Welcome back to the h e l l

di s o m e o n e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** some years l a t e r ***
Capitolo 2: *** I chapter ***



Capitolo 1
*** some years l a t e r ***


Welcome back to the h e l l
 
When you think that all finished, in that moment you understand it's not finish.
 
© s o m e o n e , Mia Ikumi , Reiko Yoshida .
 
 
Sun in shining in the sky. Birds are singing and river are flowing to the sea.
Earth is changed. Humans don't respect anything. But they live with happiness.
We don't understand how they're living.
Team 001. 09/10/1964, Earths' year.
 
Si stupì particolarmente quando scoprì quel biglietto sulla scrivania di suo padre, o meglio la ricostruzione dopo l'incendio, non c'era mai stato, ma lo aveva trovato lì, quando entrò nella stanza tornato per un breve periodo da Tokyo per recuperare alcuni oggetti. Risaliva a tanti anni prima, troppi.
Una chiara dichiarazione che gli alieni erano stati sulla Terra già in precedenza e che la loro visita era solo un ritorno. Non si preoccupò più di tanto Ryou, prese il biglietto e tornò da Keiichiro che lo aspettava fuori in macchina.
Avevano deciso di trasferirsi definitivamente in Giappone, quindi erano passati a recuperare tutto quello che avevano abbandonato in America al loro destino. Ripresero l'aereo la sera stessa. Ryou non disse del biglietto. Ci avrebbe pensato più tardi. Voleva godersi solo un po' di quiete.
 
Sono ancora nel mio letto d'ospedale. Non mi ricordo bene cosa sia successo. So che mi sveglio. Non trovo nessuno, come sempre. Alzo leggermente la schiena per vedere cosa mi trovo attorno: macchinari, schede, una finestra, luce pallida. Mi manca il respiro, quella solitudine mi stava amazzando più della malattia. Sento la gola secca ma non ho la forza di bere. Il mondo mi sta crollando addosso, anzi, l'ho fatto cadere addosso nell'istante in cui ho deciso di non combattere più, nell'istante in cui ho capito che la mia famiglia non sarebbe tornata. E ora mi sto lasciando andare, lascio passare i minuti, le ore e forse i giorni. Da quanto tempo sono qua? Minuti? Giorni? Mesi? Anni? Forse, tutto è possibile, ormai per me il tempo è finito, non c'è differenza. Nel corridoio c'è movimento ed entra un'infermiera. Cambia delle flebo, mi guarda impassibile come fossi un manichino, controlla i macchinari che mi tengono in vita e compila una specie di tabella.
"Pronta per la dialisi?" mi chiede. La cosa più noiosa della settimana. Era quella a scandire il tempo. Da quello intuivo che era venerdì, le 16 di pomeriggio. Finita la dialisi, sarebbero state le 18, dopodichè il tempo perdeva di nuovo il suo significato.
"Sì..." sussurro appena, non ho voglia di parlare nonostante i tentativi della donna.
In fondo il mio respiro è dovuto al funzionamento di macchine e medicine. Non è chiaro, forse, il concetto che io non esisto. Più.
 
 
 
Fine prologo.

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Capitolo 2
*** I chapter ***


Welcome back to the h e l l
 
When you think that all finished, in that moment you understand it's not finish.
 
© s o m e o n e , Mia Ikumi , Reiko Yoshida .
 
I chapter .
M o o n l i g h t
 
Si sveglio' con quel solito amaro in bocca. Una sensazione usuale, mattiniera, che sarebbe tornata la sera stessa, una sensazione che lo accompagnava fin dall'inizio del progetto mew. Una sensazione dettata da delusione e senso di colpa. Rimase immobile nel letto senza proferire parola, gli occhi mostrarono il loro colore solo dopo alcuni minuti di meditazione; i capelli biondi erano arruffati, reduci di una notte insonne.
Guardò l'orologio accanto alla foto della sua famiglia, segnava le due, troppo tardi per il suo standard, troppo presto per i suoi pensieri; avrebbe voluto ricacciarsi sotto le coperte e riprendere a dormire, di certo la realtà dei sogni era meno dolorosa di quella vera. La vera realtà prese il sopravvento, facendolo alzare faticosamente dal letto. Una doccia veloce, i primi vestiti trovati e scese, trovando già al Cafè Minto e Retasu che stavano sistemando prima che arrivassero i clienti. Trovò Keiichiro con lo sguardo e si lasciò cadere pesante sulla prima sedia vista.
"Buongiorno Ryou" gli disse dolcemente Retasu, ogni volta che gli parlava le si illuminavano gli occhi. In due anni era cresciuta parecchio, era diventata un po' più sicura di sè. Il progetto l'aveva forgiata parecchio.
"'Giorno" rispose Ryou di richiamo, ancora intontito, ancora nei suoi incubi.
Arrivarono anche Purin e Zakuro e, per ultima come da copione, Ichigo. Non appena la rossa varcò la porta, gli incubi di Ryou furono scacciati da un tumulto di battiti e di emozioni.
La mia micetta, penso, scacciando il pensiero dell'inutile ameba che lei diceva di amare.
"Scusate il ritardo!" disse con un grande sorriso. Il suo. Gli occhi sempre così caldi.
"Momomiya" la ammonì Ryou "ti sembra che i tuoi ritardi possano essere sempre accettati?".
"Ehm..." trasformò il sorriso in una smorfia "Sì" rispose facendo l'occhiolino.
Scappò via per cambiarsi. Non le avrebbe mai detto che l'amava. Non avrebbe mai capito.
 
E' passato un altro giorno. Non ho dormito questa notte. O almeno, mi sono svegliata in un bagno di sangue. Ma non so, a dire il vero, se era il sogno o se era la verità, ma di certo un po' di realismo c'era dato che le flebo sono aumentate.
"Rosemary...". Quante volte mi aveva chiamato, il dottore? Mi ero persa a fissare il cielo blu fuori da quella finestra. Mi ricordavano qualcosa, ma non sapevo esattamente che cosa. Qualcosa o qualcuno.
"Sì?" risposi qualche minuto dopo. Non avevo voglia di tenere una conversazione.
"Come ti senti?". Domanda idiota. Non ebbi bisogno di rispondere. Capì da sè. "Vuoi fare qualcosa?" domandò ancora.
"Voglio fare due passi... fuori" rispondo io. Avevo voglia di sentire l'odore dell'aria fresca e sentire l'erba fra le dita.
"Sai che non è possibile".
"Sì che è possibile". La mia arroganza nella voce non si nota nemmeno. Mi viene da piangere. Una frase detta piagnucolando invece che con fermezza. Ma quando arriva la fine?
Il dottore sospira. Non so nemmeno come si chiami. Per colpa sua io sto vivendo. Anzi, sto sopravvivendo. Che senso ha farmi restare viva se poi devo rimanere ferma immobile qua? Vivere significa uscire, fare esperienze, amare... io sono sempre stata qua in stato vegetativo.
"Sta notte sei stata male. Non puoi uscire".
"Nemmeno ieri potevo uscire...". Insisto. Infondo voglio sentirmelo dire: stai morendo.
"Non sei nella condizione di uscire". Solita balla. Basta che uno di questi macchinari si stacchi da me e io divento bianca e fredda.
"Sì che lo sono... voglio uscire. Non mi ricordo da quant'è che non vedo la luce".
Sospira di nuovo. Glielo leggo negli occhi il suo sì negato. Vorrebbe soddisfare il mio desiderio ma non può.
"La prego...". Tiro fuori la parte peggiore di me, quella della malata che ha pochi giorni (o nessuno) da vivere. Come può dire di no? Mi guarda un attimo, un'altro sospiro. La risposta.
 
Non era la prima volta che faceva incubi del genere. Però quelli della notte passata erano stati più tremendi del solito.
"Ryou, tutto bene?" gli aveva domandato Keiichiro, preoccupato per l'amico.
"Non tanto... non ho dormito" rispose, molto sinceramente, sempre gli occhi fissi su di lei.
Non fece altre domande, sapeva quanto Ryou fosse riservato. Si alzò dal nulla, prese la giacca in pelle e uscì, senza dire niente. Non ne poteva più di quell'aria così densa del suo profumo.
 
Mi aveva conesso dieci minuti al parco. Una piccola vittoria o forse esprimento da parte del medico per vedere se riesco a stare in piedi senza flebo o macchinari. Con me venne un'infermiera per tenermi d'occhio, nel caso fossi stata male.
Il contatto con l'aria fredda mi fece rabbrividire. Sentii le gambe tremare come foglie sotto il vestito che mi avevano dato. Non avevo un bell'aspetto, avevo i capelli troppo lunghi per i miei gusti, la frangia ero costretta a tirarla indietro. Era da tempo che lo dicevo, nessuno mi dava retta. Il cappottino non serviva a molto, ma quella sensazione... ghiacciata fu quasi un piacere per i miei polmoni. Li riempii fino a scoppiare, mai stata così bene. Sorrisi all'infermiera. Lei ricambia. Si chiama Kathy. Ci incamminiamo, non passo inosservata, ma non mi importa, mi godo i miei dieci minuti di libertà. Al parco le chiedo un gelato.
"Non vorrei ti facesse male..." mi dice, insiucra.
Con la stessa arma usata con il dottore, la convinco a farmelo mangiare: è delizioso. Me lo gusto lei mi guarda, preoccupata che mi sentissi male probabilmente, controlla l'orologio.
"Fra due minuti andiamo". Mi sconsolo. Volevo rimanere ancora un po'.
 
Camminava veloce fra la folla. Il parco era pieno, come sempre. Da stanchezza la sua era divenuta improvvisa rabbia. Avrebbe voluto avere l'ameba fra le mani per prenderla a pugni. Gli aveva portato via la sua micetta. O, forse, lui non era stato abbastanza svelto e sveglio? Rabbia. Rancore. Rimorsi. Rimpianti. Ricordi. Le "R" che avevano governato la sua vita. Svoltò verso la piazzetta, adirato, ma poi improvvisamente immobile, come se avesse scontrato una porta di vetro.
La guardò, stava andando via. La vide di schiena, i capelli lunghi biondi, lisci. Si voltò un secondo e riuscì ad intravedere gli occhi nocciola della ragazza, occhi che incrociarono il suo sguardo. Era magrissima, ma non anoressica. Per un istante, tutto fu fermo, finchè non sparì dietro l'angolo. Un Dèjà-vu, una specie di visione dal passato. Sentì un brivido percorrergli la schiena.
Una visione del passato.
 
Quegli occhi blu furono una vertigine nel vuoto del mio passato. Il salto più doloroso mai fatto.
 
Immobile, fu scosso dallo squillare del cellulare. Era Keiichiro.
"Ryou c'è un problema, vieni subito al Cafè". Nemmeno il tempo di rispondere che aveva buttato giù. Corse da dove era venuto.
Un presentimento. Sentì il foglietto agitarsi nel giubotto. Stavano accadendo troppe cose sbagliate.
La visione al Cafè fu quella di un Ichigo in lacrime con attorno le ragazze che sembravano morte dal pallore che avevano sul viso.
Un'altra vertigine.
E non era stato un caso aver visto quella ragazza.
Non era stato un caso nemmeno trovare il biglietto.
E nemmeno lo era stato quell'Ichigo in lacrime. 

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