svenuta o quantomeno avrebbe chiesto i sali. Madame Elroy invece, si era fermata subito a riflettere, con la consueta smorfia amara sul viso.

"Zia, tornate a Chicago. Resto io qui con Neal..." Aveva proposto subito Cathy.

"Non ci pensare nemmeno Catherine. Dobbiamo sopperire alla mancanza di William con i numeri. Devono partecipare quanti più membri possibile della famiglia. Già ci sarà solo Archibald..."

"Ci saranno anche Sarah e suo marito, e Iriza..." Suggerì Archie.

"Siete ancora solo due uomini."

"Chiamerò mio padre e mia madre. Non volevano venire, ma spiegherò l'emergenza.."

"Bravo Archibald. Hai ragione. Affrettiamoci a rientrare allora, non appena li avrai chiamati. C'è un telefono al villaggio?"

"Ma Neal?" Aveva chiesto Cathy.

"Neal si riprenderà, come al solito... Non ha bisogno che tu rimanga qui a fargli da infermiera, Catherine."

"Madame Elroy ha ragione. Ci siamo noi qui ad assisterlo... Non ti fidi di noi Cathy?" Aveva chiesto Miss Pony con un sorriso, vincendo definitivamente le resistenze della ragazza.

Subito dopo Archie e Madame Elroy, procedevano i signori Cornwell, i signori Legan, e dietro di loro Iriza e Cathy che camminavano a braccetto come due amiche di lunga data. Il sorriso perfetto di Iriza continuava ad inquietare Annie nonostante Miss Legan non le avesse più giocato brutti scherzi da molti anni. "Dovrò suggerire a Catherine di sorridere di più, quando passeggia a braccetto con Iriza. Sembra stia andando al patibolo, non ad una festa."

"Annie! Cara!" Esclamò Iriza lasciando il braccio di Catherine per correre incontro ad Annie e braccarla prima dell'arrivo di altre signorine dell'alta società. "Com'è stato oggi? Mi spiace di non aver potuto partecipare alla cerimonia in memoria della povera Candy..."

Cathy approfittò del momento di libertà per sgattaiolare in una delle sale attigue. Zia Elroy le aveva spiegato fino alla noia che non stava bene per una giovane della sua età aggirarsi da sola durante un ricevimento, ma in quel momento aveva sentito una necessità quasi fisica di allontanarsi dalla gente attorno a lei, dalle voci e dalle risate, per trovare un po' di tranquillità.

Scivolando silenziosamente di sala in sala, trovò un piccolo terrazzo che dava sul bel giardino del Governatore. Era quello che le serviva, per il momento. Non sono ancora abituata a questi ricevimenti, pensò. Aveva cominciato a gennaio, dopo aver compiuto i sedici anni, accompagnando la zia o lo zio in vari eventi mondani che la stancavano più di un pomeriggio passato a cavalcare. Ancora non si era abituata alle chiacchiere senza sosta, agli sguardi avidi di ogni sua mossa, alle lingue che bisbigliavano critiche, cattiverie e pettegolezzi.

Iriza era una campionessa in questo sport molto in voga nell'alta società. Poiché quella sera Emily, la sua amica del cuore, non era stata invitata, Iriza aveva perso il suo orecchio preferito per sparlare, ed avrebbe passato l'intera serata a condividere con Cathy tutti i più torbidi pettegolezzi che giravano sulle personalità più in vista di Chicago.

Inspirò profondamente l'aria fresca, già carica del profumo delle rose e degli altri fiori del giardino. La dolcezza di quel profumo le ricordò subito Lakewood, e il suo meraviglioso roseto. Sospirò. Quanti misteri circondavano Candy e il suo ultimo viaggio. Quante cose non dette nascondevano gli adulti attorno a lei. Chissà se davvero un giorno avrebbe avuto il coraggio di andare da Terence Graham per farsi raccontare, una volta per tutte, i misteri che avvolgevano la vita e la scomparsa di sua sorella.

Da piccola non si era posta molte domande. Sua sorella non c'era più, e basta. C'era stato solo il dolore, e la vita di tutti i giorni che andava avanti. Cathy era una tipica bimba felice della Casa di Pony, non molto brava negli studi, ma volenterosa e tutto sommato obbediente, nonostante qualche momento di selvaggia incoscienza.

Poi, a undici anni, l'adozione. L'arrivo in un mondo che era lontanissimo da quello in cui era vissuta. Impegnata a diventare una signorina sotto la guida di Madame Elroy, a schivare le trappole di Iriza, era cresciuta passando la gran parte del suo tempo libero a litigare con suo cugino Neal e a girare i dintorni di Lakewood con lo zio William, la persona a cui voleva bene di più al mondo.

Cathy sospirò di nuovo. Perché, quand'era ora di soffrire, lo zio se ne stava da solo, come un animale ferito che si nasconde per stare male in solitudine, lontano dagli occhi dei suoi simili? Perché, tra tutti quelli che avevano amato Candy, zio William era quello che più degli altri era stato devastato dalla sua morte?

Qualcosa non quadrava. Negli anni, alcuni dettagli di Candy, della sua vita, erano emersi qua e là, dalle conversazioni tra gli adulti o dalle cattiverie di Iriza. Anche se quelle non le aveva mai tenute in considerazione.

Tipo che ai tempi del collegio in Inghilterra Candy era stata espulsa dopo essere stata sorpresa a letto con un compagno di collegio. O che aveva spinto giù da un tetto una sua rivale in amore. Altro pettegolezzo cui non aveva mai dato credito era che sua sorella viveva con un uomo, un vagabondo più vecchio di lei, che aveva legami con la malavita. Un'altra diceria sosteneva che Candy fosse stata una pessima infermiera e che uno per volta gli ospedali di Chicago l'avessero cacciata perché i suoi pazienti morivano, anziché guarire.

Menzogne, sussurrò Cathy. Candy era una ragazza splendida, brava nel suo lavoro, soprattutto. Aveva visto coi suoi occhi come si prodigava a curare i bambini della Casa di Pony, quando passava a trovarli. E poi, Zio William non l'avrebbe mai adottata, se non fosse stata in grado di meritarsi la fiducia di tutti. Forse, pensò, era il caso di farsi una bella chiacchierata con Annie, per scoprire una volta per tutte cosa era successo a Candy, invece di chiedere a Terence Graham. Il suo odio per gli Andrew poteva rendere meno obiettivo il racconto che avrebbe ottenuto.

Ad esempio, non aveva mai saputo il motivo del suo viaggio. Che ci faceva Candy su quel treno? Rockstown era un paese nel mezzo del nulla, chi o che cosa l'aveva portata lì? Candy era innamorata di Terence Graham. E lui era innamorato di lei. Perché allora, al tempo della morte di Candy, non stavano insieme? Perché lui pochi mesi dopo si era sposato con un'altra donna?

Le ritornarono alla mente le parole di Neal, il giorno del funerale. "Sei tu che l’hai abbandonata per quell’attricetta!" Che attricetta? Graham si era sposato solo dopo la morte di Candy con Susanna Marlowe. Era forse lei l'attrice tra a cui si riferiva Neal? O era solo il rancore di suo cugino a farlo parlare così, che chiaramente era stato respinto da Candy? Un attimo. In effetti, lui non aveva mai parlato della risposta di Candy. Lei sapeva che Neal la voleva sposare nonostante il parere contrario di Zia Elroy?

Cathy ricordò le accuse più terribili che Graham aveva rivolto a Neal durante la lite del pomeriggio. Il tentativo di stupro... A detta di suo cugino, era tutto un piano per sposarla? Che fosse stato vero? A chi credere? E poi, chi era quel vergognoso farabutto che si era approfittato di Candy? Ne avevano parlato anche quel pomeriggio, poco prima che Neal svenisse. Anche Graham sapeva bene chi era quell'uomo...

"Signorina? Tutto bene?" La voce di uno sconosciuto la scosse all'improvviso dai suoi profondi pensieri. Cathy si voltò, e vide che un uomo alto, ben vestito e dai corti capelli neri apriva la porta del terrazzino porgendole la mano.

"Sì... Sì, grazie..." Balbettò la giovane, improvvisamente regredita allo stato di ragazzetta di campagna. Talmente confusa da dimenticare persino le buone maniere.

"Siete sicura? Che cosa state facendo qui tutta sola?" Chiese la sua voce gentile, che sussurrava lentamente le parole e le scandiva in modo innaturale. Forse era straniero.

"Sono uscita a prendere un po' d'aria, sta cominciando a fare caldo..." Balbettò nuovamente Cathy, forse leggermente più convinta di prima.

L'uomo si era appoggiato alla balaustra, inspirando a pieni polmoni l'aria della sera.

"In effetti questo angolino è delizioso."

Poi, chinando il capo verso Cathy, le chiese: "Posso riaccompagnarvi dalla vostra famiglia? Mi sembrate così giovane e spaesata..."

"Oh, non vi preoccupate." Rispose Cathy, piccata nell'orgoglio. "Non sembra, ma ho sedici anni, sono perfettamente in grado di badare a me stessa."

L'uomo rise sommessamente.

"Mi scusi per avervi offeso, ma forse la vostra famiglia è preoccupata per voi. Da quanto tempo siete qui?"

"Oh, pochissimo, saranno cinque minuti..."

"Sono già le dieci passate..." Rispose l'uomo.

"Cosa? Le dieci? È passata già un'ora?" Catherine fece un passo verso la porta, spalancandola, preoccupata della ramanzina che la zia le avrebbe sicuramente fatto.

"Forse è meglio se vi riaccompagno al salone principale, signorina" le chiese nuovamente lo straniero, seguendola a pochi passi e notando che la giovane girava la testa a destra e a sinistra senza sapere che strada prendere.

"Ma no, non disturbatevi..."

"Insisto." Disse lui, ponendosi di fronte a lei con uno scatto di reni. La guardò fissa negli occhi per qualche istante. Che begli occhi azzurri, pensò Cathy. Oh, ma che accidenti si metteva a pensare....

"Il mio nome è Ivan Vladimirovic' Todorov." Disse lui, prendendole con delicatezza la mano ancora avvolta nel guanto di raso e portandosela alle labbra "Piacere di conoscervi, signorina...?"

"Catherine Andrew"

Un leggero stupore passò negli occhi dell'uomo, che dal nome pareva proprio di origine russa. "Oh. Siete una parente di Sir William Albert Andrew?"

"Sono sua figlia. Lo conoscete?"

"Ho avuto il piacere di fare la conoscenza di vostro padre alcuni mesi fa, quando è venuto nell'ovest a fare affari con noi."

Catherine si preparò, mentalmente, a rispondere alla domanda successiva. Di sicuro quello straniero, che però parlava molto bene l'inglese, avrebbe osservato che Sir William aveva avuto una figlia molto giovane. Al che lei avrebbe dovuto spiegare dell'adozione. Invece, la domanda non venne. L'uomo - come si chiamava, Todorov? - la stava riaccompagnando sicuro scegliendo senza esitazione le porte giuste da aprire.

La giovane cercò di vedere il viso dell'uomo con la coda dell'occhio. Niente, passeggiava tranquillo al suo fianco senza nemmeno sforzarsi di fare conversazione. Catherine si stupì, abituata com'era ad essere al centro della curiosità, un po' morbosa, della gente.
 

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Capitolo 9
*** Il pericolo è più nei tuoi occhi ***



Il treno diretto da Chicago a New York sfrecciava veloce tra le verdi pianure dell'Ohio, avvolte nel buio della sera estiva. Terence Graham tentò di appisolarsi inutilmente. Dormire un po' gli avrebbe giovato, visto che fino alla mattina successiva non sarebbe riuscito a raggiungere casa, calcolando che tutto il pomeriggio sarebbe stato impegnato nella prova generale.

Senza alcun bagaglio, la faccia tirata, chiuse gli occhi appoggiando il capo al sedile. Il monotono dondolio del treno non riusciva a farlo addormentare. E allora tanto valeva pensare, si disse Terence.

Pensare al momento in cui avrebbe raccontato la verità alla giovane Catherine Andrew. Pensare al suo volto, che probabilmente sarebbe inorridito. Chissà, forse la scoperta di cosa aveva fatto il suo adorato padre l'avrebbe fatta addirittura scappare dalla famiglia. Un sorriso sinistro gli illuminò il volto al pensiero che forse la ragazza non si sarebbe fidata di lui. Meglio allora... Perché l'atroce dubbio l'avrebbe portata a chiedere lumi direttamente a suo padre.

Che scena meravigliosa! Pensò. Albert gli aveva rubato Candy, e lui avrebbe avrebbe fatto morire l'affetto di quella ragazzina che adorava il suo “Zio Wiliam” come nessuno al mondo.

Pregustando la scena con un forte senso di giustizia, gli ritornarono in mente le parole di Neal. Neal che odiava Albert probabilmente tanto quanto lui, e aveva avuto a portata di mano una vendetta del genere, non l'aveva mai fatto.

L'infido, egoista, vigliacco Neal sembrava tenere molto a quella ragazzina, tanto da aver deciso di non dirle nulla, per non ferirla. Che stupido, pensò Terence. Lui non sarebbe stato così stupido...si disse, mentre lentamente scivolava nel dormiveglia.


“Chi si crede di essere? Pensa che Candy ne sarebbe felice? Che cosa pensa avrebbe fatto mia sorella a vederla comportarsi così?” Terence si svegliò di soprassalto. Una frenata del convoglio, che poi aveva ripreso la sua corsa nella notte. Si era appisolato per un bel po di tempo, le tenebre ormai avevano avvolto ogni cosa.

Le parole di Catherine che gli risuonavano nelle orecchie alla pari delle ruote del treno che stridevano sui binari. Si portò la mano sulla fronte. A Candy di sicuro non sarebbe piaciuto il modo in cui stava per trattare Cathy. E i suoi ricordi corsero di nuovo al giorno in cui aveva saputo la notizia della morte di Candy.

"Ma perché non è venuta a parlarmi...?"

"Non era arrivata a Rockstown per parlare con te, Terry...."

"E tu come lo sai?"

"L'ho vista tra il pubblico, e le ho parlato..."

Terence aveva sentito la stanza girargli attorno in modo strano. Per lungo tempo aveva rifiutato ogni contatto con sua madre. In tutti quei mesi in cui non era riuscito a superare la separazione da Candy, scivolando sempre di più nel baratro dell’autodistruzione, Eleanor aveva abbandonato il lavoro e lo seguiva, tentando di parlargli, di aiutarlo, preoccupata per il suo futuro. Ed in quel momento aveva scoperto che se avesse accettato di parlarle prima avrebbe scoperto qualcosa di importante, forse in tempo per evitare il peggio.

Sospirando profondamente, Terry aveva alzato lo sguardo su sua madre.

“E allora perchè era a Rockstown?”

Eleanor si era morsa il labbro, abbassando gli occhi, mentre l’eco della domanda del figlio si stava spegnendo nella stanza.

“Allora?” l’aveva incalzata di nuovo lui.

“Stava cercando quell’uomo...”

La sorpresa l’aveva colto all’improvviso. Aggrottando le sopracciglia, chiese “Che uomo?” con una tale nota di stupore che sua madre aveva posato di nuovo lo sguardo su di lui.

“L’uomo con cui Candy viveva a Chigago...”

“Albert.”

Un piccolo sussulto aveva scosso le spalle di Eleanor. “Lo sapevi?”

“Che Candy viveva con Albert? Sì. Me l’ha scritto subito. L’abbiamo conosciuto a Londra... è una gran brava persona.”

“E... tu non avevi nulla in contrario?”

“In contrario... su cosa?”

L’imbarazzo nella voce di sua madre era palese.

“Voglio dire, tu e lei eravate ancora innamorati... non ti ha fatto arrabbiare che lei adasse a vivere da sola con un altro uomo?”

“No. Albert è anche mio amico. Ha perso la memoria in guerra, e quando l’hanno portato a Chicago è stata una fortuna che Candy l’abbia trovato... non so cosa sarebbe potuto succedergli senza di lei. Lo hanno trattato da schifo in quell’ospedale, si è trovato senza famiglia, senza passato.... Quando mi ha detto che erano andati a vivere insieme io ero sollevato.”

Eleanor continuava ad osservarlo, silenziosa.

“Albert è una persona in gamba. E ha sempre voluto bene a Candy. Mi sentivo più sereno a sapere che c’era lui a tenerla d’occhio. Ma quindi Albert se n’è andato? Ha recuperato la memoria allora?”

“Non lo so... Candy non mi ha detto niente di tutto questo.”

“Ah no? E di cosa avete parlato allora?”

“Di te.”

Il silenzio aveva accolto la risposta di Eleanor. Terry non aveva voglia di discutere con sua madre della sua vita... voleva solo parlare di Candy.

“Ancora non mi hai detto perchè Candy era finita a Rockstown.”

“Stava cercando quell’uomo, ti ho detto.”

“E perchè proprio lì? E perchè tra tutti i buchi di posto d’america è finita proprio dove io stavo recitando con quella compagnia da quasi un mese?”

“Perchè quell’uomo le ha spedito un regalo da Rockstown.”

“Eh?”

“Candy mi ha raccontato che lui se n’era andato da Chicago a metà dicembre. Lei non aveva idea di dove fosse, l’ha cercato per tutta la città e nei dintorni, ma di lui nessuna traccia. Finchè non ha trovato questo pacco che lui le ha spedito, e lei è corsa a Rockstown per cercarlo.”

“E quindi non sapeva che io fossì lì.”

“No, l’ha scoperto quando è arrivata. Io l’ho vista quando il pubblico ha cominciato a fare silenzio. Mi sono girata e lei era lì, che ti guardava piangendo...”

“Io pensavo di avere avuto un allucinazione. Ma perchè non ha voluto parlarmi? Era più di un anno che non ci vedavamo...”

“Aveva fretta di mettersi alla ricerca del vostro amico. Io le ho detto che avevi lasciato Susanna. Ma lei già lo sapeva, aveva letto i pettegolezzi sui giornali.”

Eleanor si era fermata per qualche istante.

“Le ho detto che se tu ti eri ridotto così era perchè l’amavi ancora. Che senza di lei non riuscivi più a vivere....Ho cercato di convincerla a lasciar perdere per qualche tempo il vostro amico, che non aveva bisogno del suo aiuto quanto tu avevi bisogno di lei in quel momento... che anche quel giorno, quando tu l’hai vista hai reagito, come mai era accaduto prima.”

Di nuovo, si era fermata e l’aveva guardato, incerta.

“Le ho detto che aveva il poter di farti tornare quello di prima. E lei mi ha risposto che aveva un’immensa fiducia in te, e che tu saresti stato in grado di tornare a Broadway. Che ne era sicura, perchè lei ti aveva amato. Poi si è alzata, dicendo che doveva assolutamente trovare Albert. E  se n’è andata.”

Qualche passeggero cominciò ad alzarsi, recuperando valigie e bagagli. Terry si stiracchiò, la lunga immobilità del viaggio gli stava facendo dolere tutti i muscoli. Il treno cominciò a rallentare la sua corsa, mentre si inoltrava tra le fioche luci di una città. Cleveland. Lì si sarebbe fermato per un’ora. Sarebbe stato il caso di scendere e mangiare un boccone.

Nei giorni dolorosi che avevano seguito la scoperta della morte di Candy, Terry si era a lungo interrogato sul motivo per cui lei si era rifiutata di vederlo, anche dopo che Eleanor aveva messo in chiaro che lui aveva lasciato Susanna e che stava attraversando un momento particolarmente difficile.

In un certo senso, non era particolarmente stupito. Era tipico di Candy fare qualsiasi cosa per i suoi amici. Di sicuro la fretta di trovare Albert, che Eleanor aveva evidenziato, era più che giustificata. Magari si era cacciato in qualche guaio, e lei era partita alla sua ricerca per dargli una mano.

Eppure, in fondo in fondo, una drammatica delusione l’aveva afferrato senza esitazione. Lui e Candy si erano sfiorati per l’ennesima volta, ma in questo caso lei era stata ben consapevole della sua presenza, e non aveva fatto nulla per raggiungerlo. Aveva percepito, in quel rifiuto, una sorta di rassegnazione da parte di Candy. Come se il loro amore non meritasse più di lottare. Come se le lacrime, le sofferenze, le difficoltà che avevano alle spalle fossero un fatto del passato.

Si era sentito geloso. Geloso di Albert. Evidentemente l’amicizia che Candy provava per lui era qualcosa di forte, reale, qualcosa che la legava al suo presente, che la faceva attraversare mezza america per scoprire dove fosse finito. Era un legame che non meritava di essere messo in secondo piano nemmeno dal loro sfortunato amore.

Il treno si fermò alla stazione di Cleveland, e Terry sorrise, un sorriso amaro, doloroso e beffardo insieme. Che stupido era stato. Sei anni prima, ancora credeva che quella tra Candy e Albert fosse una bella amicizia. Eleanor, quando aveva visto Candy, l’aveva capito subito come stavano le cose. Ma per una sorta di pudore, per il timore di farlo soffrire, non aveva osato dirgli chiaro e tondo quello che aveva scoperto.

Mentre mangiava uno stufato scadente alla tavola calda della stazione, Terence pensò che in realtà non aveva prove schiaccianti di come stavano le cose tra Candy e Albert, da poter sventolare sotto il naso di Catherine Andrew. Non le aveva mai avute. La gelosia di Neal e le sue accuse al “farabutto”, come lo chiamava, erano andate a premere sul tasto della sua stessa gelosia, facendola risuonare progressivamente sempre di più.

“Dopo che tu l’hai lasciata per quell’attricetta, lui ne ha approfottato per infilarsi nel suo letto”. Gli aveva sussurrato Logan il pomeriggio del funerale di Candy.

“E quando si è stufato di lei, il bastardo l’ha scaricata. L’ha cercato per tutta Chicago, la città era tappezzata di stupidi disegni di quel vagabondo. è finita in quel posto dimenticato da Dio per cercarlo... e lì è morta.”

“Se lo trovo lo ammazzo, Granchester. Avrei quasi preferito che si mettesse con te piuttosto che si facesse scopare da quella feccia.”

E Terence non aveva esitato a colpirlo, quel giorno al cimitero, perchè quel bastardo, che aveva fatto soffrire Candy per anni, adesso si permetteva di insultare non solo lei, ma persino Albert.

E lentamente, piccoli dettagli cominciavano ad assumere un’importanza sempre maggiore, e i rapporti di causa effetto fra gli eventi disegnavano ipotesi sempre più credibili a coprire quello che era accaduto. In pochi mesi, la versione dei fatti di Neal non era sembrata più così inverosimile.

Ad irritare Terence non era tanto il fatto che Candy si fosse innammorata di un altro. Era stato lui a lasciarla per Susanna, non aveva più alcun diritto nemmeno di arrabbiarsi. In fondo in fondo, aveva sempre sperato che Candy potesse trovare la felicità. Con chi, non era un dettaglio così fondamentale, ed Albert era molto meglio di tutti gli altri uomini di sua conoscenza messi assieme.

Però lui l’aveva fatta soffrire, e questo non poteva perdonarglielo. L’aveva abbandonata. L’aveva messa in condizione di corrergli dietro per mezza america, alla sua ricerca. E quel che era peggio, se doveva dar credito alle illazioni di Neal, era che Albert aveva abbandonato Candy dopo essersi preso tutto di lei.

Ed il pensiero bastava per farglielo odiare.

Poi, la stampa era scoppiata con la notizia dell’apparizione in pubblico di William Andrew, con le foto di Albert che riempivano la terza pagina di tutti i giornali. Ed a quel punto, l’odio di Terence era giunto a livelli tali da fargli prendere l’ennesimo treno per Chicago, con tanto di appuntamento fissato con il segretario del Signor Andrew.

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Capitolo 10
*** Che cosa c'è in un nome? ***


 
"Di cosa si occupa la vostra società?" Chiese infine Cathy, stanca di stare zitta mentre avanzava attraverso le sale del palazzo del governatore al fianco del giovane russo. 

"Commercio. Importiamo beni di lusso dai paesi del pacifico settentrionale. Russia, Giappone, Mongolia..."
 
"Oh, interessante. Ma la Andrew Corporation non commercia in beni di lusso. Le nostre attività si sviluppano di più nell'edilizia, nella finanza, nell'agricoltura..."
 
"Siete informata sulle attività del gruppo di famiglia. Non capita spesso tra le giovani della vostra classe sociale"
 
"Quando dovevo studiare economia, mio padre mi ha sempre spiegato le nostre attività, per farmi capire meglio i concetti che approcciavo negli studi."
 
"Vostro padre è davvero ammirevole... Mi è dispiaciuto molto che questa sera non sia potuto venire. Avrei avuto piacere di salutarlo."
 
"Purtroppo oggi... Oggi è una giornata molto triste per la nostra famiglia. Sarebbe stato il compleanno di mia sorella, se fosse ancora tra noi. Per mio padre è stato un grande dolore, come per tutta la famiglia."
 
"Vi comprendo molto bene. Anche la mia famiglia ha dovuto affrontare una grave perdita recentemente. Mio cognato, che per me era come un fratello... Ma pensiamo a cose più felici. Ho avuto modo di fare la conoscenza di vostra zia, questa sera. Una gran dama. La vostra è una famiglia decisamente notevole, specialmente qui negli Stati Uniti. Sembrate quasi come noi europei..."
 
Cathy ridacchiò "la nostra famiglia proviene dalla Scozia. Mio padre è nato lì. Si dice che nelle nostre vene corra il sangue degli Stuart. O forse nelle vene degli Stuart corre il sangue degli Andrew, chi lo sa..."
 
"Signor Todorov!" Li interruppe un valletto "Madame vi sta cercando..."
 
"Ditele che arrivo subito" rispose l'uomo, per poi girarsi verso Cathy "mi dispiace di non potervi riaccompagnare dalla vostra famiglia, signorina Andrew, ma il dovere mi chiama. Spero di rivedervi presto."
 
"Vi ringrazio, signor Todorov. Chiederò a mio padre di invitarvi da noi, se rimarrete in città sufficientemente a lungo."
 
"Con molto piacere. Vogliate farmi la cortesia di portare i miei omaggi a vostro padre. Il salone principale è in fondo a questo corridoio. Addio"
 
Todorov. Ivan... Ivan -qualcosa- Todorov. Allora sulla terra esisteva qualcuno più bello di Terence Graham, pensò Cathy. Era davvero alto, slanciato, le spalle sottili... I corti capelli neri incorniciavano un viso che sembrava modellato col cesello, e non era solo una frase letta nei romanzi! E poi di una gentilezza, di una cortesia infinita! Per lei, abituata al cameratismo tra pari coi suoi fratelli e con lo stesso Neal, un uomo così era una sorpresa. E chi lo diceva che i russi erano freddi?
 
"Catherine, dove sei stata finora?" Una voce stridula la strappò ai suoi pensieri.
 
"Scusami Iriza."
 
"Mi hai abbandonata tra Annie e Archibald... Lo sai come sono noiosi quei due piccioncini quando stanno insieme..." Disse la giovane Legan, sventolando il ventaglio con molta attenzione e precisione nonostante lo sbadiglio che tentava di dissimulare.
 
"Neal direbbe che fanno venire la carie..." Mormorò Cathy, soffocando una risatina dietro alle dita.
 
"Lascia perdere quello sciocco. Ma cos'ha combinato oggi? Mamma non mi ha detto nulla per non farmi preoccupare..."
 
Vedendo che Cathy non aveva intenzione di vuotare il sacco, Iriza incalzò con le domande. "Non è che è stata colpa tua, come al solito?"
 
"No! Io sono arrivata che già avevano finito di litigare!"
 
"A-ha!! Si tratta di una lite allora! E con chi?"
 
Maledetta Iriza. Trovava sempre il modo di fregarla. "Con Terence... Graham..." Sussurrò, a mezza voce, mentre il volto dapprima sorpreso della cugina si contorceva in una smorfia di rabbia.
 
"E scommetto che è colpa di quella sgualdrina di Candy, come sempre!"
 
"Non parlare così di lei!"
 
"Smettila di difenderla. Lo sai che l'hanno cacciata dal collegio perché andava a letto con Terence Graham, vero?"
 
La frase di Iriza la colpì non poco. Addirittura? Il rapporto tra Candy e il Signor Graham aveva raggiunto un tal grado di intimità? Uhm, probabilmente erano solo le menzogne di Iriza. Cathy si scosse subito, cercando di chiudere la bocca alla cugina nel minor tempo possibile. Quando Iriza sparlava di Candy, non era il caso di contraddirla. E soprattutto, Cathy si ritrovava sempre in svantaggio, perché della vita di Candy ne sapeva pochissimo. Di conseguenza chiunque attorno a lei ne sapeva di più su sua sorella, e lei non poteva mai controbattere nulla.
 
Ma Cathy non era poi così sprovveduta. Solo che si era specializzata in diversivi. Quando il nemico ti attacca, distrailo, pensò.
 
"E poi, lo sai, che Candy ha buttato giù dal tetto un'attrice che lavorava con lui, solo per gelosia?" Gli occhi di Iriza schizzavano odio mentre attendeva la reazione della giovane cugina. Attendeva un singhiozzo, un no sommesso, una protesta, per poter dare ulteriore combustibile alla sua rabbia.
 
"Todorov. Ivan Todorov." Disse invece Cathy.
 
"Cosa?" Chiese Iriza, sbattendo le palpebre. Interdetta.
 
"Ivan Todorov. Lo conosci? Sai chi è?"
 
"Certo... Perché lo chiedi?"
 
"Voglio sapere chi è. Cosa fa, da dove viene, dove abita, se è fidanzato, tutto quello che sai di lui, insomma..."
 
"Ivan Vladimirovic' Todorov è un ricco uomo d'affari russo, un gran bell'uomo. Vive a San Francisco, ed è il braccio destro di Madame Volkonskaja. Gestisce tutte le operazioni commerciali dell'azienda di famiglia. Attualmente non è fidanzato e alle domande su quando deciderà di prendere moglie, risponde che non ne ha bisogno. È un gran peccato perché negli ultimi anni stanno facendo grandi affari e sembra che lui sia un nobile fuggito ai bolscevichi. Vive praticamente in funzione di Madame."
 
Continuò poi, abbassando la voce e avvicinandosi all'orecchio di Cathy "dicono che sia il suo amante, oltre che il suo braccio destro."
 
La faccia stupita della cugina fece ridere di gusto Iriza "ma perché me lo chiedi? Ti sei innamorata di lui?"
 
"No!" Rispose Cathy, la faccia rossa "ma cosa vai a pensare...?"
 
"Guardati, sei imbarazzatissima!! Non vedo l'ora di dirlo a Neal!! Ne vedremo delle belle, protettivo com'è nei tuoi confronti! Uhm, chissà, potrebbe sfidarlo a duello..."
 
"Non ti azzardare a dirgli niente sai?" Si affrettò a dire "oggi è svenuto dopo aver fatto a botte con Terence Graham".
 
"Il solito smidollato. Vieni, che la zia ti cerca".
 
E mentre s'incamminava, mal volentieri, a braccetto con Iriza, Cathy constatò per l'ennesima volta che contro sua cugina avrebbe sempre perso. Chissà per quale motivo ce l'aveva così tanto con Candy, anche dopo morta. Ecco, quella era un'altra ottima domanda da porre ad Archie oppure ad Annie, quando sarebbe riuscita a fare quella famosa chiacchierata. O a Terence Graham, chissà.

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Capitolo 11
*** Qualche triste effetto ancora sospeso nelle stelle ***


Terence risalì sul treno. A breve sarebbe ripartito alla volta di New York. Appoggiò di nuovo la testa al sedile. Forse adesso, con lo stomaco pieno sarebbe stato più facile addormentarsi, e fuggire dalla strada di pensieri pesanti che lo stavano accompagnando fin dalla partenza da Chicago. 
Si sentiva un uomo in fuga da moltissimi anni ormai. Fuggiva la felicità inseguendo il successo, ed anche se non era stato un cattivo affare, a volte si sentiva stanco. L’illusione di una vita serena, se non felice, si era spenta definitivamente sul letto di Susanna. E da allora nessun calore aveva più scaldato il suo cuore.
Terence ripensò a Caterine Andrew. Una ragazzina davvero notevole. Sorrise di nuovo, e questa volta con sincero divertimento, al ricordo di come aveva fatto sparire il tabacco di Neal mentre l’altro era k.o. per la scazzottata. L’espressione tenera che aveva lanciato al cugino gli aveva scaldato il cuore. Esistevano ancora persone così, ingenue, di buon cuore e coraggiose. Forse davvero le due donne della Casa di Pony sapevano come tirar su i bambini, come farli diventare adulti in gamba. 
Mentre il treno riprendeva la sua corsa verso Est, si scoprì, con una certa sorpresa, ad invidiare Neal Legan. Gli invidiava l'affetto di quella ragazza, che per sua stessa ammissione a lui ci teneva nonostante avesse un carattere orribile, affetto che, era palese, il viscido Legan incredibilmente ricambiava, a modo suo. Fortunato, davvero. Forse, pensò Terence, Neal l'aveva tenuta all'oscuro di tutto per non rischiare di perderla. 
Con una sorta di crescente apprensione, Terence cominciò a preoccuparsi per lei. Era una ragazza in gamba, quale futuro l'aspettava in quella famiglia? Di sicuro, un buon matrimonio, con qualche illustre rampollo della buona società. Un matrimonio che potesse portare nuove alleanze commerciali per la famiglia. Oppure perché no, l'ipotesi del matrimonio con Legan non era poi così assurda, anzi, era perfettamente in linea con le macchinazioni della vecchia Andrew.
Chissà quali erano i piani che Albert aveva per lei. Forse, allontanarla da lui e da quella famiglia non sarebbe stato solo un egoistico desiderio di vendetta. Con tutta probabilità, svelare i retroscena della relazione tra sua sorella e il padre adottivo le avrebbe permesso di guadagnare l'orrore sufficiente da farla fuggire.

Terence era entrato nel grande palazzo di Chicago, il quartier generale della Andrew Corporation. L'imponente facciata neoclassica rendeva subito chiaro a chi vi entrava che quello non era un posto qualsiasi. All'interno un gran numero di impiegati affaccendati si aggirava tra gli uffici, attraversando veloci il grande atrio. Appena aveva fatto il suo nome alla reception, un elegante uomo dai capelli e i sottili baffi scuri si era presentato come l'assistente del Signor William, e l'aveva accompagnato lungo i corridoi e le scale del palazzo.
Terence era un nobile, nonostante tutto, e da ragazzino gli era capitato di visitare le grandi dimore dell'aristocrazia inglese, dove si sentiva a suo agio. Eppure, in quel palazzo, si sentiva intimidito. Lì dentro giravano soldi, investimenti, grandi opere, finanziamenti importanti. Era un nodo nevralgico dell'economia di quella nazione. E in cima a tutto quello c'era Albert.
Quello che, fino a pochi giorni prima, lui conosceva come un vagabondo senza arte nè parte, un avventuriero la cui unica aspirazione, fino a quel momento, era stata vedere il mondo. Quello che, fino a qualche mese prima, lui aveva considerato uno dei suoi più cari amici, una delle persone più in gamba di sua conoscenza, l'adulto che avrebbe voluto diventare. 
Quello che aveva giocato con i sentimenti di Candy, e poi l'aveva abbandonata come una vecchia scarpa. Quello che nemmeno si era fatto vedere al suo funerale. Quello che li aveva presi in giro tutti, fingendo di essere un semplice signor nessuno quando in realtà era lui che aveva adottato Candy.
Quando era rimasto solo con Albert, nel grande ufficio dalle cui vetrate si vedeva buona parte della città, Terence si era trovato del tutto spaesato. Si era aspettato di trovare un miliardario strafottente, con un atteggiamento di superiorita seduto dietro alla sua pesante scrivania, che si abbassava a conversare con lui, attorucolo di alterne fortune che aveva incrociato quand'era in Europa.
Invece, aveva trovato un Albert ben diverso da quel che si era aspettato, e molto diverso da quello che aveva conosciuto. I capelli corti, la pelle molto meno abbronzata di come la ricordava, la faccia smagrita, gli occhi arrossati che fissavano inespressivi un punto impreciso dell'orizzonte. Non era il ritratto di un uomo in salute. E non era nemmeno sobrio, a giudicare dall'odore di alcol che aleggiava nell'aria, e dal numero di bottiglie vuote che giacevano in un angolo della scrivania.
"Ciao Terry" gli giunse alla fine, poco più di un debole sospiro mentre lo sguardo dell'uomo si muoveva lentamente per andare a posarsi su di lui "volevi vedermi?"
Terence deglutì, profondamente disgustato dalla scena che gli si parava davanti agli occhi. In realtà, l'irritazione che provava per Albert non era che il riflesso di una rabbia  che provava verso se stesso. Candy, a Rockstown, l'aveva visto nelle stesse condizioni. Stringendo i pugni, chiamò a raccolta tutto il suo odio nei suoi confronti.
"Mi fai schifo" sibilò, senza mezzi termini.
Lo sguardo inespressivo di Albert, fisso sui suoi occhi, non non aveva mostrato alcuna emozione.
"Mi fai schifo" aveva ripetuto, alzando la voce. "Come hai potuto?"
"Fare cosa, Terry?" Aveva chiesto lui, con la stessa inespressività, quasi che la cosa non lo riguardasse.
"Come hai potuto prenderla in giro, dopo tutto quello che lei ha fatto per te?" 
"È quello che pensi?"
"Sì. Per tutti questi anni l'hai tenuta all'oscuro di tutto... Perché? Stravedeva per te, per Albert... E stravedeva per lo Zio William. Sarebbe stata più che felice di sapere che eri tu."
Mentre parlava, lo sguardo di Albert era scivolato via dai suoi occhi, andando a perdersi chissà dove.
"Perché l'hai lasciata sola? Lei aveva bisogno di te, dannazione!"
"Perché sono un vigliacco." Aveva finalmente risposto l'altro, coprendosi gli occhi con il palmo della mano, come per non vedere la realtà che aveva davanti.
Ad ogni risposta di Albert, la rabbia di Terence aumentava sempre di più. Si aspettava una reazione, delle scuse, o delle discolpe. E lui invece accettava ogni sua accusa, sprofondando sempre di più nella sofferenza. Era arrivato lì per picchiarlo, per far uscire la rabbia e il dolore dal suo corpo a suon di pugni, ma quella larva che si era trovato di fronte faceva aumentare il suo livore senza dargli il conforto di uno sfogo.
"Ti sei divertito, almeno?" Aveva sussurrato Terence nel modo più ambiguo ed offensivo possibile, sentendosi davvero come Neal Legan, in quel momento.
Lo scatto con cui Albert aveva alzato la testa, e lo sguardo bruciante che gli aveva indirizzato, fece sorridere Terence. Finalmente aveva trovato il punto debole della disperazione del suo nemico.
"Com'è stato, scopare la tua figlia adottiva?" Gli aveva chiesto, andando a rigirare il coltello nella verità che, era palese, si apriva sanguinante sotto alla disperazione dell'uomo che aveva di fronte. Albert aveva stretto i pugni su una pila di carte, stropicciandole, la mandibola serrata. Terence sorrise tra sè. In quel momento, Albert lo stava odiando come nessun altro al mondo. Finalmente. Era confortante pensare di ritrovare dall'altra parte un sentimento simile al suo.
"Quanto ci hai messo, dopo che io e lei ci siamo lasciati, a convincerla ad aprire le gambe?"
Terence non immaginava, a quel tempo, che un uomo ubriaco avesse una tale velocità di reazione. Non aveva neanche fatto in tempo ad accorgersi che Albert si era alzato, quando si era sentito prendere per il collo della giacca ed alzare di peso. "Vattene" fu il ringhio sommesso che gli giunse all'orecchio, mentre i suoi piedi riguadagnavano il pavimento.
Albert aveva aperto la porta, facendogli cenno di uscire mentre si allontanava verso le grandi finestre. 
"Non mi importa di quello che dici di me. Di sicuro non è diverso da quello che già mi dico da solo. Ma lascia stare Candy. Non permetterti più usare un linguaggio del genere quando parli di lei. Capito?"

Sbattendo il pugno contro il finestrino, Terence non poté fare a meno di tormentarsi con i pensiero che in quegli anni gli era rimasto appiccicato addosso. Perché comunque, Albert non aveva negato.
Il maledetto. Col suo silenzio, Albert non aveva fatto altro che confermare l'accusa di aver messo le mani su di lei. Prima di quel colloquio, aveva sperato che Albert gli rispondesse indignato, che negasse le accuse. Aveva sperato, Terence, che tutto fosse solo una menzogna partorita da Iriza per screditare Candy agli occhi di Neal. Ma se proprio Albert, l'eroe senza macchia della sua adolescenza, non aveva negato, ciò significava che era tutto vero.
Povera Candy. Sedotta e abbandonata dall'uomo che credeva un amico, quasi un fratello maggiore, e che per ironia della sorte si era rivelato addirittura il suo padre adottivo. 
Non avrebbe avuto alcuna pietà, per lui. 
Terence sprofondò suo malgrado in un sonno nervoso, fortunatamente senza sogni, mentre all'orizzonte, il nero della notte si stingeva leggermente in un blu intenso. Il treno per New York correva incontro alla luminosità che si levava in fondo alla sua corsa. 
L'alba del 9 maggio sarebbe sorta di lì a poco.

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