It's only Johnlock

di Lory221B
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Am I pretty? ***
Capitolo 2: *** Save the last dance for me ***
Capitolo 3: *** Ti ricordi di me? ***
Capitolo 4: *** Il ballo del ceppo ***
Capitolo 5: *** Lo strano caso Sherlock Holmes ***
Capitolo 6: *** 10 Agosto ***
Capitolo 7: *** Sherlock e il sesso...istruzioni per l'uso ***
Capitolo 8: *** Il gioco non finisce mai ***
Capitolo 9: *** Il resto non conta ***
Capitolo 10: *** Kiss me ***
Capitolo 11: *** Coinquilini ***
Capitolo 12: *** Due scemi innamorati ***
Capitolo 13: *** Oh What a Night! ***



Capitolo 1
*** Am I pretty? ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di sir A.C.Doyle, Moffatt Gatiss BBC ecc.; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento


One shot senza pretese ispirata dai capelli di Martin Freeman in Fargo e scritta di getto mentre tornavo a casa...giusto per sorridere un po'

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Am I pretty?



- Oddio sei in crisi di mezza età!!!-

John si era stufato di sentire quei commenti e malediceva il momento in cui aveva avuto la brillante idea di cambiare look. Inutilmente, oltretutto, visto che non aveva ottenuto il risultato sperato.

Quella mattina si era alzato presto, attorno alle cinque, era stato attentissimo a non svegliare Sherlock che era crollato sfinito nel letto accanto a lui  ad un’ora imprecisata della notte.

Meditava già da giorni di cambiare radicalmente il suo look e finalmente aveva trovato il coraggio di farlo.

Il giorno prima aveva messo tutti i suoi maglioni in un sacco, sostituiti da camicie e giacche eleganti ed era stato attentissimo a non farsi scoprire da Sherlock.

Quella mattina aveva intenzione di porre in atto la seconda parte del piano: tingersi i capelli di castano con uno shampoo colorante che sarebbe andato via dopo qualche lavaggio, giusto per fare un esperimento e non affrontare un cambiamento permanente. Poi li avrebbe pettinati in maniera diversa, più moderna.

Nella sua testa era chiarissimo il risultato; non si era mai curato del look ma era successo un evento a cui non poteva non prestare l'attenzione.

Così alle otto era pronto: aveva i capelli castani, pettinati con il gel, cosa che non faceva dai tempi del liceo; aveva concluso l’opera indossando il completo nuovo. Si ammirava allo specchio, magari non era proprio perfetto ma era contento di quello che vedeva.

Entrò in cucina dove uno Sherlock mezzo assonnato stava già chino sul microscopio. Quando John lo salutò Sherlock alzò la testa e per mezzo secondo lo sguardo indugiò su John senza alcun cambio di espressione, non disse niente, come se avesse notato appena la sua presenza. Si rimise subito a guardare la piastrina del microscopio senza spiaccicare parola.

John non si aspettava grossi complimenti, non sarebbe stato da Sherlock; non si aspettava nemmeno di venir buttato sul divano per un po' di sesso mattutino, cosa che avrebbe apprezzato, ma voleva almeno una reazione.

Quello che era successo era preoccupante; Sherlock notava tutto e sicuramente non gli era sfuggito che il suo John aveva cambiato pettinatura, colore di capelli e vestito. Il fatto che stesse zitto, che non avesse detto nemmeno qualcosa di critico, aveva completamente spiazzato John, che per il fastidio non si avvicinò al detective e decise di consumare la sua colazione al bar.

Scendendo per le scale aveva incontrato la signora Hudson, che subito aveva sottolineato quando sembrava più  giovane con la nuova pettinatura e anche alcuni vicini avevano fatto dei commenti. Tutti avevano detto qualcosa tranne Sherlock.

John si recò al lavoro scontento, evitò i colleghi che lo guardavano sorpresi e le infermiere che sembravano interessate dal cambio di stile. Anche alcuni pazienti fissi avevano manifestato forme di apprezzamento o stupore.

- Sei in crisi di mezza età? - Chiese Sarah affacciandosi alla porta del suo studio.

- Scusa? - rispose John smettendo di scarabocchiare sul suo block notes.

- Il nuovo look? Ok che i quaranta sono arrivati ma da te non mi aspettavo...questo! - continuò Sarah ridendo.

- Non è una crisi di mezza età...credo... lascia stare -

Fantastico, sembrava ridicolo. Magari chi non lo conosceva poteva trovarlo più sexy forse, ma per chi lo conosceva da anni sembrava un’idiota che aveva deciso di svecchiarsi tutto in un colpo.

All'ora di pranzo non aveva nessuna voglia di tornare a casa, tanto più che Sherlock era impegnato con Lestrade, così finì per accettare l’invito di sua sorella per mangiare assieme.

***** *****

- Oddio, sei in crisi di mezza età? - esordì Harry appena lo vide, squadrandolo dalla testa ai piedi. Non ricordava suo fratello in completo dalla prima comunione.

- È questo quello che tutti pensano vedendomi? - chiese John.

- Non è che adesso ti farai anche un lifting vero? - Continuò Harry ridendo.

- Non e divertente -

- Comunque ti ho chiamato per presentarti alla mia nuova ragazza, Jackie. Eccola sta entrando -


***** *****

Qualche ora di convenevoli dopo John tornò a casa stranito, con una storia buffa da raccontare su Harry e Jackie. Sempre sperando che il suo silenzioso ragazzo avesse voglia di ascoltarlo o anche solo di calcolarlo, visto il disinteresse della mattina,

John aveva sempre temuto che Sherlock si stancasse di lui, era troppo incline ad annoiarsi e riluttante nelle relazioni. Negli ultimi giorni era stato piuttosto scostante, ma il mutismo immotivato non era mai capitato, per cui John lo attribuiva alla noia. Sherlock si era stancato di lui al punto da non scomodarsi nemmeno a commentare il suo cambio di look.

Entrò in Baker street, indeciso se affrontare la cosa o meno, ma decise di iniziare in maniera rilassata valutando la reazione di Sherlock, il quale stava fissando qualcosa fuori dalla finestra e non si era nemmeno scomodato a voltarsi all'entrata di John.

- Mi è successo una cosa strana oggi -

Nessuna risposta.

- La ragazza di mia sorella ci ha provato con me...assurdo no? -

- Beh sarai contento adesso... era quello che volevi no? - sbottò Sherlock, girandosi di scatto e fissandolo con i suoi occhi freddi e indagatori.

- Ma di cosa stai parlando? -

- Pensi che io sia cieco John?  - affermò ancora più duramente Sherlock.

- Sta mattina l’ho pensato in effetti. Perché dovrei volere che la ragazza lesbica di mia sorella ci provi con me? - ora anche John aveva iniziato ad alzare la voce, data l'irragionevolezza del detective.

- Non so su chi di preciso vuoi fare colpo ma è abbastanza evidente che vuoi far colpo su qualcuno. Chi è l’oca che hai puntato? -

- Sherlock, che diavolo stai dicendo? - chiese John confuso

- Guardo anch'io, anzi mi costringi a guardare, quei stupidi programmi in cui una donna cambia look per trovare un ragazzo nuovo o perché vuole cambiare vita. Se non hai una nuova ragazza probabilmente ti sei stancato di me quindi vuoi una vita diversa -

John lo fissò a bocca aperta.

- Wow per una volta non hai capito niente. Dovrei scriverlo sul blog se non fosse che sembrerei ridicolo anch’io. -

- Scusa? Mi prendi per stupido? Hai fatto tutto di nascosto, è ovvio che...  -

- Sherlock, l’ho fatto per te, per piacere a te -

Sherlock lo fissò come quando cercava di spiegargli il sistema solare.

- Non essere ridicolo, a me tu andavi benissimo com'eri, con i tuoi rassicuranti maglioni e i capelli brizzolati. Non inventarti scuse. -

- Non sto inventando niente. Vuoi la verità? L’altro giorno, quando abbiamo incontrato il tuo amico... -

- Trevor? Il mio compagno di università? -

- Si lui; c’e stato un momento in cui mi sono guardato allo specchio e mi sono visto basso, brizzolato e con le occhiaie mentre lui era alto, slanciato, castano con i capelli ricci e perfetti e il fare aristocratico -

John si guardava la punta delle scarpe, si sentiva veramente stupido a fare quella confessione.

- John, mi stai dicendo che eri geloso di Victor? - chiese Sherlock stupito.

- Beh sembravate così intimi...non ho avuto nemmeno il coraggio di chiedere se magari voi due... -

- Ma per favore, sai benissimo che sei stato il primo per me...in tutto -

John alzò lo sguardo e incontrò gli occhi chiari del detective che stava sorridendo.

- Ok d’accordo, sono stato un idiota, sei contento? - fece John togliendosi la giacca e lanciandola il più lontano possibile.

- Mi spiace, John...forse...ti ho trascurato negli ultimi giorni? - Fece Sherlock avanzando con fare felino.

- Non sono dell'umore, mi sento un cretino. Domani riprendo i maglioni e mi lavo i capelli finché non tornano del mio colore -

- Un cretino molto sexy - continuò il detective facendosi sempre più vicino e arrufandogli i capelli.

John non potè fare a meno di sorridere.

 - Sai non occorre che ti lavi subito i capelli - fece Sherlock trascinandolo sul divano.

John pensò che dopotutto non era stata una cattiva idea.

 




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Capitolo 2
*** Save the last dance for me ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di sir A.C.Doyle, Moffatt Gatiss BBC ecc.; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento

Save the last dance for me


- Il sospettato deve essere per forza lì dentro, Sherlock ci ha dato questo indirizzo - affermò Lestrade indicando un locale.

- In un Night Club? - chiese John titubante.

- Sì, qualche problema, John? -

- No, no...tutto ok - rispose perplesso, gli sembrava quantomeno strano immaginare Sherlock appostato in un night club.

I due entrarono spediti, John aveva già la mano alla pistola, pronto all'azione, quando si trovò davanti Mike Stamford, Anderson e altri colleghi della clinica.

- Sorpresa! - gridarono in coro. Solo allora notò Sherlock in disparte, intento a guardarsi la punta delle scarpe.

John si voltò verso Greg, cercando una spiegazione a quella "imboscata", dato che non vi era alcuna ricorrenza da festeggiare.

- Sai, ti abbiamo visto un po' giù ultimamente e abbiamo pensato che poteva essere divertente - strizzò l'occhio Lestrade.

Sherlock sollevò eloquentemente un sopracciglio - Io ero contrario a questo, secondo me un bell'omicidio ti avrebbe risollevato il morale più di una serie di ragazze che sculetta strusciandosi su un palo. Ma a quanto pare è un pensiero esclusivamente mio -

John pensò che doveva sembrare davvero disperato se avevano deciso per quel pronto intervento di gruppo. La separazione da Mary non era stata poi così traumatica, l'amore non c'era più e sarebbe stato inutile continuare, ma alla fine l'aveva vissuto come un fallimento e si era ritrovato a traslocare in un monolocale in periferia.

Non aveva trovato il coraggio di chiedere a Sherlock di poter tornare a Baker Street e nonostante l'amico avesse più volte provato a introdurre l'argomento, John lo aveva sempre evitato. Non perché non lo volesse ma perché aveva sofferto troppo nei due anni che Sherlock era stato dato per morto e non se la sentiva più di dividere la vita con lui.
Per un po' voleva stare lontano da tutti e tutto ma evidentemente quella solitudine non era sfuggita ai suoi amici.


John si avvicinò a Sherlock che stava ancora in disparte, guardandosi attorno con la faccia di uno che non capiva cosa ci facesse lì.

- Come mai sei venuto? Credevo che le feste, la gente... non fossero cose per te - chiese al detective.

- Qualcuno dovrà portarti a casa quanto avrai finito di bere - rispose Sherlock.

- Non essere ridicolo, io reggo l'alcool. Sei tu quello che ha vomitato al mio addio al celibato -


***** *****

Due ore dopo.

- Uuuuuuuuh  ragazziiiii, vi voglio beneeee - gridò John buttandosi sul divano e abbracciando Lestrade, Mike e Anderson.

- Ok John, siamo contenti che ti stia divertendo, ma mettiti a sedere - fece Greg divincolandosi.

Sherlock in piedi, con un bicchiere di coca-cola in mano, guardava la scena alzando gli occhi al cielo.

John si fece serio, per quanto sei birre e tre bicchieri di vodka potessero permetterglielo - No, sono serisssssssssssimo. Sherlock, vieni a sederti anche tu - fece battendo la mano sul posto accanto al suo.

Il detective sembrò indeciso su cosa fare, ma decise di assecondarlo per non sentirlo più urlare.

- Cosa stai bevendo, Sherlock? - chiese John fissando il bicchiere di coca-cola  - Bevi un birra anche tu! -

- Sto bene così, John -

- Camerieeeeraaaaa una birra per il mio migliore amico - gridò John rivolto ad una bionda - il mio migliore amico, il mio migliore amico, il mio migliore amico.. -

- Ti sei incantato? -

- Guarda come sono brave a ballare quelle ragazze - fece John indicando tre morette che si dimenavano sul palco mezze nude.

- Ma per favore, John! dov'è la tecnica? Quello non è ballare è fare aerobica - esclamò stizzito - Io ballerei molto meglio - aggiunse sottovoce ma John riuscì comunque a sentirlo ed improvvisamente ebbe la visione di Sherlock in camicia aderente porpora e pantaloni neri che faceva una danza sexy attorno ad una sedia, slacciandosi piano ogni bottone della camicia.

- Sherlock, ti devo dire una cosa. E' tanto che volevo dirtela e l'alcool mi rende tutto più chiaro - fece di botto John.

- Immagino - rispose Sherlock scuotendo la testa.

- La verità è che ... John è un nome da femmina (1) - e scoppiò a ridere.

Sherlock fece una smorfia ma non disse niente, non sapeva se John aveva capito che dietro alla frase ironica che gli aveva detto tempo addietro, che Sherlock era un nome da femmina, c'era una valanga di sentimenti che non era in grado di esprimere.

- Forse è meglio che ti riporti a casa - affermò Sherlock cercando di farlo alzare.

- Non fare il guastafeste!! Guarda, è arrivata la ragazza con la tua birra - indicò John.

La bionda appoggiò la bibita sul tavolino e scivolò sinuosa verso di loro. La ragazza fece l'errore di cercare di sedersi su Sherlock che si scansò al volo facendola cadere a terra. John guardò la scena e scoppiò a ridere aiutando la ragazza ad alzarsi. La cameriera non sembrò però altrettanto divertita.

- Che problema ha il tuo amico? Non sono abbastanza bella per lui? - chiese piccata a John.

- Ma noooooo... non gli piacciono queste manifestazioni di... sessualità esplicita... mettiamola così - rispose.

La ragazza lo guardò come se stesse parlando arabo e Sherlock sorrise per la giustificazione, che non aveva tirato in ballo asessualità, omosessualità o  misantropia.

La cameriera sbuffò guardandolo torvo - Beh, se non ti interessano certe cose non dovresti venire in un night club, non è un posto per diversi - replicò gelida.

Sherlock strinse gli occhi pronto a commentare che ci voleva coraggio a giudicare gli altri quando era evidente che lei aveva due figli che aveva lasciato a casa con la vicina cardiopatica, che invece che spendere i soldi per mantenerli si era rifatta il seno e le labbra e che stava tirando su quel casino solo perché sperava di finire sui giornali portandosi a letto il detective col cappello.

Non riuscì a dire niente di tutto ciò perché John si alzò, barcollando e si mise tra Sherlock e la ragazza - Non permetterti di dare del diverso al mio Sherlock. Siete tutti voi che siete sbagliati. Lui non è diverso è straordinario - sentenziò con un dito davanti alla bocca.

La cameriera restò perplessa ma decise di andarsene.

Per Sherlock fu come essere trascinato improvvisamente a tanti anni prima, si tuffò nel suo palazzo mentale, ricordando un vecchio episodio di quando aveva sei anni ed era tornato a casa in lacrime perché i compagni di classe gli avevano detto le stesse identiche parole, che era diverso e non poteva giocare con loro, che quello non era un posto per diversi. Era stato allora che aveva preso in mano un libro di psicologia della madre e aveva deciso che era un sociopatico iperattivo.

Anni dopo, quando a quattordici anni aveva deciso di iscriversi ad un corso di danza, era stato nuovamente deriso da quelli che giocavano a calcio e, nonostante non gli importasse di quello che pensavano gli altri, lasciò perdere la danza per non preoccupare i suoi genitori che temevano sarebbe stato vittima dei bulli.

Inaspettatamente, mentre era perso nel ricordo di Mycroft che tentava a modo suo di consolarlo, si sentì improvvisamente abbracciare da qualcuno altezza hobbit, che altro non era che John. Inizialmente si irrigidì, non abituato a quelle manifestazioni di affetto; dopo circa un minuto, in cui probabilmente John si era addormentato sulla sua spalla, decise di sollevare un braccio e portarlo sulla schiena del dottore.

Greg, che stava conversando con Mike, alzò lo sguardo sorridendo amabilmente alla vista dei due amici.

- Sai Greg, sono stato io a metterli insieme! - affermò biascicando Mike.


***** *****

Intorno alle quattro di mattina finalmente varcarono la soglia di Baker Street; Sherlock trascinava un mezzo addormentato John verso la sua ex stanza, impresa che diventava più difficile ogni scalino; così alla fine decise di portarlo a dormire in camera sua che era più vicina, tanto a lui sarebbe bastato il divano.

John si accasciò sul materasso e Sherlock pensò che ormai nemmeno le cannonate lo avrebbero svegliato quando, con un piede ormai fuori dalla sua stanza, si sentì chiamare dall'assonnato dottore.

- Resta qui -

- John, dormi, è tardi e domani avrai un notevole post sbornia -

- Vero che resterai con me per sempre? - biascicò John a occhi chiusi, tanto che Sherlock non riusciva a capire se stesse parlando nel sonno o se fosse ancora sveglio - Vero che non ci saranno più tuffi dal tetto o matrimoni? -

- Il matrimonio era tuo, John - affermò ridendo Sherlock. In realtà non c'era molto da ridere visto che Sherlock ricordava quel giorno di maggio come il peggiore della sua vita, tant'è che non esistevano calendari in casa con quel mese. Solo da quando John e Mary avevano deciso di separarsi e il dottore era tornato a fargli visita a Baker Street, il detective aveva deciso che dopo il 30 aprile veniva di nuovo il primo maggio e non il primo di giugno.

- Solo perché tu non c'eri - affermò il dottore in risposta - Promettimi che resterai sempre con me - ribatté tirando la coperta fino alle orecchie.

Sherlock che era rimasto in piedi sullo stipite della porta, si avvicinò lentamente e si mise a sedere sul letto - Lo sai che ci sarò sempre per te, John; comunque vada, con chiunque tu stia, qualunque cosa accada. Perché la verità è che .... -

- Sherlock è un nome da femmina - concluse John debolmente.

Sherlock sorrise accarezzando la schiena del dottore da sopra le coperta - No è che ti amo... ma tanto domani non te lo ricorderai - arricciò le labbra e si alzò,  come immaginava non ricevette alcuna risposta.


***** *****

La mattina dopo John si svegliò con un enorme mal di testa. Si guardò attorno e ci mise un po' per rendersi conto che si trovava nella stanza di Sherlock. Gli venne da sorridere, dopo Irene Adler e Janine era la terza persona che dormiva nel letto di Sherlock senza Sherlock.

Si incamminò verso la cucina dove sentiva alcuni rumori stravaganti, come qualcuno che stava cercando di cucinare e non sembrava essere la signora Hudson. Con la coda dell'occhio vide una coperta buttata sul divano e dedusse che Sherlock si doveva essere sistemato lì.

Arrivò in cucina e con stupore si accorse che Sherlock effettivamente stava cercando di cucinare qualcosa che poteva essere un pancake come una frittata, dall'aspetto non era chiaro.

- Ciao, che combini? - chiese John sbadigliando.

- Oh ciao, ti sto facendo la colazione post sbornia -

John lo fissò stupito.

- Non va bene? - chiese il detective pensando di aver violato qualche particolare regola sociale.

- No, è solo che è strano -

- Non abituarti, è solo per oggi - rispose Sherlock mettendo in tavola una strana cosa color giallo e versando il tè nella tazzina.

John non era molto convinto di quello che aveva davanti ma fece uno sforzo per scoprire cosa cavolo fosse quella pietanza. Sherlock sorrise e fece per uscire dalla cucina quando John lo afferrò per un braccio.

- Non andartene -

- Vado solo in soggiorno -

- Vorrei che rimanessi qui -

- John, quando avevo quattordici anni ho studiato danza per qualche mese - se ne uscì tutto in un colpo.

John lo fissò stranito, non capendo come il filo dei pensieri del detective era arrivato fino a quella affermazione ma decise di assecondarlo - Ok, quindi è per questo che sei così aggraziato? -

- Non lo trovi strano? -

- Non trovo niente di strano in te, al massimo di straordinario. Credevo di averlo detto anche ieri sera, qualcosa di simile almeno - fece John massaggiandosi la testa.

- Quanto ricordi di ieri sera? - chiese Sherlock con un brivido.

- Abbastanza da sapere che staremo per sempre assieme a quanto pare....e che....mi ami? - rispose con un sorrisetto compiaciuto - Non fare quella faccia spaventata - continuò alzandosi e facendosi sempre più vicino - Allora, mi concedi un ballo? Mi sembra di ricordare che ti sei vantato di essere un bravo ballerino -

- Non c'è la musica - fece Sherlock chiedendosi se John si fosse ammattito di colpo.

- Quale vorresti per il nostro primo ballo? -

- Abbiamo già ballato il valzer John, quando ti insegnavo -

- Quello non vale - fece John baciandolo sulle labbra e procurandogli un altro brivido - Facciamo così, accendo la radio e la prima canzone che sentiremo sarà la nostra canzone -

- Dovrò adeguarmi a queste cose melense? -

- Direi proprio di si - e accese la radio. Dalle casse risuonarono forti le note di "Naughty girl" di Beyonce e i due si guardarono perplessi.

- Ok magari facciamo quella dopo -



(1) Sottolineo l'ovvio, ma non si sa mai che qualcuno del fandom si sia distratto. Era una citazione da His last vow, quando Sherlock e John si salutano all'aeroporto.


Angolo autrice:
Scusate, lo so che dovrei aggiornare "Una notte da leoni" (per chi la sta seguendo) ma mi è venuta in mente questa cosa e dovevo scriverla.
Spero vi sia piaciuta e vi abbia strappato un sorriso.
Un bacione!

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Capitolo 3
*** Ti ricordi di me? ***


Ti ricordi di me?


- Ciao John,  ci sono notizie buone e notizie cattive  - esordì Lestrade. John era arrivato di corsa appena ricevuta la telefonata dell'ispettore. Sherlock aveva inseguito da solo un criminale che lo aveva coinvolto in un corpo a corpo lungo le rive del Tamigi. All'arrivo delle pattuglie della Polizia, gli agenti avevano trovato Sherlock in mezzo al fiume, mezzo annegato e nessuna traccia del criminale.

- Ok..dimmi - fece John cercando di mantenere la calma.

- Sta bene fisicamente ma... Ha perso la memoria. I medici dicono che potrebbe tornargli in qualunque momento ma... JOhn, non so come dirtelo, ma ha rimosso gli ultimi cinque anni -

Per John fu come una doccia fredda.

- Cinque hai detto? -

- Si... L’ultima cosa che ricorda sono i primi tre suicidi-omicidi del tassista...nessuna signora in rosa, nessun blog... -

John rimase a bocca aperta, poi gli sembrò che tutto stessa girando vorticosamente e fu costretto ad aggrapparsi ad una sedia.

- John stai bene? - chiese Lestrade vedendo l'amico sbiancare.

- Si scusa...posso vederlo ? -

- Si credo di si -


***** *****

 - Ciao - fece John entrando piano nella stanza d'ospedale di Sherlock. Il detective era a letto, seduto e stava leggendo un quotidiano. Alzò appena lo sguardo per squadrare chi era entrato.

- Non so se glielo hanno detto ma ho perso la memoria  - fece Sherlock notando lo sguardo speranzoso dell'altro.

- Si, mi hanno detto. Sono John Watson -

- Ex medico militare a giudicare dalla postura e dal fatto che ha preso subito in mano la cartella medica -

- Già - rispose John malincuore. Sperava davvero che vedendolo gli sarebbe ritornato in mente tutto. John appoggiò la cartella e si mise a sedere a fianco del detective, che continuava a scrutarlo con il suo sguardo indagatore.

- E' un mio cliente? Perché ci conosciamo? Ho risolto l’omicidio di sua moglie? - chiese il detective ad uno stupito John.

- Non proprio... sono ancora sposato - affermò il dottore.

- Non ha la fede, ma ha il segno bianco, come se l’avesse tolta da poco - convenne Sherlock.

- Mi da fastidio e ogni tanto la tolgo. Davvero non ricordi niente, non mi stai prendendo per il culo vero? Perché ti giuro che sta volta non te lo perdonerei - quasi gridò John, con la voce leggermente incrinata.

Sherlock ebbe un sobbalzo, non si aspettava quella reazione improvvisa. - Chi sei per me? - chiese il detective.

- Ti porto un tablet e ti faccio leggere il mio blog, sarà molto più eloquente -


***** *****


Due ore dopo

John rientrò nella camera di Sherlock, convinto che due ore erano più che sufficienti per leggere tutto il suo blog.

-  Oh ecco il mio fanboy blogger - affermò Sherlock con un mezzo sorriso indisponente.

- Non è divertente  - fece John, come travolto da quella mancanza di tatto.

- Mi spieghi perché una persona normale dovrebbe continuare a parlarmi dopo che ho finto la mia morte e sono tornato come nulla fosse? Chiunque mi darebbe un pugno, mi strangolerebbe - chiese Sherlock.

- Già..in realtà quando sei tornato eri convinto che l'avrei presa bene - rispose John, cercando di mantenere la calma, cercando di ricordare che Sherlock non lo faceva apposta, aveva dimenticato tutto.

- Davvero? Scusa ma non capisco. Hai scritto che sono il tuo migliore amico, ti ho fatto addirittura da testimone al matrimonio ma ...questo non è da me! Non posso essere cambiato tanto in cinque anni -

John lo guardò mortificato - Hai parlato con tuo fratello? - chiese, sperando nell'aiuto di Mycroft.

- Perché dovrei? Non ci parliamo mai -

- Ti confermerebbe che eravamo amici, coinquilini, risolvevamo crimini insieme. Hai ucciso un uomo per tenere al sicuro me e mia moglie e io ti ho salvato la vita quando ci siamo conosciuti  -

- Questo non c'era nel tuo blog...immagino non possiamo andare in giro a dire che siamo due assassini - rispose Sherlock. La bocca gli si era fatta improvvisamente più secca, come se le ultime affermazioni pesassero come macigni - Scusa...io...davvero vorrei ricordare, è piuttosto snervante e fastidioso. -

A John sembrava di lottare contro i Mulini a vento come Don Chisciotte, ma si fece forza e cominciò a prendere le cose del detective. - Mi hanno detto che puoi uscire, tornare a Baker street magari ti aiuterà, magari ti verrà in mente qualcosa -


***** *****

John accompagnò Sherlock fino al 221b, speranzoso che il detective potesse davvero ricordare tutto una volta messo piede a casa. Invece il detective entrò e sembrò un po' smarrito, nei suoi ricordi era l'appartamento in cui aveva iniziato a trasferirsi, non la sua casa.  Si sentiva ancora molto stanco, per cui si guardò giusto un attimo attorno e poi si diresse verso la poltrona scura, vicino alla finestra.

John sentì il fiato mancare, la sua poltrona, era di nuovo sulla sua poltrona.  - Come mai ti sei seduto proprio su quella poltrona? - chiese il dottore. Sherlock lo guardò stupito, come se non capisse il senso di quella domanda  - È la tua! - continuò John.

- Oh...beh potrebbe essere un buon segno! - fece allegro il detective - Oppure sono un indizio che questa poltrona mi sembra più comoda - continuò sarcastico spegnendo il sorriso di John.

- Io.. Vado un attimo fuori...scusami - fece John, scuro in volto.


***** *****

Due giorni dopo

- Che noia John, mi sento confinato qui. Lestrade non vuole affidarmi casi finché non sarò in me. Sono perfettamente in me, solo con meno memoria. E poi sembra che tutti mi stiate nascondendo delle cose, potreste aiutarmi invece che darmi pezzi di informazioni -

- Sherlock i dottori non vogliono che ti diamo troppe informazioni, preferiscono che la memoria ti ritorni un po' alla volta - rispose John, sempre più stanco.

- Beh utile, non mi torna niente. Come mai non dormi da tua moglie? -

- Scusa? -

- Se dormi al piano di sopra, qui a Baker Street è evidente che non dormi con tua moglie. Almeno che tu non abbia una storia clandestina con la sig.ra Hudson -

- Dormo al piano di sopra per controllarti, finché non sarò sicuro che stai bene - rispose pigramente.

- Non sei molto felice di dormire qui o sbaglio? - chiese Sherlock, quasi deluso.

- E' molto strano riabituarmi a dormire al piano di sopra, ma va bene, spero che tu ritrovi la memoria e che tutto si risolva -

- Non credo accadrà -

- Come dici? - chiese shockato John.

- Se la mia mente perfetta ha eliminato gli ultimi anni vuol dire che non sono stati così memorabili -

John si trovò a deglutire più volte e poi si alzò in piedi, quasi torreggiando su Sherlock.

- Basta,  io non ce la faccio, credevo di essere forte ma questo è troppo per me, è come se fossi morto di nuovo, ho bisogno di andare da mia sorella almeno tre giorni -

- Harry? - chiese dubbioso Sherlock.

- Cosa? - fece John con un mezzo sorriso, come sperando che lo sfogo avesse aiutato la memoria del detective.

- Si chiama Harry - affermò Sherlock ora sicuro - l’ho letto nel blog - aggiunse.

John si sentì nuovamente schiaffeggiato.

- Fantastico sei diventato uno stronzo sarcastico, anzi dovrei dire che sei  tornato ad esserlo -

- Perché continui a frequentarmi se hai questa opinione di me? - chiese Sherlock, quasi offeso.

- Sinceramente, preferisci che me ne vada? Voglio sentirti dire quanto sono stupido, per favore dimmi di andarmene e lo farò - gridò John.

- Io...perché ci tieni così tanto a me?   - chiese Sherlock leggermente colpito dall'atteggiamento del dottore.

John si trovava sul punto di urlare tutto quello che provava ma da medico sapeva che non avrebbe aiutato, che Sherlock non avrebbe capito, che non stava parlando con lo Sherlock con cui aveva vissuto tante avventure ma con il detective saccente e viziato che aveva incontrato nell'obitorio un pomeriggio di tanti anni prima. Sarcastico, fastidioso e indisponente e per niente capace di far uscire la sua empatia ben nascosta. Lo Sherlock di cui, senza saperlo, si era innamorato a prima vista.

- Io vado a prendere aria, di nuovo - fece John uscendo e sbattendo la porta più forte che poteva.


***** *****

Sherlock stava passeggiando avanti e indietro per l'appartamento, indeciso se sparare al muro o chiamare John per sapere dove era finito. Gli sembrava strano questo pensiero, come una specie di attaccamento per quello strano dottore.

- Sherlock! - fece Greg irrompendo nel soggiorno.

- Lestrade? -

- Mi è arrivata una strana chiamata, sembrava John, ha detto qualcosa che non ho capito....beh non lo so, credo gli sia capitato qualcosa di grave o stia per fare qualcosa di stupido -

Sherlock senti come una strana morsa allo stomaco, una sensazione che non ricordava di aver provato prima ma al contempo non gli sembrava qualcosa di nuovo.

- D'accordo Ispettore, che indizi abbiamo? Ha sentito dei suoni, dei rumori particolari?-

- Ho capito solo "tetto del Saint Bart " -


***** *****

Sherlock fece tutto il viaggio in taxi come in trance, qualcosa vorticava veloce nel suo palazzo mentale, alcune stanze che erano chiuse sembravano timidamente riaprirsi e concedergli degli spiragli di memoria. Suoni, voci, risate. Cose che non ricordava di aver mai provato per tutta la vita ma che appartenevano ai cinque anni mancanti. Ma anche pianti, disperazione, tristezza, gelosia, spari. Si sentiva come sopraffatto da tante emozioni, ma non riusciva a rimettere insieme i pezzi. Vedeva tutto come una serie di diapositive sparse sul pavimento.

Per la prima volta aveva ricordato la faccia di Jim Moriarty,  lo psicopatico che lo aveva sfidato e poi si era fatto saltare il cervello davanti ai suoi occhi. Come aveva potuto dimenticarlo? Quando arrivò a destinazione scese di corsa dal taxi e istintivamente alzò la testa verso il tetto. John era in piedi sul cornicione, con il cellulare in mano.

Lo  smartphone di Sherlock squillò e il detective vide comparire il numero di John sullo schermo; Lestrade  lo strattonò per una manica - Vado sul retro, tu tienilo al telefono ok? -

Il detective annuì.

- John cosa..perché sei in cima al tetto? -

- E' complicato da spiegare -

 Sherlock fece per attraversare la strada.

- Fermo dove sei - intimò John.

- Ok resto qui. Mi spieghi cosa sta succedendo? -

- Dovresti dedurlo da solo -

- Non posso io... John perché non lasci che ti raggiunga e ne parliamo? -

- No, non puoi. Non devi muoverti di lì. Puoi solo tenere gli occhi fissi su di me e fidarti -

Sherlock spalancò gli occhi confuso, sentiva il cuore battergli all'impazzata - John io non sono bravo in questo genere di cose, io...so solo che non voglio che ti butti da quel tetto -

- Perché? -

- Sarebbe una cosa stupida. E... non farlo e basta -

John abbassò il capo e sospirò.

- Troppo tardi, sta volta sarò io a lasciare un biglietto. Addio Sherlock - così dicendo gettò il cellulare e saltò del tetto.

- Jooooooooooohn -

Sherlock iniziò a correre quando venne urtato da un ciclista che lo travolse e lo fece cadere a terra. L'impatto con il terreno gli sembrò come un tuffo nel passato, come se avesse già vissuto qualcosa di simile, come se Moriarty l'avesse costretto a buttarsi dal tetto, come se... come se qualcosa stesse riaffiorando in lui. Si rimise in piedi e corse verso quello che si aspettava fosse il punto di impatto, quando vide un enorme materasso blu, uguale a quello che aveva usato lui, perché si, adesso iniziava a ricordare, aveva usato un materasso per fingere la propria morte.

John era in piedi, leggermente frastornato dal tuffo, che lo fissava speranzoso. Il dottore poteva vedere Sherlock ragionare, come se avesse dei circuiti nel cervello che si erano messi improvvisamente in moto tutti assieme.

- Sherlock, ti senti bene? - chiese il dottore guardando l'amico sbiancare.

Il detective aprì e richiuse la bocca più volte - Hai..come hai.. John io...non mi sento bene -

- Ok, ti riporto a Baker Street, credevo che uno shock potesse farti tornare la memoria ma... ok andiamo -


***** *****

Il mattino dopo Sherlock si svegliò stranito. Si massaggiò più volte la testa e poi decise di alzarsi. Si sentiva come quando Irene Adler l'aveva drogato, una sensazione molto spiacevole.

Si diresse in cucina, dove John stava preparando la colazione.

- Dov'è il cane? - esordì il detective.

John fece cadere la teiera e si girò di scatto - Come dici? -

- Gladstone,  il cane che abbiamo preso assieme -

John respirò più volte e poi chiese con poca convinzione - Sherlock, dove lo hai letto? -

- Da nessuna parte John -

- Stai ricordando? Stai davvero ricordando? - chiese facendosi più vicino al detective.

- Sono un po' perplesso in realtà. Mi avevi detto che hai una moglie -

- Non ho mai detto questo. Avevo detto che ero ancora sposato -

- Con me - concluse Sherlock.

- Già -

- E hai tolto la fede per non traumatizzarmi? -

- Non ti ricordavi nemmeno della mia esistenza, come potevo dirti che dopo aver divorziato da Mary ci siamo sposati? -

Sherlock rise e lo fece anche John, nonostante cominciasse a sentire le ginocchia tremare.

- Mi spiace John, per tutto quello che hai passato in questi giorni -

- Quindi mi prometti che non ti metterai più a inseguire i criminali da solo ma aspetterai me o Lestrade? -

- Questo non credo davvero di potertelo promettere -

John sorrise, scuotendo la testa.

- Vieni qui - fece Sherlock allegro - potrei aver dimenticato come si bacia -



Angolo autrice

Ok, meno fluff delle precedenti..e decisamente più angst. Stavo pensando che in tutte le mie storie Sherlock è sempre quello innamorato perso e disilluso...volevo un cambio ruoli con colpo di scena finale..ci sono riuscita? spero di si.
Un bacio e grazie a tutti quelli che leggeranno e  recensiranno.

Alla prossima ;)

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Capitolo 4
*** Il ballo del ceppo ***


Il ballo del ceppo


- Eccoti finalmente - fece John sedendosi accanto al moro.

- Non mi sono mai mosso da qui - rispose Sherlock, facendo un gesto con la mano per far notare a John che era immerso nella lettura di diversi libri che lo avevano costretto per ore in biblioteca.

- Lo immaginavo, ma speravo venissi a mangiare con noi comuni mortali - rispose John ridendo.

- Sto facendo una ricerca -

- Non dirmi, ancora sul professor Moody? - chiese John esasperato.

- C'è qualcosa che non mi convince in lui -

- Tutti sono in giro a festeggiare i campioni di Hogwarts e tu stai chiuso qui in biblioteca? A volte non ti capisco, sei peggio della Granger -

Sherlock lo guardò offeso, non per il paragone, ma perché riteneva che fosse più importante festeggiare i campioni che risolvere un mistero.

- Scherzavo... nessuno studia più della Granger - continuò John, nel tentativo di strappare un sorriso, ma Sherlock non rispose. - Tutto bene? - fece John, perplesso dal recente comportamento ancora più solitario dell'amico.

- Si, perché non dovrebbe andare bene? -

- Non lo so, sei strano. Più del solito -

Sherlock chiuse di scatto il libro che stava leggendo.

John riprovò con un altro approccio - Volevo chiederti se ti andava di fare due passi -

- Non lo so, sono tutti in giro in preda a una strana frenesia -

- E' per il ballo del ceppo Sherlock! Ma immagino a te non interessi. Secondo me dovresti venire però, sono sicuro che Molly verrebbe volentieri con te - fece John con entusiasmo.

- E' già impegnata -

- Davvero? -

- Si, va con Tom di Tassorosso -

- Oh. Questa cosa è inaspettata. Beh sono sicuro che ti possiamo trovare una ragazza. Posso chiedere a Mary, per esempio la sua amica Janine. Tra l'altro è di corvonero come te ed è del terzo anno, se nessuno la invita non può andare alla festa, perché non glielo chiedi? - fece John incoraggiante.

- Perché non mi interessa andarci con lei - rispose il moro piatto.

- Puoi venire anche da solo, ci saranno un sacco di ragazze senza accompagnatore con cui potrai ballare. E poi pensa che anche Potter sembra avere difficoltà a trovare una ragazza. Assurdo no? -

Sherlock non sembrò interessato dal gossip, ignorò le ultime parole di John e prese un altro libro dal mucchio che aveva davanti.

- Ok, non sei molto loquace oggi, ti lascio ai tuoi studi Sherlock - fece John alzandosi e uscendo dalla biblioteca.

Il corvonero lo guardò allontanarsi da lui per dirigersi, molto probabilmente, da Mary.

Un'aria gelida, proveniente da una finestra lasciata aperta, lo colse all'improvviso, come se anche il clima complottasse contro di lui per ricordagli che sarebbe stato di nuovo solo.

Conosceva John da solo due anni, si erano incontrati per caso in un bagno di Hogwarts. John all'epoca era uno studente del quinto anno, cacciatore della squadra di Quidditch di Grifondoro,  popolare e benvoluto mentre Sherlock era un ragazzino del terzo anno, senza amici. In quella prima, fatale, volta che si erano conosciuti, John aveva interrotto un esperimento del corvonero; il moro stava cercando di realizzare un distillato di morte vivente. "Questa è roba da sesto anno!" aveva esclamato John, poco prima che la pozione esplodesse facendo saltare per aria tutti i lavandini e procurando al moro una punizione.

Poi, all'inizio dell'anno, dopo la Coppa del Mondo di Quidditch, dopo che avevano diviso la tenda da campeggio,  John aveva conosciuto la serpeverde Mary. Sveglia, dolce e furba e le cose non erano più state come prima.


***** *****

Il giorno del ballo del ceppo, Sherlock era seduto sulle gradinate del campo di Quidditch, intendo a fissare un punto imprecisato del campo, quando John apparve accanto a lui.

- Se non volevi farti trovare, hai scelto il posto giusto - fece John sedendosi.

- Chi ti ha detto che ero qui? -

- L'ho intuito - fece John allegro. Il sole era già tramontato, lasciando il posto ad un freddo ma affascinante crepuscolo.

- Sherlock possiamo parlare? - chiese John sfiorando appena la mano del corvonero, che la ritrasse di scatto - Mi stai evitando e questa cosa... non mi piace. Ho fatto qualcosa che ti ha offeso? -

- No John, certo che no - fece un debole sorriso. - Non dovresti essere nella tua stanza per prepararti per il ballo? - chiese cambiando discorso.

- Devo solo indossare un vestito, non ci metterò molto. Tu hai intenzione di rimanere qui fuori a congelarti? -

- Non parteciperò a quel circo - fece freddo.

Rimasero in silenzio, avvolti dall'aria frizzante di dicembre.

- Non mi piace questo "torneo tre maghi", preferivo le partite di Quidditch - fece Sherlock improvvisamente, anche se John sapeva benissimo che si doveva essere perso in qualche ragionamento che lo aveva portato a quella affermazione.

- Tu non giochi a Quidditch. E a dir la verità non lo capisci nemmeno - fece John sorridendo, pensando alle partite che avevano visto assieme e agli inutili tentativi di spiegargli la finta Wronski.

- Ma mi piaceva venire a vedere le partite - rispose Sherlock, amaramente.

Una leggera brezza scompigliò i ricci capelli del corvonero.

- Ci saranno partite da vedere anche il prossimo anno -

- Ma tu non ci sarai - rispose di botto Sherlock, senza pensare alle parole che uscivano dalla sua bocca.

- Intendevo dire - fece ricomponendosi - Insomma non ti dispiace non poter giocare quest'anno? Sarebbe stato l'ultimo -

John sembrò finalmente intuire cosa poteva avere Sherlock, doveva essere preoccupato per la loro amicizia, per il fatto che John stava per finire la scuola mentre Sherlock aveva davanti ancora due anni. Era così strano vederlo ammettere di provare un sentimento, soprattutto per lui, che il grifondoro sentì caldo, anche se il termometro era molto sotto lo zero.

- Lo sai che ci terremo in contatto vero? Ti scriverò Sherlock, ti manderò un sacco di gufi -

- L'anno è ancora lungo John - fece Sherlock, cercando di tornare ad essere glaciale come sempre, come per cancellare il precedente momento di debolezza.

- Infatti, sei tu che ti comporti come se la scuola finisse domani - rispose John, alzando un po' il tono della voce.

- Dovresti andare John, di solito è la ragazza che si fa aspettare, non l'uomo -

- Hai fretta di mandarmi via? - chiese il grifondoro, nervoso dal repentino cambio di atteggiamento di Sherlock.

- No io ...- fece il corvonero, lasciando la frase in sospeso.

- Ok vado, in effetti è tardi, ci vediamo domani mattina -

Sherlock aveva davvero fretta di mandarlo via, prima di dover giustificare una solitaria lacrima che prepotentemente cercava di scendere dal suo occhio destro.


***** *****

John arrivò di corsa all'appuntamento con Mary, dopotutto aveva ragione Sherlock, era in ritardo.

- John dove ti eri cacciato? stavo per entrare in sala da sola - chiese Mary, che lo aspettava ormai da mezz'ora.

- Scusami, sei bellissima Mary - fece il biondo.

- Ok, ti sei fatto perdonare -

- Scusa davvero, ma stavo parlando con Sherlock. E' così strano ultimamente - fece John, ripensando all'ultimo colloquio. Ogni volta che lo vedeva doveva lottare tra il voler prenderlo a pugni e volerlo abbracciare e non riusciva a capire perché suscitasse in lui tali sentimenti.

- Più del solito? - chiese Mary bloccando il flusso dei suoi pensieri.

- Decisamente - la liquidò John.


****** *****

Qualche ora e molti balli e bicchieri dopo, John e Mary erano seduti ad un tavolo con Janine.

- Chissà quante di queste coppie si sposeranno - fece l'amica di Mary sbadigliando.

- Che intendi? - chiese John perplesso.

- Beh, un po' come voi, siete all'ultimo anno, usciti da Hogwarts potreste andare a vivere insieme -

Mary sorrise ma John non sembrò contento all'idea. - Mi sembra un po' presto per parlarne -

- Davvero ? - chiese Mary un po' delusa.

- Usciamo da soli due mesi - rispose John.

- Potreste progettare le vacanze estive almeno - intervenne Janine.

John si irrigidì, perché quella ragazza non poteva stare semplicemente zitta? - Beh -

- Sei già impegnato? - chiese Mary, non capendo la ritrosia del grifondoro.

- No, no è solo che ... -

- Cosa? -

- L'ultima estate l'ho passata dagli Holmes e... -

- E...?!? -

- Niente, vado a prendervi da bere -


***** *****


- Ciao Ron, come va? - fece John con in mano due bicchieri, che finì per bere senza portarli alle ragazze.

- Come può Hermione ballare con Victor Krum? E' assurdo! - affermò Ron.

John fu ben felice di immergersi nei problemi di un altro - E' un campione, è prestante. Tutte se lo contendevano -

Ron gli lanciò un'occhiata gelida.

- Oh scusa, non avevo capito - rispose John, mezzo brillo.

- Capito cosa? -

- Niente Weasley, solo che passi tanto tempo con una persona, condividete segreti, passioni, avventure. Se non fai che pensare a lei, anche quando sei con un'altra ragazza, allora magari, ti piace -

Ron sembrò rifletterci sopra, ma poi sbottò - Non dire idiozie, è mia amica, la mia migliore amica, non la vedo in...quel senso -

John annaspò per un attimo, pronto a ribattere, ma poi sentì come uno sguardo puntato sulla sua nuca. Si girò di scatto convinto che avrebbe visto Sherlock, ma non c'era nessuno - Già, hai ragione - rispose e chiuse la conversazione.


***** *****

Sherlock era seduto per terra, nel gabinetto dove di solito si chiudeva a fare esperimenti, quando sentì la porta aprirsi e vide un elegante John fare il suo ingresso e sedersi accanto a lui.

- Come fai a trovarmi sempre? -

- Ho girato tutto il castello per trovarti, non sono sensitivo, più che altro sono un tipo tenace -

Sherlock sorrise - La festa è così brutta? -

- Noiosa - fece John in una perfetta imitazione del moro.

- Davvero? - chiese Sherlock con eccessiva allegria.

- Che combini? - chiese John allungando la testa verso il calderone.

- Niente - mentì il corvonero.

- Burrobirra?- chiese John osservando meglio  - Non è una pozione, stai distillando burrobirra -

Sherlock fece spallucce - può sempre tornare utile -

John sorrise, si sentiva ancora un po' brillo e si chiese se anche il suo amico lo fosse, visto che preparava alcolici di nascosto - Non mi manca giocare a Quidditch - fece serio, mentre Sherlock lo guardava perplesso - Ma mi manca quando venivi a vedermi giocare -

Il corvonero sgranò gli occhi azzurri.

- E' strano ma, da quando ci siamo conosciuti ho sempre aspettato con impazienza le partite perché sapevo che saresti venuto a vedermi, che avrei avuto i tuoi occhi fissi su di me -

Sherlock deglutì vistosamente - Io tengo sempre gli occhi fissi su di te, John -

Il Grifondoro si fece sempre più vicino, Sherlock poteva vedere le ciglia bionde del suo amico, di solito quasi invisibili. Il moro si era praticamente schiacciato contro il muro, incapace di reagire alla vicinanza dell'amico, che ora gli stava accarezzando piano la mano.

Si guardarono negli occhi, John con la tipica espressione di uno che stava sondando il terreno mentre l'altro, non abituato a  dover interpretare i segnali di questo genere, temeva di fare qualcosa di molto stupido che avrebbe rovinato tutta l'atmosfera.

- Sherlock, sei qui con me? - chiese John piano, accarezzandogli il viso.

- Credo di si - rispose, tremando leggermente.

John scoppiò a ridere, ricevendo uno sguardo accigliato da parte dell'amico.

- Forza tirati su, ti prenderai qualcosa a stare seduto per terra -

- Tutto qui? - chiese Sherlock rimettendosi in piedi, evidentemente deluso del mancato contatto.

- Direi che per il momento è meglio di si, sembri terrorizzato.

Sherlock lo prese d'un tratto per una manica, facendolo girare e gli stampò un bacio sulle labbra. Fu solo un lungo contatto di labbra, ma per il momento sembrò bastargli.

Rimasero ritti in piedi per un attimo, Sherlock aveva più volte sbattuto le palpebre, chiaro segno di agitazione. Aveva decisamente bisogno di un tea.

- John, sei qui con me? - fece il corvonero, preoccupato di aver fatto, alla fine, quel qualcosa di stupido.

- Si direi di si - sorrise al moro - E come hai detto tu, l'anno è ancora lungo - rispose John ironico, prima di baciare nuovamente l'amico.



Angolo autrice


Buon agosto amici!!!!!  E' solo una piccola one-shot potterverse, scritta al volo per distrarmi dal caldo (in effetti, rileggendo, mi sono accorta che ho insistito parecchio su brezze fredde). Spero vi piaccia e vi tenga compagnia :)

Grazie a chi leggerà, recensirà..anche da sotto l'ombrellone. Un abbraccio!!
!


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Capitolo 5
*** Lo strano caso Sherlock Holmes ***


Lo strano caso Sherlock Holmes


- Ah, così anche tu  vedi poco Sherlock ultimamente?- esordì Lestrade.

In effetti erano giorni che John non riusciva a parlare con il suo amico. Aveva temuto fosse ricaduto in qualche brutto vizio e per sicurezza aveva battuto tutti i luoghi dove si radunavano i tossici, per poi scoprire che il detective era semplicemente a casa che dormiva.

Dormiva, non era da lui. Sherlock non dormiva mai durante un caso. C'era chiaramente qualcosa che non andava. Mary gli aveva detto di non essere così sospettoso, che poteva non essere niente, ma John sentiva che il suo amico gli stava nascondendo qualcosa.

Quel qualcosa esplose prepotentemente un pomeriggio, su una scena del crimine. La tasca del detective vibrò al suono di un nuovo messaggio in entrata. Non era un messaggio qualunque, John lo sentiva, era qualcosa di diverso. Sherlock allungò la mano e prese il cellulare, guardò a lungo lo schermo e poi fece una cosa che John non aveva mai visto prima: sorrise.

Non era il sorriso che riservava agli sms di Lestrade, di annuncio di un nuovo caso. Non era un sorriso beffardo, che di solito appariva alla lettura di un sms di Mycroft. Era un sorriso allegro, contento, genuinamente contento, che di solito riservava solo a lui, anche se Sherlock non avrebbe mai ammesso di avere un sorriso solo per John.

John sentì uno strano fastidio che si riverberava dalla punta dei piedi fino all'ultimo capello grigio che aveva un testa.

- Scusate ma devo andare - fece Sherlock, ancora fastidiosamente allegro, come se potesse abbandonare a metà un caso, una scena del crimine. C'era davvero qualcosa che non andava.

- Sherlock come sarebbe che devi andare? - fece John avvicinandosi - Hai un altro caso in ballo? Qualcosa di più importante? -

- No John, ho solo un altro impegno. Capita anche a te a volte - aggiunse il detective con noncuranza - Comunque lascio te qui, mi fido -

- Cosa intendi "per capita anche a te"? -

- Mary? Tua figlia? l'ambulatorio? hai spesso altri impegni John -

Il dottore sembrò schiaffeggiato - E' diverso -

- Si, si va bene John. Scusa ma sono in ritardo -

E sparì senza giustificazioni.

Voleva fare il misterioso, John era sicuro che voleva irritarlo in qualche modo. Probabilmente non era niente. Certo che non era niente, perché John doveva essere sospettoso? Infondo  non era mai successo che Sherlock gli nascondesse qualcosa di rilevante. Ok, adesso era preoccupato. Doveva immediatamente scoprire dove andava Sherlock quando spariva e chi gli aveva scritto quell'sms.


****** *****

John aveva  mentito a sua moglie, le aveva detto di avere un caso e non era vero. Si era preso una settimana di ferie, che non avrebbero trascorso assieme al mare, solo per pedinare Sherlock. In realtà non si sentiva poi così in colpa, in confronto alle bugie di Mary questa era davvero piccola. E corrispondeva, in parte, alla verità. Alla fin fine aveva un caso, il caso Sherlock Holmes.

John si era messo una barba finta, parrucca e occhiali da vista. Aveva un abbigliamento decisamente non da lui, ma più da un socio del Diogene's Club e stava seduto su una panchina di fronte a Baker Street. Sapeva che Sherlock era in casa perché aveva visto la sua ombra dietro le tende della finestra. L'inconfondibile ombra del detective intento a suonare il violino, proprio le composizioni preferite di John. Al dottore venne un piccolo fremito alla bocca dello stomaco. Pensò di avere semplicemente fame, prese un tramezzino in un bar vicino e si rimise in ascolto del suo violinista preferito.

 Verso le 17 la dolce musica finì e Sherlock si precipitò fuori dall'appartamento.

John ringraziò che il detective aveva deciso di muoversi a piedi e non in taxi, sarebbe stato più facile pedinarlo.

Camminarono a lungo finché il detective entrò da Angelo. Niente di strano in effetti, almeno così pensava.

Sherlock si sistemò al solito tavolo, davanti alla finestra, posizione che permetteva a John di vederlo perfettamente anche dall'altro lato del marciapiede.

Poi accadde l'inaspettabile. Un tizio insulso, che magari altre persone avrebbero descritto come bello, alto e affascinante ma per John era troppo alto, troppo magro e con  capelli troppo ricci, si sedette al tavolo con Sherlock. E gli sorrideva. Il tizio sorrideva a Sherlock e lui di rimando.

Il cuore di John mancò alcuni battiti quando l'insulso prese la mano di Sherlock. Era lontano ma aveva visto perfettamente la scena. Deglutì tre volte, spalancò più volte gli occhi poi, in trance, decise di tornare a casa, aveva visto troppo.


***** *****

Mary tornò a casa e trovò John seduto sul divano, che fissava la televisione spenta con sguardo torvo, abbracciato al cuscino. A Mary ricordava un adolescente arrabbiato con i genitori.

- John? Tutto bene? - chiese Mary.

- No -

- Vuoi parlarne? - riprovò la moglie.

- No -

- Molto maturo John -

- Janine! - gridò tutto ad un tratto il dottore.

- Scusa? -

- Era per un caso, ma certo. Scusa Mary ma devo ricordare a Sherlock che non può giocare con i sentimenti altrui -
 
E si precipitò fuori dall'appartamento. Mary alzò gli occhi al cielo ma non disse niente.


****** ******

- Non puoi farlo!- Esordì John entrando di gran passo in Baker Street.

Sherlock fissò l'amico senza tradire alcuna emozione - Di cosa stai parlando John? -

- Non puoi usare le persone per i tuoi casi, è immorale ecco. E qualcuno potrebbe farsi male -

- John...ma cosa? -

- So che stai uscendo con un tizio per un caso! Proprio come avevi fatto con Janine -

Sherlock non mutò espressione, ma mutò quella di John quando sentì dei rumori provenire dal bagno. Rumori di qualcuno che stava facendo la doccia.

- Non è come pensi John. E non puoi fare irruzione nel mio appartamento in questo modo -

- Come se tu non avessi mai sabotato le mie relazioni - sbottò John, ripensando al poco riguardo e rispetto della privacy che aveva dovuto sopportare negli anni in cui avevano condiviso l'appartamento.

- Non le sabotavo, ti facevo solo notare che avevi davanti un bivio: l'avventurosa vita con me o la piatta vita con qualche insulsa ragazza. Le due cose non potevano coesistere e hai sempre scelto tu. Anche quando ti sei sposato - aggiunse amaramente.

- Questo non c'entra -

- John puoi andartene? Non voglio che Ben prenda parte a questo battibecco -

- Ah, si chiama Ben. Io invece voglio parlare con Ben -

Sherlock strinse gli occhi e John sapeva che lo stava studiando. Ogni reazione, ogni movimento del corpo. - Ok vado Sherlock - fece John, iniziava a sentirsi troppo esposto. Infilò la porta e se ne andò, con un'ingombrante peso sul petto.


***** *****

John era disteso a letto, non aveva dormito nemmeno un minuto. Continuava a ripensare a quel Ben, che usava la doccia che una volta era sua. Che magari era uscito dalla doccia senza asciugamano, da vero esibizionista. Che magari divideva il letto con il detective. No, non doveva infilarsi in questi pensieri.

Qualcuno che bussava lo distrasse dai suoi pensieri. Mary si svegliò e con faccia stranita guardò la sveglia - Sono appena le 6, chi diavolo può essere? -

- Vado a vedere -

John si trascinò fino alla porta, per aprirla e trovarsi davanti nientemeno che Sherlock.

- Scusa ma non potevo aspettare - affermò serio il detective, studiando l'aspetto di John.

- Sherlock sono le 6! -

- Non stavi dormendo e comunque sono già in ritardo, ho l'aereo tra due ore -

- L'aereo? - chiese stupito John.

- Si, Europa dell'Est -

- Io comincio a non seguirti più. Cosa c'entra con Ben? -

- Verrà con me, è un agente dell'MI6 -

A John mancò l'aria. E la terra sotto i piedi. E la stanza si era messa a girare, ma non riuscì a dire niente.

- Sono venuto a salutarti, non so quando tornerò - continuò Sherlock.

John continuava a fissarlo senza sapere cosa dire. Sherlock sembrò un po' deluso dalla reazione dell'amico, per cui non disse altro che "Ciao John" e si diresse verso il portone d'ingresso.

Mezz'ora dopo John era ancora sull'uscio di casa, non era chiaro se era lo stipite della porta che reggeva lui o viceversa, vista la forza con cui era aggrappato.

- John? - fece Mary piano, accarezzando la spalla del marito.

- Sherlock...parte -

- Si ho sentito, hai intenzione di fare qualcosa in merito? -

John la guardò senza capire.

- John, mi arrendo. Ci hai provato e te ne sono grata. Mi hai dato una seconda opportunità e non me la meritavo. Adesso smettila di negarti la felicità, corri all'aeroporto e sta volta non dagli solo la mano! -


****** ******

John stava correndo come se avesse dietro tutti i tori di Pamplona. Aveva travolto almeno tre persone, quasi ribaltato una carrozzella, si era preso gli insulti di una vecchietta a cui aveva rubato il taxi. Tutto per arrivare in tempo. Ma quando finalmente riuscì ad arrivare sulla pista dove doveva decollare il piccolo aereo che avrebbe nuovamente portato via Sherlock dalla sua vita, constatò che l'aereo non c'era.

Doveva essere già partito.

John tirò fuori dalla tasca il cellulare e compose velocemente il numero di Sherlock.

- John? -

- Sherlock ora stai zitto e ascolta. Fai atterrare l'aereo, anche se sta volta non c'è un Moriarty che minaccia tutta l'Inghilterra. Solo per me, fallo per me, perché ci sono io sulla pista, perché sono arrivato in ritardo e mi dispiace. Per favore -

- John se vuoi solo salutarmi puoi farlo anche per telefono -

- No idiota, voglio dirti che...  -

- Si ? -

- Che non voglio che te ne vada, che non voglio perderti di nuovo. Che sono un po' lento ma l'ho capito. Che non voglio che questa sia l'ultima occasione per parlarci e voglio potertelo dire in faccia! -  

John sentì un fruscio alle sue spalle, come di un lungo cappotto mosso dal vento.

- Dirmi cosa John? -

Sherlock era lì, dietro di lui, con espressione divertita e compiaciuta. John stava lottando tra mollargli un pugno in faccia e abbracciarlo.

- Che sei un brutto idiota! -

- Speravo in qualcos'altro - fece Sherlock, con espressione sorniona.

- Dov'è Ben? - sbottò John.

- Non lo so, non lo vedo dalla sera che mi hai pedinato da Angelo. -

- Cosa? -

- Era solo un cameriere a cui ho chiesto di recitare una parte -

John parve sotto shock - E nella doccia? -

- La signora Hudson che stava pulendo -

- Hai inscenato tutto? -

- Credevo ti servisse un incoraggiamento -

- Anche l'sms? Anche il fatto che eri sparito da settimane?-

- Volevo vedere se ci tenevi ancora a me. Devo dire che dobbiamo fare qualcosa per le tue capacità di travestimento. Anche la signora Hudson mi ha chiesto cosa ci facevi con una barba finta, seduto fuori da casa nostra - 

John lo fissò esasperato - Ora sono sicuro che ti ucciderò -

Sorrisero entrambi e un attimo dopo si stavano baciando, con il tramonto alle loro spalle e finalmente una vita insieme tutta davanti.



Angolo autrice:

Ma ciao, altra piccola one shot.

Un abbraccio e buone ferie!!!

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Capitolo 6
*** 10 Agosto ***


10 Agosto


John era annoiato, mortalmente annoiato. Talmente annoiato che si stava chiedendo se sparare al muro potesse essere un'alternativa. Ma la signora Hudson non l'avrebbe presa bene, avevano appena ridipinto.

Era davvero uno strano periodo, era appena tornato a vivere a Baker Street, ma Sherlock era impegnato con un caso sotto copertura e non lo vedeva da due settimane.

Avrebbe voluto andare con lui, per distrarsi e per essere sicuro che stesse bene. Non lo faceva stare tranquillo pensare che non c'era nessuno a guardagli le spalle. Ma quando glielo aveva fatto notare, Sherlock gli aveva ricordato che nei due anni che aveva passato a smantellare la rete di Moriarty era da solo; questo, ovviamente, aveva provocato la reazione scomposta, infastidita e profondamente ferita del dottore; così avevano finito per litigare e John non aveva idea di dove Sherlock fosse e se il caso fosse stato risolto o meno.

Questa volta John voleva tenere il punto, il detective non poteva sventolargli davanti il fatto che era stato due anni da solo come se niente fosse, come se lui non avesse voluto essere al suo fianco.

Una telefonata spezzò, improvvisamente, la routine domestica.

- John, ciao sono Greg. Dovrei parlarti di Sherlock -

John sentì un tono inaspettatamente serio da parte di Greg e cominciò a pensare alle cose peggiori. A Sherlock doveva essere successo qualcosa.

- Ecco, sei l'unico che lui ascolterà...forse -

- Greg cosa? -

- Sherlock.... ha l'influenza -

John scoppiò a ridere, una risata nervosa, di uno che aveva immaginato di correre in ospedale per assistere il suo amico in fin di vita e invece si trovava a combattere una banale influenza.

- Non c'è molto da ridere - fece Greg massaggiandosi il collo - Sai com'è Sherlock, non ascolta. E' moribondo ma vuole risolvere il caso. E' molto debole, oggi è svenuto in ufficio! E qualcuno ha fatto delle foto - aggiunse ridendo - Se vuoi te ne mando qualcuna -

- Ok, ok vengo a recuperarlo - rispose John. Sherlock non era mai stato a casa con l'influenza e al dottore già veniva il mal di testa ad immaginare quanto sarebbe stato fastidioso ed infantile il suo amico, in quella situazione.


***** *****

- Sto bene John, non capisco tutto questo trambusto - affermò Sherlock varcando la soglia di casa. In realtà era ancora più bianco del solito, con il naso rosso e tappato dal raffreddore.

- Sherlock hai 39 di febbre - rispose pigramente Watson, alzando gli occhi al cielo. Era stato già abbastanza snervante correre a Scotland Yard per portarlo via e sentirsi ridicolizzare da Donovan, che lo aveva chiamato il "baby-sitter dello strambo"; proprio non aveva voglia di dover anche discutere con lui, quando era evidente che stava molto male.

- Avere febbre è noioso - biascicò Sherlock.

- Potresti iniziare a coprirti, invece di indossare le tue sexy camicie - fece John.

Sherlock alzò lo sguardo stupito  - Vuoi che indossi uno dei tuoi maglioni John? -

John era diventato rosso dalle orecchie alla punta delle dita dei piedi - Beh non necessariamente uno dei miei, avrai dei maglioni no? -

- Mi ha mai visto in maglione in tutti questi anni? No, ho solo giacche e sexy camicie - Aggiunse ammiccante. 

John, che ancora non capiva come avesse potuto definire sexy un capo di abbigliamento del detective, ignorò la frecciatina e scese dalla sig.ra Hudson a recuperare qualche coperta. Quando tornò nell'appartamento, Sherlock si era messo seduto davanti al microscopio.

- Stai scherzando spero, tu vai a dormire adesso! -

- Non ho sonno -

- Subito, o chiamo Mycroft e i tuoi genitori - continuò, col migliore tono da capitano Watson.

Sherlock sembrò soppesare la cosa, ma poi si alzò e si mise a letto. In realtà sarebbe andato a dormire comunque, aveva un mal di testa lancinante e nessuna voglia di lavorare, cosa che lo contrariava parecchio.

- Bravo soldato - aggiunse John - Io mi sistemo in soggiorno, se hai bisogno chiamami -

John si sedette sul divano, era strano ma era già meno annoiato, anche se non stava facendo niente di diverso rispetto al lavoro in clinica. Anzi, in clinica i pazienti erano meno indisponenti.


***** *****

La mattina dopo Sherlock fu svegliato dal profumo di una tazza di tea sul comodino, giusto accanto ad una boccetta di aspirina.

John era seduto sul letto a fianco a lui e gli stava sorridendo, paziente - Se non migliori ti prescrivo anche l'antibiotico. Tra l'altro, come hai fatto a prendere l'influenza in agosto? Non ti ho mai visto malato in tutti questi anni -

Sherlock fece finta di non sentire e si girò dall'altro lato del letto.

- Non fare il bambino - affermò John con uno sbuffo.

Sherlock emise un flebile suono, ulteriormente attutito dal fatto che aveva la bocca premuta contro il cuscino.

- Non ho capito niente -

- Ho detto che sono rimasto chiuso in un freezer -

John lo guardò dapprima stupito e poi scoppiò a ridere. Sherlock gli lanciò un'occhiataccia e si rimise nuovamente a fissare l'altro lato della stanza.

- Non è divertente John! Essere chiuso qui, senza fare niente, mi sta facendo impazzire -

- Sei chiuso in casa solo da una notte! -

Sherlock continuò a tenere il broncio per cui il dottore abbandonò l'impresa,  inutile discutere con lui quando si comportava così; decise di spostarsi nel soggiorno a mettere ordine, la signora Hudson era appena tornata da un viaggio, era andata a trovare un'amica a South Hampton e, pertanto, nessuno aveva pulito l'appartamento da settimane, ed era più sporco che mai.

Facendo posto tra i libri e i vari esperimenti, vide a terra qualcosa che lo fece rabbrividire, come la sensazione di una brezza estiva. C'erano, appallottolati con cura sotto il divano, due sacchi a pelo che riconobbe immediatamente. Anni prima, l'estate prima del salto dal tetto, erano andati in campagna a vedere le stelle cadenti.

Era stata una strana idea di Sherlock "non mi interessa se la Terra gira attorno al Sole" Holmes; a John era sembrata una proposta molto curiosa, andare in una radura, assieme ad altri Londinesi che scappavano dalla city in agosto, per vedere le stelle cadenti; non era una tipica attività da Sherlock.

Eppure si erano divertiti tantissimo e quel manto stellato gli aveva fatto pensare che nulla li avrebbe mai separati.

Solo in quel momento, in piedi in mezzo al soggiorno con in mano il suo sacco a pelo, si era reso conto che non aveva mai più alzato la testa a guardare le stelle, dopo che Sherlock si era buttato, dopo che il suo Mondo era finito.

Quella era la prima estate libera da quando Sherlock era tornato, senza luna di miele, ex moglie sicaria e minacce di morte.

 Ma Sherlock aveva l'influenza, niente stelle cadenti.


***** *****

Sherlock aveva distintamente sentito la porta di casa chiudersi e John uscire. Probabilmente era andato a fare la spesa.

"Maledetta influenza!" pensò tra sé "e maledetto carattere brusco" aggiunse. Forse era davvero il caso che ringraziasse John per tutto quello che stava facendo. L'occasione si presentò qualche ora dopo, quando il dottore entrò nella stanza senza tanti complimenti e chiuse le tende.

- John cosa combini? -

- Se il detective non va dalle stelle, le stelle andranno dal detective! -

- John, cosa stai blaterando? -

John si sedette a terra, si mise a sistemare una strana lampada al centro della camera e dopo aver spento tutte le altre luci, la accese. Era una di quelle lampade che ruotava e proiettava l'intera volta celeste nella stanza. Sherlock si mise seduto sul letto a bocca aperta mentre John si  tuffò letteralmente sul materasso; in realtà temeva che il detective avrebbe detto che era una delle idee più idiote che avesse mai avuto o qualcosa di simile, per cui rimase in attesa del verdetto, nella speranza di sbagliarsi.

Ma il verdetto non sembrava arrivare, Sherlock era ancora a bocca aperta, senza parole.

- Ok, se pensi che sia la cosa più stup.. -  Sherlock gli tappò la bocca con la mano, impedendogli di concludere la frase. - Hai fatto questo per me? -

- Beh...si - rispose il dottore, appena la mano del detective si tolse dalla sua bocca.

Sherlock si rimise disteso al fianco di John, a fissare silenziosamente le costellazioni.

- John mi spiace di essere un tale idiota... a volte -

- Togli "a volte" - rispose ridendo - Possiamo comunque fare una scampagnata più avanti, sai le stelle cadono tutto l'anno, so che il 10 agosto cadono meglio ma.. -

Sherlock rise e John lo guardò contento - E' una strana affermazione dire che "cadono meglio" - fece il detective, che già iniziava a sentirsi più in forma.

- Era per rendere l'idea - rispose pratico il dottore. 

- Quindi non andrai con qualche sciacquetta? - continuò Sherlock, con la sua migliore espressione da cucciolo. John alzò gli occhi al cielo, era insopportabile quando gli lanciava quello sguardo, ma anche irresistibile.

- Non immagino nessun altro con cui andare che non sia tu -

Sherlock sembrò più che soddisfatto.

- John? -

- Si? -

- Ti amo -

- Lo so. Quindi vedi di farti passare presto l'influenza! -




Angolo autrice:

Ultimo fluff del mese, che poi finalmente parto per le ferie.

Ci  leggiamo :-P a settembre!!!

Bacioni


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Capitolo 7
*** Sherlock e il sesso...istruzioni per l'uso ***



Sherlock e il sesso...istruzioni per l'uso


Dati, gli servivano dati certi. Informazioni. Studi, scientifici. Non chiacchiere sui forum, che solo a leggerle era rimasto disgustato o filmetti recuperati in internet, di bassa qualità e non particolarmente incoraggianti.

Non che fosse terrorizzato, non era come diceva Mycroft. A lui il sesso non faceva paura, non lo spaventava affatto. Solo che la mancanza di un'esperienza pratica lo innervosiva, tutto qui.

Sapeva tutto dal punto teorico. Forse tutto no, giusto quello che gli permetteva di risolvere un caso che implicasse le conoscenze basilari della riproduzione umana.

Erano già passati 25 giorni, 3 ore, 16 minuti e circa 40 secondi da quando John era apparso sulla porta di Baker Street e contemporaneamente avevano deciso di porre fine ad anni di balli attorno alla loro platonica relazione per iniziarne una vera.

C'era voluto solo:  una finta morte, una quasi morte per colpa della vera moglie, ora ex moglie, il ritorno di uno psicopatico presunto morto, la scoperta che la moglie - ex moglie lavorava per lo psicopatico, la scoperta Mary che non era incinta di John.

Una passeggiata insomma.

Quindi, circa 25 giorni dopo, non avevano ancora superato la barriera del rapporto platonico, anche se avevano una relazione vera. Per farla breve, non avevano mai scopato.

Niente, non era ancora successo niente. Sherlock sapeva che era perché John era preoccupato della verginità del detective, temeva di traumatizzarlo e stava andando con la lentezza di una tartaruga.

Sicuramente non aveva aiutato il salto di tre metri dalla sedia che Sherlock aveva fatto nel momento in cui John aveva preso a baciarlo sul collo.

Non si era mai vergognato tanto in vita sua. Soprattutto dopo aver visto la faccia delusa di John.

Bisognava porre rimedio.

Prima tappa, chissà perché non ci aveva pensato prima: la biblioteca.

La biblioteca non lo aveva mai tradito; ogni volta che aveva avuto bisogno di informazioni e internet non lo aveva soddisfatto, era corso nella sua amata  biblioteca.

Si aggirò tra gli scaffali finché non vide alcuni manuali sul sesso che potevano essergli d'aiuto. Non c'erano cose tecniche o scientifiche come aveva sperato, solo qualcosa di molto simile al kamasutra, con tanto di figure.

Deluso ma rassegnato a prendere quei manuali, si avviò verso il tavolo di Clark, l'addetto alla registrazione dei libri in prestito. Man mano che si avvicinava però si sentiva sempre più in imbarazzo.

Clark, il vecchietto che aveva sempre elogiato le sue scelte letterarie dai tempi del liceo, lo avrebbe visto leggere manuali sul sesso.

Adesso era a cinque passi, Clark lo guardava incoraggiante. Da quando a Sherlock importava il giudizio degli altri? Da mai. Salvo che si trattasse di sesso. Allora sì, la cosa lo allarmava.

No, allarmava no, altrimenti avrebbe dato ragione a Mycroft. Diciamo che non voleva che Clark si turbasse. Per cui girò i tacchi e riportò i libri sugli scaffali.

Piano b: libreria.

Li avrebbe comprati, nessun Clark, solo commesse ignoranti che non avrebbero fatto caso ai libri che stava comprando.

Si mise in fila dopo una signora che in braccio un neonato, una ragazzina con una pila di libri e un quarantenne con una serie di inutili best sellers.

Sherlock, sembrava soddisfatto della soluzione che aveva trovato... questo finché la commessa non si mise a commentare i libri del quarantenne.

- Bello questo, l'ho letto anch'io... ottimo anche questo, bella scelta -

Sherlock, cominciò a fremere, non avrebbe commentato anche i suoi libri no? Se li vendevano voleva dire che qualcun altro li aveva già comprati. Non avrebbe deriso un cliente no?
 
Toccò alla ragazzina e Sherlock cominciò a guardarsi in giro, calcolando quanti passi lo distanziavano dall'uscita.

La commessa passò i libri sul controllo prezzo, senza nessun commento e Sherlock cominciò a tranquillizzarsi.

E poi, se la commessa avesse chiesto qualcosa poteva sempre dire che era per un regalo.

Ottima idea, poteva dire "E' per un regalo, mi faccia il pacco grazie".

Toccò alla mamma e avvenne l'irreparabile. Prima la cassiera si avvicinò al microfono urlando "Jack, quanto costa "Il codice Da Vinci?" e Sherlock cominciò a chedersi se avrebbe declamato anche i titoli dei suoi libri.

Poi la madre, non riuscendo a raggiungere il portafoglio con il neonato in braccio, si girò e lo lasciò in braccio a Sherlock, che sgranò gli occhi e per meglio reggere il bambino, lasciò la presa sui libri.

I volumi  "sesso per idioti", "40 anni vergine..istruzioni per l'uso" e "prima volta con un uomo?" si sparpagliarono a terra, visibili a tutti quelli che passavano.

Sherlock deglutì, praticamente lanciò il neonato tra le braccia della madre e scappò dalla libreria.

Ordini online, ultima spiaggia. Perché non ci aveva pensato prima? Poteva ordinare i libri in internet. Sarebbero arrivati in un pacco chiuso. Nessun commento, nessuno lo avrebbe visto.

Finalmente aveva la soluzione. Sito di vendita on line, carta di credito, non gli serviva altro.

**** ****

Due giorni dopo Sherlock passeggiava davanti alla porta, possibile che la spedizione si fosse persa? Sul sito dicevano consegna in 48 ore.

E se si fosse perso il pacco? E se qualcuno lo avesse trovato, aperto, visto l'indirizzo, collegato a Sherlock Holmes e avvisato i giornali?

 Doveva smettere di essere paranoico e comunque poteva dire che era per un caso.

Il problema era far entrare il pacco senza che John se ne accorgesse. Era convinto che sarebbe stato consegnato mentre John era in clinica, invece non era ancora arrivato.

Aveva anche rischiato la peggiore tragedia, che Mycroft, che era passato la mattina a lasciare una cartellina per un caso, vedesse quei libri. Invece nessun fattorino.

Tre ore dopo John tornò a casa e trovò Sherlock insolitamente agitato.

- Tutto bene? -

- Si - disse simulando impassibilità.

- Sta mattina, quando sei uscito a comprare le sigarette - e sottolineò la cosa con fastidio - è passato un fattorino. Ha lasciato un pacco, l'ho messo in camera mia - buttò lì distrattamente.

- Come scusa? -chiese Sherlock, sbiancando.

John si leccò le labbra e sorrise - Beh non volevo tuo fratello vedesse quei libri. Poi avrebbe capito che sei davvero terrorizzato -

Sherlock aprì la bocca solo per esclamare "OH".

- Leggi veloce Sherlock, perché ho alcune idee per farti passare la paura - fece ammiccante.

Sherlock pensò che era meglio darsi direttamente alla pratica.


Angolo autrice:

Ciao a tutti.. spero sia divertente, mi è venuta in mente mentre tornavo a casa .. ed eccola qui.

Un bacio

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Capitolo 8
*** Il gioco non finisce mai ***


Il gioco non finisce mai



C’è un’aria strana, quasi rarefatta.

Nebbia, non la nebbia londinese. Una nebbia diversa.

John si guarda attorno, un po’ smarrito. Si aggira a passi incerti, fiutando l’aria.

Arriva quasi senza rendersene conto in Baker Street, apre la porta e viene travolto dall'emozione.

Fa gli scalini molto lentamente, finalmente è nel soggiorno
e c'è un silenzio quasi irreale .

- Sapevo di trovarti qui - afferma John sollevato, guardando verso la poltrona.

- Non avresti dovuto farlo – afferma tristemente Sherlock, ricambiando a stento il sorriso.

- L’ho fatto per te –

- Non era necessario –

- Questo lo pensi tu –

John sente il freddo svanire nel momento esatto in cui Sherlock gli viene in contro, nel momento in cui si toglie il cappotto e fa per toccarlo.

- Puoi suonarmi qualcosa? – chiede John, paralizzando il braccio di Sherlock in aria.

- Cosa vuoi sentire? –

- Quello che preferisci, qualcosa di allegro –

Il detective lo fissa con un sorriso malinconico – Come vuoi -

Sherlock  flette l’archetto in aria, chiude gli occhi e suona per John.

Sotto la loro finestra si sta radunando una piccola folla, ma non importa né al violinista né al suo amico, rapito dalla melodia.

- Non vedevo altra soluzione – afferma pigramente John, come se le parti si fossero invertite e fosse lui quello annoiato e razionale e Sherlock quello emotivo.

Il detective fa finta di non sentirlo, una leggera brezza proveniente dalla finestra aperta, fa spostare i suoi riccioli e Sherlock si sente molto vicino al pianto.

- Non fare così, a me va bene. Va tutto bene –

Sherlock smette di suonare e scuote la testa.

- Non va bene per niente –

John vorrebbe dire qualcosa, almeno qualcosa di appropriato. Ma la sua mente è vuota.

- Dobbiamo andare, rischi di fare tardi - fa Sherlock riponendo con cura il violino.

John ride, una risata un po' vuota e prende la mano che il detective tiene aperta in attesa.

Camminano a lungo, per una Londra quasi deserta. O forse sono loro che non si accorgono delle persone, visi  di sconosciuti che non avrebbero più rivisto.

Arrivano a destinazione, Sherlock vorrebbe risparmiare tutto questo a John, ma è troppo tardi. C'è già un gruppetto di persone che, a modo loro, li sta aspettando.

John si fa più vicino e lo abbraccia, inspirando profondamente quell’odore di tabacco e di Londra che emana soltanto Sherlock.

Il dottore appoggia la testa sulla spalla del detective e guarda meglio le figure attorno a loro, ora può vedere distintamente Molly e Greg, mano nella mano.

Sorride, qualcosa di bello è capitato, almeno a loro.

In lontananza può vedere una limousine e immagina vi sia dentro Mycroft. Aveva messo in conto che non avrebbe partecipato, ma sapeva che sarebbe stato presente, lo doveva a Sherlock.

- Ti aspettavi più persone? – chiede Sherlock, quasi imbarazzato.

- Ci sono quelle che contano – risponde guardando la signora Hudson, aggrappata al braccio del Maggiore Sholto.

- Perchè l'hai fatto sul tetto del Bart's e non a casa? -

- Mi sembrava più appropriato -

- Ti ha fatto male? – continua Sherlock, sfiorando con le dita la tempia destra di John.

- La pallottola? No, ha fatto più male quando quell’assassino ti ha sparato –

- Sono stato lento John, mi dispiace – afferma mesto il detective e non riesce a non sentirsi in colpa.

- Non importa, ho trovato comunque il modo di raggiungerti –

- Potevi aspettare il decorso naturale delle cose –

- Ti avevo già perso una volta, una seconda...- e John non è in grado concludere la frase.

Sherlock si appoggia alla sua lapide scura, non sa più cosa dire.

- Il gioco non finisce mai no, Sherlock? - chiede John, ed è più una constatazione.

- No John, siamo sempre tu ed io contro il resto del Mondo -


***** *****

Angolo autrice

....mi volte ancora bene vero? Oggi ero un po' malinconica ed è uscita questa storia.
Spero l'abbiate comunque apprezzata.

Un abbraccio grande a tutti e un grazie a chi continua a seguire, leggere e commentare nonostante lo hiatus stia un po' assopendo il fandom.

Alla prossima

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Capitolo 9
*** Il resto non conta ***



Il resto non conta



Oscurità. Silenzio.

Non c'è alcun rumore.

Ma questo silenzio è  assordante.

Come sei finito lì, non lo sai nemmeno tu.

Cerchi di alzarti, ma fai fatica, qualcosa di fisico ti blocca.

Improvvisamente ricordi cosa è successo e cosa ti sta bloccando, disteso.

Non è solo un blocco fisico ma anche psicologico, altrimenti ti saresti accorto che ci sono dei rumori provenienti dalla strada.

Ma sono lontani.

Tutto è tremendamente lontano.

Hai perso la battaglia più importante.

Ma non te ne curi, ormai è andata così.

Non ti aspettavi che saresti stato così disarmato.

Eppure Mycroft te lo aveva detto, più volte. Ma tu non lo hai ascoltato.

Del resto non lo ascolti mai, non è una novità. Anche se, devi ammettere che non cancelli dalla tua testa quello che dice.

Sai che nel bene e nel male ti conosce, più di quello che vorresti ammettere e infatti sa anche in che guaio ti sei cacciato.

Ma questa volta non interverrà.

Anche lui capisce quando una battaglia è persa.

Ti aveva detto di non farti coinvolgere, che i sentimenti non sono importanti.

Vorresti averlo ascoltato, hai troppa paura e per una volta devi ammetterlo, Sherlock Holmes può avere paura.

Perché quando non riesci a razionalizzare quello che accade hai paura. Quando non tieni tutto sotto controllo, hai paura.

Sta volta non hai niente sotto controllo.

Il grande Sherlock Holmes, la mente, la macchina senza cuore.

Chissà cosa direbbero ora se ti vedessero così, cosa penserebbero.

Quasi quarantanni di vita, convinto di aver capito tutto e di bastarti da solo.

Poi arriva qualcuno e ti sconvolge completamente, al punto che ti trovi a fare cose che non pensavi di essere in grado di fare.

E invece l'hai fatto.

Ed eccoti qui, a chiederti cosa accadrà.

Tremi leggermente, c'è stato un momento in cui hai pensato di essere morto.

Che non fosse possibile rimanere vivo dopo quello che era successo, è stato davvero troppo.

Per te, che sei abituato a razionalizzare tutto, per una volta non è stato possibile, corto circuito nella tua mente perfetta.

Non sai cosa accadrà domani e questo ti sconvolge.

Non lavora così la tua testa, tu sai sempre come andranno le cose.

Ma ora il dubbio ti assale, inevitabile quando si tratta di sentimenti.

Tu non sai niente.

Hai vissuto nella beata ignoranza.

Non puoi avere certezze perché nessuno può dartele.

Funziona così, te l'hanno detto tutti. Niente sicurezza, tutto in divenire.

Come fanno ad accettarlo? Sarebbe meglio stare da soli invece che sottoporsi a questo rischio continuo di perdersi.

Non sai nemmeno come è successo.

Ma vorresti alzarti solo per controllare che sia successo davvero.

Vorresti essere sicuro che in giro per l'appartamento ci siano i vostri vestiti, buttati a terra a casaccio.

Vorresti spostarti per vedere se John è davvero nel letto e ti stringe a sé con un braccio.

La sensazione è reale, ma per una volta non ti fidi di nessuno dei tuoi sensi.

Vuoi accendere la luce e controllare.

Allunghi la mano e lo fai.

John è lì.

E il resto non conta.


***** *****

Angolo autrice:

ho ritrovato queste righe che avevo scritto qualche mese fa, durante uno dei tanti viaggi in tram. Avevo in mente di modificarla ma alla fine mi piace così com'è, in questo su e giù (anche grafico) di pensieri...spero piaccia anche a voi.

Un abbraccio e alla prossima

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Capitolo 10
*** Kiss me ***



Kiss me


Giorno 1 - Lunedì

John Watson era seduto sulle gradinate del campo di rugby, intento a guardare la cheerleader che si esercitavano in vista della partita della domenica. Era il suo ultimo anno di scuola e avrebbe tanto voluto essere il capitano della squadra, ma Sebastian era stato preferito da tutti.

Non sapeva perché, ma gli sembrava dannatamente importante essere capitano; forse voleva solo dimostrare a suo padre quanto valeva. Il padre di John era molto critico e da quando Harriet aveva annunciato di aver abbandonato l'università per andare a vivere con la sua ragazza, John viveva solo per accontentare i genitori, profondamente delusi dalla figlia maggiore.

Il padre di John era stato capitano della squadra di Rugby del liceo e John non avrebbe voluto essere da meno; invece era seduto sulle gradinate, immaginando di essere qualcuno che non era. Mentre era ancora assorto nei suoi pensieri, venne raggiunto dagli altri membri della squadra, che si sistemarono accanto a lui, urlando frasi di pesante apprezzamento nei confronti delle cheer-leader.

- Hey Johnny che combini, spii le ragazze pon pon? - chiese Mark, non smettendo di fissare una bionda.

- John non ne ha bisogno, lo chiamano "tutti i licei Watson", visto che ha una ragazza in ogni scuola -

Il ragazzo rise, ma non smentì, era una fama che non gli dispiaceva.

Sebastian lo fissò e poi arricciò le labbra, un'idea assurda gli stava passando per la testa - E' vero Johnny? Sei così irresistibile? -

Il biondo si limitò ad un'espressione soddisfatta - Non tutti possono permetterselo Sebastian -

- Sai, mi è venuta un'idea. Saresti capace di far cadere qualcuno del nostro liceo ai tuoi piedi in sette giorni? Qualcuno scelto da me ovviamente. Prima della partita di domenica? -

- Si, ma perché dovrei farlo? - rispose John pigramente.

- Perché ti cederei il posto da capitano -

John spalancò la bocca, mentre gli altri fecero in coro un "uuuuuhhh", per sottolineare ironicamente la sfida.

Il biondo immaginava che Sebastian avrebbe scelto una preda difficile, probabilmente una ragazza snob e bellissima. Ma Sebastian non si rendeva conto del fascino che un giocatore di rugby, dolce ma deciso, aveva sulle ragazze. Si sentiva la vittoria già in tasca.

- D'accordo, ma deve essere una sfida onesta, non deve essere una ragazza al corrente della cosa - fece John.

- Chi ha mai parlato di una ragazza? - ribatté Sebastian, facendo rotolare dalle risate tutto gli altri - Se sei così affascinante, anche i maschi cadranno ai tuoi piedi -

- Non sono gay - fece John, accigliato.

- Non devi mica fartelo, se riesci a farti baciare, prima di domenica, per me hai vinto -

John sembrò soppesare la cosa, con una ragazza andava sul sicuro, ma non poteva dire la stessa cosa per un ragazzo.

-Adiamo Johnny, non vuoi diventare capitano? - chiese Sebastian, provocatorio.

Il biondo sospirò - Ok, chi? -

Un sorrisetto sadico spuntò sulle labbra del capitano della squadra - Sherlock Holmes -

- Chi? - chiese John


***** *****

Quando John scese dagli spalti, le risate dei compagni di squadra lo stavano ancora accompagnando. Sherlock Holmes era un ragazzo moro e riccio, di un anno meno di lui, che non parlava mai con nessuno e di cui John non aveva mai notato l'esistenza finché gli altri della sqaudra non glielo avevano indicato sull'annuario.

Vita sociale zero, gusti sessuali sconosciuti, sapeva soltanto che era molto bravo in chimica. John si trovò a fissarlo nel corridoio, era decisamente un bel ragazzo, per cui il fatto che fosse solo era davvero un mistero, facilmente risolvibile dal fatto che sembrava essere un vero e proprio asociale.

Il biondo si fece coraggio e cercò di attaccare bottone con una scusa, da qualche parte doveva cominciare.

- Ciao, scusami, tu sei Sherlock giusto? -

Il moro si voltò, fissò il ragazzo da capo a piede e poi strinse gli occhi  -Non sembra tu voglia chiudermi nell'armadietto, quindi cosa vuoi? -

- Scusa? - rispose John spiazzato.

- Non è così che vi divertite, voi della squadra di rugby? -

- Non io - fece John, in imbarazzo per l'idiozia dei suoi amici - Volevo chiederti se puoi darmi ripetizioni di chimica, sono un vero disastro e si dice che tu sia il più bravo del liceo -

Holmes spalancò gli occhi stupito - Cos'è, hai perso una scommessa, tipo chi perde va a parlare con lo strambo? -

John arrossì leggermente - No, no davvero -

- Come vuoi, comunque non perdo tempo a dare ripetizioni, occupo il tempo in maniera più utile - fece chiudendo l'armadietto e andandosene via. John si girò perplesso e vide alcuni della squadra che lo fissavano trattenendo le risate.


***** *****

Giorno 2 - Martedì

Alla fine delle lezioni, John schizzò fuori dall'aula, sperando di riuscire a ritrovare Sherlock e potergli parlare. Non si sarebbe arreso così facilmente, ma le sue speranze si spensero quando lo vide salire su di un macchinone e sparire.

- Sherlock è benestante, non lo sapevi? - fece Mike, avvicinandosi a John.

- E' una sfida impossibile non è vero? Sebastian si sta divertendo a torturarmi -

Mark scrollò le spalle - Lui sta isolato nel suo mondo, per questo lo ha scelto. Dovresti metterti l'anima in pace -

Watson sospirò, suo padre era davvero deluso e il ragazzo stava quasi pensando di rinunciare a medicina e arruolarsi, solo per farlo contento. Fece la strada verso casa a piedi, quando venne attirato da una musica proveniente dal parco. Un violinista, decisamente sprecato come suonatore ambulante, stava intrattenendo i visitatori del parco. John guardò meglio e si rese conto che era proprio Sherlock, perfetto nella sua posa da suonatore, con gli occhi chiusi e i capelli mossi dal vento.

Quando Sherlock finì la melodia, Joh si ritrovò ad applaudire senza rendersene conto. Il moro si voltò e sembrò stranito dal rivedere il ragazzo del giorno prima.

- Scusami, non ti sto seguendo, stavo tornando a casa e ti ho visto. Sei stato straordinario, dovresti suonare in un teatro, perché suoni qui? -

- Ttravolgi sempre le persone appena conosciute con delle chiacchiere? - chiese il moro, ma il biondo non disse niente - Suono qui perché mi piace stare all'aria aperta e non sopporto sentire i commenti acidi di mio fratello quando sbaglio la postura  o se stecco -

- Oh, hai un fratello quindi. Io ho una sorella e... - ma John non continuò il discorso, perché notò che Sherlock non lo stava ascoltando, ma era attirato da qualcosa dietro di lui.

- Quel tizio sta per derubare qualcuno - affermò serio il moro.

- Quel signore distinto? Scherzi? - chiese John, incredulo.

- Tu guardi ma non osservi, John - fece Sherlock e iniziò a correre in direzione dell'uomo. John lo imitò e come il moro aveva detto, l'uomo strattonò una signora per portarle via la borsa. Aveva fatto solo pochi passi quando si trovò atterrato dal biondo.

- Bel placcaccio! - gridò Sherlock, mentre una folla di gente si radunava attorno. La signora ringraziò entrambi e John si sentì davvero orgoglioso di se stesso. Non era come vincere una partita o prendere un bel voto, aveva fatto qualcosa di davvero utile.

- Ti servivano delle ripetizioni, giusto? - chiese il moro, guardando John con un'espressione più curiosa.

Quella sera Sherlock sembrava leggermente più entusiasta del solito, aveva addirittura finito tutta la cena e di tanto in tanto aveva anche sorriso fra sé. I genitori sembravano contenti e conoscendo la riservatezza del figlio non avevano indagato, ma Mycroft conosceva troppo bene il fratello per non preoccuarsi di ogni possibile implicazione di quel sorriso.


***** *****

Giorno 3 - mercoledì

- Mi sembra di capire che hai difficoltà con gli esercizi di bilanciamento - esclamò Sherlock, guardando i compiti di John -  Lo sai che a medicina avrai anche esami di chimica, vero? -

- Come fai a sapere che voglio fare medicina? - rispose il biondo. 

- Sono un bravo osservatore John -

Avevano deciso che le ripetizioni si sarebbero svolte a casa di Sherlock. John non voleva che il ragazzo incontrasse i suoi genitori, suo padre gli avrebbe fatto il terzo grado e finito per catalogarlo come strano. Così erano seduti alla scrivania della camera di Sherlock, circondati da strani esperimenti che comprendevano davvero ogni cosa che al moro fosse venuta in mente.

Il biondo, intanto, si rabbuiò - Mio padre non vuole che io faccia medicina, preferisce che mi arruoli nell'esercito -

- E' il tuo futuro John, non lasciare che decidano gli altri per te - rispose Sherlock senza battere ciglio.

- Tu cosa farai? -

- Intanto la facoltà di chimica e poi vedremo, ho in mente una professione che ancora non esiste -

John lo guardò scettico, ma stava imparando che quel ragazzo era davvero particolare.

- Cosa fai nel tempo libero Sherlock? A parte suonare nei parchi e sezionare animali morti -

- Leggo principalmente -

- Che ne diresti di andare al cinema sta sera?  Con tutta questa chimica ho bisogno di un po' di relax. Potremmo andare a vedere un thriller -

Sherlock sentì una strana sensazione invaderlo, come di calore e felicità, qualcosa che non aveva mai provato. Per un attimo pensò di aver preso qualche malanno, un raffreddore o una leggera influenza forse, perché il cuore aveva iniziato a battere leggermente più veloce.

John sembrò notarlo e cominciò a pensare che quel ragazzo non aveva mai avuto un solo amico in tutta la sua vita.

- Ti va bene Sherlock? Alle 20 davanti al cinema? -

Il moro annuì. Qualche ora dopo era davanti allo specchio, nell'impossibile tentativo di sistemare i riccioli, che quella sera avevano deciso di annodarsi tutti tra loro. Continuava a specchiarsi e si vedeva troppo bianco, troppo magro e troppo "lungo". Non si era mai accorto di quanto il suo viso somigliasse a quello di una lontra.

- Hai intenzione di chiedere allo specchio chi è il più bello del reame Sherlock? Ti stai specchiando da ore - affermò pigramente Mycroft, entrando nel bagno senza il minimo rispetto della privacy del fratello - Allora con chi esci che richiede tanta cura? -

Sherlock sembrò soppesare quel commento. Non gli importava di piacere, non gli importava delle persone, Mycroft stava sicuramente sbagliando la sua analisi.

- Fratellino, paura? - continuò imperterrito Mycroft, buttando un occhio sui vestiti che stava per indossare: una camicia porpora, un paio di pantaloni eleganti e una giacca - Vai al cinema o all'opera? Gli adolescenti non si vestono così, Sherlock -

- Hai finito? - sbottò il moro, prendendo i  vestiti e chiudendosi in camera sua.

Anche John era insolitamente nervoso; i suoi genitori stavano nuovamente litigando per Harriet e lui non vedeva l'ora di uscire, anche se avrebbe passato la serata con un silenzioso sociopatico.  Si infilò camicia e maglione  e andò via senza salutare.

Quando arrivò all'appuntamento, trovò Sherlock, vestito di tutto punto, con i biglietti già pagati e due sacchetti di pop - corn. John gli sorrise e non poté pensare che era dannatamente bello, in maniera quasi eterea e fece per seguirlo dentro alla sala, quando due ragazze gli vennero in contro. La  rossa lo abbracciò e baciò allegra, mentre l'altra squadrava Sherlock, che rimase leggermente deluso dalla scena.

John si liberò dall'abbraccio ridendo - Sherlock, ti presento Janet e Sarah, sono nella squadra delle cheerleader -

Il moro fece un cenno di saluto - Il nostro film sta per iniziare, se volete scusarci -

Le due ragazze risero - Ok, venerdì però vieni alla festa vero John? Party da Mary, lei si aspetta che tu venga - fece strizzando l'occhio.

John salutò le ragazze e entrò con Sherlock nella buia sala del cinema. Si era completamente dimenticato della festa di inizio anno a casa di Mary, una tradizione che ormai si ripeteva dal primo anno.

Cominciò a chiedersi se doveva sentirsi in colpa, per quello che stava facendo, ma mise a posto la coscenza dicendosi che a Sherlock non gli importava dei sentimenti e con questo chiuse ogni discorso, mentre il moro si rilassava allegro nella poltrona del cinema.


***** *****

Giorno 4 - giovedì

- Ok, dimmi che lavoro fa quello - fece John indicando un uomo che stava camminando di fretta nel parco.

- E' un pilota John, troppo facile, guarda il suo pollice sinistro - rispose Sherlock, fintamente annoiato. Gli piaceva mettersi in mostra e lasciare a bocca aperta John.

Il biondo rise.

- Stavo pensando - fece Sherlock, quasi timidamente - che se domenica pomeriggio non hai altro da fare, potresti venire al mio concerto al conservatorio - fece tutto ad un fiato.

- Ho la partita domenica - rispose John, senza rendersi conto di quanto era costato a Sherlock chiedere una cosa del genere. Il moro incassò il colpo in silenzio, almeno John non si era inventato qualche scusa assurda per non venire, cosa che temeva tremendamente.

John notò che Sherlock era rimasto zitto e aveva preso a guardare da un'altra parte.

- Scusa, verrei davvero ma il rugby per me è come per te la musica - fece il biondo, temendo di averlo ferito. In realtà non era del tutto vero, aveva iniziato a giocare perché gli piaceva ma non gli importava così tanto come pensava suo padre. Era soltanto uno sport.

Sherlock lo guardò impassibile - Tranquillo John, era solo per dire. -

- Ok, quella signora cosa fa invece? - continuò il biondo, cercando di cambiare discorso e Sherlock riprese a fare sfoggio delle sue capacità di deduzione.

Quella sera John mangiò a fatica la cena, senza dire una parola e poi salì in camera sua. Cominciava a non essere più tanto sicuro di quello che stava facendo. Era uscito con tante ragazze, aveva pensato che provarci con una e farsi baciare, solo per una scommessa, non era una cosa sbagliata, in fin dei conti con tante ragazze era finita in meno di una settimana.

Ma Sherlock era diverso, era stato così timido quando gli aveva chiesto di venire a vederlo al conservatorio e lui lo aveva liquidato velocemente, solo perché non pensava che avrebbe più visto Sherlock esauriti i sette giorni della scommessa. Cosa diavolo stava pensando? Come poteva trattare così quel ragazzo?

Continuava a pensare a quanto era brillante e intelligente, non aveva mai conosciuto uno così. Cos'era più importante? La felicità dei suoi genitori o non ferire Sherlock? E poi, lo avrebbe ferito davvero? Tutti parlavano di lui come di un sociopatico senza sentimenti.

La notte non gli portò consiglio.


***** *****

Giorno 5 - venerdì

- Tu vieni alla festa sta sera? - esordì John, bloccando Sherlock nel corridoio.

- Scusa? -

- Non occorre essere invitati, se è quello a cui stai pensando. E' estesa a tutti, Mary ha una casa molto grande -

- John, a te piacciono davvero quelle persone? I tuoi compagni di squadra, le cheerleader... mi sembri diverso da loro - constatò Sherlock.

- Cosa intendi? - chiese John.

- Nessuno di loro mi ha mai rivolto la parola per esempio. Tu sei meglio di loro -

John si sentì tremendamente in colpa. Nemmeno lui gli avrebbe parlato se non fosse stato per la scommessa con Sebastian.

- Non sono cattivi, sono sicuro che se vi conosceste, andreste d'accordo - continuò. Non capiva perché voleva che Sherlock partecipasse a quella festa, ma ci teneva che entrasse un po' di più nella sua vita.

Sherlock scosse il capo - Io non capisco molto della natura umana, ma tu hai una visione troppo ottimista John - rispose con sarcasmo.

- Quindi è un no? -

Sherlock soppesò la risposta, di integrarsi con quella sottospecie di scimmie non gli importava, ma gli dispiaceva dire di no a John. Quando vide due della squadra di rugby lanciarsi lo zaino di un ragazzino del primo anno, propense per il no. Scosse la testa e si congedò dal biondo.

Non si sarebbero visti nel pomeriggio, John aveva l'allenamento per la partita di domenica e non poteva saltarlo. Aveva quasi sperato che il moro sarebbe venuto a vederlo, magari sedendosi sugli spalti assieme agli altri supporter.

Ma non accadde.

La sera andò alla festa di Mary, non c'era motivo per perderla e Sherlock non sarebbe uscito per cui i suoi piani di corteggiamento erano rimandati al giorno dopo.

Era seduto in giardino, intento ad ascoltare un pettegolezzo su una compagna di classe di Janine, ma finì per perdere il filo del discorso. Gli tornavano in mente le parole di Sherlock "sei diverso sa loro". Guardò i suoi amici, erano tutti intenti a bere, a sparlare di qualcuno, nessuno era intelligente come il suo amico, neanche lontanamente.

Era perso a ricordare come sembrava felice Sherlock mentre suonava il violino, quando Sebastian e gli altri gli si sedettero accanto.

- Johnny boy come stai? Come sta Sherlock? - fece Sebastian.

Janet intervenne - Si John, perché giri con quello? E' talmente strambo. Sarebbe anche carino, ma secondo me è irrimediabilmente gay -

- Per me è asessuale - intervenne Sarah.

- Di chi state parlando? - chiese Mary sedendosi sulle ginocchia di John.

- Sherlock Holmes - rispose Janet.

Mary rise - Secondo me il problema è che nessuno starebbe con lui, è asessuale per scelta degli altri -

E tutti scoppiarono a ridere, tranne John che anzi sembrò piuttosto infastidito - Sarebbe mio amico, se non vi dispiace -

Scese il gelo tra i ragazzi, salvo qualche risata stupita e gli sguardi perplessi dei ragazzi del rugby - John, non occorre che fingi con noi. Ragazze, John deve sedurre Sherlock per diventare caposquadra. Una scommessa tra di noi, niente di ché -

Le ragazze si guardarono e risero, ma John spostò Mary dalle ginocchia con non molta grazie e senza una parola abbandonò gli altri.

"Tu sei meglio di loro" Non era vero, era addirittura peggio. Stava cercando di farsi baciare da Sherlock per una scommessa. Lo stava inutilmente illudendo. Sherlock lo aveva anche invitato al concerto, non poteva più liquidare il tutto per mettersi a posto la coscienza.

Camminò a lungo finché non arrivò nei pressi della casa del moro. La finestra del piano di sopra era illuminata e poteva distintamente vedere l'ombra del suo amico mentre suonava il violino. Tirò fuori il cellulare e gli scrisse di affacciarsi.

Sherlock smise di suonare al trillo di arrivo del messaggio, probabilmente era sicuro fosse John perché non riceveva sms da nessun altro se non da lui. John poté vedere la sua ombra che prendeva in mano lo smartphone e in meno di un secondo Sherlock si girò e aprì la finestra, guardandosi attorno, finché scorse John in giardino che agitava una mano. Il biondo non voleva urlargli di scendere perché non voleva svegliare i genitori di Sherlock, per cui glielo mimò.

Il moro era piuttosto stupito, ma cinque minuti dopo stava uscendo dalla porta sul retro.

- Non eri alla festa da Mary? - chiese Sherlock, squadrando l'abbigliamento curato, ma soprattutto il gel nei capelli.

- Non era granché. Mi sei mancato oggi, volevo solo salutarti e dirti che avevi ragione. Voglio essere meglio di loro - fece John, onesto come non era mai stato con Sherlock fino a quel momento.

- E' mezzanotte John - esclamò il moro, non capendo esattamente a cosa si stesse riferendo - Potevi dirmelo anche con un sms -

Il biondo rise - Ci vediamo domani? Facciamo qualcosa che vuoi tu -

Sherlock sembrò pensare a lungo alla possibile attività. In realtà gli sarebbe andata bene qualunque cosa in sua compagnia, ma c'era un posto in cui era sempre andato da solo e avrebbe voluto portare John - Potremmo andare al museo delle scienze - rispose Sherlock, improvvisamente più entusiasta.

John sorrise, non aspettandosi una risposta come pub, cinema o centro commerciale, per cui si accordarono per trovarsi la mattina e lo salutò con un peso in meno, Sebastian e la sua scommessa potevano andarsene a quel paese.

***** *****


Giorno 6 - sabato

Sherlock,  era arrivato troppo in anticipo davanti al museo delle scienze, per cui andò in un bar vicino per passare il tempo in attesa dell'arrivo di John.

Era assurdamente felice, aveva provato più volte ad analizzare quelle emozioni, perchè doveva ammettere che stava provando qualcosa di simile a quello che gli altri esseri umani catalogavano come sentimenti. John era diverso da tutti, era gentile, era buono e non lo trattava come un emarginato.

Si sedette con il suo caffè e il suo pancake al bancone, senza accorgersi che due tavoli più dietro di lui c'erano le cheer-leaders al completo. Quando le notò riflesse nello specchio, decise di andarsene via, per evitare che le ragazze e John si incontrassero e iniziassero a civettare con lui, ma quando sentì il proprio nome accompagnato da una serie di risate, decise di rimanere immobile sullo sgabello.

- Quanto bisogna essere sfigati per farsi fregare così? - fece quella che Sherlock sapeva essere Mary.

- Vi prego - rincarò Janet - Si crede tanto intelligente e poi non capisce che John sta uscendo con lui per una scommessa. Come poteva pensare che uno come John si interessasse a lui? -

- Ma alla fine John riuscirà a farsi baciare, secondo voi? - chiese Sarah e le altre scoppiarono a ridere.

Lo percepì in quel momento, che aveva avuto ragione fin dall'inizio. Sentì come se lo stomaco si stesse contorcendo. Strinse la tazzina più forte, finché le nocche non gli divennero ancora più bianche. Scese dallo sgabello lentamente, cercando di non farsi notare e uscì da quel bar sentendosi il più grande idiota della storia.

Quando fu sul marciapiede, di fronte alla vetrina del bar, con la coda dell'occhio vide John che gli si avvicinava: gli lanciò uno sguardo furente che inchiodò il biondo sul marciapiede. Sherlock si avvicinò, tremava leggermente. Buttò un occhio nel bar e si chiese se le ragazze stavano guardando. Senza dare a John il tempo di aprire bocca, gli stampò un bacio sgraziato sulle labbra.

- Contento adesso? - sbottò - Ora non occorre che fai cose che non ti va di fare o dici frasi che non pensi -

John sembrò capire, quando anche lui notò le ragazze dentro al bar con la bocca aperta, Sarah stava anche applaudendo e il biondo iniziò a boccheggiare - No, lascia che ti spieghi -

A Sherlock cominciarono a pizzicare gli occhi - Non occorre, divertiti alla partita -

John lo prese per un braccio ma il moro si liberò dalla presa e corse via, lasciando uno smarrito John, ancora inchiodato sul marciapiede che fissava quella testa riccia che spariva in lontananza.

Quando Mycroft tornò a casa, trovo Sherlock seduto sul letto, intento a fissarsi i piedi. Il moro alzò la testa - Per favore non dire niente - pronunciò quelle parole con rabbia, ma la voce era leggermente incrinata.

Il fratello, stranamente, lo assecondò e si limitò a sedersi accanto a lui.

Quando John arrivò a casa per cena, dopo aver passato la giornata a mandare inutilmente sms a Sherlock, trovò i genitori che  stavano discutendo con Harriet, passata a casa per salutarli e per augurare un in bocca al lupo a John per la partita del giorno dopo.

Quando entrò con lo sguardo tetro, tutti lo fissarono. Harriet fece per chiedere cosa fosse successo ma lui scosse il capo.

- John - fece suo padre - Sei nervoso per la partita di domani? -

- No - mormorò - E onestamente non me ne importa niente - ribatté e corse in camera sua, lo sguardo di rimprovero del padre che lo seguiva fino in camera.


***** *****

Giorno 7 - la domenica della partita

John era seduto nello spogliatoio, con lo sguardo triste di uno che aveva perso qualcosa di importante. Le ragazze avevano effettivamente visto Sherlock baciare John e Sebastian aveva dovuto ammettere la sconfitta e cedergli il posto da capitano.

Ma questo non gli bastava per essere felice, anzi se ne stava seduto sulla panchina dello spogliatoio, senza prendere parte a nessuno dei rituali scaramantici pre-partita. Nessuno sembrava dare importanza alla cosa, pensando fosse solo nervoso per l'incontro, invece John continuava a ripensare allo sguardo ferito di Sherlock.

Non aveva senso, sette giorni prima il suo pensiero più grande era diventare capitano a tutti i costi per rendere orgoglioso suo padre, mentre adesso non sopportava nemmeno la vista dei suoi compagni di squadra.

Il coach scese negli spogliatoi per gli ultimi incoraggiamenti, ma prima che potesse iniziare, John si alzò in piedi  e senza dire niente si avviò verso l'uscita.

- Watson - intimò l'allenatore - Dove diavolo stai andando? -

- Ho capito che non mi importa di tutto questo e Sebastian può riavere il mio posto di capitano -

Tutti lo fissarono stranito, ma John non ascoltò il coach che lo richiamava, né i compagni di squadra che gli chiedevano se era impazzito. Era ancora vestito con la divisa, ma non gli importava. Corse fuori dallo stadio, con una sola meta in mente: il conservatorio.

Il concerto era già iniziato e nonostante le suppliche all'addetto all'ingresso, non lo fecero entrare entrare. Anche se non fosse stato in ritardo, l'abbigliamento da rugby non gli avrebbe permesso l'ingresso.

Sbuffando corse dietro il palazzo, sperando in qualche entrata laterale o una finestra lasciata aperta. Svoltò l'angolo e si trovò davanti proprio Sherlock, appoggiato al muro, con una sigaretta spenta tra le dita, come indeciso se fumarla o meno.

Quando lo vide non trattenne uno sguardo mortalmente triste - Cosa vuoi adesso? Devi anche portarmi a letto? -

John si avvicinò piano - Sherlock, mi dispiace ma per favore ascoltami. Non mi importa più, di loro, del ruolo da capitano e soprattutto di quella stupida scommessa. Ho capito che sbagliavo e che mi importa di te. Era per questo che ero venuto sotto casa tua l'altra sera, perché volevo vederti e avrei voluto dirti tutto, ma ho avuto paura di quello che sentivo. L'avrei annullata la scommessa, nella mia testa lo avevo già fatto. Sherlock dovrei essere alla partita adesso. Invece sono qui, per te -

Sherlock lo scrutò a lungo, non capiva se lo stava nuovamente prendendo in giro.

- Mi riconquisterò la tua fiducia, se me lo permetterai. Adesso voglio assistere al tuo concerto, applaudirti. Sherlock davvero è stato un caso averti incontrato al parco. Non volevo ferirti e mi odio per questo ma.. -

Come John volesse continuare la frase non lo avrebbero mai saputo, perché Sherlock annullò la distanza tra loro e posò le labbra su quelle del biondo. Era un bacio delicato e gentile, che diventò sempre più appassionato man mano che John si rendeva conto di quello che stava accadendo.

Non credeva che baciare qualcuno potesse dare tante emozioni, non gli era mai successo prima, ma man mano che il tempo passava e le loro lingue si univano in una danza, si rendeva conto che non avrebbe mai più voluto baciare nessun altro.

Si staccarono solo quando sentirono Mycroft sbuffare alle loro spalle e ricordare che Sherlock doveva esibirsi a breve.

Ovviamente non sarebbe finita lì, il fratello maggiore avrebbe sottoposto John a un serratissimo interrogatorio per essere sicuro che Sherlock fosse in buone mani, ma a John non importava. Non sapeva cosa sarebbe successo il giorno dopo, se nessuno della squadra gli avrebbe più rivolto la parola, se alla fine sarebbe entrato a medicina e se Sherlock avrebbe davvero inventato il lavoro dei suoi sogni.

Non lo sapeva e non poteva saperlo, ora era solo John Watson, seduto su una poltroncina del conservatorio vicino alla famiglia Holmes, vestito da rugby e con occhi solo per il suo Sherlock e il suo violino.


****** ******

Angolo autrice:

Per essere una one-shot ho scritto tantissimo. So che Sherlock potrebbe essere un po' OOC, ma da teenager mi piace immaginarmelo un po' meno asociale e meno freddo.

Grazie a chi è arrivato fino alla fine di questa teenlock, molto anni '90 :-P

Un abbraccio, alla prossima.


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Capitolo 11
*** Coinquilini ***


Angolo autrice:
Ispirata da un post su Twitter, ne è uscita questa storia. Che è anche un esperimento perché è la prima volta che scrivo in prima persona con il Sherlock POV.
Buona lettura e spero vi piaccia.


 
Coinquilini



CANDIDATO N° 1 - PETER

Ero seduto al microscopio, in un pomeriggio come tanti, senza nulla da fare, cercando di trovare qualcosa che mi distraesse dalla voglia di fumare, che recentemente si era nuovamente fatta strada nella mia mente.

Sui giornali parlavano di un nuovo caso di suicidio, ma Lestrade non si era ancora deciso a contattarmi. Era davvero evidente che non si trattava di un suicidio, l'incompetenza della polizia aveva raggiunto nuove vette di stupidità.


Sconsolato dal non avere nessun caso di cui occuparmi, mi stavo accingendo a lasciare il Barth's, quando Mike Stamford, mi venne in contro facendomi cenno di fermarmi.

Era in compagnia di un uomo, alto e magro, brizzolato, sulla quarantina. Nei giorni scorsi avevo annunciato che avrei cercato un coinquilino con cui dividere un appartamento, stupendo lo stesso Mike e anche Molly, che mi era sembrato stesse per offrirsi come volontaria.

- Sherlock, eccoti qui,ti presento il mio amico Peter - fece Stamford, calorosamente.

Gli lanciai una rapida occhiata - Separato da poco, niente figli, un gatto - affermai. Erano deduzioni davvero banali.

Peter aprì la bocca due volte, poi affermò soltanto, quasi infastidito - Come fa a saperlo? -

- Sua moglie ha un amante e lei sta cercando un appartamento, quindi... - continuai.

Con la coda dell'occhio vidi che Stamford stava leggermente sbiancando. Rimanevo sempre stupito dalla capacità delle persone di trovarsi in imbarazzo davanti alla verità.

- Come dice? - fece l'uomo, con tono leggermente più aggressivo.

- Credo che l'amante di sua moglie sia il suo migliore amico, lavora in una biblioteca giusto? E ha anche ottenuto una promozione al suo posto -

Peter lanciò uno sguardo stranito a Mike, che si morse un labbro.

- Scusate ma devo andare - affermò soltanto quell'uomo.

- Non a lavoro, o troverà la sua ex moglie con il suo ex amico - risposi.

- FUORI DAI PIEDI - gridò, con tanta forza che quasi feci un passo indietro.

Lo guardai stupito e feci spallucce, di certo non avevo bisogno di coinquilini così suscettibili.

Mike, però, mi stava ancora fissando.

- Sherlock, volevo presentartelo come coinquilino! -

- Lo avevo capito -

- Come non detto, ci vediamo domani - rispose, in maniera quasi stanca.

Era inutile che Mike mi guardasse in quel modo, non era stata colpa mia. Presi un taxi e mi diressi in Baker Street, dovevo continuare il trasloco: qualcuno con cui dividere l'appartamento e l'affitto lo avrei trovato, prima o poi, ero abbastanza fiducioso.



CANDIDATO N° 2 - MATT

- E questa è la sala autopsie. Matt ti presento Sherlock -

Ero ancora chino sul cadavere che stavo esaminando, quando mi accorsi che Mike era entrato con un amico, molto probabilmente un altro potenziale coinquilino.

Alzai la testa e feci un cenno di saluto con il mento. Era preferibile non usare le mani, visto che avevo ancora addosso i guanti sporchi di sangue.

L'amico di Matt, fece un leggerissimo sorriso, un po' tirato e poi chiese a Mike - Lavora qui? - come se la cosa lo infastidisse.

- Non proprio - intervenni - E' più che altro un hobby -

Quel Matt alzò un sopracciglio perplesso.

- Sta cercando un coinquilino perché sua madre vuole sbatterla fuori di casa? - chiesi. Notai che Mike fece un sospiro forte, ma non ci badai.

- Si ma.. - rispose, spostando il peso da un piede all'altro.

- Posso capirlo, a 30 anni vivere ancora con i genitori è quantomeno strano. Soprattutto per il fatto che sono almeno dieci anni che lavora...vediamo, in uno studio di commercialisti? Ma preferisce suonare la chitarra e vorrebbe mollare tutto per fondarne una rock band. Non credo sia una buona idea - conclusi.

Peter fissò Mike, che scrollò le spalle.

- Ho adocchiato un appartamento in Baker Street, potremmo vederlo assieme, questa sera per le 7 - feci, togliendomi i guanti e gettandoli nel cestino -  La aspetto lì - e mi congedai.

Qualche ora dopo arrivai puntuale all'appuntamento in Baker Street. Matt non era ancora arrivato, per cui decisi di aspettarlo sul marciapiede, nonostante la signora Hudson si fosse affacciata per invitarmi ad entrare. Faceva abbastanza caldo, per cui potevo tranquillamente aspettare.

Dieci minuti dopo ero ancora in attesa. Mi misi a passeggiare avanti e indietro, mentre piano piano si faceva sempre più buio.

Venti minuti: un taxi si accostò al marciapiede ma ne scese una ragazza bruna che subito entrò da speedys.

Mezz'ora:  guardai l’orologio. Feci un leggero sospiro, come se fossi un po' deluso dalla situazione. Ma ovviamente non ero deluso, ero solo infastidito dalla perdita di tempo. Certi stati d'animo non mi appartengono.

Quarantacinque minuti: Inutile continuare ad aspettare, non sarebbe venuto. Mi strinsi nelle spalle e feci per entrare a salutare la signora Hudson quando mi arrivò un sms; pensai che  magari quel Matt aveva chiesto il mio numero a Mike ed era semplicemente in forte ritardo.


Fratellino, cos’è questa novità che cerchi un coinquilino?
MH

Fissai il display e poi istintivamente mi girai attorno, cercando di vedere se qualche telecamera era sui di me e mio fratello poteva aver intuito il mio stato d'animo. Di fastidio, non di altro.

Un altro bip e un nuovo sms.

Senso di solitudine?
MH

Mi rimisi il cellulare in tasca. Matt mi aveva dato buca, ma perché? Non avevo fatto e detto niente di sbagliato, perché qualcuno doveva offendersi per dei dati di fatto?

Entrai in casa e dieci minuti dopo stavo bevendo il té nella cucina della signora Hudson. Continuavo a ruotare il cucchiaino nella tazza, pensando al motivo per cui due perfetti estranei, che niente sapevano di me, mi avevano catalogato come qualcuno da cui stare alla larga. Talmente alla larga da non concedermi nemmeno il beneficio del dubbio.

- Sono tutti degli idioti - esclamai.

La signora Hudson si sedette alla tavola allungandomi dei biscotti - Con questo atteggiamento non mi stupisco che non facciano a gara per dividere l’appartamento con lei, giovanotto -

Sollevai uno sguardo leggermente sconsolato, prima di riprendere il mio solito contegno.



CANDIDATO N° 3 - DAVID

Ero ancora chino sul telescopio, quando Mike mi si sedette accanto - Sherlock, potresti non travolgere le persone con le tue deduzioni? La gente si spaventa -

Lo guardai accigliato, ma non dissi nulla.

- Io cerco di aiutarti con la tua caccia al coinquilino, ma.. -

- Non vanno bene quelli che mi presenti, si agitano per un nonnulla, non ha senso. Io posso giudicare una persona a prima vista, ma gli altri non sono in grado, per cui perché scappano? - chiesi, aspettando che mi rispondesse che appunto, erano degli idioti. 

- Non vogliono vivere con qualcuno che all’apparenza sembra uno psicopatico o quantomeno uno strambo, Sherlock - rispose invece. Strambo, come mi chiava Sally. Psicopatico, come mi chiavano i miei compagni di scuola. Aggettivi che ormai mi scivolano addosso.

- C’è un altro mio amico che verrà pomeriggio, ti prego niente deduzioni, magari parla di te piuttosto, fatti conoscere -

Qualche ora dopo tornò con un tizio alto, di bell'aspetto. Era sicuramente un dottore, molto probabilmente uno specializzando in neurochirurgia  - Ciao Sherlock questo è David, come ti dicevo sta cercando un appartamento e un coinquilino - fece Mike.

Mi alzai e porsi cortesemente la mano  - Piacere  -

Stamford annuì incoraggiante alle spalle di quel David.

- L' appartamento è in Baker Street  - affermai.

- Ottimo quartiere - rispose l'uomo. Sembrava allegro, forse Mike aveva ragione che travolgere qualcuno appena conosciuto, con le mie deduzioni, poteva dare l'impressione sbagliata.

Ricordai che mi aveva detto di parlare di me  - Io suono il violino, spero non le dia fastidio -

- Mmh, no - rispose. Un punto a suo favore.

- A volte non parlo per giorni, soprattutto se conduco i miei esperimenti -

David mi fissò colpito, o almeno così credetti, per cui continuai - A proposito di esperimenti, nel frigorifero ogni tanto conservo pezzi di cadavere per i miei studi. Il tavolo della cucina sarà praticamente sempre occupato dalle provette, ma in effetti mangio poco o niente quindi non mi è un peso, per lei lo sarebbe? - feci entusiasta.

La faccia di David ora era un po' mutata, tendeva a quell'espressione contrariata che mi avevano riservano i precedenti amici di Mike, per cui cercai di riformulare la mia ultima frase - Ma c’è un altro tavolo in soggiorno. Non mangeremo sopra le provette, si può mangiare lì. - conclusi incoraggiante.

- E cosa mangeremo, i pezzi di cadavere? - chiese l'uomo, non mi era chiaro se fosse sarcastico.

- Ovviamente no, quelli servono per i miei studi - risposi cortesemente.

Segui un silenzio surreale.

- Bene, alle 7 in  Baker Street? -

***** *****

Io arrivai puntuale, lui non arrivò proprio. E sta volta fu più strano di quella precedente. Forse perché faceva più freddo, forse perché vedevo tutti che correvano a casa con la spesa, mentre io ero rimasto un'ora in attesa davanti alla porta del 221B.

Nuovamente un messaggio mi ricordò che era passato abbastanza tempo e che potevo mettermi l'anima in pace che non sarebbe venuto nessuno.

Ci sono due gradi sotto zero Sherlock, vai a casa
MH

Fatti gli affari tuoi
SH

Risposta molto matura. Comportati da persona normale e ordinaria e troverai un coinquilino. Se è questo che vuoi. 
MH

Fissai l'ultimo sms, alquanto criptico. No, che non volevo far finta di essere un altro!  Storsi il naso e decisi di andare a fare due passi, giusto per contrariare mio fratello.



CANDIDATO N° 4, L'UNICO E IL SOLO: JOHN

- David non è venuto? - esordì Mike, raggiungendomi al Barth's.

Scossi la testa.

- Lo temevo, era  un po' perplesso. Gli ho detto di provare a vedere l'appartamento ma.. -

- Lascia stare - risposi. Non avevo tanta voglia di continuare a parlare dell'impossibilità di trovare qualcuno che mi sopportasse.

- Sherlock, magari menzionare pezzi di cadavere in frigorifero non è un grande idea. Al prossimo non dirlo, altrimenti sarà difficile per te trovare un coinquilino -

- Senti, lascia stare, fa niente, va bene così. Sto bene solo, non so cosa mi sia venuto in mente. Un modo per pagare l'affitto lo troverò -

Mike mi lanciò uno sguardo dispiaciuto, ma per fortuna non disse niente. Abbassò gli occhi e uscì dalla sala autopsie. Io presi il mio frustino in mano e decisi che era un'ottima giornata per frustare un cadavere.

Dopo essermi svicolato da Molly, andai nuovamente dal mio amato microscopio. Finalmente avevo capito che poteva essere stato il fratello, l'autore dell'omicidio su cui stavo indagando, avevo necessità di avvisare Lestrade al più presto, ma il mio cellulare non aveva segnale.

Proprio in quell'istante entrò Mike, seguito da un medico militare.

Non mi disturbai nemmeno a salutare, tanto sarebbe seguita soltanto l'ennesima delusione. Ma avevo bisogno di un cellulare e Mike non lo aveva con sè.

- Ecco, usi il mio - fece l'amico di Stamford, inaspettatamente.

- Ah, grazie - risposi stupito, lanciando una leggera occhiata in direzione di Mike, che impercettibilmente sorrise.

- Un mio vecchio amico, John Watson - fece, indicandomelo.

Lo guardai meglio, mentre mi alzavo per prendere il cellulare che gentilmente mi porgeva. - Afghanistan o Iraq? - chiesi.

Lui sembrò confuso, ma non spaventato. Un punto a suo favore.

- Afghanistan, ma come fa a saperlo? -

Zoppicava ma era evidentemente psicosomatico, probabilmente era stato ferito in missione.

Molly entrò con il mio caffè, mentre quel John mi stava ancora guardando.

- A lei piace il violino? - chiesi con noncuranza.

John sembrò non capire, forse pensava stessi parlando con Molly. - Come scusi? -

- Io suono il violino quando penso e a volte non parlo per giorni interi. Due potenziali coinquilini dovrebbero conoscere i difetti reciproci - e sorrisi.

Sembrava ancora confuso, chiese una sorta di sostegno a Mike ma lui negò, ovviamente, di avermi parlato di lui.

John continuava ad incalzarmi, sul fatto che ci eravamo appena incontrati ed era un po' poco tempo per cercare un appartamento insieme. Ma io sapevo abbastanza di lui e a differenza degli altri, mi sembrava più propenso ad una vita avventurosa. Era un medico militare dopotutto.

- Il nome è Sherlock Holmes e l'indirizzo è il 221 B di Baker Street - conclusi strizzando l'occhio, non sapevo perché, ma alla gente piaceva quando lo facevo.

Uscii stranamente ottimista, pensando che forse, sta volta, Mike ci aveva visto giusto.

Più tardi, in taxi, ero nervoso; non sapevo perché, ma lo ero. Il mio taxi stava percorrendo Baker Street, quando notai un inconfondibile John Watson, che stava zoppicando verso Baker Street. Scesi dal taxi un po' più speranzoso del solito, era arrivato addirittura prima di me.

- Può chiamarmi Sherlock - precisai allegro. Sorrisi, era stranito ma era lì, si stava fidando.

Salimmo all'appartamento accompagnati dalla signora Hudson e John si guardò intorno. L'appartamento era davvero perfetto, non poteva dire di no.

Infatti, anche lui sembrò concordare sulla fortuna di trovare un appartamento del genere, finché non si lamentò del disordine, non capendo che era tutta roba mia. Misi qualcosa a posto e...

- Quindi così hai incontrato papà? - Lo interruppe Ginny. Da quando aveva compiuto 14 anni, era entrata in quella fase in cui credeva di sapere tutto. Degna figlia di suo padre in ogni caso.

- Se mi lasci finire - rispose il detective - Arrivo all'omicidio del tassista. La versione di John è troppo romanzata. Oltre che non vera, sul blog non appare come mi ha salvato la vita per la prima volta -

- La versione di papà è più romantica - fece lei e Sherlock non potè non pensare che assomigliava ogni giorno di più a John.

- Appunto - fece.

- Se fosse stato per te, vi sareste sposati in sala autopsie, Sherlock - rispose lei.

- Non è vero - ribatté piccato il detective. Con John e Ginny si trovava sempre in minoranza.

- Potevi dire qualcosa di dolce, tipo che nessuno andava bene perché stavi aspettando John, era scritto nelle stelle, solo lui ti capisce. Cose così -

- E' quello che ha detto, tra le righe - fece John entrando in soggiorno - Dobbiamo tenercelo così tesoro - continuò, baciando Sherlock su una guancia.

Il detective sorrise, ma non disse niente; sapeva che prendere quel cellulare in mano era stato il momento più importante della sua vita e che solo John poteva amare quell'insieme di follia, genio e presunzione senza fuggire e continuando a sceglierlo ogni giorno.


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Capitolo 12
*** Due scemi innamorati ***



Due scemi innamorati


« Sherlock, no fermo » fece John, con un tono prima paziente, poi con una certa urgenza di bloccare Sherlock e i suoi frenetici esperimenti sessuali.


« Cosa c'è? » chiese il detective, infastidito, spostando un ciuffo che gli era finito sulla fronte. L’espressione imbronciata non si addiceva ad un quarantenne che stava sperimentando, per la prima volta, le gioie del sesso e in particolare dei preliminari.

John sospirò e si passò una mano tra i capelli, cercando di calmarsi, perché la situazione si stava facendo surreale «Sembra che tu stia eseguendo un programma »

« Ho letto che si fa così » rispose il detective serio, senza malizia né sottointesi, ricominciando ad accarezzare il suo bel dottore.

« Sì che si fa così, ma in maniera meno meccanica » rispose, bloccandogli la mano e storcendo leggermente la bocca.

Il detective sembrò mortalmente ferito, rimase per qualche secondo con la bocca aperta e poi, si girò sull'altro fianco, lo sguardo fisso verso il muro.

John si morse la lingua e lanciò uno sguardo disperato verso il soffitto « Possiamo parlarne? »

« No » rispose soltanto Sherlock, continuando a guardare il muro, offeso, cercando di concentrarsi su altro. Su quello stupido muro bianco, senza carta da parati, che stava giudicando la sua pessima performance sessuale. No, forse non era quello che aveva in mente quanto aveva deciso di concentrarsi su altro.

« Se lasciassi che ti guidi io... » tentò John, spostando una mano sul fianco del detective che inevitabilmente la prese e l’allontanò da sé  « Non sono la tua bambola gonfiabile » commentò.

« Non ho mai detto…cavolo Sherlock! Sei allucinante. Come vuoi » E John si alzò, frustrato e si diresse in cucina a farsi un tè. O qualcosa di decisamente più forte, qualcosa che non gli ricordasse che aveva messo da parte ogni indugio per fidanzarsi con un sociopatico, asessuale, vergine, la cui esperienza si limitava a qualcosa letto nei manuali, su internet e visto su you porn.

Di quest’ultima cosa non era nemmeno sicuro, probabilmente Sherlock non avrebbe mai scelto un approccio così convenzionale, si sarebbe fidato più di qualche dvd di divulgazione scientifica. Come se esistessero dvd di discovery channel sull’accoppiamento tra uomini. C’erano? Nel caso, sicuramente il suo moro, imbronciato fidanzato, li avrebbe trovati.

Mise a riscaldare l’acqua e cercò di svuotare la mente per qualche minuto, fissando il liquido che bolliva.

Sherlock, intanto, era rimasto sullo stesso fianco a fissare lo stesso muro. Credeva che John sarebbe tornato subito e avrebbero fatto pace, ma il dottore non accennava a rimettere piede in camera.

Il detective fu tentato di cercare su internet, qualche forum su consigli di coppia, ma la cosa non lo aiutò per niente, anzi lo preoccupò. Se non avessero raggiunto una buona intesa, probabilmente John avrebbe cercato altrove e si sarebbero lasciati.

Non era una soluzione contemplabile.

Si mise a sedere nel letto, pensando che forse, per una volta, doveva mettere da parte la sua personalità dominante e lasciare condurre il gioco al suo fidanzato.

John, nel frattempo, aveva smesso di fissare l’acqua. Prese la sua bustina di tè, la sua tazza e si sedette appoggiando entrambi i gomiti sul tavolo della cucina, cercando di immaginare il modo migliore per approcciarsi al detective. Passarono circa due minuti, quando intravide la sagoma del coinquilino, miglior amico, fidanzato rompiscatole dietro alla porta a vetri.

Il detective fece per abbassare la maniglia, ma poi optò per una energica bussata.

« Sherlock, perché stai bussando alla porta della cucina? »

« Posso entrare? » fece, aprendo piano la porta e spuntando con la testa nella stanza. John lo fissava a occhi spalancati. Lui che non gli aveva mai concesso privacy in tutti gli anni che avevano vissuto assieme da amici, ora aveva paura di disturbarlo nella loro cucina.

La cosa era grave, perché era impossibile che Sherlock si fosse reso conto di essersi comportato da idiota e che fosse lì per scusarsi. Era più probabile che la sua testolina avesse deciso che il sesso non era per lui, o incolpasse John di qualcosa a caso.

Il dottore trattenne il respiro, preoccupato di cosa passasse per la testa del fidanzato. Prese un sorso di tè per darsi coraggio, lo guardò, incoraggiandolo a parlare, a spiegare perché aveva avuto tanto riguardo, nell’entrare nella loro cucina.

Sherlock con passo incerto si avvicinò al tavolo ed esclamò soltanto « Sei andato via così di fretta, non ero sicuro che non ti stessi masturbando »
John sputò tutto il tè, che finì anche addosso a Sherlock, che si ritrasse accigliato.

« Ok, Sherlock. Dobbiamo decisamente parlare. Sei terrorizzato e i manuali che hai letto sul sesso, non ti hanno aiutato. Ci sono materie in cui non puoi progredire leggendo libri. Basterebbe che ti lasciassi andare, niente di complicato »

Sherlock sembrò soppesare la risposta, normalmente tutto era sui libri, non aveva mai pensato ad una situazione in cui un libro non potesse aiutarlo.

« Ok, so qual è il tuo problema. Tu hai saltato tutte le fasi… per cui vedremo di condensarle » Continuò John, abbandonando il tè non più fumante e prendendo un foglietto di carta e una penna. Scrisse qualcosa, lasciando Sherlock interdetto su cosa potesse scrivere che avrebbe aiutato la loro intesa sessuale.

Ma, in effetti, tra i due, l’esperto era John. O almeno, questo pensava finché non vide cosa c’era scritto sul biglietto. Per un atto pensò di ricoverare John immediatamente.

Sul foglietto che il dottore gli stava porgendo, c'era scritto "Vuoi metterti con me? SI o NO"

Il detective tentò di avvicinare una mano alla fronte di John, per essere sicuro che non avesse l’influenza, cosa che spiegherebbe tutto il recente comportamento.

«  Prima che tu dica che è una scemenza inutile, beh, ti informo che ti sei perso le prime cotte e funzionava così, tantissimi anni fa »

« Non è che chiuderai il blog e ti iscriverai a tumblr adesso? » rispose soltanto il detective, con una punta di sarcasmo, continuando a fissare quello stupido bigliettino.

Aveva già visto cose del genere, forse una ragazzina aveva addirittura nascosto un biglietto simile nel suo diario, ma il detective aveva rimosso ogni situazione imbarazzante, compreso quando la stessa ragazzina gli aveva gridato che era un mostro senza cuore.

John era ancora in attesa di una sua reazione, per cui il detective lo guardò di traverso ed esclamò soltanto «La risposta è sì, ovviamente »

« Bene, vai a dormire. Domani andremo a sbaciucchiarci su una panchina al parco, come si faceva alle medie »

Sherlock continuava a guardarlo confuso, ma il tono perentorio del Capitano Watson non ammetteva repliche « Fila subito »


***** *****


Il giorno dopo si diressero ad Hyde Park, nel mezzo del caos dei mercatini estivi e del piccolo Luna Park che era stato allestito in quei giorni. John camminava sicuro, in mezzo alla gente, suggerendo a Sherlock di godersi una delle rare giornate di sole Londinese e di tuffarsi nello spirito, prendendo dello zucchero filato.

Il detective era più perplesso che mai, ma ormai erano lì.

« Ho un’idea, tiro al bersaglio, cosa dici? Chi colpisce più lattine vince » fece John, ripensando a quando a 12 anni, aveva vinto il primo peluche per la sua ragazza.

« Lo hai già fatto per una tua ex, vero? » chiese Sherlock, congelando l’espressione allegra di John, che per un attimo aveva dimenticato di essere accanto all’uomo più deduttivo del mondo.

« E’ una cosa che hanno fatto tutti » si giustificò il dottore, non capendo poi, cosa avesse da giustificarsi.

Il detective non disse niente, anzi si avvicinò al chiosco, prese la pistola ad aria compressa e mirò a tutti i barattoli. Uno per uno cadde, sotto i colpi precisi di Sherlock.

John sorrise euforico ma Sherlock gli riservò uno sguardo gelido «Prima mi dai del robot, poi mi tratti come un ragazzino alla prima cotta e adesso mi paragoni alle tue ex? » chiese con un tono di voce che fece sussultare buona parte delle persone attorno a loro.

« Potresti urlare più forte, Sherlock? Credo che i soci del Diogene’s Club dall’altra parte di Londra, non ti abbiano sentito! »

« Perché fai così. John? »

« E tu perché devi sempre rovinare tutto? »

Sherlock rimase immobile, come se fosse stato colpito da una spada invisibile. Si strinse nella giacca, anche se c’erano almeno 24 gradi, e si dileguò a passo svelto.

Aveva esagerato? John non ne era sicuro. Sì, aveva detto una cosa non proprio carina e sì, lo aveva offeso. Ma Sherlock, invece, cosa aveva fatto se non boicottare ogni iniziativa di John di avere una relazione normale?

Il dottore sapeva che avrebbe dovuto avere pazienza con lui, che era tutto nuovo. Ma c’era un limite anche alla pazienza.

Passeggiò un po’ per le bancarelle, giusto per tenere il punto e far capire a Sherlock, che l’unica persona immatura tra i due era lui. Certo, anche lui non si stava comportando esattamente da adulto. Ma era stato trascinato al livello del detective, non era colpa sua.

Finì per bloccarsi sul posto e prendere il cellulare. Se Sherlock non voleva scusarsi, doveva farlo lui. Lo chiamò, ma il numero squillò a vuoto finché non si inserì la segreteria.

“Mi dispiace, dove sei?”
JW

“Rispondimi, per favore”
JW

“Sherlock?”
JW

John imprecò sotto voce, all’invio dell’ennesimo sms senza risposta. Stava per provare a richiamarlo, quando finalmente arrivò un sms del detective.

“Sono a casa”
SH

“Nudo”
SH

“Sesso riparatore, datti una mossa”
SH

Sesso riparatore? Non avevano mai fatto sesso e ora Sherlock aveva un’uscita del genere? Nonostante la follia, John avvertì un certo calore, che man mano scendeva verso una zona che a breve l’avrebbe messo in imbarazzo, in mezzo alla gente.

Deglutì a vuoto e corse verso un taxi. Non era facile stare con Sherlock e ancora meno facile era stare vicino a un essere così perfetto e non poterlo toccare. Aveva passato mesi di frustrazione, da quando si erano messi assieme fino agli ultimi tentativi di combinare qualcosa. Sapeva che probabilmente sarebbe stato l’ennesimo buco nell’acqua, ma gli ultimi tre sms non riuscivano a farlo ragionare del tutto correttamente.

Entrò a Baker Street, per trovare Sherlock seduto sulla poltrona, coperto solo dalla vestaglia azzurra, che lasciava intravedere molto più di quello che una vestaglia dovrebbe lasciar intravedere.

« Sherlock, dovremmo parlare » fece John, cercando di mantenere una calma apparente.

« E’ colpa mia » esalò.

Il dottore lo guardò stupito, non si aspettava una confessione simile.

« Hai ragione, non so stare in una relazione, ho paura di sbagliare e ho paura di deluderti, inutile che ci giriamo attorno » fece tutto ad un fiato, come se si fosse preparato quella semplice frase.

« Sherlock, non potresti mai deludermi »

« Hai detto che rovino tutto » rispose, abbassando lo sguardo.

John gli si avvicinò, sedendosi sul bracciolo della poltrona « Ti fidi di me? » chiese, soltanto.

Il detective lo guardò, con gli occhi cristallini, sprofondando negli occhi blu del dottore. John allungò una mano e sciolse il nodo della vestaglia del detective, aprendola in modo da poter vedere tutta la perfezione del suo fidanzato. Passò una mano sul suo petto, avanti e indietro fino a scendere sempre più in basso e facendo tremare il detective, che cercava in tutti i modi di lasciarsi andare ma non riusciva a metterlo in atto.

 « Chiudi gli occhi, Sherlock » sussurrò, con voce roca, all’orecchio del suo ragazzo e questa volta Sherlock, non si oppose. Chiuse gli occhi e si concentrò solo sulle sensazioni, finché non si ritrovò completamente perso, immerso in un’onda di piacere.

Sherlock rovesciò la testa all’indietro, appoggiandosi sullo schienale della poltrona e urlò il nome di John con tutto il fiato che aveva.

Probabilmente lo avevano sentito fino al Diogene’s Club.

Molti preliminari romantici, baci, carezze e orgasmi dopo, Sherlock si addormentò nel letto con John, dove si erano trasferiti ad un certo punto della giornata.

John aveva ancora un sorrisetto ebete sul volto, quello di uno che aveva fatto il miglior sesso della sua vita e ora poteva godersi la pace e la tranquillità dello stare abbracciato al suo grande amore.

Il cellulare di Sherlock si illuminò nel buio e John non poté non provare una certa curiosità, cercò di allungare un braccio fino a recuperarlo da terra.

“Almeno domani, verrai?”
GL

Un’occhiata rapida ai precedenti messaggi, gli fece capire che Sherlock aveva rinunciato ad un caso per passare la giornata con lui. Era l’equivalente di un enorme “ti amo”.

Si accovacciò accanto al detective, abbracciandolo a cucchiaio « Ti amo anch’io, idiota »

 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!!! 
Non so voi, ma io avevo un gran bisogno di fluff ;))
Un grazie a tutti voi, che dopo tutto questo tempo siete ancora qui a leggermi, vi voglio bene!!!
Un abbraccio,
alla prossima

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Capitolo 13
*** Oh What a Night! ***


OH WHAT A NIGHT!

 
Oh, what a night
Late December, back in '63
 
Lo guardi e ti sorride.
 
E’ incredibile come il suo sguardo ti penetra dentro, riesce a farti sentire vivo e ucciderti in un colpo solo.
 
Sei fermo, in mezzo alla sala e lui continua a voltarsi, verso di te. Vorresti che non lo facesse, perché quando i suoi teneri occhi blu incontrano i tuoi, ti senti esposto, emozionato, perso nell’immaginare una moltitudine di vite con lui.
 
Senti il calore, che solo John Watson sa darti, riscalda quel tuo cuore, diventato freddo dopo anni di vita solitaria.
 
Oh, what a night
Hypnotizing, mesmerizing me
 
 
Si sta allontanando, è strano come continui a lasciare dietro di sé un’enorme sensazione di vuoto, ogni volta che vi separate, che sia per pochi minuti o per anni. Senti il freddo, la mancanza dell’unica persona che occupa la tua vita, il tuo palazzo mentale, ogni parte di te.
 
Ti senti sciocco, a stare in piedi, solo, in mezzo alle persone, fissando una nuca che si perde tra le luci e le tue emozioni da sempre mal celate.
 
Abbassi lo sguardo. Ti fissi i piedi, in imbarazzo, non sei mai riuscito a trovarti a tuo agio tra le persone, soprattutto quando sei sopraffatto dalle tue emozioni.
 
 
Oh, what a night
Why'd it take so long to see the light?
Seemed so wrong, but now it seems so right
 
 
Improvvisamente ti rendi conto che conosci quella canzone. "Perché hanno scelto proprio quella canzone?" Ti chiedi infastidito. Per ricordarti quanto tempo ci hai messo a vedere la luce? Why'd it take so long to see the light? A capire cosa provi?
 
All’improvviso una mano prende la tua « Sai, ormai abbiamo un’età che quando ti trovo a fissare il vuoto, non so se sei nel Palazzo mentale o se è demenza senile » scherza John, raggiante, come può essere un padre che ha appena accompagnato la figlia all’altare e ti trovi a sorridere, perché di tutte le moltitudini di vite che potevi vivere con lui, questa è la migliore.
 
 
***** *****
 
Angolo autrice:

Ciao a tutti, questa la dedico a Blablia, che “ci contava”, perché aveva ragione, scrivere una flash ogni tanto è liberatorio :)) e dopo il nuovo trailer, le dichiarazione del comicon di San Diego, puntualmente smentite dopo pochi giorni e tweet vari... un po' di ottimismo johnlock mi ci voleva.

Un bacio, alla prossima!

 

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