True Love doesn't end

di ErinJS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incipit ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** RIASSUNTO ***
Capitolo 24: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 25 ***



Capitolo 1
*** Incipit ***


True love doesn't end

 

 

Camminare, spostarsi da un luogo ad un altro a piedi. Una delle cose più difficili da imparare quando si è piccoli e  indifesi. Allo stesso tempo, però, una delle cose più naturali e involontarie quando si cresce. Da lì si parte con la corsa, l’arrampicata, la danza e le mille altre attività che l’essere umano è in grado di svolgere con il proprio corpo.

Ma ora, in quella strada fredda e buia, camminare era una delle cose più difficili in assoluto.

La ferita alla gamba aveva lasciato un profondo squarcio sui pantaloni scuri e, imperterrita, continuava a sanguinare in maniera copiosa lanciando al  cervello una serie di scosse cariche di dolore. Più il tempo scorreva e più l’arto diveniva rigido e dolorante, rendendo una sofferenza anche il solo pensare di muoverlo. A rendere il tutto ancora più insopportabile vi erano i piedi, scalzi e ricoperti di tagli e schegge.

Senza controllo le lacrime salate rigavano il viso sporco di terra e sangue della giovane ragazza dai capelli scuri. In quel momento appariva quasi impossibile identificare il colore di quella capigliatura un tempo vaporosa e sana; il sangue, in parte secco e in parte ancora fresco, aveva reso le ciocche un groviglio di nodi, impiastricciati e appiccicati al volto straziato dal dolore.

Dolore. Lacrime. Sangue.

Camminare.

La pesantezza di quelle parole continuava a martellarle nella testa. Ma lei doveva camminare; non poteva aver sacrificato tutto per arrendersi proprio ora. Non sarebbe stata quella ferita alla gamba o il dolore ai piedi a fermarla. No, avrebbe camminato fino all’ultimo respiro. Avrebbe fatto ciò che le era stato chiesto, anche a costo di fare cose orribili e indegne.  Sarebbe arrivata alla fine di quella interminabile strada, da sola. L'unica cosa importante era non rimanere fermi a pensare, perchè se avesse osato farlo, anche solo per un secondo, quella voce nella testa avrebbe ricominciato a farle la stessa domanda: aveva davvero senso tutto questo?

In lontananza, a pochi metri di distanza, il lieve bagliore di alcuni lampioni bloccarono il respiro della giovane che, con un amaro scatto, si bloccò sul posto.

Storybrooke. Ce l’aveva fatta, nonostante le poche probabilità di riuscita, nonostante la paura, alla fine era tornata in quella cittadina piena di ricordi. Un piccolo cenno di sorriso si accese sulle labbra rosee; un cenno che ben presto venne smorzato dal ricordo di quanto era appena accaduto.

La corsa verso il portale, lui davanti a lei con la spada sguainata e pronta a trafiggere chiunque si fosse intromesso tra loro. Il sangue.

“Avevi promesso…”

Quella voce un tempo cristallina e sicura di sé, ora appariva roca e simile al sibilo del vento. Non poteva ricordare, non doveva. Se avesse ricordato non sarebbe più andata avanti, non avrebbe più svolto il suo compito e il sacrificio di chi tanto aveva amato sarebbe stato inutile.

“Non ti lascerò mai..”

Vigliacco e silenzioso, il dolore divenne sempre più pesante e soffocante, rendendo impossibile anche lo zoppicare che fino a quel momento l’aveva fatta andare avanti.

La ginocchia si piegarono in maniera del tutto involontaria e, con violenza, i gomiti sbatteronosull’asfalto. Senza più alcun controllo, la ragazza si lascò andare al pianto.

Il tempo sembrò quasi fermarsi; dopotutto, com’era possibile che il mondo andasse avanti se lui era morto?! Non poteva, non doveva. Tutto doveva fermarsi; la luce doveva smetterla di brillare, il sole doveva rimandare l’alba e quella stupida luna doveva smetterla di illuminare con tanta insistenza tutto ciò che le stava attorno. Il mondo doveva morire. Quell’insopportabile dolore doveva andarsene, almeno per un momento, soltanto per un piccolo istante.

E se si fosse fermata? Se avesse provato a ricordare solo per un attimo ciò che aveva lasciato?

“NOOOOOO!” piegandosi su se stessa, la ragazza urlò con tutto il fiato che le era rimasto in gola, provocandosi un dolore lancinante alle corde vocali.

Il grido sembrò quasi squarciare la notte, rimbombando lungo la strada costeggiata da automobili, parcheggiate davanti a case e negozi. La voce piena di disperazione rimbombò tra le mura degli edifici, apparendo quasi disumana.

Forse fu questo ad attirare quelle voci; o forse aveva perso troppo sangue ed ora erano cominciate le allucinazioni.

“Ehi…”

La voce di un uomo si fece avanti, una bella voce; una voce così calda da riuscire ad entrare dritta dritta nel cuore, come se quella fosse l’unica strada che avrebbe potuto percorrere.

“Ehi…ti senti bene?!”

Chi le stava davanti aveva quasi paura di sfiorarla. Era ridotta tanto male?

Forse sì.

La ragazza dagli occhi verdi alzò leggermente lo sguardo sul volto di chi era giunto in suo aiuto, e in quel momento tutto divenne improvvisamente buio.

 

 

Ciao, mi chiamo Erin e…che dire….ho provato ad imbarcarmi in questa avventura: scrivere una fan fiction. L’idea mi gironzolava in testa già da un po’ e visto che amo scrivere, ma non mi sono mai cimentata nella stesura di un romanzo, ho pensato di cominciare da qui :) .

Bè…spero di leggere al più presto le vostre recensioni, ma soprattutto, spero che questo incipit vi abbia incuriosito un pò.

Ringrazio chiunque abbia speso un po’ del suo tempo per leggere l’inizio di questo “esperimento” :)

Un abbraccio….al prossimo capitolo.

Erin

Ah…ovviamente questi personaggi non mi appartengono, ma fanno parte della Serie TV “Once Upon a Time” e sono proprietà degli autori Edward Kitsis e Adam Horowitz; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Chissà se il tempo passa alla stessa velocità quando si è addormentati.

A chi non è mai capitato di spegnere la sveglia, riposare gli occhi per un istante e poi ritrovarsi a fare tardi a lavoro? Al massimo al posto della sveglia c’è il gallo, o al posto del lavoro qualche altro impegno di notevole importanza.

Il tempo sembra mutevole. Attimi lenti come ore e ore veloci come secondi.

Chissà se quella ragazza sapeva di dormire da più di un giorno, o se la sensazione era la stessa del riposare gli occhi per qualche istante; forse il semplice ricordo di quanto le era successo bastava a farla rimanere chiusa nei suoi sogni, probabilmente più belli della realtà.

La vista di quella ragazza l’aveva decisamente scossa. Certo, lei era Emma Swan, la Salvatrice che uccise il drago,  spezzò la prima maledizione e trovò il modo di aprire un varco temporale con una bacchetta magica; ma una ragazza in quelle condizioni, sola e ferita, non riusciva a lasciarla indifferente. Da chi era scappata, o da cosa?...Anche se, ad essere sincera, era una sua deformazione personale credere che tutti fuggissero e non rincorressero qualcuno.

Certo, ora la sua casa era Storybrooke e, nonostante gli ultimi avvenimenti le avessero fatto accantonare l’idea, proprio il giorno prima aveva cominciato a cercare casa con Henry; le proposte del “ragazzino” alle volte erano troppo “originali”, ma le piacevano quei momenti di ricerca con il figlio, soprattutto quando era presente anche Killian, con la sua battuta sempre pronta.

Killianda quando aveva iniziato a chiamarlo con il suo vero nome? Forse era successo così, senza un reale motivo; forse era iniziato tutto con il memorizzare il suo numero sul cellulare, e scrivere “Hook” non le era suonato un granchè bene. Killian invece….

Il bip dei macchinari bloccò quei pensieri sul nascere, riportando la donna al problema attuale.

Emma continuò a far vagare la mente, appoggiata alla finestra della stanza, con addosso i suoi amati jeans scuri attillati e un maglioncino grigio, leggermente sfiancato. I lunghi capelli dorati le cadevano ondulati sulle spalle, arrivando a toccare le braccia piegate.

A pochi metri da lei vi era il letto dove, dalla scorsa notte, giaceva la giovane, simile ad una perfetta bambola addormentata. Le lenzuola, bianche come la neve, mettevano in risalto quelle intense ciocche color cioccolato, finalmente libere da tutto quel sangue e sparpagliate sopra il morbido cuscino.

Sempre con gli occhi puntati su quella sottile figura, Emma non riusciva a capire da dove fosse arrivata. Sembrava sbucata dal nulla; nessuno la conosceva, nessuno aveva il minimo ricordo legato a lei. Totalmente estranea a tutta Storybrooke. E poi c’erano quegli abiti, così poco moderni rispetto a quelli usati nella loro realtà e così simili a quelli che aveva visto nei suoi brevi viaggi nella Foresta Incantata. Ricoperta di tagli e ferite, la ragazza indossava un abbigliamento semplice: pantaloni  marroni e maglia di un tessuto quasi simile al cotone, decisamente grande per la sua costituzione sottile; l’abbigliamento perfetto per muoversi in tranquillità.

Possibile che quella ragazza provenisse dal suo mondo natale? se fosse stato realmente così, com’era arrivata a Storybrooke? Aveva utilizzato il portale usato da Elsa, Anna e Kristoff?! Se fosse stata quella la spiegazione, molti avrebbero iniziato a chiedere di fare ritorno a casa e chissà, forse anche i suoi genitori avrebbero iniziato ad ipotizzarlo. E lei? A quel punto cosa avrebbe dovuto fare?

-…ok…basta…- si disse, tra se e se.

Doveva assolutamente smettere di pensare e porsi domande a quella velocità; altrimenti, come minimo, le sarebbe salito un mal di testa senza precedenti, con il risultato che non avrebbe trovato nessuna risposta, ma solo un mucchio di preoccupazioni.

In maniera distratta, Emma cominciò ad accarezzarsi le braccia, come a voler scaricare un po’ la tensione.

Possibile che in quella città non si potesse vivere un solo momento di pace?

Lei e Killian non avevano fatto in tempo a confrontarsi sui loro rispettivi sentimenti che ecco sbucare dal nulla Elsa e la Regina delle Nevi; certo, la prima era finita con il diventare una delle sue amicizie più vere e sincere, ma non poteva di certo dire lo stesso di Ingrid.

E quanti giorni erano trascorsi dalla fine di tutto? Due giorni; due singoli giorni di tanta sperata tranquillità, così veloci che non c’era nemmeno stato il tempo di farci l’abitudine.

Ovviamente in queste semplici 48 ore non erano mancate le occhiate di Killian, che Regina avrebbe sicuramente finito col definire bramose; da quand’era successo non riusciva a togliersi dalla mente la sensazione che aveva provato nel tenere il cuore del pirata sul palmo della mano. La stupore nel provare simili sentimenti e l’imbarazzo di essere, alle volte, totalmente priva di delicatezza, le faceva tuttora provare una strana sensazione allo stomaco. Quella sera Killian non aveva sprecato un solo secondo prima di baciarla con tutta la passione che negli ultimi tempi sembrava essergli mancata.

Sentendsi arrossire nel ricordare certi momenti, Emma spostò l’attenzione su altri pensieri, come l’andamento delle ricerche con Regina e Henry su chi diavolo fosse l’autore del libro.

 “Si è svegliata?” la delicata voce di Biancaneve fece improvvisamente capolino nella stanza, interrompendo bruscamente i pensieri della giovane Swan che si staccò dallo stipite della finestra.

“Mary Margaret…” esclamò Emma, con voce stanca “pensavo fossi con Neal?”

“Oh c’è David…” le rispose convinta la donna dai capelli corti “…posso dire di essere decisamente migliorata in fatto di morbosità materna!”

Con il suo sorriso sincero, Biancaneve porse alla figlia un bicchiere di caffè fumante, avvicinandosi a lei.

“…ho cercato una cioccolata calda per tirarti su, ma ho paura abbiano finito le scorte!”

Emma accolse volentieri il contenitore, aprendo velocemente il coperchio in plastica.

“Grazie....”

“Sembra non volersi svegliare eh?!”

“Già…chissà cosa le è successo…” disse la bionda, sorseggiando il caffè annacquato della macchinetta ospedaliera.

“Io, David e i nani abbiamo ispezionato tutta la strada e i boschi vicini…ma niente. Le tracce di sangue cominciano all’improvviso, come se fosse caduta dal cielo”

“O da un portale…” disse Emma, sollevando leggermente lo sguardo, per posarlo sulla madre.

“Pensi che arrivi dalla Foresta Incantata?”

“Foresta Incantata, Isola che non c’è, Arendelle….sta di fatto che questa città attira gente come le mosche!” disse nervosa Emma, appoggiando il bicchiere di cartone sul tavolo.

La mano della Salvatrice stava per afferrare la fedele giacca di pelle rossa per andare a distrarsi da qualche altra parte, ma una voce ormai familiare la bloccò sul posto, obbligandola a volgere lo sguardo verso la porta.

“Dipende sempre da che genere di mosche…no?!”

Killian Jones fece il suo ingresso nella stanza, con il braccio sinistro leggermente piegato, come a voler mettere ancora maggiormente il risalto il suo amato uncino.

“Ritengo di essere stato un incontro eccellente!” aggiunse, accompagnando il tutto con uno dei suoi magnetici sorrisi.

Come succedeva dall’avventura sull’Isola che Non C’è, la presenza di Emma attirava l’uomo in maniera quasi naturale e questi non perse tempo ad avvicinarsi a lei, lanciandole uno dei suoi consueti sguardi provocatori.

Emma non riuscì ad evitare di sorridere all’uomo, illuminando i suoi bellissimi occhi verdi.

“Dovreste iniziare a lanciarvi meno sguardi languidi e uscire di più non credete?!” disse improvvisamente la donna dai capelli corti, continuando a bere con noncuranza il suo caffè, come se quella fosse la cosa più naturale da dire.

Emma rimase bocca aperta, presa decisamente in contropiede.

“D’accordissimo con tua madre!”

Dal canto suo, Uncino sembrava apprezzare sempre di più quel tipo di incoraggiamenti, soprattutto se provenivano dai suoi genitori; certo, suo padre non avrebbe mai esplicitato verbalmente la sua approvazione verso l’ex pirata, sempre se di ex si poteva parlare, ma stava di fatto che anche David aveva iniziato a vedere di buon occhio la loro relazione  e gli avvenimenti degli ultimi tempi ne erano la conferma. Killian sembrava tenere particolarmente al consenso dei due, atteggiamento probabilmente tipico di chi aveva tremila anni*, o giù di lì.

“Non penso sia il caso di parlarne ora…”

“Certo…c’è una crisi in atto…no?!” sdrammatizzò Killian, accompagnando la battuta sarcastica un sorriso cercando di non apparire ferito.

Il giovane uomo stava per aggiungere qualcosa quando improvvisamente il bicchiere contenente il caffè di Emma balzò in aria, sfiorendo di un millimetro il viso di Biancaneve per poi sbattere addosso al muro, un tempo bianco.

Tutti i presenti rimasero immobili per un secondò che sembrò durare un eternità. Un milione di spiegazioni cominciarono a rimbalzare da una mente all’altra, tutte plausibili quanto problematiche.

“Co…cos’è stato?!” la prima a parlare fu Emma, ferma nella sua posizione vicina a Killian.

“Perché…non sei stata tu?!...” le rispose il pirata, lanciandole uno sguardo preoccupato.

“No…non…non credo. Elsa e Regina mi hanno insegnato bene a controllare la magia…”

In maniera quasi meccanica, la Salvatrice sollevò entrambi le mani, come se in quel modo potesse notare qualche residuo di magia. Nervosa, Emma cominciò a scrollarle, allontanandosi di qualche passo dalla finestra. Possibile che fosse stata lei? Quando Killian aveva parlato di crisi aveva provato un senso di irritazione certo, ma non così grande da portarla a perdere il controllo.

“Forse ti sei un po’ imbarazzata per quello che ho detto…” esclamò Biancaneve, raccogliendo i pezzi del contenitore rottosi dal forte impatto con il muro.

“…o forse non sei stata tu…” suggerì Uncino, esprimendo a parole ciò che le due donne non avevano il coraggio di dire.

Nel contempo, Emma e Biancaneve fissarono il corpo inerme della giovane. Il petto si alzava e abbassava ad intervalli regoli e in maniera così lenta e lieve da apparire un respiro quasi stentato. Le mani, pallide come il volto, apparivano ancora graffiate e rovinate, così come le unghie, ancora incrostate del sangue. 

Un'altra…?

“ma…si può usare la magia…in coma?” chiese Biancaneve, cercando di celare la preoccupazione.

“Non ci rimane che chiederlo a chi ne sa qualcosa!” sentenziò seria la Salvatrice.

“Chi?!”

 

***

 

“Decisamente no!”

La voce perentoria e autoritaria di Regina echeggiò tra le pareti della cucina, lussuosa come il resto della casa, e così ordinata e pulita da sembrare quasi inutilizzata.

Come di consueto, la donna indossava uno splendido completo firmato a manica a trequarti, di un tenue grigio tortora, quasi dipinto sulla sua figura sinuosa. Il rossetto rosso metteva in risalto la dentatura perfetta, conferendole quell’autorità che l’aveva resa una sovrana tanto temuta.

“Avere la magia è una cosa decisamente vantaggiosa…ma per riuscire da usarla bisogna essere vivi e, soprattutto, svegli!” spiegò l’ex sindaco di Storybrooke, con le mani appoggiate sopra al bancone in marmo della penisola “sono rarissimi i casi di magia involontaria…e credimi Swan, una ragazzina non può essere così potente!”

“Vuol dire che non può essere più potente di te?!” la punzecchiò il Principe Azzurro, arrivato subito dopo aver ricevuto un messaggio dalla moglie..

“Vuole dire che non è possibile!” sentenziò la donna, punta sul vivo.

“Ma io ho usato spesso la magia senza rendermene conto”

“Sì…ma come ho già detto, eri sveglia!”

Nonostante sembrasse l’unica spiegazione plausibile, Emma non riusciva a capacitarsi di aver perso il controllo senza essersene resa minimamente conto. Se fosse stato davvero così, allora tutta la fatica che aveva fatto con Elsa e Regina era stata pressoché inutile.

“A chi ha iniziato ad usare da poco la magia può capitare di usarla senza rendersene conto…ma sta di fatto che non sappiamo chi sia questa ragazza….e non vorrei fosse l’ennesimo problema!”

“Dopo la Perfida Strega e la Regina delle Nevi chi manca all’appello?...Pocahontas?!” chiese Uncino, ricevendo un sorriso complice da parte di Henry.

Dopo quanto era successo con Tremotino e il cappello magico, i rapporti tra Killian e il ragazzo erano decisamente migliorati. Ovviamente l’accettare che la propria madre uscisse con chi, fin da piccolo, veniva identificato come il “cattivo” della storia non era decisamente facile, ma ciò che più interessava ad Henry era che la propria madre fosse felice e, incredibile ma vero, quell’uomo ci riusciva meglio di chiunque altro.

“Pocahontas non aveva la magia…” disse il ragazzino.

“Già…e Peter Pan era un santo!” gli rispose la Regina, alzando leggermente le sopraciglia.

 “Penso sia inutile preoccuparsi su chi sia o non sia” suggerì Mary Margaret “…la cosa importante è che la magia utilizzata sia stata la tua Emma. So che per te non è così positiva la cosa, ma penso fosse più grave sapere di avere altra magia sconosciuta in città…non credi?”

“Sono d’accordo…e ho paura che l’unica cosa da fare sia aspettare”

Il Principe cinse la vita della moglie, lanciando a quest’ultima il silenzioso messaggio che era ora di andare. L’arrivo di Neal aveva giustamente scombussolato le priorità della storica coppia e rimanere a casa di Regina a investigare su chi fosse o non fosse la nuova arrivata non rientrava tra quelle.

“Ha ragione…non ci resta che aspettare” esclamò Emma, sistemandosi addosso la giacca di pelle “ Grazie Regina. Tu che fai ragazzino…vieni?” chiese Emma

“No…rimango qui...l’Operazione Mangusta non può fermarsi alla prima distrazione!”

Per un momento il sorriso del figliò riuscì a far dimenticare alla donna dai capelli biondi tutti i problemi che, in continuazione, le si riversavano addosso.

Distrazione, magari avesse potuto anche lei vederla così.

“Ok..ci vediamo domani”.

In maniera quasi involontaria, Killian cinse la vita della donna che, da tempo oramai, occupava i suoi pensieri, riproponendo lo stesso gesto fatto poco prima da David.

Velocemente,  uscirono dalla casa, fermandosi a pochi passi dal maggiolone giallo della giovane Swan.

“Allora…” esclamò Killian una volta arrivati all’auto, attirando a se il corpo di Emma.

“Allora…” ripeté la donna, sorridendo a quell’approccio così seducente ma allo stesso tempo tanto cauto.

“Bè…potremmo  seguire il consiglio di tua madre…e uscire insieme!”

“Già…potremmo…” disse divertita la donna, cominciando ad accarezzare la nuca di Killian e immergendosi completamente in quello sguardo penetrante.

Senza sprecare altro tempo, Killian avvicinò il suo viso a quello di Emma, facendo aderire lentamente le sue labbra a quelle di lei. Il bacio iniziò in maniera dolce, quasi casta; ma come ormai  spesso accadeva negli ultimi tempi, la dolcezza fece subito spazio alla passione, calda e incontrollata come non mai.

Per entrambi, nel momento in cui si baciavano, tutto il mondo cessava di esistere. Il sole, il cinguettio degli uccelli, l’aria, tutto perdeva importanza; l’unica cosa che i sensi continuavano ad avvertire era la presenza e il contatto con l’altro. Le mani della giovane Swan non sembravano voler cessare di toccare la nuca e le spalle del bel pirata e quest’ultimo, dal canto suo, sembrava dipendere completamente dalla donna che aveva tra le braccia.

La prima ad interrompere il bacio fu Emma, anche se lo sguardo e il corpo sembravano voler fare tutt’altro.

“Devo andare …”

“tesoro…anche se resti in ospedale tutta la notte…non si sveglierà”

“come fai a sapere che voglio andare in ospedale…” gli chiese lei piacevolmente stupita.

Killian si limitò a sorriderle, continuando ad accarezzare le braccia toniche di Emma.

“Quando l’ho trovata sul ciglio della strada l’altra notte…era completamente sotto choc; è svenuta non appena mi ha visto…credo abbia bisogno di rimanere lontana da tutto per un po’. Non sarà la tua presenza a farla svegliare…” le disse “…ma perderai l’occasione di stare con me!”

“O potrei fare entrambe le cose…” propose Emma, giocando con la giacca di pelle nera di Uncino e continuando a guardarlo in maniera piuttosto maliziosa “…vado in ospedale per un po’…e poi potremmo mangiare qualcosa insieme…no?!”

“Già..potremmo…” rincalzò Killian, utilizzando le stesse parole utilizzate da lei poco prima.

Con galanteria il giovane Jones aprì la portiera del maggiolone, non staccando per un solo istante il suo sguardo azzurro dal volto di Emma.

“Passo a prenderti all’ospedale Swan…”

Detto ciò, Killian non aspettò nessuna risposta da parte di Emma e, sicuro di sé, si allontanò dalla macchina, diretto dalla parte opposta rispetto la casa di Regina.

Emma rimase immobile, in totale balia di quei sentimenti, sempre più forti e quasi ingestibili. Per quanto tempo rimase ferma in quella posizione, non avrebbe saputo dirlo.

Con uno scatto salì all’interno della sua fedele automobile e, distrattamente, lanciò uno sguardo allo specchietto retrovisore, in cerca di quella figura vestita di nero divenuta ormai così…vicina.

 

Chissà se il tempo passa alla stessa velocità quando si bacia qualcuno…di speciale.

 

 

 

 

Ciao a tutti!!!

Eccomi di nuovo qui, con il primo capitolo di questa fan fiction.

Bè…è stata dura. Non dura nel senso che non sapevo cosa scrivere…ma, come sempre, vicino a me c’era quest’ansia di apparire noiosa e ripetitiva.

Spero di non essere stata troppo prolissa….se sì fatemi sapere così la prossima volta cerco di migliorare. In questo capitolo non succede nulla di molto elettrizzante….ma è solo l’inizio.

Scusate se non sono stata fedelissima con la personalità dei personaggi, spero non siano troppo OOC.

Voglio ringraziare con tutto il cuore captainswan girl, Kerri e pandina per aver recensito; non avete idea quanto sia stata felice di sapere che vi è piaciuto quello che ho scritto…spero di aver mantenuto vivo l’interesse :)

E grazie infinite anche a tutti quelli che hanno letto. Grazie, grazie, grazieeeeee!!!!!!

Che altro dire…al prossimo capitolo.

Un abbraccio

Erin

*Per quanto riguarda la battuta che fa Emma sull’età di Killian…: ovviamente Hook non ha tremila anni…ma tra le scene della quarta serie che preferisco ci sono quelle in cui Emma lo prende in giro sulla sua età, non potevo perdere l’occasione :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Gli occhi di Emma faticavano ad aprirsi.
Le palpebre parevo appesantite da una forza estranea e anche i muscoli, tesi e dolenti, non volevano rispondere alla sua volontà. Aveva la netta sensazione di sperimentare i postumi di una anestesia, le cui dosi dovevano essere sfuggite a chi gliel’aveva somministrata.
Occhi pesanti. Labbra secche. Odore di bruciato.
Odore di bruciato?!
A fatica la Salvatrice cercò di sollevarsi sui gomiti, poggiati su un pavimento solido ed eccessivamente ruvido, del tutto diverso dalle piastrelle lucide e asettiche dell’ospedale. Non riusciva a spiegarsene il motivo, ma qualcosa le diceva che non si trovava affatto a Storybrooke.
Lentamente, Emma cominciò ad aprire gli occhi, protetti dalle sue folte ciglia scure; la vista continuava ad essere appannata e pure gli altri sensi continuavano ad essere rallentati. Tutto sembrava coperto da un sottile velo di seta, a tratti trasparente, a tratti opaco come un vetro appannato dalla pioggia.
Possibile che l’avessero drogata?
Non ricordava nulla; quando e, soprattutto, in che modo era arrivata in quel posto?
Cercando di mantenere in tutti i modi i nervi saldi, a fatica la giovane dai capelli biondi cercò di tornare indietro con la memoria, ricostruendo ciò che aveva fatto nelle ultime ore. Era andata da Regina e poi? Ah sì…aveva salutato Killian. Era passata a casa a cambiarsi, optando per un maglioncino bianco e degli attillati jeans scuri, perfetti con i suoi adorati stivali neri; per più di un’ora era rimasta a fissare un suo vestito rosso, vecchio di qualche anno, a chiedersi se avrebbe mai avuto l’occasione di indossarlo con Killian, o per Killian, dettagli trascurabili.
Dopodiché era andata dritta all’ospedale, aveva chiesto qualche informazione al Dott. Frankenstein riguardo la ragazza e questi le aveva detto che c’era stato un po’ di movimento nell’ultima ora e che la profonda ferita alla gamba sembrava essere stata provocata da artigli “animali”; ciò era bastato a convincerla a dare un’ultima occhiata prima di dedicarsi interamente al suo appuntamento di quella sera.
Si era seduta sulla sedia accanto al letto a guardare la giovane in coma….E poi? Si era addormentata???
Con uno sforzo non indifferente, Emma si mise a sedere, appoggiando la schiena ad una parete alle sue spalle. Indossava gli stessi vestiti che aveva scelto quel pomeriggio; ma chissà se quella poteva rappresentare una prova che non fosse tutto un sogno.
A fatica, la vista cominciò a farsi più limpida e con essa anche il controllo muscolare sembrava rispondere ai suoi comandi. A pochi centimetri da lei vi era un vecchio comodino in legno di mogano, sopra cui era posata una lampada ad olio e delle cornici annerite dal fumo, da cui era quasi impossibile scorgere una immagine chiara. Tutto sembrava estremamente povero, come se appartenesse a qualcuno pronto ad andarsene in ogni momento; le pareti, l’arredamento, ogni cosa appariva semplice e poco curato.
Con un’ulteriore impegno, la giovane Swan si mise in piedi, aiutandosi con la presenza del vecchio mobile. Nonostante il bruciore, Emma aprì completamente gli occhi e con un gesto automatico si spostò i capelli dorati dal volto, i quali avevano assorbito tutto il calore della stanza, appiattendosi sulla pelle rosea della donna.
- ...dove mi trovo..?!- si chiese tra se e se, guardandosi intorno.
Non aveva mai visto quel posto. Era un ricordo? O forse un illusione? Possibile che quella ragazza fosse riuscita in qualche modo a portarla in un posto simile, forse intero frutto della sua mente?
 “…c’è qualcuno?!” cercando di mascherare la preoccupazione, Emma cominciò ad avanzare lungo quella stanza così calda.
Era una casa, senza il minimo dubbio, una vecchia abitazione forse; o meglio, un’abitazione quasi…medioevale, simile a quella casa di campagna rappresentata sul libro delle favole, dove un tempo viveva suo padre. Tutti i mobili erano in legno, niente corrente elettrica o elettrodomestici di alcun tipo. Storybrooke a questo punto poteva tranquillamente essere scartata.
A sud vi erano della scale, di un olmo neutro, quasi simile alla nocciola, le quali probabilmente portavano alla camera da letto; a nord un vecchio tavolo massiccio e, a pochi metri da esso un camino, probabilmente spento poche ore prima visto il calore che ancora emetteva. Le finestre apparivano coperte da dei tendaggi un tempo bianchi, ma ora ingialliti dal tempo. O dal fuoco.
Già ma dov’era il fuoco? Perché sembrava di essere dentro ad un forno?
Il caldo era così intenso da aver fatto aderire completamente i jeans alla gamba, rendendoli quasi una seconda pelle. Mancava l’aria. Doveva assolutamente aprire una porta, o qualsiasi altra via d’uscita.
A fatica, Emma cercò di accostarsi alla finestra più vicina. Toccò la maniglia con estrema lentezza, aspettandosi per un istante di scottarsi le dita, cosa che però non accadde.
Nell’esatto istante in cui le braccia toniche stavano per flettersi qualcosa le congelò all’istante.
“Non dovresti essere qui”
L’improvvisa voce alle sue spalle fece letteralmente saltare sul posto la Salvatrice che, dallo spavento, appiattì la schiena alla parete adiacente. Il cuore cominciò a pulsare ad un ritmo irregolare, così come il respiro, reso affannoso dalla minuta figura a poca distanza dalla Salvatrice.
Una bambina.
“Oh…mi….mi hai spaventata…”
La piccola, di sì e no sei anni, non disse nulla, limitandosi ad osservare la giovane Swan ad un paio di metri di distanza.
I capelli, intrecciati in una delicata treccia infantile, erano lunghi poco più delle spalle e di un intenso color cioccolato, simile a quello delle querce dei boschi. Gli occhi, lucidi e di un inconfondibile verde smeraldo, apparivano dolci e innocenti, da togliere il fiato. La piccola indossava un semplice abito blu, lungo fino alle caviglie, e i piedini, scalzi, apparivano sporchi e poco curati. Nello stesso istante in cui Emma posò lo sguardo sulla fanciulla davanti a lei, una strana sensazione di familiarità si impossessò del suo cuore, rendendole quasi impossibile la formazione di qualsiasi pensiero.
La conosceva, ne era certa.
“….come ti chiami?” cercò come primo approccio la giovane Swan, tentando di accompagnare la frase con un tono abbastanza conciliante.
“Non dovresti essere qui…” si limitò a ripetere la piccola, incrociando le braccia al petto e cercando di apparire seria e imbronciata, nonostante il volto tanto dolce.
“Qui dove?”
Emma fece un passo verso la bambina, sperando che questa non si spaventasse, lasciandola da sola in un posto simile. La bambina però non fece alcun movimento; al contrario, abbassò le braccia e con una mano cominciò a toccarsi la delicata treccia castana, apparendo ancora meno corrucciata.
“tu lo sai…dove siamo?” ripetè Emma, lanciando alla piccola un leggero sorriso di amicizia.
Quella bambina non rappresentava una minaccia, glielo diceva ogni fibra del suo essere.
La piccola senza nome alzò lentamente lo sguardo, posandolo nuovamente sulla figura slanciata davanti a lei.
“…a casa!” esclamò con marcata ovvietà.
“Oh…questa è casa tua!” disse la giovane Swan, guardandosi velocemente in giro, come a cercare una conferma da quanto aveva appena detto la bambina “…vivi da sola?!”
“no…”
“oh…e…tua mamma è qui?”
Per un secondo la bambina stette in silenzio; gli intensi occhi verdi divennero due fessure sospettose, screziati da una fugace tristezza.
“è tutta colpa tua…non dovevi andare..”
“m…mia! Non dovevo andare dove?!” chiese confusa Emma, inginocchiandosi a pochi metri dalla piccola
Senza dire nulla, la bambina fece un passo indietro, indicando con una mano la finestra che, poco prima, Emma aveva tentato di aprire.
La bionda si mise in piedi e con passo svelto si avvicinò all’infisse. Con gesto attento spostò la tenda bianca che copriva la visuale e per un istante preferì non averlo fatto.
L’inferno.
Da quel momento in avanti, se mai qualcuno le avesse chiesto di descrivere un’ipotetica ambientazione degli inferi avrebbe pensato a ciò che stava vedendo.
Notte; una notte tanto nera che neppure le stelle riuscivano a rischiarare quello spettacolo spaventoso. Tutto veniva divorato dalle fiamme; mostruosi esseri alati dalla pelle nera e squamata distruggevano e divoravano qualsiasi cosa intralciasse il loro cammino, sputando intense lingue di fuoco da bocche così grandi da apparire innaturali.
Fuoco, morte, distruzione ovunque.
E in mezzo a tutto quell’orrore sorgeva una figura di donna, coperta da un mantello lucido; risultava impossibile scorgerne il volto, ma il freddo sorriso dipinto in volto brillava come le fiamme che l’attorniavano. La Salvatrice continuò a fissarla, finché quella donna scomparve, inghiottita dalla notte.
Spaventata da quella vista, Emma indietreggiò di un passo cercando, in maniera quasi meccanica, qualcosa di vagamente familiare in quello spettacolo terrificante; perché per quanto detestasse ammetterlo, lei conosceva quel posto, conosceva quel luogo così…”incantato”. Purtroppo, non ci volle molto prima che i suoi occhi scorgessero delle macerie, a pochi chilometri da dove si trovava, macerie di un castello troppo simile alle raffigurazioni presenti nel libro di Henry per passare inosservato.
“Non può essere…”
Impossibilitata a completare la frase, Emma si voltò in direzione della bambina, pronta ad ottenere tutte le risposte di cui aveva bisogno.
Doveva sapere, doveva capire dov’era, chi era quella bambina e, soprattutto, com’era arrivata in quel posto.
Chi si trovò davanti, però, le smorzò il fiato, conferendole una soffocante sensazione di impotenza; lo stomaco sembrò stringersi in una morsa indescrivibile e la testa cominciò a girare, sovrastata dalle vertigini.
Era. Lei.
In carne ed ossa. La sua copia perfetta, come davanti ad uno specchio. E anche il tono avrebbe scoperto, essere lo stesso.
“Non dovresti essere qui”
E con un gesto della mano la sua copia la fece volare dall’altra parte della stanza, rendendo tutto improvvisamente buio, come l’inferno che aveva appena intravisto.
 
“Swan…Swan!”
Killian continuava a chiamare la donna che, da tempo, aveva preso pieno possesso del suo cuore, non solo metaforicamente parlando.
Nell’esatto momento in cui aveva fatto il suo ingresso nella stanza d’ospedale, il pirata aveva visto Emma volare dall’altra parte della stanza, per poi sbattere con violenza addosso alla parete sporca del caffè di quella mattina. Senza chiedersi chi o che cosa avesse causato un simile gesto, Killian corse da lei, incapace di fare qualsiasi cosa prima di essersi assicurato che stesse bene.
“Emma…mi senti?!”
Sempre più preoccupato, l’uomo dai profondi occhi azzurri, fece appoggiare la testa di Emma sopra le sue ginocchia e, con delicatezza, cominciò ad accarezzarle il volto roseo, come se quel gesto potesse in qualche modo farla rinvenire.
Infuriato come non mai, il pirata posò lo sguardo sul letto dove giaceva la giovanissima ragazza in coma. Era stata lei a fare del male ad Emma, ne era estremamente convinto. Non aveva creduto neppure per un istante che si trattasse della magia fuori controllo della sua Emma, neppure quando quest’ultima aveva cominciato a nutrire qualche insicurezza.
Un momento?!....aveva davvero pensato la “sua” Emma?! Se lei lo avesse sentito gli avrebbe sicuramente lanciato uno dei suoi sguardi scettici e duri, marcando come sempre una certa distanza tra loro.
Al diavolo….come poteva avvicinarsi a lei se ogni due giorni accadeva qualcosa pronto ad allontanarsi?!
 “K…Killlian…”
La voce affaticata di Emma riportò il giovane Jones nel mondo reale, completamente assorbito dalla donna appoggiata al su petto.
“Emma….no no, non alzarti!” esclamò Uncino, bloccando sul nascere il tentativo di Emma di mettersi subito a sedere “hai battuto la testa?!”
“d…dove sono?!…” Emma cominciò a guardarsi in torno, in modo confuso, cominciando ad agitarsi tra le braccia forti del pirata.
“Tesoro ferma. Sei…al sicuro. Siamo in ospedale!”
Ignorando completamente le parole di Uncino, con uno scatto Emma si mise a sedere, pentendosi all’istante di aver compiuto un simile gesto. Un profondo senso di nausea fece capolinea nello stomaco della Salvatrice, conferendole la stessa sensazione che avrebbe sperimentato dopo dieci giri sull’ottovolante.
In maniera quasi involontaria, Emma si appoggiò al petto dell’uomo alle sue spalle, portandosi una mano alla fronte, come se così facendo potesse fermare il continuo giramento di quella stanza d’ospedale.
“Ehi…mi vuoi dire che…”
La domanda del pirata venne bruscamente interrotta dall’arrivo del dottor Whale, il quale fece il suo ingresso nella stanza, accompagnato da una giovane infermiera, probabilmente attirata dalla voce allarmata del pirata.
“Emma…come ti senti?!” chiese l’uomo dai corti capelli biondi.
Senza aspettare una reale risposta da parte della donna, il medico, o scienziato, o genio, o in qualsiasi altro modo lo si volesse identificare, cominciò a visitare Emma, illuminando ad intervalli regolari le profonde iridi verdi che aveva davanti a se.
“Mi gira la testa…” si limitò a spiegare Swan, sperando di potersela svignare alla svelta da quella improvvisa e indesiderata visita a domicilio; anche se parlare di domicilio in una stanza d’ospedale suonava decisamente ridicolo.
“mmm…”
Il dottor Frankenstein continuò il suo attento controllo, chiedendo alla Salvatrice di seguire con lo sguardo il movimento della piccola penna che aveva usato poco prima per illuminare gli occhi della donna. Emma fece ogni cosa senza discutere, lanciando di tanto in tanto uno sguardo a Killian che, al contrario di lei, non sembrava avere la stessa fretta di uscire da quella situazione.
“Ma quello è sangue!” constatò improvvisamente il pirata, alzando di tre ottave il tono della voce; persino la ragazza addormentata sul letto a poca distanza da loro sembrava aver udito quella voce preoccupata, facendo emettere ai macchinari a cui era collegata dei suoni alquanto inusuali.
“Sì…è sangue!” confermò con tono seccato il dottore, il quale lanciò uno sguardo poco comprensivo nei confronti di Killianm “…ma non è nulla di grave Emma. Hai battuto la testa? Sei scivolata?!”
“Sì….devo aver perso i sensi!” mentì Emma, mettendosi lentamente in piedi, aiutata dalla braccia forti del giovane Jones.
“Forse non è il caso di mettersi a camminare Swan!”
“Sto bene…davvero. Mi sento già meglio!”
“Disse la donna svenuta a terra!” la provocò Uncino, ricevendo da lei un’occhiata alquanto glaciale.
“…certo non è nulla di grave, ma Emma….non è il caso di sminuire la cosa!” le spiegò il dottor Whale, alzandosi in piedi a sua volta e scrivendo un breve appunto su un notes con il timbro dell’ospedale “ È  importante che nelle prossime ventiquattro ore tu rimanga a casa...possibilmente non da sola. Se dovessi avvertire capogiri, eccessiva sonnolenza o nausea…chiamami ok?”
“Ok…”
Avrebbe scommesso la casa che non aveva ancora acquistato che il –possibilmente non da sola – era il principale concetto che Killian aveva colto.
Detto ciò, il dottore dai capelli chiari, con un gesto secco, strappò il foglio e lo consegnò a Emma, accompagnando il tutto con una rassicurante pacca sulle spalle.
Chi l’avrebbe mai detto che quel tipo era stato un flirt di sua madre.
L’unica cosa certa, però, era che quello non era il miglior ricordo da rivangare in un momento come quello.
Senza aspettare una qualche approvazione da parte di Emma, Killian si tolse la giacca di pelle e la mise sulle spalle di Emma, che non riuscì a trattenere uno sguardo stupito di fronte ad un gesto tanto galante. Alle volte dimenticava la reale età e realtà da cui proveniva il pirata.
Con sorriso affascinante, e con la sua unica mano, Killian circondò la vita della giovane Swan, indirizzandola verso l’uscita dalla stanza.
 “Aspetta…” si bloccò Emma, spostando l’attenzione sulla ragazza dai capelli scuri “…sono sicura che…sia successo qualcosa!”
“Lo so…e non appena ti avrò riportata a casa ascolterò tutte le tue teorie possibili e immaginabili!”
“Non possiamo andarcene così Killian…” si oppose Emma, con sguardo contrariato.
“Non credo la ragazza possa andarsene da qualche parte…Emma…” le rispose il giovane Jones, sottolineando il nome della Salvatrice. “Ma conoscendoti non dormiresti tranquilla sapendo che nessuno controlla la nostra amica a vista. Per questo motivo…poco fa ho contattato con quel tuo aggeggio il nano dal tempismo invidiabile” aggiunse, rievocando gli infiniti episodi in cui Leroy aveva interrotto uno dei rari momenti d’intimità tra i due eroi “…e arriverà a momenti. Perciò…vogliamo andare tesoro?”
Il pirata sottolineò la domanda con un gesto della testa e del suo fedele uncino, senza però ricevere alcuna approvazione da parte della bionda.
“Swan…per una volta…puoi fare quello che ti dico?!” esclamò con voce sfiancata.
“Non mi sembra che tu abbia mai fatto quello che ti ho detto!” incalzò la Salvatrice, rievocando per un momento il giorno in cui gli aveva chiesto di portare Elsa alla centrale di polizia.
“Non te l’ha ma detto nessuno Swan che in una relazione non si rinfacciano le cose passate?!”
“Mmmm…non sapevo avessimo una relazione!” lo provocò Emma, soddisfatta di trovarsi per una volta dalla parte di chi lancia sorrisi affascinanti quanto pungenti.
“Giusto…” concordò Killian, alzando gli occhi al cielo e avvicinando a se la splendida donna a pochi passi da lui “…e preferirei discutere della cosa da un’altra parte!”
Con il volto a pochi centimetri da quello dell’affascinante pirata, Emma non riuscì a contenere un naturale sorriso.
Non riusciva a spiegarsene il motivo, ma quell’uomo riusciva sempre ad entrarle nella mente, nel cuore…nella pelle. Quando si avvicinava, o la guardava da lontano, aveva come la sensazione che non solo il suo cuore, ma anche il corpo, reagissero come una calamita; doveva toccarlo, doveva in qualche modo entrare in contatto con la sua anima.
L’anima, le loro anime; chissà perché pensare a quest’ultime le dava la sensazione di essere a pochi passi da qualcosa di grande e indescrivibile.
“…allora tesoro?!”
“Non hai sentito cos’ha detto il dottor Whale?!Non posso andarmene in giro....devo rimanere a casa!”
“Oh lo so Swan…e sarà un piacere sorvegliarti!”
 
***
 
Una voce forte, preoccupata, rese improvvisamente tutto più nitido. L’aria sembrava essere improvvisamente più consistente e uno strano odore di pulito entrò ruvido nelle vie aeree.
La voce era ritornata. La stessa voce calda, rassicurante, quella che aveva sentito poco dopo il suo ritorno a Storybrooke. La voce che arriva al cuore.
Ma non era l’unica voce presente, qualcun altro parlava, interrompendo la Voce Calda; una voce tanto familiare da risultare inconfondibile, la voce che tutti riconoscono fra mille, la “sua”.
Un lieve formicolio alle dite fu il primo segnale che la mise in contatto con il suo corpo; lentamente e a fatica cercò di muoverle, ma nulla le fece capire se c’era riuscita o meno. Stava davvero muovendo l’indice della mano destra? O era tutto frutto della sua mente annebbiata?
Poco dopo il formicolio fece capolinea l’amaro dolore alla gamba, il costante promemoria delle sue ultime ore di vita cosciente. L’udito, il formicolio, il dolore; forse avrebbero potuto considerarli i primi tre avvisi prima del risveglio.
 “…Swan…”
Rieccola, la voce calda. Stava parlando e si rivolgeva a Lei; la chiama “Swan” e quel nome fece scattare qualcosa che da tempo evitava come la peste. Fece scattare un ricordo.
Perché per quanto cercasse di ignorarlo, quel nome e quella voce popolavano i suoi ricordi da sempre. Ma lei non doveva ricordare, perché ciò avrebbe unicamente portato rimpianti e dolore, sentimenti nocivi, soprattutto in momento come quello, dove il coma e la morte apparivano come qualcosa di profondamente auspicabile.
Ma quelle voci continuavano a parlare e ad entrarle nel cuore. Le voci, però, pian piano cominciarono ad allontanarsi, accompagnate sicuramente da dei sorrisi rubati e impressi nella mente di chi li riceveva.
Codardi e traditori, gli occhi si fecero umidi e qualcosa simile ad una goccia cominciò a rigarle il volto, fino ad annientarsi nella morbidezza del cuscino..
Perché quello, ne è sicura, rappresentava il quarto avviso.
L’udito. Il formicolio alle dita. Il dolore alla gamba. Le lacrime.
Ed infine…il risveglio.
 
***
 
“Bè…potevi dirlo subito che…”
“Attento a te…Uncino!!!”
Una volta aperta la serratura con quelle pesanti chiavi d’altri tempi, Killian non finì la frase, bloccato da quegli occhi dolci ed espressivi, quanto duri e sicuri di sé.
Quella donna era perfetta, la metà perfetta di quel suo dannato cuore intaccato dall’oscurità. Ne era certo, non avrebbe mai e poi mai amato nessun’altra donna come amava Emma Swan, piuttosto avrebbe preferito morire, una volta per tutte. E sapere che lei si stava lasciando andare, anche se a piccoli passi, riusciva ad infondergli un tale senso di gioia da apparire quasi irreale.
Dal canto suo, Emma ignorò volutamente l’ennesima frecciatina da parte del bel Jones, entrando nella camera che la Vedova Lucas aveva affittato al pirata. Non riusciva a spiegarsene il motivo, ma in un momento come quello il primo pensiero che le saliva alla testa era sapere se e in che modo Killian pagava la nonna di Cappuccetto Rosso; quanti rubli aveva ancora in tasca? Perché pagava ancora con quelli no? Forse doveva chiedergli se aveva bisogno di un lavoro, per guadagnare qualcosa. Anche se immaginare Capitan Uncino intento a lavorare era una cosa decisamente inverosimile, anche per Storybrooke. Fare il pirata poteva considerarsi un lavoro? Come si guadagnava da vivere nella Foresta Incantata quando non era sulla Jolly Roger?! Sempre se ci fosse realmente stato un momento in cui era stato fuori dalla Jolly Roger. Non poteva essere sempre stato un “Capitano” no?! Il Killian di quasi 360 anni fa….chi era?
Avrebbe dovuto chiederglielo, prima o poi.
“Prego…” disse Killian, chiudendosi la porta alle spalle.
La voce profonda dell’uomo, fece quasi trasalire Emma.
Nel momento in cui erano usciti dall’ospedale avevano avuto una mezza lite sul come raggiungere la casa di Mary Margaret, se a piedi o con il maggiolino; ovviamente Emma aveva insistito per prendere il suo fedele mezzo giallo, ma il pirata non era della stessa idea, rinforzato dal vistoso cerotto che un’infermiera le aveva messo subito dopo l’uscita di scena del dottor Whale. La preoccupazione in quegli occhi azzurri come il mare, però, aveva finito con l’avere la meglio sul cuore sempre più disarmato della bionda che, con un sospiro, finì col mettere le chiavi in tasca.
Non seppe quando accadde con precisione, ma dopo alcuni metri, la giovane Swan trovò la sua mano intrecciata con quella di Killian e non seppe mentire nemmeno a se stessa: la sensazione era bellissima. Riusciva sempre a farla sentire a suo agio, nonostante lei non brillasse di certo per dolcezza….o almeno così credeva la maggior parte della gente. A lei invece piaceva essere guardata nel modo in cui lui la guardava; le piaceva sentirsi protetta e al sicuro quando lui le stava vicino; le piaceva poter contare su di lui, avendo la possibilità di essere debole quando ne aveva voglia. Le piaceva stare con lui, ogni giorno sempre di più.
Con quell’idea sempre più presente nel suo cuore, durante il tragitto a piedi, Emma gli raccontò quanto le era accaduto in quella sorta di sogno, anche se di sogno tanto non poteva trattarsi visto il doloroso epilogo. Gli raccontò ogni cosa: la bambina, le creature, la donna incappucciata; persino l’improvvisa visione di se stessa con intenti tutt’altro che pacifici. E lui l’aveva ascoltata, sempre senza lasciare la sua mano.
Non seppe dire con certezza se fosse stato il modo in cui lui la supportava, o la stretta alla mano, ma una volta davanti all’albergo di Granny si ritrovò a dire semplicemente –potremmo andare da te...-
L’espressione di Killian fu impareggiabile, ma forse anche la sua non fu così sicura di se; cercò di giustificarsi dicendo che voleva evitare un’inutile interrogatorio da parte dei miei genitori, ma il sorriso del giovane Jones non se ne andò più via dal suo viso, neppure in quel momento.
Ma ora che si trovava lì, l’idea di aver scelto la sua camera d’albergo come porto sicuro, lontana dalle mille domande e preoccupazioni di Biancaneve e il Principe, non sembrava più così intelligente. Ogni volta che Killian posava i suoi occhi su di lei sembrava pronto a divorarla in ogni istante. Altro che sguardi bramosi.
 “E così vivi qui…” esclamò Emma, appoggiando sopra al letto il giubbotto di pelle nera che poco prima Killian le aveva galantemente posato sulle spalle.
La giovane Swan non riuscì a fare a meno di guardarsi intorno, alla ricerca di qualcosa che rendesse personale quella stanza comune.
Tutto appariva molto…ordinato. Il letto era fatto, nessuna carta in giro. Solo un cannocchiale, una fiaschetta di rum e una bussola sopra alla scrivania; il familiare cappotto lungo di pelle ripiegato sopra alla sedia. Non credeva che Killian fosse un tipo ordinato, ma dopotutto una camera d’albergo non poteva rappresentare un metro di giudizio.
“Pensavo non te ne separassi mai…” osservò Emma, sfiorando con le dita la vecchia fiaschetta segnata dal tempo, sorridendo all’uomo.
“Come hai detto tu al nostro primo appuntamento….stasera volevo essere lucido!”
“Lucido per c…”
Essere lucido, già…per l’appuntamento.
Le parole le morirono in gola; aveva rovinato tutto, travolta per l’ennesima volta dai continui eventi di quella città. Perché la sua vita non la smetteva di essere una calamità naturale per ogni genere di problema?
“Ehi tesoro…” notando l’improvviso cambio di umore della giovane Swan, Killian si avvicinò alla scrivania, accarezzandole nuovamente il volto come aveva fatto poco prima in ospedale “..cosa ti succede?”
“Non lo so…” rispose stanca Emma, abbassando lievemente il volto, senza però allontanare quelle dita così dolci da far male “…non riesco a capire cosa sia successo…un minuto prima ero qui a Storybrooke…e un minuto dopo…ero...non so nemmeno io dov’ero!”
“Di sicuro non qui…”
“No…” confermò la bionda, spostandosi di qualche passo per poi sedersi sul letto a pochi metri dalla scrivania “..o almeno non credo. Era come se fossi nella Foresta Incantata…ma allo stesso tempo non lo era; tutto era così…diverso”
“Diverso come?”
“…ho visto il castello dei miei genitori…completamente distrutto!” rispose Emma, con voce improvvisamente incrinata.
Le sensazioni che aveva provato continuavano a rimbalzarle da una parte all’altra del cuore; la paura, la morte….tutta la magia di quel posto sembrava essere stata spazzata via in un colpo.
Lentamente, Killian andò a sedersi accanto alla donna dai fluenti capelli biondi, spostando distrattamente il giubbotto nero che lo separava da lei.
“E c’era questa..bambina….aveva un viso così familiare…”
“Poteva trattarsi della nostra -amica-?!” chiese l’uomo riferendosi alla ragazza in ospedale.
“Non ne ho idea. Forse sto davvero perdendo di nuovo il controllo della mia magia...”
Preoccupata, Emma lanciò uno sguardo preoccupato in direzioni delle sue mani. Killian, senza attendere un solo istante, intrecciò nuovamente la sua mano con la sua, obbligandola ad interrompere il contatto con le sue dita pallide.
“Smettila di dubitare di te stessa tesoro. Riesci a controllare benissimo il tuo potere…E una cosa che sai fare meglio di chiunque altro è scoprire quando qualcuno sta mentendo...l’ho imparato a mie spese durante il nostro primo incontro!” disse sorridendo, alzando il sopracciglio destro come solo lui sapeva fare.
Anche Emma non riuscì a fare a meno di rispondere a quello splendido sorriso, con il naso a così pochi millimetri di distanza da quella barba incolta e da quelle labbra morbide. Da quando aveva iniziato a fantasticare su di loro?...forse dallo stesso momento in cui aveva cominciato a pensare a un sacco di altre cose che lo riguardavano.
“Quindi non ci resta che aspettare che l’addormentata si svegli!”
“E nel frattempo?!” chiese Emma, sorridendo maliziosa.
“Avrei qualche idea…”
Senza darle altri motivi su cui riflettere, Killian Jones piegò leggermente la testa, posando le labbra su quelle della giovane Swan, appoggiando una mano sulla sua mandibola; la pelle era così morbida e la sensazione che ne derivava così emozionante da rendere quale momento quasi irreale.
La stava baciando…e lei…aveva chiuso gli occhi. Era tutto troppo bello, troppo perfetto per essere vero.
Già…e ovviamente un momento come quello non poteva che essere interrotto dall’improvviso e brusco bussare alla porta.
Un suono così irritante da poter appartenere ad un'unica persona.
“Giuro sulla mia nave che se si tratta ancora di quel maledetto nano io…”
Killian si alzò brusco dal letto, seguito a ruota da Emma, il cui volto appariva ancora scosso per quanto successo pochi istanti prima; con un gesto secco e duro aprì la porta, pronto a prendere per il collo quel maledetto nano da strapazzo.
Ma non fu il volto di Brontolo quello che si trovò a pochi centimetri di distanza.
“Oh…che sorpresa…”
“Uncino!”
“Papà…” rispose Emma, il cui viso esprimeva tutto lo stupore di quel momento “che ci fai qui!”
“Credimi…potrei chiederti la stessa cosa!” rispose secco il Principe Azzurro, lanciando uno sguardo glaciale in direzione di Uncino “…ma purtroppo abbiamo un altro problema…”
“come sempre…” esclamò Uncino raggiante, guadagnandosi l’ennesima occhiataccia da parte del genitore.
“Cos’è successo?!” chiese Emma, aprendo del tutto la porta della stanza.
“La ragazza in coma….non è più in coma...”
“Oh…bene. E quale sarebbe il problema?!”
Emma ebbe quasi paura a porre quella domanda al padre; e la risposta che ottenne ne fu la prova.
“…è scomparsa!”
 
 
 
 
 
Ciao a tuttiiiiiiiiii!!!!
Ebbene sì…rieccomi qui. Mi scuso davvero tanto per lo spaventoso ritardo con cui ho aggiornato la storia, ma purtroppo il mio PC mi aveva abbandonato…per fortuna avevo salvato tutto in chiavetta!!! Sapere di avere il capitolo pronto e non poterlo pubblicare mi dava sui nervi :P
Cmq…alla fine sono riuscita ad aggiornare. Per farmi perdonare ho attaccato un pezzo di quello che avrebbe dovuto essere il terzo capitolo; almeno avete qualcosa in più da leggere,
Spero di aver trascritto bene tutte le scene che avevo in testa…tipo la parte iniziale dove si trovava Emma e il pezzo in cui parlo del risveglio della ragazza….Se ho fatto troppa confusione scusatemi!!!!!
Bè che altro dire….grazie di cuore per aver commentato e per continuare a leggere questa ff; leggere i vostri pensieri e opinioni mi dà la carica per scrivere e trovare la giusta ispirazione per andare avanti. Quindi grazie per trovare sempre del tempo…DAVVERO GRAZIE!!!!!
Ah…scusate per i possibili ORRORI di ortografia, ho cercato di beccarli tutti ma penso sia un’impresa impossibile (sono convinta che una volta pubblicato il capitolo ne troverò tre già tra le prime tre righe :P )
Ok dai non vi assillo più :)
Un fortissimo abbraccio. A presto.
Erin

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


“Non riesco a crederci…”
“A che cosa?!”
“Siamo a Storybrooke…e attualmente la lista dei pazienti in coma vanta una stima dei scomparsi del cento per cento. Qualcuno dovrebbe fare qualcosa!!!” disse la donna con tono stizzito.
“Bè Regina…sei di nuovo il sindaco di Storybrooke no?!” puntualizzò Emma leggermente divertita, facendo attenzione a non inciampare su una grossa radice fuoriuscita dal terreno, nascosta dalla penombra del tramonto.
“Già…e se non sbaglio tu sei ancora lo sceriffo, Emma!”
Da più di un’ora erano iniziate le ricerche della ragazza, scomparsa improvvisamente dall’ospedale senza lasciare la minima traccia. Secondo quanto detto dalle infermiere, la paziente era svanita nel nulla, dissolta, dileguata e altri infiniti aggettivi usati dal personale ospedaliero; cosa che, ovviamente, aveva mandato su tutte le furie Regina, già tesa per la delicata faccenda dell’Autore del libro.
Una ragazza, ferita e semi incosciente, com’era riuscita a lasciare un ospedale senza dare nell’occhio? Era stata aiutata? Rapita? aveva, come sospettavano in molti, un potenziale magico? O forse si trovava ancora all’interno dell’ospedale?
Fortunatamente, a scartare quest’ultima opzione ci stavano pensando Pisolo, Eolo e Dotto, i quali diedero il via ad una logica divisione in gruppi, cosicché Biancaneve e il Principe, Ruby e la vedova Lucas, Leroy e gli altri nani si divisero la città, sperando di ritrovare la ragazza prima che scendesse la notte e con essa la temperatura.
Nonostante l’opposizione e il dispiacere del pirata, quest’ultimo venne esonerato dalle ricerche, in quanto già occupato con Belle a trovare un modo di liberare le fate e il vecchio dal maledetto cappello in cui erano stati imprigionati. Sebbene cercasse di non farne parola con Emma, il denigrante senso di colpa per quanto fatto sotto il controllo del Signor Gold continuava ad adombrare l’animo di Killian e l’unica cosa che sembrava riuscire a farlo sentire meglio era partecipare alle ricerche insieme alla moglie dell’uomo che tanto lo aveva tormentato. Se ripensava a tutte le volte che aveva tentato di uccidere Belle, trovarsi ora a collaborare insieme a lei per salvare qualcuno lo faceva sentire davvero…un eroe.
Lui. Un Eroe.
Erano state queste le ultime parole scambiate con Liam, il suo caro fratello, prima di vederlo morire davanti ai suoi occhi. Quel giorno, di ritorno dall’Isola Che Non C’è sarebbero potuti diventare loro due degli eroi; gli eroi che avrebbero salvato il regno da quel Re disonesto e senza scrupoli.
E invece…
Così, mentre Killian E Belle si diressero verso la biblioteca, gli altri iniziarono le ricerche ed Emma e Regina cominciarono a setacciare l’immenso bosco che circondava la città.
Mentre camminava tra radici e arbusti, Emma non riuscì a fare a meno di sorridere al ricordo di come il pirata aveva indurito lo sguardo sapendo di non poterle stare accanto tutto il giorno come invece si era prefissato di fare in ospedale; non sapeva spiegarselo, ma quel suo modo di irrigidire la mascella, come a scaricare qualsiasi tipo di frustrazione ed emozione, le faceva sentire le farfalle allo stomaco. Era quel tipo di abitudine che la sua mente e il suo cuore collegavano solo a lui, solo a Killian Jones.
Sì, stava davvero iniziando a comportarsi come i suoi genitori; ma la cosa divertente era che non le dispiaceva affatto.
“Quel sorriso mi dà sui nervi Swan…”
La voce aspra di Regina riportò Emma alla realtà.
Sapeva bene che quel modo di fare sgarbato e astioso non era rivolto direttamente a lei; dopotutto l’aver dovuto abbandonare l’amore della propria vita con il lieto fine alle porte avrebbe reso acido e irritabile chiunque, compresa lei.
“E poi non capisco perché hai scelto la foresta...” continuò la sovrana, districandosi nervosamente un sottile ramo impigliatosi tra i suoi brillanti capelli corvini, ora molto più lunghi dal primo incontro avvenuto con la Salvatrice.
“Perché ho pensato che semmai ti fossi innervosita come stai facendo adesso con quel ramo avrei potuto salvaguardare qualche povero innocente!” le rispose Emma, alzando leggermente le sopracciglia, come a voler alleggerire l’atmosfera così tesa.
Senza dare alcuna risposta, Regina sbuffò sonoramente, superando la giovane Swan di qualche passo.
Senza dire una parola, la Mills continuò a camminare, stringendosi tra le braccia, e ringraziandosi mentalmente per aver scelto il lungo cappotto nero, incline al suo stile impeccabile ed elegante.
Emma aveva ragione, era furiosa. Da quando Robin se ne era andato nulla andava come voleva. Non aveva più avuto nessuna sua notizia e la ricerca del libro continuava ad essere un disastro; certo, erano trascorsi solamente pochi giorni, ma ogni ora lontana da Robin quadruplicava il suo costante stato di angoscia e agonia.
Lo rivoleva, lo rivoleva con tutta se stessa. Perché non poteva rivederlo? Perché non poteva riabbracciarlo, baciarlo e lasciarsi stringere dalle le sue forti braccia da arciere?! Perché non poteva essere felice?
Perché?
Forse era colpa di quella maledetta foresta; quel tronco laggiù le ricordava tremendamente il giorno in cui Robin aveva iniziato a farsi strada nel suo cuore; e quell’albero?...era lì che si era accampato con la sua combriccola? O forse era quell’altro? Stava impazzendo.
Ma non era pazza, lo sapeva; era solo follemente innamorata di uomo che, probabilmente, non avrebbe mai più rivisto e con il quale non avrebbe potuto condividere il suo tanto agognato lieto fine. Non serviva la foresta per ricordarle i suoi splendidi occhi o il suo sorriso contagioso.
Lei lo amava, ma nonostante tutta quella sofferenza non si sarebbe mai pentita di questo, mai.
“Lo ritroveremo!”
L’improvvisa voce di Emma la spaventò, irrigidendo ulteriormente i suoi nervi tesi. Di malavoglia Regina si fermò sul posto, voltandosi in direzione della bionda.
“Cosa?”
“Ho detto che lo ritroveremo…Robin!” replicò Emma, raggiungendo Regina e fermandosi a pochi centimetri da lei “…te l’ho promesso e non sarà di certo un incantesimo o un libro ad impedircelo!”
Per quanto si sforzasse di respingere quella sensazione, lo sguardo risoluto e convinto di quella donna non riuscirono a fare a meno di darle la speranza di cui tanto aveva bisogno.
Era vero, glielo aveva promesso e nonostante i mille problemi che Emma e la sua famiglia di Azzurri le avevano procurato, lei…le credeva.
Lo avrebbero ritrovato, insieme a quel misterioso Autore.
“Lo so….dopotutto abbiamo Henry!” disse la donna dai capelli scuri, lasciandosi andare ad uno dei suoi rari quanto splendidi sorrisi pieni di dolcezza.
“Già…” improvvisamente lo sguardo di Emma si fece un po’ più corrucciato e, infreddolita dall’abbassamento delle temperature, si strinse nel suo cappotto grigio “…a proposito...con chi è adesso?!”
“Ha detto che aveva dei compiti da fare…”
Ma nello stesso momento in cui lo disse, entrambe le madri cominciarono a dubitare di quella spiegazione.
 
 
***
 
Cercare un appartamento.
Se qualcuno glielo avesse detto non lo avrebbe mai creduto, ma trovarne uno decente si stava rivelando un’impresa quasi impossibile. Troppo vecchio, troppo nuovo, troppo distante dalla città, troppo vicino alla piazza, troppo buio, troppo piccolo, troppo grande, troppe scale, troppo….troppo e basta.
E pensare che il giorno in cui i suoi nonni avevano annunciato il nome del loro secondogenito aveva trovato il posto perfetto; un piccolo appartamento, dove Emma avrebbe potuto costruirsi la sua vita e lui rimanere un po’ con lei e un po’ con Regina.
Ecco che, però, le cose si erano inevitabilmente complicate a e con il susseguirsi degli avvenimenti la casa era finita con l’essere affittata a qualcun altro.
Ovviamente avrebbe potuto attendere qualche anno e aspettare che il contratto scadesse e l’appartamento tornasse ad essere libero, ma sua madre non sembrava più così a suo agio a dover condividere l’abitazione con i suoi genitori e lui, dopotutto, non riusciva a biasimarla. Sua madre aveva quasi trent’anni e ora nella sua vita c’era Uncino, o Killian come lo chiamava sempre lei, e il desiderio di un po’ di intimità era chiaro perfino ad uno della sua età.
Chi l’avrebbe mai detto che sua madre si sarebbe messa con Capitan Uncino?!...e che l’altra sua madre stava cercando di tornare con Robin Hood, proprio quel Robin Hood?!
Non c’era che dire, la sua vita era tutt’altro che noiosa.
Con quei pensieri in testa, Henry camminava lungo una strada secondaria di Storybrooke, a circa tre chilometri dalla villa di Regina. Non aveva una meta precisa e non contava di certo che la casa perfetta gli si presentasse davanti, ma camminare lo aiutava a schiarirsi le idee, soprattutto in un momento frenetico come quello. Da quanto gli era stato detto da Archie la nuova ragazza era scappata dall’ospedale e lui, ovviamente, era stato esonerato dalle ricerche.
Qualche tempo fa avrebbe insistito con tutte le sue forze pur di partecipare alle ricerche, e se non ci fosse riuscito avrebbe partecipato sotto copertura;  ma ora aveva altre priorità.
Cercare una casa e, soprattutto, l’Autore del libro. Doveva trovarlo, ad ogni costo; doveva farcela, per sua madre. Regina meritava il lieto fine che tanto desiderava. Aveva fatto delle azioni orribili, ok….ma ora stava cercando in tutti i modi di rimediare e non era giusto che qualcun altro decidesse per lei, impedendole di raggiungere la felicità.
L’Operazione Mangusta sarebbe riuscita, ne era certo.
“Accidenti…”
Distratto dai suoi pensieri, il giovane Milss non vide il sasso davanti a lui, o qualsiasi altra cosai intralciò i suoi passi, facendolo rovinare a terra.
Appoggiando i gomiti al marciapiede, Henry si mise in ginocchio, raccogliendo velocemente tutti i libri e i fumetti fuoriusciti dalla borsa.
“Cavolo che male…”
Leggermente dolorante, il ragazzo si alzò da terra, notando solo in quel momento la distanza percorsa dal suo cellulare durante la caduta, ora aperto in due sul giardino di una piccola villetta a pochi metri da lui.
Sistemandosi la tracolla sulla spalla, Henry si guardò in giro. Non vi erano cancelli e il prato appariva trascurato, come gli infissi scuri e le imposte. Una casa disabitata, senza ombra di dubbio.
Velocemente sistemò il telefono e, dopo averlo acceso, lo mise nella tasca del cappotto scuro.
Con più sicurezza, il ragazzo dai capelli castani entrò nel giardino, facendo attenzione a non inciampare tra i resti del selciato che portavano alla porta d’ingresso. Una caduta al giorno era fin troppo sopportabile.
La casa aveva due piani, con il tetto a spiovente e grandi finestre rivestite con delicate tende bianche. L’intonaco esterno era bianco, ma appariva annerito e scrostato dal tempo e dalle intemperie. Chissà quando era stata abbandonata quella casa? Durante la prima maledizione? La seconda? O semplicemente non era mai stata abitata?
Guardandosi nuovamente attorno, Henry appoggiò la mano sulla maniglia della porta, aspettandosi di trovarla chiusa a chiave, ma non fece nemmeno in tempo ad appoggiarsi che questa si aprì, emettendo un leggero e sinistro cigolio.
Con il battito del cuore accelerato, Henry entrò in casa. Quella sua curiosità lo avrebbe messo nei guai, prima o poi.
Nessun mobile. La casa era completamente spoglia e anche l’elettricità pareva non essere disponibile; l’unica traccia di vita era costituita dalle tende alle finestre. Incuriosito, il ragazzo si inoltrò nell’abitazione, cercando di illuminare ciò che lo circondava grazie alla luce del cellulare.
La casa non era grandissima, ma le stanze, nonostante vuote, lasciano intravedere un milione di possibilità.
Chissà perché era stata abbandonata.
Henry stava per dirigersi verso la porta che dava sul retro, quando un lieve rumore catturò la sua attenzione.
Sembravano dei gemiti.
D’istinto il ragazzo alzò lo sguardo verso l’alto, capendo fin da subito da dove provenisse quel lamento. Qualcuno al piano di sopra stava…piangendo.
Com’era tipico tra i membri della sua famiglia, Henry non pensò ai possibili pericoli e si diresse verso il piano superiore, attento a non emettere troppi rumori. Se quella persona stava piangendo in una casa abbandonata di certo non si aspettava di avere compagnia.
Anche il piano di sopra non era eccessivamente grande, ma vantava quello che doveva essere il bagno e due camere, molto grandi. Il pianto sembrava provenire dalla stanza più a nord rispetto alle scale.
Il tragitto verso la camera fu silenzioso e impeccabile; lo stesso, però, non si poté dire dell’ingresso. Nell’esatto istante in cui il piede destro andò a posarsi su una tegola del pavimento, un sonoro cigolio interruppe il pianto, soffocato da un urlo di spavento.
“Scusami scusami…non volevo spaventarti!!!!” si scusò immediatamente Henry, mostrando d’istinto le mani, come a voler rassicurare la figura nascosta in un angolo della stanza “Ho…ho sentito qualcuno piangere e…volevo assicurarmi che…che stessi bene…”
La figura, adombrata dalle luci del crepuscolo, si raggomitolò ancora di più su se stessa, lasciando visibile unicamente un piede nudo, fasciato fino alla caviglia.
“Vattene!”
Una voce dura, sicura di se, quasi tagliente. La voce di una ragazza.
“O…ok!”
Il ragazzo fece per indirizzarsi verso la porta, ma un’ulteriore singhiozzo soffocato lo bloccò. Quella ragazza era sola, stava piangendo, non poteva lasciarla lì, non era tipico di lui.
“Io…mi chiamo Henry” iniziò, con voce cordiale “…abito poco distante da qui.”
Silenzio.
“So cosa vuol dire aver bisogno di stare un po’ da soli. Pensa che oggi per starmene un po’ per conto mio ho dovuto dire alle mie madri che avevo dei compiti da fare…e non sono nemmeno così sicuro di averlo detto ad entrambe….”
Ennesimo silenzio.
Forse non era stata una buona idea insistere.
“Ok…me ne vado…”
Il giovane dai capelli castani si indirizzò per l’ennesima volta verso l’uscita, ma questa volta non fu un singhiozzo a fermarlo.
“Ti…ti chiami Henry?!”
“Sì!” senza far trascorrere un solo istante, il ragazzo si voltò, con un sorriso soddisfatto dipinto in volto.
“…e…e hai due madri?” chiese la ragazza, con voce meno sicura rispetto a poco prima.
“Sì…Emma e Regina. Una storia un po’ lunga da raccontare. E tu…sei?”
“…quanti anni hai?” domandò la ragazza, glissando volontariamente su quanto le era stato chiesto.
“Ho…12 anni, poco più”
Henry giurò di averla sentita ripetere quel numero un paio di volte, come se apparisse una cosa incredibile. Certo, negli ultimi tempi aveva acquisito un timbro di voce decisamente più profondo rispetto a prima; era più alto e in varie occasioni Regina gli aveva fatto notare quanto stava crescendo; ma quello stupore appariva decisamente strano.
Ma come incoraggiata da quella notizia, la ragazza emerse dall’oscurità, lasciandosi vedere da Henry.
Era bella, molto bella. Alta e snella, di sì e no 16 anni; i capelli erano di un intenso castano, con riflessi chiari, come le sopracciglia; gli occhi, grandi ed espressivi, erano verdi come l’erba, contornati da ciglia così folte da nasconderne quasi le iridi. Il naso leggermente all’insù appariva perfetto in quel viso sottile, con gli zigomi pronunciati e rosei, a dispetto della carnagione pallida.
Come aveva pensato subito, era bella. Ma quella bellezza appariva sciupata, come se fosse appena uscita da una guerra infinta. Indossava una maglia grigia lunga poco più su del ginocchio, di diverse taglie più grandi rispetto alla sua e che rendeva visibile la profonda ferita alla gamba da cui fuoriusciva ancora del sangue, nonostante la fasciatura.
Probabilmente conscia del suo aspetto, la ragazza si strinse nelle spalle, abbassando lievemente lo sguardo.
“Tu…sei la ragazza che stanno cercando. La ragazza in coma”
Nessuna risposta.
“Non…non preoccuparti, non voglio farti del male…” si sentì di chiarire Henry, addolcito da quella ragazza così indifesa, nonostante il tono di voce sicuro e fermo.
“Lo so!”
Quella risposta lo spiazzò; come lo spiazzò il senso di familiarità di quel volto. Perché la sua testa continuava a dirgli che l’aveva già vista?
“Bene” si limitò a dire Henry, facendo un passo verso di lei “…e tu…come ti chiami!”
Quella semplice domanda sembrò metterla in difficoltà, obbligandola a guardarsi in giro, come in cerca di una risposta, fino a posarsi sulla borsa del ragazzo, lasciata a terra semi aperta.
“Mi…mi chiamo…Jean….” esclamò convinta, posando nuovamente lo sguardo su Henry.
“Jean…forte!” esclamò il ragazzo, collegandolo al nome di un’eroina della fantascienza.
“Forte?!”
“mmm…niente, non capiresti…”
La ragazza aggrottò leggermente le sopracciglia, non riuscendo a trattenere un lieve sorriso.
 “Comunque…in città ti stanno cercando tutti…”
“Davvero?...e perché?” chiese, irrigidendosi ulteriormente.
“Bè…eri in coma…e non è da tutti alzarsi e andarsene in giro come niente fosse!”
-Tranne forse per mio nonno…- pensò tra sé e sé.
 “No…non voglio tornare in ospedale…”
La voce acuta della ragazza rimbombò tra le pareti spoglie della stanza, bloccando sul nascere il tentativo di Henry di chiamare Emma con il cellulare. Ciò che però stupì il ragazzo non fu tanto il tono di voce, quanto il contenuto della frase. Aveva parlato di ospedale, quindi…non era così nuova rispetto la modernità.
“O…ok….e non ci tornerai, te lo prometto. Ma non puoi restare qui….a meno che questa non sia casa tua…”
Un velo di tristezza si impadronì di quegli splendidi occhi verdi, ancora leggermente inumiditi dalle lacrime versate poco prima. Forse parlare di -casa- non era stata una mossa così intelligente.
“No…non è casa mia! Non…non ricordo niente…è tutto….è tutto così confuso….” disse Jean, appoggiando nervosamente le mani alla testa, come a voler trattenere lì ogni singolo pensiero.
D’istinto, Henry si precipitò verso la ragazza,
“Ehi…va tutto bene, non preoccuparti!...ti porterò da qualcuno che potrà aiutarti!”
 
***
Il clima in casa Blanchard non era dei migliori. Le ricerche non avevano prodotto risultati e della ragazza non vi era la minima traccia; con la stessa velocità in cui era apparsa, sembrava essere svanita nel nulla provocando una certa irritazione e apprensione in tutti i presenti.
“Dove può essere?” esclamò con tono preoccupato Regina, camminando su e giù nella ristretta sala del monolocale.
“Vedrai che la troveremo…non può essersi allontanata di molto in quelle condizioni” la rassicurò con voce delicata Biancaneve, seduta in divano con in braccio il piccolo Neal addormentato.
“Ma di chi di diavolo parli?!”
“…della…ragazza?!” le rispose con tono ovvio la donna.
“Ma che vuoi che mi importi di quella ragazza. Sto parlando di Henry. Non era a casa…e non risponde al cellulare!” esclamò sprezzante Regina, incrociando le braccia al petto e mettendo in risalto il bellissimo cardigan viola.
Sempre più nervosa, la sovrana scambiò uno sguardo con Emma, la quale se ne stava seduta su uno dei sgabelli della cucina, sorseggiando una cioccolata con la sua tanto adorata sferzata di cannella.
“Calmati Regina….ci ha scritto un messaggio mezz’ora fa. Sarà qui a minuti…”
La Salvatrice non fece in tempo a completare la frase, interrotta dall’improvviso bussare alla porta.
Senza alcun indugio, Regina si precipitò all’ingresso, inondando la stanza con il prepotente suono dei suoi tacchi sul pavimento in legno. Chi si trovò davanti, però, non fu chi tanto desiderava.
“Oh….è solo Capitan Make Up!” disse, allontanandosi, con sguardo seccato.
Non capendo il reale significato di quella strana parola, Killian fece il suo ingresso nell’appartamento, lanciando alla bionda in fondo alla stanza un delicato sorriso d’intesa.
Senza lasciarsi intimorire dal clima teso presente nella stanza, Uncino si avvicinò ad Emma, la quale a sua volta gli sorrise di rimando, felice di rivederlo dopo una giornata tanto faticosa.
“Allora…come sono andate le tue ricerche con Belle?!” gli chiese Emma, ritagliando un breve momento tra loro, lontani dalle voci dei suoi genitori e di Regina.
“…non abbiamo trovato niente…” esclamò il pirata, guardando incuriosito l’intruglio scuro che la sua amata stava bevendo “…e le tue ricerche?”
“Sparita nel nulla...”
“Forse è uscita dalla città…” ipotizzò Uncino.
“Forse…”
Il silenzio era calato nella stanza quando, per la seconda volta quella sera, il bussare alla porta portò l’attenzione di tutti verso l’ingresso dell’abitazione.
Questa volta Regina rimase ferma al suo posto, in piedi accanto alla finestra, lasciando che fosse David ad aprire la porta, probabilmente ad uno dei nani.
“Henry…” esclamò la voce sollevata del principe “… dov’eri finito?!”
“Henry….” si intromise Regina, con voce preoccupata, avvicinandosi al figlio “credo che dovremmo parlare sulla diversa concezione che abbiamo dei compiti!”
“Ci hai fatto preoccupare ragazzino!” si accodò Emma, avvicinatasi a sua volta al figlio, posandogli una mano sui capelli con fare materno “…la prossima volta non limitarti ad un messaggio…”
“Dubito ci sarà una prossima volta!” puntualizzò Regina.
“Mi dispiace…” disse il ragazzino, fermo a pochi passi dalla soglia dell’appartamento “…ma penso di avere una scusa più che valida…”
E con quella semplice frase, Henry fece cenno a qualcuno di entrare in casa, appoggiando la sua borsa ancora semi aperta per terra.
Nel momento in cui la ragazza fece ingresso nell’appartamento tutti i presenti rimasero ammutoliti. Era tutto il giorno che la cercavano, divisi per squadre, in una ricerca senza sosta fino al calar della sera.
Ed ecco arrivare Henry, con il suo dolce sorriso, a risolvere la situazione.
Bisognava ammetterlo, c’era qualcosa di esilarante in tutto ciò.
Sopra la maglietta grigia indossava il cappotto che Henry le aveva gentilmente ceduto; il ragazzo sembrava aver pensato a tutto, in quanto anche i piedi calzavano delle ciabatte, anch’esse del ragazzo.
La giovane non disse nulla e, di fronte a tutti quei presenti, sembrava aver perso la sicurezza che aveva manifestato poco prima con il giovane Mills. Lo sguardo restava basso, come se non volesse realmente accertarsi di chi avesse davanti. Lentamente sfilò il cappotto datole dal ragazzo, consegnandoglielo con un mezzo sorriso.
La prima ad avvicinarsi fu Emma, piacevolmente stupita da quella sorpresa improvvisa.
“Ehi...ti abbiamo cercata dappertutto…”
La giovane Swan non fece in tempo a toccare la ragazza che questa alzò lo sguardo di scatto, come spaventata da quel saluto.
Lentamente la ragazza alzò gli occhi puntando lo sguardo sgranato sulle iridi di Emma, le quali parevano avere la sua stessa tonalità.
“Tranquilla…” si accodò Biancaneve, avvicinandosi a sua volta dopo aver deposto il piccolo Neal nella sua culla “..eravamo solo molto preoccupati…ti abbiamo cercata ovunque!”
“Mi…dispiace…” le parole uscirono quasi a fatica, come se tutte quelle persone davanti a lei fossero un’emozione troppo grande da sopportare.
“Come ti chiami?!” chiese Biancaneve, con voce dolce e materna.
“…mi….mi chiamo Jean….”
Nel momento in cui lo disse l’infallibile animo da cacciatrice di taglie di Emma prese il sopravvento.
Tutto: lo sguardo, il movimento delle labbra, la postura delle spalle, ogni cosa le diceva che quella ragazza stava mentendo; e per ora aveva detto solo il suo nome.
Non era di certo il miglior biglietto da visita della storia.
Con lo sguardo decisamente più sospettoso, la bionda lasciò che i suoi genitori si occupassero di mettere a proprio agio la ragazza. C’era qualcosa di strano in lei, qualcosa che per qualche insolita ragione le faceva accapponare la pelle.
“Come sei arrivata a Storybrooke?” le chiese il Principe, dopo che la moglie la ebbe fatta accomodare nel piccolo divano a due posti.
“Io…non ricordo nulla…mi dispiace!” rispose la ragazza, sistemandosi una lunga ciocca castana dietro l’orecchio e abbassando lievemente lo sguardo.
-Altra bugia- pensò Emma, ferma nella sua posizione a braccia incrociate.
Ottimo, due frasi e due bugie, se andava avanti di questo passo avrebbe vinto un premio.
“Tranquilla…direi che hai bisogno di riposarti un po’. Puoi sistemarti dove dormiva Elsa…se ad Henry non dispiace...” propose Mary Margaret.
“Oh no va benissimo…dormirò dalla mamma…” disse il ragazzo, avvicinandosi a Regina che, impeccabile, aveva già indossato il suo elegante cappotto nero.
Nel momento in cui il ragazzo sollevò la borsa, tutto ciò che conteneva si rovesciò, sparpagliando, per la seconda volta quel giorno, tutti i libri e le penne a terra.
Emma si inginocchiò ad aiutarlo e, incuriosita, sollevò un fumetto a pochi centimetri da lei, raffigurante una donna dai capelli rossi.
“X-Men…giusto?” gli chiese, sorridendo.
“Esatto!” rispose Henry, prendendo il fumetto.
“E lei è?!”
“Lei è la Fenice…ma in realtà si chiama J…”
Henry si bloccò, corrucciando le sopracciglia come faceva di solito la madre di fronte a lui.
“Si chiama…?” lo esortò Emma, capendo che il suo sospetto era decisamente fondato.
“Si chiama Jean Grey…”
“Jean…che coincidenza!” sorrise freddamente Emma, spostando lo sguardo sulla ragazza a pochi metri da loro, indaffarata a godersi le attenzioni da parte dei suoi genitori.
Senza bisogno di parlare, Emma invitò il figlio a rimanere in silenzio, aiutandolo ad alzarsi da terra.
“Andiamo Henry…” lo richiamò Regina, uscendo insieme al figlio da casa Blanchard.
“Ehi tesoro…”
La voce di Killian fece sussultare Emma; stava trattenendo il respiro e tutto per l’arrivo di quella ragazza, bugiarda fino alla punta dei capelli.
“…io vado, qui direi che avete la situazione sotto controllo!”
“Sì…vai pure….” disse, lievemente sostenuta.
“…sei sicura di stare bene?!” le chiese, sfiorandole delicatamente la fronte, con i suoi modi sempre così delicati e affettuosi.
“Sto bene…grazie…” gli sorrise di rimando, colpita e, allo stesso tempo, felice del modo in cui quell’uomo riusciva a leggerle dentro.
“Ok…a domani Swan….”
Nel momento in cui il pirata si abbassò per darle un delicato bacio sulla guancia, Emma si accorse dello sguardo della ragazza, puntato dritto su di loro.
Di nuovo quegli occhi sgranati.
“A domani…”
Qualsiasi cosa quella ragazza le nascondeva, lei lo avrebbe scoperto, di questo poteva starne certa.
 
 
 
 
 
Rieccomiiiiiii!!!!!!
Questa volta dovrei essere riuscita ad aggiornare in tempo :)
Come prima cosa ci tengo a spendere due minuti ringraziando sempre chi ha trovato il tempo di leggere e, in particolar modo, di commentare il capitolo. Anche solo qualche piccola riga ha un grande significato per me…e chi scrive sa di cosa parlo. So che a volte non c’è molto tempo per commentare quindi vi ringrazio anche solo di leggerlo...ma ci tengo a ringraziare di cuore chi commenta o ha commentato questa storia; in questo caso: KERRI (ormai è nata una vera e propria corrispondenza e questa cosa mi piace un casino:P) e CAPTAINSWAN GIRL (una fan dei nostri due eroi che mi sprona capitolo dopo capitolo!!!!). Quindi GRAZIE…davvero!!!!
Questo capitolo l’ho iniziato proprio ispirata dai vostri commenti :)    
Ok…tornando alla ff. Diciamo che mi sono un pochino allacciata agli avvenimenti delle ultime puntate di OUAT, per esempio per quanto riguarda la ricerca di Killian e Belle (purtroppo capirete il motivo di questo allacciamento moooolto più avanti)…ma per il resto cercherò di mantenere le cose come sono state lasciate dopo il saluto ai personaggi di Frozen.
Che altro dire…ah sì…in questo cap non ci sono stati molti momenti CaptainSwan (in compenso tanti sorrisi :P)…ma è stato inevitabile, spero di farmi perdonare la prossima volta :P
Ok…penso di aver detto tutto. In caso contrario…chiedete pure!!!!!
Grazie a tutti.
Un super abbraccio
La vostra Erin :)
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Incessante e incontrollata, la pioggia cadeva lungo le strade deserte della città, impedendo al sole del mattino di illuminare l’inizio di quella nuova settimana.
Era uno dei rari giorni di pioggia a Storybrooke e aveva deciso di arrivare proprio di lunedì, un giorno già di per se difficile e complicato da sopportare, vuoi per la fine del riposo settimanale vuoi per il semplice fatto di chiamarsi in quel modo: lunedì, suonava faticoso, stancante e problematico, punto e a basta.
Non era, però, la pioggia o l’inizio della nuova settimana, ad indurire lo sguardo della bionda, seduta ad uno dei tavoli della caffetteria di Granny, bensì quella ragazzina, seduta a due tavoli di distanza, vicino al ragazzo dal sorriso sincero che rispondeva al nome di Henry Mills, suo figlio.
Erano trascorsi quattro giorni dal ritrovamento di Jean e quasi tutti, più o meno, sembravano aver accettato la sua presenza con un’innata naturalezza, probabilmente aiutati da quello sguardo giovane e indifeso.
Per quale motivo solo lei, la Salvatrice, ci vedeva una ragazza scaltra con un’infinità di segreti che non voleva rivelare? No, effettivamente non era la sola, anche Regina non vedeva di buon occhio quella ragazzina dai lunghi capelli castani, presumibilmente a causa del rapporto instauratosi con Henry.
Tra i due era nata una bella amicizia, forse dovuta al fatto che era stato proprio Henry a ritrovarla in quella casa abbandonata. Vi era una visibile differenza di età;  lei appariva più grande, non solo dal punto di vista fisico, anche il portamento, il modo di fare, la classificavano sicuramente al di sopra dei dodici anni del figlio; e in modo particolare quello sguardo, che nonostante la fatica che Jean ci metteva, continuava a mostrare una sorta di maturità e tristezza che solo una donna avrebbe dovuto possedere. E la giovane Swan non riuscì a fare a meno di collegare quello sguardo a quello che aveva avuto lei a quattordici anni, quindici, sedici anni. Lo sguardo di un’orfana.
E ora Henry si stava affezionando a lei.
Non che ci fosse qualcosa di male nel fatto che i due parlassero e scherzassero insieme, dopotutto erano ragazzi, ma quella Jean era sbucata dal nulla e se c’era una cosa che Ingrid, Zelena e la grande maggioranza dei forestieri venuti a Storybrooke le avevano insegnato era proprio di non fidarsi di chi aveva dei segreti. Bastava guardare che fine avesse fatto Tremotino con tutti i suoi machiavellici movimenti; aveva perso Belle e con lei qualsiasi speranza di redimersi.
“Ecco i vostri caffè…e i pancakes”
La cameriera, posò l’ordinazione davanti ad Emma e Uncino, il quale non riusciva a fare a meno di sorridere di fronte a quel viso corrucciato di fronte a lui.
“Se vai avanti di questo passo ti verranno le rughe Swan…” le disse, sorseggiando il suo caffè amaro.
“Non pensavo ti preoccupassi del mio viso…Killian!” rispose Emma marcando il nome del pirata e reprimendo a stento un sorriso.
“E ovvio che mi preoccupi…lo rimiro tutto il giorno!”
Ed eccolo lì, con la battuta sempre pronta che non le lasciava mai l’occasione di ribattere. Come ci riusciva non sapeva davvero spiegarlo e forse, dopotutto, non le andava neanche di farlo. Era bello starsene lì, di lunedì mattina, poco prima di andare a lavoro, insieme all’unica persona in grado di farla sorridere, nonostante i mille pensieri e preoccupazioni che le invadono la mente.
Era rilassante e piacevolmente…normale.
E forse lo stesso poteva pensarlo il giovane Mills, a poca distanza dai due adulti, mentre si faceva battere per la decima volta ad un gioco di carte dalla ragazza davanti a lui, il cui sorriso espansivo metteva in risalto la sua dentatura perfetta.
“Ma dico…come fai?
“Esercizio. Fortuna. Genetica….vedi un po’ tu!” gli rispose raggiante Jean, sistemandosi meccanicamente una ciocca dietro all’orecchio.
“Chi te l’ha insegnato?”
“Mio pa…”
La giovane si bloccò di scatto, mordendosi la lingua, come se avesse parlato decisamente più del dovuto, cosa che ovviamente non sfuggì al giovane di fronte a lei.
“T…te l’ha insegnato tuo padre?” tentò di spronarla il ragazzino, ammucchiando il mazzo di carte in modo ordinato.
Ma la ragazza non rispose, serrando la mascella con fare nervoso. La spontaneità e serenità di poco prima sembravano essere svaniti come neve al sola, lasciando spazio ad una tesa atmosfera di imbarazzo.
“Hei Jean…non c’è niente di male se inizi a ricordare qualcosa del tuo passato. Lo sai che di me ti puoi fidare!”
“Lo so…” rispose la ragazza, porgendo ad Henry un sorriso decisamente forzato rispetto poco prima.
Ma nonostante continuasse a rispondere a quel modo, Henry sapeva che quella ragazza non si fidava di nessuno e continuava a mentire a tutti su ogni aspetto la riguardasse.
Lui e sua madre avevano capito che il suo nome non era decisamente Jean, ma la cosa che li aveva maggiormente insospettiti era stata proprio la scelta di quel nome. Anche che quella ragazza avesse intravisto il suo fumetto nello zaino, come faceva a sapere il nome di quel determinato personaggio? Aveva la super vista? Noooo, da escludere; almeno sperava. Esistevano gli X-Men nella Foresta Incantata? Ancora meno probabile.
Ma allora come aveva fatto?
C’era qualcosa di strano in lei. Tutti ci avevano messo un po’ ad abituarsi ad i confort e alle diversità del mondo “reale”, se così lo si voleva chiamare; bastava guardare Hook che ancora oggi si ostinava a chiamare il cellulare “parlofono”.  E Jean, invece, fin dal loro primo incontro aveva parlato con tranquillità di ospedali e riconosciuto un personaggio dei fumetti come nulla fosse; per non parlare della faccia che aveva fatto quando aveva visto il locale di Granny. Tutto sembrava, come dire, familiare; e al giovane Mills non era di certo sfuggito.
“Ora devi a scuola giusto?!” la voce di Jean lo riportò alla realtà, chiudendo definitivamente il discorso riguardante il suo ipotetico passato.
“Sì…e tu che farai?”
“Mi troverà qualcosa da fare. Quale delle tue madri ti accompagneranno?” chiese divertita la ragazza, finendo di bere la sua spremuta.
“Oh nessuna delle due…passa il pulmino della scuola qui davanti. Emma andrà alla Stazione di Polizia insieme a mio nonno e Regina immagino andrà in ufficio visto che è di nuovo il sindaco di Storybrooke!”
“Regina…è il Sindaco?”
“Eh già…per un breve periodo lo è stata Biancaneve, ma mia madre non ha visto di buon occhio il suo gusto in fatto di arredamento e…ci ha ripensato” scherzò a sua volta Henry, felice di assaporare nuovamente quel clima tranquillo e spontaneo.
“Wow…un ruolo importante. Ed è bello vedere che le è stato affidato nonostante i…trascorsi!”
“Di che trascorsi parli?” chiese sospettoso Henry.
“Oh…mi riferivo a quando era…la Regina Cattiva….”
“E tu come lo sai?...ricordi qualcos’altro del tuo passato?” chiese il ragazzo, sempre più insospettito.
“No no…” si affrettò a negare la ragazza, sorridendo con fare decisamente più meccanico “…l’ho sentito dire da un nano, l’altra mattina. Era solo un complimento il mio…non è da tutti perdonare chi è stato tanto…cattivo!”
“Sì mia madre ha commesso degli errori…ma ora è cambiata!” disse cupo Henry, lanciando un’occhiata ai resti della sua colazione.
“E si vede!” esclamò Jean, con il suo sguardo verde e acceso “…ma dimmi...usa ancora la magia?”
“Quante domande!”
“Hai ragione…scusami…non volevo impicciarmi. È solo che…ho pensato…se Regina sa usare ancora la magia….potrebbe aiutarmi a recuperare la memoria. Con qualche incantesimo…non credi?”
“Bè si…potrebbe provarci…”
“Potrei andare nel suo studio questa mattina e chiederle cosa ne pensa...immagino tenga lì con se le pozioni giusto?”
“Oh no no….tutte le sue pozioni sono nella sua cripta!”
“Cripta…oh…suona così macabro!” scherzò Jean, non riuscendo a trattenere il tono incuriosito.
“Facciamo così…oggi finita la scuola andiamo insieme da mia madre e sentiamo se c’è qualcosa che può fare, ok? Nel caso ci andiamo insieme…”
“Direi che è…perfetto!”
 
 
“Davvero Emma…non puoi continuare a stare con i nervi tesi. Dalle una possibilità!” esclamò il pirata, accompagnando la frase con un gesto del suo fedele uncino.
“….quella ragazza nasconde qualcosa. E sono quasi sicura sappia usare la magia…”
“Lo penso anch’io…visti i trascorsi. Ma vedrai che troveremo il modo per saperne di più!”
“Non mi fido di lei!” sentenziò, lanciando l’ennesima occhiata verso la diretta interessata.
“Oh e questo lo abbiamo capito tutti tesoro…fidati...ma non toglie il fatto che non puoi starle addosso come un cane dalla mattina alla sera!”
Emma corrugò la fronte, lievemente ferita da quelle parole.
“Dovrei aspettare che succeda qualcosa come le ultime volte?!” esclamò risentita.
“Sto dicendo che è una ragazzina…sola…e se non vuole dire a tutti quello che le è successo…bè…la capisco!”
E quello, lo sapeva bene, era il tono di voce di Killian appartenente ad un qualche ricordo della sua vita, del suo passato. Accadeva raramente, ma vi erano dei momenti in cui l’uomo di fronte a lei ricordava qualcosa che lo riguardava e il suo tono di voce, lo sguardo, cambiavano in maniera quasi impercettibile, divenendo più oscuri e tristi. Lei si era aperta con lui, gli aveva mostrato la scatola contenente i suoi ricordi, si era lasciata confortare, ma lui non le aveva mai detto molto di sè, tranne qualche cenno in momenti in cui gli eventi avevano sempre finito col prendere il sopravvento.
Perché…-le ferite più precoci a volte non guariscono- giusto?!‘” disse Emma, seria, riportando una frase detta dallo stesso pirata qualche tempo prima.
“Esatto!”
Silenzio. Killian si limitò a finire il suo caffè, spostando lo sguardo verso la vetrata alla loro destra. Non le avrebbe detto più nulla a riguardo, ne era certa, e forse in quel momento era meglio così.
Voleva sapere tutto di lui, voleva riuscire ad aiutarlo, a fargli sentire la sua presenza, ma Granny non era di certo il luogo più adatto, soprattutto con il pensiero di quella ragazza che gli alitava sul collo.
“Mamma…io dovrei andare…”
La voce di Henry interruppe il momento di tensione improvvisamente creatosi tra i due, obbligando Emma a spostare l’attenzione sui due ragazzi.
Accanto ad Henry vi era ovviamente Jean, la quale indossava finalmente abiti intatti e, soprattutto, della sua taglia.
“Vado anch’io…” disse Killian, alzandosi dal suo posto e lanciando un sorriso alla giovane accanto a lui che, in risposta, sgranò gli occhi e deviò velocemente lo sguardo.
Alle volte si comportava davvero in maniera strana.
“Con chi rimarrà Jean?” chiese Henry.
“Bè…potresti venire con me a lavoro…” le propose Emma, con la speranza che accettasse.
“Oh…non preoccuparti, farò un giro della città…non ho avuto molte occasioni di concedermi una passeggiata solitaria!”
Velocemente Jean indossò il cappotto di lana blu navy con chiusura doppiopetto, presumibilmente appartenuto alla figlia di qualche abitante di Storybrooke; le stava bene, le donava un aria quasi normale, così come gli stretti pantaloni neri e il maglioncino verde bottiglia; una ragazza moderna a tutti gli effetti.
“Ok…se hai bisogno chiamaci!” le disse Emma, indossando a sua volta il suo cappotto grigio.
Evidentemente la simpatia tra le due era reciproca, non c’era che dire. E la cosa, a dispetto dei suoi sentimenti, lasciava un profondo senso di amarezza nella giovane Swan. Perché, per quanto non si fidasse di lei, per quanto sentisse che le stava nascondendo qualcosa, Emma non riusciva a fare a meno di rivedersi in quello sguardo, così triste, così enigmatico, così privo della speranza che ogni giovane adolescente avrebbe dovuto avere.
Forse avrebbe dovuto seguire il consiglio di Killian e darle una possibilità, nonostante tutto.
 
 
 
***
 
 
Jean buttò fuori l’aria trattenuta fino a quel momento.
Emma era finalmente entrata alla Stazione di Polizia, seguita a ruota dal Principe. Padre e figlia protettori della città, adorava questo genere di complicità.
Killian era in biblioteca, insieme a Belle; che ci facevano quei due insieme non riusciva proprio a capirlo. Meno dieci punti per la bibliotecaria.
Henry era salito nel pulmino, diretto a scuola e, un fulmine la incenerisse se non lo avesse ammesso, questa cosa la faceva tremendamente divertire; doveva assolutamente chiedergli come andava, anche se aveva indiscutibilmente l’aria dello studente modello.
E dulcis sin fundo, Regina era a lavoro nel suo elegantissimo studio.
Tutti erano dove voleva che fossero, ovvero fuori dai piedi, lasciandola libera di andare alla cripta della Sovrana della Foresta Incantata.
Non pensava sarebbe stato così facile farsi dire il luogo in cui Regina teneva tutte le sue cianfrusaglie; aveva già pensato ad un paio di idee per farsi dire qualcosa dal giovane Mills o al massimo da qualche altro abitante di Storybrooke, ma ecco che al primo tentativo il suo “amico” le aveva spifferato tutto; ci mancava poco che le dicesse pure come entrare.
A prima vista lo aveva fatto più sveglio e sospettoso il caro vecchio Henry. Dopotutto, però, come biasimarlo. Resistere ad un viso tanto dolce e affascinante come il suo? Impossibile.
Era la persona perfetta di cui fidarsi. Giovane, sola, impaurita. Persino lei stessa stava cominciando a credere a tutta quella farsa della povera ragazza soggetta ad un’improvvisa perdita di memoria.
Quello, però, non era di certo il momento di compiacersi. Doveva andare alla cripta, prendere l’occorrente necessario e dare il via a tutto senza perdere altro tempo. Prima si sarebbe messa all’opera e prima avrebbe risolto la faccenda.
-Lo sai...è sbagliato…-
Imperterrita la voce della coscienza si fece largo nella sua mente, schiacciata dall’ossessione e il bisogno di riuscire nei suoi intenti. Ma il senso di colpa non l’avrebbe fermata, no, non ora; era decisamente troppo tardi ormai per lasciarsi andare a simili sentimentalismi.
Si stava comportando male? Sì.
Stava facendo qualcosa di sbagliato? Forse.
Era dalla parte dei cattivi?
Ah…i cattivi. Quante volte aveva sentito pronunciare quella parola, con così tanto odio e ostilità da provare una sorta di nausea nei confronti di quegli sciocchi che persistevano a comportarsi come tali. Ma se aveva imparato una cosa dal susseguirsi degli eventi era che nessuno aveva il diritto di classificare qualcuno come buono o cattivo.
Era tutto così profondamente sciocco e riduttivo. Chi era buono? Chi aveva il diritto di definirti o meno dalla parte giusta? Sulla base di quali considerazioni?
-I buoni sono gli eroi-
Già gli eroi.  E gli eroi chi erano? Quelli che combattevano per gli ideali più valorosi?
La sua famiglia era piena di eroi e che fine avevano fatto?! Morti. Tutti. Dal primo all’ultimo.
E a lei cosa era rimasto? L’idea che gli eroi, la sua famiglia, avevano fatto la cosa giusta, o meglio, morendo nel tentativo di farla. Bella consolazione.
E lei, in fin dei conti, stava facendo quello che le era stato chiesto; e non avrebbe guardato in faccia nessuno pur di riuscirci.
No, non esistevano più gli eroi, i buoni o i cattivi, vi erano solo due fazioni: gli alleati e i nemici. E lì a Storybrooke non vi erano alleati.
Quindi, se doveva vederla dal punto di vista di quella città, dove i cattivi erano coloro che interferivano negativamente nella vita e nel lieto fine dei suoi abitanti, bè….a quel punto la risposta da dare non era così complicata dopotutto.
Era dalla parte dei cattivi?
Sì. E avrebbe vinto.
 
 
***
 
 
“Pensi che sia troppo dura con lei?”
Il tono insicuro di Emma, proveniente dal suo ufficio a pochi metri di distanza, bastò per distrarre il genitore dalla montagna di scartoffie in cui era immerso; non che vi fosse un gran daffare lì a Storybrooke, ma di certo gli abitanti della Foresta Incantata non rappresentavano una categoria di individui immacolati.
“Parli di Jean?”
“Già…”
“Diciamo che è naturale essere diffidenti nei suoi confronti…” cercò di giustificarla David, appoggiando la schiena sullo schienale della sedia.
“Ma…” lo esortò a continuare la figlia.
“Ma…è pur sempre una ragazzina di sì e no 16 anni…” proseguì il Principe, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi alla scrivania di Emma “...e forse ha bisogno di conoscerci un po’ prima di…lasciarsi andare! In fin dei conti…anche tu hai qualche difficoltà nell’esporti no?”
Con i gomiti appoggiati alla scrivania, Emma posò il mento sul dorso delle mani, digerendo con difficoltà le ultime parole espresse dal padre.
Dopotutto, però, come dargli torto.  I suoi genitori, Killian e lo stesso Henry, avevano dovuto sudare più delle fantomatiche sette camice prima che lei iniziasse a lasciarli entrare nel suo cuore; perché allora giudicava con tanta facilità una ragazzina sola e introversa che non se la sentiva di sbandierare ai quattro venti la sua storia?
Forse perché era arrivata non si sa come a Storybrooke senza lasciare il minimo indizio?! Incalzò il suo spirito da cacciatrice di taglie.
“Sento che sta nascondendo qualcosa...e gli ultimi eventi mi hanno insegnato a guardarmi bene da chi mente. Per non parlare del mio sesto senso….”
“Forse dovresti iniziare a darle un motivo per non mentire!” le disse il genitore, con il suo consueto tono di voce rassicurante.
“…tipo?”
“Tipo…falla sentire parte di qualcosa…falle vedere che la capisci” le consigliò.
“E cosa faccio…la invito a cena da Granny facendo finta di niente?” chiese, quasi divertita, la bionda, appoggiando la schiena alla sedia come aveva fatto poco prima l’uomo di fronte a lei.
“Perché no?! Non sarebbe una cattiva idea...” le rispose di rimando “…per una volta potresti provare ad essere solo Emma e non…la Salvatrice!”
Essere solo Emma. Che fosse davvero quello il problema?
Forse suo padre aveva ragione; da quando Elsa, Anna e Kristoff se ne erano andati era stata completamente assorbita dagli eventi, non aveva goduto appieno di nessun momento di tranquillità, ossessionata dall’idea di proteggere l’intera città e di non lasciarsi sfuggire le cose com’era accaduto con Ingrid. E ora che era arrivata Jean la preoccupazione era salita alle stelle, rendendola un “cane da caccia dal viso imbronciato”, parafrasando quanto le aveva detto Killian qualche ora prima.
“Ci proverò…” concluse la figlia, sorridendo al genitore “Grazie!”
“Non c’è di che. E per immortalare il momento direi di fare una pausa caffè”
Emma stava per accettare di buon grado la proposta del padre, annebbiata da quei continui pensieri e preoccupazioni, quando il telefono, posato sopra alla scrivania, cominciò a vibrare in maniera insistente.
“Vai avanti papà…ti raggiungo!”
David sorrise in risposta alla figlia e, senza attendere che questa rispondesse al telefono, uscì dalla stanza.
Non appena le ampie spalle del genitore varcarono la soglia, Emma si accorse che a chiamarla era proprio Mary Margaret, così d’istinto si alzò dalla sedia, tentando di rispondere al telefono e indossare il cappotto grigio, non senza difficoltà.
“M…mamma…papà è appena uscito, ma se mi dai un secondo lo raggiungo!”
- No Emma…non ho bisogno di David, volevo parlare con te…-
“Oh…certo, dimmi!” disse la bionda, bloccandosi sul posto e passando il telefono nell’altro orecchio.
-Hai visto Henry stamattina?-
“Sì…eravamo insieme dalla Nonna a fare colazione prima che arrivasse a scuola. Perché…è successo qualcosa?” chiese, non riuscendo a controllare il tono allarmato nella voce.
-No…o meglio, credo di no. Ho preferito avvisare solo te Emma, per non caricare ulteriormente Regina visto il momento che sta passando…-
“O..ok hai fatto bene…ma cos’è successo?” la incalzò.
-Henry non si è presentato a scuola stamattina!-
 
 
***
 
Una volta arrivata di fronte all’ingresso della cripta, la ragazza dai capelli castani si fermò a pochi passi dall’ingresso, osservando con attenzione quella macabra ambientazione medioevale.  La pioggia non dava segni di voler cessare, ma per fortuna Mary Margaret, alias Biancaneve nel mondo delle fiabe, aveva ben pensato di offrirle uno dei suoi bizzarri ombrelli colorati. Ma davvero c’erano ancora persone al mondo che amavano i pois?! Incredibile.
Una cripta. Non c’era che dire, era proprio nello stile di Regina Mills avere il suo piccolo orticello in mezzo ad un cimitero, lugubre e solitario; tutte quelle lapidi e statue tombali facevano davvero venire i brividi. Fortunatamente era giorno e un po’ di quell’effetto raccapricciante lasciava spazio all’intraprendenza di qualche audace visitatore.
Senza perdere altro tempo prezioso, la visitatrice in questione eliminò i metri che la separavano dalla cripta, salendo uno ad uno i gradini in marmo.
Con un semplice gesto della mano la porta si aprì, accogliendo a braccia aperte la giovane intrusa; neppure la tomba del padre di Regina oppose la minima resistenza a quella diafana figura dal cappotto scuro, il cui potere sembrava andare ben al di là dell’innocente aspetto.
Tutto era così facile. Troppo facile.
Una volta scesa la scalinata che la separava dalla sala sotterranea, Jean si fermò sotto un piccolo arco in roccia, scrutando la sua immagine riflessa su enorme specchio nero, il quale faceva da padrone al centro della stanza, con rifiniture simili a piume o a longilinei tentacoli, a seconda del punto di vista.
La sua immagine era cambiata, era cambiata così tanto che quasi stentava a riconoscersi.
Aveva sempre avuto un viso tanto spento e inespressivo? Le labbra pallide e screpolate; lo sguardo vuoto, quasi assente. Gli occhi …Allora era vero, gli occhi erano davvero lo specchio dell’anima e la sua, oramai, non era più quella di un tempo.
Non era più l’anima di quella bambina che si divertiva a svegliarsi presto la mattina per fare colazione insieme a sua madre prima che questa andasse a lavoro; la bambina che aspettava il ritorno a casa del padre, lanciandosi addosso a lui con la consapevolezza che l’avrebbe sempre presa al volo. Quanto adorava quelle mattina piene di attesa e aspettativa. I pranzi insieme alla famiglia, suo fratello che le raccontava ogni genere di avventura, facendola sentire sempre al centro della storia.
Ed ora…ora eccola lì, da sola, con lo sguardo spento e tutt’altro che felice.
Velocemente la ragazza serrò la mascella, ricacciando indietro le lacrime che, ostinate, aveva iniziato a velarle lo sguardo. Non avrebbe pianto, non ora che stava iniziando ad ottenere dei risultati.
Sistemandosi i capelli dietro alle orecchie,  Jean iniziò a vagare per la cripta, osservando attentamente tutto ciò che la circondava.
Libri, candele, ampolle, l’interno di quel posto era tale e quale a come le era stato descritto; come si potesse mantenere una simile memoria di un posto restava un mistero. Ed eccolo lì, ciò che stava cercando: il grosso e vecchio baule di Regina.
Senza indugiare un secondo di più, Jean aprì la cassapanca di materiale sicuramente pregiato e, senza fare troppa attenzione, cominciò a svuotarla di ogni suo componente. Quanta roba poteva contenere quell’affare?
“No, no, no, decisamente…no…” esclamava ad ogni oggetto estratto, con tono sempre più seccato “…ma dove diav….Ah….eccoti!”
Con lo sguardo brillante come uno smeraldo, la giovane sollevò una piccola boccetta squadrata, il cui tappo in sughero pareva avere una circonferenza quasi maggiore dell’oggetto stesso; all’interno della bottiglietta vi era una vecchia pergamena, piegata più e più volte su se stessa, fino a formare un piccolo quadrato.
Eccolo, l’incantesimo. Ce l’aveva fatta e senza troppa fatica.
Con un sorriso soddisfatto stampato sulle labbra, Jean si preparò a soffiare via lo spesso strato di polvere dalla boccetta, in modo da mirare con più attenzione ciò che avrebbe estratto di lì a poco.
“Avevo capito che eri una bugiarda...ma non pensavo anche una ladra!”
L’improvvisa voce di Henry fece andare l’aria di traverso alla ragazza che, per poco, non finì col soffocarsi.
“Oh maledizione Henry…mi hai fatto morire!” esclamò stizzita, una volta ripreso il controllo.
“Si può sapere che stai facendo…Jean o come cavolo ti chiami?” continuò risentito il ragazzino a braccia incrociate, dal cui tono si evinceva tutta la delusione nei confronti della giovane.
“Mmmm…sto cercando un modo per recuperare la memoria?!” tentò Jean.
“Direi che non abbocco…”
“Già…immaginavo…”
Fattasi improvvisamente seria, Jean mise la boccetta dentro la tasca del cappotto, avvicinandosi di qualche passo a Henry.
“Non dovresti essere a scuola?”
“A scuola?...Dopo che l’ultima arrivata mi ha fatto il terzo grado su mia madre e la sua cripta? Forse mi hai preso per uno stupido ma non lo sono!” rispose Henry, stringendo con rabbia la cinghia del suo zaino.
Si era fidato di lei, l’aveva aiutata quando nessuno, compresa Emma, non facevano altro che guardarla con sospetto e rabbia; e lei come lo aveva ripagato? Tradendolo alla prima occasione.
“Direi che è stato un bene saltare la scuola…” continuò Henry, con il consueto coraggio che contraddistingueva la sua famiglia.
“Non direi che è stato un bene…” rispose con tono sommesso Jean.
“Io dico di sì…e adesso dammi quello che hai messo nella t…”
Henry non fece in tempo a terminare la frase che Jean, con un semplice gesto della mano lo fece sbattere addosso alla parete, facendo finire a terra lo zaino e lasciando il ragazzo sospeso in aria.
Era forte. Molto forte. Non sembrava risentire minimamente dell’uso della magia.
Decisamente non un tipo alle prime armi.
“V…vuoi uccidermi?!”
“No…ma che dici?!” sbottò sconcertata la ragazza, rimanendo ferma al suo posto “…ti ho appeso lì sopra solo perché avevi cattive intenzioni…tutto qua!”
“Disse la profanatrice di cripte!....” non riuscì a trattenersi il giovane Mills “…e comunque non avevo cattive intenzioni!”
“Ohhh sì che le avevi Henry….te lo si leggeva negli occhi. E credimi…non sbaglio mai!” sottolineò la ragazza, accompagnando l’ultima parte con un sorriso che le illuminò lo sguardo.
“Quindi…non vuoi uccidermi?!”
“No…”
“Bene…”
“Bene!” ripeté Jean, non staccando mai lo sguardo dal ragazzo appeso alla parete.
“Quindi puoi lasciarmi andare?”
“Direi di no!”
“…non puoi tenermi qui per sempre. Si accorgeranno della mia assenza e…Regina verrà qui, prima o poi!”
“Lo so…lo so maledizione…lo so!” cominciò ad innervosirsi la ragazza, ricominciando a camminare su e giù per la cripta, scrollando le mani come se ciò bastasse a farle venire un’idea. Un gesto insolito, che la mente di Henry si ostinava a voler collegare a qualcosa.
“Non avevi pensato all’eventualità di venire scoperta?” le chiese il giovane Mills, dopo qualche minuto di silenzio.
“Certo che no!...mi dico mi hai vista? Ho una perspicacia invidiabile…era tutto sotto controllo!”
“Wow…non si può certo dire che non ti manchi l’autostima!” esclamò Henry, stupito da quel comportamento tanto sicuro di sé.
“Dono di famiglia”
“E la tua famiglia è felice del modo in cui ti stai comportando adesso?! Mentire, rubare…”
“Tu. Non. Sai. Niente. Della. Mia. Famiglia!”
Nel momento in cui la parola “famiglia” fuoriuscì dalle labbra di Henry, il tono e lo sguardo di Jean divennero improvvisamente tesi e nervosi. Evidentemente non era stata una buona idea parlare di legami parentali con la ragazza, cosa che probabilmente accomunava tutti i cattivi del mondo delle favole.
Possibile che anche lei fosse una di loro? Una cattiva arrivata non so come a Storybrooke?
Ma chi, tra i personaggi fantastici, appariva come una ragazza giovane, bella e scaltra? Non rimanevano poi molte persone da incontrare; era pur vero, però, che affidarsi unicamente alle favole come le conosceva lui era altamente riduttivo. Dopotutto Peter Pan non era decisamente il ragazzo spiritoso e sognatore di cui tanto aveva letto e Uncino…bè Uncino non aveva la permanente e già questa era una bella differenza.
Ma allora, Lei, chi era?
“No…non so nulla sulla tua famiglia...ma potresti parlarmene tu….potresti…sentirti meglio se raccontassi a qualcuno cosa ti è successo…” tentò Henry, irrigidito in quella scomoda posizione.
“Parlarne…”
“Sì…con….con me! Prova a fidarti…”
“Fidarmi…” disse la ragazza, improvvisamente distratta da qualcosa di invisibile agli occhi.
Poter parlare con qualcuno. Henry aveva ragione. Lei aveva decisamente bisogno di qualcuno, qualcuno con cui non dover fingere per tutto il tempo; qualcuno che potesse aiutarla ad ottenere ciò che le serviva. Qualcuno di cui potersi fidare.
E l’unico modo per ottenere tutto ciò con Henry era solo….era solo….
-…se lo fai non tornerai più indietro. Diventerai come Lei…-
No. No, non sarebbe mai diventata come lei. Tutto quello che stava facendo era perché Lei smettesse di esistere. Era obbligata a fare determinate scelte.
Non era colpa sua. Non del tutto.
Ma fare una cosa del genere…ne era davvero sicura? Non sarebbe più potuta tornare indietro; lui avrebbe iniziato ad odiarla, a considerarla…cattiva.
Cattiva. Era tutto il giorno che si ripeteva che non esistevano queste stupide fazioni ed ecco che alla prima occasione se ne dimenticava, iniziando a comportarsi come una stupida ragazzina alle prime armi.
Con fare nervoso la giovane si avvicinò ad Henry, faticando non poco per guardarlo dritto in faccia.
“Mi…dispiace Henry…”
“Hei…che…che vuoi fare?” le chiese il ragazzo, preoccupato e sempre più impossibilitato a muovere un solo muscolo.
“…dovevi rimanertene a scuola...”
Con un semplice gesto delle dita, la ragazza fece scendere di qualche centimetro Henry, in modo che questi sfiorasse il pavimento con la punta delle scarpe.
La gola del ragazzo si era improvvisamente fatta così secca da rendergli impossibile persino il semplice deglutire. Gli occhi di Jean parevano velati da un sottile strato di lacrime, il quale riusciva a rendere ancora più chiari quegli occhi tanto verdi; ma la cosa, invece di intenerirlo, lo agghiacciava fino alle punta delle dita.
Cosa stava per fare? Perché le tramavano le mani?
“Sarò veloce…”
E con un gesto secco, la nivea mano della giovane finì dentro al petto di Henry.
 
 
 
*Frase detta da Killian ad Emma nell’episodio 4x06
 
 
Eccoci di nuovo qui...il quarto capitolo!!!!!
Cavolo non pensavo davvero sarei arrivata fin qui; certo, so bene sono state pubblicate storie molto più lunghe e corpose, ma per essere un primo tentativo di scrittura...sono piacevolmente stupita :P Soprattutto perché vedo che le idee che avevo in testa trovano una loro collocazione….e spero continui così!!!!!
Allora….comincio come sempre con il ringraziare chi ha spento un po’ del suo tempo per leggere questa fan fiction, a chi l’ha messa tra le seguite, le ricordate e le preferite. Credetemi….è una soddisfazione indescrivibile!!!!!! Grazie di cuore!!!!!!
Ringrazio ancora chi ha commentato…(in ordine di recensione: pandina, Kerri, captainswan girl e Sere2897 ♥)...so che lo dico sempre, ma davvero….ogni volta che leggo i vostri commenti mi si dipinge un mega sorriso in faccia.  Per questo me li rileggo sempre quando devo scrivere…un toccasana per l’ispirazione :P

Spero vi sia piaciuto questo capitolo….e di non aver fatto troppi errori!!!!!
Fatemi sapere cosa ne pensate!!!!
Un abbraccio
Erin
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


“Terzo giorno di assenza in una settimana…” esclamò Emma con voce sconcertata, camminando avanti e indietro sopra al pavimento immacolato dell’ufficio di Regina “…e senza dirci niente. Che ti succede Henry?!”
Il giovane Mills non riuscì a rispondere, limitandosi a serrare le labbra sottili, impallidite di fronte a quel silenzio. In fin dei conti, cosa avrebbe potuto dire: mi dispiace mamma, ma sai com’è…Jean mi ha strappato il cuore dal petto usandomi come suo braccio destro e non ho avuto il tempo di chiamarti?
No, di certo non avrebbe capito. E come avrebbe potuto? Nemmeno lui riusciva a capacitarsi di quello che era successo.
In un primo momento, quando le dita sottili della ragazza erano entrate dentro al suo petto, la paura e lo shock avevano lasciato spazio alla sicurezza e alla speranza; ricordava bene le parole di Regina durante il ritorno a casa dall’Isola che non C’è e sapeva che nessuno avrebbe più potuto osare rubargli il cuore grazie al suo incantesimo di protezione. Ma allora perché la mano di lei continuava ad immergersi dentro al suo petto? Perché nessuna luce l’allontanava da lui? Perché non si era creata la stessa barriera che aveva allontanato Peter Pan? Bè, semplice…non c’era, era svanita, nel nulla e, con una tristezza impossibile da non notare, Jean aveva finito con lo stringere tra le mani il suo cuore quasi dorato.
Ed ora era lì, a sorbirsi l’ennesima paternale per un comportamento di cui, purtroppo, non aveva avuto il minimo controllo.
Da quella famosa mattina, Jean aveva iniziato a volerlo accanto, soprattutto quando si trattava di infrangere qualche regola; spesso gli “chiedeva”, sempre se si poteva parlare di richiesta quando a farlo era il possessore del tuo cuore, di prendere qualche libro di incantesimi dalla cripta di Regina o, raramente, dal negozio di Gold, ora completamente gestito da Belle.
Purtroppo non sapeva cosa tramava la ragazza, la fiducia non era di certo aumentata con il trascorrere dei giorni; al contrario, pareva quasi che il senso di colpa per l’avergli strappato il cuore avesse soppresso completamente qualsiasi impulso alla parola.
Jean si era chiusa in un silenzio ostinato, limitandosi a leggere e rileggere quello strano foglietto, da tempo custodito all’interno di quella singolare boccetta di vetro, non parlava, non rideva, non lo stracciava a qualche insolito gioco di carte. Se ne stava lì, seduta sopra al pavimento della stanza dove l’aveva incontrata la prima volta, in attesa di qualcosa, qualcosa di cui doveva assolutamente riuscire a scoprire qualcosa.
“Henry…che ti succede?”
La voce e le mani di Emma sul suo viso, lo riportarono alla sedia su cui era seduto da più di un’ora. Gli occhi di sua madre erano davvero verdi, non se ne era mai reso conto. O meglio, se ne era reso conto, ma in quel momento, con quella preoccupazione dipinta in volto, parevano illuminarsi ancora di più. Era preoccupata, era davvero preoccupata per lui e questo lo uccideva.
Quanto avrebbe voluto dirle cosa stava succedendo, dirle che aveva bisogno del suo aiuto, bisogno che si accorgesse che qualcosa non andava.
-Aiutami mamma….- pensò il giovane, urlando a gran voce dentro la sua testa.
“Non ho niente….sono solo un po’ stanco. Questa storia dell’Autore mi ha un po’ stancato…e avevo bisogno di svagare un po’…scusa se non te ne ho parlato….”
Henry interruppe velocemente il contatto visivo con la madre, ferendo non poco il cuore di quest’ultima.
Emma si allontanò di qualche centimetro da Henry, cercando in quello sguardo un qualcosa che confermasse i suoi sospetti. Negli ultimi tre giorni, suo figlio si stava comportando in modo strano, il suo sesto senso non sapeva più in che modo farglielo capire. Saltare la scuola, non chiamare nessuno della sua famiglia, apparire freddo e distaccato. Quello non era Henry, lo sapeva e non aveva di certo bisogno che fosse lui stesso a dirglielo.
Dall’altra parte, però, non sapeva cosa potesse essere successo.
In un primo momento aveva pensato che qualcuno, o meglio una persona in particolare, avesse osato rubare il cuore al ragazzino, com’era successo a Killian poco tempo prima con Tremotino; ma Regina aveva subito scartato quella possibilità ricordandole che, dopo la disavventura con Peter Pan, nessuno, a parte lei, avrebbe potuto prendere il cuore di Henry.
Ma allora cosa gli stava succedendo?
Biancaneve, sua madre, aveva optato per una cotta, descrizione accolta perfino da Uncino che, a quanto pareva, pensava saperne qualcosa di fascino femminile. Suo padre le aveva detto che forse era davvero affaticato da quel continuo susseguirsi di eventi.
E lei? Lei continuava a non esserne del tutto convinta. Henry era un ragazzo sveglio, non di certo il tipo che si lasciava abbindolare da una ragazzina arrivata da chissà dove.
“Posso andare?...direi che Regina non ci raggiungerà…” esclamò con voce stanca il ragazzo.
“O…ok, andiamo! Ti accompagno da lei…” gli rispose con voce altrettanto demotivata la Salvatrice.
Henry aveva ragione; stavano aspettando Regina da più di un’ora e né i messaggi né le telefonate avevano incontrato un qualche tipo di risposta da parte dell’ex Cattiva della Foresta Incantata; un atteggiamento decisamente poco tipico di lei, soprattutto se si trattava di Henry.
L’improvviso suono dell’arrivo di un messaggio spezzò il pesante silenzio che, opprimente, regnava da qualche minuto tra madre e figlio.
 
HO AVUTO UN IMPREVISTO. VEDIAMOCI DOMANI MATTINA ALLA CRIPTA.
 
Concisa, misteriosa e poco chiara: ecco un tipico messaggio di Regina.
E se fosse successo qualcosa?
-Ok…direi che sto entrando nella paranoia…- si auto ammonì la bionda, cingendo dolcemente le spalle del figlio e dirigendosi verso il suo amato mezzo di trasporto.
Il viaggio verso la casa di Regina fu immerso in un costante silenzio e la cosa finì col mettere maggiormente in allarme Emma; Henry che non la tempestava di pazze teorie riguardanti il libro, l’Autore o qualsiasi altra cosa riguardasse loro e quella città? No, no e poi no. Il ragazzo nascondeva qualcosa e se con Killian aveva fatto un errore non fidandosi ciecamente del suo istinto, questa volta avrebbe fatto qualcosa di concreto, aiutando Henry senza il bisogno che questi avvalorasse i suoi sospetti.
Una volta arrivata a destinazione, la giovane Swan accostò accanto al marciapiede, a poca distanza dalla maestosa abitazione del Sindaco.
La luce della camera da letto di Regina era accesa; chissà cos’era riuscita a trattenerla da una ramanzina ad Henry. Quella mattina, quando aveva scoperto dell’ennesima assenza da scuola, era sembrata decisamente preoccupata e arrabbiata; sembrava fremere dalla voglia di qualche chiarimento, soprattutto vista la sua antipatia verso Jean. Non a caso, Regina aveva più volte proposto di riservarle lo stesso trattamento offerto al Signore Oscuro, esiliandola da Storybrooke, ma nemmeno lei si era mostrata molto d’accordo in proposito, o almeno non prima di aver scoperto chi diavolo fosse.
“Buonanotte….” esclamò Henry, lanciando una veloce occhiata in direzione della madre per poi scendere velocemente dall’abitacolo.
“Buonanotte ragazzino….”
Il giovane Mills raggiunse di fretta il portone d’ingresso, per poi sparire dietro di esso senza mai voltarsi indietro.
Emma rimase ferma in quella posizione qualche altro minuto, come se una sorta di rivelazione universale potesse pioverle dal cielo. Cosa che, ovviamente, non accadde; perché a Storybrooke piovevano ragazze, maledizioni, cristalli di specchio…qualunque cosa, ma non rivelazioni di qualche genere.
Distrattamente guardò l’orologio, accorgendosi di quanto tempo fosse trascorso da quando aveva trovato Henry vagare da solo lungo la strada: erano quasi le 10.10 di sera, tardi per andare in giro e presto per rientrare a casa con i suoi genitori che, sicuramente, anelavano a qualche ora insieme senza la presenza di entrambi i loro figli.
Ennesima occhiata all’orologio. 10.12.
Senza pensarci troppo su, la Salvatrice mise in moto il motore del maggiolone giallo, per poi sgommare lungo la strada principale della città.
 
 
***
 
Terza bussata.
Nulla.
Forse stava dormendo.
Alle 10.20 di sera? A quell’ora? No, non ci avrebbe creduto neanche se l’avesse visto con i suoi occhi.
Quarta bussata; se non avesse risposto nemmeno a quella se ne sarebbe andata.
E come immaginava, anche questa volta nessuna risposta, nessun rumore di stivali. Chi l’avrebbe mai detto, stava davvero dormendo; o, con più probabilità, era in giro a fare chissà cosa, eventualità molto più prevedibile.
Proprio nel momento in cui Emma stava per voltare le spalle alla porta in legno di quercia, questa si spalancò, rivelando la figura di un giovane uomo vestito in maniera informale: maglietta a maniche corte di un tenue grigio scuro, pantaloni di cotone neri, piedi scalzi e capelli, come al solito, ribelli e assolutamente perfetti.
Emma non riuscì ad emettere un solo fiato di fronte a quella vista.
“Swan…è successo qualcosa?” chiese allarmato l’uomo, avvicinandosi di un passo a lei.
Emma rimase con la bocca semiaperta, non riuscendo a distogliere lo sguardo da chi che aveva di fronte.
“Emma…” la esortò.
“I…i tuoi jeans…il giubbotto di pelle…che fine hanno fatto?” esclamò Emma, non forzandosi di trattenere il tono stupito.
Killian, da parte sua, non tentò minimamente di trattenere il sorriso che, spontaneo cominciò a prendere vita sul suo viso. Quanto amava il modo di fare di quella donna; così diretto e sincero da lasciare senza alcuna via di scampo, anche quando si trattava di prenderlo in giro.
“Nonostante la tua famiglia pensi che non mi lavi abbastanza spesso...non porto sempre gli stessi abiti Swan…soprattutto quando vado a dormire…”
“Pensa che nutrivo perfino qualche dubbio sul fatto che ci andassi a dormire…” incalzò Emma, sorridendo a sua volta,
Killian sorrise di nuovo, alzando gli occhi al cielo di fronte a tutta quella sfrontatezza; lo provocava, lo provocava di continuo e lei non aveva idea dell’effetto che avevano su di lui simili provocazioni.
“Allora…stavi dormendo?”
“No…stavo leggendo…”
“Oh…è la serata delle rivelazioni!” esclamò divertita Emma.
“Sei venuta qui solo per prendermi in giro tesoro?”
“Non ti sto prendendo in giro….”
“Mmm già, ragione…da quando ho aperto la porta non mi stacchi gli occhi di dosso!” la provocò il pirata, appoggiandosi allo stipite della porta con le braccia incrociate, divertito dalla piega che stava prendendo quella conversazione.
Emma si limitò a buttare fuori l’aria, deviando solo per un attimo lo sguardo da quell’uomo decisamente troppo sicuro di sé.
Perché non perdeva mai occasioni per tentare di metterla in imbarazzo? Riuscendoci ben poche volte per giunta. E perché non la smetteva mai di essere così maledettamente….affascinante?
-Che diavolo vado a pensare….- si ammonì Emma, per la seconda volta quella sera, schiarendosi la gola con fare distratto. Probabilmente, però, si ritrovava ad ammettere quello che pensava dalla prima volta che i suoi occhi si erano posati sulla figura misteriosa di quel famoso pirata.
“Vuoi entrare?!”
La voce, ora meno sarcastica, di Killian interruppe i pensieri della giovane Swan, ritrovandosi ad accettare l’invito senza quasi rendersene conto.
La stanza appariva tale e quale a come l’aveva vista la prima volta, con l’unica differenza di un libro aperto sopra le lenzuola semi sfatte.
“Capitan Uncino che legge un libro….direi che l’influenza di Belle comincia a farsi sentire!” esclamò Emma, voltandosi in direzione del giovane Jones.
“E’ un libro sulla navigazione…non si discosta così tanto dalla mia vita dopotutto!” le rispose divertito, avvicinandosi di qualche passo alla donna “…e poi non c’è molto da fare da queste parti!”
“Attento a quello che speri..” esclamò leggermente cupa la bionda “….Immagino tu non sappia usare la tv!”
“Parli di quell’affare da cui si può vedere la vita degli altri?.....non sono un ficcanaso Swan!”
Killian Jones e la tecnologia, uno spasso per chiunque.
Ovviamente il Capitano aveva finito con lo scambiare il televisore per una sorta di oggetto magico da utilizzare per guardare di nascosto gli altri; idea non del tutto stupida se la si guardava dal punto di vista di chi proviene da un mondo prettamente magico e privo di alcuna tecnologia.
“Killian…la tv non è magica...”
“Credimi…l’altro sera c’erano due che, sicuramente, non avevano idea di essere guardati…”
“Sarà stato un film Killian…e un film è finto. Serve solo a….ad intrattenere la gente ecco!”
“E la gente si intrattiene guardando lì dentro?...”chiese incerto Killian, indicando l’elettrodomestico posato sopra ad un mobile di fronte al letto.
“sì….di solito sì!”
“E tu lo fai?”
“Ultimamente non ho mai avuto molto tempo per…rilassarmi! Però…a volte sì, lo faccio” rispose Emma, rendendosi conto solo in quel momento che, per l’ennesima volta, gli eventi di Storybrooke, avevano finito con influenzare del tutto la sua vita.
Killian corrugò leggermente la fronte, spostando lo sguardo dalla bionda al televisore alla sua sinistra. Senza dire una parola, il giovane Jones lanciò un sorriso ad Emma, che sembrava voler dirle tutto e niente allo stesso tempo.
“Ho un’idea….Se non ricordo male Swan…un giorno mi hai chiesto di essere paziente…”
“Sì…ricordo…”
Senza alcun preavviso, i battiti del cuore di Emma presero un’improvvisa impennata, accelerando in maniera indiscutibilmente rilevante; forse venire di sera tardi nella camera di un pirata non era stata una delle sue trovate più geniali. O forse sì…
Dopotutto era da tanto che Killian le dimostrava le sue intenzioni, probabilmente l’unico uomo che per più di un anno non aveva fatto altro che pensare a lei, nonostante le possibilità di riuscita sembrassero pari a zero. L’aveva corteggiata, aiutata, seguita in un viaggio nel passato, aveva abbandonato la sua nave per lei…e ora stavano ufficialmente insieme; ed erano lì, nella sua camera da Granny.
Oh ma da Granny…
“…e quella volta mi hai promesso che avremmo visto insieme…ne…netflok!”
“Netflix!...”
“Quello che è…”
“V…vuoi vedere Netflix?...un…un film on demand?” esclamò, emettendo un sospiro a dir poco trattenuto.
E cos’era quella, delusione?
“Usi parole troppo strane Swan…” l’ammonì il pirata, avvicinandosi al letto e chiudendo il libro ormai messo da parte “…allora? Lo facciamo?” le chiese di getto, guardandola con quel suo penetrante sguardo blu.
Emma spalancò gli occhi, conscia che questa volta il cuore aveva letteralmente smesso di battere.
“C…cosa?!”
“Guardiamo un film…” le disse, lanciandole un sorriso alquanto furbo; sapeva bene che a che gioco stava giocando, la stava provocando come al solito, divertendosi come un matto dietro a quelle sue labbra maledettamente affascinanti. “…a che pensavi Emma?”
“A niente…”
Si limitò a rispondere la giovane Swan, voltandosi dall’altra parte e togliendosi il cappotto, troppo pesante con tutto quel caldo; qualcuno doveva improvvisamente aver aumentato il riscaldamento.
Conscia del lieve rossore che le imperlava il volto, Emma appoggiò il cappotto sopra la sedia, vicino al fedele indumento da pirata di Killian. Senza dire una parola si avvicinò al letto matrimoniale, sopra cui il giovane Jones si era già comodamente steso, con i cuscini sistemati vicino alla spalliera fungendo come una sorta di schienale. Il pirata le lanciò l’ennesimo sorriso, per poi tirarla dolcemente per un braccio ed obbligandola a prendere posto accanto a lui.
“Allora…come funziona questo affare?” esclamò Killian, armeggiando irritato con il telecomando.
Stava cercando di smorzare la tensione, lo vedeva; e questo lo rendeva ancora più dolce e affascinante agli occhi di Emma. Anche in un’occasione così sciocca si preoccupava dei suoi sentimenti, del modo in cui si sentiva, arrivando a fare qualcosa che probabilmente nemmeno gli interessava, come guardare qualche stupido film alla tv. In fin dei conti, però, stare insieme significava anche quello no? Fare cose per il solo scopo di far piacere all’altro. Ma lei cosa faceva per lui? Non capiva un granché di navigazione e non si metteva di certo a saccheggiare o depredare, anche se quelli erano comportamenti più vicini al vecchio Capitano Jones. Forse, però, avrebbe potuto iniziare a fare anche lei qualcosa di piacevole per lui, qualcosa di tanto superficiale quanto normale, come facevano le coppie del mondo reale. Tipo andare a fare un giro in barca insieme, come faceva spesso Killian insieme ad Henry.
Sì glielo avrebbe proposto, senza dover per forza aspettare che le cose in città si sistemassero.
“Dammi…” esclamò sorridendo la Salvatrice, afferrando il telecomando e impostando qualcosa da vedere.
Non c’era che dire, la Vedova Lucas non si faceva mancare nulla, neppure l’abbonamento a Netflix.
Senza badare troppo alla scelta, Emma selezionò uno dei film proposti, per poi appoggiare la testa sulla spalla di Killian, lasciando che i lunghi capelli biondi cadessero lungo il braccio del pirata. Questi rimase immobile, godendosi quel momento con ogni fibra del suo essere. Lei era lì, insieme a lui; aveva scelto di stare con lui per trovare un po’ di tranquillità, per sentirsi bene; e questo valeva decisamente più di mille occhiate languide o provocanti.
Istintivamente, Killian cinse la vita di Emma con il braccio destro, appoggiando a sua volta la testa sul capo biondo della donna.
E rimasero così, felici, rilassati, a guardare un film di cui, probabilmente, non avrebbero ricordato neppure la trama.
 
***
 
Non seppe dirlo con esattezza, ma si era addormentata; sicuramente durante un momento cruciale del film, appisolata sulla spalla di Killian che per tutta la sera non aveva mai dato cenno di essere infastidito da quella posizione
Ed ora era lì, nel bel mezzo di quello che avrebbe potuto essere il cimitero di Storybrooke, se non si fosse trattato di un sogno.
Perché nulla di ciò che vedeva era reale, ne era certa; primo segnale fra tutti, indossava il suo amato giubbotto di pelle rosso che, ne era certa, si trovasse dentro all’armadio di sua madre. In secondo luogo, era sicura di non essere mai uscita dalla stanza di Killian, almeno credeva di esserne certa.
Poco importava, perché quello era un sogno, un sogno di cui sentiva non avere il minimo controllo.
Senza lasciarsi sopraffare dal panico, la giovane Swan iniziò a camminare, accompagnata dal crepitio emesso dai suoi stivali a contatto con il terreno.
Il cimitero non era mai stato così perfetto. L’erba appariva così verde che neanche l’estate poteva vantare un simile effetto; gli uccelli cinguettavano e i raggi del sole illuminavano ogni cosa. La perfezione, se non fosse stato per il luogo in sé. Nel cimitero vi erano pochissime lapidi, una decina, forse anche meno; tutte assolutamente pulite e per nulla intaccate dal tempo; perfino la cripta di Regina pareva aver subito un rinnovamento.
E poi c’era lei, di nuovo: la bambina dall’abito blu. Se ne stava ferma, di spalle, di fronte ad una pietra tombale apparentemente più vecchia e sporca rispetto alle altre. I capelli questa volta cadevano sciolti, in lunghe ciocche di un intenso castano scuro, nonostante i riflessi offerti dal sole.
Emma stette immobile nella sua posizione, pensando a quale fosse la mossa più intelligente da fare; avrebbe voluto avvicinarsi, ma qualcosa le diceva che, nel momento in cui avesse osato farlo, tutta quella perfezione avrebbe cessato di esistere.
“Sei ancora qui….” la voce candida della bambina riecheggiò nel luogo silenzioso, scuotendo la Salvatrice.
“Questa volta però potremmo dire che è casa mia...”
“Lo so…” esclamò rattristata la bambina, voltando lievemente il capo in direzione di Emma “…volevo salutarti…”
Quelle parole riuscirono a far sciogliere un po’ della tensione creatasi nel cuore della giovane donna, tanto che non provò alcun timore nel vedere la bambina voltarsi del tutto e avvicinarsi a lei, con quei piedini ancora scalzi e sporchi.
“…perché appari nei miei sogni?!” chiese Emma, inginocchiandosi vicino alla bambina.
“Sei tu che vieni nei miei…”
Lo sguardo di Emma divenne più nervoso, lasciando trasparire tutta la confusione che provava dal verde intenso dei suoi occhi. Quella bambina l’aveva già vista, ne era certa, e qualcosa le diceva che non doveva sforzarsi poi molto per capire chi fosse.
“Tu…sei la ragazza appena arrivata in città vero?...sei Jean?!”
“Jean…? No…non ho un nome così strano…” rispose lievemente divertita la bambina, concedendosi di fare un leggero sorriso, così dolce e familiare da togliere il fiato.
“Già…anch’io ho la sensazione che quello non sia il suo vero nome!”
“…non si deve mentire. Io non mentirei mai...i miei genitori non vogliono che dica le bugie. È…sbagliato…”
“E hanno ragione...” disse Emma, ricordandosi solo in quel momento che stava parlando con una bambina di neanche sei anni “…e tu…hai un nome più bello?”
“Mmmm…sì…ma...” cominciò a parlare la piccola, guardandosi intorno con fare preoccupato ed arrivando a sussurrarle all’orecchio le successive parole, come se temesse di venire ascoltata da qualcuno di invisibile agli occhi “…ma non posso dirtelo, altrimenti Lei scopre dove sono…”
“Oh…lei…chi?”
L’improvvisa immagine della donna incappucciata, avvolta dalle fiamme, invase la mente di Emma; non seppe spiegarsene il motivo, ma qualcosa le diceva che era quella Lei di cui parlava la bambina.
“Parli della donna che mi hai fatto vedere l’altra volta?...insieme a quelle creature...quella era la Foresta Incantata vero?Tu…tu vieni da lì…è successo qualcosa?” la giovane Swan non riuscì a controllarsi, ponendo alla bambina domande di cui, probabilmente non avrebbe potuto darle alcuna risposta.
“Io...io non….”
Gli occhi della bambina si fecero improvvisamente lucidi, velati da lacrime che non tardarono molto prima di rigare completamente quel volto pallido e candido.
Emma si rimproverò per il suo modo di fare, alle volte decisamente privo di tatto. Era una bambina, la bambina di un sogno certo, ma pur sempre un essere indifeso, al di là di quella che avrebbe potuto nascondere una prima apparenza.
Attenta a non aggravare ulteriormente la situazione, Emma si ritrovò ad abbracciare quell’esserino così piccolo e magro; i lunghi capelli biondi si mescolarono alle folte ciocche castane, divenendo quasi un tutt’uno di due colori.
 Si sentiva vicina a lei, nonostante non riuscisse a capire chi fosse o da dove provenisse, sapeva che doveva aiutarla, in qualche modo.
“Scusami...non volevo spaventarti…”
“Io volevo solo salutarti…” disse, con la voce interrotta dal pianto e con lo sguardo nascosto nel petto della Salvatrice.
“Lo so…mi dispiace…”
“Ma…sono arrivata tardi…”
“T…tardi?!” chiese Emma, allontanando leggermente il volto della piccola dal petto “…tardi in che senso…”
“Lei è già stata qui…”
La bambina si allontanò leggermente dalla figlia di Biancaneve e il Principe Azzurro, volgendo nuovamente lo sguardo verso la lapide solitaria che, poco prima, stava osservando.
Con il cuore in gola, Emma si alzò nuovamente in piedi, facendo un passo verso quella pietra tombale così fuori luogo rispetto al resto delle lapidi, bianche e perfette, che la circondavano. Un’improvvisa brezza cominciò a smuoverle i capelli e far alzare in volo gli uccelli, ora stranamente silenziosi.
Tutto sembrava mutare, quasi rispecchiando l’angoscia e il timore presenti nell’animo della Salvatrice.
Ad ogni passo, tutto cambiava, compreso il cielo, ora ricoperto da fitte nubi nere.
A due metri dalla lapide, il cuore di Emma si fermò, gelando completamente il sangue che, involontario, continuava a scorrerle lungo le vene.
Quello era un sogno. Quello era un sogno. Nulla di quello che vedeva era reale.
Come un mantra, Emma continuava a ripetersi nella mente quelle parole.
Il suo giubbetto rosso era a casa, il cimitero di Storybrooke non era così e lei…lei era nella camera di Killian, incapace di risvegliarsi da quel maledetto sogno.
Perché di quello si trattava.
E quelle lettere intaccate dal tempo non erano assolutamente vere.
Già…ma allora perché, ad ogni minuto trascorso a fissarle, parevano sempre più reali?
 
EMMA SWA….
AMATA  MADRE,  M…
“La Salvatrice….”
 
Non tutte le lettere erano visibili, ma poco importava; quelle presenti lasciano ben poco spazio alla fantasia.
Stava guardando la sua tomba.
Lei era...morta.
“No…non è possibile…”
Di scatto Emma si voltò, cercando conferma da quella bambina che, per la seconda volta, aveva finito per intaccare ogni sua certezza. Purtroppo, però, non vi era nessuno dietro di lei; la bambina era scomparsa e con lei il sole e la pace che fino a poco prima regnavano incontrastati in quel posto.
Emma si guardò intorno con fare nervoso, stringendo con tutte le sue forze le mani a pugno.
Lei. Non. Era. Morta.
 “TORNA QUI?” urlò con voce quasi sgomenta la Salvatrice, camminando lungo l’erba ora incolta del cimitero “ Non puoi farmi vedere una cosa del genere  e poi andartene maledizione!”
Emma si portò i capelli dietro la testa, impegnando tutta se stessa per non perdere il controllo. E ora? Cosa avrebbe dovuto fare? Doveva voltarsi, doveva guardare un’altra volta quella tomba? Sì e probabilmente avrebbe visto che si trattava di un’allucinazione, di uno stupido sogno privo di senso.
Di scatto la Salvatrice puntò nuovamente lo sguardo verso la lapide, accorgendosi di quanto si fosse allontanata da lei; ed ora, davanti a quella pietra tombale, vi era qualcuno.
Seduto e con la testa nascosta dietro le mani c’era...Killian.
“Killian!” urlò Emma, sentendo un’improvvisa speranza crescerle nel petto “Ehi…Uncino!”
Il pirata, però, non si mosse, rimanendo in quella posizione così carica di disperazione.
Stava…lui stava piangendo, davanti alla sua tomba. Perché? Lei era viva, stava bene, avevano trascorso la serata insieme, avevano scherzato, riso…
E se non si trattasse di un sogno? Se fosse realmente…morta.
“Oh…” non riuscendo a trovare le parole, Emma si bloccò sul posto, con le braccia stese lungo i fianchi.
Per la prima volta non sapeva cosa fare. Lentamente si lasciò cadere a terra, nella stessa posizione assunta da Killian.
Non sapeva come, non sapeva quando. Lei, però…era morta. Ma non poteva morire proprio ora; ora che aveva Henry, la sua famiglia; ora che aveva Killian.
“Adesso dovresti andare via…”
Un’improvvisa voce accanto a lei la obbligò ad alzare il capo di scatto, mettendola faccia a faccia con un volto già conosciuto.
Capelli scuri, viso ovale, occhi di un intenso verde chiaro.
Jean. Con lo stesso abito blu della bambina.
“Tu…”
“Vattene…sta arrivando…e io non sono pronta!”
E tutto divenne nero. Come la prima volta.
 
 
***
 
Di scatto Emma si mise a sedere, inspirando aria come se ne fosse stata priva per un lungo periodo di tempo.
La stanza di Killian.
Era lì, nella camera d’albergo come la sera prima.
Era….era stato un sogno. O meglio, un incubo.
Con il volto sudato, la Salvatrice si voltò alla sua destra, vedendo il proprietario della stanza immerso in un sonno a dir poco profondo. Aveva tolto l’uncino, probabilmente per evitare di ferirla durante la notte.
Un attimo. Durante cosa? Lei non avrebbe dovuto trascorrere la notte lì, ma limitarsi a guardare un film e poi tornarsene a casa.
I raggi del sole che filtravano dalle finestre, però, sembravano voler dire l’esatto contrario.
Era mattino e lei aveva dormito insieme a Killian Jones. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di vedere la faccia di suo padre in quel momento; o forse no.
Facendo attenzione a non svegliare il pirata, Emma scese dal letto, infilando velocemente il cappotto e sistemando i capelli in una stretta coda alta. Aveva appuntamento con Regina e quest’ultima non sembrava aver apprezzato molto il suo ritardo viste le chiamate sul cellulare.
“Lo sai…di solito sono io ad andarmene...”
La voce di Killian bloccò la fuga di soppiatto della Swan, facendola arrossire non poco.
“Mi dispiace…non…non volevo svegliarti…”
“Ma volevi andartene!” incalzò il pirata avvicinandosi alla donna e smorzando il sorriso nel vedere lo sguardo stanco di Emma “…tutto bene?” aggiunse, accarezzandole il volto.
“…tutto bene.”
Killian rimase in silenzio per qualche istante, sapendo che vi era qualcosa in quegli occhi così stanchi e preoccupati.
“Se ti può far sentire meglio ho sognato che tuo padre ordinava di farmi tagliare la testa!...speriamo non fosse premonitore!” esclamò, alzando divertito un sopracciglio, come soltanto lui sapeva fare.
“Già…speriamo…” rispose Emma con voce cupa, non riuscendo a fare a meno di collegare quella frase con quanto aveva sognato.
Stava succedendo qualcosa. Ne era certa.
“Scappo, prima che Regina tagli la testa a me!” si affrettò ad uscire Emma, tirando fuori i capelli rimasti incastrati dentro al cappotto.
“Ok…ci sentiamo dopo” e con lieve bacio Killian la guardò allontanarsi lungo il corridoio che portava verso l’uscita.
Mentre guidava lungo le strade già sveglie della città. Emma non riuscì a fare a meno di ammettere quanto fosse stata bella la serata insieme a Killian. Era stato bello fare le persone normali, davanti alla tv, ridendo e scherzando, come una coppia….felice.
Già e se non fosse stato per quel sogno che aveva velocemente spazzato via ogni traccia di normalità, avrebbe potuto dire che era stato tutto…perfetto.
Quel sogno, però c’era stato ed era sicura che quella bambina fosse Jean; l’averla vista al termine di quel sogno gliene aveva dato la conferma. Era giunto il momento di finirla con le maniera dolci e delicate; doveva parlare con lei, senza troppi giri di parole.
Altrimenti, un altro sogno di quel tipo e avrebbe finito col confondere la realtà dal sogno.
 
 
“Sai che ore sono Swan?” esclamò seccata Regina, nervosa dentro i suoi eleganti pantaloni neri, in tinta con il cappotto dello stesso colore.
“Scusami Regina…ma dopo la buca di ieri sera non penso tu abbia molta voce in capitolo!”
Stancamente Emma si appoggiò ad una delle colonne presenti nella parte inferiore della cripta del sindaco di Storybrooke. Aveva corso decisamente oltre i limiti di velocità pur di raggiungere il prima possibile Regina ed ora non le andava di certo di sentirsi rimproverare. Soprattutto dopo una nottata tanto burrascosa e l’assenza di una buona colazione.
“Allora…che succede?...ieri ti ho aspettato al tuo ufficio per tutta la sera!” le ricordò Emma “…il ragazzino ha saltato un altro giorno di scuola e…”
“Noti niente di strano?” la interruppe Regina.
“Di…strano in che senso?” chiese Emma, sbigottita di fronte a quel modo di fare frettoloso, quando l’oggetto in questione era il figlio Henry.
“Di strano…in me?”
“…forse un po’ più nervosa del solito!” tentò la Salvatrice, non riuscendo a trattenere uno sbadiglio “…ma nulla di strano! Perché?”
“Bene…mi fa piacere” cominciò Regina, allargando le braccia con fare sconvolto “Perché qualcuno mi ha portato via la magia!”
 
 
 
 
 
Fiiiiiiiiiiinito!!!!
Sì ho dovuto mettere un punto altrimenti continuavo a scrivere senza controllo, invece un po’ di suspense non guasta mai…ed è toccata a Regina la battuta finale :P
Vi dirò…io non ce la faccio più a tenere segrete tante cose, non so come facciano i cari Adam e Edward a farlo di continuo (se ogni tanto volessero sfogarsi e darmi qualche anticipazione mi sacrificherei volentieri :P )!!!! Mi verrebbe da scrivere tutto, chi è questo, chi è quello, cosa vuole fare……ma non possoooooooooooo!
Ok, finito lo sclero improvviso…torniamo a noi!!!!! :))))
Grazie di cuore per essere arrivati a leggere fino a qui…non avete idea di quanto mi renda felice sapere che vi piaccia questa ff e che siate un po’ incuriositi.
Quindi grazie di cuore, a chi legge e, soprattutto, a chi legge e commenta (un ringraziamento speciale alle mie fedelissime che non mi abbandonano mai, questo capitolo è tutto vostro ).
Spero di non essere andata troppo OOC con questo capitolo, volevo che i nostri Captain Swan avessero un momento tutto loro…ma mi rendo conto che è una faticaccia non lasciarsi prendere la mano e far succedere quello che tutti vorremmo succedesse *_* Spero di essermela cavata….casomai ditemi che la prossima volta miglioro :)
So che non è successo molto in questo cap…ma spero di rifarmi la prossima volta; e scusate i possibili errori ma purtroppo non ho avuto l’occasione di rileggere.
Ok ho finito.
Lasciate un piccolo commento se ne avete la possibilità, mi fa davvero davvero davvero piacere leggere cosa ne pensate…:)
Un fortissimo abbraccio
A presto
Erin
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Un silenzio teso e insostenibile era sceso nella cripta del Sindaco di Storbrooke.
Nessuno osava emettere un solo fiato, neppure gli insetti, reali padroni di quel luogo, davano il minimo cenno di una loro ipotetica presenza. Tutto e tutti tacevano, come in attesa di una qualche rivelazione.
In quella città erano successe una miriade di cose: draghi sputa fiamme, regine delle nevi, giganti arrabbiati e con spinte vendicative, streghe verdi e bellicose; tutto questo e ancor di più, Storybrooke lo aveva visto o per lo meno ne aveva sentito parlare.
Ma mai, mai nessuno, aveva visto Regina senza la sua magia.
Forse gli unici a poter vantare un simile primato erano David e Mary Margaret che, a poca distanza dal lancio del maleficio, avevano avuto modo di rapportarsi alla Sovrana senza il timore di venire inceneriti da una delle sue palle di fuoco. Ora, visto che le fate erano rinchiuse dentro al cappello dello Stregone e che, in qualsiasi caso, non avevano più alcun motivo per attaccare Regina, non rimaneva che chiedersi chi poteva aver fatto una cosa del genere.
Ovviamente in altre occasioni la lista dei sospettati avrebbe fatto impallidire chiunque, ma in quel momento vi era un solo nome che continuava a rimbalzare nelle menti dei presenti; un nome che, con ogni probabilità, era per di più fasullo.
“Bene…vado ad ucciderla!”
“Fermati…Regina!” esclamò subito Emma, portando avanti un braccio come a volerl bloccare la donna, nonostante la distanza.
“E cosa dovrei fare…rimanermene qui dentro con la coppia perfetta che mi guarda con gli occhi a cuore?” attaccò acida Regina, rivolgendo la sua ira verso la coppia che per anni e anni aveva alimentato il suo odio e rancore “…non capisco perché li hai chiamati!” aggiunse, guadagnandosi un’occhiata da parte dell’uomo, biondo come la figlia.
“Perché siamo una famiglia Regina…” esordì Biancaneve, avvolta dal suo morbido cappotto in lana rossa “…e si aiuta sempre la famiglia!”
Una. Famiglia.
Nell’udire quelle parole, la bellissima donna dai capelli corvini provò un’improvvisa fitta al petto; una sorta di dolore piacevole, un dolore che per anni aveva sperato di riuscire a provare, divorata completamente dall’odio e dal senso di vuoto.
Da quando Henry era entrato a far parte della sua vita, una pioggia d’amore aveva iniziato ad invaderla senza sosta, finendo per riempirle il cuore e l’anima di un’infinita sensazione di speranza, la speranza di meritare anche lei un lieto fine, nonostante facesse parte dei cattivi. Perché, nonostante tutto, lei era quello, una cattiva, una cattiva a cui era preclusa la felicità; a niente erano serviti i numerosi tentativi di redimersi, di migliorare, di non fare le scelte sbagliate, lei non avrebbe mai smesso di indossare la divisa degli antagonisti della storia, Robin dopotutto ne era la conferma. Ma nonostante queste convinzioni, una voce nella sua testa continuava a ripeterle di non mollare, di non perdere la speranza; e quella voce, lo sapeva, apparteneva alla sua…famiglia.
Con quei pensieri che le sfioravano la mente, Regina lanciò un veloce sguardo in direzione della donna dai capelli corti, la donna che, per anni, era stata la sua più grande nemesi. Di certo non lo avrebbe mai ammesso apertamente, soprattutto non di fronte a loro, ma in cuor suo sapeva che non tutto era perduto e che quel quarto di dollaro perso con Biancaneve avrebbe sempre mantenuto il suo valore, la sua speranza.
“…quella ragazza è molto più sveglia di quello che vuol dare a vedere!” esordì Emma, facendo qualche passo verso il centro della stanza “…perciò non possiamo permetterci nessun passo falso!”.
La giovane Swan avrebbe voluto parlare apertamente del suo timore riguardo Henry ma qualcosa, qualcosa che non riusciva a descrivere, glielo impediva; forse era l’agitazione di Regina, o semplicemente la sua insicurezza, ma sapeva che quello non era il momento opportuno per manifestare le sue preoccupazioni nei confronti del figlio, non senza uno straccio di prova.
Dopotutto cosa avrebbe potuto dire? Ho la sensazione che Jean abbia portato via il cuore al ragazzino? No, avrebbe unicamente alzato un polverone e dato l’opportunità a Regina di ucciderla, senza bisogno di ulteriori conferme.
“Cosa proponi di fare?!” chiese David, incrociando le braccia al petto, mostrandosi ancora più attento.
“Dobbiamo capire cos’è successo…”
“Te lo dico io cos’è successo, sono senza magia…ed è stata quella maledetta ragazzina”
“E si può fare?” chiese stupita Emma, volgendo lo sguardo in direzione di Regina “…perdere la magia intendo. Quando me ne volevo sbarazzare non mi era sembrata una cosa così…facile!”
“Certo che non è facile…al contrario, è quasi impossibile. Ma…” si interruppe bruscamente Regina, allargando visibilmente le iridi, come colpita da un’improvvisa scoperta.
“Ma?…” la esortò Biancaneve, già preoccupata per la piega che stava per prendere quella conversazione.
“Ma…esiste un modo per…donarla!”
“Donarla?...in che senso?”
“Nel senso chiaro del termine…darla a qualcun altro!” chiarì Regina, sempre più stupita.
“…non ricordo mi fosse stato proposto quando Ingrid mi aveva mandato in corto circuito!” disse Emma, leggermente punta sul vivo.
“Perché non è una cosa così semplice da fare…” spiegò Regina, il cui tono sembrava essersi fatto meno sicuro rispetto a poco prima “…per farlo è necessario avere una serie di elementi: possedere in entrambi i casi la magia..”
“E qui ci siamo!” spuntò Biancaneve, ricordando l’episodio in cui il bicchiere di Emma aveva fatto il giro della stanza, sfiorandola di un solo millimetro.
“…avere un legame con la persona in questione…”
“E tu pensi di avere un legame…con lei?” insistette Emma, il cui volto si era fatto scuro come in tutti i presenti.
“Certo che no! Non l’ho mai vista in vita mia!”
“Di che genere di legame parli? Di sangue?” chiese David.
“Non necessariamente…” spiegò la Sovrana, sedendosi vicino al baule semiaperto, lisciando distrattamente il tessuto elegante dei suoi pantaloni “…vi sono vari tipi di legami…familiare, personale…”
“Ok…altro elemento?” l’affrettò Emma, sempre più preoccupata.
“bè…ovviamente…il permesso da parte della strega!”
“Che tu non le hai dato…?!” si informò David, sapendo di aver leggermente esagerato con quella precisazione.
“Direi di no!” sottolineò seccata la donna.
“Però tu sei sicura che si tratti di questo…di…donazione e non di altro…perché?” le domandò Biancaneve che, dopo tutti quegli anni di conoscenza, seppur non sempre benevola, poteva vantare una certa esperienza di quello sguardo corvino.
“Perché qualcuno è entrato nella cripta…e…manca un incantesimo dalla mia riserva…”
“E fammi indovinare…non si tratta di un rimedio per la notte!” ironizzò Emma, incrociando a sua volta le braccia al petto.
Regina non rispose, apparendo a dir poco preoccupata.
Nell’esatto istante in cui Regina aveva messo piede all’interno nella cripta, ogni cosa, ogni, parete, urlava una sola cosa: qualcuno è stato qui.  Ampolle e candele in posti diversi da dove li aveva lasciati, il baule semiaperto, tracce di scarpe che andavano su e già. Chiunque avesse osato profanare la sua cripta, non sembrava essersi particolarmente preoccupato di oscurarne le tracce. Al contrario.
“Ogni strega tiene sempre con se un incantesimo donativo…una sorta di eredità da lasciare nei momenti… bui!” spiegò Regina, quasi in difficoltà “…personalmente non avevo mai pensato di farne uno. Ma dopo la visita della mia cara sorella…ho iniziato a prendere in considerazione l’idea…per…lasciare a qualcuno la possibilità di utilizzare la mia magia… nel caso di una mia improvvisa dipartita intendo…”
Emma rimase per un attimo senza parole. Regina, Regina Mills, che pensava ad un modo per proteggere gli altri, nel caso in cui fosse morta. Certo, sapeva che il principale pensiero di Regina era l’incolumità di Henry, cosa che lei condivideva in pieno, ma qualcosa le diceva che un simile gesto andava ben al di là dell’amore materno, che una parte in lei cominciava a sentirsi parte di qualcosa di grande, qualcosa che andava protetto, nonostante il passato.
Meritava un lieto fine, Regina Mills meritava un lieto fine più di molti altri, ne era certa.
“Quindi manca l’incantesimo in questione…” esclamò Biancaneve, riportando l’attenzione dei presenti sul problema attuale.
“Esatto!”
“ma…hai detto che questo incantesimo non l’hai creato da molto…” chiarì David, avvicinandosi alle donne.
“Affatto….poco dopo l’incantesimo che ha colpito Marion”
“…una vera coincidenza che qualcuno l’abbia cercato proprio ora!” continuò il Principe, corrugando la fronte come spesso faceva la figlia, quasi a sottolineare la condivisione genetica che vi era tra i due.
“Qualcuno? Vuoi dire quell’insopportabile ragazzina?!”
“Non siamo sicuri sia stata lei Regina…” sottolineò Biancaneve, seria.
“Io lo sono!”
“E anch’io…” esclamò improvvisamente la giovane Swan, sostenendo la versione di Regina e guadagnandosi un’occhiata quasi sconvolta da parte di Mary Margaret.
Sapeva bene quanto sua madre si impegnasse a vedere sempre il bene e il buono nelle persone, e in più di un’occasione aveva seguito il suo esempio, ricavandone anche delle piacevoli sorprese; ma in quel caso, con Jean, c’era ben poco da sperare. Da quando era arrivata in città, quella ragazza era riuscita solo a costruire un gigantesco castello di bugie, aveva reso strano Henry e, in particolar modo, non aveva accennato un minimo tentativo di legame con lei, Uncino o Regina; sembrava evitarli come la peste e qualcosa le diceva che non era assolutamente una cosa da sottovalutare, come del resto non era un caso che Regina avesse perso il suo incantesimo poco dopo averlo creato. Chiunque si fosse recato lì dentro sapeva bene cosa cercare, e tutto in quel luogo e in quella conversazione riconduceva ad un’unica persona: Jean.
“Quella ragazza nasconde qualcosa dal suo arrivo…e il mio sesto senso mi dice…”
“Non puoi basare un giudizio sul tuo sesto senso Emma…” la rimproverò Biancaneve, visibilmente delusa da quel comportamento.
“In questo momento sento che è la cosa giusta…” continuò decisa la figlia, il cui sguardo acceso e sicuro di sé sembrava esprimere chiaramente cosa si muovesse dentro il suo cuore.
Non voleva andare contro a sua madre e quello sguardo pieno di disapprovazione la feriva come mai avrebbe immaginato; ma lei era convinta, convinta che il suo superpotere la stesse conducendo verso la verità.
Dal canto suo, David preferì rimanere in silenzio, non prendendo le parti né della figlia né della moglie. Conosceva Biancaneve e amava il suo innato senso di giustizia verso chiunque, ma allo stesso tempo, aveva imparato a conoscere e altrettanto amare la forza e la convinzione della figlia che, in più di un’occasione, aveva finito col salvare la vita a tutti loro. Mettersi dalla parte di una delle due avrebbe unicamente finito col peggiorare le cose e in un momento come quello non era di certo la cosa più auspicabile.
 “Quindi…che si fa?” esclamò Regina, più preoccupata dall’assenza della sua magia che dei problemi tra madre e figlia.
“Non faremo niente…” le rispose Emma, la cui mente aveva già iniziato ad elaborare un piano d’attacco “…o almeno, niente che lei si aspetti!”
“Non penso si aspetti che io la uccida!” continuò vendicativa Regina, le cui dita fremevano per riottenere la possibilità di creare intense sfere di fuoco.
“Che intendi?!” chiese il Principe alla figlia, ignorando la frase pungente di Regina.
“Dobbiamo giocare d’astuzia…come fa lei. Ora, come minimo, si aspetterà che tutti…o quasi, parlino del fatto che sei senza magia, per lo meno si aspetterà di sentirlo da Henry!”
“E invece…?” le chiese David, incuriosito dal piano della figlia.
“E invece le faremo credere il contrario. Tu Regina ti presenterai da Granny come se nulla di ciò fosse accaduto. E quando te ne starai per andare…svanirai in una delle tue consuete nuvole di magia…”
“Il problema è svanire in quel modo senza magia!” sottolineò l’elegante donna dagli occhi scuri.
“Ti aiuterò io!” la confortò Emma, sorridendo soddisfatta.
“Tu?!”
“Certo!”
“Non per infierire Swan ma non sei stata l’ottima allieva che credi…”
“Lo so…ma non devi farmi un corso accelerato...non di tutto almeno. Solo del paragrafo sparizione…”
“Solo…”
“Sì!” confermò la bionda, allargando il sorriso “sono riuscita a far sparire l’Uncino di Killian…con te non sarà poi così diverso!”
Esasperata, Regina alzò gli occhi al cielo.
“Nonostante comprenda la componente emotiva che ti lega a quel..Uncino…” esclamò la donna, sottolineando appositamente l’ultimo termine, ricco di significati “…forse è meglio limitarsi alla comparsa di un’oggetto Swan…non vorrei ritrovarmi in mezzo all’oceano!”
“O…ok! Va bene comunque…” l’accontentò Emma, visibilmente risentita dalla poca fiducia dimostrata dall’ormai consolidata amica.
Dal canto suo, Regina non riuscì a fare a meno di alzare nuovamente gli occhi al cielo.
Quella giornata continuava a peggiorare a vista d’occhio e qualcosa le diceva che non sarebbe finita lì.
 
***
 
“Ciao Henry…pensavo fossi dalla Nonna!”
La voce calda e accogliente di Jean lasciò il ragazzo disarmato, per l’ennesima volta. Non sapeva come ci riuscisse, soprattutto dopo che gli aveva strappato il cuore dal petto senza troppi complimenti, ma ogni volta lo accoglieva in quel modo: felice, serena, fiduciosa. Ok no, forse fiduciosa era un termine esagerato, ma c’era qualcosa in quello sguardo verde, nel modo in cui gli sorrideva, che gli faceva capire quanto lei ci tenesse a lui.
Sembrava quasi pentita dalla piega che stavano prendendo gli eventi, ma impossibilitata a fare altrimenti; glielo si leggeva in faccia in ogni momento, anche ora, mentre se ne stava a gambe incrociate a leggere il libro di favole che gli aveva chiesto di portarle qualche giorno prima.
Chissà, forse era presente anche lei nel libro, ma nessuno, compreso lui, ci aveva mai fatto caso.
Una cosa, però, era chiara: lei doveva riuscire nel suo intento; tutto ciò che stava facendo, dal più piccolo movimento, era finalizzato a qualcosa di grande, qualcosa che andava ben al di là della semplice acquisizione di qualche potere. Lei aveva un piano e tutto sembrava andare come lei aveva previsto, almeno fino ad ora.
Ecco perché era sicuro che quanto aveva scoperto avrebbe presto spento quel sorriso radioso.
Lentamente il ragazzo andò a sedersi sul pavimento impolverato, a poca distanza da dove si trovava la ragazza. Nessuno aveva messo piede in quella casa abbandonata, per lo meno non da quando loro la usavano come quartier generale e, chissà perché, la cosa lo indisponeva. Che bisognava fare per essere aiutati in quella città? Non tutti disponevano di ghiaccio e neve a volontà per attirare l’attenzione.
“Hey…tutto bene? Sei silenzioso…”
“Tutto bene…
“Hai visto tua madre?!”
“Sì…”
“Quella senza magia o l’altra?!” ironizzò Jean, con un lieve tono amaro.
“A dire il vero quella senza magia…aveva la magia!”
“Cosa…?” come predetto dal giovane Mills, il lieve sorriso ebbe vita breve sulle labbra della giovane ragazza dai capelli castani, le cui dita per poco non lasciarono la loro presa sul grosso libro di Storybrooke “…che vuoi dire?”
“Quello che ho detto: Regina aveva la sua magia…”
“E’ impossibile…stai mentendo!” esclamò scioccata Jean, alzandosi in piedi, questa volta lasciando cadere il pesante volume sul pavimento.
“E come posso mentirti…ti ricordo che hai il mio…”
“Lo so!” lo interruppe nervosa la ragazza, portandosi i capelli dietro la nuca, decisamente fuori di sé.
Ovviamente Henry non lo ammise a voce alta, ma poco prima, quando aveva visto Regina far comparire l’ultimo fumetto dei suoi supereroi, aveva provato un profondo senso di paura e…speranza; speranza che tutto si sarebbe sistemato e che loro, alla fine, avrebbe vinto. Nel momento in cui Jean aveva lanciato l’incantesimo aveva temuto il peggio; quella ragazza era già molto potente con la sua magia, l’idea che avesse a disposizione anche quella di sua madre lo aveva a dir poco preoccupato.
Non sapeva per quale motivo se ne fosse scordato, ma la voce credente nella sua mente aveva ricominciato ad urlare a gran voce il fatto più ovvio: loro erano i buoni e i buoni vincevano sempre. E la Regina davanti a lui ne era la conferma: sicura di sé e nel pieno delle sue facoltà.
Ad alleggerirlo, inoltre, vi era il fatto che nessuno, nemmeno Emma, era apparso in ansia per qualcosa. Se sua madre avesse perso la magia, come minimo avrebbe cercato Jean e preteso la sua testa su un piatto d’argento. Invece tutto sembrava…normale.
Non c’era altra spiegazione: Jean aveva fallito e con ciò la sua speranza poteva riprendere a galoppare.
“Forse hai sbagliato qualcosa con l’incantesimo!” ipotizzò il ragazzo, lanciando uno sguardo verso la ragazza.
“Non ho sbagliato proprio niente!” sbottò Jean, avvicinandosi di qualche passo ad Henry, rimasto seduto come poco prima “…se così fosse, non riuscirei a fare questo!”
E con quella frase, Jean fece apparire un’intensa sfera di fuoco nella sua mano destra, così calda e potente da far sbiadire i tenui raggi del sole pomeridiano. Quell’inconfondibile globo infuocato sembrava letteralmente portare la firma di sua madre, cosa che rendeva ancora più incomprensibile quanto aveva visto poche ore prima da Granny.
“Regina però aveva la sua magia…credimi!”
“Bè…poco importa...l’incantesimo è riuscito, ne sono certa!” esclamò Jean, lievemente più calma rispetto a poco prima.
Dopotutto, se qualcosa fosse realmente andato storto lo avrebbe saputo, lei glielo aveva spiegato bene; il fuoco ne era la prova, come del resto lo era tutta quella potenza che, da ieri, le scorreva nelle vene. La magia di Regina era dentro il suo corpo, senza alcuna ombra di dubbio; e chissà, forse avrebbe persino potuto fermarsi lì e accontentarsi di quello che aveva ottenuto senza bisogno di mettersi nuovamente in gioco Già avrebbe potuto…
“Ma forse non è di questo che devi preoccuparti adesso…” la richiamò la voce di Henry, facendola nuovamente adombrare.
“E di cosa dovrei preoccuparmi…?”
Henry stette in silenzio. Non voleva dirglielo, non voleva assolutamente rivelargli cosa aveva sentito dire dalla sua famiglia; era un segreto e suo nonno si era raccomandato tanto perché lo rimanesse, nonostante l’amicizia che, secondo loro, lo legava a Jean. Sapessero di quanto si sbagliavano.
Durante il tragitto verso la casa abbandonata, si era convinto di avere tutte le capacità per nascondergli il piano organizzato per incastrarla; non glielo avrebbe detto, ne era certo.
Ma perché ora che era lì tutte le certezze sembravano essersi sciolte come neve al sole? Era bastato guardarla, ricordarsi che il suo cuore era in mano sua, ascoltare la sua voce, che la sua mente aveva iniziato a spingerlo verso la confessione.
Che dire, avrebbe tranquillamente potuto chiamarla “Operazione Tradimento”.
“Allora?!” insistette la ragazza.
“Tra non molto scopriranno che sei stata tu ad entrare nella cripta di mia madre…e...ad avermi rubato il cuore!”
“Ah sì? E come riuscirebbero a scoprire tutto questo?” gli chiese Jean, quasi divertita.
“Con il Nodo!”
“Il…Nodo?”
“Esatto…con il Nodo non-ti-scordar-di-me”
“E sarebbe di grazia?”
“Non sono riuscito a capire bene cosa fosse ma…credo sia una specie di anello, fatto con una corda magica…lo ha dato Will Scarlett a Belle…”
“Quella Belle è sempre in mezzo…”
“E’ mia nonna…” esordì risentito il ragazzo “…più o meno”
“E allora?!” esclamò seccata “…cosa farebbe questo coso…Nodo?”
“Dicono riesca a mostrare cosa è accaduto nel passato sul luogo verso cui si guarda!”
“…non ho capito un accidente!” non riuscì a trattenersi la ragazza, guardando Henry con occhi sgranati.
“Guardandoci dentro è possibile vedere eventi passati…legati a quel preciso posto” tentò di chiarire Henry, sentendosi sempre più in colpa.
“E loro vogliono portarlo alla cripta?” chiese preoccupata, conoscendo già in cuor suo la risposta.
“Proprio così…”
“E vedrebbero tutto quello che ho fatto…” concluse la ragazza, lasciandosi cadere a terra, con la schiena appoggiata alla parete scrostata del muro; gli occhi spalancati, indirizzati verso un punto imprecisato.
Henry rimase in silenzio, non riuscendo a comprendere il motivo di tutto quel comportamento. Ovviamente aveva immaginato che la giovane non avrebbe fatto i salti di gioia nell’apprendere che Regina non era disarmata e che a breve tutta la città avrebbe scoperto quanto aveva fatto; ma quello che le si leggeva ora in volto non era rabbia, né frustrazione. Jean era…triste, infelice. Sembrava quasi che le importasse l’opinione che la sua famiglia si sarebbe fatta nel vederla compiere quei gesti a dir poco nobili. Ma perché? Perché le importava quando il suo unico obbiettivo era danneggiarli?
Jean rimase in silenzio per un minuto che sembrò durare un’eternità.
Il cuore della giovane, invece di accelerare i suoi battiti, sembrava essersi bloccato, risalendo invasore fino alla gola, donandole un’intensa sensazione di nausea; la stessa sensazione di quando si sa che sta per succedere qualcosa di brutto o si ha appena commesso uno sbaglio così imperdonabile da lacerare il cuore e le conseguenze sfilano ineluttabili nella mente aumentandone l’angoscia.
Un momento prima tutto stava andando nel migliore dei modi: Henry era con lei, aveva acquisito i poteri di Regina, quasi tutti la consideravano dalla loro parte…e ora? Ora era ad un passo dal baratro.
“Devo prenderlo…”
“Cosa?”
“Lo sai cosa. Dove lo tengono?”
“...non puoi andare lì…”
“E perché no…?”
“Non credo lo tengano incustodito…”
“E io non credo che questo sia affar tuo…” sottolineò la ragazza, alzandosi velocemente in piedi “Dimmi dove si trova quel maledetto Nodo”
E nonostante Henry in cuor suo cercasse con tutte le sue forze di tenere segreta almeno quell’informazione, ogni fibra del suo essere rideva nel confermargli il contrario.
 
***
 
 
“Swan…possiamo andare?”
La voce dell’affascinante pirata riuscì a ridestare Emma, persa nuovamente nei meandri dei suoi infiniti pensieri, seduta davanti alla scrivania del suo ufficio. Quella città avrebbe finito con il causarle un invecchiamento precoce, altro che figlia della stessa età della madre, avrebbe finito con l’apparire più vecchia e rugosa dei suoi stessi genitori. Per fortuna, però, aveva sempre quella persona accanto, il cui obbiettivo era supportarla in ogni occasione, anche quando il principale pensiero erano le troppe preoccupazioni.
“Non sono così sicura sia una buona idea…” lo contestò la bionda, stringendo leggermente le labbra, come faceva ogni qualvolta qualcosa non la convincesse del tutto.
“Lo è invece…fidati!”
“Dovremmo usarlo subito…in poco tempo avremmo tutte le risposte che ci servono, senza il pericolo di incorrere in qualche imprevisto…”
“Regina ha detto che deve prima preparare alcune cose per attivare quell’affare…e vista l’ora è inutile rimanere qui a fare la…guardia! Dubito possa scappare…” concluse il giovane Jones, lanciando uno sguardo sprezzante in direzione della cella che, poco tempo prima, aveva accolto il padre di Emma.
“Sbaglio o l’hai detto anche l’ultima volta con Jean?” non riuscì a trattenersi la donna, alzando leggermente le sopracciglia.
“È una corda!”
“Magica…” continuò divertita, adorava mettere in discussione le sue teorie, e questo lui lo sapeva bene.
“Ma pur sempre una corda…e in tanti anni come pirata non ne ho mai vista una darsela a gambe, fidati tesoro!” esclamò, sorridendole a sua volta e non resistendo dal lanciarle uno dei suoi sguardi provocanti.
Lasciandosi andare ad un sospiro, la giovane Swan si alzò dalla sedia, avvicinandosi al pirata poco distante da lei. Come aveva predetto, riusciva sempre ad alleggerirle la mente, e questo lo rendeva in qualche modo…speciale, più speciale di chiunque avesse mai conosciuto.
Non era il genere di donna che si divertiva a mettere a confronto gli uomini della sua vita e forse l’unica volta che si era ritrovata a farlo era stata quella sera in cui aveva elencato ad Uncino quanti avessero subito una veloce dipartita, alimentando la sua sensazione di esserne l’indiretta responsabile.
Killian, però, era diverso da ogni uomo con cui era stata; non sarebbe riuscita a confrontarlo con nessuno. Era spiritoso come nessuno, nemmeno Neal era mai riuscito a farla ridere nei momenti più impensabili; la faceva ridere anche quando era così nervosa che avrebbe fatto esplodere tutti i lampioni della città. Era un’ancora a cui affidarsi, sempre e in ogni occasione. Killian si fidava di lei e delle sue capacità, sempre, anche quando nemmeno lei riusciva a farlo. Lui era..era così sicuro di sé, l’aveva rincorsa in ogni occasione, in ogni tempo, anche quando niente gli dava la minima speranza di poterla conquistare.
E poi la guardava in quel modo, come nessun uomo, mai, l’aveva  guardata. La faceva sentire così bella, così perfetta, così…importante.
Killian non poteva essere confrontato con nessuno, né con Neal, a cui sarebbe stata per sempre legata, né con Graham, il primo ad introdurla alle stranezze di Storybrooke, né con…sì poteva dirlo a voce alta, né con Walsh, la scimmia volante. Killian Jones era unico e il suo cuore lo aveva capito da un pezzo.
Forse era stato questo che i suoi genitori avevano provato quel giorno vicino al Troll Bridge, quando sua madre aveva provato l’anello che poi sarebbe divenuto il simbolo del loro amore.
Calore. Fiducia. Felicità.
Amore.
“Ho fame Emma….e se bevo un altro goccetto ho paura di non essere più in grado di rispondere delle mie azioni…a meno che tu…” un sorriso sornione comparve tra le labbra del pirata, che non perse tempo per stringere Emma tra le braccia.
“Ok…andiamo a mangiare. Ti voglio sobrio…”
“Oh lo immagino tesoro…”
Come aveva pensato. L’unico che riusciva a distrarla. Sempre.
Velocemente Emma indossò il suo cappotto grigio, chiedendosi come facesse Killian a non sentire freddo con quel giubbino, dannatamente sexy certo, ma pur sempre in pelle.
L’uomo dagli occhi blu, sistemò i capelli di Emma, riservandole il dolce sorriso che lei amava pensare fosse riservato solo a lei, un sorriso carico di quelle emozioni che un giorno avrebbero dovuto esternare a parole.
“Non credo sia stata un’idea così intelligente nasconderlo sotto il letto di una cella…lì di solito non ci tengo…la magia!” esclamò dubbiosa Emma, volgendo nuovamente lo sguardo in direzione delle sbarre “…potrebbe scoprire che lo teniamo qui e…distruggerlo!”
“Dubito possa pensare che lo teniamo qui tesoro…”
“Già…perché è un’idea troppo stupida!!!”
“Esatto. Andiamo?”
Nonostante l’insicurezza e il dubbio non avessero dato il minimo cenno di voler abbandonare il cuore di Emma, questa si lasciò condurre fuori dalla Centrale di Polizia.
Avrebbero scoperto le reali intenzioni di quella ragazza. Era solo questione di tempo.
 
 
 
Nel momento in cui Emma e Killian furono abbastanza lontani dalla Centrale, Jean alzò gli occhi al cielo, ringraziando la sua buona stella per averle offerto una simile occasione. Finalmente avrebbe potuto ricominciare a muoversi.
Dal momento in cui Henry le aveva rivelato dove tenessero il Nodo, la giovane aveva dovuto attendere tutto il pomeriggio prima che la zona rimanesse deserta; inoltre, dopo essere riuscita ad entrare a fatica all’interno dell’edificio, non era trascorso un solo minuto che Emma aveva fatto il suo ingresso, dando il cambio al padre e mettendola così alle strette. L’aver sentito la sua voce cristallina aveva fatto gelare il sangue alla ragazza che, d’istinto, finì col nascondersi sotto la scrivania dello sceriffo.
Mai avuta idea più stupida.
Emma si era alzata e seduta una decina di volte, facendola morire ad ogni passo; sembrava non volerne sapere di tranquillizzarsi, per lo meno fino all’arrivo di Killian che, fortunatamente, era riuscito a calmarla e a tenerla lontano da quella maledetta sedia rumorosa, almeno per la gran parte del tempo.
Quando, verso fine giornata, lo stivale della Salvatrice era entrato in contatto con il suo cappotto blu, Jean aveva rischiato il secondo coma della sua vita. E se l’aveva sentita? E se quel momento di silenzio nascondeva una serie di sguardi cospiratori da parte dei due?!
Ce l’avrebbe fatta, ce l’avrebbe fatta, ce l’avrebbe fatta.
Nonostante la giovane continuasse a ripetersi quelle parole per darsi coraggio, un’insistente vocina nella sua testa non faceva che ripeterle che non avrebbe avuto la minima possibilità di riuscita; l’avrebbero scoperta e rinchiusa in una di quelle celle, obbligandola a rivelargli quali fossero i suoi piani. L’avrebbero odiata e disprezzata, come probabilmente già faceva Emma, senza bisogno di molti incentivi; e a quel punto….
A quel punto avrebbe dovuto pensare a qualcosa, perché non si sarebbe mai arresa di fronte a niente, nemmeno se ad odiarla fossero stati loro.
 
-Ho fame Emma….e se bevo un altro goccetto ho paura di non essere più in grado di rispondere delle mie azioni…a meno che tu…-
 
Nell’udire quelle parole, Jean non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto. Una sola parola di più e sarebbe uscita volontariamente allo scoperto; una tortura simile avrebbe messo in ginocchio chiunque.
 
“Dubito possa pensare che lo teniamo qui tesoro…”
 
Jean sorrise soddisfatta, dimenticando per un attimo il dolore alla ginocchia e i numerosi crampi dovuti alla scomoda posizione. Adorava non essere presa sul serio, la faceva sentire ancora più forte e piena di possibilità.
Lei non solo sapeva che tenevano lì il Nodo, ma lo avrebbe anche distrutto tra meno di qualche istante, eliminando qualsiasi possibilità di venire scoperta.
Non Killian ed Emma furono usciti e le loro voci non più udibili, la giovane dai capelli castani venne fuori dal suo nascondiglio, spendendo un paio di secondi per sgranchirsi le articolazioni. Rimanere per così tanto tempo in quella posizione l’aveva distrutta. La prossima volta avrebbe puntato all’armadio, come minimo.
Una cosa poteva ammettere di condividere in pieno con il pirata: aveva una fame da lupi; non mangiava qualcosa da quella mattina e l’appostamento fuori dalla centrale non aveva di certo sedato il suo appetito, come del resto l’essere rimasta ore ed ore rannicchiata sotto una scrivania. Anche ora che i due piccioncini se ne erano andati lo stomaco avrebbe dovuto pazientare, ma a lavoro compiuto si sarebbe concessa una cena coi fiocchi; era il minimo.
Senza sprecare altri minuti preziosi, la giovane si avvicinò alla cella accanto alla finestra, ringraziando mentalmente le sue sneaker con stampa floreale per non emettere alcun suono.
Fermandosi al centro delle due celle, Jean le osservò attentamente, ripensando alle parole dette poco prima da Emma; avevano nascosto il Nodo sotto il letto.
Già ma il letto di quale cella?
Poco male, le avrebbe controllate velocemente entrambe.
Seguendo il suo istinto, Jean entrò all’interno della cella a sinistra, non sapendo che come ultima prigioniera aveva visto niente di meno che la dolce insegnante Blanchard. Con poca delicatezza, la sottile ragazza alzò il materasso, scoprendo che non vi era nulla di minimamente simile ad un Nodo. Evidentemente la fortuna non le sorrideva in tutti i cambi.
Più nervosa rispetto a poco prima, Jean uscì dalla cella, entrando in quella adiacente, ripetendo lo stesso gesto di poco prima.
Nulla.
Sotto i materassi non vi erano corde, nodi o qualsiasi altra cosa, solo una rete arrugginita e impolverata.
“Maledizione…” sibilò tra i denti, portandosi i capelli scioli dietro la testa.
Eppure era sicura di aver sentito bene. Emma e Killian avevano parlato della cella e del materasso. Non poteva sbagliare; in fin dei conti vi erano solo due celle.
A meno che…
“…non ci siano altre celle…”
Mossa da un improvviso senso di entusiasmo, la ragazza si diresse verso l’uscita della cella.
Ciò che non si aspettò, però, fu di trovare un’improvvisa barriera invisibile che di colo le impedì qualsiasi passo al di là della soglia. Una sorta di vetro, così pulito da apparire impercettibile.
“Ma che…” con la gola improvvisamente secca, Jean non riuscì a terminare la frase.
Inquieta e spaventata, la giovane cominciò a sbattere i palmi contro quella parete magica, avvertendo la paura invaderle ogni fibra del suo corpo.
Non poteva essere, era impossibile. Non poteva essere stata tanto sciocca.
“No….” disse con il fiato corto.
“Direi di sì invece…”
L’improvvisa voce di Emma fece alzare di scatto il volto della castana, il cui sguardo sembrava essersi fatto di un verde quasi più scuro e impenetrabile, simile ai boschi adombrati da nuvole premonitrici di tempesta.
La figura perfetta e sicura della Salvatrice, fece il suo ingresso nell’ufficio dello sceriffo, dando conferma a tutti i pensieri che, in un vortice di emozioni, cominciavano a farsi strada nella mente della prigioniera.
La giovane Swan si fermò a pochi centimetri dalle sbarre, lasciando alle sue spalle chi l’aveva accompagnata.
“Penso sia arrivato il momento di fare due chiacchiere…ragazzina!”
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti!!!!
Scusate il ritardo ma più la storia va avanti e più devo leggere e rileggere quello che ho scritto….ho sempre l’impressione di creare un po’ di confusione :P (ovviamente di errori ne troverete sempre…quelli non mancano mai :P)
Grazie di cuore a tutti quelli che continuano a seguirmi, vi ringrazio davvero tanto…felice ormai non descrive più quello che provo!!!
Un sentito ringraziamento a chi ha trovato il tempo di recensire…ho letto e riletto quello che avete scritto una decina di volte!!!!!!! :) Grazie…È davvero troppo bello leggere quello che scrivete e sapere che vi piace la ff…Come farei senza le vostre recensioni :* !!!!
Quindi grazie a tutti!!! Sappiate che ho la continua ispirazione a scrivere solo grazie a voi!!!!
Spero di aver fatto un buon lavoro anche stavolta…nel prossimo capitolo si scopre qualcosa di più sulla cara Jean…promesso!!!
Un abbraccio forte
Erin

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Tic tac. Tic tac. Tic tac.
Un ritmo lento, scadenzato, così monotono e irritante nella sua staticità da risultare quasi insopportabile. Nonostante raramente venisse apprezzato il suo consueto ticchettare, l’orologio appeso alla parete diffondeva coraggioso la sua protesta solitaria, quasi a riproporre lo stesso temperamento tenace della fanciulla rinchiusa nella cella dello sceriffo di Storybrooke.
A nulla erano valse le parole dolci di Biancaneve, le definizioni offensive di Regina o l’irritazione di Emma; nessuna delle tre donne, che si distinguevano ognuna per la propria personalità, era riuscita a scalfire la fortezza invalicabile che la ragazza dagli occhi verdi aveva costruito intorno a sé. Nessuna risposta concreta, nessun appiglio da cui partire. Soltanto silenzi e sorrisi sghembi che riuscivano solo ad aumentare il nervosismo generale.
Non appena la giovane aveva capito di essere caduta nella trappola della Salvatrice, un profondo senso di tradimento e perdizione si era impadronito di lei.
Aveva fallito; era stata una sciocca, stupida ragazzina emotiva, bisognosa di qualcuno che le tenesse compagnia nella realizzazione del suo piano. Ormai era chiaro, Henry era riuscito ad ingannarla in qualche modo portandola dritta dritta nella tana del lupo; anche se, nemmeno in quel momento, riusciva a capire come ci fosse riuscito, privo com’era del suo prezioso cuore; ma poco importava dopotutto. Lei era dietro le sbarre, intrappolata da una barriera magica costruita dagli “eroi” della situazione. Aveva ceduto nuovamente ai sentimenti che, per anni, le avevano offuscato il cuore, finendo per perdere di vista le sue reali priorità. Non era più la ragazzina solare e superficiale che fantasticava sul lieto fine; no, ora era una sopravvissuta, la sopravvissuta di un assurdo incubo che mai nessuno avrebbe creduto possibile. In quei giorni aveva intravisto così chiaramente la vittoria, aveva sfiorato con le sue stesse dita la speranza di vendicare la sua famiglia, che ora il sapore della sconfitta era quanto di più amaro avesse mai provato.
Ed ora eccola lì, prigioniera in una maledetta cella, di un maledetto ufficio, di una maledetta città.
Maledetto quel dannatissimo posto.
“Dicci chi sei?!”
La voce perentoria di Emma riecheggiò tra le spesse sbarre in acciaio che, in alleanza con la barriera magica, impedivano a Jean di allontanarsi da quel luogo.
“Che dire…” esclamò annoiata la ragazza, andando a sedersi sul polveroso letto a pochi passi da dove si trovava “…preferisco mantenere l’anonimato!” aggiunse, sorridendo subdola e soddisfatta.
“Bene!”
“Bene!” fece eco la giovane alla Salvatrice che, innervosita si diresse verso il suo ufficio, seguita a ruota da suo padre e Uncino che, con l’unica mano, chiuse lentamente la porta in vetro, quasi a non voler ulteriormente irritare la donna che gli aveva conquistato anima e corpo.
“Cosa facciamo?” chiese David, non appena ebbe raggiunto la figlia.
“Dobbiamo farla parlare…”
“Cosa che, però, non sembra molto incline a fare…” esclamò il pirata, stringendo leggermente le labbra e inclinando il capo, come faceva ogni qualvolta qualcosa non lo convincesse.
“Ha il cuore di Henry…”
“Forse…Regina e Biancaneve sono andate ad assicurarsene!” cercò di tranquillizzarla il padre, osservandola mentre camminava all’interno dell’esiguo spazio offerto dall’ufficio.
“E noi dovremmo rimanere qui a non fare niente?!”
La frustrazione sgorgava dalle parole della giovane Swan, insoddisfatta dalla piega che stavano prendendo gli eventi. Nel momento in cui era riuscita ad imprigionare la ragazza aveva avuto la presunzione che tutto si sarebbe risolto in un baleno; aveva così tanta fretta di godersi un po’ di meritata pace con Uncino e la sua famiglia che non aveva preso in considerazione il fatto che anche Jean poteva avere un piano di riserva, e la tranquillità che continuava ad ostentare ne era un esempio lampante. Quella prigionia avrebbe finito col ritorcersi contro di loro, ne era certa.
“Non penso parlerà tesoro…” esclamò Uncino, rimanendo vicino alla porta che dava verso l’uscita dell’edificio “…almeno non con le maniera che le abbiamo riservato finora…”
“Che vuoi dire?” chiese il Principe James, corrugando la fronte come la figlia.
“..bè…” cominciò il pirata, attento a non farsi sentire da Jean e avvicinandosi di qualche passo ai due “…quella ragazza non mi sembra molto incline a cedere. Ma è chiaro che voglia qualcosa…altrimenti perché venire qui e sporcarsi le mani per mantenere la sua copertura quando aveva già con sé la magia di Regina?!”
“Hai ragione…se le fosse bastata quella non sarebbe venuta fin qui…” esclamò Emma, seguendo il ragionamento dell’uomo dagli occhi blu “Le serve qualcos’altro…”
“Già…qualcosa che probabilmente abbiamo noi…”
“Vuoi offrirle un accordo?” chiese sospettoso David, spaventato da quello che la prigioniera avrebbe potuto chiedere.
“Certo…le offriremo un accordo…ma non ho detto che lo rispetteremo!” sorrise soddisfatto Killian, mettendo in risalto la piccola fossetta sula guancia.
“Tipico atteggiamento da pirata…” non riuscì a trattenersi il principe, non più così soddisfatto dall’idea proposta dall’uomo in giacca di pelle.
Non c’era verso, Killian poteva cambiare abito, mettere perfino una mano finta al posto dell’uncino, ma avrebbe sempre finito col ragionare come un pirata e il suo suggerimento ne era la prova. Non sopportava quel suo modo di fare così…poco corretto. Non era quello il modo di agire; o meglio, non era quello il modo di agire dei buoni.
Già e qual era allora? Il pirata per lo meno aveva pensato ad un modo per aiutare Emma; lui poteva dire lo stesso? No di certo; l’unica cosa che gli era venuta in mente era stata assicurarsi delle condizioni di Henry, facendo così allontanare una Regina a dir poco fuori di sé e sempre più incline a vestire i panni della cara “Regina Cattiva”.
In concreto, però, il Principe non sapeva cosa fare. Jean lo aveva davvero ingannato; non riusciva a spiegarsene il motivo, ma fin da subito si era lasciato stregare dall’innocenza nascosta dietro a quegli occhi verdi. Da quando l’aveva vista, quella sera accompagnata da suo nipote, era stato posseduto dalla strana percezione che avesse bisogno di un aiuto, di qualcuno che le desse l’opportunità di ricominciare; aveva perfino suggerito ad Emma di esserle amica, criticando la sua freddezza. E com’erano andate le cose? Jean era una ladra di magia, nonché praticante di arti oscure come lo strappare cuori dai corpi. Che dire, una combinazione perfetta.
La proposta di Killian non era delle più nobili, certo, ma doveva ammettere che, in tutto quel tempo passato insieme, il pirata era cambiato; non era più lo stesso uomo sbruffone e con problemi di alcolismo. Ok…sbruffone lo era ancora, e qualche goccetto non se lo faceva sfuggire, ma aveva più volte dimostrato di non essere più guidato da sentimenti di odio o di vendetta; al contrario, da quando era iniziata la loro avventura sull’Isola Che Non C’è, non aveva fatto altro che pensare al bene di sua figlia. Sembrava ieri quando il giovane Jones lo aveva ingannato con la storia del sestante di suo fratello pur di salvargli la vita.
E adesso era qui, ancora intento a giudicarlo. Doveva smetterla di essere così duro con lui, non così spesso almeno, e iniziare a dargli una possibilità, anche quando le sue proposte discostavano così tanto dal suo pensiero.
“Ok…facciamolo!” dichiarò Emma che, senza attendere una conferma da parte del genitore, uscì fuori dal suo ufficio, dirigendosi con passo spedito di fronte alla cella di Jean, seguita a ruota dai due uomini.
“Ok vediamo di farla finita…che cosa vuoi?!” le chiese, incrociando le braccia al petto e trattenendo a stento la rabbia.
“…delle patatine…sto morendo di fame!” rispose la ragazza, la quale, stesa sulla branda, non dava il minimo cenno di voler guardare Emma negli occhi.
“Cosa che risolverebbe ogni mio problema!” rispose brusca la Salvatrice.
“Già…ma perderesti per sempre il cuore di Henry!”
“Co…”
Per un istante, la Salvatrice ebbe la sensazione di aver perso la voce. Aveva capito bene?! Aveva davvero parlato del cuore di Henry con tanta facilità? No…non poteva essere. Certo, fin da subito aveva avuto l’orribile sensazione che Jean avesse immerso la sua mano nel petto del figlio, ma Regina le aveva più volte assicurato che il cuore di Henry era protetto da un potente incantesimo, impossibile da infrangere, persino per Peter Pan. Ma allora perchèil suo super potere non avvertiva il minimo accenno di una menzogna?!
“Quindi ammetti di avergli strappato il cuore?!” sbottò la bionda, aggrappando le mani bianche alle sbarre.
“A questo punto non penso sia più un segreto…mi sembra già di sentire Regina che ordina di tagliarmi la testa…” tentò di ironizzare la giovane, non riuscendo però a nascondere un velato senso di amarezza.
“Ridammi. Il. Suo. Cuore!”
Emma stava per perdere il controllo, e il colorito rossastro emesso dalle sbarre incandescenti ne era una prova lampante.
Aveva preso il cuore di Henry, quella maledetta ragazza aveva il cuore di suo figlio; non le serviva una confessione più chiara di quella.
Nonostante si trovasse dietro le sbarre, Jean continuava ad essere in una posizione di vantaggio, come lo era sempre stata dal suo arrivo a Storybrooke ed era arrivato il momento di cambiare le carte in tavola.
-Il piano di Uncino…- una voce nella sua mente le ricordò quanto Killian le aveva detto poco prima nel suo ufficio, infondendole la possibilità che, forse, non tutto era perduto. Avvertendo la presenza del pirata a pochi metri da lei, Emma si preparò a mettere in atto il piano del giovane Jones.
La ragazzina era sveglia? Bene, loro lo sarebbero stati di più. In fin dei conti erano riusciti a rinchiuderla in quella cella, senza troppi problemi per giunta. Rimaneva una sola cosa da fare: capire cose volesse e proporle uno scambio.
Emettendo un sospiro a dir poco forzato, la Salvatrice staccò le mani dalle sbarre, ritrovando la calma che, fino ad ora, sembrava essere completamente assente.
 “Te l’ho già chiesto…cosa vuoi?”
“E io ti ho già risposto…” continuò la ragazza, ferma nella sua posizione supina.
“…cosa vuoi….in cambio del cuore di Henry?”
Incuriosita dalla piega che aveva preso la conversazione, Jean si alzò di scatto dalla brandina su cui era rimasta sdraiata fino a quel momento, apparendo straordinariamente silenziosa con le sue scarpe impolverate. Le parole di Emma avevano decisamente fatto centro, incuriosendo non poco la ragazza dai lunghi capelli castani.
Lentamente, Jean si avvicinò alle sbarre della cella. I capelli, raccolti in un disordinato chignon, mettevano maggiormente in risalto il suo volto pallido e i grandi occhi chiari, dai quali si poteva leggeva chiaramente il sospetto e il dubbio insiti nella ragazza.
“Mi stai proponendo un accordo?”
“Forse…”
La giovane Swan strinse forte le mani a pugno, controllandosi non poco per non distruggere la barriera magica creata grazie all’aiuto di Belle.
Per un secondo il silenzio regnò sovrano tra le due, le quali non sembravano affatto intenzionate a staccare lo sguardo l’una dall’altra. Quattro occhi immersi ognuno nelle iridi chiare dell’altro, carichi di sentimenti impossibili da lavare via da quello sguardo verde e penetrante: tristezza, rabbia, malinconia, rancore, sentimenti così diversi e, allo stesso tempo, così affini.
“No invece…” esclamò la ragazza, sorridendo.
“No cosa?!”
“Volete fregarmi…”
Emma si limitò a corrugare leggermente la fronte, mantenendo i nervi saldi, come solo una cacciatrice di taglie sapeva fare.
“Pensavo di averti già fregato…” sottolineò Emma, indicando la cella in cui era rinchiusa.
“Lasciami indovinare…” cominciò la prigioniera, ignorando la battuta della bionda e spostando lo sguardo dietro le sue spalle “…volete propormi un accordo, ottenere il cuore di Henry…e in cambio lasciarmi qui…giusto?!”
Emma non riuscì a fare a meno di spalancare gli occhi, colpita dall’ovvietà con cui quella ragazzina aveva elencato ogni loro singola azione, presente o futura che fosse; come aveva fatto? Era riuscita a sentirli? Poteva leggere nelle loro menti? Impossibile, ne avrebbe sicuramente approfittato per evitare di cadere in quella loro trappola. Sempre se, a quel punto, ci fosse caduta di sproposito. Era davvero così scaltra?
Emma rimase in silenzio, osservando Jena come con sguardo duro e diretto.
“Ehi...pensavo avessi smesso di fare il pirata!?” urlò la castana all’uomo con l’uncino, aggrappandosi alle sbarre come aveva fatto Emma poco prima.
Killian, a pochi metri dalle spalle della Salvatrice, irrigidì la mascella, lanciando uno sguardo incuriosito verso la fanciulla che di certo non rispondeva al nome di Jean.
“Mai…tesoro!” le rispose, sorridendo senza però riuscire a coinvolgere il suo penetrante sguardo oltreoceano.
Jean sorrise a sua volta, per poi staccarsi di scatto dalle sbarre della sua insolita prigione, come se avessero improvvisamente iniziato a bruciare.
“Vuoi sapere cosa voglio?....bene…” esclamò innervosita, come se tutto ciò la colpisse direttamente al cuore; cuore che sembrava quasi non possedere “…voglio i tuoi poteri Salvatrice!”
“Che cosa?!”
La voce di Killian, a poca distanza da dove si trovava Emma, anticipò la risposta di quest’ultima; velocemente il giovane Jones si avvicinò a sua volta alle sbarre, come a voler sostenere la donna che amava in un momento tanto delicato. Tutto avrebbe mai immaginato, ma non che la richiesta riguardasse la magia di Emma, soprattutto dopo aver appurato l’abilità della giovane nell’impossessarsi di ciò che voleva senza bisogno di chiedere il permesso.
“I miei poteri…?!” ripeté sconvolta Emma, spalancando nuovamente le iridi verdi dei suoi occhi.
“Esatto” confermò la ragazza, allargando le braccia con fare ovvio “…se avessi potuto toglierti la magia come ho fatto con Regina non saremmo qui…fidati…”
“Non mi dire…”
“Con la magia del sangue è sempre un gran casino! Limitiamoci a dire che mi serve che sia tu a darmela…Se lo farai…ti ridarò il cuore di Henry. Promesso!” esclamò, facendo seguire all’ultima parola un’immaginaria croce sul cuore che fece ulteriormente ribollire il sangue della Salvatrice.
“E se non lo facessi? Potrei trovare il cuore di Henry senza bisogno che sia tu a darmelo…”
“Certo!....ma allora che ci fate qui?…” esclamò Jean, deglutendo a fatica.
Era tutto così difficile, così maledettamente difficile.
Certo, fin dall’inizio sapeva che il suo piano aveva una possibilità di riuscita pari a zero; come sapeva che tutto ciò in cui credeva, tutti i suoi ricordi, il suo amore, sarebbero stati messi a dura prova per l’intero arco del suo soggiorno lì a Storybrooke. Ma essere lì, vivere e toccare con mano ogni istante, parlare e ferire chi aveva davanti, era quanto di più difficile e doloroso avesse mai immaginato. Ad ogni parola, ad ogni sguardo il suo cuore sembrava riempirsi di veleno, un veleno tanto tossico da riuscire ad annebbiarle la vista, come solo le lacrime sapevano fare; e forse, in quel momento, proprio di quelle si trattava.
“E a cosa ti serve tutta questa magia…Jean?” sottolineò il nome la Salvatrice “...chi mi dice che poi non ci ucciderai uno ad uno…”
Per un attimo, Emma non seppe spiegarlo, ma qualcosa nello sguardo della ragazza cambiò; gli occhi divennero improvvisamente lucidi e più verdi di quanto fossero mai stati; le guance assunsero un colorito rossastro, come dovuto ad un’eccessiva circolazione sanguigna, e il labbro inferiore sembrò tremare in maniera quasi impercettibile.
Sembrava incredibile ma quella ragazzina stava…per piangere; come la bambina del suo sogno.
“L’accordo è questo…o mi dai la tua magia o puoi dire addio al cuore di….tuo figlio! Prendere o lasciare…” mordendosi il labbro inferiore, la ragazza tornò a stendersi sulla brandina, incrociando le braccia sopra gli occhi, quasi a volersi letteralmente distaccare da ogni essere vivente presente nella stanza.
L’ennesimo round con quella ragazza era finito. Ora rimaneva una sola cosa da chiedersi: cosa fare?
Senza aggiungere altro, Emma uscì velocemente dalla Stazione di Polizia, deviando gli sguardi preoccupati dei due uomini che più l’amavano lì a Storybrooke.
La sua magia. Quella ragazza voleva la sua magia in cambio del cuore di Henry. E se non avessero trovato il modo di recuperarlo da soli, cosa avrebbe dovuto fare? Darle la magia e sperare che non facesse una strage o non architettasse qualche diabolico piano come gli ultimi visitatori di Storybrooke.
Solo dopo aver percorso una considerevole distanza dal suo ormai familiare posto di lavoro, Emma si accorse di non aver dimenticato il suo cappotto grigio. Faceva freddo, certo, ma non sarebbe ugualmente tornata indietro a recuperarlo; un altro istante lì dentro e avrebbe di certo agito nella maniera più sbagliata.
Quella ragazza era così prepotente, sleale, così cattiva che…che….
Non riusciva davvero a capacitarsene, ma neppure in quel momento, la giovane dai capelli dorati riuscì ad allontanare quella strana sensazione, depositata ormai da tempo dentro di lei. Stava trascurando qualcosa.
Jean aveva il cuore di Henry, la magia di Regina e li aveva ingannati tutti fin dal primo istante; nonostante ciò, il suo cuore continuava a dirle di guardare oltre, oltre quel modo di fare freddo e calcolatore, oltre tutto ciò di così ovvio a prima vista. Ma cos’era?
-…sta arrivando…e io non sono pronta!-
Bloccandosi improvvisamente sul marciapiede, Emma ripensò alle parole pronunciate da Jean durante quello che, oramai, aveva classificato come sogno. Perché le era venuto in mente proprio ora?
Ricominciando a camminare, Emma ripensò a quanto era accaduto durante il suo ultimo “delirio ad occhi chiusi”. Quella bambina era Jean, ne era certa; ma perché in quei momenti non le dava alcuna impressione di essere malvagia? Al contrario si era mostrata dolce, intristita, forse piena di dolore, ma mai cattiva; sembrava quasi volerla aiutare, nonostante non perdesse occasione di sconvolgerla in qualche modo.
Con la mente sempre più confusa, Emma chiuse gli occhi, cercando in tutti i modi di resistere al freddo di quella sera. Un minuto in più lì fuori e sarebbe congelata e per quanto odiasse ammetterlo era arrivato il momento di rientrare.
Inconsciamente aveva raggiunto la casa dei suoi genitori, ulteriore motivo per mettere un freno a quelle infinte riflessioni, così cariche di dubbi e domande. Lentamente, Emma si portò le mani alle braccia, frizionandole come poteva per recuperare un po’ della sua temperatura corporea, come aveva fatto durante il suo primo incontro con Elsa. Faceva davvero freddo e quella sua maglietta grigia, con la stampa di un corpetto nero davanti, non era decisamente l’abbigliamento giusto per affrontare simili temperature.
“Ehi Swan…sei impazzita…qui si gela!”
Ed eccolo qui. Il suo Principe pronto a salvarla. Anche se, a pensarci bene Killian aveva poco del principe e di azzurro aveva solo lo sguardo. Forse era più corretto dire: il suo Cavaliere.
Per un momento, seguendo con lo sguardo il giovane Jones avvicinarsi a lei, Emma ebbe l’impressione di vedere l’immagine di quella che avrebbe dovuto essere la sua cameretta nel mondo delle favole, dove a decorare la stanza erano state appese alle colonne in legno due bambole di pezza, un cavaliere e un ufficiale; un immagine fugace, quasi un ricordo lontano, che cerco di chiarire muovendo leggermente la testa. Nulla di verosimile, lo sapeva bene, dopotutto lei non aveva mai visto quella stanza in ottime condizioni, ma solo le rovine rimaste in seguito al sortilegio di Regina; ma le piaceva pensare che quella breve e piccola immagine potesse rappresentare un ricordo, un ricordo di quella che sarebbe potuta essere la sua vita se le cose fossero andate diversamente. *
Chissà perché si ritrovava a fare quei pensieri proprio in quel momento.
Senza dire una parola, Killian si accostò alla donna, posandole sulle spalle il cappotto che aveva dimenticato alla centrale, e massaggiandole delicatamente le braccia.
“Vieni ti accompagno a casa…” le propose Uncino, cingendole le spalle con il suo braccio destro.
“Ha il cuore di Henry…”
“Lo so…e ce lo riprenderemo tesoro!”
“E come? Dandole la mia magia?...Ci mettiamo da soli la corda al collo?” chiese di seguito la Salvatrice, non preoccupandosi minimamente di esternare la sua preoccupazione.
Ed era questo ciò che amava di più: la possibilità di essere se stessa in sua presenza; l’opportunità di non preoccuparsi di nulla, né di apparire debole né di esprimere le sue paure più profonde. Era se stessa, in ogni sua sfaccettatura, dalla più dura alla più morbida.
“Anche se dovessi trovarti nella situazione di doverle dare la tua magia Swan…questo non cambierà niente…” cominciò il pirata, guadagnandosi uno sguardo a dir poco sbalordito di fronte a quelle parole tanto sentite“…tu sei in grado di salvare questa città con o senza la tua magia. E lo hai dimostrato in varie occasioni…con Zelena…”
“Già…perché ci ha pensato la magia di Regina…” sottolineò Emma, storcendo leggermente la bocca delineata.
“…ma tu non hai idea della forza e della speranza che riesci a dare!….” continuò Killian, staccandosi da lei e guardandola dritta negli occhi “Sei vitale per questa città e per le persone che hai attorno…riesci a rendere felice chi hai davanti e nemmeno te ne rendi conto…non hai bisogno di nessun tipo di incantesimo o magia!” aggiunse con sguardo emozionato “Te l’ho già detto tesoro…non ti ho mai vista fallire…e so che non succederà proprio ora!”
La voce del pirata, solitamente così sicura e audace, si fece improvvisamente bassa e rotta da una commozione impossibile da descrivere a parole; quella donna era comparsa senza alcun preavviso nella sua vita e ora, davanti a lui e con lo sguardo lucido e smarrito, era ciò che di più caro avesse al mondo; lei, così poco abituata a sentirsi essenziale per qualcuno, ma così speciale da essere unica e insostituibile.
Gli era stata presentata come Emma Swan la Salvatrice; una donna sicura di sé e pronta a tutto pur di aiutare il figlio. Non sapeva cosa avrebbe dovuto salvare e, forse, non lo avrebbe mai saputo, ma una cosa era certa; Emma Swan era il suo lieto fine, e lo sarebbe sempre stato, nonostante tutto.
Senza dire nulla, Emma eliminò qualsiasi distanza che la separava dal pirata, lasciando che le sue labbra aderissero perfettamente alla bocca di quell’uomo così passionale e sincero.
Perché Killian sarebbe potuto essere descritto come il pirata perfetto, scaltro e arrogante come pochi, e probabilmente sotto sotto lo sarebbe stato per il resto della sua vita, ma mai nessuno le aveva parlato a cuore aperto come faceva lui ogni qualvolta le fosse di fronte; nessuno riusciva a farle battere il cuore a quella frequenza; e nessuno si preoccupava di stringerla, come faceva lui in quel momento, attento a non farle cadere il cappotto dalle spalle.
Non aveva solo vinto il cuore; Killian Jones stava facendo rotta dritto verso la sua anima.
 
 
***
 
“Mamma…dove stai andando?”
La voce di Henry echeggiò tra le mura del loft, intento a fare colazione con cereali al cioccolato sopra al bancone della cucina di Biancaneve, con addosso una semplice camicia a quadri rossa e blu e un paio di jeans.
Il sole splendeva alto sopra la cittadina delle favole, rischiarando ogni cosa i suoi raggi riuscissero a trafiggere con la loro luminosità. Nessuna nuvola all’orizzonte, nessuna minacciosa tempesta in arrivo; solo brezza e pace. Perché era quella la principale sensazione che defluiva dalla temperatura e dall’atmosfera di quella mattina: un così intenso senso di calma e tranquillità da donare un non so che di perfetto a quella calda giornata.
Non vi era alcun dubbio su quanto fosse piacevole lasciarsi riscaldare da quei raggi mattutini; ma forse, ancor più piacevole per Emma, era poter indossare nuovamente la sua giacca di pelle, la stessa giacca che Uncino aveva definito come “poco alla moda” nella foresta incantata.
Ripensare a quella loro avventura riusciva ancora a farla sorridere, nonostante tutto.
Quella giornata era perfetta, sotto ogni punto di vista, più perfetta dei ricordi risalenti a New York; ma, nonostante ciò, qualcosa non tornava. Già, perché nonostante il sole, nonostante Henry fosse lì accanto a lei e nonostante ogni cosa sembrasse al suo posto, c’era qualcosa di strano in quell’atmosfera, qualcosa di inafferrabile.
“Vado da Regina…dobbiamo trovare il modo di recuperare il tuo cuore ragazzino…” gli rispose Emma, intenta ad allacciare i suoi stivali neri seduta sopra al divano a due posti.
“Quale cuore mamma?” chiese il ragazzino, sorridendo divertito, per poi tornare a concentrarsi sulla sua colazione a base di cacao.
La giovane Swan rimase per un attimo interdetta di fronte alla strana risposta da parte del figlio. Il modo in cui aveva sorriso, la rilassatezza dipinta sul suo volto, sembrava quasi che nulla degli ultimi eventi lo avesse minimamente scalfito. Evidentemente aveva voglia di scherzare e, a dirla tutta, non gli avrebbe di certo fatto male, vista l’ombrosità che lo aveva caratterizzato in quegli ultimi giorni.
Senza aggiungere altro Emma uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle senza mai alzare lo sguardo.
La bionda rimase per qualche istante ferma nella sua posizione, con la mano destra ancora appoggiata alla porta in legno verde. Quella sensazione continuava ad innervosirla e la voglia di venirne a capo rischiava di rovinare la perfezione della giornata. Era la stessa percezione di un ricordo sulla punta della lingua, pronto ad essere memorizzato perfettamente, ma impossibile da vedere perché proprio dietro l’angolo. Era difficile da spiegare, ma sapeva di essere davanti ad una rivelazione, una ovvia rivelazione che continuava a sfiorarle la mente, passandole davanti allo sguardo con un’ovvietà disarmante.
Quella giornata era iniziata così bene che non se la sarebbe lasciata rovinare da una sciocca sensazione; doveva imparare ad andare oltre il suo critico “superpotere” e sorridere come aveva fatto Henry poco prima.
Ora era il momento di andare da Regina e, una volta risolto tutto, avrebbe ricominciato a vivere la sua vita, partendo con la scelta di una casa tutta sua.
“Ma che…”
Nel momento in cui Emma alzò lo sguardo, pronta a realizzare i suoi propositi, si trovò davanti ad un immenso prato verde, perfettamente colto e guarnito da una variopinta scelta di fiori, ognuno di una tonalità diversa, simile ai pastelli dei colori. Alte querce e pini verdi, impossibili da trovare a Storybrooke, contornavano ogni cosa, rendendo quella vista simile all’opera di un artista.
Tutto appariva così perfetto e immacolato da non poter essere classificato come un reale paesaggio moderno e, in cuor suo, Emma Swan sapeva benissimo quale spiegazione dare a quel pittoresco prato comparso nella palazzina di Biancaneve.
Proprio lì, al centro di quella immensa distesa verde, vi era Regina, seduta tra i fiori accanto ad una ragazza dai capelli castani; una ragazza che, oramai, avrebbe riconosciuto ovunque e sotto qualsiasi sembianza.
Con occhi increduli, Emma osservò la scena che le si era parata davanti, ricordando in continuazione a se stessa di cosa si trattasse in realtà: un maledetto inganno della mente. Ma com’era possibile? Jean era rinchiusa in una cella magica che bloccava completamente la sua magia. Come poteva giocare di nuovo con la sua mente?
Ogni cosa di quanto stava vedendo oltrepassava oltre ogni dire i limiti dell’assurdo. Regina non poteva trovarsi lì, seduta in mezzo all’erba, incurante di poter macchiare il suo impeccabile abito firmato, accanto a Jean, la ragazza responsabile di aver rubato il cuore al loro figlio.
Sogno o meno, tutta quella storia doveva finire, ne aveva abbastanza.
“Ehi!” urlò Emma, correndo in direzione delle due figure a poca distanza da dove si trovava “Regina!?”
Regina, però, non rispose e non diede alcun segno di aver udito la voce della Salvatrice, né di aver colto il suo volto scioccato ad un metro da lei; continuava a rimanere seduta lì, intenta a fissare le mani della ragazza accanto a lei, la quale a sua volta, pareva non aver notato la presenza di Emma.
“Allora?…mi vuoi dire che sta succedendo?” insistette la bionda tentando di toccare la spalla della donna, ma accorgendosi solo in quel momento di non avere la forza di muovere un solo muscolo in direzione delle due presenti; era come se una forza invisibile e indescrivibile, le impedisse di toccarle o anche solo sfiorarle.
Allora era davvero di nuovo un sogno?
Ma non era possibile. Quella mattina ricordava benissimo di essersi alzata, di aver parlato con Henry di quanto facesse caldo quella mattina e di…
Un secondo. Faceva caldo?...non era possibile, non poteva fare così caldo, soltanto ieri aveva rischiato l’ennesimo congelamento dopo essere uscita senza cappotto.
Ma, ad ogni modo, lei ricordava benissimo di essere rientrata a casa, di essersi fatta una doccia, di essere andata a dormire e poi di essersi svegliata…svegliata…in un sogno.
Perciò, era vero, era finita di nuovo nella trappola di Jean, in uno dei suoi maledetti sogni ad occhi aperti, nonostante si trovasse rinchiusa in prigione.
Questa volta senza rendersene minimamente conto.
Doveva svegliarsi, doveva svegliarsi ad ogni costo, prima che quel posto cominciasse ad assumere le sembianze dell’inferno sulla terra come le ultime volte.
Istintivamente Emma alzò il suo braccio destro, con la speranza che bastasse un semplice e risaputo pizzicotto per riprendere il totale controllo del suo corpo e della sua mente; ma ciò che vide la lasciò nuovamente senza parole. Il braccio, fino a poco prima coperto dai suoi abiti, ora appariva nudo, illuminato dal sole splendente di quella giornata. Lentamente e con il cuore accelerato dalla preoccupazione, la donna guardò il resto del suo abbigliamento, accorgendosi solo in quel momento di indossare abiti del tutto diversi da quelli che aveva indossato, ma per nulla sconosciuti: una vecchia canottiera grigia, macchiata d’erba e sudore, e dei classici pantaloni neri a loro volta segnati dall’uso.
Gli stessi vestiti che aveva indossato durante la ricerca di Henry sull’Isola che Non C’è.
Con timore, la giovane Swan alzò anche il braccio sinistro scoprendo, solo in quel momento, di stringere tra le mani l’elsa della spada un tempo appartenuta a Neal. Aveva le stesse sembianze, i stessi vestiti, gli stessi oggetti, usati in passato. Ma perché?
-Che cosa…- pensò tra sé e sé Emma, corrugando la fronte e stringendo con più forza la preso su quell’elsa antica.
“Possiamo fare una pausa?...sono stanca…” sbuffò Jean, appoggiando i gomiti all’indietro e lasciando che il vento le accarezzasse i lunghi capelli scuri.
“Direi di no…abbiamo appena iniziato!” le rispose severa Regina “…riprova!”
“Ma riesci a capire cosa mi stai chiedendo?” sbottò la ragazza, guardando la Mills dritta negli occhi.
“Se te l’ho chiesto…”
“E se poi non riesco a ridartela? Ci hai pensato”
“Non credo ce ne sarà bisogno…ma impareremo anche quello…” la rassicurò la giovane Mills, posandole una mano sulla testa castana e sorridendole fiduciosa.
“ok ne ho abbastanza!” sbottò Emma non curandosi minimamente del dialogo tra le due “…smettila di tormentarmi con i tuoi trucchetti da quattro soldi! Che pensi di fare? Di spaventarmi? Prima mi fai vedere la casa della mia famiglia distrutta, poi la mia tomba…e ora? Cerchi di confondermi e farmi credere che Regina collabori con te? Ma fammi il piacere …se pensi di…”
“Emma…”
L’improvvisa voce di sua madre fece voltare di scatto la Salvatrice interrompendo quell’inusuale monologo carico di rabbia e frustrazione.
Con un dubbio difficile da celare, Emma rimase interdetta, non riuscendo a compiere un solo passo nella direzione della ormai familiare figura di Biancaneve, i cui lunghi capelli scuri e il mantello bianco apparivano identici alle raffigurazioni presenti nel libro di Henry.
Quando la giovane Swan pensava di aver capito qualcosa, tutto sembrava assumere contorni ancora più assurdi e impossibili, alimentando oltremodo la sua voglia di allontanarsi da quel luogo.
“Tu non puoi essere qui…” esclamò, fissando la donna di fronte a lei.
“No…in effetti…e nemmeno tu dovresti esserci Emma!”
“Continuate a ripetermelo…ma, credimi, non ci sono arrivata di mia spontanea volontà!” spiegò brusca la Salvatrice.
“Lo so…è stata lei!” le spiegò Biancaneve con voce serena, indicandole con lo sguardo la ragazza seduta sul prato accanto a Regina, intenta a creare un insolito cerchio dorato davanti a loro.
“Lei? Jean?”
“La ragazza insieme a Regina…esatto!”
“Chi mi dice che tu sei mia madre…e non uno dei suoi inganni…” esclamò dura Emma, alzando la spada e puntandola contro la figura nivea della madre.
“Tesoro…non posso darti alcuna dimostrazione di chi io sia…” le spiegò la donna, con un lieve sorriso dipinto sul volto “…effettivamente potrei non essere chi credi, o semplicemente potrei essere una persona diversa, cambiata nel tempo…”
Nel momento in cui Biancaneve esclamò l’ultima parola, l’immagine della donna mutò per una frazione di secondo, apparendo più adulta e in là con gli anni, con lo sguardo contornato da rughe fino a poco prima inesistenti e con segni dell’età impossibili da non notare. Quello strano scherzo di luce durò così poco da apparire quasi un’allucinazione, uno scherzo incontrollato della mente.
Emma rimase sconvolta, impossibilitata perfino ad emettere un solo fiato. I lunghi capelli biondi vennero sfiorati dalla candida brezza di quel luogo fatato, finendo per sfiorarle il braccio tonico, la cui spada, stretta a pugno, non puntava più la sua punta affilata verso la donna davanti a lei.
“Ogni cosa che vedi intorno a te, Emma, è una proiezione della sua mente…”
“Della...sua…mente?”
“Sì…non lasciare che il dubbio ti accechi…non lasciare che i suoi errori e le sue paure condizionino le tue decisioni…” disse Biancaneve, con sguardo tanto triste da apparire quasi ferito.
“Ma…non so nemmeno chi sia?!”
“Lei…è il futuro!”
“…il futuro?” ripeté scioccata Emma, deglutendo a fatica la saliva fino allora trattenuta.
“Esatto...è il futuro…il nostro futuro!”
Sempre più sconvolta, Emma posò nuovamente lo sguardo verso la giovane accanto a Regina, accorgendosi per l’ennesima volta della confidenza e della familiarità con cui le due si parlavano e, soprattutto, si sorridevano.
“V…vuoi dire che…Jean viene dal futuro?…” chiese con voce tanto stanca quanto incredula, sollevando nuovamente la spada e avvicinandosi di un’ulteriore passo all’unica persona che in quel luogo paresse simile ai suoi ricordi.
“Emma devi aprire la mente e il cuore…tutto ciò che vedi ha un senso…”
“Tutto ciò che vedo? Io vedo solo Regina insieme alla ragazza che le ha rubato la magia e il cuore di Henry! E tu mi stai dicendo che lei è il futuro…il futuro di chi? Di Regina? “ chiese con tono più alto, puntando l’indice della mano destra verso la figura alle sue spalle “Impossibile. Voglio sapere chi è…e voglio saperlo in modo chiaro, senza tutti questi giri di parole” esclamò sfinita la Salvatrice, i cui occhi apparivano arrossati e lucidi.
“Lei…è…” cominciò Biancaneve con voce mesta “lei è la speranza…”
 
 
***
“Ehiiiii”
La voce cristallina di Jean fece alzare di soprassalto il volto di Emma, appoggiato fino a quel momento sopra la scrivania del suo ufficio. Strano, non ricordava di essersi appisolata.
La sera sembrava essere scesa da un pezzo e con essa le basse temperatura di quel periodo dell’anno.
Massaggiandosi stancamente il mento, Emma cercò di stiracchiare i muscoli, rendendosi conto di aver lasciato un segno non indifferente sul suo volto roseo. Perfetto, chiunque avrebbe capito che la Salvatrice aveva dormito durante la guardia.
Raccogliendo i capelli dietro una coda alta, la bionda cominciò a guardarsi in torno, tentando di recuperare in fretta la lucidità e la chiarezza che da sempre la caratterizzavano. Odiava addormentarsi a quel modo, le dava la sensazione di non avere pieno controllo delle sue azioni e di ritrovarsi in balia degli eventi.
Lentamente si alzò dalla sedia, lanciando una veloce occhiata all’unica prigioniera presente alla stazione di polizia. La sera prima, dopo essere stata accompagnata a casa da Killian, Emma aveva concordato con quest’ultimo e la sua famiglia di organizzare dei turni di guardia alla Centrale, in modo tale da sorvegliare la ragazza fino al ritrovamento del cuore di Henry. Meno tempo trascorreva da sola e più l’intera città avrebbe potuto dormire sonni tranquilli.
Non appena Emma aveva parlato della richiesta di Jean di avere i suoi poteri, tutti i presenti, compresa Regina, avevano convenuto con il fatto che anche il considerare la cosa era da folli con manie suicide. Arrivati a quel punto, la magia di Emma rappresentava l’unica barriera protettiva di quella città e donarla a Jean era decisamente fuori questione.
Rimaneva da fare un’unica cosa: ritrovare il cuore, senza l’aiuto della colpevole.
Arricciando lievemente il naso, la giovane Swan percepì un velato odore di fumo, quasi impossibile da percepire. Ad una prima impressione, quel lieve pizzichio alle narici dava quasi l’impressione che qualcosa all’interno dello stabile stesse andando a fuoco, qualcosa di piccolo, come un foglio di carta.
Velocemente, Emma fece il giro dello stabile, pregando con tutta se stessa affinché  i suoi sospetti non fossero fondati; un incendio era proprio ciò che mancava in una situazione come quella.
Stanza degli interrogatori. Sgabuzzino. Bagni.
Tutto era in perfetto ordine, avvolto in un alone di silenzio e solitudine. A quell’ora, poco dopo cena, la città sembrava cadere in una sorta di sonno collettivo, rendendo sorprendentemente facile immaginare i suoi abitanti all’interno delle loro case, in compagnia delle persone che amavano. Quella sera, però, anche l’idea dei suoi abitanti a riposo veniva offuscata da quell’odore fastidioso e irritante.
Con sguardo corrucciato, Emma tornò nel suo ufficio, ritrovandosi ad osservare la scrivania che, fino a poco prima, l’aveva accolta in un insolito riposo.
Aveva sognato di nuovo, ne era certa, solo che questa volta, rispetto ai sogni passati, faticava a ricordare con chiarezza cosa fosse accaduto. Per quanto si sforzasse, le uniche cose che riusciva ad ottenere erano brevi frammenti di immagini sfocate, le cui protagoniste parevano essere sua madre e Regina.
“Ehiiii…ci sei? Urlò di nuovo la ragazza “lo so che mi senti…!”
L’ennesimo richiamo da parte di Jean fece alzare al cielo lo sguardo di Emma.
Con fare annoiato la bionda guardò l’orologio; suo padre sarebbe arrivato a breve.
Avrebbe potuto continuare ad ignorarla e attendere l’arrivo di David; rischiando però che quella ragazzina le incrinasse il sistema nervoso a suon di richiamarla, rendendo gli ultimi minuti del suo turno di guardia a dir poco logoranti. Decisamente una cattiva idea.
Emettendo un sonoro sbuffo, Emma uscì dalla stanza, dirigendosi verso la cella su cui era rinchiusa la ragazza.
“Che vuoi?!”
“Perché sei ancora qui?…quando viene tua madre? Lei di solito è più gentile!”
“Mi dispiace…oggi ci sono io, e per oggi niente Mary Margaret!” sottolineò la Salvatrice, porgendo alla ragazza un sorriso freddo e distaccato.
“Che gioia…” si limitò a dire Jean, volgendo lo sguardo verso la finestra che dava sulla strada.
“Dovevi dirmi altro?!”
“No…o meglio sì…Sento puzza di bruciato…”
“Oh tu guarda…pensa che io dico la stessa cosa da quando sei arrivata!”
“Ah ah…divertente!” finse una risata la castana, incrociando le mani al petto e tornando a fissare negli occhi la donna davanti a sé.
Accadeva raramente che la prigioniera volgesse lo sguardo direttamente verso Emma, e quando accadeva quegli occhi sempre duri e sicuri di sé parevano quasi incrinarsi e divenire più umani del solito. Forse era quello il motivo per cui, ogni qualvolta si trovassero faccia a faccia, Jean deviava lo sguardo, preferendo porgere le spalle, assumendo il tipico atteggiamento da adolescente frustrata e disinteressata.
In quel momento, però, la fanciulla guardava Emma dritta negli occhi, non riuscendo a nascondere quel costante senso di angoscia e inadeguatezza che, in varie occasioni, sembravano attraversarla.
“…è da un po’ che lo sento…sta bruciando qualcosa?” tornò a chiedere Jean, i cui capelli le ricadevano sciolti lungo le spalle, quasi a voler imitare l’andamento ondulato delle ciocche bionde davanti a lei.
“Non qui…” esclamò seria Emma, volgendo a sua volta lo sguardo verso la vetrata a pochi metri da loro “…forse qualcosa qui vicino!”
“Puoi assicurartene?”
“Che c’è?!...paura del fuoco?” chiese sarcastica Emma, non riuscendo a fare a meno di incrociare le braccia al petto come aveva fatto poco prima la stessa Jean.
“…sì!”
La risposta spiazzò decisamente la Salvatrice che, per un attimo, si ritrovò a fissare quel volto giovane e delicato.
Aveva paura del fuoco e lo aveva ammesso con tanta sincerità da apparire quasi una menzogna. Dopotutto, però, perché mentire su una propria debolezza; se così fosse avrebbe riferito il contrario, apparendo così la solita ragazza forte e sprezzante riguardo qualsiasi cosa le si parasse davanti. In quel momento, però, in quei grandi occhi verdi, pareva esserci ben poco spazio per il coraggio e l’astuzia.
Senza aggiungere nulla, Emma si voltò, sfilando il cellulare che, fino a quel momento, aveva tenuto nella tasca posteriore dei pantaloni.
-Emma…sto arrivando. Va tutto bene?- la voce gentile e rassicurante del padre rispose dopo solo due squilli.
“Ciao papà…si certo. Lì è tutto a posto?” si assicurò la figlia, cercando di non allarmare il genitore.
-Non saprei…sta succedendo qualcosa di strano…”
“…Che cosa succede?!” chiese Emma, decisamente più in allerta rispetto a poco prima.
-…ho fatto un breve giro della città per capire da dove provenisse questa puzza di bruciato…-
“L’hai…l’hai sentita anche tu?” gli chiese, insospettita da quella strana circostanza.
-Oh sì! Ha appestato tutto nel giro di chilometri…-
“Sta bruciando qualcosa?” chiese sospettosa Emma, lanciando uno sguardo verso la cella.
-No…è questa la cosa strana- esclamò nervoso, lasciando cadere un breve silenzio tra loro “…Faccio un giro verso il Troll Bridge e poi ti raggiungo…-
“O..ok. ti aspetto qui!”
Velocemente Emma chiuse la telefonata, stringendo con più forza l’apparecchio sulla mano destra.
Stava succedendo qualcosa, e lo sguardo di quella ragazza ne era la prova.
“Allora?” chiese ansiosa Jean, aggrappandosi alle sbarre, come a voler limitare, per la prima volta, la distanza con la sua carceriera.
“Puzza ovunque…ma tranquilla non ci sono incendi!”
Le ultime parole, però, invece di rasserenare la giovane, fecero dilatare lo sguardo verde di quest’ultima, la cui bocca finì per formare una O carica di ansia e paura.
Spavento, terrore, panico.
Sembrava non esserci termine abbastanza adatto per descrivere l’improvviso pallore dipinto su quel volto giovane e preoccupato.
“No…” disse Jean in un soffio, arretrando di un passo e lasciando la presa dalle sbarre, quasi fuse poco prima dalla stessa Swan.
“Ehi non agitarti…è solo puzza di bruciato…ti ho assicurato che non ci sono incendi…” esclamò Emma, non riuscendo a non scorgere l’ironia della sorte nel trovarsi a tranquillizzare la persona che, fino a poco prima, avrebbe volentieri messo KO come aveva fatto con Marion nella Foresta incantata.
“…te ne devi andare…” sussurrò la castana, il cui fiato sembrava essersi fatto ancora più accelerato e privo di controllo.
“Che cosa?”
“Devi andare via…” continuò Jean, posando lo sguardo sulla figura di Emma, ma continuando a dare la sensazione di guardare oltre, come in preda ad un’allucinazione ad occhi aperti.
“Non vado da nessuna parte. Spiegami che sta succedendo…” esclamò Emma, avvicinandosi ulteriormente alla cella.
Che stesse succedendo qualcosa di brutto sarebbe risultato chiaro a chiunque, ma qualcosa le diceva che il terrore in quegli occhi verdi andava ben al di là di qualsiasi cosa si potesse immaginare.
Jean era terrorizzata, terrorizzata oltre ogni dire. Gli occhi arrossati, le mani tremanti, il respiro affannoso.
In quel momento era così simile alla bambina del suo sogno, da spazzare via ogni piccolo dubbio avuto in proposito.
“È già qui..”
“Chi? Di chi parli?” continuò a chiedere la Salvatrice, la cui mente cominciò ad elaborare una serie di informazioni ad una velocità invidiabile “….ti riferisci alla donna col cappuccio? A quella che mi hai fatto veder nel sogno?”
Jean, per quanto possibile, sbarrò nuovamente lo sguardo, ritrovando un apparente controllo del suo corpo e fissando la Salvatrice con tanta intensità da riuscire quasi ad attraversarla.
“C…come fai a sapere di lei?” chiese, sempre più scioccata.
“Sei stata tu a farmela vedere…”
“Io?...”
“Sì…non fingere di non sapere di cosa sto parlando. Mi hai tormentata fino a…fino a poco fa probabilmente, entrando nei miei sogni…”
“io…io non ho fatto niente!” esclamò sbalordita, avvicinandosi a sua volta alle sbarre e ritrovandosi vicina, come non mai dal suo arrivo, al corpo di Emma “..hai…hai visto me…? Sai chi sono?”
Una voce carica di emozioni: desiderio, dolore, aspettativa.
Perché quelle parole la colpivano dirette al cuore?
Eeeeeeva
Un improvviso sibilo interruppe il litigio fra le due donne, portando entrambe ad allontanarsi dalle sbarre impregniate di magia e volgendo, in concomitanza, lo sguardo verso la vetrata accanto a loro.
Una voce sinistra e agghiacciante si inoltrò nella stanza, finendo per perdersi tra il suono inquietante del silenzio. Le due donne rimasero immobili, ognuna in attesa di udire nuovamente quel richiamo tanto sottile quanto oscuro.
Emma posò per un attimo lo sguardo sulla prigioniera, sollevata di non essere l’unica ad aver udito quella voce sinistra.
Lentamente, senza dire una parola, la giovane Swan volse nuovamente lo sguardo verso destra, dando cenno di volersi avvicinare alla finestra; doveva capire cosa stava succedendo e sperare che quella voce non fosse realmente il frutto dell’ennesima allucinazione.
Dopo un solo passo, però, il tentativo di Emma venne bloccato sul nascere.
“Nooo…”
Con voce disperata, Jean mosse velocemente il braccio verso destra, facendo librare la Salvatrice diversi metri lontana dalla finestra verso cui era diretta, sbattendo così la schiena sulla parete vicina al televisore.
Non riuscendo a credere a quanto era appena accaduto, Emma si alzò a fatica, puntando lo sguardo furente e incredulo verso la prigioniera.
“mi…mi dispiace…davvero, ma devi andartene…ti prego!”
La voce della ragazza, fin dal suo arrivo a Storybrooke sempre carica di ironia e sarcasmo, ora appariva piena di paura, la paura che solo una ragazzina della sua età poteva ostentare con tanta naturalezza. In quel momento, per la prima volta, Jean pareva davvero la ragazzina inerme e spaventata che si era finta di essere.
“C…come hai fatto…!” si ritrovò a chiedere Emma, rimanendo immobile e preferendo non avvicinarsi di un solo passo alla cella “…dovresti essere bloccata dalla magia!”
“…Io…non lo so. Ma devi andartene…non puoi restare qui…”
“Non posso andare via…Dimmi che sta succedendo…” continuò a chiederle la giovane Swan, stringendo con forza le mani rosee.
La ragazza rimase in silenzio, abbassando lievemente il capo, come alla ricerca di un’idea, di un appiglio su cui aggrapparsi in un momento come quello.
Dopo solo alcuni istanti, lunghi quanto delle ore, Jean alzò di scatto lo sguardo, puntandolo nuovamente in direzione di Emma, rimasta ferma nella sua posizione, con entrambe le mani sollevate, pronte a lasciar defluire la potente magia di cui erano le mediatrici.
“Tieni…” esclamò, facendo comparire un insolito scrigno di legno, privo di alcun ricamo o segno di riconoscimento “…è il cuore di Henry…è quello che volevi no? Prendilo…è tuo…”
Emma rimase interdetta, per l’ennesima volta in quella serata.
Le stava davvero dando il cuore di suo figlio? Il cuore che tanto aveva nascosto pur di ottenere la sua magia?  Senza attendere alcun ripensamento da parte della ragazza, la giovane dai capelli biondi raggiunse a passo spedito la cella di Jean, afferrando a due mani lo scrigno che improvvisamente aveva fatto comparire davanti a sé.
“Chi…chi mi assicura che…”
“Guardalo…” le consigliò la giovane con fare agitato, i cui occhi si facevano via via più lucidi e spaventati “…riconoscerai sempre il cuore di tuo figlio…”
Con il cuore in gola, Emma alzò il coperchio del cofanetto e, nel vedere quel cuore rosso con riflessi dorati, il suo animo fu invaso da un improvviso senso di pace e serenità. Aveva il cuore di Henry, era lì, tra le sue mani.
“Ti prego…ora va!” le ordinò Jean, spostando in continuazione lo sguardo da Emma alla finestra alla sua sinistra.
“Perché lo hai fatto?...” non riuscì a fare a meno di chiederle, stringendo al petto l’oggetto in legno”…Chi sta arrivando? Posso aiutarti…”
“No…devi solo andare via. Non puoi fare niente per me” continuò a ripetere, sempre più ansiosa, sempre più agitata.
“Se sta arrivando qualcuno io po…”
“NOOOO…VA VIA!”
L’urlo, carico di disperazione, interruppe a metà la frase di Emma, la quale, senza quasi rendersene conto, si ritrovò avvolta da improvvisa nuvola di magia blu che, una volta dissolta, non lasciò nulla che confermasse la presenza della Salvatrice in quella stanza.
Emettendo un lieve sospiro, Jean si lasciò cadere a terra, non curandosi minimamente dei capelli, ormai pieni di nodi, che ribelli le finivano davanti al volto rigato dalle lacrime.
“ti prego…ti prego…aiutami…non so cosa devo fare…” sussurrò tra sé e sé con voce incrinata, nascondendo la testa tra le ginocchia e stringendola con entrambe le mani, come a voler divenire piccola e invisibile a chiunque.
Aveva paura.
L’emozione che per tutto quel tempo aveva così ben celato a chiunque la guardasse, compresa se stessa, ora l’aveva invasa totalmente, lasciando campo libero alle lacrime salate provenienti dai suoi occhi.
Aveva perso troppo tempo. Non era stata abbastanza veloce. E ora? Cosa avrebbe dovuto fare?
Eeevaaaa…
Un improvviso sibilo tanto inumano quando terrificante, fece alzare di scatto il volto in lacrime della ragazza.
Di nuovo quella voce.
Era qui.
Era arrivata.
La Strega era a Storybrooke.
 
 
 
 
 
Allora prima di iniziare con i miei soliti vaneggiamenti una precisazione riguardante un appunto nel corso della storia:
 
 * Scusatemi, so di non essere stata molto chiara nella descrizione di questo pezzo. L’ho scritto e riscritto un miliardo di volte, tanto che ero perfino tentata di toglierlo….ma non ce l’ho fatta. Non so voi, ma io amo i parallelismi e i vari dettagli che Adam ed Eddy lasciano in molte puntate, l’ho amati fin dal primo episodio…e le bambole di cui parlo si riferiscono proprio a questo. Nell’episodio pilota (mi pare…) si intravedono due bambole appese alla colonna della cameretta di Emma: un marinaio e un cavaliere in armatura. Ovviamente, da fedele Captain Swan quale sono, non ho resistito nell’accettare la teoria che vede i pupazzi come un collegamento con Hook: il marinaio quand’è tenente nel “Gioiello del Re” insieme a suo fratello; il cavaliere quando indossa l’armatura per derubare dei nobili insieme a spugna durante la terza serie.
Ok…so che non centra molto con la storia ma ci tenevo a dirlo e ad inserirlo…portate pazienza :)
 
 
Ok, dopo aver chiarito questo punto…Eccoci qui!!!!
Non so davvero come iniziare…mi lasciate sempre senza parole. Vi ringrazio…davvero tanto e con tutto il cuore per le splendide parole che mi lasciate ad ogni capitolo. Sappiate che siete davvero la mia ispirazione principale. Rileggo talmente tante volte i vostri commenti che ho la sensazione di saperli a memoria :P
Quindi grazie…sia a voi che commentate sempre dandomi la forza di scrivere sia a chi legge e ha messo la storia in una delle categorie. Non so come dirvi quanto sia ­felice *_*
So bene di avere ancora molto da imparare e in questo capitolo mi rendo conto ci siano più cose che mettano in risalto la cosa.
Questa volta, infatti, ho aggiornato con un po’ di ritardo…e mi scuso davvero; ma è stato un capitolo davvero tosto…ogni volta che lo rileggevo c’era qualcosa che non mi convinceva…così cancellavo e riscrivevo; vi dirò, neanche adesso mi convince al cento per cento…ma volevo pubblicare prima di Pasqua per farvi anch’io un piccolo regalo…a modo mio :)
Bene….spero di avervi detto qualcosa in più riguardo a Jean (?)…so che è pochetto ma vi assicuro che il prossimo capitolo sarà particolarmente….acceso!!!!!
Buona Pasqua a tutti…spero festeggiate alla grande…con tanto cioccolato…e cannella ♥
Un grosso abbraccio
Erin
 
 
PS: Mi rendo conto di aver utilizzato qualche riferimento agli ultimi episodi (Es. 4x16…o 4x15 non si capisce più bene la numerazione delle puntate)…non dico cosa altrimenti non vorrei anticipare troppo a chi non vede gli episodi in lingua originale. Cmq chi le ha viste avrà sicuramente capito :)
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Foresta Incantata
 
Passi veloci, urgenti, spaventati. Passi di stivali e di piedi scalzi, ormai insensibili al contatto con il terreno arido di quella che un tempo era stata la Foresta Infinita; la stessa foresta dove, molti anni prima, la Regina Cattiva aveva trasportato il Principe Azzurro, con l’intento di tenerlo lontano dall’allora nemica Biancaneve.
Quante anni erano trascorsi da quel giorno e quante cose erano cambiate nel corso del tempo, eventi susseguiti in totale libertà, senza alcun controllo, dimenticati o semplicemente messi da parte, in un angolo nascosto della mente e del cuore.
Eventi divenuti passato, giorni divenuti ricordi e rinvangati per il semplice piacere di un sorriso. Ed ogni cosa, ogni gioia, ogni lacrima, aveva condotto a quel preciso istante, a quella corsa disperata e priva di speranza.
Era stupefacente il modo in cui il corpo si lasciava condizionare dall’adrenalina nel momento in cui vita e morte si fronteggiavano in una competizione senza eguali; per quanto dolore o fatica una persona potesse avvertire, la combinazione di queste due emozioni riusciva a portare al raggiungimento di obiettivi fino ad allora impensabili, come il correre anche quando non vi era più il minimo accenno di vigore, più alcuna energia.
Anche per Eva, con una gamba semi squarciata dall’artiglio di una di quelle bestie, correre a perdifiato lungo quella foresta oscura non era il principale problema da affrontare. L’unico, costante, pensiero era trovare il modo di rimanere vivi, anche in quella occasione senza una visibile via di scampo. Non bisognava pensare a nulla, né alla paura, né a chi li rincorreva, né al sangue che copioso continuava a sgorgarle dalla ferita.
L’unica cosa da fare era correre e respirare, per quanto fosse ancora possibile.
Solo così ce l’avrebbero fatta; solo così si riusciva a sopravvivere.
In fin dei conti, sopravvivere era ciò che sapeva fare meglio, per lo meno negli ultimi dieci anni di vita, e nulla, nemmeno il pericolo più estremo, era mai riuscito a raggiungerla, non con un padre come il suo a proteggerla in ogni istante. Anche in quel momento, con le tenebre che li inghiottivano e delle bestie feroci sulle loro tracce, Lui era lì, accanto a lei, con il suo sguardo pieno sicuro e la voce calda pronta ad incoraggiarla.
Nel pieno della corsa, Eva non riuscì a fare a meno di ripensare a come si fossero trovati in quella situazione, in quella corsa infinita nella Foresta senza fine.
Quella notte, l’eco di un esplosione l’aveva svegliata di soprassalto dal suo giaciglio improvvisato fatto di vecchie coperte e stracci; il cuore accelerato e l’incombente sensazione che ormai fosse troppo tardi furono le uniche sensazioni che aveva provato prima di scorgere il volto di suo padre davanti a lei.
Li aveva trovati, di nuovo.
Nessun rifugio era stato abbastanza nascosto o abbastanza lontano da impedire a quella strega di raggiungerli. Al contrario, più tempo passava e più gli artigli di quel mostro si facevano vicini, tanto vicini da riuscire quasi a sfiorarli, rendendo la fine sempre più vicina.
A dispetto delle volte precedenti, infatti, la fuga da quella capanna non aveva lasciato il tempo di recuperare alcuna provvista, nessun indumento, neppure le scarpe, tolte proprio la sera prima a causa di vesciche ottenute dal continuo girovagare. L’unica cosa da fare era correre.
E così erano fuggiti dall’ennesimo posto; l’ennesimo ammasso di legna e roccia. Eva non chiamava mai quei luoghi casa, lo trovava un modo di dire stupido e poco realistico; dopotutto non ci assomigliavano nemmeno lontanamente alla sua di casa; ogni volta che lei e suo padre si spostavano, ogni volta che cambiavano nascondiglio non sentiva la mancanza di quei posti, non sentiva nessun briciolo di nostalgia quando doveva lasciarli; perciò perché definirli così? Lei sapeva benissimo dove si trovasse la sua casa, la loro casa, e mai nessuna ne avrebbe usurpato il posto.
Improvvisa e traditrice, una radice di albero comparsa lungo la fuga, interruppe il corso di quei pensieri, facendo rovinare a terra la giovane; colta alla sprovvista, la ragazza non riuscì in alcun modo ad attutire il colpo, sbattendo violentemente le mani e le gambe al suolo.
“Eva!!”
La voce allarmata di suo padre la raggiunse in pochi istanti, avvicinandosi al corpo ormai stremato della figlia, ancora steso a terra. Era distrutta, sporca, ferita. Così stanca da spezzare il cuore.
Sua figlia, la sua bambina, la sua principessa amante del gelato, era stesa a terra, sanguinante e ridotta come nessun padre avrebbe mai voluto vedere; e lui non poteva fare nulla, nulla se non aiutarla a rialzarsi e sussurrarle all’orecchio che non potevano mollare, non ora. Perché questa volta la loro fuga aveva un obbiettivo; non si sarebbero limitati a nascondersi nella speranza che le cose cambiassero, non avrebbero corso a perdifiato usando la magia di Eva nella speranza di seminare quei mostri.
Ora era arrivato il tempo di ricominciare a fare quello che la sua famiglia aveva fatto fino alla fine: sperare. Era arrivato il tempo di contrattaccare
Già…solo che a farlo sarebbe stata proprio lei, sua figlia, la persona che aveva giurato di proteggere sempre e in ogni luogo, senza perderla mai di vista, senza lasciarla mai da sola. E invece…
Anche l’uomo, dal canto suo, appariva stremato dalla lunga corsa in quel luogo infernale. Correre tra alberi dalle fattezze di spiriti adirati, tra radici e zone bruciate cariche di dolore, nell’oscurità più fitta e infida che la Foresta Incantata avesse mai visto, non era facile come si sarebbe pensato.
Da quanto correvano? Ore? Giorni? Anni?
Le gambe cominciavano a dolere in modo quasi insopportabile e il cuore, tachicardico, sembrava pronto ad esplodere dal petto; anche il solo ispirare l’aria fredda di quella notte appariva estremamente doloroso e pungente, tanto da desiderare di rimanere senza aria. Ma non potevano mollare adesso, non ora che il portale era tanto vicino; forse vicino come gli echi di quelle bestie, animali neanche lontanamente paragonabili a quel mostro che li comandava.
E pensare che alcuni, un tempo, avevano osato definirla Fata.
“Eva…dobbiamo andare…” le disse il padre, fissando con le mani la fasciatura lungo la coscia ferita, cercando di non lasciarsi condizionare dalla smorfia di dolore dipinta in quegli occhi verde giada.
Avrebbe voluto dirle che potevano riposare, che avevano guadagnato così tanto terreno da avere tutto il tempo per medicare la ferita e farle recuperare le forze; ma così non era, non avevano più un solo attimo e il sacrificio di Regina non poteva essere stato vano.
“Andiamo…” sussurrò a fatica la ragazza, cominciando a zoppicare nel modo più veloce che poteva, aiutata dal genitore che, attento, la sorreggeva con il braccio libero.
I metri seguenti furono quanto di più doloroso Eva avesse mai provato. Nulla riusciva ad infonderle altra forza, né l’adrenalina, né lo stringere la catenina che da sempre aveva al collo.
“Papà…” sussurrò con voce rotta la giovane, che stremata, si bloccò sul posto, appoggiandosi al corpo solido del genitore “…non…ce la…faccio…”
“Eva”
“davvero papà…non riesco più a sentire…”
“guarda…l’albero….” la interruppe, lasciandosi andare al primo sorriso, dopo tanto, forse troppo, tempo.
Non riuscendo a deludere le aspettative dell’uomo accanto a sé, Eva sorrise senza sentimento, preparandosi a dare l’addio alla persona che più amava al mondo.
Perché quell’albero, quel portale, se da una parte significava salvezza, dall’altra portava dritto verso la fine, la fine del loro futuro. Quanto avrebbe voluto dirglielo, quanto avrebbe desiderato che i loro ultimi istanti insieme non fossero carichi di false aspettative.
“Andiamo…”
“Oh…non così in fretta…vi prego!”
Un tono tanto dolce e pieno di amore echeggiò tra le foglie secche della foresta, impendendo a padre e figlia di compiere un solo movimento. Quella voce, quella voce sottile, sarebbe dovuta appartenere unicamente all’essere più candido della Foresta Incantata; una voce così delicata e materna, da riuscire a competere con la più soave delle sirene, sarebbe dovuta uscire dalla gola di qualcuno carico di buoni intenti e realmente preoccupato per la sorte dei due sventurati. E, invece, dinanzi a loro vi era l’essere più spregevole che mai avesse calpestato il suolo di quel regno, accompagnato dall’ormai familiare odore di fumo, fuoco e morte.
Con i suoi lunghi capelli corvini e il suo abito altrettanto impregnato di oscurità, la strega responsabile della fine del loro lieto fine, si era improvvisamente frapposta tra loro e il portale, spegnendo del tutto quella flebile luce di speranza che da poco si era accesa nei loro cuori.
“Ah…se vi state chiedendo dove sia la cara Regina…” cominciò la donna, avvicinandosi di un passo, sorridendo in modo così genuino da far accapponare la pelle “…temo la troverete appesa al secondo albero a destra…poco lontano qui…”
“Noooooo” urlò disperata la ragazza, lasciandosi stringere dal caldo abbraccio del padre.
“Oh…hai ragione pulcino” le fece eco l’ignobile creatura, tanto bella da far male “…una metà è a destra…l’atra è a sinistra!”
“Eva…non ascoltarla…guardami…” le bisbigliò l’uomo, cercando con tutto se stesso di non pensare alle parole appena pronunciate da quel mostro e preoccupandosi unicamente di accarezzare quei capelli un tempo morbidi ed ora impiastricciati dal sangue e della terra “…sai cosa fare…io la distrarrò per il tempo necessario!”
“Papà io…”
“Non avere paura…non fallirai!” le disse, riuscendo a sorriderle anche in quel momento, anche a così poca distanza da quei subdoli occhi gialli “…non fallirai mai!”
Dopo aver pronunciato quelle parole cariche di fiducia, l’uomo allontanò da sé la figlia, per la prima volta non curandosi della sua ferita alla gamba, per poi correre, a spada sguainata e con tutta la disperazione che imperversava nel suo cuore, verso la strega ammantata di nero.
Con la poca energia rimasta, Eva sollevò le mani, concentrando ogni fibra del suo essere nella realizzazione del suo incantesimo; persino il cuore sembrò limitarsi nei battiti per lasciare alla giovane tutta la concentrazione di cui aveva bisogno.
Improvvisa e carico di magia, un’esplosione di luce invase tutta la foresta, accecando la strega e l’uomo dai capelli scuri per una breve frazione di secondo.
Tutto non durò che un’istante; un istante che dentro alla mente di Eva persistette per un lasso di tempo illimitato.
Con la stessa velocità con cui la luce era comparsa, tutto divenne oscuro e tenebroso come prima, rischiarato unicamente dalla flebile luce della luna e delle poche stelle ancora rimaste in cielo.
“Non mi dire…è tutto qui quello che sai fare…principessa!” si limitò a dire la donna dai capelli simili ad un groviglio di serpenti, sollevando senza alcuna fatica la pallida mano destra in cui era impegnata una bacchetta, corvina come i capelli di chi la impugnava.
“Ecco come si fa…” sussurrò diabolica, concentrando un briciolo della sua magia verso l’uomo che, poco prima, aveva cercato di colpirla.
Improvvisamente, urla cariche di dolore riempirono ogni angolo di quell’infinta foresta, lasciando nel cuore della ragazza una crepa che mai più si sarebbe rimarginata.
Immobilizzandosi nella sua posizione, Eva assistette al lento cadere della figura di suo padre, così arrendevole di fronte a quella magia senza eguali.
“Ed ora veniamo a te mia cara ragazza….non vedo l’ora di avere tra le mani il tuo cuore palpitante!” sussurrò con voce carnale, avvicinandosi lentamente al corpo terrorizzato della giovane dagli occhi color dei prati.
Fermandosi a pochi centimetri da quel corpo esile e sporco, la strega alzò la mano con fare lento e teatrale, osservando la fanciulla dritta negli occhi, come a voler strappare da quello sguardo qualsiasi spiraglio di speranza.
“Sappi che anche dopo la morte…ti aspetterà soltanto altro dolore… altra tenebra” le sussurrò con voce soave, così incoerente con quanto detto da far tremare il cuore di chiunque le avesse udite “…non rivedrai mai la tua famiglia. E la tua anima….vagherà per sempre….nella speranza di ritrovarli! Aggiunse, esplodendo in una risata insana e priva di controllo.
Con un unico scatto, la mano bianca si immerse nel petto di Eva, segnando la fine di quel lungo scontro tra il bene e il male.
Ciò che incontrarono le dita, però, non furono né carne, né cuore pulsante.
Solo…il vuoto.
Nell’esatto istante in cui le dita si immersero nella figura della ragazza, questa sparì nel nulla, come una tenue nuvola di fumo inconsistente, facendo fremere di rabbia quello sguardo carico di odio e rancore.
“nooo….” mormorò piena di collera la donna lasciandosi andare per la prima volta all’unico sentimento che da anni defluiva tra le sue vene.
Di scatto si volò verso il portale alle sue spalle, rendendo ancora più diabolici e fiammeggianti quegli occhi gialli e inumani. I capelli aggrovigliati cominciarono ad oscillare, mossi da una potenza magica invisibile ma consistente come le fiamme che, improvvise, cominciarono a contornare quella snella figura vestita di nero.
“Un incantesimo di illusione….stupida inutile principessa….hai davvero usato un incantesimo tanto stupido…contro…di meeee!” ruggì l’ultima parola la strega, muovendosi alla ricerca dei due corpi su cui, di lì a poco, avrebbe messo le mani.
Consapevole dello sguardo furente della strega rivolto verso di loro, a pochi metri di distanza, l’uomo strinse ulteriormente il braccio esile della figlia, incoraggiandola ad avvicinarsi all’unica via di uscita da quell’incubo fatto di fiamme e morte.
“Forza…va…” urlò alla figlia, guardandola dritta con i suoi occhi blu.
Senza dire una parola, Eva si avvicinò al portale simile ad un albero ed improvvisamente le porte dell’immensa quercia antica, si spalancarono, liberando un energico vento magico, simili alle tempeste che ogni pirata degno di quel nome si era ritrovato ad affrontare, quando ancora vi era libertà nel navigare i sette mari.
Colta alla sprovvista da quell’improvvisa raffica di vento, Eva si ritrovò sollevata in aria, appigliata al tempo di cui apparteneva solo grazia alla presa di suo padre che, nonostante le parole, sembrava ben lontano dal volerla lasciare andare.
“Papaaaaà…” urlò Eva, aggrappata con le unghie insanguinate a quelle braccia così forti, a quel tatuaggio di cui non conosceva ancora il significato “…non voglio lasciarti…”.
“Tesoro…non è un addio…sarò qui…ad aspettarti” le disse, guardandola dritta negli occhi e perdendosi in quello sguardo così simile a quello che sarebbe per sempre stato il suo unico e vero amore.
“Ho paura….” disse tra le lacrime, consapevole di apparire debole e insicura.
“Non devi Eva….va e cerca tua madre…va da lei…salvala!” le urlò, con occhi lucidi e carichi di rimpianti “Io tesoro…io ti ritroverò sempre ricordarlo…Non ti lascerò mai….”.
Eva rimase lì, con lo sguardo puntato in quegli occhi dello stesso colore dell’oceano, in quegli occhi che in così tante occasioni l’avevano consolata, sgridata, incoraggiata, rimproverata, amata. Amata sopra ogni cosa.
E proprio in quell’istante, nell’ultima occasione di imprimere nella mente l’amore di suo padre, la mano che poco prima avrebbe voluto afferrare il suo cuore, trapassò quel petto su cui si era lasciata cullare un infinità di volte, impregnando di sangue le vesti squarciate.
Nessuna parola. Solo occhi sbarrati e il cuore bloccato in una posizione scomposta nella sua gola.
“P…papà…” sussurrò la giovane, sconvolta.
Lentamente, le braccia che fino ad allora l’avevano tenuta ancorata in quel tempo, la lasciarono andare, prigioniera di quel vento lucente e magico, fattosi ancora più forte e dirompente.
Dolore. Lacrime. Sangue.
Quello sarebbe stato il suo ultimo ricordo; lui era morto. Tutto non aveva più senso.
E poi il portale si chiuse, portando Eva via con sé.
 
 
 
Storybrooke...Giorni nostri
 
Emma chiuse gli occhi per una frazione di secondo. Un gesto meccanico, quasi involontario, dettato da una forza che andava ben al di là del suo controllo, impossibile da domare.
In cuor suo, con un bisogno impossibile da spiegare a parole, avrebbe voluto rimanere con lo sguardo sbarrato, fisso in quello spaventato e inorridito della ragazza che, in un’impensabile giro di boa, aveva deciso di aiutarla consegnandole il cuore di Henry. L’aveva aiutata, allontanata da qualcosa che la spaventava a morte; le aveva chiesto in tutti i modi di andare via da lì, di mettersi in salvo. Voleva che si salvasse, nonostante fino ad un secondo prima non sopportasse neppure la sua presenza.
Per un attimo, quegli occhi lucidi e arrossati le avevano ricordato i suoi, gli stessi occhi che aveva avuto da ragazza. Era così facile rivedersi in lei, in Jean, in quella ragazza dal cuore duro ma dal volto impaurito e rigato da una sottile lacrima sfuggita al suo controllo. Lo stesso sguardo perso che Emma aveva, così tante volte, visto riflesso allo specchio di una delle stazioni di servizio, incontrate nel corso della sua lunga fuga, alla ricerca di qualcosa che avrebbe incontrato solo molti anni dopo, in una cittadina del Maine.
Per questo, e per una serie di motivi che forse non avrebbero mai trovato una spiegazione sensata, Emma sarebbe voluta rimanere, avrebbe voluto aiutare Jean e non perderla di vista, neppure quando qualcosa di inconsistente aveva iniziato a circondarla.
Il corpo, però, aveva preso il sopravvento e, il vedere l’improvvisa nuvola di fumo blu rinchiuderla in una gabbia senza via d’uscita, l’aveva obbligata a serrare con forza le palpebre, per un solo istante.
Un solo brevissimo istante.
Nel momento in cui li riaprì, la giovane Swan faticò a capire dove si trovasse, ancora confusa e scossa dalla velocità con cui si presentavano gli eventi.
Le mura fatte di mattoni in rilievo, l’arredamento singolare ma tanto familiare, l’odore intenso di caffè e cannella. Tutto riconduceva ad unica parola: casa.
“Mamma…”
“Emma…”
Le voci di Henry e di sua madre furono le prime ad accoglierla all’interno dell’appartamento di Mary Margaret, lasciandola ancora più sconvolta di quanto già non fosse.  
Allora era vero, l’aveva riportata a casa; nonostante la barriera, nonostante non fosse mai stata dalla sua parte, Jean si era esposta come mai aveva fatto dal suo arrivo, mettendola al sicuro. Un pensiero impossibile da scacciare, persino in quella miriade di domande che, affollate, continuavano a fare a gara per presiedere al centro della sua mente. Jean l’aveva aiutata; ma per quale ragione? Perché non impossessarsi subito della sua magia quando era chiaro ne avesse tutte le capacità?
-Eva…- pensò tra sé e sé la bionda, rievocando l’agghiacciante sussurro avvertito alla Centrale.
Che fosse quello il vero nome della ragazza? Un nome singolare, breve, impossibile da non ricondurre ad un determinato membro della sua famiglia: lo stesso nome della madre di Biancaneve.
Quell’improvviso collegamento le balzò alla mente in maniera repentina, e priva di qualsiasi tatto. In fin dei conti, però, al mondo avrebbero risposto a quel nome una grande varietà di persone, così come per Henry, Emma e Killian, e così via. Probabilmente la stessa cosa riguardava la Foresta Incantata e il nome della vecchia sovrana non era di certo esclusivo per la famiglia reale. Ragion per cui scoprire che il suo nome era lo stesso della madre di Biancaneve non doveva per forza di cose ricondurre a qualche fatto sconvolgente legato alla sua famiglia.
Lei, però, era Emma Swan e se aveva imparato una cosa, in tutto quel susseguirsi di avvenimenti di quella piccola cittadina, era che sempre, in qualsiasi caso, doveva fidarsi del suo istinto. Lo aveva usato perfino a New York, quando le si era presentato davanti un pirata le cui parole e movenze non rassicuravano di certo il suo mondo fatto di sola normalità; eppure una vocina nella mente le aveva detto, fin dal bacio rubato sul pianerottolo del suo vecchio appartamento, che doveva fidarsi delle parole di quell’uomo dai vestiti singolari, che avrebbe davvero trovato qualcuno che l’amava nell’ “altra vita”. E così era stato: salvata da un matrimonio con una scimmia ed ora insieme al primo uomo che riusciva a tenere a lei , nonostante i mille problemi che popolassero la sua vita.
Anche in quel momento, con il volto attraversato da mille quesiti, la giovane Swan sapeva di doversi affidare nuovamente a quella stessa voce, a quel suo particolare potere; Jean nascondeva qualcosa, qualcosa che riguardava tutti loro, lei compresa. Per quale altra ragione avrebbe dovuto tenere nascosto il suo vero nome, perché mentire riguardo ad ogni cosa la riguardasse?
Con lo sguardo perso, Emma rimase in balia dei suoi pensieri, non riuscendo a riscuotersi nemmeno alla vista del figlio, il cui cuore continuava a rimanere rinchiuso all’interno dello scrigno stretto tra le sue mani.
“Mamma…” esclamò Henry con voce flebile, appoggiando una mano sul braccio tonico della madre, sperando di riscuoterla da quel suo improvviso stato di trance.
Nel momento in cui la mano entrò in contatto con il braccio coperto dal maglione, Emma sussultò, posando velocemente lo sguardo sulla figura dolce e familiare del ragazzo.
Henry. Suo figlio.
Colui che, dal primo giorno in cui l’aveva vista, era riuscito a stabilire un contatto con la sola potenza di uno sguardo, di una parola. Il bambino coraggioso, arrivato dal Maine senza il bisogno di alcuna magia, ma solo accompagnato dal suo cuore credente. Come dimenticare la sensazione provata nel vedere, riflesso in quel volto, lo sguardo di Neal, la persona che l’aveva amata e abbandonata molti anni prima, regalandole un figlio che, da tempo ormai, rappresentava ciò che di più bello fosse riuscita a creare. Nell’esatto istante in cui aveva aperto la porta, Emma aveva capito che quel ragazzino era parte di lei, una parte inscindibile della sua anima; la stessa sensazione che aveva provato guardando la ragazza.
-Ma non è possibile…- si ammonì Emma, scuotendo il capo con fare sbrigativo, come a voler allontanare quella sciocca supposizione prima ancora che questa riuscisse a prendere consistenza nella sua mente.
“Emma…stai bene?” chiese Biancaneve, affiancandosi al corpo del nipote e appoggiando, a sua volta, una mano sulla spalla della figlia.
“Che cosa c’è lì dentro Swan?!”
La voce decisa di Regina, proveniente dalla sedia in legno a poca distanza da dove si trovavano i tre componenti della famiglia, riecheggiò tra le mura dell’abitazione, sovrastando la domanda di Mary Margaret e riportando ulteriormente alla realtà la mente della salvatrice.
Non riuscendo a dare immediatamente una risposta al sindaco di Storybroole, Emma abbassò lo sguardo sul cofanetto che aveva tra le mani, le quali non avevano minimamente allentato la presa sull’oggetto, come temendo potesse sparire da un momento all’altro, alla stessa velocità di com’era apparso.
“È…è il cuore di Henry” esclamò a voce bassa, spostando in maniera quasi meccanica lo sguardo dalla figura sinuosa del sindaco a quella non più infantile del figlio.
Nemmeno l’annunciarlo a voce alta sembrava chiarire le idee di Emma che, anche allora, faticava a credere di aver salvato suo figlio.
Nel momento in cui Regina era rimasta senza magia, la giovane dai lunghi capelli biondi non aveva potuto fare a meno di iniziare a crogiolarsi al pensiero di trovarsi di fronte all’ennesimo cattivo i cui piani combaciavano con la loro collettiva dipartita. Dopo la Regina delle Nevi, dopo Tremotino, ecco arrivare la ragazza pronta a colpirla sul suo punto più scopetto: Henry.
E invece, da un paio di minuti era lì, con il cuore del figlio tra le mani.
“Che cosa?” vociò Regina, avvicinandosi con passo spedito alla Salvatrice
“Come hai fatto?” chiese Biancaneve, osservando le mani di quella che era stata la sua più acerrima nemica aprire lo scrigno in legno, con la stessa cura che avrebbe avuto se si fosse trattato di una bomba ad orologeria.
“Lo…lo hai trovato…” esclamò stupito il giovane Mills, ringraziando con il solo sguardo la donna che, in più di un’occasione, aveva salvato l’intera città.
Senza perdere altro tempo prezioso, Regina estrasse il cuore cremisi con riflessi dorati dallo scrigno, scambiando un breve sguardo complice con Emma Swan, ancora ferma nella sua posizione; con una dolcezza degna unicamente di una madre, Regina posizionò il cuore del figlio all’interno del giovane petto, riuscendo solo in quell’istante a lasciarsi andare ad un sorriso sincero e a dir poco radioso. Nonostante non avesse ancora recuperato la sua magia e nonostante quella terribile puzza di bruciato avesse invaso l’intera città, non lasciando presagire nulla di buono, ora suo figlio stava bene, era al sicuro, tra le sue braccia.
Rimaneva una sola cosa da fare: convincere quella ragazzina a ridarle la magia e…fargliela pagare.
 “Emma…ti senti bene?” continuò a chiederle Biancaneve, i cui occhi non si erano di certo lasciati sfuggire il turbamento in quello sguardo verde come i prati “....è successo qualcosa? Come hai fatto a…comparire…qui…?” aggiunse in tono confuso, non riuscendo a trattenere le domande che, tutti i presenti, avevano sicuramente finito col porsi.
“…non sono stata io…”
“Non che avessimo qualche dubbio a riguardo…” non riuscì a trattenersi Regina, alzando leggermente le sopracciglia, come a volersi scusare“…le sparizioni non sono ancora il tuo forte Swan…” sottolineò, marcando il fatto con un’alzata di spalle, riuscendo a donare anche ad un simile gesto la sua solita eleganza che, da sempre, la caratterizzava.
“Infatti…è stata Jean!” rispose d’un fiato la Salvatrice, attirando su di sé sguardi carichi di stupore.
Un nome pesante e ingombrante, nonostante la corporatura esile di quella che sembrava esserne la proprietaria; per quanto poco tempo si trovasse a Storybrooke, il solo pronunciare quel nome portava con sé una grossa dose di pensieri e riflessioni.
“Jean?...” chiese il ragazzo, finalmente completo del suo cuore.
“Sì..” annuì la donna, cercando di chiarirsi le idee, raccontando a voce alta quanto accaduto “…mi sono addormentata sulla scrivania e…quando mi sono svegliata c’era questa puzza terribile….”
“come di qualcosa che brucia in continuazione…” si accodò Henry.
“Esatto…” confermò Emma, posando lo sguardo in quegli occhi così simili a quelli del padre che da poco aveva perso “…Improvvisamente abbiamo sentito una voce…sembrava dire un nome…”
“Eva…” esclamò Regina, seria.
“L’avete sentita anche voi?”
“Ho paura l’abbia sentita l’intera città…Leroy compreso!” affermò preoccupata Biancaneve, stringendo leggermente le labbra ben delineate.
“….Jean era spaventata a morte…” continuò Emma “…mi ha implorata di andarmene…di allontanarmi…e dopo avermi dato il cuore di Henry, mi ha…mandata qui con la sua magia!”
“Vuoi dire la mia magia!” Sottolineò seccata il sindaco, alzando gli occhi al cielo con fare frustrato.
“Avevi ragione Regina…sta succedendo qualcosa…” esclamò Biancaneve, appoggiandosi al bancone della cucina, come a voler trovare un appiglio.
 “Devo tornare lì…” esclamò tutto d’un fiato Emma, dirigendosi a passo spedito verso l’ingresso dell’abitazione, facendo risuonare il lieve rumore emesso dai suoi stivali a contatto col pavimento.
“Aspetta Emma…non sappiamo nemmeno da dove provenga questo odore…” la bloccò la madre con tono preoccupato “…potrebbe trattarsi tutto di un inganno ci hai pensato? Il tuo arrivo qui, l’averti riconsegnato il cuore di Henry…”
“Qui Eva non c’entra..” le rispose in modo brusco e privo di controllo la bionda, con ancora la mano appoggiata sul pomello della maniglia.
“Eva?!” chiese confusa Regina,
“…volevo dire Jean…”
“…ma hai detto Eva…” insistette la donna, rimasta accanto al figlio con fare protettivo.
“Sì…lo so. È che…quando ho sentito quella voce…non so spiegarlo ma…il mio istinto mi diceva che cercava lei…” cercò di chiarire Emma, muovendo il braccio libero davanti a sé, come faceva ogniqualvolta un argomento la coinvolgesse nel profondo “…chiunque stia arrivando…vuole lei!”
“E allora?...che se la vada a prendere…mi ha rubato la magia se te ne sei dimenticata!”
“Già…e se te l’avesse rubata proprio per difendersi da chi sta arrivando?” le chiese la giovane Swan, arrivando finalmente a dare un po’ di limpidezza a quella miriade di pensieri che, sempre più disordinati, avevano rischiato di farla impazzire “io….non so spiegarlo, davvero….ma…poco fa ho visto qualcosa nei suoi occhi…qualcosa di così…”
“Familiare…” l’anticipò la voce di Henry.
Madre e figlio si fissarono per un lasso di tempo che sembrò infinito, quasi distaccato dal consueto progredire delle lancette dell’orologio. Occhi negli occhi, anima e cuore collegati in un unico pensiero che, in tutti quei giorni, i due si erano ritrovati a condividere senza saperlo realmente.
Più confusa di quanto già non fosse, Emma strinse con forza le mani a pugno, incurante del pallore che via via cominciava a sfumare le sue nocche. Persino i muscoli delle gambe sembrarono tendersi in tutta la loro lunghezza, rendendo quella donna la stessa guerriera sicura di sé che aveva attraversato la foresta dell’Isola Che Non c’è, più di anno prima.
“…già…” riuscì unicamente a sussurrare Emma, non staccando mai lo sguardo sgomento dal volto del giovane dai capelli scuri.
“…quando l’ho trovata, in quella casa abbandonata…la prima cosa che ho pensato è stata di averla già vista…” spiegò il ragazzo, posando lo sguardo su tutte e tre le figure femminili presenti nella stanza “…e per tutto il tempo in cui sono stato con lei ho avuto la sensazione che nascondesse qualcosa di importante…qualcosa...”
Improvvisamente il cellulare di Biancaneve iniziò a suonare, interrompendo quella comunicazione creatasi tra Emma e il giovane Mills. In silenzio, la donna dai capelli corti, si allontanò dalle tre figure che riempivano la sala, approfittando della telefonata per avvicinarsi al piccolo Neal, addormentato sul seggiolino posato sopra al divano; pronto alla partenza in qualsiasi momento. Per quanto Biancaneve si sforzasse di negarlo, l’aver abbandonato Emma e perso Neal a breve distanza dalla loro nascita, aveva lasciato un segno impossibile da rimarginare nel cuore di quella che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di regina nella Foresta Incantata.
“Torno alla centrale…”
Convinta a non lasciarsi più fermare da nessun ripensamento, Emma fece girare di scatto la maniglia della porta, ringraziando mentalmente la sua buona stella per aver lasciato le chiavi del suo fedele maggiolino nella tasca dei pantaloni.
“Emma…” la richiamò nuovamente la voce di sua madre.
“Ti prego…devo andare…” esclamò Emma, non riuscendo a trattenersi nell’alzare lo sguardo al cielo, come aveva fatto la stessa Regina poco prima.
“Era tuo padre al telefono…” spiegò la donna, con voce tetra, visibilmente in difficoltà “…è appena stato alla Centrale…”
“E…” la incalzò la figlia, consapevole che l’informazione che avrebbe ottenuto non avrebbe portato a nulla di buono.
“ha trovato la cella in cui si trovava Jean…completamente bruciata!”
 
***
 
“Volete spiegarci perché cos’è questa puzza?”
“Sì…siamo di nuovo attaccati da qualche mostro?”
“Cosa?? Un mostro? Chi?”
“È morto qualcuno?
“Oh no…dobbiamo lasciare la citta?”
“E che fai se lasci la città? Ti apri una farmacia?”
“Ma chi è morto?”
“Ci serve un fagiolo magico…”
Una miriade di voci, urla e suoni sempre più confusi avevano completamente invaso la caffetteria della Vedova Lucas, il cui tono di voce sicuro aveva finito col mescolarsi a quello dei nani e del resto dei presenti.
In seguito alla telefonata da parte del Principe, ora seduto in uno dei sgabelli davanti al bancone della caffetteria, Emma, Regina e Biancaneve avevano convenuto col radunare alcuni componenti della città per rassicurarli sull’andamento della situazione.
Una volta entrate, però, fu ben chiaro che la situazione era già visibilmente furi controllo, come accadeva ogni qual volta vi fosse un’emergenza alle porte.
Stava arrivando un mostro? Non lo sapevano; la puzza? Inspiegabile. Era morto qualcuno?
Sì. No. Forse.
La cella della ragazza era stata trovata completamente ricoperta da fiamme alte fino alla parete; fiamme che solo grazie al tempestivo intervento di David non finirono col divenire un incendio di proporzioni epiche per l’intero edificio. Nel momenti in cui l’estintore aveva fatto il suo dovere, riuscendo a soffocare qualsiasi traccia di quel fuoco cominciato chissà dove, David era entrato nella cella. Non era rimasta alcuna traccia né della barriera magica creata da Emma e Belle, né della prigioniera. Solo cenere nera e i resti di quella che, fino a poco prima, era stata la brandina su cui Jean si era sdraiata. Nulla che riconducesse alla giovane o alla sua minima presenza in quel ridotto spazio privo di vie di fuga.
Impossibile non notare che se realmente la ragazza fosse morta lì dentro, l’uomo dai capelli chiari ne avrebbero trovato i resti da qualche parte; questo, però, solo nel caso in cui si trattasse di un normalissimo fuoco. Con la magia, invece, era decisamente tutt’altra storia. Jean sarebbe potuta sparire nel nulla, come aveva fatto a suo tempo la perfida Zelena.
E fu proprio il ricordo della strega a suggerire al principe l’idea, già utilizzata in passato, di visionare le telecamere di sorveglianza presenti alla Centrale; dimenticando di mettere in conto che non sempre la tecnologia resisteva alla potenziale magico di quella città. Televisore e telecamera, infatti, giacevano a terra, completamente distrutti e privi di qualsiasi utilità.
Nessun punto di partenza. Solo domande senza risposta, seguite da altre domande altrettanto confuse.
Ripensando alle parole del padre, Emma si ritrovò a sperare che Jean, la stessa ragazza che tanto l’aveva infastidita, fosse riuscita a salvarsi, riuscendo ad allontanarsi in tempo da quella prigione. Riflettendoci, non le aveva mai dato l’occasione di spiegarsi, non le aveva mai dato il minimo accenno di potersi fidare di lei, né di poterle chiedere aiuto se ne avesse avuto bisogno; era riuscita solamente a guardarla con sospetto e, probabilmente, a farla sentire braccata, come aveva fatto tutte le volte in cui si era ritrovata a pedinare qualcuno. Non si era comportata da Salvatrice come le aveva detto suo padre, né tanto meno da Emma Swan; aveva vestito unicamente i panni della cacciatrice di taglie, rendendo impossibile qualsiasi contatto con quella ragazza. Ovviamente non aveva dimenticato di cosa aveva fatto Jean a suo figlio, ma era pur vero che il cuore di Henry ora era al sicuro e se Jean fosse stata realmente la cattiva senza scrupoli che credeva, ora Regina non siederebbe accanto al ragazzo.
Chissà come sarebbero andate le cose se la giovane Swan avesse dato ascolto alle parole di Uncino, guardando Jean come una ragazza sola e spaventata e non unicamente come il nuovo problema arrivato a Storybrooke.
D’istinto, gli espressivi occhi verdi di Emma, passarono in rassegna ogni componente di quella, improvvisata, riunione cittadina. Nessuna giacca di pelle nera, nessun profondo e indimenticabile sguardo azzurro-mare, nessuna volto dalla barba incolta e dall’indistinguibile cicatrice sullo zigomo destro. Killian Jones non era presente; e il fatto cominciava davvero a preoccuparla visto che, al minimo segnale di pericolo, il pirata non perdeva tempo per raggiungerla e saperla al sicuro.
La bella Swan aveva, più volte, provato a contattarlo, arrivando a bussare alla porta della sua stanza, senza però ottenere alcuna risposta. Killian non si trovava, da nessuna parte. Persino suo padre, un tempo l’ultimo sostenitore della loro relazione, aveva cercato di rasserenarla facendo il giro della città con l’auto dello sceriffo, nella speranza di trovarlo a ciondolare da qualche parte; ma nemmeno le sue ricerche avevano dato dei frutti.
Perché cavolo doveva sempre mettersi in qualche guaio? Perché non se ne stava tranquillo come facevano tutti evitando di cacciarsi nella bocca del leone com’era successo le ultime volte? Zelena e Ingrid non erano bastate? A pensarci bene, non c’era stata donna che non avesse cercato di ucciderlo, lei compresa.
“Bene…ascoltate…” proruppe la voce di Biancaneve, con in braccio il piccolo Neal, nel tentativo di interrompere quel costante vociare “…non sappiamo ancora cosa stia succedendo ma…”
“C’è un altro mostro?” urlò Pisolo, già in allarme ancor prima di aver udito la risposta dalla sua cara amica.
“No…non c’è nessun mostro. Quello che volevo d..”
“Ma da dove arriva questa puzza?!” urlò un’altra voce alle spalle del nano dal sonno persistente.
“Se mi lasciate parlare…” esclamò scocciata Biancaneve, arrivando ad allargare le dite delle mani, come a voler distendere quei nervi sempre più tesi.
“Ehi ehi…c’è qualcuno lì fuori…” urlò Leroy, interrompendo per l’ennesima volta, il discorso della cara “sorella”.
Ogni persona presente all’interno della caffetteria, si avvicinò alla vetrata che dava verso l’esterno della piazza, qualcuno arrivando a nascondersi dietro a chi aveva davanti, intimidito da quell’improvvisa apparizione sulle loro strade.
Al centro della via vi era una figura sconosciuta, ricoperta da un lungo mantello nero, il cui cappuccio rendeva impossibile scorgere qualsiasi tratto del volto. Accanto ad essa vi era un uomo, di media corporatura, ma dalla fisicità goffa e visibilmente poco sicura. I capelli, di un biondo così chiaro da apparire quasi bianco, apparivano ondulati e decisamente poco curati. La bocca, eccessivamente carnosa, sembrava acuire quel senso di goffaggine ed inadeguatezza scaturita dalla sua andatura, e gli occhi, piccoli e ravvicinati non aiutavano di certo l’iniziale apparenza.
“Io…io lo conosco quel ragazzo…” esordì la voce di Ruby, affiancatasi ad Emma con fare stupito.
“Chi è?!” le chiese la Salvatrice, il cui viso si era fatto scuro e preoccupato.
“Si chiama Ector…lavorava insieme a Billy…” spiegò la donna lupo, non riuscendo a fare a meno di scambiare una veloce occhiata con il Principe James, alzatosi dallo sgabello su cui era rimasto seduto fino a poco prima.
“lo conosci bene?!”
“No…so chi è…lo vedo tutte le mattine quando viene a prendere il caffè prima di andare a lavoro…”
“E perché ora si trova con Darth Vader?!” chiese Regina, con braccia incrociate e per nulla intimidita, neanche se privata della sua fedele magia.
“Non ne ho idea…”
 “Vado a parlarci…”
“La Mia Signora chiede che le venga dato ciò che è suo!”
Nel momento in cui la Salvatrice fece un passo verso la maniglia della porta, il giovane Ector iniziò a parlare, urlando a pieni polmoni una richiesta a prima vista priva di significato.
“Di che sta parlando?” chiese Leroy, preoccupato come sempre.
“Se non riavrà ciò che vuole…” continuò, con sguardo spento, urlando a voce ancora più alta ciò che seguì “…RADERÀ AL SUOLO QUESTA CITTÀ!”
Detto ciò, la figura ammantata sollevò il braccio, con una lentezza e un’armonia impossibili da non notare; la stessa delicatezza che una fata avrebbe manifestato per assistere un tenue bocciolo di rosa nella sua fioritura, dando il via a quella che sarebbe stata la primavera. Nel momento in cui l’arto fu ben alzato verso il cielo, il tessuto nero che lo ricopriva svicolò verso il basso, rivelando un braccio di donna, sottile e ricoperto da un tessuto ricamato, lungo fino alle nocche della mano; le unghie nere risaltavano con il pallore della pelle, dando un effetto quasi dark a quella figura oscura. Le dita così sottili e armoniose stringevano a sé una bacchetta nera, incurvata in modo da assomigliare al ramo di un albero e impregnata di un’oscurità per nulla sconosciuta a gran parte degli eroi presenti nella caffetteria.
Con una velocità ed una grazia impossibili da non notare, la bacchetta emise una lieve oscillazione, lasciando sfuggire al suo controllo una piccola scintilla dalle sfumature aranciate. Nel momento in cui si posò a terra, ciò che causò quell’innocua scia di luce andò ben al di là di ogni immaginazione: dal nulla, una creatura ricoperta di una nauseante mucosità cominciò a prendere vita sotto gli occhi di tutti i presenti; pelle, simile a squame di serpente ricoprivano il corpo mutilato dell’animale; quattro lunghi arti, sicuramente veloci e potenti, iniziarono a prendere vita da quella innocua scintilla di luce;  gli occhi, gialli e accesi, avevano forma quasi umana e parevano essere ancora più agghiaccianti dell’infinito numero di denti presenti in quella fauce che, forse, qualcuno avrebbe confuso con la bocca della bestia. A terminare quella creazione abominevole, l’essere venne fornito di una coda sottile e agile come una frusta, e di due gigantesche ali, simili a quelle possedute dalle libellule; ma qualsiasi altra similitudine con il delicato insetto, terminavano qui.
Un essere spaventoso, diabolico, privo di qualsiasi controllo. Un essere che Emma Swan aveva già visto.
“Oh santo cielo…cos’è quello?” esclamò la voce preoccupata di Belle, avvicinatasi a sua volta alla finestra che dava all’esterno, coprendo la bocca con entrambe le mani, come se quell’innocuo gesto potesse proteggerla da quella bestia venuta da chissà dove.
“Un..un mostro!” rispose Leroy, sconvolto da quanto vedevano i suoi occhi da minatore.
“Oh sarete contenti nani...eccovi il mostro che tanto avete reclamato!” sbottò brusca Regina, dilatando notevolmente le grandi iridi dei suoi occhi “…portate iella!”
Leroy lanciò alla sovrana uno sguardo gelido, finendo per allontanarsi borbottando qualcosa riguardo la loro fine e l’ironia nel morire con la Regina Cattiva al suo fianco.
“Che sta per fare?” chiese Henry.
“Non so dir…”
“Incendierà tutto…” rispose Emma, interrompendo la voce del padre, posto alle sue spalle.
“E tu come lo sai…?” chiese Regina.
“ …da un po’ di giorni faccio dei sogni strani e…in uno di questi c’era uno di quei mostri…”
“Strano, io di solito sogno di cucinare lasagne e becon…” esclamò sospettosa la proprietaria del dinner “…e non mostri dagli occhi gialli!”
“Emma…cosa c’è che non ci dici?” chiese preoccupata la madre, porgendo alla Salvatrice lo stesso sguardo indagatore che probabilmente aveva ereditato lei stessa.
Non sapeva spiegarsene il motivo, ma da quando aveva iniziato a fare quei sogni con Jean come protagonista, la giovane Swan non era riuscita a parlarne con nessuno, se non con Uncino. Si era ripromessa di confidarsi unicamente con lui che, in varie occasioni, aveva dimostrato di fidarsi ciecamente di lei, dandole il tempo necessario per analizzare a suo modo quanto stava accadendo. Alla fine, però, aveva finito col nascondere anche al pirata, il secondo sogno fatto, preoccupata di spaventarlo inutilmente; dirgli che aveva visto la sua tomba con lui in lacrime, non avrebbe di certo aiutato, soprattutto in un momento come quello. Certo, era solo uno stupidissimo sogno, ma la presenza di quella donna e di quei mostri, aumentava di molto la possibilità che quanto stava accadendo davanti ai suoi occhi fosse già avvenuto nella Foresta Incantata e che i suoi sogni rappresentassero una sorta di finestra su quello che era il suo paese natale.
“Consegnate la ragazza…e verrete risparmiati!” urlò nuovamente la voce aspra di Ector, il cui sorriso soddisfatto non sfuggì allo sguardo indagatore di Emma.
“Direi che non è il momento adatto per parlarne…” tagliò corto la Salvatrice, sempre più preoccupata da quanto stava accadendo.
Dov’era andato a finire Killian? Aveva bisogno di lui in quel momento, di lui che le diceva quant’era forte e in grado di affrontare ogni situazione. Di lui che le dava fiducia in ogni occasione e che la incoraggiava con la sola forza di uno sguardo.
E, in particolar modo, aveva bisogno di lui lì dentro e di saperlo al sicuro insieme a loro.
Probabilmente impazientita da quella pausa, la donna incappucciata fece un breve cenno in direzione della bestia che, con un solo e potente battito d’ali, finì davanti all’ingresso della tavola calda, allargando le fauci in tutta la loro maestosità, mostrando un abisso senza fine, da cui, in breve tempo, scaturì un’improvvisa sfera di luce e fiamme.
Alla vista di quella creatura, quasi tutti i presenti impallidirono, finendo per ripararsi con la sola presenza delle braccia, del tutto inutili di fronte a quanto stava accadendo.
Mentre Regina si accovacciava al terreno nel vano tentativo di proteggere Henry, Emma alzò d’istinto le braccia davanti a se, defluendo tutta la sua potenza magica in entrambe le mani, sperando con tutta se stessa di creare una barriera magica abbastanza potente da difendere tutti loro.
Nel momento in cui le lingue di fuoco defluirono dalla bocca della bestia lasciando divampare l’incendio, Emma chiuse gli occhi concentrando ogni molecola del suo essere in quel preciso sforzo.
Doveva aiutarli. Doveva difendere la sua famiglia ad ogni costo e quello era il momento adatto per dimostrarlo.
Dirompenti, le fiamme si abbatterono sul legno dell’edificio, inglobando ogni cosa la loro corsa raggiungesse. Tutto sembrò illuminarsi a giorno, dando la sensazione che la temperatura atmosferica fosse aumentata di trenta gradi.
In realtà, però, nulla di tutto ciò accadde. Nel momento in cui fiamme e magia si incontrarono, quest’ultima creò una sorta di pellicola protettiva che, in un unico slancio di potere, allontanò le fiamme e tutto il loro potere, lasciandole sfumare verso l’alto di quella sera priva di stelle.
Silenzio.
Solo il rumore del battito accelerato di ciascun presente e il fiato corto, quasi inesistente di chi il cuore temeva di averlo lasciato salire in gola.
Lentamente Emma aprì gli occhi, soddisfatta nel vedere l’animale allontanarsi dall’ingresso della caffetteria, rimasto del tutto intatto. La barriera aveva funzionato; era riuscita a proteggere tutti.
Lasciandosi andare ad un accenno di sorriso, la salvatrice si voltò verso i presenti, appoggiando una mano sulla spalla della madre, ancora accucciata con il piccolo Neal in braccio.
“State tutti bene?” si assicurò la Salvatrice, felice di non vedere alcun ferito, tranne forse qualche nano pallido come un cencio.
La donna incappucciata rimase immobile, con entrambe le braccia rivolte verso il basso. La figura goffa e insicura dell’uomo accanto a lei, pareva in ascolto di informazioni impossibili da udire a loro, forse per la distanza o forse per il solo fatto che sembrava parlargli senza muovere le labbra, in una sorta di comunicazione mentale.
“Ok…vado a parlarci…” proferì Emma a voce bassa, guadagnandosi una serie infinita di sguardi sconvolti.
“Sei impazzita!” esclamò David, con occhi sgranati “…quella donna non mi sembra in vena di fare amicizia!”
“E cosa proponi di fare?....è chiaro cosa voglia, o meglio…chi voglia! E si dà il caso che la ragazza in questione sia sparita o che comunque non voglia farsi trovare” disse tutto d’un fiato, stringendo le labbra con fare nervoso “O rimaniamo qui e aspettiamo che quella…cosa…ci uccida; oppure esco…e cerco di capirci qualcosa!”
Detto ciò, la Salvatrice appoggiò la mano sulla maniglia della porta e, per la terza volta da quando quell’assurda storia era iniziata, una potenza al di fuori del normale la scaraventò sul retro del bancone, a pochi centimetri da quella che, ad occhio e croce, era la cucina della cara nonnina.
“Emma!” urlarono in sincrono i genitori e il figlio della donna dai capelli biondi, sporgendosi verso la lunga penisola del locale.
“m…maledizione…” mormorò innervosita Emma, alzandosi lentamente sui gomiti e lasciando che i lunghi capelli le finissero davanti al volto “…sto bene…” aggiunse, alzando leggermente lo sguardo verso i genitori.
Sapeva chi era stato; alla terza esperienza, il suo corpo aveva creato una sorta di reminiscenza riconducibile ad un'unica persona, una persona la cui agitazione era impossibile da non percepire. La stessa persona che, una volta alzato il capo, si ritrovò a pochi centimetri da lei, accucciata sotto al bancone, con le gambe strette addosso al petto, in un inutile tentativo di protezione.
I grandi occhi verdi seminascosti dai capelli, le sopracciglia perfettamente delineate e quell’aria sbarazzina e sfrontata impossibile da non notare.
“Vogliamo trovare un altro modo per comunicare?!” sussurrò Emma, mettendosi in ginocchio.
 “Mi…dispiace?” si ritrovò a dire la ragazza, accompagnando alla domanda un a lieve smorfia della bocca.
“Emma con chi stai…oh santo cielo…”
La voce di Biancaneve interruppe quel breve scambio di sguardi, incuriosendo gran parte dei presenti che, nel giro di alcuni minuti, si avvicinò alla donna, sporgendosi a loro volta sopra al bancone cercando di scoprire a chi appartenesse quel lieve sussurro.
“Su…alzati…” esclamò Emma, non riuscendo più a trovare quel forte senso di irritazione e rabbia che tanto aveva manifestato alla sola presenza di quella ragazza, il cui lungo cappotto blu con sotto una canottiera un po’ più grande di lei, metteva poco in risalto la sua figura longilinea.
“no no no….” sussurrò preoccupata la ragazza, bloccando con una mano il tentativo di Emma di mettersi in piedi a sua volta “non far avvicinare nessuno….ti prego. Non deve sapere che sono qui…”
Con un gesto della mano, Emma intimò a chiunque di non fare un solo passo verso di lei, sperando con tutto il cuore che Regina riuscisse a controllare la sua collera nei confronti della ladra.
Lo stesso spavento, la stessa paura; Jean era letteralmente terrorizzata da quella donna fuori dal locale, come se conoscesse le sue reali intenzioni; intenzioni decisamente poco pacifiche visto il modo in cui si era approcciata.
“Non possiamo rimanere qui accucciate per sempre…” suggerì Emma con lo stesso tono di voce basso, incontrando in quel volto un senso di smarrimento impossibile da colmare “…ma possiamo fare questo…”
Con un gesto della mano tutte le veneziane presenti nella tavola calda vennero abbassate di colpo, creando una barriera tra loro e le due figure presenti all’esterno. Jean alzò leggermente lo sguardo verso l’alto, intuendo quanto fatto dalla donna accanto a lei.
“Ora saprà che le stai nascondendo qualcosa…”
“Lo sapeva già…e non mi è sembrata molto incline a negoziare!” le rispose Emma con tranquillità “…ora alzati, lei non può entrare…”
A quelle parole la giovane non riuscì a trattenere una smorfia di dolore, come se le parole appena pronunciate non avessero alcun valore.
“…ma se mi alzo…Regina mi ucciderà…”
“Probabile…ma se le ridarai la magia…farò in modo che ti risparmi…” esclamò Emma, non allontanando mai lo sguardo da quegli occhi chiari “…Eva?” aggiunse, alzando leggermente le sopracciglia.
“Esatto…” confermò flebilmente la giovane che, con una smorfia, si lasciò aiutare dalle braccia forti di Emma, rivelando ai presenti  chi si nascondeva sotto il bancone della caffetteria.
Le reazioni furono le più svariate, in alcuni casi, le più strane; chi urlava di avere la strega nella tana, chi rimase in silenzio con gli occhi sbarrati, chi provò rabbia, chi rancore, chi non seppe a cosa fosse dovuta tutta quell’agitazione e chi, come Henry, non riuscì nemmeno in quell’occasione a provare sentimenti negativi nei confronti della ragazza che lo aveva tradito nel peggiore dei modi. Il giovane Mills, fermo accanto alla madre dai capelli corvini, lasciò andare lo sguardo in quel volto pallido e magro, corrucciando leggermente la fronte, come avvolto da una serie infinita di pensieri e riflessioni.
“Ok calma…” cercò di prendere in mano la situazione la donna dai capelli biondi, scambiando uno sguardo carico di significati con il sindaco di Storybrooke, la cui rabbia non sembrava venir controllata in alcun modo “…agitarsi non porterà a nulla…”
“Già ma che ci fa lei qui?!” esclamò furioso Brontolo, cercando l’appoggio dei presenti con lo sguardo.
“È lei che vuole la strega…consegniamola!” urlò qualcun altro, trovando presto l’approvazione di alcuni presenti.
Emma ruotò lo sguardo al cielo, con fare seccato. Non sopportava il modo in cui la gente arrivava a perdere il controllo, nascondendo parte della loro umanità a discapito di chi avevano davanti. Eva non aveva di certo brillato per buon cuore da quando era arrivata a Storybrooke, ma lo stesso si poteva dire di Regina che, in passato, non avrebbe perso tempo per fiondarsi addosso alla ragazza con intenti violenti.
“Tu…”
Per l’appunto, come non detto.
Regina, con passo deciso, si avvicinò alla giovane dai lunghi capelli scuri, presto difesa dalla Salvatrice che, senza perdere un solo secondo, si interpose tra la sovrana e la ex prigioniera.
“Calma Regina…”
“Calma? Questa maledetta ragazzina ha la mia magia!” sbraitò Regina, non apparendo nemmeno in quell’occasione sgradevole, ma solamente spaventosa e agghiacciante come lo era stata quando ancora vestita i panni della cattiva.
“Ed ora te la ridarà…vero?” esclamò Emma, cercando l’appoggio della ragazza alle sue spalle.
“Non è una cosa così semplice!” spiegò l’interessata, lanciando un sorriso ironico in direzione di Regina.
“Che…cosa?”
Con uno scatto di rabbia, Regina superò il corpo della Salvatrice, avvicinandosi alla ragazza che, d’istinto, si allontanò a sua volta mettendo le mani avanti come fatto poco prima dalla bionda accanto a lei.
“Prometto che ti ridarò la magia…davvero! Ma se lo faccio adesso tu …mi uccidi!” sottolineò Eva, arretrando ad ogni passo avanti della sovrana.
“Se non mi ridai la magia ora…io ti uccido lo stesso!” sibilò tra i denti.
“Vedi…non mi incoraggi!” sottolineò la ragazza, non riuscendo nemmeno in quell’occasione a trattenere quel suo fare irritante e canzonatorio.
“Ridammi la magia…subito!” ordinò Regina, continuando ad avvicinarsi alla giovane che, dal canto suo, non smetteva di camminare all’indietro, lanciando a tratti una breve occhiata alle spalle, consapevole di essere a pochi passi dalla parete.
“ te l’ho già detto…non è così semplice…”
“Non mi sembra tu abbia fatto molta fatica a rubarla…”
“Ho avuto un buon maestro!” non riuscendo a trattenersi, Eva accompagnò la frase con l’ennesimo ghigno, che sembrava essere tanto di scuse quanto provocatorio.
“Oh…e sentiamo chi è? La fatina dei boschi?” chiese a denti stretti la Sovrana, inghiottendo la ragazza in quel suo sguardo scuro quanto la pigmentazione della sua chioma, soddisfatta nel vedere quelle spalle esili bloccate dal muro.
“Credimi…non vorresti saperlo…”
“Ok basta così…” sbottò Emma, avvicinandosi nuovamente alle due e rivolgendo i suoi occhi verdi verso Eva “…ridalle la sua magia!”
Un improvviso boato troncò una lite che, di lì a poco, avrebbe sicuramente finito col causare non pochi problemi all’interno di quel piccolo spazio, lasciando ogni presente immobile nella situazione in cui si trovava. Persino Regina, annebbiata dalla rabbia nei confronti della ragazza, si ritrovò a guardarsi alle spalle, nel tentativo di capire chi avesse causato un simile rumore.
“Cos’è stato?”
La domanda non fece in tempo a trovare risposta che subito un secondo schianto rimbombò in tutte le pareti, seguito da uno scossone che mise a dura prova l’equilibrio di tutti i presenti.
Lasciando da parte la diatriba tra le due donne, Emma si avvicinò ad una delle finestre che davano sulla strada, spostando leggermente parte della veneziana che le impediva la visuale.
L’inquietante figura era scomparsa e con lei anche l’uomo dagli insoliti capelli chiari, lasciando al centro della via la stessa spaventosa creature che, poco prima, aveva cercato di incenerire l’intera caffetteria con la sola potenza di una sfera di fuoco. Se ne stava lì, come una fiera, in attesa di un’ulteriore ordine da parte di quella che, ad occhio e croce, doveva essere la sua padrona.
“Se né andata…” sussurrò più a se stessa che a qualcuno in particolare, sentendo alle sue spalle qualche sospiro di sollievo.
Guardando con più attenzione l’intero spazio, Emma intravide un’ulteriore creatura, a pochi metri da dove si trovava la prima, intenta a caricare una corsa che, da lì a poco, si sarebbe trasformata nel boato che avevano destabilizzato la caffetteria.
Le bestie, il cui numero sembrava aumentare a vista d’occhio, si stavano dando il cambio nel tentativo di abbattere la barriera magica creata dalla Salvatrice; ad ogni brusco contatto di quel corpo viscido e squamoso, lo sbarramento invisibile creava una sorta di rombo, simile al suono di un tuono, accompagnato da un leggero tremore del pavimento. La barriera non avrebbe retto, non all’infinito almeno.
“Non se ne è andata…” la corresse Eva, alzando nuovamente le braccia davanti a sé, in un inutile tentativo di proteggersi da chi stava entrando “…sta cercando di farmi uscire…”
“o di entrare…” aggiunse Ruby, rimasta in piedi accanto alla nonna.
“Che cosa vuole da te?” le chiese Emma, lasciando andare la persiana avvolgibile e avvicinandosi di qualche passo al corpo teso di Eva “…perché ti sta cercando?”
“Ho qualcosa che le serve…”
“Ci avrei scommesso!” disse nervosa Regina, lanciandole l’ennesima occhiata velenosa.
“E se le dai quello che vuole?” chiese David, avvicinandosi a sua volta alla giovane.
“…morirete tutti!” esclamò, tentando di apparire fredda e sbrigativa come un tempo, ma fallendo miseramente nell’impresa.
Quella semplice e veloce considerazione fece scendere il gelo nella sala, a dispetto dell’odore acre di fumo e cenere che sembrava aumentare ad ogni ora, riuscendo quasi ad annebbiare la vista di ciascun abitante di quella cittadina.
“…e immagino che se non ottiene quello che vuole ci ucciderà tutti comunque!” constatò Emma, stringendo le mani a pugno
“Ho paura di sì…”
“Bene…però finché rimarrai qui avremo un vantaggio. Le servi viva giusto?!”
Senza rispondere a parole, la ragazza fece un breve cenno di assenso con il capo, serrando con forza la mandibola con fare nervoso. Con sguardo attento, Emma non riuscì a fare a meno di collegare quell’abitudine ad una persona in particolare, allo stesso pirata che ormai tutti avevano smesso di considerare il cattivo e che, in più di un’occasione, aveva messo da parte se stesso per salvare la vita alla Salvatrice; era impossibile non notare la somiglianza, lo stesso modo di scaricare la tensione e controllare gli istinti, lo stesso tremore della mascella, come se fosse indispettita da quell’improvvisa costrizione. Che strano, pensare che, proprio qualche giorno prima, aveva pensato che quello fosse un gesto esclusivo di Killian.
“Bene…dobbiamo cercare un modo per uscire da qui e…”
“Principessa Eva…non sei stanca di nasconderti come i ratti?!”
Una voce fredda, sibilante, simile a quella che avrebbe avuto un serpente se fosse riuscito ad ottenere forma umana; una voce tanto agghiacciante da far sbarrare gli occhi di chiunque l’avesse udita per la prima volta, riuscendo allo stesso tempo ad apparire simile al tono dolce e armonioso di una sirena.
Emma rimase interdetta nel costatare che quell’insolito appellativo con cui era stato preceduto il nome della ragazza non avesse affatto per nulla sorpreso la diretta interessata. Che si trattasse davvero di una principessa? In fin dei conti non sarebbe stata una novità scoprire che una crudele strega tentasse di uccidere la principessa in questione; un cliché visto e rivisto.
Lentamente Emma riprodusse lo stesso movimento fatto poco prima, spostando con le dite parte della veneziana che aveva abbassato con la magia. A differenza di poco prima, la strada era completamente invasa da fiamme che, violente, ricoprivano ogni edificio stanziato a pochi metri di distanza da quella figura ammantata, sola e priva di quel servo che, fino ad allora, sembrava rispondere ad ogni suo comando.
Lo sguardo di Emma divenne sconvolto e allarmato; stava bruciando ogni cosa; albero, panchina, auto, tutto aveva lasciato libero accesso alle fiamme, rendendo prigioniere le persone rimaste all’interno delle loro abitazioni. Non vi era tempo, né il bisogno, di alimentare il suo stato di preoccupazione, ma il cuore di Emma finì ugualmente per richiamare alla mente il nome di quell’uomo che, quella sera, continuava a non rispondere alle sue chiamate, detenendo il primato come miglior sostenitore della sua ansia.
Dov’era Killian? Perché il suo cuore continuava a ripeterle che si trovava in difficoltà? Che fosse un’inutile preoccupazione causata dagli eventi? Forse; dopotutto non era una novità che il pirata amasse starsene al porto, ben lontano da dove si trovavano loro in quel momento, con lo sguardo perso verso l’infinità del mare. Qualcosa, però, continuava a dirle che era nei guai e che non avrebbe lasciato trascorrere così tanto tempo senza sapere come fossero andate le cose con Eva. Per di più, quelle fiamme erano probabilmente visibili da ogni punto della città e chissà fino a dove arrivavano.
Con uno scatto repentino, e per nulla dovuto alla magia di Emma, le persiane tornarono ad occupare la loro posizione arrotolata verso l’alto, permettendo ad ogni persona presente di godere di quello scempio che fiamme e bestie stavano causando alle loro case. Belle e Biancaneve non riuscirono a trattenere un piccolo anelito di ansia di fronte a tanta crudeltà, arrivando ad arretrare di un passo, lontane da quella porta non più così salda come era apparsa poco prima.
David, cinse le spalle della moglie, estraendo la sua fedele spada, tenuta stretta al suo fianco fino a quel momento. Se quella donna voleva fare del male alla sua famiglia, avrebbe dovuto vedersela con lui e con la splendida figlia che aveva davanti a sé, rimasta immobile di fronte a quella visione.
“Forza Eva….sai quanto odio aspettare” continuò la voce che, sollevando nuovamente il braccio, rese visibile la sua bacchetta nera.
Quella donna sembrava essere in grado di entrare nelle loro menti e riuscire a sussurrare quelle parole con la stessa terrificante vicinanza di una bocca a pochi millimetri dall’orecchio; flebili, fredde, agghiaccianti. Quella strega era ovunque e in ogni luogo, alimentando lo stato di prigionia generale.
“Emma…dobbiamo andare via da qui…mi sembra di essere in trappola…” esclamò il genitore, non nascondendo il tono preoccupato e puntando inutilmente la spada verso la porta.
“Siamo in trappola!” confermò Emma, non staccando mai lo sguardo da quella figura nascosta, apparentemente insensibile alle fiamme che la sfioravano.
Senza esternare a voce i suoi intenti, Emma spalancò la porta della caffetteria, fermandosi a pochi passi dalle scale che la dividevano dal piccolo spazio dove, in un tempo che sembrava così lontano, lei e Killian si erano scambiati il vero primo bacio della loro storia. Non era mai stato il genere di donna melensa che si lascia andare a simili pensieri e ricordi, ma con Killian continuavano ad esserci prime volte in ogni cosa e l’ansia che provava nel non averlo accanto ne era la conferma.
“Dovrai accontentarti di me!” proruppe la Salvatrice, mostrandosi con tutta la sicurezza di cui era capace e fingendo di non avvertire la presenza del genitore accanto a lei.
“Oh…ma tu non mi interessi Emma Swan…e nemmeno il tuo caro padre…non più almeno…”
Con un gesto carico di una eleganza a dir poco impareggiabile, la donna abbassò finalmente il cappuccio che fino ad allora l’aveva celata, rivelando un volto tanto bello e, al contempo, tanto spaventoso, da lasciare senza fiato.
La giovane Swan non seppe dire se l’avesse colpita di più il fatto che la donna la conoscesse così bene, o lo scoprire che, sotto quel mantello, non vi fosse un mostro disgustoso come le belve che la circondavano ma una donna dai tratti perfetti e delicati.
Lasciando cadere ai suoi piedi la mantella nera, la strega fece un passo in avanti, rivelandosi in tutta la sua bellezza, ricoperta da un sensuale ed elegante abito in pizzo nero, lungo fino al cemento della strada. I capelli, neri e lucenti come la notte, apparivano selvaggi e privi di controllo, come annodati in una danza infinita e impossibile da districare.
Ciò che, però, spiccava allo sguardo non erano i lunghi capelli scuri, o la pelle bianca, o ancora l’abito simile ad una ninfa oscura dei boschi; no, ciò che faceva accapponare la pelle erano gli occhi, di un intenso giallo paglierino, acceso quasi quanto le fiamme che bruciavano gran parte della città.
“La Fata….Oscura…” sussurrò qualcuno, alle spalle di Emma e del Principe.
Fata Oscura? Aveva già sentito quel nome…
“Chi sei?” chiese carica di rabbia la Salvatrice, preparandosi a colpire qualsiasi cosa si fosse avvicinata con il potere che tanto aveva imparato ad apprezzare.
“Chi sono?..Io?” esclamò sconcertata la donna, muovendo per la prima volta le labbra carnose e lasciandosi andare ad un sorriso carico di derisione e soddisfazione “la pulcina non ve l’ha ancora detto. Ohhh…questo mi ferisce Eva!” imbronciandosi come se stesse parlando con una bambina molto piccola e ostinata.
Dal tono, dalle movenze, dalla facilità con cui passava dall’astio alla risata, rendeva chiara un’unica cosa: quella donna era pazza, pazza come solo una persona con quegli occhi poteva essere. Sembrava non possedere un reale controllo mentale, una reale personalità, come annebbiata da quel potere che esplosivo scaturiva da ogni fibra del suo essere. Gli occhi, grandi e gialli, apparivano segnati da occhiaie nere e profonde che, invece di imbruttirla, le conferivano una sorta di malvagità naturale e in grado di incutere una paura incontrollabile.
Quell’essere, quella donna o mostro che fosse, intimoriva il cuore di chiunque, nano o Salvatrice che fosse.
Alzando il braccio e scoprendo parte della sua pelle diafana, la strega fece ondeggiare la sua bacchetta, sorridendo soddisfatta per ciò che avrebbe fatto, di lì a poco.
“Io sono la bellissima…splendida…Fata…Morgana!”
 




 
 
 
 
 
 
Eccoci qui!!!
Ottavo capitolo (nono se si conta l’incipit)…che conquista davvero!!! So di aver già fatto questo discorso ma devo dirlo di nuovo perché davvero non pensavo sarei arrivata fino a questo punto, non quando immaginavo le scene che, un po’ maldestramente, ho descritto; ho sempre creduto rimanessero fantasie messe lì nella speranza di vedere qualcosa di simile in qualche episodio. E invece, eccoci qui…all’ottavo capitolo…con MORGANA!!!!
Qualcuno immaginava fosse lei? Non credo di aver messo molti indizi a riguardo…tranne forse qualche accenno alla sua oscurità. Cmq…che ne dite? Io adoro questa strega….e non vedo l’ora di avere la possibilità di descriverla un po’ di più. Per ora mi accontento di questa piccola introduzione.
La frase finale è un piccolo omaggio al cartone Disney “La spada nella roccia”…ovvero al modo in cui si presenta Maga Magò!!!....ho cercato di non inserirlo, credetemi, ma è stato più forte di me :P
Altro piccolo riferimento al cartone in questione è il nome Ector; scopriremo qualcosa di più su di lui nel prossimo capitolo…e vi sfido a non odiarlo :p ahahah!!!!
Come sempre ringrazio di cuore chi continua a seguirmi, lasciando dei commenti che, tutte le volte, mi riempiono il cuore. Non so davvero come ringraziarvi, se non con la speranza che questo capitolo un po’ più lungo vi sia piaciuto come gli altri….ve lo dedico perché è tutto vostro. Grazie a Kerri che mi incoraggia sempre e sclera ogni lunedì insieme a me dopo aver visto l’ennesima puntata (non so come faremo tra poco ma una soluzione a fine stagione la troviamo :p); grazie a Sere per rimanere sempre incollata fino all’ultimo punto…non sai quanto mi faccia piacere…grazie di cuore!; grazie Ibetta che, sia con che senza punteggiatura, mi lascia sempre un commento eccezionale che mi farebbe scrivere pagine e pagine in un minuto; grazie Luana che mi fai sentire speciale con questa piccola storia…spero ti sia piaciuto anche questo capitolo e che tu l’abbia letto d’un fiato come gli altri :); grazie Orny per i fantastici commenti che, ti dirò, alla fine mi ritrovo pure io a divorare e rileggere con calma con la speranza di lasciarti una risposta sensata…grazie per le mille domande che ti fai, davvero non sai quanto ne sia felice; ed infine, ma assolutamente non meno importante (ho solo seguito l’ordine di recensione :P) grazie a pandinache commenta sempre…spero, in questo capitolo, di aver chiarito qualcosina!!!!
Vorrei scrivere qualcosa di più per ringraziarvi e per dirvi che questa storia è arrivata a questo punto solo grazie a voi, alle vostre parole e ai vostri continui incoraggiamenti.
Grazie ancora anche a chi inserisce la storia in una delle categorie, facendomi sentire soddisfatta come pochi!!! E grazie a chi solamente legge…spero in futuro di leggere un vostro commento!!!
Sono commossa nel sapere che spendete parte del vostro tempo per questa storia…spero di riuscire a descriverla com’è nella mia mente e a tenervi sempre incollati al pc, tablet, cellulare che sia :P
Il prossimo capitolo è già in stesura…e, in attesa delle vostre future recensioni, mi rileggo le vecchie e mi metto all’opera.
Un grossissimo abbraccio
Erin
 
 
Ps: E ovviamente….BUON OUAT DAY (anche se in ritardo :P)!!!!! ♥
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Una fata.
Quella donna, quell’essere spregevole e dallo sguardo folle, era una fata. Com’era possibile? Come poteva, anche solo lontanamente, essere riuscita a rientrare in quella speciale e splendida categoria? Certo, di esempi in grado di dimostrare quanto una persona riuscisse a cambiare nel corso del tempo ve ne erano a milioni,; del resto bastava ripensare alla differenza estetica che distingueva il Signor Gold di Storybrooke dal Signore Oscuro della Foresta incantata, un volto in grado di esternare al massimo tutta la crudeltà che l’uomo, o la bestia, era riuscito a compiere nel corso del tempo; ma con quella donna, sembrava diverso. Quegli occhi non davano l’impressione di essere il frutto di un’intossicazione da magia nera, come invece poteva riguardare Tremotino; no quella donna sembrava l’incarnazione del male, nata per essere cattiva e crudele, al di là delle brutte esperienze che potevano averla colpita nel corso della sua vita.
Con quello sguardo lineare e perfetto, sarebbe facilmente riuscita a passare per una delle tante sorelle di Turchina; bella, incantevole, dai capelli un tempo folti e lucenti; ma quel suo sguardo gelido, di un colore così insolito e agghiacciante, non lascia molto spazio alla fantasia. Eppure, se si ripensavano alle parole di Trilli quando Peter Pan aveva scambiato il suo corpo con quello di Henry, risultava chiaro che Morgana non mentiva; era davvero esistita una fata lasciatasi soggiogare dalla magia nera, divenendo così un prodotto di sé stessa così oscuro e malvagio da venire esiliata dalla stessa Turchina che, con chissà quale incantesimo, era riuscita a privarla della sua bacchetta; incantesimo che, però, non sembrava aver sortito l’effetto sperato.
La bacchetta in questione, infatti, se Emma non ricordava male, ora sarebbe dovuta trovarsi proprio nelle mani delle fate, al sicuro nella chiesa della cittadina. Già…ma allora per quale motivo quella specie di ramo annerito, nelle mani della strega di fronte a lei, pareva così simile alla bacchetta nera che, in più di un’occasione avevano usato per togliersi dai guai? Che dipendesse dal fatto che, risucchiate dal castello, le fate non rappresentassero più un impedimento per Morgana? Possibile che quella strega fosse riuscita a liberarsi dal suo esilio, puntando, come prima tappa, al recupero della sua fedele bacchetta?
L’unica domanda, rimasta ancora senza risposta, riguardava il collegamento tra la fata e la giovane Eva, fortunatamente al sicuro all’interno della caffetteria.
“Vorrei tanto rimanere qui e divertirmi insieme a voi…davvero…” esclamò fredda Morgana, scandendo bene l’ultima parola e continuando a giocherellare con sua bacchetta nera, facendola oscillare tra le dita, come fosse un semplice giocattolo tra le sue mani, apparentemente innocuo, ma invaso da una magia talmente oscura da essere avvertibile dal più umano dei presenti “…ma ho bisogno della bambina che tenete lì dentro…”
“Non credo sia possibile!” esclamò fiero il Principe, al fianco della figlia, puntando la spada in direzione di quella figura ammantata di nero.
“Oh… …ecco il Principe dal cuore nobile…che mi sfida con la lama lucente della sua spada” disse la donna, storcendo la bocca come se qualcosa di estremamente amaro avesse incontrato le sue papille gustative, dandole un’insopportabile sensazione sgradevole.
Con un gesto delle dita della mano sinistra, e per nulla intimorita dalla distanza che li separava, la strega sembrò prendere possesso della trachea di David che, nel giro di pochi istanti, chiuse ogni via d’accesso delle vie respiratorie di cui l’uomo era provvisto. In pochi istanti, scioccato dall’improvvisa sensazione di soffocamento, David si ritrovò inginocchiato a terra, con entrambe le mani strette attorno alla sua gola, in un inutile tentativo di sovrastare quell’improvvisa forza invisibile.
“Papà!”
“David!”
Il coro di voci di sua moglie e sua figlia invasero i timpani  di David, il quale non riuscì a far loro alcun cenno di intesa, completamente sbigottito dalla velocità con cui Morgana stava mettendo fine alla sua vita.
Biancaneve, spaventata come lo era stata solamente dopo aver distrutto il cuore dell’uomo a terra, non perse tempo ad affidare il piccolo Neal alle cure di Henry per poi raggiungere, pallida, il marito agonizzante; il volto, sempre così solare e carico di amore, ora appariva unicamente attraversato dalla paura e dallo sforzo di vincere quella battaglia ad armi impari.
Con tutta la concentrazione di cui era capace in quel momento, Emma cercò di aiutare il genitore, affidandosi principalmente al potere della sua magia, chiudendo gli occhi e puntando entrambe le mani in direzione del genitore. Tutto stava nel trovare la giusta concentrazione, nell’individuare l’esatta frequenza che avrebbe collegato la sua magia al corpo di David, creando in questo modo una barriera abbastanza potente da tenere lontano quella maledetta strega dalla pazzia precoce. Purtroppo, però, l’unica frequenza che la Salvatrice sembrò individuare fu quella in grado di aumentare la potenza magica di Morgana, la quale si divertì ad aumentare la stretta alla gola del Principe, i cui occhi celesti ora apparivano lucidi ed arrossati come non mai. Scoraggiata, la giovane Swan abbassò le mani sui fianchi, ritrovandosi a scambiare una veloce occhiata con la madre; Regina era senza magia, lei non sapeva usare la sua, cos’altro avrebbero potuto fare?
A nulla valsero i tentativi dell’uomo di battere i pungi a terra e di inalare, con disperazione, una piccola dose di aria nei polmoni, resi anch’essi serrati e invalicabili da un semplice gesto da parte della donna dai capelli corvini. La pelle del volto, prima bianca e quasi marmorea, cominciò a divenire bluastra, avvolgendo nella loro tintura anche le labbra piene con cui il Principe, poco prima, aveva rivolto semplici parole astiose nei confronti della strega.
David Nolan, il coraggioso Principe Azzurro delle fiabe, stava per morire asfissiato, davanti agli occhi delle persone che più lo amavano; possibile che, dopo tutto quello che aveva superato, dopo essere riuscito a salvarsi persino dal Rubus Noctis dell’Isola Che Non C’è, ora si trovasse lì, ucciso da un semplice gesto delle dita di una strega.
“Basta…fermati…ti prego…” urlò a pieni polmoni Biancaneve, i cui profondi occhi verdi avevano iniziato a velarsi di calde lacrime, cariche di paura e dolore.
Visibilmente divertita da quella scena straziante, Morgana si limitò a sorridere soddisfatta, allentando la presa alla gola dell’uomo dai capelli biondi, eseguendo per l’ennesima volta un semplice e, apparentemente innocuo, gesto delle dita. Il potere di quella donna sembrava andare ben al di là del semplice collegamento con la bacchetta che teneva in pugno e, se fino ad un momento prima, la Salvatrice aveva pensato di potersi sbarazzare di lei distruggendo quel legnetto scuro, ora non ne era più così sicura.
Grato di poter respirare di nuovo, David iniziò ad inspirare in maniera agitata e incontrollata, riuscendo solo a stringere lievemente la mano della sua amata moglie che, con un sospiro di sollievo, si piegò su di lui, lasciandosi andare ad un sospiro di sollievo.
Appoggiando una mano sul corpo scosso dalla tosse del padre, Emma spostò lo sguardo verso Morgana, sperando con tutto il cuore che il rancore che stava provando in quel momento riuscisse a scalfirla in qualche modo.
Con uno scatto veloce e sicuro, Emma si rimise in piedi, mostrandosi in tutta la sua autorevolezza. Lo sguardo, la postura, la chiusura delle mani, tutto ciò che riguardava la donna, dai lunghi capelli biondi, sembrava urlare un'unica parola: forza.
“Ohhh Salvatrice…che sguardo carico di odio e risentimento!” esclamò Morgana stringendo le mani al petto, come attraversata da un improvviso compiacimento materna “…lo sguardo tipico di chi vuole difendere ciò che ama, dico bene? E pensare che te l’ho già visto quello sguardo…anzi, oserei dire…di averlo visto ancora più ostile di così!...Dopotutto…mai toccare i cuccioli della mamma...”aggiunse porgendo alla bionda un sorriso malsano e del tutto fuori luogo “...combattere per la propria prole, difenderla sempre e comunque…anche a costo della vita. E così che funziona da queste parti….e così che si comportano gli eroi…dico bene Emma Swan?!” chiese, senza attendere una reale risposta, in quello che pareva essere un piccolo monologo, carico di frasi prive di alcun senso alle orecchie della maggior parte dei presenti “....Che cosa disgustosa…”
Senza alcun motivo spiegabile, lo sguardo di Morgana divenne improvvisamente tetro e nocivo, come il veleno che sicuramente le scorreva nelle vene al posto del sangue. Quell’ultima parola, pronunciata con lo stesso suono sibilante con cui si era presentata a Storybrooke quella sera, sembrava impregnato della stessa follia che, Emma, sapeva di aver colto al primo sguardo.
Ciò che colpì oltremodo la Salvatrice non fu l’aver sentito Morgana paragonata ad un animale in difesa dei suoi figli, no….fu, piuttosto, il senso sottointeso delle sue parole: la fata Oscura la conosceva, sapeva chi era e quale fosse il suo ruolo in quella città; aveva già avuto a che fare con quella strega, ma quando? Avrebbe sicuramente ricordato uno scontro con lei, soprattutto se di mezzo c’era stata la vita di Henry; e, sopra ad ogni cosa, avrebbe ricordato di aver incontrato Morgana in persona, la stessa che, nei modi più disparati, era sempre stata presente nelle loro vite, anche solo sotto forma di racconto, costantemente attraversato da un oscuro alone di mistero. Possibile che qualcun altro avesse giocato con la sua memoria? Che fosse questa la spiegazione del costante senso di deja-voo che provava ogniqualvolta Eva fosse nei dintorni?
Cercando di non osservare con troppo insistenza le fiamme che ingoiavano l’intera città, distruggendo ogni cosa incontrassero, Emma strinse le labbra con forza, cercando in tutti i modi di tenere i nervi saldi.
“Io però non ti conosco affatto…”
“Tzè…Conoscermi” sbottò quasi divertita la strega “…nessuno mi conosce Emma…nemmeno la ragazzina che tra poco uscirà da quella porta di sua spontanea volontà!” rispose, stringendo la bacchetta con fare impaziente.
“Io non cre…”
“io sì invece…” l’anticipò Morgana, non dando alla Salvatrice nemmeno il tempo di concludere la frase.
Con una rapidità talmente impressionante da non dare il tempo, né ad Emma né ai suoi genitori, di comprendere realmente cosa stava accadendo, Morgana, con un semplice gesto della bacchetta, riuscì a spedire i tre eroi all’interno della caffetteria, dando per l’ennesima volta dimostrazione del suo immenso potere.
Una volta scaraventati i tre corpi all’interno del locale, la porta di quest’ultimo venne rinchiusa con forza, rimanendo, dopo il forte impatto, priva della storica scritta open-closed.
Sollevandosi da terra, per l’ennesima volta quella sera, Emma non riuscì a fare a meno di posare lo sguardo sul volto esile della ragazza rimasta addossata alla parete che, fino a solo qualche minuto prima, aveva segnato la fine del suo arretrare da Regina. Non vide uno sguardo spaventato, né adirato, ma solo quello tipico di chi aveva ceduto alla rassegnazione, consapevole di dover rinunciare a qualcosa che, fino ad allora, aveva stretto con tanta insistenza.
“La Fata Nera…ma non era stata esiliata da Turchina?!” chiese la vedova Lucas con sguardo serio, impugnando con più forza la sua fidata balestra, rimasta fino ad allora nascosta chissà dove.
“Già…” espresse a voce flebile Biancaneve, ancora stretta tra le braccia forti del marito.
“Si tratta della stessa fata oscura che ti ha dato la polvere che trasforma in insetto???” chiese a bruciapelo Emma.
“Sì…ma io non l’ho mai vista…” rispose la madre, deglutendo a fatica “…non…non di persona. Chi mi aveva procurato la polvere, aveva detto che la Fata Oscura…era morta!”
“Bè direi che è viva e vegeta!” tagliò corto Emma, pentendosi fin da subito per il tono duro che aveva usato.
L’ultima cosa che avrebbe voluto fare in quel momento era proprio scaricare addosso agli altri la sua tensione, in particolar modo su sua madre che, proprio qualche istante prima, aveva rischiato di perdere il suo vero amore senza riuscire a far nulla per aiutarlo. Quella situazione, però, sembrava peggiorare a vista d’occhio; iniziata con l’arrivo di una ladra di magia, ora si ritrovavano ad avere a che fare con Morgana la Fata, la stessa strega di cui aveva letto e visto una miriade di rivisitazioni. Ovviamente, non c’era da stupirsi che la parte più vera delle leggende sentite confermasse il lato oscuro della strega; dopotutto, che divertimento ci sarebbe stato se si fosse trattato di un’eccentrica maga dagli abiti bizzarri? Per quale maledetto motivo non poteva essere la versione di Morgana dolce e comprensiva che aspirava unicamente alla pace del mondo?
Preoccupata dall’improvviso silenzio abbassatosi nella sala, Emma si avvicinò ad Eva, la quale, stretta in quel suo lungo cappotto scuro, non smetteva di guardare la porta d’ingresso davanti a sè, persa in pensieri così chiari da essere quasi visibili ad occhio nudo. Stava tramando qualcosa, Emma lo sentiva con ogni fibra del suo essere; quello sguardo perso, leggermente corrucciato e ristretto, lontano miglia e miglia da quella piccola caffetteria, sembrava rendere quelle iridi più profonde e dure di quanto in realtà non fossero. Eva stava lavorando da sola, guidata unicamente dal suo cuore e dal suo temperamento imprevedibile, come aveva visto fare a qualcun altro in più di un’occasione.
“Ehi…”la richiamò la giovane Swan, avvicinandosi a lei fino a fermarsi ad un solo passo da quel corpo esile ma tonico “…non sei da sola ok? Quella pazza non si avvicinerà a te…ma è importante che tu non esca, per nessun motivo...chiaro?”
“Infatti ha detto che mi farà uscire….” esclamò Eva con rassegnazione, ritrovandosi a fissare per l’ennesima volta lo sguardo sicuro della Salvatrice “…e se dice che uscirò…vuol dire che sa come farlo…”
“Non se ci siamo qui noi”
“Non basterà…” continuò la ragazza, seria e senza alcun spiraglio di speranza in quel tono di voce decisamente troppo maturo per una ragazza della sua età.
“Sai, qualcuno una volta mi ha detto di provare una cosa…” le disse Emma, ritrovandosi quasi a sorridere, a dispetto degli eventi che, prepotenti, continuavano a colpire in maniera negativa ogni abitante di quella città.
“Ah sì…e sarebbe?”
“…Fiducia!” esclamò con convinzione Emma, accompagnando con un sorriso di sfida quella semplice parola, carica di un significato che solamente lei, in quella stanza piena di gente, avrebbe colto del tutto.
“Ehi…sorella….” proruppe improvvisamente Leroy seduto accanto alla finestra su cui era appesa la scritta SANDWICHT del locale.
Al suono di quella voce, Emma ed Eva si ritrovarono a spostare, in perfetta sincronia, il volto in direzione del nano, attirando su di loro lo sguardo espressivo di Biancaneve; quest’ultima, in maniera del tutto inconscia ed involontaria, si ritrovò prendere in considerazione una possibilità a dir poco assurda. Quello sguardo, quel modo di alzare il mento e assottigliare le labbra, quella fierezza impossibile da non notare, sembrava così, così…
“Cosa c’è Leroy?” chiese Emma, con voce stanca.
“…ho paura di aver appena trovato il tuo ragazzo!”
 
 
***
 
 
Foresta Incantata…molti anni prima
 
“Calmatevi….vi prego….calmatevi sorelle!”
La voce sicura e autorevole di Turchina echeggiò tra le solide querce che, protettive, accoglievano il gran numero di fate presenti in quel consiglio, richiamato per un’occasione a dir poco urgente.
Ali e vesti di tutti i tipi, riempivano l’esteso spiazzo verde e fiorito su cui si erano riunite, donando a quel luogo incantato un’atmosfera così magica da essere degna del miglior libro di fiabe. Persino il loro vociare, mai così allarmato e chiassoso come lo era in quel momento, riusciva ad incrinare l’intero clima offerto da quel luogo.
“Comprendo la vostra agitazione…ci siamo riunite in consiglio proprio per discutere di questo…e trovare una soluzione al problema che ci affligge!”
Con il suo abito dalla tinta azzurra, adornato con diversi boccioli di rosa e, forse anche per questo, inconfondibile per qualsiasi abitante della Foresta Incantata, la fata madrina si rivolse a tutte le presenti, dando, ad ognuna di loro, la possibilità di osservare il suo volto sicuro dall’alto della pietra su cui era posata.
Come accadeva ogni qual volta venisse indetto un consiglio, le fate si raccolsero in quel preciso tratto del bosco, inaccessibile a chiunque non rientrasse nella loro categoria; grazie alla protezione offerta dalle Querce Silenziose, le fate avevano assunto, in totale tranquillità, grandezza umana, apparendo ancora più belle e magiche di quanto già non fossero.
“Sono due Turchina…proprio come era stato annunciato dalla profezia…” proruppe una delle presenti, esprimendo a parole ciò che ogni fata aveva nella mente e nel cuore da quella mattina.
“lo so bene Flora...” le rispose seria Turchina, posando solo per un attimo lo sguardo castano sulla figura formosa della fatina che aveva appena parlato.
“Perciò cosa dovremmo fare?...ucciderle?” urlò una voce indistinta, impossibile da identificare in quella folla di fate affiancate le une alle altre.
“Assolutamente no!” sbottò sconvolta la fata dai toni azzurri, il cui sguardo sbarrato non esprimeva minimamente la sorpresa nell’aver udito una simile proposta “…noi siamo fate, fate buone e non uccideremo nessuno… MAI!”
“Neanche quando una previsione ci informa che la fata in questione sarà la causa della nostra fine?” chiese una fata di nome Calla, posata ad uno degli alberi dal tronco antico “…della fine di tutti…Turchina!”
“No Calla…nemmeno in questo caso….”sottolineò Turchina, ferma nella sua decisione “…questa nascita non deve oscurare le nostre speranze. La profezia parlava della venuta di due fate, è vero….Due fate nate sotto un fiore dai petali neri…”
“E le bambine sono nate proprio dentro ad un fiore marcio…nero e oscuro come non ne avevo mai visti!” l’interruppe nuovamente Floria, con sguardo sbarrato e spaventato.
“….ma…” continuò Turchina, seccata da quell’ennesima interruzione “…la profezia dice anche che una soltanto di loro si sarebbe lasciata soggiogare dalla magia più nera…Perciò è chiaro che una di loro è buona….una di loro può essere salvata, DEVE essere salvata!” enfatizzò a gran voce “E ditemi sorelle…chi ci dà il diritto di scegliere quale sacrificare? Chi ci dà il potere di uccidere a priori un essere dal cuore puro…in grado di portarci gioia e speranza…solo per darci la possibilità di fare sonni tranquilli!”
Un silenzio carico di significato scese tra tutte le presenti, visibilmente combattute da quelle parole giuste e impossibili da contestare, ma allo stesso tempo preoccupate da ciò che avrebbe comportato la loro scelta, fosse essa guidata dalla paura o dalla bontà d’animo.
“ma se lasciamo entrambe in vita…sarà come segnare la fine del nostro mondo!” esclamò una fata dalla pelle scura, con volto triste e affranto.
“È anche vero che uccidere non rientra tra i nostri compiti…non possiamo sacrificare una fata per ucciderne un’altra. Noi non siamo state create per commettere simili azioni…!”
“Già...ma non siamo nate nemmeno per rimanere inermi a guardare il mondo cadere nelle mani della magia oscura!” sbottò nuovamente Calla, la fata dai cortissimi capelli, biondi e splendenti come la luce, che presto trovò l’appoggio di altre sorelle accanto a lei.
“Vorrà dire che bloccheremo i poteri magici di entrambe fino al compimento del loro diciottesimo anno di età” esclamò Turchina, lasciando un defluire, dal suo tono di voce, la collera e la delusione di fronte a quel comportamento così duro e sospettoso da parte delle sue amate sorelle “…In quel momento, la malvagità della fata oscura sarà già visibile…e sarò io stessa ad imporle l’esilio da queste terre, dando così, alla sorella rimasta, l’opportunità di diventare una fata a tutti gli effetti, con una sua bacchetta…e la sua magia!”
“E nel caso non bastasse?” incalzò la fata bionda, incrociando seria le braccia al petto.
“In quel caso ci affideremo alla seconda parte della profezia di cui tanto vi fate portavoce...”le rispose seccata la fata, dando l’impressione di riuscire a posare lo sguardo su ogni presente di quel consiglio “…aspetteremo che la magia bianca del frutto del Vero Amore ci salvi dalla Fata Oscura…com’è stato scritto!”.
Detto ciò, impedendo a chiunque di contestare la sua scelta, la Fata Madrina spiccò il volo, riassumendo le sue naturali sembianze ridotte e lasciando tutte le fate presenti in bali della decisione ormai presa.
Non giudicava quel loro modo di reagire, o meglio non riusciva a farne loro una colpa, non del tutto almeno; ma non avrebbe mai permesso che due creature innocenti incontrassero la morte senza aver avuto la minima occasione di redimersi. Turchina conosceva bene il potere di una profezia e il modo in con cui molte di loro avevano finito col trovare conferma negli eventi futuri alla loro proclamazione; era pur vero, però, che non tutte le premonizioni si basavano su fatti certi, e non tutte le premonizioni dicevano il vero; al contrario, molte si ritrovavano a mutare nel corso degli anni, modificate dal comportamento e dalle scelte attuate di chi ne faceva parte.
In quel caso, la rabbia e la paura della fate stava unicamente portando la profezia ad una perfetta realizzazione; chi dava loro la sicurezza che non fosse proprio l’uccisione delle bambine a portare l’oscurità sul mondo delle fate? Chi diceva loro che non fosse proprio la scelta sbagliata di perdere la speranza a far divenire ognuna di loro oscura, portando così dolore e sofferenza all’intera Foresta Incantata? Chi diceva loro che la profezia non fosse stata fatta proprio da un essere oscuro con l’unico obbiettivo di distruggere le fate e la loro preziosa magia bianca?!
No, non lo avrebbe mai permesso. Quelle due bambine sarebbero rimaste state sotto la sua protezione e, nel momento in cui una di loro avesse dato segno di instabilità, se ne sarebbe occupata personalmente.
Con una velocità che solo delle ali magiche potevano influire, Turchina raggiunse la culla dei boccioli, uno dei luoghi più protetti e ben celati nel mondo delle fiabe; l’esteso spazio si trovava in alto, in mezzo alle nuvole, a poca distanza dai fiori in cui lei e le altre fate riposavano o si riunivano. La culla dei boccioli era un luogo sacro per ogni fata; il luogo dove ognuna di loro aveva visto la luce per la prima volta; il luogo dove le fate nascevano, sbocciando dai piccoli boccioli in cui erano cullate.
Lì, in disparte rispetto agli altri, vi era un piccolo fiore nero, da poco sbocciato, su cui erano avvolte due creature dal volto così candido e dolce da togliere il fiato; nonostante fossero nate sotto gli stessi petali, le piccole avevano dei tratti distintivi molto visibili: una aveva capelli castani, intensi e scuri come le querce che, poco prima, avevano assistito al consiglio delle fate, con occhi dello stesso colore nocciola; l’altra, più alta rispetto alla sorella, aveva splendidi e brillanti capelli neri, con occhi tanto azzurri da sembrare pieni dell’acqua dell’oceano.
Due splendidi esemplari di fate, così bisognose di cure e affetto da alimentare ancor di più lo scetticismo di Turchina di fronte a quella sciocca profezia, il cui scopo sembrava essere unicamente quello di spaventare le fate più ingenue.
In un gesto carico di amore, Turchina sfiorò la testa di entrambe, sorridendo a quelle che, al di là di ogni sua più fervida immaginazione, avrebbe scritto il futuro dell’interno mondo delle favole.
Avrebbero portato amore? Gioia? Sofferenza?
“Ehi…” sussurrò la fata, avvicinando il volto ai petali su cui le creature erano stese sul dorso “…Nimue…e Corvina! Farete grandi cose…ne sono certa!”
 
 
 
 
Storybrooke…giorni nostri
 
Le fiamme, alimentate dal forte vento proveniente dal mare, parevano prendere forza ad ogni secondo, rendendo le edere arrampicanti di Granny  e la cassetta della posta un triste ricordo di quello che, il giorno prima, era la parte più trafficata della città.
Al centro di quell’inferno fatto di fiamme e mostri alati, vi era Morgana, splendida e intoccabile, con la sua veste nera, così delicata da apparire quasi fuori luogo. La bacchetta nera, al sicuro tra le sue dita sottili, aveva appena svolto il suo ennesimo compito, facendo comparire al suo fianco l’inconfondibile figura del Capitano più famoso di tutta la Foresta Incantata, e non solo; l’uomo, impossibilitato a muoversi a causa della stessa forza invisibile che poco prima aveva portato al quasi soffocamento il Principe Azzurri, aveva dipinta sul volto la sua espressione più nera, quella che, solitamente, riservava all’essere che più odiava al mondo: Tremotino. A nulla valsero le strattonate o i tentativi di movimento di spalle e gambe, Uncino appariva completamente immobilizzato e in balia dei continui capricci della fata Oscura.
“Che diavolo vuoi da me…” grugnì Uncino tra i denti, lanciando alla donna accanto a se un’occhiata carica di odio e disprezzo.
“Sua altezza…dov’è finita la vostra perspicacia?!..mi deludete…” esclamò divertita la strega, mettendosi di fronte al pirata, costantemente affiancata da una delle sue fedeli creature “…o forse dovrei chiamarvi Capitano!”
Lo stava deridendo, si stava deliberatamente prendendo gioco di lui senza il minimo sforzo di nascondere la cosa; voleva innervosirlo e, purtroppo, ci stava riuscendo decisamente troppo bene.
“…ad ogni modo…siete qui come…esca…Una bellissima…esca” aggiunse Morgana, inclinando leggermente il capo, come a voler osservare con più attenzione quel volto familiare.
“Come siete giovane Killian Jones…” con estrema lentezza, la strega iniziò a sfiorare, con la sua bacchetta incurvata,  quel volto perfetto e dalla barba incolta “…così bello, così sicuro di sé…la somiglianza è incredibile”
“Sei pazza…!”
“Forse…” esclamò soddisfatta, ferendo di proposito il volto del capitano, dalla cui guancia sinistra iniziò a scendere un sottile rivolo di sangue.
Con i capelli ingarbugliati e mossi dal vento, Morgana fece qualche passo in direzione del locale, fermandosi a pochi metri dal marciapiede, anch’esso inghiottito dalla moltitudine di fiamme presenti.
Volgendo solo leggermente lo sguardo alle sue spalle, la Fata Oscura richiamò a sé la figura incisura di Ector, il quale sembrava essere magicamente comparso all’arrivo del Capitano Jones, come incuriosito da ciò che la sua padrona avrebbe fatto di lì in avanti.
“Si mia signora…” esclamò spaventato l’uomo, abbassando il capo biondo fino quasi a toccarsi le ginocchia.
“Prendi il coltello che ti ho dato poco fa…e puntalo alla gola del nostro caro…pirata!” disse Morgana, pronunciando l’ultima parola con un divertimento per nulla celato “…è ora di far uscire il piccolo topo dalla tana!”
 
***
 
“…ho paura di aver appena trovato il tuo ragazzo!”
Non appena comprese le parole del nano, la giovane Swan si precipitò alla finestra, dando conferma ad ogni singola paura che, fino a quel momento, aveva avvolto la figura del Capitano in questione.
Lui era lì, proprio in mezzo alla strada, alle spalle della strega, minacciato dalla lama di un pugnale puntata dritta alla sua gola da quell’omuncolo dagli insoliti capelli mossi.
 “Maledizione!” sbottò la Salvatrice, non controllando minimamente la sua frustrazione in un momento come quello.
Neppure Regina, la quale il più delle volte non perdeva occasione per fare qualche battuta a spese di Uncino, rimase in silenzio, limitandosi a lanciare un’occhiata seria e preoccupata in direzione della bionda.
Che Morgana fosse riuscita a prendere in ostaggio il pirata complicava decisamente le cose, rendendo del tutto irrealizzabile l’unico piano approvato da tutti, ovvero cercare di allontanarsi da lì senza incorrere in un faccia a faccia all’ultimo sangue con la donna vestita di nero, la cui magia sembrava aumentare a vista d’occhio. Ora le cose si erano fatte decisamente diverse, e il sorriso soddisfatto in quelle labbra di un pallore quasi innaturale ne erano l’ennesima conferma.
“Ok…vado fuori!” esclamò la Salvatrice fuori di sé, con il viso ancora incollato alla vetrata, leggermente appannata dall’eccessivo calore esterno.
“Emma…” la richiamò la madre.
“”No…non ora ti prego!” sbottò la figlia, lanciando alla madre uno sguardo scarico carico di ansia e paura; non avrebbe mai lasciato Killian nelle mani di quella pazza, non ora che entrambi avevano finalmente iniziato a lasciarsi andare ai loro sentimenti “Eva…rimani qui e non ti muovere per nessun motivo!” sottolineò la giovane Swan, consapevole di quanto poco potesse interessare alla ragazza la vita di un pirata.
“Emma…” la richiamò, stavolta il padre, con lo sguardo fisso verso la porta principale.
“Che c’è?!” esclamò esasperata, allargando leggermente le braccia, come a voler sottolineare la sua irritazione.
Stanca di quel continuo pronunciare il suo nome, Emma puntò lo sguardo sui genitori, ritardando per un solo attimo la sua ennesima uscita da quel locale che, solitamente, amava così tanto frequentare.
Né David, né Mary Margaret, i cui volti portavano i chiari segni della stanchezza e della preoccupazione, però parevano aver fatto caso alla ragionevole rabbia della figlia, intenti a fissare qualcosa al di là della vetrata, in una sorta di imitazione di quanto aveva fatto la stessa Emma poco prima.
“Che vi prende?!”
“È uscita!!”
“Cosa?!”
Sbigottita e senza parole, Emma seguì lo sguardo dei genitori, trovando ben presto la conferma delle loro parole.
Ad una velocità impossibile da sfruttare senza l’uso della magia, Eva aveva abbandonato la sala della caffetteria, apparendo in tutto il suo splendore a pochi passi dal marciapiede, disobbedire così a l’unico ordine che Emma le aveva imposto poco prima. Forse era solamente l’ennesima sensazione priva di senso, o meglio priva di un senso spiegabile, ma non appena il corpo del pirata era apparso in mezzo alla strada, qualcosa dentro alla giovane Salvatrice le aveva urlato di proteggere Eva e di impedirle di fare qualsiasi sciocchezza. Come spesso accadeva negli ultimi tempi, però, la testa aveva avuto la meglio sul cuore.
Allontanando dalla mente quei pensieri privi di alcuna utilità, Emma posò velocemente la mano sulla maniglia in ferro della porta, spingendola verso l’esterno, come aveva fatto tempo prima per rincorrere una Regina a dir poco scioccata dall’arrivo di Marion. Questa volta, però, le cose non andarono allo stesso modo, alimentando non poco l’esasperazione di Emma; la porta rimase immobile, ferma, come una parete dipinta da un pittore burlone, con l’intendo di trarre in inganno qualche povero malcapitato.
Nervosa, Emma iniziò a spintonare la porta, scoprendo ben presto che nemmeno le sue spalle atletiche potevano nulla contro quell’incredibile forza magica. La porta era bloccata, bloccata da un incantesimo di protezione, quasi certamente creato dalla stessa persona che ora si trovava davanti alla strega.
Buttando fuori l’aria, nella speranza di diminuire l’angoscia del momento, Emma iniziò a scrollare le mani, come faceva ogni qualvolta si preparasse ad attuare un incantesimo dalla portata complessa; un gesto probabilmente dettato dall’ansia, ma che ormai faceva del tutto parte di lei, della sua personalità e, chissà, forse addirittura del suo DNA.
Serrando fortemente gli occhi, addolciti dalle sue folte ciglia, Emma cercò di annullare l’incantesimo di protezione lanciato da Eva, ben presto preoccupata di non vedere alcun segnale di un suo ipotetico successo.
“È inutile…” esclamò Regina, interrompendo il silenzio sceso nella sala “…la ragazzina ha la mia magia…non usciremo mai da qui!”
Consapevole che le parole del sindaco erano tante amare quanto veritiere, Emma appoggiò le mani fredde sopra la vetrata della porta d’ingresso, ritrovandosi a sperare con tutta se stessa che la ragazzina sapesse cosa stava facendo.
Con lo sguardo verde colmo di preoccupazione, Emma fissò la figura slanciata di Eva, la quale si trovava lì fuori, a pochi passi dal corpo longilineo di Morgana; le spalle dritte e le mani talmente serrate, da dare quasi l’impressione che le unghie le si conficcassero nella pelle, diafana e sottile; chissà, forse l’unico modo per non perdere completamente il controllo in una situazione come quella.
Era uscita, nonostante quello che le era stato detto, nonostante fosse stata lei stessa a chiarire l’importanza di non dare a Morgana ciò che voleva, era uscita ugualmente; e per quale motivo poi? Per Uncino? Impossibile, non lo conosceva neanche e, probabilmente, l’unico dialogo avvenuto tra loro si era limitato a qualche sorriso da parte del pirata, e a facce imbronciate da parte di Eva.
Come aveva già notato da tempo, Eva non si era mai mostrata una grande sostenitrice né di lei, né di Uncino e né Regina; non aveva mai parlato con loro, non si era mai finta neanche minimamente amichevole nei loro confronti, ma solo fredda e distaccata. Sembrava interessata unicamente a se stessa e alla sua vita; forse un po’ ad Henry, ma anche quell’amicizia si era rivelata una mera copertura. Già, ma come non sottolineare quanto, gli ultimi eventi, avevano messo in discussione la sua tesi? Il modo in cui Eva si era intromessa per salvarle la vita era cosa ben nota a chiunque; persino Regina, solitamente accecata dalla sua rabbia, aveva momentaneamente deposto l’ascia di guerra, arrivando a mettere al primo posto l’eliminazione di quella strega che voleva Eva a tutti i costi.
Perché era uscita? Perché rischiare la vita per qualcuno che, fino ad un giorno prima, aveva evitato come la peste?
-Lo sai il perchè…-
Quell’improvviso pensiero prese consistenza nella sua mente, impedendole perfino di stringere le labbra, nel vano tentativo di deviare l’attenzione dai suoi pensieri; era un’idea folle e priva di alcun significato. Eva non poteva avere a che fare con nessuno di loro, era impossibile e privo di alcuna logica; era fin troppo perfino per una cittadina come Storybrooke.
Eppure…
“Si sta avvicinando a lei…” esclamò improvvisamente la voce di David, allontanando la Salvatrice da una rivelazione decisamente troppo scomoda e inverosimile.
All’esterno della caffetteria, il volto perfido di Morgana era stato attraversato da una scintilla di soddisfazione, nel momento in cui la figura della ragazza dai lunghi capelli castani aveva fatto capolinea in quella strada ormai distrutta.
“È rassicurante vedere come alcune cose non cambino mai….non trovi principessa?!” proruppe la donna, aspettando una risposta che, però, non sembrò voler arrivare. “…troppo prevedibile…” aggiunse, con tono disgustato.
“Lascialo andare!”
Con la speranza di apparire sicura e coraggiosa come i suoi genitori erano stati in varie occasioni, Eva rimase ferma nella sua posizione, limitandosi a posare solo per un attimo lo sguardo sul copro di Killian, la cui vita sembrava dipendere unicamente da Ector, intento a puntargli una lama arcuata dritta alla gola.
“Che arroganza…sai da quanto ti cerco piccolina?!” le chiese Morgana, fingendosi preoccupata, ma non riuscendo a trattenere uno dei suoi sorrisi freddi e privi di qualsiasi sentimento “…non è piacevole fare viaggi nel tempo. Dico bene pirata?” aggiunse la strega, senza mai staccare lo sguardo dalla ragazza.
Uncino, dal canto suo, rimase impassibile, apparentemente disinteressato da ogni cosa si svolgesse in quel momento, ma intento, al contrario, a comprendere quell’insolito dialogo tra la donna ed Eva.
“…sono qui no?...è me che vuoi…non lui!” disse Eva con tono reso vacillante da una disperazione quasi impossibile da controllare.
“Oh hai ragione…lui dopotutto l’ho già ucciso giusto?…e non sono di certo il tipo che ama ripetersi!” sorrise melliflua in direzione della giovane.
“Come prego…?!” chiese il diretto interessato, beccandosi l’ennesima pungolata da parte di quella lama stretta nelle mani sudaticce di Ector “…hey schiavetto…vediamo come te la cavi senza quel pugnale?” lo provocò Killian.
Ciò che ottenne il pirata, però, fu solamente una dolorosa ginocchiata allo sterno, che lo fece presto piegare in due, attraversato da un dolore talmente improvviso e profondo da lasciarlo letteralmente senza fiato; neppure il debole tossire dei polmoni gli permisero di allentare quel senso di soffocamento e sofferenza provocato dal colpo, ricevuto in maniera tanto fulminea quanto inaspettata.
“Fallo smettere!” urlò fuori di sé Eva, ritrovandosi a compiere un leggero passo in direzione dell’uomo in giacca di pelle, il quale alzò leggermente il capo, ritrovandosi a scambiare una veloce occhiata con quella strana ragazza, improvvisamente preoccupata per la sua sorte.
“Ector…per favore..” si limitò a dire la strega, con voce per nulla contrariata.
Eva strinse forte la mascella, concentrandosi con tutta se stessa per non perdere il controllo. Non glielo avrebbe lasciarglielo fare, non lo avrebbe visto morire sotto i suoi occhi, non un'altra volta.
Era lì, in una sorta di deja-voo impossibile da spiegare a chiunque non avesse vissuto, come lei, un susseguirsi di eventi, ognuno con una differente componente temporale.
Come avrebbe potuto resistere all’ennesima morte avvenuta a causa sua? Come avrebbe potuto rimanere ferma, immobile, nella speranza che le cose cambiassero, o che per lo meno iniziassero a volgere a suo favore? Se avesse visto morire un’altra sola persona a cui teneva, se avesse visto lui morire davanti a suoi occhi non facendo nulla per impedirlo, avrebbe perso il controllo della sua magia; avrebbe finito col perdersi e finire in uno di quei labirinti da cui era impossibile uscire. Lo sapeva bene, lo sapeva fin troppo bene.
Sarebbe diventata ciò che più odiava, ma di cui ultimamente non riusciva a fare a meno.
Con quei pensieri nella mente, Eva rimase ferma nella sua posizione, sfidando con lo sguardo la strega che, da anni, aveva fatto scendere le tenebre sull’intera Foresta Incantata. A dispetto di quanto avrebbe mai pensato, il respiro si era fatto lento, scadenzato, le dita avevano smesso di tremare e anche le lacrime, un tempo ribelli e impossibili da trattenere, ora eseguivano col massimo rispetto il suo ordine di rimanere al loro posto, in una sorte di prigionia autoimposta.
Da quando era diventata così fredda, così controllata? Sa quando i suoi sentimenti ed emozioni, un tempo coinvolgenti, si erano fatti latitanti e scarni?
Che fosse quello l’effetto del dolore? Che fosse quello il modo in cui una persona smetteva di essere buona ritrovandosi a compiere azioni orribili e deplorevoli?  Era così che una persona diventava…cattiva?
Una delle cose che aveva imparato negli ultimi dieci anni era che le persone non nascevano cattive; no, cattivi non lo si era mai dalla nascita ma, al contrario, lo si diventava col tempo, con le esperienze negative e con la continua dose di dolore che l’animo assorbiva ad ogni morte, ad ogni perdita, ad ogni conflitto, arrivando a corrodersi in maniera irrecuperabile.
E il suo animo a che livello era? Quanto si era oscurata la sua anima nel vedere morire sua madre, suo padre, Jake…
Era ancora recuperabile? Poteva ancora essere salvata?
“Quindi…vediamo di accelerare le cose!” continuò Morgana, avvicinandosi di un altro passo ad Eva, rimasta immobile, con le braccia stese lungo i fianchi.
 “Ehi…non restare ferma lì…vattene!!!” urlò Killian, ancora leggermente piegato, arrivando a destare la ragazza da quella sorta di torpore in cui sembrava essere caduta “…questa pazza non mi lascerà mai andare…non darle quello che vuole!” continuò il pirata, con una voce quasi simile ad un ruggito, tanto era forte e nervosa.
Eva lo guardò, con occhi leggermente lucidi e carichi di dolore.
Fu per una frazione di secondo, breve come un battito d’ali di fata, ma una strana sensazione si impossessò del cuore del giovane Jones che, senza alcun apparente motivo, si chiese se avesse già incontrato quello sguardo perso, quel viso bianco, quelle ciglia folte; forse, in qualche luogo o in qualche tempo, impossibili da identificare; forse nel viso di suo padre, incontrato in uno dei suoi numerosi viaggi della sua lunga vita.
A dispetto di ogni suo pensiero, quegli occhi verdi gli conferivano una strana sensazione, la sensazione di guardare dritto dentro la sua anima, come davanti ad uno specchio scheggiato e attraversato da tanti e piccoli riflessi, talmente luminosi da impedire una chiara visione del proprio volto; ma sebbene gli occhi non riuscissero a vedere in maniera indistinta, ci pensava la mente a completare quell’immagine distolta, facendola combaciare in maniera perfetta col suo volto e con quello di qualcun altro.
La conosceva.
Nel momento in cui Eva deviò lo sguardo da quello del pirata, Killian si ritrovò a scrollare il capo in maniera lenta, come colpito da una sorta di incantesimo quasi consapevole. 
“Oh ma lei non se ne andrà…non andrà più da nessuna parte”
Sussurrando quelle parole cariche di disprezzo, Morgana eliminò i metri che la distanziavano da Eva, avvicinando le sue labbra carnose al volto pallido della ragazza, graffiando, con l’unghia del suo indice, la sua pelle bianca e leggermente coperta di cenere. Un leggero rivolo di sangue iniziò a discendere lungo quel volto perfetto, finendo per cadere sulla falange bianca dello stesso dito che lo aveva evocato.
“Ora ti mostrerò come si fa…principessa
Lentamente, la Fata Oscura alzò il braccio verso l’alto, lasciandolo per l’ennesima volta scoperto e colpito dal calore diretto delle fiamme che, imperterrite bruciavano tutto intorno a loro. Nel momento in cui la strega arrivò a toccare con mano ciò che da anni cercava con tutta se stessa, il fuoco sembrò alimentarsi della sua oscurità, arrivando ad innalzare ancor di più la sua portata.
Tutto sembrò fermarsi, persino le bestie squamose, rimaste fino ad allora in disparte, sembravano aver smesso di emettere quei loro rantoli tanto agghiaccianti quanto innaturali.
A dispetto di poco prima, il cuore della ragazza iniziò a battere in maniera incontrollata, dandole la sensazione di scoppiarle nel petto.
Stava finendo tutto, ogni cosa stava per giungere al termine; dopo tutto quello che aveva passato, dopo tutto quello che aveva fatto per impedire a quella strega di vincere, ora era lì, a due centimetri da quelle dita sottili e arcuate, così vicine al suo cuore, del tutto impreparata a quel triste epilogo.
Morgana aveva vinto; o meglio, avrebbe vinto di lì a poco.
E pensare che le persone che aveva così tano amato, avevano sacrificato la loro vita per impedire il realizzarsi di quel preciso evento, per impedire alla strega di ottenere ciò che voleva, portando a morte certa ogni abitante della Foresta Incantata. Era stata mandata lì proprio per mantenere vivo quel debole spiraglio di speranza rimasto, per proteggere ciò che era rimato e per salvare quel suo futuro così instabile.
E invece, aveva fallito.
Chiunque avesse saputo quel piccolo particolare avrebbe sicuramente finito col considerarla una stupida, sciocca ragazzina uscita per salvare un pirata che nemmeno la conosceva e che, dal modo in cui la guardava, nemmeno le voleva bene; ma non era così, e lei, nonostante tutto, lo sapeva bene. Benché potesse essere considerata banale e piccola ed eccessivamente emotiva, lei avrebbe mantenuto per sempre la sua promessa, la promessa di sacrificare tutto, persino se stessa, pur di non vedere più morte intorno a lei, pur di riuscire a salvare chi amava, come in quel momento; e lo avrebbe fatto, ad ogni costo, anche se ciò avrebbe significato mettere in pericolo l’intero mondo.
Dopotutto, se le fosse stato chiesto di fare una scelta tra il salvare tutti i regni esistenti e la sua famiglia…avrebbe facilmente scelto la seconda, senza doverci pensare troppo; e questo bastava per depennarla totalmente dalla lista degli eroi.
Era egoista? Sì lo era, ma non se ne vergognava affatto. In fin dei conti, non aveva mai avuto il lusso di esserlo, nemmeno quand’era bambina.
Ma se quella era davvero la fine, se era davvero quella la fine di tutto, avrebbe tanto voluto vedere realizzarsi un unico desiderio, lo stesso desiderio che aveva espresso un anno fa, davanti un dolce di compleanno che aveva ben poco a che vedere con i bellissimi e deliziosi cupcakes preparati da Granny, ma che valeva più di mille di quelle squisitezza. Ricordava benissimo quel giorno, come fosse stato ieri ieri, quel compleanno trascorso in mezzo alla melma delle paludi, infreddolita e in compagnia di un Jake a dir poco in collera con lei per non averla ascoltata; che carattere impossibile aveva. Già…ma nonostante tutto si era ricordato del suo compleanno e le aveva portato qualcosa per festeggiare; ricordava ancora di aver sorriso a quel volto imbronciato, di aver chiuso gli occhi e di aver espresso un desiderio, ben consapevole di quanto fosse impossibile da realizzare. Un desiderio che, agli occhi di molti, sarebbe potuto suonare infantile, ma che per lei valeva più di tutto l’oro e la magia del mondo: poter riabbracciare i suoi genitori; potersi di nuovo lasciare andare ad uno di quei pianti immaturi ed infinitamente liberatori, stretta alle loro braccia, al sicuro e conscia che l’avrebbero amata sempre e comunque, nonostante tutte le cattive azioni commesse.
Basta paura. Basta dolore. Basta solitudine.
Quella, però, era solo l’ennesima fantasia irrealizzabile, e forse, in un momento come quello, avrebbe dovuto maledirsi per non aver lasciato a nessuno di loro, nemmeno ad Henry, un appiglio su cui partire, un indizio che li portasse al vero motivo per il quale era stata mandata a Storybrooke, in quel preciso e determinato momento storico. Non aveva fatto nulla di quello che le era stato chiesto, a parte rubare la magia a Regina.
-...la magia di Regina…- pensò tra sé e sé la giovane, ricordando solo in quel momento che, con la sua morte, la Sovrana della Foresta Incantata sarebbe rimasta priva dell’unica arma che avrebbe protetto Storybrooke nel momento del bisogno, impedendole così di fare tutto ciò di cui era destinata.
Chiudendo gli occhi, come aveva fatto quella sera di un anno prima davanti al suo desiderio, Eva lasciò andare la magia di cui sui era impossessata, vedendola defluire dal suo corpo con la stessa fluidità ed eleganza di un cumulo di vapore dall’intenso colore violaceo.
Con quel semplice gesto, la ragazza sapeva di aver messo fine ad ogni piccola speranza di veder realizzato il suo piano; aveva letteralmente dato il via al normale corso degli eventi, gli stessi eventi che l’avevano portata a vivere quel preciso momento. E pensare che era stata mandata lì per cambiare il futuro.
Se solo fosse venuto anche lui, se solo fosse riuscito ad accompagnarla, tutto sarebbe stato diverso. Lui avrebbe saputo cosa fare: come prima cosa non avrebbe reso necessario strappare il cuore dal petto di Henry, ma al contrario le avrebbe urlato contro di tutto al solo sentire una simile proposta; avrebbe conquistato la fiducia di tutti, evitando quel modo di fare scettico e prepotente che, invece, caratterizzava lei per trequarti del tempo; le avrebbe stretto la mano al primo incontro con sua madre e, cosa più importante, avrebbe tenuta viva in lei la speranza di poter ottenere ancora un lieto fine, un lieto fine per tutti.
Le cose, però non erano andate così, e nonostante continuasse a ripetersi quanto fosse sciocco perdersi tra i se e i ma, lei continuava a farlo, sotto quello sguardo freddo e quegli occhi gialli, soddisfatti e subdoli come non lo erano mai stati.
“Sai…per un attimo ho temuto che il tuo viaggio avrebbe incrinato in qualche modo i miei piani” sussurrò la strega, disinteressata da quanto fatto da Eva “…vederti entrare in quel portale, non riuscire a tirare fuori una sola parola dalla bocca del tuo paparino…ma poi mi sono ricordata di quanto tu sia stupida Eva...e priva di alcuna utilità…se non per me!”
A dispetto della lentezza esternata poco prima, con un gesto carico di impazienza e rabbia, Morgana immerse la sua mano nel petto di Eva, lasciando quest’ultima senza fiato.
Era finita. Era finita. Era…
Scioccata da quell’assenza di dolore, Eva abbassò leggermente il capo rimanendo ulteriormente sbalordita di fronte a quanto i suoi occhi videro.
La mano nivea e avvolta dal merletto nero della veste, aveva oltrepassato il corpo della ragazza, divenendo improvvisamente una forza priva di consistenza e simile ad un ologramma interrotto da una sorta di interferenza elettromagnetica.
“Tu…tu non…non sei qui…” esclamò Eva, i cui occhi verdi si erano improvvisamente fatti grandi e colmi di stupore e confusione.
“Questo mia cara…è quello che si chiama incantesimo...di illusione!” esclamò la donna con tono soddisfatto, allontanandosi di qualche passo dalla figura immobile di Eva “…non quella…cosa…fatta da te l’altra volta!” aggiunse disgustata, riferendosi al suo fiacco tentativo di depistaggio per raggiungere il portale.
Ad ogni parola pronunciata da Morgana, tutto ciò che era comparso con il suo arrivo cominciò a svanire, come se composto unicamente da fumo e cenere, innalzati in aria da un improvviso vento invisibile.
“Tutto ciò che hai visto…era illusione…e tu, stupida e insensata principessa…ci sei cascata in pieno!”
“Ma…perché?!” si ritrovò a chiedere la ragazza, con sguardo perso e fisso in un punto imprecisato.
“Ma per capire dove fossi tesoro…che altro?...Pensavi davvero che avessi iniziato a passare in rassegna tutto il passato e tutti i regni possibili con la speranza di riuscire a trovarti?...sarebbe stato impossibile e, detto tra noi, del tutto inutile. Avresti potuto essere ovunque e dovunque…nascosta chissà dove e, soprattutto, alla ricerca di chissà cosa.  Non restava che trovare qualcuno, presente dalla nascita di questa cittadina, disposto ad aiutarmi..” spiegò Morgana, volgendo un freddo sorriso in direzione dell’uomo accanto al pirata, il cui corpo pareva ancora attraversato dalla magia della Fata Nera.
“Il caro, fedele, Ector…ti ricordi di lui vero Eva?...”
Quella domanda apparentemente innocente sembrò ridestare l’odio assopito della ragazza, la cui collera pareva partire dal palmo delle sue pallide mani, improvvisamente attraversate da una scarica elettrica dal colore scuro e intenso della notte.
“oh sì che te ne ricordi” affermò compiaciuta Morgana, sorridendo ancor di più di fronte a quella reazione collerica “…ad ogni modo, una volta capito dove ti trovassi mancava solo una cosa…e per ottenerla dovevo trovare il modo di farti uscire allo scoperto. Cosa abbastanza facile da fare…”
Con una certa noncuranza, Morgana alzò l’indice della mano destra, lo stesso che aveva utilizzato poco prima per graffiare il volto di Eva, in un gesto che, apparentemente, era apparso privo di alcun significato.
“…grazie al tuo sangue principessa potrò raggiungerti ovunque tu sia…e arrivare qui indisturbata…senza tutti i vincoli che la tua magia ti ha imposto!”
“No…”
“Sì invece. Qualsiasi cosa tu sia venuta a fare nel passato Eva…smetti di farla e spendi quel poco tempo che ti resta per restare con la tua cara e misera famiglia!” esclamò la donna, soddisfatta e malvagia come mai lo era stata in quel momento ”…ora devo proprio andare mia cara. Ma non senza lasciarti un piccolo regalo…che so bene saprai apprezzare…nel modo giusto!”
Con un semplice cenno del capo e un sorriso tanto sciocco quanto subdolo e malvagio, Ector accolse con una strana allegria l’ordine di Morgana, arrivando a premere con più forza quel suo pugnale arrugginito nella gola di Killian.
“Salutami il resto della famiglia…principessa!...A presto…”
Detto ciò la l’oscura Fata Nera parve svanire come il fumo di cui, probabilmente, era composto il suo cuore, portando via con sé le fiamme e le bestie create dalla sua magia.
Non era rimasto nulla del suo passaggio: nessuna casa incendiata, nessun residuo di cenere o impronta. Tutto pareva appartenere ad un incubo ad occhi aperti, avvenuto unicamente nell’inconscio di ogni persona presente a quel disastro.
Persino la magia che fino a quel momento aveva imprigionato il corpo del giovane Jones si era improvvisamente sciolta, non prima di aver dato, al suo carceriere, la possibilità di infliggergli l’ennesimo colpo, facendolo cadere a terra, piegato dal dolore.
Spaventato e tremante come solo un ratto sarebbe potuto essere, Ector iniziò ad indietreggiare, puntando la lama del suo pugnale in direzione di quell’innocua ragazzina dal viso sottile.
Livida dalla rabbia e con la mascella contratta come non mai, la giovane Eva sembrava essersi lasciata invadere da qualcosa di molto oscuro e incontrollato, da una forza talmente dirompente da rendere quel suo sguardo verde cupo e terrificante, come non lo era mai stato. Persino i palmi della sua mano, da cui poco prima fuoriuscivano schegge di un chiaro scintillio di luce, ora si erano fatte portatrici di un’insolita luce di un colore blu, quasi tendente al nero della notte.
“I…io posso spiegarti…” esclamò Ector, indietreggiando, colmo di paura.
“Ora conterò fino a tre…!”
Pallido e spaventato, Ector cominciò a sudare in maniera incontrollata, ritrovandosi a tremare come una foglia di fronte a quello sguardo verde iniettato di sangue.
“Uno…
“A…aspetta…” balbettò Ector.
“Due” continuò imperterrita Eva, avvicinandosi ogni volta di un passo, con lo sguardo puntato direttamente in quei piccoli occhi troppo attaccati, evitando di proposito il volto di Killian che, con una certa difficoltò, aveva iniziato ad alzarsi da terra.
“Tre!”
 
***
 
“È…scomparsa…”
La voce flebile e sorpresa di Biancaneve espresse a parole ciò che, ogni persona presente nella caffetteria, aveva pensato nel momento in cui Morgana, e tutto il suo seguito, erano svaniti come neve al sole. Nulla era rimasto della sua presenza, se non la profonda paura e il terrore nei cuori di chi l’aveva visto o, anche solamente, avvertito il suo sussurro.
Non vi erano dubbi, il male si era mostrato a loro con le fattezze di una bellissima donna dagli occhi gialli, il cui cuore doveva essere più nero della legna che, fino a poco prima, aveva iniziato a bruciare intorno a loro. Morgana li voleva tutti i morti, non si era particolarmente interessata a nasconderlo, e il fatto che se ne fosse andata con tanta allegria non faceva presagire nulla di buono. Nonostante avesse mirato al cuore di Eva, alla fine non si era disturbata a prenderlo, non in quel momento per lo meno; ma allora per quale motivo inscenare tutto ciò? Perché farla uscire allo scoperto senza strapparle il cuore che tanto sembrava desiderare?
“Che sta facendo la ragazzina?!” chiese qualcuno alle spalle della Salvatrice.
Destata da quel quesito a dir poco legittimo, Emma puntò lo sguardo verso Eva, indaffarata a “dialogare” con l’uomo dai capelli chiari; gli occhi di Ector e la postura di Eva lasciavano ben poco spazio all’immaginazione, riportando vagamente alla memoria i modi poco gentili usati a suo tempo dalla Regina Cattiva.
Allarmata da quell’insolito collegamento Emma uscì di corsa dalla caffetteria, grata di non incontrare, almeno per una volta, nessun tipo di forza che le impedisse il passaggio o che la facesse volare dall’altra parte della stanza, addosso a qualche parete o pavimento poco accogliente.
Con passo spedito e facilitato dai suoi pantaloni neri, Emma raggiunse gli unici presenti nella stradina sui cui dava il ristorante di Granny, guadagnandosi un posto in prima fila di quello spettacolo fin troppo carico di emozioni e colpi di scena.
L’aria sembrava essersi fatta improvvisamente più fredda e pungente, ricordando alla Salvatrice la sensazione di congelamento che aveva provato quella sera insieme a Killian; non che vi si scostasse di molto, dopotutto, visto che, anche in quel momento, mancava all’appello il suo caldo cappotto invernale e il solo maglione non dava di certo il calore che sperava.
Possibile che anche il calore emesso dalle fiamme di Morgana fosse una mera illusione? Eppure, quand’era uscita per parlare con lei, l’aria sembrava essersi realmente surriscaldata; ne erano la prova i vetri appannati del locale e la quasi invisibile cortina di vapore che si innalzava dalle strade, facendole apparire simili alla superficie di una tazza di caffè, ancora calda, ancora fumante. Che fosse stata tutta una semplice illusione? Un’illusione visiva, uditiva…olfattiva? Eppure, persino la terribile puzza che fino a poco prima aveva invaso tutta la città, ora sembrava essere svanita, lasciando spazio al rassicurante profumo della notte ormai scesa in tutto il suo splendore.
Se Morgana era realmente riuscita a realizzare tutto ciò, allora i loro problemi andavano al di là di ogni più oscura immaginazione.
Nonostante le riflessioni non fossero delle più allegre, Emma non attese un solo istante in più per assicurarsi delle condizioni del pirata, lasciandosi andare ad un sonoro sospiro di sollievo una volta constatato fosse tutto intero, al di là di una leggera ferita vicino al pomo d’Adamo.
“Sto bene tesoro…” la rassicurò la voce calda del pirata, il cui braccio destro non perse tempo a stringerla accanto a se, dandole un delicato bacio sulla tempia, per nulla preoccupato del probabile sguardo dei genitori sicuramente puntato verso di lui.
A dispetto di quanto sarebbe accaduto tempo prima, sul volto della giovane Swan si dipinse un’espressione di pura e reale serenità; nonostante le cose non andassero bene, nonostante i problemi non la smettessero un solo attimo di presentarsi alla sua porta, prepotenti ed invadenti come non mai, lei era felice, felice di poter contare sulla presenza di quell’uomo che, per l’ennesima volta, aveva dimostrato di saper sopravvivere ad ogni minaccia.
“Aiutatemi….vi prego….”
Consapevole di non poter voltare le spalle a quell’uomo, al di là del fatto che le scelte fatte nelle ultime ore non lo classificassero come un brillante alleato, Emma si staccò dall’abbraccio di Killian, avvicinandosi, con passo lento, al sostenitore di Morgana. L’uomo, sudato come nemmeno il finto fuoco di poco prima era riuscito a fare, pareva occupato a confrontarsi con Eva, in una situazione di netto svantaggio. La ragazza, di spalle rispetto alla posizione di Emma, teneva sospeso a mezz’aria l’uomo dai capelli biondi, limitandosi a fissarlo, senza pronunciare alcuna parola.
Leggermente indebolito dal duro colpo ricevuto da Ector, Killian seguì Emma, preoccupato dalla piega presa dagli eventi. Quella ragazza che, fino dal primo incontro, gli aveva trasmesso un infinito senso di solitudine e dolore, non aveva perso un solo secondo per precipitarsi a salvarlo, mettendosi chiaramente nelle mani di una strega che voleva tutt’altro che il suo lieto fine. Ed ora, eccola lì, con lo stesso dolore dipinto sul volto, in bilico tra la scelta di fare del male a quell’uomo o abbassare il braccio e lasciarlo andare.
Il vento, improvviso ed euforico, aveva iniziato ad accarezzare i capelli delle due donne, mettendone in risalto la diversa gradazione, quasi messa in luce dall’insistente illuminare delle stelle, tornate finalmente al suo posto nel cielo, incoraggiate dall’assenza di quelle alte fiamme, oscure e colme di magia oscura.
Con movimenti lenti e ben studiati, la giovane Swan si avvicinò di qualche altro passo, riuscendo ad individuare il volto di Eva livido dalla rabbia e rancoroso come, forse, nemmeno lo sguardo di Regina era mai riuscito ad essere. Gli occhi, di un verde scuro, lasciavano chiaramente trasparire gli intenti di Eva, e le braccia, nascoste dalla tela del cappotto, si mostravano attraversate da una magia così potente da apparire fuori controllo.
Corrugando leggermente la fronte, Emma non riuscì a fare a meno di ricordare la sensazione provata nel momento in cui Ingrid aveva risvegliato i suoi poteri, portando le sue mani ad emettere la stessa corrente di magia che ora vedeva fuoriuscire dai pallidi palmi di Eva. Ricordava con estrema limpidezza la sensazione di paura e smarrimento nel sentire su di sé una simile energia, e lo sguardo in quegli occhi grandi non lasciava decisamente trasparire gli stessi sentimenti; al contrario, immerse in quelle iridi brillanti, vi era estrema sicurezza e decisione.
Eva sapeva cosa voleva fare e nulla glielo avrebbe impedito.
“A…aiuto…”
La voce dell’uomo si faceva via via sempre più tenue, soffocata da quelle sottili dita sporche di cenere che, nonostante la distanza, riuscivano a stringere il collo tarchiato di Ector senza la minima difficoltà, come se bastasse la semplice aria fresca della sera a mediare quel macabro rituale di soffocamento.
“Ti prego…io…”
Del tutto immune, o semplicemente disinteressata, da quelle continue preghiere di risparmio, Eva aumentò la presa, stringendo la mano destra a pugno, come se si trattasse di una sciocca gara a chi distruggeva più noci con la sola forza della mano.
“Eva…”
La voce di Emma sembrò destare un lieve interesse nel cuore della giovane dai capelli scuri, la quale si limitò a voltare leggermente lo sguardo, forse troppo in collera per dare tutta la sua attenzione alla donna a cui aveva salvato la vita due volte quella sera.
Continuando a rimanere rinchiusa in un silenzio tetro e invalicabile, Eva si avvicinò al corpo a mezzaria di Ector, apparendo fin troppo simile ad un felino intento a dare il colpo di grazia alla sua povera vittima designata. Con eguale celerità, e senza mai staccare lo sguardo cupo da quel volto tondo e apparentemente innocente, Eva immerse la mano nel petto di Ector; celere, sicura, molto più vicina alla perfezione rispetto alla sua prima esperienza con Henry, dove persino il suo cuore aveva rischiato di esploderle dal petto, divorato dai sensi di colpa.
Nonostante la brutalità di ciò che stava per fare, nonostante l’oscurità fosse pronta a divorarla in tutta la sua grandezza, Eva non provava il minimo rimorso, no affatto;  solo rimpianto di non aver preso a suo tempo una simile decisione.
“Ti prego Eva…fermati…” esclamò Emma, avvicinandosi di un altro passo a quel macabro duetto.
Eva rimase immobile, ferma in quella posa inumana, con in mano il cuore di una persona decisamente propensa alla malvagità, ma non ancora del tutto corrotta.
“….Non posso” esclamò Eva, dopo alcuni minuti che sembrarono interminabili, non volgendo nemmeno in quell’occasione lo sguardo verso Emma.
“Sì che puoi…Per…per quanto possa aver sbagliato…quest’uomo non merita di morire…per quanto ne sappiamo può essere stato soggiog…”
“No…” la interruppe la ragazza, fissando con profondo odio quei piccoli occhi scuri “…non avrà bisogno di venire soggiogato. Tu…tu non hai idea di che cosa farà…”
“No…non lo so è vero…nessuno lo può sapere…!”
“IO LO SO!” urlò Eva, con voce roca e incrinata dal pianto, voltandosi finalmente in direzione della Salvatrice e del pirata accanto a lei.
Colpita da quell’improvvisa emotività, Emma fece un leggero passo indietro, alzando leggermente il braccio a sua volta, come a voler proteggere entrambi da quella magia così forte e priva di alcun controllo.
“Io so esattamente cosa farà…e chi ucciderà…” continuò Eva, puntando nuovamente il suo sguardo disperato e iroso sul volto pallido di Ector “…so quanta soddisfazione proverà nel portarmi via le persone che amo…so come si comporterà se gli verrà data un’altra possibilità. Lui…ama…l’oscurità!”
“O…ok! Ma ucciderlo non ti farà sentire meglio, credimi. Ti renderà solo uguale a lui…”
“Ucciderlo mi darà la possibilità di vendicarmi!”
“Ma non ti sentirai meglio…” si intromise la voce di Killian, rimasto in disparte fino a quel momento “…la vendetta non porta a niente…fidati…! L’ho rincorsa per tanto, tanto tempo…e mi ha dato solo dolore…”
Con gli occhi sgranati e ancora adombrati da un intenso rossore, Eva sembrò vacillare, attraversata da una serie di dubbi e domande impossibili da decifrare in quella voragine di confusione e dolore.
“So cosa vuol dire perdere qualcuno per mano di una persona come lui…qualcuno a cui hai voluto bene e con cui hai passato dei momenti indimenticabili. Ma sai cosa mi ha detto mio figlio…un giorno?!” esclamò Emma, con voce sicura “…che un vero eroe…fa sempre la cosa giusta! E uccidere una persona…buona o cattiva che sia…non lo è…”
 “Io…non sono un eroe…io…sono una…cattiva…”
“…Io non vedo una cattiva…” sussurrò Emma, avvicinandosi nuovamente alla ragazza e arrivando a sfiorarle quel braccio sottile, con estrema delicatezza, una delicatezza che Emma Swan raramente riusciva a dimostrare nei confronti del prossimo “…vedo solo una ragazza che ha sofferto troppo….e che cerca un modo per far andare via tutto il dolore…”
Sempre più scossa da quelle parole, Eva spostò il suo sguardo, adombrato dalle lacrime, sulla mano di Emma, posata sopra allo stesso braccio che, insicuro, teneva il cuore di Ector.
Il fiato della giovane, prima silenzioso e controllato, ora appariva accelerato e insicuro come lo era stato poche ore prima, all’interno della cella in cui la stessa donna, che ora la consigliava, l’aveva imprigionata.
“Avrà quello che merita…credimi…” aggiunse Killian, avvicinandosi a sua volta e attirando a sua volta quegli occhi verdi su di sé.
Con sguardo sbarrato, fisso in un punto imprecisato davanti a sé, Eva smise di stringere il cuore di Ector.
Senza mai allontanare la mano da quel braccio quasi tremante, Emma si avvicinò di un altro passo alla ragazza, cercando di rassicurarla con un sorriso difficile da manifestare, soprattutto davanti a quell’uomo dallo sguardo stranamente freddo e calcolatore.
A dispetto di quanto si sarebbe immaginata, infatti, Emma notò per l’ennesima volta quella sorta di gelo negli occhi di Ector, un gelo che pareva apparire e svanire ad una velocità decisamente insolita. Ma non fu questo a destare la curiosità della Salvatrice, bensì le strane parole che, con improvvisa e ritrovata ilarità, Ector rivolse alla ragazza.
“E così mi risparmi di nuovo ragazzina…”
Ritrovandosi ad aumentare la stretta su Eva, Emma lanciò uno sguardo confuso in direzione di Uncino, altrettanto indispettito dallo strano comportamento di quell’uomo che, poco prima, aveva tentato di ucciderlo, mettendo maggiormente in risalto quanto il pirata fosse davvero cambiato in seguito al suo incontro con Emma; una volta, guidato dal suo fedele senso di vendetta e rabbia, non avrebbe provato il minimo rimorso ad uccidere chi che aveva osato minacciarlo con un pugnale, per poi colpirlo a tradimento.
L’amore lo aveva davvero cambiato, molto più di quanto la stessa Milah non fosse mai riuscita a fare.
 “Su…restituiscigli il cuore…e andiamo. David sui occuperà di lui” la incitò Emma, fissando di proposito lo sguardo sulla ragazza, la cui rabbia pareva nascosta dietro l’angolo, in attesa di uscire allo scoperto.
“ La ragazzina dice la verità…” esclamò Ector, rivolgendosi ad Emma e Uncino, ma non staccando mai lo sguardo dalla figura di Eva “…Morgana mi ha fatto un dono!”
“Un dono che, purtroppo per te, non ti risparmierà la cella!” sbottò innervosita Emma, intuendo lo strano e macabro proposito di Ector “…Eva non ascoltarlo, andiamo via!”
Riscossa da quell’improvvisa voce irritante, Eva serrò con forza la mascella, ritrovandosi a stringere nuovamente quel cuore pulsante.
“Mi ha rivelato le grandi gesta che compirò in futuro” continuò, così esaltato da non dare il minimo valore alle gocce di sudore che gli imperlavano la fronte “…inizialmente non le credevo. L’ennesima strega arrivata in città, interessata unicamente a distruggere gli eroi! Dopotutto a nessuno interessa di Ector…chi è Ector se non lo stupido amico di un topo che si è fatto uccidere per incriminare la sua ragazza lupo? Nessuno conosce Ector…la Salvatrice non sa nemmeno chi esista Ector!” sputò fuori l’uomo, improvvisamente livido dalla rabbia e dall’invidia“…ma poi lei mi ha fatto vedere chi è…e….cosa farà…insieme a me…e….ho capito….!”
“che è una pazza?!” lo derise Uncino, fattosi più vicino e pronto ad intervenire.
“Pazza? Morgana?...oh no….lei è…Grande. Potente. Geniale….ma non pazza!” spiegò colmo di estasi e amore nei confronti di quella perfida strega dai capelli neri “…e, spinta dal suo buon cuore…mi ha mostrato cosa farò…insieme a lei…”
“Non ascoltarlo Eva…vuole solo farti fare quello che quella strega gli ha chiesto…non ascoltarlo”
“per il resto della mia lunga vita...darò la caccia a questa stupida principessa…le darò il tormento….le strapperò via ciò che ha di più caro al mondo….E soffrirà…soffrirà così tanto da vedere il suo stesso cuore farsi nero come la notte. Non è forse vero…Eva?” la incalzò Ector, divertito e esaltato come di fronte ad una vincita in denaro.
Con occhi ancor più sbarrati e il volto pallido e funereo, Eva alzò lo sguardo verso il servo della strega, senza volgere la minima attenzione alla stretta di Emma.
“Tu…” ruggì Eva, stringendo a pugno la mano libera.
“E nonostante tutto…mi darai una possibilità. Anche quando il tuo ragazzo ti dirà di non farlo…che di me non c’è da fidarsi…tu cosa gli dirai?...”
Il battito cardiaco di Eva raggiunse un ritmo incontrollabile, seguito a ruota dall’aumento del flusso sanguigno, giunto fino agli zigomi sporgenti del volto della giovane
“…Ah sì…ora ricordo… -un vero eroe fa sempre la cosa giusta-?...ahahaha….dico bene….principessa?”
Con un unico gesto, carico di rabbia, di frustrazione e di dolore, Eva strinse la mano con tutta la sua forza, schiacciando quel piccolo cuore, inerme come noci sul palmo di una mano; dure, resistenti, ma impotenti di fronte a tanta collera e rancore.
Con la stessa lentezza con cui la polvere del cuore precipitò giù dalla mano della ragazza, Ector cadde a terra, ancora sorridente e soddisfatto per aver adempiuto all’ultimo ordine ricevuto dalla sua padrona. Anche se non aveva vissuto realmente ogni istante, anche se la sua mente si ostinava a ripetergli che era morto troppo in fretta, dentro di sé, sapeva bene quanto avesse fatto in tutti quegli anni per quella donna così benevola; quanto aveva collaborato insieme a lei, riuscendo a farle raggiungere l’obiettivo più grande: far perdere la speranza all’ultima principessa della Foresta Incantata.
Immobile e pallida, Eva alzò di scatto il capo, inghiottendo a fatica l’amaro del suo gesto, forse folle, forse incomprensibile.
Prima di andarsene, Morgana le aveva parlato di un regalo, un regalo pensato e rivolto unicamente a lei; e solo in quel momento, libera dall’ira e dall’odio che, fino ad allora, le avevano annebbiato il cuore, riuscì a comprendere di cosa si trattasse.
“Io non sono un eroe…io…sono una cattiva!”
 
 
 
 
Genteeeeee!!!!
Scusatemi…scusatemi davvero tanto per il ritardo!!!! Il capitolo purtroppo era pronto da due giorni…ma, causa continui impegni giornalieri, non ho mai avuto il tempo di rileggerlo…e l’ultima revisione è ormai un rito a cui non riesco a rinunciare. Purtroppo non ho avuto modo di correggerlo con l’attenzione che volevo (spero di farlo al più presto)…ma penso di aver eliminato tutte le parti scritte ad occhi chiusi schiacciando i tasti a caso XD
Per farmi perdonare vi do un piccolo anticipo: il prossimo capitolo sarà….come dire…alquanto rivelatore!!!!!...quindi, nonostante il ritardo di questo aggiornamento, non mollate la storia mi raccomando :P (ahahah mi sembra tanto uno spot pubblicitario).
Come sempre ringrazio con tutto il cuore chi commenta (siete sempre di più….e la cosa mi riempie di una soddisfazione indescrivibile ♥), chi inserisce la storia nelle varie categorie e chi legge!!!!!!
G R A Z I E       D I        C U O R E!!!!!!
Non dico altro perché è piuttosto tardi…e ho un sonno allucinante; ma ci tenevo davvero ad aggiornare la storia; essere puntuale nel pubblicare i capitoli è il minimo che posso fare per ringraziarvi del tempo che spendete per me!!!!!
Quindi….in attesa di venire investita dell’ispirazione più grande mai esistita XD (vista l’importanza del capitolo che devo scrivere!!!!!)……vi mando un grossissimo abbraccio!!!!!
Un bacione
Erin
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


È incredibile la varietà di cose che si è in grado di fare con le mani: si può aiutare, si può salutare, si può accarezzare, colpire e, addirittura, stringere il cuore di qualcuno, nel senso letterale del termine; e, infine, tra le molteplicità di cose, nell’evenienza più disparata o infantile, le mani riescono addirittura a scavare, alla ricerca di qualcosa sepolto nella terra.
E proprio lì, nell’esatto punto in cui il portale l’aveva lasciata, Eva se ne stava inginocchiata, con le mani completamente immerse in un groviglio di terriccio e ciottoli, alla ricerca di qualcosa da cui pareva dipendere la sua, precaria, sanità mentale. Invasa da una disperazione che, nell’ultima ora, pareva non volerla abbandonare per un secondo, la giovane continuava a graffiare con rabbia la terra sotto di sé, incurante delle unghie ormai spezzate e dello sporco nei vestiti; nulla sembrava avere importanza, né le lacrime sul viso, mescolate al terriccio e alla cenere di poco prima, né il freddo della notte. L’unica cosa importante, in quel momento, era scavare, scavare e trovare l’unica ancora che teneva ancora in vita quel lieve bagliore di speranza, sempre più piccolo e più lontano, simile alla minuta fiammella di una candela ormai consumata e prossima alla fine.
Aveva ucciso una persona; lei, sempre così impaurita e insicura, sempre così bisognosa di qualcuno che la incoraggiasse; lei che, proprio un anno prima, non aveva perso tempo ad innalzarsi su un altarino di perfezione, dando insegnamenti di vita su quanto una persona meritasse il perdono, una seconda possibilità, al di là delle orribili azioni di cui poteva essersi macchiata. Ed ora, a poca distanza da quella lite che avrebbe dato il via ad una serie di eventi indimenticabili, lei era lì, con le mani immerse nella terra e macchiate del sangue dell’uomo che aveva ucciso; ucciso davanti a…loro.
Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo di Emma, così carico di delusione e fallimento da rendere superflua qualsiasi parola; la disprezzava e l’ovvietà di quella considerazione colpiva dritta dritta al cuore, lasciando un'incolmabile vuoto dentro. Perfino Killian non aveva osato dire nulla, limitandosi a guardarla con sguardo serio e, forse, un po’ intristito da quanto accaduto. Non c’era stato alcun abbraccio, nessuna pacca sulla spalla o rimprovero, solo un pesante silenzio soffocante.
Chissà, forse era stata lei stessa ad innalzare quella parete, a non lasciare entrare nessuno; troppo dolore, troppa vergogna.
E pensare che per un momento, quando si trovava ancora dentro la cella e la puzza che distingueva Morgana aveva appena fatto la sua comparsa, le parole di Emma le avevano fatto credere che l’avesse riconosciuta.
 
“….ti riferisci alla donna col cappuccio? A quella che mi hai fatto veder nel sogno? […] non fingere di non sapere di cosa sto parlando. Mi hai tormentata fino a…fino a poco fa probabilmente, entrando nei miei sogni…”
 
Sogni, chissà di quali sogni parlava? se c’era una cosa che non riusciva controllare erano proprio i sogni, compresi i suoi, che da anni ormai, le impedivano di dormire decentemente. E poi, per quale motivo avrebbe dovuto mettere a rischio il suo piano entrando nella mente di Emma? Per farle vedere cosa…Morgana? No, di certo non era lei la responsabile; se così fosse stato, Emma Swan non l’avrebbe guardata a quel modo e non avrebbe reagito in maniera tanto fredda di fronte a quel suo orribile gesto carico di oscurità.
 
…sono una cattiva
 
Dopo aver pronunciato quelle parole, forse più rivolte a lei stessa che a qualcun altro, era svanita in una nube buia, la quale sembrava aver dato l’ennesimo tocco visivo su quale fronte avesse deciso di seguire il suo animo. Aveva ucciso una persona, un essere umano, in un modo così freddo e calcolatore che quasi non riusciva a credere di averlo fatto realmente.
Poteva trattarsi di un’illusione di Morgana? Poteva esserci la minima possibilità che, una volta aperti gli occhi, si ritrovasse ancora rinchiusa nella cella, intenta a litigare con Emma su dove tenesse il cuore di Henry?
No…decisamente no.
Sulla nave a pezzi della principessa Eva, sventolava una bella e vistosa bandiera nera, reale e amara come lo erano la maggior parte delle cose nella sua vita; quale modo più perfetto per portare avanti il nome della sua famiglia?              
Che poi quella parola, principessa, non avrebbe mai smesso di sentirla tanto inutile e priva di significato, per lo meno affiancata ad un tipo come lei. Non si sentiva affatto una principessa e mai lo sarebbe stata, non dopo quello che aveva fatto. Aveva rubato, picchiato, mentito; ed ora, aveva perfino ucciso.
Immersa in quei cupi pensieri, carichi di pentimento, Eva quasi non si accorse di avere tra mani la catenina che aveva nascosto nel terreno, dopo il suo arrivo in città.
Intrecciata tra le dita sporche, la collana conteneva due ciondoli, diversi l’uno dall’altra, ma entrambi carichi di una componente emotiva talmente forte da riuscire, anche in quel momento, a darle la forza di respirare quell’aria fredda e secca.
Lentamente, la giovane mise la catenina al collo, tenendo il capo leggermente inclinato, in contemplazione di quei piccoli pendagli.
“Immaginavo fossi qui…”
Un’improvvisa voce alle sue spalle, fece sussultare Eva che, colta alla sprovvista, si ritrovò ad emettere un piccolo gemito di spavento, così ridicolo da farla quasi sentire in imbarazzo; i suoi pensieri stavano decisamente prendendo il sopravvento, lasciandola priva di qualsiasi difesa. Dal suo ritorno a Storybrooke, il suo istinto di sopravvivenza sembrava aver preso il primo traghetto per Arendelle, senza fare più ritorno; prima Henry, ora Uncino, avanti di quel passo e avrebbe avuto un infarto prima dei vent’anni.
Velocemente, la giovane dai capelli scuri, infilò la catenina sotto la maglietta, avvertendo distintamente il cuore pulsare ad una velocità marcata.
“Mi hai spaventata a morte…” esclamò risentita, cercando di nascondere con le scarpe la piccola buca che aveva creato poco prima.
“Scusa…”
Per nulla pentito, Uncino si sedette accanto alla ragazza, posando la schiena al tronco di un albero, in una posa che sembrava lasciare defluire il suo profondo animo da pirata.
Rimanendo in silenzio per alcuni istanti, Eva osservò l’uomo davanti a sè, chiedendosi quale motivo lo avesse spinto a raggiungerla in quel preciso punto della città, dopo quello che aveva fatto.
“Se sei qui per la magia di Regina…è già stata rispedita al mittente!”
“Lo so…me l’ha detto Emma poco fa…” rispose Killian, celando un finto disinteresse.
“Quindi che vuoi? Sei venuto per riportarmi in cella?!”
“…perché dovrei?...Ti sembro lo sceriffo?!”
“no…ma ci stai insieme!”
“Oh lo so!” affermò il pirata, abbagliando la ragazza con uno dei suoi sguardi, talmente luminosi da avvolgere l’intera foresta.
Lasciandosi andare al primo, vero, sorriso imbarazzato e divertito, Eva deviò lo sguardo, fingendosi interessata ad una delle tante stelle che, coraggiose, illuminavano l’intera città, la quale pareva scesa in un silenzio carico di dolore e paura, entrambe causate dalla nuova minaccia che aleggiava sulla vita di tutti.
“Tutto ok…?!” chiese Killian, con voce seria.
“Certo…perché non dovrebbe?!…” gli rispose Eva, senza riuscire a guardarlo negli occhi “…non hai ancora capito che sono…”
“…cattiva?!” la interruppe il giovane Jones.
Senza bisogno di dare alcuna conferma a quella domanda, Eva avvicinò le ginocchia al petto, abbracciandole con le sue braccia sottili e toniche, infreddolite dalle basse temperature della notte; non aggiunse nulla, neanche un fiato. Pronunciate a quel modo, chiaro e diretto, le parole parevano assumere un significato ancora più oscuro e impossibile da sciogliere. Facevano male, male dentro.
“Sai…in tutti gli anni della mia vita…e credimi….sono tanti….” ironizzò il pirata, smorzando un po’ di quella tensione creatasi tra loro “…ho imparato una cosa sull’oscurità…”
“Non dirmelo…quanto sia facile ricaderci?!”
“..che tutti, prima o poi, ci ritroviamo a farne i conti!” disse, scambiando con la giovane uno sguardo carico di significato “…non importa quanto tu sia stato buono, quanto tu abbia sempre fatto la cosa giusta….quanto tu sia stato corretto. Prima o poi, nella vita, ti si ritroverai a fare i conti con la tua oscurità…finendo per caderci dentro…almeno una volta!”
Eva fissò un punto imprecisato nel terreno, completamente assorbita da quella voce rassicurante.
“…ma c’è una cosa che distingue sempre i buoni….dai cattivi…” continuò Killian, appoggiando con serietà le braccia sopra alle ginocchia, come sempre fasciate da un paio di jeans neri leggermente usurati “…il senso di colpa!”
Lentamente e con occhi velati dalle lacrime, Eva posò lo sguarda sul pirata seduto accanto a lei, avvertendo di nuovo il cuore batterle nel petto, ad un ritmo diverso, meno serrato, meno adirato.
“E chi ti dice che io mi senta in colpa?!”
“…non saresti qui…al freddo, a cercare qualcosa che hai nascosto al tuo arrivo…nella speranza di ritrovare un po’ di…serenità?!”
D’istinto, e poco attenta a quello che il pirata avrebbe potuto cogliere, Eva strinse la catenina nascosta dalla canotta grigia, sorpresa da quanto potere riuscissero a sprigionare poche parole, pronunciate nel momento giusto, dalla persona giusta.
 “Un tesoro è sempre un tesoro…agli occhi di un pirata!” esclamò divertito Killian.
“Già….” sorrise amaramente la giovane, abbassando leggermente il capo.
Entrambi rimasero in silenzio, cullati solo dal freddo e dal silenzio della sera.
“Così hai ucciso Ector…”
“Strano…pensavo fossi qui per farmi sentire meglio!”
“Te l’ho detto…sono un pirata, mica lo sceriffo…”
“E i pirati non possono consolare le persone?!”
“Sì...ma non prima di aver curato i propri interessi…!” esclamò Uncino.
“Non so a cosa ti riferisci…”
“Ah no?!” insistette Killian, porgendole il tipico sguardo di chi conosceva meglio di chiunque altro quei giochetti di finta innocenza.
“bè…se ti riferisci a quello che ha detto Morgana…non penso ti servano molte spiegazioni…” cedette Eva, forse ben consapevole di dove poteva arrivare l’ostinazione del giovane Jones.
“No, infatti…” esclamò Killian, irrigidendo leggermente la mascella “…lei mi ha ucciso…o meglio, mi ucciderà…”
Eva rimase in silenzio, con le braccia ancora strette al petto e la convinzione che quella conversazione non avrebbe portato a nulla di buono.  
La Fata Morgana riuscirà ad uccidere il Capitano più famoso di tutti i mari; faceva male? Certo, ma indorare la pillola non avrebbe aiutato in alcun modo.
“Come ho già detto…non ti servono molte spiegazioni…” si limitò a sussurrare la ragazza dai capelli scuri, non riuscendo a reggere il confronto con quei penetranti occhi azzurri.
“Già….ma se tu sai quello che mi accadrà…e quello che avrebbe fatto la marionetta della megera, ne deduco che…”
“che…” bisbigliò la castana, senza fiato.
“Che tu venga dal….futuro….” concluse Killian, con tono serio.
Silenzio.
“Wow…”
“Già!” si limitò ad esclamare la giovane, stringendo nuovamente quelle sue ginocchia fasciate dai pantaloni scuri
“E, non essendo una cattiva come invece ti ostini a dire….immagino tu sia qui per impedire che  quella strega faccia…quello che farà. Qualsiasi cosa sia…” aggiunse il pirata, alzandosi in piedi.
“Niente di buono…. …”
“Non mi è difficile crederti…..Quello che però mi interessa è sapere una cosa…”
“Non posso dirti niente..” si affrettò a dire Eva, con tono agitato.
“Sì lo so….e andrò sopra al fatto che tu mi conosca e io, invece, non sappia nulla di te…” disse l’uomo, tra il divertito e l’irritato “…ma mi dovrai rispondere comunque….perchè non mi allontanerò un istante da te se prima non me lo dirari…”
“Dirti cosa?!” chiese Eva, pentendosi fin da subito di aver posto quella domanda.
“Sarò l’unico che Morgana ucciderà qui in città?!”
Eva rimase in silenzio, spiazzata da quella domanda tanto diretta quanto improvvisata. Le stava chiedendo qualcosa a cui lei non avrebbe mai dovuto rispondere; le stava chiedendo qualcosa che riguardava il futuro, il suo futuro, ovvero il principale divieto impostole dalla madre di Jake.
In quel momento, con gli occhi chiari del pirata puntati addosso, le sembrò di risentire quella voce femminile e perentoria, come se fosse lì, davanti a lei, con lo sguardo castano e la bocca serrata.
 
Foresta Incantata
 
“Non. Devi. Dire. Niente…Mai!…siamo intesi? Non una parola su quello che accadrà o su come accadrà. Il minimo cambiamento e potremmo rovinare ogni cosa!”
Con voce e atteggiamento a dir poco impositorio, la donna davanti ad Eva posò le mani sui fianchi, come probabilmente accadeva ogni qualvolta si apprestasse ad impartire qualche ordine. Certo, quello non voleva essere il classico comportamento dispotico che, più di qualcuno nella Foresta Incantata, avrebbe finito con l’interpretare, ma perché preoccuparsi tanto? Che sarebbe accaduto se i suoi genitori avessero scoperto qualcosa sul loro orribile futuro? Si sarebbero preoccupati, certo; ma avrebbero anche iniziato a comportarsi in maniera diversa, evitando così di finire uccisi da quella pazza isterica.
“Sbaglio o vado lì proprio per cambiare le cose…” esclamò Eva, con atteggiamento leggermente divertito, giocherellando con il ciondolo che teneva al collo.
“Già...ma tra le cose da cambiare non mi sembra ci sia la tua nascita!”
“E che centra la mia nascita?”
Sbuffando in maniera piuttosto evidente, la donna dai capelli neri incrociò le braccia al petto, stanca di dover ripetere sempre le cose più ovvie e scontate.
“Centra che se qualcuno sa chi sei…o da dove vieni…e con questo qualcuno parlo dei tuoi cari e testardi genitori…bè….potrebbero finire col comportarsi in maniera diversa…diversa da com’è andata…impedendo la realizzazione di quegli eventi che porteranno alla tua nascita” le spiegò, stringendo leggermente il labbro superiore, segnato da un’inconfondibile cicatrice, la quale rendeva ancora più affascinante quel volto perfetto.
“Vuoi dire che se gli dicessi che sono la loro figlia…dallo shock non starebbero più insieme? credo di essere abbastanza carina sai…”
“Eva…” la richiamò la mora, avvicinandosi di qualche passo a lei “...il solo fatto che tu vada lì va contro ogni principale legge della magia. Il destino è stato scritto e noi non dovremmo cambiarlo in alcun modo…”
“Neanche quando i cattivi vincono?”
“non esistono buoni o cattivi ….credimi…l’ho imparato tempo fa, a mie spese. Esistono solo persone che fanno la cosa giusta…e persone no…alleati…e nemici, se vogliamo usare un gergo da caserma!” sorrise la donna, come se, solo in quel momento, ricordasse chi aveva realmente davanti.
“E direi che Morgana non è un’alleata!”
“No…decisamente…ed è lei l’unico motivo per cui tu andrai nel passato; per prendere ciò che serve…e ucciderla! Non importa se qualcuno non si fiderà di te o se ti considererà cattiva. Devi fare quello che abbiamo deciso…e andartene. Quando passerà il tempo e nascerai…forse si ricorderanno di te…ma questo non influirà in alcun modo!”
“Lo so…ma continuo a non capire cosa ci sia di sbagliato nel non rivelare chi sono…”
“Conosco tua madre…e tuo padre…”
“E allora…?!”
“E nel momento in cui ti vedranno…e capiranno quanto dolore e sofferenza avrai visto…quando capiranno che sacrificherai la tua vita, per salvarli tutti….non ti lasceranno più andare….”
 
 
Storybrooke
 
“Ehi…tutto bene?!”
“Eh?!”
Risvegliata da quella voce confortevole, Eva ritornò nel presente, lasciando andare quel piccolo ricordo che, improvviso, aveva sfiorato la sua mente. Era curioso il modo in cui funzionava la memoria: nel momento più impensabile, e forse inopportuno, lasciava defluire una reminiscenza di quello che aveva vissuto, in maniera quasi cosciente, come a voler indicare la cosa giusta da fare, rendendo spesso una situazione ancora più impossibile e insostenibile.
“…tutto…bene?”
“S…sì!”
“Non hai risposto alla mia domanda….” incalzò Killian, osservando distrattamente la catenina in ferro che fuoriusciva dal cappotto; vista così, avrebbe potuto giurare fosse la sua.
“No…”
“No cosa…?”
“Non sarai l’unico che ucciderà…” rispose rigida la giovane, guardando davanti a se, come attirata dalla luce di un lampione in lontananza.
Un ulteriore silenzio, carico di dolore e imbarazzo, scese tra i due. Nessuno pareva in grado di parlare, di respirare, o di compiere qualsiasi altra azione andasse al di là della crepa creatasi in quei due cuori così simili e così vicini. Qualcun altro sarebbe morto. Ma non fu di certo lo stupore a rendere silenzioso il capitano della Jolly Roger; in fin dei conti, si sarebbe personalmente dato dell’ipocrita se non avesse ammesso, almeno a se stesso, di non aver mai pensato di essere l’unica vittima di quella strega. Era molte cose, arrogante, perspicace, impulsivo, ma mai, mai, ingenuo.
La domanda che, però, gli divorava il cervello, dopo aver udito la risposta di Eva, era…chi altri sarebbe morto? Biancaneve? Regina? Il Principe? Belle?...O….
“E chi altri ucciderà?”
“Non posso dirtelo…”
“Oh sì che puoi dirmelo…” la pressò il pirata, fattosi improvvisamente più nervoso.
“No…non posso…davvero….lo vorrei così…tanto…Vorrei dirti tutto e…” spiegò Eva, con il volto segnato dalla difficoltà di trattenere le lacrime e dal tono così tremante e insicuro da rendere palese chi avrebbe vinto di lì a poco, se lei o l’ennesimo e inutile pianto “…e…sentirmi libera…libera dalla sensazione che stia andando tutto a rotoli….Ma.…ma non posso…non posso farlo, è l’unica cosa giusta che riesco ancora fare…non posso rovinare ogni cosa…”
Improvvisamente, avvolta da quelle parole tremanti e insicure, Eva lasciò libera la prima lacrima salata che, ribelle, non perse tempo a rigarle il volto, seguita a ruota da altre sue sorelle, altrettanto veloci e coraggiose; quasi prive di vergogna, Eva alzò lo sguardo, guardando Killian dritto negli occhi, forse per la prima volta da quando lo aveva incontrato al suo arrivo a Storybrooke.
“…pensa…dovevo fare poche cose sai?...rubare la magia di Emma e Regina…trovare quello che mi serviva e…e uccidere Morgana…senza cambiare niente. Tutto doveva rimanere intatto, come se io non fossi mai venuta qui…e invece…cos’ho fatto? Ho ucciso un uomo…ho ucciso…ho ucciso una persona…”
Sovrastata dal dolore e dal fallimento, Eva nascose il volto tra le mani, lasciandosi andare ad un pianto disperato, simile a quello di un bambino inconsolabile, solo e lontano da casa.
“Non è stata colpa tua…” esclamò il pirata “…hai ucciso una persona è vero, ma da quello che ho avuto modo di sentire…Ector non si sarebbe di certo distinto per la bontà d’animo…ti ha portato via qualcuno a cui tenevi…e le parole che ti ha rivolto non hanno di certo aiutato. Hai sbagliato, certo…ma il fatto che tu sia qui, divorata dal senso di colpa…è sufficiente per non classificarti tra i cattivi…”
Sorridendo a quella ragazza dal volto stranamente familiare, Killian si ritrovò ad appoggiare la mano sulla schiena di Eva, una schiena sottile e forte allo stesso tempo, come lo era il suo carattere. Per alcuni versi, la giovane gli ricordava la sua Swan: all’apparenza forte e impenetrabile come nessun’altro, ma piena di dolore e insicurezze all’interno da renderla quasi fragile e bisognosa di protezione. E, in tutta sincerità, non era l’unico aspetto a ricondurlo alla sua amata dagli occhi verdi.
Anche Eva, a dispetto delle sue azioni e del suo comportamento, era una ragazza sola, probabilmente incaricata di un compito troppo gravoso e difficile per una ragazza della sua età. Lì, dopotutto, non aveva nessuno, nessun volto amico, nessuna persona su cui contare, nessuno che potesse consolarla come aveva fatto lui con Emma quando sembrava che Biancaneve fosse stata uccisa da Regina. Tutti avevano bisogno di qualcuno: lui che era un pirata, Emma che era la Salvatrice e perfino Regina Mills, la Cattiva della Foresta Incantata.
“Grazie…” sussurrò tra le labbra, alzando leggermente il volto.
“Se c’è una cosa che so dei viaggi nel tempo…” disse Killian, sogghignando al ricordo di quanto stava per dire “…è di non interferire mai con il corso degli eventi….!!!! Guai a non far incontrare Biancaneve con il Principe Azzurro…potrebbe scoppiare il caos…” esclamò, facendo lievemente sorridere Eva “mai rubare i vestiti di qualcuno nel passato e mai…mai…schiacciare gli insetti senza esserti assicurati che non sia una persona!” aggiunse il pirata, lasciandosi andare a sua volta ad un sorriso sincero e onesto “…Ma…c’è una cosa che mi devi promettere, al di là di tutto…” esclamò Killian, fattosi più serio e scuro in volto.
Eva si limitò a guardarlo, con quel suo sguardo lucido e insicuro.
“…che la tua priorità sarà tenere in vita Emma! Non mi importa se morirò io…o se l’intero equilibrio delle cose verrà distrutto…A me basta che Emma stia bene...chiaro?”
In un movimento quasi involontario, Eva si ritrovò ad annuire con il capo, serrando forte la mascella come stava facendo al contempo lo stesso pirata che, forse proprio notando quel piccolo particolare, si ritrovò a deviare lo sguardo, fattosi improvvisamente confuso e stupito.
“Te lo prometto…”
La brezza della sera si fece ancora più rigida e sicura, come lo era stata la voce di Killian Jones in quel momento; non importava il luogo in cui si trovavano, fosse il futuro, il passato o il presente, Emma sarebbe sempre stata la priorità per quell’uomo dai modi gentili e coraggiosi, sopra tutti e sopra ogni cosa.
“Bene…direi che possiamo andare, si gela qua fuori!” esclamò Killian, alzandosi da terra e stirando leggermente la braccia.
“I…io non posso venire…”
“E perché no?!”
“Perché ora tutti sapranno da dove vengo….e faranno di tutto per farmi dire qualcosa su ciò che accadrà…” rispose Eva, lasciando defluire da quei grandi occhi tutta l’angoscia che provava in quel momento.
“Ci sarà sicuramente qualcuno che insterà per farti parlare…ma Emma non lo permetterà…stai tranquilla…”
Asciugandosi distrattamente gli occhi umidi, Eva si ritrovò issata da terra, presa per un braccio da quella mano forte e abbellita da dei inconfondibili gioielli.
Quasi ipnotizzata, Eva osservò l’uomo davanti a lei, posando, con innocente distrazione, i suoi occhi su quell’uncino in acciaio. Conosceva bene la storia legata a quel moncherino, ma vederlo con i suoi occhi, davanti a lei, era tutt’altra cosa. Come, del resto, era tutt’altra cosa toccare con mano l’amore che il pirata provava per la Salvatrice.
Non importava quello che sarebbe potuto accadere o chi avrebbe minacciato le loro vite; per lei, in ogni occasione e in ogni istante, sarebbe andato ai confini del mondo…e del tempo.
Per sempre.
 
 
***
 
Non seppe dire con esattezza quando accadde, se subito dopo aver aperto gli occhi o dopo essersi guardata intorno e aver scorto un’immensa foresta senza fine; stava di fatto che era finita all’interno dell’ennesimo sogno e, per la prima volta, tutti i sensi sembravano essere al loro posto. Sentiva, udiva e percepiva ogni cosa con estrema chiarezza, padrona del suo corpo e, in particolar modo, della sua mente.
Sbuffando e allargando le dita con fare nervoso, Emma si guardò attorno, felice nel constatare che, sebbene non si trattasse della realtà, stivali neri, jeans e giubbotto di pelle erano con lei, unico aspetto familiare in quella foresta infinita.
Attenta a non inciampare in una delle tante radici fuoriuscite dal terreno, Emma rievocò quanto accaduto poco prima di finire lì, sicura che, il controllo dei suoi pensieri, riuscisse a donarle una piccola marcia in più rispetto ai sogni precedenti.
 
 
FLASHBACK
 
Dopo aver visto Eva sparire in una nuvola di fumo, la Salvatrice si era lasciò andare tra le braccia di Killian, felice di poter avvertire, ancora una volta, il suo caldo sussurro, in un gesto così intimo e personale da farle accapponare la pelle al solo ricordo. Anche se non lo avrebbe mai ammesso apertamente, amava potersi lasciare andare in quel modo, senza pareti, senza muri che potessero allontanarla da lui, priva di qualsiasi difesa; e quell’abbraccio, così familiare e rassicurante, sarebbe stato perfetto, se solo i suoi genitori, Henry, Regina, Belle e Will non avesse deciso di interromperli, sovraccaricati dalla paura di quanto appena accaduto.
“…ehi…cos’è successo?!” esclamò la voce lievemente roca del Principe Azzurro.
“Eva è sparita…” rispose la Salvatrice, con tono preoccupato.
“E ha ucciso un uomo…” esclamò Will con tono ovvio “….ma questo non è altrettanto importante!” aggiunse, dopo aver ricevuto un’occhiata a dir poco glaciale da parte del pirata e dell’ex cacciatrice di taglie.
Staccandosi dalla stretta di Killian, Emma scambiò un veloce sguardo con i suoi genitori, visibilmente preoccupati dalle parole della figlia.
“Bene…ci mancava un’altra sociopatica!” esclamò Regina, guadagnandosi l’ennesimo rimprovero non verbale da parte dei presenti “ehi…non vorrete dirmi che vi fidate di lei?!”
“Bè, mi ha salvato la vita!” affermò Killian, con tono sicuro.
“Già…e mi ha anche rubato la magia, per non parlare del cuore di Henry..”
“Ma ha restituito entrambi…” le rispose Emma, posando lo sguardo sul volto del pirata al suo fianco.
“Perfetto…lasciamola pure a piede libero allora!”
Senza nascondere minimamente l’irritazione, il sindaco di Storybrooke alzò gli occhi al cielo, incrociando le braccia al petto e dando volutamente le spalle alla famiglia Azzurra al completo.
“Regina ha ragione…” sostenne improvvisamente la voce di Biancaneve, ritrovandosi gli occhi di tutti puntati addosso, alcuni sgomenti, altri delusi per quell’improvvisa affermazione “voglio dire…non sappiamo chi sia, ne dove venga...come sia arrivata in città….e nemmeno cosa voglia Morgana da noi…”
“E non dimentichiamo l’aspetto più importante” esclamò seria Regina, ancora con braccia incrociate e labbra serie “…viene dal futuro! Quella ragazzina e la megera di poco fa sanno chi siamo…ci conoscono! Non so voi ma questo mi preoccupa”
“Non possiamo saperlo con esattezza…” si intromise David.
“io sì…” esclamò il pirata, ancora dolorante “Poco fa Morgana ha detto di avermi già ucciso…e penso intendesse in futuro visto che…bè…sono qui!”
Ed eccolo, il momento più agghiacciante della giornata, più della strega e delle belve venute da chissà dove, il momento in cui il suo cuore, il cuore della Salvatrice, era mancato di un battito, lasciandola per un minuto senza fiato, con i polmoni e il cuore carichi di una paura quasi primordiale; qualcuno lo avrebbe ucciso, qualcuno avrebbe messo fine alla vita di Capitan Uncino, infischiandosene altamente della sua tanto decantata bravura nel sopravvivere.
“Ehi…non accadrà nulla del genere…” le sussurrò David, il quale pareva aver intuito l’angoscia nel cuore della figlia.
“Tu credi?!” si ritrovò a dire Emma, con voce improvvisamente amara.
“Riusciremo a fermare Morgana…te lo prometto!”
Nonostante lo volesse con tutto il cuore, Emma non riuscì a credere alle parole del padre; che fossero i sogni che aveva vissuto o, semplicemente, l’aver visto con i suoi occhi l’immenso potere di Morgana, stava comunque di fatto che le cose non avrebbero preso una bella piega, per nessuno loro.
“io….penso di averla già incontrata…”
L’improvvisa voce di Henry interruppe il flusso di pensieri che, ostinato, aveva preso il controllo in tutti i presenti.
“Cosa?!”
“Quando?!”
Esclamarono in coro Regina ed Emma, entrambe con occhi sgranati
“…credo di aver già visto Eva…da qualche parte!”
“Che intendi dire Henry?” lo incitò Belle, appoggiandosi una mano sulla spalla.
“...non so spiegarlo ma…da quando l’ho vista per la prima volta…bè…ho subito avuto la sensazione di conoscerla, di averla già incontrata…”
“Non è possibile…” disse Regina, scura in volto.
“Lo so…ma è quello che ho provato…e che continuo a provare…”
“Ho avuto anch’io la stessa sensazione, poco fa…da Granny…” si accodò Biancaneve, omettendo volutamente il momento esatto in cui quell’idea le era balzata alla mente “…ha un volto familiare...”
Non seppe spiegarlo a parole, ma nonostante quelle rivelazioni, nonostante non fosse l’unica ad aver provato una sorta di legame con quella ragazza misteriosa venuta da chissà dove, Emma rimase in silenzio; non disse nulla di quello che aveva provato guardandola negli occhi, né degli strani sogni che la collegavano a lei, rimase in silenzio, con le mani serrate a pugno e il cuore in fibrillazione.
Nemmeno Killian, solitamente sincero e aperto con la donna dai lunghi capelli biondi, ferma al suo fianco, non confermò le parole del ragazzino, preferendo archiviare le sue emozioni come uno sciocco momento di debolezza, unicamente dettato dall’angoscia di venire ucciso di lì a poco.
“Bè…direi che non ci servono altri motivi per avere qualche informazione in più…” esclamò Regina, portando ogni presente alla realtà.
“E che vorresti fare? Interrogarla?...o rinchiuderla magari…” sbottò Belle, punta sul vivo.
“Non ci dirà nulla…” si intromise Emma, muovendosi di qualche passo sull’asfalto illuminato dai lampioni “…se è davvero venuta dal futuro, di certo non si metterà a raccontarci tutto quello che succederà…Non l’ha fatto finora e non inizierà proprio adesso…”
“Ma ha ridato il cuore ad Henry…e la magia a Regina. Forse…” propose Biancaneve.
“Nessun forse…” la interruppe la figlia “…non si farà aiutare…ne sono certa”
“Come puoi saperlo?”
“L’ho guardata negli occhi…e ho visto solo fallimento e paura. Lei si sente sola qui…non chiederà mai aiuto a nessuno, non dopo quello che ha appena fatto!” esclamò Emma, con voce amara, ricordando il momento in cui quelle delicate mani pallide avevano stretto il cuore di Ector, rendendolo polvere, senza una reale consistenza.
“E se usassimo il Nodo?!” esclamò Will, con il suo inconfondibile modo di parlare, spigliato e sicuro come solo quello di un ladro poteva essere.
 “ma noi…non abbiamo il Nodo!” affermò Belle, corrugando la fronte “…sei stato proprio tu a dirci di averlo bruciato…”
“Sì infatti l’ho bruciato….ma questo non significa che non abbia portato con me un souvenir!”
Con sguardo furbo, il giovane Will Scarlett estrasse dalla tasca dei pantaloni un piccolo ciuffo di corda, leggermente annerito, da quella che pareva essere cenere.
“Quello…quello è..” balbettò la bibliotecaria, avvicinandosi di qualche passo al ladro.
“…un pezzo della corda del Nodo!” concluse Regina, la quale non riuscì a contenere il sorriso soddisfatto che le uscì dalle labbra.
“Perché lo hai con te?!” gli chiese Belle, incuriosita da quell’uomo di cui sapeva così poco.
“Un bravo ladro conserva sempre un ricordo di quello che ruba…con fatica!” le sorrise Will ricordando quanto aveva sudato per recuperare il Nodo insieme ad Alice.
“E cosa dovremmo farci con un pezzo di corda?” chiese il pirata, appoggiato da Emma.
“Semplice…guardare nel passato di Eva…o meglio, nel nostro futuro!” spiegò ferma Regina, il cui sorriso lasciava ben intendere quali fossero le sue intenzioni.
“E come?...è solo un pezzo…di corda” chiese Biancaneve, altrettanto scettica di fronte a quell’improvvisa rivelazione.
“Già…” esclamò Regina, prendendo con delicatezza quel piccolo ciuffo dalle mani di Will “…un pezzo imbevuto della magia sufficiente per dare una piccola occhiata al passato di qualcuno!”
“Non credo sia una buona idea!” esclamò Emma, avvicinandosi a Regina.
“Cosa? E perché no?”
“Perché...se c’è una cosa che mi ha insegnato Tremotino…è di non interferire col passato!...e guardare nel futuro di Eva è come farlo!”
“Anche se questo salverebbe la vita del pirata?”
“Sì!” rispose Killian, guadagnandosi gli sguardi sconcertati di tutti i presenti “…sono d’accordo con Emma. Salvare la mia vita potrebbe portare alla morte di qualcun altro…e, sinceramente, non mi va di rischiare!”
 
FINE FLASHBACK
 
 
Dopo le parole del pirata, quasi tutti avevano convenuto col dare tempo ad Eva, focalizzando le energie sulla ricerca di un modo per sbarazzarsi di Morgana e sulla liberazione delle fate, le uniche in grado di dare qualche informazione in più sulla Fata Oscura.
Decisamente irritata e fuori di sé, Regina si era allontanata dal gruppo, seguita a ruota da Killian, il quale non sembrò voler rivelare la sua destinazione.
Ricordando quanto avvenuto, Emma si ritrovò a chiedersi se fosse stata una buona idea respingere la proposta del sindaco. Dopotutto, lei si trovava di nuovo intrappolata in uno dei sogni di Eva, e nessuno di questi si era mai rivelato un’esperienza piacevole; al contrario, se si contava il fatto che la ragazza proveniva dal futuro, quelle strane “visioni”, se così le si voleva chiamare, sarebbero facilmente potute essere dei spaventosi stralci sul domani; e, se era davvero così, Killian Jones non sarebbe stato l’unico a morire.
Soffocante e amara, come solo un brutto sogno poteva essere, l’immagine della lapide con inciso il suo nome si fece strada tra la sua mente, rendendo chiaro quale sarebbe stato il futuro che avrebbe colpito lei e il capitano della Jolly Roger.
“Ti sei persa Salvatrice?!”
La voce di Regina fece sussultare la bionda che, con uno scatto, si guardò alle spalle, sorpresa di vedere davanti a sé la donna che, solo poco fa, aveva inveito contro di lei e la sua folle proposta di pazientare con Eva.
Nonostante il volto fosse lo stesso, leggermente segnato dal tempo, l’abito della sovrana non appariva minimamente simile agli splendidi abiti firmati che, ogni giorno, la donna sfoggiava a Storybrooke; al contrario, la veste bianca, con maniche a sbuffo, pareva più affine alla Regina delle favole, con lunghi capelli neri, sciolti lungo le spalle.
“R…Regina?!”
“In carne ed ossa” le rispose, con tono inconfondibile, la mora davanti a lei.
“….sei….diversa?!” fece notare Emma, quasi abituata allo strano modo in cui si verificavano gli eventi in quella sorta di allucinazione ad occhi chiusi.
“Gli anni passano per tutti Swan…”
“Oh….quindi….tu saresti…” esclamò a fatica la Salvatrice, in difficoltà anche solo a pronunciare una simile spiegazione “…la Regina del…futuro?!”
“Diciamo di sì…con qualche modifica dovuta alla tua mente…e ai tuoi ricordi….” le spiegò Regina, sorridendo con quelle sue splendide labbra cremisi, di fronte a tanto scetticismo.
“E perché saresti qui…?!”
“Per mostrarti una cosa…” sussurrò, quasi divertita, la donna, apprestandosi ad allontanarsi “…seguimi Swan!”
Detto ciò, Regina si inoltrò nella foresta, senza alcun bisogno di assicurarsi che la bionda avesse effettivamente ascoltato il suo consiglio.
Con uno scatto degno dei numerosi inseguimenti che avevano caratterizzato la sua vita da cacciatrice di taglie, Emma avanzò all’interno di quella familiare foresta sempreverde, attenta a non perdere mai di vista la figura sinuosa della donna davanti a lei.
Regina, la Regina di chissà quale futuro, era davanti a lei, bella, serena e, fortunatamente, con uno sguardo pacifico e per nulla ostile. In fin dei conti, i tempi in cui Regina rappresentava una minaccia erano ormai passati; ma in un mondo come lo era il suo, nulla andava mai lasciato per scontato e la sua presenza in quel posto ne era l’ennesima dimostrazione.
“Dove stiamo andando…?!” chiese Emma, infastidita dai continui rami che, invadenti, le si impigliavano tra i capelli chiari.
“Volevi sapere qualcosa di lei no?” le rispose Regina, per nulla in difficoltà in quell’ambiente fatto di querce e foglie.
“S…sì…” faticò a rispondere la Salvatrice, sorpresa di aver subito collegato la frase alla ragazza da poco giunta nella sua vita.
“Vuoi sapere cosa l’ha portata a Storybrooke…e chi l’abbia aiutata ad aprire un portale del tempo…dico bene?!”
Le parole chiare e dirette della sovrana, lasciarono Emma Swan ammutolita, immobile al centro del bosco, con gli occhi sgranati, nonostante i caldi raggi del sole che, sereni, la illuminavano con immensa generosità.
“…allora guarda…”
Con un gesto della mano, Regina invitò Emma a farsi avanti, ad osservare quanto si trovava al di là del groviglio di rami e spine che, ostinato, sembrava voler proteggere un oscuro segreto della foresta.
Lentamente e non priva di dubbi, Emma seguì il consiglio di Regina, avvicinando leggermente le dita su quell’intreccio di spine, le quali, quasi spaventate dalla presenza della donna, si ritirarono su loro stesse, lasciando campo libero a quegli intensi occhi verde smeraldo.
Ciò che la Salvatrice vide andò ben al di là di ogni sua più fervida immaginazione, al di là di ogni suo pensiero o teoria. Al di là, di ogni più spiacevole previsione.
Eva era lì, in piedi; gli stessi capelli sciolti, lo stesso sguardo familiare, la stessa mano bianca stesa davanti a sé, alle prese con una figura altrettanto inconfondibile e vicina alla sua vita.
Non era possibile, non poteva essere vero.
Eva era lì…in piedi. Insieme a…
“Bene principessa…abbiamo un accordo?!”
 
***
 
“Perché siamo qui?!”
Con voce incuriosita, Biancaneve si avvicinò al centro del giardino dell’abitazione davanti a lei, la quale appariva in un chiaro stato di abbandono. Il selciato era completamente da rifare e l’intonaco dei muri, ormai scrostati, aveva da tempo perso la sua battaglia contro il clima e le intemperie; una casa lasciata sicuramente alla mercé della polvere, che di lì a poco avrebbe reso l’aria al suo interno quasi del tutto irrespirabile.
Anche il marito della donna dal cappotto rosso, visibilmente affaticato dalla tarda ora e dagli eventi appena verificatisi, lanciò una veloce occhiata a quell’abitazione inabitata, puntando subito dopo lo sguardo sulla figura elegante della donna davanti a loro.
“Non chiedetelo a me…” esortò la voce di Regina, seria e leggermente seccata dall’orario in cui l’avevano scomodata “…ho ricevuto un messaggio dal Emma…come voi immagino!”
“Sì ma lei dov…”
“Sono qui…” esclamò la giovane Swan, interrompendo il Principe.
La voce di Emma si avvicinò pian piano ai tre presenti che, in perfetta sincronia, si voltarono di spalle, incrociando il loro sguardo con quello acceso e familiare della bionda. Emma, nonostante l’inconfondibile bellezza, appariva stanca e con occhiaie probabilmente acuite dalla mancanza di sonno; anche i capelli, solitamente vaporosi e ben ordinati, apparivano leggermente scompigliati, come se avessero mantenuto la stessa posizione nelle ultime ore.
“Emma…ti senti bene?!” chiese preoccupata Biancaneve, avvicinandosi di qualche passo alla figlia “…sembri distrutta…”
“Evidentemente le quattro del mattino non rendono giustizia neanche alla Salvatrice!” ironizzò Regina, stringendosi al suo caldo cappotto scuro.
“Qualche altro incubo?” le chiese David, avvicinandosi a sua volta e ignorando la frecciatina della sovrana.
“Sì…”
“Premonitore come i mostri di poco fa?” chiese Regina, felice di poter finalmente riesumare quell’argomento, fin troppo velocemente archiviato.
“…temo di sì!” si limitò a dire Emma, abbassando leggermente il capo.
“Devi dirci cosa sta succedendo Emma…non puoi tenerti tutto dentro!” la incoraggiò la madre, preoccupata.
“Soprattutto se riguarda tutti noi…” si accostò Regina, non più sarcastica come poco prima.
Mordendosi leggermente il labbro inferiore, Emma iniziò a muovere qualche passo su e giù, sopra a quel selciato rovinato e pieno di squarci nel terreno. Doveva parlare, lo sapeva bene. Non poteva continuare a tacere riguardo a quei sogni, non dopo quello che aveva visto negli ultimi due, uno dei quali era rimasto ignoto alla sua mente, almeno fino a poco fa.
Dopo il suo risveglio, meno di un’ora prima da quella sorta di “consiglio comunale”, Emma aveva ricordato con estrema chiarezza quanto aveva sognato poco prima dell’arrivo di Morgana; un sogno che sapeva bene aver fatto, ma di cui non aveva ricordato nulla, neppure il minimo dettaglio, fino ad ora. Il susseguirsi degli eventi le aveva impedito di focalizzarsi sulla questione, ritrovandosi a concentrarsi unicamente sulla nuova strega, su Eva e sulla vita delle persone che amava.
Dopo essersi risvegliata dall’ultimo sonno, di cui sapeva di non avere il minimo controllo, Emma aveva ricordato ogni cosa: Regina e Eva insieme, sua madre invecchiata e le parole che, quest’ultima, le aveva rivolto, con tanta serietà da apparire, in quel momento, significative quanto impensabili.
“lei è la speranza…”
La speranza…Eva? La speranza di cosa? Come poteva essere la speranza se ogni suo gesto e ricordo portavano ad una sola parola: cattiva.
Eva non poteva essere buona, non poteva essere un eroe come lo era il resto della sua famiglia. Non poteva, non dopo aver strappato il cuore ad Henry e aver ucciso una persona; non dopo quello che aveva visto nell’ultimo sogno.
Regina aveva ragione, dovevano sapere qualcosa di più su di lei e sul suo passato e smetterla di rimanere sempre un passo indietro, carichi di soli dubbi e domande.
“Da quando Eva è arrivata in città…ho iniziato a fare degli strani sogni…” iniziò a raccontare la Salvatrice, guardando i presenti con sguardo serio e fermo “…inizialmente ho pensato si trattasse di qualcosa di poco conto…ma poi i sogni si sono fatti…strani. C’era questa bambina…la prima volta era in una casa circondata dalle fiamme. Era…sola, spaventata…mi ha fatto intravedere il suo mondo e…ho visto la Foresta Incantata distrutta dalle fiamme e da quei mostri comandati da Morgana...”
“E immagino tu abbia visto anche la Fata…” esordì Regina, la quale non riuscì a celare la preoccupazione dal tono serio della sua voce.
“Esatto….! Dopo averla vista, però, mi sono svegliata di colpo…ritrovandomi sbattuta addosso alla parete!” continuò la giovane Swan, consapevole di aver omesso il particolare riguardante la sua copia esatta, insieme alla bambina “…nel secondo sogno ero in un cimitero….e la bambina stava guardando…la mia tomba!”
Il gemito di Biancaneve fu ciò di più agghiacciante che una figlia potesse udire; addolorato, triste, carico del terrore che solo un genitore messo di fronte a quell’evenienza poteva realmente comprendere. Neppure l’abbraccio del marito sembrò conferirle la speranza che, in goni occasione, aveva contraddistinto il loro speciale rapporto.
“…il sogno sembrava…reale. Ho visto Killian davanti alla mia tomba…credevo di essere morta, davvero!” spiegò Emma, completamente assorta dalle sue stesse parole, mai pronunciate a voce alta “….ma poi è comparsa Eva, davanti a me…con gli stessi abiti della bambina…”
“Quindi è lei a comandare i tuoi sogni…” esclamò David, scuro in volto.
“Non lo so…l’ho pensato anch’io all’inizio….Ma i sogni che ho fatto dopo…direi che non hanno giocato a sua favore…”
“Che vuoi dire…” la esortò Regina, avvicinatasi di qualche passo alla bionda davanti a lei.
“…nel sogno che ho fatto subito dopo c’eri tu…insieme lei….le insegnavi ad usare la magia!” dichiarò Emma, consapevole di essere la responsabile di quello sguardo sgomento nel volto del sindaco di Storybrooke.
“Come scusa?”
“eri con lei…” ripeté Emma, stringendo leggermente le labbra “…e poi sei apparsa tu…” aggiunse, posando lo sguardo su Biancaneve, ancora scossa in seguito alle parole della figlia “…eri, diversa…più…”
“vecchia….” sussurrò Biancaneve, certa di aver espresso alla perfezione ciò che Emma faticava a dire a parole.
“….mi hai detto che Eva è il futuro…e la speranza!”
“Quindi….possiamo fidarci di lei?!” propose il principe.
“Non credo…”
“Perché no?”
“Perché…nel sogno che ho fatto poco fa. Tu…” rispose la Salvatrice, rivolgendosi a Regina “…mi hai mostrato Eva, fare un accordo con…Tremotino!”
Silenzio.
Nessuno seppe cosa dire, nessuno riuscì a trovare le parole adatte per descrivere il caos che, impaziente, si era creato nelle loro menti.
Tremotino, il Tremotino del futuro avrebbe stretto un accordo con la ragazza. Quindi l’esilio non sarebbe servito a nulla?! Tremotino sarebbe tornato, nella Foresta Incantata, e avrebbe continuato ad interferire con le loro vite?
E se fosse centrato qualcosa con Morgana? se fosse stata lei il suo tramite per vendicarsi di quello che gli era stato fatto? E se quella a cui avevano assistito fosse stata solo una messinscena per abbassare loro la guardia con Eva e permetterle così di uccidere tutti loro? Dopotutto Morgana non l’aveva uccisa; nonostante l’avesse avuta a poche dita di distanza, si era limitata a sparire, risparmiandola davanti a tutti loro.
Macchiavellico, subdolo, estremamente complicato e geniale.
Un piano adatto alla mente perversa dell’Oscuro Signore.
Nonostante il cuore della Salvatrice continuasse ad urlare a perdifiato che Eva era innocente e che quel suo sguardo carico di dolore non poteva essere una finzione, lei non poteva rischiare. Non poteva rischiare che tutti loro morissero, che il suo Killian morisse, per mano di una ragazzina che, con il suo volto familiare, era riuscita a raggirarla.
“Che facciamo?” chiese Biancaneve, ridestatasi dallo shock di quella rivelazione.
“Attuiamo il piano di Regina!” le rispose Emma, ricevendo uno sguardo di pura soddisfazione da parte della diretta interessata “…cerchiamo di scoprire quale sia il punto debole di Eva!”
“E come intendi farlo?”
“Con questo…”
Sicura di sé, Emma estrasse il guanto che, poco meno di una settimana prima, aveva portato Belle dinanzi alla scoperta più triste e amara della sua vita. Il guanto magico proveniente da Camelot, ciò che, in ogni luogo e in ogni tempo, avrebbe indicato il punto debole di ogni persona, ovvero ciò che amava di più al mondo.
La parte superiore dell’oggetto sembrava fatta di un materiale simile al metallo, completamente discostante dalla sua parte inferiore, dorata e adornata dalla raffigurazione di un leone.
“Intendi usare il guanto di Tremotino?” chiese dubbiosa Biancaneve, ancora scossa da quanto riferito dalla figlia pochi istanti prima.
“L’ho già fatto!...e mi ha portato qui…”
Seria e con il respiro accelerato, Emma alzò lo sguardo in direzione dell’abitazione davanti a loro; il luogo dove Henry aveva trovato Eva e il luogo dove loro l’avrebbero incastrata.
 
***
 
“Perché siamo qui?!” esclamò Killian, con voce leggermente annoiata.
“Illumina…”
Ignorando la domanda del pirata, Eva continuò ad armeggiare con le assi invecchiate del pavimento, le quali riempivano l’intera grande sala dell’abitazione abbandonata, priva di luce e di ogni confort offerto dall’epoca odierna. Le mani, ancora annerite dal terriccio, continuavano a testare ogni asse del pavimento, alla ricerca di qualcosa nei pressi del centro della stanza.
“Posso sapere cosa stai cercando?”
“Una asse difettosa…” rispose vaga la ragazza, continuando la sua ricerca, inginocchiata a terra.
“Mmmm…interessante….” si lamentò il pirata, spostando il bagliore della torcia che teneva in mano alla sua destra, illuminando così la zona opposta del luogo in cui si trovava Eva.
“Ah ah…divertente!” esclamò la giovane, interrompendo la sua ricerca improvvisamente invasa dal buio “…sto cercando l’asse dove ho nascosto il libro di Henry…in modo da recuperarlo e ridarglielo!” spiegò la giovane dai capelli scuri, leggermente divertita da quel modo di fare così impaziente a cui, evidentemente, non era abituata.
“Ah…”
“Perciò…se vuoi fare un po’ di luce!”
“Eccoti accontentata….tutta la luce che vuoi!” esclamò, improvvisamente, la voce di Regina, sorprendendo non poco Eva e Killian.
Abbagliante e improvvisa, come solo la magia poteva essere, un’intesa luce riempì a giorno l’intera stanza, lasciando abbagliati gli occhi verdi e azzurri dei presenti.
Tre paia di scarpe fecero il loro ingresso nella casa abbandonata, una delle quali, con il sonoro rintoccare dei tacchi, appariva a dir poco inconfondibile, come la voce di chi aveva parlato in quell’istante.
Con la stessa imprevedibilità della luce appena apparsa, Eva si ritrovò sollevata in aria e legata al petto da una rozza corda chiara che, con estrema facilità, la inchiodò ad un tronco, magicamente apparso al centro della sala.
Accadde tutto rapidamente, in un susseguirsi di fatti tanto rapidi da impedire al cervello di coglierne ogni aspetto. Troppa luce, troppe persone. Troppa paura.
“Ehi!” urlò la ragazza, immobilizzata al tronco, con una smorfia tanto scioccata quanto innervosita.
“E…Emma?!” esclamò il giovane Jones, con occhi socchiusi, a causa della forte luce “…che succede?”
“Che succede?....che ci fai qui piuttosto?!”
Sconcertata come lo era stata poche volte in ventotto anni, Emma fece un passo in direzione del pirata, con occhi infinitamente verdi e sbarrati. Si sarebbe aspettata qualunque cosa da quel guanto, di essere portata dinanzi ad un portale, nei pressi di qualche oggetto magico o luogo segreto, ma mai, mai, in una stanza con dentro Killian Jones.
“Eva sta cercando il libro di Henry…vuole…ridarglielo…” le spiegò l’uomo, stropicciandosi gli occhi con le dita “…non è che, per caso, si può abbassare l’effetto luce?!”
Con un gesto annoiato delle dita, Regina diminuì l’intensità dell’illuminazione, per poi spostare nuovamente l’attenzione sulla figura esile legata all’albero.
“Interessante...ora non ci rimane che scoprire se il guanto ci ha portato al libro o…al pirata” esortò Regina, con sguardo affilato.
“È ovvio che ci ha portati a qualcosa nascosto qui dentro…” le rispose il Principe, per nulla in difficoltà nel difendere il pirata.
“Dici?!”
“Ma di cosa state parlando?” esclamò il giovane Jones, cercando lo sguardo di Emma.
La bionda, rimasta in silenzio fino a quel momento, spostò lo sguardo da Killian a Eva, avvolta da una serie di pensieri e ipotesi talmente impensabili da darle la nausea.
Perché il guanto l’aveva portata lì? Belle le aveva detto che quell’oggetto magico l’avrebbe condotta verso il punto debole di Eva, ovvero ciò che amava di più al mondo; ma cosa poteva essere? Che si trattasse della casa? O del libro, come aveva ipotizzato Regina?
E se, invece, si trattava di…
“Emma…” la richiamò Killian, i cuoi occhi azzurri sembravano essersi fatti ancora più azzurri e lucidi immersi da quella luce artificiale.
“Siamo stati portati qui dal guanto del signor Gold…” rispose la giovane Swan, quasi in un sussurro.
“Che cosa? Il guanto?!”
“Sì…quello…quello che ha condotto Belle da Tremotino…quando stava per ucciderti!” gli rispose Emma, con sguardo fermo “…e ora ci ha portati qui…dove evidentemente Eva tiene qualcosa…!” aggiunse, volgendo lo sguardo in direzione della ragazza.
Dal canto suo, consapevole di quanto stava accadendo, Eva rimase immobile nella sua posizione, un po’ per scelta, un po’ perché imprigionata dalla stretta corda in cui Regina l’aveva avvolta con la sua magia. Ne era certa, avanti di quel passo e, presto o tardi, quel suo debole cuore macchiato avrebbe finito col cedere, continuamente stressato da colpi di scena degni di un film dell’orrore.
“Che cosa stai cercando?!” chiese la voce severa di Emma, i cui lunghi capelli sciolti le donavano un’aria incredibilmente minacciosa e fiera.
“L’ho già detto….sto cercando il libro di Henry…” le rispose Eva, strattonando inutilmente la corda che la legava al tronco.
“Certo…riprova!”
“È la verità…”
“Forse…ma non ci stai comunque dicendo tutto!” esclamò Emma, facendo un leggero cenno in direzione di Regina, la quale sembrava attendere quel momento con estrema impazienza.
“Che altro dovrei dirti…”
“Nulla mia cara….ci penserà questa a parlare per te!”
Con estrema sicurezza, il sindaco si avvicinò al corpo sottile di Eva, lanciandole uno dei suoi agghiaccianti sorrisi, i quali mettevano in risalto la piccola cicatrice sul labbro superiore e la splendida dentatura, a dir poco perfetta. Lentamente, la donna introdusse la mano destra all’interno della tasca del cappotto, per poi estrarne un piccolo ciuffo di corda, lo stesso datole da Will poche ore prima.
L’’ultimo pezzo rimasto del Nodo non-ti-scordar-di-me; l’unico oggetto magico in grado di far tremare le ginocchia della ragazza dinanzi a lei.
“Che…che cos’è?”
“Oh questo?...non lo sai?!” le chiese divertita Regina, rigirandosi tra le dita il pezzo di corda, lievemente annerito “si tratta del pezzo di una corda molto…speciale…..Possiamo chiamarlo Nodo, se ti va!”
“A…avevate detto che era un inganno…che non c’era nessun Nodo…?!” tartagliò Eva, con sguardo talmente pallido da rendere più rosse le sue labbra delineate.
“Emma…vuoi dirmi che sta succedendo?!”
Il pirata si avvicinò alla figura del suo amato cigno, prendendole il braccio tonico con fare deciso e sussurrandole quelle parole all’orecchio, non riuscendo a staccare il suo sguardo preoccupato dal volto sottile di Eva.
Emma si stava comportando in maniera strana e il modo in cui Regina si approcciava alla ragazza non lasciava presagire nulla di buono.
“Devo sapere chi è!” gli rispose la donna, non riuscendo a guardarlo negli occhi.
“Cosa?....non eravamo rimasti che le davamo del tempo?” le chiese, mettendosi di fronte a lei, obbligandola così a guardarlo dritto in faccia “…non so te Swan ma con tempo io….”
“Ci nasconde qualcosa….” lo interruppe Emma, con fare brusco “…e non posso rischiare di sbagliarmi su di lei!”
“Sbaglio o hai già detto una cosa simile…”
“Con te era diverso…” si giustificò Emma, tentando di liberarsi dalla stretta del Jones.
“Diverso perché?!”
“Diverso perché l’ho vista stringere un accordo con Tremotino…e non posso rischiare che tu muoia per colpa sua!” sbottò la donna, non accorgendosi di aver pronunciato le ultime parole con un tono di voce estremamente alto.
Un silenzio teso e pesante scese all’interno della sala, colpendo dritto al cuore della ragazza legata al tronco. Emma sapeva; Emma conosceva parti del suo passato, nonostante fosse stata ben attenta a non lasciare il minimo indizio.
Com’era possibile? Come poteva sapere di Tremotino?
“Io…io posso spiegare…” cercò di temporeggiare la castana, il cui fiato sembrava essersi fatto corto come non mai.
“Non serve tranquilla…Preferisco fare a modo mio” esclamò Regina, facendo comparire dal nulla il suo amato specchio nero, lo stesso che la giovane, qualche giorno prima, aveva visto all’interno della cripta, nero e intimidatorio come pochi specchi al mondo riuscivano ad essere.
“No…no no….voi non pot….mmmm”
Con fare seccato, Regina imbavagliò la ragazza, il cui sguardo sbarrato lasciava trasparire il terrore creatosi nel suo animo.
“Possiamo iniziare?” proruppe la voce autorevole di Regina, avvicinandosi di qualche passo a Biancaneve e il Principe, rimasti in disparte di fronte fino a quel momento.
“Emma….”
Con voce dolce e preoccupata, Killian incatenò il suo sguardo con quello della giovane Swan, cercando di trovare un appiglio in quegli occhi smeraldo, smarriti come mai lo erano stati dal loro primo incontro nella Foresta Incantata.
“Sì…” rispose Emma a Regina, dando a quest’ultima il permesso di iniziare quanto concordato qualche istante prima sul selciato di quella vecchia casa disabitata.
Senza dare il tempo ad alcun ripensamento, la Mills creò un semicerchio invisibile con le braccia, tenendo i palmi delle mani ben allargati, come accadeva ogni qualvolta si apprestasse a lanciare un potente incantesimo.
Un vento forte e invisibile sferzò i capelli di tutti i presenti, obbligando Biancaneve e il Principe a stringersi in un abbraccio, più simile ad una sorta di incoraggiamento reciproco che ad un vero e proprio ancoraggio.
Anche Killian, rimasto accanto alla Salvatrice, non riuscì a fare a meno di cingere la vita sottile della donna, portando davanti a se il suo fedele uncino, in un inutile tentativo di difenderla da chiunque fosse uscito da quello specchio svolazzante.
Per nulla intimorita da quell’improvvisa brezza magica, Regina fece levitare in aria ciò che rimaneva del Nodo del giovane Scarlett, lasciando che la potente forza attrattiva dello specchio lo risucchiasse al suo interno. Simile ad un piccolo pesce in balia della corrente, il ciuffo di corda si immerse all’interno della superficie riflettente, la quale venne improvvisamente investita da un potente bagliore che, per alcuni istanti, inghiottì l’intera stanza.
Emma fece per coprirsi il volto con il braccio, ma subito il corpo dell’uomo al suo fianco, si frappose tra lei e la luce, riparandola così da ogni cosa. Con il cuore colmo di commozione di fronte ad un gesto tanto semplice quanto carico di significato, Emma non riuscì a fare a meno di posare gli occhi su quel volto familiare, di cui ormai non riusciva più a fare a meno. Quelle labbra piene; quel mento attraversato dalla barba incolta; quella mascella rigida e delineata; e quegli occhi, blu e profondi come solo l’oceano poteva essere. Ogni parte, di quel volto perfetto, riusciva a infonderle un’inspiegabile sensazione di fiducia; una fiducia che, sapeva bene, non sarebbe stata intaccata da nessuno, sebbene quello specchio non lasciasse presagire nulla di buono.
Era questo ciò che si provava? Era questo che accadeva quando qualcuno metteva la tua vita davanti a tutti e tutto?
Era quello il vero amore?
“Cosa dovremmo vedere?” chiese improvvisamente la voce di David, obbligando Emma a guardare al di là della spalla del pirata.
Con fare prudente, la giovane Swan posò lo sguardo sullo specchio di Regina, buio e vuoto come poco prima, seguita a ruota da Killian, il quale non perse, nemmeno in quel momento, il suo contatto fisico con la bionda, tenendo la sua mano stretta a quel polso roseo e sottile.
“Specchio….” esclamò Regina, abbassando le braccia lungo i fianchi “…voglio vedere il passato di Eva!”
Ogni tentativo di ribellione da parte della prigioniera, finì nel vuoto, debole e inconsistente, come lo erano gli strattoni alla corda e le urla, rese soffocate dalla benda con cui Regina l’aveva imbavagliata.
Stava accadendo, loro avrebbero scoperto tutto, e nulla lo avrebbe ostacolato.
 
“Eva….Eva….”
 
Una voce, proveniente dallo specchio, spezzò il silenzio sceso nella sala, accompagnando quel breve nome, carico di significato, l’immagine di una piccola capanna, invasa dal silenzio e dal buio della notte. Lentamente, il riflesso dello specchio si concentrò sul centro della stanza in legno, concentrando la sua attenzione su una figura, probabilmente maschile, inginocchiata accanto ad un piccolo letto di fortuna. Qui, giaceva una ragazza, addormentata su un ammasso di coperte e stracci; lo sguardo, segnato dalla stanchezza, appariva teso e per nulla riposato.
 
“Eva svegliati…”
 
Un altro sussurro.
Un sussurro familiare.
I capelli castani, sparpagliati sopra al cuscino di emergenza, si mossero leggermente, evidentemente disturbati da quella voce tanto agitata e insistente.
Ciò che, però, mise completamente fine a quel sonno ristoratore, non fu la voce, ma l’improvviso suono di un’esplosione che, dalla forte intensità con cui fuoriuscì dallo specchio, fece sobbalzare i presenti. Tutti eccetto una; l’unica che, quella scena, l’aveva vissuta in prima persona, con tutta la paura e l’angoscia che ne sarebbero seguiti.
 
“Oh…papà…” esclamò la voce spaventata di Eva, il cui petto si alzava e abbassava a gran velocità, ancora colpito dall’improvviso rumore esterno.
“Dobbiamo andare…subito” continuò a sussurrare la voce, strattonando la ragazza giù dal letto.
Velocemente le due figure uscirono dalla capanna, iniziando a correre a perdifiato lungo la foresta di fronte a loro; entrambi con un arma, pronti a difendere l’altro ad ogni costo.
L’uomo, di spalle, teneva per mano la ragazza, impugnando con l’altra una spada di comuni fattezze.
 
Nel notare quella seconda mano intatta, Emma si sentì improvvisamente più serena e libera da una pesante sensazione che, impellente, continuava a ronzarle nella mente.
In maniera quasi involontaria, si voltò in direzione di Eva, notando solo in quel momento che la ragazza, nuovamente imprigionata, non guardava le immagini presenti nello specchio, ma lei e Killian, come quella sera a casa di Biancaneve, subito dopo essere stata ritrovata da Henry.
Era ansiosa, triste, pallida come solo la paura riusciva a fare.
 
“Ahi…”
Colta da un improvviso dolore sotto alla pianta del piede sinistro, Eva si inginocchiò a terra, stringendo forte i denti, colta dal dolore.
“Eva…”
 
E proprio in quel momento, l’uomo si voltò.
Proprio in quel momento, il volto della figura, rimasta fino ad allora ignota ed avvolta dal buio della notte, fu visibile a tutti i presenti, lasciando in ognuno di loro sensazioni di ogni genere.
Stupore. Ansia. Incredulità.
Consapevolezza.
Mascella delineata; barba incolta; capelli scuri. Occhi blu.
“I….io….non capisco…” esclamò a fatica la voce di Killian, la cui presa sul polso di Emma si fece improvvisamente più debole e insicura.
Quel volto, quel volto preoccupato e leggermente invecchiato era…
Il suo.
 
 
“Le scarpe….perché non le hai tenute?!” le chiese il pirata, meno in collera di quanto avrebbe voluto essere.
Velocemente l’uomo si avvicinò ad Eva, tenendo occhi e orecchie ben aperta, ben consapevole di chi stesse per raggiungerli. L’abbigliamento scuro da pirata apparivano in contrasto con il mantello rovinato che portava sulle spalle; un indumento scelto, sicuramente, per la sua scarsa apparenza, perfetto per passare inosservato nel corso di una fuga. Anche gli abiti di Eva apparivano sporchi e poco curati; ma nemmeno questo riusciva a sciupare la sua bellezza naturale.
“Ho le vesciche ai piedi da giorni…non posso usare la magia per guarire, che altro potevo fare?” si lamentò la ragazza, togliendosi la spina conficcatasi poco più su del tallone.
“Maledizione…” imprecò l’uomo, aiutando Eva ad alzarsi “…riesci a camminare?”
“Sì…”
“Sicura?” le chiese nuovamente, con tono preoccupato.
“Papà…è solo una scheggia!”
 
E furono quelle semplici quattro lettere a far fermare di colpo il cuore del famoso pirata della Jolly Roger e a far sbarrare completamente gli occhi di Emma, impossibilitata ad emettere alcun suono.
Papà.                                                                                               
Quattro lettere. Due sillabe.
Una parola tanto potente da riuscire a mettere insieme ogni piccolo tassello di quella storia iniziata dal nulla, con l’improvviso arrivo di una ragazza dal misterioso volto familiare.
Un volto già visto, già notato; un volto che, nonostante l’ostinazione della mente, il cuore aveva subito riconosciuto e ricondotto alla persona che amava sopra ad ogni cosa.
“Devo…sedermi…”
Nel vedere il corpo di Killian fare esattamente quanto appena detto, con un gesto della mano, Emma fece di colpo comparire una sedia in legno dietro al pirata, risparmiando così a quest’ultimo una rovinosa caduta a terra.  Per la prima volta, il pirata non riusciva a parlare; la gola sembrava essersi inaridita, impedendogli di emettere alcun suono.
Senza riuscire a dire una parola, Emma guardò sbalordita Eva, la quale aveva lentamente abbassato gli occhi, colmi di lacrime per ciò che stava per accadere all’interno dello specchio.
Eva era….la figlia di Killian…
 
Immagini fugaci della fuga del futuro Killian e di Eva, si sovrapposero le une alle altre, rendendo poco chiaro quanto accadde.
Letali e improvvise, le belve di Morgana bloccarono la corsa dei due Jones che, sicuri di sé, iniziarono a dare battaglia, visibilmente abituati a quelle lingue di fuoco fatte di squame e tenebra.
Fendenti mirati andarono a bersaglio, lasciando stramazzati a terra corpi squamati e semi mozzati, pieni di un sangue nero e denso, simile al petrolio del mondo “reale”.
L’obiettivo di quelle bestie, però, sembrava essere proprio quello di sacrificarsi, per permettere ad uno di loro di arrivare, con fare incessante e testardo, al raggiungimento della loro preda: Eva.
Ed ecco che, letale, una di loro raggiunse la ragazza che, con un urlo carico di dolore, vide un artiglio conficcarsi all’interno della sua coscia.
“NOOOOO!” urlò la voce disperata dell’ex Capitano Uncino che, di scatto, si lanciò verso la figlia, stramazzata al suolo.
Tutto divenne rosso e celere.
Killian davanti alla figlia. Le belve pronte ad attaccare.
La fine vicina.
Ma, improvvisamente, padre e figlia, sparirono in una nuvola di fumo viola, indistinguibile in ogni reame e in ogni tempo.
“Regina…”
 
 
Altro silenzio. Altri sospiri trattenuti.
L’immagine di una Regina più vecchia di quasi vent’anni, lasciò senza fiato l’intera sala che, in uno stato di sconvolgimento impossibile da spiegare a parole, si ritrovò a posare lo sguardo sull’attuale sindaco di Storybrooke, divenuto pallido quasi quanto il pirata seduto a pochi metri da lei.
Regina rimase allibita, con la bocca semi aperta e una strana sensazione risalente dalla bocca dello stomaco.
 
 
“Vi avevo detto di seminare quei cosi…non di farvi uccidere!”
 “Erano in tanti…Morgana deve aver scoperto qualcosa…” rispose Killian alla mora di fronte a lui, senza mai lasciare la sua presa dal corpo sottile della figlia.
“Morgana sa sempre qualcosa!” sottolineò Regina, con tono amaro, avvicinandosi all’uscita della grotta su cui aveva trasportato i corpi dei due Jones “…dobbiamo sbrigarci, non c’è più tempo! Il portale non rimarrà aperto a lungo!”
“Regina…” sussurrò la voce speranzosa di Eva, visibilmente felice di vedere la donna dai lunghi capelli neri.
In un gesto carico di affetto, Regina si inginocchiò accanto al pirata e alla ragazza, sfiorando con le dita il bellissimo volto della ragazza, indurito dagli anni e dalle perdite
“Puoi guarirla?!”
“No…già il fatto di avervi salvati porterà Morgana dritta a me, usare la magia su di lei lascerebbe una traccia che quella strega userebbe subito a suo vantaggio. Dovete andarvene…subito! Io resterò qui…a trattenerla!”
Con un triste movimento del capo, Killian Jones acconsentì a quel doloroso ordine, sempre se così lo si poteva chiamare, obbligando la figlia ad alzarsi da terra.
“Andiamo…”
“Ehi no no…aspetta. Regina devi venire con noi! Se Morgana ti raggiunge…” non riuscendo a terminare la frase, Eva puntò il suo sguardo verde sul volto di Regina, i cui occhi scuri non riuscirono a controllare la forte emozione di quel momento.
“No, io rimarrò qui….”
“Che cosa? NO!” urlò Eva, cercando di divincolarsi dalla presa del padre “non puoi…lei ti ucciderà!”
“Non importa. Tu ci salverai….” sussurrò con voce rotta la sovrana, rivedendo in quello sguardo ostinato la stessa determinazione che, in mille occasioni, aveva caratterizzata la sua più cara amica “…abbraccia Henry da parte mia!”
Dopodiché Regina sparì, in una delle sue consuete nuvole di fumo, eleganti e perfette come solo lei poteva essere.
“NOOOOOO!”
 
 
Improvvisamente, lo specchio divenne buio, privo della luce che il ciuffo del Nodo gli aveva donato al suo ingresso nella superficie trasparente.
“Oh…mio…dio…”
La voce di Biancaneve rappresentò con estrema chiarezza lo stato d’animo di ciascuno dei presenti. Nessuno osava muoversi, nessuno osava posare lo sguardo sul volto in lacrime di Eva.
Nessuno osava fare nulla, se non guardare quelle immagini, con sguardo concertato, come mai lo era stato nella loro vita.
Ciò che accadde di seguito nello specchio fu ciò che di più straziante il cuore potesse sopportare.
Una fuga senza via d’uscita. L’arrivo di Morgana. La dolorosa separazione di un padre dalla sua unica figlia.
“…va e cerca tua madre…va da lei…salvala! […] Io tesoro…io ti ritroverò sempre...”.
E, infine, la morte di Killian Jones.
“No…”
Con un flebile sussurro, Emma interruppe il suo silenzio, ritrovandosi inginocchiata a terra, come se Killian fosse morto proprio in quel momento, di fronte ai suoi occhi, senza nessuno che riuscisse ad aiutarlo.
Perfino Regina, solitamente impulsiva e passionale solo per ciò che la colpiva direttamente, si avvicinò all’amica, posando una mano sulla sua spalla, scossa da brividi di dolore e tensione.
Va da lei…salvala
E chiunque, all’interno di quella stanza, aveva compreso chi fosse la madre della giovane dai capelli scuri. Chiunque sapeva chi, il pirata, avrebbe messo davanti a tutto e tutti. Chiunque sapeva e, forse, aveva sempre saputo, da chi Eva aveva ereditato quegli splendidi occhi verdi.
Emma rimase immobile, con lo sguardo fisso sullo specchio, così confusa e piena di domande, da non riuscire a staccare lo sguardo da quel vetro scuro. La magia non poteva essere finita così, non in quel modo, non con quell’orribile immagine impressa nelle menti di ciascuno dei presenti.
E forse, in ascolto di quella preghiera silenziosa, lo specchio ricominciò a brillare.
Una debole fiammella, iniziò a prendere vita dal centro della superficie riflettente, ingigantendosi via via, fino a colmare l’intero spazio recintato dalla cornice nera, simile a rovi intrecciati gli uni agli altri.
Incantata, Emma allargò lo sguardo, quasi consapevole di ciò che avrebbe visto di lì a poco.
 
 
Storybrooke. La città vista dall’alto, completamente illuminata dai raggi del sole.
Pian piano, l’immagine scese a terra, fermandosi nei pressi di una piccola gelateria, la stessa che un tempo era appartenuta alla zia della regina di Arendelle.
Seduta in una panchina a poca distanza dall’entrata del negozio, se ne stava una donna dagli inconfondibili capelli biondi, legati in una coda alta, la quale metteva in risalto il volto sereno e dai dolci lineamenti.
Una leggera brezza mosse le ciocche chiare, obbligando la donna a portare qualche ciuffo dietro l’orecchio, rendendo palese chi fosse a chiunque stesse osservando.
Il particolare e splendido volto di Emma Swan.
“Mamma….mamma!”
Improvvisamente, la voce di una bambina riscosse Emma dai suoi pensiero, la quale si ritrovò a sorridere in un modo tanto dolce e solare da apparire quasi irreale.
“…ho un super gelato a due gusti!” esclamò la piccola, di sì e no sei anni.
Occhi verdi, capelli scuri, vestita con un paio di pantaloni bianchi e una maglietta, blu con piccole stampe a fiori, semplice e delicata come lo era chi la indossava.
“Oh…lo vedo!” rispose Swan, avvicinandosi alla piccola dai lunghi capelli castani, raccolti in una treccia delicata“…l’ideale prima di cena!” aggiunse, lanciando un’occhiataccia in direzione dell’uomo, giunto in quel momento dietro la figlia.
“Cioccolato o vaniglia. Vaniglia o cioccolato….non riusciva a decidersi!” si giustificò il pirata, sorridendo in direzione della donna che, come sempre, si lasciò addolcire da quei profondi occhi blu.
“Bene…vorrà dire che passeremo la notte con lei nel letto, per il mal di pancia…di nuovo!”
“Non avrò mal di pancia mamma…i pirati non lo hanno mai!” rispose innocente, sporcandosi la bocca con il cioccolato leggermente sciolto.
“Giusto!”
Lanciando a suo volta un sorriso carico di significato, Emma si allontanò dall’ex tenente Jones, prendendo per mano la bambina e avviandosi verso casa, lasciando l’uomo dietro di lei con uno sguardo pensieroso e, a dir poco, sconcertato.
“Ehi Eva…ridammi un attimo quel gelato!” esclamò l’uomo, raggiungendo in due falcate le due donne della sua vita.
 
Con la stessa lentezza con cui era apparso il volto di Emma, l’immagine si sfocò via via, ricomponendosi in un miscuglio di ricordi dall’aspetto meno chiaro e immediato.
Eva insieme al Principe e Biancaneve.
Eva da Granny, insieme ad Henry e Regina; un Henry molto più grande e ben lontano dal bambino che aveva bussato alla porta di Emma.
Eva con un bambino poco più grande di lei: occhi scuri e capelli neri, non molto simpatico vista la linguaccia che gli riservò. Poi, di seguito, Eva nella Foresta Incantata, l’aspetto molto più adolescenziale, insieme ad un uomo tremendamente somigliante al bambino di poco prima.
Immagini veloci; brevi sprazzi di chi aveva popolato la vita della ragazza.
Di colpo, lo specchio rifletté l’immagine della casa che, proprio in quel momento, ospitava i più importanti personaggi delle favole al suo interno. Seppure fosse la stessa, appariva diversa; molto più curata, il selciato intatto, la porta d’ingresso bianca e immacolata, la sala, ora impolverata e vuota, adornata di mobili, calda e confortevole come solo una casa sapeva essere.
 
Di nuovo Emma, con un simpatico pigiama a righe e i capelli mossi lasciati sciolti, intenta a preparare la colazione, come aveva fatto un’infinità di volte per Henry, a New York. L’odore di pancake invase l’intera stanza, riuscendo quasi ad inebriare le narici di chi stava di fronte allo specchio delle brame.
Eva, piccola e indifesa come nel ricordo di poco prima, se ne stava seduta in uno sgabello, con addosso la stessa divisa di Henry; seria e con la mascella leggermente serrata, rendendo ancora più palese quella sua straordinaria somiglianza con il padre.
“Non ho fame…”
“Ehi…a cosa devo questa faccia imbronciata?!” le chiese Emma al di là della penisola, appoggiando i gomiti al marmo e avvicinando il volto a quello della bambina di fronte a lei.
“Ho fatto un brutto sogno…”
“Oh…e cos’hai sognato?!”
“Nessuno mi riconosceva…” raccontò la piccola, con occhi sgranati, cercando, inutilmente, di nascondere la paura provata “…nessuno, nemmeno tu e papà!”
“Non ti riconoscevamo? Caspita…direi che, più che un sogno, è stato un incubo!”
“Già…” esclamò rattristata “…è stato orribile. Mi ignoravate…”
Sorridendole con fare materno, Emma fece il giro della penisola, fermandosi davanti al corpo esile della figlia, obbligandola a voltarsi verso di lei. Con dolcezza le accarezzò il volto, specchiando il suo sguardo in quello della piccola, così simile a quello suo e del marito.
“Ascolta…ti ricordi come si fa a capire quando quello che succede è solo un incubo?!”
“Q…quando è impossibile che succeda…” le rispose Eva, insicura.
“Esatto! E secondo te…io non ti riconoscerei? O tuo fratello? È possibile che tuo padre, lo stesso che non esce di casa senza averti abbracciata e baciata, non si ricordi di te?!”
Un leggero sorriso si dipinse sul volto candido della piccola che, leggermente imbarazzata, alzò gli occhi al cielo, come se quanto detto dalla madre non fosse qualcosa di così splendido e straordinario.
“Sei così buffa…” esclamò Emma, finendo per venire contagiata dalla risata cristallina della figlia.
 
 
Pian piano, l’immagine riflessa allo specchio svanì nel nulla, estinguendosi come il briciolo di magia contenuta nel piccolo ciuffo di corda, un tempo chiamato Nodo-non-ti-scordar-di-me.
Qualcuno si schiarì la gola; qualcun altro non mosse un solo muscolo, troppo turbato, sconvolto.
Eva se ne stava ancora imbavagliata, legata al tronco di un albero, in una sorta di parallelismo impossibile da non cogliere per Biancaneve ed Emma, le uniche ad aver visto con i loro occhi il padre della ragazza in quella stessa posizione, un anno prima.
Con un gesto della mano, Regina liberò Eva che, veloce, si asciugò le lacrime sul volto, senza avere, nemmeno in quel momento, il coraggio di compiere un solo passo.
Lentamente Killian si alzò in piedi, pallido, dalla sedia, posando lo sguardo sul volto di Emma, la quale, a sua volta, si ritrovò a guardare il pirata dritto in quegli occhi emozionati e lucidi. Ogni immagine, ogni ricordo mostrato dal Nodo, appariva tanto impensabile quanto certo. Eva era la loro figlia e, per la prima volta dal suo improvviso arrivo a Storybrooke, il cuore di entrambi sembrava finalmente aver trovato pace, investito da una tempesta di domande e sensazioni, impossibili da sopportare.
Avrebbero avuto una figlia, una splendida figlia. Ma…
Ma la loro storia era iniziata da poco, non avevano ancora esplorato appieno i loro sentimenti, entrambi all’oscuro di quanto si celasse nel profondo del cuore dell’altro, dei loro animi; eppure eccoli lì, a poca distanza da quella che era la loro figlia quasi adolescente.
Titubante, Emma si alzò da terra, facendo un lieve passo in direzione di Eva, rimasta immobile in quella posizione, con i pugni e la mascella serrati, così forte da infondere una lieve scossa di dolore.
Con ancora il cuore carico di ansia, Emma cercò di trovare le parole adatte ad un simile momento; cosa poteva dire? Che frase avrebbe potuta usare per instaurare un contatto con quella ragazza trattata, fino ad allora, con estrema diffidenza?
Esisteva davvero una formula adatta? Oppure, come temeva, nessuno si era consapevolmente trovato di fronte alla propria figlia venuta dal futuro?
“I…io…” iniziò Emma, con voce rotta.
Ogni persona presente in quella stanza si ritrovava a fare i conti con ciò che quelle immagini avevano scaturito; domande a cui, la loro mente purtroppo, non avrebbe mai trovato risposta.
Nessuno, però, avrebbe realmente compreso ciò che dirompeva nella cuore della giovane Jones.
Nessuno l’aveva riconosciuta; tutti l’avevano giustamente ignorata, lontani dal poter comprendere chi fosse in realtà e a chi appartenessero quei delicati e indistinguibili tratti del suo viso.
Un terribile incubo divenuto realtà dove nessuno, nemmeno sua madre, le avrebbe accarezzato i capelli, per poi dirle quanto era buffa mentre arrossiva.
Nessuno avrebbe capito. Nessuno.
Con quel pensiero nel cuore, Eva lasciò cadere l’ennesima lacrima, per poi sparire nel nulla, lasciando tutti senza fiato.
 
 
 
 
 
 
 
 
Non. Ci. Credo.
Ce l’ho fattaaaaaaaa!!!!!!!!!!! Lo so, lo so….il ritardo con cui ho aggiornato è qualcosa di orribile e imperdonabile!!!! Ma credetemi…l’ho fatto per voi!!!! Penso di aver scritto e riscritto questo capitolo così tante volte che lo so a memoria :P….Vi starete chiedendo come mai ci siano lo stesso tanti errori….ma spuntano da soli come funghi, allucinante XD!!!!
Che dire…ci tenevo fosse perfetto (ovviamente non lo è…ma sappiate che ci ho messo tutto l’impegno possibile!). Ho pensato ad ogni scena un milione di volte, mentre andavo a correre o facevo qualsiasi altra cosa (con tanto di sottofondo musicale per stimolare un po’ la fantasia…sì lo so sono da ricovero XD)…dopotutto è uno dei capitolo più importanti no?!
Emma, Killian e tutti gli altri hanno scoperto la vera identità di Eva…..e che dire…..SHOCK GENERALE!!!!! Avrei voluto far dire qualche battuta in più ai cari genitori…ma ho pensato che le parole, in questo momento, non fossero quanto di più facile da trovare!!!! Perfino Regina non sa cosa dire!!!
Eva è la figlia di Emma e Killian (non so voi ma io non vedo l’ora di scrivere qualche battuta di Charming in proposito :P)….e mi sento di giustificare il modo in cui se ne è andata senza dire niente: il suo piano è andato totalmente a rotoli; i suoi genitori non dovevano scoprire chi fosse e invece…eccoli lì a guardarla con occhi sgranati pieni di sensi di colpa! È una ragazza emotiva, che vorrebbe reagire in maniera diversa ma che non sa come fare…circondata da muri innalzati senza rendersene conto (vi ricorda qualcuno?!)…e trovarsi tutti quegli occhi puntati addosso dopo aver visto i ricordi più belli della sua infanzia…non è stato facile.
Spero non la odiate per questo :)
Ok dai…ho finito di annoiarvi!!!!!
Spero mi abbiate perdonata per il ritardo….in compenso ho allungato un pochino il capitolo, spero di avervi fatto piacere!!!
Come sempre ringrazio con tutto il cuore chi ha trovato il tempo di leggere e commentare questa mia ff; non riesco più a trovare parole adeguate per descrivervi quanto mi siate d’aiuto…e quanto apprezzi ogni vostro singolo commento. Siete speciali.
Quindi grazie a: Sere 2897, Luana43, Kerri, Pandina, Ornylumi, Ibetta e CSlover!!!!!...e a tutti quelli che hanno commentato in passato; siete le mie muse ispiratrici ♥
Ovviamente ringrazio di cuore anche chi non riesce a commentare, ma segue comunque la storia e chi ha inserito la ff in una delle categorie. G R A Z I E!!!!!!
Ok dai…sta volta ho finito davvero.
Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate del capitolo!!!!
Un grosso abbraccio.
La vostra Erin
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Cos’è più pericoloso?
Ferire un animo puro mai incrinato, o un animo già predisposto all’oscurità?
Un cuore buono, dolce e indifeso, come reagisce di fronte alla delusione da parte di chi ha tanto amato?
E un cuore adombrato, invece, abituato a non essere mai pienamente compreso e mai del tutto limpido, mai del tutto onesto, come affronta l’ennesima ingiustizia?
Cosa può causare più dolore?
Cosa può alimentare la profonda e densa oscurità?
 
Foresta Incantata…molti anni fa
 
Il sole splendeva, orgoglioso, lungo le strade e i vicoli di uno dei più noti e rinomati reami della Foresta Incantata.
Ogni cosa in città trovava la sua esatta ubicazione; terre, castelli e foreste apparivano curati e splendenti come poche cose al mondo riuscivano ad essere, offrendo a quel luogo pacifico la reputazione che tanto aveva meritato nel tempo. Non vi era nulla fuori posto, nulla che lasciasse presupporre il minimo problema; non lì, non a Camelot.
Re, regine, principi e principesse guidavano il popolo, circondato dalle mura del castello e della cittadella, garantendo protezione ad ogni singolo abitante, al di là di ogni forma di etichetta o pregiudizio. A Camelot non esistevano ingiustizie, nessuno veniva visto come manchevole o meno adatto, ognuno aveva il proprio posto e la propria funzione, in una sorta di perfetto piano astrale. Ogni cosa in quel luogo magico, infondeva pace, gioia e prosperità, aspetti ben lontani dalle guerre che colpivano i reami vicini.
Chi, però, realmente proteggeva quel luogo incantato non erano uomini in armatura corazzati di spada, no; al di là delle torri del castello, vi era qualcuno di molto più piccolo e, apparentemente indifeso; qualcuno che basava la propria vita sulla magia e sulla polvere dei desideri di cui era possessore. Qualcuno che, spesso, faceva da madrina a indifese principesse sconosciute, offrendo l’aiuto necessario per calzare la scarpetta di cristallo adatta alla situazione.
“Scusami….hai visto Nimue?” chiese la voce delicata di una splendida fata dai lunghi capelli neri, selvaggi e perfetti come le onde del mare.
“No…non l’ho vista!”
Ed eccola di nuovo, l’ennesima risposta secca, amara, per nulla in linea con il normale comportamento di una fata nei confronti di qualcuno in difficoltà; soprattutto se la fata in questione rispondeva al nome di Flora, la più amorevole e materna tra di loro. Eppure, per quanto amore e tenerezza vi fosse nel cuore di ciascuna figlia della magia, nel momento in cui veniva pronunciato il nome della gemella dai capelli castani, ecco gli occhi farsi più ostili e la voce divenire più fredda. Nessuno voleva sentire parlare di lei, nessuno voleva avere nulla a che fare con quella ragazza dai modi sarcastici e canzonatori.
Certo, Nimue non era una persona facile, persino lei che ne era la gamella doveva ammetterlo; spesso amava prendersi gioco di chi aveva accanto e non perdeva occasione per combinare qualche guaio, alle volte ai danni di povere fate innocenti. Quello che sapeva meglio di chiunque altro, però, era che nel cuore della sorella non risiedeva il minimo briciolo di cattiveria o rabbia; al contrario, era una fata coraggiosa, sprezzante del pericolo e pronta a tutto pur di aiutare chi amava. Ma proprio quest’ultimo aspetto, secondo Turchina, era quanto di più pericoloso potesse esistere. Nessuna fata, neppure lei che stimava un certo ruolo tra di loro, avrebbe mai dovuto permettere ai sentimenti di condizionarle in alcun modo, mettendo gli aspetti personali davanti al loro unico e reale compito: aiutare gli altri; e questo, Nimue, sembrava non averlo compreso del tutto.
Nimue puntava all’assoluta e illimitata libertà. Libera da vincoli e catene di qualsiasi tipo, unicqa e indiscussa padrona di se stessa.
“Oh…ok…grazie lo stesso…”
Con voce rattristata, Corvina si allontanò di qualche passo dalla fata dalle curve formose, strofinando le sue pallide mani affusolate sull’abito nero che, da quasi diciotto anni, indossava ad ogni occasione, in perfetta armonia con le sue splendide ali trasparenti.
Era nei guai, se lo sentiva; ogni fibra del suo essere, costantemente collegata al cuore della gemella, le urlava a gran voce che Nimue si era cacciata in un'altra delle sue stupide idee impulsive e prive di senso, una di quelle idee che avrebbe potuto benissimo costarle l’esilio da Camelot; obiettivo che, ad occhio croce, stava cercando in tutti i modi di raggiungere.
Conoscendola bene, farsi bandire da Camelot e da Turchina era quanto di più piacevole potesse accaderle, finalmente libera da quelle ali che, contradditorie, le impedivano di spiccare il volo.
Perché, per quanto fossero fate, per quanto condividessero le stesse ali e gli stessi abiti con le loro sorelle, lei e Nimue erano diverse da tutte le altre: confinate a Camelot da diciotto anni, prive di magie, in una sorta di costante esame di cui, purtroppo, non conoscevano alcun aspetto.
“Corvina…aspetta!” esclamò l’improvvisa voce di Flora, alle spalle della fata dagli intensi occhi color del mare
“S…Sì?!”
“I…io penso di averla vista dirigersi…poco fa…a nord del lago sacro!” tentennò l’innocua fata dai tenui toni primaverili, deviando volutamente lo sguardo alla sua destra.
“Grazie, grazie…grazie di cuore Flora!”
Spinta da una riconoscenza impossibile da contenere, Corvina si precipitò sulla morbida fata, stringendola in un veloce abbraccio, ricco di una gratitudine a dir poco avvolgente. Impossibilitata a non ricambiare quel gesto così spontaneo, Flora strinse a sua volta quella sottile fata simile ad una ninfa del mare, sempre dolce e pronta a correre in soccorso di quella sua insopportabile gemella.
“Non merita una sorella come te!” sussurrò Flora tra i denti.
Fingendo di non aver udito le parole della fata, Corvina sorrise a Flora, per poi inoltrarsi nel bosco alle sue spalle, correndo a perdifiato lungo quelle immense distese verdi, colme di fiori e piante di ogni tipo. Amava l’inebriante sensazione dell’erba sotto ai piedi, così morbida e fresca da farle odiare qualsiasi genere di calzatura.
Dopo minuti quasi interminabili, un improvviso brivido lungo la schiena fece fermare di colpo la corsa della mora che, con volto scuro, volse lo sguardo alla sua sinistra.
Nimue era lì, ne era certa e qualcosa le diceva non fosse sola, purtroppo.
Già purtroppo; perché Nimue non aveva amici e se in quel momento qualcuno le stava tenendo compagnia, sicuramente non si trattava di qualcuno di auspicabile, non per qualcuno di abbastanza coscienzioso.
Con movimenti lenti, ben attenta a non farsi sentire, Corvina si avvicinò alla radura davanti a lei, semi nascosta dalle siepi che, selvagge, crescevano in ogni dove di quell’immensa foresta rigogliosa.
E, proprio come aveva presupposto, Nimue era lì, perfetta nella sua figura minuta e sottile quanto la sorella; splendida come solo lei sapeva essere. Ciò che andava ad interrompere lo splendido abbinamento fornito dalla giovane dai sottili capelli castani e dal folto bosco di Camelot, era la figura davanti a lei. Con fare sicuro e agghiacciante, un’oscura figura ammantata di nero se ne stava immobile di fronte a Nimue, come in attesa di qualche movimento o gesto da parte della ragazza; con il volto completamente celato dal cappuccio, la figura era in grado di far gelare il sangue a qualsiasi essere vivente nelle vicinanze. Ad una seconda occhiata, era chiaro vi fosse un dialogo tra i due e dallo sguardo attento di Nimue, si intuiva chiaramente che le parole, pronunciate da quella figura, erano altamente interessanti per quelle orecchie così curiose, così impavide.
Improvvisamente, come richiamata dalla forza magica assopita nel cuore della fata dai capelli corvini, la figura incappucciata levò lo sguardo su Corvina, rivelando quel suo volto poco prima nascosto e impossibile da intravedere.
Bastarono pochi secondi perché i profondi occhi azzurri di Corvina si allargassero, carichi di una sorpresa e di una amarezza che non avrebbe mai più scordato, per il resto della sua lunga vita.
Conosceva quella figura. Conosceva il suo nome impronunciabile.
Sapeva chi era e quanto irrispettosa fosse la sua presenza in quel luogo sacro.
Ed ora se ne stava lì, di fronte a quella sorella a cui avrebbe affidato la sua stessa esistenza, di fronte a quella sorella pronta a tutto pur di assaporare il dolce gusto della libertà.
Pronta a tutto.
Anche a stringere accordi con Zoso, il Signore Oscuro.
 
 
 
 
Storybrooke
 
“Dovremmo parlare Swan…non credi?!”
La voce di Killian echeggiò tra le strade vuote di Storybrooke, illuminate dal debole chiarore della luna, ormai prossima a lasciare spazio all’intenso potere del guardiano giornaliero.
Da più di un’ora erano iniziate le quasi consuete ricerche di Eva, le quali, ovviamente, non avevano portato a nulla di buono; non c’era che dire, quella ragazza sapeva come svignarsela da una situazione insostenibile e, vista l’ormai chiara eredità genetica, la cosa non stupiva più di tanto.
Emma, Killian, Biancaneve e il Principe avevano fin da subito iniziato le ricerche di Eva, scomparsa in una nuvola di fumo subito dopo le rivelazioni elargite dal Nodo Non-Ti-Scordar-Di-Me; a Regina era stato proposto di raggiungere Henry, ben consapevoli di averle affidato il compito più amaro, ovvero dire al ragazzo chi era Eva e, soprattutto, quello che avevano fatto. Perché, nonostante fossero venuti a conoscenza della verità, il modo in cui avevano agito quella notte si discostava enormemente dal comportamento di un eroe.
Un eroe avrebbe rispettato i tempi di Eva; un eroe avrebbe trovato un altro modo; un eroe, non avrebbe scavato nell’intimità di una persona in quel modo, legando e imbavagliando un’adolescente.
Nessun gesto avrebbe giustificato il loro comportamento, nemmeno se dalla loro c’era il timore di presumibile accordo con Tremotino; dopotutto chi, in quella città, avrebbe potuto dire di non aver mai stretto un patto con l’Oscuro Signore? Chi di loro, per disperazione o necessità, non aveva scelto la strada ricca di spine pur raggiungere la felicità? Nessuno, nemmeno Emma Swan, la Salvatrice.
Ed ora eccoli lì, famiglia Azzurra e pretendente al completo, in mezzo alla fredda e isolata strada che portava alla foresta della città, nella speranza di trovare la giovane nell’esatto punto in cui Killian l’aveva vista l’ultima volta. Dovevano trovarla, ad ogni costo.
“E di cosa dovremmo parlare?” chiese Emma al pirata, continuando la sua camminata spedita, senza dare il minimo segno di voler rallentare il passo.
“Bè…non so….che ne dici di iniziare dalla cosa più scioccante?!” propose il giovane Jones, a due passi di distanza dalla folta capigliatura bionda come i raggi del sole.
“Il fatto che, in un futuro non lontano, riavrai la tua mano?” chiese, sarcastica la Salvatrice, ben consapevole di dove volesse andare a parare il pirata con quelle sue domande indirette.
“In effetti non ci avevo pensato…” esultò confuso Killian, sorridendo leggermente a quella constatazione “…effettivamente riavrò la mia mano…chi l’avrebbe detto?!”
“Io no di certo…dopo aver scoperto l’identità di Eva avrei puntato più sul fatto che avessi perso anche l’altra!” esclamò acido il principe alle sue spalle, passando accanto a quell’uomo che, fin dal primo istante, aveva messo gli occhi sulla sua bellissima figlia.
Colta alla sorpresa dalle parole spontanee del padre, Emma si bloccò di colpo, ritrovandosi ad ispirare l’aria fredda della notte ormai conclusa. Eva…
“David...” lo rimproverò dolcemente Biancaneve, al suo fianco.
“…intendevo in un incidente…”
“Già…domestico magari…” aggiunse la moglie, ritrovandosi ad alzare gli occhi al cielo, seguita a ruota dall’uomo con l’uncino davanti a lei.
Ben consapevole dei sentimenti che, in quel momento, si muovevano nell’animo della figlia, Biancaneve posò lo sguardo su quel volto triste e pensieroso che troppo spesso aveva visto indurirsi di fronte alle difficoltà, pronto ad affrontare ogni cosa in completa solitudine. Perché, per quanto si sforzasse di non darlo a vedere, Emma continuava, imperterrita, a combattere contro l’orfana che dimorava dentro di lei; ogni qualvolta le cose si mettessero male, per lei, per Henry, o per la sua famiglia, l’orfana era lì, pronta a rivelarsi nei momenti più difficili e dolorosi, sussurrandole all’orecchio di rimanere da sola, di non fidarsi di nessuno. Emma, però, stava cambiando e quanto visto poco prima nel riflesso di quello specchio ne ere la conferma; stava aprendo il suo cuore e lo stava facendo con l’uomo che, perfino suo marito, aveva iniziato ad apprezzare.
La sua bambina, la sua Emma, avrebbe avuto un’altra figlia, con Killian e, insieme, sarebbero riusciti a costruire quella felicità che meritavano più di chiunque altro.
Per questo, lo sapeva, era arrivato il momento di andarsene e lasciare che Killian Jones continuasse a fare ciò che gli riusciva meglio: prendersi cura del cuore di Emma.
“Forse è il caso di dividersi…”
“Perchè?!” chiese il Principe a Biancaneve.
“In questo modo controlleremo più posti in meno tempo!” gli rispose sbrigativa “…ci vediamo a casa!” aggiunse rivolta ad Emma e al pirata, prendendo il marito sotto bracci e obbligandolo ad allontanarsi dal marciapiede.
Dal canto suo Emma si limitò a lanciare una breve occhiata ai genitori, priva della forza necessaria per capire quali fossero le reali intenzioni della madre. Aveva altro a cui pensare, altri pensieri che, invasivi, la confondevano dall’interno.
Eva era sua figlia.
Per quanto la sua mente continuasse a voler ripeterle con prepotenza quella frase, qualcosa dentro la giovane Swan la bloccava sul nascere.
Lei non aveva riconosciuto sua figlia. Non aveva riconosciuto il sangue del suo sangue.
Nonostante gli allarmi lanciati dal suo inconscio, nonostante più volte il suo cuore l’avesse messa di fronte a quell’eventualità così impensabile, lei aveva preferito ripararsi dietro al fedele muro del sospetto che, in varie occasioni, le aveva impedito di guardare la realtà nella sua interezza.
C’erano giorni, come quello, in cui si chiedeva se avrebbe mai smesso di dubitare delle persone che aveva accanto, se avrebbe finalmente iniziato a fidarsi di ciò che vedeva, anche quando la spiegazione andava ben al di là di qualsiasi spiegazione ragionevole.
“Ehi…Swan…”
Lieve e delicata, la mano di Killian le si posò sul braccio destro, obbligandola a volgere lo sguardo su quello dell’uomo accanto a lei, l’unico che, fin dal primo incontro, aveva dimostrato di saperle leggere dentro, meglio di chiunque altro.
“…l’abbiamo abbandonata!” esclamò improvvisamente la Salvatrice, con voce rotta, interrompendo quel breve silenzio notturno.
“Che dici Emma?!...non credo proprio si sia trattato di questo!”
“Ah no…e di cosa si è trattato?!” incalzò la bionda, trattenendo a stento le lacrime, in bilico su quegli occhi arrossati e stanchi “…lei…lei è venuta qui, nel passato, da sola…da un portale che, probabilmente, avrebbe potuto spedirla ovunque!”
“Oh chiaro…quindi stai dicendo che io l’ho abbandonata!” sottolineò amaro il pirata, serrando nervosamente la mascella.
“Non ho detto questo…”
“Ma è quello che abbiamo pensato entrambi no?...dopotutto ero io che la tenevo tra le mani…e l’ho lasciata andare…”
“Sei morto Killian…te ne rendi conto?!come avresti potuto aiutarla…”
“Ma non toglie il fatto che l’ho mandata io in quel portale!” esclamò secco, non staccando la presa dalla donna accanto a sé “…ma sai cosa mi ripeto ogni volta che rivedo quell’immagine nella mia testa?....che tu l’avresti raggiungerla…Perché per quanto possa cambiare in futuro, per quanto non sarò più Uncino, non lascerò mai…mai andare nostra figlia da sola…non senza avuto la certezza che tu l’avresti aiutata, in qualche modo…” esclamò in tono acceso, lo stesso che aveva usato durante il loro primo incontro, dopo essere stato legato e tradito da quella sconosciuta dai capelli dorati “…quindi non mi stupirei se da un momento all’altro vedessi la tua copia esatta spuntare da quella casa…in collera con me!” aggiunse, indicando con l’uncino un punto imprecisato della strada.
“Ma…non succederà…”
“E perché no…?!”
“Perché…no”
“Come puoi…”
“Lo so…e basta…”
Emma stette in silenzio, lasciando quella dolorosa frase a metà.
Rimase lì, col verde dei suoi occhi immerso nell’azzurro di quelle iridi che tanto amava, ben consapevole di quanto poco tempo sarebbe trascorso prima che il pirata leggesse nel suo cuore, come in ascolto di una voce a lei impercettibile, nonostante provenisse da lei stessa.
“…perché…sei morta…” sussurrò Killian, sapendo di aver letto fin troppo chiaramente la tempesta che si dibatteva dentro quel cuore forte e coraggioso“…ma come puoi saperlo? non l’abbiamo visto nello specchio!”
“Bè…” cominciò la giovane Swan, corrugando leggermente la fronte, in attesa di una reazione tutt’altro che ragionevole “…forse ho tralasciato di spiegarti qualcosa dei sogni che faccio ultimamente”
“Già…forse…” le rispose, donandole uno dei suoi sorrisi sghembi, così perfetti per il pirata che era in lui.
“Cosa avrei dovuto dirti…?! Che sognavo cose senza senso, tra le quali la mia tomba?!”
“Sarebbe stato un buon inizio…sì!”
Esasperata, Emma ricominciò a camminare, con passo decisamente più nervoso rispetto a poco prima. Killian aveva ragione, lo sapeva e la cosa la faceva sentire ancora più manchevole di quanto già non fosse; ma cosa avrebbe potuto fare? Faticava pure in quel momento a credere che quelli fossero stralci del suo futuro; dopotutto, uno shock alla volta bastava.
Improvvisamente la mano di Killian fermò quella sua spedizione senza meta, bloccandola per un polso e costringendola a voltarsi verso di lui, conferendole una sorta di déjà-vu.
Con estrema dolcezza, il pirata appoggiò la fronte in quella della Salvatrice, ritrovandosi a chiudere gli occhi, in totale balia del profumo inconfondibile della sua pelle, una perfetta combinazione di rugiada e cannella che, per sempre, il suo cuore avrebbe ricondotto a lei.
“Ehi…non è stata colpa nostra…” sussurrò dolcemente il giovane Jones, accarezzando, con estrema delicatezza, le braccia rigide di Emma “…scopriremo cos’è successo e perché lei sia qui…”
Senza dire nulla, Emma si lasciò cullare da quel caldo abbraccio, ancora poco abitata a sentirsi protetta da qualcun altro, da qualcuno che in ogni occasione la vedeva come la sua priorità. Quella voce, lenitiva come un balsamo, riusciva sempre a farla calmare e a farla sentire speciale e unica al mondo, come nessuno al mondo era mai riuscito a fare.
“E poi…non abbiamo parlato della cosa più bella…tesoro”
“La tua mano?!” chiese Emma, nuovamente ironica, cercando di alleggerire la pesantezza presente del suo cuore.
“Sono contento che il ritrovamento della mia mano ti rallegri Swan…e domani non mi lascerò sfuggire l’occasione per approfondire la questione!” esclamò divertito il pirata “…ma mi riferivo al fatto che….avremo una figlia…io e te…!”  aggiunse, indicando se stesso e la bionda, con quel suo inconfondibile modo di gesticolare.
All’unisono, i due alzarono lo sguardo sull’altro, perdendosi in quella marea di sentimenti che, ogni giorno, prendevano sempre più certezza e forma.
Era vero, avrebbero avuto una figlia; non sapevano quando, se presto o tardi, ma sarebbero finiti col costruire una famiglia e l’anello al dito del Killian del futuro, aveva chiaramente lasciato intendere quanto più in là sarebbe andata la loro storia.
Alla fine, nonostante i problemi, nonostante il Coccodrillo, nonostante per un periodo della sua vita avesse ceduto all’oscurità, Killian Jones avrebbe avuto il suo lieto fine.
Già…se solo fosse durato…
“Ed è bellissima e coraggiosa…come te!” le disse emozionato, non riuscendo a contenere quel sorriso spontaneo che presto si dipinse tra le sue labbra, lasciando scoperti quei perfetti denti bianchi.
Lievemente imbarazzata, Emma lasciò libera la prima lacrima della giornata, stranamente sollevata nel sentirla rigarle il volto.
“Non so come ho fatto a non accorgermene prima…ma ti assomiglia in un modo…sconvolgente!” aggiunse il pirata, asciugando la piccola lacrima di Emma che, presto, venne seguita da un'altra, più salata e trasparente.
“a me?...io direi il contrario…” cercò di riprendersi la Salvatrice, tirando leggermente su col naso e interrompendo quell’abbraccio così intimo e carico di emozioni.
“Non direi Swan…”
“no?!…fa sempre quella cosa tua con la mascella quand’è nervosa…”
“ha gli occhi verdi tesoro…”
“capelli scuri…”
“carattere chiuso!”
“Imbroglia a carte!”
“Prepotente…”
“io non sono prepotente…”
“Già forse quello sono io!” sentenziò divertito il pirata, alzando gli occhi al cielo.
Come a voler mettere fine a quell’insolita competizione, le prime luci dell’alba fecero capolinea nel punto esatto in cui si trovavano la principessa e il pirata, obbligando entrambi a lasciare andare quel breve momento di leggerezza che, per troppo tempo, si era mostrato latitante e inafferrabile.
“Vieni…ti accompagno a casa!”
“Che dici…dobbiamo ritrovare Eva!” si oppose la Salvatrice, sconvolta dalle parole appena pronunciate da Killian.
“E lo faremo, te lo prometto…ma non in queste condizioni. Emma non dormi da giorni!”
“Non ho bisogno di dormire…!”
“Sì invece…ti reggi a malapena in piedi!”
“Non la lasceremo di nuovo da sola…non dopo il modo in cui l’ho trattata fino ad ora!”
Insensibile, il senso di colpa si mostrò in tutta la sua interezza, riuscendo a serrare la gola secca della giovane Swan.
Si era comportata in una maniera orribile, più di ognuno di loro; non si era mai fidata di lei, mai. E, per quanto facesse male ammetterlo, sapeva di aver rovinato irrimediabilmente le cose con Eva, soprattutto dopo quella sera.
Ora che ci pensava, non l’aveva mai invitata a quella cena da Granny consigliata dal padre, e l’idea che, ormai, fosse troppo tardi cominciava a farsi strada nella sua mente.
“Tesoro…se c’è una cosa che quella ragazza ha preso da te…è saper scappare senza lasciarsi trovare!” esclamò Uncino, porgendo alla donna di fronte a lui uno sguardo carico di dolcezza e comprensione “…ha bisogno di tempo…e non possiamo continuare a forzarla come poco fa….rischieremo solo di perderla!”
“Sembri capirla molto meglio di me!”
“…non credo, ho solo fatto pratica con qualcuno che le assomiglia molto!”
E con quel sorriso da fuorilegge, Emma si lasciò cingere le spalle, dirigendosi con passo lento verso la casa dei suoi genitori.
Avrebbero avuto una figlia.
E nonostante le parole di Killian, la cosa non la sconvolgeva affatto.
 
 
 
Foresta Incantata…molti anni fa
 
 
Appoggiata al tronco di un albero, probabilmente abbattuto da qualche taglialegna del reame, Corvina continuava a rivedere nella sua mente l’immagine della sorella, insieme a Zoso. Non appena lo stregone aveva posato lo sguardo su di lei, la fatina dai toni scuri non aveva lasciato trascorrere un solo istante prima di inoltrarsi nel verde della foresta alle sue spalle, con il cuore in gola e la soffocante sensazione di tradimento appena sbocciata nel suo cuore.
Conosceva bene il carattere della sorella, e qualcosa dentro di lei le aveva sempre detto che avrebbe finito col cacciarsi in qualche guaio, molto più grande dell’abbordare Artù nella speranza di riuscire a lasciare quelle mura così simili ad una prigione.
Ora, però, aveva fatto qualcosa di grave, qualcosa di talmente orribile e oscuro da riuscire a incrinare l’indistruttibile fiducia che, sempre, le aveva riposto.
“Corvina…”
Come richiamata da quei pensieri amari, la voce di Nimue comparve alle spalle della fata che, forse in attesa di quel momento, non diede alcun segno di sorpresa, rimanendo ferma nella sua posizione, con lo sguardo perso nei meandri del bosco.
Con fare attento, la giovane dai capelli castani, si sedette accanto alla sorella, posando il suo sguardo scuro in quella figura così sottile, così insicura.
“Posso spiegarti…”
“Cosa?!?” sbottò furiosa Corvina, volgendo finalmente la sua attenzione sulla fata al suo fianco “…cosa dovresti spiegarmi? Che scappi da me? Che fai…accordi con l’Oscuro?!”
“Non faccio accordi…dovresti saperlo!”
“Ah no? E allora che ci facevi lì con….con…”
“Con Zoso?!” esclamò irrispettosa Nimue, con quel suo modo di fare sempre così sicuro e irritante.
“Oh smettila Nimue!”
Esasperata, la mora si alzò dal tronco su cui, fino ad allora, era rimasta seduta, smuovendo con fare irritato la sua folta capigliatura nera come la notte, rendendola ancora più sconvolgente e indomita di quanto già non fosse.
“Non mi scuserò Corvina…e sono sicura che nemmeno tu lo vorrai…non dopo aver sentito quello che ho da dire!”
“Ah no?...io  non credo proprio!!” esclamò nervosa, posando lo sguardo su quel volto tanto dolce quanto ribelle “...io…io…non ti capisco!”
“Non mi capisci?” sbottò Nimue, alzandosi a sua volta e raggiungendo, in due passi, il punto esatto in cui si era fermata Corvina, sfidandola in un faccia a faccia dai toni lugubri e dolorosi.
“No…”
“Cosa non capisci sorella?!....che siamo diverse? Che le altre fate, nonostante si sforzino di non darlo a vedere, non riescono a sentirci simili a loro?”
“Non so di cosa stai parlando…”
“Davvero?...” le chiese la sorella, ben consapevole di cosa in realtà si celasse in quel suo cuore candido “…siamo diverse Corvina. E nonostante tu faccia di tutto per non ammetterlo…non abbiamo nulla in comune con le altre fate. Non possiamo usare la magia; non possiamo uscire da qui…in attesa di chissà quale rivelazione universale!”
“Sei ingiusta…”
“Ingiusta?….Corvina pensi davvero che io sia ingiusta?!”
“Sì…vedi sempre il male in ogni cosa. Non perdi occasione per ferire chi ti sta accanto…non provi mai alcun rimorso per il modo in cui ti comporti!”
“E perché dovrei?....nessuno di loro mi dice la verità, nessuno mi spiega perché, da quand’eravamo piccole, vengo temuta da tutti!”
“Temuta da tutti…ma che dici?!”
“Sì Corvina…tutti hanno sempre avuto paura di noi. Inizialmente avevano paura anche di te…e lo sai bene…”
“Perché siamo nate insieme…e la cosa ha spaventato qualcuno…”
“E perché le ha spaventate sorella? Perché improvvisamente hanno iniziato a vedere me come sbagliata…”
“Forse perché sei l’unica a volertene andare da qui…e…e a fare cose sbagliate…”
“Corvina…” sussurrò la sorella, rattristata dall’ostinazione che la giovane di fronte a lei continuava ad esternare.
In un gesto carico di esasperazione, la fata dai capelli neri buttò fuori l’aria che teneva nei polmoni, deviando nuovamente lo sguardo dal volto di Nimue; non era cattiva e non pensava affatto che le sue azioni fossero sbagliate, o meglio le azioni che non prevedevano un dialogo con l’Oscuro, ma l’astio che continuava a nutrire nei confronti del loro popolo l’avrebbe portata in un abisso di solitudine da cui nessuno, nemmeno lei, sarebbe riuscito a liberarla.
Nimue era bellissima, anche più bella di lei se solo avesse iniziato a sorridere di più; viso sottile, labbra piene, un perfetto naso diritto e un piccolo neo poco più giù dello zigomo destro, il quale riusciva a donarle una delicatezza che, caratterialmente, non sempre le apparteneva. Al contrario di lei, non era molto alta, e la costituzione minuta la rendeva più giovane di quanto in realtà non fosse; eppure, entrambe erano vicine al diciottesimo compleanno di età e il senso di oppressione della castana sarebbe finalmente giunto ad una fine.
Lentamente Corvina si voltò in direzione della sorella, avvicinandosi di qualche passo a lei, senza emettere il minimo rumore. Qualsiasi cosa, qualsiasi problema si fosse frapposto tra loro, niente e nessuno sarebbe mai riuscito ad allontanarla da quello spirito ribelle con il quale avrebbe condiviso l’anima per il resto della sua esistenza. Senza Corvina non c’era Nimue e senza Nimue non ci sarebbe mai stata Corvina. Entrambe lo sapevano e forse, anche per questo, entrambe avrebbero sempre vissuto per aiutare l’altra.
Ad un passo dalla sorella, Corvina alzò lo sguardo su di lei, abbandonando totalmente la rabbia che, poco prima, le aveva invaso il cuore.
“Tra due giorni sarà il nostro compleanno Nimue…avremo la magia e finalmente saremo libere di andarcene da Camelot…te lo prometto!”
“Non fare promesse che non puoi mantenere …” le rispose amara Nimue, abbassando lo sguardo castano.
“Perché dici così?”
“Perché Zoso…mi ha rivelato in cosa siamo diverse”
“Oh ti prego Nimue…non avrai davvero creduto a quello che ti ha detto il Signore Oscuro! Già il nome dovrebbe farti capire che i suoi intenti non sono del tutto nobili. Si è presentato davanti a te proprio per confonderti…e per allontanarti dal tuo destino”
“Non è stato lui a presentarsi a me Corvina…ma sono stata io a chiamarlo…”
Indietreggiando di un passo, Corvina rimase sconvolta dalla rivelazione della sorella. Com’era possibile? Come aveva potuto Nimue fare una cosa tanto stupida; proprio lei che non si sarebbe mai azzardata a fare un accordo neanche con Flora in persona.
“…da tempo…ragiono sul fatto che io e te siamo diverse…” iniziò a spiegare la sorella, camminando su e giù per la radura, senza mai guardare in volto la sorella “le uniche fate nate sullo stesso fiore…nero; le uniche dai toni bui…e le uniche che non riescono a legare con nessun’altra fata! Nemmeno tu…che sei così dolce e disponibile!”
“E questo cosa vorrebbe dire Nimue…”
“Ho cercato ovunque qualcosa che potesse aiutarmi a capire…e un giorno Artù si è proposto di andare da un mago di sua conoscenza e chiedergli qualche chiarimento!”
“E chi sarebbe questo…mago?”
“Non lo so…e purtroppo Artù non lo trovò….ma in compenso, durante il tragitto verso casa, si imbatté in una veggente che gli parlò di una profezia!”
Il volto di Nimue si rabbuiò improvvisamente, facendo preoccupare visibilmente la sorella accanto a lei.
“…la profezia parla della nascita di due streghe, nate sotto petali neri...Una pura e candida e l’altra….una pagina bianca!”
“..in che senso…pagina bianca?” chiese Corvina, angosciata.
“che il suo animo sarebbe stato predisposto tanto al bene, quanto al male, come quello di ogni essere vivente… in balia delle sue scelte e del corso degli eventi. Secondo la profezia, il cuore della strega più pura, Morgana, finirà con l’essere vinto dall’oscurità divenendo così nero e malvagio da oscurare tutta la Foresta Incantata… distruggendo il lieto fine…di tutti. L’unico modo per mettere fine al male…sarà attraverso la magia bianca del frutto del Vero Amore…il quale però, se privato della sua speranza, finirà col perdere il suo potere…morendo così per mano della strega!”
“Nimue…” sussurrò la sorella avvicinandosi a lei e sfiorandole il volto “…non penserai che una di noi sia la strega di cui parli…?!”
“Non…una di noi…so benissimo chi sia…” esclamò seria, allontanandosi da Corvina “…dovevo conoscere la verità…per questo motivo, ho chiamato Zoso…dovevo avere la certezza su chi di noi fosse…”
“Oh non voglio nemmeno sentirti Nimue…” sbottò Corvina, allargando le braccia “Non sei malvagia…non ti chiami Morgana e nessuno rovinerà il lieto fine di nessuno…mettitelo bene in testa. Tra due giorni avremo le nostre bacchette, saremo delle fate a tutti gli effetti…e questa sciocca profezia sarà solo un orribile ricordo! Ok?!”
Con quei profondi occhi azzurri, sgranati e imploranti, Nimue non riuscì a fare a meno di assecondare il desiderio della sorella, sforzandosi di porgerle un sorriso colmo di fiducia e tristezza per il modo in cui, testarda, la sorella continuava a nascondersi dalla realtà.
La fata oscura sarebbe arrivata, lo sapeva bene e le parole di Zoso, seppure infide e velenose, erano colme di una verità impossibile da ignorare.
L’unica speranza risiedeva nella scelta che Turchina.
E tra meno di due giorni l’intera Foresta Incantata avrebbe avuto ciò che meritava.
 
Storybrooke
 
 
L’improvviso suono del cellulare ridestò Emma Swan dal suo tanto agognato sonno privo di sogni. Nessun frammento del futuro, nessun genitore o amico invecchiato pronto a parlare sotto indovinelli; nessun incendio o mostro alato. Solo il più totale e silenzioso sonno ristoratore.
Nel momento in cui Killian l’aveva accompagnata a casa, l’idea di non poter approfittare di quel momento di calma per stare un po’ insieme al pirata l’aveva innervosita non poco, rendendole impensabile anche la sola idea di addormentarsi su quel letto fatto e ordinato. Quando, però, la folta capigliatura bionda si era posata sul cuscino, Morfeo fece presto capolinea sulla stanza, rendendo tutto così sordo e silenzioso da apparire estremamente pacifico.
Il silenzio. Ecco cos’era mancato in quei giorni. La possibilità di godere della pace e tranquillità che, solitamente, seguivano al termine di una “crisi”, come si divertiva a chiamarle Killian.
Ora, però, il riposo era giunto al termine e le lancette sopra il numero dodici dell’orologio sottolineavano l’urgenza di doversi alzare. A fatica, la Salvatrice afferrò il cellulare posato ad un comodino poco distante dal letto e, in fretta, lesse il messaggio mandatole dal figlio un’ora prima.
 
SONO CON IL TUO FUTURO MARITO A CERCARE LA TUA FUTURA FIGLIA, NONCHÉ MIA FUTURA SORELLA. CHIAMACI QUANDO TI SVEGLI
 
Emma sentì nascere sulle labbra uno di quei sorrisi non del tutto sorrisi; una di quelle smorfie che chiunque, almeno una volta nella vita, si è ritrovato a fare in seguito ad uno scherzo o ad una presa in giro così ben riuscita da riuscire a far divertire la vittima stessa. Non c’era che dire, il senso dell’umorismo non mancava nella loro famiglia.
Dopo aver stiracchiato le braccia indolenzite, la Salvatrice si alzò dal letto che, fino a quel momento, l’aveva accolta tra le sue braccia, regalandole un sonno ristoratore che aveva decisamente giovato al suo volto perfetto; d’istinto infilò il cellulare nella tasca dei pantaloni e, velocemente, si sfilò il pigiama, felice di aver fatto la doccia prima di mettersi a dormire. Senza farci troppo caso, optò per una maglietta bianca, la stessa che, probabilmente, aveva indossato durante il suo primo incontro con Elsa, e un paio di jeans scuri.
Una volta pronta si sistemò i lunghi capelli mossi dietro le spalle, per poi scendere le scale che dividevano la zona giorno dalla zona notte.
Amava quella casa, le mura stile mattoni, le finestre decorate con tendaggi così in linea con lo stile di Mary Margaret; era la casa dei suoi genitori e, probabilmente, l’avrebbe amata per il resto dei suoi giorni. Stava di fatto, però, che quella non era la sua, o meglio, non era il luogo dove avrebbe continuato ad abitare nel futuro, quando le cose si sarebbero sistemate, quando le loro vite avrebbero iniziato a prendere una piega diversa; e forse, nonostante non volesse ammetterlo a voce alta, la sua mente aveva già iniziato ad amare la casa appara nello specchio di Regina.
Vedersi in quella cucina, intenta a preparare la colazione per la sua famiglia, era stato qualcosa di indescrivibile; qualcosa di così meraviglioso e agghiacciante da lasciarla stordita. Con passo lento, fece il giro della penisola, posizionandosi nello stesso punto in cui si era vista la sera prima.
Avrebbe avuto una famiglia, una casa, una vera casa in cui tornare ogni giorno, ogni pomeriggio, ogni sera; una famiglia a cui preparare la colazione la mattina, come aveva fatto con Henry a New York; un futuro felice e così pieno d’amore da togliere il fiato. Avrebbe potuto essere Emma Swan, la Salvatrice, l’ex cacciatrice di taglie, la ragazzina che per anni aveva temuto di essere orfana, lo sceriffo di Storybrooke, tutto senza il timore di essere vittima di un qualche incantesimo da parte del cattivo di turno; sarebbe stata una madre, una moglie, e tutto questo con Killian Jones, l’uomo che, a dispetto di quanto lei e il padre avevano creduto, era riuscito a vincere il suo cuore senza strani sotterfugi.
Con lo sguardo fisso sulla penisola della cucina di Biancaneve, Emma venne riscossa dall’improvviso ingresso di Uncino che, senza bisogno di bussare, entrò nell’abitazione, puntando subito tutta la sua attenzione sulla donna davanti a sé.
“Ben alzata Swan…” sorrise il pirata, avvicinandosi a lei.
“…non eri con Henry!?”
“Sì…ho lasciato il ragazzo da Granny, insieme ai tuoi genitori!” le rispose, appoggiando i gomiti sulla superfice solida “….e prima che me lo chiedi…nessuna traccia di Eva!”
Delusa da quelle ultime parole, la giovane Swan si ritrovò a sospirare, frustata dal mondo in cui si stavano susseguendo le cose. Eva era sparita nel nulla e l’idea che avesse oltrepassato il confine della città cominciava a farsi strada nelle menti di entrambi i presenti; per non parlare del prossimo arrivo di Morgana, la quale aveva chiaramente lasciato intendere quali fossero i suoi piani nei loro confronti. Li avrebbe ucci tutti, dal primo all’ultimo, come probabilmente aveva già fatto.
Dovevano pensare ad un modo per fermarla, prima che…
Improvvisamente, un debole bussare alla porta interruppe il filo dei pensieri della giovane Swan che, afferrando al volo le chiavi del suo maggiolone, si diresse verso l’ingresso.
“Andiamo…non possiamo rest…”
Non appena Emma spalancò la porta in legno, senza troppa delicatezza, le parole le morirono in gola.
“Ciao…”
La figura sottile di Eva era lì davanti ai suoi occhi.
Indossava ancora il cappotto blu navy con dei jeans usurati, perfetti con quelle sue inconfondibili sneakers chiare. Il volto appariva pallido e dalle pesanti borse sotto agli occhi si deduceva quanto scarse fossero state le ore di sonno.
“C….ciao…” esclamò con visibile difficoltà la bionda, con le chiavi dell’auto in bella vista.
“Ehi…” pronunciò sorpreso il pirata che, privato della sua solita invidiabile dialettica, se ne stava immobile alle spalle della Salvatrice, pensando forse al modo più opportuno per non far scappare nuovamente la giovane sulla porta.
Nonostante la presenza del pirata, Emma aveva la strana sensazione di essere sola, sola di fronte alla figlia che, solo il giorno prima aveva scoperto di avere.
Mentre la osservava, la voce di Killian sembrò rimbombarle nella mente.
Ti assomiglia in un modo…sconvolgente.
Aveva ragione, le assomigliava, davvero tanto. Il modo sicuro con cui fissava chi aveva davanti, le dita sottili, la postura; perfino i capelli, sebbene fossero di un altro colore, apparivano così simili ai suoi.
“Stavate…uscendo?!” ne dedusse la giovane, non riuscendo, a sua volta, a trattenere l’emozione nel trovarsi di fronte a quella donna insostituibile.
Sua madre; dopo un’attesa durata quasi dieci anni, la sua dolce, premurosa e bellissima madre era lì, davanti a lei. Avrebbe potuto buttarle le braccia al collo, dirle quanto le fosse mancata, lasciarsi andare ad un pianto colmo di disperazione e di gioia, protetta tra le sue braccia. Ma non poteva farlo; non con quella versione di sua madre, così chiusa e sospettosa nei suoi confronti, così poco aperta alla possibilità di avere sua figlia davanti agli occhi. E quella, probabilmente, era la condanna più dolorosa. La felicità, a soli due passi.
“Noi stavamo…”
“Sono venuta solo a portarti questo…” la interruppe Eva, estraendo da una vecchia borsa a tracolla, l’inconfondibile libro delle favole che, fin dall’inizio, aveva giocato un ruolo importantissimo nella storia di tutti loro “…è…è il libro di Henry…avrei voluto darglielo di persona ma…ho pensato non fosse il caso…”
Abbassando lo sguardo, Eva consegnò il pesante volume nelle mani di Emma, senza riuscire ad alzare il volto e cercando in tutti i modi di controllare l’intenso battito del suo cuore. Stava sudando oppure congelando, non avrebbe saputo dirlo; stava di fatto che doveva andarsene da lì, e alla svelta.
Emma afferrò il volume dai toni marroni, ritrovandosi a guardarlo con sguardo assorto.
Cosa doveva fare? Cosa avrebbe dovuto dire?
I secondi passavano veloci; l’emozione prendeva il sopravvento ad ogni movimento, ad ogni respiro.
Scusa.
Rimani.
Sei felice?
Mille pensieri, mille idee; ma nessuna abbastanza adeguata o abbastanza giusta per quella situazione.
“Io…vado…”
Con quelle parole, pronunciate a fatica e con una difficoltà impossibile da non notare nello sguardo, nelle labbra, negli occhi e nella voce, Eva si voltò di spalle, apprestandosi a raggiungere la scalinata in legno scuro.
Sempre più distante, sempre più lontana.
La stava lasciando andare, di nuovo; stava allontanando Eva a causa della sua paura, a causa del terrore di sapere cosa avrebbe provato lasciandosi andare alla vera felicità.
Corrugando la fronte e aprendo leggermente le labbra, Emma alzò lentamente il volto, guardando sua figlia allontanarsi da lei, dalla sua vita.
Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non rimanere lì, immobile, in balia di se stessa.
Come mossa da una forza invisibile, la giovane Swan lasciò andare il libro delle favole a terra e, d’istinto, raggiunse quella fragile ragazza, frapponendosi tra lei e le scale.
E così, in un gesto istintivo e carico di un’emozione che forse non sarebbe mai riuscita a spiegare, Emma abbracciò con forza la ragazza di fronte a lei, sentendosi per la prima volta, da tempo, in perfetta sintonia col suo cuore, per nulla imbarazzata o intimorita di sentire le calde lacrime rigarle il volto.
Senza fiato, Eva rimase immobile, la bocca aperta come la donna che, in quel momento, la stava abbracciando, gli occhi sbarrati e colmi delle lacrime che, presto, iniziarono a scendere, salate e copiose come, da tempo, non avevano la possibilità di fare.
Stava succedendo, stava succedendo davvero.
“mi…dispiace…” esclamò Emma, con voce rotta, continuando a tenere stretta a sé Eva.
Lentamente, la Salvatrice sentì delle mani tremanti ricambiare l’abbraccio, posandosi con timidezza sulla sua schiena, in risposta ad un abbraccio che temeva non ricevere.
E di nuovo, come la prima volta all’interno di quel sogno in cui Emma aveva abbracciato quella piccola bambina indifesa, i lunghi capelli biondi si mescolarono alle folte ciocche castane, divenendo quasi un tutt’uno di due colori.
Non c’erano parole d’aggiungere, non c’erano frasi di scuse da pronunciare, non tra loro, non tra due persone che condividevano lo stesso sangue e lo stesso, indissolubile, destino.
Stringendo l’abbraccio, Eva si ritrovò a chiudere gli occhi, grata per le lacrime, grata per quel momento, grata per quell’abbraccio che, sapeva bene, non avrebbe mai dimenticato.
E rimasero lì, per un tempo che, forse un giorno, avrebbero finito col definire eterno, con l’estrema certezza di sentire su di sé gli occhi colmi d’amore del pirata alle loro spalle.
 
 
 
Foresta Incantata…molti anni fa
 
 
“Corvinaaaa…Corvinaaaa…”
La voce di Nimue echeggiò in ogni angolo della foresta, illuminata dal debole chiarore della luna. Non c’erano stelle, quella notte, ed il profondo senso di agitazione e paura avevano ormai totalmente adombrato il volto della minuta fata presente in quel momento.
Scalza, come spesso usava spostarsi la sorella che stava chiamando a gran voce, la fata dai capelli castani si muoveva con circospezione, come in attesa di qualche attacco, proveniente da qualsiasi punto di quella foresta invasa dall’oscurità.
Stava succedendo; quello che aveva iniziato a temere solo due giorni prima, quello che le era stato riferito come una cosa certa da cui non c’era scampo, ora si stava realizzando in tutta la sua interezza, lasciandola priva di quel libero arbitrio che, da sempre, aveva pensato di possedere.
La profezia si stava realizzando e nulla, nemmeno gli inutili tentativi delle fate della foresta, si era dimostrato abbastanza efficace per annientarla. Non era servito privarle della magia o rilegarle in quel reame pacifico e ben protetto. Il giorno del loro diciottesimo compleanno era arrivato, lesto e impulsivo come mai avrebbe dovuto essere, ed ora, l’unica cosa da fare, era impedire che la malvagità prendesse il sopravvento, segnando la parola fine sulla vita di ciascun abitante di quel mondo fatato.
Dal mattino di quel giorno, Nimue aveva perso le tracce della sorella, la quale sembrava essersi volatilizzata dopo il suo incontro con Turchina.
Con il fiato corto, Nimue continuò ad urlare quel nome di sette lettere a pieni polmoni, non lasciandosi fermare dà nulla, né dall’oscurità, né dal clima rigido di quella notte.
“Corvinaaaaaa!”
Cercando di combattere con le forti raffiche di vento che si erano improvvisamente innalzate nella foresta di Camelot, Nimue continuò a camminare sull’erba fredda, con sguardo vigile e i nervi a fior di pelle.
“Nimue…”
L’improvvisa voce di Turchina, comparsa davanti a lei senza emettere il minimo rumore d’ali, fece sussultare l’aspirante fata che, colta alla sprovvista, mise le mani avanti, come a voler creare una sorta di barriera con chi aveva fatto la sua comparsa.
“Tuchina…sei tu…” sussurrò rasserenata la giovane, obbligata ad alzare il volto per osservare la figura alata della fata dai toni azzurri, munita della sua fedele bacchetta magica.
“Dove stai andando Nimue?” le chiese la fata madrina, con volto e tono cupo, rimanendo in aria grazie al movimento costante delle sue fedeli ali fatate.
“Sto…sto cercando Corvina…dobbiamo assolutamente trovarla…”
“Corvina è al sicuro…non devi preoccuparti per lei…”
Quelle parole, sebbene pronunciate con una sorta di amore materno nei confronti della gemella dai capelli scuri, erano suonate come un avviso, un velato avvertimento di quanto sarebbe accaduto di lì a poco. Turchina, però, non poteva essere giunta in quel preciso punto della foresta con l’intento di fermarla; era impossibile.
“C…che vuoi dire?” le chiese Nimue, corrugando leggermente la fronte con fare sospettoso
“Sai bene cosa voglio dire Nimue…so del tuo accordo col Signore Oscuro…”
“Accordo? Non ho fatto nessun accordo!” si animò la fata, innervosita dal modo di fare saccente della mora di fronte a lei “…ho parlato con lui è vero…ma volevo solo delle informazioni riguardanti una profezia…una terribile profezia che…”
“Conosco bene la profezia di cui parli!” la interruppe Turchina, smettendo finalmente di levitare a pochi metri da terra, posando le splendide scarpette azzurre sull’erba verde che, debole, continuava a venir mossa dalle intense raffiche di vento e rabbia presenti quella notte.
“Lo immaginavo…” sentenziò amara Nimue, provando ancora più rancore per quella donna così rigida e composta “…e nonostante tutto non hai fatto niente per fermarla!”
“Ferm..arla?...di chi parli Nimue?”
“Di…Corvina…!”
“Oh…” non riuscendo a trattenere un sorriso, Turchina si ritrovò a dare le spalle alla giovane dinanzi a lei, come a voler ritrovare il controllo di fronte a tanta sfacciataggine “…forse non conosciamo la stessa profezia dopotutto!”
“Temo di sì invece….” continuò Nimue, stringendo forte i pungi rosei “…la profezia parla di due streghe…”
“…fate…” la corresse Turchina, con cipiglio, posando nuovamente lo sguardo sulla figura sicura di fronte a lei.
“…nate sotto un fiore nero” continuò, tralasciando la voce della donna “…una delle quali, la più pura, diverrà Morgana…colei che distruggerà…”
“La…più pura?...come temevo non conosciamo la stessa profezia Nimue. Non viene specificato chi diverrà oscura tra le due fate. Per questo motivo abbiamo atteso diciotto anni prima di esiliare…una di voi!” esclamò ferma Turchina.
“Sì che viene specificato invece…me ne ha parlato…”
“Chi? Zoso?....vedi Nimue, la differenza tra te e tua sorella sta proprio qui. Tu hai sempre scelto la strada più facile, la meno corretta. Hai sempre preferito la solitudine o la compagnia di un principe con il semplice scopo di farne un tuo aiutante! Non hai mai abbracciato la luce nella tua vita…ma sempre l’inganno e l’oscurità…”
“No…non….non è così…” sussurrò Nimue, con fiato corto, consapevole di quanto sarebbe accaduto “…io ho fatto degli errori è vero…ma non puoi essere così cieca Turchina…non puoi aver dato la magia a Corvina…s…sapendo quello che farà…ma non capisci, se la rendi una fata farai realizzare la profezia…”
“No Nimue…se avessi scelto te, la profezia si sarebbe realizzata...” esclamò rattristata Turchina “…lo so da molti anni ormai, ma nonostante ciò non ho mai smesso di darti un’opportunità…”
“Non è vero…” la interruppe Nimue, coraggiosa e sicura come lo era sempre stata, in tutta la sua vita “…hai scelto di vedere la profezia a tuo piacimento, accecata dall’affetto che provi per mia sorella. Stai mettendo a rischio l’intera Foresta Incantata…per una tua debolezza! Turchina…guarda in faccia la realtà, mia sorella…mia sorella sarà Morgana….e diverrà malvagia che tu lo voglia o no!” aggiunse a gran voce, avvicinandosi di un passo alla fata.
“N…Nimue…”
La voce cristallina e sconvolta della sorella risuonò tra le due presenti, facendo volgere verso di lei entrambi quegli sguardi stanchi e frustati dal vento.
Con le braccia stese lungo i fianchi, Corvina fissò quel volto sui cui, da sempre, si rifletteva, sbigottita dalle parole che le sentiva pronunciare.
Perché la stava attaccando? Perché le stava rivolgendo parole tanto crudeli? Lei era sua sorella, l’unica che l’aveva sempre protetta e abbracciata quando qualcuno la faceva piangere, quando la solitudine la faceva sentire sola e non voluta.
“Corvina…”
Labbra serrate, sguardo triste. Non c’era pentimento in quegli intensi occhi color nocciola, ma solo dolore, dolore per il cambiamento che, quella notte, avrebbe segnato nelle loro vite.
“Non…non puoi pensare quello che hai detto…” esclamò in lacrime, stringendo nella mano destra la bacchetta che, solo quel pomeriggio, Turchina le aveva consegnato con affetto e orgoglio “…tu…tu credi che io…sia malvagia!”
Ignorando la presenza della fata azzurra, Nimue raggiunse il corpo scosso della sorella, cingendole il volto con le sue piccole mani morbide.
“no…sorella. Temo che l’essere una fata…l’avere la magia…ti porterà all’oscurità…” esclamò a sua volta in lacrime, immergendosi in quei luci occhi azzurri “…io…voglio aiutarti”
“E come? Facendomi esiliare al tuo posto?...lasciando a te il diritto di essere una fata?!” sbottò in collera, allontanando le mani sul suo viso.
“No…non mi interessa essere una fata Corvina…io voglio solo che tu sia al sicuro…insieme troveremo il modo per…”
“Turchina…lasciaci sole…per favore…”
Con tono secco e senza il bisogno di guardare la fata dritta negli occhi, Corvina indurì lo sguardo, stringendo ancor di più quella sua bacchetta nodosa tra le dita.
“Fai attenzione…” disse a fior di labbra Turchina, lanciando uno sguardo rattristato in direzione di Nimue.
Era stata una ragazza difficile, lo sapeva bene; non aveva legato con nessuna fata, aveva trasgredito ad ogni tipo di regole, aveva amato se stessa più di chiunque altro; ma il doverla esiliare, il doverla allontanare da sua sorella per il resto dei suoi giorni, al di là dell’oscurità che risiedeva in lei, era una cosa triste e carica di un dolore che, nessuno, avrebbe mai dimenticato.
Nimue, però, nonostante non lo sapesse ancora, aveva un potenziale di malvagità talmente alto che avrebbe finito col sterminare ogni essere vivente su quella terra; e l’aver accusato la sorella per proteggersi, era la conferma di quei suoi continui sospetti.
Nello stesso istante in cui un’intensa folata di vento iniziò a smuovere i folti capelli neri della giovane, Turchina svanì, lasciando alle due la possibilità di salutarsi. Corvina avrebbe fatto la cosa giusta, lo sapeva.
“Corvina…cedi la bacchetta. Abbandona la magia e…”
“Sai perché sono venuta qui sorella?” con voce rotta, Corvina pronunciò quella domanda retorica, fissando con insistenza quel volto familiare “…per esiliarti. Voleva farlo Turchina, perché convinta, come te, che quella maledetta profezia avesse un fondo di verità. Ho cercato per tutto il giorno di dissuaderla…inutilmente. Doveva mandarti via, rilegarti in un luogo da cui non saresti mai uscita. Così…ho capito che l’unico modo per proteggerti era occuparmene di persona…concedendoti la libertà che hai sempre desiderato. Avevo pensato ad un altro mondo…ad un luogo libero da tutte le ristrettezze che qui ti hanno sempre ferita. Ero disposta a vivere un’intera esistenza di solitudine pur di vederti felice…sapevo che una volta lanciato l’esilio non sarei più potuta tornare indietro, sapevo che non ti avrei mai più rivista….ma ho scelto comunque la tua felicità. E tu….tu invece, non hai perso tempo per tradirmi…”
“Tradirti?...Corvina io voglio aiutarti…io voglio restare con te…senza magia senza…”
“non hai perso tempo a dipingermi come la cattiva…per un tuo tornaconto…” la interruppe Corvina, così furiosa e ferita da riuscire ad alimentare il forte vento di quella notte che, inarrestabile, riusciva a mettere in difficoltà perfino le antiche querce della foresta.
“Se rimani qui lo sarai!” urlò Nimue, cercando di resistere con tutte le sue forze a quel vento innaturale “…non lo vedi Corvina?...”
“Dopo tutto quello che ho fatto per te…dopo tutte le volte in cui ti ho difesa…”
Improvvisamente, priva del controllo che, da sempre, aveva caratterizzato il suo animo, Corvina si ritrovò a desiderare qualcosa di orribile ed estremamente doloroso per la sorella; qualcosa che potesse compensare l’immenso dolore che il suo tradimento aveva fatto nascere nel suo cuore.
“…eri pronta ad abbandonarmi…”
“Corvina…che….che stai facendo?!”
Colpita da un’improvvisa e insolita sensazione impadronitasi del suo corpo, Nimue abbassò lo sguardo sulle sue gambe seminude.
Quercia. Le sue gambe, le sue rosee gambe che, da sempre, le avevano permesso di correre a perdifiato lungo tutta la foresta di Camelot, avevano preso le sembianze di un tronco d’albero, divorando, ad ogni centimetro, ogni parte del suo corpo.
“Le…le mie gambe…che mi sta succedendo?!” con voce terrorizzata, Nimue alzò gli occhi marroni sul volto pallido della sorella.
“Ecco il tuo esilio sorella...sarai un albero di questa foresta, prigioniera di Camelot…per sempre!”
Rapido, come il movimento della bacchetta dell’unica fata presente in quel momento, il tronco prese via via il sopravvento, rendendo il bellissimo corpo di Nimue un debole ricordo di ciò che era. Presto le braccia divennero rami e i capelli, castani come gli alberi che circondavano quel luogo, lasciarono il posto alle foglie sempreverdi.
L’ultimo a svanire fu il volto colmo di lacrime, colmo di dolore e amarezza.
“M…Morgana…”
Con quel lieve sussurro, Nimue svanì, inghiottita dall’albero che, per l’eternità, avrebbe rappresentato il peggiore esilio mai esistito. Divenne una maestosa quercia del bosco, splendida e rigogliosa come, un tempo, era stato lo spirito che in essa conteneva.
Nello stesso istante in cui l’incantesimo era stato compiuto, il forte vento cessò di esistere, affievolendosi via via, fino a divenire una leggera brezza notturna, delicata e soffice come solo il vento sapeva essere.
“Che cosa…ho fatto?!” colta dal senso di colpa, Corvina sbarrò lo sguardo, sentendo dentro di sé il primo cambiamento del suo animo.
Aveva ucciso sua sorella. L’unica persona che aveva davvero amato. Si era lasciata vincere dalla rabbia e dal dolore, lasciando che la magia della bacchetta prendesse il sopravvento sul suo cuore.
Il suo primo incantesimo, la sua prima magia, era stato frutto del rancore.
“Corvina…tutto bene?!”
L’improvvisa voce della fata alle sue spalle fece irrigidire le spalle della mora, la quale si limitò ad abbassare il capo, impossibilitata a volgere lo sguardo.
“Immagino tu abbia esiliato Nimue…”
“S…sì…”
“Capisco…l’hai mandata in quel mondo di cui mi hai parlato?” le chiese, preoccupata per la sofferenza avvertibile dal suo animo rattristato.
Senza riuscire a rispondere, Corvina stette in silenzio, attraversata da un’agghiacciante sensazione di dolore e colpa.
Traducendo, erroneamente, il comportamento di Corvina, Turchina appoggiò una mano sulla spalla sottile della fata dai cappelli neri, sperando di infonderle un po’ della sicurezza di cui, sicuramente, aveva bisogno.
“Ti lascio un po’ da sola…” le sussurrò comprensiva “…sappi che, però, hai fatto la cosa giusta!”
Senza emettere alcun fiato, la Fata Madrina fece quanto aveva detto, abbandonando quel piccolo spiazzo della foresta, dove, quella notte, aveva trovato incastro il primo pezzo di quell’agghiacciante rilvelazione profetica.
Con passo malfermo, Corvina si avvicinò al lago a pochi metri da lei.
Il lago sacro. Lo stesso luogo dove, solo due giorni fa, aveva visto Nimue insieme a Zoso. Perché non l’aveva ascoltata? Perché non le aveva dato il tempo di spiegarsi, di dirle cosa voleva fare, dove voleva andare?
Perché Nimue era la sua debolezza.
Un’infida voce, proveniente dal suo cuore, diede risposta a quella serie di quesiti, colmi del senso di colpa che, temeva, non l’avrebbe mai più abbandonata.
Spaventata, Corvina eliminò la distanza che la separava dal lago, inginocchiandosi vicino alla sua riva, lasciando che il trasparente specchio d’acqua riflettesse la sua immagine. Stava impazzendo; stava perdendo il lume della ragione, lo sapeva, lo sentiva.
Cercando di riacquistare un minimo di controllo, la fata chiuse gli occhi, inspirando l’aria di quella sera.
-Andrà tutto bene…- si ripeté dentro di sé, appoggiando la bacchetta a terra e immergendo le mani in quelle acque fredde e colme di magia.
Nel momento in cui le mani bagnate entrarono in contatto con il volto pallido, un’intensa sensazione di serenità si impadronì di Corvina, dandole la forza di aprire gli occhi e di specchiarsi nel lago.
Fu in quel momento che, in un lampo quasi impercettibile, la giovane vide i suoi splendidi occhi azzurri come il mare divenire gialli e agghiaccianti; la perfetta rappresentazione del cambiamento che, sapeva, stava nascendo in lei.
Invasa dalla paura, Corvina si allontanò dal lago, indietreggiando con il cuore in gola.
Era stata una sciocca allucinazione, lo sapeva; nulla di tutto ciò era reale, né quell’immagine né il fastidioso odore che, impercettibile, era penetrato all’interno delle sue narici.
Stringendo a sé la bacchetta, Corvina si alzò in volo, sperando con tutte le sue forze di allontanare la paura, la quale, però, sembrava aver trovato il luogo perfetto dove risiedere, per il resto dei suoi giorni.
 
Cos’è più pericoloso?
Ferire un animo puro mai incrinato, o un animo già predisposto all’oscurità?
Un cuore buono, dolce e indifeso, come reagisce di fronte alla delusione da parte di chi ha tanto amato? E un cuore adombrato, invece, abituato a non essere mai pienamente compreso e mai del tutto limpido, mai del tutto onesto, come affronta l’ennesima ingiustizia?
Cosa può causare più dolore?
Cosa può alimentare la profonda e densa oscurità?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti!!!!
Questa volta sono riuscita a rispettare i tempi di consegna…più o meno XD
Capitolo un po’ lento, lo so…avrei voluto movimentarlo un po’, ma ogni tanto serve la tranquillità (dopo la notizia bomba dell’altra volta dovevo dare un po’ di respiro ad Emma e agli altri:P).
Avevo bisogno di introdurre un po’ di cose che, più avanti, non avrei avuto il tempo e lo spazio di fare, come la storia di Morgana. Finalmente è stato svelato l’inizio dell’oscurità della strega/fata; che ne pensate?....ho esagerato a rendere Turchina tanto odiosa?...sì lo ammetto, non stravedo per il suo personaggio, non so che farci, è stata antipatia a prima vista…e direi che la cosa è filtrata nella storia; ma ci tengo a dire che il modo in cui si è comportata è stato dettato unicamente dall’affetto che provava per Corvina/Morgana. Dopotutto l’amore rende ciechi, qualsiasi tipo di amore si tratti...giusto? Turchina voleva a tutti i costi che la fata oscura fosse Nimue, arrivando a fare la cosa più sbagliata.
Ovviamente verrà anche svelato come mai ci siano delle piccole differenze tra profezia rivelata da Zoso e quella in possesso delle fate; tutto a suo tempo (oddio…spero di ricordare tutte le cose che devo rivelare….ahahah scherzo XD).
Il fatto che Nimue venga trasformata in albero è stata un’idea che ho preso dalla leggenda del ciclo arturiano; in una delle varie interpretazioni, si dice che Viviana trasformi Merlino in un albero; albero che esisterebbe tutt’ora. Ed ecco l’idea dell’esilio di Nimue….povera!
L’abbraccio di Emma ad Eva: da quando l’ho scritto ho la sensazione di essere andata un po’ OOC, ma che posso dire…sono ancora mentalmente ed emotivamente scossa dal finale di stagione (a proposito, se qualcuno di voi ha trovato il modo per riprendersi…mi dica come ha fatto, vi prego!!!!!). Cmq, Emma è molto cambiata nelle ultime stagioni….e i vari abbracci che volano nella quarta stagione ne sono la conferma. Ho pensato e ripensato a cosa avrebbe detto una volta trovatasi di fronte ad Eva e alla fine mi sono detta: ma cosa si può dire davanti alla propria figlia orfana venuta dal futuro??? Niente.
Spero vi sia piaciuto.
Lo dico così…tanto per condividere con voi una cosa in più di questa ff; quando descrivo alcune scene, alle volte, metto una musica di sottofondo che mi aiuta a sbloccare il cervello. Ho visto che molti mettono il link della canzone per farla ascoltare. Bè…seguo l’esempio ed eccovi la canzone che ha ispirato la scena in cui Emma rivede Eva: https://www.youtube.com/watch?v=WJTXDCh2YiA.
Che altro dire…spero che il capitolo vi sia piaciuto e non vedo l’ora di leggere i vostri meravigliosi commenti.
Grazie a chi continua a leggere e ad inserire la ff tra le varie categorie. Gentilissimi :)
E, come sempre, un ringraziamento speciale e sentitissimo va a chi mi appoggia in ogni capitolo, continuando a darmi quel sostegno di cui non riesco più a fare a meno. Quindi, lasciate che vi ringrazi un’altra volta…ve lo meritate con tutto il cuore.
Grazie a JCMA, Ibetta, Luana43, Sere2897, Kerri, yurohookemma, ornylumi e pandina. Non avete idea di quanto mi rendano felice i vostri commenti.
Al prossimo capitolo
Un grossissimo abbraccio
Erin
 
 
 
Ps: 27 settembre…..ma come si fa a resistere così tanto per vedere la quinta stagione?????? Non possiamo farcela O_O
Pps: scusate per gli errori….revisionerò promesso :P
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


In una sorta di ribaltamento climatico, quel giorno il sole sembrava aver tirato fuori tutte le sue potenzialità, arrivando ad illuminare e riscaldare qualsiasi angolo di quella splendida cittadina incantata. Persino gli uccelli, fino a poco prima rintanati nei loro nidi, avevano approfittato di quel dono fuori stagione, svolazzando tra un ramo e l’altro del grande parco dove, qualche mese prima, Henry aveva passeggiato insieme a Regina, colpito da un’amnesia di cui la sua stessa madre adottiva ne era stata la diretta responsabile.
Nonostante le temperature meno rigide, però, il sangue della giovane dai lunghi capelli castani, sembrava essersi congelato direttamente nelle vene, rendendole decisamente complicato anche il solo avvicinarsi alla familiare entrata del locale della Nonna.
Impensabile. Impossibile. Inconcepibile.
Non poteva farlo; non dopo quello che aveva fatto; non dopo aver rubato la magia di Regina, aver mentito a tutti e, cosa grave sopra ad ogni dire, dopo aver strappato il cuore di suo fratello. Chissà cosa avrebbe detto il “suo” Henry se avesse scoperto cosa aveva fatto per ottenere il suo aiuto; probabilmente, pur di non farla sentire in colpa, le avrebbe detto che era stata la cosa giusta da fare per assicurarsi il suo aiuto senza fare domande, casomai accompagnando il tutto con uno dei suoi sorrisi così dolci e rassicuranti da farle sentire un improvviso vuoto dentro.
Le mancava terribilmente e il non sapere dove fosse in quel momento, acuiva ulteriormente lo stretto nodo che, da qualche minuto, aveva iniziato a formarsi al centro dello stomaco. Chissà se stava bene. Chissà se aveva saputo della morte di papà.
“Tutto…bene?!” chiese improvvisamente la voce di Emma, riscuotendo la giovane dai suoi pensieri.
In effetti, quella era una domanda decisamente azzeccata. Stava bene? Bè…certo. Era a Storybrooke, vicina a casa come non lo era mai stata, in mezzo tra i suoi genitori, innamorati come ne serbava il ricordo da sempre; ma non sentiva di stare ancora bene, non in quel momento, non ferma in quella posizione, con le braccia stese lungo i fianchi e il cuore del tutto fuori controllo, impossibilitata ad entrare in quella caffetteria.
“Non si direbbe ma…il locale dentro non è così male...” esclamò sarcastico il pirata, inclinando leggermente il capo verso destra.
“Oh…lo so…” rispose la figlia, senza dare il minimo segnale di aver realmente compreso le parole dell’uomo al suo fianco.
“Ottimo…” constatò Killian, lanciando uno sguardo stralunato alla bionda poco distante da lui.
“E…dovremmo entrare…?!” chiese preoccupata la ragazza, non riuscendo a staccare per un solo istante il suo sguardo verde dall’edificio di fronte a lei.
“Oh no…fanno anche servizio in strada!” le rispose ironico il padre, lanciandole uno dei suoi estesi sorrisi canzonatori “…la nonnetta non si fa mancare niente!”
“Uncino…” lo riprese Emma, lanciando al pirata un’occhiata di ammonimento.
Effettivamente erano fermi in quella posizione da quanto? cinque minuti? Dieci? E in tutto quel tempo Eva non si era mossa un solo istante da quella posizione, quasi congelata dalla paura di ciò che l’avrebbe attesa dietro quella porta. In fin dei conti, come biasimarla. Solo un giorno fa, persino lei avrebbe desiderato legarla ad una sedia e farle rimpiangere di aver messo le mani su suo figlio; ma ora, col senno di poi, riusciva solo a pensare all’immenso dolore e solitudine che doveva aver provato dal suo arrivo a Storybrooke, da sola, senza il minimo appoggio o sostegno.
Ed erano stati proprio quei sentimenti a spingerla verso di lei, un’ora prima; quello sguardo familiare, quel volto lineare, così simile a quello dell’uomo che da tempo ormai rappresentava la sua ancora di salvezza, quella voglia di farcela da sola, nonostante tutto e tutti le avevano dato la forza di crepare l’immenso muro presente nel suo cuore, quel muro che, in così tante occasioni, le aveva impedito di mostrare i suoi sentimenti a chi le stava accanto.
Troppa paura di rimanere sola, troppa paura di restare ferita.
Ed era proprio la paura a irrigidire il corpo di sua figlia, ne era certa; in fin dei conti, di lì a poco avrebbe dovuto confrontarsi con il resto della sua famiglia del passato e, se fino a pochi giorni fa l’anonimato aveva rappresentato una corazza dietro cui proteggersi, ora avrebbe dovuto mostrarsi davanti a tutti, segnata da azioni di cui, ovviamente, ora provava un’immensa vergogna.
Era stato strano rientrare in casa dopo quell’abbraccio; Killian era rimasto a guardarle e, nonostante quello che un tempo avrebbe pensato, la cosa non l’aveva minimamente infastidita; al contrario, una timida parte di lei avrebbe voluto chiedergli di abbracciarle con quella sua stretta inconfondibile, sussurrando alle loro orecchie che tutto sarebbe andato per il meglio, che tutto si sarebbe sistemato. Ma Killian la conosceva e sapeva bene che quel piccolo gesto da parte sua era stato qualcosa di estremamente difficile e fuori dal comune; qualcosa che andava lasciato crescere piano piano e con estrema delicatezza.
Dopo l’abbraccio lei ed Eva si erano guardate per un istante e fu proprio quest’ultima ad interrompere il silenzio dicendole, con un mezzo sorriso, di desiderare un toast dal formaggio dal suo arrivo in città.
C’erano così tante cosa da dire, da chiedersi; c’era così tanta paura in quei profondi occhi verdi da rendere quel momento estremamente irreale, come se le stesse lancette dell’orologio avessero deciso di bloccarsi in quel preciso istante, donando loro tutto il tempo di cui avevano bisogno per sistemare le cose.
“Eva…” esclamò con cautela la giovane Swan, prendendo la ragazza per le spalle e obbligandola a guardarla dritta in faccia “so che hai paura di entrare, ma credimi…nessuno ce l’ha con te per quello che è successo!”
“Tu credi?....io ho qualche dubbio. Ho strappato il cuore ad Henry…”
“Lo so…!” affermò Emma, sicura “…ma conosco mio figlio…e se c’è una cosa che sa fare meglio di chiunque altro qui dentro è capire l’importanza di un…salvataggio!” concluse la bionda, corrugando lievemente la fronte, alla ricerca del termine più adatto.
“S…salvataggio?!”
“Un salvataggio di massa oserei dire!” si aggregò il pirata, sorridendo alla figlia.
“Già…” confermò Emma, sorridendo a sua volta al giovane Jones “…mi sembra strano che l’Henry del futuro non l’abbia chiamata con uno dei suoi nomi…tipo…Operazione Anaconda…”
Improvvisamente il volto di Eva si fece cinereo, gli occhi si abbassarono e quell’improvviso momento di pace sembrò spezzarsi con la stessa facilità con cui un ramo si piegava alla volontà del vento.
Killian, con fare quasi involontario, si ritrovò ad irrigidire la mascella, serrando l'unica mano con forza.
No…il ragazzo no…
Improvvisamente, il cellulare della Salvatrice cominciò a squillare, interrompendo quell’improvviso silenzio carico di paura.
Scusandosi con lo sguardo, Emma rispose al cellulare, spostandosi di qualche passo dal punto lungo il freddo marciapiede vicino alla piazza, lasciando soli padre e figlia.
Il silenzio, tra di loro, sembrava essere ancora presente, ognuno immerso in pensieri che, sicuramente, avrebbe volentieri celato all’altro. Dal canto suo, Eva avrebbe voluto rivelare ogni cosa ai suoi genitori, dirgli tutto quello che c’era da sapere sul loro futuro e su ciò che Morgana avrebbe fatto in seguito al suo arrivo; ma la voce di Regina, la sua Regina, continuava a risuonarle nella mente, sottolineandole come anche il solo fatto che i suoi genitori sapessero chi fosse era qualcosa di estremamente grave e irrecuperabile.
Il passato doveva rimanere passato, senza alcuna anticipazione sul domani. Lo sapevano tutti. Lo sapeva anche lei.
“Non sarai davvero preoccupata…?!” esclamò improvvisamente il pirata, indicando con l’uncino il dinner dinanzi a loro.
Stava cambiando argomento; Killian Jones stava volutamente spostando l’attenzione su qualcos’altro, dandole la possibilità di posticipare qualcosa che, sicuro come l’aria, avrebbero dovuto affrontare poco più avanti.
Suo padre, che venisse dal passato, dal presente o dal futuro, riusciva a capirla al volo, spesso molto meglio di quanto facesse lei stessa.
Senza dare alcuna risposta, Eva alzò il sopracciglio, arricciando leggermente quella rosee labbra delineate.
Sì aveva paura; sì era terrorizzata, e la cosa la faceva sentire piccola e stupida.
“come ti ha già detto Emma, nessuno ce l’avrà con te…sei la figlia della Salvatrice e questo gioca decisamente a tuo favore…”
“sono anche figlia tua…” gli rispose divertita la ragazza, trovando finalmente un po’ di quella serenità che, fino a quel momento, sembrava essersi eclissata.
“Già…” confermò, storcendo le labbra “…ma questo non gioca proprio a tuo favore!”
“Ah no?...e con chi non giocherebbe a mio favore?” chiese, non riuscendo a trattenere una risata.
“Era mio padre!” esclamò improvvisamente Emma, interrompendo il breve scambio di battute tra padre e figlia
“Appunto…” esclamò il pirata, guadagnandosi uno sguardo confuso da parte di Emma e un sorriso da parte di Eva.
“…ci ha chiesto di raggiungerlo!” aggiunse la giovane Swan, lanciando una chiara occhiata in direzione dell’affascinante capitano della Jolly Roger.
“Cos’è successo?” chiese sospettoso Killian, adombrandosi in volto.
“Non me l’ha detto….mi ha chiesto solo di vederci tra cinque minuti alla stazione!” spiegò la donna, inserendo il cellulare nella tasca del cappotto grigio, non abbottonato come di consueto “Eva…mi dispiace…ma…”
“…dovete andare…” esclamò la ragazza, posando nuovamente lo sguardo in direzione del locale
“Se non te la senti di entrare torna pure a casa…ti portiamo qualcosa da mangiare più tardi…” gli suggerì la madre, visibilmente dispiaciuta per quell’improvviso contrattempo.
“No…grazie. Sto morendo di fame e…e per un toast da Granny direi che vale la pena correre il rischio di venire falciata!” rispose Eva, cercando volutamente di ironizzare su quella sua sciocca paura, quasi infantile.
Sorridendo in una maniera così dolce da stupire quasi lei stessa, Emma si avvicinò alla ragazza, stringendole con affetto il braccio tonico, probabilmente reso atletico da una stile di vita di cui, al momento, ignorava l’esistenza.
“Andrà tutto bene…Henry capirà!” esclamò la giovane Swan, con fare rassicurante “…aspettaci qui, torniamo presto!”
Con quella frase e con un sorriso di incoraggiamento da parte del pirata, i due si allontanarono da Eva, lanciandole un ultima e veloce occhiata prima di salire in macchina, entrambi soddisfatti nel notare i pugni stretti nel tentativo di trovare, con successo, la forza di entrare.
“Allora…cos’è che non mi dici Swan?!” esclamò Killian, una volta salito nel vascello giallo della donna al suo fianco.
Stringendo forte le mani sul volante, Emma si morse il labbro inferiore, visibilmente preoccupata dalla telefonata ricevuta qualche istante prima.
“Il dottor Whale ha chiamato mio padre due ore fa…”
“Per…?!”
“Per dirgli che il corpo di Ector è sparito dall’obitorio!”
 
 
 
Nel momento in cui la porta del locale si richiuse dietro alle sue spalle, Eva ebbe l’impressione di attirare su di sé gli sguardi di tutti: Granny, Ruby, Leroy…tutta Storybrooke sembrava aver scelto quel preciso istante per venire a pranzare dalla Nonna.
Cercando di ignorare quelle occhiate curiose, la giovane andò a sedersi al tavolo più vicino all’entrata dei bagni, ordinando alla cameriera un toast al formaggio e degli anelli di cipolla, con la speranza che venissero fatti decentemente nonostante l’antipatia che, ad occhio e croce, provavano per lei; anche se, a dirla tutta, era praticamente difficile rendere immangiabile il suo piatto preferito, seguito a ruota da pancake e patatine fritte. Si ok, il cibo sano non rientrava precisamente tra i suoi piatti più amati; ma, dopo aver trascorso gli ultimi undici anni della sua vita in un mondo dove il massimo della trasgressione era la selvaggina con latte il capra, il minimo che poteva fare era intossicare il suo corpo con del energico cibo spazzatura.
Come richiamati da quell’impellente desiderio, i piatti con le sue ordinazioni vennero prontamente posati davanti a lei, riuscendo ad illuminarle il volto come poche cose, negli ultimi tempi, riuscivano a fare.
“Anelli di cipolla???? Chi l’avrebbe detto?!”
L’improvvisa voce di Henry alle sue spalle, interruppe a metà la mano della ragazza, intenta ad afferrare una di quelle piccole prelibatezze tondeggianti.
A bocca aperta, Eva seguì con lo sguardo la figura del ragazzo fare il giro della tavola, sedendosi di fronte a lei con quel suo inconfondibile sorriso carico di buone intenzioni.
“Tutto…bene?!” le chiese il ragazzo, creando una sorta di déjà-vu con quanto accaduto poco prima di fronte al locale con sua madre.
Richiudendo la bocca ed appoggiando la mano sul tavolo, Eva riuscì a malapena a guardare il fratello negli occhi. Provava vergogna, un tipo di vergogna che, solo chi aveva colpito volutamente qualcuno che amava, poteva capire.
“Non sarai diventata muta?” scherzò Henry, cercando di smorzare la tensione.
“mi…dispiace…” sussurrò la giovane, alzando leggermente lo sguardo.
“Per cosa?!”
“Come per cosa?!” chiese sconvolta.
“Sì…per cosa?!”
“…ti ho strappato il cuore mica la memoria…” sbottò la giovane Jones, appoggiando la schiena al sedile in pelle rossa.
“lo so…ma me l’hai anche ridato…salvando mia madre per giunta!” esclamò Henry, corrugando la fronte come di fronte a qualcosa di insolito “…o forse dovrei dire…nostra madre!” aggiunse, sorridendo.
Di fronte a quel sorriso così genuino e, al contempo, sfrontato, Eva non riuscì a fare a meno di trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo, ritrovandosi a sua volta a sogghignare per quel modo di fare così gentile e vicino al fratello che, per anni, l’aveva confortata durante i momenti più difficili.
“Ecco le lasagne Henry…”
La calda voce di Ruby accompagnò il servizio al tavolo, mettendo fine, per il momento, a quel primo incontro tra fratelli.
“Vi porto da bere?!” chiese la bellissima donna dai capelli castani e dal rossetto vistoso, porgendo un leggero cenno d’intesa in direzione di Eva, la quale si ritrovò ad annuire, colpita da quella strana gentilezza.
Evidentemente gli eventi della sera prima non erano passati inosservati, soprattutto su chi aveva assistito in prima fila allo spettacolo offerto da Morgana e le sue care bestiole.
“Del thè freddo…grazie….” rispose Eva, posando d’istinto lo sguardo sul fratello.
“Anche per me!”
“Doppio thè allora…” esclamò la cameriera, scrivendo l’ordinazione su un piccolo taccuino, più per sottolineare il suo ruolo che per un vero promemoria “…arriva subito!”
Dopo pochi minuti, Ruby tornò con due bicchieroni colmi di un liquido scuro, così dissetante da far salire un’improvvisa sete in entrambi i ragazzi, i quali non persero tempo a fiondarsi ognuno sulla propria bibita ghiacciata.
“Così vieni dal futuro….” chiese Henry, iniziando a tagliare la sua lasagna piena di un appetitoso formaggio colante.
“Già…” si limitò a rispondere la castana, addentando il toast.
“Un futuro…lontano?!”
“Non proprio…” rispose Eva, coprendo con la mano la bocca piena.
“Immaginavo mia madre facesse sul serio con Uncino….ma non così tanto…”
“Non ti piace papà?!” chiese Eva, deglutendo a fatica.
Dal canto suo, perfino Henry si ritrovò ad inghiottire con estrema lentezza il pezzo di lasagna appena masticato, stupito dalla reazione della sorella e dal modo in cui aveva descritto Killian chiamandolo papà; certo era suo padre e l’estrema somiglianza che incorreva tra i due ne era l’assoluta conferma, ma il modo in cui aveva posto la domanda, il modo in cui aveva usato quella parola, sembrava quasi includere persino lui. Non aveva semplicemente detto –non ti piace mio padre?- no…aveva detto –non ti piace papà- come se anche lui avrebbe iniziato a considerarlo come tale.
Il pirata, però, non lo era; suo padre era morto e nessuno avrebbe mai potuto prendere il suo posto.
Killian gli piaceva, tanto anche; non lo avrebbe ammesso apertamente, almeno fino a quando le cose tra lui e sua madre non avessero iniziato a farsi davvero serie e, probabilmente, il fatto di avere la loro figlia davanti agli occhi avrebbe dovuto bastargli come prova; ma, ad ogni modo, vederlo come qualcosa di più del semplice compagno di sua madre era qualcosa di incomprensibile, per lo meno in quel momento.
“Ehi…domanda difficile?!” gli chiese improvvisamente Eva, sgranocchiando un anello di cipolla.
“N…no…almeno credo… …”
“Oh oh….arriva tua madre…” esclamò Eva, interrompendo di colpo quanto stava per dirle il ragazzo di fronte a lei, provando un’improvvisa pesantezza alla bocca dello stomaco.  “…dici che mi ucciderà?!” esclamò, fingendosi improvvisamente interessata al toast che teneva in mano.
“Nooo…” esclamò il giovane Mills, sicuro di sé “…non lo farà…c’è mia nonna dietro di lei!” aggiunse, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Eva.
Se il perdono di Henry le era parso improbabile da ottenere, quello di Regina Mills poteva tranquillamente finire nella lista degli eventi rari del mondo.
La donna, dal cui cappotto nero aperto si intravedeva perfettamente lo splendido abito viola, arricchito con un sottile cinturino nero in vita, percorse in pochi passi i metri che la dividevano dal tavolo in cui sedevano i due ragazzi, seguita a ruota da Biancaneve la quale indossava un delicato cappotto lilla, lungo fino ai fianchi.
Non vi era rabbia nel volto della sovrana, o meglio, non sembrava essersi rabbia distruttiva, ma solo estrema serietà, serietà che ben preso occupò tutta l’aria respirabile del locale.
“Henry…”
“Mamma, nonna…vi sedete con noi?” chiese il ragazzo, facendo posto sul piccolo divanetto in pelle.
“Certo!” rispose con gioia Biancaneve, sedendosi vicino ad Eva, in cui volto sembrava decisamente meno sereno rispetto a poco prima “allora…com’è il cib…”
“Non ci importa nulla del cibo spazzatura della Nonna…” la interruppe velocemente Regina, appoggiando i gomiti sul tavolo “…vogliamo sapere perché sei qui?!”
“Regina?...abbi almeno la delicatezza di farla ambientare. Non pensi che forse non è abituata ai tuoi modi….diretti?!” la riprese la donna dai capelli corti, lanciandole un occhiata carica di significato.
“Oh tranquilla…ci sono abituata! Non cambierà di una virgola” esclamò Eva, posando lo sguardo verde sulla donna accanto ad Henry.
“Visto!?!” soddisfatta da quella risposta, Regina si ritrovò a respirare con più calma, appoggiando a sua volta la schiena al sedile morbido “…quindi? Perché sei qui?!”
“Pensavo che la visita di Morgana di ieri sera bastasse come spiegazione!”
“Una pazza isterica ci vuole tutti morti…non è una novità da queste parti!”
“Regina era una di queste…” si lasciò sfuggire Mary Margaret, ben consapevole di irritare ulteriormente il morale del sindaco di Storybrooke.
“Già…solo che Morgana ci riuscirà!” si ritrovò a controbattere la ragazza, lasciando glissare, volutamente o meno, il riferimento da parte della nonna materna.
“E mi chiedo come sia possibile. È una cattiva…e i cattivi non hanno un lieto fine…credimi,!” concluse Regina con tono amaro, serrando le labbra carnose.
“Oh non credo che lei punti al lieto fine…le basta rovinare quelli degli altri…e ci riesce piuttosto bene!”
“E immagino che qualsiasi idea ci venga per impedirle di ucciderci…l’abbiamo già avuta e tentata nel futuro, con scarso successo…” constatò con intelligenza Biancaneve, abbassando il capo pensierosa.
“Infatti…”
“…ma tu non sei stata mandata qui per niente…il pirata non l’avrebbe mai fatto senza un buon motivo…”
Puntando lo sguardo sulla figura della giovane Jones, Regina iniziò a delineare un’idea, nata quella stessa notte, dopo aver assistito alla fine del famoso Capitano della Jolly Rogers. Se c’era una cosa che sapeva di quel pirata con una mano sola era che non avrebbe mai messo in pericolo le persone a cui teneva; riusciva a sopravvivere meglio di chiunque altro e, come minimo, aveva lasciato questo tratto della sua personalità come eredità genetica alla ragazza seduta in quella anonima caffetteria. Uncino l’aveva mandata nel passato per salvarla, o meglio, per salvare Emma, ne era convinta. Una sola cosa rimaneva poco chiara: perché? Cosa c’era nel passato che mancava nel futuro? Perché abbandonare la propria figlia nel passato, ben sapendo i rischi che avrebbe corso modificandone gli eventi?
“Non posso dirvi nulla mi dispiace…non avreste dovuto sapere nemmeno chi sono!”
“Direi che è un po’ tardi per preoccuparsene…non credi?!” sottolineò Regina, staccandosi nuovamente dallo schienale e avvicinando il volto a quello della ragazza di fronte a lei “…sappiamo chi sei, Emma e Uncino sanno chi sei…è un miracolo che tu sia ancora qui e che il futuro non sia imploso!”
“Regina…” l’ammonì Biancaneve, sconvolta da quei modo poco delicati, perfino per lei.
 “Lo so…ma…Non. Posso. Dirvi. Altro!” scandì bene le parole, Eva, avvicinando il volto a sua volta “…sei stata proprio tu a dirmelo….e non intendo contraddirti!”
“Non ce ne sarà bisogno!”
L’improvvisa voce di Emma fece capolinea all’interno della caffetteria, comparsa come per magia alle spalle del sedile su cui erano sedute Biancaneve ed Eva, seguita dal Pirata e dal Principe della Foresta Incantata.
“…Swan!”
“Che intendi dire?” le chiese la madre, voltandosi verso destra per posare lo sguardo su di lei.
“Intendo che Eva potrà dirci tutto…” rispose la Salvatrice sedendosi accanto alla madre e posando lo sguardo sulla figlia, la quale non perse tempo a guardarla con occhi a dir poco sconvolti.
“Che…cosa?” chiese, stupita dall’ennesimo cambio di opinione da parte della madre “…sbaglio o poco fa…”
“Ti ho detto di non preoccuparti…ed è così…” continuò la giovane Swan, con tono calmo e rassicurante “…potrai rivelarci ogni cosa…”
“…ma solo dopo che ognuno di noi avrà bevuto questa…” si agganciò David, posando sul tavolo della caffetteria una piccola boccetta ovale, contenete un liquido di un azzurro quasi innaturale, tenuto coperto da uno spesso tappo in sughero scuro.
“Che cos’è?” chiese Henry, corrugando la fronte come si ritrovò a fare il resto della tavolata.
“Una pozione della memoria…” cominciò a spiegare Emma, non staccando mai lo sguardo da Eva, la quale non sembrava aver ancora dismesso i panni della ragazza scettica e solitaria “…Belle ha trovato questa tra le vaste scorte di Gold!”
“E che dovremmo farci?” chiese nervosa Regina, rivolgendo una chiara occhiata alla donna, fino a qualche tempo prima, sua principale nemesi.
“Berla…ma solo dopo che tu ci avrai messo le mani!”
“Io?!”
“Sì, tu…sei la più esperta in materia. E fare una pozione della memoria è un gioco da ragazzi per te!”
“Lo so…ma non credo sia una semplice pozione quella che vuoi!”
“No infatti…” confermò Emma, alzando lo sguardo in direzione di Killian, rimasto fermo al suo fianco fino a quel momento.
“Una volta sconfitta Morgana e riportato a casa Eva…noi dimenticheremo ogni cosa sul suo conto!” aggiunse il pirata, spostando lo sguardo serio in direzione della figlia.
“Riportarmi…a casa?!”
Improvvisamente, rimasta in silenzio fino a quel momento, la voce di Eva si fece strada tra i presenti, attirando su quella esile figura gli sguardi di quelli che, in via diretta o meno, erano tutta la sua famiglia.
“Esatto…ma solo dopo esserci occupati di Morgana…ovviamente!” la rassicurò Emma, con sguardo serio.
Non sapeva nulla di quella ragazza. Non sapeva quale fosse il suo piatto preferito; non sapeva quale favola amasse di più o chi le avesse fatto battere il cuore all’inizio dell’adolescenza; non sapeva se fosse ordinata come Killian o disordinata come lei; se le piacesse leggere o cantare. Non sapeva nulla di lei, com’era successo con Henry, qualche anno prima.
Se c’era una cosa, però, che poteva leggere in quello sguardo verde giada era che nulla, né la paura, né il timore di non riuscire l’avrebbero fermata dal combattere Morgana. Ed era proprio quella luce negli occhi, quella determinazione impossibile da spegnere, a darle la conferma che in quel volto c’era una parte di lei, una parte importante e difficile da non notare.
“O…ok…” si limitò a dire Eva, deviando lo sguardo verso la vetrata alla sua sinistra, sfiorando con le dita una collana nascosta sotto la maglietta grigia.
E se c’era una parte inconfondibilmente Jones in quello sguardo perso era l’estrema difficoltà nel riuscire a mentirle.
“Bene…tra quanto potremo iniziare?!” esclamò David, rivolgendosi al sindaco della città..
“Tra un paio d’ore la pozione sarà pronta!” rispose Regina, afferrando con estrema eleganza la boccetta contenete il liquido azzurro.
 
 
***
 
“Dovremmo dirglielo…”
Le ore, in attesa che Regina mettesse a punto la pozione, trascorsero piacevolmente, dando l’opportunità ad Eva di acquistare qualche abito della sua taglia per il periodo di tempo in cui sarebbe rimasta lì a Storybrooke. Passare un po’ di tempo insieme a sua madre e a sua nonna era stato un vero dono del cielo; qualcosa su cui aveva smesso di sperare da molto tempo.
Come aveva sempre immaginato, dai racconti di suo padre e di Henry, Emma non era il tipo dai pomeriggi all’insegna dello shopping, ma vederla in quel negozio, intenta ad andare alla cassa a pagare il conto, era stato qualcosa di così normale da lasciarla senza fiato. Sua madre stava pensando a lei; aveva storto il naso di fronte ad una maglietta improponibile, come qualsiasi madre avrebbe fatto, proponendole qualcosa di più neutro; e, cosa indimenticabile, le aveva sorriso quando il suo cuore aveva rischiato di non supportare tutte quelle emozioni, dimostrando di riuscire a capirla meglio di chiunque altro. Era stata perfetta, in ogni cosa.
Anche quella passeggiata, diretti verso la casa Regina, insieme ad Henry e ad Uncino, sarebbe stato un ricordo che avrebbe custodito per sempre nel cuore, non lasciandolo mai andare, nemmeno nei momenti più bui. L’idea che nessuno di loro, avrebbe mantenuto vivido nella loro menti quei momenti, era qualcosa di doloroso ed estremamente amaro; ma non avrebbe permesso ai suoi sentimenti di oscurarle la mente, affatto; nemmeno se ciò richiedeva l’omissione di un aspetto alquanto importante riguardo la sua “dipartita”. Dopotutto, perché farli preoccupare inutilmente? Lei sapeva qual era il prezzo da pagare per quel viaggio del tempo e, visto che era lei stessa l’unica e diretta debitrice, non vedeva di alcuna utilità condividere quell’informazione, soprattutto se, di lì a poco, la pozione di Regina avrebbe sistemato ogni cosa.
Mentre Eva se ne stava davanti, insieme al fratello, a rimuginare tra i suoi pensieri, Uncino e la giovane Swan proseguivano lentamente, rallentati dalla pesantezza delle parole del pirata; Eva doveva sapere di Ector.
“…non credo sia una buona idea!” sussurrò Emma, senza mai staccare lo sguardo su quei lunghi capelli castani, scompigliati dal vento “…almeno fino a quando non avremo scoperto che fine abbia fatto!”
“…non può essere andato lontano senza il suo cuore!” esclamò Killian, serio “Quella strega ha fatto qualcosa!” aggiunse, tenendo stretta la mano di Emma, incrociata alla sua con una naturalezza ormai chiara ad entrambi.
“Sì, lo credo anch’io…”
“E qualcosa mi dice che quel maledetto è qui da qualche parte…” aggiunse il pirata, guardandosi in giro con fare sospettoso “…sta solo aspettando il momento giusto!”
“Ma Eva lo ha ucciso…lo abbiamo visto con i nostri occhi!”
“Dopo quello che è successo…fatico a fidarmi dei miei occhi Swan!”
Con quell’ultima frase, entrambi misero fine a quel breve scambio di opinioni, forzati soprattutto dalla vista della maestosa abitazione di Regina Mills.
Come richiamata dalle preoccupazioni insite nei cuori dei neo genitori, la sovrana della Foresta Incantata spalancò la porta in legno d’acero bianco, accogliendo quella che, oramai, era la sua famiglia con lo stesso abito viola sfoggiato qualche ora prima da Granny.
“La pozione è pronta!” esclamò la donna, lasciando la porta d’ingresso aperta e dirigendosi verso l’immensa sala, ben consapevole di essere seguita dal figlio e la famiglia Jones al completo.
Ad attendere gli ultimi arrivati, seduti sul morbido divano bianco davanti al caminetto, vi erano Biancaneve, il principe James, Belle e Will, ognuno alle prese con pensieri non accessibili a chiunque.
Disposte in perfetto ordine, sopra ad un vassoio dagli stessi colori del bronzo, vi erano otto boccette di un insolito color prugna, una per ogni persona venuta a conoscenza della vera identità di Eva.
“Visto che trovare gli ingredienti non è facile come credete…direi che è il caso di non estendere ulteriormente la lista di chi sa la verità!”
“Certo…!” assentì la ragazza, osservando con una certa insistenza quelle piccole ampolle colorate.
Senza bisogno di alcun invito, tutti i presenti, al di là di Eva, presero una boccetta, liberandola, senza troppa fatica, dello spesso tappo in sughero.
Tutti, eccetto Emma e Killian, bevvero la pozione tutta d’un fiato, ben consapevoli di non poter avvertire alcun cambiamento nel loro corpo. L’attesa nel voler conoscere qualcosa sull’immediato domani sembrava rappresentare il miglior metodo per limitare qualsiasi ripensamento.
Emma rimase in silenzio, con quel piccolo oggetto in vetro tra le dita; se avesse bevuto, nel momento in cui Eva avrebbe lasciato quell’arco temporale, qualsiasi ricordo legato a lei sarebbe svanito come neve al sole; né lei, né Killian, avrebbero mai ricordato di averla incontrata, di averla stretta tra le braccia, di averla anche solo intravista. Tutto sarebbe tornato come prima, subissato da nuovi ricordi, irreali come quelli di New York. Chissà, probabilmente lei e Killian avrebbero creduto di aver trascorso quella mattina da Granny, da soli, invece che di essere stati insieme alla loro figlia, nel tentativo di farla entrare e ordinare un semplice toast al formaggio, lo stesso che amava prendere lei, quand’era di buon umore.
Bei ricordi, certo, ma distanti dalla realtà, come lo era stata New York.
Anche il pirata, fermo accanto ad Emma, sembrava rallentato da quelle tristi considerazioni, decisamente meno sicuro rispetto a poco prima, quando quell’idea aveva iniziato a rappresentare il miglior biglietto d’accesso al loro futuro, un futuro insieme ad Emma.
Era stupefacente il modo in cui la mente umana elaborava le informazioni, cambiando opinione nel corso del tempo, insinuando dubbi, insicurezze, paure.
Dopo che David li aveva chiamati, Emma e Uncino si erano precipitati alla centrale, scoprendo l’agghiacciante notizia riguardante la sparizione di Ector. Di punto in bianco, il corpo dell’uomo era scomparso dall’obitorio, senza lasciare la minima traccia; nessuna segnalazione da parte del personale infermieristico, nessuna anomalia nelle registrazioni. Ector sembrava essere svanito nel nulla e la cosa, fin da subito, aveva insospettivo Principe, Salvatrice e Pirata, fin da subito.
Da lì, avevano iniziato a ragionare sull’importanza di conoscere qualcosa di più sul conto di Morgana, del suo schiavo e, in particolar modo, sul loro futuro. Per quanto costasse ammetterlo, si trovavano ad essere completamente ciechi e impreparati, in attesa dell’arrivo di una strega di cui, purtroppo, conoscevano solo il nome. Non c’era che dire, combattere contro i mulini a vento, in quel caso, rappresentava un vero e proprio eufemismo.
Il bisogno di conoscere qualcosa sul loro futuro, però, si scontrava decisamente con il desiderio di Eva di mantenere il massimo riserbo sulla sua vita e su quello che il domani avrebbe riservato loro; e, per Emma e Killian, la cosa non poteva di certo lasciarli insensibili. Avevano già giocato abbastanza con il passato e ritrovarsi nuovamente ai ferri corti con gli eventi temporali non rientrava assolutamente tra le loro priorità. Morgana, però, rappresentava una minaccia e l’unica cosa da fare era conoscere qualcosa di più sul suo conto.
Era stato suo padre a proporre l’idea della pozione; dopotutto, avevano dimenticato e ricordato così tante cose negli ultimi anni, che giocare ancora un po’ con un’altra di quelle pozioni non avrebbe di certo guastato alle loro menti; o almeno così sperava.
Ed ora eccoli lì, spaventati all’idea di scordare Eva, lasciandola nuovamente sola di fronte al suo destino. Per quanto si cercasse di indorare la pillola, dimenticare significava abbandonare la famiglia ed Eva, nonostante non vi fossero reali ricordi a lei legati, era la famiglia, in tutto e per tutto.
“Tutto ok?!” chiese la ragazza, avvicinandosi ai genitori.
“Potremmo evitare tutto questo…” disse Emma, serrando le labbra.
“Non è un po’ tardi per tirarsi indietro?!” proruppe Will, mostrando con noncuranza la boccetta ormai vuota, in piedi accanto alla figura innocente di Belle.
“Non ricorderemo nulla su di te….torneremo a quando nessuno di noi ha mai preso in considerazione la tua esistenza!” continuò Emma, ignorando la voce del ladro.
“Non esageriamo….” si intromise il pirata “…io qualche pensierino l’ho sempre fatto!”
Nessuno, tranne forse il Principe Azzurro, riuscì a contenere un breve sorriso di fronte all’irrecuperabile temperamento del pirata; nemmeno Emma, rigida accanto a lui, con ancora tra le mani l’ampolla violacea.
“Poco fa sembravate più convinti…” ironizzò Eva, posando lo sguardo su Emma.
“Poco fa era solo un’idea...” esclamò il pirata, divenuto più serio.
“Potremmo berla dopo che te ne sarai andata…” consigliò la Salvatrice “aspettare almeno di aver sistemato le cose con Morgana!
“E se qualcosa va storto?...e se in qualche modo veniste a conoscenza di qualcosa che non vorreste dimenticare?!”
“Bè…a maggior ragione direi che è meglio posticipare la bevuta!” proruppe Emma, con tono convinto.
“Già, rischiando di rovinare tutto!....Regina aveva ragione!”
Innervosita da quell’improvviso giro di boa, Eva diede la spalle ai genitori, serrando forte i palmi delle mani, come a voler contenere il forte livello di energia che, improvvisamente, sembrava voler fuoriuscire da tutti i pori.
“non ti lasceranno più andare….”
Il ricordo di quelle parole così veritiere sembrò riecheggiare nella mente della giovane, la quale ebbe l’ennesima conferma di quanto a fondo Regina conoscesse l’indole dei suoi genitori.
“Raramente ho torto!” esclamò sarcastica la Mills, incrociando lo sguardo con Biancaneve “…e mi costa dire che la figlia del pirata ha ragione. Modificare il passato può avere effetti devastanti….e voi dovreste averlo imparato!”
“Staremo attenti!” continuò Emma, meno convinta rispetto a prima.
“Ma non potremo stare attenti a tutto Emma…”
Persino sua madre, sempre pronta a mettere la famiglia davanti a qualsiasi cosa, si mostrava contraria alla sua proposta.
“Hanno ragione tesoro…” le sussurrò Killian, accostando il suo viso al suo “…rischieremmo di rovinare le cose come l’altra volta….e sinceramente non mi va di correre il rischio!”
Emma stette in silenzio, specchiandosi in quegli occhi azzurri come il mare.
Rovinare tutto. Che cosa intendeva col rovinare tutto? Impedire una nascita? Assistere nuovamente alla morte di un loro caro?  E se stavolta fosse toccato ad Henry? o a suo padre? Se a morire, per colpa di un gesto incompiuto o di un ripensamento, fosse stato proprio Killian? Che avrebbe fatto? Non sempre c’erano scappatoie dietro l’angolo e anche il solo aver assistito alla sua morte in uno specchio aveva lasciato una ferita ancora aperta nel suo animo, una ferita che ancora colava sofferenza in ogni angolo del suo cuore.
No, Killian aveva ragione, non potevano rischiare.
Ma una simile scelta non poteva obbligatoriamente portare all’ennesimo abbandono di Eva. Avrebbe trovato un modo per proteggerla, anche a costo di portarla lei stessa nel futuro, lasciandola con qualcuno di abbastanza fidato; qualcuno come Henry, l’unica persona di cui, era certa, Eva non avesse ancora parlato usando il passato.
“Ok…” si convinse la bionda, stringendo con forza l’ampolla riscaldata dal lungo contatto con la sua mano “…ma devi promettermi una cosa…”
“Che cosa?” chiese cauta la figlia, visibilmente nervosa.
“…che se qualcosa dovesse andare storto, qualsiasi cosa, cercherai un modo per farci tornare la memoria. Anche a costo di infrangere la più terribile delle regole della magia! Devi promettermelo!”
Per un attimo la giovane Jones stette in silenzio, come in attesa di una risposta impossibile da udire, proveniente da qualche angolo sconosciuto della sua mente. Con un movimento involontario, Eva strinse il ciondolo che, ancora, nascondeva sotto la nuova maglietta acquistata quel pomeriggio, non riuscendo a deviare lo sguardo da quello altrettanto verde e sicuro della madre.
Poteva promettere? Poteva effettivamente assicurarle una cosa del genere?
“Lo prometto…” esclamò la giovane, la cui gola sembrava essersi improvvisamente fatta secca “…me ne andrò solo dopo aver sistemato tutto!”
“Niente sorprese!”
“Niente sorprese….tornerò dalla mia famiglia….te lo prometto!”
“Bene…” si limitò a dire Emma, il cui cuore appariva ancora estremamente irregolare, come in allarme di fronte a quella risposta volutamente evasiva.
“…alla salute allora…”
Dopo alcuni attimi di silenzio, senza attendere alcun ripensamento da parte della bionda al suo fianco, Killian bevve in un solo sorso la pozione dal gusto amarognolo, seguito subito dopo da Emma.
Avvertire il liquido scendere lungo la gola, denso e freddo come solo una pozione sapeva essere, infuse un improvvisa e agghiacciante sensazione di malessere in entrambi i cuori dei genitori. La sensazione di aver commesso un errore; la sensazione di aver condannato alla solitudine la splendida figlia di fronte ai loro occhi. Lei, però, aveva promesso e qualcosa dentro al cuore di Emma le infondeva la certezza che non le avrebbe mai mentito, non dopo aver trascorso tanti anni senza la sua presenza.
“Perfetto! Ora puoi parlare!”
Non appena entrambe le boccette furono svuotate del loro liquido scuro, senza troppi giri di parole, Regina diede libero sfogo a quelle parole che, fino a quel momento, avevano rischiato di soffocarla. Doveva sapere, doveva assolutamente conoscere gli eventi che l’avrebbero portata all’interno di quella grotta, lontana da Henry, pronta a sacrificarsi per quella ragazza; nemmeno le occhiate da parte di Biancaneve, sarebbero riuscite a contenerla.
“Da dove volete che inizi…?” esclamò stanca Eva, andando a sedersi a sua volta sul divano in pelle bianca, accanto al corpo rassicurante della nonno paterno.
“Cosa sei venuta a cercare qui?!...perché proprio questo momento?” chiese Regina, seria e composta come amava presentarsi, probabilmente porgendole la domanda meno ovvia per ognuno dei presenti, i quali sembravano bramare nel voler scoprire da Eva qualcosa che riguardasse, più precisamente, la sua vita privata.
“Oh…bè…non dovevo arrivare in un momento preciso…” cominciò a spiegare la giovane, cercando di trovare le parole giuste strofinandosi nervosamente le mani sui jeans “…dovevo solo arrivare nel passato…possibilmente non troppo vicino alla mia nascita, ma nemmeno troppo lontano!”
“Avevi paura di scontrarti con te stessa?”
“Diciamo di sì!”
“Perché?...Uncino l’ha fatto e non è successo nulla!…nulla di grave almeno!” sottolineò Emma, indicando l’uomo al suo fianco.
“Non è successo nulla perché quella era la magia di Zelena…ed era alquanto priva di limiti in quanto legata alla magia nera! Ma trovare gli ingredienti per riproporre il suo incantesimo non era un’idea…diciamo fattibile!” esclamò Eva, posando lo sguardo sul capitano della Jolly Roger “così abbiamo trovato un altro modo per aprire un portale!”
“Che io sappia non è così facile aprire portali nel tempo…” chiese Biancaneve, sospettosa.
“No…in effetti non lo è, ma qualcuno ci ha aiutato…”
“Fammi indovinare…” esclamò Emma, a braccia conserte, riesumando il ricordo dell’ultimo sogno fatto “…Tremotino!”
“Esatto!”
“Quel coccodrillo continuerà a fare accordi anche tra vent’anni? La cosa non mi rallegra!”
“Non è come pensate…” cercò di spiegare Eva.
“C’è poco da pensare quando c’è di mezzo quella carogna!”
“Voi non…”
“Non so voi ma in questo momento mi interessa gran poco del futuro di Gold!” sbottò il sindaco, interrompendo quanto stava per dire la ragazza.
“Regina ha ragione…” disse David, seduto accanto alla nipote “…hai detto che avete trovato un portale…” aggiunse, spronando la ragazza a proseguire.
“Sì…abbiamo trovato il modo per viaggiare nel tempo…con qualche imposizione però…”
“Tipo non sconvolgere il passato?!” chiese Henry, completamente assorto nel racconto.
“Tipo niente viaggio nel tempo se…se in giro c’è già una tua versione…presente o passata che sia!!!”
“Non credo di aver capito…” esclamò il ladro, con quel suo inconfondibile accento alquanto caratterizzante.
“Diciamo che….se il Will del futuro arrivasse in questo preciso istante….sparireste entrambi nel nulla. Niente ricordi….niente Allegra Brigata, niente di niente. Addio Will!”
A quella più che esaustiva spiegazione, nessuno osò aggiungere altro, nemmeno un suono, se non un semplice Oh da parte di Belle.
“Questo spiega molte cose…” esclamò il pirata, guardando di sottecchi la donna per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa.
“È per questo che sei arrivata qui da sola?!” chiese Biancaneve, esprimendo a parole la domanda che, improvvisamente, cominciò a delinearsi nelle menti di tutti.
“….s…sì!”
“No…non è così!....qualcun’altro doveva accompagnarti vero?!”
Senza alcun bisogno di ricevere una conferma, Emma si avvicinò di un passo alla figura incerta della figlia, abbassando le braccia lungo i fianchi e abbandonando un po’ di quell’aria sicura e rigida che, nei momenti di crisi, la distingueva fedelmente.
Per quanto gli eventi continuassero a susseguirsi ad una velocità sconvolgente, le informazioni e i ricordi di quanto avvenuto sembravano essersi impressi con una certa chiarezza nella mente della Salvatrice, con particolare riferimento alle immagini intraviste, poco prima, all’interno della superficie riflettente dello specchio di Regina.
Al di là dei principali ricordi a cui, quasi tutti, loro avevano assistito, c’era stata un’immagine che aveva catturato l’attenzione della giovane Swan: Eva, insieme ad un ragazzo; un ragazzo giovane, forse poco più grande della ragazza, con spalle larghe e occhi neri impossibili da non notare, per non parlare dei capelli scuri e dello sguardo perforante, come quelli di qualcuno di sua conoscenza, qualcuno che, come lei, non perdeva tempo a porre domande.
“E chi doveva venire?” chiese Regina, corrugando la fronte.
“Qualcuno che, presumo, debba ancora nascere…”
“È così…” si ritrovò a confermare Eva, ben consapevole di non avere molta scelta in merito “un ragazzo, Jake, doveva venire insieme a me…a cercare qualcosa che, purtroppo, non abbiamo potuto portare con noi da Storybrooke…”
“Che cosa?!” chiese Belle, rimasta in silenzio fino a quel momento.
“Il libro di Henry….”
“Il…libro?!” fece eco il ragazzo, in piedi accanto alla figura sinuosa della madre adottiva.
“Quando Morgana è arrivata a Storybrooke…io avevo solo sei anni. Non penso vi sia difficile indovinare quali fossero le sue intenzioni…e dopo che…dopo che ti ha uccisa…” spiegò a fatica, posando per un brevissimo istante lo sguardo su Emma “…siamo subito fuggiti da qui, per tornare nella Foresta Incantata…”
“Ma i viaggi tra i mondi non sono così facili…” si intromise Uncino, ben consapevole di cosa avesse dovuto barattare in cambio di un fagiolo magico.
“Per quanto ne sapete ora sì…ma nel mio futuro non è una cosa così impensabile” gli rispose la figlia, non riuscendo a trattenere un breve sorriso di fronte allo stupore del genitore “Ad ogni modo, quando ce ne andammo, il libro sembrò essersi dissolto nel nulla…non lo trovammo da nessuna parte, nemmeno quando fu lo stesso Henry a cercarlo. La cosa, inizialmente, non ci preoccupò…almeno fino a quando Merlino non ci informò dove fosse indicata l’ubicazione dell’unica arma in grado di distruggere Morgana!”
“Nel libro…”
“Esatto!” rispose la giovane a Belle, alzandosi stancamente dal divano su cui, fino a quel momento, era rimasta seduta.
“E…di quale arma si tratta?” chiese David.
E fu in quel momento, in quel sorriso canzonatorio e in quello sguardo carico di una sicurezza impossibile da dissolvere che Emma intravide la stessa essenza di Killian, la stessa spavalderia che tanto l’aveva fatta sorridere durante il loro viaggio nel tempo, quando, inorgoglito, aveva avuto la brillante idea di fingersi l’Uncino del passato, per ingaggiare Biancaneve nel furto dell’anello del Principe.
Un sorriso solare, quasi sarcastico, di fronte ad una domanda di cui, ovviamente, ogni presente conosceva la risposta.
“Excalibur!”
 
***
 
Oscurità.
Ogni angolo di dell’immensa sala spoglia appariva totalmente ingoiato dalle Tenebre di quella notte, uniche e terrificanti regine incontrastate dell’ormai perduto regno delle favole.
Buio. Dolore. Paura.
Nessuno, da tempo, rincorreva più la speranza di riavere con sé la gioia e l’amore da sempre presenti in quelle terre lontane, ormai strappati dagli anni in cui Biancaneve e il Principe regnavano circondati dalla pace e dalla giustizia.
Nessuno rincorreva più la speranza, non ora che la principessa e l’ultimo sovrano del regno erano caduti per mano di quella spregevole strega dal cuore di pietra, divorata dall’odio e dalla malvagità insito nel suo animo.
Ogni cosa, da giorni, aveva ceduto il passo a quel potere distruttivo, rendendo spiacevolmente reali le parole che, fino a quel momento, avevano fatto capolinea all'orribile profezia delle fate, ora divenuta realtà.
Morgana aveva vinto e nulla, oramai, poteva qualcosa contro di lei; il regno del terrore da lei capeggiato, aveva finito col distruggere il lieto fine di ogni essere vivente di quel magico mondo, portando con sé il dolore che, da sempre, aveva popolato i peggiori incubi di ciascun uomo o donna, vecchio o bambino ancora in vita.
Ed ora, seduta sul suo freddo trono di pietra, nero come le vesti che indossava, la strega più potente mai esistita, fissava un punto preciso di quella maestosa stanza, silenziosa e sinistra in quell’innaturale silenzio infernale.
“M…mia signora…”
Un’improvvisa voce, insicura e inadeguata rispetto a quel contesto, incrinò quel rigido spettacolo agghiacciante, facendo muovere verso destra i profondi occhi gialli della Fata Oscura, seccata da quella fastidiosa interruzione.
“m…mia signora…mi….mi avete cercato?”
Sbucando da un angolo buio, Ector zoppicò fino al centro della sala, fermandosi a pochi passi da un’imponente pira di fuoco, alimentata dalla magia della donna dai capelli neri.
“Sì Ector…”
“Oh…s…sì…ditemi mia signora…” esclamò in tono referenziale l’uomo, la cui robustezza sembrava aumentare a vista d’occhio con il trascorrere del tempo.
“Dimmi…” pronunciò la strega, con voce suadente, intrappolando l’uomo di fronte a lei col suo profondo sguardo ambrato “….cosa rende così fastidiosamente rumoroso il tuo cuore?”
“Eh…oh…io….io non so cosa intendiate mia signora…”
“Suvvia Ector…non vorrai per caso contraddirmi…”
“N…no, no di certo mia…”
“Allora dimmi!” lo interruppe la donna, posando entrambe le mani pallide sui braccioli del suo trono.
“B…bè io…io in effetti mi stavo…mi stavo chiedendo come fosse possibile che…che io fossi ancora vivo…?”
“E per quale ragione non dovresti esserlo?!” continuò la donna, ben consapevole di dove volessero andare a parare quelle sue infide domande innocenti.
“Ah…io…“
Improvvisamente la gola del servo, al centro della stanza, divenne secca e arsa come quella di uomo intrappolato da giorni in un infinito deserto, senza acqua, senza cibo e senza alcuna via d’uscita dal suo inferno personale.
Morgana sapeva, Morgana sapeva ogni cosa. Quella donna non aveva bisogno di spie o di consiglieri necessari a scoprire quanto avveniva intorno a lei.
Nulla sfuggiva al suo controllo. Nulla appariva abbastanza veloce e lesto da passare inosservato al suo sguardo inumano. Nemmeno lo stupido e sconsiderato gesto da lui compiuto poco prima, divorato dalla curiosità di sapere cosa stava accadendo dall’altra parte.
“Rispondi…Ector!” comandò la strega, continuando ad osservarlo con il suo inconfondibile sguardo materno.
“Io…io ho guardato dentro le fiamme…mia signora…” esalò spaventato l’uomo dai capelli chiari, ritrovandosi ad arretrare di un passo, consapevole di quanto sarebbe accaduto di lì a poco.
“Oh…devo perciò dedurne che…mi stavi spiando!”
“Mi dispiace mia signora, davvero…vi prego di perdonarmi,...io volevo solo vedere…Arghhhhhh”
Un urlo improvviso spezzò sul nascere le parole di Ector, scosso da improvvise scariche di dolore provenienti dal glaciale sguardo giallo della minuta donna vestita di nero. Privo di alcuna forza in grado di contrastare quella brusca maledizione, il servo stramazzò a terra, pallido e vicino alla morte, come spesso accadeva negli ultimi tempi.
“Sai quanto odi essere guardata di nascosto!” esclamò Morgana, fredda e calcolatrice.
Senza alcun bisogno di emettere alcun movimento, la strega apparve a pochi centimetri dal corpo straziato di Ector, i cui gemiti di dolore continuavano ad invadere la sala quasi vuota.
“Non è educato…lo capisci…vero?!”
“S…sì…” esalò a fior di labbra “…m…mi….per….doni….”
Quasi seccata da quella sofferenza alquanto fastidiosa, con un gesto della mano Morgana interruppe quella tortura invisibile, mettendo fine alla sofferenza dell’uomo ai suoi piedi, dal cui sguardo sembrava apparire una certa tristezza nell’ennesima mancata morte.
“Mi auguro tu abbia imparato la lezione!”
“C…certo…mia signora…”
“Bene!....ad ogni modo…mi sento alquanto caritatevole oggi….perciò voglio rispondere alla tua domanda…”
Senza emettere alcun suono, Ector si alzò a fatica da terra, emettendo un faticoso inchino di ringraziamento verso la donna di fronte a lui.
“Vi ringrazio…”
“Evangeline ti ha ucciso…”
“S…sì…”
“Ti ha strappato il cuore dal petto…ed ora ti stai chiedendo come sia possibile che tu….sia ancora qui…a soffrire di fronte a me!”
Nuovamente, Ector si limitò ad abbassare il capo, consapevole di quanto una semplice risposta errata potesse scatenare nuovamente l’ira della fata.
“Bè…perché quella stupida ragazzina e la sua altrettanto stupida famiglia…non sa riconoscere un cuore…da un altro…!”
“Volete forse dire che quello…”
“Quello non era il tuo cuore Ector…” spiegò Morgana, con la stesso tono di voce con cui un adulto tenta di spiegare qualcosa ad un bambino “…non avrei mai potuto sacrificare il mio fedele servitore solo per oscurare il cuore della nostra principessa! Soprattutto quando il cuore in questione…è già abbastanza oscuro di suo…”
Con un semplice movimento delle dita, le fiamme della pira infuocata si animarono improvvisamente, facendo arretrare di qualche passo il corpo ferito di Ector.
“E poi Ector…il tuo compito lì non è ancora finito….”
Con la stessa magia di cui erano imbevute, dalle lingue di fuoco apparve l’immagine di una stanza, una stanza in cui erano riunite persone le cui vite sarebbero state segnate dalla malvagia donna dagli occhi gialli. Lì, a pochi passi dai suoi genitori, se ne stava la principessa Eva, serena, sorridente, sicura di sé e dalle cui labbra echeggiò una parola molto a cuore agli occhi di Morgana.
Excalibur.
“Mia signora…Eva sta cercando Excalibur…dovete andare nel passato e…fermarla…”
“Fermarla…e perché dovrei fermarla?!” chiese divertita, spostando solo in quel momento lo sguardo dalle fiamme incantate.
“Lì nel passato c’è il libro…e se, come dice la profezia, Eva riuscisse a trovare la spada…voi potreste…!”
“Oh…non dirmi che credi davvero che quella inutile mocciosa…possa uccidermi?!”
“Lei no…ma Emma…”
“Emma!...Devo ricordarti chi ha ucciso Emma Swan dieci anni fa…maledetto idiota?”
“No…certo che no…” si affrettò a rispondere Ector, arretrando di un altro passo, quasi in attesa dell’ennesima punizione.
“Emma Swan non mi preoccupa…e tanto meno suo marito e il resto della famiglia!” esclamò Morgana, irritata e sicura come solo lei sapeva essere “Ma dimmi Ector…sai qual è la cosa più bella di una profezia?”
“No….mia signora…”
“Una profezia…ha sempre…sempre….il rovescio della medaglia!” spiegò la strega, cominciando a camminare lungo l’immenso pavimento annerito dal fumo “Dietro al bene vi è il male, dietro la speranza vi è la distruzione. Perciò hai ragione…Eva è destinata ad impugnare Excalibur…la spada più potente mai esistita…l’unica in grado di mettere fine al regno di pace e ordine da me creato! Ma…il come la estrarrà dipenderà unicamente dalla purezza del suo cuore!” continuò Morgana, fermandosi di fronte al suo trono di pietra “Vedi…se il suo cuore fosse puro come quello della madre…o del fratello…io finirei per venire uccisa…senza alcuna via di scampo. Se, invece, l’odio, la sofferenza, l’assenza di speranza acuita dalla perdita dei suoi genitori e del suo grande amore…avessero oscurato quel piccolo cuore…..bè a quel punto non mi rimarrebbe altro da fare che attendere il ritrovamento della spada…”
“Perciò…state dicendo che se Eva dovesse trovare ed estrarre la spada con l’odio nel cuore…”
“Io potrei impugnare la spada…e mettere finalmente fine alla stirpe di eroi che invade questo mondo…in qualsiasi tempo si trovino!”
Con un sorriso gelido e oscuro, Morgana si sedette sull’immenso trono da lei creato, appoggiando con estrema delicatezza le braccia sui braccioli decorati, lasciando aderire i voluminosi capelli scuri allo schienale alle sue spalle.
“La vittoria arride…a chi sa attendere!”
 
 
 
 
Buona Festa della Repubblica a tutti!!!!!
Due settimane….due settimane che non aggiorno. Mi vergogno da sola….ma perdonatemi vi prego…sono state due settimane alquanto impegnative e trovare il tempo di scrivere è stato più difficile di quanto pensassi. La sera ero letteralmente KO!!!!
Comunque…alla fine ce l’ho fatta. Capitolo 12 completato :)
Avrei tanto voluto descrivere una scena Captain Swan che mi ronza in testa da qualche tempo, ma come dico sempre questa storia si scrive da sola e ho, per forza di cose, dovuto inserire la scena della pozione e la “riunione” nel salotto di Regina.
Ma non disperate…la scena è già pronta per il prossimo capitolo (dopotutto….se, come me, non vi siete ancora ripresi dal finale di stagione…l’unica cura è leggere qualche scena romantica dei nostri eroi….e, come minimo, farò anch’io la mia parte per aiutarCI XD).
Le cose si stanno accendendo di nuovo, Morgana non si è ancora fatta viva per un motivo ben preciso…e ora il ritrovamento della spada, invece di rappresentare la salvezza, potrebbe condannare il futuro di tutta Storybrooke. Immagino qualcuno di voi già si aspettasse l’introduzione di Excalibur….dopotutto non c’è Camelot senza la spada :P
Inoltre, molti di voi avranno sicuramente notato l’ultima frase di Morgana: un omaggio a Madre Gothel (Rapunzel), a mio parere una vera e propria cattiva Dinsey, con la C maiuscola.
Piccola anticipazione: nel prossimo capitolo ci sarà un nuovo personaggio, già nominato qua e là nel corso della storia…..e non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate XD
Come sempre, non posso fare a meno di ringraziarvi per il tempo che spendete a seguire questo esperimento…le vostre parole, i vostri incoraggiamenti e i vostri consigli sono così preziosi e importanti da lasciarmi sempre piena di gioia e soddisfazione. Potrei continuare a scrivere questa storia all’infinito…ma purtroppo non posso (mi viene da piangere se penso che ogni capitolo mi avvicina alla conclusione XD)…e direi che è giusto così, altrimenti diventa Beautiful formato Storubrooke XD. Scherzi a parte….mancano ancora diversi capitoli alla fine e, sinceramente, non saprei neanche dirvi quanti….ma sono contenta di vedere come tutti i tasselli, pian piano, trovino la loro posizione…senza troppa fatica :)
Perciò grazie di cuore a: Luana43, pandina, Sere2897, Ibetta, Kerri, ornylumi e yurohookemma; il vostro costante appoggio mi dà l’ispirazione e la voglia di scrivere capitolo dopo capitolo, cercando di migliorarmi (a fatica) nel corso della storia. Quindi non mi stancherò mai di citarvi a fine capitolo e di dirvi…GRAZIE!!!!!
Un ringraziamento sentito anche a chi legge e/o ha inserito la storia tra le varie categorie….grazie mille :)
Un fortissimo abbraccio
La vostra (poco puntuale negli aggiornamenti)
Erin

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


“Excalibur?” la voce di Henry, carica di un’eccitazione impossibile da contenere, invase ogni angolo del vasto salotto di Regina.
La sovrana, ancora in piedi in attesa di ulteriori spiegazioni da parte della giovane dai capelli scuri, non riuscì a fare a meno di alzare gli occhi al cielo di fronte all’entusiasmo del figlio e allo sguardo piacevolmente sbalordito di David e Uncino. Cosa ci trovassero gli uomini in quella spada davvero non riusciva a comprenderlo? Ok era potente, probabilmente l’unica spada in grado di distruggere qualsiasi tipo di oscurità sulla faccia della terra, ma arrivare a lasciarsi completamente rapire da un’arma, per di più mai vista direttamente ma solo narrata in storie e leggende di ogni tipo, era qualcosa di incomprensibile. E, ovviamente, il figlio patito di fumetti e supereroi non poteva essere immune ad un tale fascino.
“Excalibur?...Tremotino una volta mi disse che la spada era a Camelot!?” esclamò Biancaneve, non trattenendosi minimamente dal lanciare uno sguardo alquanto significativo verso il marito, il quale, a sua volta, le lanciò un sorriso carico di un significato comprensibile solo dalla donna.
“Così era infatti….almeno prima dell’arrivo di Morgana…” rispose Eva, stringendosi nelle spalle “…non sappiamo come sia successo o chi ne sia il diretto responsabile, ma la spada venne spostata…”
“Spostata in questo mondo?!” chiese Belle, ancora seduta sul morbido divano in pelle bianca.
“Oh…questo non lo so!” rispose Eva, stringendo leggermente le labbra, delineate e rosee come quelle della madre “….non sappiamo nulla sul luogo in cui sia stata riposta. L’unica cosa certa è che il libro contiene l’informazione necessaria per ritrovarla! Tutto qui…”
“Quindi basta solo che tu ti faccia aiutare da Henry!” esclamò Killian, rimasto in silenzio fino a quel momento “…nessuno conosce il libro meglio del ragazzo”
Emma e il diretto interessato si lasciarono sfuggire un lieve sorriso, corrispettivamente riconoscente e imbarazzato. Vedere come Killian avesse cominciato a parlare del ragazzo era qualcosa che non lasciava per nulla indifferente Emma, la quale, doveva ammettere, nutriva una certa debolezza nel constatare quanto l’uomo accanto a lei si fosse legato a suo figlio. Il giovane Jones, dal canto suo, non perse tempo a rispondere al sorriso, ben consapevole di aver appena guadagnato una quindicina di punti con la sua bella Swan. Non che la sua fosse una gara, quello era certo, ma dalla loro avventura sull’Isola Che non C’è, il pirata non riusciva più a fare a meno di giocare un po’ con quell’invisibile tabellone segna punti, nato nella sua mente dopo aver ingaggiato un match senza esclusione di colpi con il cuore della bionda. Ora Emma era affezionata a lui e la ragazzina dai loro visibili tratti genetici ne era una conferma, ma stava di fatto che amava colpirla, amava essere il responsabile di quello splendido sorriso, un tempo così raro, e probabilmente non ne avrebbe mai avuto abbastanza
Dio quella donna era bellissima.
“Bene….direi che non è il caso di perdere altro tempo e di dare inizio alle ricerche!” esclamò sbrigativa la Mills, sollevando il vassoio contenete le boccette ormai vuote e dirigendosi verso la cucina a poca distanza dalla sala.
“Regina ha ragione…” confermò Emma, incrociando le braccia al petto e scambiando uno sguardo con i genitori, i quali a sua volta si erano allontanati dal comodo divano della padrona di casa.
“Per me possiamo iniziare anche subito!”
“Perfetto!” rispose Eva al fratello, alzandosi in piedi e avvicinandosi ai nonni materni “….il libro è a casa loro, possiamo andare lì e…cominciare!”
Con un lieve cenno del capo, il ragazzo acconsentì alla proposta della giovane Jones, dirigendosi con passo spedito verso la porta d’ingresso, dove aveva appoggiato il suo cappotto scuro.
Il libro delle favole era, da sempre, il suo fiore all’occhiello; conosceva ogni pagina, ogni storia e ogni precisa immagine di quel prezioso tomo e riuscire finalmente a dimostrare il suo valore in quella città era qualcosa che aspettava da tempo. Non che si sentisse escluso, era chiaro; ma tutti a Storybrooke avevano un ruolo: le sue madri e sua sorella avevano un potenziale magico da far rabbrividire Harry Potter; i suoi nonni erano conosciuti da tutti e in quanto a capacità guerrigliere non avevano da invidiare nessuno; Uncino era il Capitano più famoso che ci fosse, altro che Jack Sparrow; e, probabilmente, avrebbe potuto continuare all’infinito.
Finalmente, dopo tanto, toccava a lui dimostrare chi era.
“Andiamo?” chiese il ragazzo, il cui entiusiasmo appariva difficilmente contenibile.
“Certo…” senza farselo ripetere due volte, Eva raggiunse il fratello, fermandosi di botto a due passi dalla porta per poi rivolgere la sua attenzione ai suoi genitori, rimasti fermi nella sala “…a voi….va bene…vero?”
Non riuscendo a fare a meno di sorridere a quella domanda, così innocente e adeguata, posta dalla propria figlia, Emma si limitò a fare un lieve cenno col capo, stupendosi della facilità con cui il suo cuore riusciva ancora ad emozionarsi, dopo tutti gli eventi a cui era stato sottoposto.
“Aspetta…” l’improvvisa voce di Belle la fermò, a due metri dalla soglia che univa il disimpegno della casa con il soggiorno.
“Sì..?!”
“Prima hai detto che, insieme a te, doveva venire un’altra persona… un ragazzo….un certo Jake….perchè non è qui?!”
Per un attimo, lungo quasi quanto un’eternità, Eva stette in silenzio. La mascella si irrigidì in un gesto che la rendeva figlia di suo padre a tutti gli effetti, non solo agli occhi di Emma, ma di ciascun presente in quella stanza. Il volto della giovane, fino a pochi istanti prima disteso e motivato ad iniziare delle ricerche finalmente non più dettate dalla solitudine, divenne una maschera di cera, duro e invalicabile, da sembrare appartenente ad un’altra persona, ad una persona più lontana, più triste, più sola.
“Lui…non…non è potuto venire…” si limitò a dire, deviando lo sguardo in un punto imprecisato della stanza.
“E come mai?” chiese Will, il cui tono sfrontato non sfuggì ad Emma, il cui sguardo duro non tardò a colpire il giovane ladro.
“Ha scelto di compiere un atto di fede!”
 
***
 
Come accadeva ormai di consueto, Emma Swan si ritrovò all’interno di un sogno ad occhi aperti.
Uno di quei sogni così dettagliati e vividi da lasciare col fiato sospeso, creando una sorta di angoscia nella bocca stomaco. Uno di quei sogni dove, nonostante la mente riuscisse a concepire l’irrealtà di quanto accadeva, i sentimenti e le emozioni finivano sempre col prendere il sopravvento, lasciando credere che ogni cosa di quel luogo, ogni ricordo, ogni profumo, appartenesse alla più vivida realtà. In sogni come quelli, non importava che la persona davanti agli occhi se ne fosse andata da tempo, che fosse morta, divenendo un fosco ricordo del passato; comunque, il poterla vedere, il poterla abbracciare o parlare, il poterla incontrare in quei luoghi irreali, donava la capacità di provare una gioia reale, concreta. Fuggire da qualcuno, precipitare nel vuoto, vivere un’avventura irrealizzabile, avrebbe comunque aumentato i battiti cardiaci, lasciando un vago senso di smarrimento al momento del risveglio.
E mentre guardava l’edificio illuminato dal sole pomeridiano, la giovane Swan si ritrovò a provare gli stessi sentimenti. Era un sogno, oramai lo sapeva, tutto riportava a quella conclusione: il modo in cui si era ritrovata immersa in quella strada, gli abiti differenti a quelli che era sicura di aver indossato quel giorno, il silenzio simile alla quiete agghiacciante che solitamente seguiva un’esplosione. Era cosciente, oramai, di essere all’interno di una visione del futuro di Eva, cosciente di essere a due passi da una rivelazione che, con ogni probabilità, le avrebbe fatto pentire di non essersi schiaffeggiata il volto, anticipando un risveglio che sarebbe quasi certamente arrivato nel momento meno opportuno. Ma nonostante ciò, ogni cosa davanti ai suoi occhi sembrava così vera e tangibile da indurla a chiedersi cosa fosse un sogno e cosa no.
L’aspetto che più la rasserenava era che non vi era più l’iniziale profonda angoscia e smarrimento nel suo cuore, non dopo aver visto Tremotino fare un accordo con sua figlia; non dopo aver visto sua madre invecchiata di anni e lei e Killian insieme, come una famiglia. Quello era, con ogni probabilità, un piccolo momento vissuto da Eva, il suo passato, e di cui, ad occhio e croce, la ragazza non aveva alcun controllo. Sembrava quasi che le loro menti fossero collegate. Dopotutto, Eva era sempre presente in quelle visioni, o sogni che fossero; ma, nonostante ciò, sembrava saperne quanto lei, del tutto sconvolta dalle informazioni in possesso della madre.
Lei e Uncino non avrebbero dovuto conoscere nulla del loro futuro, eppure eccola lì, di nuovo, in mezzo ad un marciapiede troppo simile a quello della sua cittadina.
Scrollando stancamente il capo, Emma si sistemò i lunghi capelli biondi dietro al giubbetto di pelle, cercando di trovare un punto di riferimento che l’aiutasse ad orientarsi.
La casa davanti a lei appariva nuova e perfettamente curata. Non vi erano cancelli, ma solo un piccolo vialetto che conduceva con eleganza fino all’entrata della villetta. Osservandola con attenzione, la Salvatrice non faticò ad intravedere la familiarità di quella costruzione: la stessa casa dove, qualche sera prima, lei e Killian avevano scoperto di essere i genitori di una splendida e coraggiosa figlia: Eva Jones.
Dando una veloce occhiata ai dintorni, come in attesa di qualche attacco laterale, abitudini dure a morire su chi viveva una crisi alla settimana, Emma varcò il selciato che, con andamento ondulato, la condusse all’entrata di quell’abitazione stranamente silenziosa. Era incredibile quanto un edificio potesse migliorare in seguito a piccole modifiche: infissi bianchi e imposte ben tenute, il tetto a spiovente completamente rinnovato e le grandi finestre, inferiori e superiori, abbellite da delicate tende bianche, neutre e calde come il resto della casa. Anche l’intonaco, nella realtà in cui si trovava Emma ancora scrostato e annerito dal clima, appariva del tutto ritinteggiato di uno splendente e brillante blu oltreoceano, perfettamente in sintonia con la massiccia porta di legno bianca.
Casa.
Non seppe spiegarsene il motivo, ma ogni angolo, ogni particolare di quell’abitazione, conduceva la mente e il cuore della Salvatrice verso quella piccola parola, così importante ai suoi occhi da lasciarla senza fiato.
Purtroppo, non aveva ancora avuto il tempo di farsi spiegare dalla figlia qualcosa riguardo il loro imminente futuro, sempre in balia dei costanti eventi esterni; ma qualcosa, dentro di sé, le diceva che quella villetta rappresentasse qualcosa di importante, un luogo caro al suo cuore. Che fosse quella? Possibile che ciò che le veniva mostrato in quel momento fosse l’esatto luogo dove lei e Killian avrebbero vissuto fino alla fine? Il luogo dove fare ritorno alla fine di ogni giornata, il luogo da chiamare casa.
In quel momento, non sapendo le reali fattezze dell’interno di quell’edificio, ogni fibra del suo essere provava sentimenti così intensi e confusi da lasciarla quasi stordita.
Voleva entrare, lo voleva con tutta se stessa.
Sentendo il volto irrigidirsi e il battito del cuore divenire più accelerato, Emma strinse forte i palmi delle mani incoraggiandosi, con un sospiro, a dimezzare la sua distanza con la splendida porta d’ingresso.
Quanto silenzio. Possibile che quella città, in un futuro non troppo lontano, avrebbe finito col mandarla in una auspicata pensione anticipata da crisi e mostri di ogni tipo? Improbabile, visto che, se si pensava all’imminente arrivo di Morgana, quel silenzio non avrebbe dovuto lasciarle presagire nulla di buono.
“Oh no…” pensò tra se e se la donna dai lunghi capelli color del grano.
E se fosse stato quello il momento del suo arrivo in città? Se fosse stato quello il giorno in cui la Salvatrice avrebbe dovuto dire addio alle persone che così tanto amava, finendo uccisa dalla Fata Oscura?
“Swan ti rendi conto di che ore sono?!
L’improvvisa e inconfondibile voce di Regina Mills allontanò momentaneamente quei pensieri bui dalla mente della donna, la quale si ritrovò a scrollare stancamente il capo, come a volersi liberare da quelle continue preoccupazioni.
Era. Un. Sogno.
Qualsiasi cosa fosse accaduta, qualsiasi immagine sua figlia, o Regina o sua madre le stessero per mostrare, lei sarebbe ritornata a Storybrooke, probabilmente con un’utile informazione in più da condividere con la sua famiglia.
Senza attendere un solo istante di più, Emma diede una spinta alla porta bianca, stupendosi non poco nel constatare fosse semi-aperta.
Il pavimento in legno fu la prima cosa a colpirla, così caldo e familiare da ricondurla alla stessa parola di poco prima: casa. Pensandoci bene, un pavimento di quel tipo era qualcosa che non si era mai accorta di apprezzare, almeno non fino a quel momento. Così elegante e familiare da crearle un nodo alla gola quasi impossibile da sciogliere.
“Concentrati Emma…” si ammonì la Salvatrice, continuando ad ispezionare la stanza con i suoi profondi occhi indagatori.
 Vicino alla porta d’ingresso vi era un mobiletto bianco, sopra a cui era posato uno svuota tasche e altri oggetti che, in quell’istante, non riuscirono ad attirare l’attenzione della donna.
In alto, appeso al muro, uno specchio bianco e candido come l’esterno della casa, così in stile con l’arredamento di Regina da lasciare chiaramente intendere da chi potesse provenire.
Lo specchio rappresentava l’unico collegamento con la casa del sindaco di Storybrooke, le cui dimensioni apparivano decisamente più estese rispetto a quella villetta calda e accogliente.
Guardandosi attorno, Emma scorse delle curate scale in legno bianco che conducevano al piano superiore dell’abitazione, l’esatto punto da cui provenivano alcune voci, a dir poco familiari.
Una in particolare.
“Lo so Regina….”
La sua.
Quel tono deciso, sicuro di sé, quel tono che, in qualsiasi occasione si fosse ritrovata a sentire, in un video, in una segreteria o in una registrazione telefonica, avrebbe definito del tutto diverso da quanto credeva e alquanto imbarazzante.
La sua voce.
Stava parlando con Regina. Qualcosa nel modo in cui aveva pronunciato il nome della sovrana del regno delle favole, le aveva infuso un vago senso di agitazione, cosa che, a suo dire, non si era quasi mai accorta di possedere, tranne forse quando si infastidiva con Killian per il suo continuo mettersi in situazioni di pericolo
“…ma se continuate a dirmi che è tardi non mi aiutate di certo…”
Oddio, agitata era un eufemismo. Quella era ansia allo stato puro; e da quando in qua lei era una persona ansiosa?
Arrabbiata, nervosa, infastidita certo, ma non ansiosa, non lei, non Emma Swan.
Nonostante all’esterno regnasse la pace e l’armonia, lì dentro sembrava essere scoppiata un’esplosione in piena regola. Nastri buttati all’aria, una borsa firmata ed elegante lasciata a terra vicino alle scale, una giacca da uomo appoggiata al corrimano, una bellissima scarpa bianca tra il disimpegno e l’ingresso.
Il caos. Ovunque.
Attenta a non fare troppo rumore, Emma posò una mano sul massiccio corrimano in legno, salendo con estrema lentezza le scale chiare, augurandosi che i suoi stivali non creassero troppi scricchiolii.
In un sogno si poteva venire scoperti?
Ovviamente lo avrebbe scoperto di lì a poco.
“Non ti facevo quel tipo di donna…” esclamò una voce maschile, familiare e, al contempo, profondamente diversa.
Con la bocca semiaperta dallo incredulità di quanto stava accadendo, Emma raggiunse il piano superiore, ritrovandosi a deglutire in maniera così sonora da temere di venire realmente scoperta. Biancaneve, sua madre, era lì, a pochi passi da lei, ferma davanti all’ingresso di una stanza luminosa, lo sguardo fisso e un sorriso appena accennato, con addosso uno splendido abito dai toni lillà.
Cosa stava succedendo? Perché guardava all’interno di una stanza col volto velato da un’emozione impossibile da contenere?
“Quale tipo di donna?!” si sentì chiedere da se stessa.
“Il tipo che fa tardi in questa occasione…” rispose divertito il ragazzo.
Quella voce.
Oh, ma certo, come aveva fatto a non capirlo; nonostante il timbro apparisse diverso, più forte, più profondo e meno bambino rispetto a quella a cui era abituata, quella era la sua voce, la voce del suo…
“Henry…non infierire!” esclamò Biancaneve, posando le mani sui fianchi e lanciando un’occhiata divertita alla scarpa bianca, abbandonata sulla soglia della camera, decisamente troppo simile a quella presente al piano di sotto.
Con le mani sudate e il respiro pesante, Emma si avvicinò alla madre, la quale non diede alcun accenno di averla udita o sentita; probabilmente la stessa sensazione provata da un fantasma, presente in quel momento ma impossibile da percepire in alcun modo. Impossibile non sentirsi un po’ come il vecchio Scrooge di Dickens.
“Henry ha ragione…caspita Swan hai spezzato maledizioni e ti fai venire un attacco di panico proprio ora?”
“Io. Non. Ho. Un. Attacco. Di. Panico….”
“Certo…e la mamma ha solo mangiato troppa pizza!” aggiunse allegro Henry, seduto sopra il letto matrimoniale, del tutto sommerso da abiti e tessuti di ogni tipo.
Con lo sguardo sbarrato da quelle voci e da quelle parole cariche di significato, Emma si ritrovò a voltare lentamente lo sguardo verso l’interno della stanza, consapevole di dover richiamare a sé tutta la forza necessaria per non svenire in quel luogo indefinito e atemporale. Dopotutto, nessuno avrebbe fatto comparire alcuna sedia dietro di lei per attutirle la caduta, come aveva fatto con Killian all’interno della stessa abitazione.
Oramai, però, poco importava; gli occhi si erano posati all’interno della stanza, il cuore si era fermato e l’ennesima rivelazione di quanto avrebbe vissuto in un futuro non lontano, la colpì così forte al petto da renderle impossibile anche la semplice respirazione.
Lei era lì.
Non fu quello, però, a renderle impossibile anche il semplice deglutire; non fu la visibile e scioccante gravidanza di Regina, o Henry adolescente vestito in abiti eleganti e cravatta con un sorriso divertito che gli illuminava il volto; non fu il comodino accanto al letto con sopra una foto in bianco e nero di lei, Killian e Henry, né il vedere l’armadio aperto con degli abiti al suo interno.
Non fu nulla di tutto ciò. No, tutt’altro.
Fu qualcosa di più sconvolgente e bianco come la neve.
Qualcosa di così bello e fatato da rappresentare il sogno di ogni genitore.
Fu la visione di lei stessa; il volto agitato, i capelli raccolti in un acconciatura morbida che lasciava piena libertà alle sue lunghe ciocche bionde e un lungo, splendido, indimenticabile abito bianco; semplice, stretto in vita e di una bellezza così straordinaria da zittire qualsiasi contestazione.
“Tesoro…non vorrei metterti fretta, ma quel poveretto starà pensando che gli stai dando buca…”
Di scatto e con la bocca aperta dallo stupore, Emma si voltò verso la voce di suo padre, comparso alle sue spalle. Anche lui, come il resto dei presenti, non diede alcun segno di riuscire a veder la copia esatta di sua figlia, in piedi ai margini della stanza, con addosso jeans, maglietta bianca e stivali, pallida e senza parole.
Com’era bello suo padre, così elegante, dal portamento fiero, da riuscire ad apparire come un principe in piena regola; le spalle dritte, le braccia forti e il volto inorgoglito dalla vista della sua primogenita in abito da sposa.
Non vi era differenza dai volti familiari che vedeva ogni giorno, segni del tempo o modifiche che le lasciassero intendere quanto tempo la distanziasse da quel preciso istante; nulla al di là del pancione di Regina o della crescita di Henry, il quale, anche nella sua realtà, dava segni di allungamento esponenziali.
“Oh…sì…hai ragione…” esclamò nervosa la Salvatrice, mettendo la scarpa bianca col tacco e iniziando la ricerca disperata dell’altra “…ci metto un attimo, devo solo trovare l’altra scarpa...Maledizione….”
 “Swan…sei un disastro…” commentò sarcastica Regina, scambiando un sorriso divertito con il figlio, nell’esatto momento in cui Emma si accucciò per controllare sotto al letto, incurante di poter stropicciare il bellissimo abito niveo.
“Amore…perché non vai da Killian e lo rassicuri?…” esclamò Biancaneve, avvicinandosi al marito, consapevole di quanto diversa potesse essere, in quel momento, la concezione di “attimo” per la sua coraggiosa primogenita.
“Sì…credo sia meglio…” acconsentì l’uomo dai capelli chiari, corrugando la fronte “…gli porto anche la fiaschetta, chissà che lo aiuti a rilassarsi...”
“Cosa?...No!” contestò Emma, ancora inginocchiata accanto al letto, alzando la testa di scatto, nel momento in cui il padre si apprestava ad uscire, divertito, dalla stanza.
La Emma del passato, l’unica ospite non direttamente invitata ai preparativi della sposa, non riusciva a pensare, a ragionare con lucidità.
Stava davvero vivendo quel momento?
Stava vedendo lei stessa, insieme alla sua famiglia, in procinto di sposare l’uomo che, da Neverland, aveva iniziato a conquistare il suo cuore, con una lentezza e gentilezza da lasciarla ancora senza parole. Era qualcosa a cui non aveva mai pensato, nemmeno per un istante, nemmeno quando aveva scoperto della nascita di Eva.
Lei era Emma; la donna che, per guadagnarsi da vivere, aveva scelto di fare la cacciatrice di taglie? La donna che aveva trascorso il giorno del suo compleanno a casa da sola, esprimendo un desiderio davanti ad un cupcake acquistato in pasticcieria qualche ora prima.
…Una famiglia…
Già, aveva desiderato proprio quello; al chiaro di quella flebile candelina, sola e senza nessuno a confortarla o festeggiarla, aveva desiderato con tutto il cuore di poter assaggiare il calore di una famiglia, l’abbraccio di sua madre e la protezione di suo padre, a quel tempo ancora ignoti e sconosciuti. Spesso si ritrovava a pensare a quella sera, all’esatto istante in cui tutto aveva avuto inizio; non si vergognava ad ammettere di aver preso in considerazione l’idea che fosse stato proprio quel piccolo desiderio ad aver ricondotto a lei il piccolo Henry; che fosse stata quella candelina e portare la luce della sua famiglia nella sua vita. Da tempo, però, aveva considerato quel desiderio del tutto realizzato; dopotutto, ora aveva una famiglia, dei genitori, un figlio, amici e, soprattutto, un uomo che aveva dimostrato più volte di tenere a lei. Perché volere di più?
Eppure, ora era lì, all’interno di un frammento del suo futuro, di fronte alla prova tangibile che quella piccola candela non aveva ancora finito di illuminare la sua vita.
Avrebbe sposato Killian Jones.
“Devo sedermi…” sussurrando tra sé e sé quelle piccole parole cariche di emozione, Emma si ritrovò ad appoggiarsi al comodino della camera, l’unico appiglio abbastanza vicino da evitarle una caduta in pieno stile -damigella dal corsetto stretto-.
 “Che ora sono?”
“Un quarto d’ora fa era tardi…” le rispose il figlio, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla nonna.
Era confortante vedere quanto la cosa sconvolgesse anche la se stessa del futuro.
“Vado anch’io….prima che Killian venga qui a prenderla!” esclamò Henry, toccando lievemente la spalla alla madre adottiva, per poi lanciare un sorriso in direzione di Biancaneve e darsela a gambe da quel caos firmato Swan.
Di scatto Regina si avvicinò ad Emma, la quale, alzatasi da terra, aveva iniziato a grattarsi la testa, iniziando a rovinare la splendida acconciatura fattale dalla madre, due ore prima.
Con sicurezza, la mora posò entrambe le mani sulle spalle nude della donna, guardandola dritta negli occhi come solo lei poteva fare.
“Ehi Swan…cosa ti prende!?”
“Non trovo la scarpa” esclamò la Salvatrice, posando lo sguardo sugli occhi scuri di Regina.
“Sei preoccupata? Tuo padre stava scherzando…Uncino non se ne andrà…” esclamò Biancaneve, avvicinatasi a sua volta alla figlia.
“Quel pirata ti ha inseguita dappertutto…non crederai che se ne vada proprio ora…”
“Lo so…ma…”
“Ma cosa?” insistette il sindaco della città.
“…ma sto aspettando che capiti qualcosa…” sussurrò, deviando lo sguardo e serrando con forza le morbide labbra delineate.
“E che dovrebbe succedere?!”
“Non lo so…ritorna Peter Pan dall’oltretomba? Una guerra galattica si abbatte su Storybrooke proprio oggi? Un drago addormentato da milioni di anni decide di ucciderci tutti?...cose così…” esclamò Emma, concedendosi un sorriso forzato e andando a sedersi sopra al morbido materasso, sopra cui era posato un delicato velo dello stesso colore dell’abito.
Emma non riuscì a fare a meno di comprendere quel turbamento. Dopotutto, non erano le stesse sensazioni che aveva provato durante il suo primo appuntamento con Killian? La paura di venire attaccati, la consapevolezza che la pace e la tranquillità non fossero ospiti ben gradite in quella piccola cittadina del Maine.
Lei era la Salvatrice e qualsiasi momento della sua vita era composto da crisi da risanare e da vite da salvare. Lo sapeva e se lo aspettava ogni giorno della sua vita. In fin dei conti, lei era una calamita dei momenti brutti, come aveva detto a suo padre tempo prima, e qualsiasi cosa fosse accaduta, per piccolo aspetto di lei non sarebbe mai cambiato.
“Emma…” la richiamò la madre, andando a sedersi accanto a lei e prendendo le mani sulle sue, in un gesto così carico di affetto da poter essere ricondotto unicamente alla donna che le aveva dato la vita, la madre a cui era stata strappata tanti anni prima, ma che, da tempo ormai, aveva imparato facilmente ad amare “…oggi nulla potrà rovinare questo giorno. Nessun mago, strega o mostro di alcun tipo!”
“Lo spero…”
“Non c’è nulla da sperare…sarà così e basta!” continuò la donna dai corti capelli scuri e dalle fattezze elfiche, stringendo la presa sulle mani della figlia “…oggi ti sposerai….il tuo lieto fine diverrà un tutt’uno con quello di Killian….e nulla al mondo potrà rovinare tutto questo!”
“Dovresti crederle Swan…” si intromise Regina, ritrovandosi a sfiorarsi il pancione, in un gesto quasi involontario “…te lo dice una che si è goduta il suo matrimonio anche dopo una minaccia da parte della sottoscritta!”
La Emma del passato e quella del futuro sorrisero nello stesso istante e nello stesso modo delicato e insicuro, rendendo ancora più inverosimile quel sogno ad occhi aperti.
Senza dire nulla, la sposa si alzò dal letto e, con un gesto sicuro della mano, fece comparire la scarpa bianca vista poco prima vicino al disimpegno della casa, infilandola velocemente al piede destro.
Biancaneve si alzò dal materasso morbido, avvicinandosi a Regina e rimirando, con sguardo orgoglioso, quella bellissima donna in abito bianco.
Entrambe commosse, ognuna a modo suo, ognuna con il proprio trasporto e bisogno di esternare o nascondere la propria emozione.
Con gli occhi lucidi, Emma abbracciò Biancaneve e Regina, sussurrando un debole grazie a fior di labbra.
La Emma del passato non si mosse di un millimetro dalla sua posizione, ferma a poca distanza da dove si trovavano le tre donne. Stava guardando se stessa, intenta ad abbracciare sua madre e la giovane Mills, la quale, stranamente, non sembrava intenzionata ad allontanarla.
Non sapeva cosa fare, se andarsene, se piangere o, semplicemente, se rimanere con gli occhi fissi in quella scena, in balia di mille domande a cui, probabilmente, non avrebbe trovato alcuna risposta.
“Ok andiamo…” esclamò lo sceriffo in abito bianco, ritrovando la compostezza e sicurezza che, in più di un’occasione l’avevano contraddistinta.
Senza accorgersi di avere le lacrime agli occhi, Emma le asciugò con le dita curate, sperando di trovare il modo per rallentare l’impellente battito del suo cuore, che sembrava letteralmente in procinto di esplodere dal petto.
Lentamente e solo dopo aver dato un’altra veloce occhiata alla piccola cornice presente alla sua destra, Emma si accorse di essere improvvisamente sola all’interno della stanza. Non vi era più nessuno, al di là del pesante silenzio, dei vestiti all’aria e del respiro proveniente dalle sue labbra semiaperte.
Nessuna Regina incinta, nessuna Biancaneve in lacrime, nessuna Emma in abito bianco.
Eccola, la sensazione che si provava nell’esatto istante in cui uno splendido sogno veniva bruscamente interrotto da un risveglio non voluto; la voglia di sapere come si sarebbe concluso, il bisogno di poter provare ancora quelle reali e splendide sensazioni sulla bocca dello stomaco.
Ma il sogno non era finito; lei era ancora lì, in quella stanza, immersa in un mondo di cui non aveva ancora compreso la provenienza.
Con uno scatto degno di un inseguimento, Emma uscì dalla camera, percorrendo al contrario e con meno delicatezza le scale che l’avevano condotta al piano superiore.
Nessuna giacca appesa al corrimano. Nessuna scarpa abbandonata al centro della casa.
Senza lasciarsi rallentare dai pensieri che le invadevano la mente, la giovane Swan aprì di scatto la porta d’ingresso, ritrovandosi davanti a qualcosa di completamente diverso dal piccolo vialetto su cui era stata trasportata poco prima.
Ennesimo e celere cambiamento, così magico e irreale che, se si fosse presentato anni prima, l’avrebbe sicuramente fatta impazzire.
Con il cuore a mille, Emma camminò lungo il molo della città, diretta verso le banchine adibite all’attracco delle navi. Impossibile confondere la nave in cui avrebbe trovato la sua famiglia.
Una nave che temeva non avrebbe mai più rivisto, la stessa che il pirata da una mano sola aveva scambiato pur di riuscire a tornare da lei, pur di riportarla a casa.
Incurante del cigolio emesso dal legno sotto al peso dei suoi passi, la giovane Swan si diresse verso la Jolly Roger, l’unica nave da cui si sentiva fatalmente attratta.
Ogni aspetto dell’imbarcazione lasciava chiaramente presagire quanto quel momento nel molo fosse irrimediabilmente legato a quanto accaduto nella camera da letto, qualche istante prima. Le vele bianche spiegate, candidi fiori lungo tutto il cornicione della nave e sobri candelabri, donavano una atmosfera così magica da far bloccare la Salvatrice sul posto.
C’era un limite di emozioni a cui il cuore avrebbe potuto far fronte prima di smettere il suo battito regolare?
Evidentemente no, visto che l’immagine di Killian Jones, appoggiato al cornicione della sua tanto agognata nave, non aveva ancora dato il colpo di grazia alla giovane Swan.
Lui era proprio lì, splendido, in alta uniforme, con una mano appoggiata al corrimano e l’altra intenta a grattarsi il capo, come faceva ogni qualvolta fosse sovrappensiero o preoccupato per qualcosa.
Oh…un momento; era un abbaglio o aveva realmente entrambe le mani?
Se in quel momento il suo Killian avesse avuto la possibilità di sentire i suoi pensieri, non avrebbe di certo perso tempo a deriderla con qualche battuta dal, poco sottile, doppio senso per il suo interessamento sulla mancata mano sinistra.
“Eccola…”
L’improvviso urlo di Leroy, a pochi passi da dove si trovava lei, intento ad indicare proprio nella sua direzione, le fece tornare lo stesso nodo alla gola che, poco prima, aveva rischiato di farla stramazzare sul pavimento della sua futura casa.
Perché il nano la stava guardando? Nessuno poteva vederla, nessuno sapeva della sua clandestina presenza lì.
Eppure gli occhi color oceano di Killian erano posati proprio su di lei e quell’inconfondibile sorriso, carico di dolcezza che rendeva scoperti i suoi splendidi denti bianchi, sembrava proprio rivolto nella sua direzione, come se riuscisse a vederla, come se non fosse affatto sorpreso di scorgerla in mezzo al molo.
Con fare quasi ridicolo, Emma guardò dietro di sé, avendo l’ulteriore conferma di non avere nessuno alle spalle; la sposa, o meglio, la se stessa del futuro non era in arrivo, ovviamente in ritardo dopo la crisi di nervi che l’aveva colpita nella camera da letto. Allora perché il pirata sorrideva, seguito a ruota dal figlio adolescente, comparso vicino all’uomo dai capelli scuri?
Quasi mossa da una forza invisibile e da una consapevolezza quasi terrificante, Emma abbassò lo sguardo su di sé, rimanendo così sgomenta da sbarrare occhi e bocca nello stesso istante.
Indossava il vestito dell’altra Emma. Lo stesso abito, visto pochi istanti prima come in un’immagine riflessa allo specchio, ora era addosso a lei. Che fine aveva fatto il suo amato giubbotto di pelle? Jeans e stivali neri? Perché quella sorta di visione ancestrale la stava muovendo come un burattino vivente?
Oh. Mio. Dio.
“Allora…pronta?”
La voce di suo padre, comparso improvvisamente al suo fianco, riuscì a farle deviare lo sguardo dal suo corpo, ritrovandosi del tutto incapace ad impedire al padre di tenerla a braccetto, come accadeva di consueto in quelle occasioni.
Occhi azzurri in occhi verdi, in un misto di emozioni da far accapponare la pelle, anche in un sogno.
Senza attendere una reale risposta da parte della figlia, David Nolan si avvicinò alla Jolly Roger, posando con affetto la mano su quella della figlia, la quale sembrava aver scelto proprio quel momento per irrigidirsi come uno stoccafisso, rendendo rumoroso anche il semplice deglutire.
Un’improvvisa e flebile melodia riempì tutto il molo, solleticando glucidi li occhi di tutte quelle persone presenti.
Non c’era che dire, al loro matrimonio non sarebbe davvero mancato nessuno. Regina, Robin, Biancaneve, Spugna, Ruby, il dottor Whale, Granny, i sette nani, Marco, August, Archie, Aurora, Filippo, Trilli, la fata Turchina, persino Ariel; tutta la città era lì, sulla Jolly Roger; tutti in abiti eleganti, tutti emozionati di poterla vedere felice, in procinto di sposarsi con il Capitano di quella nave.
Un momento, ma quelli…quelli erano Belle e il signor Gold?! Com’era possibile? Tremotino non si trovava più a Storybrooke, non in quel momento almeno. Di certo non era così presuntuosa o ingenua da pensare di aver allontanato così facilmente il Signore Oscuro dalle loro vite; ma cosa ci faceva lì? Perché se ne stava sorridente e felice al suo matrimonio?
Con lo sguardo ancora sbarrato e la mente bloccato dalla velocità con cui tutta si susseguiva davanti ai suoi occhi, Emma si ritrovò improvvisamente di fronte a Killian, il cui volto sereno riuscì ad infonderle, anche in quel momento, una sicurezza che mai avrebbe pensato di riuscire a provare di nuovo, non dopo essersi vista in quel vestito.
Non disse nulla. Si limitò a sorriderle, accogliendo il suo braccio offertogli da David che, in un gesto a dir poco significativo, strinse la spalla dell’uomo in divisa blu, per poi andare ad affiancarsi alla moglie, in piedi a poca distanza da loro.
“Ehi bellissima...”
Una semplice frase, probabilmente detta col preciso intento di farle riaffiorare il ricordo di uno dei loro primi incontri, la fece sorridere. Come riusciva quell’uomo a farle stendere i nervi proprio non lo sapeva.
Killian era lì, di fronte a lei, con quegli occhi blu così brillanti da sembrare irreali e quel sorriso, canzonatorio e sicuro di sé, in grado di farle mancare un battito anche in quell’occasione, quando la tachicardia regnava sovrana.
Accanto al pirata, negli stessi abiti eleganti con cui l’aveva visto poco prima, vi era suo figlio Henry, il quale non perse tempo a sorridere alla madre adottiva, elegante nel suo abito rosso, intenta ad occupare il ruolo di testimone che, anni prima, non avrebbe mai creduto di poter rivestire; non per Emma, non per la figlia di Biancaneve.
 “Sembri nervosa Swan!”
“c…cosa?” balbettò la Salvatrice, percependo la mano del pirata stringere la sua.
“Per me è un grande onore poter celebrare questa unione scritta dal destino….”
La voce di Archie echeggiò in tutta la  Jolly Roger, riuscendo a raggiungere e ad emozionare ciascun presente, facendo allargare ancor di più lo sguardo sconvolto della Salvatrice.
“Diamo pure inizio alle vostre promesse…” aggiunse, posando lo sguardo sul pirata, il quale sembrava intenzionato a non perdere di vista nemmeno per un secondo lo splendido cigno davanti a lui.
Dal canto suo, Emma non riusciva a ragionare, a pensare; una parte di lei continuava a ripeterle che quello era solo un sogno, uno splendido e agghiacciante sogno non ancora realizzato.
Oh mio dio, dare inizio a cosa? Alle promesse? E lei cosa avrebbe dovuto dire?
Il cuore della giovane Swan stava per esploderle nel petto, arrivando a farle chiudere gli occhi con così tanta forza da chiedersi se fosse mai più stata in grado di riaprirli.
Lei non era pronta a tutto questo; teneva a Killian, certo, teneva a lui più di qualsiasi altra persona avesse mai incontrato nella sua vita e il fatto di trovarsi lì, in abiti da sposa, con un matrimonio che avrebbe fatto impallidire qualsiasi donna non appartenente al mondo delle fiabe, non la stupiva più di tanto; dopotutto, era quasi sicura di amarlo. Oh….aveva davvero pensato a quella parola? Aveva davvero pensato a quella parole di cinque lettere?!
Evidentemente sì…ovvio che l’aveva pensata, la pensava da tempo e non doveva essere proprio quello a sconvolgerla; ma, nonostante ciò, lei…non era pronta. Non gli aveva ancora detto cosa provava per lui e nemmeno il pirata, nonostante i suoi mille occhi languidi e gli “amore” e “tesoro” che buttava qui e là quando si rivolgeva a lei, e non solo, non le aveva mai detto con chiarezza cosa provasse, quali sentimenti muovessero il suo cuore.
Lei, la Emma del passato, non doveva essere lì, non ora, non in quel momento.
“Puoi riaprire gli occhi ora…”
Un’improvvisa voce, candida e familiare, la fece voltare di scatto alla sua destra, scoprendo felicemente di riuscire ancora a controllare il movimento delle palpebre.
“E….Eva?!”
“Ti ho vista in difficoltà…!”
La piccoletta, con lo stesso abito blu cobalto con cui l’aveva vista le altre volte e che non smetteva di caderle poco più su delle caviglie, se ne stava seduta, decisamente a proprio agio, sopra al cornicione della Jolly Roger, a qualche metro di distanza dalla cerimonia e dal resto degli invitati.
“E tu da dove sbuchi?” chiese Emma, colta alla sprovvista da quell’improvvisa apparizione della piccola.
Velocemente, la donna abbassò lo sguardo su di sé, ritrovandosi ad emettere un respiro di sollievo nel constatare di indossare nuovamente i suoi consueti abiti civili. Un solo secondo in quella situazione e avrebbe probabilmente mandato tutto all’aria.
“Shhh….è la parte che preferisco…” esclamò la piccola, mettendo il piccolo indice della mano destra davanti alla bocca, con lo sguardo fisso nella scena che continuava a svolgersi davanti a loro.
Lentamente, la bionda seguì la direzione presa dallo sguardo della figlia, ritrovandosi ad osservare nuovamente il suo matrimonio dall’esterno. Tutti se ne stavano in silenzio, alcuni con le lacrime agli occhi, altri con un sorriso smagliante dipinto sul volto.
La sua versione in abito bianco appariva a proprio agio, emozionata certo, ma visibilmente felice di trovarsi su quella nave, attorniata dalle persone che amava e in attesa che l’uomo di fronte a lei iniziasse a parlare.
Anche Killian, nonostante le spalle rigide e la mascella leggermente serrata, sembrava vivere un sogno da tanto i suoi occhi apparivano blu, più blu delle acque che li circondava.
“Emma Swan…ricordo ogni istante del nostro primo incontro…anche se, forse, dovrei dire dei nostri primi incontri!” cominciò a parlare il pirata, perso nello sguardo innamorato della donna dagli splendidi capelli chiari “…non c’è stato momento in cui non mi sia sentito legato a te, nella Foresta Incantata, nell’Isola Che Non C’è…a Storybrooke. Ovunque vada…e in qualsiasi tempo mi trovi, la mia anima è sempre stata legata alla tua…Sei riuscita a portare la luce nella mia vita…e a fare di me un uomo nuovo…non più un semplice sopravvissuto…ma l’eroe che ho sempre desiderato essere con mio fratello….Sei il mio lieto fine Emma Swan…”
La voce del pirata, solitamente sicura di sé, divenne via via più incrinata ed emozionata, rendendo quel momento qualcosa di così toccante da risultare quasi irreale.
Emma, accanto alla piccola ancora seduta sopra al cornicione, sentì a malapena la lacrima salata rigarle il volto, troppo impegnata a focalizzare quell’immagine nel suo cuore; troppo impegnata a ridurre l’improvviso tremore alle mani.
“…perciò….io Killian Jones, prendo te Emma Swan, come mia sposa. Prometto di esserti sempre accanto, nella luce e nell’oscurità…nelle crisi “ sorrise “…e nella serenità…amandoti e onorandoti per il resto della mia vita…e oltre!”
Con la mascella indurita dallo sforzo di mantenere una certa compostezza, Killian indugiò sulle labbra della donna di fronte a lui, in attesa di vederle muovere al di là del dolce sorriso che, delicato, si dipinse su di esse.
“Killian Jones…ricordo ancora il giorno in cui mi hai detto che avresti vinto il mio cuore perché sarei stata io a volerlo. Bè…avevi ragione. La nostra storia non è stata facile, hai combattuto per me e con me fino alle fine…mi hai rincorso nel passato, hai sacrificato la tua vita per me e la mia famiglia…e, soprattutto, mi hai riportato a casa. Mi hai riportato a casa quando nulla ti obbligava a farlo, quando la mia famiglia, o meglio…la nostra famiglia…aveva bisogno di me. Mi hai riportato a casa quando non volevo ammettere chi ero….e mi hai riportato a casa quando l’oscurità aveva completamente invaso il mio cuore…”
Nell’ascoltare quelle ultime parole Emma corrugò lievemente la fronte, non riuscendo a fare a meno di coglierne il reale significato.
“…mi sono sempre chiesta come riuscissi a farlo, come riuscissi ogni volta a trovare la via. Ma adesso…ho trovato la risposta. Riesci sempre a portarmi a casa….perché sei tu la mia casa Killian. È da te che voglio tornare tutte le volte…”
Con gli occhi velati dalla lacrime, Emma deviò lo sguardo da quella scena, posandosi a sua volta sul cornicione della nave, impossibilitata a muovere nuovamente il volto.
“Scusa se ti ho allontanata da lì…ma non sembravi molto a tuo agio…”
“C..come fai a controllare tutto questo?”
“Io non lo controllo…” le rispose la piccola, facendo oscillare i piedini su e giù, come se si trovasse sopra ad un’altalena, tenendo lo sguardo dritto davanti a sé “…io sono qui e basta!”
Con estrema lentezza, Emma si staccò dal legno della nave, mettendosi in piedi di fronte alla figlia, la quale non perse tempo ad incatenare il suo sguardo con quello della madre.
“Devo capire…non posso continuare a venire qui senza conoscerne il motivo. Perché sono qui?...perché mi fai vedere i tuoi ricordi?”
“Ma questi…non sono i miei ricordi…” rispose innocente la bambina “…io non c’ero al vostro matrimonio…”
“Forse non in diretta ma…”
“Nascerò tra molto tempo se e quello che vuoi dire…”
“oh…o…ok!” balbettò la giovane Swan, posando un veloce sguardo alle sue spalle “…ma allora perché sono qui. Cosa sono questi sogni?”
“Dei ricordi…”
“I ricordi di chi?!” chiese la donna, con la fronte corrugata e la voce nervosa.
“Di chi è presente no?!”
“Ma in tutti i sogni ci sei tu…è te che vedo tutte le volte. Sei sempre qui, piccola, grande…sei ovunque…”
“Non è vero…io vedo sempre te in questi sogni. Quand’eravamo nella casa la prima volta…quando sei morta…quando Regina mi insegnava la magia…Tu ci sei sempre…”
“È impossibile… vedo chiaramente te…anche adesso…”
“Non è vero…io vedo chiaramente te...…”
“No io c…”
Improvvisamente Emma si fermò di colpo, colpita da una rivelazione che mai avrebbe pensato di comprendere.
“Ci siamo…entrambe…” sussurrò la bionda, quasi impercettibile perfino per la piccola davanti a lei.
“Come?” chiese la bambina, con sguardo curioso.
“Siamo qui…entrambe. Anche la prima volta…tu eri in quella cosa, ma non eri sola. Io ero già lì…ero con te…e sono stata proprio io a farmi sbattere addosso a quel muro in ospedale…” ragionò Emma, con lo sguardo perso, sordo agli applausi che, improvvisamente, esplosero alle sue spalle “…questo non è un tuo ricordo…”
“No…infatti!”
“Questi sono…i nostri ricordi! Il momento con Regina e Tremotino…era un tuo ricordo…Questo, però…questo è un momento che vivrò io, non tu…” esclamò a voce più alta, posando lo sguardo sul volto delicato della piccola, dai cui occhi verdi traspariva tutta l’innocenza di cui ancora era portatrice “…ma com’è possibile?!”
“Io…non lo so…ma è bello essere qui” esclamò Eva, sorridendo alla madre e spostando nuovamente lo sguardo verso i genitori ormai sposati.
“Dev’esserci qualcosa che ha fatto scattare tutto questo…”
Assorta in quel groviglio di pensieri, Emma alzò a sua volta lo sguardo in direzione del matrimonio, accorgendosi solo in quel momento di tutti quei volti rivolti verso di lei e la figlia.
Ogni persona, ogni invitato presente su quel veliero, aveva lo sguardo fisso, puntato su di loro. Nessuno sorrideva, nessuno sembrava in grado di muovere un solo muscolo, come congelati dal potere di Elsa, la cara amica che, in più di un’occasione si era ritrovata a ricercare tra la folla.
Un improvviso silenzio sordo, simile a quello avvertito al suo arrivo in quell’universo parallelo, scese all’interno della Jolly Roger, riuscendo a far scordare alla Salvatrice di essere dinanzi al suo matrimonio.
“Che succede…” si chiese, facendo un passo avanti e non stupendosi affatto nel constatare di non avere più la piccola dai capelli castani alle sue spalle; le fughe improvvise erano il suo forte, non c’era che dire.
Con fare coraggioso, come era solita muoversi in quelle occasioni, la ex cacciatrice di taglie fece un passo in avanti, stringendo forte le mani a pugno, le cui nocche divennero via via sempre più chiare.
In tutta quella immobilità, fu impossibile non accorgersi del gesto di Killian, ancora in piedi su quella sorta di altare, con le mani, intrecciate alle sue, arricchite da un anello chiaro simbolo della loro unione.
Il pirata le stava parlando, o meglio stava cercando di dirle qualcosa, qualcosa di inudibile, persino in quel silenzio agghiacciante.
Il tentativo della Salvatrice di compiere un passo verso l’uomo incontrò improvvisamente l’ostinazione di una forza invisibile, la quale sembrava essere riuscita ad inchiodarla alle assi di legno incantato della nave.
Aveva già detto di odiare quel suo essere usata come un burattino, vero?
“Non ti sento!” urlò di rimando Emma, i cui tentativi di liberazione cadevano miseramente nel vuoto.
Killian però continuava a parlarle, come convinto di poter essere udito dalla donna, fino a quel momento ignorata da ciascun invitato.
“Do…tu…co…..na”
“Che cosa?” urlò nuovamente Emma, stanca di quella situazione.
“La tu…..co……ana….do……”
Sciogliendo le spalle, come in prossimità di un lancio da cui sarebbe dipesa la vittoria di una squadra, la giovane Swan stese entrambe le braccia, cercando di concentrare il suo potere su di sé, sperando che almeno quel tentativo rappresentasse una via di fuga da quell’improvvisa immobilità.
“Dai dai….forza…”
“EMMA!”
Concentrata nella gestione della sua magia, la quale pareva non volersi esternare, la bionda alzò di scatto la testa, colpita nell’udire con tanta chiarezza la voce del giovane Jones, ancora lontano dal punto in cui si trovava lei.
“Emma..”
“Killian…”
“Dov’è?”
“Dov’è cosa?!” si chiese la donna, posando in rassegna i volti congelati delle persone davanti a lei, immobili e con il volto ancora rivolto verso di lei.
“La tua collana…”
“La mia...”
Colta impreparata di fronte a quella domanda, Emma abbassò lo sguardo su di sé, alla ricerca di quel piccolo ciondolo che, fino a quel momento, non aveva mai avuto il bisogno di toccare.
Gli eventi, però, decisero ancora per lei e, prima ancora che i suoi occhi e le sue dita riuscissero a posarsi sull’esatto punto in cui avrebbe dovuto trovarsi l’oggetto, un improvviso capogiro le invase la mente, rendendo tutto rumoroso, tutto silenzioso.
La fine di un sogno.
 
 
***
 
“Swan…è inutile che ci mettiamo a guardare questo Netflix se poi ti addormenti tutte le volte…”
La voce di Killian? Di nuovo; era così bella, rassicurante. Ma di cosa stava parlando? Netflix?...no, le aveva chiesto qualcos’altro. Già, ma cosa?
Perché aveva la sensazione di essere stesa? Non erano sulla Jolly Roger? Ma allora perché aveva la sensazione di avere la testa posata sopra ad un morbido cuscino?
 “…che poi non capisco perché questa principessa Leila si sia innamorata di Ian Solo….quando arriva il principe Charles?” continuò il pirata, la cui bocca corrucciata riusciva a mettere maggiormente in risalto la piccola cicatrice presente nella parte destra del suo volto.
Incuriosita da quelle parole, apparentemente prive di senso, Emma schiuse leggermente gli occhi verdi, intravedendo alcuni tratti di ciò che, in quel momento la circondava.
Carta da parati floreale. Porte in legno scuro. La rappresentazione di un gatto in porcellana, in pieno stile nonna. Dov’erano finiti gli invitati? E la nave? Era sicura di aver ritrovato la Jolly Roger; sicura di aver visto Tremotino al suo m…
Di scatto la giovane Swan sbarrò lo sguardo, mettendosi a sedere e controllando ogni minimo oggetto presente nella stanza. Non era sulla nave di Uncino, niente affatto; lei era a casa, o meglio, era ritornata nella camera di Granny, dove evidentemente aveva finito con l’addormentarsi, finendo nuovamente all’interno di quei viaggi atemporali.
“Ehi Swan…tutto bene?!” preoccupato dall’improvvisa reazione della donna stesa al suo fianco, Killian le sfiorò il volto con la mano destra, consapevole di doverle lasciare il tempo necessario per riprendere coscienza di dove si trovasse “…hai fatto un altro incubo?”
Un incubo? Era stato un incubo quello a che aveva appena assistito?
La mia anima è sempre stata legata alla tua
Quelle parole…
Sei il mio lieto fine Emma Swan…
Perché sei tu la mia casa Killian!
“N…no…” rispose la Salvatrice, ritrovandosi a cingere, a sua volta, il volto del pirata, appoggiando la fronte sulla sua, in un gesto così significativo da far accelerare il cuore del giovane Jones.
In silenzio e con un improvviso nodo alla gola, Emma non riuscì a controllare la debole lacrima che, incurante del momento, decise nuovamente di rigarle il volto, come aveva fatto poco prima sul cornicione della Jolly Roger.
E in quel momento, col sottofondo della Principessa Leila che svelava i suoi sentimenti al coraggioso Ian Solo, Emma rispose alla domanda del pirata.
“Ho fatto un sogno…”
E lo baciò, come forse non aveva mai fatto in tutta la sua vita.
 
 
 
 
 
 
 
 
Vi avevo o no promesso un momento Captain Swan??? Eccolo qua :))
Lo so…un po’ lunghino; in realtà avrebbe dovuto essere una scena più contenuta, al massimo un paragrafo (pagina più, pagina meno) ma, alla fine, mi sono ritrovata a far ruotare quasi tutto il capitolo su di essa; diciamo che mi sono fatta prendere un po’ la mano….ma credetemi, è stato più forte di me. Ho sempre desiderato scrivere qualcosa sul loro matrimonio e più pensavo a quel momento e più volevo descrivere nei minimi dettagli quello che accadeva. A dirvela tutta, avrei voluto scrivere molto di più, focalizzarmi anche sul ricevimento e sul modo in cui Killian ed Emma si baciano come si deve….ma mi sono dovuta trattenere (chissà…forse un giorno scriverò una one-shot su questo momento…senza bisogno di limiti!!!! XD).
Spero vi sia piaciuta e che nessuno di voi sia stato…come dire…deluso! Forse qualcuno si aspettava qualcosa di diverso….ma, ovviamente, questo non sarà l’unico momento dedicato ai nostri due eroi (cavolo….è un piacere scrivere di loro…è come una droga XD) e la prossima volta cercherò di accontentare qualcun altro :P
Come ho fatto l’altra volta, vi metto il link della canzone che mi ha ispirata nella stesura delle promesse fatte da Killian ed Emma; non sono stata molto originale in proposito…infatti si tratta della canzone che fa da sfondo al matrimonio di Belle&Tremotino e, in particolar modo, al primo vero bacio tra Emma e Killian; ma a chi andasse di leggersi la scena con tanto di sottofondo…eccola qui:
 
https://www.youtube.com/watch?v=NpeX62gjNCs
 
Nel prossimo capitolo mi focalizzerò di più sulla nostra Eva….ovviamente avrete notato che non ho presentato Jake come vi avevo anticipato (tutta colpa del matrimonio del secolo XD) ma nel prossimo rimedierò promesso, anche perché…non vedo l’ora.
Ad ogni modo (cavolo mi sto dilungando un sacco…scusate) in questo capitolo è stato rivelato qualcosa di importante riguardo al perché Emma faccia questi sogni….e nel prossimo la cosa verrà svelata con più chiarezza.
Che altro dire…GRAZIE per chi continua a seguirmi e a sostenermi di continuo. Siete una vera forza e non riesco più a trovare le parole per ringraziarvi per tutto quello che fate!!!
Come sapete, ci tengo a ringraziare chi spende parte del suo tempo per lasciarmi una recensione…non avete idea di come mi brillino gli occhi quando mi arriva la mail per informarmi che ho un nuovo commento…gli occhi a cuore mi fanno un baffo XD
Quindi grazie a: Julia_Greenshade, Luana43, Kerri, Sere2897, yurohookemma e ornylumi!!!!!!
E, ovviamente, grazie di cuore anche chi ha semplicemente letto e non ha potuto recensire e a chi continua ad inserire la storia tra le varie categorie; questa ff significa tantissimo per me, ci sono così affezionata che non vi dico quanto mi renda felice sapere che continuate a leggerla, nonostante i mille impegni e nonostante il sole estivo!!!!!
Ok…mi fermo altrimenti non vi mollo più!!!!
Grazie ancora!!!
A presto (non dico più niente sui miei ritardi perché mi porto sfiga da sola…provo a stare zitta e se aggiorno prima delle due settimane allora vuol dire che avevo ragione XD!!!!)
Un abbraccio forte ♥
Erin
 
 
Ps: Scusate i possibili orrori ortografici!!!!
 
Pps: Non so se ne posso parlarne qui (non sono ancora un’esperta di EFP), nel caso tolgo tutto…..ma volevo ringraziare Kerri per esseri imbarcata con me in un nuovo esperimento, ovvero la creazione di una ff a quattro mani “I CAN’T LOSE YOU”. Mi rendo conto che scrivere ff su questa meravigliosa serie tv crea dipendenza :)
Ma almeno arriveremo un po’ più sane a settembre…almeno si spera :P
 
 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Seduta a terra, a casa di Biancaneve, Eva si ritrovò a fissare il volto del fratello, intento anima e corpo a trovare qualche informazione riguardante la famosa Excalibur. Cosa potesse esserci in quelle immagini in grado di rivelarle uno dei misteri più antichi del mondo, proprio non riusciva a capirlo, o per lo meno a coglierlo; ma poco importava, come aveva detto suo padre, Henry era l’unico in grado di aiutarla, versione del passato o del futuro che fosse. E ora che era lì, insieme a lui, tutto sembrava più facile.
Aveva dimenticato quanto fossero piacevoli le serate insieme ad Henry; certo, era strano vederlo così giovane e senza quell’aria da guerriero che, per quanto ne sapeva, lo aveva caratterizzato da sempre. Se sua madre e Regina avessero avuto anche solo la minima idea dell’uomo che sarebbe diventato, probabilmente avrebbero finito per non crederle, troppo abituate a quello sguardo dolce e innocente per immaginarlo diversamente. C’era una cosa che, però, doveva ammettere non era mai cambiata: gli stessi, intesi, occhi verdi, così sinceri e fiduciosi da dare la sensazione che niente e nessuno potesse distruggere la loro famiglia, gli unici e veri eroi.  
Eroi e famiglia. Se solo qualche giorno fa avesse anche solo avvertito l’insinuarsi nella sua mente di uno di quei termini avrebbe cominciato a dare di matto, obbligando il suo cuore ad eclissare qualsiasi genere di sentimento, di emozione, di ricordo. Avrebbe iniziato a desiderare di strappare cuori alla gente, come del resto aveva fatto, rimanendosene da sola in qualche luogo nascosto della città.
Ed ora, invece, eccola lì, insieme al suo caro fratello maggiore, nel suo mondo disperso chissà dove, a godersi una cena a base di hamburger e patatine, mentre i suoi genitori se ne stavano in giro a flirtare come due ragazzini. 
All’inizio, vederli insieme era stato strano. I ricordi legati alla sua vita ancora “perfetta”, se così la si voleva chiamare, erano pian piano svaniti nel tempo, come quelli legati ai suoi genitori sposati, innamorati e felici come forse mai li aveva visti; presto, infatti, i bei ricordi vennero surclassati dalle continue perdite e dal sangue versato dalle persone che tanto aveva amato, lasciandole quel pesante senso di amarezza e oscurità che da tempo, oramai, sentiva far parte di lei. Era doloroso ricordare, lo sapeva bene e da tempo aveva affinato la sua ricerca per limitare i danni di un simile processo.
Nonostante ciò, però, i bei ricordi della sua infanzia non erano del tutto svaniti e ancora oggi, anche mentre se ne stava stesa a terra accanto al fratello, erano gli unici in grado di infonderle la forza necessaria per trovare la speranza di andare avanti.
La speranza. Era curioso, non pensava più alla speranza di farcela da quando Jake…
Scuotendo velocemente la testa, Eva scacciò quel doloroso pensiero dalla mente, difendendo con tutta se stessa il cuore dall’ennesima crepa legata a quel momento.
Dopo che gli altri avevano bevuto la pozione della memoria, Eva aveva temuto che di lì a poco sarebbe scattato l’interrogatorio su cosa li aspettasse nel quasi immediato futuro; soprattutto da parte di Regina, la più agitata a riguardo; dopotutto come biasimarla, da quanto aveva saputo, in quel momento Robin se ne stava fuori da Storybrooke, con sua moglie e suo figlio. Logorante, a dir poco logorante.
Lo sguardo della donna, così diverso da quello a cui era abituata, le aveva lasciato uno strano vuoto dentro; c’era qualcosa di Jake in quel modo di sfidare e imporsi su chi aveva davanti. Da quanto ne sapeva, Regina era sempre stata una persona in costante competizione con il suo lato più oscuro ed era proprio questa sua caratteristica, questa sua lotta con la parte peggiore di sé a renderla una persona tanto speciale. Troppo facile amare chi aveva una personalità fatta quasi completamente di luce; erano le persone con una parte invisibile, con una parte simile alla luna, a dare le emozioni più belle.
Ad ogni modo, neppure Regina si era ancora presentata davanti alla porta per riempirla di domande e nemmeno Biancaneve e il Principe, intenti al piano di sopra a far addormentare lo zio Neal, parevano così’ in ansia riguardo ciò che li attendeva.
Un delicato sorriso, così’ genuino da coinvolgere i grandi occhi verdi della ragazza, le si dipinse sul volto pallido. Le stavano lasciando il tempo che le serviva. Come se, a modo loro, capissero quanto facesse male, quanto dolore riuscisse ad arrecare un semplice ricordo.
Purtroppo, però, se c’era una cosa che aveva imparato da suo padre era che i ricordi trovavano sempre il modo di farsi strada nella vita di ognuno, decidendo con determinazione il momento meno adatto per presentarsi. Ancora e ancora. Senza tatto, senza preoccupazione.
Alcuni avevano bisogno di un profumo per arrivare, altri del suono di una voce.
Ma poi c’erano i più pesanti, quelli legati alle persone più importanti, quelli agganciati al loro animo, che non avevano bisogno di nessun biglietto da visita o di alcun permesso per giungere a destinazione.
Loro arrivavano e basta.
E, a te, non rimaneva altro da fare che guardarli passare e sperare di riuscire ancora a respirare; anche dopo una nuova crepa sul cuore.
 
 
 
Foresta Incantata
 
“Non posso credere tu lo stia facendo!”
“Facendo cosa?”
La voci dell’ex Capitano della Jolly Roger e della giovane ragazza al suo fianco, sembravano rappresentare l’unica avvisaglia di umanità in quel bosco illuminato dai raggi del sole, attraversato da una leggera brezza che, nelle ultime settimane caratterizzava le prime ore del mattino.
Erano trascorsi diversi giorni dalla loro ultima fuga da uno degli innumerevoli attacchi da parte dei servi di Morgana ed ora, dopo aver attraversato miglia e miglia di terre incolte, i loro abiti avevano le fattezze di stracci di poco valore, sporchi e logori dalle intemperie a cui erano stati sottoposti.
“Abbandonarmi….” rispose secca Eva, seguendo il passo sicuro del genitore, a pochi passi davanti a lei.
“Smettila Eva…non ti sto abbandonando!” le rispose il padre, bloccandosi di colpo e lanciandole un’occhiata più che significativa.
“Ah no?...lasciarmi in mezzo ad un bosco con gente che nemmeno conosco non è un abbandono di minore?!” continuò la giovane con tono tagliante, fermandosi a sua volta e mettendo le mani sopra ai fianchi, in un gesto così fiero e altezzoso da lasciare poco spazio alla fantasia di chi fossero i suoi genitori.
Emettendo un sospiro trattenuto, Killian si avvicinò alla figlia, incrociando entrambe le braccia al petto e guardandola con un cipiglio che, un tempo, avrebbe riservato solo alla madre della ragazza; l’unica in grado di mozzargli ancora il respiro, anche solo con un semplice ricordo.
“Fare l’adolescente in crisi non ti servirà a molto!”
“Tu dici?”
“Sì…lo dico eccome!” le tenne testa il genitore, lanciandole un sorriso sghembo che, per poco, non riuscì a contagiarla.
“Ho sedici anni…ho tutto il diritto di fare l’adolescente in crisi. Soprattutto se mio padre vuole partire e lasciarmi in un bosco dimenticato da tutti!”
“Dimenticato pure da Morgana…non mi sembra così male!”
“Avevi detto che non mi avresti mai lasciata…” esclamò seria la giovane, inchiodando il capitano con i suoi penetranti e familiari occhi verde prato “...ma vedo che il lato pirata fatica a mantenere le promesse!”
Non lasciando al padre il tempo di rispondere, Eva lo oltrepassò, continuando quella sorta di spedizione a cui era stata sottoposta, decisamente contro la sua volontà.
Se c’era una cosa che odiava sopra ogni cosa era quella di rimanere indietro. Era stata lasciata indietro così tante volte nella sua vita da aver perso il conto: quando sua madre aveva deciso di scontrarsi con Morgana, sapendo di andare incontro a morte certa; quando tutti avevano fatto ritorno nella Foresta Incantata, senza preoccuparsi di sapere come stessero lei e il resto della sua famiglia; quando Henry era partito per creare la resistenza contro quella maledetta strega. Tutti prendevano la loro decisioni, tutti andavano avanti, senza considerare minimamente le conseguenze su chi avevano accanto.
Ed ora ci si metteva pure suo padre, l’unico che, almeno fino a quel momento, si era dimostrato in grado di capire i suoi sentimenti.
“Ehi…” di scatto, la mano dell’uomo l’afferrò per un polso, bloccando la sua andatura spedita ed obbligandola a volgersi verso di lui “…io mantengo sempre la mia parola!”
“Già…ma non questa volta…” continuò la figlia, con sguardo duro ma leggermente inumidito.
“Anche questa volta!” esclamò il pirata, guardandola dritta negli occhi, con voce seria “…sto mantenendo la promessa di proteggere la mia famiglia. Sono mesi che non abbiamo notizie di Henry…e non possa giorno che io non mi chieda che fine abbia fatto! Devo trovarlo…”
“Andiamo a cercarlo insieme allora…Perché lasciarmi qui?!”
“Perché non posso portarti in una nave, in mezzo al mare, Eva…!” esclamò il pirata, perdendo la pazienza e alzando le braccia al cielo, come se solo quel semplice gesto potesse ridurre l’irritazione del momento “…circondata solo dall’acqua e senza via di fuga. E se Morgana ci attaccasse? Come farei a farti fuggire…ci hai pensato?”
“E se attaccasse te?”
“Non è di me che stiamo parlando…”
“cosa?....è di te invece che stiamo parlando…” continuò la ragazza, pallida e animata da una rabbia così mescolata al dolore da risultare un sentimento tutto nuovo.
“Io me la so cavare Eva…”
“Lo so….ma non sei immortale. Come farei a vivere senza di te, ci hai pensato?” urlò a sua volta la ragazza, stringendo le mani a pugno.
“Non devi neanche pensare ad una cosa del genere. Io non corro i tuoi stessi rischi!”
“Ah no?....strano, avrei detto che il sicario dell’altra sera stesse cercando di staccare la tua di testa, non la mia!”
“Morgana non sta cercando me, tesoro!” sottolineò Jones, guardando la figlia con una consapevolezza così amara da far intristire il suo stesso sguardo, lievemente segnato dall’età.
“Oh…perfetto, allora parti pure da solo!”
“Non sarò da solo…Regina verrà con me!...e non puoi dire che non sia una buona alleata”
Erano trascorse due settimane da quando aveva incontrato l’ex sovrana della Foresta Incantata in quella sporca e umida taverna; anche quel giorno Regina, seppur nascosta da un mantello e vestita di abiti decisamente meno ricercati rispetto a quelli cui si era abituata nella piccola cittadina del Maine, aveva dimostrato di possedere ancora un portamento degno del nome che le era stato dato, il portamento regole di una regnante.
Ma erano anni, ormai, che la donna non indossava una corona, o un tailleur firmato, ed erano ugualmente anni che lui non saliva sulla sua nave, in mare aperto.
Erano cambiati; i due cattivi divenuti eroi erano cambiati enormemente dal loro primo incontro con la Salvatrice; e, oramai, erano quasi divenuti il fantasma del loro stesso passato.
 
Flashback
“Dov’è Eva?” esclamò la donna dai capelli corvini, sedendosi con fare circospetto sulla panchina sudicia della locanda, circondata di voi e risa decisamente troppo alte.
“Fuori…sarà qui a minuti…”
“La lasci gironzolare da sola, con Morgana alle calcagna?!” esclamò Regina, non nascondendo minimamente lo sconcerto.
“Ha sedici anni…è già tanto che mi segua senza fare storie!....Piuttosto, che succede? Avevamo detto niente incontri di gruppo…se quella strega arrivasse in questo momento…!”
“Sono qui per Henry…”
Il semplice nome del ragazzo riuscì a catturare l’attenzione del pirata, il quale si ritrovò a rizzare le spalle, ormai rigide e in allerta fin dalle prime ore del mattino.
“Che vuoi dire?...Henry è con te, all’Alleanza…”
“Sì…o meglio, era così…” spiegò la donna, deglutendo a fatica “…qualche tempo fa, lui e Neal hanno sentito parlare dell’esistenza di un’arma in grado di uccidere Morgana, una spada magica…”
“E da chi hanno avuto questa informazione?” chiese l’uomo, sospettoso.
“Da una fata che avevano salvato e accolto nel loro nascondiglio…una certa Calla!”
“…e che fine ha fatto questa…Calla?”
“È stata trovata morta poco dopo, probabilmente a causa delle ferite riportate in seguito ad uno scontro!” aggiunse Regina, appoggiando i gomiti al tavolo unto e guardando il pirata dritto negli occhi “…ma non è questa la cosa importante. Subito dopo aver saputo di questa spada, Henry non ha più pensato ad altro….ha cominciato a cercare informazioni su di essa come un ossesso, ovviamente seguito a ruota da mio figlio. E….e di punto in bianco ha iniziato a considerare l’idea di partire alla sua ricerca…Non c’era verso per convincerlo del contrario; non ha voluto darmi ascolto, nemmeno a Gretel o a Neal…” continuò la donna, la cui cicatrice sul labbra superiore sembrava spiccare nel lieve bagliore del lume al suo fianco, mettendo lievemente in risalto i segni del tempo ormai visibili anche sul suo volto perfetto “…continuava a dire di dover trovare quell’arma a tutti i costi…diceva che era la nostra unica speranza per uccidere Morgana, che era suo compito partire e che per farlo doveva chiedere aiuto a l’unico in grado di navigare meglio di chiunque altro…suo padre…”
“Ma non è venuto da me…”
“Infatti…ho cominciato a capire che qualcosa era andato storto perché non ti ho visto arrivare…e sapevo per certo che non avresti mai messo Eva in trappola portandola con te…”
“Che sia andato da qualcun altro?” chiese il pirata, sentendo una leggera fitta allo stomaco all’idea che Henry, ormai un uomo, avesse scelto qualcun altro per quella spedizione.
“No…non credo. Neal ha detto che ha fatto precisamente il tuo nome…diceva che solo voi due sapevate dov’era la Jolly Rogger…”
“È così…” confermò Killian, posando lo sguardo cupo sulla debole fiamma posta al centro del tavolo in legno “…da quanto non hai notizie di Henry?”
“Da più di un mese…” sussurrò a fatica la donna “…dobbiamo trovarlo Uncino…”
Fine flashback
 
“Ascolta….non starò via molto…diciamo sei mesi…poi ti prometto che tornerò a prenderti!”
“COSA??? Sei mesi? Sei pazzo?....al massimo due!”
“Cinque!”
“Tre!”
“Quattro…” esclamò il pirata, divertito da quella disputa familiare “e non puoi dire che non sia un buon compromesso!”
Con il volto corrucciato e le labbra serrate come quelle della sua Swan, Eva spostò lo sguardo verso un punto lontano della foresta, come a voler ingoiare quel rospo decisamente troppo amaro.
“Quattro mesi…non uno di più. E se non ti vedo…vengo a cercarti!”
“Ci sto!” le rispose, posando una mano sulla spalla magra della figlia, per poi continuare la camminata fino ad allora interrotta.
“Adesso puoi toglierti quel broncio dalla faccia?”
“Oh non sono arrabbiata…sto solo cercando di conservare l’entusiasmo per il momento in cui saremo arrivati al patibolo!”
“Ci risiamo…”
“Mi porti in mezzo ai ribelli…un padre preoccupato per la propria primogenita non lo farebbe mai, certo…!”
“Sono i ribelli di Henry…”
“Che centra…non conosco nessuno!”
“Non è vero…conosci Neal, Gretel…e il figlio di Regina!”
“Ah che notizia fantastica…” sbottò la figlia, con fare canzonatorio, gesticolando con le mani “…rivedrò il bambino che mi ha tormentato da piccola. Queste sì che sono le gioie della vita!”
“Sono passati dieci anni Eva…nemmeno se ne ricorderà!”
“Io me ne ricordo!”
“Perché sei una donna. Siete rancorose per natura!”
Con quella battuta finale e con uno sbuffo che l’uomo dai capelli scuri fece finta di non udire, i due continuarono il loro viaggio, con passo sostenuto e allenato dalle costanti fughe nel cuore della notte.
Da quando avevano lasciato Storybrooke la vita del pirata e la seconda erede al trono della famiglia Azzurra, come amava definirli Regina, era cambiata in maniera inesorabile. La loro permanenza al castello di Biancaneve e David, o del Principe James a seconda del luogo in cui si trovavano, purtroppo ebbe vita breve; gli artigli di Morgana non tardarono a raggiungerli, sottolineando fin da subito quale fosse lo scopo della Fata Oscura: uccidere Eva. Non era chiaro il perché si accanisse così tanto con lei; ovviamente doveva possedere qualcosa che alla strega serviva più di ogni altra cosa, ma, a distanza di anni nessuno di loro ne era ancora venuto a capo. Ma una cosa era chiara, Morgana voleva Eva.
 In quei dieci anni, però, ogni tentativo di uccidere la giovane Jones aveva finito per fallire, cominciando a dar vita ad un dubbio ben celato nel cuore del pirata. Perché Morgana non riusciva ad uccidere una ragazzina, ma non incontrava nessun tipo di difficoltà con le persone a lei care? Perché Morgana mandava mostri e sicari a ritmi cadenzati addosso alle persone che Eva amava, non dimostrando la stessa cura per loro?
E se l’obiettivo di quella pazza fosse stato un altro? Qualcosa di meno appariscente, ma di altrettanto spregevole e subdolo?
Preoccupato da quei pensieri sempre più sensati, Killian posò lo sguardo sulla ragazzina a pochi metri da lui, intenta a scavalcare un tronco abbattuto, il quale lasciò l’ennesima macchia di terra su quei vestiti ormai logori.
E pensare che il giorno in cui era nata, lui e la madre si erano fatti una promessa precisa, una promessa che ora aveva assunto la stessa pesantezza di un grosso macigno sul cuore, troppo pesante, troppo insostenibile per il suo animo non più giovane come un tempo.
Quella mattina, con quel piccolo esserino tra le braccia, sfinita dal parto, i capelli bagnati dal sudore, ma comunque bella da togliere il fiato, Emma lo aveva guardato dritto negli occhi e gli aveva parlato come solo lei sapeva fare.
Sarà felice…vero?
La bambina più felice del mondo…te lo prometto.
“Ehi papà…guarda chi c’è!” esclamò Eva, il cui entusiasmo non pareva affatto trattenuto.
La figura sicura di Regina, allontanò quei dolorosi pensieri dalla mente del capitano, riportandolo in quella foresta illuminata dal sole. Non era il momento per pensare al passato; o meglio, non era mai il momento di pensare al passato, non quando il futuro continuava ad essere un incubo in piena regola, dove l’unico straccio di luce era rappresentato dalla ragazzina davanti a lui, l’unica cosa rimasta del suo unico e vero amore.
Stringendo la mascella in un gesto da sempre involontario, Killian Jones posò lo sguardo sulla donna apparsa davanti a loro.
Non c’era che dire, l’ex sindaco di Storybrooke sapeva il fatto suo in quanto ad entrate ad effetto; anche con un semplice mantello nero e dei lunghi capelli dello stesso colore, raccolti in una treccia laterale dal quale fuoriuscivano eleganti ciocche lievemente ingrigite dal tempo.
“Regina…” esclamò elettrizzata Eva, cercando di migliorare il suo stato togliendosi un ramo impigliatosi tra i capelli castani.
“Stavo per partire senza di te Uncino!”
“La vedo dura…sono io quello col mezzo di trasporto!” sottolineò Killian, affiancandosi al corpo della figlia.
Alzando gli occhi al cielo di fronte all’ennesima battuta di spirito da parte del pirata, Regina si incamminò verso la parte più fitta del bosco, seguita a ruota dai due arrivati.
“Il posto quanto dista da qui?”
“Non molto…un miglio circa” rispose Regina, senza mai fermarsi “…Sei stanca?” le chiese, visibilmente preoccupata dallo sguardo smunto di Eva.
“No…ho solo un po’ di fame…”
“C’è abbastanza cibo al rifugio…ma per lo più carne secca e latte di capra…”
“Wow…” finse di esultare il pirata, il quale non riusciva più a guardare quella bevanda allo stesso modo, non dopo essersi ritrovato a sorseggiarla come fosse rum in quella sorta di universo alternativo in cui era stato catapultato da Isaac e Gold.
Quanto anni erano passati da allora?
“Niente pancake e cioccolata calda?!”
“No…direi di no!” le rispose Regina, lanciandole un sorriso rattristato.
Sorridendo a sua volta alla donna a pochi passe davanti a lei, Eva non riuscì a fare a meno di provare un leggero senso di nostalgia al ricordo delle prelibatezza del mondo moderno dal quale proveniva.
Anche Regina, dal canto suo, si ritrovò a ritornare con la mente in quella cittadina; erano anni, ormai, che non metteva più piede a Storybrooke, un luogo creato dalla sua stessa maledizione. A discapito di quanto volesse dare a vedere, ancora oggi un’indescrivibile senso di nostalgia si impadroniva di lei ogni qualvolta ci pensasse. Lì era cominciata ogni cosa, lì aveva trovato il suo lieto fine, lì…aveva avuto e perso tutto.
Lì, per la prima volta, si era sentita parte di qualcosa.
Ognuno immerso nei propri pensieri, i tre proseguirono per quasi un’ora, oltrepassando di gran lunga il miglio presagito da Regina.
Il sole continuò ad illuminare il loro percorso, aiutandoli a non inciampare sulle numerosi radici degli alberi, le quali sembravano divertirsi a fuoriuscire dai posti più disparati, col preciso intento di far stramazzare al suolo qualche povero malcapitato. Quel determinato punto della foresta sembrava maggiormente irto di pericoli e trappole di ogni tipo; e, ovviamente, non era un caso che Henry avesse scelto quel punto preciso per dar vita al suo insediamento personale.
Chissà come gli era saltata in mente quella geniale idea. Eva davvero non riusciva a ricordarlo. Forse era stato quella sera a cena, quando i nonni erano ancora vivi e loro potevano lasciarsi proteggere dalle alte mura del castello. Ricordava quelle cene; lei era ancora una bambina, ma non tutti i ricordi legati a quel periodo erano fatti di serenità e ingenuità infantile; ricordava bene il dolore di non sapere dove fosse la mamma, lo sguardo di Henry, della nonna, del nonno; e papà, il suo guerriero, così cupo e solitario; ricordava ancora il suo volto, aveva avuto paura di non sentirlo più ridere, di non vedere più amore nel suo sguardo.
Anche all’epoca, dopotutto, c’erano state poche cose belle; tanta paura, sofferenza, ma la speranza di potercela fare era ancora viva nel cuore di tutti loro.
Almeno fino a quando Morgana non aveva lanciato quell’attacco inaspettato al castello e tutto aveva subito l’ennesimo cambiamento. Era stata l’ultima notte in cui aveva visto James e Biancaneve; l’ultima notte in cui si era sentita una bambina spensierata. Troppe perdite induriscono il cuore e troppo dolore ne causa l’oscurità. Lo sapeva bene e lo sapevano anche Henry e suo padre.
Quella notte, mentre papà era uscito a combattere insieme al nonno, Henry l’aveva portata in salvo, insieme a Neal, e mentre si nascondevano all’interno di un tronco cavo, lui aveva cominciato a raccontarle di come un giorno i loro genitori fossero finiti indietro nel tempo, di come la mamma avesse finto di chiamarsi Leila, come la principessa di Guerre Stellari e dell’avventura in cui si era imbattuti, finita con papà che dava un pugno a se stesso, divorato dalla gelosia. Non fu quel preciso particolare ad interromperlo, però; no, era stato qualcos’altro. Improvvisamente, Henry si era fatto serio, fissando un punto imprecisato del bosco buio.
Pochi giorni dopo, durante uno dei loro primi spostamenti senza fissa dimora, Henry aveva spiegato a papà che voleva organizzare una resistenza e che l’avrebbe chiamata l’Alleanza. Quel giorno papà sorrise; fu un sorriso triste, ma comunque il primo dopo tanto tempo.
“Siamo arrivati!” esclamò improvvisamente Regina, arrestando la sua andatura.
“Ma io…non vedo niente!” osservò Eva, guardandosi attorno e non riuscendo a notare niente di più che rami, alberi e foglie.
“Mi fa piacere…vuol dire che l’incantesimo dell’apparenza è riuscito!”
Con un sicuro gesto della mano, Regina fece abbassare le invisibili difese magiche, le quali, dopo un leggero tremolio, resero palese cosa vi fosse al di là di un apparentemente comune ruscello d’acqua.
“Oh….”
Rimasta senza parole, Eva fece un piccolo passo avanti, sconcertata dal numero di persone apparso improvvisamente davanti ai suoi occhi. Con la gola secca e lo stomaco vuoto, Eva non espresse una sola parola. Solo occhi sgranati e mani stese lungo i fianchi, impossibilitata ad emettere una sola sillaba.
Henry aveva creato tutto quello?!
Con la sua tenacia, con la sua costante ed indistruttibile voglia di vivere, radicata non solo nel suo cuore ma nel suo stesso puro e coraggioso animo, quello splendido uomo aveva dato vita a qualcosa che in tutti quegli anni sembrava essere svanita nel nulla. La speranza.
Giovani. Vecchi. Bambini.  In quella sorta di riserva sembrava essersi raggruppata tutta la gente sopravvissuta allo sterminio della strega. Come c’era riuscito?
“Da questa parte…” esclamò improvvisamente la voce di Regina “Eva…vorrei poterti mostrare qualcosa di più, ma…”
“Dovete partire….” l’anticipò la ragazza, guardandola dritta in quei profondi occhi scuri.
Limitandosi ad un leggero gesto del capo, Regina si incamminò verso una zona più intera della radura, seguita a ruota dai due nuovi arrivati.
Mentre camminavano, attorniati dai mormorii curiosi e dalle occhiate indagatrici di chi incontravano nei loro passi, Killian cinse le spalle della figlia, riservandole un’occhiata carica di un significato che solo lei avrebbe saputo cogliere. Era la prima volta che prendevano strade diverse, la prima volta che ognuno di loro avrebbe dovuto badare a se stesso, senza contare sulla costante presenza dell’altro. Qualcosa che nessuno dei due avrebbe mai creduto possibile.
Cercando in tutti i modi di non lasciar trasparire alcuna emozione da quel suo volto delineato, Eva lasciò vagare lo sguardo in ciò che l’attorniava. Quel luogo sembrava l’esatta riproduzione del paradiso. Lo scrosciare dell’acqua, il frusciare delle foglie, l’impossibile e irriproducibile suono emesso dai raggi del sole.
Era tutto perfetto, se non fosse stata per l’assenza di qualcosa; qualcosa che sua nonna le aveva insegnato a riconoscere ed amare in ogni luogo.
“Tutto bene, tesoro?
“Come?...” esclamò Eva, riscossa della voce del padre.
“Ti vedo pensierosa…O meglio…più pensierosa di quanto una persona dovrebbe essere pensierosa in un momento pensieroso come questo!”
“Chiaro!” rispose la figlia, la quale non riuscì minimamente a contenere un delicato sorriso a fior di labbra “….stavo notando una cosa…”
“Che cosa?”
“Non ci sono uccelli…”
“Hai ragione…”
“…è strano…”
“Già…” concordò il pirata, alzando un sopracciglio e guardandosi intorno, come alla ricerca di una spiegazione abbastanza plausibile a quell’osservazione da parte della figlia.
“Eccoci arrivati!”
La voce perentoria di Regina interruppe il dialogo tra i due Jones, obbligandoli a concentrare la loro attenzione su qualcosa di molto più amaro della presenza o meno degli uccelli nel bosco: la loro partenza.
“Qui è dove dormo io…” disse Regina, indicandole una capanna in legno decisamente lontana dal lusso a cui era abituata anni prima, sia come sovrana della Foresta Incantata, che come sindaco di Storybrooke “…puoi rimanerci tu, fino al nostro ritorno…”
“Ok…” si limitò a dire Eva, stringendosi in quelle strette spalle, fasciate da un gilet in cuoio marrone e da una maglia verde, in tessuto leggero, simile al cotone.
“Ci sono un paio di cose che devi sapere dell’Alleanza..e mi dispiace non essere io a spiegartele…soprattutto conoscendo il tuo caratterino!” sottolineò la mora, lanciandole un sorriso affettuoso.
A quanto risultava, quella sorta di riserva vantava un tenore di vita di quasi sei anni e, a seconda di qualcuno, era tutto merito delle regole che, chi l’aveva fondata, si era assicurato di divulgare, con estrema accuratezza era il caso di dire.
Ragione per cui, tali regole andavano assolutamente rispettate, pena l’esilio dall’Alleanza.
Sarebbe stato un ragazzetto di sì e no vent’anni, apparso da chissà dove, ad assicurarsi che Eva avesse ben chiare quali fossero tali regole, e il cipiglio con cui la guardava pareva dirla lunga su cosa pensasse di lei; sembrava quasi dire “ehi, alla prima trasgressione te ne vai…non ci importa chi sia tuo fratello!”.
- Come se ci io ci tenga a rimanere…- pensò scontrosa Eva, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Uncino, il quale pareva persino in grado di leggere all’interno della sua mente adolescenziale, come la chiamava lui.
Senza dire altro, Regina si allontanò, seguita dal ragazzo dai capelli rossi, con la scusa di dover confrontarsi con suo figlio prima di andare, lasciando così ad Uncino la possibilità di scambiare due parole con Eva.
“Ci vediamo presto…”
“Quattro mesi, poi…”
“Poi vieni a cercarmi…lo so!” l’anticipò Killian, guardandola con occhi così carichi d’amore da far pizzicare nuovamente le iridi verdi alla figlia.
Non dissero nulla di più. Dopotutto, in un momento come quello, cosa andava detto che non apparisse troppo simile ad un addio? Loro non si sarebbero detti addio, mai e poi mai. Neanche quando la situazione fosse sembrata persa, neanche quando il più piccolo spiraglio di speranza che l’altro fosse vivo si fosse spento come un fiammifero a contatto con l’acqua. Non fino a quando il loro cuore avesse avvertito che l’altro non se ne era andato. Non fino a quel momento.
Perché lei, suo padre ed Henry erano legati; lo sentiva con ogni fibra del suo essere. Ecco perché Killian partiva, perché Henry era vivo, lo sentiva, e andava riportato a casa.
Così, dopo un abbraccio a Killian, che sembrò durare troppo poco, e una stretta da parte di Regina, Eva guardò le due figure allontanarsi da lei in sella a due cavalli, marrone per il pirata, nero per l’ex sovrana del regno.
Non seppe dire per quanto tempo rimase ferma in quella posizione, con solo i lunghi capelli mossi dal vento e le mani strette in una morsa così salda da far impallidire le nocche biancastre.
“Ehi mezza pirata…” la riscosse la voce del ragazzo presentatole poco prima, alle sue spalle “…ti stavo cercando!”
“Sì…Jabba!” gli rispose la giovane Jones, lanciandogli un sorriso così freddo ed esteso da lasciarlo senza parole.
“Ja che?!”
“Lascia perdere!” tagliò corto la ragazza, mettendo le mani sui fianchi e lasciando svanire il falso sorriso di poco prima.
“D…devo elencarti le regole!”
“Cosa? Devi?...perchè devi?”
“Perché mi è stato ordinato di farlo!” rispose ovvio il giovane, guardandola con sguardo irritato.
Ordinato? Ma sei o non sei un ribelle?” chiese Eva, cominciando ad allontanarsi dal ragazzo dai vistosi capelli ricci e rossi, il quale si ritrovò a rincorrerla, affaticato dal passo svelto con il quale doveva, ovviamente, essere distanziato.
“Certo che lo sono!”
“E i ribelli si fanno dare ordini da qualcuno? Non dovresti essere insofferente a qualsiasi tipo di autorità, sottomissione e imposizione?” continuò Eva con tono convinto, senza fermarsi neanche per un secondo a controllare che il ragazzo fosse dietro di lei
Dopotutto che bisogno c’era, il fiato corto che usciva dai suoi polmoni avrebbe allarmato qualsiasi animale a distanza di chilometri, se solo ce ne fossero stati.
“C…ce….certo!”
“E allora perché ti fai dare ordini?”
“Io…”
Sconcertato da quella parlantina e da quella sicurezza, il rosso si ritrovò a corrugare la fronte, come alla ricerca di una spiegazione abbastanza soddisfacente da zittire quella ragazzina decisamente troppo saccente.
“Ehi…fermati!” urlò a pieni polmoni il giovane, appoggiando le mani sulle ginocchia e respirando a pieni polmoni tutto l’ossigeno che il suo corpo fosse stato in grado di inalare in quel momento.
L’attività fisica non era di certo il suo forte, quello era ovvio
Quassi impietosita da quel volto arrossato e dalla fatica che fuoriusciva da ogni poro sudato di quel corpo rotondo, Eva si fermò, incrociando le braccia al petto.
“Che vuoi?!”
“Me l’aveva detto di stare attento con te…” borbottò il pel di carota, più rivolto a se stesso che alla ragazza di fronte a lui, lasciando defluire un pirata, sussurrato a denti stretti.
“Chi ti ha detto cosa?!”
“Il nostro vice…mi aveva avvertito che non mi avresti dato ascolto!”
“Il tuo vice è una persona intelligente…” esclamò, fingendo una tono colpito e lasciando oltrepassare la velata offesa alla categoria dei pirati, di cui lei, purtroppo, non faceva parte “…quindi vedi di lasciarmi in pace!”
Senza aspettare alcuna risposta da parte del ragazzo, Eva si incamminò nuovamente verso la capanna di Regina, quando l’ennesimo richiamo la fece fermare sul posto, non senza sbuffare, in maniera del tutto priva di tatto e delicatezza.
“Devi conoscere le regole se vuoi restare qui!”
“Bene…non che ci tenga particolarmente a questo soggiorno…ma dimmi tutto. Adoro le regole!” sottolineò con velato sarcasmo, puntando il suo sguardo verde sul volto sudato del ragazzo.
Non preoccupandosi minimamente di alzare gli occhi al cielo, Eva dovette sorbirsi l’elenco dei vari divieti sanciti dall’Alleanza, i quali parevano stare particolarmente a cuore a quel ragazzo, Rowan.
Divieto di qualsiasi atteggiamento scontroso nei confronti di altri ribelli (come amavano definirsi).
Divieto dell’uso di armi all’interno del perimetro protetto.
Divieto dell’uso della magia all’interno del perimetro protetto.
Divieto di caccia al di fuori dell’orario prestabilito.
Divieto di escursioni non autorizzate.
Divieto di missioni non autorizzate.
Divieto….
I successivi dieci, o forse venti, divieti, oltrepassarono l’orecchio della giovane Jones, la quale non si preoccupò minimamente di nascondere il più totale disinteresse di fronte alle parole del giovane.
Divieti, divieti, divieti. Ma c’era davvero ancora gente che perdeva tempo a creare delle regole? Con l’alito di Morgana sul collo?
“Mi stai ascoltando?!”
“Come no. Se mi viene in mente qualcosa evito di farla perché è vietata!”
“Direi che hai capito al volo”
Un’improvvisa voce femminile interruppe qualsiasi cosa Rowan stesse per dire, obbligando la giovane Jones a voltarsi alla sua destra.
Una bellissima ragazza dai lunghi capelli biondi, legati in un alto e selvaggio chignon, fermato da un nastro blu, fece capolinea tra i due giovani. Gli occhi azzurri e lo sguardo simile a quello di una fata dei boschi lasciava ben poco spazio all’immaginazione; soprattutto per chi aveva avuto modo di conoscere la sua dolcissima madre, Ella.
“A…Alexandra?!” esclamò sbigottita Eva, facendo qualche passo in direzione della ragazza, vestita come una ribelle in piena regola, con stivali da fuorilegge e casacca di cuoio, dello stesso colore del nastro che teneva tra i capelli.
“Alex mi si addice di più!” scherzò la giovane, lanciando un sorriso radioso alla castana a pochi passi da lei.
Ignorando visibilmente la presenza del rosso, Eva eliminò qualsiasi distanza tra lei e l’ex principessa, erede al trono del giusto re Thomas, il quale, a quanto aveva saputo da fonti indirette, era venuto a mancare qualche anno dopo il loro ritorno presso la Foresta Incantata.
“Ehi...come stai? Sono anni che non ti vedo!” esclamò la bionda, stringendo la coetanea tra le braccia, come avrebbe fatto una sorella dopo un periodo troppo lungo di lontananza.
“Già…sto bene….e direi che anche tu non te la cavi male!” osservò Eva, distanziandosi a sufficienza per guardare la bellissima ragazza davanti a lei “…la tenuta da fuorilegge ti dona!”
“Lo credo anch’io….ma Row non mi fa mai un complimento! Penso preferisca le more!”
“Ahhh smettila!” si lamentò il ragazzo, cercando di puntare lo sguardo verso un punto imprecisato del cielo pomeridiano.
Lasciandosi andare ad una risata cristallina, Alex cinse le spalle della ragazza al suo fianco, guardandola come solo un’amica di vecchia data avrebbe potuto fare.
“Almeno ti ha offerto qualcosa da mangiare?”
“Le ho elencato le regole…”
“Le regole?...ma non vedi che ha bisogno di mettere qualcosa sotto i denti? E tu dovresti capirlo meglio di chiunque altro…non credi?!” lo rimproverò la bionda, facendolo arrossire in un modo piuttosto efficace.
Non c’era che dire, quel ragazzo, Rowan, sembrava tenere particolarmente all’opinione di Alex e il modo in cui cominciò a balbettare e a trovare una giustificazione abbastanza convincente ne era un esempio più che calzante.
Eva non si era mai sentita così, non aveva mai provato il profondo desiderio di piacere a qualcuno, qualcuno del sesso opposto almeno. La sua vita era sempre ruotata attorno alla sua famiglia; lei, suo padre e Henry. Le uniche persone che le erano rimaste accanto fino alla fine; persone che non andavano conquistate, ma che l’amavano sempre, in ogni luogo, per quello che era.
“Jake ha detto che la nuova arrivata doveva conoscere le regole…”
“tzè…nuova arrivata…” borbottò Alex, scuotendo il capo di fronte a quella frase.
“Aspetta, Jake…quel…Jake?” esclamò indispettita Eva, guardando prima la bionda e poi il ragazzo alla sua sinistra.
“Jake Mills di Loxley…in carne ed ossa mia cara!” le rispose raggiante Alex, forse consapevole del rapporto altalenante che intercorreva tra i due, nonostante si trattasse solo di bambini.
“E mi ha chiamata sporco pirata?”
“Non ha detto sporco….” sottolineò il rosso, continuando a camminare e non guardando mai Eva in faccia.
“Ah no?...e che ha detto?!”
“Ha detto…”
“Ma che importa…” lo interruppe Alex, lanciandogli uno sguardo infuocato “…Jake ha un caratteraccio, non vale la pena perderci tempo. Invece…è importante andare a mangiare qualcosa…e guarda caso è ora dello spuntino pomeridiano! Una delle parti più belle della giornata dopo la colazione...non puoi perdertelo!!!!”
“Non vi fate mancare niente vedo!” disse Eva, cercando di far defluire il nervosismo.
“certo che no…siamo l’Alleanza Ribelle mia cara!” le spiegò con sicurezza, facendo brillare ancor di più i suoi intensi occhi azzurri “…sono sicura che ti metterai a piangere non appena vedrai cosa c’è da mangiare!”
“Non sono sicuro sia una buona idea…” si lasciò sfuggire Rowan, beccandosi l’ennesimo rimprovero facciale da parte di Alex e uno sguardo indagatore da parte della giovane Jones.
“Row…”
“No…lascialo parlare…” esclamò Eva, fermandosi e mettendo le mani sui fianchi “...che intendi dire?”
“Voglio dire che a qualcuno non piace l’idea che tu sia qui...e farti venire al banchetto non mi sembra una cosa intelligente da fare…creerà confusione!”
“E perché qualcuno non mi vorrebbe qui?...”esclamò Eva d’istinto, serrando malvolentieri le labbra e cercando di ritrovare un minimo di compostezza, così volatile da quando era arrivata in quel luogo dimenticato dal genere umano “…Nemmeno vi conosco!”
“Qualcuno invece ti conosce…e appena ha saputo del tuo arrivo ha fatto di tutto per lasciare te e tuo padre fuori di qui!”
“Mio …Padre….è andato a cercare Henry, la persona che ha creato tutto questo!” sbottò Eva, inglobando la foresta che li circondava con un gesto del braccio e incenerendo con lo sguardo il ragazzo di fronte a lei, visibile capro espiatorio di tutta quella situazione “…non penso stia a voi decidere se io posso o meno rimanere…non trovi?!”
Detto ciò, lasciando defluire tutta la rabbia e la frustrazione che la scelta impostale dal genitore le aveva procurato, la castana si allontanò a passo spedito verso la zona centrale della riserva, senza assicurarsi di essere seguita dai due giovani alle sue spalle.
“Avevi ragione…hanno lo stesso brutto carattere…!”
“Già… bionda e intelligente, sono un mix micidiale!” gli rispose Alex, lanciando al ragazzo al suo fianco un sorriso divertito, per poi seguire Eva verso il centro della riserva.
Il luogo era lo stesso che aveva intravisto appena messo piede in quel posto nascosto dalla magia. Un esteso e infinito spiazzo d’erba, ben curato e ricco di persone di ogni genere ed età. Sembrava davvero che tutti i sopravvissuti si fossero riuniti in quel luogo quasi paradisiaco.
Già, quasi. Perché il silenzio degli uccelli metteva così a disagio il suo cuore? Cosa c’era che non andava in quel luogo?
Con quegli insoliti quesiti, Eva si avvicinò al banchetto, così fedele ad una riproduzione medioevale da dare l’impressione di essere sul set di qualche rappresentazione cinematografica.
Caspita, da quant’era che non guardava qualcosa di così moderno e tecnologico?
“Vieni…il meglio lo trovi qui…” esclamò improvvisamente la voce di Alex, la quale, dopo averla presa per un gomito, l’accompagnò all’estrema destra del lungo tavolo, posizionandola di fronte ai dolci fatti dalle donne del posto. Nonostante la semplicità, quelle leccornie facevano davvero salire l’acquolina in bocca, anche a chi avesse già mangiato una doppia porzione di selvaggina.
“Serviti pure!”
Senza farselo ripetere due volte, Eva si fiondò sul banchetto, optando per un dolce allo zenzero e cannella dal velato aroma di rum, una fetta di torta alla zucca e un assaggio di pane dolce alla marmellata.
Avrebbe avuto mal di stomaco nel giro di qualche ora, ne era certa.
Le due donne, insieme a Rowan, andarono a consumare il loro spuntino in un angolo adombrato, lontano dal chiasso e dalle occhiate della gente presente. Era chiaro che tutti conoscessero l’identità di Eva, ma nessuno sembrava abbastanza ben disposto da andare a parlarle, o forse abbastanza coraggioso. Dopotutto, come biasimarli? Quelle persone non conoscevano un momento di pace da più di dieci anni, l’arrivo di un nuovo arrivato, anche se figlia della Salvatrice, non lasciava presagire nulla di buono. Suo padre aveva ragione, il sangue pirata non le rendeva le cose così facili.
Nonostante l’inizio burrascoso, Rowan si dimostrò un ragazzo simpatico e decisamente insicuro, anche se non aveva ancora ben compreso di chi fosse figlio.
Era chiaro cosa provasse per Alex e, quest’ultima, non sembrava affatto dispiaciuta dalle attenzioni che il giovane le riservava. Era bello vederli insieme, dava l’idea di qualcosa di estremamente adolescenziale e puro, qualcosa da ragazzi che, alla loro età, non avrebbe dovuto creare così tanto curiosità, ma rientrare tra i normali comportamenti tra coetanei. Ad ogni modo, Alex sapeva il fatto suo, conosceva estremamente bene l’effetto che aveva sul rosso e sulla gran parte del genere maschile di quella riserva, ma nonostante ciò, non appariva affatto una di quelle gallinelle altezzose e vanitose che in più di un’occasione aveva avuto il dispiacere di incontrare; al contrario, era una ragazza dolce e sempre pronta a dire la cosa giusta per smorzare la situazione.
Chissà se aveva preso dalla madre o dal padre; non aveva mai avuto modo di conoscere Cenerentola e il principe Thomas; quand’erano vivi lei era troppo piccola per ricordare con chiarezza ogni luogo e ogni volto e la fuga da Storybrooke, purtroppo, aveva reciso ogni legame con gran parte dei suoi parenti e amici.
A pensarci bene, molte di quelle persone lei le conosceva già; bambini diventati adolescenti e ragazzi diventati adulti. Con ogni probabilità aveva giocato e riso con quasi tutti loro, ma ora vi erano dieci pesanti e amari anni a dividerli e, per quanto cercasse di dire che lei era sempre la stessa, qualcosa dentro ognuno di loro era irrimediabilmente cambiato, rendendole delle persone estremamente diverse.
Sconosciuti, ecco cos’erano. Ma poco importava, lei, in fin dei conti, non doveva costruire dei sani rapporti lì dentro. Quattro mesi sarebbero trascorsi velocemente e se suo padre non avesse fatto ritorno in tempo lei se ne sarebbe andata via da quel posto, senza fare troppi complimenti.
“Oh…vedo che ti sei già ambientata!”
Con un boccone a mezz’aria pronto ad essere divorato come gli altri, Eva alzò lo sguardo verso quell’insolita voce ostile, decisamente contraria dalla sua presenza lì. Se non si fosse trattato di una ragazza avrebbe scommesso fosse Jake.
Capelli neri come l’ebano e indomati, occhi castani, carnagione olivastra e un fisico snello e sinuoso da far nascere l’invidia in chiunque. Bellissima non c’era che dire, ma l’astio che ne traspariva faceva affievolire gran parte di quella bellezza.
“Dee….stiamo mangiando!” esclamò seccata Alex.
“Oh lo vedo…e dimmi è di tuo gradimento il nostro cibo…principessa?”
Nel sentire quella semplice e apparentemente innocua parola, Eva scatto in piedi, lasciando cadere a terra la torta alla zucca ancora intatta.
C’era un po’ di lavoro da fare sull’autocontrollo, doveva ammetterlo.
“Non chiamarmi in quel modo!”
“E perché mai? Sei una principessa no?...tua madre non era forse la figlia di Biancaneve e re James?!” rispose ovvia la mora, allargando le braccia come a voler trovare l’appoggio delle persone avvicinatesi a loro.
“Ti ho detto di non chiamarmi così…non mi sembra così difficile da capire!”
“E come dovrei chiamarti?”
“Eva…corto, semplice e veloce da pronunciare…non dovresti incontrare grosse difficoltà!” esclamò gelida la Jones, guadagnandosi un leggero risolino da parte di Rowan che, prontamente, soffocò dopo aver ricevuto uno sguardo eloquente da parte dell’ultima arrivata.
“Che succede qui?”
Non seppe spiegarsene il motivo, ma al suono di quella voce qualcosa dentro di lei si incrinò; qualcosa in pieno petto, quasi all’altezza del cuore. Non sapeva spiegarsene il motivo, ma aveva la sensazione che una parte essenziale vicina al cuore avesse iniziato a stringersi, arrecandole un’improvvisa morsa di emozione e paura. Il cuore, già leggermente accelerato dal nervosismo, cominciò ad andare al galoppo, facendole sudare le mani, ovviamente strette a pugno. Era agitata e non riuscire a spiegarsene il motivo era maggiormente snervante, soprattutto per una come lei, sempre pronta a mostrare il lato fiero del suo carattere.
Vedere a chi apparteneva quella voce sembrò acuire enormemente quegli insoliti avvenimenti del suo organismo.
Occhi profondi e scuri come la notte. Capelli neri. Viso tremendamente altezzoso, sicuramente ereditato da una madre sicura di sé. Spalle larghe e bellezza da fuorilegge.
Jake Mills di Loxley, come lo aveva chiamato Alex poco prima.
Nonostante fossero trascorsi dieci anni dall’ultima volta che l’aveva visto, Eva era sicura che avrebbe potuto riconoscere quello sguardo tra mille; e anche lui, nonostante l’occhiata distaccata, doveva averla riconosciuta. Altrimenti perché far soffrire quel povero arco, stritolandolo e rendendo le nocche bianche come la neve?
Non c’era che dire, era diventato un uomo, e pensare che aveva solo due anni più di lei.
“Niente…mi stavo presentando alla nostra momentanea ospite!”
“Non sono un ospite!” sbottò Eva, con tono irritato.
“Certo che lo sei…” le rispose provocatrice, lanciandole un’occhiata altezzosa “…sei entrata solo grazie a Neal…nessuno ti vuole qui…principessa!”
E bastarono quelle undici delicate lettere, per far perdere ogni sorta di controllo, già precario, nel mente della giovane Jones che, scansando il braccio di Alex pronto a fermarla da qualsiasi cosa stesse per fare, si lanciò contro la mora, gettandola a terra con l’intento di assestarle un pugno in mezzo a quel viso grazioso.
Il pugno però non riuscì a raggiungere l’obiettivo prefissato e nemmeno la soddisfazione di aver zittito quella serpe. L’unica cosa che sentì furono delle forti braccia, le quali non sembrarono incontrare la minima difficoltà a sollevarla dal corpo di Dee per poi sbatterla, con poca delicatezza, addosso al tronco d’albero a cui, poco prima, si era appoggiata per mangiare insieme ad Alex e Rowan.
A proposito, com’era che i momenti di pace finivano sempre così presto?
“Vediamo di chiarire una cosa…Eva!” esclamò secco Jake, sottolineando il suo nome e guardandola per la prima volta dritta negli occhi, avvicinando pericolosamente al suo volto irato “…qui ci sono delle regole ben precise e vanno rispettate. Se non te le ricordi o, come immagino, non le hai ascoltate, fattele ripetere, scrivitele se vuoi, fatti un cazzo di promemoria da tenere in tasca per quello che me ne importa, ma…rispettale!” continuò, decisamente troppo adirato per una semplice zuffa tra ragazze.
“E se non lo faccio?” lo provocò Eva, inchiodandolo a sua volta con lo sguardo e avvicinando di un altro centimetro il suo viso al suo.
“Ti porterò fuori da qui…di peso se necessario!”
“Ti piacerebbe…” continuò a sfidarlo Eva, alzando il sopracciglio solo come un altro membro della sua famiglia sapeva fare.
Jake rimase in silenzio, non staccando per un solo istante i suoi occhi da quel volto apparentemente innocuo.
Era furioso con lei, glielo si leggeva con estrema facilità. Ma perché? Non poteva essere così arrabbiato per la zuffa con quella ragazza, che si era cercata dopotutto. E non poteva nemmeno trattarsi dell’antipatia che avevano da piccoli; dopotutto era lui a tormentarla e non il contrario, lei al massimo piangeva e gli lanciava addosso qualcosa.
Ma allora perché aveva la netta sensazione che volesse strozzarla davanti a tutti?
“Puoi lasciarmi adesso?!”
Quasi riscosso da quelle parole, Jake allontanò di scatto le sue mani da quelle braccia atletiche e snelle, per poi riprendere il suo arco, abbandonato al suolo, e allontanarsi da quel luogo, facendo ben intendere alla mora di seguirlo.
Tutti, quasi intimoriti da quanto appena accaduto, si allontanarono a loro volta dal luogo dello scontro, lasciando solo Alex, Rowan ed Eva, in piedi come dei stoccafissi.
“Wow…”
“Cosa?” chiese Eva ad Alex, non capendo il perché di quello sguardo semi-sconvolto.
“L’ho…notato solo io?” chiese, indicando con entrambi gli indici il tronco sui cui si era svolta la diatriba tra Eva e Jake.
“Che Eva ha quasi spaccato la faccia alla ragazza di Jake?”
“Ah…la sua ragazza…” esclamò indispettita Eva, accorgendosi troppo tardi del tono stridulo della sua voce “…ecco perché se le presa tanto!”
“Io non intendevo quello…” continuò Alex.
“…e cosa?!”
“Niente…lasciala perdere!” tagliò corto il ragazzo, sapendo fin troppo bene dove la bionda volesse andare a parare “…vuoi che ti portiamo da Neal?...dev’essere appena rientrato dalla caccia insieme agli altri…” le spiegò il rosso, evitando volutamente di pronunciare il nome del giovane Mills dagli occhi marroni.
“Certo…grazie!”
Grata dell’accuratezza dimostrata dal ragazzo dai capelli rossi, Eva si tolse il terriccio dai vestiti, per poi seguire il rosso verso un sentiero ben delineato. Da quanto non rivedeva suo zio Neal?
Poco importava, era decisamente troppo.
“Ehi…tu non vieni?!” esclamò il rosso, in direzione di Alex, rimasta ferma dov’era.
“Certo!”
Senza farselo ripetere due volte, Alex raggiunse i due, mettendosi a fianco del giovane Rowan, il quale, nonostante tenesse lo sguardo fisso davanti a sé, sembrava avvertire con estrema chiarezza quegli occhi azzurri puntati su di lui.
“Non l’ho notato solo io vero?!” continuò la bionda, sorridente e maliziosa, fissando, con velata intesa, il ragazzo al suo fianco, il quale continuò ad ignorarla, fingendosi interessato a tutt’altro.
Dal canto suo, Eva non sapeva dove volesse andare a parare Alex e forse era meglio così.
Di una cosa, però, era certa: quella Dee di sarebbe beccata quel pugno in faccia, prima o poi.
 
 
 
Buongiorno a tutti,
ebbene sì….questa volta aggiornamento mattiniero!!!! Come succede da un po’, anche questo capitolo è arrivato dopo due settimane…ma meglio di così davvero non riesco a fare, almeno per il momento. Le idee non mancano, questo ve lo posso assicurare, ma essendo una ff un po’ intricata (almeno è intricata per me XD) il più delle volte devo andare a rileggere i capitoli vecchi…per essere sicura al cento per cento di cosa vi ho svelato e cosa no.
L’ultima cosa che voglio è fare una delle mie solite figure e rovinarvi qualche chicca :P
Come avrete notato, questo capitolo è stato tutto incentrato su Eva (lasciata un po’ da parte l’ultima volta). Da qui in avanti avrò bisogno di spiegarvi un po’ come sono andate le cose per lei…e spero che l’idea vi piaccia; ovviamente non intendo eclissare gli altri personaggi (Emma e Killian in primis)…ma farò un po’ e un po’. E Morgana è sempre dietro l’angolo…e non tarderà a farsi viva…
Allora che ne pensate di Jake e gli altri?...ho amato scrivere di loro, un po’ perché avevo carta bianca…un po’ perché è impossibile non metterci un pizzico dei loro genitori.
Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate :)
Ah…avrete sicuramente notato i numerosi riferimenti a Guerre Stellari (omaggio ad Emma/Henry): Alleanza Ribelle e Jabba…non ho resistito.
Ad ogni modo, come sempre vi ringrazio di cuore per il sostegno che mi regalate capitolo dopo capitolo….non so davvero come farei senza di voi e, a dirvela tutta, non voglio neanche saperlo. Senza il vostro costante appoggio non riuscirei a scrivere manco una pagina…e questo posso dirlo per certo.
Quindi, grazie con tutto il cuore a chi spende parte del suo tempo per leggere e commentare questa fan fiction: grazie a Kerri che mi sostiene sempre e si sorbisce i miei sproloqui mattutini-pomeridiani-serali…ma ormai c’ha fatto l’abitudine...credo :P; grazie a nali_cs, è stato bellissimo leggere un tuo commento….e sappi che come ho promesso scriverò la one-shot sul matrimonio CS…ho già un paio di idee da buttare giù :P;  grazie a yurohookemma, sappi che non ti dilunghi mai, anzi è sempre un piacere enorme leggere le tue recensioni….spero il capitolo ti sia piaciuto anche senza scene CS (mi farò perdonare ovviamente :P); grazie a Sere2897 che mi lascia sempre, da sempre, un commento…non so davvero come ringraziarti per le bellissime parole che mi lasci tutte le volte; grazie a pandina che trova sempre il tempo di lasciarmi un commento…e che commento oserei dire…grazie grazie :); e grazie a ornylumi che…ormai lo sai che adoro i tuoi commenti e non trovo davvero le parole adatte per ringraziarti (a proposito…altra conv in Brasile…ma la faranno anche in Italia…me lo sento :P). E grazie a chi ha commentato in precedenza, spronandomi a continuare.
Ogni capitolo è merito vostro!!!!
Grazie a tutti…a chi legge, commenta, legge soltanto, inserisce la ff nelle varie categorie, spende del tempo per questa storia….GRAZIE!!!!
Ovviamente se notate errori o incongruenze qui e là fatemelo tranquillamente sapere così correggo subito!!!!
Un fortissimo abbraccio
Al prossimo capitolo.
 
Erin

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Rivedere Neal dopo quasi sei anni fu qualcosa di indescrivibile. Era come rincontrare tutte le persone più care al proprio cuore raggruppate in unica persona; dava quasi l’impressione di essere davanti ad uno specchio in grado di cogliere il tratto distintivo di ciascun membro della famiglia e renderlo palese a chiunque ne facesse parte. Un gene comune; il gene dei Azzurri/Swan/Jones.
Senza bisogno di dire nulla, nipote e zio si abbracciarono con estrema intensità, cercando di far defluire da quel contatto tutta la gioia e contentezza nel potersi finalmente rivedere e parlare.
Non dissero nulla per un tempo indefinito, troppo occupati ad avvertire la sensazione indescrivibile di essere l’uno tra le braccia dell’altro, a dispetto del destino avverso che, da anni, faceva da padrone.
Era da tanto che la giovane Jones non si sentiva così felice e libera di esternare i propri sentimenti, senza preoccuparsi di chi la stesse osservando in quel momento, senza temere di apparire fragile ad occhi indiscreti.
L’abbraccio, però, non poté durare in eterno e, con accuratezza, Neal allontanò lievemente il suo corpo da quello della ragazza, stendendo le braccia e ammirando la bellissima donna che stava diventando.
Anche Neal, come Jake, era diventato un uomo e quei capelli biondi e occhi verdi lo rendevano un principe a tutti gli effetti; bellissimo come il padre e dai tratti dolci e singolari come la madre. Se lo si guardava con attenzione era impossibile non cogliere la somiglianza con Emma, somiglianza che rendeva ancora più difficile guardarlo negli occhi, non senza sentire un’improvvisa fitta allo stomaco. Un prezzo che, però, Eva avrebbe pagato volentieri. Neal era il fratello di sua madre e solo per questo meritava un posto nel podio del suo cuore.
“Ehi…capelli corti e cicatrice sulla faccia e sei la copia sputata di tuo padre!” scherzò il ragazzo, con tono allegro.
“Modestamente…ho un fascino invidiabile!” gli rispose Eva, lanciando un sorriso furbo in direzione dello zio.
“Appunto…!”
“Eva?!”
L’improvvisa voce di un ragazzo alle loro spalle, catturò l’attenzione di entrambi, obbligandoli a rimandare quella sorta di presa in giro su quanto fosse ereditaria la modestia paterna.
“Oh mio…” esclamò ad occhi sbarrati la castana, una volta riconosciuta quella zazzera riccia e scura abbinata ad occhi della stessa tonalità “…Roland!”
Sorridendo di fronte all’emozione presente negli occhi verdi di Eva, Neal rimase fermo nella sua posizione, godendosi l’abbraccio tra i due ragazzi, i quali non provarono minimamente a celare l’incredulità nel ritrovarsi, dopo anni, di nuovo faccia a faccia. Dopotutto come biasimarli, era trascorso così tanto tempo dal loro ultimo incontro da stupire che nessuno dei sue fosse scoppiato a piangere; erano otto, forse dieci anni se non ricordava male e, al solo pensiero, la cosa riempiva il cuore di un dolore così profondo da irrigidire ogni arto del corpo.
Si erano persi. Per colpa di una pazza dai desideri distruttivi, ognuno di loro aveva finito col perdere inevitabilmente la vita dell’altro, Eva sopra tutti. E, forse, era proprio quello a infondergli la sensazione di uno spesso ago conficcato nel cuore; sapere che la figlia della sua amatissima sorella aveva finito col vivere isolata da tutti loro pur di garantire la sicurezza generale. Pur di depistare Morgana, i cui intenti omicidi parevano seguire Eva come le api col miele.
Maledizione, veniva quasi voglia di urlare, urlare a pieni polmoni, fino a sentire la gola graffiare, fino a sentire la voce farsi via via più roca, simile al ruggito di un leone ferito e prossimo alla pazzia. Non poteva credere che le cose fossero davvero andate in quel modo, non per la sua famiglia, non per gli eroi.
Purtroppo, però, se c’era una cosa che il destino gli aveva insegnato era che la vita non guardava in faccia nessuno; poteva essere amara, tanto amara e ingiusta da far venire la nausea.
“Diglielo Eva che deve tagliarsi i capelli!” esclamò Neal, cercando di allontanare quell’improvviso alone di tristezza, così inadeguato in un momento come quello.
“Non ci penso neanche!” rispose serio il ragazzo, anche lui ormai dalle fisionomie decisamente adulte.
“Stai benissimo Roland…immagino tu abbia la fila di pretendenti!”
“Non mi lamento!”
“Ah, così lui avrebbe la fila e io no?!” esclamò Neal, avvicinandosi ai due e dando un buffetto sulla testa castana della nipote, la quale non riuscì a fare a meno di lasciarsi andare ad una sonora risata.
Era felice. Sì, poteva finalmente dire di sentirsi felice; certo, se suo padre, Henry e Regina fossero stati lì con loro tutto sarebbe stato perfetto, non parlando dell’eventualità che un’improvvisa dissenteria colpisse Jake e la sua amorevole fidanzata, quella ovviamente sarebbe stata l’apoteosi, come minimo. Ma nonostante queste mancanze, poter godere della compagnia dei suoi familiari, lontani da lei da così tanto tempo, era una delle cose più belle che le potessero capitare.
A breve sarebbe stato il suo compleanno e se non avesse già avuto un desiderio ben chiaro da esprimere, avrebbe chiesto un momento come quello. Un momento in famiglia, in un posto protetto, liberi di amare.
“Hai già mangiato qualcosa?” le chiese Roland, sollevando lo zaino di tela marrone, buttato a terra subito dopo averla vista.
“Avevo iniziato…ma c’è stato un contrattempo!”
“Lasciami immaginare…centri qualcosa con il pugno in faccia dato a Diletta!”
“Diletta?!”
“Sì, Dee…la ragazza di Jake…”
 “Non le ho dato un pugno in faccia…purtroppo!”
“Sei qui da neanche un giorno e già litighi…” la rimproverò Neal, non riuscendo a trattenere un bonario sorriso “…è stata lei a provocarmi, ha iniziato a chiamarmi principessa e a dirmi che non ero la benvenuta!” si lamentò Eva, indurendo lo sguardo.
“Dee, in effetti, non brilla per simpatia!” concordò Roland, cingendo le spalle strette della ragazza “…ma adesso direi che è arrivato il momento di festeggiare. Giusto?” aggiunse il giovane dai capelli scuri, lanciando uno sguardo complice in direzione di Neal.
Il biondo, nonostante cercasse di non darlo a vedere, provava una certa preoccupazione nei confronti di Eva; era una brava ragazza, lo sapeva bene, ma era anche vero che non aveva mai vissuto in gruppo, non aveva mai dovuto convivere con persone a lei sconosciute, imparando l’importanza di creare buoni rapporti. Per anni, era stata obbligata a fuggire da un reame all’altro, insieme a suo padre, Uncino, il quale aveva rappresentato tutto il suo mondo, il suo unico guerriero in grado di difenderla da tutto e tutti. E il modo in cui aveva reagito di fronte alla minima frustrazione, alla minima frecciatina da parte di una sciocca ragazza arrogante, era la dimostrazione di quanto Eva fosse ormai fatta per viaggiare da sola.
A lei bastava suo padre, lo si vedeva bene; ogni movimento, ogni gesto del suo corpo, faceva capire quanto si sentisse persa e sola. Gli era bastata vederla per pochi attimi per avvertire l’inadeguatezza che provava dentro di sé.
Se solo Henry fosse stato lì con loro.
“Giusto…oggi accontentati di una bella cena, ma una di queste sere ti lasceremo a bocca aperta!”
“Oh…devo iniziare a preoccuparmi!” scherzò la ragazza, imboccando insieme a Neal e Roland uno dei numerosi sentieri della riserva.
“No…preoccupati solo se hanno messo Gretel a cucinare!”
Tutti scoppiarono a ridere.
Sì, avrebbe potuto abituarsi a tutto ciò.
 
***
 
“Hei Eva…guarda qui..”
La voce di Henry, interruppe improvvisamente quel fugace ricordo legato all’Alleanza, obbligandola a ritornare con il corpo e con la mente nell’appartamento dei nonni materni.
Da quanto non ripensava a quei giorni, a quei brevi ma intensi momenti di serenità. Col senno di poi, non riusciva a fare a meno di rimproverarsi per la sua cecità di fronte ai segnali di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco; certo, la mancava di uccelli nel raggio di chilometri l’aveva messa in guardia fin da subito, ma, come accadeva spesso, la gioia di rivedere Neal, Roland, Gretel e Alex aveva preso il sopravvento, facendole abbassare la guardia riguardo a tutto il resto; per non parlare di Jake. Solo ripensare a lui le dava la sensazione di sentire nuovamente le sue mani sulle braccia, facendo nascere un improvviso brivido lungo tutta la sua schiena.
“Dove?” chiese sporgendosi verso il lato del tavolo in cui si trovava Henry e il libro delle favole, scacciando quella dolorosa sensazione dal suo corpo.
Spesso come un tomo piuttosto impegnativo, la pagina visionata da Henry aveva la stessa impaginazione delle altre, con una colonna contenente il racconto della favola di fianco ad un’immagine rappresentativa. Gli occhi del giovane Mills, in quel momento, erano posati sulla raffigurazione di una foresta, sulla quale spiccava un’imponente quercia dalle fattezze alquanto singolari.
“Qui…vedi quest’albero?”
“S…sì…piuttosto brutto direi…” esclamò Eva, non riuscendo a trattenersi dall’alzare le sopracciglia.
“Bè…prima non c’era…”
“Cosa?!...è impossibile. Quante immagini ha questo libro? Cento?...non puoi ricordarti di ogni singolo albero…”
“Ho guardato e riguardato questo libro così tante volte che ti posso assicurare che questo albero non c’è mai stato!”
Rimanendo in silenzio, Eva spostò lo sguardo dal fratello all’immagine del libro, la quale riusciva a mettere i brividi solo guardandola. Si fidava di Henry, si fidava di lui sopra ad ogni cosa; e, come aveva detto suo padre qualche ora prima, non c’era persona più adatta a lui per quel compito.
“Di che favola parla questa pagina…”
“Dei Cavalieri della Tavola Rotonda!”
“Bè…siamo in tema!”
“Direi di sì…”
“Ma perché un albero sarebbe dovuto comparire dal nulla?”
“Forse c’è qualcosa che ci sfugge…forse ha a che fare con Excalibur!”
Mentre stava per rispondere al fratello, l’improvviso ingresso di Emma e Uncino bloccò sul nascere qualsiasi frase stesse per uscire dalla bocca di Eva.
“Ehi…siete qui…” esclamò Emma, il cui volto appariva decisamente scosso e arrossato.
Chissà cose le era successo; al contrario di lei, Uncino appariva radioso, come se gli fosse appena stata data una notizia così fantastica da illuminare qualsiasi traccia di oscurità nel raggio di chilometri.
Se non fosse stata per la preoccupazione negli occhi di sua madre, Eva avrebbe iniziato a vomitare coriandoli ipotizzando la spiegazione di tutto quel buonumore. Ora cominciava a capire a cosa si riferisse Regina quanto parlava di occhi languidi tra i suoi genitori; come aveva fatto a non accorgersene subito sua madre restava un mistero.
“Trovato qualcosa?” chiese Killian, avvicinandosi al tavolo e lanciando un’occhiata ai due ragazzi.
“Penso di sì…”
“Un albero in un bosco…da non credere!” esclamò sarcastica la castana, addentando una patatina colma di ketchup e sorridendo allo sguardo corrucciato di Henry.
“Bene…” rispose Emma, quasi assente.
C’era qualcosa che non andava nel suo sguardo e nel modo in cui avvicinò la sedia a sé, sedendosi in uno stato del tutto assorto. A cosa stava pensando? Che fosse successo qualcosa? Che centrasse con la telefonata ricevuta quella mattina dal nonno?
Probabilmente sì, altrimenti come avrebbe potuto spiegare le bugie che le avevano rivolto di lì in avanti? Anche se aveva preferito non darlo a vedere, aveva capito fin da subito che qualcosa non andava; sguardi bassi, parole sussurrate alle sue spalle, mancava solo un bel cartello con su scritto –abbiamo un segreto- e non avrebbe più avuto il minimo dubbio.
“T…tutto ok?!” chiese Henry alla madre, con tono preoccupato.
“Sì…sì, sono solo stanca!” rispose sbrigativa la bionda, togliendosi il cappotto grigio e rimanendo con un maglioncino nero e strisce bianche “…si sta facendo tardi ragazzino; perché non chiedi ai nonni di accompagnarti da Regina?!”
“Ok…” esclamò rassegnato il ragazzo, chiudendo il libro con un tonfo.
Era successo qualcosa, era chiaro come il sole; e, quasi sicuramente, la cosa riguardava Eva. Che avesse combinato qualcos’altro? Probabile, quel carattere ribelle come minimo avrebbe finito col metterla in qualche guaio.
Chissà se anche Emma era stata come lei alla sua età; probabilmente no, ma lo stesso non avrebbe potuto dire di Killian, il pirata per eccellenza.
“…continuiamo domani?!” aggiunse il ragazzo, rivolgendo la sua attenzione alla sorella, la quale si limitò ad acconsentire con il capo.
Avvertendo l’inquietudine che, improvvisamente, aveva avvolto l’intera stanza, Eva rimase in silenzio per tutto il tempo, attendendo che Biancaneve e David scendessero al piano di sotto per poi uscire dall’abitazione insieme ad Henry.
Che fosse il caso di dire qualcosa? Per esempio un apprezzamento sulle sensazionali patatine di Granny? Stava di certo esagerando con il cibo spazzatura e il lieve sentore di un dolore allo stomaco bastava per anticiparle quanto si sarebbe pentita di tutte quelle sregolatezze.
Senza preoccuparsi del rumore emesso dalla sedia, Killian si sedette accanto ad Eva, rubandole una delle patatine poste in una ciotola al centro della tavola.
“Dobbiamo parlare!” esclamò Emma, posando entrambe le braccia sul tavolo e unendo le mani, quasi a voler trovare la forza per dire la cosa giusta nel modo più delicato.
“Lo immaginavo…” le rispose Eva, lanciandole un sorriso forzato e posando la schiena sullo schienale in legno della sedia.
“Non siamo stati del tutto sinceri con te…” cercò di iniziare Emma, serrando le labbra e posando il suo sguardo attento sul volto delineato della figlia
“Oh lo so…e se su di te avevo qualche dubbio, sono sicura che papà mi stia mentendo da stamattina!” affermò sicura Eva, incrociando le braccia al petto e lanciando una chiara occhiata al genitore.
“Sono un animo puro…non so mentire!” ironizzò Uncino, alzando un sopracciglio.
“…ma non importa, davvero!” aggiunse la giovane Jones, tornando a guardare la bionda davanti a sé “…se è dovuta a questa la tua preoccupazione mamma, smetti di preoccuparti…dico sul serio. Avete scoperto che sono vostra figlia e…stento ancora a credere che non siate svenuti sul colpo…”
“Già…” borbottò sarcastico il pirata, non riuscendo a fare a meno di ricordare il momento in cui le sue gambe avevano ceduto, sentendosi chiamare papà dalla ragazza di fianco a lui.
“…e vedo quanta fatica stiate facendo a non chiedermi qualcosa di più sul nostro futuro. Non volete farmi pressioni…e ve ne sono grata…E io farò lo stesso con voi perché è…”
“Eva…” la interruppe la giovane Swan, guardando per un secondo l’uomo seduto al tavolo, quasi alla ricerca di un aiuto invisibile “…noi ti stiamo nascondendo qualcosa, è vero…e ti prometto che stasera ti diremo tutto. Perché, se c’è una cosa che so è che…i segreti non portano a nulla di buono! Pensavo che tenerti nascosta questa cosa fosse la cosa più giusta da fare per proteggerti e per non darti altri problemi. Ho pensato che avessi bisogno di tempo, di tempo per ambientarti, per sentirti protetta e al sicuro...ma…ma mi rendo conto che quello che ci manca è proprio questo…il tempo…”
Emma abbassò lo sguardo per un secondo, lasciando che le sue folte e lunghe ciglia le coprissero gli occhi, visibilmente stanchi.
“Io…lo so che non abbiamo tempo, credimi. C’ero anch’io quando Morgana ha rubato una goccia del mio sangue promettendomi di tornare presto! Ma non è ancora qui…”
“…ma arriverà. Non credo se ne stia con le mani in mano!” sottolineò Killian, in tono serio.
 “…sì, ma…noi ci stiamo dando da fare. Abbiamo iniziato solo stasera le ricerche della spada ed Henry ha già trovato qualcosa!”
“…però non basta!” esclamò Emma, alzando lo sguardo e fissando la figlia con occhi rattristati “...Morgana sa molte cose. Sa tutti gli errori che commetteremo, sa chi siamo e cosa faremo da qui in avanti. E noi, invece…noi non sappiamo niente…o meglio…niente a parte quello che vedo attraverso te…”
“Attraverso me?”
“Parlo delle visioni…delle visioni che mi arrivano sotto forma di sogni e che…e che fino a poco fa ero convinta dipendessero da te!”
“Io, però, ti ho già detto che non ne so niente…non so fare una cosa del genere! Altrimenti perché mettermi da sola i bastoni tra le ruote quando, inizialmente, non volevo che sapeste niente sul mio conto” esclamò nervosa, lasciando ben intendere quanto quell’argomento l’agitasse.
“Lo so, ma…ma se non ne avessi il controllo?” le chiese Emma, sperando di farla ragionare “…se ci fosse qualcosa che fa scattare questi ricordi?”
“Perché sono tutti sogni che mi riguardano?...è per questo che pensi che ne sia la diretta responsabile?”
“No…non tutti…l’ultimo era qualcosa che non era…legato a te…”
“Ah….visto? e cosa riguardava?”
“…il nostro matrimonio!” rispose Emma, indicando lei e Uncino, il quale non riuscì nuovamente a contenere un sorriso splendente.
Bingo. Ecco spiegato l’entusiasmo del padre. Avrebbe dovuto immaginarlo.
“Mi fa piacere...in effetti non c’ero quel giorno!”
“Ma ci siamo sposati…vero?”
“Sì...direi di sì…”
“Lo vedi? Sogno cose che succederanno? Cose di cui io non dovrei sapere nulla…”
“Hai sognato il tuo matrimonio con l’uomo che ami…non vedo cosa ci sia di così strano…succederà ad un sacco di persone. È successo pure a me, maledizione!”
“Come prego?!” si lasciò sfuggire Uncino, improvvisamente meno entusiasta.
“…chi ti dice che non sia solo frutto della tua fantasia?!” continuò Eva, ignorando le parole del pirata.
“Perché non è l’unica cosa che so Eva…” le rispose la giovane Swan, cercando di non dare valore all’improvviso mancato battito cardiaco di fronte all’eventualità di provare qualcosa di così forte, come lo era l’amore, nei confronti del pirata accanto a lei “…so che è stata Regina ad insegnarti la magia…in un bosco…”
“…e con questo?” continuò Eva, sempre più sulla difensiva.
Non sapeva spiegarsene il motivo, ma tutta quella storia la metteva in agitazione. Odiava sentirsi nell’occhio del ciclone, odiava provare le stesse sensazioni che, solitamente, era Morgana a farle scaturire dall’interno. Non voleva sentirsi in colpa, non voleva sentirsi responsabile di qualcosa di cui non aveva il minimo controllo; già…come aveva detto sua madre. Perché dentro di sé sapeva cosa poteva scaturire quelle visioni in Emma, lo sapeva dalla prima volta in cui gliene aveva parlato, quando se ne stava ancora dentro quella cella e la presenza di Morgana aveva appena fatto il suo ingresso nella sua amata cittadina.
“…un bosco simile a quello dove hai incontrato Tremotino e con il quale hai fatto un accordo…” aggiunse seria Emma, stringendo forte i palmi delle mani, ormai pallidi “…e per un periodo hai vissuto in una capanna di legno, a pochi chilometri dal castello di Biancaneve e David…distrutto dalle creature di Morgana…”
Eva stette a bocca semiaperta, impossibilitata ad emettere qualsiasi suono
“…e sulla mia tomba…è stato scritto il mio nome, sopra all’appellativo Salvatrice…amorevole madre e…”
“Ok hai visto parti del mio e del vostro futuro…e allora? Io non ne so niente?!” sbottò Eva, alzandosi in piedi, fuori di sé, sentendo il sapore delle patatine rifarsi vivo in bocca.
“Però le visioni arrivano comunque!” le rispose la bionda, alzandosi a sua volta.
“Ma non è una cosa dipesa da me…” continuò ad insistere Eva, il cui tono cominciava ad apparire sempre meno convinto e sempre più colpevole.
“lo sappiamo…” si intromise il pirata “…ma ci dev’essere qualcosa…qualcosa che secondo te possa collegarvi…qualcosa che hai portato con te e che…in qualche modo ha fatto scattare questo legame!”
D’istinto Eva andò a sfiorare la collana che teneva nascosta sotto la maglietta, calamitando gli occhi dei genitori nella stessa direzione.
“Io…”
Lentamente, attenta a non agitare ulteriormente la figlia, Emma fece il giro della tavola, ritrovandosi faccia a faccia con la giovane di cui, purtroppo, non conosceva quasi nulla. Non sapeva come fare per consolarla, non sapeva se amava essere accarezzata, abbracciata, o se preferisse parole confortevoli.
Aveva gli occhi lucidi, arrossati, gli stessi che le aveva visto dentro alla cella della centrale, quando la puzza di Morgana aveva iniziato ad invadere le loro narici, portando alla paura ogni singolo senso della ragazza.
Aveva paura, come era comprensibile fosse una ragazza della sua età.
“Eva…non siamo qui per farti pressione…davvero…e l’ultima cosa che vorremo in questo momento è quella di farti piangere o ricordare aspetti dolorosi della tua…della nostra vita…” esclamò gentile Emma, posandole entrambe le mani sulla braccia, le quali continuavano ed essere piegate e attaccate al petto, come se non volessero allontanarsi dalla collana appesa al collo “…ma dobbiamo iniziare a dirci tutto…dobbiamo smetterla di tenere segreta parte della nostra vita, perché così Morgana continuerà a vincere e ad essere un passo avanti a noi!”
“…ma siete voi i primi ad avere dei segreti con me…” sussurrò Eva, con voce tremante.
“Hai ragione…e abbiamo sbagliato…” esclamò Killian, posando la mano sulla spalla magra della figlia “…non volevamo darti altri pensieri, dicendoti che stamattina il corpo di Ector…è scomparso”
“Che cosa?!” sussultò Eva, voltandosi, con aria sbigottita in direzione del genitore “…ma…ma io…”
“Gli hai strappato il cuore, lo sappiamo!…evidentemente non era qualcosa di cui avesse particolare bisogno!”
“Non è possibile…l’ho visto morire…ho…ho sbriciolato il suo cuore con le mie mani…” esclamò nuovamente la giovane Jones, prendendosi la testa fra le mani e allontanandosi dai genitori, i quali rimasero fermi al loro posto, consapevoli dell’effetto che quell’informazione poteva avere sulla figlia.
“Eva…”
“Quindi lui è ancora vivo…lui...lui non è morto…”
“Non lo sappiamo ancora…” cercò di spiegarle Emma, il cui volto pallido pareva portare su di sé tutta la stanchezza dovuta agli ultimi eventi “stiamo cercando…”
“V…vuol dire che quello…non era il suo cuore…” sussurrò sconvolta Eva, guardando con occhi virei un punto lontano della stanza “…ho ucciso un’altra persona…ho ucciso…un’innocente…”
“Ehi ehi…”
Con uno scatto, Emma si avvicinò al copro tremante della figlia, stringendola in un abbraccio che, fino a quel momento, aveva riservato solo ad Henry. Tremava come una foglia, era fuori di sé; impaurita, quasi priva di alcun controllo, come le lacrime che, copiose, cominciarono a rigarle il volto terreo.
Sapeva che quell’informazione avrebbe causato dei guai, lo sapeva dal primo istante in cui la sua mente aveva preso in considerazione l’ipotesi che quel cuore sbriciolato potesse essere appartenuto a qualcuno che non fosse Ector.
“…non è stata colpa tua…tu…tu non lo sapevi. Eri accecata dalla rabbia e questo Ector lo sapeva…come lo sapeva Morgana!”
“…ma sono stata io ad ucciderlo. Nonostante sapessi quale fosse la cosa giusta da fare…io ho ucciso una persona…per vendicarmi di quello che ha fatto! Ho scelto la strada più facile…E per quanto voglia ammettere il contrario, per quanto mi piaccia fare la figlia adolescente che ha rincontrato i suoi genitori assassinati…io…io non sono come voi. Io…sono una cattiva!”
“Non sei come noi?! E come saremmo noi Eva?” le chiese Emma, incredula.
“Siete gli eroi…”
“Ma non lo siamo sempre stati…e sono sicuro che in futuro non sempre farò cose non del tutto eroiche…” le rivelò Killian, sicuro di quanto facile fosse per lui cadere nell’oscurità e nella possibilità di commettere degli errori.
“Eva...guardami…” le sussurrò Emma, circondandole il volto con le mani “…sei una bellissima persona…e…non riesco a fare a meno di essere orgogliosa…di te! Di quello che sei riuscita a fare, di quello che sei, nonostante tutto il dolore che hai passato…del cuore grande che hai e di tutto quello che hai perso pur di essere qui…insieme a noi, a trovare un modo per fermare Morgana!” aggiunse la bionda, non riuscendo a sua volta a controllare gli occhi farsi via via sempre più lucidi “…quando ho scoperto chi eri, una parte di me non voleva crederci…non volevo fossi mia figlia…”
Nel sentire quelle parole, il volto di Eva si fece improvvisamente corrugato, come se stentasse a credere al fatto che Emma, proprio in quel momento, le stesse rivelando una cosa simile.
Ma fu felice di ascoltare ciò che venne dopo, perché, ne era certa, avrebbe finito per ricordare quelle parole per sempre, fino a quando quell’incubo sarebbe giunto alla sua fine.
“…non volevo che anche tu avessi sofferto così tanto; non volevo che mia figlia…nostra figlia” si corresse, posando i suoi splendidi occhi verdi in quelli color del mare del pirata al suo fianco “…fosse così infelice. Poi…poi però, ho visto quei momenti nello specchio di Regina…quei momenti in cui eravamo insieme…e per la prima volta ho pensato che il mio futuro sarebbe stato perfetto!” esclamò Emma, lasciando finalmente andare la lacrima, fino ad allora trattenuta “…ho visto che nonostante il mio ruolo da Salvatrice, nonostante continui a pensare di essere una calamita per le cose brutte, alla fine…avrò la fortuna di avere le cose più belle…E nel mio futuro, non potrei desiderare niente di meglio che una famiglia come quella che ho visto nello specchio…con una figlia….come te!”
Quasi priva di forze, Eva si inginocchiò a terra, lasciandosi andare ad un pianto disperato.
“Io…io…vorrei essere solo…più simile a te…” singhiozzò la giovane, con il volto rigato dalle lacrime “mi sei mancata così tanto che…che ho cercato ogni giorno di apparire più simile a te…avrei voluto essere la Salvatrice come lo eri tu…invece…invece di una strega…come Morgana!”
“Ma tu non assomigli affatto a lei…” esclamò Emma, inginocchiandosi a sua volta e guardando la giovane negli occhi “…tu sei coraggiosa e forte. Soffri per aver ceduto all’oscurità…se fossi davvero cattiva non avresti un simile senso di colpa!”
Lasciandosi guidare unicamente dall’istinto, Emma abbracciò con forza il corpo sottile della figlia, sentendosi, per la prima volta, leggera. Sì, proprio così, leggera, libera dal senso di oppressione che, fino a quel momento, aveva finito col soffocarla per non aver detto ad Eva quello che aveva dentro; per essersi limitata ad abbracciarla davanti alle scale di casa, priva del coraggio di rivelarle quanto si era vergognata di aver pensato, anche solo per un secondo, di non volerla come figlia.
Perché in realtà non era Eva il problema, non era quel suo carattere ribelle, quel suo modo di fare alle volte arrogante e sicuro di sé, non era la sua predisposizione al lato oscuro ad averla spaventata, affatto; ciò che l’aveva paralizzata era stata la sua tristezza. La consapevolezza di mettere al mondo una bambina che avrebbe conosciuto solo dolore e lacrime; la possibilità di avere un futuro con Killian Jones, lo stesso uomo che, proprio in quel momento, non perse tempo ad abbracciarle a sua volta, posando il suo mento sulla capigliatura bionda della donna che amava.
Eva rimase in quella posizione, libera, finalmente, di sfogare tutto il dolore che aveva tenuto dentro il suo cuore, per tutto quel tempo.
Era quello che si provava quando i propri genitori ti abbracciavano?
Se era così…bè…era bellissimo.
Stretta, in lacrime, tra le braccia di Emma e Killian, la giovane dai capelli scuri non riuscì a fare a meno di rivivere lo stesso pensiero fatto quando si era trovata a pochi centimetri dagli occhi gialli di Morgana.
Un desiderio che, agli occhi di molti, sarebbe potuto suonare infantile, ma che per lei valeva più di tutto l’oro e la magia del mondo: poter riabbracciare i suoi genitori; potersi di nuovo lasciare andare ad uno di quei pianti immaturi ed infinitamente liberatori, stretta alle loro braccia, al sicuro e conscia che l’avrebbero amata sempre e comunque, nonostante tutte le cattive azioni commesse.
Il suo desiderio, il desiderio espresso al suo compleanno insieme a Jake, si era realizzato.
Al di là di quanto potesse essere sembrato impossibile, lei era lì, con loro.
Deglutendo a fatica, Eva si allontanò di malavoglia dall’abbraccio di Emma e Killian, estraendo il ciondolo da sotto la maglietta, mostrando ai genitori ciò che, fino a quel momento, aveva tenuto nascosto con tanta cura. Lentamente, Eva sfilò la collana dal collo, rendendolo così più visibile al pirata e alla Salvatrice di fronte a lei.
“…è…la mia collana!” esclamò Emma, osservando il ciondolo dalle fattezze circolari, in suo possesso da quando aveva dodici anni, ritrovandosi, in un gesto meccanico, a sfiorare quello che portava a sua volta.
“Sì…me l’ha dato papà quando…”
“Sì…è chiaro!” esclamò sbrigativo Killian, non riuscendo ancora a concepire la possibilità che l’amore della sua vita potesse morire per mano di quella strega “…perché ce lo stai mostrando?”
“Mi avete chiesto se c’era qualcosa che possa collegarci…bè…penso…penso sia questo!”
“Perché è la stessa collana che ho io?”
“Perché è stata incantata...” spiegò Eva, alzandosi da terra e seguita dai genitori che, corrugando la fronte, cercarono di comprendere le parole della ragazza.
“Incantata da chi?!”
“Da Trilli…quando Tremotino mi ha spiegato come aprire il portale per arrivare qui”
“Ah già…il patto di cui non sappiamo nulla, giusto!” ironizzò Killian, il cui senso dell’umorismo sembrava non abbandonarlo nemmeno in quel momento.
Con occhi sbarrati, Eva cercò il sostegno di Emma, la quale, però, si limitò ad alzare le mani e a storcere le sue bellissime labbra rosee.
“Ha ragione…” disse la Salvatrice.
“Bè…mi sembra ovvio che ho stretto un patto con Tremotino per trovare un modo di uccidere Morgana!” sottolineò la ragazza, con gli occhi ancora gonfi per il pianto appena fatto.
“E perché il coccodrillo avrebbe dovuto aiutarci?...visti gli ultimi avvenimenti stento a credere che venga colpito da un atto di carità nei nostri confronti!” *
“Non mi crederesti se ti dicessi cosa arriverai a pensare di lui, credimi!…ma cmq non è del Tremotino del mio tempo che stiamo parlando!”
“Ah no?...e di chi allora?”
“Di un Tremotino che avete già conosciuto….e che vi ha aiutati durante il vostro ultimo viaggio!”
 
 
Inizio flashback – Foresta Incantata
 
Era inutile, odiava quell’idiota.
Non importava quanto tempo fosse trascorso o quello che aveva fatto per lei poco prima, non lo sopportava. Era così borioso ed arrogante che stentava a credere che qualcuno non lo avesse ancora ucciso con le proprie mani, facendo passare il tutto per un’innocente errore di distrazione.
“Che vuoi che me ne importi della tua stupida collana…ragazzina viziata che non sei altro!”
Bastardo. Quanto poteva essere idiota e irritante una persona? Lui di certo non conosceva limiti.
“Maledizione…”
Imprecando a voce alta e con tono alquanto nervoso, la ragazza dallo scomposto chignon, di una caratteristica tonalità castano scuro, cercò di districare il piede da un intreccio di erbacce e spine, il quale pareva essere comparso all’improvviso sui suoi piedi, senza lasciarle via di scampo.
“Mmmm direi che non è il modo più adeguato di esprimersi per una giovane fanciulla come te!”
L’improvvisa, e alquanto inaspettata, voce stridula alle sue spalle, fece volgere di scatto il capo di Eva, la quale cercò di non dare troppo a vedere quanto il movimento scattoso avesse interferito sulla ferita che aveva alla spalla destra.
Maledetta Dee; avrebbe dovuto darle quel pugno molto prima.
“Chi sei…fatti vedere!” esigette la giovane non vedendo nessuno nel raggio di chilometri, sperando di celare al meglio la paura che, impellente, aveva finito con l’impadronirsi del suo cuore.
Da sola, in una foresta sconosciuta, con una caviglia imprigionata e una voce inquietante come atmosfera; dove diavolo era quell’idiota quando serviva?
“Oh ma io sono proprio qui!”
Come per magia, il responsabile del suo improvviso battito accelerato, comparve a pochi passi da dove si trovava Eva, obbligandola a voltarsi nuovamente dalla parte opposta verso cui stava guardando.
“Oh…mio…”
Con la bocca spalancata e il volto terreo, Eva non riuscì a terminare la frase, del tutto immobilizzata dall’incredulità.
Non riusciva a respirare, a pensare, a fare nulla di più complicato del semplice rimanere ferma a bocca aperta, come una sciocca ragazzina senza spina dorsale.
Ma come biasimarla? Quello davanti a lei non poteva essere lui, non poteva essere lo stesso uomo, sempre se di uomo si poteva parlare, dalla pelle squamosa, le mani artigliose e gli occhi simili a quelli di un mostro, che tutti, in un modo o nell’altro, avevano finito per incrociare nella propria vita. Era impossibile; contro ogni legge della natura.
“Immagino tu mi conosca!”
Esclamò il Signore Oscuro, incrociando le mani davanti al petto e sorridendo in quel modo così freddo e inquietante da riuscire a far sollevare i peli delle braccia in un sol colpo.
“T-tu non puoi essere davvero…qui!” sussurrò la giovane, corrugando la fronte e smettendo, per un attimo, di far presa sull’erba aggrovigliatasi sulla sua caviglia.
“Infatti non ci sono…”
Con un gesto della mano, così teatrale e ironico da appartenere solo a Tremotino in persona, quest’ultimo fece svanire nel nulla l’erba e le spine dalla caviglia della giovane Jones, la quale, però non rilassò il volto neppure per un’istante.
“No…tu…tu non dovresti essere qui ho detto…e soprattutto…non così!” sottolineò l’ultima parola, indicando con un gesto della mano il volto lucido e segnato dall’oscurità.
“Come ho già detto, in realtà non sono qui mia cara…si tratta di una semplice incantesimo di riflessione; sono qui…ma non ci sono. Ovviamente, però, accetto ugualmente i tuoi ringraziamenti?” esclamò Tremotino, accennando un leggero inchino nella sua direzione.
“Oh…Se ti aspetti dei ringraziamenti…mi dispiace deluderti…so come funziona con te…reale o meno tu sia!” gli rispose la ragazza, non riuscendo a controllare la risata fredda che, celere, fuoriuscì dalla sua gola.
Voltando le spalle alla figura del Signore Oscuro, Eva fece qualche passo nella direzione opposta, ritrovandosi, però, ad interrompere la sua falcata, di nuovo faccia a faccia con l’essere.
“E dimmi…come funziona mia cara?”
“Che tu mi fai un favore…e io mi ritrovo nei guai, più di quanto non sia già!”
Improvvisamente, Tremotino si lasciò andare ad una stridula e alquanto raccapricciante risata, così falsa e agghiacciante da sembrare quasi un’illusione. Cosa, che in effetti, era.
“Arrogante e scaltra. Geni paterni?!”
“È meglio tu non sappia quali siano i miei geni paterni…” esclamò sicura Eva, voltando nuovamente le spalle all’essere oscuro.
“Oh ma, vedi, io so bene chi sia tuo padre, Eva Jones…e posso dire di avere avuto il piacere di incontrare anche la tua bellissima madre!”
Senza dire una parola, ma limitandosi a voltare il capo e a guardare quegli occhi innaturali con fare sospettoso, Eva assecondò nuovamente il perfido mago, andando contro tutte le imposizioni del suo cuore e donandogli la sua attenzione.
“Non è una gran cosa…tutti sanno di chi sono figlia!”
“Tranne loro. O meglio…tranne la versione, per te passata e per me futura, dei tuoi genitori…che ora se ne stanno rinchiusi nell’ala più segreta del mio castello!”
“Che cosa?!” sbottò allarmata Eva, dal volto sempre più cinereo.
“Oh calmati…prima o poi usciranno. Altrimenti dubito saresti qui…”
“Loro sono…nel tuo castello? Stai mentendo…è impossibile”
“È molto possibile invece…e dovresti saperlo!”
“Ma tu chi diavolo…!”
“Sono Tremotino…al tuo servizio!” esclamò, inchinandosi nuovamente e non trattenendo minimamente il risolino agghiacciante che, da sempre, lo caratterizzava.
“L’ho capito…ma tu non puoi essere qui. Sei morto!!!...e da un po’ di tempo oserei dire!” esclamò la ragazza, incrociando le braccia e mostrandosi più fredda di quanto in realtà non fosse.
A meno che…
Colpita da una rivelazione alquanto singolare e improbabile, Eva si vide costretta a spalancare nuovamente la bocca. Quella giornata si stava rivelando decisamente ricca di sorprese, non propriamente positive.
“…ma, aspetta…se ho capito bene…e hai davvero imprigionato i miei genitori in un’ala del tuo castello, immagino tu venga dal…”
“Passato, esatto! Questi viaggi nel tempo stanno creando qualche problema di comprensione, in effetti!”
“E che cosa ci faresti qui?...come….come hai fatto a…”
“Sono qui per proporti un accordo…ovviamente!”
“Come ho detto…non faccio accordi con te, mi dispiace…passato o presente tu sia!”
“Oh…ma sono qui per darti qualcosa che ti serve, mia cara!” sottolineò Tremotino, gesticolando, arrivando a sollevare una mano verso l’alto, eallineando l’altra al petto, come faceva di consueto, in una sorta di contrapposizione tra bene e male, tra divertente e malvagio.
“E sarebbe?!”
“Qualcosa che ti aiuterà a distruggere Morgana…ovvio!”
“E perché dovresti aiutarmi? Potrei capire se a farlo fosse Gold…ma tu…tu sei tutto tranne che un fan della mia famiglia!”
“Oh bè è semplice mia cara, l’hai chiaramente sintetizzato in una frase qualche secondo fa!”
“E cioè?!”
“Io qui non ci sono…sono morto. E questa è una cosa che va assolutamente modificata!”
“E non sarai l’unico, credimi. Ma…tu come fai a saperlo?” chiese la giovane, corrugando la fronte con fare sospettoso.
“Semplice, sono il Signore Oscuro…e non c’è nulla, passata, presente o futura che possa essermi tenuta nascosta. E quando ho visto i tuoi genitori insieme…ho avuto la brillante premonizione delle tue gesta. Sei tu, mia cara, l’unica in grado di uccidere Morgana!”
“Ho paura tu abbia preso un abbaglio. L’unica persona che avrebbe potuto uccidere quella strega era mia madre…e lei...non è qui purtroppo!”
“Oh, ma io non sbaglio mai!...ma ad ogni modo l’assenza di tua madre è una cosa modificabile!”
“Ma davvero?!”
“Certo…perché l’arma con cui ucciderai Morgana si trova proprio in un luogo in cui lei è ancora viva!”
“L’aldilà?!”
“No sciocca, il passato!...i geni paterni si fanno sentire, non c’è che dire!”
Glissando sull’ultima frecciata da parte del Signore Oscuro, Eva assottigliò lo sguardo, del tutto incredula di fronte a quella folle eventualità.
Tremotino che per secoli aveva terrorizzato quelle terre, morto ormai da anni, le stava offrendo il suo aiuto; e non un aiuto qualsiasi, affatto. Le stava dando la possibilità di andare in un luogo dove avrebbe trovato non solo un arma in grado di uccidere la Fata Oscura, ma anche sua madre, viva.
Era un trucco, senza il minimo dubbio.
“…è impossibile andare nel passato, se non usando la magia nera! E io non sono tanto stupida da cascare in un simile tranello…coccodrillo” sibilò la ragazza, scegliendo quel termine con il preciso intento di innervosire l’uomo di fronte a lei.
Se Tremotino, o Gold o come cavolo voleva farsi chiamare, pensava di poterla fregare si sbagliava di grosso. Non aveva avuto il piacere di vedere l’uncino di suo padre, ma di certo non aveva dimenticato cosa quel mostro aveva fatto passare alla sua famiglia. Certo, negli anni a venire era cambiato, riuscendo addirittura a liberarsi dell’oscurità che per anni e anni avevano invaso il suo cuore; ma quello che aveva davanti non era di certo la persona che aveva conosciuto.
No, quello non era Gold l’uomo, quello era Tremotino, la Bestia e lei, purtroppo, non era Belle, in grado di vedere la luce sotto tutta quella scorza di malvagità.
“Oh quale purezza d’animo...mi chiedo quanto possa durare!” sussurrò infido Tremotino, muovendo le dita come fossero le onde del mare “…ad ogni modo, andare nel passato non richiederà alcun tipo di magia nera. Solo qualche innocuo ingrediente di facile reperimento e l’aiuto della mia allieva preferita!” spiegò il mago, con quel suo atteggiamento così teatrale da incantare chiunque lo ascoltasse
“Regina…”
“Esatto…se non fosse per i vincoli direi che sarebbe l’incantesimo più facile che abbia mai proposto!”
“Vincoli? …mi sembrava strano non avessi ancora parlato del prezzo!”
“Oh ma questo non è il prezzo mia cara. Vedi, con questo incantesimo solo chi non è presente in quel tempo può avventurarsi nel portale…altrimenti…”
“Altrimenti?”
“…Zac!” accompagnando quell’insolita espressione con un gesto secco di una gola mozzata, Tremotino sorrise soddisfatto di fronte agli occhi terrei della ragazza.
“Quindi mio padre…”
“Né tuo padre, né Regina potranno accompagnarti…nessuno presente nel passato…solo chi non è ancora nato”
“Ma il portale di Z…”
“shhh shhh….non dirmi niente del futuro, non voglia sapere chi farà cosa e cosa eliminerà chi…so già troppo!”
“Sbaglio o sei qui a parlare con la figlia della Salvatrice e il pirata di cui hai avuto una visione?!...non è un po’ troppo tardi per preoccuparsi di queste cose?”
“Oh tranquilla mia cara, a tal proposito ho già preparato una pozione che berrò a minuti…non ricorderò nulla né di te né dei tuoi sciocchi genitori!” esclamò il mago, sollevando una boccetta minuscola, dal liquido alquanto scuro.
“…è…è quella?!”
“Oh no…questa è per te!”
“Per me?...io non ho bisogno di dimenticare nulla!”
“Ma questa non è una pozione della memoria. Questo è uno dei veleni più potenti e oscuri che siano mai stati creati…fatti con la linfa di una pianta proveniente dalle Paludi Mortali!” spiegò Tremotino, avvicinandosi di qualche passo alla giovane “è uno dei veleni più potenti…nulla può spezzare il suo corso, nemmeno il Vero Amore. La morte arriva celere, subito dopo averla bevuta…svanendo nel nulla e non lasciando la minima traccia della propria presenza!”
“E perché dovresti darla a me?...non la voglio” indietreggiò Eva, a dir poco spaventata dalla potenza di quel liquido denso.
“Oh ma…questo è il prezzo!”
“C-Cosa?!”
“La magia ha sempre un prezzo, mia cara. Sei stata proprio tu a ricordarlo, poco fa!” sussurrò diabolico Tremotino, avvicinandosi di un altro passo e fermandosi a pochi centimetri da quel volto così simile a quello della donna dalla giacca di pelle rossa vista poco prima “…come dico sempre, i viaggi del tempo sono impossibili proprio per il numero di problemi che riescono a dare…e non sarò proprio io a scatenare la fine del mondo mandandoti lì. Mi serve una garanzia di una tua dipartita a lavoro terminato!”
“E chi ti dice che io la farò?”
“Semplice mia cara, lo farai perché altrimenti non vedrai mai la tua famiglia…”
“Sei disposto a rischiare…”
“Oh mia cara…non posso permettere che io e Bae moriamo per colpa di una pazza dall’infanzia difficile!”
“Baelfire…”
“Esatto…il figlio che so già ritroverò…e che sicuro come l’oro quella Morgana vorrà uccidere per suo tornaconto! Quindi, eccoti servita l’opportunità di eliminarla una volta per tutte…di vendicare la tua famiglia e di fare l’eroe. Dovrai solo seguire le mie istruzioni, aprire il portale, andare nel passato e trovare l’arma in questione e, una volta fatto…”
“Dovrò uccidermi…” mormorò tra sé e sé Eva, abbassando il volto con occhi sbarrati “…altrimenti non nascerei…”
“Perspicace, non c’è che dire!” ripeté con tono acuto, gorgogliando soddisfatto “…come ti ho già detto, non possono coesistere due versioni della stessa anima, altrimenti entrambe finirebbero con l’annullarsi…finendo nell’oblio. Nessuno saprebbe nulla di te…tu non nasceresti mai e…!”
“Ma io non voglio morire…” lo interruppe Eva, i cui occhi cominciarono ad inumidirsi, al di là della sua parvenza forte e sicura “…non posso lasciare mio padre da solo….”
“Oh ma chi se ne importa!”
“A me importa…è mio padre!” ruggì la giovane Jones, stringendo forte la mascella.
“…vedi principessa, non dovrai preoccuparti del tuo caro pirata…perché…se riuscirai nel tuo intento tutto questo svanirà nel nulla…”
“Che cosa?!”
“Certo…questo futuro cesserà di esistere, Morgana non attaccherà mai Storybrooke, tua madre non verrà uccisa e tu…tu vivrai la tua bella vita insieme alla famiglia perfetta che hai sempre voluto! O meglio, la prossima versione di te. E per farlo, ovviamente, è necessario che tu non sia presente lì…devi svanire, andartene, migrare per paesi lontani…” esclamò divertito, ricominciando a gesticolare con fare teatrale “…insieme a tutto ciò che riguarda il tuo futuro”
“…ma…ma mio padre non mi lascerà mai partire se sapesse…”
“Oh allora non dirglielo! Perché farlo soffrire inutilmente…”
“Non gli ho mai mentito…” sussurrò Eva, abbassando nuovamente il volto e iniziando a sentire un improvviso morso allo stomaco, preoccupata dalla facilità con cui stava per cedere a quel letale patto.
“Lodevole certo…ma vale la pena mantenere intaccato il tuo rapporto con il pirata a discapito di tutta la Foresta Incantata?!”
Per un attimo Eva stette in silenzio, divorata dal pensiero di dover mentire a suo padre, divorata dal pensiero di dover abbandonare tutto e tutti, in partenza verso un viaggio di non ritorno.
Sarebbe morta.
Avrebbe rivisto i suoi genitori, certo, forse li avrebbe addirittura abbracciati e baciati come non faceva da tempo, ma poi? Poi, se tutto fosse andato nel migliore dei modi e fosse riuscita a trovare quella fantomatica arma da usare contro Morgana, lei sarebbe morta. Niente domani, niente futuro sul quale basare la propria speranza. La sua vita sarebbe stata votata unicamente al sacrificio; una vita fatta solo di dolore, perdite e sofferenza.
Ma loro vivranno.
Loro vivranno. Era vero.
Se avesse seguito le indicazioni di Tremotino tutto quell’incubo sarebbe giunto ad una fine. Certo, non avrebbe più rivisto i suoi amici, Henry, ma valeva la pena salvarli, salvare la vita a suo padre che, per anni, era stata la sua unica ancora in grado di tenerla in piedi in quell’inferno di fiamme e fumo.
Ci sarebbe riuscita. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di uccidere quella strega. E il modo in cui Tremotino la fissava con quel suo sguardo oscuro, lasciava ben intendere quanto in là andassero i suoi poteri di preveggenza.
 “Allora...abbiamo un accordo?!”
 
Fine flashback
 
Aveva raccontato tutto, di fronte ad una calda e fumate cioccolata calda, ovviamente arricchita con quella spruzzata di cannella che, da sempre, rappresentava un tratto distintivo della sua famiglia, si era lasciata andare, liberandosi di uno dei tanti macigni che, da tempo, appesantivano il suo cuore.
Aveva detto ai suoi genitori di Tremotino e del patto stretto. Tutto, parola per parola.
Ok, forse qualcosa le era sfuggita, come il sottolineare la piccola postilla riguardante il veleno, fino a quel momento agganciato alla catenina posta sopra al tavolo ed ora nascosto sulla tasca destra dei suoi pantaloni scuri; in fin dei conti chi poteva dire di raccontare ogni cosa alla propria famiglia?
Tu, prima di diventare il mostro di te stessa?!
Già; ma che senso aveva provare rimorso proprio ora? Aveva iniziato a mentire subito dopo aver stretto l’accordo col Signore Oscuro e quello non era di certo il momento migliore per farsi prendere dal rimorso.
E poi, non era stata la sua magia a convincere suo padre. Neppure dopo aver avergli nascosto la parte del patto riguardante la sua morte era riuscita a convincerlo di lasciarla partire; non ne voleva sapere, non senza di lui al suo fianco. Dopo giorni e giorni, non seppe dire se fosse stata la presenza di Regina o la consapevolezza che, anche nel passato, ci sarebbe stato lui ed Emma, a proteggerla; ad ogni modo, stava di fatto che aveva accettato, ovviamente non senza farle promettere di ritornare sana e salva. Se non fosse stato ucciso da Morgana proprio davanti al portale, probabilmente in quel momento avrebbe messo sottosopra tutta la Foresta Incantata pur di trovare un modo per raggiungerla; avrebbe dato di nuovo la sua mano pur di aiutarla. Lo sapeva, e la cosa faceva tremendamente male, male al cuore.
Già, se solo fosse stato ancora in vita.
Non è morto.
Di nuovo quella voce, quell’irritante e stupida voce della sua coscienza, tenacemente aggrappata alla speranza di poter sentire un legame con suo padre. Era ovvio che lo avvertisse ancora, lui era proprio lì, davanti a lei, di molti anni più giovane di quanto immaginasse e con uno sguardo corrucciato e del tutto irritato dalla piega che avevano preso gli eventi, o che, ad ogni modo, avrebbero finito col prendere in un futuro non lontano.
“Così il coccodrillo ti ha aiutata ad aprire il portale…”
“Mi ha detto come fare, esatto…”
“E tutto senza…un prezzo!”
“Aveva il suo tornaconto!”
“Il coccodrillo ha sempre un tornaconto, ma chiede comunque un prezzo!” sottolineò gelido il pirata, lanciando uno sguardo significativo in direzione di Emma, seduta accanto ad Eva.
“Questa volta non me l’ha chiesto…” continuò Eva, forzandosi di apparire sicura.
Sapeva che mentiva, lo sapeva. Maledizione.
“Lui verrà effettivamente ucciso da Morgana?” le chiese Emma, cercando di capire qualcosa di più di tutta quella storia.
“Sì…ed è per questo che Tremotino mi ha offerto la possibilità di arrivare qui, solo per avere salva la vita…sua e….e di Baelfire!”
“Neal…” sussurrò Emma, provando un’improvvisa fitta al cuore.
“Già…non…non sapeva ancora nulla di lui…quando mi ha raggiunta”
“Ma lo avrebbe scoperto a breve…” constatò la Salvatrice, ricordando il modo in cui Gold le aveva afferrato il braccio quando era riuscita a riaprire il portale della Strega dell’Ovest, utilizzando la bacchetta di Morgana.
Di nuovo quel destino dall’umorismo agghiacciante. La stessa bacchetta che allora aveva salvato lei, Uncino e Marion, ora li avrebbe distrutti tutti, eliminando qualsiasi traccia di speranza dal cuore di tutto il mondo delle favole. Incredibile.
“Ad ogni modo…non ci hai ancora detto perché Trilli abbia deciso di incantare il ciondolo di Emma?!”
“Oh…già…” esclamò Eva, sfiorando con le dita il metallo freddo con cui era fatto quel cerchio perfetto “…quando Regina ha iniziato a lavorare all’incantesimo, ci siamo accorti che mancava una parte importante. Dei ricordi che mi portassero nel preciso momento in cui a Storybrooke ha regnato la pace…”
“Bè…se questa vogliamo chiamarla pace…?!”
“Bè…prima del suo arrivo, sì…Niente mostri, niente pupazzi di ghiaccio…non stava andando male…” scherzò Emma, sorridendo ad Killian con fare complice.
“Già…” concordò il pirata, lanciandogli un sorriso provocatore.
“Vi prego, sono qui!” sottolineò la ragazza, alzando gli occhi al cielo “…comunque…ci serviva un momento di pace e Regina ha pensato a questo, al momento in cui Elsa se ne era andata dalla città, facendo ritorno ad Arendelle…e, soprattutto, con la perfetta assenza di Tremotino…”
“Che avrebbe probabilmente finito col fare un accordo con Morgana pur di non morire…”
“Probabile….Il problema era che io, però, non essendo ancora nata, non avevo nessun ricordo di questo periodo…e il rischio di finire sballottata in un momento diverso era troppo alto!”
“Così Trilli ha incantato il ciondolo legando i tuoi ricordi ai miei!”
“Esatto…aveva detto che io non ne avrei risentito in alcun modo…ma probabilmente non ha pensato all’effetto che l’incantesimo avrebbe avuto su di te!”
“Per questo vedo quelle cose…sono i tuoi ricordi e…i miei!”
“Della te del futuro…” aggiunse Uncino, serrando la mascella, nervoso.
“Devo dire che il piano non è mai iniziato bene…avrei dovuto rubare la vostra magia e trovare la spada da sola, senza far esplodere tutto questo!”
Con fare frustrato, Eva prese la collana appoggiata al tavolo, rindossandola con facilità al collo. Non sapeva spiegarsene il motivo, ma ogni volta che se ne separava finiva col sentirsi persa, quasi in balia delle sue più antiche paure. Amava quel ciondolo, lo amava più di ogni altra oggetto a cui fosse affezionata e il modo in cui riusciva a darle la forza di andare avanti, alle volte, pareva avere motivazioni magiche. Come se la magia e l’amore di sua madre fosse racchiuso al suo interno.
Come l’anello dei nonni che, fin dall’inizio, riusciva sempre a trovare il Vero Amore, quella collana riusciva sempre a farle trovare la forza di andare avanti e di non perdere mai la speranza.
“A proposito…perchè volevi la nostra magia?...a cosa poteva servirti?...mi sembri già abbastanza forte!” esclamò improvvisamente Emma, cercando di alleggerire quella domanda con un lieve accenno di un sorriso.
“Quando dissi a mio padre e a Regina della spada, loro erano da poco tornati da…da una ricerca…” spiegò la ragazza, preferendo sorvolare su quanto fosse accaduto ad Henry, preferendo non esagerare con le rivelazioni“…dove erano venuti a conoscenza di una profezia che parlava di Morgana e di un’altra strega a lei legata!”
“Oh mio dio…sono due?!” chiese Killian, alzando gli occhi al cielo.
“Oh bè…lo erano, almeno secondo questa profezia. Ma purtroppo non si sa nulla di lei. Alcuni dicono sia stata imprigionata dalla stessa Morgana, spaventata dal potere che aveva su di lei…”
“E che collegamento ha questa strega con Morgana!”
“La profezia dice che era una strega così potente da poter impugnare Excalibur. Sentendo questo...Regina ha pensato che per impugnare la spada servisse un potere altrettanto grande…”
“E così ti ha detto di usare l’incantesimo di donazione per rubare la sua magia…e di trovare un modo per rubarla a me!”
“Bingo!” sorrise Eva, appoggiando nuovamente la schiena alla sedia “…se non fosse stato per l’arrivo di Morgana e di Ector e della mia precaria copertura, sarebbe stato un piano niente…male!” strascicando l’ultima parola con uno sbadiglio impossibile da contenere.
Emma e Killian non riuscirono a fare a meno di guardarla con occhi amorevoli, l’uno consapevole di quanto fosse strabiliante la somiglianza con l’altro.
Gli occhi, le dita affusolate, gli zigomi, le ciglia folte, i capelli scuri. La perfetta unione della Salvatrice e del pirata.
E questo Killian non riusciva a fare a meno di considerarlo un grande e meraviglioso sogno.
Certo, il fatto che ci fosse Morgana dagli intenti tutt’altro che amorevoli non poteva essere considerato un aspetto propriamente positivo, ma vedere quella ragazza, il frutto del suo amore con Emma, era la cosa più bella che avesse mai creduto di poter vivere.
Avrebbe avuto una figlia, una figlia con Lei. Perché non riusciva a crederci? Perché il cuore aveva iniziato a dolergli dalla gioia di quel regalo così strabiliante?
Aveva sofferto tanto nella sua vita, lo sapeva e le scelte che aveva finito col prendere ne erano un esempio calzante; ma ora era lì, nella cucina di Biancaneve, seduto accanto al suo unico e vero amore, davanti a quella che sarebbe stata sua figlia.
Ed ora che era lì, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di aiutarla.
“Si è fatto tardi…è meglio che vada!” esclamò il pirata, alzandosi da tavola e lanciando un’occhiata in direzione di Emma.
“Già…direi che per oggi può andare con le chicche sul nostro futuro!”
“Direi di sì…vado a letto allora. Ci…ci vediamo…domani?!” chiese titubante Eva, in direzione del giovane Jones.
Era strano vedere il proprio padre, non ancora sposato con quella che sarebbe stata sua madre, dover andare a dormire nell’albergo della Nonna, lontano da quella che, ormai tutti sapevano, sarebbe stata la sua famiglia.
“Certo…”
“O-ok!...evito di fare domande imbarazzanti sul perché non dormite insieme giusto?!”
“Bravissima…continua ad evitare!” rispose di getto Emma, arrossendo visibilmente di fronte a quella domanda innocente, o sfacciata, a seconda dei punti di vista.
“Oppure chiedi pure…sono curioso di sentire la r…”
“Notte Killian!” lo interruppe Emma, gelandolo con lo sguardo.
Sorridendo divertita da quel modo ancora incerto con cui Emma si approcciava al pirata, Eva si diresse verso il piano superiore.
Era stanca, forse addirittura distrutta, ma la voglia di andare a letto non voleva saperne di impadronirsi di lei. Non voleva stendersi, non voleva chiudere gli occhi.
Perché sapeva cosa sarebbe successo.
Avrebbe ricominciato a ricordare e a rivangare ciò che era accaduto in seguito, dopo la riunione con suo zio, lo stesso che ora se ne stava a pochi metri dal suo letto, immerso in un beato sonno, all’interno della sua culla.
 
 
Foresta Incantata
 
Se c’era una cosa che non sopportava dei suoi capelli era il loro voler rimanere eternamente bagnati. Erano tanti, erano folti, erano troppi e neppure l’intensità dei raggi solari di quella mattina sembravano riuscire a farli asciugare.
Per non parlare poi della difficoltà nel pettinarli. Un vero e proprio incubo.
Ma l’idea di tagliarli non l’avrebbe sfiorata nemmeno tra un milione di anni. Non quando tutti le dicevano che assomigliava in tutto e per tutto a suo padre, non regalandole mai l’emozione di sentirsi dire quanto fosse simile anche a Lei, ad Emma Swan.
Non sapeva perché, ma ogni giorno, quando qualcuno la guardava, quando qualcuno faceva riferimento a qualcosa del suo aspetto, nutriva la profonda speranza di sentirsi dire che assomigliava a sua madre, che aveva il suo modo di fare, le sue stesse mani, il suo stesso sguardo; ma non accadeva mai, nonostante sapesse bene da chi provenissero quei profondi occhi verdi e gli zigomi sporgenti. Nessuno vedeva qualcosa di Emma nel suo aspetto, nemmeno una volta, almeno fino a quando aveva iniziato a far crescere i capelli, tenendoli per lo più sciolti, come faceva sempre la Salvatrice.
Voleva sentirsi come lei, voleva sapere di portare qualcosa di sua madre su di sé; qualcosa che avesse fatto piacere a Killian, l’unico che, guardandola negli occhi, le dicesse quanto della sua Swan ci fosse dentro di lei.
“Oh finalmente ci siamo fatti una doccia!” sbottò una voce velenosa alle sue spalle, interrompendo il flusso dei suoi pensieri “…stavamo iniziato a credere che dalle tue parti non si usasse farla!”
Ancora lei. Diletta, Dee per chi avesse avuto confidenza.
Era in quella riserva da più di una settimana, ma quell’arpia non sembrava voler smettere di provocarla.
Va bene, era la ragazza di Jake, ma lei che c’entrava. Dopotutto, dopo lo spiacevole incidente del primo giorno, non aveva più avuto il piacere né di vederlo, né di parlargli.
Ok, forse qualche incrocio di sguardi c’era stato, ma nulla di più.
Non c’era molto da dire, dopotutto, si odiavano e meno l’uno aveva a che fare con l’altro meglio sarebbe stato per tutti; perciò non riusciva davvero a capire perché quella ragazza continuasse a darle il tormento. L’amore era davvero una cosa stupida.
Limitandosi a fulminarla con lo sguardo, Eva continuò a ripiegare i vestiti sporchi, inginocchiata sulla riva di quel lago così piatto e silenzioso da mettere i brividi. Non sopportava le cose statiche, le facevano salire un’ansia incontrollabile. Come la quiete prima dell’arrivo di una distruttiva tempesta.
Non aveva intenzione di attaccare briga con lei, lo aveva promesso a suo zio e a Roland; e nonostante Alex continuasse a dire che la convivenza tra due donne invaghite dello stesso uomo fosse impossibile, lei non perdeva tempo a dirle che l’aria del bosco cominciava a darle dei seri problemi.
“Sei diventata sorda…l’acqua del lago ti è forse entrata nelle orecchie…principessa!”
La stava provocando, lo sapeva, e lei di certo non era così stupida da cadere due volte nello stesso tranello. Un’altra lite come l’ultima volta e Jake l’avrebbe sicuramente sbattuta fuori dall’Alleanza, creandole non pochi problemi; lo sapeva…e lo sapeva anche quella maledetta.
Irrigidendo la mascella, Eva si alzò dall’erba, alzando lo sguardo serio in direzione di Dee, in piedi a pochi metri da lei, con le braccia incrociate e una visibile aria di sfida dipinta sulla faccia.
“Se stai cercando rogne Dee…mi dispiace dirti che non le troverai, non qui almeno. Vattene!” esclamò la giovane Jones, dirigendosi con passo sicuro verso la capanna di Regina, la sua attuale e temporanea abitazione.
“Ma io non sto cercando la lite…”
“Ah…davvero? “ le rispose Eva, fermando la sua andatura e voltandosi verso Dee, con ancora i vestiti tra le braccia.
“Mi stai solo profondamente antipatica. Ti ho capita subito sai, hai quel modo di fare da strafottente…come se tutto ti fosse dovuto! Una vera e propria principessa...Oserei dire che non ti sopporto affatto!”
“Perfetto…il sentimento è reciproco!”
“…e non riesco a capire come tu riesca a convivere con te stessa, capisci? Sei una persona talmente orribile e…e disgustosa!”
“E menomale che non stavi cercando la lite…” sussurrò Eva, lasciandosi andare ad un sorriso freddo e volgendo lo sguardo verso il lago ancora piatto e cristallino.
Non le avrebbe dato soddisfazione, non stavolta.
“Oh ma io sono solo sincera. Come si può voler bene ad una persona come te…sei come i topi!” esclamò sempre più dura Diletta, lasciando andare le braccia lungo i fianchi e avvicinandosi pericolosamente al corpo di Eva, sempre più scosso da brividi di collera “…trovi sempre la via di fuga quando le cose iniziano ad andare male. Hai fatto così a Storybrook giusto?...me l’ha detto Jake…Arrivata Morgana te ne sei andata col tuo caro papà, in salvo…mentre la gente attorno a te moriva uccisa da quelle bestie infernali…senza la possibilità di salvarsi…”
“Stai parlando del giorno in cui hanno ucciso mia madre…” ruggì Eva, stringendo con forza il tessuto che teneva tra le mani, ripetendosi nella mente che nemmeno Jake avrebbe potuto essere davvero così crudele nei suoi confronti.
“Oh lo so bene…altra vittima del tuo egoismo. Ho sentito che quel giorno era te che Morgana voleva…non tua madre…E…ho sentito anche che aveva solo chiesto di parlarti…probabilmente ti avrebbe uccisa certo…ma hai mai pensato al fatto che, se avessi avuto il coraggio di andare da lei, a quest’ora…la tua famiglia sarebbe viva?!”
Zitta. Zitta. Stai zitta.
Sta solo cercando di provocarti.
“Probabilmente sarebbe andata così!” continuò imperterrita Dee, incrociando nuovamente le braccia al petto, forzandosi di trattenere il ghigno che, a dispetto di tutto, cominciava a formarsi sulle sue labbra perfette “…e invece? Puff…sei sparita, senza lasciare traccia…nascosta mentre Morgana faceva dilagare il caos. Un vero e proprio topo di fogna non trovi?...arrivi quando le cose cominciano a sistemarsi. Anche adesso…mentre tuo padre finirà probabilmente ucciso nella ricerca di quello che non è neanche suo figlio, tu te ne stai qui…tranquilla…”
“Smettila…” sussurrò Eva, chiudendo forte gli occhi, come a voler far cessare quelle parole affilate e velenose come una lama insanguinata.
“…a farti un bel bagno…mentre tutti muoiono…a causa tua!”
E alla fine successe.
Non seppe dire in che modo, se fosse dovuto al fatto che i vestiti le erano scivolati dalle mani, impedendo alle dita di ritrovarsi occupate, o al fatto che gli occhi avevano deciso di riaprirsi.
Seppe solo che era accaduto.
Tutto era diventato nero, o forse no; forse era più corretto dire che, improvvisamente, tutto era diventato respirabile.
Finalmente l’aria aveva finito col scorgere la via che dava verso i polmoni, dandole la strabiliante sensazione di sentirsi libera di da ogni restrizione.
Un potere fuori dal normale aveva preso il posto dei globuli del suo sangue, scorrendole nelle vene, dritto verso ogni punto del suo corpo.
Si sentiva forte, si sentiva viva. Si sentiva in grado di sprigionare ciò che, fino a quel momento, era stata obbligata a tenere chiuso dentro di sé.
Il potere.
Era ovunque, dovunque. Dentro di lei, fuori da lei, bisognoso di uscire allo scoperto.
“C-che cosa..s-s-stai facendo…l-las…lasc-ciami!”
Diletta. Com’era finita librata in aria, con le mani strette alla gola, come a volersi liberare di qualcosa che le impediva la respirazione?
Oh, certo, era stata lei.
“Come ci si sente eh?...che sensazione dà il soffocamento? Cosa si prova a sentirsi inermi e deboli di fronte a qualcosa di così grande?” esclamò fredda Eva con la sottile mano sollevata.
Sentiva gli occhi pesanti, quasi iniettati dal potere che, improvviso, aveva preso il controllo del suo corpo.
Lentamente e con fierezza, la giovane Jones alzò il volto verso la figura della ragazza, avvicinandosi di qualche passo e ignorando volutamente il fumo che improvvisamente aveva iniziato ad avvolgere il suo stesso corpo, di un blu notte così intenso da apparire simile alla pece
“Allora Diletta? Dimmelo!” urlò fuori di sé, colma di un’emozione quasi incontrollabile.
Voleva fargliela pagare, voleva farle provare la stessa paura che Morgana le faceva vivere giorno dopo giorno, da più di dieci anni. Voleva farle pentire di averle dato della vigliacca, quando l’unica in un lago di lacrime era proprio lei.
“Che stai facendo…lasciala!”
Improvvisamente, una voce maschile tuonò in tutta la distesa erbosa, facendo vibrare la spina dorsale della giovane dagli occhi versi e risvegliandola in un solo colpo da quella sorta di trance in cui era caduta, senza rendersene conto, senza capire come fosse successo.
“Che diavolo ti è preso?!”
Jake.
Ovvio fosse Jake. Per quanto lo odiasse e provasse irritazione nei suoi confronti, lì era lui l’eroe, l’unico che si preoccupava per tutti e che non si tirava mai indietro quando le guardie di Morgana si avvicinavano troppo al campo.
Lo sapeva. Come sapeva che qualcosa dentro di lei stava cambiando, rendendola sempre più simile alla Fata Oscura di quanto non volesse.
E lei che voleva tanto assomigliare a sua madre.
“Ehi…sto parlando con te…” sbottò il ragazzo dagli occhi scuri, afferrandola nuovamente per le braccia, iniziando a scrollarla senza troppa cura.
Eva stette in silenzio. Non sapeva cosa dire. Non sapeva cosa le era preso.
Si era semplicemente lasciata andare, aveva semplicemente smesso di trattenersi.
Allora era quello ciò che aveva dentro? L’oscurità?
“Vuoi rispondere?!” le urlò contro Jake, perforandola con lo sguardo.
Che buono odore aveva, sapeva di bosco e legno di ciliegio, o almeno aveva sempre pensato che fosse quello il profumo del legno di ciliegio; e chissà per quale assurdo motivo si ritrovava a pensare ad una cosa del genere, in un momento come quello.
“…i-io non lo so…” sussurrò Eva, la voce tremante e gli occhi colmi di lacrime “…io…ho solo…”
“Ehi Jake…porto Dee dal dottor Whale…” esclamò Rowan, inginocchiato accanto a Diletta, la quale aveva cominciato a tossire e a respirare, massaggiandosi insistentemente il collo.
Rowan? E quand’era arrivato Rowan? Non lo aveva sentito, come del resto non aveva sentito arrivare Jake.
Era stata davvero così sopraffatta dalla collera da non essersi nemmeno resa conto di ciò che stava accadendo intorno a lei?
E se si fosse avvicinata una bambina? E se, in balia di se stessa, avesse finito per fare del male a qualcuno?
E se avesse ucciso Dee?
“Ok…” gli rispose il giovane Hood “…tu, vieni con me!”
Prendendola per un braccio, Jake iniziò a strattonarla verso l’interno del bosco, senza preoccuparsi di alleggerire la presa e senza dire alcunché, in assoluto silenzio. Non che lei si lamentasse in proposito, dopotutto fino a quel momento non aveva fatto altro che urlarle addosso.
A pensarci bene le urlava addosso da quando aveva messo piede in quella maledetta Alleanza.
Solo che questa volta era ben difficile dargli contro; dopotutto l’aveva appena vista soffocare la sua ragazza usando la magia. Non sapeva se ci fosse un divieto riguardante il soffocamento in generale, ma di certo, d’ora in avanti sarebbe stato aggiunto alla lunga lista elencatale da Rowan.
Dopotutto, gli incidenti servivano a quello no?
Oh…che fosse proprio quello ciò che Jake stava per fare? Che la stesse sbattendo fuori? Che la stesse portando fuori della radura senza darle nemmeno la possibilità di salutare Neal, Roland e Alex?
No, no, no…non poteva andarsene così.
“Ascolta…” iniziò a dire Eva, obbligata a seguire il suo passo celere, con il braccio intorbidito dalla stretta.
“Che. Cos’era. Quello?”
Quasi risvegliatosi al suono della sua voce, Jake interruppe improvvisamente la sua andatura, sovrapponendosi tra lei e la foresta. Con fare autoritario, inchiodò il sguardo con quello spaventato e lucido di lei, indicando il punto da cui si erano allontanati. Sembrava fuori di sé; e come dargli torno, stava per uccidere una persona.
Oh…l’avrebbe davvero uccisa?
No, si sarebbe fermata. Ne era certa.
“Io…”
“Non osare dirmi che non lo sai!” la interruppe, collerico “…quella era magia nera. Nera hai capito?”
“Ti ho detto che non lo so…non mi era mai successo prima!”
“Di usare la magia…non hai mai usato la magia in vita tua? Mi riesce difficile crederlo...” la derise il ragazzo, lasciandole finalmente andare il braccio ormai arrossato.
“Di usare la magia…in quel modo…non…non mi era mai successo…lo giuro!” si giustificò la giovane, strofinando il braccio, quasi bastasse quello a limitare il bruciore da cui ne scaturiva.
Per attimi lunghi quanto un secolo, Jake rimase in silenzio, fermo, a guardarla con gli occhi sbarrati ed un fiume rumoroso di pensieri impossibile da ignorare.
Aveva il respiro affannato. Non ricordava di averlo mai visto in difficoltà; ogni volta che incrociava il suo sguardo era sempre rigido e controllato, mai una piega, mai un capello fuori posto.
La scoppia sputata di sua madre, non vi era il minimo dubbio.
Una piccola parte di lei avrebbe voluto sapere cosa stava pensando, cosa la sua mente gli stesse suggerendo di fare con quella ragazza pericolosa e del tutto inadeguata per un posto come quello.
Di certo non gli serviva un altro motivo per odiarla.
“Maledizione Eva!”
Frustrato, Jake si prese la testa tra le mani, portando i capelli dietro la nuca, come a voler ritrovare il controllo di sé.
Oh, ecco un capello fuori posto.
“…che diamine ti è preso. La stavi per uccidere!”
“Lo so…” sussurrò Eva, con gli occhi di nuovo colmi di quelle maledette lacrime traditrici “...io volevo solo…solo farla smettere!”
“Di fare cosa?”
“…niente…”
Non gli avrebbe detto che quella maledetta continuava a tormentarla. Non avrebbe fatto la parte della ragazzina viziata che subito giustifica un suo errore per la stupidaggine di qualcun altro. Aveva sbagliato, aveva fatto qualcosa di così imperdonabile che stentava a credere fosse successo realmente e non avrebbe di certo iniziato col dare la colpa a Dee.
Ok, Dee aveva esagerato e probabilmente era la crudeltà fatta in persona, ma che motivo aveva lei di fare del male a chiunque la odiasse?
Nessuno.
Aveva usato la magia nera perché dentro di lei non era poi così pura quanto credeva, era questa l’amara e agghiacciante verità. Era questo che faceva più male ammettere ad alta voce.
“Niente!?” le fece eco il ragazzo, decisamente poco convinto da quella misera spiegazione.
“Non la sopporto…tutto qui!”
“Bene…quindi adesso usi la magia nera quando qualcuno che odi ti dà fastidio. Stento a credere di essere ancora vivo!” disse Jake, lasciando andare una risata difficilmente trattenuta.
“Al contrario di te…io non ti odio!”
Oddio. Cosa? Aveva detto che non lo odiava? E da quando?
Forse da quando ti ha portata in mezzo ad un bosco per farti riprendere il controllo?
Già, che stupida, era stata così concentrata sulla possibilità che la stesse cacciando dalla radura che non si era nemmeno resa conto che in realtà l’aveva solo allontanata da lì, allontanata da una probabile miriade di curiosi pronti soltanto a peggiorare la situazione.
Era insieme a lei, invece di essere con Dee, probabilmente spaventata da quello che era appena successo.
Cos’era quella, gratitudine?
“Non voglio mai più vederti usare la magia nera…siamo intesi?! Mai…neanche quando una stronza si diverte a tormentarti!”
“Pensavo che qui non si potesse usare la magia a priori…”
“Stai davvero facendo la puntigliosa con me, in un momento come questo?!” esclamò irritato il giovane Mills, inchiodandola nuovamente con quel suo sguardo profondo.
“No..”
Serrando le labbra e mordendo quella sua maledetta lingua lunga, Eva stette in silenzio, abbassando lo sguardo e sentendosi, per la prima volta, in colpa per quel suo arrogante modo di fare.
Le stava dando una possibilità. Invece di urlarle contro le parole più orribili che, sicuramente, avrebbe meritato di sentirsi dire più di chiunque altro, le stava chiedendo, o meglio ordinando, di non cedere più all’oscurità.
Chissà se a parlare era il vice capo dell’Alleanza o il figlio dell’ex Regina Cattiva. In fin dei conti chi, meglio di lui, poteva conoscere gli effetti devastanti che la magia nera avesse su una persona?
Che fosse per quello che non l’aveva cacciata? Che fosse per quello che nei suoi occhi si leggeva tristezza invece che profonda paura?
“Andiamo…o mio fratello inizierà a credere che ti abbia uccisa!”
“T-tuo fratello?” chiese la ragazza, sicura di non aver visto Roland nei dintorni, o almeno così sperava.
“Sì…Rowan…”
“R-Rowan è…”
“Mio fratello…o meglio…fratello da parte di padre, come Roland del resto…” esclamò Jake, ritrovandosi nuovamente a sorridere, questa volta in maniera sincera e del tutto priva di sarcasmo.
Cavolo, era davvero bello quando sorrideva.
Maledizione ma che andava a pensare, la magia di poco fa doveva averle fuso il cervello.
“Lui è il figlio di…Zelena?” esclamò Eva, dal cui tono traspariva tutto lo shock di quella rivelazione.
“A chi pensavi dovesse quei capelli!....Forza andiamo!”
Senza avere la conferma di essere seguito, Jake cominciò a percorrere il sentiero che conduceva al villaggio, consapevole di aver appena lanciato una bomba di dimensione alquanto rilevanti.
Quella ragazza si era persa tutto, la loro infanzia, la loro adolescenza, arrivando perfino al punto di non conoscere aspetti importanti della loro vita; e la cosa lo mandava su tutte le furie, riaccendendo quell’irritazione che, solo nel vederla, iniziava a sopraffarlo dall’interno.
“Allora che fai…rimani qui?!”
Senza farselo ripetere un’altra volta, Eva iniziò a seguire Jake, rimanendo indietro di qualche passo e mantenendo lo sguardo fisso in quella schiena ampia e delineata. E solo in quel momento, solo avvolta dal silenzio innaturale della foresta, Eva si accorse di una cosa a cui, stranamente, non aveva dato alcuna importanza.
Jake aveva dato a Dee della stronza.
 
***
 
Erano trascorsi due giorni dall’incidente; termine perfetto con il quale indicare la quasi dipartita di Dee. Era bella come parola, dava quasi l’illusione che tutto fosse dovuto al caso e non ad una parte latente del proprio animo.
Ed ora che Eva se ne stava seduta su un tronco di un albero, da sola, mentre tutti festeggiavano il compleanno di Alex, grazie alla celere divulgazione che lei fosse una strega assetata di sangue, una piccola parte di lei desiderava averla uccisa davvero.
Ok dai, non era del tutto vero, quella parte di lei non era poi così piccola.
“Ehi straniera…vieni a ballare!”
L’improvviso arrivo di Alex e della sua esuberanza, riuscì a staccare per un attimo l’intensa relazione creatasi tra Eva e la torta alle mandorle di cui, ormai, era rimasta solo la parte finale; il pezzo migliore.
“Spiacente, non so ballare!” le rispose la castana, divorando l’ultimo boccone per poi pulirsi le mani sui pantaloni marroni, regalatogli proprio dalla bionda di fronte a lei.
“Oh ma dai…non è nulla di complicato!”
“Ma se sembrate appena usciti da un film medioevale!” esclamò Eva, coprendosi la bocca ancora piena.
“Dici?!”
“Dico!”
“Ho capito…serve un incentivo!”
Senza lasciare il tempo all’amica di rispondere, la figlia di Cenerentola si immerse nuovamente nella folla, lasciandola nuovamente da sola, questa volta senza alcun dolce a farle compagnia.
C’era stato un momento, poco dopo il suo arrivo lì, che aveva finito col desiderare di far parte di tutto quello, di sentirsi a suo agio, serena, quasi a casa come, sicuramente, aveva finito col sentirsi lo stesso Henry; ma nonostante tutti i suoi sforzi, finiva sempre col non riuscirci.
Per quanto si sforzasse, per quanto cercasse di far parte di quella grande ed estesa famiglia, lei finiva sempre per sentirsi fuori luogo, troppo diversa e troppo abituata alla solitudine per farlo. Dopotutto lei una famiglia già ce l’aveva; aveva suo padre, Henry e Neal, doveva solo aspettare quattro mesi prima di riabbracciarla e questa volta avrebbe chiesto al fratello di andare via con loro, nel caso suo padre avesse deciso di continuare la vita da vagabondi. Sarebbero rimasti insieme, come una vera famiglia.
Mamma, dopotutto, avrebbe voluto così.
Annoiata, Eva si allontanò da quella comoda postazione, dirigendosi nuovamente verso l’immensa tavolata imbandita a dovere per celebrare il compleanno dell’amica. Non c’era che dire, in quel luogo sapevano sicuramente come festeggiare, aiutati, anche quel giorno, da un brillante e caldo sole pomeridiano.
Chissà perché suo padre non aveva mai deciso di portarla in quel posto. Lì Morgana sembrava davvero lontana anni luce, troppo occupata a cercare il suo volto in mezzo alla civiltà.
Per quanto potente fosse, quel luogo, protetto dalla magia di Regina, sembrava apparire cieco ai suoi occhi gialli, rendendolo così il posto più simile al paradiso che potesse esistere. Persino lei, figlia della Salvatrice e principale obiettivo di Morgana, aveva finito col sentirsi al sicuro, all’interno di quelle imponenti querce.  
“Eccoci qui!”
Proprio mentre stava per versarsi un po’ d’acqua in un bicchiere intagliato nel legno, Alex tornò dalla sua alquanto singolare spedizione, la quale pareva aver avuto i suoi frutti.
Jake era lì, davanti a lei. Con uno sguardo particolare, lucido, avrebbe osato dire persino allegro; troppo allegro.
Aveva bevuto?
“Adesso devi venire a ballare!”
“Non ci penso nemmeno!” si limitò a rispondere Eva, fingendosi interessata alla sua bevanda e cercando in tutti i modi di ignorare quegli occhi e quel sorriso canzonatorio rivolto verso di lei.
Sorrideva. Jake Mills sorrideva.
Sì aveva bevuto; e tanto.
“Dai…ti prego. Fallo per me!” iniziò a piagnucolare la bionda, finendo per apparire più simile ad una bambina incontentabile, di quanto in realtà non fosse.
“No. Grazie!”
“Non ne ha il coraggio Alex…non insistere!”
Che. Cosa?
Scostando i lunghi capelli finiti davanti al volto, Eva alzò lo sguardo verso Jake, il quale pareva trovare un certo divertimento nel provocarla ad ogni singola occasione.
Dopo l’incidente (quanto le piaceva chiamare così quel momento) non avevano più avuto occasione di parlare o di chiarire l’accaduto. Aveva solo saputo che lui e Dee avevano avuto una bella litigata, finita con lei in lacrime e lui ancora più in collera. A sentire Rowan quella era stata la loro prima litigata; incredibile.
Eva non ricordava di aver mai visto i suoi genitori litigare, ma era sicura che anche tra loro vi fosse stato più di qualche scontro, soprattutto      quando di mezzo c’era qualche familiare crisi stile Storybrooke.
“Ma fammi il piacere…” esclamò Eva, cercando di mostrarsi sicura, ma finendo solamente col sorridere in maniera visibilmente nervosa.
“Allora vieni…Ti invito a ballare Evangeline Teresa Jones”
No.
L’aveva chiamata col suo secondo nome. Lui ricordava davvero il suo secondo nome?
E adesso? Come si poteva resistere a qualcuno che ricordava il secondo nome di una persona conosciuta da bambini? Impossibile.
Ad essere sinceri, alle volte faticava pure lei a ricordarselo.
Come accadeva troppo spesso da quando si trovava in quel luogo, Eva non seppe dire né come né quando accadde, ma seppe solo di ritrovare la sua mano stretta in quella del ragazzo dai capelli color corvini e di aver iniziato a sorridere, nonostante la sua personale, e già proclamata, goffaggine in fatto di balli da villaggio.
La musica era fatta di tamburi, cornamuse e chitarre artigianali, una delle quali suonata dallo stesso Roland. Il tipo di musica che, solitamente, si sentiva in un villaggio e dove tutti conoscevano i passi di ogni singolo ballo.
Mani che si intrecciavano, gente che ballava e saltava in perfetta sincronia; persino Rowan, di solito così goffo e insicuro, dimostrava di saperci fare in quel genere di cose, facendo volteggiare Alex meglio di quanto non facessero la gran parte dei ragazzi in quel cerchio.
Tutti si stavano divertendo, persino Gretel, seduta in disparte insieme a Neal, ma comunque sorridente. Durante i suoi primi giorni di permanenza, Eva aveva scoperta che tra la ragazza dalle folte trecce bionde e suo fratello aveva iniziato a nascere qualcosa, qualcosa di significativo e profondo.
Chissà come doveva sentirsi in quel momento; in costante attesa di qualche notizia sulla sorte del ragazzo che amava, senza poter far nulla, sentendosi inutile e sola. Doveva essere davvero triste.
Ma non voleva rattristarsi, non di nuovo, non in quel momento.
Durante i vari balli, il compagno cambiava a ritmo scadenzato, facendole incontrare gente che non era sicura di aver mai visto dal suo arrivo; ma, alla fine di ogni canzone, Eva si ritrovava sempre faccia a faccia con Jake, più sudato e rilassato di quanto non lo avesse creduto possibile.
Non ricordava di averlo mai visto così, nemmeno con Diletta.
“Non posso crederci!”
Ecco, lupus in fabula.
L’improvvisa voce di Diletta interruppe il clima di festa che, fino a quel momento, aveva fatto da padrone.
Come ci fosse riuscita era impossibile dirlo, ma qualcosa in quel suo tono così sinistro, aveva finito col congelare l’allegria generale.
Tutti cessarono di fare ciò che stavano facendo; la musica smise di essere musica, la risa di essere risa. Tutto si fermò, di colpo, come se qualcuno, dall’alto, avesse deciso di premere il pulsante pausa e di godersi quegli sguardi sconcertati e preoccupati.
Com’era possibile passare dalla pura allegria allo sconcerto generale?
Neppure Eva si accorse di essersi immobilizzata, con le mani posate sulle spalle di Jake, intenta ad imparare un passo decisamente troppo complicato per le sue capacità.
“No dico…quella pazza rischia di uccidermi e tu…la fai ballare?!” continuò Dee, serrando i pugni lungo i fianchi e ruggendo parola per parola, quasi fuori controllo.
“Dee…non è il caso!” esclamò Jake, allontanandosi da Eva e avvicinandosi di qualche passo alla snella figura della ragazza appena arrivata.
Aveva gli occhi rossi, troppo rossi. Una persona poteva avere simili occhi per la collera?
“N-non è il caso?!...tu fai l’idiota con lei…e sai dirmi soltanto che…non è il caso?!”
“Sì, non è il caso…lo sai che non mi importa di lei in quel senso…”
Ahia, cos’era quello? Un ago conficcato nel pieno petto della sua autostima?
“...ma tu ti stai comportando come una stupida!” aggiunse il ragazzo, con tono fermo.
Gelo.
Eva rimase in silenzio, ritrovandosi a provare pena per il modo in cui Dee veniva colpita dalla freddezza delle parole di Jake; era freddo, distaccato, pareva stesse parlando con un suo sottoposto invece che con la sua ragazza. Che fine aveva fatto il ragazzo di poco prima? Perché se la stava prendendo così tanto con lei?
Dopotutto era normale provare un po’ di irritazione e quel livido sul collo ne era la dimostrazione lampante.
L’improvvisa risata da parte di Dee, però, riuscì ad irrigidire ulteriormente i nervi di ciascuno dei presenti, facendo corrugare le sopracciglia a Eva.
Rideva, rideva in continuazione, priva di controllo, quasi priva di umanità.
Per quanto apparisse la stessa odiosa ragazza conosciuta durante il suo primo giorno lì, c’era qualcosa di strano in lei, qualcosa che riusciva a mettere i brividi, anche in un tipo come lei, che di mostri, dopotutto, ne aveva visti fin dall’infanzia.
“Ahahahah…incredibile!” sbottò Diletta, alzando nuovamente lo sguardo verso Jake ed Eva “…pensare che fino ad ora stava andando tutto alla perfezione!”
“Si può sapere che ti prende Dee…?!” esclamò Alex, la cui serenità sembrava aver lasciato, a sua volta, spazio unicamente allo sgomento “…sei ubriaca?”
“Zitta sgualdrina!”
Ruggito.
Un ruggito in piena regola. Non una voce umana strascicata dalla rabbia, affatto.
Ciò che era uscito da quelle candide labbra rosee era stata la cosa più disumana mai udita, qualcosa di così macabro e mostruoso da riuscire a zittire qualunque forma animale nel raggio di chilometri.
Compresi gli uccelli, se ce ne fossero stati, ovviamente.
“Dee…” tentò nuovamente Jake, questa volta con un tono decisamente più preoccupato, rispetto a poco prima.
Ok, ora era palese, c’era decisamente qualcosa che non andava in lei.
La sua pelle era sempre stata così screpolata? No, sicuramente no; dava quasi l’impressione di essere sul punto di cambiare, di staccarsi da un momento all’altro, così bianca e secca da sembrare quella di un serpente.
E gli occhi; gli occhi, iniettati di sangue e sempre più simili al colore d’orato della paglia, parevano non sbattere mai, quasi le ciglia fossero state incollate alla palpebra.
Era terrificante, terrificante sotto ogni punto di vista. E così dannatamente familiare da far accelerare il battito cardiaco della giovane Jones.
“Dee? Dee non esiste…caro Jake!” sbottò nuovamente la ragazza, la quale di umano pareva aver mantenuto ben poco “…dovevi fare una semplice cosa...Rimanere lontano da quel lurido topo, continuando ad odiarla come hai sempre fatto…e, credimi, ti stava riuscendo piuttosto bene. Finché la principessa non ha deciso di farci…visita!” sibilò la Diletta puntando di scatto gli occhi dritti su Eva e biascicando le parole, come se la mascella avesse iniziato a indurirsi rendendole impossibile qualsiasi movimento “…e subito hai deciso di farla…entrare!”
Un passo.
Appesantita come un macigno, Diletta fece un passo verso Eva, la quale si ritrovò a fissare nuovamente le ampie spalle di Jake, frappostosi improvvisamente tra lei e la sua ragazza, sempre se poteva ancora definirsi tale.
“…subito ti sei…avvicinato a lei….rovinando…tutto!”
Un altro passo. Ancora più lento, ancora più disarticolato.
Che diavolo le stava succedendo? Era pelle quella che le si era appena staccata dal braccio?
“Dee…dobbiamo andare dal dottor Whale!”
“Non credo…servi a molto!” sussurrò Eva, con gli occhi spalancati e l’improvvisa consapevolezza di quanto stava per accadere.
Come aveva potuto essere così stupida; come aveva potuto credere, anche solo per un secondo di essere libera da quella donna. Come aveva potuto sottovalutare in quel modo il potere di quella orribile Fata Oscura.
Era stata stupida, stupida, una vera e propria stupida.
“Dee…”
“Dobbiamo andarcene…” esclamò tremante Eva, prendendo per un braccio Jake e iniziando a strattonarlo verso il punto opposto dal quale era giunta Diletta.
“Ahahaha sì ascolta il topo. Lei fiuta il pericolo…sa quando è…il momento….di andare. Vero…principessa?!”
E con quell’ultimo sibilo, Eva ebbe la conferma, la conferma che il suo cuore stentava ancora a voler accettare; la conferma che quella davanti a lei non era una semplice ragazza che provava antipatia nei suoi confronti.
“Cosa…sei?” esclamò tetro Jake, per la prima volta consapevole di quanto ingenuo fosse stato per tutto quel tempo.
Era davvero stata lì, sotto i loro occhi, per tutto quel tempo. Si era davvero lasciato manovrare da quella strega, nonostante si proclamasse uno dei guerrieri più forti del reame.
“Cosa sono?!” gorgogliò Dee, posando nuovamente lo sguardo su Jake, ora decisamente più pallido di quanto non fosse mai stato “…sono il vostro promemoria stupidi fuorilegge. Davvero pensavate che la grande e potente Morgana non sapesse nulla di voi? Davvero pensavate di essere così furbi e scaltri da sfuggire ai suoi occhi?...davvero Jake…pensavi di essere più forte di…lei?!” tuonò la voce di Diletta, sempre più mostruosa e inumana “…sei sempre stato una pedina, sempre. Il tuo odio verso quella stupida principessa era ciò di cui avevamo bisogno…dovevi solo starle lontano…e disprezzarla. E lo hai fatto…l’hai abbandonata e di questo Morgana ti è stata alquanto riconoscente, mantenendoti in vita!”
Jake rimase immobile. Le mani stese lungo i fianchi e la mascella indurita dalla frustrazione.
“Non darle retta…andiamo via!” continuò a richiamarlo Eva, puntando distrattamente lo sguardo verso le prime persone che avevano iniziato a fuggire a perdifiato, lontane dal disastro che, a breve, si sarebbe abbattuto su di loro.
“Ma…ora che le cose sono cambiate…direi che è arrivato il momento di fare la cosa…più divertente…”
“J-Jake?” balbettò Alex, cercando di richiamare il ragazzo.
“…divorarvi uno ad uno!”
E con quella semplice frase, la pelle di Diletta esplose all’improvviso, lasciando spazio ad una creatura spaventosa, alta più di cinque metri.
E dopo un ruggito disumano.
Dilagò il caos.
 
 
 
 
*Essendo ambientata dopo la partenza di Elsa&Co qui Killian si riferisce al tradimento di Tremotino e al fatto che avesse cercato di ucciderlo per liberarsi dal controllo del pugnale.
 
 
Ciao a tutti!!!!
Capitolo 15…quale modo migliore di festeggiarlo se non scrivendo un capitolo più lungo del normale?!?!? :)
Ok, probabilmente qualcuno dirà che farlo più corto non sarebbe stato poi così male (soprattutto con questo caldo)….ma io nutro sempre la speranza di avervi fatto una bella sorpresa!!!!
Che dire…le cose cominciano a complicarsi, soprattutto nel passato di Eva. Il rapporto tra lei e Jake è alquanto complicato e spero di riuscire a descrivervelo come l’ho immaginato nella mia mente. Essendo figlio di Regina spero di avergli passato un po’ della sua naturale charme :P
Sono finalmente state rivelate un po’ di cose…tipo i genitori di Rowan (qualcuno di voi c’ha azzeccato al primo colpo :P) e la vera identità di Diletta……questo immagino non fosse facile da indovinare!!!! :))))
Anche il rapporto tra Eva e i nostri CaptainSwan comincia a costruirsi nel tempo, abbattendo finalmente un po’ di mura e di segreti….ma ovviamente non è finita qui.
Non vedo l’ora di leggere cosa ne pensate :)
Ok dai, non mi dilungo troppo (visto che l’ho fatto già nel capitolo!!!)....però voglio ringraziarvi, come sempre, per il vostro costante appoggio e sostegno.
Come dico sempre, leggere i vostri commenti è la parte più bella e gratificante di questa ff…e spero di essere riuscita a mantenere alto l’interesse anche con questo capitolo.
Grazie a chi ha recensito (nali_cs, Kerri, Jiulia_Greenshade, yurohookemma, Sere2897, ornylumi, pandina e Ibetta), a chi ha inserito la storia nelle varie categorie e a chi ha semplicemente letto.
Grazie…con tutto il cuore.
Un fortissimo abbraccio
La vostra Erin
 
 
 
PS: Colgo l’occasione per ringraziare la mia speciale e sensazionale amica Kerri, una persona fantastica e scrittrice sensazionale, con la quale ho il piacere di scrivere una ff a quattro mani (ovviamente incentrata sui nostri CAPTAIN SWAN….chi sennò :P); nel caso aveste piacere di leggerla e recensirla, ecco il link http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3155745
 
 
PPS: Qualcuno di voi si è ripreso dal Comic Con di San Diego???? No perché….sono fuori di me. Troppe foto, troppe news….O meglio, le foto e le news non sono mai troppe ma…chi sa di cosa parlo sono sicura mi capirà!!!!
 
PPPS: ornylumi…mi hai rovinata con twitter, è diventata una droga :P

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


*Di solito sono una persona molto decisa che una volta presa una decisione la mantiene…ma….questa volta mi tocca fare un cambiamento in corsa. Un cambiamento che, molti di voi, considereranno stupido e di poco conto, ma devo farlo per forza perché non ci dormo la notte (…ok dai, forse ho esagerato un po’ :P).
Bè…si tratta del colore degli occhi di Jake…(sì lo so, qualcuno mi starà già mandando a quel paese)…fino adesso li ho sempre sempre descritti chiari…vuoi perché volevo lasciare un tratto in comune con Robin, vuoi perché pensavo fosse perfetto così; ma….ahimè, non ci siamo proprio…per niente!!!! Perché nella mia testa il figlio di Regina (che spero con tutto il cuore arrivi anche nella serie tv ) DEVE, per forza di cose, avere i suoi meravigliosi occhi scuri. Davvero non riesco ad immaginarlo diversamente…nella mia testa nasce così e non riesco a cambiare sta cosa. Spero che Robin non me ne voglia…e voi soprattutto…ma ho deciso di fare questa piccola modifica xD Come ho detto, molti di voi la considereranno una cosa sciocca, dopotutto si tratta solo di un dettaglio fisico….ma io ci tengo a modificarla, perché mi intriga nella descrizione…e ogni volta che scrivo mi immagino questi occhi scuri che poi mi tocca descrivere chiari…e mi incasino la testa….già strana di suo :P
Ok, scusate…ci tenevo a fare questa piccola introduzione.
Buona lettura :)
 
 
Tutto successe come in un sogno.
Disordine. Instabilità. Caos.
Un momento prima gioia e musica dilagavano in ogni angolo della riserva, riuscendo a coinvolgere anche chi, come Eva, non sembrava avere la minima intenzione di allontanarsi dal banchetto, allestito a dovere in onore della bella e coraggiosa Alex. Solo un momento prima uomo, donna, vecchio o bambino si era abbandonato al clima di festa di quella giornata speciale; solo un momento prima…solo un secondo prima del caso, prima che ogni angolo della vasta riserva capeggiata dall’Alleanza cadesse vittima della più profonda e brutale paura, assopita nel cuore di ciascun presente.
Urla disperate; passi agitati alla ricerca di un posto sicuro.
Lacrime. Sangue.
Tutto accadde velocemente, come solitamente accadeva negli incubi peggiori. Nulla sembrava appartenere alla realtà, non quando, solo qualche minuto prima, l’unico pensiero, nella mente di ciascun presente, era quello di ridere e scherzare con la persona che si aveva accanto.
Ma Diletta era reale, o meglio, il terribile mostro davanti ai loro occhi lo era, in ogni suo singolo dettaglio: il suo alito caldo, il suo sguardo agghiacciante e istintivo. Quel mostro era vero e tangibile come lo erano loro stessi, per quanto descriverne le fattezze fosse quasi impossibile da fare. Era come se il terrore, unico vero gestore di quel momento, avesse il potere di annebbiare le loro menti, rendendo impossibile distinguere con chiarezza quella strana creatura.
Gli occhi, così simili a quelli della Fata Oscura, avevano assunto totalmente la tonalità gialla delle fiamme, così feroci e animali da far dubitare delle precedenti sembianze della sua proprietaria. Anche i capelli, un tempo scuri e folti, si erano completamente distaccati dal cuoio cappelluto, divenuto rigido e impenetrabile, dal colore simile alle radici di un albero in decomposizione. Le gambe, robuste e forti, apparivano decisamente più grandi rispetto agli arti anteriori, i quali, però, non sembravano affatto innocui; al contrario, erano composti da tre dita artigliate, spaventose quanto lo erano i denti arcuati e dalla grandezza irregolare presenti nella bocca della bestia.
La spina dorsale era ben visibile, nonostante le dimensioni mastodontiche, in perfetta sincronia con la coda, lunga e robusta come una quercia della Foresta Infinita. Perché era quello che sembrava, un immenso e gigantesco albero posseduto dallo spirito di un mostro.
La bocca pareva riuscire a contenere decine di quelle persone urlanti e spaventate e la saliva che fuoriusciva da quelle fauci confermava tale teoria.
Non vi era più nulla di Diletta in quella creatura, nulla che conferisse il ricordo della ragazza umana conosciuta da anni dai Ribelli di Henry. com’era possibile? Come poteva, un mostro, essere rimasto assopito, dentro di lei, per tutto quel tempo?
In tutto quel frastuono, Eva e Jake rimasero immobili nella loro posizione, completamente atterriti da quell’animale apparso magicamente davanti a loro. La mano della giovane Jones ancora stretta sulla manica del ragazzo; il respiro quasi assente, gli occhi sbarrati dal puro terrore. Nessuno dei due riusciva a muoversi, impietriti da qualcosa che oltrepassava la più fervida immaginazione, presi completamente alla sprovvista da quell’attacco interno. Com’era possibile che tutto fosse crollato in quel modo?
 Le gambe, poco prima agili e allegre in una danza da villaggio, sembravano essersi piantonate a terra, bloccate da sabbie mobili presenti unicamente nelle loro menti. Nulla sembrava riuscire a smuoverli; né le urla di Alex e Roland, né lo strano crepitio proveniente dalle loro spalle. Stava accadendo qualcosa, lo sapevano e lo sentivano con ogni fibra del loro essere, ma la mente pareva essersi completamente allontanata dal resto del corpo.
Rimasero immobili per un tempo indefinito, forse brevi istanti, secondi, minuti, chi avrebbe potuto dirlo?! Ma, qualsiasi cosa li trattenesse in quella posizione, decise improvvisamente di sciogliersi, troppo debole e insignificante di fronte all’improvviso attacco silenzioso da parte del mostro.
Attirata da quei due esseri umani a pochi metri da lei, la creatura piegò la sua postura ad S verso avanti, spalancando le immense fauci e facendo fuoriuscire un urlo così forte e disumano da far smuovere i lunghi capelli di Eva, la quale si ritrovò ben presto a tapparsi con forza le orecchie, ripiegandosi su se stessa.
L’urlo sembrava interminabile; potente, assordante e così acuto da riuscire a perforare i timpani di chiunque, nel raggio di chilometri.
No, no, no…non è possibile
Recitando, come un mantra, quelle parole dentro di sé come un mantra, Eva continuava a rimanere chiusa a riccio su se stessa, alla ricerca della forza necessaria per fare qualcosa; qualcosa che non fosse rimanersene ferma in quel punto della riserva, dove sedie e tavoli non potevano nulla contro la forza dirompente di quel ruggito.
Doveva agire, lo sapeva; ma il senso di colpa sembrava avere il potere di stritolarle il cuore. Quelle urla, le urla dei bambini, le grida disperate dei loro genitori. Tutte le morti a cui avrebbe assistito nei prossimi secondi sarebbero state tutte a causa sua. Lo sapeva e, la cosa, la uccideva.
“Eva…andiamocene via!” l’improvvisa voce di Neal, risvegliò la giovane da quella sorta di terrore in cui era caduta, obbligandola a rialzarsi con una ferrea presa sul suo braccio sottile.
Non riuscendo a staccare lo sguardo da Diletta (perché quella, per quanto impossibile, era proprio lei), Eva seguì i passi dello zio, il quale si ritrovò a sua volta obbligato ad accucciarsi, colpito dal secondo urlo assordante della bestia.
“Ma che diamine, quella specie di dinosauro sa solo urlare a pieni polmoni?”
In pochi istanti, il giovane dai lucenti capelli biondi si pentì amaramente di essersi posto una simile domanda.
“RAGAZZI…DI QUA!”
L’ulto inconfondibile di Alex, fece alzare al contempo i volti di Eva e Neal, il quale si alzò di scatto, correndo in direzione della ragazza, nascostasi dietro ad un ammasso di rocce a poca distanza da loro.
Corsero, corsero a perdifiato per trenta secondi; corsero fino a quando la bestia decise di fare un passo nella loro direzione, riuscendo a far tremare la terra sotto i loro piedi.
Nel tentativo di mantenere l’equilibrio, Neal non vide la pesante coda dell’animale puntare dritta verso di lui, riuscendo a colpirlo e a farlo volare addosso ad un albero alla loro destra, a metri e metri di distanza da dove si trovavano.
“Neeeeal!” urlando a pieni polmoni, Eva si apprestò a raggiungere il corpo sanguinante del ragazzo poco più grande di lei.
“No Eva…vieni via!”
Apparsa all’improvviso come aveva fatto poco fa lo stesso Neal, Gretel afferrò il braccio della castana, continuando a trascinarla verso il punto in cui Alex li aveva richiamati poco prima.
Urla disperate.
Tutto continuava ad apparire veloce ed irreale. Le cose non potevano essere cambiate così velocemente, era impossibile.
“Lasciami andare…devo andare da Neal!”
Senza dare alcun segno di aver ascoltato le urla disperate di Eva, Gretel continuò a correre, serrando ancor di più la presa sul braccio sottile della ragazza, la quale, però, non pareva voler rendere le cose facili, cercando in tutti i modi di impedire quel salvataggio disperato.
Probabilmente Eva sarebbe riuscita a liberarsi; probabilmente avrebbe sfilato il braccio da quella presa alla terza strattonata, ma la comparsa di Roland alla sua sinistra le impedirono qualsiasi movimento, ritrovandosi a non riuscire a poggiare i piedi a terra per tutto l’ultimo tratto.
“Maledizione lasciatemi andare!”
Una volta appoggiati di nuovo i piedi a terra, livida dalla rabbia, Eva si liberò con foga dalla presa dei due ragazzi al suo fianco, riservando ad ognuno di loro uno sguardo così carico di astio e rancore da lasciare poco spazio all’immaginazione.
“...come avete potuto abbandonarlo lì!” aggiunse, cercando di farsi nuovamente strada verso il centro del campo.
“F-fermati!” la rimproverò Roland, bloccandole nuovamente la via e obbligandola a guardarlo dritto negli occhi “…non lo abbiamo abbandonato!”
Lasciandola lievemente sporgere dalla roccia che li divideva da quei denti aguzzi, Roland indicò alla giovane un punto a circa dieci metri dal loro nascondiglio, sempre se così poteva essere definito, dove, da anni, se ne stavano ammassati un quartetto di alberi dall’aspetto nodoso e intricato, la cui utilità e bellezza era sempre apparsa insignificante agli occhi di  Eva; almeno fino a quel preciso istante.
Perché proprio in quel punto, proprio tra le radici eccessivamente esposte di quegli alberi, nascosto dai tronchi robusti e invecchiati dagli anni, se ne stava il corpo sudato di Jake, il cui respiro appariva affannoso e irregolare anche a quella distanza. Insieme a lui, privo di sensi e con il braccio posato sulle spalle del giovane Mills, vi era Neal. Lo aveva portato in salvo, Jake, arrivato da chissà dove dopo quei ruggiti disumani, si era esposto per salvargli la vita; con ogni probabilità doveva averlo caricato su sulle spalle, trascinandolo con sé in quel nascondiglio poco sicuro, ma abbastanza lontano dalle onde sonore emesse da Diletta.
Aveva rischiato la vita per salvarlo, ed ora se ne stava da solo, il respiro mozzato e il sudore che gli imperlava la pelle del volto, arrossata dallo sforzo.
Eva rimase immobile, con gli occhi puntati sulla figura di Jake, il quale, quasi richiamato dalla forza di quegli occhi verdi, alzò lo sguardo a sua volta, fissandola con intensità. Sembrava volerle dire una miriade di cose; sembrava volersi scusare, urlare, esprimerle ogni emozione da quegli occhi scuri e penetranti. Ma nulla sarebbe uscito dalla sua bocca delineata, non a quella distanza e non con un mostro di cinque metri dagli intenti decisamente poco pacifici.
Fu Eva a deviare lo sguardo, attirata nuovamente dal ruggito agghiacciante di quella bestia, la quale continuava a muoversi lentamente nella vasta area poco prima adibita a banchetto, alla chiara ricerca del suo nascondiglio. Continuava a guardarsi attorno adirata, quasi inghiottita dalla voglia di uccidere chiunque le si avvicinasse.
“Ci…ci sta cercando!” esclamò Gretel, spostandosi all’indietro le ciocche bionde sfuggite dall’elastico rosso“…dite che non ci ha visti mentre correvamo da questa parte?…”
“O non ci ha visti…o sta puntando a qualcun altro!” esclamò preoccupato Roland, cercando con lo sguardo la figura del fratello.
Senza rendersene conto, i ragazzi si erano divisi tra estremità dello spiazzo: Eva, Gretel, Alex e Roland dietro le rocce, Jake e Neal dietro agli alberi. Due ammassi di rocce e alberi, due barriere che, ben presto, avrebbero avuto la peggio in quella sorta di nascondino dai tratti sanguinolenti.
Mentre i ragazzi rimanevano nascosti con il cuore a mille, gran parte degli abitanti della riserva sembravano non dare il minimo segnale di volersi riparare accanto a loro; al contrario continuavano a correre a perdifiato, guidati unicamente dalla paura e dal terrore di non riuscire a scappare da quelle fauci spaventose. A niente servivano le urla dei ribelli di trovare un nascondiglio, a nulla servivano le suppliche dei bambini. La paura continuava ad avere la meglio e così sarebbe stato, fino alla fine di quell’orribile giornata.
Sotto gli occhi scioccati di Eva, le vittime di quell’attacco aumentavano sempre più; uomini, donne, bambini, nessuno trovava scampo da quegli arti massici e da quella pesante coda squamata. Pochi riuscivano a raggiungere il delimitare della foresta, così accecati dal terrore da non accorgersi che la barriera di Regina aveva smesso di proteggerli, lasciando campo libero a chiunque volesse entrare.
Ed ad entrare nella riserva dell’Alleanza erano in molti, prima fra tutti le stesse persone, vestite di nero, che in quel momento se ne stavano schierate in maniera impeccabile lungo tutta la foresta: le guardie personali di Morgana, il frutto di ciò che accadeva quando un cuore oscuro si metteva al servizio di quella strega dagli intenti omicidi.
Com’era possibile? Com’era riuscita Morgana a far crollare una barriera tenuta in vita fino a quel momento?
Che si fosse trattato davvero di un trucco? Possibile che, anche il lasciarla intatta fino a quel momento, facesse parte del suo piano? Era quello ciò che voleva? Farli sentire protetti, al sicuro?  Possibile che quella donna fosse così fredda e calcolatrice da attendere, per anni, il momento in cui ciascuno di loro avesse abbassato la guardia?
Sì, era possibile, e la presenza delle sue guardie in armatura nera ne era la conferma; una volta entrati, quei cavalieri, che di cavalleresco avevano ben poco se non le sembianze, colpirono senza alcun rimorso le povere persone innocenti dagli gli sguardi pieni di paura, con il solo desiderio di vivere un solo, piccolo, altro giorno, annerendo, per quanto era ancora possibile, quel loro cuore vuoto e spietato.
“I soldati di Morgana…” soffiò Alex, dal cui volto era scomparsa ogni traccia di gioia “….come hanno fatto ad entrare?!”
“La barriera è crollata…” le rispose flebile Eva, posando lo sguardo su quel viso perfetto e dai tratti incantevoli.
Chissà come si sentiva in quel momento? Poco prima stava festeggiando; poco prima l’aveva convinta a ballare insieme a Jake un ballo per lei impossibile da memorizzare.
Poco prima.
Strano, sembravano essere passati intere ore.
Probabilmente, negli anni a venire Alex avrebbe ripensato con terrore al suo compleanno; avrebbe per sempre rivisto quelle immagini nella sua mente, ad ogni festeggiamento, ad ogni avvicinarsi di quella data, finendo con l’odiare quel giorno un tempo speciale.
Lo sapeva. Lo capiva.
“Dobbiamo fare qualcosa…non possiamo rimanere qui!” esclamò Roland, con voce irritata e arrugginita dalla frustrazione nel sentirsi privo di qualsiasi via di uscita.
Spostando nuovamente lo sguardo dalla parte opposta a dove si trovavano, Eva osservò i movimenti di Jake, cercando di carpire in qualche modo se Neal stesse bene e se quella in quel suo sguardo, fosse la tipica espressione di chi aveva un’idea di come uscire di lì. Il giovane Mills aveva la schiena appoggiata ad uno dei tronchi e, dopo aver sistemato Neal nel punto più nascosto di quell’ammasso di tronchi e radici, il suo sguardo saettava da un punto all’altro della radura. Sembrava un lupo, un lupo in trappola e bisognoso di fare qualsiasi cosa pur di salvare il suo branco. Teneva le mani chiuse, serrate a pugno, così strette e nervose da far tendere del tutto il bicipite del braccio, allenato dal costante uso dell’arco.
Alcune tracce familiari erano impossibili da nascondere, come la zazzera di capelli scuri, così simile a quella del primogenito di Robin.
“Non penso ci sia molto da fare…non abbiamo nessun tipo di arma…” esclamò preoccupata Alex, spostando lo sguardo su ognuno dei presenti “…e l’armeria, guarda caso, è dietro al culo di quel dinosauro!”
“Ho paura sia peggio di un dinosauro…” le rispose Gretel, senza guardarla in volto.
“Quindi che volete fare?…farvi uccidere da quel mostro o da quei soldati?!” sputò fuori Roland, osservando con occhi spalancati le minacciose figure in nero avvicinarsi ad ogni istante “…perché ho paura sia l’unica scelta che ci rimanga!”
Eva rimase in silenzio per tutto il tempo, ascoltando le parole dei suoi amici.
Amici. Era agghiacciante la velocità con cui le persone a cui teneva finivano sempre col trovarsi faccia a faccia con la morte. Poteva trattarsi di sua madre, suo padre, di Henry; qualsiasi persona a cui lei volesse bene era destinata ad incorrere in una morte dolorosa, sempre per mano di Morgana.
Non ne poteva più.
“Dobbiamo raggiungere Jake e Neal…” esclamò improvvisamente la giovane Jones, spostando nuovamente lo sguardo sul figlio di Regina, che, proprio in quel momento, sembrava intento a parlare con qualcuno al suo fianco, qualcuno i cui capelli rossi e e lo sguardo verde acceso erano impossibili da dimenticare.
Eva assottigliò lo sguardo, alla ricerca di un’ulteriore conferma di ciò che stava vedendo; com’era possibile che il fratello di Roland e Jake fosse apparso, dal nulla, senza essere visto da nessuno, bestia compresa? Un attimo prima, non vi era la minima traccia di lui e l’attimo dopo…puf, eccolo lì, come per magia. Bè, a pensarci bene non vi era poi nulla di così strano in una simile apparizione; in fin dei conti, per quanto caratterialmente fosse impossibile da immaginare, Rowan era il figlio legittimo di Zelena, la Strega Perfida, nonché nipote della potente Regina Mills; non c’era da meravigliarsi se dentro di lui scorreva un po’ di sana componente magica. Un arma che, dopotutto, avrebbe potuto tenere testa a qualunque animale, qualsiasi fosse stata la sua stazza. Un’arma potente e pericolosa allo stesso tempo; perché per quanto Eva desiderasse utilizzare la magia, per quanto sentisse, chiaro e forte, dentro di sé il richiamo di quella parte assopita del suo essere, Regina e suo padre le avevano tassativamente negato il suo utilizzo. La magia non andava usata, mai e per nessun motivo, non quando era priva della barriera protettiva della riserva, non quando Morgana aveva la possibilità di avvertire la sua presenza e raggiungerla senza alcun problema.
- Già…peccato che Morgana sappia benissimo dove sia in questo momento – pensò, tra sé e sé, la giovane Jones, deviando nuovamente lo sguardo da Jake e posandolo sulle sue mani bianche, sporche di terriccio e fango -…e a me, dopotutto, non serve nessuna arma…-
Con lo sguardo annebbiato da pensieri che, via via, cominciavano a prendere forma nella sua mente, Eva si alzò lentamente in piedi, attirando su di sé gli sguardi stralunati dei suoi compagni.
Scrollando leggermente il capo, Eva si sporse dalla roccia, cercando di assimilare più informazioni possibili sull’area capeggiata da quell’energumeno rugoso. Quell’essere continuava ad essere fuori controllo; a ritmi cadenzati emetteva uno dei suoi urli dalla potenza dirompente, spazzando via ogni oggetto si trovasse nelle circostanze. Nemmeno le fronde degli alberi potevano nulla contro la sua ferocia, troppo deboli di fronte a quel frutto della magia più oscura. Nel momento in cui il mostro decideva di muovere qualche passo, la terra sotto i piedi cominciava a tremare, creando nel lago, a poca distanza da dove si trovavano, una serie infinita e irregolare di increspature. Dalla stazza era chiaro quanto fosse pesante; e, se c’era una cosa che Eva aveva imparato vivendo con un pirata, era che se è un avversario era pesante, difficilmente avrebbe potuto correre più veloce di lei.
Buttando fuori l’aria fino ad allora trattenuta, Eva si sistemò i capelli, ancora sciolti, dietro le orecchie, in un gesto ormai meccanico e involontario come lo era il battito cardiaco.
Non vi erano guardie vicino al mostro, tutte evidentemente impegnate a dare la caccia ai membri dell’alleanza, la maggior parte privi di qualsiasi arma o mezzo di difesa.
Sì poteva farcela; con un po’ di fortuna, Diletta non si sarebbe accorta di lei, non subito almeno.
Dopotutto a Roland e agli altri servivano solo un paio di minuti, il tempo necessario per uscire allo scoperto e dirigersi verso l’armeria. Serviva solo una distrazione, qualcosa che attirasse l’attenzione di quegli occhi gialli dai copri indifesi dei suoi amici; e chi, meglio della sua principale preda, avrebbe potuto assolvere ad un simile compito?
“Penso di riuscire a darvi tre minuti….”
“Cosa?!” chiesero all’unisono Alex e Gretel, con la schiena ancora appoggiata alla parete rocciosa.
Roland corrugò la fronte, ritrovandosi a posare lo sguardo nello stesso punto in cui si erano indirizzate le iridi verdi dell’amica, verso qualcuno che, se si fosse trovato accanto lei, le avrebbe sicuramente dato dell’idiota anche solo per aver pensato una cosa del genere.
Già, peccato che, in quel momento, Jake non fosse lì con loro.
Quasi attirato da una spiacevole sensazione, il figlio dell’arciere più famoso di tutti i reami, fissò con intensità la figura snella di Eva, la quale continuava a rimanere rigida nella sua posizione, alternando lo sguardo da lui al punto più esposto di tutta la radura.
Stava per fare qualcosa, qualcosa di estremamente stupido, lo sapeva, glielo si leggeva in quello sguardo furbo e sicuro di sé.
Ma a nulla valse lo sguardo di avvertimento del ragazzo dagli occhi marroni; a nulla valse la sua bocca farsi sottile e ferrea, o la mano sollevarsi in un tacito ordine di non muovere un muscolo. Perché lei aveva già deciso e, prima ancora di udire la voce di Jake urlarle addosso, Eva uscì allo scoperto, dirigendosi a tutta velocità nel punto esatto in cui si trovava il mostro.
“JOOOOOOONES!”
 
 
 
***
 
“Se lo può scordare!”
“Chi?” rispose con leggerezza Biancaneve, intenta a dare la pappa al piccolo Neal, comodamente seduto sul suo seggiolone azzurro cielo.
“Il pirata!”
“Cosa può scordarsi?!”
“Di andare a vivere con Emma!” le rispose il Principe, con tono ovvio, allargando le braccia e continuando a camminare lungo la sala dell’abitazione.
“David…non credi che la presenza di Eva, tua nipote…” sottolineò la moglie, non trattenendo minimamente il sorriso sul suo bel viso candido “…ti faccia perdere leggermente di credibilità?!”
Il padre di Emma rimase in silenzio, col volto imbronciato e le braccia incrociate davanti al petto, la classica posizione che amava indossare quando si trattava del pretendente al cuore di sua figlia.
“A parte il fatto che non sembra abbia ancora avanzato una simile richiesta…Pensavo che le cose tra te e Uncino andassero bene…”
“Da come ne parli sembra quasi che sia io ad avere una relazione con lui…”
“Oh…allora è così?” scherzò la moglie, alzandosi dalla sedia, fingendosi sbigottita di fronte a quella sorta di rivelazione.
“Ahh smettila!” si lamentò il marito, finendo per lasciarsi condizionare dal sorriso espansivo di Biancaneve, visibilmente divertita da quella sorta di gelosia paterna di cui David era stato fin da subito colpito.
Biancaneve sapeva bene cosa provava il marito in quel momento; dopotutto, entrambi avevano perso l’occasione di vivere l’infanzia e l’adolescenza di Emma e, ora che lei e Uncino avevano iniziato a frequentarsi, le cose per loro non erano di certo così facili. Non avevano mai provato la sensazione di vedere un ragazzo interessarsi alla loro primogenita, non avevano mai sentito la richiesta della figlia di poter andare ad un ballo insieme a qualcuno. Non erano pronti e, per quanto fosse ormai diventata una splendida adulta, Emma sarebbe rimasta sempre la bambina avvolta in quella soffice coperta di lana bianca; la bambina a cui, purtroppo, non avevano mai potuto dare le attenzioni che, in quel momento, stavano riservando a Neal.
“David…Emma è felice…” esclamò improvvisamente la moglie, avvicinandosi all’uomo dai capelli biondi e posando una mano sul suo avambraccio delineato “…è felice come forse non lo è mai stata. Per quanto Uncino abbia commesso degli errori in passato, non siamo di certo nella posizione di poterlo giudicare…”
“lo so…” le rispose David, sapendo bene a cosa si riferisse la donna di fronte a lui.
Dimenticare l’esatto momento in cui, entrambi, avevano preso la decisione di sacrificare la vita di qualcuno per il bene della loro figlia era una di quelle scelte impossibili da dimenticare; una scelta che li avrebbe accompagnati per sempre e che, nel bene e nel male, aveva finito per renderli le persone che erano oggi.
Eroi macchiati da un’indelebile senso di colpa.
“Perché allora non gli dai una possibilità?!”
“Gli sto dando una possibilità…esce con mia figlia tutte le sere…li ho visti nella sua camera da letto qualche settimana fa…e lui è ancora vivo per raccontarlo!”
“Amore mio…Emma ormai è una donna…penso sia normale che loro…!”
“Non. Dire. Altro. Ti prego!”
L’improvviso bussare alla porta, salvò il Principe da una rivelazione che, per quanto ne fosse consapevole, era fin troppo dura da digerire. Emma, insieme ad Uncino, in una camera…no, no, no, era decisamente troppo difficile per lui, soprattutto in un momento come quello.
“Emma…” esclamò sbigottito l’uomo dai capelli biondi, ritrovandosi improvvisamente faccia a faccia con la protagonista dei suoi pensieri.
La bellissima donna dai capelli mossi, chiari come quelli del Principe, se ne stava in piedi, sullo stipite della porta, con addosso un bellissimo capotto nero lasciato aperto che riusciva a mettere maggiormente in risalto il colore dorato delle due ciocche. Al contrario di quanto accadeva solitamente, quel giorno Emma indossava un vestito dalla gonna scura e dalla parte superiore a strisce bianche e nere, a maniche lunghe. Una mise leggermente lontana dallo stile in jeans e giubbotto di pelle rossa a cui era abituata; anche se, anche in quel momento, i suoi fedeli stivali neri continuavano ad essere la prima scelta.
“Tutto bene?!” le chiese il padre, invitandola ad entrare, con un gesto della mano “notizie della Fata Oscura?!”
“No…niente. Sembra essere sparita nel nulla…” rispose la figlia, lanciando uno sguardo alla madre, in piedi dietro alla penisola della cucina “…ma dubito che sia una cosa positiva!”
“Già…quindi, che intendi fare?!”
“Direi che è arrivato il momento di muoverci…” rispose Emma a Biancaneve “non possiamo rimanere con le mani in mano mentre quella pazza architetta una bella entrata ad effetto!”
“Ma non hai pensato al fatto che qualsiasi piano ci verrà in mente potremmo averlo già visto fallire in futuro?...o meglio, nel passato di Eva?!”
“Tuo padre ha ragione…nel futuro la maggior parte di noi non c’è più…e il fatto che Morgana se la prenda tanto comoda la dice lunga su quanto si preoccupi su un nostro possibile contrattacco…”
“Sì…lo so, ma è pur vero che la presenza di Eva è un cambiamento non da poco rispetto a quello che lei stessa ha vissuto…non credete? Mi riesce difficile pensare che nel passato di mia figlia…in questo preciso momento, me ne stessi qui, insieme a voi…a discutere su come uccidere Morgana” esclamò sicura Emma, lasciando fuoriuscire da quel suo sguardo, coraggioso e deciso come quello di una regina, tutto l’ardore e la convinzione che giacevano nel suo cuore di Salvatrice “…Morgana è convinta di sapere tutto, di conoscere quali saranno le nostre scelte e i nostri errori…ma noi abbiamo Eva. E per quanto lei la consideri una ragazzina, sono convinta che potrà aiutarci!”
“Hai ragione…lei è la nostra speranza!”
Al suono di quella frase, il cuore di Emma si ritrovò a perdere un battito; il fiato divenne corto e gli occhi verdi, prima così accesi e pieni di vita, per un attimo divennero annebbiati e lontani, richiamati dall’alone del ricordo di un sogno fatto molti giorni prima, quando Morgana era solo il personaggio di una leggenda ed Eva veniva ancora chiamata Jean. Ricordava bene quel sogno, o meglio ora lo ricordava molto meglio di quando si era risvegliata quella sera; ricordava Eva intenta ad imparare la magia con Regina; ricordava il volto di sua madre invecchiare in pochi istanti e ricordava la sua voce quando aveva pronunciato le stesse parole di quel momento: lei è la speranza.
Che fosse questo ciò intendeva suo padre? Che fosse realmente quello il loro destino? Ripetere le stesse azioni, nonostante i mille cambiamenti?
..ma
…mma…
“Emma!”
“Cosa?!”
Richiamata improvvisamente dalla voce di sua madre, la giovane Swan ritornò con la mente nella cucina dei suoi genitori, scrollando distrattamente quei pensieri fin troppo invasivi.
“Sicura di sentirti bene?!”
“Certo…tutto bene!” la rassicurò la figlia, cercando di porgere ai due uno dei suoi sorrisi migliori, ma non sempre ben riusciti.
“Hai già pensato a qualcosa?!” le chiese David, cercando di ritornare alla motivazione che aveva portato la figlia lì davanti a loro.
“Sì…penso sia il caso di andare a cercare chi ha avuto, e avrò, maggior contatto con quella donna!”
“Ector…” esclamò Biancaneve, corrugando lievemente la fronte davanti al cenno di assenso da parte di Emma “…che, purtroppo, è sparito nel nulla…”
“Potrebbe essere stata opera di Morgana…da quanto ne sappiamo, non è così impossibile per lei viaggiare tra i mondi!” le fece notare il Principe, incrociando nuovamente le mani al petto, come aveva fatto poco prima.
“Lo so…ma qualcosa mi dice che lui è qui in giro…non credo proprio che Morgana se ne stia tranquilla senza qualcuno che le dica, nel dettaglio, ogni nostra mossa!” esclamò seria la Salvatrice, stringendo le mani a pugno e posando lo sguardo su entrambi i suoi genitori “…e finché non ne avrò la conferma non starò tranquilla!”
“Prendo la giacca!” esclamò il padre, dirigendosi verso il piano superiore dell’abitazione, senza il bisogno di sentire a parole quale fosse il piano della figlia.
Lanciando una veloce occhiata alla figura del marito, intento a salire le scale Biancaneve si avvicinò ad Emma, porgendole un sorriso rassicurante che, al contrario, pareva sortire l’effetto contrario.
“Henry è con Regina?!”
“No…è con Eva e Killian, dice di aver capito dove si trova questo albero di cui parla in continuazione, così sono andati nella foresta a dare un’occhiata…” esclamò Emma, alzando le sopracciglia, di fronte allo sguardo entusiasta della madre “…t-tutto bene?”
“Sì sì, certo….mi fa piacere che stiano insieme…”
“Chi?!”
“Killian e-ed Henry…ed…Eva…mi fa piacere vedere che tu sia serena sapendo i tuoi figli insieme ad Uncino…”
“Tralasciando che una è sua figlia…mi fido di lui…” le rispose Emma, trattenendo a fatica un sorriso di fronte a quell’atteggiamento insolito da parte della madre.
“Lo so, lo so…volevo solo dirti che è una cosa bella…”
“O-ok!” esclamò imbarazzata Emma, non riuscendo davvero a capire quali fossero le reali intenzioni da parte della madre.
“Andiamo?!”
Con passo spedito, David scese nuovamente al piano inferiore, porgendo ad entrambe le donne un volto corrucciato, a cos’era dovuto il sorriso impacciato della figlia e quello solare della moglie? Possibile che stessero parlando dell’eventualità che Uncino andasse a vivere con Emma? Che avessero atteso il momento in cui lui se ne era andato per discutere della cosa?
“Perfetto…noi andiamo allora!” con fare sbrigativo, Emma uscì dall’abitazione che, in maniera del tutto inaspettata, sembrava essere divenuta piccola e soffocante.
Non era pronta ad intavolare un simile argomento, non con se stessa, non con sua madre.
Come, del resto, non lo era lo stesso Principe Azzurro.
 
 
***
 
Correre.
Correre senza pensare; correre senza chiedersi quanta riserva di ossigeno rimanesse nei polmoni; correre senza dare ascolto al bruciore dei muscoli, alle gambe farsi pesanti, alla paura farsi strada in ogni angolo della sua mente.
Doveva correre, correre più veloce di quanto non avesse mai fatto in tutta la sua vita. Ed era quello che, in fin dei conti, stava facendo da quand’era uscita allo scoperto. Eva Jones stava correndo come un’anima disperata, cercando in tutti i modi di attirare l’attenzione di quel mostro da sei tonnellate, il quale non pareva necessitare di molta fantasia per desiderare la sua preda a due piedi.
Nell’esatto istante in cui aveva visto la giovane Jones, infatti, la creatura non aveva smesso un solo istante di camminare pesantemente verso di lei, facendo tremare, ad ogni passo, la terra sotto i piedi; ma, per quanto enormi fossero quelle sue zampe mostruose, Diletta non riusciva a raggiungerla, decisamente rallentata dalla sua mole.
Suo padre aveva ragione, la velocità l’avrebbe sempre aiutata in quelle occasioni.
Già, se solo l’energia umana non fosse stata così maledettamente esauribile.
Per quanto cercasse di non darlo a vedere, Eva sapeva di non poter mantenere a lungo quel ritmo serrato. Dopotutto, da quando non si allenava un po’? Da quanto non si dedicava a qualche allenamento fisico? Sicuramente dal suo arrivo all’Alleanza. Al diavolo lei e la sua pigrizia.
Al contrario di quanto la giovane Jones avrebbe mai pensato, improvvisamente la creatura della Fata Oscura frenò il suo passo pesante, iniziando ad inalare, in maniera incontrollata, la maggior dose di aria, riuscendo a spalancare del tutto la gigantesca fauce che aveva per bocca; per lo meno era quello che sembrava stesse per fare, inalare aria. Altrimenti perché aprire la bocca in quel modo? Perché inarcare la spina dorsale? Perché…
“EVAAAA…..VATTENE VIA MALEDIZIONE!”
Come riusciva la voce di Jake a sovrastare il ruggito della bestia e le urla disperate delle gente della riserva, non sarebbe mai riuscita a spiegarselo. Sarebbe rimasto un mistero, come del resto sarebbe rimasto inspiegabile il motivo che manteneva le guardie di Morgana a debita distanza da dove si trovavano i suoi amici, riservando ogni loro minima attenzione alla povera gente in cerca di una via d’uscita.
Frenando la sua corsa e cercando in tutti i modi di rallentare il battito cardiaco e il respiro affannoso, Eva fissò la gigantesca bestia a trenta metri da lei. Già, perché il problema, in quel momento, non erano le guardie di Morgana, né la voce collerica di Jake; il problema era l’improvvisa scia che stava per uscire dalla bocca di quel mostro.
Una scia calda, accecante.
Una scia di fuoco.
Distruttiva come sempre lo era la magia di Morgana, il fuoco del mostro uscì dalle fauci in un unico getto incandescente, riducendo in ceneri ogni cosa intralciasse il suo cammino.
In un gesto spinto più dalla disperazione che dalla coscienza, Eva si lanciò nel lago che, solo due giorni prima, aveva assistito al quasi soffocamento di Dee. Dee…possibile che quel mostro fosse la stessa ragazza irritante che tanto la detestava?
Non sarebbe mai riuscita a farsene una ragione. Se non fosse stato per l’intervento di Jake, a quell’ora Diletta sarebbe stata unicamente un ricordo, vittima della sua magia più incontrollata.
Una cosa stupida da pensare, certo, ma impossibile da ignorare.
Non riuscendo più a trattenere il fiato sott’acqua, Eva riemerse dal lago, sgranando gli occhi di fronte a ciò che quel mostro era riuscito a fare in pochi secondi. Ogni metro quadrato nel raggio di un chilometro aveva finito col divenire cenere e fumo, trasformando in un debole ricordo il verde brillante e il giallo paglierino della riserva.
Cercando in tutti i modi di non lasciarsi inghiottire dalla paura, la ragazza dai lunghi capelli castani, uscì dal lago, rallentata dal peso degli abiti completamente zuppi. I pantaloni, ormai totalmente avvinghiati alla sua pelle, parevano pesare decine di chili, come del resto la maglia e gli stivali. Non sarebbe riuscita a scappare per sempre, questo era certo.
Continuando a correre, Eva cercò di concentrare ogni fibra del suo essere sull’attuazione dei suo piano; perché ne aveva uno giuso? Lei sapeva cosa fare; certo che lo sapeva. Doveva dare a Roland, Jake e agli altri un po’ di tempo per andare verso l’armeria e iniziare un contrattacco coi fiocchi. Già, ma perché allora non si muovevano da lì.
- Andate all’armeria…maledizione…- pensò la giovane tra sé e sé, con la bocca aperta alla ricerca di un po’ di ossigeno, in quel momento del tutto assente.
Pronta a riprendere la sua corsa disperata dalla parte opposta rispetto al mostro, Eva si vide costretta a rimanere immobile nella sua posizione, colta di sorpresa dall’improvvisa entrata di scena di una delle guardie nere, ferma a pochi metri davanti a lei.
-Maledizione…- sussurrò la giovane Jones, alternando il capo a destra e a sinistra, cercando di avere una visione completa di chi la circondava.
Ora che avrebbe fatto? Se fosse andata a sinistra quell’uomo l’avrebbe sicuramente catturata, seguito a ruota dai suoi compagni, pronti ad intervenire al minimo segnale da parte del compagno; se , invece, avesse scelto la destra Diletta l’avrebbe divorata o, nella migliore delle ipotesi, bruciata viva con il suo lanciafiamme integrato.
Che dire, nessuna delle due opzioni appariva abbastanza allettante.
Il fiato sempre più corto. Le gambe doloranti. I capelli gocciolanti di fronte al suo viso, del tutto segnato dalla stanchezza di quella giornata interminabile.
Era decisamente arrivato il momento di seguire l’esempio di Rowan.
Cercando di combattere con tutta se stessa l’istinto di darsela a gambe, Eva stese le braccia lungo i fianchi, scrollando nervosamente le mani. Con gli occhi rigidamente chiusi, la giovane cercò di richiamare a sé tutto il suo potenziale magico.
Non doveva pensare a nulla; nulla doveva intaccare la sua mente o il suo cuore; nulla doveva interferire con lei e la sua magia, sempre così lontana e poco richiamata. Doveva chiudere fuori il mondo; fuori i soldati neri, fuori il mostro; fuori gli amici. Non vi era nessuno intorno a lei.
Nessuno.
Nessuna voce. Nessuna presenza. Nessuno che urlasse a squarciagola il suo nome, ordinandole di allontanarsi da lì.
C’era solo lei….
Le fauci del mostro, del tutto spalancate, erano ormai pronte a sputare l’ennesima sfera di fuoco. Sfera che, questa volta, l’avrebbe invasa totalmente, non lasciandole la minima speranza di sopravvivenza.
Proprio lei, che si era sempre considerata così brava a sopravvivere in ogni occasione.
Nello stesso istante, a soli cento metri di distanza, gli occhi sbarrati di Jake osservavano impotenti la scena. Che diavolo stava per fare? Voleva farsi uccidere? Perché continuava a starsene immobile davanti a quella bestia? Perché non scappava?
“Dobbiamo aiutarla!” esclamò Rowan, esponendosi, di scatto, verso l’intreccio di rami nodosi, ma ritrovandosi ben presto bloccato dalle braccia forti del fratello “…ehi ma che fai?!”
“Non puoi andare…moriresti anche tu!” esclamò Jake in tono distaccato, com’era abituato ad essere ogni qualvolta dovesse impartire un ordine.
“E che intendi fare allora? Lasciarla morire lì?”
“Ha deciso lei di suicidarsi…non l’ho spinta di certo io a farlo!”
Rowan rimase interdetto, sbalordito dal modo di fare freddo con cui Jake parlava della vita di una persona, una persona che, per giunta, conosceva da anni. Non poteva davvero parlare sul serio, non poteva accettare che qualcuno si sacrificasse per salvare la vita a tutti loro. Che cosa stava diventando?
“E con questo?...dobbiamo aiutarla…”
“No invece…dobbiamo evitare che il suo sacrificio sia inutile. Andremo a prendere le armi…e tu…”
Un improvviso boato attirò l’attenzione di entrambi i fratelli, i quali, all’unisono, sporsero il volto nella direzione in cui si trovava Eva; la stessa da cui era arrivato il suono.
Ciò che aveva fatto la giovane Jones era qualcosa di sensazionale, qualcosa di così sconvolgente da far dimenticare qualsiasi cosa stesse accadendo intorno a loro.
Dalle mani bianche di Eva, una luce accecante aveva iniziato ad illuminare l’intero ciò che la circondava, una luce così chiara e pura da infondere un innato senso di speranza e coraggio.
Era magia, la sua magia. Non quella corrotta e nera a cui Jake aveva assistito qualche giorno prima, vicino a lago dove si trovava. No, affatto; quella era magia di luce, la magia più pura e potente che esistesse.
Gli occhi della ragazza sembravano possedere lo stesso ardore e coraggio di ciò che brillava nei suoi palmi. Lo sguardo fiero non sembrava minimamente voler sottostare alla mole gigantesca del mostro che stava davanti a lei.
Era così, così…perfetta.
Improvvisamente, entrambe le braccia della giovane si erano alzate al cielo e, nel momento esatto in cui la bestia aveva lanciato il secondo getto di fuoco, le mani erano scese in picchiata verso il passo, sbattute con forza sul terreno, facendo così scaricare tutta l’energia in un ramo luminoso che, presto, andò a scagliarsi contro la lingua di fuoco creata dal mostro.
Sbalordito da ciò che i suoi occhi scuri stavano vedendo, Jake non riuscì a controllare un debole sorriso a fior di labbra.
Se la sapeva cavare, la ragazzina.
“Rimani qui con Neal….vado a prendere le armi!”
Senza assicurarsi che il fratello fosse d’accordo con il suo ordine, Jake uscì dall’insolito nascondiglio che, fino a quel momento, lo aveva mantenuto al sicuro dall’inferno sceso sulla riserva. Non aveva tempo per pensare, né per dare aiuto agli amici che, da anni, lo avevano accompagnato nella creazione di quel porto sicuro. Doveva arrivare alle armi, prima che la magia di Diletta avesse la meglio su Eva.
Con il fiato corto e il sudore che gli imperlava il viso, le braccia e il torace ampio, Jake arrivò all’entrata del capanno usato come armeria.
Solo in quel momento, però, il giovane si accorse di non avere con sé le chiavi, cadendo vittima di un improvviso senso di rabbia e frustrazione.
Colto da uno scatto d’ira, Jake cominciò a prendere a calci la porta, accompagnando quei gesti violenti con una serie infinita di imprecazioni che, la gran parte del genere femminile, non avrebbe ben accolto.
“Quando hai finito proviamo con questa…”
L’improvvisa voce di Roland, alle sue spalle, mise fine a quel suo sbotto di rabbia. Il fratello maggiore, seguito dalle due donne dai capelli color del grano, sembrava aver avuto la stessa idea del ragazzo dai suoi stessi folti capelli neri, raggiungendo con coraggio l’armeria della riserva. Munito, come sempre, del suo sorriso cordiale, Roland sollevò chiave dell’immenso capanno, vecchia e arrugginita, ma mai così bella e desiderata.
Limitandosi a dargli una pacca sulla spalla, Jake fece spazio al fratello, il quale non perse tempo ad inserire la chiave nella fessura. Senza perdere un solo istante, Jake, Roland, Alex e Gretel entrarono nel capanno, recuperando il maggior numero di armi in grado di dargli una minima possibilità di sopravvivenza.
“Quelle guardie sono a centinaia…continuano ad arrivare da ogni angolo della foresta…” esclamò tetra Gretel, estraendo dal fodero una delle spade ben riposte.
“Ma com’è possibile…c’era la barriera di Regina…”
“Evidentemente non c’è più…” rispose, Jake ad Alex, continuando a prendere più armi possibili, per lui e i suoi compagni “…e le spiegazioni sono solo due…o la barriera non ha mai funzionato e quello che ha detto Diletta è vero…”
“O?” lo esortò la bionda, stringendo il falcione tra le mani.
Deglutendo a fatica, Jake spostò lo sguardo sul fratello maggiore, il quale, evidentemente, si era ritrovato a fare lo stesso pensiero riguardo la madre adottiva.
C’era solo un modo per spezzare una barriera magica, ovvero uccidere chi l’aveva creata; lo sapevano bene, lo sapevano bene entrambi. Ma simili pensieri non andavano fatti, non in quel momento, non quando il sangue freddo costituiva l’unica speranza di salvezza.
“Ehi…è rimasto qualcosa anche per noi?!”
Seppure senza invito, il volto di una decina dei ragazzi della riserva furono ciò che di più bello si potesse immaginare in un momento come quello.
In fin dei conti, loro erano l’Alleanza, e non si sarebbero di certo lasciati abbattere dall’assenza di una barriera o dalla presenza di alcune guardie vestite di nero.
“Certo…prendete tutte le armi che potete e portatele agli altri!” esclamò serio Jake, sistemandosi un paio di pugnali sulla cintura “…direi che è arrivato il momento di contrattaccare e di far pentire alle guardie di quella strega di aver invaso il nostro territorio!”
Un coro di assenso si innalzò all’interno dell’armeria, visibilmente elettrizzato dall’idea di poter, finalmente, trasformare la paura in una rabbia distruttrice.
Un leader. Per quanto non amasse sentirselo dire, Jake Mills era il miglior capo che la Riserva potesse desiderare; una di quelle persone nate per guidare gli altri, nate con il potere di far avvicinare chiunque alla loro causa. Una persona come Henry, anche se con indole e personalità decisamente differenti.
Jake era nato per comandare, sia psicologicamente che fisicamente. Le spalle larghe e il fisico atletico donavano quel senso di sicurezza che, chiunque, avrebbe finito per provare di fronte a quella sicurezza e padronanza fisica. Le gambe atletiche, le braccia forti, al costituzione magra ma decisamente muscolosa; Jake era un guerriero e, forse, era stato proprio quel mondo comandato dalla paura a renderlo tale.
“Dobbiamo andare ad aiutare Eva!” esclamò risoluta Gretel.
“Lo so. Roland e Gretel, andate da Rowan e cercate un posto sicuro per Neal. Nathan e Matt…andate con loro e cercate di uccidere più guardie potete; non voglio nessun prigioniero, siamo intesi?! Will e voialtri mettete in salvo chiunque non sappia difendersi.”
Senza emettere una sola obiezione, tutti annuirono risoluti per poi uscire, con coraggio, all’aperto.
“Alex tu vieni con me…cerchiamo di avvicinarci ad Eva e, nel frattempo, informiamo i nostri compagni che l’armeria è aperta!” continuò il ragazzo dagli intensi e penetranti occhi scuri, sistemandosi l’arco dietro la spalla, ignorando i capelli neri del tutto appiccicati alla sua fronte.
“Ti seguo…”
Senza perdere un solo istante in più, Jake ed Alex uscirono dal capanno, ritrovandosi ben presto immischiati in una lotta con un manipolo di guardie, giunte proprio in quel momento.
Cercando di mantenere la maggior lucidità possibile, Jake lanciò un pugno in piena faccia all’uomo che, improvvisamente, gli si parò davanti, sentendo chiaramente il naso di questi fratturarsi all’impatto con le sue nocche. Non c’era bisogno di molte conferme, l’adrenalina stava salendo e, con lei, la familiare voglia di combattere, forte e fluida tra le vene.
Circondati da urla di battaglia e di paura, Jake e Alex continuarono ad atterrare più nemici possibili, usando l’uno la spada l’altra il falcione. Nonostante amasse combattere e non si sforzasse di non darlo a vedere, Jake prediligeva l’arco; vuoi per un aspetto propriamente sentimentale, vuoi perché la sua vista e le sue mani gli permettevano una mira e dei tiri invidiabili. La sensazione della freccia tra le dita, del legno massiccio dell’arco tra le braccia, la forza defluita dal potere di un solo colpo; tirare con l’arco era questo e molto altro. Ma, in un momento come quello, trovare un posto al riparo da quella bolgia era assai difficile. L’unica cosa che rimaneva da fare era dare la possibilità ad Alex di raggiungere Eva, dopodiché il giovane Mills si sarebbe dedicato ad uno dei suoi principali piaceri della vita, impugnando l’arco che aveva a tracollo e facendola pagare ad ognuno di quei traditori vestiti di nero.
Risultava quasi impossibile pensare che un tempo, le stesse guardie che in quel momento stavano puntando a donne e bambini, erano normali cittadini della Foresta Incantata, di Storybrooke.
Alle volte la paura trasformava davvero le persone in mostri; mostri forse più spaventosi di Diletta.
Dopo aver messo fuori gioco l’ennesima guardia, Jake cercò di allungare lo sguardo scuro verso il punto in cui aveva visto Eva dare libero sfogo alle sue eccezionali capacità magiche; troppe persone, però, si erano accumulate nei dintorni dell’armeria, rendendo impossibile persino individuare Alex, con la quale, fino a qualche istante prima, aveva combattendo spalla a spalla. Sbuffando irritato, Jake corrugò le sopracciglia scure, rendendo ancora più marcato quel suo costante cipiglio irritato.  
Improvvisamente una delle guardie lo prese alla sprovvista, accecandolo con una strana polvere e obbligandolo ad incurvarsi verso il basso, nel tentativo di liberare gli occhi da quegli improvvisi granuli sabbiosi.
“Maledizio…”
Il ragazzo non riuscì a terminare la frase che, traditrice, una ginocchiata arrivò dritta al suo costato, obbligandolo a piegarsi in due dal dolore. Il respiro gli si mozzò in gola e la vista, già precaria, sembrò diminuire ulteriormente. Senza perdere tempo, la guardia mirò un fendente al torace di Jake che, di scatto, alzò il suo braccio destro, deviando la lama sul suo bicipite, il cui muscolo venne graffiato in profondità. Trattenendo a stento un ruggito di frustrazione, il giovane Mills impugnò l’elsa della spada lanciando un fendente verso il suo aggressore che, ben presto, non ebbe più la possibilità di compiacersi del suo attacco. Osservando con occhi cupi l’uomo agonizzante ai suoi piedi, Jake spostò lo sguardo verso il resto dei suoi compagni che, come lui, stavano dando anima e corpo pur di riuscire a difendere il loro territorio, la loro casa.
Già ma a quale prezzo? Stavano morendo in tanti, uno dopo l’altro, schiacciati dalla magia e dalla ferocia di una strega di cui, tuttora, conoscevano a malapena il nome. Non avrebbero resistito per molto, non in quelle condizioni, non così tanti feriti e così tanti nemici.
In gesto carico di frustrazione, Jake si passò i capelli scuri dietro la nuca, ispirando tutta l’aria possibile nei polmoni. il sangue di cui era imbrattato il volto, rendeva impossibile scorgere le deboli lentiggini, invisibili a chiunque non si fosse avvicinato con intimità a quel viso sempre così serio; e pensare che, da piccolo, sua madre non faceva altro che ripetergli quanto il suo sorriso fosse il più luminoso di tutto il reame.
Già, se solo ci fosse stato qualcosa per cui sorridere.
L’idea di essersi fatto controllare in quel modo da quel mostro, un tempo la sua ragazza, era qualcosa che lo mandava in bestia. Come aveva potuto non accorgersi di nulla? Come aveva potuto non notare qualcosa di strano in quella ragazza sempre così acida e astiosa? Perché aveva scelto di non vedere qualcosa che stava così comodamente davanti ai suoi occhi?
Proprio lui, lui che tanto si definiva un uomo forte, sicuro di sé e con la situazione sempre in pugno, aveva lasciato che quella strega decidesse del suo destino, guidandolo e controllandolo grazie alla rabbia che nutriva nei confronti di Eva. Era stato uno stupido. Era stato un debole
“Hei Jake…”
“Che c’è?!” le chiese il ragazzo, aprendo gli leggermente gli occhi i quali continuavano a bruciare e a lacrimare in maniera esagerata.
“Ho paura ci sia un problema…” esclamò Alex in tono preoccupato, ignorando completamente il rivolo di sangue che, impellente, le rigava il mento.
Aprendo del tutto gli occhi arrossati, Jake seguì la direzione indicata dal dito dell’amica, pentendosi fin troppo presto di quella decisione.
“No…”
Da quelle labbra delineate uscì un'unica parola, quasi sussurrata e impossibile da cogliere in quel marasma che aveva unicamente i contorni della guerra e della disperazione.
Nella stessa posizione in cui l’aveva vista pochi minuti prima, Eva teneva testa al mostro di Morgana, il quale, però, sembrava prendere sempre maggior terreno, sempre maggiore forza di fronte alla magia di luce.
Forse era stato questo a cambiare qualcosa, forse era stato questo a far calare il buio e l’oscurità in quella magia così pura.
Perché proprio in quel momento, con lo sguardo ferreo e le braccia tese, Eva aveva lasciato spazio a qualcos’altro, a qualcosa di nero, di denso, di oscuro.
La magia nera.
 
 
***
 
 
La temperatura quel pomeriggio sembrava essere ancora più rigida rispetto al giorno prima, così fredda e pungente da riuscire a penetrare il più pesante dei tessuti. Non c’era che dire, a Storybrooke l’inverno finiva col temprare chiunque.
“Direi di fermarci qui…non è il caso di rimanere nel bosco di notte…” esclamò Killian, interrompendo quella sorta di scampagnata in piena foresta.
“Ma è ancora giorno!”
“…crepuscolo se vogliamo essere precisi!” si intromise Eva, correggendo il fratello e continuando a camminare lungo la foresta della cittadina, incurante del rumore emesso dalle sue sneakers bianche.
“…non abbiamo ancora trovato l’albero!” continuò il fratello, in tono serio.
“E dubito lo troveremo Henry...non pensi che ci saremo accorti prima di un albero del genere? Non credo passi in osservati…”
“Ma passerebbe inosservato se fosse stato occultato da un incantesimo!” parlò tra sé e sé la giovane Jones, attirando su di sé gli sguardi dei due principali componenti della sua famiglia “…scusate, parlavo da sola…”
“Ha ragione!”
Visibilmente euforico da quel salvataggio da parte della sorella minore (anche se in quel momento decisamente più grande di lui), Henry spostò nuovamente lo sguardo sul pirata, il quale si ritrovò a corrugare la fronte e ad ispezionare la foresta con i suoi penetranti occhi blu mare.
“Se così fosse come facciamo?!” chiese Killian, rivolto verso la figlia, la quale sembrava aver visibilmente ereditato il suo sorriso.
“Bè...tra le scorte di Regina mi sembrava ci fosse l’incantesimo giusto…”
“Bene…torniamo a casa allora!”
“Ma come?...Eva ci ha appena detto come fare!” protestò nuovamente il ragazzo, stringendo le mani, arrossate dal freddo invernale “…non possiamo mollare proprio adesso!”
“Non stiamo mollando ragazzo, stiamo solo rimandando!”
“E perché dovremmo?...siamo qui…finiamo di cercare no?!” esclamò Eva, incrociando le braccia al petto e spalleggiando visibilmente il fratello.
“Ohh si…ottima idea!” le rispose il padre, serrando le labbra come faceva ogniqualvolta si prendesse gioco di chi aveva davanti “Rimaniamo nel bosco di notte, facciamoci attaccare dalla tua più grande ammiratrice…e poi oltre all’albero dovrete cercare il mio cadavere nascosto chissà dove nella foresta!”
“Non hai mai avuto paura di Morgana…”
“Oh ma infatti non parlavo di Morgana…ma di vostra madre” esclamò il pirata, provocando una risata soffocata da parte del giovane Mills e della figlia “…andiamo!”
“Aspetta…” lo bloccò la voce di Eva, provocando un sospiro decisamente stanco da parte del pirata.
“Che c’è…”
“Un’ora soltanto e poi torniamo…”
“Si…un ora e basta!” si accodò Henry
“Come pensate di riuscire, in un’ora soltando, ad andare da Regina, recuperare quello che vi serve e poi tornare qui…non è forse meglio tornare domani?”
“Oh ma ci metterò un secondo…” gli fece notare Eva, sorridendogli nuovamente, come aveva fatto poco prima .
“Co…”
Killian Jones non fece in tempo a terminare la frase che, improvvisamente, la figlia sparì in una nuvola di magia blu, la stessa che, in varie occasioni, aveva fatto svanire il coccodrillo davanti ai suoi occhi.
Frustrato da quel modo di fare così simile a quello di Emma, Uncino si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, per poi avvicinarsi di qualche passo al ragazzo di fronte a lui.
Stava per dire qualcosa, qualcosa sul modo in cui, alla fin fine, l’avevano avuta vinta loro, quando, improvvisamente il rumore di un ramo spezzato attirò l’attenzione del pirata.
Possibile che Eva fosse già di ritorno. No, decisamente improbabile.
Guidato unicamente dall’istinto, Killian trascinò il ragazzo dietro una massiccia quercia a pochi passi da dove si trovavano, invitandolo con lo sguardo ed una leggera strattonata al cappotto ad accucciarsi accanto a lui.
“ma che…”
“Shhh….c’è qualcuno…” sussurrò il pirata, visionando con lo sguardo tutto ciò che li avvolgeva.
Il silenzio.
Il modo in cui una foresta riusciva a cambiare nel corso di una giornata era qualcosa di estremamente emozionante. Al mattino, illuminata dai caldi raggi del sole e accompagnata dal leggiadro cinguettio degli uccelli, appariva come  il più paradisiaco e ospitale dei luoghi; dal crepuscolo, invece, qualcosa pareva scendere su di essa, rendendola la dimora perfetta di fantasmi ed anime perdute.
Come il mare, il suo amato elemento naturale.
“Io non vedo niente…” sussurrò Henry, cercando di aiutare l’uomo al suo fianco nella ricerca di chi aveva reso così corrucciato il suo sguardo.
Il pirata non fece in tempo a rispondere che, impellenti, dei passi agitati riempirono l’intera foresta, fermandosi a pochi metri da quello che, improvvisamente, era divenuto il loro nascondiglio.
Una figura, goffa e robusta, camminava per la foresta, senza preoccuparsi minimamente di chi potesse udirlo. Comportamento decisamente sciocco, o notevolmente sicuro.
La figura, poco illuminata dagli ultimi bagliori del sole serale, si inginocchiò ai piedi di un albero sottile, solitario e anonimo come lo erano la gran parte degli alberi della foresta.
Guardando circospetto a destra e a sinistra, nel chiaro tentativo di assicurarsi di non avere ospiti indesiderati, la figura rese palese la propria identità.
Una giacca in camoscio decisamente malandata, un paio di pantaloni logori e macchiati di sangue secco, probabilmente, non appartenenti all’uomo in questione, capelli chiari, sguardo confuso.
“Oh cavolo…è Ector!” sussurrò il ragazzo, scambiando un’occhiata con il pirata.
“Già…e che diavolo sta facendo....?!”
“Qualcosa mi dice che ha trovato l’albero prima di noi…”
Henry aveva ragione. Se c’era una cosa che a Storybrooke non accadeva mai erano le coincidenze. Loro stavano cercando un albero e, guarda caso, l’uomo senza cuore appariva eccessivamente interessato ad uno di questi.
Di scatto Killian, inserì la mano destra nella tasca interna della giacca, alla ricerca del telefono regalatogli da Emma. Doveva chiamarla, doveva assolutamente dirle di raggiungerli, in modo tale da poter mettere al sicuro il ragazzo e spiare a dovere il servo della strega.
Se solo avesse trovato quel maledetto aggeggio.
“Maledizione…”
“Cosa c’è!?”
“Non ho il telefono con me…” si lamentò il pirata, serrando con forza la mascella delineata “Henry…ascolta…devi andare a chiamare tua madre, dille che sono qui…e che abbiamo trovato Ector!”
“M-ma non posso lasciarti qui da solo…potrebbe esserci anche Morgana con Ector”
“Non preoccuparti…c’è solo lui. Non mi succederà niente...ho avuto momenti ben peggiori!” lo rassicurò l’uomo, porgendosi un sorriso sincero “…ora è importante che tu corra in città. Va da Eva e dille di non venire, poi andate insieme da Emma. Io, nel frattempo, terrò d’occhio il nostro amico!”
Seppur di malavoglia, Henry acconsentì con il capo, alzandosi di fretta e correndo a tutta velocità verso il punto in cui la foresta finiva e la città iniziava.
Killian seguì con lo sguardo la sagoma del giovane Mills, il quale, dopo pochi minuti, divenne impossibile da delineare dall’ammasso di tronchi e cespugli presenti in quel punto della foresta.
Nel momento in cui il pirata volse, nuovamente, la sua attenzione verso Ector, lo trovò ancora fermo nella sua posizione, intento ad incidere qualcosa sul tronco dell’albero.
Che diavolo stava facendo? Perché quel vigliacco aveva deciso di fare una scampagnata proprio in quel momento?
Attento a non emettere il minimo rumore, Killian si alzò dal suo nascondiglio, cercando di avvicinarsi di qualche metro al punto in cui si trovava Ector. Dopotutto, non aveva la minima intenzione di rimanere lì fermo in attesa dei rinforzi; Emma e suo padre sarebbero sicuramente arrivati troppo tardi. Erano giorni che si chiedevano che fine avesse fatto quell’idiota e il pirata non si sarebbe minimamente lasciato sfuggire una simile occasione.
Inumidendosi distrattamente le labbra, il giovane Jones alzò leggermente il suo braccio uncinato, pronto a dare battaglia ad Ector non appena si fosse accorto di lui. Ma non era ancora il momento di agire; no, almeno fino a quando lo schiavo di Morgana non si fosse deciso ad alzarsi da quella posizione.
Improvvisamente, quasi richiamato dal desiderio del pirata, Ector si alzò, infilandosi nella tasca destra il piccolo coltello estratto poco prima e, con cui, sembrava aver realmente inciso qualcosa sull’albero davanti a sé.
“È tutto pronto…” esclamò l’uomo, quasi rivolto all’aria invece che a qualcuno di fisico e tangibile.
Corrugando lievemente la fronte, Killian Jones si chiese con chi diamine stesse parlando l’uomo. Che fosse impazzito? Che l’assenza del suo cuore avesse iniziato a confondergli del tutto le idee?
Possibile che…
“Prima devo occuparmi di una cosa Ector…”
Un’improvvisa voce cristallina fece voltare di scatto il pirata, quale non riuscì a fare a meno di sbarrare i suoi grandi occhi blu. Evidentemente il ragazzino aveva ragione; Ector non agiva mai senza di lei.
Preferendo non esternare la preoccupazione nel ritrovarsi da solo, in un bosco, unicamente armato del suo fedele uncino, Killian indossò la sua espressione più superficiale, la stessa che, in più di un’occasione, aveva indossato quando ancora faceva parte dei cattivi.
“Chi si rivede…” esclamò Uncino, porgendo un ghigno alla donna di fronte a lui.
“Lo sai capitano…non amo affatto le persone che si impicciano dei miei affari!”
Fredda e distaccata, Morgana alzò con disinvoltura la bacchetta arcuata che teneva saldamente tra le mani, senza mai staccare lo sguardo dal pirata, senza mai sbattere, per un solo istante, quelle sue folte e scure ciglia, nere come l’abito ricamato e oscuro che indossava.
“…oh ma davvero? Qualcosa però mi dice che non mi ucciderai…”
“Ah davvero?...e da dove viene questa tua radicata sicurezza…pirata?” gli chiese acida Morgana, facendo un passo in direzione dell’uomo di fronte a sé.
“Bè…sembri particolarmente interessata a mia figlia…e se tu mi uccidi ho paura che non avrai più nessuno da inseguire!”
Inadeguato come appariva ogni qualvolta si presentava, il sorriso della Fata Oscura fece capolinea in quel bellissimo volto, così splendido e agghiacciante da creare una sorta di terrificante disagio nel cuore di chiunque la guardasse.
“Hai ragione…non posso ucciderti…non ora…!” confermò la donna, spostando per un attimo lo sguardo di lato, come alla ricerca di qualcosa di invisibile a chiunque, tranne che a lei “…ma posso sempre divertirmi un po’…non crede…Sua Maestà?!”
Improvvisamente, senza dare al giovane capitano il tempo di reagire in alcun modo, la Fata Oscura iniziò ad emettere una cantilena a labbra chiuse, facendo oscillare la bacchetta in modo ritmato.
La bacchetta oscillava. Oscillava.
E mentre il canto della strega risvegliava la paura di chiunque la sentisse, il copro di Killian Jones divenne immobile e freddo come il mare.
 
 
 
 
 
 
R I E C C O M I ! ! ! !
Sì lo so, lo so…questo ritardo è così spaventoso che non so davvero cosa dire per scusarmi. Sappiate solo che lo stesso sole e la stessa spiaggia che mi hanno tenuta lontano dal pc mi hanno dato l’ispirazione per i prossimi capitoli che, ovviamente, non vedo l’ora di scrivere e farvi leggere.
Ovviamente non ho perso interesse per questa ff, anzi….diciamo che mi sono presa qualche settimana di ferie per rinfrescarmi le idee….spero non mi abbiate abbandonata…senza di voi questa storia non potrebbe stare in piedi ♥
Cmq…sedicesimo capitolo…e Morgana è ritornata a farci visita, devo dire che se la prende sempre con il nostro pirata….chissà come reagirà Emma a proposito, prevedo rabbia a tutto spiano (impossibile non lasciarsi condizionare dalle immagini che girano sul web….DarkSwan sarà la perfezione assoluta, me lo sento!!!!). Cmq spero di non aver rovinato troppo la lettura avendo cambiato il colore degli occhi di Jake…ma l’ho dovuto fare, abbiate pietà :P….come ho detto la mia testa ormai ha deciso che gli occhi di Jake sono lo specchio di quelli della madre e ho dovuto sottostare a sta cosa :P
In questo capitolo direi che c’è stata un po’ di azione…e non è finita qui! Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate della piega che stanno prendendo gli eventi, dei personaggi, ecc…..Ovviamente preparatevi ad un momento Captain Swan coi fiocchi….sono in crisi d’astinenza quindi ho tutta l’intenzione di dare libero sfogo alla fantasia…spero apprezzerete :P
Bene dai…mi fermo qui....ah, ovviamente avrò seminato orrori grammaticali da tutte le parti, ma ormai so che mi capite :P
Scusate ancora per l’immenso ritardo, non si ripeterà promesso.
Un grossissimo abbraccio.
La vostra affezionatissima
Erin


PS: Colgo l’occasione per ringraziare la mia speciale e sensazionale amica Kerri, una persona fantastica e scrittrice sensazionale, con la quale ho il piacere di scrivere una ff a quattro mani (ovviamente incentrata sui nostri CAPTAIN SWAN….chi sennò :P); nel caso aveste piacere di leggerla e recensirla, ecco il link http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3155745

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Non seppe dire con certezza cosa lo svegliò, se il martellante dolore alla testa o la potenza dello sguardo puntato dritto su di lui.
Stava di fatto, che qualcosa fece perno sulla sua coscienza e, di scatto, la figura affascinante e sicura di sé del capitano della Jolly Roger si mise a sedere, ritrovandosi ad appoggiare la schiena su una parete fredda e, apparentemente, rocciosa.
Il breve millesimo di secondo che il pirata sprecò nell’assicurarsi di avere realmente qualcosa di solido su cui appoggiarsi diede alla figura sconosciuta che, fino a poco prima lo stava fissando, il tempo di nascondersi nell’ombra, quasi totale sovrana di quel luogo ignoto.
“Ehi…chi sei?” esclamò rude Killian Jones, tentando, inutilmente, di ergersi in piedi.
Strano, non riusciva ad alzarsi. Era come se una forza invisibile lo tenesse ancorato a terra, obbligandolo a rimanere fermo nel metro quadrato illuminato dalla torcia infuocata sopra di lui.
Che posto era mai quello? Dall’eco emesso dal precipitare a terra delle gocce d’acqua provenienti dal soffitto, e dalla forte umidità, l’ex tenente della Marina Militare era quasi sicuro di trovarsi all’interno di una grotta. Sarebbe stato di grande aiuto capire di quale grotta si trattasse, ovviamente, ma quella era di certo un’informazione decisamente sfuggevole.
C’erano grotte a Storybrooke? Probabilmente.
Quante ne aveva viste dal suo arrivo? Nessuna.
Ma, cosa decisamente più importante: si trovava ancora a Storybrooke?
Ricordava bene quanto successo prima di aver perso conoscenza. Il corpo, privo di cuore, di Ector era improvvisamente comparso davanti ai suoi occhi e a quelli di Henry. Non avevano ben capito cosa fosse venuto a fare nella foresta, con la notte ormai alle porte; sicuramente nulla di buono, non per loro almeno. Stando a sentire il ragazzino, anche il servetto della Pazza doveva essere alle prese con la ricerca dell’albero magicamente comparso nel libro delle favole di Henry. Chissà, forse aveva ragione; forse l’albero era davvero la risposta al nascondiglio di Excalibur e, di certo, l’improvvisa apparizione di Morgana ne era la conferma.
Il nome, untuoso e subdolo come la sua proprietaria, invase la mente del pirata che, invaso dalla rabbia, ricordò l’apparizione della donna dai capelli neri.
Quel suo sguardo diabolico; la bacchetta incurvata, quel canto…
Maledetta, che diavolo gli aveva fatto?
Ricordava di aver visto il braccio della strega alzarsi al cielo, accompagnando quel gesto con un’insolita e agghiacciante melodia. Improvvisamente, la bacchetta che teneva saldamente stretta alla mano, aveva iniziato ad oscillare, in maniera lenta, quasi cadenzata, rendendo ciò che accadde in seguito improvvisamente nero, oscuro e impenetrabile come ciò che lo circondava in quel momento. Lo aveva incantato, senza lasciarli alcuna via di fuga.
Nervoso, Uncino fece l’ennesimo tentativo di rimettersi in piedi, vedendolo nuovamente fallire di fronte ai suoi occhi. Com’era possibile? Perché non riusciva più a sentire la parte inferiore del suo corpo?
E se…
“Sei sotto l’incantesimo di Morgana…tra non molto tornerai ad avere il controllo sulle tue splendide gambe!”
Una improvvisa voce squillante riecheggiò tra le pareti umide della grotta, obbligando il pirata a voltare di scatto il capo verso destra.
La figura, poco prima svanita nel nulla, era ricomparsa a pochi metri da lui, del tutto nascosta dal mantello verde bottiglia magistralmente indossato in modo da nascondere ogni traccia del suo corpo.
Era una donna, questo era certo; e piuttosto alta avrebbe potuto dire.
“Chi…sei?!”
“Oh…penso sia importante che tu cominci a chiederti…dove sei?!”
Ulteriormente innervosito da quella sua incapacità di movimento, Killian si ritrovò a sbuffare sonoramente, cercando di aiutarsi con la mano e l’uncino in modo da rimettersi in posizione eretta.
“È tutto inutile Capitano…qui vige l’ordine della Fata Oscura…ti consiglio di risparmiare le forze!” esclamò velenosa la figura femminile, la quale iniziò a muoversi all’interno del piccolo spazio offerto, facendo accendere diverse torce ad ogni suo passaggio.
Tenendo lo sguardo fisso su quella figura estranea, Killian Jones cercò di collegare quel tono di voce ad un volto, ad un ricordo, senza però ottenere alcun risultato, al di là di un intenso e fastidioso dolore alla testa. Eppure quella donna gli ricordava qualcuno, ne era sicuro…ma chi? Possibile che si trattasse di uno scherzo del suo subconscio?
No, impossibile; lo aveva chiamato Capitano, perciò era palese che lei sapesse benissimo chi aveva davanti. E se fosse stata proprio lei Morgana, nascosta sotto uno stupido mantello? La voce era differente, certo, ma le doti magiche di quella donna sembravano decisamente superiori ad un mero camuffamento del proprio tono di voce; per quanto lo riguardava, Morgana poteva benissimo trasformarsi nella copia esatta di Barbanera, senza sortire alcun sospetto.
“Morgana, maledetta…sei tu!” ruggì l’uomo, stringendo con forza la mano destra a pugno.
“Chi? Io? Morgana…ne dubito fortemente; lei non viene quaggiù…figurati!” gli rispose sicura la donna, il cui tono di voce pareva deriderlo fortemente per quell’idea tanto sciocca e stupida.
“e perché dovrei crederti?”
“Oh bè…per quanto mi riguarda puoi anche non farlo! Sta di fatto che rimarrai chiuso qui per….molto, molto, molto….molto tempo!” squillò quasi raggiante la sconosciuta, continuando a camminare su quel suolo roccioso e lievemente illuminato.
Bene, non c’era che dire, la sua fortuna in fatto di situazioni scomode stava arrivando a toccare l’apice dell’incredibile. Chiuso nel bagagliaio di un auto da Zelena; chiuso in un camion da Tamara; legato ad una catena nella tana di un gigante da Emma. E ora? Intrappolato in una caverna, in compagnia di una donna incappucciata, forse la sua futura assassina, senza il controllo delle sue gambe.
Non c’era che dire, il peggio non aveva mai un limite.
“Dove siamo?!” chiese il pirata, seguendo di malavoglia il consiglio della sconosciuta.
“Oh, finalmente una domanda intelligente” lo derise la donna, fermando la sua scadenzata camminata elegante “…Siamo imprigionati in un limbo senza tempo e senza alcuna via d’uscita…divertente non trovi?!”
“Non particolarmente…” rispose secco Killian, guardandosi attorno, serrando nervosamente la mascella “…da quanto sei qui?!”
“Da quanto?...non saprei. Vederti così giovane non aiuta di certo il mio orientamento temporale!”
“Vedermi…v-vuoi dire che… vieni dal futuro? Come Eva?!”
La figura incappucciata non rispose, limitandosi ad emettere un leggero sbuffo a fior di labbra.
Quella voce, quel modo di fare così secco e privo di alcuna sensibilità, era così familiare da far salire la pelle d’oca nel giovane capitano. Eppure, per quanto si sforzasse, per quanto cercasse di sforzasse di ricordare, c’era qualcosa nella sua testa che glielo impediva, rendendo inutile e inconsistente qualsiasi collegamento. Possibile che la sua mente fosse ancora annebbiata dal canto agghiacciante della Fata Oscura?!
“Immagino sia un sì…” esclamò secco il pirata, posando nuovamente lo sguardo sulla figura senza nome “…A quale scopo Morgana ci tiene qui dentro?!”
“Per farci impazzire…perché sennò?!”
“Tu non mi sembri così…pazza!”
Un improvvisa e fragorosa risata fuoriuscì dalle labbra della donna che, quasi colta alla sprovvista da quella frase, non provò minimamente a dare un contegno a quell’improvviso sbotto di ilarità.
Forse aveva parlato troppo presto, la pazzia non era così assente dopotutto.
“Oh Capitano…sapessi quanto è divertente sentirtelo dire. Io in effetti non mi sono mai considerata pazza…Innovativa oserei dire, ma non pazza!”
“Immagino ci conosceremo bene allora…”
“Come ho detto, non ha molta importanza in questo momento…!” esclamò la donna, riprendendo a camminare lungo la caverna “...ad ogni modo…non posso ancora impazzire…Morgana non ha quello che le serve per farlo…”
“E sarebbe?!”
“…non mi ha ancora tolto il lieto fine!” esclamò secca, rendendo la risata di poco prima un debole e lontano ricordo.
“E questo…cosa centrerebbe con la pazzia?!”
“Vedi, uomo da una mano sola…come ho già detto, questo è un limbo…un limbo senza alcuna via d’uscita…che ti porterà ad impazzire senza neanche rendertene conto!....Ovviamente con uno sprazzo di…divertimento!” esclamò, marcando con una certa ilarità l’ultima parola.
“Oh…fantastico!!” esclamò il pirata, alzando gli occhi al cielo con fare teatrale.
“Qui si è destinati a rivivere la morte del proprio lieto fine…in eterno; senza poter far nulla per impedirlo!”
Dura e carica di significato, la frase della sconosciuta riecheggiò tra le pareti della grotta, rendendo ancora più teso l’improvviso silenzio che scese tra i due.
“Bene…e quale sarebbe la parte divertente in tutto questo?!”
“Oh, bè…che l’unica persona che può tirarti fuori da qui…è proprio il tuo lieto fine!”
 
***
 
Forza.
Una sensazione inarrestabile, prepotente, vigorosa. Qualcosa di meraviglioso, mai provato prima; qualcosa di cui non sarebbe più riuscita a fare a meno e di cui avrebbe sentito eternamente la mancanza.
Potenza.
Si sentiva viva, forte come mai lo era stata in tutta la sua vita; così lontana dalla debolezza che, da sempre, le aveva oppresso il cuore, da non riuscire quasi a spiegarsi come avesse potuto resistere fino a quel momento.
Oscurità.
Nell’esatto istante in cui quella parola divenne tangibile nella mente della giovane Jones, le braccia, stese davanti a lei in balia di una dirompente energia scura, ebbero un fremito di indecisione.
Cosa stava succedendo? Da quando la sua magia aveva assunto quei toni? Quando aveva perso il suo collegamento con la realtà?
Eppure aveva già sperimentato una simile sensazione, con lo stesso essere che, proprio in quel momento, troneggiava su di lei; aveva già saggiato l’ebrezza del sentirsi potente e inattaccabile e, sebbene non amasse ammetterlo a voce alta, senza l’intervento di Jake ora avrebbe avuto sulla coscienza la morte di quella stessa persona, anche se non del tutto innocente e umana come credeva.
Tentando di tenere aperti quei suoi occhi verdi, Eva strinse con forza la mascella, osservano la scia magica proveniente dai palmi delle sue mani infrangersi contro la lava incandescente di Diletta. Quel mostro, frutto della magia più nera di Morgana, sembrava non risentire minimamente dello sforzo dovuto a quei suoi urli a intervalli regolari o al ricreare, in un modo del tutto sconosciuto, il fuoco da quella fauce spaventosa.
Tutto ciò al contrario di Eva, la quale, per un millesimo di secondo, aveva sentito le gambe cedere alla stanchezza, le spalle farsi pesanti e la testa divenire annebbiata e poco lucida. Tutto era avvenuto in una debole frazione di un attimo, facendola sentire debole e inutile, come, del resto, accadeva tutte le volte in cui Morgana decideva di comparire nella sua vita.
Con un senso di impotenza che, ora come ora, appariva solo un ricordo, Eva aveva spostato lo sguardo su suoi amici; Alex così forte e fiera impugnava un falcione con la stessa naturalezza con cui, poco prima, aveva innalzato il bicchiere del suo brindisi; Rowan e Gretel difesi da Roland mentre portavano al sicuro il corpo di Neal. E Jake, con quei suoi folti capelli neri, sudati e sporchi di terra, intento a prendere a pugni uno dei soldati della strega.
Tutti stavano lottando; tutti stavano mettendo a rischio la propria vita, per colpa sua, per colpa di qualcosa che Morgana voleva dai lei. Perché la gente doveva continuare a morire alle sue spalle? Perché non riusciva ad essere la donna forte e coraggiosa che sua madre era stata fino all’ultimo giorno?
Perché era così maledettamente debole?
Forse fu quel pensiero, l’agghiacciante consapevolezza di essere un peso per tutti, per suo padre, per Henry, per Regina; o forse fu semplicemente la vicinanza alla morte e il calore opprimente derivante dalla lava incandescente a pochi centimetri da lei.
Stette di fatto che, improvvisamente, i suoi occhi divennero pozze di oscurità, la sua magia, poco prima bianca e pura come quella delle fate, iniziò ad assumere le sfumature bluastre della notte e il suo cuore, sempre debole e insicuro, divenne forte e impenetrabile, donandole la forza necessaria di ergersi in tutta la sua potenza e allontanando, con la sola forza della sua magia, il mostro davanti a lei.
Era forte. Era potente. Era oscura.
E per quanto la giovane Jones sapesse, dentro di sé, di commettere un errore imperdonabile, lasciò che il potere la infondesse.
Era finito il suo essere costantemente in fuga, il suo essere costantemente braccata, il suo essere costantemente inutile.
Ora avrebbe attaccato e quella strega avrebbe maledetto fino alla fine dei suoi giorni l’aver deciso di perseguitare le persone che amava. Era arrivato il momento di spargere un po’ del suo sangue oscuro.
A metri e metri di distanza, qualcuno osservava impotente quella lotta tra titani, la cui supremazia era impossibile da prevdere.
“Maledizione!” proruppe fuori di sé il giovane Mills, pulendosi con il braccio gli occhi ancora sporchi di polvere “…che diavolo sta facendo?!”
Mantenendo lo sguardo fisso sul corpo della ragazza dai capelli scuri che, fin dal suo arrivo, aveva risvegliato qualcosa di attentamente assopito nel suo animo, Jake serrò la presa sull’elsa della sua spada.
“Direi che ha scelto la via più facile…” gli rispose la bionda, atterrando l’ennesima guardia giunta contro di lei.
“Bè non sono affari che ci riguardano!”
“C-Che cosa?!” esclamò scioccata Alex, avvicinandosi di qualche passo al ragazzo dai capelli neri e fermandosi a pochi centimetri da quel suo volto serio e perfetto “…stai scherzando spero! Quella è la sorella di Henry se te ne sei dimenticato!”
“So benissimo chi sia Alex…ma in un momento come questo non posso permettermi il lusso di salvare tutti!” le rispose aspro, avvicinando, a sua volta, il volto sudato a quello della figlia di Cenerentola “…Se lei ha deciso di fare di testa sua non posso farlo diventare un mio problema…soprattutto se ha scelto, per l’ennesima volta, di cedere all’oscurità!...perciò, se devo decidere chi salvare, continuerò a scegliere i miei amici e la mia famiglia. Sempre!” concluse il ragazzo, sottolineando con un certo astio l’ultima parola.
Le urla di rabbia e di dolore continuavano ad arrivare rigide alle orecchie dei due ragazzi, apparentemente impegnati in una guerra di sguardi che lasciava ben poco spazio all’immaginazione.
“Bè…sai che ti dico Jake?!....Sacrifica pure chi ti ha dato la possibilità di salvare la tua famiglia…e  i tuoi amici. Io farò diversamente!”
Fulminandolo con lo sguardo, Alex si allontanò con passo sicuro dal moro, il quale si ritrovò a fissare la figura a cento metri dal punto in cui si trovava lui.
Perché si sentiva in colpa? Dopotutto era vero, era stata lei a volersi tuffare nella bocca del leone, o del mostro a seconda dei punti di vista; perché ora doveva sentirsi in colpa? Lui non stava sbagliando, affatto. Al contrario stava facendo la cosa che a tutti risultava estremamente difficile: prendere una decisione. Chiunque sarebbe stato in grado di dispensare ordini per salvare tutti; la vera difficoltà era fare una scelta, prendersi la responsabilità di sacrificare delle persone per salvarne delle altre. Era questo ciò che faceva un leader, era per questo che Henry aveva scelto lui e non Roland.
Lui sapeva essere freddo, distaccato, sapeva prendere la decisione più difficile senza lasciarsi divorare dal senso di colpa. Lui sapeva arrivare ad una scelta senza perdere tempo prezioso ne dosare le perdite.
Già, perché allora questa volta non era lo stesso?
Ok, forse Alex aveva detto la verità; nessuno di loro sarebbe mai riuscito a mettersi in salvo senza l’intervento di quella stupida pirata senza la minima idea sul cosa significasse far parte di qualcosa.
E per questo l’avrebbe odiata ancora di più.
L’avrebbe odiata fino alla fine dei suoi giorni, per ciò che rappresentava, per ciò che era accaduto in seguito al loro arrivo nella Foresta Incantata, per ciò che aveva fatto per lei.
L’avrebbe odiata sempre perché, dopotutto, era ciò che gli riusciva meglio, da anni.
Ma era davvero quella la cosa giusta da fare?
Con due veloci falcate, Jake raggiunse il corpo sottile di Alex, la quale non aveva perso tempo nel voler raggiungere l’amica in difficoltà, dirigendosi a perdifiato verso il punto esatto di quella lotta priva di armi comuni.
Afferrandola per un polso magro, Jake frenò la corsa della bionda, la quale non perse tempo ad incenerirlo nuovamente con lo sguardo, corrugando la fronte come faceva ogniqualvolta Rowan non le dava ragione in merito a qualcosa.
“Che vuoi?
“Quello laggiù…è Pegaso?!” le chiese Jake, ignorando quella sua ennesima occhiataccia e indicando con il volto un cavallo bianco, semi imbizzarrito al di là del suo recinto.
Posando lo sguardo sul punto indicato dal ragazzo, Alex scorse il fedele cavallo che, in più di un’occasione l’aveva accompagnata in una delle sue spedizioni, chiedendosi per quale motivo il figlio di Regina si interessasse, proprio in quel momenti, di equitazione.
“No…quello è il mio cavallo, Ronzino*” gli rispose la ragazza, corrugando lievemente lo sguardo di fronte a quella domanda così strana.
“Andiamo da lui!”
“…perc…”
“Zitta. Andiamo!”
E senza porre altre domande, Alex corse in direzione del suo destriero.
 
 
 
***
 
“Emma…è meglio tornare indietro, non è sicuro rimanere nel bosco di notte!”
“Devo trovarlo…”
In maniera quasi scostante, Emma rispose alla madre, senza mai frenare per un solo istante la ricerca del pirata.
Erano passate diverse ore dal momento in cui Regina l’aveva chiamata al telefono, spiegandole tutto ciò che Henry le aveva rivelato, pochi minuti dopo l’arrivo di Eva. Quest’ultima, presentatasi da Regina, qualche minuto prima, con una strana richiesta riguardante una pozione, una volta sentito il racconto del fratello, si era materializzata nel cuore della foresta, ritrovandosi con niente di più che un pugno di mosche.
Uncino era scomparso e, con lui, anche Ector.
Era successo qualcosa, Eva lo sapeva, Emma lo sapeva, chiunque , in quella dannata forestaa, lo sapeva. Ma chi, realmente, aveva il coraggio di esternare tale convinzione a parole? Chi aveva il coraggio di dire che, con ogni probabilità, la presenza di Ector portava con sé l’alito agghiacciante di Morgana?
Nessuno, Salvatrice inclusa.
Dopotutto, era stata lei stessa a chiedere a Killian di accompagnare Henry nel bosco, era stata lei a dirgli di portare con sé Eva, in modo da farla sentire più a suo agio, in un clima così strano per una ragazzina già scossa da un futuro a dir poco traumatico. E lui? Lui aveva accettato con un sorriso, porgendole un delicato bacio sulla guancia e dicendole di fare attenzione nella sua ricerca con Ector.
Perché diamine non gli aveva detto la stessa cosa? Perché non lo aveva pregato di fare attenzione, mettendo la sua vita davanti a tutto?
Forse perché sapeva che non l’avrebbe ascoltata; perché sapeva che, per quanto lui si definisse un pirata, aveva un onore simile o addirittura superiore a qualsiasi cavaliere o uomo avesse mai conosciuto.
Già, un cavaliere. Se non si fosse trovata all’interno di quell’atmosfera così soffocante, la giovane Swan si sarebbe sicuramente lasciata scappare un sorriso colmo di emozione di fronte a quel pensiero così inusuale; perché, per quanto non lo avesse mai detto a voce alta, quel modo di fare di Killian, così coraggioso e sicuro di sé, era così simile a quello di suo padre che, in varie occasioni, Emma si era ritrovata a chiedersi se non fosse stato anche quello ad attirarla verso di lui.
Dopotutto, lei amava tutto di Killian, il suo sorriso, il suo carattere, il suo sguardo profondo ed emozionante come le onde del mare e, solo in quel momento, riusciva a rendersene conto con estrema chiarezza. Amava quel suo modo di pavoneggiarsi; quella sua sicurezza; quel suo essere così meravigliosamente passionale in tutto ciò che faceva; quel suo voler difendere Henry in ogni occasione, nonostante non fosse suo figlio; quel suo sguardo profondo ed emozionato nel conoscere l’identità di Eva, nel guardare lei.
Amava tutto di lui.
Lo amava….
Oddio…era davvero questo ciò che provava? Lo amava, amava un uomo nonostante tutto quello che le era successo, nonostante le perdite, i tradimenti e le sofferenze.
E perché non riusciva a sentirsi realmente sconvolta da una simile rivelazione? Perché il respiro non era divenuto irregolare rendendole impossibile qualsiasi movimento? Chissà, forse quello che dicevano era vero; forse il cuore viaggiava davvero ad una velocità diversa rispetto alla mente.
Lo amava.
Già….e non glielo aveva mai detto.
“Emma…”
“Non lo lascio qui…intesi?!”
Aggredendo con una certa intensità l’ennesimo richiamo da parte della madre, Emma si bloccò sul colpo, posando i suoi intensi occhi verdi in quelli amorevoli di Biancaneve.
Sapeva bene che, quel suo continuo richiamarla, era un giustificato tentativo nel fare ritrovare un debole contatto con la realtà; ma non poteva fermarsi, non prima di essersi assicurata che Killian stesse bene.
“m…mi dispiace…” esclamò Emma, spostando il volto verso un punto qualsiasi ai suoi piedi.
“lo so…” le rispose la madre, colma di una comprensione che, sa sempre, la distingueva di chiunque altro.
“Hey…trovato qualcosa?!” esclamò improvvisamente la voce del padre, alle cui spalle comparve ben presto la figura trafelata della nipote.
Non c’era stato verso per convincerla a rimanere a casa. Dopo essere comparsa nella foresta, Eva aveva iniziato a setacciare millimetro per millimetro quel vasto appezzamento di boscaglia, chiamando a gran voce il pirata, finendo col rimanere quasi afona.
Ad ogni papà urlato a pieni polmoni, il cuore della giovane Swan perdeva un battito.
Lei stava perdendo l’uomo che amava, lo sapeva e, forse, chiunque lì nella foresta se ne rendeva conto; ma Eva, la ragazza dal volto segnato dalla sofferenza, stava perdendo suo padre, per la seconda volta; la persona più importante per lei.
Per un attimo Emma si ritrovò a pensare al guanto del signor Gold, lo stesso che, quella notte di molti giorni prima, dopo aver scoperto del patto tra Eva e Tremotino, li aveva portati in quella casa abbandonata che, presto o tardi, sarebbe divenuta la casa di lei e Killian. Quella notte, il guanto li aveva condotti da Eva e da chi, ovvio come la luce del sole, sua figlia amava di più al mondo; verso chi l’aveva protetta fino alla fine, sacrificando la sua vita per lei, senza il minimo ripensamento. Li aveva portati da suo padre. Killian Jones.
Chssà perché, proprio ora, si ritrovava a pensare ad un dettaglio simile.
“Niente…” esclamò Mary Margaret, posando lo sguardo sul marito, decisamente preoccupato per l’assenza di notizie.
“Sono ore che cerchiamo…non può essere sparito nel nulla!” esclamò adirata Eva, tirando un pugno sulla povera quercia capitata accanto a lei.
“Ehi…lo troveremo!” cercò di tranquillizzarla Emma, avvicinandosi di qualche passo a lei.
“E in che modo? Girovagando senza meta per i boschi?!”
Era fuori di sé, adirata come, forse, non era mai stata dal suo arrivo a Storybrooke. E come darle torto? Perfino lei faticava a darsi con contegno; e, come si sa, buon sangue non mente, specie se per metà era pirata.
“Eva…” iniziò Emma, avvicinandosi di un altro passo alla figlia.
“Non dovevo andarmene!” la interruppe la figlia, i cui capelli raccolti in uno scomposto chignon rendevano ancora più grandi e profondi i suoi occhi chiari “…come ho fatto ad essere così stupida. Come? Sapevo che Morgana era in giro…sapevo che stava aspettando il momento adatto per ferirmi di nuovo; e io che faccio? Me ne vado in giro a cercare un maledettissimo…ALBERO?!?”
Urlando l’ultima parola con tutta la rabbia che aveva in corpo, Eva diede l’ennesimo pugno al tronco al suo fianco, riuscendo, con la sola forza di un scintillo di magia, a farlo incenerire del tutto, divenendo un cumulo di cenere privo di vita.
Non riuscendo a contenere lo sconvolgimento di quell’azione dettata dalla rabbia, Emma si ritrovò a spalancare gli occhi, seguita dagli sguardi sbigottiti dei suoi genitori, i quali abbassarono le braccia lungo i fianchi, in un gesto carico di impotenza.
Per quanto cercasse di negare l’evidenza di fronte alla figlia, Eva possedeva una componente oscura non da poco. Era buona, certo, e glielo si leggeva chiaramente in quegli occhi colmi di un sentimento puro e sincero; ma dentro covava qualcosa di così oscuro e incontrollabile da far preoccupare persino lei, sua madre. Sembrava un funambolo, sempre in bilico tra il bene e il male e sempre più vicina a quest’ultima, per quanto non lo si volesse ammettere a gran voce.
Dopotutto, come biasimarla? Quanto dolore avrebbe potuto contenere un cuore prima di divenire oscuro? Qualcosa le diceva che non avrebbero dovuto attendere poi molto per scoprirlo.
Scorgendo la paura e l’inadeguatezza nel volto della figlia, la giovane Swan si avvicinò al corpo di Eva, posando una mano su quelle braccia sottili e tremanti, come Biancaneve aveva fatto con lei un milione di volte.
Aveva freddo, era sconvolta.
“Ehi…Eva…ascoltami!”
“M-mi dispiace…non volevo…i-io…” incespicò la giovane, stringendo le mani al petto.
“Ehi ehi…va tutto bene. Sei arrabbiata…e direi che è del tutto comprensibile!”
“Non così comprensibile da giustificare l’uso della magia oscura!”
“È vero…ma dopo tutto quello che hai passato…penso tu sia fin troppo brava!” le rivelò Emma, non perdendo per un solo istante il contatto visivo con quel volto così simile a quello del giovane Jones “…se pensassi di poter perdere le persone che amo…e di veder fallire ogni mio tentativo di fare la cosa giusta…non so quanto riuscirei a rimanere nella retta via!”
“Oh…ci riusciresti, credimi. Tu non sei come me…”
“Ah sì? E come saresti?...cattiva? direi che abbiamo già parlato di questo!”
“Non è una questione di cattivi o buoni…Io…io ho una componente oscura. Io sono il frutto del Vero Amore mamma…io posso essere la più grande eroina mai esistita e, allo stesso tempo, la persona più malvagia…non puoi saperlo!”
“Sei tu a decidere chi sei Eva. Sei tu a decidere di continuare ad essere un eroe e a fare la cosa giusta….”
“Non è così semplice…tu…tu non puoi capire!”
“Aiutami a capire allora!”
Per un attimo Eva stette in silenzio, come in ascolto dei suoni più silenziosi emessi dalla foresta, posando per un breve attimo lo sguardo sulle figure così giovani dei suoi amati nonni.
“Regina era convinta di una cosa…” iniziò la ragazza, fissando le sue mani sottili e del tutto prive di alcun ornamento “…diceva che, una persona con un’alta componente oscura ha sempre bisogno di qualcuno che la contenga. Diceva che non è qualcosa di controllabile, non si può decidere di cercarla e di trovarla improvvisamente da qualche parte. Accade all’improvviso…qualcuno entra nella tua vita e riesce a far sparire la parte peggiore di te…”
“E Regina…ha trovato questo qualcuno…in Henry!” esclamò Emma, accarezzando dolcemente il braccio sottile della figlia.
“Sì…” assentì la giovane, sentendo gli occhi farsi improvvisamente lucidi al ricordo di quella donna tanto forte quanto passionale “…e mio padre l’ha trovato in te!”
“Se davvero è così, se davvero Regina ha ragione…lo troverai anche tu Eva…ne sono convinta!”
“…ma io…” esclamò la figlia, alzando finalmente lo sguardo sul volto della Salvatrice “…io l’ho già trovato!”
“Bene…” ritrovandosi a sorridere con spontaneità, Emma sentì lo sguardo illuminarsi, realmente felice nel sapere che la figlia aveva incontrato qualcuno di così importante.
Ma perché quegli occhi continuavano ad essere attraversati dalla tristezza? Perché nessun alone di un sorriso attraversava quelle labbra piene e ben delineate?
“No…non è un bene…”
“E perché?!”
“Perché l’ho perso!” le rivelò Eva, lasciando andare una scintillante lacrime che, veloce le rigò il volto “…l’ho perso…e sento che mi sto perdendo anch’io!”
 
***
 
 
L’eco della battaglia continuava ad imperversare in ogni angolo della radura, rendendo quasi ovattate e incomprensibili le urla di chi cedeva alla paura. Non vi era pace o alcun tipo di tranquillità; ognuno totalmente immerso nel proprio mondo, nella propria lotta contro la morte.
Ogni cavaliere della strega, giunto quasi per magia in quella distesa d’erba e capanne, focalizzava la propria attenzione su un preciso componente dell’Alleanza, quasi consapevoli di chi, solitamente, impugnava un arma per dar loro battaglia.
Ciò che, forse, tali uomini carichi di disonore, non avevano considerato, era la forza d’animo presente in chiunque avesse qualcuno da difendere. Quanto coraggio poteva avere una madre con due figli? O una giovane dinanzi alla propria amica d’infanzia gravemente ferita? Nessuno lo avrebbe saputo con certezza, non subito, non fino al momento in cui la guerra aveva superato la barriera, rendendo la madre una leonessa in grado di brandire una spada e la giovane ragazza un’amazzone senza paura di morire pur di proteggere la persona a cui tiene.
Vi erano molte guardie nere quel pomeriggio, probabilmente in un numero maggiore rispetto ai componenti dell’Alleanza in grado di difendersi; ma, nonostante ciò, quel pomeriggio, illuminate dai brillanti raggi del sole, vi erano persone fiere, coraggiose, persone in grado di impugnare la spada e combattere con il cuore splendente di veri soldati.
Ammirando fugacemente la forza dimostrata dal suo popolo, Jake seguì la figura svelta della bionda di fronte a lui, la quale non aveva perso un solo secondo in più per accontentare la richiesta dell’amico.
Con il fiato corto e i sensi all’erta di fronte al minimo segnale di pericolo, Jake e Alex raggiunsero il cavallo di quest’ultima, del tutto spaventato dal marasma che, ormai, regnava sovrano.
“Shhhh…ehi ehi…buono…va tutto bene!” sussurrò la giovane al destriero, accarezzando con estrema delicatezza il muso dell’animale, i cui dilatati occhi marroni parevano faticare non poco nell’ottemperare a quella semplice richiesta.
Guardandosi nervosamente le spalle, Jake asciugò, con un palmo della mano, un consistente rivolo di sangue proveniente dalla fronte, probabile conseguenza della colluttazione avvenuta qualche istante prima per mano di una guardia, apparsa da chissà dove.
Era esausto.
Quanto tempo era trascorso da quando la festa di Alex era stata brutalmente interrotta? Mezz’ora? Un’ora? Non avrebbe saputo dirlo, come del resto non avrebbe saputo dire cos’era stata l’ultima cosa che aveva fatto prima dell’apparizione di Diletta.
Ballavi con Eva, idiota.
Ah, già, giusto. Chissà come aveva fatto a dimenticarlo; forse perché non gliene importava nulla, o forse perché si disprezzava per essersi lasciato rimbecillire da un po’ di birra, mettendosi a ballare proprio con lei, la persona che più odiava al mondo.
Ok, forse non era stata poi così poca la birra che aveva bevuto, ma non toglieva il fatto che, ora che la lucidità era tornata, non riusciva a sopportare di essersi lasciato incantare da quegli occhi, di averle sorriso, come se nulla fosse accaduto.
 
“…sei sempre stato una pedina, sempre. Il tuo odio verso quella stupida principessa era ciò di cui avevamo bisogno…dovevi solo starle lontano…e disprezzarla. E lo hai fatto…l’hai abbandonata e di questo Morgana ti è stata alquanto riconoscente, mantenendoti in vita!”
 
Il ricordo di quanto detto da Diletta, poco prima di trasformarsi in quell’essere rugoso come il tronco di un albero, colpirono Jake con la stessa ferocia della ginocchiata ricevuta poco prima da quell’uomo vestito di nero.
Era stato usato; per tutto quel tempo, trascorso pavoneggiandosi per la sua tanto decantata bravura nel combattere e nel guidare gli altri, era stato una pedina di Morgana. Per qualche assurdo motivo, quella pazza mirava al fatto che lui odiasse Eva, che l’allontanasse, che la lasciasse sola; e così aveva fatto. Non aveva trascorso giorno senza maledire quella stupida ragazza, responsabile della morte di suo padre.
Ma non è stata colpa sua.
Era davvero così?
“Ehi Jake…tutto bene?!”
La voce di Alex risvegliò il ragazzo dai folti capelli scuri dai pensieri che, ingombrati, avevano iniziato a popolargli la mente, rendendo ancora più insopportabile la stanchezza fisica dovuta alla continua lotta.
“Sì…è pronto?!” chiese Jake, apparendo nuovamente serio e controllato.
“Sì…” gli rispose la ragazza, per niente convinta da quel volto segnato e sporco di terra e sangue “…che intendi fare?”
“Tu raggiungi Roland e gli altri…” esclamò il ragazzo, ignorando volutamente la domanda di Alex, la quale si ritrovò impotente a guardarlo mentre saliva in sella al suo fedele compagno di corse “…andatevene da qui, non voltatevi e non perdete tempo a convincere chiunque a seguirvi. Almeno tu Alex, mettiti in testa che non puoi salvare tutti…chiaro? Vi fareste solo ammazzare!”
“Lo so…” assentì la giovane, corrugando il volto immerso nella tristezza di quella consapevolezza.
“Bene…” sussurrò Jake, stringendo con forza le briglie e cercando, con tutto se stesso, di non rendere quel saluto un addio, nonostante la sensazione del suo cuore fosse proprio quella “…raggiungete il Rifugio dei Sopravvissuti, quello costruito anni fa da Mulan dopo il sortilegio*…quando mia madre verrà qui e capirà cos’è successo andrà sicuramente lì…”
“E tu cosa farai?!” ritentò la bionda, posando una mano sul manto bianco dell’animale, inchiodandolo l’amico con il suo sguardo sicuro e fiero, lo stesso che, da sempre, caratterizzava la figlia di Cenerentola.
“Faccio quello che va fatto no?”
“Sai Mills…Puoi anche dirlo di esserti sbagliato su Eva?” esclamò Alex, cercando di alleggerire l’atmosfera porgendo un sorriso canzonatorio all’amico.
“Ma io non mi sono sbagliato…” le rispose il giovane, puntando i suoi penetranti occhi scuri si quelli azzurri di lei “….evito solo che una delle mie più care amiche si faccia ammazzare nel tentativo di fare qualcosa di estramente stupido!”
“Facendoti ammazzare al suo posto?!”
L’ennesimo e improvviso boato, obbligò Jake ed Alex a posare lo sguardo sulla figura lontana di Eva, la quale pareva essersi lasciata completamente invadere dalla magia oscura.
Non c’era tempo da perdere; sempre se ne fosse rimasto ancora.
“Sii forte…”
Dopo quell’augurio quasi sussurrato ed evitando nuovamente di dare una risposta all’amica, Jake diede un secco impulso al cavallo il quale, veloce e allenato alla fuga, partì al galoppo, seguendo i desideri di quel suo nuovo e improvvisato cavaliere.
L’aria calda del pomeriggio sferzò il viso segnato e stanco del giovane figlio di Robin Hood, il quale aveva iniziato a galoppare ad una velocità così sostenuta da dare l’impressione di essere inseguito da un’orda feroce di demoni alati, gli stessi che, da ragazzino, lo avevano attaccato durante quella sua sciocca fuga, guidata unicamente dall’ostinazione.
Quanto era stato sciocco quella notte; quanto era stato illuso. Lasciarsi guidare da un sentimento che, ben presto, lo aveva messo all’angolo, spettatore di qualcosa di così doloroso che lo avrebbe segnato per sempre.
Cavalcando il destriero bianco di Alexandra, Jake puntò il suo sguardo scuro sulla figura ancora distante di Eva.
Sembrava impotente.
Nonostante al primo sguardo potesse sembrare una fiera strega del tutto padrona delle sue arti oscure, gli occhi del figlio di Regina colsero qualcosa di diverso, qualcosa di estremamente impalpabile in quel viso pallido. Eva sembrava alla mercé della sua stessa magia. Sembrava quasi essersi lasciata andare a qualcosa di troppo grande, di troppo forte per lei. Lo sguardo semichiuso, le iridi un tempo accese, ora spente, quasi opacizzate da una forza misteriosa.
Si stava perdendo. Si stava perdendo per salvarli tutti.
Non riuscendo quasi ammettere a se stesso quella realtà scomoda, Jake incitò Ronzino ad aumentare l’andatura, emettendo due urla degne del guerriero più forte in una battaglia.
Nessuno sembrava pronto a frenare quella corsa disperata; nessuno sembrava vederlo realmente.
Cinquanta metri.
La nube nera proveniente da Eva era sempre più alta, sempre più vicina al suo corpo.
Trenta metri.
Neppure Diletta, quel mostro disgustoso che, fino a qualche ora prima trattava come la sua ragazza, pareva avere speranze di fronte a quel potere distruttivo, simile ad una nuvola carica di una tempesta di dimensioni indicibili.
E se avesse aspettato? E se avesse lasciato che il potere oscuro di Eva li liberasse da quella creatura?
Tutti sarebbero stati in salvo, decisamente alleggeriti in quella battaglia che li vedeva, con estrema chiarezza, in netto svantaggio.
C’era solo una cosa da fare.
Scegliere.
Salvare Eva dall’oscurità e permettere a più persone di fuggire.
O salvare lei, e decidere della sorte dei suoi più cari amici.
Doveva solo prendere una decisione; come aveva sempre fatto.
Dieci metri.
Cosa doveva fare?
Jake serrò la presa sulle briglie, scure e castane quasi quanto i suoi occhi e, colmo di un senso di colpa che non l’avrebbe mai abbandonato, prese la sua decisione.
 
***
 
Il tempo in quella grotta sembrava inesistente.
Da quanto era finito lì dentro? Da quanto quella maledetta strega con l’ossessione del nero lo aveva spedito lì insieme a quella donna incappucciata e dai modi tutt’altro che amichevoli?
Per lo meno aveva riacquistato il totale controllo delle sue gambe, come gli era stato detto dalla donna di fronte a lui.
Il fatto che avesse avuto ragione a proposito degli effetti dell’incantesimo di Morgana, non poteva di certo tranquillizzare il giovane Killian Jones, il quale si ritrovò a chiedersi se la sconosciuta avesse ragione anche sul motivo per il quale la strega li aveva portati qui.
“Hai detto…che Morgana ci ha mandati qui per farci impazzire…ma tu come fai a sapere che è quello il suo scopo se, per ora, non hai visto niente!”
“Semplice…me l’ha detto lei poco prima di spedirmi qui!” rispose secca la donna, appoggiando la schiena sulla parete meno illuminata della grotta “…pregustando il momento in cui avrebbe ucciso il mio lieto fine, con estrema lentezza…e dolore. Direi che in quanto a crudeltà mi supera!” concluse, lasciandosi quasi sfuggire quella ironica considerazione.
Bene, quindi anche la donna lì dentro non era un pozzo di bontà. Dopotutto, però, chi era lui per giudicarla? In quanto a crimini e gesti poco onorevoli, in trecento anni il Capitano della Jolly Roger non si era fatto mancare nulla, poco ma sicuro.
“E…chi è il tuo lieto fine?!” le chiese Killian, quasi di getto.
“Domanda troppo personale Capitano…non trovate?!”
Serrando la mascella con forza, Uncino si alcò da terra, cominciando a camminare su e giù per la grotta, cercando di tendere le orecchie, in attesa del più minuscolo dei movimenti.
“…personale? Non so nemmeno chi sei, al contrario di te…non vedo come rispondere ad una sola domanda possa incrinare la tua copertura!” esclamò acido Uncino, posandosi a sua volta sulla parete umida e rocciosa alle sue spalle, dalla parte opposta rispetto alla donna.
“Già…non sei in una bella situazione Uncino. Dopotutto…tra non meno di qualche ora ti ritroverai a vivere e rivivere la fine del tuo grande amore, senza essere in grado di salvarla!”
“Che ne sai tu del mio lieto fine?!”
Altra risata amara. Altro sbuffo secco e familiare.
Chi diavolo era quella donna
“Oh…e chi può essere sennò? Tua figlia è viva…perciò va subito scartata. Rimane solo una persona…”
Killian.
Un sussurro. Flebile, leggiadro; quasi appartenente ad un’altra dimensione.
“Ehi…cos’è stato? L’hai sentito?!” chiese il capitano, messosi immediatamente sull’attenti; ritrovandosi ad ignorare la frase lasciata a metà dalla donna di fronte a lui.
“No…direi di no!”
Killian….dove sei?
Quella voce. Era la Sua voce. Non l’avrebbe confusa con nessun’altra.
La voce della sua Swan.
“Emma…” sussurrò il giovane Jones, puntando lo sguardo verso un improvviso prolungamento di quella grotta, a cui non aveva mai fatto caso “…è lei…mi sta cercando!”
“Probabile...non ti dirò di rimanere qui Killian Jones, tanto non mi ascolteresti. Non lo farei nemmeno io se fossi al tuo posto…”
La voce, fino a qualche istante prima, sempre rigida e altezzosa, sembrava essersi quasi smorzata, consapevole che quello sguardo incredulo dipinto sul volto di quell’uomo, prima o poi sarebbe apparso anche sul suo viso e nessuno, nemmeno lei stessa sarebbe riuscita a rimanere immobile di fronte a quel richiamo.
Killian…non riesco a vederti!
“Emma…sto arrivando!” urlò il pirata, squarciando con la sua voce l’eco agghiacciante di quel posto freddo e senza tempo.
Era lei, la sua Salvatrice. Sapeva che non avrebbe lasciato trascorrere un solo istante senza venire a cercarlo.
Dopo un solo passo in direzione di quel corridoio buio e privo di qualsiasi luce, Killian si fermò di colpo, voltandosi lentamente e posando nuovamente il suo sguardo azzurro su quella figura di cui, dopotutto, non conosceva neppure il nome.
“Ehi…vieni con me. Non puoi rimanere bloccata qui in eterno!”
“Oh…no grazie. Aspetto il mio turno…e mi auguro arrivi il più tardi possibile!”
Corrugando lievemente la fronte di fronte a quella rivelazione così inusuale, Killian serrò i palmi delle mani, volgendo per un attimo la sua attenzione verso quel richiamo insistente della sua amata.
“Spero che l’uomo che ami venga a salvarti…”
“L’uomo che amo? Non potrei mai legare il mio lieto fine ad un uomo…Capitano” gli rispose la donna, accompagnando quella risposta con l’ennesima risata senza controllo.
Senza dare peso a quel modo di fare così privo di tatto, il pirata volse nuovamente le spalle alla sconosciuta dirigendosi con sicurezza verso la voce cristallina del suo cigno.
Finalmente Emma era arrivata e qualcosa gli diceva che non si sarebbe limitato ad abbracciarlo e baciarlo questa volta, visto che, dall’arrivo di Morgana, non la smetteva col mettersi in situazioni decisamente poco rassicuranti.
“Rowan!” esclamò improvvisamente la voce alle sue spalle, obbligandolo nuovamente ad arrestarsi “….è lui il mio lieto fine. Mio figlio…”
“Allora spero venga a salvarti…prima o poi!” le rispose il pirata, con sguardo serio.
“Oh…tutto dipende se la parola di tua figlia e di mio nipote ha un qualche valore!”
Killian…Killian ti prego. Dove sei?
Con fare quasi ipnotico, il capitano della Jolly Roger si ritrovò a volgere, nuovamente, la sua attenzione verso il cunicolo scuro da cui proveniva la voce di Emma. Doveva raggiungerla, doveva trovarla prima che anche lei cadesse vittima di quel sortilegio privo di logica.
“Non so di che stai parlando ma…” iniziò a dire il pirata, volgendosi stancamente verso la donna, fino ad allora rimasta dietro di lui.
Non vi era nessuno.
Nessuna figura incappucciata. Nessuna risata insana.
Solo le torce accese, il cui debole chiarore pareva diminuire ad ogni secondo.
Serrando fortemente la mascella, il giovane Jones si volse nuovamente.
Non aveva il tempo di porsi domande.
Doveva raggiungere Emma.
 
***
 
Mamma.
Papà.
Henry.
Cosa le avrebbero detto se l’avessero vista in quel momento? Cosa le avrebbe detto al sua famiglia se avesse avuto l’occasione di vederla inghiottita dall’oscurità, alle prese con la stessa magia che, da anni, le veniva proibita come se fosse veleno.
Chissà, forse era quella la ragione. Forse era per quello che Regina e suo padre le avevano ripetuto fino allo sfinimento di non usare la magia. Possibile che il loro continuo giustificarsi dando la colpa alla bravura di Morgana nell’identificare il suo potenziale magico fosse tutta una menzogna? Possibile che sapessero cosa si celasse dentro di lei?
Bè, poco importava in quel momento. Per quanto stesse cadendo nell’oscurità, stava distruggendo quel mostro di fronte a lei, dando così la possibilità a tutti quegli innocenti di mettersi in salvo.
Neal, Roland, Alex, Gretel, Rowan…Jake. Sarebbero stati tutti in salvo.
Lei forse non sarebbe più stata quella di un tempo, ma chi, nel mondo in cui vivevano, aveva la possibilità di dire il contrario? Chi poteva ammettere di non aver abbracciato, almeno una volta, la sua parte più oscura pur di salvare le persone che amava?
Persino sua madre e suo padre, a suo tempo, si erano ritrovati a cedere all’oscurità, riuscendo poi a risalire alla luce.
…Qualcuno entra nella tua vita e riesce a far sparire la parte peggiore di te!
Regina.
Chissà se quella sua spiegazione riguardo all’oscurità non celasse qualcosa di diverso.
Forse sì. Forse no.
Stava di fatto che lei aveva preso la sua decisione. Si sarebbe lasciata andare; si sarebbe lasciata andare a quell’appagante senso di forza e indistruttibilità, qualcosa che le era sempre mancata e che, in quella battaglia ad armi impari contro la Fata Oscura, le avrebbe dato una qualche chance in più di vittoria. Avrebbe salvato le persone che amava e avrebbe finalmente dato a Morgana ciò che meriava. La morte.
Lentamente gli occhi si fecero pesanti, le palpebre iniziarono ad abbassarsi, come il sipario di uno spettacolo triste, privo di applausi, durato fin troppo a lungo.
Poteva lasciarsi andare. E, chissà, forse qualcuno, qualcuno in grado di far sparire la parte peggiore di lei, un giorno l’avrebbe aiutata a risorgere, a tornare quella di prima, una volta che quell’incubo fosse finito.
Solo che quello non era un incubo e il solo fatto che lei nutrisse ancora la recondita speranza che le cose potessero sistemarsi la diceva lunga su quanto fosse realista.
Basta.
Lentamente gli occhi si chiusero. Le folte ciglia entrarono in contatto con l’umidità creata dalle lacrime, ferme alla soglia di quelle iridi sbiadite e sole.
La forza oscura che, meschina, prendeva sempre più terreno dentro di lei, era vicina al suo cuore. Eva poteva quasi affermare di riuscire a sentire gli artigli bui di quel potere, pronte a stringere il suo cuore in una morsa a cui non avrebbero più potuto fare a meno.
Mancava così poco e tutto il dolore sarebbe cessato.
O almeno era ciò che pensava sarebbe accaduto, se un’improvvisa mano non avesse afferrato il suo braccio, strattonandola bruscamente e alzandola verso l’alto, con una comprensibile fatica.
Accadde tutto in maniera così fulminea che, per un attimo, la giovane figlia della Salvatrice non riuscì a comprendere quello che stava accadendo. Un secondo prima era con i piedi a terra, lo sguardo vacuo e con una dirompente sensazione di potere dilagante lungo tutto il suo corpo.
Ed ora?
Ora la sensazione di potere andava via via scemando, il mondo aveva iniziato ad oscillare ad un ritmo quasi scadenzato, accompagnato da un lieve profumo di bosco e legno di ciliegio.
Un secondo, lei sapeva a chi apparteneva quel profumo, inconfondibile e quasi magico.
Con lo sguardo ancora appesantito, Eva aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare una spalla dalla camicia di cotone squarciata e macchiata di quello che poteva essere solo sangue; già, ma di chi? Il mondo continuava a muoversi, su e giù, su e giù, come se fosse stata sopra ad un cavallo in piena corsa.
Un momento…era proprio così.
Ritrovandosi a stringere la presa su quel corpo forte e atletico, Eva volse lo sguardo di lato, notando la velocità con cui il paesaggio circostante rimaneva dietro di lei, in sella ad uno splendido cavallo bianco, il quale non pareva affatto intenzionato a frenare la sua corsa.
“Ehi Jones...cos’hai capito di preciso quando ti ho detto di non usare la magia nera?!”
Al suono di quella voce inconfondibile, Eva alzò la testa di scatto.
Jake. Era di Jake quella camicia strappata e macchiata; erano sue quelle braccia forti che la circondavano tenendo le briglie con la stessa tenacia con cui afferrava il suo amato arco; erano suoi i fianchi a cui era aggrappata per non venire disarcionata.
Che cose stupide da pensare, soprattutto in un momento simile, quando per poco non finiva per perdere del tutto se stessa, divenendo qualcosa, o meglio qualcuno, di estremamente diverso.
Un improvviso boato alle loro spalle obbligò la giovane dai lunghi capelli sciolti a guardare oltre la spalla del ragazzo. Diletta; maledizione ma come poteva ancora avere tutta quella energia in corpo.
Al contrario di quel mostro, Eva si sentiva totalmente distrutta e sfinita dall’eccessivo uso della magia.
Quella creatura, al contrario, pareva possedere scorte di energie inesauribili vista la tenacia con cui aveva iniziato a rincorrerli, facendo tremare il terreno sotto i loro piedi e schiacciando senza preoccupazione ogni cosa o persona intralciasse il suo cammino.
Logorata dalla frustrazione e dalla rabbia, la creatura lanciò un urlo così disarmante da riuscire a raggiungere i due ragazzi, i quali faticarono non poco a rimanere a cavallo.
“P-perché lo hai fatto?!” urlò Eva, puntando i suoi occhi ora di nuovo verdi in quelli scuri di lui “…dovevi lasciarmi lì, l’avrei uccisa!”
“Non c’è che dire…tu sì che sai come ringraziare!”
Lanciandole uno sguardo carico di rimprovero, Jake cercò di aumentare l’andatura del galoppo, sperando di aumentare, per quanto possibile, la distanza tra loro e la sua ex ragazza in sembianze animali. Ma per quanto corresse, per quanto cercasse di incentivare quella povera bestiola dal manto bianco ad aumentare la sua andatura, le dimensioni e la follia di Diletta continuavano ad avere la meglio, limitando sempre di più la distanza.
Li avrebbe raggiunti. Nel giro di qualche secondo quella fauce colante del sangue di qualche povero innocente avrebbe assaggiato anche la loro carne, sfogando nel modo migliore tutta la rabbia e la frustrazione accumulata fino a quel momento.
Cosa potevano fare? Cosa potevano fare per mettersi in salvo?
Senza alcun preavviso, Ronzino frenò la sua disperata corsa verso la salvezza, la quale lo portò a rovinare a terra trascinando con sé i corpi sfiniti dei due giovani sopra di lui.
Colti alla sprovvista da quell’improvviso colpo di scena, del tutto a loro sfavore, Eva e Jake si strinsero l’uno a l’altro. Entrambi sbatterono in modo violento il corpo a terra, acuendo ancora di più la fitta alla spalla destra della giovane Jones, sensibile biglietto da visita riportato in seguito allo scontro avvenuto con Diletta.
Rotolarono. Rotolarono. Rotolarono per un tempi indefinito, spinti dalla velocità eccessiva mantenuta fino a quel momento e brutalmente interrotta da una frenata che, a prima vista, pareva del tutto priva di logica.
Ma Ronzino era un cavallo intelligente, un cavallo che, in più in un’occasione aveva salvato la vita della sua fedele compagna dalla chioma bionda; e se aveva ritenuto necessario bloccare la sua andatura in un modo tanto brusco e pericoloso aveva un motivo, un motivo molto valido. Un motivo che ben presto, entrambi i figli dei più famosi personaggi delle favole, si ritrovano a comprendere a loro spese.
Improvvisamente, infatti, il continuo rotolare dei loro copri stanchi e feriti venne a sua volta interrotto, ma non da una parete, da un albero o, ancora meglio, per loro volontà.
Venne interrotto dal vuoto. Dal vuoto disarmante di un precipizio da cui era visibile una lontana e infinita distesa d’acqua, azzurra come il cielo.
Il primo corpo a cedere nel vuoto fu quello di Eva. La gravità, forte e invincibile, le fece venire le vertigini, consapevole che nulla, nemmeno la sua magia, ora così lontana, l’avrebbero salvata da quale tuffo verso l’ignoto.
Era così che sarebbe finita? Possibile che, dopo essere sopravvissuta ad un numero infinito di attacchi da parte di Morgana, potesse morire in un modo tanto…stupido?
Ma ecco di nuovo quella mano, abbronzata dalla continua esposizione del sole, aggrappata al suo braccio sinistro, i cui lividi oramai si mescolavano gli uni agli altri, divenendo del tutto spiacevoli da vedere.
Era riuscito a non cadere. Come aveva fatto? Evidentemente era molto più allenato di lei, e non solo dal punto di vista fisico. Niente pareva prendere in contropiede Jake, nemmeno una simile caduta da cavallo; nemmeno la presenza di un mostro dalle dimensioni a dir poco agghiaccianti.
“Tranqui…la. Ti…ti tiro su…!” esclamò il giovane Hood.
Del tutto affaticato da quell’ennesimo sforzo fisico, Jake cercò di sollevare il corpo della ragazza, cercando di ignorare l’improvviso boato alle sue spalle.
Diletta. Si stava avvicinando e se lui avesse continuato a perdere altro tempo a tirarla su probabilmente sarebbe morto nel tentativo di salvarla, finendo ucciso a sua volta.
Serrando le labbra, ormai divenute secche e disidratate, come il resto del suo copro, Eva alzò il braccio, la cui ferita alla spalla aveva iniziato a sanguinare in maniera copiosa e incontrollata. Che fosse per quel motivo che continuava a sentirsi sempre più debole? O forse era la paura, la paura di morire a renderla così pallida, a farle girare in quel modo la testa, sempre più in balia degli eventi.
Ignorando quelle inutili considerazioni che le annebbiavano la mente, la giovane Jones posò la sua mano su quella di Jake, allentando la presa che ritardava la caduta nel baratro.
“Ehi sei stupida? Che fai?!” esclamò adirato Jake, appiattendo il petto sul terreno e cercando, per quanto possibile di avvicinarsi a quella ragazza, stupida o coraggiosa, non avrebbe saputo dirlo.
“Lasciami andare…ti raggiungerà…e non potrai comunque fare nulla per me. Non fare l’idiota!”
“Tu non fare l’idiota e smettila di allentare la presa!”
“Allora lasciami andare…non la senti…sta arrivando!”
Eva aveva ragione, stava arrivando. Stava per raggiungerli.
Non sarebbe riuscito a voltarsi a controllare nemmeno volendolo e, a dirla tutta, la cosa non gli dispiaceva affatto.
Che potevano fare? Mettersi a correre a perdifiato lungo la collina non aveva alcun senso; Diletta li avrebbe presi. E rimanere steso lì con una mano serrata in quel braccio arrossato, non era di certo l’idea più geniale che avesse preso nell’arco della sua vita.
Richiamando a sé tutta la forza che gli rimaneva, Jake cercò di tirare su Eva che, forse per sfinimento, aveva smesso di mettergli i bastoni tra le ruote.
Ce l’aveva quasi fatta. Lentamente il busto della giovane riuscì a toccare il terreno, ritrovandosi, faccia a faccia, nella stessa posizione del ragazzo davanti a lui.
Con il respiro affannato, Jake l’aiutò ad alzarsi, voltandosi in direzione di quel mostro, a pochi metri di distanza da loro. I passi pesanti di Diletta continuavano a far tremare il terreno ai loro piedi e le urla dirompenti non parevano voler cessare il loro continuo richiamo.
In un gesto quasi meccanico e involontario, il giovane Mills afferrò la mano della giovane, la quale, con occhi sbarrati e il cuore in gola, guardava in faccia quel mostro, intento a caricare l’ennesima ondata di fuoco.
“…maledizione…” esclamò Eva, poco signorile e delicata, con la mano stretta a quella del ragazzo accanto a lei.
Chi l’avrebbe detto, sarebbe morta proprio accanto all’unica persona che, per anni, era riuscita ad innervosirla, anche senza la sua diretta presenza. Ma forse era meglio così; non avrebbe mai sopportato di morire davanti a suo padre; almeno non avrebbe mai perso anche lui; almeno avrebbe rivisto sua madre e i suoi nonni.
Dopotutto, lei aveva lottato con coraggio fino alla fine, no?
“Mi dispiace…”
L’improvvisa voce sussurrata del ragazzo accanto a lei le fece alzare lo sguardo, puntandolo dritta su quel volto e su quegli occhi così scuri e profondi in cui finiva sempre per perdersi, nonostante non lo avrebbe mai ammesso a voce alta.
“E di cosa?...mi hai salvato la vita…” gli rispose Eva, stringendo la presa sulle mani e sentendo gli occhi farsi sempre più umidi.
“Non parlavo di quello…”
“E di cosa?!” esclamò la giovane, corrugando la fronte.
“…forse urlare ti aiuterà…”
E, nell’esatto istante in cui la lingua di fuoco di Diletta aveva dato cenno di uscire da quelle fauci, Jake strinse a sé il corpo di Eva. E si gettò nel vuoto.
 
 
 
 
*Ronzino è il nome del cavallo di Cenerentola.
** Si tratta del luogo dove Emma e Biancaneve sono state portate da Mulan nella seconda stagione e dove hanno incontrato Lancillotto (….o Cora, dipende dai punti di vista :P)
 
 
 
 
 
Buona Domenica a tutti!!! (non vedo l’ora di poter ricominciare con il nostro amatissimo slogan “Buon OUAT Day”…ma non manca poi molto no?! :P)
I miei ritardi nell’aggiornare sono qualcosa di incomprensibile, ma credetemi…tutta colpa dell’estate e delle vacanze…che, almeno per me, sono ormai finite!!!! E infatti, eccomi qui….con il fresco dovuto al maltempo appena passato ad aggiornare questa mia amata ff!!!!!! Sono una fan delle stagioni fredde…non posso farci niente :))
Cmq, chiacchiere a parte…mi siete mancati tantissimo…ma sappiate che la testa gira sempre intorno a questa storia, nella speranza di trovare sempre il modo migliore per collegare le varie cose ed attirare la vostra attenzione!!!!! E spero di esserci riuscita anche questa volta!!!!
Il nostro pirata è decisamente nei guai e, purtroppo, non ho potuto ancora descrivere la scena CaptainSwan che vi avevo promesso…ma diciamo che la nuova donna incappucciata ha richiesto un po’ del mio tempo!!!! (ricordatevi di lei…sarà importante :P).
Prossimo capitolo Emma e Killian a tutto spiano!!!!!! ♥…….e anche Eva e Jake, che spero di aver descritto decentemente in questo capitolo.
Volevo ringraziarvi con tutto il cuore per continuare a leggere questa ff e a chi inserisce la storia tra le varie categorie….siete la mia principale ispirazione…perché senza di voi non riuscirei a scrivere manco una parola…poco ma sicuro!!!!! Un grazie a dir poco SPECIALEA a chi trova sempre il tempo di recensire….non vi dico quanta soddisfazione e felicità provo ogni volta che vedo una recensione…davvero….GRAZIE GRAZIE GRAZIE!!!!!!!! Ad ogni commento mi si accende una lampadina di ispirazione :P
Ok dai non mi dilungo troppo altrimenti vi annoio come al solito.
Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate del prossimo capitolo.
Un grossissimo abbraccio
La vostra affezionata
 
Erin
 
PS. Errori ortografici….ne prevedo una miriade, come sempre scusatemi…cercherò di revisionare al più presto!!!!!
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Cosa si pensa quando si precipita nel vuoto?
Se le avessero posto questa domanda la mattina di quel giorno soleggiato, Eva Jones non avrebbe saputo rispondere, o almeno non avrebbe saputo dare una risposta diversa dai soliti cliché, optando per uno di quei modi di dire, di sola routine, di solo contorno; le stesse risposte che tutti danno quando non sanno cosa dire, affidandosi ai più classici dei luoghi comuni.
Precipitare nel vuoto, dopotutto, nel novanta per cento dei casi si poteva facilmente collegare ad una morte certa e, chissà, forse piuttosto dolorosa; e cosa si può pensare quando si è faccia a faccia con la morte?
Alla vita ovvio.
Alcuni, i miracolati sfuggiti ad una fine certa, affermavano con convinzione che, in questi momenti piuttosto traumatici, la vita scorresse veloce davanti agli occhi, come una sorta di film sotto forma di diapositive; gioie, dolori, eventi e persone importanti della propria esistenza, tutte lì, davanti agli occhi.
Bè…non era affatto vero. O per lo meno non lo era stato per la figlia della Salvatrice.
Quando si precipitava nel vuoto pensare risultava oggettivamente impossibile; quasi quanto respirare. Il cuore saliva via via lungo l’esofago; la mente si ritrovava completamente annebbiata dalle vertigini, del tutto in balia dalla paura e dall’impotenza. Nessuna diapositiva di un momento felice; nessun video autoprodotto dei momenti salienti della propria vita; al diavolo chiunque avesse fatto girare una simile diceria.
Al massimo, si arrivava a pensare -oddio mi sfracello al suolo –.
E, ovviamente, così sarebbe stato, se non vi fosse stata l’acqua a metri e metri di distanza.
Non che l’impatto col fiume fosse stato qualcosa di piacevole. Al contrario, il contatto con il liquido azzurro cielo fu così doloroso che, per un attimo, Eva ebbe la sensazione che le ossa si fossero realmente cartocciate su se stesse, rendendola più simile ad una medusa di quanto non avesse mai potuto essere. Il respiro, già precario e quasi assente, incassò l’ennesima battuta d’arresto, bloccandosi al centro del petto, quasi a metri di distanza dalla posizione scomoda raggiunta dal cuore.
Improvvisa ed inarrestabile, l’acqua si fece strada lungo le vie aeree raggiungendo ad una velocità inimmaginabile, come all’interno di un tunnel, i polmoni della ragazza. Aprire la bocca fu qualcosa di così involontario e stupido da farle crede di essere ormai vicina alla morte.
Con gli occhi serrati, la giovane Jones cominciò a muovere braccia e gambe, come se in vita sua nessuno si fosse realmente preso la briga di insegnarle a nuotare. Ma, come aveva detto, quando ci si ritrovava faccia a faccia con la morte, l’ultima cosa che il cervello riusciva a fare era proprio quella di ricordare; era come se un’improvvisa amnesia colpisse la mente, rendendo complicata sopra ogni dire qualsiasi nozione.
Dopo aver mosso, per un lasso di tempo imprecisato, gli arti in maniera confusa e quasi illogica, improvvisamente le mani bianche di Eva toccarono quello che doveva essere un manto erboso.
Erba. Terriccio.
La salvezza.
Spinta da una forza che, fino a quel momento era stata assopita dietro lo strato di liquido ingoiato alla caduta, Eva fuoriuscì dall’acqua, facendo riferimento unicamente sulle sue braccia non propriamente muscolose.
Non seppe dire con certezza quale fu la prima cosa che fece una volta uscita da quella tomba marina, se sputare l’acqua ingoiata o cercare di respirare l’aria pura della Foresta Incantata, o addirittura entrambe le cose contemporaneamente; seppe solo che, dopo essersi stesa sul dorso, riuscì solo ad aprire gli occhi e a fissare il cielo sopra di lei, ignorando volutamente le ciocche scure appiccicate al suo volto pallido.
Non ci vollero molti secondi prima che la sua mente attenta ricominciasse a prendere possesso del suo corpo, obbligando i suoi grandi occhi verdi, decisamente arrossati, ad ispezionare ogni centimetro di quell’immensa distesa d’acqua, di cui si era a malapena accorta durante il suo soggiorno presso la riserva.
Jake.
Che fine aveva fatto? Perché non era ancora risalito? Eppure, una lontana zona della sua mente le diceva di averlo visto cadere in acqua qualche secondo prima di lei, simile ad un proiettile lanciato da chissà dove. Se realmente era così….perché non era ancora risalito?
Possibile che…
Non riuscendo neanche mentalmente a prendere in considerazione una simile eventualità, Eva si alzò di scatto da terra serrando così forte la mascella da dare quasi l’impressione che le si potesse staccare da un momento all’altro.
“J-Jake…” chiamò debolmente la giovane, accorgendosi solo in quel momento di quanto la gola avesse iniziato a bruciarle.
“Jaaake!”
Poco importava; avrebbe pensato al dolore lancinante alla gola solo dopo aver visto il figlio di Regina sbucare da quelle maledette acque limpide, pronto, come sempre, ad inchiodarla col suo sguardo scuro.
Ma per quanto Eva urlasse con voce roca il nome del giovane Hood, niente e nessuno sembrò propenso a darle risposta. Al contrario, pareva quasi che la stessa foresta alle sue spalle avesse ritenuto necessario rimanere in silenzio, obbligando ciascun animale o pianta frusciante a zittirsi di fronte a quell’improvvisa tragedia.
“No…” sussurrò debolmente la giovane, inginocchiandosi sulla sponda su cui si era issata poco prima e infischiandosene altamente dell’improvviso bruciore degli occhi, i quali parevano vicini a lacrimare di quanto in realtà non fossero mai stati.
Non poteva essere morto, non per colpa sua, non per aver deciso di salvarla da Morgana.
Non poteva assistere, per l’ennesima volta, al sacrificio di qualcuno al posto suo. Perché tutti si ostinavano a proteggerla? Perché, per una buona volta, non lasciavano che fosse lei a sacrificare la sua vita per il bene di tutti?
“Jaaaake…”
Urlando a pieni polmoni il nome del ragazzo che, fino al giorno prima, l’aveva irritata sopra ogni dire, Eva si alzò in piedi, per nulla incline a rassegnarsi a quella che sembrava una morte ormai assodata.
Legandosi i capelli fradici in uno chignon scomposto, Eva si preparò a tuffarsi di nuovo in acqua, spinta da una speranza che, per quanto non volesse ammettere, faceva indissolubilmente parte di lei. Non se ne sarebbe inerme su quella sponda come una stupida ragazzina piagnucolante.
“Si può sapere che diavolo stai facendo?”
Una voce inconfondibile alle sua spalle, obbligò Eva a voltarsi, rimandando quello che pareva un tuffo in piena regola.
Jake era lì, davanti a lei. Braccia conserte; sopracciglio sollevato. I capelli, neri come l’ebano, gocciolavano dispettosi davanti a quel volto perfetto e, come sempre, eccessivamente sicuro di sé; evidentemente anche la sua fuoriuscita dall’acqua non doveva essere avvenuta a così lunga distanza rispetto alla sua.
Eppure, nonostante i vestiti fradici, nonostante il capello stranamente scomposto, quel ragazzo riusciva ancora ad incutere autorità da ogni poro. Forse era per via dello sguardo, scuro quasi quanto i capelli, o per la fisicità, messa maggiormente in risalto dai vestiti bagnati del tutto aderenti al copro, in particolar modo, la maglia bianca ora trasparente, la cui macchia di sangue continuava a spiccare sul resto dei colori; stava di fatto, che non assomigliava minimamente al pulcino spelacchiato che, in quel momento, Eva sicuramente richiamava alla mente.
Perché non possedeva anche lei almeno un quarto della sua classe? Perché, a confronto con lui, le sembrava sempre di essere appena uscita da un film di serie B? Probabilmente era tutto merito dei geni regali dell’ex Cattiva di Storybrooke, con la quale, in fatto di austerità, non si poteva di certo competere.
Spinta da una naturalezza che, difficilmente le apparteneva, Eva fece un passo nella direzione di Jake, sfoderando un sorriso così sincero che, per quanto possibile, la rendeva ancora più bella di quanto già non fosse.
Era vivo, era sano, era davanti a lei.
Ma la reazione del giovane di fronte a lei fu del tutto diversa.
Con la fronte corrugata, Jake fece un passo indietro, mettendo, d’istinto, un braccio in avanti, quasi a volersi assicurare che Eva non si avvicinasse a lui di un solo millimetro. Non voleva avere nessun tipo di contatto; evidentemente il giovane Hood, che fino a poco prima si era così premunito di proteggerla, aveva nuovamente lasciato spazio al vecchio leader dell’Alleanza, quello che la odiava sopra ogni dire.
Cos’era quella sensazione al cuore? Delusione?
Bè sì…e forse, per la prima volta, non si vergognava ad ammetterlo.
“P-pensavo fossi morto…” esclamò la giovane Jones con voce roca, sentendo fisicamente il sorriso svanirle dalle labbra.
“Non lo sono…” esclamò secco Jake, abbassando il braccio sollevato quasi in difesa e deviando volutamente lo sguardo da quegli occhi incredibilmente verdi.
Eva stette in silenzio. Cos’altro poteva dire? Che era felice che stesse bene? Che era stata disposta a lanciarsi in acqua pur di saperlo in salvo, nonostante le forze l’avessero abbandonata da un pezzo?
Evidentemente per lui non era lo stesso; anzi, si poteva dire che pareva quasi innervosito dalla sua presenza lì; togliendo pure il quasi.
Non seppe dire per quanto tempo rimasero lì in piedi, ognuno con lo sguardo puntato su un punto imprecisato di quella radura, ma, improvvisamente, Jake decise di interrompere quel silenzio assordante, sistemandosi in maniera distratta i capelli bagnati dietro la testa.
“Incamminiamoci… il Rifugio dei Sopravvissuti sarà a circa due giorni da qui!” esclamò serio il figlio di Robin, dando velocemente le spalle alla ragazza, senza accertarsi di venire realmente seguito.
Dal canto suo, Eva non era mai stata propriamente il tipo che esegue gli ordini senza battere ciglio ma, in quel momento, ancora sconvolta dalla piega presa dagli eventi, non trovò la forza di controbattere alla decisione presa dal ragazzo.
Ok, se doveva essere del tutto sincera, si sentiva delusa; non si aspettava di venire avvolta in un caldo abbraccio di gioia, certo, ma almeno una pacca sulla spalla non sarebbe stata di certo disdegnata.
Lui la odiava e questa non doveva essere una novità per lei….ma allora perché si sentiva così ferita dal suo atteggiamento?
Dopo aver percorso un tragitto piuttosto lungo, sotto il sole caldo del pomeriggio, Eva decise di fare qualche passo in direzione di Jake, accorciando quella sorta di lontananza strategica imposta dal figlio di Regina. Non ne poteva più di quel fastidioso silenzio monacale.
“Pensi che gli altri stiano bene?”
“Ti sembro un veggente?!” sbottò nervoso Jake, non degnando la ragazza di uno sguardo.
“No…per niente…” rispose Eva, la cui voce continuava ad apparire più gutturale del normale.
Chissà quando le corde vocali avrebbe iniziato a lavorare a dovere, senza farla apparire una vecchia centenaria prossima alla morte? Già quel ragazzo la odiava, se in più aveva la voce aspra e gutturale, la cosa poteva solo peggiore.
“…spero che Neal stia bene…” aggiunse in un sussurro, convinta di non essere sentita.
“Già…e io spero che anche i miei fratelli e i miei amici stiano bene. Ma non lo posso sapere perché sono bloccato qui, chissà dove…con te!”
Ruggendole addosso delle parole che, perfino lei, sapeva di non meritare, Jake interruppe quella sorta di scampagnata nei boschi, incenerendola con il suo sguardo così simile a quello di sua madre da riuscire a mettere i brividi su chiunque lo conoscesse.
Decisamente stizzita e per nulla intimorita da quel modo di fare arrogante e scontroso, Eva fece l’unica cosa in grado di calmarla in un momento come quello; l’unica cosa che, da quando era piccola, riusciva ad infonderle una forza che, alle volte, sapeva di magia.
Stringere il ciondolo di sua madre.
Non contava più sulle mani le volte in cui, stringendo quella sorta di talismano, aveva risparmiato qualche pugno o calcio ben assestato a chi l’aggrediva in quel modo. Era il suo contenitore di impulsività, o almeno così si divertiva a chiamarlo.
Ma, ciò che le dita erano così abituate ad incontrare, non trovarono nulla se non pelle e vestiti umidi.
Con lo sguardo sbarrato puntato sul ragazzo di fronte a lei, Eva poggiò l’intero palmo della mano sul suo petto, guidata dalla speranza di sentire la collana tra le sue dita. Di scatto, la giovane Jones portò l’altra mano dietro al collo, pregando con tutta se stessa di aver semplicemente dimenticato di raddrizzare la collana in seguito alla caduta.
Nulla.
Nessun ciondolo, nessuna catenina.
“Non…può…essere”
Sussurrando quelle semplici parole a fior di labbra, il cuore di Eva cessò improvvisamente di battere.
Aveva perso il ciondolo; l’unico collegamento, l’unico ricordo che la legava a sua madre, lo aveva perduto.
“Che ti prende adesso?” chiese sospettoso Jake, corrugando la fronte come faceva ogni qualvolta qualcosa non lo convincesse.
“Ho…ho perso la collana!” esclamò sconvolta la giovane, inginocchiandosi a terra, alla disperata ricerca di quel prezioso effetto personale, come se potesse realmente trovarsi nascosto a poco centimetri dai suoi piedi.
“C-che cosa?”
“Ho perso la mia collana…” ripeté Eva, non smettendo per un solo istante di cercare “…non posso perderla. Devo tornare indietro e ritrovarla…”
Detto ciò, la figlia della Salvatrice si alzò di scatto, tornando velocemente sui suoi passi.
Non poteva perdere il ciondolo di sua madre. Suo padre glielo aveva regalato solo dopo essersi ripreso, per quanto possibile, dalla morte del suo unico e Vero Amore; non poteva lasciare andare un simile ricordo, mai e poi mai.
Voglio che lo tenga tu. Ogni pirata ha il suo più grande tesoro!
No. No. No e poi no. Lo avrebbe ritrovato, a costo di guadare quel maledetto fiume per tutta la notte.
“Sei impazzita?!”
Ma la giovane Jones non aveva fatto i conti con il suo gentilissimo compagno di viaggio, il quale pareva aver preso troppo gusto nell’afferrarle il braccio, obbligandola a voltarsi verso di lui.
“Non mi pare!”
“Ah no…a me sì invece. Ti rendi conto che i soldati di Morgana ci staranno dando la caccia e che non abbiamo nemmeno il tempo si dormire se vogliamo avere almeno una possibilità di arrivare al Rifugio vivi?!”
“Lo so!” sbottò fredda Eva, guardandolo dritto negli occhi e liberandosi con uno strattone da quella presa fin troppo ferrea “…ma non posso perdere quella collana…è troppo importante!”
“U-una collana?....” balbettò Jake, visibilmente in difficoltà nel trattenere la rabbia “…mi sono buttato nel vuoto per salvarti e tu vuoi mandare tutto al diavolo per cercare la tua…collana?!”
“Nessuno ti ha chiesto di fare l’eroe mi sembra…o se invece qualcuno l’ha fatto, non sono di certo stata io a farlo!” esclamò Eva, a sua volta irritata da quel continuo sbraitarle contro, avvicinando il volto a quello del ragazzo, con chiara aria di sfida.
“Già…a parlare per te ci pensano sempre gli altri vero principessa?!” ribattè Jake, avvicinandosi a sua volta, riuscendo quasi ad inspirare il profumo delicato emesso dalla sua pelle umida.
Principessa. Principessa?
Aveva davvero osato chiamarla principessa nonostante tutto? Nonostante sapesse quanto quel vezzeggiativo l’avesse tormentata da quando era bambina?
“C-come mi hai chiamata?!”
Ignorando volutamente il volto adirato della giovane davanti a lui, Jake afferrò nuovamente il braccio sottile di Eva, strattonandola verso la direziono abbandonata poco prima.
“Che vuoi che me ne importi della tua stupida collana…ragazzina viziata che non sei altro!” esclamò furibondo Jake, obbligandola con la sua forza a seguire la sua direzione “…delle persone sono probabilmente morte e tu che fai? Pensi a te stessa….come sempre. Te ne infischi di chiunque ti stia attorno…tanto ci sono sempre gli altri a pensare a te giusto?...Bè sai che ti dico…ora la smetti di comportarti da stupida e cominci a fare quello che ti dico…chiaro?”
Principessa. L’aveva chiamata principessa; per quanto Jake si sforzasse di urlarle contro, quella parola continuava a rimbombarle in testa, sempre più forte, sempre più confusa, divenendo simile al tono di voce sinuoso usato da Morgana.
L’aveva chiamata principessa, solo per il gusto di ferirla.
Razza di cogl…
“Chiaro?!” tuonò il giovane, bloccandosi sul posto e voltandosi verso di lei, incendiandola con quelle iridi divenuti pozzi neri e infiniti.
Eva rimase in silenzio, la mascella quasi incrinata da quanto era serrata, gli occhi così freddi e adirati da riuscire a competere con lo sguardo scuro sui quali si riflettevano.
“Chiaro!”
Nonostante la rabbia dipinta sul suo volto, la giovane assentì all’ordine impartitole, apparendo quasi arrendevole di fronte a quel modo di fare così autoritario.
La cosa riuscì a spiazzare perfino Jake, il quale si ritrovò a soppesare quanta veridicità potesse esserci in quell’improvvisa arrendevolezza, decisamente poco tipica della figlia della Salvatrice e del più grande pirata mai esistito.
“Ora che hai imposto il tuo volere…puoi lasciarmi andare?!” chiese debolmente la giovane, lanciando una chiara occhiata alla mano stretta sul suo braccio.
Quasi attraversato da una scossa, Jake sciolse la presa da Eva, dando quasi l’impressione, per un secondo, di essersi pentito di quel suo modo di fare.
“Bene…andiamo!”
Con un tono di voce decisamente meno furente, Jake riprese quella sorta di spedizione, controllando di tanto in tanto che la giovane alle sue spalle lo stesse davvero seguendo.
Chi l’avrebbe mai detto, si era lasciata finalmente comandare; nonostante quegli occhi dicessero il contrario, Eva continuava a camminare silenziosa dietro di lui, probabilmente cercando il modo migliore per ucciderlo, puntando sulla sua sottile arte oscura.
Se non apparisse così stremata e in difficoltà perfino a mettere un piede di fronte all’altro, si sarebbe sicuramente preoccupato di quell’eventualità; ma, fortunatamente o meno, la Jones sembrava decisamente spossata dalla lotta avvenuta poco prima con Diletta, la sua affascinante ex-ragazza. Strano, ora, legato a lei, di affascinante ricordava ben poco.
E pensare che l’aveva persino baciata. E non solo….
Spazzando con foga quelle immagini dalla mente, il giovane Hood si concentrò su cose decisamente più importanti, come l’arrivare integri al Rifugio di Mulan. La parte battagliera dell’animo del ragazzo continuava a urlargli a gran voce che camminare nel cuore di una foresta, braccati da Morgana, senza una minima arma per difendersi, non era decisamente la cosa più intelligente da fare. Dovevano trovare qualcosa, al più presto.
“Dobbiamo procurarci un’arma…” tradusse a voce alta Jake, fermando la sua andatura e guardandosi attentamente attorno “…non possiamo lasciarci cogliere impreparati!”
“A me non servono armi!”
“Tu non userai la magia!” sbottò nuovamente Jake, avvicinandosi a due rami piuttosto robusti, probabilmente abbandonati da qualcuno passato di lì molto tempo prima “…per il momento useremo questi!”
Limitandosi ad alzare gli occhi al cielo, Eva accettò il tronco passatole dal giovane Hood, il quale non riuscì a trattenere un lieve sorriso malizioso di fronte a quell’improvvisa docilità.
“Vedi?...se fai quello che ti dico potrei addirittura sopportare la tua presenza!” esclamò ironico Jake, voltandosi nuovamente e non sforzandosi minimamente di trattenere un sogghigno piuttosto irritante.
Per quanto si sforzasse di celarlo, quella ragazzo riusciva a scaturire una parte repressa del suo animo. Riusciva a farlo sentire in pace e, allo stesso tempo, in totale balia di una tempesta di emozioni impossibili da controllare. Riusciva a smuovere una parte volutamente velata della sua anima, e che questa fosse una cosa positiva o meno doveva ancora capirlo.
Quell’affascinante sorriso dipinto sulle labbra delineato del giovane Mills, però, ebbe vita breve.
Non seppe dire con certezza se a spegnere quel sorriso fosse stato l’improvviso rumore emesso dal legno a contatto col suo cranio o, se addirittura, fosse stato l’intenso dolore alla testa, successivo ovviamente al rumore.
Chi avrebbe potuto dirlo.
Stette di fatto che, improvvisamente, colto alla sprovvista come forse non lo era mai stato in tutta la sua vita, Jake crollò a terra svenuto, con una botta in testa che, probabilmente avrebbe ricordato nei giorni a seguire.
“Peccato che io la tua presenza non la tolleri affatto…idiota!”
Con un ghigno soddisfatto a fior di labbra, Eva lanciò a terra il ramo passatole poco prima dal ragazzo steso a terra, per poi tornare velocemente sui suoi passi, alla ricerca del suo ciondolo.
 
***
 
Killian.
Killian. Dove sei?
La voce di Emma continuava ad echeggiare in quelle pareti rocciose simili ad un dedalo infinito, dal quale pareva impossibile trovare una via d’uscita.
Destra. Sinistra. Destra. Sinistra.
Le probabilità che stesse camminando alla cieca aumentavano ad ogni passo, stillando nel cuore del pirata una buona dose di nervosismo.
Cercando di mantenere il sangue freddo, come aveva dimostrato di saper fare durante le tempeste più disastrose abbattutesi sulla sua amatissima nave, il Capitano Jones camminò con passo spedito lungo i corridoi illuminati dalle deboli torce appese alla parete, ignorando il suono emesso dai suoi stivali neri a contatto con le pozzanghere fangose presenti sul suolo.
Nonostante camminasse da quella che sembrava un’eternità, la voce della sua Salvatrice non sembrava avvicinarsi affatto, al contrario pareva mantenere quel suo tono indistinto simile al canto lontano di una sirena, nascosta tra gli scogli.
Irraggiungibile e quasi irreale.
Le sirene. Strano che si ritrovasse a pensare a loro proprio in quel momento. Possibile che la donna incappucciata di poco prima, la stessa scomparsa improvvisamente senza lasciare alcuna traccia della sua presenza, avesse detto la verità? Che fosse realmente iniziato il subdolo piano di Morgana per farlo impazzire?
Killian…
Al diavolo, avrebbe rischiato volentieri la vita pur di rivedere Emma.
Al di là di ogni sua più fervida immaginazione, improvvisamente il giovane Jones si trovò dinanzi ad una porta in legno massiccio, simile al tronco scuro di una sequoia, privo di una maniglia, ma contornato da ornamenti in ottone, analoghi a quelli che aveva visto in numerose navi, durante i lunghi viaggi di razzio e saccheggio.
La voce di Emma era improvvisamente svanita, lasciando l’uomo vestito di pelle nera completamente immerso in un silenzio quasi tombale, rotto unicamente dal leggero crepitare delle fiamme emesse dalle torce, ai lati del portone.
Facendo un nervoso giro su se stesso, Killian si accorse di non avere alcuna via di fuga, completamente contornato dalle pareti rocciose che, fino a quel momento lo avevano affiancato. Era come se la grotta si fosse chiusa alle sue spalle, portandolo in un vicolo cieco, la cui via d’uscita consisteva unicamente nell’attraversare quell’immenso portone scuro.
Serrando la mascella, il capitano della Jolly Roger avanzò di qualche passo, tenendo il suo fedele uncino davanti a sé, unica arma in grado di difenderlo da chiunque sbucasse da quella porta.
Nonostante apparisse come un qualcosa di estremamente pesante e impossibile da spalancare, bastò un lieve tocco delle dita anellate del pirata per far sì che il passaggio si aprisse lentamente davanti ai suoi occhi, cigolando in un modo così sonoro da riecheggiare con prepotenza all’interno della grotta.
Ovviamente, nel corso dei suoi trecento anni, il giovane Jones aveva avuto varie occasioni per vivere avventure e storie sinistre, alle volte fatte di esseri così simili ai fantasmi da fargli accapponare la pelle, ma mai nessuna di queste gli aveva fatto correre un brivido lungo la schiena come quello che stava assaporando in quel momento.
Chissà come avrebbe reagito il fedele Spugna se si fosse trovato in una situazione simile.
Davanti a sé, non vi era nulla se non le tenebre più fitte, al di là delle quali avrebbero potuto attenderlo le cose più mostruose, le cose più imprevedibili.
“Emma…sei qui?!” chiamando la giovane Swan, con un tono di voce non troppo alto, Killian si immerse all’interno dell’oscurità, non pentendosi nemmeno per un momento della sua scelta.
Camminando alla cieca, il pirata cercò in tutti i modi di mantenere l’equilibrio, cercando, con la mano destra, un qualche contatto solido simile ad una parete.
“Emma!”
Nulla.
Il silenzio più fitto pareva essersi abbattuto su di lui, inglobandolo senza alcuna via di scampo. Se quella era l’idea di pazzia di Morgana, forse non aveva ben compreso con chi aveva a che fare. Lui non era di certo il tipo di persona che si lasciava spaventare dal buio e, pur di ritrovare Emma, avrebbe camminato finché le gambe glielo avessero concesso, alla faccia di quella psicopatica vestita di nero.
“Ahhhhh…”
Un urlo. L’urlo spaventato di un bambino. O di una bambina…
Con una strana consapevolezza in grado da avvinghiare il suo cuore in una stretta morsa senza via di scapo, il pirata più famoso di tutti i regni si ritrovò a correre lungo quella via immersa nell’oscurità, con l’unico e preciso intento di salvare la bambina, le cui urla non accennavano a diminuire.
Improvvisamente, una luce soffusa simile alla abatjour posta sul comodino della camera da Granny invase gli occhi blu mare del giovane Jones, il quale si ritrovò a proteggerli con la mano destra, continuando a puntare in avanti il suo amato uncino.
Un rumore di piedi scalzi a contatto col pavimento, catturò l’attenzione di Killian, il quale aprì lentamente lo sguardo, ritrovandosi davanti una scena che, mai e poi mai, avrebbe pensato di vedere con i suoi occhi.
“Shhh shhh….sono qui!”
La figura di un uomo dai capelli scuri, con addosso pantaloni morbidi neri e una maglietta bianca, simile a quella che indossava il capitano, da quando si trovava a Storybrooke prima di andare a coricarsi, se ne stava seduto sul bordo di un piccolo letto singolo, abbellito da stelle che, al buio, parevano brillare come le sorelle che svettavano alte nel cielo.
Era stato l’uomo ad accendere la lieve luce posta sul comodino ed ora, lo stesso uomo, accarezzava con amore una testa dai lunghi capelli castani, della stessa tonalità di chi gli stava accanto. La stessa tonalità del pirata in piedi davanti al letto, i cui occhi sbarrati lasciano ben poco spazio all’immaginazione di ciò che tempestava all’interno del suo cuore.
Sapeva chi era quella bambina e, ancor di più, sapeva a chi appartenevano quelle mani intente a coccolarla con fare amorevole. Mani stranamente intatte e, una delle quali, priva di un uncino a lui piuttosto familiare.
“Ho fatto un incubo…” esclamò la piccola con voce dolce, emergendo dalla coltre di coperte su cui si era rannicchiata.
“Ti va di raccontarmelo?” esclamò l’uomo, spostando le coperte e riuscendo così a stendersi accanto al corpicino spaventato della piccola al suo fianco, rendendo del tutto illuminato quel suo volto così inconfondibile.
Era lui.
Era indubbiamente lui.
Lo stesso uomo che aveva visto quella mattina riflesso allo specchio. Lo stesso che mai avrebbe pensato di poter avere una figlia, fino a quando questa non gli si era parata davanti, con lo stesso sguardo intenso della madre, la donna che lo aveva salvato da se stesso.
“C’erano degli alberi…” esclamò la piccola Eva di sì e no quattro anni “…e mi inseguivano con i loro rami lunghissimi”
“Alberi…brutta storia. E tu che facevi?” le chiese il genitore, nascondendo una smorfia divertita.
“Scappavo!”
“Bravissima…mai restare fermi!...e poi?”
“E poi…mentre scappavo, sono caduta da burrone…e non finiva mai!”
“Ecco spiegate le urla…” esclamò tra sé e sé il pirata, alzando gli occhi al cielo “….e dimmi Eva, questo incubo c’entra qualcosa col fatto che hai guardato di nuovo Harry Potter con tuo fratello…nonostante ti avessi detto di non farlo?!”
Arrossendo dall’imbarazzo, Eva si limitò ad accoccolarsi al fianco del papà, nascondendo il viso sotto lo strato di coperte su cui, fedelmente, si riparava tutte le volte.
“Lo prendo per un sì…” esclamò Killian, posando lo sguardo sulla sua copia esatta, in piedi di fronte a lui, senza dare il minimo segno di averla vista.
“Mi dispiace…” esclamò la voce ovattata della piccola, la quale emerse lievemente dalle coperte, lanciando uno sguardo così dolce da risultare impossibile da resistere “…puoi dormire qui con me?!”
“Eva…”
“Ti prego…solo per stanotte!”
“Non hai detto la stessa cosa ieri?...”
“L’ho detta alla mamma!” si difese la piccola, mettendosi a sedere e lasciando che le sue ciocche castane gli ricadessero sulle spalle, puntando i suoi grandi e intensi occhi verdi sul volto rassicurante del genitore.
“Ohhh…capisco!” esclamò divertito il pirata “….e va bene….ma solo per stanotte!”
Il Killian Jones con addosso la giacca di pelle e l’espressione più esterrefatta di tutta la stanza, rimase immobile di fronte a quella scena.
La piccola Eva, ora sorridente e non più così spaventata rispetto a poco prima, si accoccolò al fianco della sua copia in pigiama, il quale non riuscì affatto a nascondere lo sguardo che solo un padre perso per la propria figlia poteva possedere.
Un momento incredibile; un momento che Killian Jones sapeva bene di non aver ancora vissuto; ma allora perché la stava vedendo ora? Perché l’incantesimo di Morgana gli mostrava quella parte della sua vita?
“Qui si è destinati a rivivere la morte del proprio lieto fine…in eterno!”
La voce della donna incappucciata riemerse dalle profondità della sua mente, ricordandogli il motivo per il quale si era allontanato da lei.
Emma.
Dov’era? Perché aveva smesso di chiamarlo?
Trattenendo il fiato, quasi temendo di venire scoperto, Killian uscì da quella camera, ritrovandosi al centro di un piccolo disimpegno che portava ad altre camere della casa. L’intera abitazione sembrava sommersa tra le braccia di Morfeo, come del resto si immaginava dovesse accadere nella maggior parte delle case.
A cogliere la sua attenzione ci pensò una porta in particolare, posta di fronte a quella da cui era appena uscito il pirata, dalla cui fessura proveniva una debole luce, simile a quella del comodino di Eva.
Deglutendo a fatica, Killian fece qualche passo in direzione della stanza chiusa, aprendola con così tanta delicatezza da sentirsi quasi fuori luogo.
Lui era un pirata, non avrebbe dovuto sfondarla con un calcio o per lo meno sentirsi tranquillo e nel suo elemento di fronte ad un’intrusione in piena regola?
Bè, le cose cambiavano, per tutti.
Nell’esatto istante in cui oltrepassò la soglia della stanza, il giovane Jones si congelò sul posto, non riuscendo a staccare, nemmeno per un’istante, lo sguardo da ciò che i suoi occhi trovarono nel giro di pochi istanti.
Stesa su un letto matrimoniale, coperto da soffici coperte bianche come la neve, la sua Emma Swan se ne stava supina, con gli occhi chiusi e un respiro regolare che faceva alzare e abbassare la familiare catenina d’argento che portava al collo.
Dio quant’era bella.
Con quei suoi capelli color del grano ad incorniciarle il volto, Emma sembrava la perfetta rappresentazione di un angelo, un angelo con addosso il pigiama a pois più sexy che avesse mai visto.
Quasi spinto da una forza invisibile, Killian si avvicinò alle sponde del letto, cercando di non fare troppo rumore in quella stanza silenziosa; nulla pareva spezzare quel silenzio rassicurante, neppure un debole ticchettio di un orologio, al quale invece si era abituato all’interno della stanza affittata al diner.
Non seppe dire per quanto tempo rimase lì, in totale ammirazione di quel volto perfetto, di cui si era innamorato fin dal primo istante, dalla lama puntata alla sua gola, dalla scalata della pianta dei fagioli.
Chissà se avvertiva la sua presenza o se, anche Emma, non aveva la minima idea di chi si trovasse di fronte a lei, intento a fissarla.
“Pensavo non tornassi più!”
Quasi non accorgendosi degli occhi ancora chiusi e delle labbra distese in un sorriso sensuale, Killian si ritrovò tirato sul letto, steso nella stessa posizione di Emma, ma con quest’ultima ora sopra di lui, il cui sguardo verde smeraldo così acceso riusciva a toccare punti che nemmeno il pirata sapeva di possedere.
“I-io…”
Con il cuore in gola, Killian abbassò lo sguardo, accorgendosi solo in quel momento del modo in cui il corpo della sua Swan premeva contro la sua maglietta bianca.
Un momento, maglietta….bianca? ma lui non indossava giacca di pelle e jeans?!
“Ehi capitano Jones…tutto bene?!” gli chiese Emma, con una voce così sensuale da riuscire a risvegliare nuovamente quel brivido lungo la schiena, decisamente più piacevole rispetto a poco prima “…sembra che tu abbia perso la voce!”
Decisamente più a suo agio in sua presenza, di quanto non ricordasse, Emma si mise a sedere sopra al corpo di Killian e, con lo stesso sorriso sensuale che aveva sfoderato poco prima, si sfilò con un solo gesto la parte superiore del suo buffo pigiama, rimanendo con un reggiseno nero contornato da pizzo grigio che, di buffo, aveva ben poco, o niente.
Killian Jones rimase senza parole, con la gola così secca che neppure un bicchiere d’acqua fresca sarebbe riuscito ad aiutarlo.
Forse un bicchiere di rum…
“Hai perso la lingua capitano?....”
“Penso di essere in paradiso….” esclamò con voce rotta il pirata, riuscendo a fatica a far risalire lo sguardo in quegli occhi simili a calamite.
“Oh…non ancora!”
Eliminando qualsiasi distanza intercorresse tra di loro, Emma poggiò le sue labbra morbide su quelle di Killian, il quale si ritrovò a rispondere a quel bacio senza troppa fatica. Dopotutto, nonostante non sapesse in che razza di luogo si trovasse, quella era la sua Swan. Tutto era fedele alla donna che conosceva: la morbidezza dei capelli, simili a seta a contatto con le dita, il profumo dolce e sinuoso della sua pelle, la voce che gli accarezzava il cuore.
Era lei. Era la donna che amava.
Lentamente la sua mano destra si posò sul fianco nudo di Emma, salendo sempre più su, fino sfiorare il pizzo grigio intravisto poco prima. Quanto aveva desiderato poterla toccare in quel modo; quanto aveva desiderato perdersi tra le ciocche dei suoi lunghi capelli biondi, contornando con le dita ogni piccolo dettaglio posto sulla sua pelle perfetta.
Non dovette trascorrere molto tempo perché il dolce bacio tra i due divenisse qualcosa di più passionale e carnale, tanto che le labbra di entrambi, impegnate a scontrarsi e ritrovarsi, divennero gonfie e rosse, ricche di una passione impossibile da celare. Ma nessuno dei due sembrò darci troppa importanza.
Lasciandosi guidare da quel sentimento travolgente che, per così tanto tempo, il capitano della Jolly Roger aveva contenuto dentro di sé, questi si mise di scatto a sedere, trattenendo a sé il corpo leggero della sua Swan.
Dal canto suo, la Salvatrice aveva iniziato a sollevare la maglietta bianca di Killian, nel chiaro tentativo di volersene liberare. Accontentando la donna sopra di sé, il giovane Jones di lasciò sfilare la maglietta, entrando in pieno contatto con il corpo di lei.
E la sensazione fu….magica. Poter sentire il battito del suo cuore a diretto contatto con la sua pelle, poter avvertire il calore del suo corpo, senza doverlo immaginare ad occhi chiusi.
Se era davvero morto per mano di Morgana, quello era il miglior prototipo di paradiso che potesse desiderare.
Lentamente, Killian iniziò a baciare l’incavo del collo di Emma, appagato dal mugolio di piacere emesso dalla sua gola.
“Hai sentito?!” esclamò con voce roca Emma, continuando a tenere gli occhi chiusi, godendosi il contatto di quelle labbra su di sé.
“No…” sussurrò Killian, troppo impegnato a contornare ogni centimetro di quel suo lungo collo, morbido e delicato come solo quello del suo cigno poteva essere.
“c’è qualcuno di sotto….”
“Io non sento niente…” le rispose il pirata, tornando a concentrare tutta la sua attenzione su quelle labbra arrossate.
Non nascondendo affatto il dispiacere nell’interrompere quell’attimo di estrema intimità, Emma allontanò il suo volto da quello di Killian, ritrovandosi a sorridere di fronte a quei capelli scompigliati e a quegli occhi così blu e intensi da divenire quasi scuri a causa di quell’improvvisa passione.
“Se vai a dare un’occhiata…guadagnerai qualcosa…”
“Ah sì?!” le chiese Killian, lanciandole uno dei suoi consueti sorrisi provocatori.
“Sì….e sono sicura che ti piacerà!”
“Non prenderti gioco di me Swan…” esclamò il pirata, continuando a sorridere e forzandosi non poco per non abbassare lo sguardo.
“…è una minaccia?”
“Forse…” continuò l’uomo, divorando con gli occhi quelle labbra carnose su cui amava lasciarsi baciare per ore ed ore.
- È un sogno Jones….è solo un sogno – si ripeté tra se e se l’uomo, del tutto vinto da quello sguardo mozzafiato.
“Sbaglio o l’ultima minaccia dorme nella stanza di fronte?!”
“So minacciare piuttosto bene!”
Ma nonostante fosse consapevole che rimanere dentro quella stanza non fosse l’idea più geniale che gli fosse venuta negli ultimi tempi, Killian si accorse di non essere del tutto padrone delle sue azioni e della sua voce. Era come se si trovasse dentro il suo corpo ma, allo stesso tempo, non fosse così. C’erano cose da dire e gesti da fare che lui non poteva assolutamente modificare.
Quel momento era già avvenuto e quella che stava sperimentando era solo qualcosa di estremamente inspiegabile.
Senza mai staccare lo sguardo dal corpo sensuale della bionda stesa a letto, Killian scese dal letto, uscendo da quella stanza silenziosa, arricchita, solo poco prima, dai loro gemiti di piacere.
Non ricordava nemmeno quanto tempo fosse trascorso da quando aveva fatto il suo ingresso in quella stanza.
“Ti aspetto qui…” sussurrò Emma, lanciando uno sguardo chiaro di significato al giovane Jones, il quale varcò l’uscio della stanza, senza mai staccare lo sguardo da quella donna che gli aveva del tutto rubato il cuore.
Con la stessa velocità on cui si era ritrovato con addosso uno strano pigiama, Killian si ritrovò nello stesso disimpegno di poco prima, con addosso i suoi abiti più congeniali: giacca di pelle, camicia e jeans, neri come la notte, la stessa in cui era immersa quella casa.
Passandosi la mano sui capelli scuri, Killian lanciò uno sguardo alla porta alle sue spalle, la quale pareva essersi chiusa alle sue spalle, nonostante non fosse stato lui a farlo.
Cos’era successo?
Possibile che qualunque cosa stesse vivendo in quel momento facesse parte di un illusione?.
A distrarlo da quei pensieri, ci pensarono delle improvvise e deboli voci provenienti dal piano inferiore, le quali parevano intente in una discussione dai toni piuttosto accesi.
Una in particolare lo convinse a scendere al piano di sotto. Una voce piuttosto familiare.
La sua.
“Come sarebbe a dire che vuole nostra figlia!”
Non preoccupandosi minimamente di attutire il rumore emesso dai suoi stivali, il giovane Jones percorse le scale di quella casa poco prima silenziosa, ritrovandosi all’interno di una sala che, nonostante il mobilio e i tratti curati, gli riportò subito alla mente la notte in cui lo specchio di Regina aveva rivelato, a tutti i presenti, chi fosse la giovane dai capelli scuri arrivata in città.
Eva. Sua figlia.
Nel salotto illuminato dai deboli raggi di un sole autunnale, più piccolo rispetto a quello del sindaco di Storybrooke ma comunque accogliente, vi erano volti piuttosto familiari: Biancaneve, il Principe, Turchina, Trilli e la Regina Cattiva, il cui volto tradiva con estrema facilità l’umore di quel momento.
Perfino la sua stessa copia ed Emma, decisamente più vestita rispetto a come l’aveva vista poco prima al piano di sopra, riempivano quella stanza improvvisamente illuminata a giorno.
In quella sorta di incantesimo o illusione, il tempo pareva lasciarsi piegare dal volere di un potere esterno, passando dalla notte al giorno con la stessa facilità di un battito di ciglia. Anche le regole parevano subire modifiche a seconda del contesto; pochi istanti prima, il pirata aveva vissuto con anima e corpo quello che pareva essere un ricordo del suo futuro. Ed ora….
Ora, evidentemente, era ritornato ad essere invisibile a chiunque, compreso se stesso.
“Mi dispiace…ma…temo di non saperlo!” rispose la voce rattristata di Turchina, le cui spalle ricurve vennero avvolte dalla stretta confortante di Campanellino, il cui cappotto blu acceso riusciva a dare un tocco di colore a quell’atmosfera così lugubre.
La fata madrina, la cui piega perfetta non lasciava un solo ciuffo fuori posto nemmeno in quell’occasione, se ne stava seduta sul morbido divano color sabbia, come in attesa di una condanna che, in cuor suo, sapeva di meritare più di chiunque altro; più dell’ex Regina Cattiva, nel cui cuore ora vi era posto solo per l’amore della sua famiglia.
Improvvisamente, un vento forte e ingestibile fece sbattere una delle finestre lasciate aperte nella stanza, facendo sussultare quasi tutti i presenti. Lanciando uno sguardo alla moglie al suo fianco,  David si avvicinò al serramento, chiudendo la finestra e attardandosi solo qualche secondo a fissare un paesaggio che, in quel momento, pareva non avere nulla di confortante. Persino il sole, nonostante l’ora pomeridiana, sembrava preferire rimanere nascosto dietro quale leggera nuvola ingrigita dal tempo, come a volersi riparare da qualcosa che avrebbe portato solo sventura e dolore.
“Questa strega ti conosce, arriva da chissà dove…dice di volerci uccidere tutti se non gli consegniamo nostra figlia…e tu non sai niente?”
La voce astiosa del Killian del futuro, ruggì in tutta la stanza, facendo stringere ancor di più le labbra sottili della fata dai toni azzurri. Nessuno dei presenti, Regina inclusa, poteva ammettere di averla mai vista così amareggiata, così sconfortata e priva di speranza, come se ogni dolore e ogni lacrima di quei giorni fosse una sua diretta responsabilità.
“Killian…ti prego…”
Cercando di arginare una rabbia del tutto comprensibile, Emma sussurrò quelle deboli parole all’orecchio del marito, stringendogli il braccio sinistro, con la speranza di riuscire a trattenerlo.
Il Killian del passato, o quello che, contro ogni logica, riteneva di essere, corrugò la fronte, osservando con attenzione i volti delle persone presenti.
Tutti apparivano atterriti, sconfortati. Perfino Emma, la sua Emma, non riusciva a contenere la preoccupazione di ciò che, da lì a poco, li avrebbe raggiunti, senza lasciare alcuna via di scampo.
Morgana doveva aver già fatto la sua teatrale entrata ad effetto, riuscendo a far dilagare il panico in tutti i presenti, in particolar modo nel cuore di Turchina. Non era una sorpresa che quest’ultima conoscesse Morgana, dopotutto era stata proprio Trilli a dir loro che la Fata Oscura fu bandita da Turchina, tramite la sua bacchetta. Una volta uscito da quel labirinto, non  sarebbe di certo stata una cattiva idea chiedere qualche chiarimento alla fata madrina; già…se solo non fosse stata rinchiusa in un cappello decisamente non ignoto al pirata, doppiamente presente in quella stanza.
Se solo avesse trovato il modo per liberarla. Già…se solo.
Ma quello non era di certo il momento per piangersi addosso, soprattutto non all’interno di un incantesimo ad opera di Morgana che, nonostante le apparenze, gli avrebbe sicuramente fatto pentire di non aver approfittato di quel momento di tranquillità per ottenere il maggior numero di informazioni. E poi, se Turchina si trovava lì, in un momento decisamente futuro, significava che un modo per liberarla di quel cappello l’avrebbero trovato; ed Emma lo avrebbe perdonato.
Perché anche lei teneva a lui.
Lo sapeva.
Lo sentiva.
E tutte quelle visioni, che fossero reali o meno, confermavano solamente una cosa che dentro il suo cuore conosceva da tempo.
“Vuole Eva…ma per quale motivo?...è solo una bambina!” esclamò Biancaneve, in piedi accanto al marito, con le braccia incrociate davanti al petto, riuscendo a riscuotere Killian dai suoi pensieri.
“Nemmeno Henry aveva la magia, ma questo non ha impedito a Peter Pan di farlo catturare” sottolineò Regina, il cui cappotto rosso sembrava entrare in conflitto con quello di Trilli, dagli stessi toni pastello.
“Vi giuro che non so cosa spinga Morgana a volere Eva…” esclamò Turchina, pallida come, forse, non lo era mai stata in tutta la sua vita “…pensavo che l’esilio fosse riuscito ad imprigionarla…per sempre ma…”
“Ma le cose, evidentemente, non sono andate così!” continuò ferreo Killian, lanciando l’ennesima occhiata in direzione della fata.
Un silenzio di tomba scese nella stanza, interrotto esclusivamente dal battito cardiaco della Salvatrice e del Pirata.
Non c’era che dire, il suo carattere impulsivo non sarebbe migliorato negli anni; non avrebbe sviluppato quella calma confortante tipica di suo fratello Liam, né la comprensione e tolleranza di sua madre*; alla fine, per quanto riuscisse  a farparte dei buoni, lui sarebbe rimasto sempre un pirata, soprattutto se la sua famiglia si fosse trovata in pericolo.
Famiglia.
Possibile che avrebbe avuto la possibilità di costruire una famiglia?
Con Lei…
“So che per voi sarà quasi impossibile da credere ma…ma un tempo…Morgana era diversa. Era una fata buona…e gentile…” cercò di spiegare Turchina, posando lo sguardo sul volto tirato di Emma, la quale sembrava cominciare a capire cosa avesse provato sua madre durante la prima maledizione che, anni addietro, aveva colpito Storybrooke “…ma tutti temevano che vi fosse qualcosa di insolito in lei…in lei e in sua sorella, Nimue!”
“Oh sono due…di bene in meglio!”
“Perché avevano paura?!” chiese Biancaneve, ignorando il commento sarcastico di Regina.
“Per via della profezia…una profezia di cui al tempo, purtroppo, non conoscevo tutti gli aspetti!” spiegò Turchina, alzandosi dal divano per dirigersi, con passo lento, alla finestra poco prima chiusa dal Principe della Foresta Incantata “Quando divenni una fata…venni messa al corrente dell’esistenza di un’antica profezia, una profezia da cui sarebbe dipeso il futuro di ogni personaggio delle favole…di ogni Regno, conosciuto o meno!” continuò la fata, con lo sguardo perso verso un punto imprecisato al di là della vetrata limpida, voltandosi verso i presenti solo dopo un minuto di silenzio.
Nonostante non avesse avuto molte occasioni per parlare con lei, Killian non ricordava di aver mai visto la Fata in simili condizioni. Il volto, simile a quello di un elfo, appariva dilaniato dal senso di colpa, attraversato da colpe impossibili da celare; pensando a cosa sarebbero accaduto di lì a qualche anno, la cosa non poteva stupirlo poi molto. Evidentemente Trilli non era stata il primo errore di valutazione della Fata Madrina, il primo errore dettato da una decisione presa sulla base di ideali troppo rigidi, troppo legati all’orgoglio.
Prima di Trilli c’era stato qualcun altro; prima di Trilli c’era stata lei, Morgana.
Ma come aveva potuto, Turchina, considerare buona una donna come quella? Una donna dal cui volto emergeva unicamente la crudeltà più nera; una donna con due occhi simili a gemme inondate di un liquido giallo e infernale e dal volto tirato e pallido con un sorriso costantemente piegato in un ghigno di pura malvagità.
Morgana, una fata buona e gentile….sembrava una presa in giro.
- Già…eppure, prima di divenire il Signore oscuro, anche Tremotino era stato un uomo buono…o almeno così dicevano… - pensò tra sé e sé il pirata, nonostante in cuor suo continuasse a credere che nemmeno da bambino il coccodrillo doveva essere stato di animo così puro.
Rimanendo in ascolto delle parole di Turchina, Killian fece qualche passo in direzione di Emma, frapponendosi tra lei e il corpo della Fata, senza però impedirle di continuare a puntare il suo sguardo verde sul corpo minuto di Turchina.
Nonostante le si fosse parato davanti, lei non riusciva a vederlo; i suoi occhi lo attraversavano come una patina invisibile, troppo impegnati a lanciare, ad intervalli regolari, occhiate all’uomo al suo fianco, quello che, anche in quel momento, il giovane Killian faticava a credere essere la sua copia esatta.
Il volto della sua Swan, sempre fiero come quello di una vera regina, appariva segnato dalla stanchezza, come se non riuscisse a riposare da diversi giorni. Le occhiaie erano marcate, come del resto lo erano quelle sul suo stesso volto, invecchiato di pochi anni.
Dovevano essere degli attimi difficili; sapere che una pazza, venuta da chissà dove, voleva uccidere la loro figlia, Sua figlia, senza dare spazio a qualsiasi spiegazione.
Per di più, il capitano della Jolly Roger, con gli intensi occhi blu posati sul volto della donna che amava, non riusciva ad ignorare la fitta al cuore nell’assistere a qualcosa che, in qualsiasi modo fosse andata, avrebbe finito col fallire miseramente. Per quanto quella discussione si fosse protratta, per quanto Regina avesse lanciato frecciate a destra e a manca, manco fosse realmente la moglie di Robin Hood, loro avrebbero fallito. La sua Swan, il suo bellissimo e fiero cigno, per quanto avesse lottato per salvare tutti loro, avrebbe finito per cadere vittima di quella strega, come tutti loro e nulla avrebbe cambiato le cose.
Non in quel momento almeno.
Perché le cose sarebbero cambiate, di questo era certo. Non avrebbe mai e poi mai permesso alla Strega di vincere nuovamente contro di loro. Non avrebbe mai permesso che sua figlia, Emma…la sua famiglia cadesse vittima di Morgana. Lo poteva giurare sulla sua nave; lo poteva giurare sul nome dei Jones.
Quasi guidato da un istinto incontrollabile, Killian, alzò l’unica mano che, per ora, possedeva, avvicinando le dita al volto niveo della donna di fronte a lui.
Quanto avrebbe voluto sfiorarla; quanto avrebbe voluto entrare nuovamente in contatto con quella sua morbida pelle perfetta, come aveva fatto poco prima, in quel letto. Sentire il suo calore, il suo amore…
“Vorrei che fossi felice….” sussurrò debolmente il pirata.
“Cosa diceva la profezia?” chiese David, interrompendo l’avanzare delle dita del giovane Jones, il cui sguardo andò a posarsi nuovamente su quello di Turchina.
Senza guardare nessuno direttamente, la Fata recitò le parole della profezia, le quali vennero fedelmente incise nella mente di Uncino, con la speranza di riuscire a ripeterla ad Emma e agli altri, una volta uscito da quella sorta di labirinto.
Sempre se ci fosse realmente riuscito.
 
Sotto petali neri come l’ebano nasceranno
le due streghe più potenti della Foresta Incantata.
Due anime differenti possederanno.
Una pura e l’altra indistinta.
La purezza diverrà oscurità e l’indecisione cadrà vittima del suo potere.
Nulla fermerà la Fata Oscura.
Se non la Magia del frutto del Vero Amore…nata dal sacrificio di chi più l’ha amata.
Il Frutto, però, se privato della sua speranza, finirà per cedere all’oscurità della Fata
Portando con se solo dolore e tenebre
per l’eternità.”
 
Silenzio.
Tutti troppo impegnati ad incassare quelle parole, quasi a voler ricercarne un significato ben celato e inudibile al primo ascolto.
“Wow…potrei provare a leggerla a Jake prima di andare a dormire!”
“C’è poco da scherzare Regina….qui stiamo parlando del futuro di tutti noi!” esclamò risentita Trilli, rimasta seduta sul divano, a gambe incrociate.
“E credi che non lo sappia?!” la sfidò Regina, incrociando le braccia al petto, con fare autoritario “Forse, però, a suo tempo non sono stata io a dare il giusto peso a queste parole…non credi?”
“Cos’è andato storto?!” chiese Emma, interrompendo con una sola occhiata quella diatriba dai toni piuttosto accesi.
“Come vi ho detto…la profezia parlava dell’arrivo di due streghe…così potenti che avrebbero avuto la possibilità di cambiare il destino dell’intera Foresta Incantata. Ma purtroppo, le probabilità che fossero dedite al male era…molto alta!”
“E qui giunge la domanda del perché non le abbiate uccise!”
“Non potevamo farlo…” esclamò scandalizzata la fata, lanciando uno sguardo sbigottito in direzione della bella Mills, la quale però riuscì a meritarsi uno sguardo sostenitore da parte del Killian del passato “…erano due bambine e-e l’esistenza di una profezia non poteva darci la certezza di quali sarebbero state le loro scelte…”
“…così le avete protette!” azzardò David, sempre al fianco della moglie.
“Sì…o meglio, io le ho protette. Ero convinta che la malvagità sarebbe emersa fin da subito…e per mantenere al sicuro tutti noi,  credevo bastasse bloccare la magia di entrambe le sorelle…almeno fino al giorno in cui fosse chiaro chi sarebbe stata la sorella dedita al bene!” esclamò con voce rotta Turchina, asciugando una leggera lacrima, sfuggita al suo costante controllo “…ma ovviamente la scelta di allora…cadde sulla sorella più pura….ignorando che la profezia conosciuta dalle fate era stata manipolata con il preciso intento di portarci verso la strada dell’oscurità”
“Non conoscevate il vero contenuto della profezia?!” esclamò Emma, scura in volto.
“N-non del tutto!”
“E chi fu a…a modificarla?!” continuò Emma, stringendo la presa sul braccio del pirata.
“Il signore oscuro di allora……Zoso…”
“Zoso? E per quale motivo Zoso avrebbe dovuto modificare la profezia?”
“Perché Zoso era il Signore Oscuro…e il Signore Oscuro mente, inganna…e porta l’oscurità su ogni cosa…comprese noi fate…compresa me. Dopotutto, ero la prima a non voler vedere la verità…mi ero realmente affezionata a Morgana e, accecata dal mio orgoglio, avevo etichettato Nimue come la Fata Oscura, facendo di lei il bersaglio di tutte. Continuavo a giustificare la mia scelta ritenendola la meno adatta, la meno pura… Ma purtroppo…mi sbagliavo….”
“Perché in questo caso la purezza equivaleva…alla malvagità!”
“Esatto…” confermò la fata le parole del principe “…e così ho aiutato le tenebre a farsi strada nel cuore di Morgana…consegnandole la sua bacchetta e…la magia”
“Non potevi saperlo Turchina…” cercò di confortarla Trilli.
“Già…ma grazie a te ora quella pazza vuole mia figlia!” tuonò nuovamente Killian, così rosso in volto da dare l’impressione di voler possedere nuovamente quell’uncino che, per secoli, gli aveva tenuto compagnia durante le lotte più difficili; lo stesso di cui, in quel momento, la punta brillava sulla sua copia esatta, ancora sbigottita di fronte a quelle rivelazioni a dir poco agghiaccianti.
“Morgana ha detto di volere Eva…” esclamò Biancaneve, il cui tono, lasciava chiaramente intendere quanto faticasse nel tenere a bada la frustrazione di quel momento “...forse…forse sarà lei il frutto del vero amore che potrà ucciderla…e per questo vuole eliminarla finché è una bambina!” azzardò, posando lo sguardo su Regina.
“Ma non può essere…”
“Perché no?!” chiese la fata dai toni verdi, posando lo sguardo su Emma “…voi…voi vi amate davvero, dopo tutto quello che avete passato…non pensate ancora che il vostro sia Vero Amore?” chiese sbigottita, lanciando un’occhiata al bellissimo uomo al suo fianco.
“Certo che lo è…” confermò Emma, sentendo le braccia di quell’uomo cingerle le spalle, come se avesse già compreso cosa volesse dire la Salvatrice “…ma Eva…Eva non può aiutarci…”
“Perché?” continuò a chiedere Trilli, decisamente confusa
“Perchè nostra figlia non possiede la magia!”
“Ahahahahaha!”
Un’improvvisa e agghiacciante risata si sovrappose alla voce della giovane Swan, obbligando il Killian del passato a voltarsi di scatto, del tutto preso in contropiede da quell’interruzione.
Ciò che incontrarono i suoi profondi occhi blu, lo pietrificarono sul posto, lasciandolo letteralmente senza fiato.
Appoggiata al divano color sabbia, vicino al corpo immobile di Trilli, se ne stava la fata Oscura in persona, avvolta nello stesso abito nero in pizzo che aveva sfoggiato al suo primo arrivo a Storybrooke, lo stesso incontro che aveva finito col rivelarsi una mera illusione.
Con le braccia incrociate davanti al petto, come a voler fare il verso ad una Regina a sua volta pietrificata sul posto, Morgana faceva oscillare la sua bacchetta ricurva, non sforzandosi minimamente di trattenere quel suo ghigno maligno carico di soddisfazione.
Se, fino a quel momento, il pirata aveva faticato a credere alle parole dette dalla sconosciuta dal mantello verde, la presenza di Morgana in quella stanza ne era la conferma lampante: si trovava nel suo territorio, nel suo incantesimo.
“Allora Sua al…ehm….Pirata….ti piace il tuo futuro?!” esclamò divertita la Fata, fingendosi interessata all’aspetto delle sue unghie laccate di nero.
“Non male….noto con piacere che sei stata simpatica a tutti fin dall’inizio!”
Fingendo una sicurezza che, almeno in quel momento, non gli apparteneva, Killian posò lo sguardo su ciascuno dei presenti, notando la rigidità del loro sguardo, chiara vittima della magia di quella donna.
“Effettivamente nessuno mi ha mai capita…” corrugò la fronte Morgana, come se realmente quella cosa l’irritasse.
“Chissà…forse è dovuto al fatto che sei una pazza psicotica!”
Spalancato le labbra ben delineate con una certa teatralità, Morgana si staccò dal divano, facendo qualche passo in direzione del pirata, fermo, per sua volontà, al centro della stanza, a pochi centimetri dal corpo di Emma.
“…ma così mi ferisci Killian Jones. È questo il modo di ringraziarmi dopo il regalino di poco fa?!” esclamò corrucciata la mora, indicando con la bacchetta il piano superiore.
Innervosito all’idea che quel momento di estrema intimità con Emma fosse stato dettato dalla magia di quella strega, Killian serrò la mascella e la mano destra, sicuro di quanto poco avrebbe mantenuto i nervi saldi, nonostante le sue scarsissime possibilità di riuscita.
“Oh non preoccuparti….era tutto vero; o meglio…succederà realmente…solo che…ho fatto in modo che vivessi quel momento più…da vicino ecco! Godendomi il tuo bel fisico asciutto…” sottolineò sensuale Morgana, punzecchiando con la bacchetta la giacca di pelle del pirata, come a volerlo realmente stuzzicare “…dopotutto sei un bell’uomo Capitano…non vedo perché privarmi di un simile piacere!”
“Ah quindi è di questo che si tratta? Sei stata ferita da un mio rifiuto?...mi dispiace ma ho il cuore occupato!”
“Oh andiamo….non crederai che sia una piccola donna dal cuore spezzato?! Io posso avere chi voglio…quando voglio! Dopotutto…sono la strega più potente di tutta la Foresta Incanta…e ora lo sai….!” Aggiunse, lanciando una veloce occhiata in direzione di Turchina.
“E allora che vuoi da me?” ruggì l’uomo, corrugando la fronte, irritato da quella situazione senza via di scampo.
“…da te, niente. Da tua figlia invece….”
Spinto da un fuoco pieno di rabbia e frustrazione, Killian alzò il suo uncino, con il chiaro intento di conficcarlo nel petto di quella donna così spregevole da riuscire a competere con la Perfida Strega dell’Ovest. Ma, come avrebbe potuto immaginare se l’intelligenza non si fosse lasciata oscurare dall’impulsività, braccia e gambe sembrarono improvvisamente divenire pesanti come rocce, incontrollabili come lo erano state al suo arrivo all’interno di quella grotta.
Lì vigeva l’ordine di Morgana, non vi era più il minimo dubbio.
“È così che ti comporti in casa d’altri Uncino?!” chiese stizzita Morgana, il cui umore continuava ad apparire estremamente altalenante e instabile, come solo quello di un pazzo poteva essere.
“Sbaglio o questa è casa mia?!”
Una risata. Fredda, glaciale.
Una risata così malvagia da riuscire a incutere un certo timore perfino nell’animo del pirata, il quale non aveva mai e poi mai avvertito un simile potere oscuro, nemmeno al cospetto del Coccodrillo.
“Sei sempre stato divertente Uncino….ma vedi, tutto questo è solo un dono che ti sto facendo….” spiegò la donna, avvolgendo con un gesto della mano l’intera stanza “…ti sto dando la possibilità di capire come sono andate realmente le cose…prima che tu perda del tutto la ragione!”
“Come sono andate realmente le cose?” replicò l’uomo, fingendo di non aver udito la parte riguardante la sua sanità mentale “…io so benissimo come sono andate le cose Morgana…e quello che ho sentito finora mi ha solo confermato ogni parola!”
“Mmmmm...però….però…però…”
Ripetendo come una cantilena quelle semplici parole, del tutto prive di un reale significato, Morgana cominciò a camminare lungo la stanza, sfiorando con le sue lunga dita sottili le spalle di tutti i presenti, i quali parevano essere divenuti statue di cera alla completa mercé di quella donna priva di umanità.
- Morgana era diversa. Era una fata buona…e gentile…-
Come aveva potuto Turchina credere una cosa simile?
“….e se ti mostrassi qualcos’altro?...” esclamò Morgana, con un luccichio negli occhi che non lasciava presagire nulla di buono “…anzi no no no….e se ti proponessi…un gioco?”
“Un gioco?...no grazie!”
“Ohhhh ti prego….è un gioco divertente. Ti darò la possibilità di uscire da qui se accetti….”
“Uscirò comunque da qui....so tutto sulla storia del lieto fine….Emma riuscirà a trovarmi e mi porterà fuori da questo….posto. Spiacente!”
“Quella lucertola verde…le dovrei tagliare la lingua in questo suo lungo soggiorno!” sussurrò tra sé e sè Morgana, con fare corrucciato, nonostante la notizia non sembrasse averla sconvolta poi molto “…ad ogni modo, Emma Swan potrebbe aiutarti certo…ma potrebbe metterci un po’…e tu, nel frattempo, potresti avere la possibilità di conoscere un aspetto importante del vostro futuro!”
“Che tu gentilmente vorresti mostrarmi vero?!”
“Esatto!” confermò la donna, sorridendo in maniera troppo estesa.
“Mi credi davvero così stupido?”
“Sì…se non accetti!” esclamò Morgana, alzando la mano con cui impugnava la sua bacchetta “….guarda dietro di te….”
Privato del controllo del suo corpo, Killian ruotò su se stesso, ritrovandosi a posare lo sguardo su due insolite porte nere, comparse improvvisamente al centro del salotto.
“….vedi queste due porte pirata?!…la porta di destra ti farà tornare alla grotta da cui sei arrivato, in attesa che Emma trovi il tuo corpo infreddolito nel cuore della foresta…e ti faccia uscire da qui!” sussurrò Morgana, con tono quasi esaltato “…la porta di sinistra, invece, ti porterà dritto verso la fine del tuo lieto fine! Molto più esaltante non credi?”
“ E perché mai dovrei scegliere questa porta, razza di pazza isterica che non sei altro?!”
“Bè…perché la porta di sinistra ti permetterà di conoscere una parte fondamentale del tuo futuro!” rispose Morgana, per nulla offesa da quell’epiteto così irrispettoso e privo di tatto “Ti farà capire come ciò che conosci non sfiori minimamente la realtà…e che gran parte della vostra infelicità non dipende da me…non del tutto almeno!” continuò la Fata Oscura, girando attorno al corpo sicuro dell’uomo in giacca di pelle, finendo per fermarsi davanti al suo sguardo blu mare.
“Ti offro la possibilità di uscire da qui con qualche informazione in più pirata…”
“E perché dovresti farmi questo regalo?” chiese Killian, con sguardo cupo, non trattenendo minimamente l’astio nella voce.
“Oh….non lo vedrei propriamente un regalo. Dopotutto, le possibilità che tu esca con la mente intatta da qui dentro sono piuttosto remote…quindi…sarà divertente vederti diverso una volta uscito da qui!”
“Quindi vorresti dirmi che ho la possibilità di conoscere una parte del mio futuro…ma potrei non essere in grado di rivelarla?....allettante non c’è che dire!...E dimmi, questa informazione ci aiuterà ad ucciderti una volta per tutte?!” chiese freddo.
“Nulla può uccidermi Capitano…siete solo dei condannati a morte che continuano ad arrancare per sopravvivere!”
Gelato da quell’improvviso tono astioso, il giovane Jones si ritrovò a fissare nuovamente le due porte.
A destra avrebbe atteso l’arrivo di Emma, anche se a stento credeva che la strega davanti a lui lo avrebbe davvero lasciato in pace.
A sinistra, avrebbe visto la morte della sua Swan, non potendo fare nulla per impedirla; ma, in compenso, avrebbe ottenuto scoprire qualcosa che, a detta di Morgana, lo avrebbe interessato. In entrambi i casi vi era una trappola, lo sapeva.
Stringendo a pugno la mano destra, Killian lanciò uno sguardo di fuoco alla donna dai lunghi e insidiosi capelli neri, afferrando, con fare provocatorio la maniglia della porta di destra.
“Scelgo la sala d’attesa…se non ti dispiace!”
E con il suo migliore sorriso sfrontato, Killian Jones richiuse la porta alle sue spalle, senza degnare di un solo altro sguardo la donna dietro di lui.
“Immagino tu lo abbia spedito dritto dritto verso la pazzia…giusto?!” esclamò una voce femminile alle spalle della strega, la quale non si scompose minimamente nell’udire quella domanda a dir poco graffiante.
“Oh non temere…arriverà anche il tuo turno, Zelena!”
Pronunciando l’ultima parole con una certa enfasi, Morgana smise di dare le spalle alla donna dietro di lei, la quale aveva smesso di celarsi dietro al cappuccio dai toni smeraldo, lasciando libere le sue splendide ciocche ramate.
“Non esserne così sicura…i figli, il più delle volte, superano i genitori” esclamò sicura la rossa, facendo tintinnare le catene spesse che le impedivano la fuga da quel teatrino di illusioni e oscurità, i quali avevano smesso di assumere le sembianze di un caldo salotto autunnale “…ma questo tu non puoi saperlo, vero? Niente genitori per la pazza Fata Morgana. Niente figli!”
“Passa pure il tempo che ti resta come meglio credi Zelena…io, nel frattempo, mi divertirò a vedervi cadere uno ad uno…te compresa!”
 
 
 
 
È tardi, è tardi…e tardiiiiiii!!!!
Con questi aggiornamenti sempre meno puntuali mi sembra di essere diventata il Coniglio Bianco di “Alice in Wonderland”.
Mi scuso dell’enorme ritardo di questo capitolo, ma davvero gli impegni quotidiani ultimamente mi stanno rubando il tempo da sotto il naso; vi dico solo che il capitolo era pronto da un paio di giorni…ma non ho mai avuto il tempo di collegarmi per postare (snervante è dire poco).
Vi ringrazio di cuore per continuare a seguire questa storia, nonostante gli ultimi aggiornamenti siano arrivati un po’ in ritardo; sappiate solo che non sarà sempre così, sto solo avendo un periodo piuttosto impegnato (so che mi capite!!!). Ok…so di non essere mai stata Miss Puntualità,…ma prima pubblicavo due capitoli al mese….e vi prometto che ritornerò come prima, se sopravvivo allo stress :P
Ad ogni modo, il ritardo è dovuto anche al fatto che io e Kerri (la mia socia in affari :P) abbiamo ricominciato a scrivere la nostra ff in comune che oggi o domani verrà aggiornata a sua volta. Ottobre, il mese degli aggiornamenti!!!!!
Ok, tornando a noi….spero vi sia piaciuto il momento CaptainSwan, che ovviamente non è finito qui; ho sempre desiderato un momento di passione tra questi due (e so di non essere l’unica :P) e, nonostante non sia ancora molto brava in queste descrizioni, spero che questo piccolo pezzo vi sia piaciuto. Come ho detto i momenti tra loro non sono di certo finiti; il nostro Capitano si trova ancora intrappolato da Morgana…e nel prossimo capitolo, purtroppo, verrà descritta una parte piuttosto triste della storia dei nostri bellissimi CS (non temete, però, come vi ho già detto sono una fan del Lieto Fine :P).
Spero di non essere stata troppo confusiva nelle descrizioni e di aver mantenuto fede a quanto detto nei capitoli precedenti (come sicuramente vi avrò già detto un miliardo di volte, ogni volta mi ritrovo a rileggerli per essere sicura di non fare figuracce…ma…non si sa mai!!!!). Sono felice che vi sia piaciuto l’inserimento di Zelena (come molti di voi, adoro questa donna!!!!) e, ancor di più, che abbiate apprezzato il rapporto tra Eva e Jake (anch’io li shippo…non so che farci!)….in questo capitolo non ho avuto modo di descriverli come volevo (sono stata inglobata da Killian….sarà merito della 5x01 ♥)…ma nel prossimo capitolo recupero promesso; anche perché presumo che Jake si troverà con un bel mal di testa.
Per precisare una cosa che, forse, non è chiarissima (mea culpa…scusate) il momento in cui si trova ora Eva si allaccia al momento in cui lei incontrerà Tremotino (CAP 15)…perciò, per chi avesse voglia, può andare a rileggere quel pezzettino….potrebbe tornare utile nel prossimo capitolo.
Ok…che dire…grazie di cuore a chi trova sempre il tempo di commentare, regalandomi puri attimi di gioia…senza di voi non riuscirei davvero a scrivere manco una parola. Siete la più bella ispirazione che si possa desiderare.
Quindi grazie alle nove persone che hanno recensito...non so davvero dirvi quanto mi rendiate felice: Angels4ever, pandina, Sere2897, Kerri, yurohookemma, Julia_Greenshade, k_Gio_, ornylumi, Ibetta…GRAZIE!!!! Prossima volta se riuscirò ad essere puntuale sarà solo merito vostro!!!!!
Ovviamente ringrazio di cuore anche chi legge e chi inserisce la storia nelle varie categorie….grazie davvero :)
Un grossissimo abbraccio
La vostra Erin
 
 
 
PS: la 5x01….non so voi, ma io sono ancora sotto shock!!! ♥
 
*Non avendo informazioni riguardo alla mamma di Killian (ma spero vivamente che A&E ci regalino qualche succulenta puntata in merito) ho immaginato una caratteristica di sua madre.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Eva rimase in silenzio per un lasso di tempo imprecisato, in attesa che qualcosa cambiasse, che qualcosa smettesse di essere così maledettamente statico e ordinato.
Il sole pomeridiano era ormai prossimo al termine del suo turno di lavoro, in quella giornata che, anche per lui, doveva sembrare lunga ed interminabile.
Un leggera brezza, proveniente dal mare a pochi chilometri da dove si trovava la Jones, scompigliava le ciocche di quei morbidi capelli scuri, i quali parevano voler rimanere aggrappati ad una sorta di chignon ormai scomposto. La giovane, seduta ai piedi di un vecchio albero segnato dal tempo, faticava a ricordare qualsiasi cosa, qualsiasi momento; persino gli ultimi avvenimenti di quell’insolita giornata.
Era come se la sua mente, del tutto annebbiata, si fosse bloccata al breve momento di pace vissuto qualche ora prima alla radura, in compagnia di quei ragazzi che, da bambina, avevano vissuto insieme a lei alla tanto rimpianta Storybrooke. Aveva ballato quel pomeriggio, aveva riso; si era divertita e lasciata andare come mai aveva fatto in tutta la sua vita. Eppure eccola lì, da sola; i capelli ancora inumiditi dal tuffo quasi suicida a cui l’aveva spinta Jake, per metterla in salvo da un mostro mandato da Morgana con il chiaro e unico intento di ucciderla; il cuore arrestato dalle parole appena pronunciate.
Già…ecco cos’era successo quel giorno; dopotutto, la mente non aveva fatto così poi tanta fatica a riordinare gli eventi traumatici intercorsi.
Perché, dopotutto, non era stata la fuga da Diletta l’evento più traumatico di quelle ore; neppure i modi bruschi di Jake o la visione di Neal in fin di vita davanti ai suoi occhi.
No. Ciò che continuava a mozzarle il respiro e ad infonderle l’agghiacciante sensazione di aver compiuto il più grande e terribile errore della sua vita era ciò che aveva appena fatto. Ciò che, fin da bambina, suo padre la implorava di non fare con nessuno, uomo o stregone che fosse.
Aveva stretto un patto.
E non un patto qualunque. Non un patto con chiunque.
No. Aveva stretto un patto con l’uomo che, per secoli, aveva rappresentato la nemesi della sua famiglia, di suo padre in particolare.
Ed ora eccoli lì, con tra le mani una pozione che avrebbe resettato per sempre la sua esistenza.
 
Abbiamo un accordo?
 
Il solo pensiero di quelle gelide parole sussurrate tra i denti, riusciva ancora a congelarle il sangue all’interno delle vene, donandole un’agghiacciante sensazione di amarezza.
Che cosa aveva fatto? Come le era saltato in mente di stringere un patto con l’Oscuro?
Passato o presente che fosse non aveva alcuna importanza. Aveva tradito la fiducia di suo padre e quel vetro freddo tra le sue dita ne era l’ennesima conferma.
Come aveva potuto accettare? Perché aveva accettato?
Perché sei un’anima disperata…
Già, lo era.
Lo erano tutti, da anni. In seguito all’arrivo di Morgana le cose erano cambiate in maniera inesorabile. Ad ogni alba, ad ogni tramonto, sempre più persone abbandonavano la speranza di essere di nuovo felici, divenendo delle vittime o, ancora peggio, degli schiavi tra le grinfie di una strega.
Dalla morte di sua madre, avvenuta per mano di quel mostro dai capelli simili a serpenti in movimento, nessuno aveva più visto un lieto fine realizzarsi, un amore vincere sull’oscurità, una luce brillare nel buio. Quest’ultimo, al contrario, faceva da padrone su tutto e tutti, cancellando ogni segnale di vita, di gioia.
Nessuno poteva contare sulla propria famiglia. Nessuno poteva desiderare di diventare di più di un fuggiasco o di un sopravvissuto. Come lei, del resto.
Dopotutto, che cosa faceva da dieci anni, se non scappare da Morgana?
Suo padre le aveva spiegato ogni cosa, ogni trucco per non attirare l’attenzione. Suo padre aveva visto morire il suo lieto fine davanti ai suoi occhi, eppure era ancora lì, pronto a lottare fino alla fine pur di proteggerla, pur di tenere in salvo la figlia del suo unico e Vero Amore. Avrebbe fatto qualunque cosa per loro, i suoi figli; e il fatto che ora non fosse lì con lei per trovare Henry insieme a Regina confermava ogni singola parola.
Killian Jones…ti farai uccidere per amore della tua famiglia.
Chi aveva detto quelle parole? Regina? Suo nonno? Trilli?
Non ricordava, e forse non era un male.
Dopotutto non ricordare salvaguardava la sanità mentale. Dopotutto, se fosse riuscita a dimenticare almeno la metà di quella giornata, ora starebbe molto meglio, priva di quello sguardo triste e amareggiato dipinto su quel volto niveo e segnato dalla battaglia.
Solo qualche ora prima, il suo principale pensiero era quello di cercare la collana di sua madre, sbraitando tutte le maledizioni possibili addosso a Jake Mills che l’aveva trattata con un astio ed un odio incomprensibili. Ed ora, invece, era logorata dal senso di colpa e dal rimorso di aver scelto troppo in fretta.
Le cose cambiavano velocemente. Lo sapeva; lo aveva sempre saputo.
Invasa da un’ansia incontrollabile, Eva chiuse gli occhi, cercando di inspirare un po' di quell’aria fresca e pura così simile al profumo da pirata coeso con la personalità di suo padre.
Non poteva crollare, non ora, non quando l’unica possibilità di riuscita si trovava tra le sue mani. Per la prima volta, la speranza di poter vincere e di scrivere la parola fine di quell’incubo interminabile era qualcosa di tangibile, immaginabile.
Appoggiando il capo al tronco ruvido alle sue spalle, Eva cercò di portare chiarezza nella sua mente, rievocando quanto dettole da Tremotino qualche minuto prima.
In fondo, per quanto fosse stata orribile e agghiacciante la sua scelta, ora aveva finalmente uno scopo, qualcosa che la portava a sperare in un cambiamento e non alla mera sopravvivenza come, al contrario, succedeva negli ultimi anni. Ora poteva essere la perfetta erede della Salvatrice. Ora avrebbe potuto cercare di fare quello che avrebbe fatto sua madre: trovare un modo di salvare le persone che amava.
Ma da dove iniziare? L’Oscuro le aveva riferito come aprire una sorta di portale con l’aiuto di Regina.
Ma il problema era proprio quello: dov’era Regina? Di sicuro non in quel preciso punto della Foresta Incantata visto che, l’ultima volta, parlava di imbarcarsi sulla Jolly Roger insieme a suo padre.
Bene.
E, comunque, prima di parlare con Regina e sperare in una sua comprensione, lontana dalla presenza di suo padre, aveva ben altro da fare. Come trovare i principali tre ingredienti per riuscire a viaggiare nel tempo.
Tremotino aveva parlato di tre cose, a dir poco impossibili da trovare, a cominciare dalla prima: una lacrima della persona più simile e più odiata di chi scaglia l’incantesimo; e chi poteva essere? All’inizio, il primo nome comparso nella sua mente era stato quello della Fata Oscura, sicuramente l’essere più odiato negli ultimi dieci anni; ma come poteva anche lontanamente considerare Regina simile a Morgana?
Allora un altro nome si era subito fatto strada tra i mille ricordi della giovane; un nome che, in quanto a reperibilità era decisamente meno alla portata rispetto a Morgana.
Dopotutto, da quanto non si avevano notizie della Perfida Strega dell’Ovest? Tanti, molti…troppi.
Molti ritenevano fosse morta durante uno scontro con la Fata Oscura, quando il figlio era ancora piccolo; altri ritenevano si tenesse volutamente a distanza da quest’ultimo, probabilmente dietro minaccia di Regina. Ma, qualsiasi fosse la realtà, il risultato non cambiava di una virgola: Zelena era introvabile.
Perciò, o la lacrima in questione era di qualcun altro, o già il primo ingrediente era impossibile da recuperare.
- Ottimo….- pensò tra sé e sé la giovane Jones, rimanendo con la testa posata sul ruvido tronco antico, confortata dal sussurro emesso dagli uccelli, nascosti dietro le fronde degli alberi.
Per non parlare, del resto, del secondo ingrediente: una delle sette perle della Regina Bianca.
Bè…tutti sapevano dove si trovasse la regina in questione; nel Paese delle Meraviglie, a circa dieci chilometri dopo la Foresta di Tulgey in un castello infestato dai fantasmi in cui era impossibile entrare, se non dietro invito della regina prigioniera.
E anche il secondo ingrediente era di semplice reperimento.
Per concludere in bellezza, il terzo ingrediente: l’Atto di fede di chi non crede.
L’atto di fede di chi? Chi era a non credere più degli altri e cosa intendeva il Signore Oscuro per Atto di Fede?
Un gioco da ragazzi, non c’era che dire.
E per fortuna Tremotino le aveva detto che non era nulla di complicato; che una volta iniziata la ricerca tutto sarebbe andato in discesa. Pensare che, per un attimo, lei ci aveva pure creduto.
Da dove avrebbe dovuto iniziare? Dalla ricerca di Zelena? Dalla Regina Bianca? Da dove?
Quella domanda, però, non trovò alcuna ipotesi e, tanto meno una risposta. Ma non per la mancanza di idee, o per la paura di sbagliare e non arrivare da nessuna parte.
Ci pensò qualcos’altro, o meglio, qualcun altro a spostare l’attenzione della giovane Jones verso una questione decisamente di più impegnativa.
L’improvviso rumore di un ramoscello spezzato, fece scattare le sue intense iridi verdi verso un punto indefinito della foresta che l’avvolgeva.
Non appena il debole ramoscello venne spezzato in due metà, un piccolo stormo di uccelli fuggì dall’albero su cui aveva trovato riparo, dando ancora più adito alla sensazione di Eva di non essere sola in quella piccola radura dimenticata.
Sentendo la muscolatura divenire improvvisamente rigida e nervosa, Eva assottigliò lo sguardo, staccando lievemente la schiena dal tronco alle sue spalle.
D’istinto, la castana spostò delicatamente la mano sul manto erboso sotto di lei, alla ricerca di un’arma con cui difendersi. Purtroppo, però, l’ultimo oggetto utile alla difesa che aveva impugnato l’ultima volta era stato il tronco con cui aveva stordito Jake qualche ora prima, mettendosi decisamente nei guai.
Jake….possibile che fosse lui? Forse aveva seguito le sue tracce e ora era venuto a fargliela pagare.
Chissà perché, la sola idea che si trattasse dell’ultimogenito di Robin Hood aveva spalancato le porte ad un’orda di farfalle, le quali non persero tempo a depositarsi sul suo stomaco vuoto.
-Jake. Jake. Jake….ti prego, fa che sia Jake…-
Al massimo le avrebbe sbraitato dietro quanto la odiava o l’avrebbe sbattuta addosso ad un albero per mettere in chiaro chi comandava tra loro due.
E qui, ovviamente, le farfalle avevano iniziato una danza propiziatoria dai contorni ridicoli.
Ma quello non era decisamente il giorno migliore per esprimere desideri di alcun tipo.
Quel giorno tutto andava storto, e chi le si parò davanti non fu affatto qualcuno di gradito.
 
***
 
Nell’esatto istante in cui il corpo di Capitano Uncino ebbe varcato la soglia della porta posta alla sua destra, ciò che si trovò davanti fu una visione del tutto differente dalla grotta iniziale, in cui si era ritrovato una volta sceso in quella sorta di incubo ad occhi aperti.
Già, perché quella non era la grotta, affatto.
Quel porto, la panchina su cui, molte volte, aveva trovato rifugio insieme ad Emma, le barche messe in rimessa in attesa di essere utilizzate dai pescatori e proprietari del posto; quella era Storybrooke, una Storybrooke a cui non avrebbe mai e poi mai pensato di assistere. Come, del resto, nel momento in cui era sbarcato in quell’insolita cittadina insieme a Cora, non avrebbe mai creduto di potersene affezionare così intensamente da sentire chiaramente il cuore incrinarsi di fronte a quella visione straziante.
Dopotutto, sebbene lo negasse più e più volte, lui era un tipo sentimentale e l’immagine di esseri incorporei seguiti dalle stesse belve glabre incontrate all’arrivo di Morgana, intenti a distruggere qualsiasi cosa incontrassero, era qualcosa che faceva male allo spirito.
Non vi era più alcuna panchina intatta, più alcun marciapiede su cui camminare a braccetto insieme ad Emma.
Niente più luce; solo ombre, urla di dolore, paura.
Il fuoco, come in quell’illusione creata dalla strega al suo arrivo in città, divorava gran parte della città, mostrandosi del tutto invulnerabile di fronte ai secchi d’acqua lanciati dai due nani, Brontolo e Pisolo, intenti a dare alle povere vittime del posto la possibilità di fuggire. E gli altri nani? Che fine avevano fatto?
Corrugando la fronte e stringendo con forza la sua mano anellata, Killian Jones si inoltrò in quell’orribile luogo, guardandosi attentamente attorno, alla ricerca di qualcosa che riuscisse a chiarirgli maggiormente la situazione.
Anche se, lo sapeva bene, vi era gran poco da chiarire. Quella maledetta non aveva rispettato il patto e, sebbene lui avesse scelto di aspettare Emma insieme alla sconosciuta, il cui soprannome “lucertola verde” non gli era decisamente passato inosservato, lo aveva spedito nel futuro, o meglio, in una rappresentazione del futuro, dove avrebbe visto qualcosa.
Dove avrebbe visto la morte di Emma.
Non riuscendo a reagire in maniera insensibile di fronte a quell’evenienza, Killian si fermò sul posto, serrando con forza la mascella, circondato dai lievi sussurri emessi da quegli spiriti incorporei.
Doveva fare qualcosa. Non poteva limitarsi a guardare ila sua Swan morirgli davanti agli occhi. E se qualcuno si fosse presentato a ricordargli che tutto quello era già capitato, avrebbe saputo come rispondergli a tono; lui veniva dal passato, lui era già un cambiamento e, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto, avrebbe salvato Emma Swan. Era una promessa.
Un urlo agghiacciante obbligò il pirata a voltarsi dietro di sé, vedendo una bambina di sì e no dieci anni fuggire a perdifiato da un fantasma dalle sagome buie come la notte.
Senza preoccuparsi di venire visto o meno, Killian si lanciò all’inseguimento della piccola dai corti capelli biondi, la quale continuava ad urlare esaurendo inesorabilmente qualsiasi scorta di energia le rimanesse.
La bambina, i cui intensi occhi color del cielo ricordavano quelli di una principessa dai capelli della sua stessa tonalità color del grano, indossava una semplice maglietta bianca in tinta unita e dei pantaloni in felpa grigi, perfetti per la sua carnagione chiara. Era una bambina di Storybrooke. Una bambina innocente che, di lì a poco, avrebbe incontrato la  morte per mano di Morgana.
Come poteva essere una persona tanto crudele?
Superandola con facilità, Killian cercò di interrompere la sua corsa, fermandosi di fronte a lei.
La piccola, però, sembrò non degnare di uno sguardo la sua presenza, riuscendo facilmente ad attraversare il suo corpo senza dare il minimo segnale di averlo avvertito.
Era evidente che in quel momento la sua presenza non giocava nessun ruolo attivo; era mero spettatore di quanto stava avvenendo e ciò, per quanto cercasse di nasconderlo, gli creava un asfissiante senso di impotenza.
Stringendo nuovamente la mano a pugno, Killian si voltò dietro di sé, faticando non poco a guardare la piccola fuggire da quello spettro, la cui identità continuava a rimanere un mistero. Evidentemente le fila dell’esercito di Morgana non conoscevano limiti.
Bestie oscure, fantasmi, servi come Ector. Morgana pareva avere alleai su tutti i fronti.
“Ehi…da questa parte!”
Richiamato da quella voce familiare, Killian volse lo sguardo verso destra, associando fin da subito quella voce familiare, arrivata, con estremo tempismo, a portare in salvo la piccola indifesa.
Con occhi colmi di orgoglio, Killian Jones posò lo sguardo su Henry Mills, un quasi adulto Henry, la cui età doveva aver decisamente toccato i vent’anni.
Un uomo. Un uomo coraggioso con tra le mani una spada dalla rifinitura simile a quella di un pirata. Che fosse stata lui a regalargliela?
“Perché non te la prendi con me?”
Eh già…evidentemente l’adolescenza doveva aver sortito qualche cambiamento. Effettivamente era sempre stato coraggioso e quella ne era l’ennesima conferma. Chissà in quante occasioni si sarebbe ritrovato a salvare la situazione o ad aiutare lui stesso in qualche missione bisognosa di un trucchetto degno del suo ingegno.
Facendo qualche passo in direzione di Henry, Killian colse la figura di Cenerentola prendere tra le braccia la piccola, approfittando della presenza del giovane per mettere in salvo la figlia e portarla lontano da quel luogo decisamente pericoloso.
Ecco a quale principessa assomigliava; quella doveva essere la figlia di Cenerentola e del Principe Thomas, la piccola di cui, al momento, gli sfuggiva decisamente il nome e che, era certo, nel suo presente era ancora una neonata.
Possibile che Morgana fosse riuscita a mostrargli parte del suo futuro?
Offuscato da quei pensieri privi di una vera logica, Killian volse di nuovo lo sguardo, tornando nuovamente a volgere lo guardare Henry.
Ma non fu Henry ciò che vide; affatto.
 Con estrema velocità, Killian Jones si accorse di non essere più in mezzo alla strada, circondato da fantasmi bestie e fiamme.
Era all’interno di un lussuoso salotto, il cui divano nero gli ricordava terribilmente lo stile di una persona in particolare.
 
 
***
 
 
Con il cuore arrivato quasi all’esofago, Eva si ritrovò ben presto a posare lo sguardo su qualcuno di decisamente poco somigliante a Jake Mills.
Dopo aver spezzato un ramoscello e aver fatto allontanare gran parte degli uccelli della zona, dal fitto fogliame emersero due figure, le quali rivelando dei volti sporchi e decisamente poco rassicuranti, del tutto lontani dallo sguardo fiero e familiare del figlio di Regina.
Un uomo, magro, fu il primo ad uscire allo scoperto, probabilmente il responsabile del rumore emesso qualche istante prima; aveva i capelli lunghi e biondi, unti come pochi capelli al mondo potevano essere. Gli occhi, scuri come il tronco a cui Eva si era caldamente appoggiata fino a poco prima, apparivano simili a quelli di un furetto, come la dentatura storta e poco curata. Non sembrava un vero e proprio guerriero, ma il modo in cui impugnava l’arco fatto a mano non lasciava decisamente intendere che si trattasse di uno sprovveduto, al contrario.
Anche la donna, a pochi metri da lui, appariva decisamente poco curata dal punto di vista igienico; come l’uomo al suo fianco, indossava vestiti fatti a mano, cuciti e ricuciti in più punti, dai toni naturali e poco appariscenti; i capelli, neri come la pece, sembravano non entrare in contatto con l’acqua da decisamente troppo tempo. Al contrario dell’uomo biondo, la donna aveva una corporatura robusta, resa a dir poco minacciosa da una spada tenuta saldamente con la mano destra.
Le intenzioni non parevano essere delle migliori e, ciò, non lasciava presagire nulla di buono.
Di scatto, Eva si alzò dal suo posto, serrando con forza la mascella di fronte a quella visita decisamente inaspettata.
“Guarda un po' Tani…sembra ci sia un intruso a casa nostra!” esclamò l’Uomo Furetto, biascicando le parole, come se i denti davanti non gli permettessero di articolare correttamente la frase.
“Già…il capo non ne sarà contento!” si accodò la donna, la cui voce appariva decisamente meno mascolina rispetto alla sua corporatura.
Tenendo una mano avanti, Eva assottigliò lo sguardo, cercando di studiare con freddezza la situazione in cui si trovava.
Lentamente, con l’altra mano, infilò la boccetta nella tasca dei pantaloni prestateli Alex, sperando che i nuovi arrivati non facessero troppa attenzione a ciò che teneva tra le dita. L’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era di venire derubata dell’unica cosa che avrebbe assicurato la sua nascita una volta messo piede nel passato.
Decisa a non rispondere ad una sola di quelle frasi provocatorie, Eva fece un passo verso destra, cercando di apparire il meno insicura di quanto in realtà non si sentisse.
Loro erano in sue, armati e decisamente poco inclini alle buone maniere.
Lei era sola, disarmata e l’unica cosa che sapeva fare era scappare.
Come i topi…
Per un secondo, la voce agghiacciante di Diletta, la riportò faccia a faccia con il lato più oscuro del suo essere, facendole desiderare con tutta se stessa di tirare fuori quel potere assopito dentro di lei. Quel potere che qualche ora prima, nella radura dell’Alleanza, l’aveva fatta sentire forte e potente come mai si era sentita in tutta la sua vita.
Forte.
Potente.
Oscura.
No.
Non lo avrebbe fatto. Se c’era una cosa che si era ripromessa e che aveva finito per condividere, silenziosamente, con Jake era che usare il suo potere avrebbe portato Morgana dritta dritta a dove si trovava lei, mettendo la parola fine a quella sorta di tentativo disperato in cui si era imbarcata con Tremotino.
Per di più, da quando aveva usato quella parte del suo potere, aveva iniziato a sentire qualcosa dentro di sé, qualcosa che non aveva niente a che fare con la parte bianca e pura del suo animo; quella che suo padre tanto apprezzava.
Dall’uso di quel potere latente, aveva iniziato a sentirsi diversa; come se una parte di lei avesse deciso di venire a galla, infischiandosene altamente dei danni che avrebbe creato alle persone che aveva accanto.
La magia l’avrebbe portata in salvo da quella situazione; ma, al contempo, l’avrebbe distrutta dall’interno, trascinandola in un punto a cui, lo sapeva bene, non avrebbe più fatto ritorno.
La cosa, perciò, era piuttosto chiara, non avrebbe usato la magia. Costi quel che costi.
Senza perdere un solo istante a riflettere su quale fosse la cosa più giusta da fare o da dire, Eva si voltò di scatto, inoltrandosi nel cuore della foresta.
Come minimo quei due non si sarebbero aspettati una fuga tanto celere; o almeno così sperava.
Doveva correre, correre, correre.
Non aveva bisogno di assicurarsi di venire seguita; dopotutto, il rumore dei passi emessi dai due nuovi arrivati sembrava echeggiare in tutta la Foresta.
Con il cuore in gola, Eva corse a perdifiato, ignorando i graffi riportati dai lunghi arbusti e stando attenta a non inciampare in qualche radice. Dopotutto, lei era veloce e anche se i suoi inseguitori erano in netto vantaggio numerico rispetto a lei, la velocità avrebbe, come sempre, rappresentato la sua arma di salvezza.
Altri tre chilometri all’interno di quella foresta e avrebbe seminato la donna e l’Uomo Furetto senza troppa difficoltà.
Quasi richiamata da quel pensiero fin troppo positivo, improvvisamente una freccia schizzò alla sua sinistra, sfiorandole la guancia candida. Un solo millimetro più a destra e quell’ora avrebbe avuto un bel buco nello zigomo, con tanto di foro d’uscita.
Evidentemente non era veloce come pensava.
Cercando di correre in maniera meno ordinata, Eva tentò di depistare i suoi inseguitori facendosi scudo con i numerosi alberi davanti a lei, sperando con tutto il cuore che il numero di arcieri alla stregua di Robin Hood o la regina Merida fosse pari a zero.
Il fiato, sempre più corto, cominciava a graffiarle la gola, la quale non era ancora riuscita a riprendersi del tutto dal quasi annegamento di poco prima.
Correre. Correre. Correre.
Non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe resistito, ma quello non era decisamente il momento migliore per porsi simili domande.
Continuando a scappare ed ignorando il dolore alla milza e alle gambe, Eva si accorse di non udire alcun movimento alle sue spalle. Nessun urlo di derisione; nessun passo pesante.
Voltando leggermente il capo alla sua destra, Eva confermò la sua sensazione, rallentando via via il passo.
Non la stavano più inseguendo.
Cercando di emettere delle profonde inspirazioni, Eva spostò i capelli dal volto, ignorando il momento esatto in cui lo chignon aveva perso la sua lotta contro quelle folte ciocche castane.
Furetto e Miss Non-Mi-Lavo-I-Capelli-Dalla-Nascita parevano essere svaniti nel nulla. Evidentemente la corsa non era il loro forte o forse avevano preferito una preda meno agguerrita di lei.
Non riuscendo a trattenere un debole sorriso di soddisfazione, leggermente spezzato dall’affanno dovuto alla corsa, Eva si voltò nuovamente, decisa a rimettersi in cammino, distante dal luogo in cui i due banditi l’avevano trovata.
Ciò che non si aspettò, però, fu l’improvviso pugno in faccia, arrivato in maniera così precisa e potente da riuscire a mandarla a terra, in una sola frazione di secondo.
Il dolore non arrivò subito; no, al contrario, ciò che provò inizialmente fu l’amara sensazione di essersi gongolata troppo velocemente, senza prendere in considerazione l’evenienza che due persone come quei due dovevano, per forza di cosa, essere degli esperti delle zone, in grado di conoscere come le loro tasche ogni centimetro quadrato di quel posto, altrimenti perché vestirsi come dei boscaioli senza fissa dimora?
Il dolore, però, non tardò poi molto ad arrivare, acuito maggiormente da un improvviso calcio allo stomaco, il quale riuscì a mozzarle quella debole riserva di respiro rimastale in seguito alla fuga.
“Ahahahah visto Tani? Te l’avevo detto che l’avrei presa!” gracchiò la voce sgradevole dell’Uomo Furetto, il quale capeggiava fiero sopra al corpo piegato di Eva “…mi devi una birra!”
“Vedi di rubarle qualcosa e smettila di parlare a vanvera!” lo rimproverò la donna, la quale non doveva aver apprezzato particolarmente il fatto di aver perso la scommessa.
Chissà cosa le avrebbe comportato l’essere stata stanata da lei; forse le sarebbe stato risparmiato qualche calcio allo stomaco. O forse no.
Non lo avrebbe mai saputo; ma non vi era dubbio che, in quel momento, l’uomo accanto ad Eva amava particolarmente calciare un moribondo ai suoi piedi e, al terzo calcio, non serviva alcuna conferma a riguardo.
Voleva farla soffrire; forse per aver tentato la fuga o forse perché, semplicemente amava far soffrire le sue prede.
L’ultimo calcio sbagliò mira, o forse la mira era stata volutamente modificata; stette di fatto che lo stivale colpì la giovane Jones in pieno volto e l’improvviso sapore ferroso del sangue le inondò le papille gustative.
Quel maledetto; se solo fosse riuscita a rialzarsi gli avrebbe dato tutti quei calci con gli interessi.
Già…se solo…
Altro calcio. Altra risata soddisfatta.
“Milo…vuoi smetterla!” lo riprese nuovamente Tani, guardandosi alle spalle come se qualcun altro mancasse all’appello.
No ti prego, non un altro bandito.
“Dobbiamo andare!”
Ascoltando finalmente le parole della compagna, l’Uomo Furetto posò l’arco ai suoi piedi, inginocchiandosi accanto alla figura percossa fino a qualche istante prima.
“Vediamo cosa c’è qui…” sussurrò il biondo, sorridendo e mettendo in mostra la sua dentatura annerita dal tempo e dall’incuria.
Con fare decisamente troppo attento, l’uomo cominciò a toccare ogni centimetro del corpo di Eva, alla ricerca di qualcosa di abbastanza interessante da venire rubato.
Ciò che fece sbarrare lo sguardo alla giovane, però, non furono tanto le maniere poco galanti del bandito, o il modo in cui inseriva le sue mani sudaticce nelle tasche dei pantaloni; no, piuttosto fu il suo sbuffare scocciato di fronte a due tasche completamente vuote.
Vuote.
Un momento, come potevano essere vuote? Era sicura di aver messo la boccetta nella tasca destra dei pantaloni; lo aveva fatto solo qualche minuto fa, poco prima di mettersi in fuga da quei due maledetti ladri.
Ma allora perché non aveva trovato niente? Perché non aveva estratto il veleno datole da Tremotino?
-Maledizione…l’ho perso…- si maledisse mentalmente, mordendosi il labbro inferiore, insanguinato dal calcio appena ricevuto.
“Come mi aspettavo…niente di niente!” borbottò Milo, rimanendo inginocchiato, alzando gli occhi vacui verso la sua compagna e sputando un grumo di saliva addosso ad Eva.
Ciò che, però, l’arciere non si aspettò fu di mettere in conto chi realmente se ne stava sdraiata ai suoi piedi.
Non una semplice ragazza di sedici anni dal volto candido, in attesa di venire salvata dal suo principe con l’armatura scintillante. Non una povera orfanella, priva di qualcosa di abbastanza interessante da essere rubato.
Quella che aveva ai suoi piedi era la figlia della Salvatrice; la figlia del più grande pirata di tutti i tempi.
Quella che aveva ai suoi piedi era un’anima disperata.
Con tutta la forza che le rimaneva in corpo, Eva approfittò del momento di distrazione, indirizzando il pugno addosso al setto nasale dell’Uomo Furetto, il cui osso cedette con facilità, frantumarsi sotto al colpo ricevuto. D’istino, l’uomo dai capelli biondi portò entrambe le mani al volto, urlando per l’improvviso e accecante dolore.
Furiosa, Eva si buttò addosso all’arciere, continuando la sfilza di pugni che desiderava scaricare addosso a quel farabutto dal primo calcio che le aveva dato.
Rimanendo per breve tempo inerme, il Furetto bloccò uno dei pugni, sbattendo nuovamente il corpo sottile di Eva a terra.
In quel groviglio di corpi, la compagna del bandito si limitava a sbeffeggiare l’uomo dai capelli biondi, deridendolo per essersi lasciato atterrare da una ragazzina gracile e disarmata.
Evidentemente aiutare un amico non era nel codice dell’eccellente bandito, o almeno così pareva.
Ricevendo l’ennesima sberla in pieno viso, Eva osservò con occhi arrosati l’uomo sopra di lei, odiandolo per il modo in cui si sistemava i capelli unti con la mano libera, insanguinandosi le ciocche e rendendole ancora più disgustose.
Stava sorridendo. Quel maledetto stava ridendo di lei, sicuro di poterla eliminare con così tanta velocità.
Certo della vittoria, Milo fece lo stesso errore di poco prima, sottovalutando la ragazza dagli occhi verdi, il cui volto cominciava a riportare i segni delle ultime percosse.
“La gattina sa graffiare” esclamò mellifluo Milo, estraendo dalla tasca un coltellino artigianale, la cui lama irregolare pareva decisamente affilata.
Serrando con forza la mascella, Eva usò l’ultimo briciolo di forza rimastole, togliendosi di dosso il corpo sottile dell’Uomo Furetto; se ci fosse stata la donna al suo posto non sarebbe riuscita a fare la stessa mossa, rimanendo incastrata sotto al suo peso consistente.
Nuovamente colto alla sprovvista da quella dimostrazione di forza del tutto inattesa, Milo sentì il coltellino cedere dalla sua presa poco salda.
Tutto accadde con estrema velocità. La lama toccò il manto erboso sotto di loro; Eva afferrò di scatto il manico intagliato a mano e, in un decimo di secondo, la lama arrugginita e seghettata andò ad impiantarsi sul palmo destro dell’arciere, creando un unico legame col terreno.
Un urlo lancinante squarciò il silenzio della foresta, obbligando gran parte degli uccelli a spostarsi dal loro nascondiglio, come avevano fatto poco prima, quando il principale pensiero di Eva era quello di trovare gli ingredienti necessari per aprire il portale.
Continuando a respirare in maniera affannata, Eva si alzò da terra, lasciando il coltello inchiodato al terreno e alla mano dell’arciere. Con fare ansioso, la giovane si guardò alle spalle, alla ricerca della compagna del malcapitato, la quale non poteva di certo essersela data a gambe con così tanta velocità.
Eppure la donna pareva essere svarita nel nulla, abbandonando il suo amico al suo destino. Non c’era che dire, negli ultimi dieci anni il sacrificio e l’altruismo non rappresentavano i principali valori su cui si basa l’umanità della Foresta Incantata.
Quella lunga giornata interminabile, però, non era iniziata nei migliori dei modi e, di certo, non si sarebbe conclusa in maniera diversa.
Spuntando da una qualche zona della foresta, la donna robusta comparve alle spalle della giovane Jones, puntandole una lama alla gola, di dimensioni decisamente maggiori rispetto al coltellino ancora infilzato sul palmo del Furetto.
“Non muoverti…ragazzina!” le ruggì la donna all’orecchio, sbattendole l’elsa dell’arma sulla nuca, obbligandola così a mettersi in ginocchio, con ancora la lama puntata alla base del collo.
Soffocata dal dolore, Eva seguì l’imposizione della donna, inginocchiandosi a terra, non riuscendo realmente ad avvertire il bruciore alle ginocchia.
Era ovvio che non fosse fuggita; sperarlo era stato fin troppo stupido da parte sua.
“Bene. Bene. Bene….chi abbiamo qui?!”
Sorpresa nell’udire una voce maschile del tutto sconosciuta, Eva alzò il capo dolorante, faticando non poco a tenere gli occhi aperti.
Sbucato da chissà dove, vi era un uomo sulla cinquantina; fisico decisamente poco atletico e rotondo, naso aquilino, occhi di un insolito azzurro spento e barba scura, incolta, della stessa tonalità dei capelli. Come per Tani e Milo, anche il nuovo arrivato non spiccava di certo per la pulizia, ma viste le condizioni in cui si trovava la stessa Eva non poteva di certo essere nella pozione di poter giudicare.
Ecco chi cercava Tani quando il Furetto si stava occupando di lei.
“Non lo so Capo…l’abbiamo trovata a qualche miglio da qui…”
“Ah sì?...e come mai è in queste…condizioni?!”
“Ha aggredito il nostro arciere!”
Cercando di difendersi di fronte a quella falsa accusa, Eva tentò di aprire bocca, ritrovandosi ben presto zittita dalla lama improvvisamente premuta sulla sua giugulare.
Evidentemente la donna non era particolarmente propensa ad entrare nel dettaglio della questione.
Ottimo.
“Che ne facciamo di lei?!” chiese Tani, con fare decisamente troppo accondiscendente rispetto a poco prima.
Come lasciava chiaramente intuire il nome, quello doveva essere l’uomo che comandava baracca e burattini e la sua approvazione pareva importare particolarmente alla sua aguzzina.
“Aveva qualcosa di interessante con sé?!” continuò a chiedere l’uomo, camminando su e giù per il bosco, fermandosi a qualche metro da loro.
“No…niente!”
“C’è qualcun altro con lei?!”
“Direi di no…” rispose la donna.
Dal tono di voce sembrava quasi stesse sorridendo; ma forse era solo un’impressione di Eva, del tutto annebbiata dalla spiacevole piega presa dagli eventi.
Non riusciva a parlare; anche il semplice respirare le creava degli insopportabili dolori allo sterno e alla gola, la quale pareva essersi completamente inzuppata del sangue sputato poco prima, in seguito alle percosse del Furetto.
Se solo avesse potuto chiudere gli occhi ed addormentarsi; riposare quel tanto che bastava a riacquistare le forze, allora sì che avrebbe potuto dare del filo da torcere a quella donnona dietro di lei.
“Bè…chi sei?!”
Assottigliando lo sguardo fiero, Eva puntò i suoi coraggiosi occhi versi sulla figura tozza dinanzi a lei, indurendo le carnose labbra ferite. Non avrebbe detto il suo nome a quell’uomo nemmeno se avesse rappresentato il suo biglietto da visita per la salvezza. Come minimo avrebbe usato quell’informazione per andare dritto dritto da Morgana e guadagnare un bel gruzzoletto per il suo trofeo.
Dopotutto, il suo nome vantava una certa popolarità da quelle parti, e non dal punto di vista positivo. Mentire non sarebbe servito a molto; gli occhi di quell’uomo parlavano chiaramente: i sei utile a qualcosa o muori in silenzio.
“Oh…bene. Quindi, niente nome…niente di interessante da poter rubare…nessuno che sappia dove sia….Uccidila!”
Ecco. Come volevasi dimostrare.
 
***
 
“Sono settimane che quella strega infesta la città…dobbiamo fare qualcosa!”
La voce autorevole di Regina, in piedi in quell’enorme sala, confermò i pensieri del pirata, il quale non riuscì più a sconvolgersi come in passato di fronte a quei repentini cambi di ambientazione. Dopotutto, quello era il regno di Morgana e, con lei al comando, avrebbe visto solo ciò che più si accodava ai suoi piani.
Il salotto lussuoso. Il camino. La donna dai modi autorevoli.
Quello non poteva essere altro se non il terreno della Regina Cattiva, o meglio, l’ex Regina Cattiva.
“Lei vuole Eva…” esclamò la voce di Emma, seduta sul comodo divano e con un’espressione a dir poco sconvolta dipinta sul volto perfetto “…continuerà ad ucciderci tutti, finché non la consegneremo!”
Stupefatto nel trovarsi di fronte ad Emma, Killian lasciò andare la presa sulle mani, riuscendo, dopo tanto, a respirare nuovamente.
“E noi continueremo a non darle ciò che vuole Swan!” tuonò perentoria Regina, avvicinandosi di qualche passo all’amica, senza mai sciogliere le sue braccia, avvolte in un elegante maglioncino in cachemire rosso come il rossetto che portava “…dobbiamo trovare un suo punto debole e contrattaccare!”
“Ma abbiamo già provato di tutto Regina…” esclamò esasperata Emma, alandosi a sua volta dal divano e camminando verso il camino acceso “…la tua magia, la mia magia…perfino il potere di Tremotino si è dimostrato del tutto inutile. Non ci è rimasto nulla da fare se non…”
“Scappare?!” la interruppe acida la bella Mills, inchiodando con lo sguardo scuro l’amica di fronte a lei.
Era sconvolgente il modo in cui due donne dalla fisicità così sottile riuscissero a riempire una stanza dalle dimensioni così estese.
Due caratteri dirompenti; due personalità talmente forti ed energiche da riuscire a mettere in ginocchio il più nobile e valoroso dei guerrieri.
“Ho paura sia l’ultima cosa rimasta da fare!” confermò Emma, tenendo testa a quello sguardo con i suoi occhi verde smeraldo.
Avvicinandosi alle due donne, Killian si lasciò, come sempre, ipnotizzare dal volto angelico della sua Swan. Per lei gli anni sembravano non passare mai; era come se per il suo volto e la sua corporatura tutto rimanesse immutato.
Bellissima. Perfetta.
Eternamente padrona del suo cuore.
“E cosa faremmo una volta arrivati nella Foresta Incantata?...da dove pensi sia arrivata quella pazza con la sua estesa corte di amici?” sbottò Regina, allargando le mani con fare ovvio “…ci darà la caccia, cercherà tua figlia fino in capo al mondo…Lei pensa che sia la sua nemesi; ha decisamente rivelato che non le importa che sia senza magia!”
“Perché teme che, in futuro, riesca ad ucciderla!”
“Appunto Emma! Lei cercherà comunque di uccidere tua figlia…e ucciderà anche noi, uno dopo l’altro lasciando i nostri figli senza nessuno che riesca a proteggerli!”
“Ed è per questo motivo che ho preso una decisione Regina!” esclamò con voce sommessa la Salvatrice, dando le spalle all’amica e sfiorando con la spalla il corpo inconsistente di Killian, il cui animo da spettatore continuava a non essere avvertito.
“Di cosa stai parlando?!”
-Già…di cosa stai parlando Swan!- pensò tra sé e sé il pirata, ritrovandosi a corrugare la fronte.
“Come ho detto…non c’è più niente che possiamo fare contro Morgana, non qui a Storybrooke per lo meno!” esclamò Emma, estraendo qualcosa dalla tasca destra dei suoi jeans scuri, i quali risaltavano particolarmente con il maglione bianco che indossava.
“E pensi che nella Foresta Incantata sarà diverso?!”
“Sì…se c’è qualcosa in grado di uccidere quella donna sono sicura che si può trovare solo lì, dal luogo in cui è stata originata!...e nel luogo in cui Killian po' tenere in  salvo la sua famiglia!”
“Pensi che il pirata possa proteggervi meglio nella Foresta Incantata?...mi pare che si sia abituato piuttosto bene a Storybrook!”
“Sì ma…ma lui conosce quel posto come le sue tasche e-e saprà insegnare ad Eva ed Henry come scappare e nascondersi, almeno fino a quando non troverete un modo per uccidere Morgana!”
“Ho…ho sentito bene? Hai detto…troverete?!” esclamò perplessa Regina, ritrovandosi a fare assumere alle sue labbra carnose una O di pieno stupore.
Voltandosi nuovamente verso Regina, Emma allungò il suo braccio verso l’amica, non staccando per un solo istante le sue iridi da quelle dell’ex Cattiva della Foresta Incantata.
Facendo un passo in direzione della bionda, Regina prese con le dita smaltate il bigliettino dalla mano della giovane Swan, scartandolo con fare sospettoso.
Nel momento in cui i suoi occhi si posarono sulle parole scritte con una calligrafia frettolosa e poco curata, Regina spalancò del tutto la bocca, non preoccupandosi minimamente di nascondere il suo sconvolgimento.
Divorato dalla curiosità, Killian allungò il collo per vedere cosa vi fosse scritto ma, nel momento in cui i suoi occhi blu cobalto si posarono sull’inchiostro scuro, Regina serrò la mano, accartocciando lievemente il foglietto.
“Dimmi, ti ha dato completamente di volta il cervello?” sbraitò adirata Regina, facendo un passo in avanti “…dimmi che mi sto sbagliando e che non stai davvero facendo quello che temo!”
“Non ho altra scelta Regina” le rispose Emma, deglutendo a fatica “…sono la Salvatrice. Sono…sono nata per salvare le persone…per salvare la mia famiglia!” continuò la bionda, sentendo chiaramente gli occhi inumidirsi senza controllo “Io…io non posso rimanere ferma…qui, a guardare una strega mentre uccide una dopo l’altra le persone di questa città. Non posso rimanere ferma mentre minaccia le persone che amo, mentre mi assicura che guarderò la mia famiglia morire senza fare nulla per impedirlo. Come potrei vivere se uccidesse Henry, se uccidesse i miei genitori, o te…o tuo figlio. Io…io non riesco nemmeno ad immaginare a cosa potrei fare se…se vedessi Morgana uccidere Killian…o Eva….” aggiunse, posando entrambe le mani sul capo e sentendo la lacrima rigarle il volto pallido, Emma serrò le labbra tremanti, voltando lo sguardo verso destra, inconsapevole di puntarlo sul volto terreo dell’uomo che amava “…Devo fare in modo che la profezia si realizzi Regina…devo fare in modo che si realizzi la parte riguardante Eva!”
“Swan…” sussurrò a fior di labbra Killian, sbarrando lo sguardo, consapevole di cosa stava per succedere.
Perché non aveva pensato ad una simile eventualità? Come aveva fatto a non capire cosa intendesse Morgana quando gli aveva detto che la morte di Emma nascondeva qualcosa? Che tutta la loro infelicità non era dipesa unicamente dalle sue azioni?
“Emma…non puoi farlo, non puoi abbandonare la tua famiglia per paura che Morgana vinca!”
“La mia non è paura!” si difese con coraggio la figlia di Biancaneve, volgendo nuovamente lo sguardo in direzione di Regina e facendo oscillare la sua coda di cavallo leggermente ondulata “…io sto cercando di mettervi in salvo….Vi sto dando la possibilità di uccidere Morgana!”
“Questo non è mettere in salvo la tua famiglia!” ribatté la bella Mills, sollevando il foglietto che teneva tra le mani “…questo è prendere la decisione più brutta e sbagliata di tutta la tua vita. Da qui non si torna indietro…”
“Lo so…” sussurrò Emma, con sguardo spento e rattristato.
Inchiodato sul posto, Killian saltò sul posto nel sentire la porta alle sue spalle emettere un sinistro cigolio ed, evidentemente, non fu l’unico a lasciarsi prendere dallo spavento.
Di scatto, Emma e Regina si voltarono nella stessa direzione del pirata, scoprendo di non essere sole in quella stanza.
“Jake…” esclamò Regina, posando lo sguardo sul volto confuso del figlio “…non dovresti essere a letto?!”
Nascosto dietro la porta che dava alle scale, se ne stava un bambino di otto anni. Capelli e occhi scuri come quelli della madre, ferma a pochi passi da dove si trovava.
Nonostante il volto imbronciato, il bambino esprimeva una dolcezza impossibile da non amare; così simile a quella del fratello maggiore, Roland.
“Sì, ma non lo sono!” esclamò il piccolo di otto anni, corrugando la fronte.
“Bene…vediamo di risolvere la cosa!”
Avvicinandosi al figlio e cercando di apparire, inutilmente, serena, Regina posò una mano sulla spalla di Jake, invitandolo a voltarsi, per raggiungere la sua stanza al piano superiore.
Mantenendo uno sguardo corrucciato, il bambino dagli occhi tanto scuri quanto espressivi, continuò a tenere lo sguardo incollato sul volto rattristato di Emma.
“Eva…sta bene?” chiese, con voce preoccupata.
“Certo…” gli rispose Emma, cercando di esternare un sorriso sincero.
“Eva sarà sicuramente a letto signorino…al contrario di te!” lo rimproverò bonariamente la madre.
Abbassando per un secondo lo sguardo sui suoi piccoli piedi scalzi, Jake serrò le mani, per poi voltarsi del tutto in direzione della Salvatrice.
“Non lasciarla da sola…”
Sconvolta da quelle parole, Emma serrò le labbra, sentendo nuovamente gli occhi farsi più lucidi.
Avvolta da un silenzio che nessuno, nemmeno lo spirito di Killian Jones, aveva il coraggio di spezzare, la Salvatrice si avvicinò a sua volta, inginocchiandosi e stringendo il piccolo Jake in un abbraccio affettuoso.
Accarezzando quei corti capelli folti, Emma sussurrò delle parole a fior di labbra in modo da non essere udita da nessuno al di fuori del bambino; delle parole lievi che, però, risuonarono chiare e limpide nella mente di Killian.
“Nemmeno tu, piccolo…non lasciarla sola!”
Scompigliando bonariamente i capelli scuri del bambino, Emma si rialzò in piedi, per poi avvicinarsi a Regina e posare una mano sul suo braccio sottile.
“Devo andare Regina…”
Rimanendo in silenzio, Regina osservò l’amica indossare il suo pesante cappotto nero, per poi avvicinarsi alla porta che conduceva ogni ospite e padrone verso l’uscita.
Nel momento in cui Emma fu ad un passo dal varcare la soglia, la voce del sindaco di Storybrooke la fermò sul posto.
“Non farlo Emma…ti prego!”
“Conto su di te…” esclamò la bionda, senza mai voltarsi “…l’ho sempre fatto!”.
Detto ciò, la Salvatrice abbandonò la sala, per poi chiudere dietro di sé tutto e tutti.
 
***
 
 
“…Uccidila!”
Dinanzi a quell’ordine così’ tanto atteso, Tani allargò il suo sorriso, stringendo ancora di più la stretta su quel corpo fragile e ferito.
“Sarà un vero piacere!”
No, no…non era possibile.
Con il fiato ancora più corto, Eva si ritrovò a stringere entrambi i palmi sul braccio nerboruto con cui la donna dietro di lei la teneva ferma sul posto.
Non poteva morire in quel modo; non per mano di quei banditi.
Senza sapere dove fosse Henry. Senza aver salutato suo padre.
No, non poteva permetterlo.
Doveva usare la magia, doveva…
“Io non lo farei se fossi in te!”
Non riuscendo a comprendere se quel divieto fosse rivolto a lei o alla bandita con la spada puntata alla sua giugulare, Eva si ritrovò a spalancare gli occhi.
Era qui.
Era arrivato.
Con quella sua maledetta e splendida voce.
“Jake…”
Sussurrando quel nome a fior di labbra, Eva alzò lentamente il volto, riuscendo ben presto a posare lo sguardo sulla figura atletica e sicura del figlio di Regina.
Indossava ancora i vestiti umidi, gli stessi che gli aveva visto addosso alla festa di Alex; una festa che continuava ad allontanarsi alla velocità della luce dalla sua mente.
Gli occhi, incredibilmente scuri ed espressivi, si posarono per una frazione di secondo su di lei divenendo improvvisamente colmi di dolore. Era ridotta davvero così male?
Velocemente, Jake riprese il controllo di sé, posando nuovamente lo sguardo su quello che era il suo bersaglio.
Perché il figlio di Regina non si era presentato disarmato alla festa; no, affatto. Al contrario, impugnava, con una fierezza impossibile da contendere, l’arco dell’Uomo Furetto, con una freccia dall’impennaggio bianco, il quale avrebbe sicuramente reso il volo più lesto e preciso.
“Oh ma fammi il piacere…”
Ridendo di fronte a quella minaccia, la donna nerboruta fece alzare Eva, usandola come scudo di fronte a quell’arciere decisamente troppo stanco per avere una buona mira.
“…pensi di essere nella posizione per potermi minacciare?!”
“Te l’ho già detto…non lo farei se fossi in te!”
“Ti credi tanto bravo?!” gracchiò la donna, premendo ancor di più la lama alla gola della giovane Jones.
“Non lo credo…” continuò Jake, sicuro come non si era mai mostrato “…lo so e basta!”
Certo, il giovane Mills non brillava per umiltà e, visti i geni materni, non doveva essere una cosa poi così scioccante; ma in quel momento c’era qualcosa di strano in lui, qualcosa che lo faceva assomigliare più ad un giustiziere che ad un principe venuto a salvare la sua amica.
Già…amica….
“Allora forza…” lo incitò Tani, premendo su di sé il corpo sanguinante di Eva “…scocca la freccia!”
Jake assottigliò lo sguardo, tenendo ancor di più quella freccia dal piumaggio bianco come le nuvole alte del cielo.
Si stava preparando a scoccare. Le labbra serrate; i muscoli del collo tesi come corde di violino.
Un solo attimo e la freccia avrebbe spiccato il volo, sicura di conficcarsi nella carne di una delle donne davanti a sé.
“Oh andiamo…non dirmi che tu sei il piccolo Jaky?!”
Rimasto zitto fino a quel momento, il Capo di quel duo improponibile, mostrò con estrema naturalezza tutta la sua sorpresa di fronte alla figura slanciata e decisamente familiare di Jake.
Jacky? Piccolo?
Ma faceva sul serio?
“Ah…” continuò l’uomo, lasciandosi andare ad una risata sprezzante e divertita, alzando le braccia al cielo e lasciandosi illuminare da una sincera sorpresa nel vedere Jake di fronte a lui “…che ci fai da queste parti ragazzo?...credevo fossi più a nord, insieme alla tua numerosa famiglia!”
“Ho avuto un contrattempo…” si limitò a rispondere il giovane Hood, non spostando di un solo millimetro lo sguardo dal corpo di Tani ed Eva.
Allora era vero, si conoscevano.
“Per la miseria…quanti anni sono passati?!....cinque?…sei?”
“Non mi sembra il momento di rivangare i vecchi tempi Phil…!” continuò freddo Jake, ignorando volutamente il rivolo di sangue che, caldo, iniziò a discendere dalla fronte, andando ad intaccare la vista del suo occhio sinistro “…sto cercando di centrare il bersaglio!”
“Forza allora…che cosa stai aspettando…un invito?!” continuò a sollecitarlo la donna, certa di non vedere davanti a sé una reale minaccia.
Dopotutto, un arciere con un occhio solo non avrebbe spaventato nessuno. No?
“Dacci un taglio Tani…vuoi uscire in orizzontale da questo bosco?!”
“C…co…” non riuscendo a rispondere a quell’improvviso rimprovero da parte del suo capo, la bandita abbassò lievemente lo sguardo, sempre senza mai alleggerire la sua presa dal corpo della giovane Jones.
“Suvvia Jaky…stai davvero minacciando la mia donna?!”
“Oh bè…tu stai minacciando la mia!” continuò Jake, imperturbabile, lanciando un mezzo ghigno in direzione dell’uomo robusto, i cui modi barbari lasciavano chiaramente intendere quale genere di vita conducesse, o avesse condotto fin dall’infanzia.
Dal canto suo, Eva non riuscì a fare a meno di sbarrare lo sguardo.
Non sapeva se sentirsi stupita dalle parole usate da Jake o estremamente stupida per pensare ad una cosa del genere con una lama affilata a contatto con la giugulare.
Probabilmente la prima.
“Giusto…giusto…!” borbottò l’uomo, facendo qualche passo in direzione di Jake, andando a tormentarsi il labbro inferiore con l’indice e il pollice, ornamentati da due spessi anelli in oro.
Alla faccia del bandito privo di acqua e sapone.
“Non ho tutto il giorno Phil!”
“Oh…e va bene. Lasciala andare Tani!” sbittò il Capo, liquidando la sua decisione con uno scocciato gesto della mano.
“Ma…ma Capo…questa ragazzina ha colpito Milo e…”
“Dimmi Tani, da quando sono interessato a qualche parere diverso dal mio?!” continuò freddo l’uomo dagli occhi azzurri, incenerendo la donna nerboruta con la sola forza di uno sguardo.
Senza emettere un solo fiato, Tani lasciò la presa dal corpo di Eva, la quale si ritrovò a faticare non poco nel mantenere l’equilibrio.
Lentamente, la giovane figlia della Salvatrice, puntò nuovamente gli occhi su Jake, il quale non sembrava decisamente intenzionato ad abbassare di un solo centimetro l’arco preso in prestito dal ladro, ancora steso a terra e con il coltellino infilzato nella mano.
Con un gesto del capo, Jake suggerì ad Eva di avvicinarsi. Dopo essersi guardata per un momento alle spalle, la giovane non si lasciò intimare due volte lo stesso consiglio e, con masso malfermo, raggiunse il punto occupato dal ragazzo.
Questi, lasciandola del tutto di stucco, abbassò velocemente l’arco, sfiorandole delicatamente il volto tumefatto con le dita, le stesse con cui, un secondo prima, aveva trattenuto la freccia dal suo volo omicida.
Strano, solo poco fa, con quelle stesse mani l’aveva fatta ballare; solo poco fa quelle stesse mani l’avevano trattata con tanta durezza e autorità da farle ribollire il sangue nelle vene.
Le cose cambiavano, lo aveva capito fin troppo presto.
Ma c’erano cose, cose che, per quanto cambiassero e per quanto cercassero di nascondersi da occhi indiscreti, finivano sempre per rimanere le stesse.
Come il contatto delle sue dita con la sua pelle; qualcosa di così indescrivibile e piacevole che, per un secondo, Eva si ritrovò a chiudere gli occhi, grata di poter nuovamente assaporare quel profondo profumo di foresta.
“tutto ok?!” le chiese il giovane Hood, con voce roca e sguardo fermo.
Non avrebbe saputo dire se era furioso con lei o terribilmente preoccupato
“S…sì!” esclamò Eva, incrociando nuovamente quelle iridi scure su cui riusciva sempre a perdersi.
Persino lui, solitamente così sicuro, così bravo a controllare le sue più profonde emozioni, ora sembrava trovarsi all’interno di una terribile faida interna, dove non si capiva se a vincere fosse la parte gentile del suo cuore, o quella dura e fredda che, da quando lo aveva incontrato settimane prima, pareva aver avuto sempre la meglio in quella lotta.
“Bè…è stato un piacere rivederti Phil!” esclamò Jake, alzando lo sguardo sull’uomo panciuto, il quale non aveva mosso un solo passo nella loro direzione, limitandosi a guardarli come un bottino d’oro in piena regola.
Quell’uomo riusciva a metterle i brividi, non c’era che dire.
Senza attendere una reale risposta da parte del conoscente, Jake posò la mano sulla spalla sottile della giovane, apprestandosi ad abbandonare i due banditi.
Ma quella giornata continuava a mantenere un profilo decisamente basso sul fronte della fortuna e la voce insolita ma ugualmente autorevole del capo dei banditi, riecheggiò nella foresta, obbligando i due giovani a fermare la loro andata.
“Oh…non così in fretta…!” lo richiamò Phil, avvicinandosi di qualche passo alla suo vecchio “…non hai nemmeno il tempo di fare due chiacchiere?!”
“Abbiamo da fare!” lo liquidò velocemente il giovane Hood, non rendendo molto chiaro se il rapporto tra i due fosse amichevole o meno.
“Oh…affari importanti immagino...”
“Esatto!”
“Già…capisco….” continuò Phil, tornando nuovamente a tormentarsi il labbro inferiore, in un vistoso tic nervoso impossibile da non notare “…dopotutto sai che sono un uomo d’affari!”
“Già…lo so!”
“E immagino che il vostro…affare…non possa aspettare giusto? Immagino che ci teniate particolarmente!”
Eva si limitò ad emettere un lieve cenno col capo, non riuscendo a capire se quella che aveva appena fatto fosse stata la firma volontaria alla sua condanna a morte.
Dal canto suo, Jake continuava a non muovere un solo muscolo, limitandosi a stringere la presa sull’arco e sulla spalla sporca di terra dell’ultimogenita di Killian ed Emma.
“Bene…vi capisco. E sapete perché vi capisco?...perché anch’io ho un affare importante che…ahimè…voi avete appena fatto saltare!”
“E cosa centriamo noi con il tuo maledetto affare?!” sbottò Eva, ancora livida di rabbia nonostante le ammaccature e la difficoltà a tenersi in piedi.
“Oh…ahahah che caratterino. Hai trovato la tua anima gemella ragazzo?!”
“Che vuoi Phil?!”
“Ma che fai…gli dai retta?!” gli chiese sbalordita Eva, guardandolo con due occhi sbalorditi “…non crederai mica che abbiamo davvero intralciato con il suo piano?”
“Sì che lo abbiamo fatto...”
“E come?!”
“Gli abbiamo…o meglio, gli hai messo fuori uso l’arciere!!”
“E con questo?...”
“Ad un Cacciatore di orchi serve sempre un arciere….” Esclamò serio Jake, posando per un attimo lo sguardo sul volto stupito di Eva.
“E tu lo sai…perché…”
“Oh…perché un tempo era il nostro arciere dolcezza!” la interruppe Phil, incrociando le braccia al petto con un sorriso soddisfatto dipinto in faccia “…il miglior arciere che abbia mai visto!”
 
***
 
Per un momento Killian Jones rimase immobile al centro della sala, consapevole di quanto poco rimanesse da ascoltare in quella stanza; di quanto poco rimanesse da vedere, da scrutare.
Avrebbe dovuto correre dietro alla sua Swan, capire dove fosse diretta e per quale motivo Regina fosse impallidita a quel modo di fronte a quel bigliettino consegnatole da Emma.
Ma in cuor suo, nel suo cuore un tempo annerito dalle cattive azioni compiute, Killian sapeva bene cosa stava per accadere.
In fin dei conti, se c’era una cosa di cui si era spesso vantato era la sua perspicacia e il modo in cui sapeva leggere nell’animo di Emma; un libro aperto, il suo libro aperto preferito.
Spesso e volentieri, anche quando l’occasione non lo richiedeva, lui riusciva sempre a leggere dentro di lei, a capire cosa si muovesse dentro quella sua mente sempre piena di pensieri e paure.
Sapeva capire quando nascondeva qualcosa, quando ometteva qualcosa.
Dopotutto, era questo che sapeva fare un buon pirata: cercare le cose nascoste; e lui, per quanto non guidasse più il suo vascello come un tempo, sarebbe sempre rimasto un pirata.
Improvvisamente, quasi privato della forza della sua volontà, il giovane Jones si ritrovò a varcare a sua volta la soglia dell’immenso salotto, ritrovandosi a fissare la maniglia della porta d’ingresso.
Non voleva aprire quella porta. No voleva avere la conferma delle sue paure; non quando tutto ciò riguardava l’unica persona in grado di tenerlo in vita, lontano dall’oscurità.
Ma, come aveva capito fin troppo bene, in quel luogo non esisteva il libero arbitrio e, di getto la mano destra afferrò la maniglia della porta, al di fuori della sua volontà, com’era successo qualche settimana prima, quando si trovava ancora sotto il controllo del coccodrillo.
Come il Signore Oscuro, anche Morgana stava giocando con la sua vita e lì, in quel luogo colmo di magia nera e in grado di mostrargli il futuro, Morgana non lo avrebbe reso partecipe del momento e del motivo per cui avrebbe acquistato la sua mano; non gli avrebbe mostrato l’attimo più felice della sua vita insieme ad Emma.
No, al contrario gli avrebbe mostrato il più terribile. Il più oscuro.
L’attimo apparso in quel momento davanti ai suoi occhi, in un’anomia stradina secondaria di Storybrooke.
Ignorando volutamente la leggera pioggia proveniente dal cielo scuro della notte, Uncino si guardò per un attimo dietro le spalle, consapevole di essere avvolto unicamente dalla notte. Con passo nervoso,  si avvicinò al corpo immobile di Emma, ferma in mezzo alla strada, del tutto disarmata, ma con lo sguardo più sicuro e fiero che possedeva.
Aveva i capelli sciolti. Lo stesso cappotto nero che le aveva visto pochi istanti prima.
Chissà cosa aveva fatto dopo essere uscita dalla casa di Regina. Era andata a salutarlo? Lo aveva reso partecipe di quella scelta disperata?
Mettendosi al suo fianco, Killian seguì lo sguardo della sua futura moglie, la cui fede al dito pareva brillare di luce propria, in quella notte priva di alcuna stella.
Con lo sguardo verde puntato davanti a sé, Emma fissava la figura sprezzante di Morgana, la quale pareva essere circondata da esseri inquietanti, in grado di sussurrare frase impossibili da comprendere, ma in grado di far rabbrividire il più coraggioso degli uomini.
Con la bacchetta nera tra le mani ed un sorriso sghembo e storto come la postura del suo collo, inclinato verso destra, Morgana pareva in attesa di qualcosa, del tutto a suo agio in quell’inquietante e fredda oscurità.
“Allora Emma Swan…ti sei finalmente decisa a darmi ciò che voglio?!”
“Se è la morte ciò che vuoi Morgana…direi di sì!” rispose la Salvatrice, i cui lunghi capelli biondi volavano selvaggi a causa delle improvvise raffiche di vento, provenienti da ovest.
Lasciandosi andare ad una risata insana, Morgana si avvicinò di qualche passo, seguita dai suoi spiriti dalla consistenza spezzata e dai suoi sussurri impossibili da far tacere.
“Ahahah…come siete divertenti topolini. Alle volte mi dispiace uccidervi…mi fate divertire così tanto!”
Rimanendo in silenzio, Emma serrò entrambe le mani, pronta a mettere in atto il suo piano.
“Ma, per quanto mi piaccia ridere di voi, se non sei venuta a portarmi tua figlia, Salvatrice…penso non ci sia alcun motivo per cui io debba rimanere qui”
Voltandosi con fare altezzoso, Morgana diede le spalle ad Emma Swan, chiarendo con estrema precisione il suo disinteresse di fronte a quella presenza carica di fierezza e coraggio.
“Non così in fretta Morgana!”
Bloccandosi con la mano impugnante la bacchetta ferma a mezz’aria, la Fata Oscura voltò lievemente lo sguardo alle sue spalle, quasi incuriosita di fronte alla sfacciataggine dimostrata dalla Salvatrice.
Porgendo al mostro di fronte alle lei il sorriso più sfrontato, Emma avvicinò la sua mano destra al suo petto.
Il vento, quasi potenziato dalla forza d’animo dimostrata dalla donna dal cappotto scuro e dai capelli color del grano, sembrò sferzare con maggior impeto, facendo oscillare con ancor più prepotenza le ciocche di capelli sciolti.
Anche la pioggia, non più leggera e debole, aumentò la sua sferzata, bagnando completamente il volto di Emma e Killian, il quale pareva essersi pietrificato alla vista di quella mano così vicina al cuore.
Il procinto di una tempesta sembrò discendere lungo quella strada mal illuminata, facendo ricadere sulla fronte i capelli scuri del pirata.
In un gesto improvviso ed estremamente calcolato, Emma immerse la sua mano sul petto, rimanendo improvvisamente senza fiato a causa del suo gesto.
“No…”
Sconvolto alla vista di Emma con in mano il suo stesso cuore, Killian fu investito da una sorta di dejà vu di cui, al momento, non riusciva a comprenderne il significato*.
Lentamente, quasi impossibilitato a muoversi con la sua solita disinvoltura, il giovane Jones si avvicinò di un passo, pronto a fermare quel gesto così insensato.
Improvvisamente, però, la mano libera di Emma gli afferrò la mano.
Lo afferrò. Lo toccò. Come se fosse realmente lì, come se la sua passata inconsistenza fosse svanita come neve al sole.
Di scatto, il pirata alzò il volto, accorgendosi di come quei profondi e dolci occhi verdi lo stesero fissando con estrema intensità.
Lei lo vedeva.
Nulla fermerà la Fata Oscura. Se non la Magia del Vero Amore, nata dal sacrificio di chi più l’ha amata!”
Esclamò a gran voce la Salvatrice, tentando di sovrastare il vento e la pioggia, sempre più dirompenti.
Stava recitando una parte della profezia, la stessa che aveva udito prima che Morgana lo facesse arrivare lì.
“Trova l’anima Indistinta Killian…” sussurrò Emma, quasi impossibile da cogliere.
Sbarrando lo sguardo di fronte alle parole e allo sguardo disperato di Emma, Killian si ritrovò a stringere la presa su quella mano pallida.
“Perché lo stai facendo Emma?”
“L’ho già fatto…l’ho fatto per noi…” gli rispose con voce rotta.
“Per…noi?!” chiese Killian, sconvolto da quel gesto, da quelle parole.
“”Direi che il momento degli adii è finito!...”
Improvvisamente il volto terrificante e, al contempo, seducente di Morgana apparve davanti al corpo della giovane Swan, la quale indurì nuovamente lo sguardo, senza però mai staccarlo da quello di Killian.
Strano, Morgana pareva sorpresa di fronte alle parole di Emma; possibile che tutto ciò stesse sfuggendo dal suo controllo?
“Guarda cosa farà i tuo Amore Capitano…guarda come preferisce la morte a te e tua figlia!””
Quasi in sintonia con quel suo sguardo coraggioso, Emma serrò la presa sul suo cuore, ritrovandosi ad inginocchiarsi piegata dal dolore.
“Nooooo….”
Inginocchiandosi a sua volta, il bel Jones posò la mano sulla spalla sottile di Emma.
“Visto Capitano?...è stata lei ad abbandonarvi! Io non centro assolutamente nulla…l’ennesima vittima del buonismo malriposto degli eroi!” aggiunse civettuola Morgana, fingendosi ferita nel raccontare un simile atteggiamento nei suoi confronti.
Quasi insensibile di fronte alle parole della Fata Oscura, Emma alzò lo sguardo su Morgana, ritrovandosi a sorridere.
“C’è una cosa che lei continua a non capire Killian…”
Sentendo il suo nome pronunciato con coì tanta chiarezza, il pirata si ritrovò a corrugare la fronte. Perché gli stava parlando? Perché Morgana permetteva che succedesse una cosa del genere?
Anche se, dal suo sguardo, non vi si leggeva assolutamente la solita soddisfazione.
“Che…che cosa?!”
“L’amore trova sempre il modo…”
Sorridendo colma di speranza, Emma afferrò il volto del pirata, obbligandolo a guardarla negli occhi mentre, per l’ultima volta, aumentava la presa sul suo cuore, lasciandolo sbriciolare sulle sue stesse dita.
“...per farti trovare la strada di casa…”
Ed improvvisamente, l’urlo carico di frustrazione di Morgana fece scendere la notte, prima ancora che il corpo di Emma si lasciasse cadere a terra, privo di vita.
 
 
 
 
 
 
 
*Qui mi riferisco al fatto che, in un futuro decisamente poco lontano (e che noi CS sappiamo bene!!!) il Killian del passato assisterà ad un sacrificio analogo da parte del suo amore e la sua reazione sarà molto molto simile (sicuramente avrete già capito a quale scena mi riferisco, ma ho preferito scriverlo). Dopotutto, sapete quanto amo i parallelismi :P (4x23).
 
 
 
 
Non ci crederete, ma questa volta l’enorme ritardo ha una buona giustificazione:……………mi hanno rubato il cellulare (qui un BLOODY HELL non me l’ha tolto nessuno!!!!)...e qui direte “Che centra con il ritardo???”…bè dentro al cellulare avevo salvato tutte le note riguardanti la ff; tutte le idee che avevo, gli appunti, il finale…praticamente il filo conduttore di tutta la ff era lì dentro.
Perciò, ho dovuto riscostruire tutto da capo e, credetemi, non è stato affatto facile. Ho dovuto rileggere tutta la ff dall’inizio, cercando via via di ricordare tutte le cose che avevo in mente e che dovevo ancora scrivere; spero di non aver fatto grandi danni con questo capitolo; nel caso ditemelo pure così sistemo.
Cmq….almeno stavolta il ritardo non è dipeso del tutto da me….merito di essere perdonata più facilemente no?! :P
Cmq…eccoci arrivati al 19simo capitolo. Spero vi sia piaciuto e vi abbia appassionato come gli altri.
Come accade da un paio di aggiornamenti, il capitolo oscilla tra due universi, quello in cui è finito Killian e il passato di Eva. Riguardo il primo, qui Killian assiste alla morte di Emma (molte di voi avevano capito che lei si sarebbe sacrificata….mi piace che certe cose vengano intuite :P)¸spero di aver descritto bene la scena…è stata una di quelle a cui ho pensato di più.
Dal canto suo, Eva ha perso la sua collana e non solo; ma sappiamo bene che riavrà tutto con sé….sta solo a voi scoprire come. Qui, infatti, vediamo un Jake leggermente diverso…non è impazzito, il carattere difficile lo mantiene tutto….ma sono sicura che nel prossimo capitolo capirete un po' di più sul suo comportamento.
Cmq….non vi annoio più con le mille parole che mi escono dalla mente. Spero il capitolo, non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate.
Grazie di cuore a tutte le persone che continuano a seguirmi, nonostante i ritardi, nonostante la lunghezza della storia….nonostante tutto. Grazie di cuore a chi legge, a chi inserisce la storia nelle varie categorie e, in particolar modo a chi recensisce, dandomi una voglia di scrivere che spero non si esaurisca mai. Lo dico sempre, ma non mi stancherò mai…questa storia continua ad esserci grazie a voi…non so davvero come ringraziarvi, se non a parole. Grazie a chi ha recensito: yurohookemma, Sere2897, k_Gio_, Kerri, Ornylumi, Julia_Greenshade e pandina….siete le mie muse, questo è un dato di fatto!!!!! E un grazie di cuore anche a chi ha recensito in passato, rendendo questa ff possibile!
Ok, la smetto.
Ah…ovviamente BUON OUAT DAY….chissà cosa succederà in questo episodio??? Questa quinta stagione sta decisamente facendo aumentare i miei livelli di ansia….per non parlare poi delle foto spoiler che girano ultimamente.
Ditemi che non sono l’unica a sentirmi male.
Un grosso abbraccio a tutti.
La vostra affezionatissima
Erin ♥
 
 
 
PS: come sempre, scusatemi per gli errori di battitura…non appena avrò tempo rivedrò tutti i capitoli, sperando di limitare i danni:P

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Il profumo invitante degli anelli di cipolla misto a quello forte del caffè e delle lasagne della vedova Lucas, facevano da padroni all’interno della caffetteria della Nonna, incatenando ai suoi tavoli i pochi clienti rimasti.
Le ore del giorno avevano, da poco, lasciato spazio all’arrivo della notte, la quale aveva steso il suo pesante manto scuro su ogni angolo della piccola e, sconosciuta, cittadina del Maine, portando gran parte dei cittadini a trovare riparo nelle loro case.
Il freddo dell’inverno continuava ad insinuarsi tra gli abiti e le ossa di chi amava le passeggiate serali, obbligando chiunque ad indossare giubbotti e cappotti di adeguata pesantezza e a preferire, alla classica birra ghiacciata, una buona e calda cioccolata calda, arricchita da una spuzzata di cannella. Come la donna e la ragazza sedute al banco del diner, i cui volti scuri e scoraggiati non riuscivano a lasciarsi illuminare neppure dall’intenso profumo di quel luogo.
Giocherellando con il cucchiaino, completamente immerso nel liquido scuro e perfettamente denso, Emma si mordeva il labbro inferiore, mantenendo i gomiti sopra il bancone e infischiandosene altamente di apparire o meno femminile. Le lunghe ciocche bionde, ricadevano soffici sulle sue spalle, andando a terminare la loro discesa sul bancone pulito del locale.
Quell’immagine era così curiosa. Ma non per la postura in sé della Salvatrice, o per il modo assorto con cui continuava a muovere il cucchiaino avanti e indietro, senza alcuna logica apparente; era curiosa la persona che aveva accanto e l’effetto che creava al suo fianco. Era curioso il modo in cui quei giovani gomiti e quella braccia sottili ma atletiche si posavano al bancone allo stesso modo della bionda, con la stessa noncuranza. Era curioso come i geni decidessero di dar sfoggio di sé senza alcun pudore, mostrando platealmente come madre e figlia riuscissero ad assomigliarsi, nonostante il diverso colore delle lunghe ciocche di capelli, in egual misura lasciate libere di posarsi sulle spalle ricurve.
Improvvisamente, il rumore emesso da un piatto a contatto con il bancone, fece sussultare entrambe le Swan, le quali si ritrovare a posare lo sguardo su Granny, apparsa davanti a loro, in perfetta sincronia.
“Offre la casa…” esclamò in tono sicuro ma rassicurante la Nonna, indicando con lo sguardo due piccoli muffin ai mirtilli, il meglio che due clienti potessero desiderare a quella tarda ora della sera.
Ma lo sguardo delle due non riuscì, neppure in quell’occasione, ad assorbire un po' di gioia, ritrovandosi a ringraziare con un cenno del capo, per poi posarsi, stancamente, sulla cioccolata quasi intatta.
“E se fosse…”
“Non pensarlo neanche…” la rimproverò la voce sicura di Emma, la quale raddrizzò la schiena, lasciando che gli ondulati capelli biondi si allargassero sul cappotto grigio, lo stesso che, qualche giorno prima, Killian Jones le aveva accuratamente sistemato sulle spalle, preoccupato che il freddo si avventasse su di lei.
Incredibile quante cose fossero cambiate da quella sera; la sera in cui erano riusciti a catturare la loro figlia, ignorando completamente chi fosse in realtà. Nel giro di pochi giorni Morgana era riuscita ad insinuarsi nelle loro menti, nei loro cuori; era riuscita a renderli schiavi della loro stessa paura, arrivando a farli inginocchiare di fronte alla loro più grande arma, e più grande debolezza.
L’amore.
Erano trascorsi quasi due giorni dal momento in cui avevano perso le tracce di Killian. A nulla erano valse le grida, le lacrime e la rabbia. A nulla era valso passare in rassegna ogni centimetro quadrato del bosco e dell’intera cittadina. Il loro pirata era scomparso ed ora, alle dieci della sera, Emma ed Eva se ne stavano sedute al bancone della caffetteria più amata della cittadina, mentre gli altri aiutavano Regina nella ricerca di qualche incantesimo che riuscisse ad aiutarli nella ricerca.
“Sono quasi due giorni che lei lo ha preso…” continuò Eva, portandosi i capelli dietro al capo, in un gesto carico di amarezza.
“Già, ma se gli fosse successo qualcosa lo sapremmo…”
“Già…sono qui, giusto?!” confermò la giovane, con lo stesso tono amaro di poco prima.
“Giusto…” sussurrò Emma, stringendo nuovamente le labbra e tornando a puntare il suo sguardo sulla cioccolata ancora fumante davanti a lei.
Da due giorni non si avevano notizie di Killian; né di Morgana; né di Ector.
Tutto sembrava essersi immobilizzato nella staticità, come se il reale obbiettivo di quella donna spregevole fosse quello di vedere lei e sua figlia consumate dal rimorso di aver perso Uncino.
Ma non sarebbe andata in quel modo; affatto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di trovarlo; avrebbe raso al suolo l’intera Storybrooke pur di rivedere quei penetranti occhi azzurri prendersi gioco di lei e del suo inguaribile senso di fierezza che si ostinava a mantenere tra loro.
Non avrebbe più commesso quell’errore. Non avrebbe più dato per scontata la sua presenza, ma si sarebbe goduta appieno ogni istante della sua vicinanza, ogni contatto con la sua pelle calda; ogni sguardo bramoso e carico di dolcezza.
Emma Swan, la stessa donna che per anni e anni aveva lottato con le unghie e con i denti pur di mantenete intatte le sue solide mura, avrebbe lasciato che Killian Jones, l’uomo che segretamente sapeva di amare, distruggesse quelle mura; avrebbe lasciato che tenesse fra le mani il suo cuore, il suo animo. Si sarebbe fidata di lui.
Era una promessa rivolta a se stessa.
Avrebbe amato come mai aveva fatto in tutta la sua vita.
“mamma?”
“…sì?!”
Non ancora abituata nel sentirsi chiamare in quel modo da quella bellissima ragazza dai capelli scuri e selvaggi come quelli del padre, Emma si ritrovò a sussultare, facendo oscillare pericolosamente la tazza bollente verso il maglioncino nero che aveva indossato quella mattina.
D’istinto, la giovane Jones portò le mani davanti a sé, bloccando all’istante la quasi caduta della tazza.
La visione del liquido galleggiante al di fuori della tazza fu qualcosa di estremamente magico e innaturale. Era come se la cioccolata, solidificatasi in meno di un secondo, avesse scelto di fermarsi in quella posizione, a metà strada tra la tazza che, fino a poco prima, l’aveva accolta nel suo abbraccio, e la libertà. Una piccola onda scura che, nel giro di poco tempo, avrebbe colorato irrimediabilmente gli abiti della bionda.
“G…grazie!” esclamò Emma, riuscendo a porgere alla figlia un piccolo sorriso stanco.
“Non c’è di che…”
Con un gesto sicuro delle dita, Eva fece tornare cioccolata e tazza nella posizione precedente; come se il sussulto della madre non fosse mai avvenuto.
Tornando a posare le dita affusolate sul recipiente ancora caldo, Emma osservò con attenzione Eva, specchiandosi in quegli splendidi occhi verdi, così simili ai suoi da portarla a chiedersi come avesse fatto a non rendersi conto della somiglianza a prima vista.
“Sei brava con la magia…”
“…Me la cavo!” rispose modesta la figlia, riportando a galla chiari difetti paterni.
“…è stata Regina ad insegnarti?”
“Sì. È stata la mia maestra…per un po' di tempo!”
“Io…io non sono riuscita ad insegnarti niente?!” si ritrovò a chiedere Emma, con voce irregolare, quasi soffocata dall’indecisione di porre quella domanda colma di dolore e consapevolezza.
Dopotutto, sarebbe bastato posare gli occhi sul volto di Eva per avere la risposta a quella domanda; un volto così segnato dal dolore che, a fatica, qualcuno avrebbe potuto capire la reale età della giovane.
“No…o meglio, non ricordo di aver mai usato la magia quando eravamo insieme!”
“Non volevo che la usassi?!” chiese allarmata la Salvatrice.
“Oh no…non credo. Quando ho iniziato ad usarla avevo…avevo più o meno sei anni e papà non si è mai dimostrato contrario…anzi, direi che ne era quasi…sorpreso. Mi raccontava sempre che non avevo mai dato alcun cenno di magia; ma secondo Regina ero troppo piccola per saperla usare!” le spiegò Eva, sorridendo al ricordo degli insegnamenti conferiteli da Regina “…diceva che molti tiravano fuori la magia assopita dentro di loro in seguito ad un trauma….e….e l’averti persa deve aver avuto questo effetto su di me!”
“Mi dispiace…” sussurrò Emma, sfiorando con la mano sinistra il volto della figlia; un volto così attento a trattenere le lacrime da renderla ancor più simile a lei di quanto già non fosse.
“Lo so…ma non è stata colpa tua mamma. Morgana…Morgana ci ha portato via tutto…mi ha portato via tutto e non lascerò che qui accada lo stesso; non lascerò che si prenda la mia famiglia…di nuovo!” ruggì la giovane, puntando il suo sguardo sicuro sul volto della madre, senza mai dare il minimo cenno che il contatto con le dita della madre la disturbassero.
“So che…non deve essere facile parlarne…” esclamò Emma, allontanando delicatamente la mano dal volto della figlia “…ma…la notte in cui io …”
“La notte in cui sei morta?!...puoi chiedermi tutto quello che vuoi; ora che avete bevuto la pozione…penso sia giusto che sappiate come sono andate le cose…non voglio che si ripetano gli stessi errori!”
“Anche se, una volta che te ne sarai andata, nessuno di noi ricorderà nulla di te…o di Morgana…”
“Lo so…ma se succederà significherà che avremo vinto…e non ci sarà alcun errore da commettere!” sorrise la figlia, sorseggiando la cioccolata, ma non riuscendo a trattenere un ghigno di disgusto.
“T-tutto bene?!”
“Oh sì sì…bene…”
“Forse Granny ha aggiunto la cannella senza chiedertelo…lei pensa sia un marchio di famiglia, non sapendo che non a tutti piace!”
“Oh ma scherzi?!...io adoro la cannella…penso sia davvero un marchio di famiglia!” rispose sicura la mora, dando un altro sorso alla bevanda, riuscendo a mascherare qualsiasi sensazione si aggirasse dentro di lei.
“Già…” si limitò a dire Emma, la quale non riuscì a zittire il segnale della bugia, risuonante nelle sue orecchie.
“Ad ogni modo…mi stavi chiedendo….?”
“Oh sì…volevo…volevo sapere com’era andata. Cosa avete fatto dopo che Morgana è riuscita ad uccidermi...”
“A dire il vero, non ricordo molto di quella notte. Ero piccola e quello che so mi è stato raccontato da papà…o da Henry!” esclamò Eva, posando la tazza, e incrociando le braccia sopra al bancone “…la notte in cui Morgana ti ha uccisa, Regina riuscì ad aprire un portale…che portò tutti i superstiti nella Foresta Incantata!”
“Ha aperto un portale?...e come ha fatto? Avevate un fagiolo?!”
“Come ti ho detto…non ne so molto. Sicuramente, però, non c’erano fagioli nei paraggi, altrimenti lo avremmo usato molto prima. So che Regina ha trovato un incantesimo e ci ha portati tutti nella Foresta Incantata…come vi ho detto giorni fa da Regina…nel futuro i viaggi tra i regni non sono così impossibili….o almeno è quello che credo. Al nostro arrivo scoprimmo che Morgana non aveva ancora messo le sue mani sul regno delle favole. Così ci dividemmo, con la speranza di riuscire a sfuggire a Morgana e  scoprire qualcosa di più su di lei...” raccontò la giovane “…io andai con papà, Henry e i nonni; Regina, invece, si allontanò con Robin e i suoi figli…”
“Figli?!” chiese Emma, non riuscendo a controllare lo stupore.
“….figli!…è una storia piuttosto complicata!” confermò la figlia, con un sospiro quasi divertito “…Morgana comparve un anno dopo; aveva ricominciato a darci la caccia, o meglio…a darmi la caccia. Trovò Regina in poco tempo…grazie alla sua magia”
“Che intendi?!”
“Morgana riesce mettersi in contatto con la frequenza della magia…non so come ma…riesce ad individuare il luogo esatto in cui si trovi chiunque la usi…” spiegò Eva, abbassando lo sguardo, avvolta dal ricordo delle innumerevoli volte in cui si era ritrovata a fuggire dalle grinfie e dai mostri di quella donna “…fu così che trovò Regina; uccise Robin…e obbligò lei e i figli ad andarsene. Poi venne da noi…assediò il catello dei nonni; io ero ancora piccola…ricordo vagamente quel giorno…So che Henry mi portò in salvo e che papà andò ad aiutare Biancaneve e David…ma tornò solo…”
Un amaro groppo si formò nella gola della giovane Swan, i cui splendenti occhi verdi si lasciarono tristemente ricoprire da un sottile velo di lacrime, difficile da nascondere, soprattutto se a fissarli erano due occhi uguali ai suoi.
Ma Eva non si fermò; non questa volta, non quando conoscere la verità rappresentava l’unica via verso la salvezza e la speranza.
“…tornò con la spada del nonno…e da quel giorno guidò l’esercito del regno, contro Morgana. Voleva trovarla…voleva ucciderla; non pensava ad altro….non pensava ad altro che a lei…e a te…al fatto che non c’eri più; voleva vendicarti…voleva trovare un modo di zittire l’oscurità che sentiva dentro…glielo leggevo negli occhi…” raccontò Eva, con voce rotta e con le lacrime ormai libere di solcarle il volto pallido, seguite da quelle della madre, in silenzio al suo fianco “…ma non ha mai smesso di fare la cosa giusta; non ha mai abbandonato i superstiti…mai, nemmeno quando Henry dovette andarsene per cercare sua madre…nemmeno quando io avevo iniziato ad usare la magia e lui non sapeva cosa fare per aiutarmi. Nemmeno quando hanno iniziato a considerarlo Re…il Re della Foresta Incantata…” sussurrò la giovane, quasi a bassa voce, colma del sentimento di amore che provava per suo padre, morto per lei “…Non…non diceva mai nulla a proposito…ricordo che… che a volte sorrideva quando qualcuno si rivolgeva a lui chiamandolo Re Killian…e mi guardava alzando le sopracciglia, solo per farmi ridere. Ma poi…poi Morgana iniziò ad odiare quell’appellativo, iniziò a seminare ancora più morte incolpando lui di quanto accadeva…incolpando me, la principessa…perché non mi lasciavo consegnare a lei. Rase al suolo tutto il regno…non rimase nulla in piedi, neppure il castello. Da quel giorno…la nostra vita fu tutta una fuga; gli unici momenti di quiete furono quando eravamo da soli…”
“Ma non era più sicuro rimanere con Regina e gli altri?…”
“No…perché…scoprimmo che Morgana aveva un punto cieco!”
“Un punto cieco? Non riusciva a vederti?!”
“Esatto…quando ero da sola con papà, lei non riusciva a vedermi…non chiaramente almeno; aveva dei vuoti. Non abbiamo mai scoperto il motivo di tutto ciò; ma papà non era l’unico ad avere questo effetto su di lei. Gli unici momenti in cui rischiavamo erano per vedere Regina che mi allenava e per vedere Henry!”
“Henry…come sta?!”
“Oh…lui sta…sta bene, immagino!”
Altra bugia.
Emma la fisso corrucciata preferendo, al momento, rinviare alcune considerazioni.
Dopotutto Killian le aveva consigliato di non pressarla troppo e lui aveva dimostrato di capire la loro figlia meglio di chiunque altro. Non avrebbe dovuto stupirsi poi molto a riguardo; in fin dei conti, il pirata era riuscito a rubarle il cuore come nessuno uomo era mai riuscito a fare in tutta la sua vita; era riuscito a capirla come mai avrebbe creduto possibile.
Killian…Killian era speciale.
“A pensarci bene, la mia conoscenza sulla magia è alquanto ridotta…diciamo che…che la mia è fortuna...e una buona dose di talento naturale!” sottolineò la ragazza, cercando di alleggerire l’atmosfera.
Improvvisamente, lo scampanellio della porta d’ingresso del diner catturò l’attenzione delle due, le quali si ritrovarono a voltare il capo in perfetta sincronia.
“Belle…” esclamò Emma, staccando le dita dalla tazza e raddrizzando la schiena, ancora avvolta dal pesante cappotto invernale, come se la sola idea di trovarsi impreparata al minimo cambiamento non le desse l’opportunità di concedersi alcuna distrazione.
“Eccovi…vi ho cercate dappertutto!”
“Trovato qualcosa?” esclamò agitata Eva, dando le spalle al bancone “…notizie di papà?”
“Non proprio…” esclamò Belle, leggermente rattristata “….ma ho trovato comunque qualcosa che potrà esserci utile!”
Senza dare il tempo a madre e figlia di porre altre domande in merito, la moglie del Signore Oscuro estrasse dalla borsa un oggetto alquanto singolare; un oggetto che, per forza di cose, portò tutti i presenti a pensare ad un determinato tipo di uomo, uomo che guarda caso, mancava da due giorni all’appello.
“U-una bussola?!” chiese Emma, corrugando la fronte.
L’oggetto, tenuto tra le piccole mani della bibliotecaria di Storybrooke, appariva come qualcosa di compatto. Il materiale, simile al legno laccato, appariva decisamente invecchiato e consunto dal tempo; soprattutto la parte superiore in vetro bombato e leggermente scheggiato.
Senza attendere alcuna richiesta, la castana aprì il coperchio mostrando la riproduzione di una mappa stellare e il classico disco della bussola.
Al contrario di come ci si sarebbe aspettato, però, l’ago di quella bussola non indicava il nord, ma continuava a ruotare in senso antiorario e orario, ad una velocità incontrollata, senza sosta, bloccandosi di tanto in tanto solo per cambiare senso di marcia. *
“Direi che non funziona…” esclamò Eva, alzando il sopracciglio destro.
“Oh ti sbagli…funziona benissimo!”
Sorridendo con fare soddisfatto, Belle posò la bussola tra Emma e la figlia, sopra al bancone ormai infreddolito dalla temperatura serale.
“Questa non è una normale bussola. A differenza delle altre, questa non indica il nord…”
“L’ho notato…”
“Già…ma quello che non hai notato è che il suo ago punta nella direzione in cui si trova ciò che più desideri..”
“Come il guanto di Camelot!”
“Ehm…non esattamente…” spiegò Belle, rivolta verso Emma ed Eva “…il guanto conduce verso il punto debole di qualcuno. Questa bussola, invece, indica l’esatta posizione di chi o di cosa vogliamo trovare in questo momento!”
“Quindi possiamo usarla per trovare Killian….perchè non ce l’hai portata subito!”
“Bè…a parte che non hai idea del numero di oggetti che Tremotino teneva in quel negozio…ma la bussola, purtroppo, ha un punto debole…”
“E sarebbe?!”
“La bussola può trovare chiunque tu voglia…a meno che….a meno che non si tratti di qualcuno che ami!”
“Che cosa?!” sbottarono madre e figlia in sincrono.
“Già…almeno così dice il libro…” continuò a spiegare Belle, estraendo il volume in questione dalla borsa capiente “…pensavo non fosse corretto ma dal momento in cui l’ho tenuta in mano…ha cominciato a dare di matto…e purtroppo in questo momento non riesco a fare a meno di sgomberare la mente da qualcuno in particolare…”
Lanciando all’amica uno sguardo di comprensione, Emma prese in mano l’oggetto, osservandolo con attenzione e pensando con intensità all’unica persona in grado di popolarle la mente e il cuore. Improvvisamente la freccia si bloccò di colpo, creando un forte senso di speranza nel cuore della Salvatrice e della figlia. Tale sentimento, però, ebbe vita breve, in quanto, celere e insensibile, la freccia ritornò a vorticare su se stessa, senza alcun controllo.
“Direi che il libro la sa lunga…” borbottò Eva, sedendosi nuovamente sullo sgabello con fare rassegnato.
Eva aveva ragione. Il libro non aveva mentito sul reale utilizzò della bussola; ma, seppure in un primo momento un pensate senso di delusione si impossessò del cuore dello sceriffo di Storybrooke, improvvisamente, tenue e delicata come una candela appena accesa, un’insolita e geniale idea fece capolinea nella mente della bionda.
“La bussola non può portarci da chi amiamo…giusto?!”
“Esatto…” le rispose Belle con un sorriso, felice di notare con che velocità Emma fosse giunta alla sua stessa intuizione.
“Quindi immagino che…possa portarci da chi odiamo in questo momento!”
Comprendendo dove volessero andare a parare le parole della madre, Eva si ritrovò ad emettere uno dei suoi sorrisi canzonatori, gli stessi che riuscivano terribilmente a rievocare quello del giovane capitano dall’uncino incantato.
“Non so voi…ma personalmente c’è qualcuno che odio da un po’ di tempo!” esclamò Eva, alzandosi dallo sgabello e stringendo con forza le labbra.
 
 
***
 
In un futuro poco lontano….nella Foresta Incantata
 
 
“Tu…tu eri il suo arciere?!
La voce squillante di Eva echeggiò in tutta la foresta, riuscendo a spaventare la maggior parte delle creature rintanate nelle loro tane, involontarie spettatrici di quanto stava accadendo in quel luogo sperduto e sconosciuto a chiunque.
“Sì…” esclamò il figlio di Regina, senza posare per un solo istante lo sguardo sulla mora.
“M-ma…sono dei banditi…tu…eri uno di loro?!” continuò la giovane, guardandolo con sguardo sconcertato.
“Sbaglio o mi sta giudicando la figlia di un pirata!” le rispose, fulminandola con lo sguardo.
“Che centra…io non ci sono mai salita su una nave!”
“Dubito serva davvero una nave per essere un pirata!”
“Ehi ehi ragazzi…non litigate davanti a me; non sono interessato ai vostri screzi!” si intromise Phil, avvicinandosi di qualche passo ai due ragazzi, facendo tintinnare le pesanti collane d’oro che portava al collo “…Che ne dite di parlare di qualcosa di più interessante!”
“In effetti mi sembra di avertelo già chiesto Phil…che vuoi?!” esclamò Jake, rivolgendo la sua attenzione all’uomo davanti a loro, senza però mai perdere il contatto con il braccio sottile della ragazza al suo fianco.
“Semplice…voglio proporvi un affare!”
“Affare suona tanto come accordo…e noi non facciamo accordi!” esclamò velenosa Eva, il cui sapore del sangue non era ancora svanito dalla sua gola, ricordandole con estrema chiarezza a chi doveva la maggior parte dei lividi che portava su di sé.
“Oh…ma davvero….poco fa non mi sembravi della stessa idea!”
Sussurrandole quella frase all’orecchio, il giovane Jake riuscì a far sussultare la figlia della Salvatrice, la quale non riuscì a controllare l’improvviso aumento del battito del suo cuore.
Perché le aveva rivolto quella frase? Perché continuava a guardarla come una volpe davanti a qualcuno di estremamente stupido? Che si riferisse a qualcosa in particolare?
Possibile che l’avesse vista con…
NO.
Era impossibile.
“Bè…non credo siate nella posizione di poter dettare legge!” continuò l’uomo dagli abiti decisamente poco ricercati.
“Non ci stai minacciando, vero Phil?!”
“Oh ma stai scherzando? Non lo farei mai….non sono così stupido da minacciare il figlio della Regina Cattiva….sarò nato in mezzo ai maiali, ma vanto un certo intelletto!”
“E allora che vuoi?!” sbottò Eva, per la prima volta per nulla irritata da quelle mani forti e ben salde intorno al suo braccio.
“Voglio proporvi un….uno equo scambio di favori!” esclamò Phil, facendo ben attenzione a non esclamare nulla che potesse avvicinarsi a termini come accordo o patto “…voi aiutate me e io aiuterò voi!”
“Ma noi non abbiamo bisogno di aiuto…ce la caviamo benissimo da soli!” gli rispose Jake, porgendogli un ghigno sicuro, come amava mostrarsi durante la maggior parte del tempo.
“Certo…si vede. Ma dimmi…a chi devi quella sanguinante ferita alla testa, ragazzo?!”
“Un errore di distrazione…è stato un pomeriggio impegnativo!”
Evitando di incrociare lo sguardo con la figlia di Emma, Jake non perse mai di vista il volto dell’uomo davanti a lui, pensando al contempo al modo migliore per uscire da quella situazione.
Ricordava bene che genere di uomo fosse Phil e se aveva in mente un qualche tipo di idea, difficilmente se la faceva sfuggire da sotto il naso; a maggior ragione se avesse scoperto chi era in realtà la ragazza al suo fianco. Le cose si sarebbero complicate non poco.
Dal canto suo, Eva non riuscì a contenere l’improvvisa sensazione di mortificazione sbocciata dentro al suo petto. Dopotutto, era lei la causa di tutto. Del patto con Tremotino, dell’aver messo fuori uso il braccio dell’arciere di quel bandito finendo con l’irritare Phil; dell’aver completamente distrutto la radura dove risiedeva l’Alleanza. Da qualsiasi punto la si volesse guardare, lei era un danno per chiunque le stesse vicino. Non importava quanto tentasse di volare a bassa quota o che tentasse in tutti i modi di fare la cosa giusta; lei finiva sempre per prendere la decisione sbagliata; e andare alla ricerca della sua collana mettendo fuori combattimento Jake era stata una di quelle.
Lui, in fin dei conti, voleva solo portarla in salvo. Certo, le sue maniere non erano mai delle più gentili e, probabilmente, se avesse usato altri modi lei non lo avrebbe colpito con quel ramo; ma era pur vero che, se avesse continuato ad impedirle di cercare la sua collana, lei avrebbe comunque fatto quello che credeva, finendo per tradirlo alla prima occasione.
Lei era una persona rotta ormai. Una persona dall’animo danneggiato che, qualsiasi fosse stata la scelta che avesse preso, avrebbe finito con lo scegliere la via più oscura. E la piega che aveva preso la sua magia ne era una chiara dimostrazione.
Lei non era Emma Swan. Lei non era la Salvatrice di cui tutti avevano bisogno.
Lei era solo Eva.
“Un errore di distrazione?! Strano…pensavo niente potesse distrarti Jaky!”
“C’è sempre una prima volta…”
“Già…ma, lasciatelo dire…non hai per niente una bella c’era!” continuò l’uomo robusto con noncuranza, come se stesse parlando del tempo, ritornando a mordicchiarsi l’unghia del pollice e camminando con noncuranza lungo quel piccolo spazio offerto da Madre Natura “…dimmi, ti gira la testa?” gli chiese, posando lo sguardo su di lui, sorridente come una faina di un succulento pasto invernale “…Per quanto tempo pensi di reggerti ancora in piedi?.....e la giovane fanciulla accanto a te quanto durerà, vestita in quel modo…bagnata e ferita come un gattino in mezzo alla strada!?.....Io vi do…mmm…diciamo un’ora, o forse due…ma solo perché sei tu!” concluse, con lo stesso ghigno sicuro.
Stringendo forte la mascella, Eva cominciò ad odiare con tutto il cuore quell’uomo dal mento insipido e dai denti sporchi come non mai.
Che diavolo stava dicendo? Lei non si sentiva affatto un gattino in mezzo alla strada e Jake di sicuro non aveva…
Nell’esatto istante in cui gli occhi verde giada della giovane si posarono sul volto del figlio di Robin Hood il suo cuore perse un battito.
Come aveva fatto a non accorgersene prima? Come aveva fatto a non notare il pallore di Jake?
Dire che aveva una brutta c’era era, a dir poco, un eufemismo. Non avrebbe saputo dire se fossero più scure le iridi o il contorno dei suoi occhi. Il rivolo di sangue, sceso pochi minuti prima dalla sua fronte mentre teneva sotto tiro Tani, sporcava ancora la sua pelle leggermente abbronzata, mettendo ancora più in risalto le ferite riportate durante la lotta con i soldati alla radura. I capelli erano ancora umidi, così come i vestiti, ormai sporchi e strappati in più punti. E le labbra….se non fossero state sporche del sangue secco, sarebbero apparse ancor più pallide della pelle.
Era esausto. E, proprio in quel momento, Eva Jones si accorse di un particolare decisamente rilevante: quella mano sporca di terra stretta al suo braccio non era il suo solito monito “non scappi da nessuna parte”; era l’unico appiglio che manteneva Jake in posizione eretta. Era l’unica cosa che lo teneva lontano da uno svenimento al suolo.
Nell’esatto istante in cui quel pensiero le sfiorò la mente, Eva sentì lo stomaco stringersi in una morsa senza eguali. Come aveva fatto a non accorgersene prima?
D’istinto, la giovane Jones si ritrovò a desiderare con tutta se stessa di cingere la vita del ragazzo al suo fianco, sperando di avere la forza necessaria per tenerlo in piedi. Ma non lo fece; dimostrandosi, per l’ennesima volta, vigliacca come pochi dal punto di vista sentimentale.
Non che Jake avesse qualcosa a che fare con i suoi sentimenti, ovviamente.
Ad ogni modo, Phil aveva ragione; da soli, in quelle condizioni, non avrebbero superato la notte e, per quanto gli scocciasse ammetterlo, avevano bisogno di un posto dove dormire; possibilmente un posto diverso dal cielo stellato come parete.
Quanto ci avrebbero messo le guardie di quella maledetta strega a raggiungerli e ad ucciderli sul posto? Decisamente meno della morte stessa.
“Arrivi al punto o questo tuo monologo durerà ancora per molto?!” chiese Eva, fingendo di non sentire lo sguardo infuocato proveniente da Jake.
Improvvisamente, Phil scoppiò in una fragorosa risata senza eguali, quasi avesse sentito una barzelletta a cui era impossibile resistere.
“Oddio…questa ragazza è uno spasso. Molto più di te Jaky…” borbottò tra le risa l’uomo, facendo qualche passo in avanti e fermandosi a soli pochi passi da loro “Bene….la mia proposta è questa: sono pronto a darvi ospitalità per qualche giorno. Avrete vitto, alloggio…cure mediche e abiti puliti…pure qualche arma, se continui ad essere così simpatica e a non mettere fuori combattimento i miei uomini!”
“E in cambio cosa vuoi?!” esclamò Jake, il cui tono di voce cominciava a divenire via via sempre più affaticato.
Chissà quanto sarebbe resistito. Dargli due ore era stato decisamente un favore.
“Niente di complicato…ovviamente. Diciamo che…in cambio dovrai fare una piccola cosa per me…come ai vecchi tempi!”
Un silenzio pesante si abbassò tra i presenti, spezzato unicamente dal frusciare del vento contro la spessa vegetazione, verde e fluente.
Nel momento in cui Eva alzò lo sguardo in direzione di Jake, questi fece lo stesso, non riuscendo a fare a meno di stringere con forza le labbra rosee.
“Oh…parlatene pure tra di voi!” esclamò Phil, esternando la tipica comprensione concessa solitamente da un amico.
Sorridendogli freddamente, Jake aumentò la stretta al braccio di Eva, invitandola, senza troppa delicatezza, a dare le spalle al bandito e ad allontanarsi di alcuni passi da lui e i due banditi, rimasti immobili al loro posto, come solo un buon soldato sapeva fare.
“La pensiamo allo stesso modo vero?” sussurrò Jake, guardando di sottecchi la figura di Phil, intento a strappare la lama del pugnale dalla mano del suo arciere.
Un incontrollato urlo di dolore echeggiò ovunque, spaventando, per l’ennesima volta, i poveri animali della foresta.
“Sì…direi di sì!” esclamò Eva di rimando, sicura che la mente del ragazzo davanti a lei corresse verso la sua stessa direzione.
“Bene…” esclamò il giovane Mills, non riuscendo a nascondere lo stupore di fronte a quell’improvvisa ed insolita sintonia “…allora ascolta…al mio tre inizi a correre verso sud. Non guardarti indietro…non osare aspettarmi o qualche sciocchezza simile. Io colpirò Tani con una delle frecce….Phil non si metterà di certo a correrci dietro. Possiamo distanziarlo senza…”
“Frena frena frena….” lo interruppe Eva, mettendo le mani avanti e corrugando la fronte con fare contrariato “…ritiro tutto…non la pensiamo allo stesso modo!”
“Chissà perché ma la cosa non mi stupisce!”
“….Tu non vuoi accettare?!”
“Perché tu sì?” le chiese il ragazzo, alzando le sopracciglia scura, come di solito faceva suo padre.
“Certo che sì…non ti reggi in piedi…”
Infastidito da quella frase, Jake lasciò subito andare la mano dal braccio di Eva, fulminandola con lo sguardo, forse per la decima volta in poche ore.
“Io mi reggo in piedi benissim…”
Jake non riuscì a completare la frase che, un improvviso capogiro, iniziò ad annebbiargli la testa, obbligandolo, contro la sua volontà, ad accettare l’aiuto di quelle braccia sottili e di quelle mani fredde e sicure, pronte a tenerlo in piedi, seppure con qualche difficoltà.
“Dicevi?!”
Maledizione.
Per quanto odiasse ammetterlo, Eva aveva ragione. Anche il solo stare in piedi gli richiedeva una dose incredibile di energia; energia che, ovviamente, pareva non essere a disposizione al momento. Come avrebbe fatto a scoccare la freccia verso Tani e a correre in mezzo alla foresta con Eva? Persino Phil, con quel suo fisico per nulla allenato, sarebbe riuscito a raggiungerlo.
“Dobbiamo accettare la sua proposta….” continuò Eva, fissandolo con quei suoi meravigliosi occhi verdi che, sebbene continuasse ad ignorarlo con tutto se stesso, riuscivano ad accendere qualcosa di sconosciuto dentro di lui “...abbiamo la possibilità di darti una ripulita e di venire guarito…
“Forse non lo sai….ma non è che tu sia messa molto meglio di me…” le fece sarcasticamente notare Jake, corrugando lo sguardo a sua volta.
“Stai davvero mettendo in discussione la mia bellezza Jake?...No perchè pecco leggermente di presunzione e questo non mi sembra il momento adatto per affrontare la questione…”
Jake alzò gli occhi al cielo, non riuscendo a trattenere del tutto il velo di un sorriso su quel volto stanco, ma sempre ed irrimediabilmente sicuro di sé.
Non erano decisamente la coppia meglio assortita del mondo, ma dovevano aiutarsi a vicenda e quello non era il momento migliore per lasciarsi invadere dalla reciproca antipatia; o sarebbe stato più corretto dire, univoca antipatia.
“Accettiamo Jake…tanto al massimo ti chiederà di rubare qualcosa no?”
“Già….il problema è a chi vuole che io lo rubi!”
“Oh…già…” sollevò il capo la castana “…e a chi?”
Rimproverandosi mentalmente per aver dimenticato un simile dettaglio, Eva ricordò quanto detto da Jake poco prima.
“Aspetta…lui…lui è un Cacciatore di Orchi….”
“Esatto…”
“Quindi anche tu Cacciavi gli orchi…”
“Sbaglio o sta riaffiorando il tono accusatorio!”
“Ok ok…non sto accusando…ho solo fatto una constatazione!” si giustificò Eva, sebbene con scarsi risultati “….quindi, quei banditi uccidono gli orchi!”
“Non esattamente….loro puntano ai tesori degli orchi!”
“E da quando gli orchi rubano i tesori?!”
“Da quando hanno iniziato a collaborare con i Troll!”
“ahaha…stai scherzando?!”
“Ti sembro il tipo che scherza?”
“No…ma un po' di umorismo non ti farebbe male…” borbottò sotto i denti Eva, conscia di non essere stata abbastanza delicata nell’usare un tono di voce basso “…ma lo sanno tutti che i troll non lavorano con altre creature”
“Già…ma l’arrivo di Morgana ha un po' destabilizzato le certezze della vita, non credi?!” sottolineò Jake, fissandola con quei suoi magnetici occhi scuri.
Maledizione…quanto erano belli; possibile che delle iridi umane potessero apparire tanto scure quanto luminose?
Per quanto fosse impossibile da ammettere a voce alta, quelli erano gli occhi più belli ed espressivi che avesse mai visto.
“Eva…” la richiamò il giovane, non riuscendo, questa volta, a contenere il sorriso.
“S-sì…”
Doveva iniziare a darsi un contegno sul genere di pensieri che la sua mente si divertiva a partorire; soprattutto quando si trovava di fronte a quell’idiota.
“Negli ultimi dieci anni, i troll hanno iniziato a collaborare con gli orchi…e non solo. Attaccano i castelli e le roccaforti dei principi e dei nobili…e se ne impossessano...Nei paraggi avranno almeno cinque castelli…o torri sotto il loro controllo…”
“Hai detto che lavorano con gli orchi…e non solo…”
“Oh sì…ovviamente i troll passano dalla parte vincente…come hanno fatto con mia madre a suo tempo…”
“…quindi lavorano…lavorano per Morgana…”
“Vedi?             Quando vuoi sei pure intelligente…”
“Già…bellezza e intelligenza vanno di pari passo!” esclamò Eva, porgendogli un sorriso di circostanza “…ma perché Phil e gli altri continuano a chiamarsi Cacciatori di Orchi se non cacciano gli orchi?!”
“oh ma la maggior parte delle volte li cacciano…solo che lo fanno dopo aver preso quello che gli serve!”
“E tu…tu eri il loro arciere….pensi voglia chiederti di riprendere quel posto?!”
“Certo che lo vuole…non è mai stato molto felice del mio ritiro!”
Corrugando nuovamente la fronte, Eva puntò lo sguardo sull’uomo a pochi metri da loro, il quale se ne stava ritto in piedi con le braccia incrociate davanti al petto, pronto a conoscere la risposta dei due giovani.
“Ehi ragazzi…non abbiamo tutto il giorno!”
“Potrei usare la magia…e portarci via da qui…” sussurrò Eva, senza staccare lo sguardo da quell’uomo privo di sani principi.
“Non pensarci nemmeno…” ringhiò Jake, obbligandola a guardarla strattonandole la spalla “…hai promesso che non avresti più usato la magia…”
“Io non ho promesso un bel niente…”
“Bè fallo adesso…” esclamò il giovane, continuando a fissarla con quei suoi occhi coraggiosi “…prometti che non userai la magia. Non hai visto cosa ti ha fatto fare a Diletta?...non sei più tu quando la usi…pensi solo a distruggere e ad uccidere chi hai davanti…”
“Con Diletta non sarebbe stato un male non credi?!”
“La stavi per uccidere quando ancora non sapevamo chi fosse…” le ricordò, quasi a malincuore “…la magia non porta a niente di buono!”
“Tua madre usa la magia…e pure Rowan…”
“E secondo me sbagliano entrambi!....La magia porta solo guai…cambia le persone, le rende egoiste e subdole. Come Morgana…”
“:..come me…”
“No…non come te…” esclamò d’istinto, arrivando a stringere nuovamente la presa su quella spalla ormai familiare “…tu non sei…non sei così…ma quando usi la magia…sei diversa…e io non voglio che…che tu cambi!”
Improvvisamente il tono di voce si fece basso ed entrambi, avvolti da un silenzio impossibile da spezzare perfino dal leggero soffio del vento, si ritrovarono a fissare l’uno le iridi dell’altro.
“Promettimi che non userai la magia…” le sussurrò, senza mai staccare lo sguardo da lei.
“…potrebbe metterci in salvo…”
“:..e portare Morgana dritta da noi!”
“Lei sa già dove siamo Jake…”
“Non ne siamo sicuri…” continuò “…e non possiamo rischiare. Promettilo…”
“Se tu prometti che andremo a cercare la mia collana…”
Per un attimo Jake corrugò le labbra, catturando su di sé lo sguardo ipnotico di Eva.
“…ok…una volta risolte le cose con Phil…ti prometto che andremo a cercare la tua collana…”
“Ehilaaaaà…Io avrei un sacco di cose da fare!”
Lavarsi non rientrava tra queste, ovviamente.
“…e io ti prometto che non userò la magia nera!”
 
 
 
***
 
 
Erano trascorse più di 48 ore da quando Morgana aveva deciso di svanire in una nuvola di fumo tossico, minacciandolo per l’ennesima volta di una morte lenta e dolorosa se non avesse portato a compimento il suo lavoro.
Un lavoro semplice e fattibile anche per una mente poco eccelsa come la sua; queste erano state le sue chiare e fredde parole. Tenere la sua bacchetta, la bacchetta del presente, lontana dalla grinfie degli eroi e delle fate, le quali, in quel momento, sembravano essere troppo occupate a trovare la giusta sistemazione all’interno di un cappello magico piuttosto che fare la guardia alla bacchetta.
In fin dei conti, tenere quel sottile ramo in legno, ricurvo e antico, al sicuro dentro a quello scantinato, non doveva essere una cosa poi tanto difficile da fare.
Tutti gli eroi erano decisamente impegnati in una ricerca che mai e poi mai li avrebbe condotti dove volevano, ovvero nel luogo in cui Morgana aveva nascosto il pirata. E più cercavano e più si allontanavano dal luogo in cui era rinchiuso; com’era quel detto?! Ah già….l’essenziale è invisibile agli occhi.
Che donna astuta era la sua padrona; aveva attirato i figli della Salvatrice e l’uomo che amava all’interno di una trappola che, perfino lui, aveva faticato ad indentificare come tale.
Eppure, nonostante la malvagità e la collera che continuavano a defluire da quelle labbra pallide e marmoree, simili a quelle di un cadavere in grado di camminare sul terreno dei viventi, Ector non riusciva a fare a meno di provare profonda ammirazione per Morgana. Lei era così forte, così sicura delle sue capacità, così coraggiosa, da non lasciarsi spaventare da nulla, nemmeno dalla Salvatrice e dalla sua orribile famiglia.
Certo, era una donna strana, ma questo, ovviamente non glielo avrebbe mai rivelato.
La Fata, in più di un’occasione, aveva dimostrato di essere controllata e ferma quando la situazione lo richiedeva; ma instabile e collerica quando nessuno, nemmeno lei stessa, sembrava realmente aspettarselo. Non vi era stabilità in quel corpo. Gioia e dolore andavano di pari passo, rendendola così simile ad un vulcano in piena eruzione da far temere a chiunque di starle accanto. Persino a lui.
Ma la cosa importante era un’altra, la cosa importante era il piano della Fata Oscura. Morgana, infatti, sarebbe riuscita laddove qualunque cattivo aveva fallito. Avrebbe vinto, avrebbe distrutto ogni lieto fine, ogni briciolo di speranza dal cuore di quelle persone così egoiste da vedere solo loro stessi.
E lui…lui l’avrebbe aiutata in questo. Le visioni del suo futuro parlavano chiaro.
Era stanco di essere uno smidollato senza alcun valore. Voleva essere forte e potente; voleva venire ricordato ed invidiato da chiunque si ritrovasse a pronunciare il suo nome.
Ector il Grande.
Non c’era che dire, suonava alla perfezione.
Ma in quel preciso momento, purtroppo, nessuno ricordava chi fosse, nessuno sobbalzava al suono di quel nome tanto comune. Ector.
Nessuno conosceva la sua faccia, meno che meno gli eroi di quella città.
Grazie a Morgana, però, quella situazione avrebbe avuto vita breve. Tutta Storybrooke, tutta la Foresta Incantata lo avrebbe temuto come doveva.
Ma allora perché quella sensazione? Perché continuava a pentirsi di quella scelta dettata dall’avarizia e dall’arroganza?
Che fosse il luogo in cui era stato recluso a portarlo a dubitare delle sue scelte? Che fosse la paura di incorrere nella collera di Morgana e di ritrovarsi a vivere un futuro ancora più orribile dell’anonimato a cui era sempre stato destinato?
Possibile. Ma non sarebbe bastata un po’ di insicurezza per farlo tornare sui suoi passi. Lui sarebbe divenuto qualcuno, qualcuno di importante e che tutti avrebbero ricordato, prima tra tutti la famiglia di Emma e di Regina..
Quando Morgana, tre notti prima del suo reale arrivo a Storybrooke, gli era apparsa in sogno, lo aveva letteralmente conquistato con la sua crudele bellezza e con la dimostrazione tangibile di quanto avrebbe ottenuto aiutandola. Vedersi in un futuro non troppo lontano, a capo di un intero esercito di mostri provenienti dal più terribile degli incubi, lo aveva fatto sentire come mai si era sentito in tutta la sua vita.
Vivo.
Per non parlare di ciò che aveva provato nel vedersi parte attiva nella discesa verso l’oscurità di quella piccola e odiosa figlia della Salvatrice e del pirata; vedere come l’aver messo fine alla vita del suo Vero Amore l’aveva resa debole e inutile come, neppure in cuor suo, credeva di essere.
Non doveva temere il fallimento. Lui era destinato a vincere.
Probabilmente, quell’improvviso senso di smarrimento era dovuto all’assenza del suo cuore, tenuto al sicuro da Morgana.
Nel momento in cui Morgana lo aveva fatto uscire dall’obitorio, aveva cominciato a sentirsi diverso, meno entusiasta rispetto a quel piano a dir poco infallibile. Dopotutto, però, era quello che accadeva quando si veniva privati del proprio cuore, giusto? Le sensazioni subivano una sorta di modifica, si diveniva mento entusiasti, meno vivi.
Eppure sapeva di non dover temere per la sua vita; dopotutto, era stata la stessa Fata Oscura a mostrargli in quante occasioni si fosse rivelata utile la sua presenza.
Lei ci teneva a lui e questo era un dato di fatto.
Ritrovandosi a sorridere con fare soddisfatto, Ector si sedette di fronte ad un tavolo in legno, ormai del tutto rovinato dai segni del tempo e dell’umidità. Perfino il poco cibo sopra di esso, la cui provenienza continuava a rimanere dubbia, pareva aver assorbito in poco tempo l’aria stantia di quello scantinato, dimenticato da chiunque.
Sopra al tavolo vi era una piccola custodia in legno, sigillata con estrema accuratezza dalla magia della Fata; e, al suo interno, vi era la bacchetta, ciò che doveva difendere con la sua stessa vita.
Appoggiandosi sopra allo schienale e cominciando a dondolarsi sulla piccola seggiola in plastica bianca, Ector emise un sospiro annoiato.
Rimanere rinchiuso lì dentro era davvero difficile e terribilmente noioso. In fin dei conti, a chi sarebbe saltato in mente di venire lì?
A nessuno, ovvio. Sicuro come l’oro, nessun eroe avrebbe mai varcato…
L’improvviso boato emesso dallo sbattere della porta che conduceva alla cantina, fece perdere l’equilibrio dell’uomo dal fisico robusto, il quale si ritrovò scaraventato a terra dal suo stesso peso, facendo allontanare di qualche passo la sedia su cui era rimasto seduto fino a quel momento.
“Argh…” mugugnò l’ex meccanico dai capelli chiari, cercando di recuperare l’equilibrio issandosi sui gomiti “…S-Signora siete vo…”
“Spiacente…ma Morgana aveva da fare!”
Paura.
Nell’udire quella voce sarcastica, un’improvvisa e soffocante sensazione di paura, invase completamente la mente di Ector, nonostante poco prima avesse ricordato a se stesso quanto si sentisse emotivamente svuotato dall’assenza del suo cuore.
Non poteva essere, non potevano averlo trovato. Lui era al sicuro; Morgana aveva pensato a tutto pur di rendere quella casa impossibile da trovare. Era stata proprio a lei a dirglielo.
Ma allora perché erano lì davanti a lui?
Sconvolto da quell’’improvvisa e decisamente inaspettata entrata di scena, Ector si lasciò cadere di schiena, cercando di arretrare di qualche passo facendo nuovamente presa suo gomiti e iniziando a retrocedere come un piccolo gambero di fronte a due squali decisamente poco benevoli.
Perché davanti a lui vi erano le due donne più potenti di tutta Storybrooke; due donne che nessuno avrebbe voluto come nemiche, soprattutto se alleate: Emma e Regina, con tutta la loro straordinaria magia.
“Che bel posticino…non ricordavo di averlo creato l’ultima volta!” esclamò ironica Regina, avvicinandosi letale alla sua preda, consapevole dell’effetto che avrebbe giocato sull’uomo steso a terra il rumore emesso dai suoi costosissimi tacchi neri, a contatto con il pavimento in roccia.
“I-io non capisco…” balbettò Ector, spostando lo sguardo sconvolto dalla figura elegante del sindaco di Storybrooke a quella dura e impenetrabile di Emma Swan.
Quella era la sua fine. La Salvatrice era lì, davanti a lui, intenta a stringere in una mano quella che pareva essere una bussola piuttosto antica.
Emma. La stessa donna a cui Morgana aveva sottratto l’uomo della sua vita e portato alla quasi totale oscurità la figlia; lei era proprio davanti a lui, pronta a tutto pur di ottenere ciò che voleva.
Un velo di sudore cominciò ad imperlare la fronte dell’uomo, il quale, contro la sua volontà si ritrovò ad inumidire le labbra ormai tremanti, divorato dalla consapevolezza che fosse ormai giunta la sua fine.
Ma com’era potuto succedere? Morgana gli aveva assicurato che la sua sarebbe stata una vita lunga e gloriosa. Nessuno, nemmeno la potentissima magia bianca di Emma avrebbe potuto fare qualcosa contro il suo successo.
Possibile che avesse mentito? Possibile che…
No, non poteva essere. Nulla di tutto ciò giocava a favore di Morgana; non quando in quella stanza, a pochi metri dalla figura delle due donne, se ne stava la bacchetta contenente il grande potere della Fata.
Già…la bacchetta; doveva difenderla ad ogni costo.
Facendo riferimento alla piccola scorta di coraggio a sua disposizione, Ector si alzò di scatto, dirigendosi con passo malfermo verso la tavola in legno su cui, pochi istanti prima, aveva posato il suo sguardo spento.
Ma, come accadeva ogni qualvolta il tempo decidesse di scorrere celere e insensibile, ogni cosa subiva un cambiamento; alle volte piccolo, alle volte visibile e consistente, come la sparizione di una lunga scatola in legno, contenente l’unica cosa in grado di tenerlo in vita, al sicuro dalla collera di Morgana.
“Oh no…”
“Cercavi questa?!” esclamò soddisfatta la voce inconfondibile dello sceriffo di Storybrooke.
Voltandosi con fare tremante, Ector vide la scatola in questione nell’altra mano guantata di Emma, la quale non riuscì a controllare un leggero ghigno soddisfatto; come accadeva spesso in passato, quando ancora rivestiva il ruolo di cacciatrice di taglie e guardava negli occhi le stupide lepri che catturava.
Allargando le iridi ormai gonfie di terrore, Ector si bloccò sul posto, spalancando la bocca in un modo così patetico da renderlo ancora più goffo di quanto fosse apparso la prima volta che Emma lo aveva visto.
 “Voi….voi non capite io…”
“Oh ma io capisco benissimo…” esclamò velenosa Regina, alzando con sicurezza la mano destra e sbattendo, con la sola forza del suo potere, il corpo dell’uomo addosso alla parete “…diciamo che hai scelto di gareggiare dalla parte sbagliata del campo! Che ne dici?!”
Stringendo con forza le sue carnose labbra rosse, Regina strinse la stretta invisibile sulla giugulare dell’uomo, il quale si ritrovò ben presto a sbiancare in seguito ad un improvviso e incontrollato senso di soffocamento, lo stesso a cui la giovane Eva lo aveva sottoposto poco dopo l’arrivo di Morgana a Stroybrooke.
E, proprio come era successo quella notte, l’intervento di Emma Swan allontanò la sua fine, facendolo però sentire meno soddisfatto di quella prima volta; perché, per quanto cercasse di zittire quella voce nella sua testa, qualcosa gli diceva che, se la bacchetta fosse uscita da quella cantina, il destino glorioso promessole da Morgana avrebbe avuto vita breve.
“Fermati Regina…non erano questi gli accordi!”
 “Lo so…ma ora che abbiamo la bacchetta di Morgana, qualcosa mi dice che il ritrovamento di Uncino non sia più così impossibile! Eva apprezzerebbe…tu che ne dici…traditore?”.
Continuando a tenere l’uomo sollevato da terra, Regina non diede il minimo cenno di voler allontanare la presa da quel collo grassoccio, sicura che quel sudicio uomo nascondesse un futuro a dir poco dannoso per loro.
E purtroppo, per quanto fosse spiccata la sua intelligenza, non avrebbe mai potuto immaginare quanto.
“Già…ma l’ultima cosa che voglio è che mia figlia pensi che l’oscurità sia una cosa buona…Regina” esclamò Emma, avvicinandosi di un passo e puntando il suo intenso sguardo verde sul volto dell’amica.
Dopo aver incrociato per un istante i suoi intensi occhi scuri su quelli di Emma, Regina allontanò il suo potere dal corpo scosso di Ector, non risparmiando, però uno dei suoi consueti sospiri irritati alla Salvatrice.
“Io, se fossi in te, non proverei a fuggire….” gli suggerì gelida la Mills, inchiodando l’uomo con la sola forza dello sguardo “…qui fuori c’è la figlia dell’uomo che avete rapito…e non penso sia una tua grande fan visto la fine che ha fatto fare al tuo cuore, l’ultima volta…”
“A proposito…com’è possibile che tu sia vivo?...ti abbiamo visto morire…” gli chiese Emma, per nulla morbida.
“I-io non…”
“e dove si trova Uncino?”
“…io…”
“Parla!” tuonò Regina, collerica.
“io..non so davvero di cosa…”
Con la stessa celerità con cui Regina lo aveva inchiodato alla parete, Emma schiacciò il corpo robusto del servo di Morgana al muro, stringendogli la trachea con la forza del suo avambraccio.
“Senti Eddy…”
“Ector…” la corresse Regina, sollevando un sopracciglio “…e meno male che non erano questi gli accordi!”
“…a me non importa che cosa Morgana ti abbia promesso o perché tu abbia deciso di voltare le spalle alla tua gente…condannandola a morte…” gli sussurrò Emma, avvicinando il suo volto a quello sudato di lui “….ma sta di fatto che tu rappresenti una delle persone che mia figlia odia di più al mondo…e  questo basterebbe a convincermi a lasciare che Regina faccia di te ciò che vuole!”
“E credimi…in fatto di torture vanto una certa esperienza!”
“Quindi…vediamo se sei davvero una persona intelligente…”
“I-io non voglio…io non voglio morire!”  gorgogliò l’uomo a fatica, cercando di inalare una piccola riserva d’aria alzando il volto.
“Bene…allora parla!” lo incitò Emma, allentando leggermente la presa su Ector.
“Se…se parlo Morgana mi ucciderà!”
“Vedila così….se non parli morirai per mano mia…e non credo che la cosa ti piacerà…”gli spiegò seria Regina, incrociando le braccia davanti al petto “…ma se invece ci aiuterai, potremmo farti rientrare nel primo programma –Protezione Testimoni- di tutta Storybrooke!”
“Tu…tu non sei più…una cattiva…non puoi uccidermi!”
“Ne sei davvero certo?!” lo sfidò Regina, sorridendo in un modo talmente sicuro da far sentire in dubbio la stessa Emma.
Dopo un momento di silenzio, Ector si ritrovò a pregare per la sua anima, sempre se ne conservasse ancora una. Cosa sarebbe successo se avesse tradito Morgana? Lei lo avrebbe ucciso? Lo avrebbe fatto pentire di aver intralciato la sua strada?
Probabilmente sì…o forse…
O forse no.
In fin dei conti, gran parte delle cose di quel passato erano già accadute; le probabilità che, anche se in condizioni diverse, Emma e gli altri fossero riusciti a sottrargli la bacchetta della sua padrona anche nel futuro, erano estremamente alte, se non certe. Eppure Morgana avrebbe vinto ugualmente e, cosa ancora più importante, lui sarebbe rimasto in vita e avrebbe reso orribile la vita della prole di quelle stupide donne.
Perciò, poteva davvero chiamarsi sconfitta lo svelare il luogo in cui si trovava il pirata e lasciare la bacchetta nelle loro mani?
Decisamente no.
Tutto stava nel fingere con maestria, come sapeva fare piuttosto bene.
“O-ok…vi a-aiuterò…” balbettò Ector, non alzando mai il volto.
“Bene…non sei così stupido allora!?”
“Dove si trova Uncino?” esclamò di getto Emma, accorgendosi solo in quel momento di quanto la sua voce si fosse fatta alta e agitata.
“Il pirata…si trova a poche miglia da qui…nel punto esatto in cui vostro figlio l’ha visto l’ultima volta!”
“…è impossibile, Henry ci ha già condotti in quel punto della foresta….e non c’era nulla!”
“Bè…perché non avete cercato con attenzione…”
“Abbiamo setacciato quel bosco da cima a fondo…e non c’era traccia di Uncino!”
Stringendo con forza il colletto della maglia bianca dell’uomo, Emma si ritrovò nuovamente ad avvicinare il volto a quello di Ector, ignorando volutamente la paura che quel gesto infondeva negli occhi vuoti di quell’uomo.
Sapeva che quella non era la maniera più corretta di agire e sicuramente, se al posto di Regina, in quel momento, vi fosse stata sua madre, la cosa le sarebbe stata subito fatta notare. Ma in quel momento non le importava; non quando la vita di Killian era in pericolo.
Non voleva neanche pensare all’idea che fosse morto o che gli fosse successo qualcosa di orribile. Il solo immaginarlo riusciva a scaturirle una rabbia e una tristezza talmente grande da riuscire a creare una voragine infinita all’interno del suo cuore.
Che fosse quella la sensazione provata dai loro genitori quando avevano rischiato di separarsi. Che fosse per quel motivo che Biancaneve aveva deciso di dividere il suo cuore con quello di suo padre?
“P-perché…perché Morga…na…”
“Se continui a soffocarlo Emma, dubito riusciremo a capire cos’ha da dirci…”
Risvegliandosi dalle parole di Regina, Emma allentò nuovamente la presa dal collo di Ector, non smettendo, però, di fissarlo con i suoi intensi occhi colmi di rabbia.
“…Morgana ha rinchiuso Uncino all’interno di un albero…” esclamò Ector, facendo fuoriuscire l’aria finora trattenuta.
“In un albero?!” gli fece eco la Salvatrice, abbassando leggermente lo sguardo, come alla ricerca, nei meandri della sua memoria, di un dettaglio che potesse ricollegarla a qualcosa di simile.
“…e…e…io potrei portarvici!”
“Non userei il potrei….” lo corresse Regina, sorridendo con freddezza “..non hai altra scelta!”
 
 
***
 
 
Dopo aver camminato per quasi trentacinque miglia, i piedi di Eva cominciarono a risentire della stanchezza di quell’interminabile giornata, ormai del tutto ricoperta dal crepuscolo.
Non sapeva se desiderare con tutto il cuore che un nuovo giorno avesse inizio o, se arrivati a quel punto, non vi fosse limite al peggio.
Anche Jake, nonostante tentasse in tutti i modi di non darlo a vedere, cominciava seriamente a preoccuparla. Il volto, già pallido prima della partenza verso il villaggio dei Cacciatori di Orchi, ora appariva così tirato e stanco da farle dubitare di riuscire a tenersi in piedi per un'altra ora. Per non parlare degli occhi, così segnati da rendere invisibile la profonda sicurezza che, ogniqualvolta, caratterizzava il figlio di Regina.
Eppure Jake pareva non mollare; nonostante deglutisse ad ogni passo e, al minimo rumore si bloccasse e faticasse a ripartire, non dava cenno di volersi riposare, né di voler chiedere l’aiuto di Phil e Tani; tanto meno del Furetto, ancora dolorante accanto alla compagna. L’unico aiuto che accettava era quello di Eva e questo, nonostante tutto, la faceva sentire bene.
Sapeva di non piacergli; e sapeva anche che, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe preferito trovarsi con qualcun altro, qualcuno che riuscisse a non scaturire in lui un tale sentimento di odio e rancore. Ma nonostante ciò, era felice che non provasse ancora disgusto nel starle accanto, come invece aveva dimostrato di saper fare dopo la loro caduta lungo il precipizio.
Poteva essere definito un passo avanti, no?
Continuando a camminare con passo lento, Eva si lasciò trascinare da quei pensieri, ritrovandosi a chiedere, per l’ennesima volta, il motivo reale per il quale Jake continuasse ad odiarla con tanto trasporto. Alle volte temeva la risposta, nonostante la ignorasse del tutto. Possibile che gli avesse fatto qualcosa di così orribile da non riuscire a guardarla in faccia senza provare rancore? Eppure era sicura di non averlo più visto dopo la loro fuga da Storybrooke, quando ancora erano troppo piccoli per fare qualcosa di tanto orribile.
Eppure doveva essere successo qualcosa. Jake era arrogante, ma non stupido.
“Sei stanca?!” l’improvvisa voce del ragazzo, fece alzare lo sguardo della giovane Jones, la quale si ritrovò ad allontanare dal cuore quei pensieri tanto insoliti.
“Un po’…ma non credo che quei tre vogliano fermarsi…” gli rispose, facendo un cenno alle figure dei tre cacciatori, i quali camminavano con estrema tranquillità davanti a loro, decisamente sicuri di venire seguiti.
In fin dei conti Phil aveva ragione: loro avevano bisogno del suo aiuto e scappare, in quelle condizioni, sarebbe stata la scelta più stupida da fare, soprattutto con le guardie di Morgana alle calcagna.
Chissà per quale ragione non erano ancora dietro di loro. Possibile che gli altri fossero riusciti a sconfiggere Diletta?
“Ormai non manca molto…se ricordo bene superato questo tratto c’è il villaggio!”
“Per quanto tempo sei rimasto con loro?!” chiese Eva, felice di quell’improvvisa tregua creatasi tra loro.
Evidentemente l’aiutarsi a vicenda sortiva quegli effetti.
“Qualche anno…”
Per alcuni minuti la giovane stette in silenzio, cercando di chiarire nella mente quelle piccole informazioni date senza troppo entusiasmo. Quanti anni aveva quand’era arrivato? Era stato subito dopo aver abbandonato Storybrooke o molto dopo?
Lei non ricordava assolutamente di essere stata in un posto simile; Phil era di cero un tipo che non passava inosservato.
“Eri qui con i tuoi genitori?!” rincalzò Eva, accorgendosi che, lentamente, la mano di Jake aveva lasciato la sua spalla.
 “Solo mia madre…”
Non seppe dire se si trattasse unicamente di una sua sensazione o se vi fosse qualcos’altro; stette di fatto che il tono di Jake sembrò farsi improvvisamente più astioso, come se quel semplice dettaglio riuscisse ad innescare la rabbia costantemente assopita dentro di lui.
“…tuo padre…”
“Dimmi Eva…è uno di quei momenti?!” esclamò improvvisamente, fermandosi all’improvviso e puntando le sue stanche iridi scure sul volto sottile di lei.
Ed ecco il momento in cui la tregua aveva fatto le valigie verso terre lontane.
“Q-quale momento?!”
“Il momento delle confidenze. Siamo arrivati in uno di quei momenti dove cominciamo a fare amicizia?...io ti dico cosa mi è successo di traumatico da farmi diventare la persona che sono oggi e tu fai lo stesso?!”
“I-io…” cercò di parlare Eva, del tutto presa in contropiede da quelle parole.
“Ok…per me va bene!” continuò il giovane Mills, stringendo le labbra con fare nervoso “…forza, comincia tu….”
“Che vuoi sapere…” gli rispose Eva, con fare secco e sicuro, ma pentendosi ben presto di quel suo modo di fare tanto sfacciato.
“Che diavolo ci facevi nella foresta insieme a Tremotino?!”
Un improvviso brivido le corse in tutta la schiena.
Non seppe dire se fosse stato a causa dei vestiti ancora umidi a contatto con la pelle o semplicemente il leggero sbuffo di vento proveniente da ovest; ma una sensazione simile al gelo di Arendelle si impadronì delle sue vene, facendole pentire di aver inavvertitamente intavolato quel discorso.
In fin dei conti, però, lo aveva immaginato, no? Dopotutto era stato lo stesso Jake, qualche ora fa, a farle quella battuta sugli accordi, come se sapesse molto di più di quanto desse a vedere.
“Non so di che cosa parli…” esclamò Eva, maledicendosi per quell’improvviso tremore alle corde vocali.
“Ah no?...strano…ma sono quasi certo di averti visto stringere la mano al Signore Oscuro…e quello, a quanto ne so è un patto in piena regola!”
“Il Signore Oscuro?...stai scherzando?....il Signore Oscuro è morto da un pezzo, nel caso tu non lo sappia!!”
“Già…eppure eri insieme a lui…e credimi, vanto una certa vista!”
“Tu sei pazzo…”continuò a fingere Eva dandogli le spalle, nonostante il battito del suo cuore cominciasse a farsi udire a metri di distanza.
“Che cos’hai fatto?!” le chiese nuovamente Jake, non riuscendo a nascondere un chiaro tono deluso “…ti serviva altro potere? Non ti bastava quello che avevi?!”
“Che vuoi che ti dica?” sbottò Eva, voltandosi nuovamente verso Jake e non sentendosi più così in colpa per quella sua aria così stremata “…tanto pensi di sapere ogni cosa, qualsiasi cosa dica per te è una bugia!”
“Perché non è così?” esclamò a voce bassa Jake, avvicinandosi di qualche passo a lei “…voglio la verità! Che ci facevi con Tremotino…e com’è possibile che lui sia qui?!...l’hai detto tu stessa… è morto”
“Forse la stanchezza comincia a farti avere le allucinazioni Jake…”
“O forse la paura che hai di Morgana comincia a farti fare  le cose più stupide…Eva!”
“Io. Non. Ho. Paura….di lei!” sussurrò collerica la giovane, inchiodandolo col suo sguardo verde acceso, così simile a quello del padre da renderla un pirata in piena regola.
“Allora dimmi che cos’hai promesso al fantasma di quel mostro…o qualsiasi cosa fosse!”
Per un attimo i due stettero immobili. L’uno di fronte all’altro. Ognuno con i propri pensieri. Ognuno con la certezza che l’altro mai avrebbe ceduto di fronte alla forza e alla collera dell’altro.
“Ehi volete darci un taglio…manco foste sposati!”
L’improvvisa voce annoiata di Phil obbligò entrambi i ragazzi a fare un passo indietro, accorgendosi solo in quel momento del minimo tratto di distanza creatori tra i loro volti.
Entrambi, quasi mossi da una forza invisibile, spostarono lo sguardo sulla figura di Phil. Le loro menti non fecero in tempo a chiedersi per quale ragione l’uomo dai denti dorati avesse deciso di richiamarli proprio in quel momento che, celere, l’immagine di un piccolo villaggio nascosto tra la vegetazione si stanziò davanti ai loro occhi.
Erano arrivati. Da lì a poco avrebbero avuto dei vestiti asciutti e un posto dove potersi riposare.
Al diavolo Jake e i suoi modi.
Senza assicurarsi di venire seguita dal figlio di Regina, Eva si avvicinò al Capo di quell’insolita cerchia di Cacciatori, ignorando dove fossero spariti Tani e l’Uomo Furetto, poco prima fermi accanto alla figura del loro Superiore.
“Venite con me…vi porto dalla nostra Curatrice. Lei vi darà qualcosa da mettere e sicuramente saprà cosa fare con le vostre ferite!” esclamò semi serio l’uomo dai capelli unti, sorridendo con fare plastico nei confronti di Jake “Non vogliamo di certo che la missione di domani subisca dei rallentamenti…no?!”
Elargendo l’ennesimo sorriso di circostanza, Phil si inoltrò nel cuore del villaggio, seguito a ruota dai due giovani, i quali parevano tutt’altro che intenzionati a risolvere la loro ennesima diatriba.
Il trio camminò in un costante silenzio, interrotto ad intervalli irregolari dai continui saluti che Phil lanciava a destra e a manca. Non c’era che dire, era un uomo piuttosto benvoluto e la cosa lasciava Eva del tutto basita.
O lì tutti erano dei furfanti, o forse persino in quell’uomo vi era qualcosa di buono.
Il villaggio non era affatto vasto e, nel giro di pochi minuti, i tre arrivarono dinanzi a quella che, ad occhio e croce doveva essere l’abitazione della Curatrice. Come tutte le case in cui aveva vissuto dopo la sua fuga dal castello di Biancaneve, anche quella piccola abitazione non vantava nessun genere di lusso. Molto piccola e isolata dal resto delle capanne, sembrava più il rifugio di un’eremita che la casa di una curatrice.
Per un attimo la giovane Jones ebbe l’istinto di chiedere a Jake se conoscesse l’identità di quella donna; ma ricordando le ultime parole che le aveva rivolto preferì lasciar perdere. Non gli avrebbe più parlato; stargli lontano era la cosa migliore, di questo ne era convinta.
“Eccoci qua…entrate pure!”
“Tu…non vieni?!” gli chiese Eva, corrugando leggermente la fronte sporca
“Oh…non credo sia il caso; non vanto molta simpatia qui dentro!” esclamò sorridente Phil, come se stesse parlando di qualcosa di estremamente divertente.
“E perché mai?!”
“Bè, vedi…non tutti amano i miei modi. E credimi…la cosa lascia spiazzato anche me!”
Ridendo di gusto della sua stessa battuta, Phil aprì la porta della capanna, tenendola spalancata e non danno il minimo cenno di voler varcare la soglia.
Evidentemente non scherzava, lui lì dentro non poteva metterci piede.
“Entrate…entrate!” li esortò, spingendo Eva e Jake al suo interno “Oh..ah ragazzo…quando hai finito qui va a salutare Lia…penso abbia una certa voglia di rivedere la tua brutta faccia!”
Jake sorrise, quasi forzato, di fronte a quel piccolo invito.
E adesso chi era questa maledetta Lia?
Senza attendere una reale risposta da parte di Jake, Phil afferrò la porta in legno e, con un secco gesto del braccio la richiuse alle sue spalle.
Innervosita dalle parole dell’uomo appena uscito, Eva rimase immobile nella sua posizione, cercando di carpire il numero maggiore di informazioni possibili da quella stanza avvolta dall’oscurità.
Chiunque abitasse lì dentro non doveva essere un grande sostenitore dell’arredamento femminile. Tutto appariva poco curato, soprattutto dal punto di vista della pulizia. Cos’era quello strato sopra alle mensole? Possibile che si muovesse?
Grossi strati di pulviscolo riempivano gran parte dei libri e delle ampolle abbandonati lungo il tavolo posto al centro della sala, donando a quella casa un senso ancor maggiore di confusione.
Polvere, libri, ampolle semivuote ma ancora macchiate dell’ultimo liquido contenuto.
Cominciava a dubitare che li vi abitasse ancora qualcuno.
Possibile che Phil li avesse rinchiusi lì dentro? Perché, se fosse stato così’, al diavolo la promessa fatta a Jake; pur di evitare di stare nella stessa stanza con lui avrebbe dato libero sfogo a tutta la sua magia e sarebbe uscita da lì.
“Pensi di stare imbambolata ancora per molto?!” la esortò Jake, con fare piuttosto irritante.
“oh quanta fretta…che c’è, hai paura che Lia non riesca ad aspettarti un minuto di più?!”
“Lo sai…tutta questa gelosia non ti fa bene Eva…”
“Ma forse a te un'altra botta in testa può servire!”
Limitandosi a lanciare alla giovane un ghigno irritato, Jake si sedette su una delle sedie in legno, appoggiate al muro più a nord rispetto l’ingresso della capanna.
“Piuttosto…chi è questa Curatrice?”
“Ti sembra che io lo sappia?!” le rispose il ragazzo, guadagnandosi l’ennesima occhiataccia da parte della Jones.
Lasciandosi andare ad un sonoro sospiro di stanchezza, il giovane Hood chiuse gli occhi, facendo aderire la schiena allo schienale in legno e appoggiando il capo sudato sul muro dietro di se.
Era davvero stanco.
Sbuffando scioccata di fronte a quella sua debolezza nel guardare quel volto segnato dal quella giornata interminabile, Eva continuò a guardarsi intorno con fare curioso.
Maledicendosi per il rumore emesso dai suoi stivali umidi a contatto con le tegole ormai rialzate del pavimento, la giovane si avvicinò alla mensola a pochi metri dal punto in cui si trovava Jake.
Lì’ le ampolle e i vasi anneriti dallo sporco parevano aumentare la percentuale di disordine di quel luogo, stuzzicando ancor di più la curiosità della ragazza.
Infischiandosene di chiedere il permesso, Eva sollevò una delle ampolle più grandi, all’interno della quale pareva galleggiare qualcosa di così gelatinoso e inquietante da apparire quasi non del tutto inanimato.
“Se fossi in te farei attenzione con quello…”
L’improvvisa voce di donna, fece salire il cuore di Eva direttamente alla trachea, facendole sbarrare con così tanta forza lo sguardo da darle l’impressione che gli occhi stesero per uscire dalle orbite. Dallo spavento, la giovane appoggiò l’ampolla sul tavolo, facendo oscillare le due vicine le quali, per poco, non finirono a terra.
Leggermente dispiaciuta per quella sua inadeguata curiosità, la giovane dai capelli scuri posò lo sguardo sulla figura apparsa dal nulla.
Era una donna, una giovane donna dai capelli biondi raccolti in una coda piuttosto disordinata, in perfetta linea con lo stile di quella casa. Il volto di un tenue rosa pallido; la bocca delineata e un perfetto naso all’insù, in grado di conferirle un’aria elfica e fatata.
“M-mi dispiace….io…” tentennò Eva, cercando di ricordare dove avesse già visto quel volto così rassicurante.
“Tranquilla Eva...la curiosità alle volte è un bene…”
Sorridendole, la donna si avvicinò di un passo al corpo immobile della giovane Jones, la quale non riuscì a proferire alcuna parola di fronte alla sorpresa nell’udire il suo nome pronunciato da quella sconosciuta.
“T-tu…mi conosci?!”
“Sì…e anche tu mi conosci Eva Jones!”
Lei la conosceva? Davvero?
Certo, in effetti una parte di lei non smetteva di urlarle la stessa cosa. Ma dove l’aveva vista? A chi appartenevano quei bellissimi occhi carichi di dolcezza?
“Trilli…”
La voce carica di speranza di Jake riuscì a tranquillizzare il cuore di Eva, la quale non seppe dire se essere riconoscente dal fatto che Jake avesse scelto proprio quel momento per risvegliarsi dal suo sonnellino o semplicemente innervosita con lui per essere sempre un passo davanti a lei.
“Bè…era da un po’ che non mi sentivo chiamare col mio vero nome!”
 
***
 
 
Lo sguardo di Emma si posava, ad intervalli regolari, tra il volto teso della figlia a quello spaventato ed infido di Ector, il quale se ne stava immobile tra lei e Regina, innervosito a tal punto da contorcersi in continuazione le mani tozze.
Nel momento in cui lei, Eva e Belle avevano deciso di usare la bussola per trovare Ector, l’oggetto stretto tra le mani della primogenita del pirata, non aveva smesso per un solo istante di indicare la direzione est rispetto al punto in cui si trovavano. la bussola le avrebbe condotte verso chi più odiavano ed, evidentemente, i trascorsi della figlia con il servo di Morgana non dovevano essere stati dei più felici.
Dopo aver contattato Regina, la quale non aveva perso un solo istante prima di raggiungerle, le donne avevano raggiunto l’abitazione in cui Ector si era rifugiato, evidentemente con il preciso compito di tenere al sicuro la bacchetta della strega.
Uscire da quella casa nascosta nel cuore della foresta, non fu facile ma, la sensazione che qualcosa di imprevisto stesse per accadere, continuava ad albergare nel cuore della Salvatrice. Percezione probabilmente acuita dalle tenebre che, a quell’ora della notte, continuavano ad avvolgere tutti i presenti. Persino le due torce portate con se parevano faticare a rischiarare quella notte quasi priva di stelle.
Quanto ci avrebbe messo lo schiavo di Morgana prima i fare la sua mossa, finendo col metterli nuovamente nei guai? Probabilmente stava solo attendendo che la sua padrona uscisse allo scoperto e, proprio per quel motivo, Emma non avrebbe sprecato un solo altro istante prima di ritrovare Uncino.
-Killian…- pensò tra se e se la bellissima donna dai lunghi capelli biondi, stringendo le mani a pugno, quasi in maniera involontaria.
“Eccoci…l’albero è questo?!” esclamò improvvisamente Ector, fermandosi di fronte alla quercia di un albero del tutto simile a quelli che popolavano la Foresta Incantata.
“E ora cosa dobbiamo fare?!” chiese David, arrivato da alcuni minuti nel centro del bosco dopo aver ricevuto la chiamata della figlia.
“Io…io non conosco il genere di magia usato da Morgana…so solo che il pirata…il pirata si trova qui!”
Improvvisamente, mossa da una rabbia che, da giorni ormai, popolava il suo cuore, Eva si avventò nuovamente sull’uomo dalle fattezze goffe, afferrandolo per il colletto del giubbotto scamosciato.
“E come ci è finito qui dentro, eh?! Parla maledizione!”
“Eva…” la richiamò, Emma, facendo un passo in direzione del corpo della figlia e chiedendosi per quanto ancora quel semplice gesto sarebbe riuscito a calmare la sua rabbia.
“Io v-voglio solo aiutarvi..d-davvero…” balbettò Ector, cercando di allontanare il suo volto da quello collerico della giovane.
“Ah sì?...come hai fatto con me e Jake al Castello della Regina Bianca? Pensi che sia così stupida da cascarci due volte?!” continuò collerica Eva, ritrovandosi a stringere ancora di più il colletto di quella giacca e sentendo, con estrema chiarezza, l’oscurità farsi strada nel suo cuore.
“Eva…smettila!”
La voce di Regina la obbligò a volgere lo sguardo iniettato di sangue sulla figura elegante del sindaco, il quale non perse tempo a riprenderla con la sua consueta freddezza.
“Non credo che ucciderlo sia la cosa più intelligente da fare!” esclamò, nonostante pochi istanti prima stesse per fare lo stesso.
“Se sapessi cosa farà non parleresti così…credimi!” le rispose irritata Eva, spingendo a terra il corpo di Ector e sistemandosi, con un secco gesto della mano, i lunghi capelli scuri dietro il capo.
“Oh tranquilla Eva...non appena tutta questa storia del pirata sarà finita io e te faremo una bella chiacchierata!”
Soffocata dalla rabbia, la giovane Jones si ritrovò ad ingoiare quella promessa pronunciata a fior di labbra, ben consapevole quanto in là riuscisse ad andare il volere dell’ex cattiva della Foresta Incantata.
“Alzati!” esclamò Emma, ignorando volutamente le parole dell’amica e rivolgendo tutta la sua attenzione verso Ector “…hai detto che Morgana ha usato la sua bacchetta per imprigionare Uncino…”
“S-sì..” le rispose l’uomo, alzandosi a fatica da terra.
“E dove l’ha mandato?”
“Lei…lei manda le persone in un luogo oscuro…”
“Fammi indovinare…niente unicorni e nuvole di panna?!” esclamò acida Regina, alzando le sopracciglia con fare seccato.
“No…direi di no. Non ne so molto…ma…ma per quello che ho sentito dalla Fata Oscura, il luogo in cui si trova il pirata è una sorta di limbo…un limbo dove il potere di Morgana non conosce limiti…” spiegò l’uomo, tornando a contorcersi le mani e augurandosi, con tutto il cuore, che la sua padrona si mostrasse abbastanza tollerante per quel suo piccolo tradimento “…riesce a far vivere alla persona imprigionata stralci del proprio passato e del proprio futuro…”
“E perché mai dovrebbe farlo?...cosa ci guadagna?!” chiese David, scambiandosi uno sguardo con la figlia, per poi tornare ad illuminare con la sua torcia la figura leggermente ricurva Di Ector.
“Perché solo così riesce a farli impazzire…”
“I-impazzire?!” esclamò Emma, con voce quasi impastata.
“Sì…perché chi si trova lì dentro è destinato a vedere e rivedere la morte del proprio lieto fine, della persona che più ama al mondo...fino a perdere del tutto la ragione!” continuò l’uomo dai capelli biondi, posando lo sguardo sul volto terreo della Salvatrice “…e solo la persona in questione può liberarlo dall’incubo!!”
Emma rimase senza parole.
Un’agghiacciante sensazione si impossessò del suo petto, del suo cuore, rendendole la respirazione quasi impossibile.
Da quanto tempo Killian era lì dentro? Da quanto tempo stava rivivendo la morte della persona che amava? E, per quanto si vergognasse di quella domanda rimasta dietro alle quinte del suo animo, chi era la persona che rappresentava il lieto fine di Killian Jones?
“Ma in realtà ciò che vede è una finzione…giusto?!” chiese David, speranzoso “…in realtà il lieto fine di chi è imprigionato è ancora in vita…”
“Non sempre…o meglio, Morgana si assicura che non sia così quando imprigiona qualcuno…”
Sentendo un’improvvisa sensazione di amarezza riempirle il cuore, Emma fissò con sguardo vacuo un punto imprecisato ai suoi piedi. Chi era il lieto fine di Killian? Possibile che fosse già morto? Se fosse stato così…a quel punto lui potrebbe essere già impazzito.
A quel punto, lei non avrebbe potuto far nulla per aiutarlo.
E se fosse arrivata troppo tardi?
“Quindi basterà riprodurre la stessa magia…dopotutto questa bacchetta serve a questo no?!” chiese Regina, seria, riportando Emma alla realtà.
“N-non…”
Senza dare ad Ector il tempo di completare la frase, Emma si avvicinò al sindaco di Storybrooke. Con un gesto dettato quasi dall’inconscio prese la bacchetta tra le mani e, in silenzio, si mise di fronte all’albero in questione, il quale ancora adesso riportava le incisioni fatte da Ector il pomeriggio in cui Killian ed Henry lo avevano visto inginocchiato proprio in quel punto.
Con fare più sicuro di quanto avrebbe mai ritenuto possibile al suo arrivo a Storybrooke, la Salvatrice alzò la bacchetta ricurva di Morgana davanti a sé, ricordando a se stessa quale grande potere risiedesse dentro di lei.
Chiunque glielo aveva fatto notare; la sua famiglia, Elsa, Ingrid.
Killian.
Era impossibile non ricordare la prima volta in cui si era ritrovata a stringere tra le mani quella bacchetta magica; una bacchetta che, allora, era apparsa qualcosa di insolito ma di non eccessiva importanza.
Eppure eccola di nuovo lì, con lo stesso oggetto, più vecchio di anni, tra le mani.
Quel giorno, all’interno del castello di Tremotino, Killian le aveva fatto ritrovare la fiducia in se stessa, mettendola faccia a faccia con qualcosa  che, da anni, si rifiutava di ammettere. Che lei era la Salvatrice. Che lei era Emma Swan e che, in qualsiasi posto fosse fuggita, Storybrooke sarebbe rimasta per sempre la sua casa.
Avrebbe dato qualsiasi cosa pur sentire ancora la voce di Killian, pur di rivederlo lì davanti a lei, in grado, come sempre, di infonderle una forza che nessuno mai, era riuscito a farle provare. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di posare lo sguardo su quel volto perfetto, contornato da una leggera barba incolta; avrebbe dato qualsiasi cosa pur di perdersi nel blu dei suoi occhi e per dirgli che non era solo Storybrooke ad essere la sua casa, ma che era con lui che voleva sempre fare ritorno, era con lui che voleva costruire un futuro.
Un futuro.
Stava pensando davvero ad un futuro con un’altra persona?
Stringendo le labbra e chiudendo gli occhi contornati dalle folte ciglia scure, Emma alzò la bacchetta davanti al suo petto.
Come quel giorno nel passato, il piccolo bastone sottile e ricurvo iniziò a brillare di luce propria, incatenando su di sé gli sguardi di tutti i presenti, compreso quello di Ector.
Richiamando a sè tutta la forza magia che possedeva, Emma assaporò la sensazione del potere magico innescato dalla bacchetta e, in un gesto dettato unicamente dall’amore, indirizzò la scia luminosa verso l’albero inciso dall’uomo a pochi metri da lei, socchiudendo leggermente gli occhi di fronte a quell’improvvisa luce, così contrastante rispetto all’oscurità della notte.
In un esplosione di energia e potere, l’albero davanti a loro iniziò a risplendere con un intensità del tutto innaturale, dando l’impressione che il sole, ora assente, avesse scelto di incanalare tutta la sua luce in quel preciso punto.
“Noooooo….”
Un urlo colmo di rabbia spezzò l’atmosfera di magia discesa su tutti i presenti, i quali si ritrovarono a volgere il loro sguardo su chi aveva urlato con tanta isteria.
“…che hai fatto maledetto idiota!”
Inaspettata e inospitale come lo era in tutte le occasioni, Morgana comparve al centro della foresta, con un volto così livido dalla collera da apparire ancora più spaventosa di quanto già non fosse.
L’abito nero, come sempre. fasciava il suo perfetto corpo sinuoso, divenendo quasi un tutt’uno con i suoi lunghi e intricati capelli neri; neri come la notte che li avvolgeva e in pieno contrasto con le sue penetranti e innaturali iridi gialle.
Con un semplice gesto della bacchetta stretta nella mano destra, la stessa che Emma Swan stava utilizzando in quel momento, Morgana fece sbattere il corpo di Ector addosso ad uno dei tronchi, facendogli emettere un sonoro gemito di dolore.
“Fermati Salvatrice…o giuro che ucciderò tutte le persone che ami!” ruggì la strega, facendo un passo in direzione di Emma, la quale continuava a stringere, a fatica,  la bacchetta.
“Mi sembra tu lo abbia già fatto…” le rispose a tono Emma, serrando le labbra e puntando lo sguardo sicuro su quella donna dagli occhi iniettati di oscurità.
Non avrebbe interrotto l’incantesimo, non se da ciò dipendeva la salvezza di Uncino.
Improvvisamente l’albero aumentò ancor di più la sua luminosità, rendendo lo sguardo di Morgana ancora più scioccato.
Assottigliando le iridi, Morgana si preparò a colpire la Salvatrice con la sua magia alzando, di scatto, il braccio sottile verso l’alto, pronta a liberare tutta la collera trattenuta fino a quel momento. Non vi era tempo per l’eleganza dei suoi gesti, né per le sue gelide e lugubri frasi cariche di odio.
Ci volle un solo istante, un piccolo frammento di tempo e, in maniera del tutto naturale, la magia si scagliò contro quel corpo femminile, scaraventandolo a metri di distanza e facendole assaporare tutto il dolore derivante da quell’improvvisa onda d’urto.
Ma non fu Emma la donna a terra, ne tanto meno fu la mano della Fata Oscura a scagliare la magia.
In uno scambio di ruoli impossibile da prevedere, Morgana si ritrovò riversa a terra, quasi impossibilitata a muovere qualsiasi muscolo, forse più per la sorpresa che per un reale dolore fisico.
Divorata dalla rabbia, la strega puntò lo sguardo verso chi l’aveva colpita, ignorando volutamente l’improvviso affanno presente nel suo petto.
Rabbia. Incredulità. Collera,
Ira.
“Qualcosa mi dice che non sei poi così imbattibile…!”
Sicura di sé, come lo era per la maggior parte del tempo, Regina abbassò il braccio con un cui aveva scagliato la sua sfera di magia, quasi in perfetta sincronia con quello di Eva, la quale si era ritrovata a fare lo stesso nel medesimo momento.
“C-che cosa?!”
Con voce resa quasi incomprensibile dallo sconvolgimento, Morgana fissò il volto di Eva, promettendole, con la sola forza di uno sguardo, di farla pentire amaramente di quella scelta.
Gradualmente, l’albero raggiunse l’apice della luminosità e, ben presto, la magia innescata da Emma si prosciugò su se stessa, portando via con se quell’anonimo albero della foresta.
Non vi erano più fronde; non vi erano più rami; non vi era più alcun tronco intagliato dalla lama del servo della strega.
L’albero era scomparso, lasciando spazio unicamente a due corpi stesi a terra al centro di quella piccola radura immersa nell’oscurità.
“Killian…”
Di scatto Emma si precipitò verso il corpo svenuto di Uncino, sollevandogli delicatamente il capo, con fare così amorevole da catturare l’attenzione della loro stessa figlia.
“Uncino…mi senti?...ora sei al sicuro…è finita…” esclamò Emma, con voce colma di un’emozione impossibile da celare.
Gli occhi del pirata, però, continuavano a rimanere ben chiusi, quasi volutamente serrati, come se in quel momento fossero troppo occupati a fissare qualcosa al di là di quel mondo, immersi in un incubo non ancora concluso.
“No no no…non deve andare così…”
La voce di Morgana catturò l’attenzione di Emma, la quale si aspettò di rivedere di nuovo su di sé quelle iridi gialle. Ma ciò che vide la confuse ancor di più. Perché Morgana non stava guardando loro; non era la loro vista a sconvolgerla in quel modo.
No, affatto. Era il secondo corpo apparso dal nulla. Il corpo di una donna, il cui volto, rivolto verso il terreno, continuava ad essere celato.
Perché fissarla in quel modo?
D’istinto, Emma riportò la sua attenzione sul volto terreo di Morgana.
Ma, senza dare a nessuno il tempo di guardarla nuovamente negli occhi, la potente strega della Foresta Incantata svanì da quella radura, lasciando dietro di sé unicamente l’odore del fumo e della distruzione, come aveva fatto la notte del suo arrivo.
 
 
 
 
*Come si sarà capito, adoro i Pirati dei Caraibi, perciò come non rinvangare la vecchia e cara bussola di Jack?? Ovviamente qui ho dovuto fare qualche modifica; ma la citazione era doverosa :)
 
 
 
 
 
Capitolo 20….e, come la maggior parte di voi, sono ancora sotto shock per la puntata di lunedì. Ma parlerò dell’episodio “Swan Song” alla fine (NB), in modo tale da non fare spoiler a chi non segue le puntate in lingua.
Tornando alla ff…perdonatemi la stranezza del capitolo; sappiate che mi sono beccata una mega influenza e, per di più, questi ultimi episodi mi hanno davvero sconvolta. So che mi capite…dopotutto stiamo messe tutte allo stesso modo (in una valle di lacrime…ecco l’ho detto!!!).
Cmq, in realtà il capitolo doveva concludersi prima del ritrovamento di Hook, ma come ho già detto, non me la sono sentita di lasciarvi così….con il destino del nostro pirata in bilico. Dopotutto ci pensano già A&E a lacerare il nostro cuore no?
Che dire…le cose cominciano ad avvicinarsi al punto cruciale. Uncino è stato ritrovato (e non solo lui….chi sarà la persona comparsa accanto a lui????), Morgana è stata tradita dal suo servo (non vorrei essere al suo posto…e qui mi fermo); i nostri eroi hanno la bacchetta e….Eva e Jake hanno appena incontrato Trilli.
Mancano ancora diversi capitoli alla fine….ma io che scrivo comincio a rendermi conto che non sono più così tante le cose da rivelare (non tante come lo erano nel primo capitolo almeno :P).
Posso anticiparvi che, finalmente, nel prossimo capitolo scopriremo cos’ha portato Jake ad odiare così tanto la nostra cara Eva; ci sarà un bel momento Captainswan (ci vuole…dopo la 5x11 ci vuole)….e………..
No dai, non dico altro altrimenti rovino tutta la sorpresa :))
Ringrazio con tutto il cuore chi continua a seguire questa ff, lasciandomi dei commenti in grado di farmi sciogliere tutte le volte…nonostante non riesca ad aggiornare velocemente come in passato. Per fortuna stanno per arrivare le vacanze natalizie e potrò finalmente dedicarmi a questa storia a cui, ormai, tengo tantissimo.
Grazie di cuore per non abbandonare questa ff e per continuare a darmi lo stimolo a continuare. Se riesco a vedere la fine di questo lavoro è solo grazie alla vostra presenza e al vostro costante sostegno. Come sempre vi dedico questo (lungo) capitolo…ve lo dedico con tutto il cuore.
Un grosso abbraccio
La vostra fedele (e in un mare di lacrime)
Erin
 
 
PS: ho riletto alcuni pezzi della ff….oddio ci sono tanti di quegli errori che mi veniva perfino da ridere mentre li leggevo; ovviamente questo capitolo non sarà da mano….ma una volta finita la ff prometto di correggere!!!!
 
Un bacione ♥
 
 
 
 
NB: Per chi non avesse visto la 5x11 consiglio di non leggere qui sotto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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No davvero…non riesco a capacitarmene…Killian Jones è morto. Sì sì lo so…in realtà la nostra Emma (la MIGLIORE…adoro questa donna, non mi stancherò mai di dirlo!!!!) sta scendendo negli inferi per andare a riprenderselo, ma il mio povero cuore non riesce a reggere la vista di Killian steso a terra..MORTO…con la donna che ama disperata sopra di lui.
Io non so davvero come si possa arrivare al 6 marzo con una puntata come questa; non si può…non si puooooooooò!!!!
E Tremotino?????? Vogliamo davvero parlare di lui?????????
Non so voi…ma io continuo a consolarmi solo ascoltando le ultime parole di Emma:
HOOK I WILL FIND YOU. I WILL ALWAYS FIND YOU.
♥♥♥♥
 
 
 
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Trilli.
Quella davanti a lei era davvero la famosa Trilli.
La stessa Trilli che suo padre aveva incontrato tantissimi anni fa. La stessa Trilli che, per un periodo della sua vita, aveva smesso di credere in sé stessa cessando di essere la fata che era sempre destinata ad essere.
Anche se gliene aveva parlato anni prima, la giovane Jones ricordava ancora le parole del padre; parole piene di fiducia per quella minuta donna dall’aspetto eternamente giovane. Una delle poche fate che erano riuscite a guadagnarsi la sua fiducia, anche nel momento in cui la bontà non aveva precisamente fatto parte della vita del pirata.
Non aveva ben capito se tra di loro ci fosse stato qualcosa di più del semplice legame di amicizia (che di semplice aveva ben poco), ma visto l’amore che ancora aleggiava tra suo padre e lo spirito di sua madre, quella non era di certo la cosa più importante a cui pensare.
Verdolina, o Trilli coma sapeva preferiva farsi chiamare, era la stessa donna che suo padre aveva incontrato a Neverland molti anni fa, la stessa che aveva aiutato gran parte degli abitanti di Storybrooke a mettersi in salvo dal primo vero attacco di Morgana.
Posando per un solo istante gli occhi verdi sul volto sorpreso di Jake, finalmente alzatosi da quella scomoda sedia in legno, Eva tornò a fissare lo sguardo sereno della giovane donna davanti a lei. Se c’era una cosa di cui le fate potevano vantarsi era quell’eterna e naturale gioventù; nonostante i loro occhi portassero su di sé anni e anni di saggezza, profondamente segnati dall’inesorabile scorrere del tempo, la pelle e la bellezza delle fate non presentava il minimo segnale di cambiamento. Seta, era quella la parola che la mente si ritrovava a produrre alla vista di quella pelle soffice e perfetta.
 “C-che cosa ci fai qui?!” chiese stupito Jake, avvicinandosi alla bionda e lasciando defluire dal suo tono di voce la profonda confidenza che aleggiava tra loro “…mia madre è convinta che tu sia con Zelena!” le chiese, forzandosi non poco di usare il passato riferendosi a sua madre.
Dopotutto come biasimarlo? L’ultima volta che aveva anche solo avuto il coraggio di pensare a lei era stato quando la barriera che manteneva al sicuro l’Alleanza si era dissolta come polvere dinanzi ad una folata di vento, lasciando libero passaggio alle guardie della Fata Oscura. Il motivo di un simile cedimento della barriera magica di Regina poteva essere dovuto o ad una sua costante inutilità oppure…oppure alla morte di chi lo aveva costruito.
Chissà cosa doveva provare Jake in quel momento; chissà se possedeva realmente il coraggio che dimostrava nell’ammettere quell’orribile e straziante verità.
E lei? Lei cosa poteva dire di se stessa visto che non riusciva nemmeno a concepire l’eventualità che Regina e suo padre fossero andati incontro allo stesso destino.
Seppure quei pensieri defluissero nella mente della giovane Jones, il nome pronunciato da Jake non riuscì a passare inosservato alle sue orecchie leggermente macchiate del suo sangue ormai secco.
Zelena.
Il solo sentir pronunciare quel nome tanto popolare creò un profondo brivido nella schiena della mora, la quale non riuscì a zittire la voce nella sua mente.
Una lacrima della persona più simile e più odiata di chi scaglierà l’incantesimo
Il primo ingrediente in grado di riportarla a casa.
Fin da quando aveva sentito quelle parole la sua mente aveva subito preso in considerazione l’idea che si trattasse proprio della donna dai vispi capelli rossi. Purtroppo, però, l’esatta ubicazione della strega era sempre stata un mistero, facendo credere alla maggior parte della gente, lei compresa, che la perfida Strega dell’Ovest avesse realmente incontrato la morte per mano di Morgana.
Nelle settimane in cui aveva soggiornato all’interno della radura di Henry, Eva aveva più volte avuto il desiderio di chiedere a Rowan qualche informazione in merito alla madre; ma chi poteva dirsi così insensibile di fronte alla possibilità che il ragazzo fosse allo scuro, quanto lei, della sorte della figlia di Cora? Lei no di certo.
Ma se le parole di Jake erano vere, allora Zelena era viva e Trilli, la stessa fata che ora se ne stava davanti a lei con dei rozzi vestiti di un’insolita tinta verde palude, sapeva dove si trovava.
Possibile che le parole di Tremotino nascondessero un velo di verità? Se non sbagliava, il Signore Oscuro le aveva detto che la ricerca degli ingredienti, una volta iniziata, non si sarebbe rivelata affatto impossibile. Ancora adesso, se solo ripensava al genere di ingredienti da recuperare, la parola impossibile appariva a dir quasi positiva, soprattutto ora che aveva perso il veleno consegnatole dal Signore Oscuro. Eppure, nel giro di qualche istante le cose si erano semplificate, e l’ubicazione di Zelena non appariva più così misteriosa. Chissà, forse persino la perdita del veleno si sarebbe rivelato un problema facile da risolvere.
Bastava solo trovare il modo di farsi dire qualcosa da Campanellino. O Trilli.  O Verdolina.
Maledizione, quella donna aveva decisamente troppi nomi. Lei ancora adesso faticava a ricordarsi il suo per intero; secondo nome compreso.
Jake, però, se lo ricorda abbastanza bene. Le ricordò un’infida voce nella sua testa, la quale venne prontamente soffocata da una scrollata di spalle, come se lo stesso brivido di poco prima fosse tornato a ripercorrerle l’intera spina dorsale.
“Tranquillo Jake…tua zia è al sicuro!”
“Non sono preoccupato per lei…” le rispose con tono scontroso il giovane Mills, apparendo ancora più simile alla madre, i cui modi poco delicati erano decisamente conosciuti dalla donna di fronte a lui “…ho promesso a Rowan che, non appena le cose si fossero sistemate, saremmo andati da sua madre…la stessa che dovrebbe essere al sicuro insieme alla fata più potente della Foresta Incantata!” continuò il ragazzo, corrugando la fronte con fare nervoso “Se ora venisse fuori che non è così…dubito che mio fratello me lo perdonerebbe!”
“Come ti ho già detto Jake…Zelena è al sicuro, non devi preoccuparti!” ripeté Trilli, non perdendo per un solo istante la serenità dal suo volto.
“E…e dove si trova di preciso?!”
Rimasta zitta fino a quel momento, la voce di Eva risuonò all’interno della stanza, con un tono di voce più alto di quanto si sarebbe aspettata.
Digrignando leggermente i denti dalla frustrazione, la giovane evitò accuratamente di incrociare lo sguardo con quello di Jake, il quale pareva aver avvertito l’odore delle sue intenzioni a metri di distanza.
Manco fosse un segugio, maledizione.
“Non sono affari tuoi Jones!”
“Sì che lo sono!”
“Ah sì?...e perché sentiamo!” le chiese il giovane, incrociando le braccia al petto con il chiaro intento di metterla in difficoltà.
“Bè perchè…è…è una mia parente!”
“Parente?!...tzè…non è una tua parente…” la derise Jake, alzando gli occhi al cielo, quasi incredulo nell’udire quella spiegazione visibilmente campata in aria.
“Sì invece…è…è la zia di Henry e guarda caso Henry è mio fratello quindi…”
“Ah ah…divertente….se la metti su questo piano nella nostra famiglia siamo tutti parenti mia cara!”
“Già…pure voi…”
“NO!” “NIENTE AFFATO!”
Nel sentire quella frase pronunciata da Trilli, la risposta dei due ragazzi fu così immediata e pronunciata all’unisono che, se nemmeno l’avessero provata e riprovata un miliardo di volte, sarebbero riusciti a riproporla.
Con i volti arrossati e la mandibola serrata, Jake ed Eva rimasero per un attimo con il volto rivolto verso Trilli, per poi ritrovarsi a deviare lo sguardo, fingendosi così disinteressati da non riuscire ad imbrogliare neppure Cucciolo, tantomeno la fata di fronte a loro.
“Noi…noi non siamo parenti!”
“Appunto…al massimo….al massimo conoscenti!” lo appoggiò Eva, cercando di apparire il più convincente possibile.
Non riuscendo a contenere un vistoso sorriso sulle labbra, Trilli si avvicinò ad una delle tante mensole maldisposte lungo la parete dietro di lei, afferrando due ampolle nascoste dietro un ammasso di cianfrusaglie dall’utilità per nulla intuibile, non a occhio nudo per lo meno.
Non riuscendo a resistere al desiderio di posare lo sguardo sul volto di Jake, la giovane dai capelli scuri fu grata nello scoprire come la sua attenzione fosse stata catturata da qualcosa fuori dalla finestra; gli occhi scuri divenuti due fessure, la fronte corrugata, la mascella indurita. Chi aveva visto?
Eva, però, non riuscì a vedere chi avesse catturato l’attenzione del figlio di Regina che, improvvisamente, la voce di Trilli tornò a riempire la stanza.
“Bene...da chi iniziamo con le cure!”
“È meglio se…”
“Inizia da me!”
Interrompendo bruscamente la frase di Eva, Jake andò a sedersi sullo sgabello, lo stesso che, poco prima, aveva usato come brandina per appisolarsi, guadagnandosi un’occhiataccia da entrambe le donne davanti a lui.
“Ho da fare!” spiegò il giovane, non apparendo per nulla dispiaciuto del suo comportamento.
Limitandosi a lanciargli un sorriso carico di freddezza e ostilità, Eva andò a sedersi dall’altro capo della stanza, stando ben attenta a non incrociare minimamente lo sguardo con quell’odioso e ingrato ragazzo. E menomale che suo padre aveva osato dirle che erano le donne ad essere rancorose.
“Ti ricordavo più gentile Jake…”  lo rimproverò Trilli, sedendosi di fronte a lui.
“Sono ancora gentile…”
“Ah…questa è bella!” lo derise Eva, pulendosi da sola la ferita alla spalla, ricordo concessole da Diletta in un tempo che, oramai, appariva quasi irraggiungibile.
Stranamente, Jake non rispose alla frecciatina della ragazza, limitandosi ad osservare come le pozioni della fata riuscissero a curare anche la più insidiosa delle ferite, facendolo sentire forte e sicuro come lo era stato prima dell’inizio di quella orrenda giornata.
Come se avesse avuto delle braci ardenti sul sedere, Jake ringraziò frettolosamente Trilli, per poi uscire di gran fretta dalla capanna, senza degnare Eva di un solo sguardo.
Non riuscendo a contenere la rabbia di quel comportamento, Eva lanciò sul tavolo lo straccio che, fino a quel momento, aveva tenuto in mano, sbuffando in maniera decisamente rumorosa.
“Anche se non sembra…ha un gran cuore!”
“Chi? Jake?!” esclamò sconcertata Eva, non stupendosi nel trovarsi improvvisamente faccia a faccia con la donna dai capelli biondi, la quale pareva essersi spostata nel giro di un secondo, senza emettere il minimo suono o movimento “Non credo proprio!”
“Oh sì invece…” continuò Trilli, con lo stesso sorriso sornione di poco prima “…e ti dirò di più…” continuò, ungendole il braccio poco prima pulito dal sangue, con una sorta di melma scura, dall’aspetto tutt’altro che invitante “…ci tiene molto a te!”
Non riuscendo questa volta a contenersi, Eva esplose in una fragorosa risata, la quale pareva essere imperniata più dal nervosismo che da una reale ilarità.
“Stai scherzando?...lui mi odia…e lo ha ammesso senza tanti giri di parole!” esclamò Eva, cercando di apparire disinteressata, ma fallendo miseramente “…non riesce a sopportare la mia presenza e qualsiasi cosa dica o faccia sembra infastidirlo!”
Un’improvvisa ombra sembrò calare sul volto disteso di Trilli, la quale pareva sapere molte più cose di quanto non desse a vedere.
“Non ho detto che il suo sia un carattere facile…anzi…se tu avessi conosciuto Regina poco dopo la morte di Daniel capiresti molte più cose di suo figlio!” esclamò Verdolina, posando l’unguento utilizzato fino ad allora, per prendere uno dall’aspetto altrettanto poco invitante “…come sua madre, purtroppo, per sopravvivere alla sofferenza ha la cattiva abitudine di incolpare gli altri dei propri errori, finendo solo per soffrire ancora di più e per più tempo!”
Per un attimo Eva stette in silenzio, non riuscendo realmente a capire cosa intendesse Trilli con quelle parole e ritrovandosi a fissare con insistenza la fasciatura che la fata le stava avvolgendo con cura sulla spalla.
Jake la incolpava di qualcosa? Ok, questa non appariva di certo come una gran scoperta, ma come poteva aver realmente fatto qualcosa ad un ragazzo che non vedeva da più di dieci anni? Possibile che si riferisse a qualcosa accaduto a Storybrooke? Impossibile; lei a quel tempo era solo una bambina e il massimo che poteva aver fatto era averlo scambiato per qualcun altro, vista la sua difficoltà a memorizzare i nomi di tutte le persone di quella cittadina. Ma Jake non sembrava di certo il tipo che se la prendeva per una cosa del genere; o per lo meno così sembrava.
Allora cosa poteva avergli fatto?
“Ad ogni modo…lui tiene a te Eva…e vedrai che ti ritroverai a darmi ragione!”
“Ne dubito…” borbottò tra sé e sé la giovane, stringendo i denti di fronte alla stretta finale sulla spalla “…ora se ne starà con quella Lana, Lara….o come si chiama…”
“Lia...” le suggerì Trilli, sorridendo sotto i baffi.
Lia. Che nome sciocco.
Già, sciocco quanto lei che si innervosiva così facilmente.
“Ok…direi che con la spalla abbiamo finito. Fammi un po’ vedere le altre ferite…”
“Ti ringrazio Trilli…ma il resto sono solo ferite superficiali!” cercò di minimizzare Eva, cercando di alzarsi dallo sgabello, ma venendo prontamente fermata da un’occhiata color nocciola da parte della fata.
“Tieni…bevi questo mentre pulisco il resto!”
Senza emettere il minimo fiato, la giovane Jones, accettò la fialetta dal colore trasparente che la bionda le aveva passato, ingoiandola in un solo sorso ed accorgendosi fin troppo in fretta che, non sempre, il colore di qualcosa la diceva lunga sul sapore: la melma verde che ora aveva sulla spalla, nonostante il colorito nauseante non aveva minimamente bruciato a contatto con la ferita; quel liquido trasparente ed innocuo, invece, pareva avere il calore e l’amarezza dell’inferno.
“Oddio…ma…che…cos’è questa roba?!” chiese a fatica la ragazza, tossendo con insistenza, come a voler togliere quell’orribile sapore dal suo esofago.
“Lacrime di drago…un toccasana per le ferite interne, credimi!”
Con uno sguardo non del tutto convinto, Eva posò la fialetta sul tavolo in legno, tornando a volgere lo sguardo sul volto sereno della fata.
“Trilli…p-posso chiederti una cosa?!”
“Certo!” le rispose la bionda, non alzando per un solo istante i suoi occhi dalle ferite della figlia della Salvatrice.
“…prima…prima hai parlato di Zelena! Intendevi quella Zelena?”
“Non lo so…se stai pensando alla Perfida Strega dell’Ovest…sì mi riferivo a lei!”
“Oh…bè…dicono che non sia più così perfida!”
Solo in quel momento Trilli alzò gli occhi sul volto pallido di Eva, guardandola come se, davanti a sé, avesse la più ingenua delle ragazze e non la figlia del temibile Capitan Uncino.
“Eva…se Zelena non è stata perfida e pazza negli ultimi anni è solo perché si ritrova imprigionata in un limbo…e quindi impossibilitata a farlo. È da sciocchi pensare che le persone cambino…non tutte almeno!”
“Ma…Zelena…”
“Zelena non è affatto cambiata nel tempo…e nemmeno la gravidanza ha sortito qualche effetto su di lei!  Anzi…il suo obiettivo era quello di rendere Rowan tale e quale ai suoi canoni; per fortuna Regina e Robin sono riusciti a proteggerlo e a tenerlo lontano da quella sua ingombrante madre!”
“Quindi siete stati voi ad imprigionarla?...e scommetto che questo Rowan non lo sa!” esclamò stizzita la giovane Jones, non vedendo di buon occhio simili intrighi.
“Non proprio. Zelena è stata imprigionata da Morgana…ed ora si trova in un limbo di cui, purtroppo, sappiamo ben poco. Il suo corpo è immerso in un sonno profondo…ma la sua mente è molto lontana da qui. Fu Regina a trovarla…Morgana l’aveva nascosta con uno dei suoi incantesimi, in attesa che qualcosa o qualcuno la uccidesse!”
“Qualcuno?....vuoi dire che Zelena è ancora viva?!”
“Sì…certo. Ma ora si trova al sicuro…e ben nascosta dalle grinfie di Morgana, per il momento almeno!”
“E…e dove…si trova?!” tentò nuovamente Eva, sperando di apparire meno agitata rispetto a poco prima.
Dopotutto Trilli era sua amica e, nonostante Jake avesse ben dimostrato quanto poco si fidasse di lei, non poteva essere riuscita ad inimicarsi pure la fata più solare e sincera di tutta la Foresta Incantata.
“Perché vuoi saperlo?”
“…bè…vedi….lei ha qualcosa che mi serve e…”
“Ma lei non può parlare Eva…credimi, il suo spirito non si trova qui al momento!”
“Sì, lo so…ma speravo che…forse….lei lo avesse con se…”
Per un momento Trilli rimase in silenzio, come se si stesse chiedendo se, la figlia del pirata con cui aveva vissuto più di qualche avventura nell’Isola Che Non C’è, meritasse la sua fiducia.
“Bè…lei….”
L’improvviso sbattere della porta d’ingresso fece sussultare entrambe le donne, interrompendo sul nascere qualsiasi cosa la fata da toni verdi stesse per dire.
In un gesto quasi simultaneo, Trilli ed Eva si misero in piedi in un unico scatto, posando lo sguardo sulla figura smilza e insanguinata di Mr Furetto, il quale aveva appena varcato la soglia della porta, posato sulle spalle robuste di Tani.
Non c’era che dire, il destino aveva un senso dell’umorismo a dir poco insuperabile. Fino a qualche ora prima quei due si erano presentati davanti a lei, mostrando un eccessivo divertimento nel minacciarla, nonostante lei fosse ferita e sola.
Ora, a pochi metri di distanza, le sorti si erano capovolte, a vantaggio di Eva Jones.
“Curatrice…ha bisogno di aiuto!”
“m-ma che cosa gli è successo?...Mi avevano detto che aveva la mano ferita…non il volto tumefatto!”
Con un’attenzione e una professionalità che avrebbe fatto invidia al dottor Whale, Trilli si avvicinò all’uomo dai capelli biondi e unti, non solo di sangue, facendo segno a Tani di posarlo sopra al tavolo.
“Lo hanno picchiato…” borbottò la donna “…e Milo non sa incassare!”
La donna che, da quanto aveva capito poco prima nella foresta doveva essere la compagna di Phil, fece quanto le era stato consigliato, posando con un gesto secco il compagno sopra al legno del tavolo.
Milo, o Furetto come amava chiamarlo Eva, emise un sonoro lamento, sputando fuori dalla bocca quello che doveva essere uno dei suoi tanti denti storti.
Disgustoso; ma che cosa gli era successo? Possibile che Phil si fosse arrabbiato per il suo fallimento?
Non smettendo un solo istante di lamentarsi, Milo alzò leggermente le palpebre, ritrovandosi improvvisamente a spalancarle nel momento in cui le sue iridi scure incontrarono il volto della giovane Jones.
“No, no, no, no, no no…lei no. I-io…NON POSSO STARE QUI….” esclamò l’uomo, in modo a dir poco illogico.
“Ehi calmati!” gli urlò innervosita Tani, obbligandolo a rimanere sdraiato sul tavolo.
“Tani…vai a bagnare degli stracci…e portami la bottiglia di rum che è sul tavolo!”
Trilli beveva rum. Ok, nulla di strano.
O forse sì…
“Devo uscire….d-devo uscire!”
“Ma che ti prende…”
Con sguardo corrucciato, Eva si avvicinò al tavolo, ignorando il modo spaventato con cui Furetto continuava a fissarla.
“Hai pure il coraggio di chiederglielo?!” esclamò ostile Tani, porgendo a Trilli quanto le aveva chiesto e incrociando le braccia al petto con fare nervoso “…è stato il tuo ragazzo. -Così impari a toccarla-  ha detto!”
E proprio in quel momento, Eva non riuscì a fare a meno di posare lo sguardo su Trilli che, alzando spalle e sopracciglia, sembrava essersi stampata in faccia un TE L’AVEVO DETTO grosso come una casa.
 
 
***
 
Gli occhi verdi di Emma fissavano il volto contratto dell’uomo che amava, il quale continuava a rimanere steso sopra al letto che, da tempo ormai, occupava nella casa dei suoi genitori.
Più volte, da quando Tremotino aveva abbandonato Storybrooke (non precisamente di sua volontà), la Salvatrice si era ritrovata a fantasticare sulla casa che, un giorno o l’altro, avrebbe acquistato in quella cittadina divenuta da tempo parte di lei. Chissà se avrebbe finito col cedere alle idee di Henry acquistando una bella villetta con giardino, o se avesse continuato ad optare per un appartamento poco impegnativo, come quello che avevano a New York. Anche se, ad essere sincera, la visione del futuro che aveva avuto non lasciava molto spazio all’immaginazione; ma, a dire il vero, la cosa non le importava poi molto.
Anche in quel momento, con i pensieri e il cuore totalmente rivolti verso l’uomo davanti a lei, i suoi sogni continuavano ad includere Killian Jones all’interno di quelle quattro mura. Che si fosse trattato della villetta singola o dell’appartamento non avrebbe avuto la minima importanza. Ciò che contava era che, per la prima volta dopo Tallahassee, immaginava un futuro diverso dalla solitudine a cui si era abituata; immaginava un futuro con una persona; una persona che teneva a lei, che affrontava qualsiasi genere di magia, strega o maledizione pur di salvarla.
La stessa persona che, nonostante i mille tentativi da parte di Regina, non voleva saperne di uscire da quella sorta di coma indotto.
Corrugando la fronte, Emma accarezzò la fronte di Killian, spostando un ciuffo di capelli scuri dalle palpebre serrate.
Non dando peso allo sguardo dei suoi genitori, di Regina e dei suoi figli puntati su di lei, Emma avvicinò il suo volto a quello del pirata, non smettendo un solo istante di accarezzargli il volto, reso leggermente ispido dalla barba incolta.
“Killian…torna da me…ti prego!”
Con dolcezza, la giovane Swan posò le sue morbide labbra su quelle di Uncino, sperando, per un piccolo frammento di secondo, che quel gesto bastasse a risvegliare il giovane Jones da quel sonno profondo, com’era accaduto ai suoi genitori tempi addietro.
Ovviamente, però, le cose non apparivano mai così facili e, invece di prendere una piega più semplice, finivano sempre col divenire ancora più complicate.
“P-pensate che si risveglierà?!” chiese Henry, traducendo a voce alta gli stessi pensieri che, tempestosi, continuavano a rimbombare nella mente della sorella.
“Non lo so tesoro…” gli rispose la madre dai capelli scuri, cingendogli le spalle con fare affettuoso “…ma riusciremo a trovare un modo, vedrai!”
“Nemmeno la ragazza di sotto non sembra molto incline a volersi risvegliare!” esclamò David, incrociando le braccia davanti al petto.
Espirando con fare frustrato, Emma si alzò dal letto su cui Killian era steso, avvicinandosi al corrimano in legno della stanza e lanciando uno sguardo assorto al piano di sotto.
La ragazza, comparsa magicamente nel bosco insieme a Killian, non aveva ancora un nome e, come il pirata, se ne stava stesa sul divano di Biancaneve, anche lei immersa in un sonno da cui pareva non volersi risvegliare. Al contrario del Capitano della Jolly Roger, però, il volto della giovane non appariva sofferente o impegnato in una sorta di lotta interiore; al contrario, sembrava rilassata, quasi in pace.
Il viso era giovane e caratterizzato da un delicato neo vicino allo zigomo destro; la pelle rosea e intatta, come quello di una fata. Alcuni tratti di quel volto ricordavano qualcuno di già visto, ma l’impossibilità di vedere i suoi occhi rendeva quella sorta di gioco “indovina a chi assomiglio” leggermente difficile da realizzare.
“Quindi…che facciamo?” chiese Eva, portandosi i capelli dietro la nuca, come spesso faceva la madre in maniera del tutto involontaria.
“Abbiamo provato tutti gli incantesimi di Regina…” disse con voce rattristata Biancaneve, posando a sua volta una mano sulla spalla della nipote, ritrovandosi a riproporre lo stesso gesto del sindaco di Storybrooke “…non ci rimane che aspettare…come ha detto Ector!”
“Ector!” ringhiò Eva, corrugando la fronte “…davvero pensate che quel vigliacco ci stia dicendo la verità?!”
“Direi che tiene particolarmente alla sua vita…e visto che per ora le uniche cose che lo tengono lontano da Morgana sono la mia magia e le sbarre della cella…non penso che gli convenga mentire!” sottolineò Regina, sicura di sé.
“…io non mi fido!”
“Lo sappiamo!” esclamò Emma, posando lo sguardo sulla figlia “…e nemmeno io mi fido. Per questo penso sia meglio che qualcuno vada alla centrale e lo tenga d’occhio, non vorrei che Morgana decidesse di fargli visita. Per colpa sua ha perso il controllo che esercitava su di noi tenendo Uncino in ostaggio. Non penso sia molto felice di lui!”
“Non dimentichiamo la bacchetta!” aggiunse Henry, alzando le soppraciglia e posando gli occhi sull’oggetto in questione, sistemato sul comodino a pochi centimetri dal letto.
“già…” concordò Emma, corrugando a sua volta la fronte.
Non sapeva ancora in che modo operasse la bacchetta in questione; era la bacchetta della Fata Oscura, certo, la stessa che aveva permesso di aiutarli durante lo scontro con Peter Pan e che, a detta di Tremotino, poteva riproporre qualsiasi tipo di incantesimo. Ma, allora, perché non funzionava? Perché non possedeva la forza necessaria per far risvegliare Killian o la sconosciuta al piano di sotto?
Per quanto la Salvatrice cercasse di ignorare quel pensiero, qualcosa le diceva che l’ipotesi di Regina fosse sempre più plausibile: possibile che Killian Jones non volesse essere risvegliato?
No, no, no e poi no. Come poteva anche solo prendere in considerazione l’idea che Killian Jones non volesse tornare da lei!?
…riesce a far vivere alla persona imprigionata stralci del proprio passato e del proprio futuro…[…]solo così riesce a farli impazzire.
Al ricordo di quanto riferito da Ector, le mani di Emma sembravano voler stritolare il legno su cui erano appoggiate.
Non poteva essere così. Uncino era un uomo forte; un uomo che in più di un’occasione era riuscito a dimostrare che tipo di persona fosse. Nonostante non conoscesse ancora ogni aspetto del suo vasto passato, Emma era certa che nulla al mondo avrebbe potuto schiacciare la forza di volontà del suo Capitano; nemmeno se a provarci fosse stata Morgana in persona.
C’era qualcosa che lo bloccava, qualcosa che gli impediva di risvegliarsi e, in cuore suo, lei sapeva cosa fosse.
Chi si trova lì dentro è destinato a vedere e rivedere la morte del proprio lieto fine, della persona che più ama al mondo...fino a perdere del tutto la ragione.
La voce di Ector, tremante e infida come solo la sua poteva essere, pareva riecheggiare all’interno della stanza e non nella mente della Salvatrice, la quale non riusciva a mettere un freno alla sua preoccupazione.
Il lieto fine. Quante volte aveva sentito quelle parole da quando aveva messo piede a Storybrooke.
Non aveva mai pensato di poter rappresentare il lieto fine di qualcuno.
Neppure quel pomeriggio, quando Ector aveva rivelato a tutti loro come Morgana riuscisse a far impazzire chi imprigionava all’interno di quel limbo, Emma era riuscita a far ammettere al suo cuore che il pirata stesse vedendo proprio la sua di morte, che fosse il dolore della sua perdita a farlo impazzire.
Eppure…eppure la voce nella sua mente continuava a ripeterglielo.
Era lei l’unica in grado di liberarlo da quell’incubo. Non sarebbe servita a nulla la bacchetta di Morgana o qualsiasi intervento da parte di Regina. Era lei la soluzione e, per quanto la cosa la spaventasse, per quanto si sentisse inadeguata per un simile ruolo, sapeva che l’unico modo per riuscirci era quello di rimanere sola con Uncino.
“Ok…come ci dividiamo?!”
“Voi andate, rimango io qui…” rispose Emma al padre, tornando a sedersi di fianco a Killian “…penso sia meglio che qualcuno tenga d’occhio la bacchetta…nel caso Morgana si rifaccia viva!”
“Oh certo…la bacchetta!” ripeté Regina, non sforzandosi minimamente di nascondere il tono sarcastico.
Limitandosi ad alzare gli occhi al cielo, Emma appoggiò il cellulare sul comodino vicino al letto, non accorgendosi della vicinanza della figlia.
“Mamma…se vuoi io…”
“…tranquilla, rimango io…tu va pure con loro!” esclamò la Salvatrice, consapevole di non aver dato alla figlia la risposta che si aspettava.
Abbassando lo sguardo sulla mano del pirata, Emma scelse di non guardare il volto di Eva. Sapeva che avrebbe preferito rimanere lì, insieme a lei, in attesa che Killian riaprisse gli occhi; ma qualcosa le diceva che al risveglio il giovane Jones non sarebbe stato al cento per cento sé stesso.
Che avrebbe fatto se le parole di Ector si fossero rivelate veritiere e Killian avesse iniziato a dare di matto? Come avrebbe potuto perdonarsi per aver inferto altro dolore ad una figlia che, in quanto a delusioni e sofferenze, ne aveva viste più di tutti loro messi insieme?
No, se c’era la minima possibilità di risparmiarle l’ennesima fetta di dolore lei lo avrebbe fatto, anche se questo le sarebbe costata un’occhiataccia come quella che stava sicuramente ricevendo in quel momento.
Non seppe dire quando accadde, ma stette di fatto che, nel momento in cui gli occhi verdi della Salvatrice si spostarono dal volto teso di Killian, non trovarono nessuno nella stanza. Tutti erano usciti senza emettere il minimo rumore; o forse, chissà, lei era stata troppo immersa nei suoi pensieri per accorgersene.
Con fare frustrato, Emma si posò una mano sulla fronte, chiudendo gli occhi e pensando a tutto ciò che aveva tentato pur di riportarlo da lei.
Incantesimi. Lacrime. Bacio.
Nulla, però, si era rivelato abbastanza efficace.
Sospirando, Emma si stese di fianco, toccando con le ginocchia e con il mento il corpo del pirata.
Per la prima volta da quando aveva iniziato ad accettare i suoi sentimenti, si era accorta che starsene lì, sdraiata accanto a lui, con tutto il mondo chiuso al di là di una finestra, era come starsene sospeso in mezzo alle acque. Era come se, improvvisamente, l’universo le avesse concesso la possibilità di nuotare a pelo d’acqua, come facevano i cigni nel lago in mezzo al parco di Stroybrooke.
Pace.
Era quella la sensazione? Era quello ciò che si provava quando la persona che amavi dormiva accanto a te?
Perché non lo aveva fatto prima? Perché doveva sempre aspettare che le cose si complicassero prima di lasciarsi andare?
Il profumo di Killian, quel misto di dolcezza dell’oceano e dell’odore pungente del rum, avevano avvolto completamente la figura di Emma, la quale non riusciva a smettere di accarezzare il mento delineato e ancora serrato del pirata
“Killian…svegliati….ti prego!”
Sussurrando lievemente quelle parole, la giovane Swan chiuse lentamente gli occhi, lasciando che i ricordi legati al pirata prendessero totalmente il controllo della sua mente facendola scivolare in un profondo sonno.
Si sarebbe svegliato, ne era certa. Bastava solo non perdere mai la speranza.
E nella sua famiglia, era l’ultima cosa che andava fatta.
 
***
 
Non seppe dire quante ore erano trascorse da quando il corpo ammaccato di Milo aveva lasciato la capanna di Trilli, accompagnato dalla sua fedele amica, il cui broncio non aveva mai osato allontanarsi di un solo centimetro da quel volto rigido; stava di fatto che, nonostante le mille domande e la rabbia nei confronti di Jake e Morgana, la giovane Jones riuscì ad addormentarsi nel letto di fortuna offertole dalla fata dai capelli biondi, guadagnando parte delle energie perse nel corso di quell’interminabile giornata.
Per un momento aveva pensato che fosse impossibile, per una come lei, lasciarsi andare tra le braccia di Morfeo, soprattutto con l’immagine del figlio di Regina tra le braccia di Lamù, o come diavolo si chiamava.
Perché poi doveva darle così fastidio? Dopotutto non era affare suo se quell’idiota passava da una ragazza all’altra alla velocità della luce.
-E non guarda te nemmeno di striscio…-
Chissà se era stato quello l’inutile e stupido pensiero che aveva fatto prima di addormentarsi. Probabilmente no; probabilmente alla fine si era lasciata soffocare dalla preoccupazione per suo padre e Regina, dispersi chissà dove, alla ricerca di suo fratello, partito alla ricerca di qualcosa che solo lei immaginava. Per non parlare di Alex e gli altri, lasciati nelle grinfie di Diletta.
E quell’incubo in cui si trovava doveva esserne la chiara dimostrazione.
Lì davanti a lei, con i corpi completamente ricoperti da ferite che lasciavano ben poco spazio alla speranza, se ne stavano i suoi genitori, Jake, Regina e tutte le persone a cui voleva bene o che l’avevano abbandonata strada facendo, compresi i suoi amati nonni.
Non dicevano nulla. Rimanevano fermi, non dando alcun accenno di movimento, intenti solamente e posare i loro sguardi accusatori su di lei.
Erano immobili come delle statue; statue fin troppo reali per essere tali.
Paralizzata dalla paura, Eva cercò di dire qualcosa, ma qualsiasi suono o sbuffo d’aria, pareva essersi pietrificato nella sua laringe, facendola sentire in trappola.
Non poteva parlare, come i cadaveri dei suoi genitori.
Eppure doveva chiamarli, doveva dire a sua madre che aveva trovato il modo per salvarli tutti e per mettere la parola fine a quell’incubo. Doveva dirle che sarebbe riuscita a viaggiare nel tempo a trovare un’arma in grado di uccidere Morgana; ma qualsiasi tentativo appariva inutile.
Frustrata da quel mutismo, Eva abbassò lo sguardo, stringendo con forza la mascella.
Ciò che trovò ai suoi piedi, però, fu qualcosa di estremamente inaspettato. Qualcosa che ancora non aveva visto ma che si aspettava di cercare in un tempo del tutto diverso da quello in cui si trovava.
Una spada.
Già, ma non una spada qualunque. Affatto.
Quella ai suoi piedi era La Spada; la spada per secoli cercata e mai trovata, la spada che tutti i cavalieri del mondo, almeno una volta nella loro vita, avevano sognato di impugnare.
Ma come aveva fatto a riconoscerla? Come avevano fatto il suo cuore e la sua mente a portarla a quella precisa informazione?
Excalibur. Era lì, ai suoi piedi.
Non si trovava conficcata in una roccia come aveva sempre pensato. Era lì, stesa e inerme, come immersa in un sonno da cui non voleva essere risvegliata. Ma perché si trovava lì? Non poteva essere quella l’arma che Tremotino le aveva detto di cercare, no…perché la spada si trovava a Camelot e non…a Storybrooke.
Eppure quella ai suoi piedi era proprio l’antica reliquia di cui tanto aveva sentito parlare e, con ogni probabilità, era anche l’unica arma in grado di fermare il regno del terrore forgiato da Morgana.
Quello era il destino che si metteva in contatto con lei; finalmente l’universo cominciava a far intravedere qualche spiraglio di luce in quella landa desolata infittita dalla nebbia e dall’oscurità.
Lasciandosi andare ad un sorriso impossibile da contenere, Eva chiuse entrambi le mani a pugno, come se non riuscisse a decidersi con quale delle due afferrare l’elsa.
Inspirando tutta l’aria di quel luogo sconosciuto, Eva si apprestò ad inginocchiarsi, pronta a mettere fine a quella storia e a vendicare la sua famiglia.
Eva.
Un’improvvisa voce fece alzare di scatto il volto della castana, la cui mano si bloccò a mezz’aria. Era una voce familiare, maschile.
Con la fronte corrucciata, Eva spostò lo sguardo sui corpi delle persone che amava, dal cui volto traspariva la contrarietà di quello che stava per fare. I suoi genitori, stretti l’uno nelle braccia dell’altro, sembravano volerle esprimere con la sola forza dello sguardo un divieto. Non erano felici, così come non lo era Regina, Biancaneve e David.
Non volevano che lei impugnasse la spada. Ma perché?
Quella spada rappresentava la speranza; rappresentava la fine di quel suo lungo viaggio appena iniziato.
Eva…
Ancora quella voce. Non era stato nessuno dei presenti a parlare, immersi come lei in una sorta di universo privo di alcun suono.
….sve….
…gli...
Come avvolta in un torpore, Eva abbassò nuovamente lo sguardo, cercando di scacciare quella voce insistente dalla sua testa.
Lei doveva prendere la spada, impugnarla e uccidere Morgana una volta per tutte.
Ma la spada era sparita; l’oggetto non si trovava più ai suoi piedi.
Con la stessa magia con cui era apparso, l’oggetto ora si trovava nelle mani di qualcun altro, di qualcuno dai capelli castani e dai tratti così simili a quelli di Morgana da far salire i brividi lungo tutta la spina dorsale.
Colta alla sprovvista, la figlia della Salvatrice cercò di parlare, di chiedere chi fosse quella figura sconosciuta e dai tratti quasi elfici. Ma qualsiasi suono non smetteva di rimanere bloccato all’interno della sua gola.
Con la spada in pugno e uno sguardo freddo come la pietra dipinto sul volto, la donna dai capelli sottili e dagli occhi color nocciola fece un passo in avanti, sorridendo in maniera così triste da far mancare il fiato.
“Tu non sei…la Salvatrice!”
Improvvisamente, l’immagine della giovane dai tratti elfici, lasciò spazio alla figura spaventosa di Morgana, avvolta in uno dei suoi amati abiti neri come la notte.
…”Grazie per avermela portata…principessa!”
Con uno scatto sicuro e carico di rabbia, Morgana alzò la spada in direzione di Eva, il cui volto pareva essersi pietrificato come quello della sua famiglia.
….sve….
…svegliati….
Nel momento in cui la lama della spada si conficcò nel suo stomaco, Eva si alzò di scatto dalla brandina, ritrovandosi faccia a faccia con il volto serio e composto di Jake.
Non riuscendo a controllare il fiato corto e lo spavento dovuto all’incubo, Eva non si accorse di stringere con forza il braccio del ragazzo accanto a lei. Per quanto cercasse di ignorare le sensazioni scaturite da Jake, il contatto con la sua pelle calda le riempì il cuore di una calma mai provata. Era come se, improvvisamente, il profumo di Storybrooke avesse trovato la strada per arrivare fin lì, facendola sentire a casa.
“Tutto bene?!”
“…s-sì…” esclamò a fatica Eva, consapevole del fiato corto e del sudore che le imperlava la fronte.
Era stato un incubo. Un terribile e dettagliato incubo in grado di farle esplodere il cuore dal petto.
Quella consapevolezza, però, non bastò a darle la sicurezza necessaria e, lentamente, la giovane Jones si ritrovò ad abbassare lo sguardo, assicurandosi di non avere il ventre squarciato dalla spada che aveva visto ai suoi pedi.
Era stato un sogno, uno di quei stupidi sogni che tutti si ritrovavano a fare quando erano ad un passo dal realizzare qualcosa di importante.
Già, ma chi era quella donna che, improvvisamente, le aveva rubato la spada? E perché improvvisamente Morgana aveva preso il suo posto?
Possibile che fosse Excalibur ciò che stava cercando?
“Dobbiamo andare!”
“Andare?!” chiese con tono confuso la giovane, lasciando andare il braccio del giovane Hood, quasi fosse stato improvvisamente attraversato da una scossa elettrica “…andare dove?!”
“Phil è venuto a chiamarci…ha detto che si parte stanotte. Lui sembra non avere molto tempo da perdere…e nemmeno noi!” esclamò il giovane, serio e controllato “Prima risolveremo questo problema e prima potremo andarcene da qui e raggiungere Roland e gli altri!”
Già Roland e Neal, in cuor suo sapeva che le probabilità che stessero tutti bene erano quasi pari a zero, ma nonostante ciò non riuscì a fare a meno di pensare che, dopo l’arrivo di Milo e Tani si era irrimediabilmente allontanata dal luogo in cui aveva perso la sua collana.
Lo sapeva, era orribile pensare ad una cosa del genere proprio in quel momento; ma l’idea di aver perso l’unica cosa che la collegava a sua madre le creava un cratere così profondo al centro del suo cuore che persino la respirazione pareva divenire quasi incompleta; ogni respiro si fermava a metà e la collera si faceva sempre più strada dentro di lei.
Pensava al suo ciondolo.
Era davvero una persona egoista e orribile; come poteva biasimare Jake per quello che pensava di lei?
Senza dire una parola, Eva si alzò dal letto, seguendo la figura atletica di Jake.
Sia lei che il giovane dai capelli suri, indossavano gli stessi vestiti regalatigli dalla gente del villaggio; se solo in cambio non avessero dovuto imbarcarsi in quella sorta di spedizione suicida avrebbe detto che non incontrava gente così generosa da un sacco di tempo.
Dopo la sua uscita di scena di quel pomeriggio, lei e Jake non avevano più avuto modo di parlare, soprattutto di quello che era accaduto a Furetto, o meglio, alla sua faccia.
“Tani ci ha portato delle armi…” continuò Jake, fermandosi nella stessa sala dove, ore prima, Trilli li aveva curati con le sue erbe dall’odore nauseante.
Chissà che fine aveva fatto la fata. Forse nemmeno lei era a conoscenza di quella partenza improvvisa.
“…io prendo l’arco, tu scegli quello che sai usare meglio. Con i troll e gli orchi non c’è da scherzare!”
“Tani?...la stessa Tani che se oggi avesse potuto mi avrebbe inchiodata al muro per quello che hai fatto al suo amico?!” gli chiese Eva, guardandolo di traverso ed evitando di posare lo sguardo sulle armi indicate dal ragazzo.
“Sì, quella!”
Alzando gli occhi al cielo per quelle risposte così altezzose e prive di alcun tatto, Eva prese una delle spade più leggere e un pugnale, il quale finì ben nascosto sotto lo stivale e i pantaloni neri.
Aveva confessato così, senza il minimo senso di colpa; tipico di lui e di un ramo particolare della sua famiglia.
“Lo hai picchiato…gli mancavano tre denti…!”
“Credimi…gli ho fatto un favore…”
“…aveva il naso rotto, per non parlare di come erano ridotte le sue costole!”
“Lo so…c’ero anch’io nel caso non lo avessi capito!” continuò Jake, finendo di armarsi ed evitando volutamente di posare lo sguardo sulla giovane accanto a lei.
Spazientita da quell’atteggiamento, Eva lo prese per il collo della giacca, obbligandolo a voltarsi verso di lei e fissandolo con le sue intense iridi verde prato.
Improvvisamente gli occhi del ragazzo divennero due pozzi di oscurità, come se un’improvvisa tempesta avesse deciso di fare di quelle iridi il loro palcoscenico personale.
Per tutti i mari…quanto potevano essere perfetti due occhi scuri?
“…perché lo hai fatto?...e giuro che se mi dai un’altra delle tue risposte idiote ti do un pugno in faccia!”
“Che c’è….ti dispiace per lui?” esclamò serio Jake, fissandola a sua volta e non perdendo per un solo istante il contatto con i suoi occhi “…ti aveva picchiata no?...gli ho solo restituito il favore!”
“Dimmi una cosa Jake…” gli chiese Eva, inspirando tutta l’aria necessaria per porre quella domanda ed evitando volutamente di allentare la presa dal suo colletto “…sei schizofrenico?”
Colto alla sprovvista da quelle parole, Jake si allontanò di scatto da lei, guardandola con lo stesso sguardo che suo padre, all’epoca, aveva rivolto a sua madre quando gli aveva detto che quella davanti a lui non era Marion ma la Perfida Strega del’Ovest.
“Oh interessante....me lo sta davvero chiedendo il dottor Jekyll e Mr Hyde della magia nera?!”
“Io?....ma se sei tu che un momento mi odi e quello subito dopo prendi a pugni un imbecille per salvare il mio onore!”
“I-il tuo onore?” urlò Jake, sbarrando gli occhi divenuti dello stesso colore della pece nel prendere in considerazione l’idea che quell’essere disgustoso l’avesse toccata “Io quello lo ammazzo!”
Senza attendere una risposta, Jake si avvicinò alla porta d’ingresso, impugnando la maniglia con tanta ferocia da dare quasi l’idea di riuscire a scardinarla senza troppa difficoltà.
“No, no…fermati…maledizione!” esclamò Eva, bloccandolo di scatto “…intendevo…intendevo che mi aveva stesa, che hai capito?!”
Promemoria: mai informare Jake della perquisizione che Milo il Furetto le aveva generosamente offerto nella foresta. Denti e costole sarebbero stati il minimo.
“Vedi?....è questo che intendo?...Non puoi odiarmi e…e il momento dopo…tenere a me!”
“Io non tengo a te!”
“…e allora perché mi aiuti?...perchè mi difendi!”
“P-perchè…”
“O dimmi perché mi odi…dimmi qualcosa che mi faccia capire cosa ti ho fatto di così grave da meritare questo tuo atteggiamento perché io, credimi, non ne ho la minima idea. Forse posso fare qualcosa per…per risolvere le cose…”
“Non puoi…”
“non posso…cosa non posso?” gli chiese Eva, sgranando gli occhi chiari, nel tentativo di capire qualcosa di più della persona che aveva davanti.
“Non puoi risolvere nulla…quello che è stato è stato, non si può cambiare il passato!”
Avrebbe avuto qualcosa da ridire al riguardo, ma quella non era di certo l’occasione più adatta per metterlo al corrente del suo piano di tornare a Storybrooke tramite un portale.
“Quindi mi odierai per sempre?”
“Sì!”
“O-ok…mi sta bene” mentì la giovane, serrando le mani per controllare le lacrime pronte a tuffarsi dalle iridi dei suoi occhi “Però allora devi smetterla di difendermi…o di aiutarmi…non puoi fare entrambe le cose. Mi manda in bestia questo tuo atteggiamento!”
“Non posso!”
“Cosa?!” si ritrovò ad urlare la giovane, alzando le braccia al cielo, spazientita.
“Non posso…farlo…N-non ci riesco!” le rispose il giovane Mills, apparendo turbato come mai si era mostrato.
Persino i suoi occhi scuri, fino a poco prima tempestosi, avevano finito col cedere ad una sorta di insicurezza, divenendo più innocenti di quanto mai fossero apparsi.
Per un attimo i due rimasero in silenzio, guardandosi, come in attesa di una rivelazione impossibile da udire da chiunque.
Deglutendo a fatica, Jake ruppe quel silenzio, indurendo a sua volta la mascella e rendendola ancora più delineata e forte di quanto già non fosse.
“…però puoi fidarti di me!” esclamò sincero, bloccandola sul posto con quel suo sguardo dolce e fiero al tempo stesso “…per quanto io ti odi e…per quanto mi irriti starti vicino…io…io ti aiuterò sempre. Mi butterò ancora da un burrone pur di salvarti e nessuno al mondo potrà sfiorarti con un dito senza prendere in considerazione l’idea di beccarsi una freccia in faccia”
“C-come?!” esclamò a fatica la giovane figlia dell’ex Salvatrice di Storybrooke, sentendo la gola farsi improvvisamente arida e graffiante.
“Io, io non ti lascerò mai sola Eva, mai più…è una promessa!”
Consapevole di quanto poco mancasse alle lacrime per vincere quella stupida guerra contro la sua volontà, Eva sentì il cuore stringersi in una morsa.
Aveva davvero sentito quello che le aveva detto? Poteva una persona odiarla e tenere a lei allo stesso tempo?
“I-io…non ti credo!”
“Non mi…credi?!” esclamò sconvolto il giovane dai capelli scuri.
“Non posso fidarmi di qualcuno che non si fida di me!”
“Io mi fido!”
Limitandosi a guardarlo con fare scettico, Eva tornò pian piano a prendere possesso del suo corpo e dei suoi sentimenti, improvvisamente lasciati a briglia sciolta.
“Ok…non sempre…ma questo non centra”
“Centra eccome!”
“Forse perché non me ne dai spesso il motivo, non credi?!”
“Ah no?...mi hai fatto giurare di non usare la magia e non mi sembra di averlo ancora fatto”
“Già…però se ti chiedessi di dirmi che genere di patto hai stretto con Tremotino tu non me lo diresti, giusto?”
“Forse perché non posso farlo!”
“E perché non potresti farlo? Te l’ha chiesto il Signore Oscuro?”
“No…”
“E allora parlamene…lascia che ti aiuti!”
“No!”
Espirando tutta la frustrazione che aveva dentro, Jake diede le spalle ad Eva, rimanendo fermo nella sua posizione per alcuni minuti.
“E va bene!” esclamò infine, voltandosi nuovamente verso di lei “…se non vuoi parlarmene non farlo!”
Non riuscendo a trattenere lo sconvolgimento di quella rivelazione, Eva sbarrò lo sguardo, rimanendo a bocca aperta di fronte a quell’improvvisa arrendevolezza.
Da quando Jake Mills le dava ragione così facilmente?
“…io ti aiuterò lo stesso! Ti seguirò fino in capo al mondo, che tu lo voglia…o no!”
Ecco, come non detto.
Ma quelle parole; quelle parole erano così importanti per lei che, per un secondo, prese in considerazione l’idea di raccontargli tutto e di dirgli quello che Tremotino le aveva consigliato di fare per salvare l’intera Foresta Incantata.
E forse lo avrebbe fatto.
Già, forse. Ma non lo avrebbe mai saputo.
“Allora ragazzi…siete pronti?!” esclamò Phil, la cui puntualità, alle volte, riusciva a spiazzare persino lei.
 
***
 
Lentamente Emma aprì gli occhi, ritrovandosi nella stessa posizione in cui si era addormentata; stesa sul fianco, accanto a Killian Jones. Solo che il pirata in questione non si trovava più accanto a lei, ma se ne stava in silenzio, seduto di spalle sul bordo del letto e la testa tra le mani.
“U-Uncino…”
Con voce delicata e carica di entusiasmo, Emma avvicinò la sua mano alla spalla dell’uomo, il cui respiro appariva così irregolare da far trasparire tutte le emozioni che, combattive, dilagavano dentro di lui. Non stava bene, ne era certa.
“Killian. Ti…ti senti bene?” insistette la bionda, avvicinando di un altro millimetro le dita alla spalla dell’uomo.
Nello stesso istante in cui la mano della Salvatrice sfiorò il giubbotto di pelle nera del Capitano della Jolly Roger, questi si alzò di scatto, rifiutandosi di volgere lo sguardo verso di lei.
“Devo uscire…”
Di scatto, Killian si diresse verso le scale che portavano al salotto dell’abitazione, seguito a ruota da Emma, il cui cuore entusiasta del risveglio del pirata, cominciava a dare spazio alla preoccupazione e alla consapevolezza di quanto le cose potessero essere cambiate dalla sua sparizione.
“Killian…fermati…ti prego!”
Afferrando la spalla del giovane Jones, Emma lo obbligò a voltarsi, guardandolo finalmente in volto.
E in quel momento, sentì chiaramente il suo cuore creparsi in maniera netta.
Che cosa gli era successo?
Il volto sicuro e fiero dell’uomo che amava, aveva lasciato spazio ad una confusione e inquietudine impossibili da non notare. Le iridi di un intenso blu scuro, ora apparivano pallide e spente, come in balia di una sofferenza così grande da far spegnere la luce della passione che, da sempre, avevano inondato quello sguardo virile e perfetto.
Anche la pelle appariva cambiata, come se fosse rimasto troppo tempo al buio e lontano dall’aria fresca del giorno.
“Uncino…c-che cosa ti è successo?”
Improvvisamente e in maniera del tutto inaspettata, Killian iniziò a ridere, come se la domanda di Emma fosse la cosa più divertente che avesse udito negli ultimi tempi, e forse era davvero così.
“Cosa mi è successo?” esclamò il pirata, finendo di ridere ed iniziando ad aumentare il tono della voce, rivolgendosi a qualcuno di invisibile all’interno della stanza, ma in grado di udirlo dal soffitto, visto il mondo in cui alzava lo sguardo.
 “Killian…Killian ascolta, non sei più prigioniero di Morgana!” cercò di rassicurarlo Emma, avvicinandosi di un passo al pirata “…lo so che è difficile da credere. Non immagino neanche quello che ti ha fatto passare quella pazza…”
“Già non lo immagini minimamente Emma!”
“…ma credimi, ora non sei più lì….ora sei a casa…”
“A casa?…”
“S-sì …”
“Il problema è che sono sempre rimasto a casa…Swan…”
Ignorando volutamente il modo freddo con cui aveva pronunciato il suo cognome, Emma corrugò la fronte, posando la mano sul braccio immobile di Killian.
“…c-che cosa vuoi dire?!”
“Dimmi…dove pensi sia stato?!”
“I-io non lo so. Ector ha detto che Morgana ti teneva prigioniero in una sorta di limbo…dove vedevi…vedevi la morte….”
“La morte di chi?!” insistette Killian, avvicinandosi a sua volta al volto pallido della Salvatrice.
“La morte…del tuo lieto fine!”
“Già…è così. E sai di chi ho visto la morte?!”
Lo sapeva?
Lo sapeva davvero? Sì, sì che lo sapeva, il suo cuore glielo urlava a gran voce da quando aveva messo piede in quella foresta, di fronte a quel maledettissimo albero creato da Morgana. Eppure la sua mente continuava a urlarle il contrario; la sua mente così scaltra nel costruire mura e mura di sicurezza continuava a sussurrarle ogni genere di insicurezza; continuava ad insinuare quel fastidioso e convincente dubbio che nessuno, nessuno al mondo avrebbe mai visto in lei il suo lieto fine.
Perché, dopotutto, che cos’era il lieto fine? Qualcuno si era davvero preso la briga di considerare il reale significato di quelle semplici e ripetute parole?
Il lieto fine. La fine splendida di qualcosa. Era come voler dire che tutto era andato al suo posto. Ogni cosa aveva trovato la sua collocazione; la persona in questione aveva raggiunto la pace, la vera e pura felicità. E nonostante il lieto fine potesse essere rappresentato da una famiglia, un figlio, il raggiungimento di un sogno, pensare di essere il lieto fine di qualcuno era una cosa così grande e straordinaria da dare l’impressione di toccare il cielo con un dito.
Poteva essere lei, la bambina sperduta, l’eterna orfana, il lieto fine di qualcuno?
“Io credo…”
“Ho visto la tua morte Emma….” esclamò a gran voce Killian, il cui volto pareva essere divenuto ancora più teso e tirato “… ho visto e rivisto la tua morte così tante volte che se chiudo gli occhi sono di nuovo lì; vedo di nuovo il tuo sangue e i tuoi occhi chiudersi per non riaprirsi mai più…”
“Ma non era vero!”
“Sì….Sì che lo era!” urlò alzando il braccio con fare frustrato “…era tutto vero. Quello era il nostro futuro. Tu morirai…e io non sarò lì a difenderti!”
“Killian…”
Delicata come forse non si era mai sentita in tutta la sua vita, Emma accarezzò il volto del pirata il quale, nonostante cercasse con tutte le sue forze di resistere a quel tocco e a quel volto in cui finiva sempre per perdersi.
“Killian…ascolta….tutto quello che hai visto…anche…anche se lei ti ha fatto credere che sia il nostro futuro, non puoi sapere se andrà davvero così!”
“Sì invece…”
“Come puoi esserne certo?”
“Perché quello che è successo è qualcosa che tu faresti…”
“Cosa? Mi lascerei uccidere da quella strega…”
“no…ma sacrificheresti la tua vita per il bene di tutti!”
Il volto di Emma rimase esterrefatto. Cosa voleva dire con quelle parole?
“N-non sarà Morgana ad ucciderti Emma…ma sari tu stessa a farlo…”
Il silenzio calò pesante nella camera da letto di Biancaneve e David, rendendo quasi udibile il battito cardiaco della giovane Swan, la quale faticava a credere a quello che aveva appena sentito.
“P-perché avrei dovuto fare una cosa del genere?!”
Esausto, il Capitano della Jolly Roger andò a sedersi sul gradino che portava al piano di sotto, tenendosi nuovamente la testa tra le mani.
Senza aspettarsi un reale invito, Emma fece lo stesso, sedendosi accanto a lui.
“Killian…che cos’hai visto?!”
Emettendo un sospiro quasi impercettibile, Uncino alzò lentamente il capo e, senza mai incrociare lo sguardo della donna che amava, iniziò a parlare.
Le parole uscirono da sole, affilate e graffianti come uno specchio rotto e incastrato in gola; doloroso sì, ma bisognoso di uscire ad ogni costo.
Le raccontò ogni cosa; della profezia, dell’implicazione di Turchina, del fatto che Eva non possedeva alcuna magia e del modo in cui lei si era sacrificata, per dare una possibilità a sua figlia e a tutti loro.
Per tutto il tempo, Emma rimase in silenzio, osservando quelle labbra perfette pronunciare parole così cariche di dolore.
Il tempo in quel limbo doveva essergli sembrato eterno; era un miracolo che non fosse realmente impazzito.
Ma Killian Jones era un sopravvissuto, e lei lo sapeva meglio di chiunque altro.
“Uncino…ascolta…” iniziò Emma, posando la sua mano bianca su quella di lui, alla ricerca di un contatto che, solitamente, era lui a creare.
“NO!”
Sbottando in maniera del tutto imprevedibile, il giovane Jones si alzò dal gradino, allontanandosi dal tocco del suo cigno.
“N-non toccarmi…ti prego…”
Cercando con tutta sé stessa di non apparire ferita tanto quanto si sentiva dentro, Emma si alzò a sua volta, fissando l’uomo di fronte a lei con gli occhi così sgranati da faticare a sentire un reale contatto con le sue palpebre.
“Emma…se c’è una cosa che ho capito…è che…che non possiamo stare insieme!”
“Che cosa?!” esclamò la bionda, certa di non aver ben compreso le parole del pirata “…tu non…”
“Pensaci…questa strega vuole la nostra testa, vuole ucciderci tutti perché noi siamo stati insieme…perché dalla nostra relazione nascerà Eva…”
“Già e con questo?!”
“Con questo?....con questo significa che se io e te…”
“È questo quello che ha fatto Morgana? Ti ha fatto il lavaggio del cervello convincendoti a non stare insieme?” lo interruppe Emma, con sguardo sconvolto e amaro.
“Tu non capisci…”
“Credimi, lo sto facendo….ma mi sto chiedendo se per caso hai lasciato il cervello in quel limbo…”
“Lascia stare Swan…”
Innervosito, Killian si voltò di scatto, dando le spalle alla donna di fronte a lui e dirigendosi con passo deciso verso il comodino dove era stato riposto il suo fedele uncino.
Senza dargli il tempo di avvicinarsi, Emma lo superò, mettendosi nuovamente di fronte a lui e fermandosi a pochi centimetri dal letto dove, fino a qualche minuto prima, avevano dormito insieme, fianco a fianco.
“No. Non lascio stare! Se c’è una cosa che mi hai insegnato proprio tu è quella di combattere per le cose a cui tengo…di non lasciami spaventare dal futuro o da tutto ciò che ne consegue. Non puoi permettere che una pazza dai capelli spettinati ti faccia abbandonare le cose a cui tieni…”
“non capisci? È proprio quello che sto cercando di evitare. Non voglio abbandonarti al tuo destino; non posso permettere che quello che ho visto si realizzi…non posso permettere che quella donna renda la tua vita un inferno solo perché hai deciso di stare con me, perché insieme avremo una figlia che forse potrebbe ucciderla, ma solo dopo che tu ti sarai sacrificata!”
“Killian…” pronunciò il suo nome con le lacrime agli occhi.
Lui non voleva perderla.
Non era impazzito e men che meno si era lasciato abbindolare dalla magia della Fata Oscura.
Era preoccupato, per lei e per lei soltanto.
“NO…non c’è nessun Killian…” si rifiutò il pirata, arretrando di un passo “…io non permetterò che tu muoia, anche se questo significasse vivere nel rimpianto o morire solo e senza di te…Io…”
Senza ascoltare il rifiuto dell’uomo, Emma si avvicinò a lui, posando entrambe le mani su quel volto ruvido e dai lineamenti indimenticabili.
“Killian…io non morirò…”
“Sì invece….”
“ok…ma non nel modo che hai visto…te lo prometto! E sai perché?....perchè se staremo insieme potremo sconfiggere Morgana, potremo trovare un modo per risolvere le cose…un modo diverso da quello che hai visto. Se staremo insieme potremo usare quello che Morgana ti ha mostrato contro di lei…”
Killian chiuse gli occhi, come alla ricerca di qualcosa che lo convincesse a non crede a quelle parole.
“Noi…avremo un bellissimo futuro…e sai perché lo so?!”
Killian rimase in silenzio, posando quei suoi splendidi occhi blu sul volto coraggioso della donna che amava.
“Perché…” continuò Emma, senza mai staccare le mani da quel volto “…perché insieme avremo una figlia bellissima…e forte…così forte da aver trovato un modo per arrivare qui, nel passato per salvarci tutti. E questo Morgana lo sa…”
“Già…come sa che tu sarai pronta a sacrificarti per salvare tutta la città. Ma io non sono come te…io sono egoista…e voglio che tu sia salva, anche a costo che tutta Storybrooke…”
“Non è vero…” lo interruppe Emma, corrugando la fronte.
“Sì invece…e tu lo sai. Amo Eva…davvero…e penso di averla amata fin dal primo istante…ma tu, tu Emma sei la ragione della mia vita…sei la persona più importante…e non posso permettere che il tuo futuro sia fatto di sola sofferenza, soprattutto se la mia presenza ne sarà la motivazione!”
“ma non sarò così…”
“Non puoi saperlo…”
“Sì invece…e te lo posso dimostrare…”
 
 
 
 
Che dire di questo terribile ritardo.
Mi dispiace…davvero. So che come scuse fanno pena, ma purtroppo il ritardo di questo aggiornamento non è stato direttamente dipeso da me. Anzi….se avessi potuto avrei aggiornato molto prima, ma gli impegni quotidiani non mi hanno dato tregua (e continuano ad alitarmi sul collo ovviamente).
So che, probabilmente, molti di voi si saranno stancati di aspettare questo 21esimo capitolo, e credetemi….se fosse così vi capirei benissimo; ma sappiate che non smetterò di scrivere e continuerò a curare questa ff come ho sempre fatto, fino all’ultimo capitolo.
Vi ringrazio con tutto il cuore per aver commentato fino adesso e spero di avere la fortuna di poter leggere ancora le vostre meravigliose recensioni, alle quali dedico in toto questo capitolo….perchè sappiate che la forza di continuare a scrivere (oltre al fatto che amo terribilmente farlo) viene dal fatto che so che ci sono persone che seguono questa storia e il minimo che possa fare è continuare ad impegnarmi.
Vi avevo promesso un momento CS e ci sarà….solo che l’ho diviso in due; ho preferito allungare un pochino il risveglio del nostro pirata per dedicarmi maggiormente al loro momento “speciale” nel prossimo capitolo (la vostra pazienza sarà ripagata, promesso…soprattutto visti gli ultimi episodi della 5B e quello che ci aspetta domenica prossima!!!).
Anche la rivelazione di Jake avverrà nel prossimo capitolo (qualcuno dirà, ho già sentito queste parole…:P…ma sarà così, parola di lupetto xD).
Ok, non mi dilungo più di così…altrimenti invece di perdonarmi vi arrabbiate ancora di più con la sottoscritta.
So che sembra impossibile da immaginare ma il prossimo capitolo è quasi concluso; avevo mezza intenzione di pubblicarli insieme ma ho pensato che così avrei rischiato che qualcuno, per errore, leggesse subito il 22esimo fregandosi un po’ la storia. Morale della favola: l’attesa del prox capitolo non sarà così lunga….scusatemi ancora!!!!!
In più avrei una piccola domanda da farvi? Secondo voi è il caso che nel prossimo capitolo scriva un mini riassunto di quello che è successo fino ad ora? Ci pensavo l’altra settimana….effettivamente la storia sta andando avanti da un po’ (lo scorso mese mi sa che è stato il primo anniversario della ff ♥) e forse un po’ di cose vanno, giustamente, nel dimenticatoio. Ditemi voi…se pensate possa essere utile scrivo un piccolo riassunto sulle cose importanti tanto per rispolverare un po’ la memoria.
Vi ringrazio ancora per tutto quello che fate: per continuare a seguirmi, per continuare a commentare, per continuare a leggere, per continuare a spronarmi e a coltivare, insieme a me, quello che è il mio sogno più grande….SCRIVERE.
Un forte abbraccio
…..e chissà che i prossimi episodi di OUAT ci regalino splendide scene CaptainSwan ♥
 
 
Erin
 
                                                                   

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Capitolo 23
*** RIASSUNTO ***


Come vi avevo promesso ecco un riassunto di quello che è capitato fino ad ora. So che è piuttosto lungo, ma credetemi…riassumere 302 pagine di word in 7 …è stato una sorta di miracolo :P
Che dire, buona lettura…e spero di aver fatto un buon lavoro.
 
 
 
Le vicende si susseguono in un determinato lasso temporale, ovvero le settimane trascorse in seguito all’allontanamento di Gold da Storybrooke (per capirci, dopo la partenza di Elsa, Anna e Kristoff).
Improvvisamente in città arriva una giovane ragazza di sì e no 17 anni, la quale si presenta sotto falso nome (Jean) e priva di alcuna memoria; ben presto si scoprirà essere Evangeline (Eva) Teresa Jones, la figlia di Emma e Killian, arrivata dal futuro per uccidere Morgana, la Fata Oscura di cui, spesso, i nostri eroi hanno sentito parlare nel corso del tempo.
Con l’arrivo della ragazza, Emma inizia a fare degli strani sogni, 5 in totale che qui riassumo brevemente:
 
PRIMO SOGNO: Emma si ritrova in una casa sconosciuta, impregnata dall’odore di bruciato; qui incontra una bambina dai capelli scuri, la quale le rivolge frasi incomprensibili (“Non dovresti essere qui” “è tutta colpa tua…non dovevi andare...”). Affacciandosi alla finestra, Emma scorge il palazzo dei genitori in fiamme, scoprendo così di essere nella Foresta Incantata, distrutta dalle fiamme e da terribili mostri alati; in tutto ciò, vede la figura di una donna incappucciata. La Salvatrice non riesce a scoprire nulla di più in quanto la sua copia esatta le ripete che non dovrebbe trovarsi lì e con un gesto della mano la fa letteralmente sbattere contro il muro dell’ospedale, dove si era addormentata poco prima.
 
SECONDO SOGNO: Emma si ritrova nel cimitero di Storybrooke, questa volta con maggiore consapevolezza di essere all’interno di un sogno. Di nuovo, appare la bambina incontrata la prima volta, ferma davanti ad una tomba. La piccola le dice di non poter rivelarle il suo nome perché altrimenti Lei scoprirebbe dove si trova. Sempre più confusa, Emma cerca di capire qualcosa di più riempendo la piccola di domande e chiedendole in che modo riesca ad entrare nei suoi sogni. Spaventata e in lacrime, la bambina le dice che si trovava lì solo per salutarla e, in quel momento, Emma vede che la tomba accanto a lei è proprio la sua: “EMMA SWAN”. La bambina scompare nel nulla e, improvvisamente, Emma vede Killian disperato davanti alla sua lapide. Questa volta a farla allontanare da quel sogno ci pensa Jean (Eva), apparsa accanto a lei con addosso lo stesso abito della bambina e, sicura, le dice queste parole: “Vattene…sta arrivando…e io non sono pronta!”
 
TERZO SOGNO: Nel terzo sogno, Emma si ritrova in un campo di fiori dove vede Regina insegnare qualcosa a Jean riguardo l’incantesimo di donazione. Frustrata da quella situazione, Emma si ritrova improvvisamente di fronte alla madre la quale le dice che la giovane ragazza è il futuro e la speranza.
INIZIALMENTE EMMA NON RICORDERÀ NULLA DI QUESTO SOGNO; SOLO IN SEGUITO RIUSCIRÀ A COMPRENDERLO DEL TUTTO.
 
QUARTO SOGNO: Nel quarto sogno Emma ha la totale consapevolezza di essere in un sogno. Qui incontra la Regina del futuro, la quale le mostra il modo in cui Eva è arrivata a Storybrooke: facendo un accordo con Tremotino.
 
 
QUINTO SOGNO: Nell’ultimo sogno, Emma vede il suo matrimonio con Killian (ora senza uncino e con entrambe le mani). Tutto ciò l’emoziona così tanto da lasciarla senza parole, sensazione acuita dalla vista di Regina incinta. Qui rivede Eva da piccola, la quale le permette di assistere al matrimonio come spettatrice e non in maniera diretta. Parlando con la piccola Eva, Emma capisce che i sogni sono frutti dei ricordi sia della Emma del futuro che della bambina (Eva), ma non riesce a capire si presentino. Prima di risvegliarsi, il Killian del sogno le chiede dove sia la sua collana.
 
 
Fin da subito Emma non si fida della ragazza, la quale sembra nascondere troppi aspetti di sé. Anche Henry nutre dei sospetti su di lei e, infatti, la coglie in flagrante mentre cerca di rubare qualcosa dalla cripta di Regina.
La ragazza strappa il cuore di Henry, cercando in questo modo di avere un alleato nella realizzazione del suo piano. Ben presto si scoprirà che la giovane ha rubato a Regina un potente incantesimo di donazione, il quale le ha permesso di assorbire la magia dell’ex cattiva (si tratta, infatti, di un incantesimo donativo molto diffuse tra le streghe in quanto permette di passare la magia a qualcun altro in caso di morte improvvisa).
La Mills ricorda di aver creato quell’incantesimo poco tempo dopo l’arrivo di Zelena ma è sicura di non averne parlato con nessuno. Emma e Regina decidono di giocare d’astuzia e, insieme ad Uncino, attirano Jean e Henry (privato del suo cuore e impossibilitato a dirlo a qualcuno) alla stazione di polizia, fingendo di possedere il Nodo-Non-Ti-Scordar-Di-Me, un oggetto magico in grado di far vedere eventi passati legati ad un determinato luogo. Jean, preoccupata che scoprano cos’ha fatto ad Henry, ci casca in pieno finendo con l’essere imprigionata in una delle celle dello sceriffo. Ben presto Emma e gli altri scoprono che la giovane ha strappato il cuore ad Henry e non ha intenzione di restituirlo, a meno che Emma non le consegni la sua magia di sua spontanea volontà.
Dopo essersi risvegliata da quello che è il terzo sogno che la collega alla sconosciuta (ma che inizialmente non ricorda), un intenso odore di fumo e fiamme invade tutta la centrale; David riferirà che l’odore ha infestato tutta la città. Colta da un’improvvisa paura, la ragazza consegnerà alla Salvatrice il cuore di Henry, tutto purché se ne vada da lì e si metta in salvo; Jean appare spaventata e riferisce che Lei è già arrivata. Emma scoprirà che Jean riesce ad usare la magia nonostante l’incantesimo fatto da Belle e, contro la sua volontà, la farà sparire dalla centrale per mandarla al sicuro nel loft, insieme ad Henry, Snow e Regina.
Morgana ha fatto il suo ingresso a Storybrooke e finalmente si scopre che il vero nome della ragazza è EVA.
 
Flashback
Nella Foresta Incantata, si scopre che, poco prima di arrivare nella cittadina creata da Regina, Eva era insieme al padre, in fuga dalla strega Morgana, la quale ben presto li raggiunge rivelando loro di aver ucciso Regina. Pur di metterla in salvo, il padre si sacrifica, riuscendo a mandare Eva nel portale; prima di lasciarle la mano le dice “va e cerca tua madre…va da lei…salvala”. Subito dopo, Eva vede Morgana immergere la sua mano nel petto del padre.
Fine flashback
 
Per la prima volta, Emma sente il nome di Eva pronunciato da una voce sconosciuta e pensa si tratti del vero nome della ragazza appena arrivata.
Tutti si riuniscono da Granny per parlare di quando accaduto.
All’esterno della tavola calda appaiono Morgana ed Ector, un abitante di Storybrooke che si scopre essere in combutta con la strega. La Fata Oscura chiede che le venga consegnata la Principessa Eva, nascosta all’interno del locale, altrimenti distruggerà la città; come monito manda contro gli eroi un mostro dalle fattezze disgustose, lo stesso che Emma ha visto nel suo primo sogno. Ben presto gli eroi si accorgono che effettivamente Eva si trova all’interno del locale e, nonostante la rabbia di Regina per essere stata derubata della sua magia, Emma cambia atteggiamento nei confronti della ragazza, dicendole che l’avrebbe aiutata. Mentre pensano a cosa fare, Emma e gli altri si accorgono dell’assenza di Uncino, scoprendo ben presto che si trova tra le grinfie della strega e di Ector. Ciò basta a convincere Eva ad uscire allo scoperto, disobbedendo così a Emma.
 
 
 
Informazioni su Morgana e il suo passato
 
Durante un flashback, le fate della Foresta Incantata sono in subbuglio per la nascita di due fate gemelle, Nimue e Corvina, nate sotto un fiore nero, come preannunciato da una terribile profezia, la quale dichiara che una delle due fate diverrà la Fata Oscura e che, con la sua malvagità, distruggerà l’intera Foresta Incantata.
Turchina si rifiuta di ucciderle così decide di privarle della magia fino al loro diciottesimo compleanno, in modo da poter riconoscere e poi esiliare la fata più oscura. Se ciò non dovesse funzionare si affideranno alla seconda parte della profezia la quale cita che la salvezza arriverà dal frutto del vero Amore.  
In seguito, durante un breve ricordo, viene spiegato qualcosa di più sulle fate gemelle, ormai vicine al diciottesimo anno di età.
Corvina vede la sorella Nimue parlare con Zoso, il Signore Oscuro e l’idea, condivisa da molti, che la sorella abbia qualcosa di oscuro dentro di sé si fa sempre più strada dentro di lei. Nimue racconta alla sorella di aver scoperto una profezia, tenuta loro nascosta fino ad allora: la profezia parla della nascita di due streghe, nate sotto petali neri, una pura e candida e l’altra una pagina bianca, il cui suo animo sarebbe stato predisposto tanto al bene, quanto al male, come quello di ogni essere vivente. Secondo la profezia, il cuore della strega più pura, Morgana, finirà con l’essere vinto dall’oscurità divenendo così nero e malvagio da oscurare tutta la Foresta Incantata, distruggendo il lieto fine di tutti. L’unico modo per mettere fine al male sarà attraverso la magia bianca del frutto del Vero Amore il quale però, se privato della sua speranza, finirà col perdere il suo potere, morendo così per mano della strega.
Convinta che si tratti della sorella, Nimue chiede aiuto a Turchina, la quale però da sempre vede in lei la realizzazione della profezia. Sentendosi tradita dalla sorella, Corvina la imprigiona in un albero, tenendo segreta a tutti tale maledizione.
Da quel momento Corvina comincia la sua trasformazione in Morgana.
Fine delle informazioni su Morgana e Nimue
 
Una volta uscita dal locale, Eva chiede a Morgana di lasciare andare il pirata; la strega rivela di non essere, effettivamente, interessata a lui, in quanto lo ha già ucciso. Tale rivelazione non sfugge al Capitano che appare confuso a riguardo.
Dopo che Eva ha riconsegnato la magia a Regina, Morgana immerge la sua mano nel petto della ragazza, rivelandosi ben presto essere una illusione. Scopo della strega, infatti, era quello di rubare una goccia del sangue di Eva, in modo da riuscire a raggiungerla in ogni tempo si fosse nascosta. Morgana le consiglia di trascorrere il poco tempo che le rimane insieme alla sua famiglia, lasciandole, inoltre, un piccolo regalo: Ector, il quale sembra avere un trascorso con Eva.
Non appena Morgana se ne va, Eva si interessa unicamente ad Ector lasciandosi totalmente controllare dalla magia oscura. Nonostante i tentativi di Emma e Uncino, Eva finisce col lasciarsi influenzare dalle parole di Ector, il quale lascia intendere di aver ucciso una persona molto importante per lei. Invasa dall’odio, Eva finisce col distruggere il cuore di Ector.
Dopo che Eva se ne va, Regina propone di usare il pezzo del Nodo-Non-Ti-Scordar-Di-Me conservato da Will e di guardare nel passato di Eva (ovvero il loro futuro) per capire cosa nasconda. Emma e Uncino, però non sono d’accordo.
Sconvolta dal suo gesto, Eva va a dissotterrare una collana con due ciondoli che aveva nascosto al suo arrivo; qui viene raggiunta da Killian il quale scopre che la giovane viene dal futuro e che il suo intento è quello di fermare Morgana. Ciò che il pirata vuole sapere, però, è se sarà l’unico a morire per mano della strega. In quel momento, Eva ricorda le parole della Regina del futuro, la quale le aveva spiegato quanto fosse importante che nessuno scoprisse la sua reale identità, in quanto i suoi genitori, una volta saputo del suo sacrificio, non l’avrebbero più lasciata andare.
Distrutta dal dolore, Eva gli rivela che non sarà l’unico a morire per mano della strega, ma non può dirle nulla di più. Killian si fa promettere che Emma dovrà sopravvivere ad ogni costo.
Dopo essersi risvegliata dal quarto sogno, scoprendo inoltre di ricordare quanto accaduto nel terzo, Emma decide di accettare l’idea di Regina e usa il Nodo per scoprire qualcosa di più sul passato di Eva.
Usando il guanto magico proveniente da Camelot (in grado di indicare il punto debole di ogni persona, ovvero ciò che ama di più al mondo) Emma, Regina, Biancaneve e il Principe arrivano alla vecchia casa dove Henry aveva trovato Eva per la prima volta. Qui trovano Eva insieme a Killian, intenti a ritrovare il libro delle favole di Henry per poterglielo restituire. Regina immobilizza la ragazza e, nonostante il disappunto da parte di Killian, Emma acconsente perché il sindaco dia inizio all’incantesimo, utilizzando il Nodo e il suo specchio magico.
Tramite l’incantesimo i presenti scoprono che Eva è la figlia di Emma e Killian  e che la Regina del futuro muore per permetterle di raggiungere il portale; oltre a ciò lo specchio rivela vari ricordi di Eva, tutti legati agli abitanti di Storybrooke.
Nonostante la rabbia e la frustrazione, Eva riesce a riconciliarsi con Emma, capendo il motivo che l’ha spinta a comportarsi in quel modo.
Dopo essersi scusata con Henry per avergli strappato il cuore, Eva viene sommersa di domande da parte di Regina su quanto accadrà in futuro. Emma, Killian e David propongono di utilizzare una pozione della memoria, in modo che Eva possa raccontare ogni cosa e, una volta uccisa Morgana e fatto ritorno nel suo tempo, chiunque abbia bevuto la pozione dimentichi tutto ciò che la riguarda. Eva accetta, anche se risulta chiaro che nasconda qualcosa.
Tutti finiscono con l’accettare la proposta e così Eva racconta di essere arrivata in quel preciso lasso di tempo in quanto, per viaggiare nel passato usando la magia bianca, è necessario non scontrarsi con un’altra versione di sé. Insieme a lei avrebbe dovuto esserci un altro ragazzo, Jake, il quale però ha scelto di compiere un Atto di Fede, di cui non si sa nulla. La giovane Jones, inoltre, riferisce di essere arrivata lì per trovare il libro di Henry, all’interno del quale, secondo quanto detto da Merlino, vi è l’esatta ubicazione di Excalibur, l’unica arma in grado di uccidere Morgana.
Nel regno di Morgana, nel frattempo, si scopre che il cuore schiacciato da Eva non era quello di Ector ma di qualcun altro (al momento non si sa ancora di chi sia il cuore), con l’unico scopo di rendere ancora più oscuro il suo cuore. Solo così, infatti, nel momento in cui la ragazza impugnerà Excalibur, Morgana riuscirà ad impossessarsene, riuscendo così a distruggere tutti gli eroi.
Dopo essersi risvegliata dal quinto sogno, Emma capisce quando profondo sia il legame che la lega a Killian.
Durante la ricerca, insieme ad Henry, di qualche indizio sulla spada, Eva rievoca un ricordo del passato (VEDI FLASHBACK EVA/JAKE). Durante lo studio del libro delle favole, Henry trova l’immagine di un albero all’interno della leggenda su Camelot; un albero mai apparso prima. Le ricerche si interrompono con l’arrivo di Emma e Killian i quali chiedono a Henry di ritornare da Regina per parlare con Eva.
I tre decidono di essere sinceri l’uno con l’altro, anche a costo di dover rivelare il peggio. Emma e Killian confessano alla figlia che Ector è, probabilmente, ancora in vita e che, perciò, potrebbe aver ucciso una persona innocente; Eva, dal canto suo, spiega che a scaturire i sogni di Emma deve essere lo stesso ciondolo che hanno al collo. La giovane racconta di averlo avuto in regalo da Killian, dopo la morte di Emma, e che, poco prima del suo ingresso nel portale, Trilli lo aveva incantato per assicurarsi che il momento in cui fosse arrivata nella Storybrooke del passato fosse quello esatto (ovvero quello privo di un Tremotino tutt’altro che collaborativo). Eva racconta del suo accordo con il Signore Oscuro (lo stesso che ha imprigionato Emma e Killian nel loro viaggio nel passato, usando un incantesimo di riflessione), il quale verrà ucciso da Morgana in un futuro non troppo lontano.
 
ACCORDO CON TREMOTINO: Gold rivela ad Eva di conoscere un modo per viaggiare nel tempo, tornare nel passato e recuperare un’arma in grado di sconfiggere Morgana. Il prezzo da pagare, però, è alto, in quanto Tremotino le dice che, in cambio, a lavoro terminato dovrà bere un veleno delle Paludi, il quale cancellerà ogni traccia della sua presenza; ovviamente non dovrà dire nulla al padre. Nonostante un’iniziale titubanza, Eva finisce con l’accettare.
Per attuare l’incantesimo dovrà chiedere l’aiuto di Regina e trovare questi tre ingredienti: 1. Una lacrima della persona più simile e più odiata di chi scaglia l’incantesimo (in questo caso, Eva pensa subito a Zelena). 2. Una delle sette perle della Regina Bianca. 3. L’Atto di fede di chi non crede.
 
 
Eva racconta tutto ai genitori, senza rivelare l’aspetto riguardante la sua morte a lavoro ultimato. Spiega loro che Regina e Hook, tornando da una ricerca (non nomina mai il nome di Henry), hanno scoperto l’esistenza di una profezia la quale parla della presenza di una seconda strega oltre a Morgana in grado di impugnare Excalibur. Per questo motivo, la Regina del futuro pensa che per impugnare la spada sia necessario possedere un grande potere; da qui la definizione del piano messo in atto da Eva al suo arrivo in città: cercare un modo per assorbire la magia di Regina e di Emma. Della strega in questione non si sa nulla, tranne alcune voci secondo cui è stata imprigionata da Morgana.
Durante la ricerca dell’albero improvvisamente comparso nel libro delle favole, Killian ed Henry vedono Ector alle prese con una sorta di incantesimo. Dopo aver mandato il ragazzo a chiamare Emma, il pirata viene catturato da Morgana.
 
KILLIAN NEL LIMBO DI MORGANA: Improvvisamente, il pirata si risveglia all’interno di una grotta insieme ad una donna dal volto coperto, la quale gli spiega che entrambi sono imprigionati in un limbo creato da Morgana all’interno del quale si impazzisce lentamente vedendo la morte del proprio lieto fine; l’aspetto inquietante è che soltanto il proprio lieto fine può aiutarli ad uscire.
Nonostante l’avviso da parte della sconosciuta, non appena sente la voce di Emma, Killian cerca di raggiungerla. Da quel momento in poi, il pirata si ritrova catapultato in alcuni momenti del suo futuro, legati ad Eva bambina e alla sua vita con Emma. L’ultima visione si svolge nella sua casa e vede chiaramente la sua versione futura, quella di Emma, Regina, David e Trilli sconvolti dalle rivelazioni di Turchina, la quale gli riferisce di aver conosciuto Morgana e la reale profezia a lei legata:
Sotto petali neri come l’ebano nasceranno
le due streghe più potenti della Foresta Incantata.
Due anime differenti possederanno.
Una pura e l’altra indistinta.
La purezza diverrà oscurità e l’indecisione cadrà vittima del suo potere.
Nulla fermerà la Fata Oscura.
Se non la Magia del frutto del Vero Amore…nata dal sacrificio di chi più l’ha amata.
Il Frutto, però, se privato della sua speranza, finirà per cedere all’oscurità della Fata
Portando con sè solo dolore e tenebre per l’eternità.”
Inizialmente le fate furono depistate da Zoso con una profezia fittizia, il cui scopo era proprio quello di portarle a fare la scelta più sbagliata. Killian scopre che Morgana ha una sorella di nome Nimue e che, in realtà, Eva da piccola non possedeva la magia, perciò non si capisce cosa Morgana voglia da lei.
Dopo che Morgana ha spedito Killian verso la fine del suo percorso (ovvero la visione di ciò che lo porterà pian piano alla pazzia), la strega inveisce contro la donna incappucciata con cui, poco prima, Killian aveva parlato, rivelando la sua identità: Zelena, la quale si trova lì con la speranza che Eva e Jake mantengano la promessa che le hanno fatto.
Nell’ultimo giro di boa in quella sorta di limbo, Killian vede un Henry molto più grane e forte e la sua Emma alle prese con Regina, la quale non sembra essere affatto d’accordo con il suo piano, scritto su un foglietto. Emma vuole che tutti facciano ritorno alla Foresta Incantata e che lì cerchino un modo per uccidere Morgana. Emma dice a Regina che essendo la Salvatrice deve fare di tutto per salvare le persone che ama e deve fare in modo che la profezia si realizzi. Poco prima di andarsene dal salotto del sindaco, Emma fa promettere al figlio di Regina di non abbandonare mai la figlia.
In seguito all’ennesimo cambio di ambientazione, Uncino si ritrova in mezzo ad una strada deserta, accanto alla stessa Emma che aveva visto qualche istante prima nel salotto di Regina. Ben presto arriva Morgana ma, al contrario di quanto ci si aspetta, sarà la stessa Emma a strapparsi il cuore dal petto e ad uccidersi, sacrificandosi per il bene di tutti (nonostante non siano ben chiare le sue intenzioni). Al di fuori del controllo di Morgana, Emma afferra la mano di Uncino citandogli una parte della profezia:
Nulla fermerà la Fata Oscura. Se non la Magia del Vero Amore, nata dal sacrificio di chi più l’ha amata!” e chiedendogli di trovare l’anima indistinta.
Poco prima di morire Emma gli dice: “L’amore trova sempre il modo…Per farti trovare la strada di casa…”
 
Dopo due giorni dall’attacco, Emma e gli altri non sono ancora riusciti a ritrovare il pirata.
Una sera, davanti ad una cioccolata calda da Granny, Eva rivela alcune cose del suo passato alla madre: da piccola non possedeva la magia, ma secondo Regina, sua maestra nelle arti magiche, alcune volte le abilità di una strega si presentano solamente in seguito ad un forte trauma (in questo caso la morte di Emma). Nel racconto del suo passato, Eva rivela che, in seguito alla morte di Emma, Regina era improvvisamente riuscita ad aprire un portale (nonostante fino a quel momento non fosse mai stata in grado di farlo), trasportandoli così nella Foresta Incantata. Per ragioni di sicurezza, lei, il padre, Henry e i nonni si erano divisi da Regina, Robin e i figli.
Si scopre che Morgana è in grado di localizzare chiunque usi la magia, riuscendo a raggiungere con estrema precisione il luogo esatto in cui è stata usata. Fu così che riuscì ad uccidere Robin ed a obbligare Regina a scappare con i figli (non vengono specificati i nomi ad Emma).
In seguito, Morgana attaccò anche il castello di Biancaneve e David, uccidendo entrambi. Killian cercò di salvarli, ma con scarso successo; tornò con la spada del Principe e, da quel giorno, guidò l’esercito del re venendo riconosciuto come il sovrano della Foresta Incantata. Morgana, ben presto, cominciò ad odiare quell’appellativo, radendo al suolo tutto il regno.
Henry finì col partire alla ricerca della madre e dei fratelli; Eva rimase con Killian, scoprendo che, nel momento in cui erano insieme, la Fata Oscura non riusciva a localizzarli con la stessa precisione.
Le due vengono improvvisamente interrotte da Belle, la quale è riuscita a trovare una bussola in grado di localizzare chiunque si voglia, a meno che non si tratti della persona amata. Emma ed Eva concordano subito con l’usare la bussola per trovare Ector.
Dopo aver usato la bussola, Emma, Regina e gli altri trovano il nascondiglio di Ector che, dopo una serie di “velate” minacce finisce con l’aiutare gli eroi. All’interno del nascondiglio del servo di Morgana, Emma trova la bacchetta della Fata Oscura.
Poco prima della liberazione del pirata, Eva attacca duramente Ector, in seguito a quanto accaduto presso il Castello della Regina Bianca; dopo essere stata fermata da Regina, Eva le riferisce che non si comporterebbe così se sapesse cosa farà il traditore. Regina le risponde che, dopo il ritrovamento di Uncino, faranno una bella chiacchierata in proposito.
Guidata dal suo istinto, Emma usa la bacchetta sottratta ad Ector per liberare Killian dalla prigionia inflittagli da Morgana; ma, inaspettatamente, quest’ultima fa il suo ingresso nella foresta, con il preciso intento di attaccare la Salvatrice. Al di là delle sue più oscure previsioni, Morgana finisce per venire atterrata dalla magia di Eva e Regina.
Emma riesce a liberare il pirata e, insieme a lui, anche una ragazza sconosciuta dai capelli castani; alla vista di quest’ultima, Morgana scompare nel nulla, senza dire una sola parola.
Mentre il resto della famiglia si occupa di Ector, Emma rimane nel loft dei suoi genitori per occuparsi di Killian e, nel frattempo, per fare la guardia alla bacchetta e alla sconosciuta apparsa insieme al pirata.
Dopo numerosi tentativi, Killian si risveglia apparendo, però, cambiato. Il pirata, infatti, riferisce ad Emma di non voler più restare con lei perché, dopo aver visto per una miriade di volte la sua morte (ovvero la morte del suo lieto fine) ha capito che l’amore della sua vita non merita una fine del genere, nemmeno se con ciò impedirà la nascita di Eva.
Sconvolto, Killian le racconta ogni cosa; della profezia, dell’implicazione di Turchina, del fatto che Eva da piccola non possedeva alcuna magia e del modo in cui lei si sacrificherà, per dare una possibilità a tutti di avere una possibilità. (Non viene nominato il biglietto che Emma dà a Regina e non si capisce in che modo la morte di Emma possa rappresentare una possibilità di salvezza)
Sicura di poter dimostrare a Killian che quello che Morgana gli ha mostrato non sarà il loro futuro insieme, Emma gli chiede di seguirlo.
 
 
FLAHBACK EVA/JAKE
 
Killian, dopo aver scoperto da Regina che, da più di un mese, Henry è partito alla ricerca di un’arma in grado di uccidere Morgana (notizia riferita da una fata), decide di partire con l’ex sindaco di Storybrooke alla ricerca del ragazzo, lasciando Eva insieme all’Alleanza (dei Ribelli capeggiati da Henry e dai figli di Regina, in lotta contro Morgana). Qui Eva fa la conoscenza di Rowan, figlio di Zelena (scomparsa da anni senza lasciare alcuna traccia) e di Alex (figlia di Cenerentola). Inoltre, Eva incontra un suo vecchio “amico” di infanzia, Jake Mills di Loxley, il quale insieme alla sua ragazza Diletta non sembra essere un suo grande ammiratore.
Nella Riserva rivede dopo anni Neal e Roland e la cosa la riempie di gioia, tanto da farle dimenticarle l’incontro avuto con il figlio di Regina e la sua ragazza.
Un pomeriggio, Eva viene verbalmente attaccata da Diletta, finendo col perdere il controllo e usare la magia nera su di lei. L’improvviso arrivo di Jake le impedisce di fare qualcosa di cui, sicuramente, si sarebbe pentita. Nonostante l’antipatia che il ragazzo non si sforza di nascondere, grazie a lui Eva riesce a recuperare il controllo, affermando che non farà più uso della magia nera, la quale sembra impossessata di lei.
Qualche giorno dopo l’accaduto, durante il compleanno di Alex, Dee sorprende Jake ballare con Eva e, apparentemente sconvolta dalla cosa, comincia a perdere il controllo.
In realtà Diletta è un mostro mandato da Morgana, il cui obiettivo era quello di tenere Jake lontano da Eva, con il preciso intento di fargliela odiare (non viene spiegato il motivo).
Il mostro comincia ad attaccare tutti i presenti e, ben presto, risulta chiaro che la barriera della Riserva creata da Regina non è più attiva, lasciando entrare l’esercito della Fata Oscura. Le possibilità sono due: o la barriera non è mai stata efficace e Morgana fingeva di non poter entrare, o Regina è morta e con sé sono cessati i suoi incantesimi. (In realtà si sa che Regina aiuterà Eva a raggiungere il portale, perciò la prima opzione è quella più probabile).
Per dare a Jake e agli altri la possibilità di recuperare delle armi, Eva attacca il mostro con la magia, finendo pian piano col cedere nuovamente alla magia nera. Nonostante un iniziale collera nei confronti di Eva, Jake decide di aiutarla, chiedendo ad Alex di occuparsi di tutti gli altri.
Dopo averla salvata i due si trovano a pochi passi da un precipizio e, dopo essersi lanciati dentro, riemergono da un fiume. Ben presto Eva scopre di aver perso la collana di sua madre e, dopo una forte lite con Jake, finisce col dargli una bastonata e andarsene per la sua strada a cercare il ciondolo.
In seguito, Eva viene attaccata da due banditi e dal loro capo, il cui scopo è quello di derubarla e ucciderla. Dopo essere stata pestata a sangue ed essersi accorta di aver perso il veleno datole da Tremotino, Eva viene salvata da Jake, il quale porta ancora i segni della bastonata di poco prima.
Ben presto si scopre che il capo dei banditi, Phil, conosce molto bene Jake, il quale da ragazzo era il suo arciere. Phil e due banditi, infatti, sono dei Cacciatori di Orchi.
Visto che Eva ha messo fuori uso il suo arciere, lei e Jake accettano l’accordo proposto da Phil: lo aiuteranno in una missione, in cambio di cure, vestiti puliti e alloggio.
Nel frattempo Eva promette a Jake di non usare più la magia nera e lui le promette che, una volta risolte le cose col bandito, torneranno a cercare la sua collana.
Durante il cammino verso il villaggio dei Cacciatori, Jake rivela ad Eva di averla vista stringere un accordo con Tremotino, ma la giovane continua a negare. Il discorso viene interrotto dall’arrivo di Trilli, curatrice del villaggio. Inizialmente Jake non pare ben disposto dalla presenza della fata, in quanto la credeva a fare la guardia a Zelena.
Di fronte alla notizia che la Perfida Strega è ancora in vita, Eva cerca di capire dove si trovi per riuscire ad ottenere il primo ingrediente dell’incantesimo. Jake, però, sente che le sta nascondendo qualcosa e la tiene fuori da qualsiasi informazione.
Durante le medicazioni, approfittando dell’assenza di Jake, Eva fa alcune domande su Zelena, scoprendo che la strega nel tempo non è affatto cambiata e che, al momento, si trova imprigionata in un limbo mentale creato da Morgana.
Trilli cerca di far capire ad Eva che in realtà Jake ha un buon cuore e che tiene molto a lei. Ad appoggiare tale teoria si aggiunge l’improvviso arrivo di Furetto, pestato dal figlio di Regina per aver alzato le mani su Eva.
Durante la notte, Eva fa un incubo in cui i morti che l’hanno lasciata la fissano, contrariati, mentre ai suoi piedi si trova Excalibur. Nel momento in cui cerca di afferrarla, la spada appare nelle mani di una donna sconosciuta dai tratti elfici, la quale si trasforma velocemente in Morgana che, maligna, ferisce a morte Eva.
Fortunatamente Jake la sveglia in quel momento, riferendole che la missione di Phil avrà inizio quella notte stessa.
Durante l’ennesima lite con Jake, Eva capisce di aver fatto qualcosa in passato che ha portato il giovane Mills ad odiarla. Il ragazzo, però, le dice che non la lascerà mai sola e che farà qualsiasi cosa pur di aiutarla.
Proprio nel momento in cui Eva prende in considerazione l’idea di rivelargli quanto successo con Tremotino, Phil li interrompe, dicendo loro che è arrivato il momento di mettersi in marcia.
 
 
 
Come ho già detto…spero di aver fatto un buon lavoro. Nel caso avessi fatto un macello …scusatemi, vi prego! Ma rileggere tutto quello che ho scritto per poi riassumerlo nel modo migliore non è stato facile come pensavo :P
Spero comunque di essere riuscita a riassumere tutto senza annoiarvi.
Il capitolo 22 è già pronto e aspetta solo di essere postato. Vi lascio qualche giorno per leggere il riassunto e poi torno con le mie idee un po’ folli.
Come sempre…non so davvero come ringraziarvi per tutto quello che fate per me, per il vostro supporto e per i meravigliosi commenti che mi lasciate tutte le volte!!!  Mi fate emozionare, davvero…e spero di ringraziarvi a dovere con il prossimo capitolo (ricco di tutte le sorprese che vi avevo promesso!!!)
Un grosso abbraccio…e grazie ancora!!!!
 
Erin

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 22 ***


“Dove stiamo andando Swan?!”
Nonostante gli sforzi nell’apparire seccato, il tono di voce del Capitano della Jolly Roger si era nuovamente lasciato scappare una piccola scintilla di curiosità, acuita dalla sensazione della sua mano a diretto contatto con quella della donna dai lucenti capelli biondi, a soli due passi da lui.
Emma, la sua Emma, era qualcosa di indescrivibile.
Alle volte si chiedeva se per lui fosse stato amore a prima vista, se davvero l’averla incontrata quel giorno nella Foresta Incantata avesse immediatamente fatto sbocciare qualcosa di unico e magico nel suo cuore intaccato dall’oscurità.
Se avesse dato una risposta razionale a quella domanda, avrebbe semplicemente detto che non poteva esistere un simile sentimento, che una persona non poteva innamorarsi di un’altra dopo un semplice scambio di sguardi.
Ma se, al contrario, avesse dato una risposta dettata unicamente dalla passione, dai sentimenti che, impellenti, avevano iniziato ad intensificarsi dentro di sé, avrebbe detto che sì, Emma Swan quel pomeriggio, in quel primo e indimenticabile incontro, gli aveva stregato anima e corpo, senza lasciargli alcuna via di scampo.
E lui sapeva bene che tipo di uomo fosse e la parola razionale si scontrava al massimo con il nome di Killian Jones.
Anche il solo ripensare al volto della giovane Swan a pochi centimetri dal suo, quando ancora si ostinava a volerle mentirle con la convinzione di poterci riuscire, riusciva a mozzargli il fiato.
Dal quel lontano pomeriggio nella Foresta Incantata, con lui legato ad un albero e la Salvatrice intenta a minacciarlo con un pugnale, le cose erano mutate come nessuno al mondo avrebbe mai potuto predire. Emma lo aveva cambiato; lo aveva cambiato lentamente; con il suo cuore, con i suoi occhi verdi come il più splendente dei prati; lo aveva cambiato con la sua fiducia e con la sua ostinazione, aiutandolo a diventare l’uomo che aveva sempre sognato di essere: un eroe.
Ma non erano i sentimenti nei confronti della donna davanti a lui il problema, affatto.
Lui amava Emma, lei rappresentava il suo lieto fine e ciò che Morgana gli aveva inflitto fino a poche ore prima non aveva scalfito minimamente quel sentimento; al contrario, lo aveva reso ancora più forte e indispensabile.
Il problema era ciò che il suo amore per lei avrebbe portato in futuro.
Mai e poi mai avrebbe creduto che Emma avrebbe ricambiato i suoi sentimenti. Certo, non aveva mai smesso di sperare e il modo in cui lei si era lasciata baciare davanti al diner, dopo che lui aveva riavuto il suo cuore e Belle si era occupata del coccodrillo, aveva di certo acuito tale sentimento. Ma vederla insieme a lui nello specchio di Regina, vedere il modo in cui lei lo aveva guardato in quella sorta di inferno personale creato da Morgana, vedere Eva piccola e indifesa…Quello, quello era qualcosa che nemmeno la sua speranza aveva mai osato accarezzare.
Trovarsi nella loro casa, all’interno di quella vita non ancora assaporata, era stato il realizzarsi di un sogno. Quando aveva visto la sua versione futura coccolare la figlia che mai avrebbe creduto di poter meritare, dentro di sé aveva urlato a pieni polmoni che nessuno al mondo sarebbe riuscito a portargliela via, men che meno una pazza dalle manie di grandezza.
Avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere pur di rendere Emma e le persone che amava felici come non lo erano mai state.
Già, ma questi erano stati i suoi pensieri prima della fine, prima che tutta quella perfezione divenisse la realizzazione del peggiore dei suoi incubi; prima di vedere con i suoi occhi la morte di Emma.
La fine di tutto.
“Ora lo vedrai…”
Sbuffando in maniera piuttosto sonora, Killian alzò il volto dall’incrocio delle loro dita, le quali parevano essere così perfette le une intersecate alle altre da rendergli impossibile la resistenza a quel tocco.
Se non gliene fosse rimasta solo una, avrebbe volentieri dato la sua mano destra per abbracciare Emma, per perdersi tra il dolce profumo dei suoi capelli, per ubriacarsi del delizioso profumo alla cannella della sua pelle.
Ma doveva darsi una calmata, quel genere di pensieri non aiutavano, affatto.
Con una scrollata del capo, Uncino continuò a seguire Emma, accorgendosi ben presto di dove lei lo stesso portando.
Quelle mura, viste per la prima volta la notte in cui avevano scoperto la reale identità di Eva, erano già divenute care al suo cuore.
Il loro futuro. La loro casa.
Per quanto apparisse comune ad occhio estraneo, per lui quella semplice abitazione dall’intonaco sgretolato, era unica e insostituibile. La vista sull’oceano, la sua purezza, nonostante al momento fosse abbandonata e diroccata, riusciva già a far intravedere tutte le possibilità di cui era portatrice, trasformandosi ai suoi occhi come la casa calda e accogliente che aveva visto nello sprazzo di futuro mostrato dal Nodo-Non-Ti-Scordar-Di-Me.
Incuranti dello scricchiolio emesso dalla ghiaia a contatto con gli stivali, Emma e Uncino entrarono nell’abitazione, la quale sembrava lasciarsi piacevolmente abbracciare dai raggi del sole mattutino.
“Perché siamo qui?!” esclamò serio il pirata.
Di malavoglia, Killian allontanò la sua mano da quella della Salvatrice, posando lo sguardo sulla sala principale, del tutto spoglia e ancora piena di polvere e muffa.
Lo specchio di Regina si trovava ancora all’interno, come se il tempo, da quella notte rivelatrice, non avesse più ripreso il suo incessante scorrere.
“Ti dimostro che il nostro futuro non sarà solo morte, tristezza e desolazione…” esclamò sicura la giovane Swan, appoggiando la bacchetta di Morgana sul tavolo in fondo la sala, per poi liberare una delle finestre del salotto da uno sporco straccio ammuffito, il quale evidentemente doveva aver svolto, fino a quel momento, la funzione di tenda.
“E non potevi dimostrarmelo nella cucina dei tuoi…in modo da evitare che il nano dal tempismo infallibile si improvvisasse guardiano della bella addormentata?”
“Credi sia bella?!” sbottò improvvisamente la bionda voltandosi di scatto, quasi colta alla sprovvista dal suo tono di voce incredulo.
Limitandosi ad alzare un sopracciglio e a porgerle uno dei suoi sorrisi canzonatori, il pirata cominciò a camminare lungo la sala, tentando inutilmente di scacciare dalla mente le immagini del luogo in cui Morgana lo aveva imprigionato.
Nonostante la polvere, la sala di quella casa era così simile a quella del futuro da riuscire a dare i brividi.
Per alcuni istanti aveva la sensazione che, se si fosse voltato di scatto, avrebbe potuto vedere David vicino alla finestra o Trilli seduta sul divano.
Non seppe dire quanto tempo fosse trascorso da quando Emma gli aveva parlato. Era come se, improvvisamente, la sua mente si fosse totalmente disconnessa dal suo corpo, perdendosi nuovamente in quell’incubo ad occhi aperti, dove guerra e distruzione facevano da padroni e dove Emma lo aveva guardato dritto negli occhi, sacrificandosi per il bene di tutti.
Nel giro di pochi istanti gli sembrava di essere tornato lì, in quella strada isolata, con la pioggia battente, resa ancora più graffiante dalle inarrestabili raffiche di vento.
“Nulla fermerà la Fata Oscura. Se non la Magia del Vero Amore, nata dal sacrificio di chi più l’ha amata!” esclamò il pirata, accorgendosi a malapena di aver parlato a voce alta.
La voce di Killian risultò opaca, quasi ovattata, interrompendo ciò di cui la Salvatrice si stava occupando.
“Co-come dici?”
“È quello che mi hai detto prima di morire…” esclamò serio il giovane Jones, andando a sedersi sulla stessa sedia che, quella sera, Emma aveva fatto comparire dal nulla, risparmiandogli una misera caduta a terra “O meglio, è l’unica cosa diversa che hai fatto nel centinaio di volte in cui ti ho vista morire! A-all’inizio non riuscivo a capire cosa intendessi dire con quelle parole…e perché mi stessi citando una parte della profezia…”
Lasciando andare la stoffa che teneva tra le mani, la Salvatrice si voltò verso il pirata, non riuscendo a nascondere il dolore nel vederlo così turbato.
Con fare attento, Emma si avvicinò al giovane Jones, inginocchiandosi accanto a lui e guardandolo con una tenerezza di cui mai si sarebbe sentita capace.
“Hai detto che ho fatto qualcosa di diverso…”
“Sì…pare che l’obiettivo di Morgana fosse quello di farmi vedere e rivedere la tua morte...ma la prima volta…è stata diversa. Non so come tu ci sia riuscita ma…mi hai afferrato la mano e mi hai detto di trovare l’anima indistinta…”
Due anime differenti possederanno. Una pura e l’altra indistinta…” esclamò la Salvatrice, citando a voce alta la profezia poco prima rivelatagli da Killian “…la sorella di Morgana...deve essere lei l’anima indistinta!”
“Già…”
“Forse la bella ragazza arrivata con te potrà dirci qualcosa…” lo derise la bionda, cercando di smorzare l’atmosfera “…forse è lei…”
“Non esiste nessuna bella quanto te…Swan…” la interruppe il Capitano, inchiodandola con lo sguardo blu mare.
Quasi cercando di resistere ad un impulso, impossibile da soffocare, Killian alzò lentamente la mano, accarezzando il volto di Emma.
Non riusciva a starle lontano. Era qualcosa di indescrivibile. Era come se la sua anima chiedesse un contatto diretto con quella pelle delicata come la neve e, al contempo, forte come la più resistente delle armature.
E lei…lei si lasciava toccare. Seguendo la direzione delle sue dita, Emma chiuse lentamente gli occhi, appoggiando il volto sul palmo di quella mano ruvida e forte, come avrebbe fatto una calamita a contatto con una superficie che l’attraeva.
Era così piacevole quel tocco e, sebbene una piccola parte di lei continuasse a dirle che era arrivato il momento di rialzare uno dei suoi tanti muri, la giovane Swan si ritrovò ad ignorarla, tenendo fede a quella promessa fatta il giorno prima.
Non avrebbe sprecato un solo giorno lontana da Killian. Non avrebbe più permesso alle sue paure di tenerla lontana dalla felicità.
“Cosa dovevi farmi vedere?!”
Al suono di quella voce leggermente graffiata, Emma riaprì gli occhi, così emozionati che, neppure l’ombra delle sue folte ciglia riusciva a smorzarne l’effetto.
“Sì…”
Accennando un lieve sorriso, Emma si alzò andando verso lo specchio del sindaco di Storybrooke.
Con un lieve cenno della mano, questo cominciò a sollevarsi dal terreno, andando a posizionarsi davanti al pirata, a soli pochi metri di distanza.
“Dubito che lo specchio di Regina…”
“Puoi darmi un po’ di fiducia per favore…” lo bloccò Emma, alzando le sopracciglia fingendosi offesa.
“Il problema Swan è la consapevolezza che uscirò da qui dandoti ragione!”
Non riuscendo a trattenere la soddisfazione nel sentire quelle parole, Emma si concentrò sulla superficie riflettente, la quale aveva iniziato a brillare di luce propria, come se, da un momento all’altro, qualcosa di sconosciuto dovesse uscire dal suo interno.
Con un gesto lento, Emma sollevò le braccia sfilandosi la collana dal collo.
“Cosa…”
Non riuscendo a completare la domanda, Killian rimase con gli occhi sbarrati, di fronte a ciò che Emma si stava apprestando a fare.
La donna dalle lunghe e sciolte ciocche bionde, fece librare il ciondolo in aria, il quale finì col lasciarsi completamente inghiottire dalla luce argentata rilasciata dallo specchio nero.
“Emma…che cosa stai facendo?!” ripeté il pirata, sollevandosi dalla sedia e avvicinandosi alla figura snella della Salvatrice, il cui cappotto grigio le fasciava la figura sinuosa.
“Ti faccio vedere quello che ho visto io poco fa…”
“Quando?”
“Poco fa…”
“Poco fa stavi litigando con me!” esclamò Killian, posando lo sguardo sul volto concentrato della Salvatrice, la cui espressione sembrava limpida come il mare dopo una tempesta.
“Prima di quello…e comunque non stavamo litigando…”
“Hai detto che avevo lasciato il cervello nel limbo!”
“Quella era preoccupazione!” sottolineò la donna sorridendogli serena.
Non riuscendo ad ignorare la sensazione conferitagli dal modo in cui Emma lo guardava, dal modo in cui le sue labbra apparivano ancora più perfette quando si stendevano in un sorriso, il pirata spostò nuovamente gli occhi blu cobalto sullo specchio davanti a loro, accorgendosi solo in quel momento di come la luce si fosse improvvisamente spenta, come se a controllarla fosse un innocuo interruttore invisibile.
“Mmmm qualcosa non va. Perché ha smesso di brillare?!” chiese Emma rivolgendosi più sé stessa, delusa da quell’improvviso cambiamento.
“Forse perché Regina non ci sta inveendo contro!”
Emma fece appena in tempo a lanciare un’occhiataccia al pirata che, improvvisamente, lo specchio divenne limpido e quasi accecante.
Al contrario di poco prima, al suo interno non vi era più il riflesso della realtà, non della loro almeno.
L’immagine di quello stesso salotto apparve improvvisamente davanti ad Emma e ad Uncino, lasciando quest’ultimo ammutolito di fronte a quella magia così simile a quella che avevano già visto in passato.
“C-come ci sei riuscita?!”
“Mentre cercavamo un modo per liberarti, Regina aveva proposto di usare il ciondolo di Eva per vedere alcuni suoi ricordi legati a Morgana. Un po’ come avevamo fatto col Nodo…” spiegò la bionda, incrociando le mani davanti al petto, soddisfatta del risultato ottenuto con la sua magia da principianti “…così ho pensato che, vista la presenza di Eva, anche il mio ciondolo potesse farci vedere qualcosa…qualcosa legato a…”
“Quindi, fino adesso, non eri sicura che funzionasse…” la interruppe divertito il pirata.
“Non del tutto!” confermò Emma, arrossendo leggermente.
E, improvvisamente, bloccando sul nascere qualsiasi fosse stata la risposta da parte del pirata, all’interno di quel salotto, all’interno di quello specchio, apparve qualcosa.
Una parte della storia probabilmente narrata nel libro delle favole.
Loro.
La principessa e il pirata.
 
 
 
***
 
 
Era notte fonda e ogni stella del cielo pareva essersi defilata da quella spedizione suicida.
Perché era quello che si stavano apprestando a fare no? Andare a caccia di tesori, troll e orchi non poteva essere descritto in nessun altro modo; soprattutto se si era armati di semplici armi convenzionali e di un bel sorriso come il suo.
Erano in quattro: lei, alta poco meno di sua madre e con un fisico tutt’altro che aggressivo; la brutta copia di un bandito dai capelli unti; il figlio imbronciato dell’ex Regina Cattiva; e Tani, la donna meno femminile di tutta la Foresta Incantata.
Quante possibilità potevano avere di uscire indenni da quella scampagnata?
Stavano camminando, immersi dal buio della notte, da più di mezz’ora e, al di là delle brevi occhiate da parte di Jake, nessuno aveva mai dato alcun cenno di dialogo o interazione l’uno con l’altro.
Tutti parevano concentrati nella loro missione o in qualsiasi cosa si stessero apprestando a fare; tutti tranne lei, Eva Jones. Per una volta, però, non era il ragazzo a poca distanza da lei a turbarla; certo, il ricordo del loro dialogo di poco prima, interrotto da Phil, continuava a mormorarle nella mente, ma il fatto di non sapere nulla di quella spedizione la inquietava ancora di più.
Nonostante la sua implacabile insistenza, solo Jake era stato messo a conoscenza del piano, lasciando lei totalmente allo scuro. Non sapeva dove stavano andando, cosa stavano cercando e, tantomeno, chi si sarebbero trovati a fronteggiare una volta arrivati a destinazione.
Ok, aveva afferrato il concetto che troll e orchi non sarebbero mancati alla festa, ma avere qualche dettaglio dal punto di vista numerico non l’avrebbe disturbata affatto.
Visto che nessuno la reputava abbastanza adatta o responsabile, perché diamine l’avevano voluta con loro?
“Ehi…” esclamò la giovane dai capelli scuri, strattonando la giacca di Jake senza troppa cura.
Stringendo le labbra con fare frustrato, Jake si piegò leggermente verso di lei, sussurrandole delle parole non proprio comprensive.
“Jones, quale parte della frase non emettere nessun fiato non ti è ben chiara?!”
“Mmmm vediamo…forse quella in cui si parla anche del motivo per cui sono qui!?”
In tutta risposta, Jake si limitò a guardarla in modo storto, facendole chiaramente intendere come quello fosse il momento meno adatto per uno dei loro soliti battibecchi.
Poco prima di uscire dalla baracca di Trilli, Jake l’aveva convinta ad indossare degli abiti diversi, più adatti alla serata.
Nonostante le sue iniziali rimostranze, esternate per il semplice piacere di dargli fastidio, ora entrambi indossavano degli attillati abiti in pelle nera, così scuri da renderli un tutt’uno con l’oscurità della notte.
Con i suoi capelli neri come l’ebano, solo la pelle chiara riusciva a distaccare Jake dai suoi vestiti, facendolo assomigliare ad un cavaliere senza anima.
A suo avviso gli stessi abiti, visti su di lei, non conferivano lo stesso effetto, facendola apparire, invece, molto più simile ad un pirata che ad un soldato; e la cosa, a dirla tutta, le dava una certa soddisfazione.
“Perché mi avete portata con voi se poi non mi rendete partecipe?!” gli chiese la giovane Jones, i cui lunghi capelli, di un intenso castano scuro, erano stati raccolti in una crocchia non proprio perfetta.
“Phill infatti non ti voleva…e nemmeno la tua amica Tani!”
Soprassedendo sul modo sarcastico con cui il giovane Mills aveva pronunciato la parola amica, Eva lanciò uno sguardo fugace ai due interessati davanti a loro, i quali parevano non apparire poi così attratti su quanto stava accadendo alle loro spalle.
Anche Tani aveva cambiato gli abiti, e ora indossava dei pantaloni di tessuto marrone, con una giacca della stessa tonalità. Di solito Eva non era il genere di persona che faceva caso a simili dettagli, ma la mancanza di macchie rosso sangue, appartenenti al compagno Furetto, lasciavano chiaramente intendere che un cambio d’abiti ci fosse stato. Ovviamente, l’effetto mascolino rimaneva lo stesso. Le spalle larghe e il volto rigido non lasciavano trapelare la minima dolcezza da quella figura lontana; ma forse, la mancata delicatezza, non doveva affatto essere una caratteristica negativa visto il luogo in cui abitava.
Per quanto riguardava il loro capo…bè, Phil sembrava sempre appena uscito da una taverna, che gli abiti fossero differenti o meno.
“E allora perché sono qui?!” ripeté Eva, alzando le sopracciglia scure.
“Perché ho insistito io!” le rispose Jake, continuando a guardarsi intorno dove ad avvolgerli vi era la foresta più fitta, avvolta dal nero della notte, con solo le torce dei due banditi davanti a loro a rischiarare la via.
“Secondo te sono così stupido da lasciarti da sola al villaggio? Te ne saresti andata nel giro di un’ora!”
“Grazie per la considerazione che hai di me…mi fai commuovere!”
“Di niente...”
“Dico sul serio…perché non mi volevano?!” chiese Eva, consapevole della leggera increspatura creatasi tra le sue sopracciglia.
Alzando per un solo istante lo sguardo su quello che, un tempo, era anche il suo capo, Jake incrociò i suoi penetranti occhi scuri con quelli verde chiaro della figlia della Salvatrice, abbandonando qualsiasi traccia di sarcasmo dal suo tono.
“Non lo so…ma non mi fido di Phil…e so che sta nascondendo qualcosa!” sussurrò Jake, avvicinandosi al suo volto, riuscendo quasi a sentire il dolce profumo della sua pelle “Prima finiamo questa cosa e prima possiamo andarcene da qui!”
“Shhh”
L’ordine di Phill, bloccatosi improvvisamente insieme alla donna accanto a lui, bastò a zittire i due ragazzi, i quali fermarono a loro volta la loro andatura, guardarsi in torno con fare ancora più attento.
“Siamo arrivati!”
“Come fai a saperlo?!” chiese Eva, sospettosa.
“Sento il loro odore!”
Cercando con tutta sé stessa di non chiedersi a quale tipo di odore si stesse riferendo, Eva strinse con più forza l’elsa della spada che teneva nella mano destra.
C’era qualcosa di strano in tutto quel silenzio, qualcosa di assolutamente sbagliato e insolito; era come se qualcosa di importante le stesse passando sotto il naso e lei, da stupida, non riuscisse a coglierlo o, perlomeno, ad avvertirne la presenza.
Chissà, forse ad infondere quella sensazione era il sorriso dipinto sul volto di Tani, il cui odio nei suoi confronti pareva non sforzarsi troppo nel rimanere celato.
Da quando erano partiti nel cuore della notte, la bandita non aveva perso occasione di lanciarle sguardi carichi di rancore, alternati a sorrisi del tutto privi di buoni propositi.
Tani aveva un piano, se lo sentiva fino alla punta dei capelli; e tenersi a debita di stanza da lei e dalla sua arma affilata non pareva poi un’idea così brutta.
“Io continuo a non sentire niente…” sussurrò Eva a Jake, il quale si limitò a lanciarle un’occhiata veloce, sfilando una delle frecce con una sicurezza tale da renderlo la copia esatta di suo padre.
Dopo un breve momento, un leggero brusio sembrò presentarsi dal nulla, come bisognoso di colmare quell’improvviso silenzio sceso sui presenti.
Era lo stesso tipo di rumore che, solitamente, si avvertiva a metri di distanza da una taverna. Un suono sordo, leggermente attutito; come di un vociare lontano, difficile da collocare.
Qualcuno stava parlando; e non doveva essere poi così distante dalla loro posizione.
“La cosa non mi piace!” sussurrò il giovane, avvicinandosi di qualche passo al capo dei banditi “Phil…che sta succedendo?”
“Siamo arrivati…” ripeté l’uomo dai lunghi capelli sporchi, grattandosi la gola con la voce, per poi sputare un grumo di saliva che, fino a quel momento, pareva aver fatto mantecare in bocca “…non ricordi più come funzionano queste spedizioni ragazzo? Abbiamo raggiunto il punto di separazione!”
Con un gesto della mano, Phil indicò una zona alla loro destra dove, celato da alcuni arbusti e alberi poco folti, vi era una piccola sporgenza rocciosa.
Corrugando la fronte con fare sospettoso, Eva si avvicinò di qualche passo al punto indicato da Phil, accorgendosi in breve tempo di cosa gli arbusti nascondessero con il loro fogliame: a pochi metri di distanza, davanti a loro si apriva un piccolo dirupo, il quale divideva il loro tragitto da un appezzamento di terra occupato da qualcuno di decisamente poco raccomandabile.
Il leggero brusio, avvertito pochi istanti prima, trovò la sua perfetta spiegazione. Sotto di loro, infatti, si ergeva una sorta di esercito, un esercito che di umano aveva ben poco.
Una massa indistinta di troll se ne stava attorno ad un fuoco, esaltati dalla presenza di un bottino in oro che, a quanto pareva, doveva rappresentare il risultato di quel duro giorno di lavoro.
Venti, trenta, o forse anche quaranta troll se ne stavano accampati in massa, come se si trattasse di un vero esercito di umani e non di esseri solitamente abituati a popolare i ponti della Foresta Incantata.
Urlavano, imprecavano e, alcuni di loro, attaccavano il compagno senza mezzi termini, incuranti del danno che poteva procurare un’ascia in pieno petto.
Per un momento, con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta, Eva credette di aver avuto le allucinazioni. Quelli non petavano essere troll. Lei conosceva i troll; in quei dieci anni di avventure con suo padre aveva avuto più volte il dispiacere di incontrarli. Ma forse, fu grazie a quella conoscenza dettagliata che l’idea di avere davanti un esercito di quelle creature si fece solido nella sua mente.
Le fattezze erano simili a quelle umane ma, al di là dell’altezza e della postura di alcuni di loro, i loro movimenti, le urla e la voce simile a quella di un primate, lasciavano poco spazio all’immaginazione. Nonostante la lontananza, le zanne e la pelle, simile alla roccia immersa nelle paludi, risultavano con chiarezza, illuminate dalle fiamme dei diversi falò sparsi in quella sorta di campo militare.
E la puzza. La puzza appariva come il solito e ben preciso biglietto da visita di un troll.
La cosa preoccupante era che il tanfo di quella zona non era dovuto a loro, non solo almeno.
A poca distanza da quelle creature, un trio di orchi se ne stava di guardia all’entrata di quello che, un tempo, doveva essere stato un piccolo castello dalle mura antiche, probabilmente l’ultimo eco di una civiltà ormai spazzata via dalle creature di Morgana.
Orchi. Quelli erano davvero dei giganteschi e disgustosi orchi.
E nemmeno la distanza visiva poteva farli sembrare degli innocenti animaletti da salotto.
“Troll…e…e orchi…insieme!?” sussurrò Eva, sentendo improvvisamente la presenza di Jake al suo fianco.
“Che cosa ci facciamo qui? Sono in molti e noi solo in quattro…non avrò un ricordo così dettagliato delle spedizioni, ma penso di sapere quando ci si imbarca in un’impresa suicida” esclamò il giovane Mills voltandosi verso Phil, ben attento a non alzare troppo il tono della voce.
“Oh non preoccuparti Jaky…è tutto sotto controllo!” gli rispose l’uomo, sistemandosi un ciuffo di capelli scuri dietro l’orecchio.
“Prima hai parlato di…di punto di separazione. Che cos’è?” chiese Eva, dando le spalle alla radura sotto di loro, sollevata dalla sensazione di poter sviare lo sguardo da quel panorama agghiacciante.
“Si tratta del punto in cui l’arciere si stacca dal resto del gruppo per tenere a bada i nostri...amici…quando l’atmosfera si farà più calda…”
“In modo tale che il resto del gruppo possa entrare nel castello…e rubare quell’invitante bottino d’oro che a breve verrà messo al sicuro!” si agganciò Tani, concludendo la frase del suo capo.
Corrugando ancora di più la fronte, Eva strinse la mano a pugno, chiaro segno che tutta quella faccenda non le piaceva per niente.
In altre parole lei e Jake avrebbero dovuto dividersi; lui sarebbe rimasto ai margini di quel sentiero e lei sarebbe dovuta entrare nel castello insieme a Phil e Tani, due persone che di certo non parevano essere suoi grandi sostenitori.
Deglutendo a fatica, la giovane Jones posò lo sguardo su Jake, sperando di comprendere cosa gli passasse per la testa in quel momento.
Solitamente loro non brillavano per complicità, o meglio non la vedevano mai allo stesso modo, neppure quando si trattava di indicare la posizione del sole in pieno giorno.
Erano in disaccordo, sempre, qualsiasi fosse l’occasione.
Eppure la speranza che, almeno per una volta, fossero d’accordo su qualcosa non voleva saperne di lasciarsi schiacciare dalla realtà.
Eva non voleva lasciarlo lì, non voleva andarsene via con due che, fino al giorno prima, si era divertiti a picchiarla per il semplice gusto di farlo.
“Andate” esclamò Jake, lanciando a Phil un debole sorriso di circostanza.
Ecco, come non detto.
E fu così che la speranza decise di lanciarsi dal precipizio alle loro spalle.
“Perfetto!” esultò il capo, appoggiando con disinvoltura la mano sull’elsa della sua spada, ben foderata al suo morbido fianco destro “…andiamo tesoro, ci penso io a te!”
Il braccio sinistro del bandito, però, non riuscì nemmeno a sfiorare la spalla di Eva che, improvvisamente, questa si sentì spinta verso il corpo dell’arciere; in un gesto così sicuro e arrogante da farlo assomigliare, per un momento, al pirata della Jolly Roger.
Perfino in quel momento, a pochi metri da un’orda di troll, il contatto con la pelle di Jake riuscì a mandarle una serie si scariche lungo tutta la spina dorsale, impossibili da ignorare.
Era la stessa sensazione che, di solito, si provava quando ci si immergeva nell’acqua leggermente fredda del mare; per quanto l’iniziale istinto fosse quello di uscirne all’istante, pian piano il corpo finiva col provare piacere, lasciandosi cullare da quel contatto e dando l’impressione di non poterne più fare a meno per il resto della propria vita.
- Eva, datti un contegno maledizione- si riprese mentalmente la giovane, ringraziando il cielo che a dividerla da quella mano ci fosse uno spesso strato di tessuto.
Dal canto suo, Phil apparve, per la prima volta, disorientato.
A differenza di quanto era accaduto fino a quel momento, la sua solita sicurezza ed ilarità aveva lasciato spazio allo smarrimento. Non riusciva a comprendere il comportamento del ragazzo e la cosa, evidentemente, lo disturbava non poco.
“Che…che ti prende Jaky?!”
“Ti ho detto che potete andare…ma lei, ovviamente, rimane con me!”
Cercando di apparire divertito dalla situazione, Phil sbuffò, alzando gli occhi al cielo, visibilmente incredulo di fronte a quella scena del tutto imprevista.
“Che diavolo stai dicendo figliolo?! Se la ragazza rimane qui…io e Tani ci troveremmo in due…così ci metti in difficoltà!”
“Non è un problema mio. Io ed lei rimaniamo insieme…spiacente!”
Oddio, e quella cos’era? Complicità? Protezione? Fratellanza?
No, fratellanza no, nella maniera più assoluta. 
“Jaky…un arciere sta da solo…così e sempre stato e così continuerà ad essere fino alla fine dei tempi. Tu rimani qui, mentre il resto della squadra cerca di entrare. Non riesco a capire quale sia il problema…non ti fidi di me?!”
“E io non riesco a capire perché contiate tanto sul mio aiuto…visto che a quest’ora dovrei trovarmi al villaggio, ignara di questa…missione!” esclamò la principessa pirata, incrociando le braccia davanti al petto e lasciando trasparire tutta la soddisfazione provata in quel momento
La voce di Eva, sicura e sarcastica come lo era la maggior parte delle volte, riuscì a centrare il bersaglio, innervosendo visibilmente Phil e la dolce compagna di viaggio, il cui sorriso aveva lasciato spazio al ghigno del giorno prima, quando Jake l’aveva minacciata con lo stesso arco che ora teneva stretto tra le mani.
Al contrario di loro, il figlio di Robin non riuscì a trattenere un sorriso divertito e, spingendo dolcemente Eva verso il punto indicatogli poco prima da Phil, lanciò un ultimo sguardo a quest’ultimo.
“Fate attenzione laggiù!”
“Anche voi…quassù!”
Porgendo al ragazzo uno sguardo colmo di asprezza e delusione, Phil si allontanò da loro, senza dare il tempo a Tani di rispondere in alcun modo. Con passo celere, i due continuarono a seguire il sentiero davanti a loro, parlottando con fare a dir poco agitato, per poi scomparire tra una serie di rovi alla loro destra.
In quei pochi minuti di silenzio, la mano di Jake si era allontanata dal contatto con la giacca di pelle di Eva, lasciandole un’insolita sensazione di vuoto.
“Ci ha fregati!”
“Chi?...Phil?” chiese la ragazza, lanciando un’occhiata al sentiero ormai vuoto “…direi di no. Se ne sono andati da soli…!”
“Già…e la cosa mi preoccupa!”
“Che vuoi dire?!”
Voltandosi verso di lei e dando le spalle alla radura, Jake controllò di avere tutte le armi al loro posto, come se da lì al prossimo minuto si potesse abbattere su di loro una battaglia dalle proporzioni epiche.
“Phil non è un idiota. Puzza, non sa cosa sia la compassione…ma non è un idiota! Ha insistito un po’ troppo per dividerci. All’inizio di questa spedizione e adesso. Non mi piace!”
“Non pensavo che potesse succedere…ma sono d’accordo con te. L’importante, però, è che se ne sia andato con la sua amichetta…”
“È proprio questo a preoccuparmi…”
Per un attimo Eva stette in silenzio, arrivando alla stessa conclusione a cui doveva essere giunto Jake, leggermente prima di lei.
“…vuol dire che…aveva previsto un nostro rifiuto!”
“Esatto!” confermò Jake, serrando la mascella, come di solito faceva lei quand’era nervosa.
Due volte d’accordo in pochi minuti? Doveva trattarsi di un sogno.
“E se ha previso un nostro rifiuto…vuol dire che sa già in che modo ottenere quello che vuole!”
Phil voleva dividerli; ma per quale motivo?
Perché un uomo che lei non aveva mai visto prima doveva insistere così per separarla da Jake? Dopotutto, nonostante la scarsa igiene, il bandito si era dimostrato alquanto gentile con lei, le aveva dato dei vestiti puliti, le aveva concesso di farsi curare dalla loro guaritrice, la quale non era altri che Trilli, e le aveva perfino dato qualcosa da mangiare. Ed ora? Ora sembrava non sopportare l’idea che lei e Jake si trovassero nello stesso posto.
Come se sapesse che insieme qualcosa sarebbe andato storto. Come se con la presenza di Jake non avesse potuto….
Di colpo Eva senti la gola farsi improvvisamente secca e arida.
Come aveva potuto essere così cieca? Dopo tutti quegli anni trascorsi a farsi allenare da suo padre, come aveva potuto ignorare tutti quei segnali?
Phil era stato fin troppo gentile con loro. Nonostante Jake lo avesse abbandonato, nonostante lei avesse messo fuori uso il suo arciere, il bandito era stato così magnanimo da offrire loro vitto e alloggio, in cambio solo di un piccolo favore da parte del suo vecchio e abile arciere.
Avrebbe potuto benissimo rimandare quell’attacco, soprattutto se a farlo dovevano essere solo loro quattro.
In quattro per una spedizione. Perfino Jake non se l’era bevuta fin dall’inizio.
Non era la spedizione l’obiettivo di Phil, affatto.
Il capo dei banditi voleva Lei, non Jake.
Quel bandito aveva capito chi era fin dall’inizio, conosceva esattamente il suo nome e la sua famiglia, per questo non aveva fatto domande con la sua solita insistenza.
Phil sapeva che lei era la figlia di Emma e Killian e tutta quell’attenzione nel volerla con sè poteva avere una sola ed unica spiegazione.
Morgana.
“Andiamocene!”
La voce di Eva, nonostante sussurrata a fior di labbra, sembrò riecheggiare tra le fronde dei numerosi alberi secolari, presenti nella foresta.
Non seppe dire quanto tempo fosse trascorso da quando Phil e Tani si erano allontanati lungo il sentiero che portava alla radura sotto di loro, ma stava di fatto che la sensazione che qualcosa di orribile si stesse per abbattere su di loro era ormai divenuta pressoché tangibile.
Senza dire nulla, Jake fece un breve ceno di assenso alla giovane e, afferrato l’arco posato poco prima ai suoi piedi, si indirizzò verso la strada che conduceva al villaggio.
“Dobbiamo muoverci…torniamo indietro. Una volta raggiunto il fiume…”
La frase rimane così, interrotta a metà.
Improvvisamente un rumore sordo rimbombò alle sue spalle. Era un rumore secco, come di qualcosa di duro a contatto con una superficie altrettanto resistente.
Spinto da una sensazione agghiacciante, il giovane dagli intensi occhi scuri si voltò di scatto, trovando ben presto risposta a quell’improvvisa intrusione.
Lì, davanti al corpo svenuto di Eva, vi era Tani, il cui sorriso soddisfatto riusciva quasi a deformare il suo volto mascolino.
Era pronto a buttarsi addosso a lei e a farle vedere cosa succedeva quando si prendeva a bastonate una persona a cui teneva; le avrebbe fatto passare la voglia di mettere le mani addosso ad Eva e, che fosse o meno una ragazza, la cosa lo sfiorava in minima parte.
Ma qualsiasi cosa si stesse apprestando a fare, venne bloccata sul nascere.
E, come la frase poco prima pronunciata a metà, un rumore sordo interruppe la sua sete di vendetta, facendolo cadere a terra privo di sensi.
 
 
 
***
 
 
Nonostante non fosse la prima volta che un’immagine appartenete al loro futuro apparisse all’interno dello specchio di Regina, il cuore del pirata sembrò mancare di un battito.
Proprio lì davanti a lui, in tutta la sua unicità, vi era Emma.
Quegli inconfondibili capelli biondi, lucenti come i raggi del sole in una mattina d’estate. Gli occhi verdi con qualche riflesso azzurro, come se acqua e giada si fossero incontrati in un abbraccio senza fine.
Lo sguardo indimenticabile di quella che un tempo era una bimba sperduta.
Se ne stava stesa su un divano a tre posti di un insolito color bordeaux, simile a quelli che aveva visto in molte delle sue spedizioni.
Più volte Emma lo aveva deriso dicendo che, a suo parere, lui era un’amante del vintage, ma la cosa sembrava piacerle, altrimenti un divano del genere non avrebbe mai potuto entrare in casa.
Perché quella, dopotutto, era casa loro.
Da quando Eva era arrivata a Storybrooke aveva visto quella stanza così tante volte che, oramai, avrebbe potuto descriverla alla perfezione.
Nonostante la stanza presente nello specchio fosse più calda e accogliente rispetto a quella in cui si trovavano loro, la posizione del caminetto alle spalle del divano era la stessa, come gli infissi bianchi e il pavimento in legno.
“Cosa stiamo guardando?” esclamò Killian, con voce calda, ma non del tutto priva di nervosismo.
Senza rispondere, con un leggero cenno della mano, Emma fece apparire alle loro spalle lo stesso divano presente nella visione dello specchio, invitando il pirata a sedersi accanto a lei.
“Te l’ho detto…ti dimostro che ho ragione…”
Con dolcezza, Emma intrecciò le dita della sua mano con quelle del Capitano della Jolly Roger, per poi volgere lo sguardo verso lo specchio.
Per un momento, Killian pensò di non volerlo fare. Aveva visto già tanto del loro futuro e nulla lo incuriosiva abbastanza da fargli dimenticare l’estrema sofferenza che avrebbero vissuto negli anni a venire.
Nonostante sapesse quanto Morgana si fosse impegnata per mostrargli il peggio dei loro anni insieme, in cuor suo sapeva che ogni cosa che gli era stata mostrata si sarebbe verificata. Eva ne era la dimostrazione, come lo era l’estrema potenza di quella maledetta strega.
Ma nonostante questo, nonostante temesse che nulla avrebbe mai potuto cancellare dalla sua mente ciò che aveva visto nel limbo della Fata Oscura, lui si fidava di Emma.
Finiva sempre col fidarsi di Emma, del suo sorriso, del suo coraggio e del suo animo così puro e leale da riuscire a convincere anche il più scettico degli esseri umani.
Lui l’amava e se la donna al suo fianco voleva fargli vedere una parte del loro futuro, con la estrema convinzione che ciò lo avrebbe fatto ricredere, bè…lui lo avrebbe fatto.
Stringendo la presa su quella mano morbida e vellutata, il pirata volse lo sguardo verso lo specchio.
E guardò.
 
 
“Emma”
La voce di un uomo dai folti capelli scuri attirò l’attenzione della bionda stesa sul divano bordeaux, obbligandola ad abbassare la mano fino a quel momento tenuta sulla fronte.
L’uomo indossava dei jeans neri e una maglietta dello stesso colore, i quali, nonostante la loro semplicità, sembravano riuscire a conferirgli un non so che di piratesco.
“…ehi, ti senti un po’ meglio?!” aggiunse il giovane Jones, inginocchiandosi accanto a lei e posando entrambe le mani sulle sue.
Una fede d’oro all’anulare sinistro spiccava come il più prezioso e brillante dei tesori, in perfetta sintonia con il suo anello gemello, presente sul dito affusolato della giovane donna.
“Non molto…”
“Evidentemente la gita in barca non è stata una buona idea. Non sei quella che si dice una lupa di mare Swan!”
“Ti ricordo che ci siamo sposati sulla tua nave!”
“Giusto…ma era attraccata…e avevi una cera migliore di questa!” rise il pirata, sedendosi sul divano e iniziando a massaggiare le gambe flessuose della bionda accanto a sé.
“Posso fare qualcosa per aiutarti?...ti preparo qualcosa di caldo?!”
“Non serve, grazie…Regina sarà qui a minuti!”
Come richiamata dal suono del suo nome, senza sentire il bisogno di annunciare il suo arrivo tramite la consueta bussata alla porta d’ingresso, il sindaco di Storybrooke entrò in casa, con tra le braccia un bambino di circa due anni.
Il piccolo aveva gli stessi lineamenti della giovane Mills, così come gli intensi capelli neri incorniciavano quel volto roseo, reso ancora più dolce da due splendidi occhi scuri, così espressivi da riuscire a mettere al tappeto chiunque li guardasse.
In quel momento, il piccolo sembrava alquanto imbronciato e anche la mamma, che lo teneva tra le braccia, non pareva sprizzare di gioia.
“Emma spero sia importante…Jacob sta avendo uno dei suoi splendidi momenti NO!”
“No…” esclamò il bambino arrabbiato, guardando la mamma dritto negli occhi e accarezzandole il volto con fare goffo, come se in realtà non fosse quella la parola che voleva realmente dire.
Mentre Emma si alzò in piedi, Killian si avvicinò al piccolo sorridendogli divertito.
Senza bisogno di chiedere il permesso all’ex Regina Cattiva, il pirata prese tra le braccia il bambino, il quale pareva sforzarsi di mantenere il broncio, nonostante gli occhi dicessero chiaramente quanto fosse contento di vedere il Capitano Jones.
“Ehi campione…sei arrabbiato?”
“No..” ripeté nuovamente, in tono cocciuto.
“Ora capisco cosa volevano dire quando parlavano dei -terribili due anni-….”
“Mattinata difficile?!” le chiese Emma, cercando di sorridere dolcemente all’amica.
“Mio figlio odia la torta alle mele…non riesco a crederci!” esclamò sconvolta la mora, i cui capelli apparivano perfetti nonostante la giornata non dovesse essere stata delle più facili “…e da un’ora fa i capricci per un gelato che non arriverà mai!” esclamò, mettendo una certa enfasi sull’ultima frase e lanciando uno sguardo piuttosto significativo in direzione del piccolo.
“Bene…che ne dici se andiamo fuori a giocare mentre la mamma aiuta Emma?!”
“Schifo mele…bleah!!!”
“Perfetto, vedo che siamo d’accordo!” esclamò divertito Killian che, dopo aver lanciato un cenno alla moglie, uscì di casa con Jacob, sparendo dietro la porta d’ingresso bianca, non accorgendosi di averla nuovamente lasciata socchiusa.
“Che succede Swan?…hai una faccia!” sbuffò il sindaco, posando la borsa contenente tutte le cose del figlio sopra al tavolo.
“Già…grazie. Non mi sento molto bene…ho provato di tutto, ma continuo a dare di stomaco…” le rispose la bionda, spostandosi stancamente i lunghi capelli dietro la testa, come se anche quel piccolo gesto le costasse una certa fatica “…mi danno fastidio odori di ogni tipo…non faccio in tempo ad uscire dal bagno che già ci rientro. Sto covando qualcosa…”
“Dimmi che sei sempre stanca e che hai il seno gonfio e hai appena descritto me quando ho scoperto di essere miracolosamente incinta di Jake…” esclamò divertita Regina, andando a sedersi su uno degli sgabelli della cucina.
Nel momento in cui gli occhi annoiati del sindaco incrociarono quelli della Salvatrice, però, ogni cenno di disinteresse cessò di esistere.
Il volto di Emma, già provato dal mal stare, si era improvvisamente fatto più pallido, rendendo quei grandi e intensi occhi verdi ancora più accesi, come se la consapevolezza di qualcosa avesse improvvisamente fatto centro nella sua mente.
“Oh…mio…”
“…Sei…sei incinta!” esclamò di getto Regina, alzandosi dallo sgabello e avvicinandosi all’amica.
“No…non può essere…”
“Perché, tu e il pirata non ci date dentro da quando siamo tornati dalla gita ai piani bassi?!”
“Regina!” la riprese Emma, aprendo la bocca sconvolta.
“Oh andiamo…lo sanno tutti Emma. Dopo due anni di matrimonio cominciavo a chiedermi se le parti nascoste del pirata funzionassero a dovere!”
“Regina…” ripeté nuovamente la giovane Swan a voce alta, non riuscendo a fare a meno di sorridere, nonostante l’imbarazzo.
Senza chiedere alcun permesso alla Salvatrice, Regina si avvicinò a lei, posando entrambe le mani sul grembo piatto.
Rimase in silenzio, con gli occhi chiusi e la fronte corrugata, come se stesse cercando una risposta nei meandri della sua mente e non all’interno del corpo di Emma.
Furono minuti così lunghi e interminabili che, per un momento, Emma si sentì sul punto di esplodere e di chiedere a voce alta che cosa diavolo stesse facendo.
“Ma evidentemente funzionano!” concluse la sovrana, sorridendo con quel suo perfetto rossetto costoso, e lanciando un’occhiata piuttosto significativa verso il grembo della Salvatrice.
“Non…non può essere…noi…io…non può essere!”
Colta alla sprovvista, la Salvatrice si ritrovò ad indietreggiare, fissando un punto imprecisato alle spalle del sindaco.
Non era paura quella nei suoi occhi, ma semplice e tangibile incredulità, mista a qualcosa di simile all’angoscia.
“Non può o non vuoi…”
“Sì…sì che lo voglio!”
“E allora qual è il problema?...”
“Killian…io non…non ne abbiamo mai parlato!”
“Pensi che non voglia un figlio da te?...Perché con Henry e Jacob direi che Capitan Due Mani se la cava piuttosto bene…”
“Lo so ma…”
“Emma…vi siete sposati, ne avete passate così tante che…che dovrebbero scrivere un libro su di voi…non puoi davvero avere paura che lui non voglia un figlio da te…”
“C-cosa?”
L’improvvisa voce del pirata obbligò entrambe le donne a volgere lo sguardo verso la porta d’ingresso, la quale si era stranamente aperta senza emettere il minimo rumore.
Maledizione al loro continuo rimandare la sistemazione di quella porta.
Emma lo sapeva, doveva solo incolpare sé stessa. Se non avesse continuato a proteggere la loro casa con l’incantesimo di protezione insegnatole da Regina, a quell’ora Geppetto sarebbe già venuto a sistemare la serratura e Killian sarebbe stato costretto a bussare per rientrare in casa.
Ma le cose, ormai, erano andate diversamente ed ora il Capitano della nave più famosa dei sette mari se ne stava a pochi passi da loro, con tra le braccia un piccolo Loxley molto più allegro e sporco rispetto a poco prima.
“Bene…io…io vado…”
“Gelato…” trillò il bambino entusiasta.
“Certo amore…gelato al volo!” confermò il sindaco, annullando il suo divieto di poco prima.
Non smentendosi nemmeno in quell’occasione, Regina si limitò a concedere alla Salvatrice un cenno di saluto, uscendo dalla casa Jones-Swan con la stessa classe che, probabilmente dalla nascita, la caratterizzava.
Killian, che si era limitato a passare il piccolo tra le braccia della mamma, rimase immobile nella sua posizione per alcuni minuti, non riuscendo a staccare gli occhi dalla donna davanti a sé, la cui maglia grigia sembrava riuscire ad accendere ancora di più il biondo naturale dei suoi capelli.
“Sei…”
“Sì…” lo interruppe Emma, incrociando le braccia al petto “…credo…credo di sì!”

Killian fece un passo avanti.
“E non volevi dirmelo?!” le chiese, leggermente dispiaciuto, facendo un altro passo verso di lei.
“Certo che volevo dirtelo…è solo che…che…”
“…che cosa Swan?...avevi paura che scappassi a bordo della mia nave?!”
Silenzioso com’era entrato, pian piano Killian si avvicinò alla moglie, le cui labbra strette rappresentavano fin troppo chiaramente come si sentisse in quel momento.
Sembrava che l’angoscia, la consapevolezza che qualcosa stesse arrivando portando un cambiamento immenso, la spaventasse così tanto da farle rimpiangere i famosi muri che, un tempo, era solita innalzare davanti agli altri.
Dolcemente, il capitano posò la mano sinistra sulla spalla della bionda, portando la destra sulla sua guancia, la cui pelle nivea e soffice rendeva impossibile stancarsi di accarezzarla.
Avvolta da quel calore e da quella dolcezza, Emma chiuse gli occhi, posando a sua volta la sua mano su quella di Killian e lasciandosi cullare da quella carezza piena d’amore.
“Bè…sei riuscito a sfuggire ad una maledizione…” esclamò Emma, puntando le iridi verdi su di lui e cercando di smorzare la tensione
“Emma…”
“…ma non è per quello…”
“Cosa c’è allora…?!”
“…è che…con Henry…non sono stata il prototipo della mamma modello. Con questo non voglio dire che mio figlio sia cresciuto male, anzi…ma…ma io non sono stata una buona madre per lui. L’ho dato in adozione…io…io non ho tenuto con me mio figlio…ho scelto di allontanarlo da me”
“E lo hai fatto per garantirgli un futuro migliore di quello che, a quel tempo, saresti stata in grado di dargli. Quale madre può dire di essere abbastanza forte da fare lo stesso?! Di mettere il bene del figlio davanti alla propria felicità…”
Sorridendo debolmente, Emma abbassò la mano, portando con sé quella di Killian e ritrovandosi così a guardarlo dritto negli occhi.
Ogni volta che erano l’uno davanti all’altro, lei si vedeva costretta ad alzare un po’ il capo, a causa della differenza di statura.
Ricordava che, all’inizio, la cosa le dava fastidio; la faceva sentire meno forte rispetto a quel pirata scaltro e senza apparenti principi che le si era parato davanti; ora, al contrario, era una cosa che amava terribilmente. Le piaceva alzare il capo in quel modo per guardarlo; la faceva sentire al sicuro. Lei che mai avrebbe pensato di poter provare piacere nel farsi proteggere da qualcun altro.
“Perché ogni volta che parli di me sembra che io sia l’eroina della situazione?!”
“Perché è così…”
Arrendendosi al sorriso e all’amore incondizionato che Killian continuava a manifestarle ogni giorno dall’inizio della loro vita insieme, Emma appoggiò il capo sul petto del pirata, lasciando che lui le accarezzasse i capelli.
Rimasero così, per alcuni attimi. Cullati unicamente dal canto degli uccelli fuori casa e dalle voci smorzate degli abitanti di quella cittadina, stranamente libera da qualsiasi crisi, epica, favolosa o gotica che fosse.
“Sei…incinta?!”
La voce del pirata, solitamente così sicura, appariva quasi graffiata, come se qualcosa gli si fosse incastrato in gola, rendendo difficile perfino la normale deglutizione.
Bocca secca, fiato corto, occhi luci. Emma pensò per un attimo di trovarsi davanti allo specchio e di vedere la sua stessa immagine riflessa.
“Sì…”
“Avremo…avremo un bambino…” continuò il pirata, con voce emozionata.
“…o bambina!” lo corresse Emma, alzando il volto e sentendo chiaramente le lacrime farsi vive al limitare dei suoi occhi.
Sorridendo con quel fare canzonatorio che lo contraddistingueva in ogni occasione, con un movimento improvviso il pirata sollevò Emma da terra, obbligando la bionda a circondargli la vita con quelle sue lunghe gambe atletiche e perfette, avvolte come sempre da dei semplici pantaloni neri.
Emma si ritrovò a sorridere, come forse poche volte si concedeva di fare; sorrideva come una bambina mentre l’amore della sua vita la teneva stretta a sé, facendola girare lentamente e sussurrando quelle parole che tanto amava sentirsi dire.
“Ti amo, ti amo, ti amo…”
“Ti amo anch’io…” gli sussurrò a sua volta la figlia di Biancaneve, una volta fermatisi ma con ancora braccia e gambe avvolte le una sul corpo dell’altro.
“Swan…ci credi?!”
“A cosa…?!”
“Saremo una famiglia…”
 “Lo siamo già…Killian!”
 
***
 
“Eva…Eva svegliati...”
Gocce.
Era un suono ritmico, scadenzato; come se una debole pioggerella estiva avesse deciso di scagliarsi in quel luogo buio e sconosciuto, bagnandole il volto teso.
Le piccole lacrime d’acqua provenienti dal cielo, le bagnavano la pelle, portando con sé un fastidioso sapore ferroso.
L’acqua solitamente non aveva quel forte retrogusto metallico; al contrario del sangue, attore fin troppo presente in quegli ultimi travagliati giorni.
Ma non potevano piovere gocce di sangue, giusto?
“Eva…apri gli occhi…”
Jake.
Jake la stava chiamando. Era la seconda volta che quel ragazzo la svegliava.
Due erano le cose: o lei dormiva troppo o lui non dormiva affatto. Probabilmente nessuna delle due opzioni era quella giusta, visto che non ricordava affatto di essersi appisolata.
Già…e allora che cosa stava facendo prima di essere avvolta da quell’improvvisa oscurità?
Stava parlando? Stava camminando? Si stata per imbattere in una guerra armata di una stupida spada decisamente troppo pesante per lei?
Ignorando il pulsare proveniente dal lato destro del cranio, Eva si sforzò di ricordare cosa fosse accaduto quando ancora riusciva a stare in posizione eretta.
Se non sbagliava, si trovava nella foresta; nella foresta, insieme a Jake.
Sì, era con lui; stavano tornando al villaggio, dopo aver scoperto che Phil e Tani volevano tradirla.
Quei maledetti erano in combutta con la Fata Oscura e lei non aveva ancora avuto modo di dirlo al suo insolito compagno di viaggio.
“M…mo…”
Oddio che cosa le stava succedendo? Aveva la bocca impastata e anche il solo pronunciare quelle poche lettere le mandava una serie insopportabile di scariche di dolore al cervello. Non era solo la testa a farle male, ma anche il labbro e gran parte delle costole.
Strano, ricordava di essere stata guarita da Trilli poche ore prima. Possibile che le lacrime di drago avessero un effetto limitato nel tempo? Forse non era caduto dal cielo il sangue che sentiva tra le labbra.
“Jones stai bene?!”
Eccola di nuovo, la voce di Jake.
Era preoccupato, lo si intuiva fin troppo chiaramente da quel tono basso e vibrante.
Era preoccupato per lei.
A fatica, la giovane dagli scuri capelli castani aprì gli occhi. Inizialmente la vista sembrava faticare a mettere a fuoco ciò che la circondava, ma dopo pochi attimi tutto iniziò ad assumere maggiore chiarezza.
L’aria umida e con un fastidioso odore di muffa proveniva dalle vecchie e spesse pareti di mattone, le quali circondavano l’intera sala dove si trovavano. Le uniche vie d’uscita erano rappresentate da un’immensa porta finestra alla sua destra e da un portone, così malridotto da dare l’impressione di cadere a pezzi da un momento all’altro.
Con il respiro corto, Eva spostò lo sguardo su Jake, il quale si trovava a diversi metri da lei. Era stato legato alla parete opposta, con una lunga catena arrugginita, la quale pareva fuoriuscire da una piccola fessura sul lato sinistro del muro. Il giovane Mills era seduto sullo stesso pavimento freddo dov’era stesa lei al momento, con un volto stanco e decisamente preoccupato.
Io, io non ti lascerò mai sola Eva, mai più…è una promessa!
Il ricordo di ciò che le aveva detto poche ore prima nella capanna di Campanellino, riecheggiarono nella sua mente non appena le sue iridi verdi incontrarono quelle scure del ragazzo.
Non aveva mentito, era davvero lì.
Come lei, anche Jake doveva avvertire fitte di dolore provenienti da tutto il corpo.
La giacca di pelle presentava i segni di varie colluttazioni e il volto, prima perfetto, ora portava su di sé i risultati di vari pugni ben assestati, soprattutto allo zigomo sinistro e al labbro superiore.
“Morg…ana!”
“Lo so…” le rispose Jake, corrugando la fronte “…mi dispiace…”
Cercando di ignorare il dolore alle costole, Eva si sforzò di mettersi a sedere, scoprendo ben presto di avere entrambi i polsi legati davanti a sé da una catena simile a quelle che usavano nelle navi, come quella di Jake. Evidentemente chiunque si fosse occupato di loro non aveva tralasciato nulla.
“Di c-che cosa…ti dispiace?!” gli chiese la giovane, con tono confuso.
“Ti ho portata da Phil…non prendendo in considerazione la possibilità che un essere viscido come lui…alla fine doveva per forza aver ceduto alle lusinghe di quella strega!”
“Sono…sono stata io a…scappare” esclamò Eva, evitando di ricordare la bastonata che gli aveva inferto poco dopo aver perso la sua collana “…e ad imbattermi su di loro…”
“Sì ma…”
“Sono stata io a voler restare…tu non volevi accettare la proposta di Phil…da subito!” lo interruppe la ragazza, parlando ancora con una certa fatica.
I lunghi capelli avevano finito per scenderle lungo la schiena, macchiandosi dello stesso sangue che le imperlava la fronte e il volto.
“…e comunque, non sono il tipo di persona che rivanga il passato. È inutile pensare...a come sarebbero andate le cose…s-se solo avessimo preso delle scelte…diverse. Sarei una stupida a prendermela con te…per qualcosa che n-non hai fatto volutamente!...e io….non sono…stupida!” aggiunse, sottolineando l’ultima parola con sicurezza.
Stringendo le labbra, Jake non le rispose, spostando la sua attenzione verso ciò che lo circondava. Aveva l’aria ferita e non dal genere di ferite visibili ad occhio nudo.
“Dove siamo?!” chiese Eva, preferendo cambiare argomento.
Pian piano, sentiva la mente farsi più lucida e meno confusa. Dovevano averle dato una bastonata, non c’era altro modo per giustificare quell’insopportabile dolore alla testa.
“Penso ci abbiano portati al castello…quello che abbiamo visto prima dal sentiero…”
“Quello sorvegliato dai troll?!”
“E dagli orchi…siamo stati disarmati e trascinati qui da loro…” le rispose il giovane, posando il capo sulla parete umida dietro di lui ed emettendo una debole fitta di dolore.
“Phil e Tani?...”
“Non li ho visti…o meglio, ho visto Tani dopo che ti aveva colpita alla testa…”
Ecco, a proposito del dolore...
“…e Phil deve essersi occupato di me!” aggiunse, asciugandosi con il dorso delle mani legate un rivolo di sangue della fronte.
Li avevano catturati. Erano riusciti a scappare da Diletta trasformata in un mostro dalle dimensioni mastodontiche e si erano lasciati prendere da due banditi che manco sapevano cosa fosse la doccia.
Da non credere.
Improvvisamente, il forte cigolio della porta in legno catturò l’attenzione dei due prigionieri, i quali si trovarono davanti al bandito nominato pochi istanti prima.
Il suo passo era lento, quasi gongolante.
La perfetta rappresentazione di chi aveva guadagnato una discreta somma di denaro per un lavoro portato a termine, senza troppa fatica.
Il tanfo del tradimento sembrava aver impestato l’intera sala.
“Jake Mills…” esclamò Phil, facendo un cenno di saluto al giovane alla sua destra come se si trovasse davanti ad un pubblico che lo attendeva da tempo “…Eva Jones…” aggiunse, voltandosi alla sua sinistra, confermando i sospetti della ragazza riguardo a quanto il bandito sapesse su di lei.
“Brutto figlio di…”
“Ehi ehi ehi…sei una signorina, un po’ di contegno!” la interruppe Phil, fingendo di lasciarsi incantare da un anello in oro tra le sue dita grassocce, fino a quel momento del tutto assente.
Dimenticando per un secondo la promessa fatta a Jake, Eva concentrò tutta la sua magia sulle mani, accennando un leggero gesto con le dita. Nonostante la stanchezza fisica, un bel volo fuori dalla finestra era una lezione a dir poco adatta per un bastardo come Phil.
Le cose, però, sembravano non voler migliorare minimamente e il cenno delle dita rimase un semplice gesto privo di alcuna fonte magica.
E il sorriso dipinto sul volto di Phil chiariva piuttosto bene la questione.
“Risparmia le forze principessa…qui la magia non è tra la lista degli invitati!” esclamò il bandito, porgendole un sorriso sornione.
Eva rimase interdetta, con lo sguardo che oscillava dalle sue dita alla figura di Phil.
“Ti sei lasciato comprare da Morgana…non pensavo riuscissi a cadere così in basso!” esclamò gelido Jake, il cui temperamento appariva molto più controllato rispetto a quello di Eva.
“Bè…vediamola in questo modo: entrambi abbiamo ottenuto ciò che volevamo no? Tu hai trovato la ragazza che tanto cercavi… ”disse l’uomo, indicando con un gesto delle dita la giovane Jones “…io ho trovato l’oro che tanto volevo. Non vedo perché tu debba essere in collera con me! Siamo pari”
“Già…solo che io muoio alla fine della storia!” sbottò Eva, cercando di ignorare la curiosità nel sapere cosa intendesse Phil con quelle parole.
Jake la stava cercando? E da quando?
Già, che stupida. Probabilmente si riferiva a quando lei lo aveva abbandonato in mezzo alla foresta per cercare il suo ciondolo, finendo così tra le mani del Furetto e di Tani, ora assenti in quella sorta di rimpatriata. Ricordava ancora la sensazione di sollievo che aveva provato quando il figlio di Regina l’aveva trovata, salvandole la vita, per la seconda volta.
Terza se si contava cosa le avrebbero fatto i Ribelli se avesse ucciso Diletta, quando ancora era umana.
“Morire, che brutta parola. Diciamo che ti consegnerò a Morgana!”
“E lei la ucciderà…maledetto figlio…”
“Sì ok…mia madre era una donna dai facili costumi, ma ora non vedo perché dobbiate sottolinearlo più e più volte!” cercò di sdrammatizzare il bandito, dirigendosi nuovamente verso il portone in legno.
“Non puoi farlo!” sbottò Jake alzandosi di scatto, facendo tintinnare la catena che lo ancorava alla parete.
Sembrava che la collera, improvvisa padrona del suo corpo, gli impedisse di sentire alcun dolore, neppure quello procurato dalla spalla destra, la cui torsione pareva tutt’altro che naturale.
“…non puoi farlo, sei in debito con me!”
“Io. In. Debito. Con. Te? scandì, divertito, Phil, voltandosi nuovamente verso Jake.
“Sì…” continuò il ragazzo, serrando la mascella “…ho salvato Lia, tua figlia…ricordi? Avevo undici anni, Lia stava annegando nel lago ghiacciato di Arendelle…ho rischiato di morire pur di salvarla!”
Lia. Allora era figlia di Phil. Ecco perché, poco prima di arrivare al villaggio, aveva detto a Jake di andare a salutarla; le aveva salvato la vita. E lei che subito aveva pensato a qualcosa di romantico.
“Ok ragazzo…hai ragione, ti devo un favore. Prometto che tu non morirai…ok?” detto ciò, Phil si apprestò nuovamente ad uscire, venendo però richiamato nuovamente dalla voce di Jake.
“Non è quello che voglio!”
“Siamo arrivati alle trattative? Non mi sembra tu sia nella posizione di richiedere qualcosa…non ti pare?”
“Ho salvato tua figlia…e ti ho aiutato in varie occasioni…tu mi devi un favore!”
“Senti Jaky…la tua ragazza deve morire. Non posso farci niente. La strega la vuole per farla a pezzi o qualunque sia quello che intende farle…l’accordo parla chiaro e io non sono così stupido da infrangerlo!”
“Già…ma sei abbastanza stupido da fare affari con Morgana!” sbottò Eva, nervosa.
Lanciando uno sguardo gelido in direzione di Eva, Phil decise di ignorarla, avvicinandosi nuovamente verso il copro del ragazzo, un tempo suo alleato.
“Sono tempi duri Jaky…non ho potuto rifiutare il suo accordo. La sta cercando da anni…e io non sono di certo l’eroe che le impedirà di avere ciò che vuole!” esclamò serio, serio come forse non lo era mai stato “…non posso liberarvi, mi dispiace!”
“Non ti sto chiedendo di liberarci!” esclamò Jake.
“E che cosa mi stai chiedendo allora!?”
“Ti sto chiedendo di ucciderci…Uccidici entrambi!”
 
 
***
 
 
Quando lo specchio di Regina divenne la superfice riflettente che era prima di mostrare quel piccolo frammento del loro futuro, Uncino si accorse di non avere mai lasciato la mano di Emma.
Le due dita erano ancora intrecciate su quelle di lei, la pelle era ancora un tutt’uno con quella della bionda; ma era l’unica cosa rimasta intatta della sua posizione.
La schiena, prima comodamente appoggiata allo schienale del divano, ora si trovava a diversi centimetri di distanza.
Il Capitano, infatti, quasi mosso da una forza invisibile e impercettibile, si era via via avvicinato sempre più allo specchio, ritrovandosi seduto sul bordo del mobile, come se la vista, solitamente perfetta, faticasse a mettere a fuoco ciò che vedeva.
Grazie alla stessa magia che lo aveva condotto all’interno dello specchio di Regina, il ciondolo di Emma fuoriuscì dalla superficie riflettente, andando a posarsi sul palmo rivolto all’insù della Salvatrice.
“Tutto ok?!”
L’improvvisa voce di Emma, accanto a sé, riuscì a farlo sobbalzare, come se fino a quel momento non fosse stato cosciente di trovarsi in quella stanza.
“S-sì…credo di sì…” rispose il giovane Jones, alzandosi dal divano e cominciando a fare qualche passo in quella sala, nel presente così vuota rispetto alla sua copia futura.
“Ho l’impressione di aver sortito l’effetto contrario…” esclamò preoccupata Emma, alzandosi a sua volta, dopo aver riposto il ciondolo al suo posto.
“Come?”
“Sì…voglio dire…pensavo che se avessi visto quanto saremo felici ti avrebbe aiutato a capire che vale la pena lottare contro Morgana…di impedirle di fare quello…quello che intende fare…” spiegò la bionda, gesticolando leggermente con le mani, come faceva ogni qual volta fosse nervosa o emozionata “…Quando l’ho sognato…io…io mi sono sentita…felice e, forse per la prima volta, ho sentito che meritavamo di esserlo. Che entrambi, nonostante tutto, meritiamo di essere felici…e di costruirci un futuro. Dopo averlo visto non puoi pensare che il mio, che il nostro futuro, sia fatto di sola sofferenza…quello che ti ha mostrato Morgana…era una menzogna…voleva che tu credessi solo al brutto di quello che verrà…ma ci saranno un sacco di momenti indimenticabili Killian. Come quello…” esclamò, con voce rotta, indicando lo specchio del sindaco di Sorybrooke.
Mentre Emma parlava, Killian continuava a darle le spalle, guardando un punto imprecisato della stanza.
Aveva davvero visto l’ennesimo ricordo di un suo prossimo futuro? Era davvero quella la sua vita, quella che aspettava solo di essere vissuta?
Lui, che aveva sbagliato così tante volte nell’arco della sua lunga vita; lui che ancora si sentiva debole al bussare dell’oscurità che, insidiosa, si rifugiava dentro al suo cuore, sicura che prima o poi un qualche avvenimento l’avrebbe riaccesa, lasciandola padrona incontrastata del suo animo.
Lui…lui che aveva puntato così in alto da innamorarsi dell’essere più perfetto che il mondo avesse creato: Emma Swan.
Lui avrebbe avuto tutto.
Perché non solo lei lo avrebbe ricambiato in futuro, avrebbe perfino accettato di sposarlo e di avere un figlio, o meglio, una figlia da lui.
Avrebbero avuto una famiglia insieme.
 
Noi…avremo un bellissimo futuro […] perché insieme avremo una figlia bellissima…e forte…così forte da aver trovato un modo per arrivare qui, nel passato per salvarci tutti. E questo Morgana lo sa…
 
Era quello che le aveva detto poco fa nella casa dei suoi genitori…e lui, lui aveva avuto paura di crederle fino in fondo.
“Bè...vedo che continui a non voler ascoltare…”
Con voce stanca, o forse addirittura delusa, Emma afferrò il capotto poco prima posato sul divano, dirigendosi con passo deciso e volto teso verso la porta d’ingresso, il cui legno appariva ormai del tutto segnato dal tempo.
Improvvisamente, però, come spesso accadeva quando lei e il pirata si trovavano nella stessa stanza, il braccio del pirata la obbligò a voltarsi e a perdersi in quel profondo e cupo blu dei suoi occhi.
Erano lucidi, emozionati, come forse lo erano stati quelli del Killian del futuro di fronte alla notizia che la donna che amava aspettava un figlio da lui.
Senza dire una parola, il giovane Jones posò le sue labbra su quelle di lei, posandole la mano destra sulla morbida seta dorata che erano i suoi capelli.
Ignorando volutamente la voce nella sua mente che le chiedeva cosa passasse nella testa del Capitano Jones, Emma si lasciò totalmente andare a quel bacio.
Ormai abituate a quel contatto, le sue labbra si schiusero con estremo piacere alla richiesta di quelle di lui, lasciando che le loro lingue iniziassero una danza così carica di passione da lasciare poco spazio all’immaginazione.
Spinta dal desiderio che, durante ogni bacio e ogni carezza, si impossessava del suo corpo, Emma circondò il volto di Killian con le mani, lasciando a sua volta che le dita si perdessero tra le ciocche scure dei suoi capelli.
Il cappotto grigio, ora steso a terra, aveva ormai abbandonato la mente della Salvatrice, la quale si trovava troppo impegnata ad assaporare il brivido prodotto dal contatto dell’uncino con la pelle del suo fianco, rimasta esposta dallo sfregamento dei loro corpi.
Amava quei baci. Amava il modo in cui Killian la baciava, come se da quel contatto dipendesse la loro totale esistenza; amava perdersi tra le sue braccia, vedere le sue labbra perfette farsi sempre più arrossate in quella battaglia fatta di labbra e piccoli morsi. Amava vedere i suoi tempestosi occhi blu aprirsi leggermente a ritmi scadenzati, come se una piccola parte di lui ancora faticasse a credere che davanti a sé ci fosse proprio lei.
Lo amava, come non avrebbe mai potuto amare nessuno in tutta la sua vita.
A malincuore, fu il pirata a mettere fine a quel loro intenso bacio, rimanendo però a pochi centimetri da quelle labbra così invitanti e riuscendo quasi ad assaporare il delicato profumo prodotto dalla sua pelle bianca.
“Perdonami Swan…” esclamò il giovane Jones, con voce rotta.
“Io non mi scuserei…” gli rispose, sorridendo maliziosa.
“Non parlavo del bacio…Ma…ma per non averti ascoltata…” le spiegò, posando la fronte sulla sua, e chiudendo gli occhi con fare stanco “...non voglio tu creda che abbia creduto alle parole di Morgana; ma quello che mi ha mostrato…quello che mi ha fatto vedere era così reale. Vederti morire davanti ai miei occhi e non poter fare nulla per aiutarti…è stata la cosa più devastante che potesse accadermi…”
“Lo so…e anche lei lo sa…”
Lentamente, Killian lasciò che la sua mano delineasse il contorno di quel volto, così bello da poter essere rimirato per l’eternità, senza mai sentire la minima stanchezza.
“Voglio vivere in prima persona quel momento…voglio avere un futuro con te Emma…” le disse, deglutendo a fatica, guardandola dritta in quelle intense iridi verdi.
“E lo avremo…te lo prometto!” gli sussurrò Emma, sorridendogli.
Con dolcezza e sicurezza, la giovane Swan posò a sua volta il palmo della mano sul mento ruvido del pirata.
“…quindi andiamo a spaccare la faccia all’ennesima pazza che vuole giocare con le nostre vite!” aggiunse, sentendo i suoi occhi chiari farsi accesi, come il giorno in cui aveva preso consapevolezza dei suoi poteri, dando il via ad uno spettacolo pirotecnico senza precedenti.
“Finalmente sento qualcosa di interessante!”
Al suono di quella voce tanto melodiosa quanto estranea, Emma e Killian si voltarono di scatto, ritrovandosi a fissare una figura comodamente seduta sul divano in tessuto bordeaux, poco prima creato da Emma.
Nonostante la voce sconosciuta, la figura della giovane non era affatto estranea, non per la Salvatrice almeno.
I lunghi capelli sottili, di un brillante castano chiaro, parevano essere nati per intonarsi perfettamente con le iridi nocciola della ragazza, i cui tratti elfici apparivano così singolari da dare l’impressione di avere davanti qualcuno di magico e di non appartenente a quel mondo.
Perché in effetti era così.
La ragazza davanti a loro era la stessa apparsa accanto al corpo di Killian, imprigionata come quest’ultimo dalla magia di Morgana.
“E tu…chi sei?!” esclamò Emma, staccandosi dal corpo del pirata e puntando lo sguardo sul volto della sconosciuta.
“Nimue…la sorella di Morgana!...” esclamò, sorridente “…e non vedo l’ora di vendicarmi di mia sorella!”
Emma rimase interdetta. La bocca semiaperta, gli occhi sbarrati.
Quella era…l’anima indistinta. La fata di cui Turchina non si era fidata a causa del suo temperamento.
“E come volevasi dimostrare, il nano da giardino non ha idea di cosa significhi fare la guardia!”
Esclamò Killian, sarcastico; rendendosi molto più simile a Regina di quanto non volesse ammettere.
 
***
 
 
Ignorando il dolore al labbro superiore, Eva si ritrovò a spalancare la bocca, sconvolta da quello che le sue orecchie avevano appena sentito uscire dalle labbra di Jake.
Il cuore, già accelerato da quando aveva riaperto gli occhi, pareva aver raggiunto livelli preoccupanti, sfiorando decisamente la tachicardia; il petto si alzava e abbassava a ritmo regolare, come se stesse disperatamente cercando il modo migliore per controllare il fiato corto.
Anche Phil, dal canto suo, pareva alquanto stravolto da quell’insolita richiesta, lasciandosi andare ad una fragorosa risata; di quelle risate che salivano direttamente dallo stomaco, facendo flettere leggermente il busto all’indietro, con la mano sul addome gonfio.
“Oddio ragazzo...devo avertela data bella forte quella bastonata in testa!”
“…non sto scherzando Phil!” continuò serio il giovane Mills, posando per un solo attimo lo sguardo su Eva.
“Mi stai chiedendo di ucciderti…per lei? Ma dico…sei impazzito?!...Sono un uomo, ma lasciati dire che sei abbastanza bello da trovarne altre cento come quella sciacquetta!”
“Sciacquetta a chi?!…”
“Ti prego!” esclamò Jake rivolgendosi all’uomo, con un tono di supplica che mai Eva avrebbe pensato di sentir fuoriuscire da quelle labbra perfette “…ti prego, uccidici entrambi. L’ho cercata tanto…e tu lo sai. Non puoi consegnarla a Morgana e lasciarmi andare!”
Ancora quella frase.
Lui la stava cercando.
Non era possibile.
Lui la odiava, la odiava come poche persone al mondo (al di là di Morgana) avessero mai fatto in tutta la sua vita.
Quando l’aveva vista all’Alleanza le aveva dimostrato chiaramente quanto fosse infelice di rivederla, per di più al suo campo. Lui non poteva davvero averla cercata, se non per ucciderla.
“Sì che posso!”
“No invece. Perché sai che non appena avrò la forza di rimettermi in piedi verrò a cercarti…e giuro…giuro che ti renderò la vita un inferno. Ti porterò via tutto…tutto ciò a cui tieni, come Morgana ha fatto con me!”.
Per un attimo un silenzio teso scese sull’intera stanza.
Gli occhi scuri di Jake rimasero fissi sul volto sudato del bandito, non dando il minimo cenno di voler deviare la loro attenzione su nessun altro, neppure su Eva, il cui volto pareva essersi fatto ancora più pallido.
Per quanto non lo avesse mai ammesso a voce alta, l’idea che lei e Jake condividessero molto più di un carattere testardo e di una lingua sarcastica e tagliente non la sconvolgeva affatto. Entrambi erano stati strappati dalle loro case, dai loro amici; entrambi erano cresciuti sotto un regno di paura e follia, senza un posto dove sentirsi davvero al sicuro; entrambi sapevano quanto fosse facile cadere in una trappola di Morgana.
Entrambi, possedevano la folle convinzione di non aver bisogno di nessuno.
Già, ma chissà perché non aveva mai preso in considerazione l’idea che anche Jake doveva aver perso tanto in quella guerra senza fine; tanto…come suo padre.
Tutti e due orfani, spaventati e bisognosi di oscurare quell’opprimente paura che qualcun altro finisse vittima di quella strega venuta dalle ombre.
“Non posso essere io ad ucciderla…Morgana ha detto di volerla viva. Se lo faccio, nella migliore delle ipotesi mi strappa il cuore davanti agli occhi…e non è tra le mie priorità!”
“…non faro tu allora. Ordinalo ad un troll…o ad un orco; sono stupidi e basta che gli venga detto di fare qualcosa sotto comando di Morgana e loro non opporranno resistenza. In questo modo nessuno potrà incolparti!”
Phil corrugò la fronte, stupito da quelle parole. Il ragazzo voleva davvero venire ucciso insieme alla figlia della Salvatrice. Incredibile, ed estremamente assurdo.
“Vuoi…vuoi davvero morire per una donna?!”
Jake non rispose, evitando volutamente gli occhi di Eva.
“Sì…”
“Bè…se è quello che vuoi!” aggiunse l’uomo, abbassando la testa e avvicinandosi definitivamente alla porta, posando la mano ornata di anelli sulla maniglia ormai arrugginita.
“Addio ragazzo!”
Senza attardarsi un secondo in più, Phil tirò la maniglia, per poi chiuderla dietro di sé senza troppa accuratezza.
Il forte clangore del portone riecheggiò per vari istanti nell’immensa e vuota sala, la quale pareva essere nata esclusivamente per imprigionare dei poveri condannati a morte.
Non dovettero passare molti istanti prima che Eva si lasciasse andare alla miriade di insulti che le giravano in testa da qualche minuto.
“Ma dico…ti ha dato di volta il cervello?” esclamò la ragazza, alzandosi in piedi e ignorando volutamente il sangue che le defluiva dalla ferita alla testa.
“Le bastonate che sto ricevendo negli ultimi giorni non devono di certo farmi bene, se è questo che intendi” le rispose vago il ragazzo, lasciandosi nuovamente cadere a terra, come se la pesantezza della discussione appena avvenuta lo avesse lasciato privo di forze.
“Perché gli hai fatto promettere una cosa del genere? Potevi salvarti…”
“A che scopo?!”
“A che scopo!?” urlò la ragazza “…potevi fare qualcosa per uccidere Morgana!”
“E che cosa avrei dovuto fare?…andare al suo castello armato di arco e frecce?!”
“No…o meglio, sì...Non lo so! Tu…tu sei un idiota!” continuò a gridare, così colma di rabbia da sentire il volto farsi sempre più arrossato “ Non ci si arrende…mai!...nemmeno quando tutto va a rotoli. Si deve sempre andare avanti finché…”
-Finché ognuno di noi non ha raggiunto il suo lieto fine…- concluse la giovane, tra sé e sé.
“Non mi sono arreso! Ma come pensi sarebbe andata eh?!” le chiese Jake, il cui tono di voce si era fatto a sua volta alto e adirato “Pensi davvero che potrei starmene fermo a guardare mentre ti portano d Morgana?”
“E quindi cosa fai?!…preferisci morire insieme a me lasciandole la strada spianata?!”
“Se questo significa impedirle di avere qualsiasi cosa voglia da te…sì! Ci puoi scommettere” concluse il giovane, ringhiando quell’ultima frase, come un animale ferito ma dall’orgoglio indistruttibile.
Lo aveva guardato tante volte quel volto serio e tante volte lo aveva considerato bello da togliere il fiato; anche in quel momento, col sudore che gli scendeva dalla fronte, mescolato al sangue delle ferite, appariva simile ad un angelo vendicatore, ad un principe privato ingiustamente del suo regno.
“Sei un idiota…” esclamò Eva, incapace di gestire quelle strane emozioni che, da qualche tempo, avevano iniziato a manifestarsi dentro di sé.
Per un attimo Jake rimase in silenzio, facendo un respiro così sonoro da dare l’impressione di aver lasciato defluire tutta la stanchezza fino ad allora accumulata.
Non aggiunse nulla, nemmeno una parola. Rimase in quella posizione, seduto, come lo era lei poco prima, con le gambe piegate davanti al petto e la schiena appoggiata alla parete di mattoni.
Nessuno dei due intendeva dire una sola parola in più, come se preferissero trascorrere il poco tempo rimasto rinchiusi nei propri pensieri, con il ricordo dei propri cari a scaldargli il cuore.
Con aria esausta e sconfitta, anche Eva finì col rimettersi seduta, scivolando lentamente sul muro dietro di lei.
Tante volte la ragazza aveva immaginato il giorno in cui Morgana fosse riuscita a catturarla, a mettere le mani su di lei e ad ucciderla. Alle volte, in alcuni dei suoi sogni ad occhi aperti, sognava di consegnarsi di sua spontanea volontà, con la speranza che ciò placasse la sete di vendetta della Fata. In cuor suo, però, sapeva che non sarebbe bastato e che Morgana avrebbe continuato a seminare odio e terrore, per l’eternità.
Eternità che però, grazie al piano di tornare indietro nel tempo, avrebbero potuto trasformarsi in un tempo definito, segnando finalmente la fine di quel regno fatto di paura e dolore.
Grazie a Tremotino la possibilità di distruggere Morgana si era fatta, per la prima volta, tangibile, reale, e non un mero sogno ad occhi aperti di una ragazzina di quindici anni; lei, la figlia del pirata e della Salvatrice, avrebbe potuto distruggerla, avrebbe potuto fare qualcosa di importante, fare la differenza.
Eppure, nonostante l’accordo, nonostante avesse scoperto che Zelena era ancora viva, l’amara consapevolezza che tutto ciò non si sarebbe mai realizzato inondò l’animo della Jones.
Morgana era riuscita a catturarla, e nessuno avrebbe mai saputo che esisteva un’arma in grado di ucciderla.
Era stata così stupida a non parlarne con nessuno.
Aveva sempre avuto quell’orribile abitudine di tenersi tutto dentro.
Se solo si fosse fidata, solo per una volta, per una maledettissima volta…a quest’ora qualcun altro si sarebbe occupato di portare a termine quell’impresa.
Chissà se esisteva una data di scadenza per imparare dai propri errori; per capire che tutti, anche i più forti, avevano bisogno di buttare fuori i sentimenti più pesanti.
Il dolore, gli sbagli, i rimpianti.
“Odio la cannella!” esclamò improvvisamente Eva, attirando su di sé lo sguardo scuro ed intenso di Jake.
“Come dici?!”
“Odio la cannella. Ho provato a mangiarla in tutti i modi…spolverata sulla cioccolata; sulle torte…su qualsiasi tipo di bevanda; ho provato addirittura ad abituarmi al suo odore mettendola in un sacchetto da tenere in tasca. Ma niente da fare…la detesto, mi sale la nausea solo a sentirla a metri di distanza!” rivelò la giovane, stringendo le mani legate, come se nascondesse qualcosa di prezioso “Visto che stiamo per morire…penso sia giusto che qualcuno lo sappia…oltre a me!”
“Io odio le cipolle…ma non penso che dirlo mi liberi di un peso insopportabile!” esclamò sarcastico Jake, alzando un solo sopracciglio, come sapeva fare anche lei, in alcune occasioni “…e non l’hai mai detto a nessuno? Nemmeno a tuo padre o a Henry?!”
“Soprattutto a loro!” sottolineò Eva, sforandosi di sorridere, ma nascondendo dietro di sé una tristezza ben visibile “…volevo assomigliare a mia madre. Da quando sono piccola tutti mi dicono come la cannella sia una sorta di marchio di fabbrica della mia famiglia. Mia madre, Henry, mia nonna…tutti la amano come se fosse l’ingrediente segreto di ogni ricetta. E io? Io la odio…”
“Continuo a non capire dove sia il problema. Non impazzisco per la torta di mele…e mia madre ha superato il dramma quando avevo nove anni…senza troppi traumi…!”
“Lo so…ma…ma volevo assomigliare a lei almeno un po’. Volevo che mio padre…a-avesse almeno il ricordo di lei, attraverso me!” esclamò rattristata, fissandosi le sue dita affusolate, sporche di terra e sangue, come il pomeriggio prima “…Io non le assomiglio per niente…ho i capelli di mio padre, il carattere di mio padre…perfino Neal quando mi ha rivista ha detto che sono la sua copia sputata….E-e ne sono felice, credimi….io adoro mio padre…è la persona che amo di più al mondo; ma penso…penso che quando si perde qualcuno, qualcuno che si amava tanto…avere la possibilità di rivedere alcuni suoi tratti in qualcun altro…bè…riduca il dolore!”
“E pensavi che farti piacere la cannella aiutasse tuo padre?!” esclamò scettico Jake, staccandosi leggermente dalla parete.
“Sì…è stupido vero? In realtà non ricordo quando ho iniziato. So che una sera stavamo cenando insieme ai nonni, al castello…avevano portato delle torte. Mio padre me ne diede una fetta dicendomi -A te piace la cannella vero? Come la mamma-…non sono riuscita a dirgli di no. Erano passati pochi giorni dalla sua morte…e lui…lui non era del tutto presente, non con il cuore almeno. Io mi guardavo allo specchio…e vedevo questi capelli scuri…il volto così diverso da quello di mia madre…e sapevo di non essergli di conforto. Volevo assomigliarle…almeno…almeno con la cannella!”
Jake rimase in silenzio. Osservandola con quei suoi occhi così espressivi da lasciare poco spazio all’immaginazione.
Rimase zitto per così tanto tempo che Eva pensò non si sarebbero detti più nulla, almeno fino all’arrivo del loro boia personale.
Il lento suono concesso dalle gocce continuava a riempire ogni angolo di quell’immensa sala fredda e ammuffita, dando l’illusione che un reale e pesante silenzio non potesse mai prendere il sopravvento.
“Da piccoli io e Alex eravamo fidanzati!”
“Oh…” si lasciò sfuggire la giovane, schiarendosi la gola con fare imbarazzato “...bene…”
“Avevamo sette anni o giù di lì. Lei diceva che eravamo i bambini più belli della scuola, quindi dovevamo stare insieme per forza!” aggiunse il ragazzo, stringendo le labbra, come se dire quella cosa gli costasse una certa fatica.
“Che sentimento profondo!” esclamò Eva, alzando gli occhi al cielo.
Ok, non si immaginava una storia strappalacrime, ma di certo non pensava che una relazione infantile con Alex fosse il suo affare in sospeso.
“…a me non interessavano le femmine, non a quell’età almeno” si precipitò a precisare “...ma lei era gentile con me, mi teneva sempre il posto in classe, mi portava un dolce ogni giorno…Mi sentivo importante e accompagnarla a casa non era così brutto dopotutto!”
“Bè…non ricordo Alex da piccola, ma penso sia stata piuttosto carina!”
“Già…ma un giorno la lasciai…e per vendetta lei mi picchiò con il suo libro di matematica, per poi chiedermi di diventare il suo migliore amico!”
“Perché la…la lasciasti?!” le chiese Eva, divertita nell’usare quella parola così adulta in un contesto da bambini.
“Perché arrivò qualcuna che…secondo me, era molto più carina di lei” le rispose il giovane dai capelli scuri, sorridendo nella sua direzione.
Quell’intenso sguardo fatto di oro nero riuscì a farla arrossire all’istante, come mai si era ritrovata a fare di fronte ad un ragazzo.
Che diamine, lei era Eva Jones, la figlia del temibile Capitano Uncino; la ragazza che a dodici anni aveva dato un calcio in mezzo alle gambe ad un ragazzo più grande di lei perché le aveva detto che puzzava.
Lei non arrossiva, non per un sorriso.
“Era più piccola di me…e di certo nei miei pensieri non c’era nulla di…romantico!” continuò Jake, abbassando lo sguardo sul pavimento freddo “…ma mi piaceva, volevo starle vicino e forse, per la prima volta, avevo capito cosa provava Alex quando mi aspettava la mattina. Anch’io volevo fare le cose che faceva lei con me…volevo che quella bambina, dagli occhi più verdi che avessi mai visto, si sedesse vicino a me in autobus; volevo tenerle la porta aperta quando passava da una classe all’altra…volevo…volevo essere gentile con lei. Ma lei non sembrava accorgersi di me! Mi ignorava…non riusciva a ricordarsi nemmeno il mio nome. Pensa che…che un giorno, al compleanno di mio fratello Roland…arrivò con la sua famiglia a casa nostra e quando mi vide mi chiamò Rowan. Rowan capisci? Mio fratello…il fratello con cui andavo meno d’accordo in assoluto. Ero così arrabbiato che mi chiusi in camera!” esclamò, con un tono quasi incredulo, in difesa di quel bambino magro, tutto occhi e capelli che era stato “Come poteva trattarmi così?! Io…che ero sempre gentile con lei!? Non riuscivo a capire…Così…finita la festa, arrivò mio padre…e dopo aver capito il problema…mi disse che dovevo farmi notare…dovevo fare in modo che la bambina si ricordasse di me.
Bè…non so se sia stata la rabbia o…o l’influenza del ramo strano della mia famiglia a farmi travisare quelle parole; stette di fatto che cominciai a mettere in atto il consiglio…e…”
“E iniziasti a tormentarla…” si agganciò Eva, non accorgendosi di avere quasi sussurrato quelle parole e di avere le guance così in fiamme da sentirsi prossima all’autocombustione.
“Già…” esclamò il giovane Mills, sorridendo e alzando nuovamente lo sguardo su di lei “…niente porte aperte per Eva Jones, ma solo dispetti pur di farla piangere. Nel giro di una mattina sapevi chi ero, il mio nome e in autobus ti sedevi nella fila parallela alla mia, pur di tenermi d’occhio!”
“Avevo paura mi attaccassi qualcosa tra i capelli!” ricordò Eva, corrugando la fronte “…pensavo di non piacerti!”
Jake sorrise debolmente, spostando per un attimo lo sguardo alla sua destra, come a volersi trattenere.
“In realtà mi piacevi un sacco…e da quando avevo visto che caratterino avevi…mi piacevi ancora di più…” continuò, con voce bassa “Ma poi…arrivò Morgana…e le cose cambiarono…per tutti. Avevo otto anni…e scherzare con te è l’ultima cosa infantile e divertente che ricordo di avere fatto…”.
Per un attimo il cuore di Eva mancò di un battito.
Jake, lo stesso Jake che la odiava, che non perdeva occasione per sbraitarle dietro, che le aveva dato della viziata, portava dentro di sé un bel ricordo legato a lei.
Per quanto cercasse di negarlo, gli occhi sembrarono inumidirsi, rendendole la visione di ciò che aveva davanti leggermente annebbiata.
“Ricordo che una sera tua madre venne dalla mia…per parlare. Mi è sempre piaciuta Emma; era gentile con me…diceva che più crescevo e più le ricordavo Regina…ed era divertente sentirglielo dire perché mia madre, tutt’ora, non ha mai perso l’occasione di dire quanto tu assomigli ad Emma…” le rivelò, consapevole dell’effetto che quelle parole avrebbero avuto su di lei.
Regina pensava che lei…assomigliasse ad Emma? Non lo aveva mai saputo.
E in che cosa le assomigliava? Gli occhi? Il viso? Il modo di fare?
Avrebbe voluto fargli tutte quelle domande, ma preferì farle morirle in gola, consapevole che non avrebbe mai creduto a nessuna risposta.
“Come ti ho detto…una sera Emma venne a casa nostra per parlare con mia madre…non sentii bene cosa si dissero, perché venni scoperto quasi subito...ma prima di andarsene Emma mi fece promettere di non abbandonarti mai…” con occhio cupo, Jake posò nuovamente lo sguardo su di lei, guardandola come non aveva mai fatto da quando si erano rivisti “Successe poco dopo la sua morte…dopo che Morgana la uccise. Ricordo che mia madre riuscì ad aprire un portale in grado di portarci tutti nella Foresta Incantata. Quella notte ti cercai dappertutto…dovevo trovarti, lo avevo promesso ad Emma e non potevo tirarmi indietro così! Purtroppo, però, scoprii che i piani erano diversi. Ci dividemmo, io e la mia famiglia ci facemmo trasportare poco lontano da Arendelle, dove Little John conosceva un villaggio di Cacciatori di Orchi che ci avrebbe accolti...e tu e gli altri andaste nella Foresta Incantata insieme a Biancaneve e David”
Eva si ritrovò ad abbassare lo sguardo, consapevole dei motivi che avevano portato le due famiglie a prendere quella decisione.
Morgana voleva catturare lei, la figlia della Salvatrice, convinta fosse colei in grado di distruggerla. Separarsi era l’unico modo per proteggere Regina, Robin e i loro figli.
“Tu non lo sai…” continuò Jake, abbassando per un secondo lo sguardo “…ma ti ho pensata ogni giorno, ogni giorno per quattro anni. Non riuscivo ad accettare l’idea che i miei genitori non si interessassero a voi…a dove foste, soprattutto dopo quello che era successo al castello dei tuoi nonni…”
Già, i suoi nonni.
Il ricordo dell’attacco al castello, a differenza della loro fuga dal Maine, appariva alquanto chiara nella sua mente. Se solo avesse provato a chiudere gli occhi, avrebbe potuto ritrovarsi tra quelle nobili mura in fiamme, circondate dalle bestie della Strega.
Biancaneve…David…
Scuotendo il capo, Eva scacciò quel pensiero cupo, continuando ad ascoltare la voce profonda del ragazzo davanti a lei.
“Così…così una notte scappai dal villaggio, per venire a cercarti…per mantenere fede alla promessa che avevo fatto ad Emma…e per rivedere la bambina che mi era entrata nel cuore. Avevo dodici anni…e pensavo di poter fare qualsiasi cosa, pensavo di essere il miglior arciere di tutti i regni…ma non ci volle molto perché le bestie di Morgana mi trovassero e mi attaccassero. Sarei morto…se...se mio padre non fosse arrivato in tempo!”
Per un attimo Jake rimase in silenzio, deviando il volto, come a non volerla guardare in faccia, nascondendole la vergogna che sembrava provare in quel momento.
Non aveva mai parlato di suo padre, mai, nemmeno quando Eva aveva cercato di scoprire qualcosa di più sul suo passato. Parlava di sua madre, anche se di rado, ma di Robin nulla, mai una parola.
“Quella notte mio padre morì per salvarmi…”
E, per la prima volta, una lacrima sembrò scendere dal volto del coraggioso leader dell’Alleanza.
Forse, se glielo avessero chiesto qualche tempo dopo, avrebbe risposto che ad aver rigato quella guancia lievemente ruvida, non era stata una lacrima, bensì una goccia di sudore; ma in quel momento, sembrava non avere importanza.
“Quando mia madre venne a cercarci…N-non dimenticherò mai il suo volto. Da quella notte, per un po’ non parlai con nessuno, mi sentivo così in colpa. Mio padre era morto per colpa mia e mia madre era di nuovo infelice. Nonostante Roland e Row cercassero di convincermi del contrario io sapevo di non avere giustificazioni. Se non fossi scappato per andare a carcerare una ragazzina che non vedevo da quattro anni, se non avessi fatto di testa mia disobbedendo alla mia famiglia…mio padre…mio padre non sarebbe morto. M-mi sentivo…mi sentivo come se non meritassi di vivere…volevo morire e far tornare il grande Robin di Loxley al mio posto…” esclamò con voce incrinata, fissandosi le mani incatenate “Qualche giorno dopo, Henry venne al villaggio…per stare vicino a mia madre…e fu in quell’occasione che scoprii che tu…che tu stavi bene”
Improvvisamente la voce del giovane Mills si era fatta ancora più rotta, come se avesse raggiunto la parte più difficile e lacerante del suo racconto.
“Henry disse a mia madre che eri in viaggio con tuo padre e…e che non avevi voluto fare tutta quella strada per venire da noi. Ricordo quel pomeriggio come se fosse ieri. Ero senza parola…provavo una rabbia così grande che se avessi potuto avrei distrutto tutto quello che mi stava attorno. Tu…tu non eri voluta venire. Tu probabilmente avevi finito col dimenticarmi e con l’andare avanti con la tua vita…al contrario di me che avevo speso tutti quegli anni a pensarti e a trovare un modo per raggiungerti. Avevo finito con lo scappare dalla mia famiglia per arrivare da te…avevo finito per far uccidere mio padre…” esclamò frustrato, stringendo ancora di più i pugni, arrivando a conficcare le unghie sui palmi, come se anche in quel momento riuscisse a provare gli stessi sentimenti di quel giorno.
“È stata quella la prima volta. La prima volta…in cui pensai che era per colpa tua se mio padre era morto…” le rivelò il giovane, senza mai guardarla in faccia “…era tua la colpa se ero uscito di casa quella notte…non mia. E…e quando feci quel pensiero…mi sentii meglio, dopo tanto tempo. Poterti incolpare, poterti odiare…mi faceva sentire bene. Mio padre era morto perché tu eri una brutta persona, non io. Tu, tu meritavi il mio disprezzo e io…non avevo colpe…”
…come sua madre, purtroppo, per sopravvivere alla sofferenza ha la cattiva abitudine di incolpare gli altri dei propri errori…
Solo in quel momento le parole di Trilli riuscirono ad avere un senso.
Jake non riusciva a perdonarsi per la morte di suo padre. Si sentiva in colpa e per sopravvivere aveva scagliato tutte le colpe su di lei, come sua madre aveva fatto con sua nonna anni addietro.
“Per anni…per anni ti ho detestata…Per riuscire a guardarmi allo specchio ho finito col passare tutto questo tempo a disprezzare la persona che volevo proteggere più di ogni altra cosa. Ti ho odiata per avere la minima speranza di diventare una persona migliore…”
Via via la sua voce divenne simile al ruggito di un leone morente, così debole ma forte da far accapponare la pelle.
Le aveva detto tutto quello che aveva dentro.
Le aveva rivelato ciò che lo tormentava da tempo.
E questo…questo, le faceva male.
“È vero…quando venimmo a sapere di Robin, fui io a non voler venire” confessò Eva, dopo essere rimasta in silenzio, come a voler soppesare le sue prossime parole.
Lentamente, Jake alzò il volto ferito, e non solo dai lividi; pareva aver incassato la conferma da parte di Eva com’è solito fare un pugile professionista: silenzioso, solido ma impossibilitato a non esternare una piccola parte di dolore.
“Mio padre ci teneva, molto anche…ma io non ne volevo sapere…non riuscivo a sopportare l’idea che qualcun altro fosse morto!” continuò la Jones, con tono sommesso “Non mi ero dimenticata di te…anzi…Ma...ogni volta che mi avvicinavo a qualcuno, la gente…la gente moriva. E io avevo…paura!”
Paura.
Un sentimento così grande e infido da riuscire a trovare dimora nel cuore di chiunque, rendendo un’emozione nobile come l’affetto di un bambino, in qualcosa di simile al logorante ed incessante senso di colpa.
Jake aveva avuto paura di essere il responsabile della morte del padre, finendo col nascondersi dietro alla rabbia.
Eva aveva avuto paura di vedere i suoi cari scivolarle dalle dita, scegliendo una vita solitaria con il padre.
Entrambi avevano ceduto alla paura, divenendo lo spettro dell’uomo e della donna che avevano sempre sognato di essere.
Con il volto e l’anima ammaccata, Eva e Jake si guardarono; si guardarono come non avevano mai fatto dal loro primo incontro alla radura; si guardarono senza distogliere lo sguardo e senza vergognarsi di ciò che l’uno avrebbe visto nel cuore dell’altro.
“…dovevi fare una semplice cosa...Rimanere lontano da quel lurido topo, continuando ad odiarla come hai sempre fatto…e, credimi, ti stava riuscendo piuttosto bene. Finché la principessa non ha deciso di farci…visita!”
Chissà cosa doveva aver provato Jake quando Diletta gli aveva rivolto quelle fredde parole, poco prima di trasformarsi; chissà cosa doveva aver provato, rendendosi improvvisamente colpo che i suoi sentimenti, che il suo odio verso di lei, in realtà facevano tutto parte del disegno strutturato da Morgana.
Già…perché la strega aveva previsto ogni cosa. Il loro odio, la rabbia, il dolore.
Lei aveva voluto separarli.
“Non è colpa tua se tuo padre è morto…è stata Morgana…” esclamò improvvisamente Eva, dando voce ai suoi pensieri ed ignorando la rabbia che le gonfiava il petto.
“Se non fossi scappato…”
“Lei lo avrebbe ucciso in un altro modo… era quello che voleva!” esclamò sicura, come se riuscisse a leggere nel cuore di quella donna dal cuore nero come la notte “…voleva che tu mi odiassi…e che non volessi più avere niente a che fare…”
“Vuoi consolarmi? Dopo il modo in cui ti ho trattata…tu…” la interruppe il giovane Mills, non riuscendo a sua volta a terminare la frase, incredulo di fronte a quella reazione.
Aveva creduto che, una volta saputa la verità, lei lo avrebbe disprezzato, che avrebbe iniziato a sbraitargli contro tutte le maledizioni possibili, che avesse continuato a detestarlo.
Invece se ne stava lì, con la sua postura sicura e i suoi intensi e fieri occhi verde giada, così simile ad una principessa da togliere il fiato.
Perché non sarebbe bastato tutto l’odio di Morgana per farla sentire inadeguata a quel ruolo.
Eva era una principessa, la più bella e coraggiosa principessa che avesse mai visto. 
“Mi odi ancora?” chiese improvvisamente Eva, posando le mani sporche sulle ginocchia, divenendo improvvisamente insicura, come se temesse la risposta.
“Ha importanza?”
“Per me ne ha…”
Proprio in quel momento la pesante e malandata porta in legno si aprì nuovamente, facendo entrare Phil, accompagnato dal boia che di lì a poco avrebbe segnato la fine del loro viaggio.
“Penso di non averlo mai fatto…”
E in quel momento, sul volto di Eva si dipinse un sorriso.
Non erano le persone che aveva sempre sognato di diventare.
Jake non era un principe dei ladri coraggioso, senza macchia e senza paura.
Lei non era la splendida ed eroica Salvatrice dal cuore puro.
Ma erano loro stessi.
E come i loro genitori prima di loro, avrebbero imparato dai loro sbagli, avrebbero combattuto fino alla fine e sarebbero divenuti quello che avevano sempre sognato di essere: due esseri umani…migliori.
 
 
 
 
 
 
 
Gente, lo so, sembra incredibile…sono stata PUNTUALE....stento a crederci pure io :P
Ho perso il conto delle volte che ho riletto questo capitolo.
Lo conferma il fatto che avrei dovuto pubblicare oggi pomeriggio, ma poi mi sono detta “nooo dai…un’ultima revisione non fa mai male!”; e fu così che aggiornai ad un orario assurdo (ovviamente non mancheranno gli errori sparsi un pò da tutte le parti...ma prometto che, terminata la ff, farò una revisione completa senza orrori ortografici!!!) :P
Cmq…è stato un capitolo importante, per lo meno scriverlo è stato parecchio impegnativo.
Ogni volta che rileggevo il racconto di Jake mi sembrava di non riuscire a fargli esternare al meglio i suoi sentimenti. Spero, dopo l’ultima revisione, di esserci riuscita :)…e non vedo davvero l’ora di sapere cosa ne pensate. Di lui, del suo passato…del modo in cui il bambino che era ha deciso di odiare Eva per sentirsi meglio. E di Eva…spero vi sia piaciuta :)
E, ovviamente, non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate del momento CaptainSwan. Sono stata per un bel po’ indecisa sulla scena dello specchio…ma poi mi sono detta che non ci fosse modo migliore per riaccendere la fiamma del nostro caro e combattivo pirata. Voi che ne dite?
Lo sapete meglio di me, ormai, quanto ami scrivere di loro…e di Eva e Jake…e di tutti gli altri personaggi di questa storia (Morgana compresa…forse Ector un po’ meno xD). Spero sempre di essere riuscita a mantenere i personaggi IC…in caso contrario farò il possibile per migliorare la prossima volta!!!!
A proposito di prossime volte, presto vedrete i nostri eroi alle prese con Nimue; ebbene sì…la clandestina che Hook si è portato dietro è niente di meno che la sorella di Morgana (molti di voi l’avevano capito…Grandi!!!!!) che a prima vista non sembra poi così tollerante nei confronti della gemella oscura.
Che dire…non vedo l’ora di leggere i vostri commenti.
Grazie a chi legge, a chi inserisce la storia tra le varie categorie e continua a seguirmi da un bel po’ di tempo :)
Ma un ringraziamento speciale e di tutto cuore va a chi recensisce e mi dà la spinta per scrivere.
Grazie, grazie grazie…non so davvero cosa dire, come ringraziarvi…siete…fantastiche, davvero!!!
Spero di avervi ripagato con questo capitolo, scritto grazie al vostro costante sostegno.
A presto con il prossimo aggiornamento…che mi impegnerò per farlo arrivare puntuale come questo.
Un grosso abbraccio
 
Erin ♥

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 23 ***


Il passo indelicato del troll, alle spalle di Phil, rappresentava una delle poche certezze rimaste al mondo.
Lento. Grave. Irrequieto.
Nonostante Morgana e le sue manie di grandezza avessero inquinato la terra, le principali caratteristiche di queste creature continuavano a presentarsi intatte, unica costante in una vita fatta di incertezze.
Non importava che il popolo avesse smesso di innalzare la bandiera di Biancaneve e avesse scelto di inchinarsi al male; non importava che tutto sembrasse crollare in un abisso di dolore e oscurità senza lasciare alcuna via di scampo; non importava che la speranza avesse abbandonato il cuore della gente.
Orchi e troll avrebbero continuato a muovere i loro passi nel marciume del loro mondo, incuranti di ciò che li circondava.
Staccando lo sguardo dalla figura di Jake, legato a pochi metri da lei, Eva fissò con rabbia il capo dei banditi.
Eccolo lì, Phil il Sudicio, in tutta la sua ricchezza e prepotenza.
Lo odiava. Per quanto cercasse di soffocare quel sentimento, una parte prevalente del suo spirito richiedeva a pieni polmoni una sorta di punizione divina per quell’uomo privo di onore.
Non poteva farla franca a quel mondo, non dopo che li aveva traditi senza battere ciglio, non dopo aver vinto nonostante le orribili scelte che aveva fatto.
Phil, nonostante lo sguardo collerico di Eva, sembrava non provare il minimo rimorso nel dover assistere alla fine di un ragazzo che aveva conosciuto fin da bambino. Non gli importava di averli ingannati e di aver consegnato a Morgana l’ultimo straccio di speranza rimasto al popolo della Foresta Incantata.
Lui aveva vinto ed era questo ciò che contava.
Dopotutto, però, la cosa non doveva stupirla poi molto.
Come l’atteggiamento animale dei troll, anche Phil non si stava dimostrando diverso da quello che era sempre stato. Non aveva mai dato segno di provare qualche tipo di interesse nei confronti di qualche essere umano che non fosse sé stesso: a lui bastavano il denaro, il suo gregge e le ricchezze, cose che al momento aveva in abbondanza.
La bocca di Eva si era fatta secca e il bisogno di bere un sorso d’acqua cominciava a divenire impellente. Eppure, nonostante il suo corpo richiedesse con una certa urgenza una piccola dose d’acqua, arrivando ad immaginare il liquido cristallino a contatto con la sua trachea infiammata, l’unica cosa che la giovane Swan riusciva a desiderare con tutta sé stessa era che Phil pagasse per ciò che aveva fatto.
Meritava di soffrire, più di quanto stessero soffrendo lei e Jake in quel momento. Quanto avrebbe desiderato stringere quella catena d’oro che portava al collo; stringerla così forte da impedirgli la respirazione, arrivando ad incrinare l’esofago di quel traditore, fino al momento esatto in cui l’ultimo alito di vita fosse uscito da quella bocca irregolare.
Ma lei non era quel genere di persona. O meglio, cercava di non esserlo.
Lei era una dei buoni e le persone buone facevano sempre la cosa giusta; nessun membro della sua famiglia avrebbe mai preso in considerazione l’eventualità di uccidere Phil e il fatto che lei lo avesse anche solo pensato doveva farla vergognare.
Scuotendo leggermente il capo, la giovane Jones tornò a concentrare la sua attenzione sul troll alle spalle di Phil, il quale sembrava aver appena attuato un incantesimo di sdoppiamento.
Forse Tani le aveva battuto la testa troppo forte ed ora i danni cerebrali cominciavano a farsi sentire, o forse, con molta più probabilità, i troll erano due, ed ognuno di loro si sarebbe occupato di un prigioniero.
Due boia per due condannati a morte. Da queste parti non si badava di certo a spese.
“Bene…gli addii sono finiti ragazzi, è ora di andare!” esclamò sbrigativo il bandito, sputando a terra un grumo di saliva, come aveva fatto poco prima all’interno della foresta.
Quanto tempo era trascorso da quando erano stati attaccati? Ore? Giorni?
Guardare fuori dalla vetrata alla sua sinistra non aiutava affatto.
La notte era ancora padrona del mondo esterno e la luna, così alta e splendente, non dava alcun segno di voler lasciare posto alla sua nemesi. Tutto sembrava essersi congelato nell’esatto istante in cui i due banditi avevano tradito lei e Jake, come se le lancette dell’orologio non avessero mai ripreso a ticchettare.
Possibile che fossero rimasti svenuti per più di un giorno?
Eva non riuscì a soffermarsi un’istante di più su quel quesito che, improvvisamente, la puzza orripilante delle creature appena entrate le invase le narici. Era un odore acre, simile a quello del letame lasciato al sole per troppi giorni. Se solo avesse osato inspirare dal naso, avrebbe finito col dare di stomaco lì, davanti a tutti.
Con uno sforzo non indifferente, la figlia del pirata aprì la bocca, sperando che il puzzo di quei mostri non intaccasse perfino le sue papille gustative.
Non appena il troll affidatole si avvicinò a lei, questi sradicò la catena dal muro in cui era incastonata, facendola sembrare un intreccio di piume invece che di acciaio e ferro.
Il concetto suonava forte e chiaro: quella sarebbe potuta essere la sua spina dorsale; evitare inutili tentativi di fuga.
Maledizione, come sarebbero riusciti ad uscire da quella situazione? Non potevano morire lì dentro, era fuori discussione.
Quasi guidata da una forza interiore, Eva spostò lo sguardo su Jake. Ok, lei non sapeva cosa fare al momento, ma il figlio di Regina era un soldato Ribelle; aveva dimostrato di possedere una certa inventiva, soprattutto nelle situazioni di stress, come il trovarsi faccia a faccia con la sua ex fidanzata trasformata in un mostro di sei tonnellate.
Almeno lui doveva essere stato colpito da un piano abbastanza geniale da tirarli fuori da lì. Perché succedeva così, no? Quando le cose sembravano andare del tutto a rotoli, ecco che l’idea più geniale bussava alla porta, dando agli eroi la possibilità di tirarsi fuori dai guai, anche i più neri.
Com’era successo a suo tempo ai loro genitori, ai loro amici…
Già…solo che loro non erano eroi, ma solo i figli di questi ultimi e le soluzioni, al momento, sembravano preferire l’aria aperta del bosco a quella stantia della prigione.
Quasi facendo eco a quell’amara considerazione, ciò che Eva vide nello sguardo del giovane Mills, allontanò con forza l’ultimo granello di speranza rimasto nel suo cuore.
Jake era ricoperto di lividi e sangue. Al contrario del troll accanto a lei, che ora si divertiva a strattonarla per farla alzare in piedi, quello di Jake non aveva ancora strappato la catena dal muro e nemmeno sembrava incline a volerlo far alzare.
Emettendo suoni raccapriccianti, simili al grugnito di un porco estasiato di trovarsi di fronte al pranzo del giorno, il boia si avvicinò di qualche passo al suo prigioniero, afferrando con brutalità i capelli neri di Jake, ora così sporchi e unti da non sembrare più gli stessi; quelli che lei più e più volte si era trovata a desiderare di toccare, o per lo meno sfiorare con le dita.
Con una smorfia di dolore silenziosa, Jake si mise in ginocchio. Testardo come sempre, si rifiutava di emettere il minimo verso di dolore, preferendo stringere la mascella e incendiare con lo sguardo il troll accanto a lui.
Nonostante la rabbia, però, Eva riuscì a leggere con estrema chiarezza ciò che si celava dietro quel volto: stanchezza e dolore.
Le sopracciglia, solitamente incurvate in un’espressione di disappunto, ora apparivano chiazzate di un color vermiglio, così in contrasto con il nero da apparire del tutto inappropriato. Persino le labbra, carnose e visibilmente impegnate a trattenere ogni molecola di sofferenza, sembravano attraversate da sudore e sangue, rendendolo simile ad un dipinto di una battaglia d’altri tempi.
Ma non era quello a spaventare la giovane figlia del pirata. Non era il modo in cui la mano del troll stringeva i capelli del ragazzo, obbligandolo a mantenere una posizione eretta; non erano le condizioni di Jake, stranamente peggiori delle sue, e non era nemmeno l’odore di sangue e muffa che invadeva quella stanza.
A preoccuparla era la spada.
Al contrario del troll accanto a lei, armato unicamente della sua enorme stazza, quello occupato a maltrattare Jake impugnava nella mano sinistra un’enorme spada dalle fattezze poco curate e segnate dal tempo.
Nel corso degli anni, Eva aveva avuto la possibilità di imparare alcune cose riguardo le spade: quali fossero le sue caratteristiche principali e di quali parti fosse composta. Sapeva che la lama non era volta a svolgere un’unica funzione. Al contrario, ogni lama che si rispetti veniva divisa lungo la sua lunghezza in tre parti: debole, medio e forte. Sapeva quale fosse la parte debole della lama, ovvero quella più lontana dall’impugnatura volta a ferire l’avversario, e sapeva che per difendersi dai colpi bisognava usare la parte forte, perché più robusta e salda.
Tutto ciò, però, era superfluo, soprattutto se ci si trovava davanti ad una scena come quella, dove non serviva un esperto per capire che un’arma affilata, tenuta vicina alla giugulare di un uomo, non poteva far presagire nulla di buono.
“C-che succede?” si decise a chiedere Eva, con voce smorzata dalla paura di conoscere la risposta.
“Esaudisco i desideri…” le rispose Phil, facendo qualche passo nella loro direzione ma mantenendosi a debita distanza da entrambi i prigionieri “…o meglio…li esaudisco a metà!”
A metà., che diavolo significava esaudirli a metà. Jake aveva chiesto che venissero uccisi entrambi quindi…
“C-cosa…”
Risvegliata dalle parole del bandito, la rabbia di Jake sembrò imbucarsi a quella sorta di festa a sorpresa, mettendo il troll al suo fianco in seria difficoltà. Ritrovando un’energia che le ferite sembravano aver ormai eclissato, il giovane Mills assestò una gomitata sul fianco della creatura, la quale mollò di scatto la presa dal ragazzo, finendo a terra senza molta grazia.
Simile al leone che, spesso, albergava dentro al suo animo, Jake si preparò a lanciarsi addosso a Phil, con intenti del tutto lontani da pacche sulla schiena e abbracci amichevoli. Se solo avesse potuto, Jake si sarebbe ritrovato a fare quello di cui la Regina Cattiva andava tanto famosa: gli avrebbe strappato il cuore dal petto, schiacciandolo davanti ai suoi stessi occhi.
Con estrema facilità, però, il giovane Loxley venne bloccato dalla catena che ancora lo teneva ancorato al muro, facendolo rimbalzare all’indietro come un povero cane legato troppo stretto al palo alle sue spalle.
“Maledetto bastardo!” ruggì Jake, continuando a strattonare la catena, come se potesse bastare la rabbia del suo cuore a farle smettere di opporre resistenza.
Non dovettero trascorrere molti istanti prima che il troll si rialzasse da terra e, preso di nuovo possesso dello spadone arrugginito dal sangue delle sue vittime, assestò una ginocchiata sullo stomaco di Jake, il quale si ritrovò a terra, senza fiato.
“Jake…” urlò Eva, non riuscendo a nascondere la preoccupazione nella sua voce.
Anche Phil, nonostante la sua aria così fredda e insensibile, sembrava provare una minima dose di dolore alla vista di quel ragazzo, conosciuto quando ancora era un bambino e si credeva un guerriero coraggioso in grado di poter salvare la sua principessa.
Com’era strano il destino, così imprevedibile eppure così reale. Nemmeno sei anni prima si era ritrovato a ringraziare il cielo per avergli mandato quel ragazzo così coraggioso e sprezzante del pericolo che si era lanciato nel lago ghiacciato pur di salvare la sua bambina. Ed ora eccolo lì, di nuovo davanti allo stesso ragazzo, ma questa volta pronto ad assistere alla sua morte per decapitazione, da parte di un troll.
“Forza…andiamo!” si limitò a dire il bandito, lanciando uno sguardo in direzione della creatura accanto ad Eva.
“No, no…che stai facendo?” si oppose Eva, alternando lo sguardo sconvolto da Jake a Phil “…p-prima hai detto…”
“Ho promesso qualcosa che non potevo mantenere ragazzina…mi dispiace…” Phil si limitò a fissare Eva, senza avere mai il coraggio di guardare Jake negli occhi “…non posso rischiare che Morgana uccida me o, peggio ancora, mia figlia. Lei ti vuole…e ora vuole anche che il ragazzo muoia. Non sono io a decidere le regole qui!”
“Già…ma sei tu a ordinare che Jake muoia. Sei tu il responsabile di tutto questo!” continuò a sbraitare la giovane Jones, strattonando la catena, come aveva fatto poco prima il ribelle di fronte a lei.
Dopo aver assestato altri due calci allo stomaco e al volto del giovane Mills, il troll dinanzi a lui lo alzò da terra, affidandosi nuovamente ai capelli, come se fossero un mero appiglio simile al filo di una marionetta.
Alzando il volto con fatica, Jake posò i suoi intensi occhi scuri su quelli di Eva.
E il tempo sembrò fermarsi.
Ogni volta che incrociava quello sguardo, Eva finiva sempre col chiedersi come fosse possibile che due iridi potessero essere così nere e intense da riuscire ad esprimere i più profondi desideri, quelli ben nascosti nella periferia dell’animo.
Anche in quel momento, mentre la fissava, il giovane di Loxley pareva volersi scusare, avvicinare al suo volto incredulo o semplicemente dirle che sarebbe andato tutto bene, nonostante fosse una sciocca e inutile menzogna.
Ma andava bene così no?
Eva si ritrovò a mordersi il labbro inferiore, come a voler trattenere il pianto pronto ad esplodere da un momento all’altro. Per quanto cercasse di ricacciare indietro il dolore, però, non vi era nulla che potesse aiutarla; avrebbe potuto indurire la mascella, pensare a qualcosa di abbastanza felice da farla allontanare da quel luogo, avrebbe potuto deviare lo sguardo o pensare al modo più adatto per farla pagare a Phil. Qualsiasi cosa, ma alla fine avrebbe comunque sentito quelle calde lacrime rigarle il volto.
E fu ciò che accadde.
La prima, fu la più calda e veloce. Scese così sicura dall’occhio da riuscire a rigarle il volto ferito senza incorrere in nessun rallentamento e, silenziosa com’era arrivata, scivolò sul mento, finendo per posarsi sul palmo legato davanti al suo petto. Persino il suo infrangersi, solitamente quieto come il fluttuare di una piuma d’angelo, giunse chiaro e assordante al suo orecchio.
Poi fu il turno della seconda, più graffiante, simile al solco lasciato dalla ruota di un carro su un sentiero fangoso, così delineato da aprire la strada alla terza lacrima e alla quarta, finché il suo volto ne fu completamente rigato dalle lacrime, come mai avrebbe voluto essere.
Gli occhi di Jake si fecero così dolci da farle venire ancora più voglia di piangere e urlare, come di solito facevano i bambini a quell’età in cui possono permettersi di essere capricciosi per qualsiasi cosa.
Non voleva che morisse; non lui. Non adesso che avevano iniziato a…
“Andiamo forza, Morgana non è paziente come sembra!”
Con un gesto grezzo, il troll al suo fianco la strattonò, obbligandola a camminare nella direzione presa da Phil.
Eva cominciò a camminare, voltando la testa all’indietro, come a voler imprimersi nella mente ogni istante di quel volto.
Con estrema soddisfazione, il boia di Jake sradicò finalmente la catena dalla parete, come se fosse consapevole di quanta poca strada avrebbe potuto fare il ragazzo in quelle condizioni.
La spalla, del tutto fuori posto, rappresentava forse la ferità più lieve in quel corpo forte ma segnato da giornate troppo dure e il suo volto pareva aver accolto su di sé, oltre alla dolcezza, l’improvvisa consapevolezza che quello sarebbe stato il loro ultimo scambio di sguardi.
Gongolante, il troll alzò la spada in alto, come a voler prendere la rincorsa in quella gara che, come finale, avrebbe visto unicamente il sangue del figlio di Regina.
“Aspetta…ti prego!”
Urlando quelle parole con tutto il fiato che aveva in gola, entrambi i troll e Phil si ritrovarono ad interrompere le loro azioni, volgendo la loro attenzione su volto sporco e in lacrime di Eva.
“Che diavolo vuoi ancora?!”
Controllando il tremore al labbro, così carico di rabbia e dolore che sembrava voler scoppiare da un momento all’altro, Eva volse lo sguardo sul bandito, deglutendo a fatica.
La voglia di mettersi nuovamente urlare sembrava echeggiare nella sua gola, con la forza dirompente di un mare in tempesta. Quello, però, non era di certo il momento per lasciarsi andare alle emozioni e lei lo sapeva bene.
“Ti prego…fammelo salutare…”
“Salutare? Mi sembra vi siate già salutati abbastanza…”
“E-eravamo…eravamo lontani…” continuò Eva, dando le spalle a Jake “…ti prego. Non lo rivedrò mai più…L-lo stai uccidendo davanti ai miei occhi e io non l’ho neanche abbracciato…per…per l’ultima volta…” concluse, lasciando per la prima volta che le lacrime scorressero volutamente sul suo volto.
Una piccola parte di sé nemmeno si vergognava di quel momento di debolezza. Dopotutto, chi avrebbe mai potuto biasimarla? Perfino il lato oscuro del suo cuore sembrava essersi rintanato in un angolo irraggiungibile.
Phil sembrò trovarsi sul punto di rifiutare e di sbraitarle contro le parole più squallide conosciute dal suo vocabolario piuttosto limitato.
Ma non fu così.
“E va bene...abbracciatevi, baciatevi, fate quello che vi pare…ma datevi una mossa…”
“O-ok…”
“Vai…”
“Sì…posso…posso chiederti…”
“Cosa?!” sbraitò l’uomo, con fare scocciato.
“…di farlo alzare…” Eva spostò lo sguardo su Jake, non riuscendo però a mantenerlo su di lui per più di due secondi.
“Certo!” con un gesto secco e annoiato della mano, il bandito ordinò al troll con la spada di far alzare Jake, il quale pareva così sfinito da reggersi a malapena in piedi.
Con una spinta indelicata, il mostro buttò il giovane addosso alla figlia della Salvatrice ed entrambi si fermarono l’uno di fronte all’altra. Alle spalle di Jake vi era l’immensa vetrata che Eva aveva notato poco dopo aver aperto gli occhi, il cui vetro appariva così opaco da dare l’impressione che fossero trascorsi molti anni dall’ultima volta in cui uno straccio fosse passato su quella superficie unta e impolverata.
La luna, quasi richiamata da quell’addio, aveva aumentato il suo chiarore, riuscendo a rischiarare ogni cosa.
Non appena si trovò a pochi centimetri da lui, Eva alzò lo sguardo sul volto di Jake, lasciando finalmente andare un respiro fino ad allora trattenuto.
Con delicatezza, alzò le mani legate, sistemando con le dite un ciuffo di quei capelli neri così ribelli da riuscire a strapparle un sorriso.
Desiderava toccare quella ciocca nera finitagli davanti agli occhi, fin da quando aveva aperto gli occhi e posato lo guardo sguardo su di lui.
Quasi risvegliato da quel gesto, Jake alzò il viso, incontrando gli occhi verdi della ragazza, resi ancora più chiari e accesi dalle lacrime salate.
Il pianto era riuscito ad arrossarle gli occhi e il naso, donandole un’aria quasi indifesa. Non ricordava di averla mai vista con quell’espressione nel volto; nemmeno quando aveva usato la magia nera contro Diletta.
Per quanto si trovasse in una posizione scomoda o colpevole, Eva aveva sempre finito col mantenere un’aria sicura e orgogliosa, forse perfino con una punta di arroganza, così presente nel ramo paterno della sua famiglia da lasciare ben poco spazio alla sorpresa.
Non l’aveva mai vista indifesa o in lacrime. Lei era sempre stata la bambina cocciuta; la ragazza irraggiungibile.
Ora, invece, era lì a pochi centimetri da lui, con le guance umide e sporche di terra.
Ed era la cosa più bella che avesse mai visto.
Senza mai staccare un solo istante la sua attenzione da quella ragazza dai lunghi capelli scuri, Jake le sfiorò lo zigomo, catturando una delle tante lacrime ancora presenti
“Ehi…non lo sai che i pirati non piangono?” esclamò sottovoce Jake, come a non voler far sentire una sola parola al traditore alle sue spalle.
“Io…io non…”
Non sapeva cosa dire. Era come trovarsi di fronte ad una platea di persone che, da ore, attendevano quel discorso; ritrovarsi lì davanti, con le gambe tremanti e la bocca improvvisamente secca. Le parole, poco prima sicure, ora parevano tirarsi indietro, preferendo rimanere nelle retrovie della gola.
Dopotutto, cosa ci si poteva dire in un momento come quello?
Mi dispiace? Vorrei le cose fossero andate diversamente?
Addio?
Chiudendo gli occhi, Eva si ritrovò a fare quello che il suo cuore desiderava pur di qualunque altra cosa al mondo, ma che la mente rifiutava con costante tenacia. Con urgenza, Eva si buttò tra le braccia di Jake, lasciandosi andare ad un pianto che mai avrebbe creduto di aver tenuto prigioniero fino a quel momento.
In fin dei conti, gli addii non servivano proprio a quello? Ad infischiarsene dei ripensamenti e delle paure? Di lasciare finalmente libere le emozioni dal costante vincolo dell’orgoglio?
Lei non aveva mai pianto, non a quel modo almeno. Certo, con suo padre non erano mancati gli screzi e gli occhi, in varie occasioni, avevano finito col pizzicarle; ma lasciarsi andare ad un pianto, tra le braccia di qualcuno era una cosa del tutto sconosciuta ad una ragazza come lei.
Impossibilitato dalla catena a ricambiare l’abbraccio, Jake posò il capo sull’incavo di quel collo lungo e magro, assaporando il sapore inebriante dei suoi capelli, quei capelli scuri così folti da lasciare un segno perenne nell’animo.
Se mai avesse voluto morire con un ricordo nel cuore avrebbe scelto quello. Lui che, finalmente, si lasciava andare; che finalmente inspirava quel profumo, che toccava quella pelle.
Lui con Eva, senza troppi pensieri e libero dalla paura e dal passato.
Ogni persona doveva avere la possibilità di vivere un momento come quello, di sentirsi libero, di sentirsi felice.
Strano, ora che era ad un passo dalla morte si sentiva felice. Un controsenso. Un perfetto controsenso.
“Andrà tutto bene…” esclamò Jake, stringendosi a lei.
“C-come puoi dirlo?...Nonostante t-tutto quello che hai fatto per me…io non mi sono fidata. Non ti ho mai detto quello che Tremotino…”
“Shhh non dire niente…” le sussurrò Jake, nascondendo ancor di più il suo volto in quel collo perfetto, dal quale era possibile intravedere la vena carotidea “…n-non dirlo adesso. Trova il modo di scappare Eva…e fai quello che devi!”
Eva cercò di soffocare un singhiozzo, non riuscendo a sopportare l’idea di apparire ancora più debole “…ma tu…morirai...”
“E allora?...La cosa che conta e che tu trova il modo di liberarti…” aggiunse, obbligandola a staccarsi dal suo petto e mettendosi di fronte al suo volto, la fonte dell’uno appoggiata sulla fronte dell’altro “…ehi…Eva. Non puoi mollare, me l’hai detto tu no?...Devi fare qualsiasi cosa per salvare le persone che ami…”
“Ma…” la frase si interruppe, non rivelando mai cosa potesse celarsi dopo quel semplice ma, pronunciato a fior di labbra.
In un gesto frustrato, Eva spostò lo sguardo dagli occhi di Jake ad un punto dietro di lui e, improvvisamente, il suo volto cambiò.
Eva si ritrovò a fissare qualcosa alle spalle del giovane Mills, qualcosa che, stranamente, si era sempre trovato in quella posizione, ma che non le era mai parso così perfettamente collocato.
Era sempre stata lì. E lei non l’aveva vista, non davvero.
“Vogliamo finirla?!...” esclamò irritato Phil, risvegliando Eva da quell’improvviso torpore.
Jake la guardò stranito.
Si erano persi di vista per più di dieci anni, ma quegli intensi occhi verdi continuavano ad essere un libro aperto per lui e quell’improvvisa luce comparsa nelle sue iridi, lasciava ben poco spazio all’immaginazione; Eva stava pensando a qualcosa.
“Eva…”
“Sto…sto bene” sbattendo gli occhi, la giovane Jones cercò di liberarsi dalle lacrime, puntando nuovamente lo sguardo sul volto di Jake.
Sembrava essere stata colpita da una rivelazione, una rivelazione così potente da far allontanare a gambe levate la ragazza indifesa apparsa poco prima, lasciando nuovamente il posto a quella parte scaltra di lei che mai l’abbandonava del tutto.
Vi fu un attimo di silenzio; un attimo dove nessuno dei due sapeva cosa dire, cosa fare, come salutarsi.
“Non sono bravo con gli addii…” Jake cercò di porgerle un sorriso, il quale però finì per lasciarsi annebbiare dalle ferite presenti nel volto.
“Ma io sì…”
Jake non riuscì ad incassare quella risposta che, inaspettatamente il volto di Eva si avvicinò pericolosamente al suo.
Le dita affusolate, le stesse che poco prima si erano preoccupate a spostare il ciuffo di capelli dal suo volto, si aggrapparono alla giacca di pelle del ragazzo, obbligandolo a sua volta ad avvicinarsi a lei.
I pochi centimetri che li separavamo vennero improvvisamente eliminati, facendo accadere ciò che il moro mai avrebbe immaginato.
Eva lo baciò.
Successe tuto sena alcun preavviso; nessuno sguardo, nessun accenno.
In un solo istante non vi fu più nulla a separarli, a separare i loro corpi, a separare le loro bocche fino al giorno prima esclusivamente impegnate ad attaccarsi.
Il volto dell’uno pareva incastrarsi in maniera perfettamente simmetrica sul volto dell’altro. I nasi trovarono la perfetta inclinazione per intersecarsi, come fossero due figure geometriche disegnate su carta.
Fu un bacio irruento. Un bacio fatto esclusivamente di labbra premute le une alle altre.
Un bacio casto ma affrettato e colmo di un’urgenza impossibile da ignorare.
E il cuore, nonostante l’adrenalina, sembrò cessare di battere, preso a sua volta alla sprovvista da quell’improvvisa esperienza.
Eva non avrebbe mai creduto che il suo primo bacio sarebbe stato così; men che meno con Jake Mills.
A dire il vero, non ci aveva mai pensato davvero molto. La sua vita era sempre stata così indirizzata verso la fuga e la salvezza della sua famiglia che pensare a qualcosa di così, come dire, romantico le era sempre sembrato qualcosa di sbagliato.
E poi, con chi avrebbe potuto parlarne? Con suo padre? Con Henry? Nessuno dei due si sarebbe dimostrato entusiasta ad una simile evenienza.
Eppure, che ci avesse pensato o meno, ora stava baciando Jake.
Nonostante fossero leggermente screpolate, Jake aveva delle labbra morbide; sembravano fatte apposta per essere baciate, così delineate e per nulla sottili.
Era impossibile descrivere a parole le emozioni che quel semplice contatto di labbra stava scaturendo dentro di lei e anche Jake, superato l’iniziale stupore, sembrava aver atteso quel momento da una vita intera.
Nel modo in cui si muovevano, le sue labbra sembravano voler intensificare quel bacio rubato, come se fosse impossibile riuscire ad accontentarsi di quell’inizio, come se da sempre avesse desiderato molto di più.
Ad ogni modo, nonostante l’emozione di quel gesto, nella mente di Eva vi era qualcos’altro.
Qualcosa che poco prima aveva invaso la sua mente e che, nemmeno quell’emozione indescrivibile, avrebbe mai potuto cancellare.
“Mi dispiace…” sussurrò la giovane, allontanando la bocca da quella di Jake.
Il ragazzo, colto alla sprovvista da quella interruzione, sembrava ancora confuso, con occhi, bocca e corpo troppo sinceri nel voler chiedere molto di più.
Non riuscì a capire cosa intendesse Eva con quelle parole e il modo in cui corrugò la fronte espresse chiaramente il dettaglio.
“Ti prego…non aspettarmi!”
Come accadeva ogni qual volta si trattasse di quella principessa pirata dai lunghi capelli scuri, tutto accadde come inghiottito in una voragine senza precedenti.
Rapido e inaspettato.
Dopo aver pronunciato quella frase, con tutta la forza di cui ancora disponeva, Eva spinse Jake all’indietro, guardando con occhi colmi di speranza il corpo del ragazzo infrangere il vetro sottile della portafinestra posta alle sue spalle.
Era sempre stata lì.
La loro via di fuga.
Se c’era una cosa che aveva imparato da suo padre era il riuscire a trovare sempre il modo di mettersi in salvo.
Non importava il dove, che fosse la stanza priva di porte di Tremotino o una delle celle dell’ex Regina Cattiva, un modo per fuggire lo si trovava sempre, bastava peccare della giusta dose di presunzione.
E lei ne aveva in abbondanza.
Non sarebbero riusciti ad uccidere Jake. Né ora né mai.
Era una promessa.
E fu solo nel momento in cui il corpo del ragazzo sfuggì alla sua vista che Eva si ritrovò a sperare che il piano in cui si trovavano non fosse poi così alto.
 
 
***
 
 
“Quindi…tu saresti la sorella dell’invasata?!”
La voce forte e sicura di Regina, echeggiò all’interno del suo stesso salotto, attirando su di sé lo sguardo di tutti i presenti.
La bellissima sovrana indossava un tailleur firmato, la cui tinta di un intenso blu acceso metteva in risalto le costose scarpe nere, in perfetta sintonia con le calze della stessa tonalità.
Con la sua regalità e il suo portamento sembrava riuscire a governare ogni luogo, fosse esso magico o meno. Certe cose non potevano essere acquisite col tempo, e il modo in cui Regina Mills riusciva a schiacciare con lo sguardo chiunque non le andasse a genio era tra queste.
Emma, in piedi vicino alla finestra drappeggiata da splendide tende color oro, teneva le braccia incrociate davanti al petto, con la bocca serrata e lo sguardo fermo.
Sembrava quasi impossibile pensare che, solo un’ora prima, il suo volto era stato unicamente attraversato da sentimenti di speranza e amore, indirizzati vero l’uomo che, al momento, se ne stava in piedi al suo fianco, con il suo stesso sguardo corrucciato.
Nimue.
Quella che, secondo i libri su Camelot, rappresentava l’amore perduto di Merlino (o meno, a seconda della versione della leggenda), ora se ne stava lì davanti a loro, proclamandosi, senza troppo entusiasmo, sorella di Morgana.
Pesino Biancaneve e il Principe, di solito gli ultimi ad assumere il ruolo di freddi guerrieri dalla parte del bene, faticavano ad abbandonare il velo di diffidenza che la figura davanti a loro suscitava nei loro cuori.
“Sì…in persona!” rispose Nimue, con estrema disinvoltura.
“In altre parole, la ragazza che Brontolo doveva controllare e avvisarci nel caso si fosse svegliata!?” David alzò le sopracciglia, con fare incerto.
“Fate un favore alla città e rispedite quel nano nella Foresta Incantata!” esclamò secco Killian, scambiando un’occhiata comprensiva al padre della donna che amava.
Nimue indossava degli abiti prestatele da un’ignara Ruby: dei pantaloni verde bottiglia dalla vita elastica e un semplice maglioncino nero, grande abbastanza da avvolgere la figura sottile.
Non sembrava intimorita dal tono usato da Regina, né tantomeno dagli sguardi sottili che le persone all’interno della stanza le rivolgevano, fin dal suo ingresso in quella casa maestosa.
Dal canto suo, Nimue non riusciva a biasimarli; al contrario, comprendeva il loro stato d’animo, come del resto aveva compreso la reazione dei genitori di Eva, nel momento in cui aveva interrotto la loro riappacificazione amorosa. Non si fidavano di lei, soprattutto del sangue che scorreva nelle sue vene, così simile a quello della donna che li aveva portati in quella situazione, da mettere in seria difficoltà persino la fiducia che lei nutriva per sé stessa.
“…e chi ci dice che tu non sia invasata quanto lei?!” continuò Regina, ignorando le parole dei due uomini e facendo rintoccare i suoi lussuosi tacchi a spillo, così rigidi che solo una donna col suo fascino poteva renderlo una delle cose più facili e naturali del mondo.
Mentre Regina camminava sul morbido tappeto bianco, Nimue concentrò il suo sguardo su di lei, consapevole quanto pericoloso potesse essere lo sguardo furente di quella leonessa. L’avrebbe uccisa sul posto, se solo gliene avesse data l’occasione.
“Nessuno…ma temo non abbiate molta scelta!”
Ecco. Appunto.
Era proprio quello il motivo per il quale la fronte di Emma non accennava a volersi rilassare.
Dal momento in cui le sue orecchie avevano udito quella voce, il suo sesto senso aveva iniziato a suonare le campane a tutto spiano, come se si fossero collegato ad un impianto dolby surround di ultima generazione.
Non si fidava di lei.
Non si fidava di quegli occhi, nonostante di un colore umano rispetto a quelli gialli di Morgana; non si fidava di quella sicurezza in quel volto sottile e quasi elfico; non si fidava del fatto che fidarsi di quella donna, della sorella della Fata Oscura, rappresentasse l’unica possibilità rimasta a tutti loro.
“C’è sempre un’altra scelta…” gli rispose Mary Margaret, con voce ferma, nonostante non abbandonasse mai la sua naturale dolcezza.
“Certo…come rimare qui e aspettare che un miracolo vi piova dal cielo!”
“Come fai a sapere che non abbiamo già un piano…sbaglio o eri rinchiusa insieme a me in quel labirinto?!” Uncino aggrottò le sopracciglia, scambiando uno sguardo celere con la figura bionda accanto a lui.
“Non ero io la donna col cappuccio caro Capitano Jones…e non credo di sentirmi lusingata nell’essere confusa con lei…”
Emma non fece in tempo a chiedere a Killian chi fosse la Lei di cui stavano parlando che, con più focosità rispetto a poco prima, il sindaco di Storybrooke, si intromise nuovamente nel discorso.
“Ma eri comunque dentro un maledetissimo albero…quindi come fai a sapere che stiamo lottando contro tua sorella e che, a tuo dire, non abbiamo un piano contro di lei!”
“Semplice…” le rispose Nimue, alzandosi dal divano e posando ad intervalli regolare il suo sguardo intelligente su ognuno di loro, per poi fermarsi sul volto di Emma “…perché provengo dal luogo da cui è arrivata vostra figlia!”
“Vieni…vieni dal futuro?!” il modo con cui il Principe lo chiese, lasciava chiaramente intendere quanto poco credesse a quelle parole.
“Proprio così!”
“Strano…mi sembrava di aver capito dalla figlia del pirata che se qualcuno già nato in questo momento fosse arrivato dal futuro qualsiasi sua versione presente avrebbe fatto una fine…poco piacevole!”
“Ma io non appartengo a questo tempo…” Nimue corrugò la fronte, con fare serio “Morgana mi ha rinchiusa in quell’albero molti secoli fa, quando ancora Zoso infestava il mondo con la sua magia nera…”
“Sempre meglio del suo successore...” non riuscì a controllarsi il pirata, borbottando a voce piuttosto alta.
“Nel momento in cui successe, Morgana fece di tutto per tenere nascosto il suo primo gesto oscuro; così incatenò le nostre anime in un blocco temporale…”
“Oddio…mi sembra di essere finita in un episodio di Star Trek…” esclamò Emma, con tono stanco.
Nimue abbassò per un attimo lo sguardo sulle mani serrate dinanzi al grembo, come a voler cacciare un ricordo troppo doloroso da affrontare in quel momento
“…Io e Morgana non possediamo alcuna versione differente da quella che vedete. Non siamo presenti nel passato…e non siamo presenti nel futuro”
“Piuttosto comodo direi…” esclamò Regina, con tono seccato, fermatasi poco prima accanto a Biancaneve.
“Tu dici?...non esiste nessuna versione di me. In qualsiasi modo voi cerchiate di migliorare il vostro futuro, per me non ci sarà nessun cambiamento. Non posso chiedervi di cercare la mia versione passata e di salvarla…e non posso fare nulla per impedire a Turchina di dare la magia a mia sorella!” esclamò tutto d’un fiato la mezza fata, agitandosi come non aveva ancora dimostrato di saper fare “….non è comodo…credimi!”
Regina rimase in silenzio, come a voler soppesare quelle parole, sputate fuori da quel volto arrossato come se scottassero troppo per essere tenute in gola.
“Quindi…nessuno può andare nel passato per impedire a Morgana di fare quello che farà…” esclamò Biancaneve, con espressione seria “…se solo Turchina fosse qui potremmo chiederle un aiuto”
Nel sentire pronunciare quel nome, il volto di Nimue venne attraversato da qualcosa di indescrivibile, una sorta di sentimento oscuro, simile alla rabbia, ma ben lontano dalla collera.
“Turchina…” esclamò eccessivamente zuccherosa, sistemandosi sul divano “…dove si trova in questo momento?!”
“Oh…mi dispiace dirtelo…” cominciò Biancaneve, dispiaciuta nel dover dare quella notizia alla ragazza “…ma Turchina è imprigionata insieme alle altre fata all’interno di un cappello magico”
“Oh…allora qualche buona notizia gira anche da queste parti!”
Improvvisamente, il clima già alquanto serio, finì per congelarsi all’istante, spingendo tutti gli abitanti di Storybrooke presenti nel salotto di Regina a scambiarsi qualche sguardo confuso.
Certo, dopo essere riusciti a mettere insieme i tasselli del passato di Morgana e Nimue, Emma e gli altri avevano ben intenso quanta poca stima potesse scorrere tra la fata azzurra e l’occupante del divano di fronte a loro, ma il modo in cui la giovane dai lucenti capelli castani aveva pronunciato quelle fredde parole aveva lasciato interdetto chiunque.
Quel tono celava qualcosa di simile all’odio e, se c’era una cosa di cui Emma era certa, era che l’odio non andava per nulla a braccetto con una fata, fosse stata o meno intrappolata in un albero.
“Immagino tu non sia una sostenitrice della Fata Turchina!”
“Da quando sono stata imprigionata in quell’albero ho pregato ogni giorno perché Turchina venisse punita per quello che aveva fatto a me e a mia sorella” Nimue spostò lo sguardo su Killian, non preoccupandosi minimamente di celare il risentimento per troppo tempo assopito “…non chiedetemi di aiutarla in alcun modo…e vi consiglio pure di non dirmi mai dove si trovi questo cappello…potrei inavvertitamente bruciarlo!”
“Wow…non è un discorso un po’ troppo brutale per una fata?” esclamò secca Emma, scambiando uno sguardo con Regina.
“Infatti non sono una fata!”
“Altra passo che ti avvicina alla tua cara sorella!” Regina arricciò le labbra rosse, socchiudendo lo sguardo scuro come un animale in agguato.
“Lo so che non riuscite a fidarvi di me… io al vostro posto farei lo stesso. Ma credetemi…voglio fare in modo che la Fata Oscura sparisca…voglio liberarla dall’oscurità…”
“Dubito ci sia un modo per liberarla!” esclamò David, con ancora le braccia incrociate e lo sguardo fiero che solo un principe poteva esternare con tale sicurezza, perfino in un momento come quello.
“C’è sempre un modo…”
“Quale? Ucciderla?”
I modi di Regina non accennavano a migliorare. Al contrario, il sindaco della cittadina sembrava inasprirsi ad ogni secondo che passava.
A cos’era dovuto quell’astio? Al fatto di non conoscere nulla del suo passato? Alla consapevolezza che Morgana era molto più forte di lei?
O forse, più semplicemente, all’assenza dell’unica persona oltre ad Henry, ad avere il potere di rassicurarla?
Robin. Erano trascorse varie settimane dalla sua partenza e, da quel giorno, l’umore di Regina sembrava divenire via via sempre più nero. Non il genere di nero simile a quello indossato dalla sua controparte oscura, ma un colore simile alla solitudine. La bella Mills sembrava essere caduta in una sorta di tristezza interiore. Esternamente sfoggiava la sua consueta forza e freddezza, così elegante da riuscire a far rabbrividire la più potente donna mai esistita; dall’altra parte, però, una parte di lei sembrava essere stata privata dell’ossigeno, donandole quel velo di assenza impossibile da non notare a chi la conosceva davvero, come Emma e Biancaneve.
“Alle volte la morte è una liberazione…soprattutto dopo aver trascorso tutta l’eternità dentro una prigione…”
“Ciò, però, non spiega come hai fatto a vedere quello che accadeva fuori quando eri rinchiusa lì dentro…” sottolineò Emma, lasciando a briglia sciolta la parte investigativa del suo carattere.
“Bè…è stato un dono di Merlino…chi altri sennò!”
“Merlino?...ovvio non poteva mancare lui.…” esclamò Emma con fare piccato, riuscendo a far sorridere il pirata come solo lei sapeva fare.
“Non mi stupisce che conosciate Merlino…è stato il più grande mago mai esistito!” Nimue sorrise, come se il ricordo di quella figura riportasse alla sua mente aspetti piacevoli da rivangare.
“È stato?...vuoi dire che…”
“Non ho sue notizie da molto tempo…” Nimue interruppe David, serrando le labbra “…ma ho paura non sia più un aiuto per noi…”
“Perché no?!”
“SI sarebbe messo in contatto con me subito dopo l’ascesa al potere di Morgana. Non avrebbe mai permesso che mia sorella scatenasse il caos senza fare nulla per impedirglielo. Ho paura…ho paura che gli sia successo qualcosa”
Con fare quasi distratto, Nimue abbassò il capo, perdendosi in pensieri impossibili da decifrare.
Quella ragazza nascondeva qualcosa ed Emma non nutriva più alcun dubbio a riguardo. Non era cattiva e le sue intenzioni non sembravano crudeli come quelle della sorella; ma il modo in cui parlava di Morgana e di Turchina, lasciava intravedere una parte della sua personalità del tutto differente dal volto angelico che sfoggiava.
Era gentile certo, ma quel genere di gentilezza che spesso sfociava in pazzia.
“Ad ogni modo, fu grazie a lui che riuscii a tenermi in contatto con il mondo esterno. Quando Turchina riuscì a bandire mia sorella, Merlino scoprì che nell’albero creato da Morgana c’ero io. Non lo disse a nessuno…temeva che Zoso o qualche suo successore potesse sfruttare in qualche modo il mio potere assopito. Ad ogni modo mi diede la possibilità di avere una sorta di finestra sul mondo. Mi era impossibile comunicare, ma potevo comunque sentire ciò che accadeva…anche se, in alcuni momenti,  avrei preferito essere sorda” esclamò Nimue, alzandosi dal divano, come a volersi sgranchire le gambe.
Chissà che sensazione doveva aver provato nell’essere rinchiusa in quella prigione personale. Era come stare dentro ad una cella o lo spazio era stato ancora più angusto e soffocante?
“Quindi avevi avvertito che l’esilio impostole da Turchina non aveva avuto l’effetto sperato…” suggerì Biancaneve, scambiando un’occhiata con la figlia.
“Sì…ma ho sempre saputo che era questione di tempo prima che mia sorella si rifacesse viva. Come aveva predetto la profezia, nulla sarebbe mai riuscito a fermare la Fata Oscura…nulla al di fuori della Magia del frutto del Vero Amore nata dal sacrificio di chi più l’ha amata…” rispose Nimue, ritrovandosi a recitare quella profezia ormai ben conosciuta da tutti i presenti “per quanto sperassi che l’affetto che Turchina nutriva nei confronti di mia sorella fosse abbastanza grande da rappresentare una forma di Vero Amore, in cuor mio sapevo che Morgana si sarebbe liberata…in un modo o nell’altro!”
“Ma come è riuscita a farlo?...secondo Trilli l’esilio di Turchina era qualcosa di potentissimo…!”
“Per di più era stata privata della sua bacchetta!” si accodò Killian.
“Sì…e probabilmente lo era. Ma quello che la sciocca fata di cui parlate non ha mai preso in considerazione è che, dal momento in cui Corv….Morgana è entrata in possesso della sua magia, questa è diventata un tutt’uno col suo spirito. Morgana non è più una fata…ma una strega…e mi sembra che né tu né Regina abbiate bisogno di una bacchetta per dare libero sfogo alla vostra potenza!”
“Un esilio, però, è a prova di magia…” sottolineò Regina, esperta nel settore.
“Non per Morgana. E da quando è tornata in libertà…si è interessata di una cosa soltanto…”
“Eliminare chi è destinato a distruggerla…” esclamò David.
“E noi sappiamo bene chi sia…” Regina guardò Emma, incrociando le braccia al petto.
 
 
***
 
 
Non fu dolorosa la caduta.
Forse solo l’aspettativa di quello che sarebbe arrivato dopo e la consapevolezza che più duratura sarebbe stata la discesa e meno probabilità avrebbe avuto di rialzarsi da terra.
Per una volta, però, la fortuna sembrava aver deciso di sorridergli, o perlomeno di concedere al figlio di Regina un leggero accenno di assenso, e l’impatto non fu drastico come si era immaginato.
Nel momento in cui il suo corpo, schiavo dell’effetto della gravità, entrò in contatto con l’albero a diversi metri dalla finestra da cui era stato lanciato, Jake si ritrovò a ringraziare Madre Natura per aver innalzato quel tronco in quel preciso punto, attutendo così una caduta sicuramente mortale.
Ma se da una parte l’arrivo al suolo si era dimostrato a dir poco miracoloso, dall’altro l’impatto con la superficie ruvida del terreno non fu altrettanto piacevole.
Il dolore alla spalla, già compromessa prima del salto involontario, fu la cosa più devastante che il giovane Mills avesse mai provato. Era come se, improvvisamente, qualcuno avesse deciso di concentrare la sua dose di divertimento in quella parte dolorante del suo corpo, iniziando ad infilzarlo con una serie di spilli, sottili e acuminati.
Un’insopportabile formicolio cominciò ad invadere la parte lesa, avvolgendo il collo e il braccio.
Ad intervalli irregolari, il muscolo venne attraversato da una serie di spasmi in grado di intensificare maggiormente quella tortura personale, dandogli l’impressione che nessun’altra emozione o sentimento diverso dal dolore avrebbe mai fatto parte della sua vita.
Stava impazzendo; nella maniera più lenta e lacerante che un essere umano potesse immaginare
Non riusciva a pensare, lui che, fin da piccolo, era stato addestrato a sopportare le ferite che una battaglia avrebbe potuto assestargli; lui che, in ogni occasione, non si era lasciato spaventare da niente e da nessuno, nemmeno dalla sua ragazza trasformatasi in un gigantesco mostro.
Tuttavia non riusciva ad alzarsi o, semplicemente ad aprire gli occhi. Persino le altre ferite inflittegli poco prima dai troll sembrava aver ceduto l’intero palcoscenico alla spalla. E ne aveva di lesioni: il volto tumefatto, le costole incrinate, lo zigomo destro sempre più gonfio.
Un rottame, nel vero senso della parola.
Eppure, nonostante il formicolio, gli spasmi, nonostante le numerose ferite dalle quali defluiva sangue misto ad una sostanza giallognola a dir poco allarmante, niente riusciva a gareggiare con la consapevolezza di quanto appena successo.
Eva.
Eva lo aveva buttato giù dalla finestra.
Eva si era sacrificata per lui.
Avrebbe potuto usare lei quella via di fuga; avrebbe potuto semplicemente scansarlo e fuggire al suo posto. E invece era rimasta lì, finendo dritta tra le grinfie di Morgana, pur di dare a lui la possibilità di scappare.
Ancora steso supino con una mano sulla spalla lussata, Jake strinse con forza occhi e mascella, buttando fuori tutta l’aria che aveva nel petto, trovando in maniera inspiegabile la forza necessaria per mettersi seduto.
Doveva alzarsi.
Sapeva bene cosa fare e di certo non se ne sarebbe andato da quel posto, condannando a morte Eva.
Sarebbe tornato dentro e l’avrebbe trovata, a costo di morire nel tentativo.
“Non voltarti indietro…”
Mandando mentalmente al diavolo Eva per avergli rivolto quelle parole d’addio, Jake si alzò da terra, espirando nuovamente una buona d’ose di quell’aria notturna. Doveva essere notte fonda: aria fredda, tante stelle, luna alta nel cielo.
Sprecando pochi istanti nell’osservare cosa lo circondasse, Jake si orientò velocemente, capendo con soddisfacente precisione il punto in cui era caduto.
Alzando il volto verso l’alto, il ragazzo poté constatare di aver effettivamente usufruito di gran parte della fortuna di cui ogni individuo faceva affidamento durante tutto l’arco della propria vita. Un atterraggio da quell’altezza senza l’entrata in gioco dell’albero avrebbe avuto un unico triste epilogo, con il dolore alla spalla come semplice ricordo.
Il castello sarebbe apparso perfetto se non fosse stato per quella finestra sfasciata a circa quindici metri da terra.
Eva e i suoi brillanti piani.
In un gesto del tutto involontario, Jake alzò il braccio sano, per assicurarsi di non avere altre contusioni.
Se c’era una cosa peggiore nell’avere un braccio fuori uso era quella di averli entrambi. In un faccia a faccia con quella strega, se non poteva contare sull’arco, il minimo che poteva sperare era quello di riuscire ad usare la spada, anche se con le mani legate anche quel piano pareva destinato a naufragare miseramente.
Solo in quel momento il giovane dai capelli scuri si accorse di un preciso e alquanto allettante dettaglio.
Le catene si erano visibilmente allentate.
Incredibile; possibile che la fortuna si fosse presa una sbandata per lui?
Ricordava che il troll aveva strappato le catene dal muro, dandogli così la possibilità di avvicinarsi ad Eva.
Maledizione, come aveva fatto a non approfittare subito di quell’occasione? Uno come lui, addestrato a sfuggire dalla maggior parte delle prigioni di quel reame, si era lasciato sfuggire un simile momento di debolezza.
Cosa diamine poteva averlo distratto a quel modo?
Ma bastò un secondo perché Jake Mills riuscisse a trovare l’esatta risposta a quella domanda.
Con un gesto sbrigativo, Jake si liberò le mani, aprendo e chiudendo i palmi, come a volersi assicurare che tutte le terminazioni nervose funzionassero a dovere.
Nemmeno quel gesto distratto, però, riuscì a liberarlo dal ricordo di quel bacio.
Eva lo aveva baciato.
Certo, non era così stupido da pensare che quel gesto fosse stato dettato da una sorta di sentimento più profondo, soprattutto vista l’improvvisa uscita di scena che aveva preceduto, ma non riusciva ad ignorare ciò che aveva innescatp.
Il solo ricordare la sensazione di quelle labbra a diretto contatto con le sue riusciva ad accendere in lui un’emozione così forte da riuscire a spostare il formicolio della spalla al centro esatto del suo stomaco.
Oddio, non poteva avere le farfalle allo stomaco. Quelle erano sensazioni da femmine e lui era tutto tranne che emotivo. Era Rowan quello sentimentale che non riusciva a fare i conti con i propri sentimenti, non lui.
“Dev’essere andato da questa parte…”
In maniera del tutto inaspettata, una voce gracchiante catturò l’attenzione di Jake che, veloce, andò a nascondersi dietro all’albero a pochi metri da lui, lo stesso che gli aveva salvato la vita.
“Voi andate verso il bosco…io do un’occhiata da questa parte!”
Non c’era bisogno di assicurarsene con lo sguardo per sapere a chi appartenesse quella voce aspra e mascolina, nonostante fosse ad una donna.
Tani.
Poco dopo essersi risvegliato e osservato il volto tumefatto di Eva, il giovane Mills si era giusto chiesto che fine avesse fatto la bandita di Phil; evidentemente quest’ultimo doveva averla messa di guardia, come il cane da guardia che era sempre stata.
Non gli era mai sembrata una donna aggraziata; e non solo a causa della sua decisamente scarsa dose di femminilità, dopotutto non era una cosa che Jake notava particolarmente, quanto piuttosto per la sua difficoltà nell’attutire i movimenti, nell’apparire silenziosa durante un agguato. Ogni cosa nell’atteggiamento di Tani faceva più pensare ad un ariete usato per sfondare un portone invece che ad un perfetto sicario di orchi.
Avrebbe potuto percepire i suoi movimenti anche al buio. Quel respiro affannoso acuito dalla corsa che l’aveva portata lì; gli stivali a contatto con le foglie morte e i rametti ai suoi piedi; il tintinnare dei coltelli che portava lungo la cintura stretta in vita.
Rimanendo in assoluto silenzio e facendo attenzione anche al minimo respiro, Jake studiò ogni movimento della donna.
Era a tre metri di distanza, forse meno. E si stava avvicinando.
Raccogliendo un sasso da terra, Jake lo lanciò davanti a sé, in mezzo ad un cespuglio, consapevole di quanto quel suono avesse catturati l’attenzione di Tani.
Dieci secondi e avrebbe raggiunto il punto esatto dove Jake voleva che fosse.
Dieci. Nove. Otto. Sette.
Poco silenziosa e poco astuta.
Sei. Cinque. Quattro.
Chissà cosa ci trovava Phil in un tipo del genere.
Tre. Due. Uno.
Eccola: spada alla mano, schiena incurvata e pronta ad attaccare un cespuglio solitario, inconsapevole dell’ombra scura che si stagliava alle sue spalle.
Evidentemente Tani trascorreva troppo tempo a bere birra insieme a Milo invece che a studiare le tattiche da guerra; al suo posto, infatti, avrebbe preferito farsi spiegare da qualcuno gli insegnamenti di un buon ladro, come il controllare un nascondiglio, soprattutto quello offerto da un albero alle proprie spalle.
Senza perdere un solo istante e in maniera quasi tranquilla, come se si trattasse di un simpatico agguato tra amici, Jake si scagliò contro la donna, cogliendola così alla sprovvista da riuscire a buttarla a terra, facendole sbattere il volto sul terreno ricoperto di pietrisco.
Con un’eleganza così armoniosa da renderlo ancor più simile al leone che risiedeva dentro il suo spirito, Jake disarmò la bandita; riservandole lo stesso trattamento che, poche ore prima, lei stessa aveva rivolto ad Eva.
Tani non riuscì a scoprire chi l’avesse attaccata che, nel momento esatto in cui l’elsa della sua stessa spada si abbatté sul suo cranio, perse i sensi, senza emettere il minimo suono.
Jake si sentì soddisfatto.
Farfalle allo stomaco a parte, riusciva ancora ad atterrare qualcuno.
- Hai atterrato una donna, poco da sorridere come uno sbruffone da quattro soldi – si riprese, consolandosi subito dopo al pensiero che di femminile Tanti aveva ben poco.
Senza troppo delicatezza, con l’unico braccio usufruibile, il giovane Mills nascoste il corpo della bandita in mezzo al cespuglio, non riuscendo minimamente a nascondere la fatica. Con velocità, la legò ad un albero utilizzando le stesse catene che, fino ad un attimo prima, avevano rappresentato la fine della sua libertà.
Ignorando il sudore imperlatosi sulla fronte, Jake si affrettò a raggiungere l’entrata del castello.
Aveva perso decisamente troppo tempo. Phil a quel punto doveva aver spostato Eva da qualche parte, aspettando l’arrivo di Morgana.
Sempre che non fosse già arrivata.
Chissà se si potevano avvertire certe cose. Eva sicuramente avrebbe potuto dargli una risposta.
“Non dovete torcergli un capello…siamo intesi?!”
Per la seconda volta negli ultimi minuti, una voce familiare echeggiò a breve distanza da dove si trovava.
Maledicendosi per aver abbandonato l’albero dove aveva nascosto Tani, il giovane Mills si accucciò dietro un piccolo cespuglio, sperando fosse grande abbastanza da contenere la sua figura.
“…non mi importa, fate come ho detto!!”
La voce di Phil.
Sembrava alquanto seccato, o forse sarebbe stato più corretto dire fuori di sé.
Che stessero parlando di lui? Dopotutto era scappato e il suo corpo era sparito dal punto d’impatto.
Quello che non riusciva a capire era perché il capo dei banditi lo volesse vivo; dopotutto, secondo quanto detto da Phil, la strega aveva optato per la sua decapitazione. Allora perché preoccuparsi tanto?
Dal modo in cui Phil stava urlando, poi, avrebbe creduto che avesse ordinato di staccargli la testa a morsi, riportando il suo ex pupillo a pezzetti non ben identificati.
Aspettando che la voce dell’uomo si allontanasse, Jake uscì dal suo nascondiglio di ombre e natura, avvicinandosi con urgenza all’entrata del castello, la quale ormai sembrava distare si e no una trentina di metri.
Un gioco da ragazzi se lì davanti non vi fossero gli stessi orchi precedentemente visti dal sentiero.
Maledizione.
Era armato di un’arma e per di più si trovava con la spalla destra in condizioni sempre peggiori. Ovviamente in una situazione come quella non sarebbe stato affatto male scoprirsi improvvisamente mancino, ma il modo in cui impugnava la spada lasciava ben poco spazio alla speranza. In quelle condizioni non sarebbe riuscito nemmeno ad atterrare uno di quei colossi.
Doveva trovare un modo per entrare, e il prima possibile.
Indurendo la mascella e maledicendo in maniera piuttosto colorita il dolore sempre più soffocante, Jake alzò il volto.
In maniera quasi assorta, il giovane posò le mani sulle mura antiche del castello, fatte in pietra resistente anche se non indistruttibile.
Non vi era umidità nell’aria, ma nonostante ciò la pietra appariva fredda al tatto e quasi tagliente. Quel catello doveva avere molti più anni di quanti pensasse; forse era perfino più antico del castello di sua madre, o di Biancaneve, a seconda dei punti di vista.
Espirando con forza, Jake si preparò a fare quella che, ad occhio esterno, sarebbe apparsa come una delle idee più stupide che una persona potesse avere.
Scalare una parete di quindici metri. Con una mano sola.
Se Eva lo avesse visto in quel momento lo avrebbe chiamato idiota e forse, in quel caso, anche lui avrebbe finito col darle ragione.
Che fine aveva fatto il leader freddo, calcolatore e per nulla impulsivo che, da sempre, aveva fatto parte dei ribelli e che aveva portato Heny a nominarlo suo secondo in grado? Che fine aveva fatto l’uomo pronto a tutto pur di fare la scelta più giusta e corretta, anche quando questa cozzava con quelli che erano i suoi sentimenti?
Non era stato forse lui a dire ad Alex che non sarebbe mai riuscita a salvare tutti e che doveva, almeno lei, farsene una ragione? Non aveva forse malgiudicato suo fratello Roland per vivere di false speranze e finali da favola?
E allora perché, proprio lui, il ragazzo tutto d’un pezzo, si stava per arrampicare sulle mura di un castello diroccato, con un braccio completamente fuori uso e un’orda di banditi, troll e orchi alle calcagna?
La cosa preoccupante era che lui la ragione la conosceva bene e pure le farfalle che avevano preso pianta stabile nel suo stomaco parevano divertirsi a volerlo rimarcare.
Avrebbe finito col farsi ammazzare, già lo sapeva.
Con movimenti fluidi ed esperti, il giovane sistemò la spada al fianco, dando inizio alla scalata e cercando con tutto sé stesso di non urlare di dolore ogni volta che si trovava costretto ad alzare il braccio sinistro.
Il vento della notte sferzò sul suo volto, facendo raffreddare il sudore, il quale era riuscito ad imperlare alcune ciocche scure, così pesanti da finirgli davanti al volto.
Si trovava a mala pena ad un metro da terra, quando si ritrovò costretto a bloccarsi, con il volto arrossato, gli occhi inumiditi dal dolore lancinante e le forze via via sempre più deboli.
Doveva resistere. Non poteva permettere che Eva morisse; non sarebbe sopravvissuto all’ennesimo sacrificio.
No, l’avrebbe salvata.
Stringendo i denti e chiudendo gli occhi, Jake concentrò tutte le sue energie in quel straziante sforzo, pregando bastasse la forza di volontà per farlo arrivare in superficie.
La realtà, però, finiva sempre con l’abbattersi su di lui con la delicatezza di un uragano.
Non seppe nemmeno dire quando accadde ma, improvvisamente, un senso di vertigine si impossessò del suo corpo, obbligandolo a lasciare la presa e facendolo cadere di schiena sul terreno sotto di lui.
due metri. Due miseri metri di scalata ed era già senza fiato e con le vertigini.
Con una mano sulla spalla e gli occhi serrati, Jake si ritrovò ad imprecare in vari modi, non riuscendo a sopportare l’idea che Eva fosse condannata.
Non poteva lasciare che Phil la consegnasse a quella strega, non se lo sarebbe mai perdonato.
Doveva trovare un altro modo.
Non si sarebbe arreso. Mai.
Un solo minuto di recupero e poi avrebbe tentato nuovamente quella maledettissima scalata. E se nemmeno il secondo tentativo si fosse dimostrato buono, allora avrebbe attaccato quei dannati troll.
Dopotutto chi poteva immaginare che un singolo uomo volesse sconfiggere più di un troll? Già una sola di quelle creature era impensabile.
Improvvisamente un rumore sordo echeggiò alle sue spalle, facendolo irrigidire sul posto.
Qualcuno era atterrato dietro di lui, senza troppa cura nel nascondere la sua presenza.
Ancora a terra, Jake ringraziò la i suoi riflessi e, con un gesto celere, estrasse la spada dal fianco, puntandola dritta su chiunque si trovasse in piedi dietro di lui.
Nel momento in cui aprì gli occhi, il cuore mancò di un battito.
Non poteva essere vero. Si trattava sicuramente di un’allucinazione causata dal dolore.
Probabilmente la caduta aveva finito col fargli perdere nuovamente i sensi.
Perché quel volto non poteva essere il suo.
“Mi sembrava di averti detto di non aspettarmi!”
E quella voce non poteva essere la sua.
Eppure tutto riportava a lei: il disegno creato dalle sue perfette sopracciglia scure, le braccia sottili ma toniche e quell’incurvatura del labbro superiore, simile ad un elegante arco rosso, pronto per essere accarezzato, come avevano fatto le sue labbra poco prima.
Eva.
Era lì, davanti a lui.
Se solo avesse avuto la forza di alzarsi in piedi si sarebbe avvicinato a lei e l’avrebbe…
“Ti prenderei a calci se riuscissi ad alzarmi!” il giovane Mills puntò le sue iridi scure sulla figura di Eva, non esprimendo la realtà dei suoi pensieri.
“E dopo sono io quella che non sa ringraziare!”
“Grazie per avermi gettato dalla finestra…” esclamò seccato, ancora steso sotto di lei “…Come hai fatto a scappare?!”
“Quando Phil ti ha visto precipitare è scoppiato il caos…e ne ho approfittato per sfogare un po’ di rabbia sul troll dietro di me. Scappare è stato più facile di quello che credi…” gli rispose, sicura “…meno facile è stato buttarmi dalla finestra del primo piano senza finirti addosso!”
Sembrava appena uscita da una corsa ad ostacoli.
Affaticata, certo; forse addirittura stremata, ma un senso di estasi dovuto all’adrenalina sembrava averla riaccesa, come se la vicinanza alla morte fosse riuscita ad innescare qualcosa nel suo animo, qualcosa in grado di far uscire una forza dirompente dal suo corpo.
Senza attendere una risposta da parte del ragazzo, la giovane Jones lo aiutò a rialzarsi, accorgendosi solo in quel momento dello stato in cui si trovava la sua spalla.
Lanciando un’occhiata veloce dietro di lei, Eva si accovacciò mettendosi allo stesso livello di Jake.
“La tua spalla…è peggiorata!”
“…prova a lanciarmi da una scogliera la prossima volta, vediamo cosa succede!”
“Non tentarmi!” esclamò Eva, corrugando la fronte “…devo usare la magia e guarirti”
“Non pensarci nemmeno!” la riprese il ragazzo, staccando il tessuto della sua mano “…Se usi la magia Morgana ci troverà. Dobbiamo andarcene”
Stringendo la mascella come solitamente faceva il padre, Eva si ritrovò costretta a dare ragione a Jake. Non potevano rischiare che Morgana li trovasse, non proprio ora che erano quasi riusciti a scappare.
A fatica, Eva aiutò il ragazzo ad alzarsi e, insieme, si inoltrarono all’interno del bosco alle loro spalle.
Era questione di minuti prima che troll, orchi o banditi riuscissero a rintracciarli. Dopotutto non vi erano molti sentieri da seguire oltre a quello che portava al castello e, sebbene quelle creature non brillassero per intelligenza, Phil aveva chiaramente dato prova di saper giocare le sue carte, anche se dalla riva sbagliata del fiume.
Nemmeno quella consapevolezza, però, riuscì a frenare la corsa dei due ragazzi, i quali, prosciugata la riserva d’aria, si ritrovarono a camminare con passo celere lungo il fitto fogliame, inconsapevoli delle loro mani intrecciate.
Era successo in maniera quasi inaspettata e, ora che ci pensava, Eva poteva rievocare l’esatto istante in cui la mano sinistra di Jake aveva afferrato la sua, come a volersi assicurare che nient’altro riuscisse a separarli.
Non era stato strano il modo in cui l’aveva presa per mano, come se fosse la cosa più naturale al mondo, quanto piuttosto il piacere che lei stessa aveva provato nell’avvertire la sua pelle a contatto con la sua.
Forse era normale provare quel genere di emozioni. Dopotutto stavano scappando da Morgana, Jake aveva rischiato di perdere la testa, nel senso letterale del termine, e lei, spinta da un’emozione impossibile da decifrare, aveva finito col baciarlo.
Ovviamente se qualcuno glielo avesse chiesto avrebbe risposto che baciarlo rientrata nel suo piano di fuga, sperando che quel qualcuno non le facesse notare che anche un semplice abbraccio fraterno avrebbe scaturito lo stesso risultato.
Stringendo le labbra e cercando di ignorare quei pensieri ingombranti, Eva strinse la mano che l’ancorava a Jake, rimanendo due passi dietro di lui.
E, improvvisamente, delle grida. Passi affrettati.
Erano vicini e, per quanto cercassero di allontanarsi, ogni voce e ogni suono pareva avvicinarsi sempre di più.
“Dove si trova?”
Il corpo di Eva si bloccò di scatto, obbligando il figlio di Regina a fare lo stesso.
Lei era lì.
Con fare confuso, Jake si voltò verso la ragazza, chiedendole con lo sguardo cosa le fosse preso.
Con gli occhi colmi di terrore, e non vergognandosi per la prima volta nel dimostrarlo, Eva puntò i suoi occhi su quelli di Jake.
Morgana, era lì, dietro di loro. Li aveva trovati.
Per quanto la vicinanza di suo padre le avesse permesso di darle un qualche vantaggio nel nascondersi e nel non lasciarsi trovare dalla strega, l’essere a meno di due metri da lei era come sentire il suo fiato freddo sul collo; come se la sua mano fosse già dentro i loro petti, con le dita artigliate ai loro cuori palpitanti.
Probabilmente quella domanda era rivolta a lei; un altro dei suoi mille giochetti volto unicamente a ferirla.
Si stava riferendo a suo padre? O a suo fratello? Possibile che fosse riuscita a raggiungerli?
E se suo padre…
No, no, no e ancora no. Sarebbe sicuramente riuscita a sentire qualcosa se suo padre fosse morto; il cuore avrebbe iniziato a rallentare; la gola le si sarebbe chiusa; il mondo probabilmente avrebbe smesso di girare a quel modo e il sole non sarebbe più sorto in rispetto di quell’uomo così colmo d’amore per la sua famiglia da non lasciarsi scoraggiare da niente e da nessuno.
Killian Jones era vivo. Lo sapeva.
Controllando il tremore alle mani, Eva si preparò ad uscire allo scoperto, sperando di non far trapelare alcuna insicurezza da quel suo volto ferito e colmo di paura.
Jake, però, l’afferrò per un braccio e, silenzioso come solo l’erede al trono di Regina sapeva essere, si appiattì al tronco di un albero, parallelo alla posizione della strega, ferma in mezzo al sentiero che portava al castello. Tappandole la bocca con la mano sporca di terra, Jake strinse il corpo di Eva al suo, facendoli quasi divenire una sola cosa con quella foresta silenziosa.
“N-non lo so Mia Signora…sono riusciti a scappare…”
Phil.
Ma come? La domanda non era riferita a loro? Morgana non sapeva che erano lì?
Impossibile.
Per un momento Jake si chiese se fosse paura o collera quella che trapelava da tono di voce del bandito. Nonostante non potesse vederlo direttamente, appariva fin troppo facile immaginarlo: il volto sudato, la fronte corrucciata e quel tic con la mano che sempre si presentava quando l’agitazione si faceva sentire, come se nascondesse una monetina tra le dita.
“Ma se non sbaglio…avevi detto ad Ector che loro erano qui!”
La voce glaciale di Morgana pareva rimbalzare in ogni angolo di quella foresta, apparendo ad Eva simile al canto agghiacciante di un avvoltoio, da farla sentire come una carcassa abbandonata nel deserto, in attesa di venire divorata lentamente e con piacere.
Per la prima volta, Eva ringraziò il cielo che la mano di Jake stesse sopra la sua bocca, riuscendo così a soffocare il tremolio dei suoi denti.
Non temeva per la sua vita, non aveva paura che Morgana la trovasse; dopotutto aveva atteso così tanto quel momento che sarebbe stata un’ipocrita a dire il contrario.
Temeva per Jake. Sapeva che se li avesse trovati avrebbe torturato il ragazzo per il semplice piacere di vederla soffrire; e questo non sarebbe riuscita a sopportarlo né ora né mai.
Ma allora perché non li avvertiva? Perché non appariva davanti a loro con quei suoi occhi gialli colmi di odio e rancore?
“Ed era…era così, infatti. Ma poi la ragazza ha spinto il figlio di Regina giù dalla finestra…e lei…lei è scappata!”
“E sono di nuovo insieme…” esclamò Morgana, sicura come se riuscisse a vederli.
Per un momento Eva penso che quella fosse una constatazione, come se riuscisse a vederli. Per un momento quasi interminabile, ebbe la sensazione di sentirsi chiamare dalla Fata, con il chiaro scopo di farla uscire allo scoperto.
“Questo non lo sappiamo Signora…” le rispose Phil, grattandosi con la voce la trachea, con fare nervoso “…ho mandato uno dei miei a controllare…”.
Immediatamente, Jake si ritrovò a pensare a Tani, la stessa che aveva tramortito a pochi chilometri di distanza.
“Parli della donna svenuta a due chilometri da qui?!” esclamò annoiata Morgana, avvicinandosi di qualche passo all’albero dietro il quale Eva e Jake continuavano ad usare come nascondiglio.
“C-come…come lo sapete?!”
“Semplice…lo sa perché nulla può sfuggire al controllo della temibile Morgana!”
Ed ecco la voce di Ector, il leccapiedi che mai sembrava staccarsi dalle gonne di quella Fata dedita all’oscurità.
Chi altri c’era in quella sorta di ritrovo notturno?
In un gesto colmo di coraggio o di sconsideratezza, Jake sporse leggermente il capo, voltandosi e cercando di trovare una risposta a quella domanda.
Ecco i presenti: Morgana, Ector e Phil.
Con il battito cardiaco aumentato in maniera allarmante, Eva strinse il polso del ragazzo, stringendo la mascella con la stessa energia.
Colto il rimprovero silenzioso, Jake tornò a posare il capo sul tronco dietro di lui, facendole segno con le dita che solo erano solo in tre.
Anche se il termine solo legato a Morgana, non sembrava affatto sufficiente.
Staccando la mano dalla bocca della giovane Jones, Jake le fece cenno di dare un’occhiata.
“Se nulla sfugge al suo controllo perché non riesce a trovare due ragazzi…”
Phil era sempre stato un tipo che non teneva nascosta per più di un minuto la sua opinione, ma in un momento come quello con un simile assassino davanti a lui, un po’ di riservatezza non gli avrebbe di certo fatto male.
Phil fece a malapena in tempo a concludere la frase che, improvvisamente, una forza invisibile lo sollevò dal terreno, rendendogli impossibile anche il semplice deglutire.
Sforzandosi inutilmente di opporre resistenza, il bandito mosse i piedi per aria, come se quel semplice gesto potesse fare la differenza, rendendolo invece simile ad un pesce fuor d’acqua, impossibilitato a reagire.
Con la stessa facilità con cui lo aveva sollevato, con un gesto della mano Morgana sbatté il copro del bandito su una roccia dietro di sé, ignorando volutamente il gemito di dolore proveniente da quel corpo robusto.
Nel momento in cui l’uomo colpì la materia ruvida della roccia, Eva tornò a nascondersi dietro il tronco, consapevole del respiro affannoso che si era impossessato del suo petto.
Tornando a posare la schiena sul corpo di Jake, la giovane figlia della Salvatrice tese le orecchie, puntando lo sguardo davanti a sé, come se proprio in quel punto vi fosse la diretta di quanto accadeva alle sue spalle.
Con una preoccupazione che stonava del tutto con quel suo volto glaciale, la Fata Oscura si inginocchiò accanto a Phil, iniziando ad accarezzargli il capo come, solitamente, si fa con un bambino.
“Vuoi conoscere un segreto…Phil?!”
“I-io…”
“Io non so dove si trovino…” sussurrò la strega vicino al volto del bandito, ma non abbastanza distante dai due ragazzi che stava cercando “Vedi, quando la nostra principessa è insieme al principe…io non li vedo, non li sento…divento cieca…come voi…” aggiunse, continuando a sussurrarle quelle parole, come se fosse un’amante portatrice di un segreto che, in realtà, non avrebbe dovuto svelare.
“Io non…”
“Per questo ti avevo chiesto di uccidere il ragazzo. Il loro…affetto…” Morgana sputò quella parola fuori dalle labbra, come se si trattasse di qualcosa di estremamente amaro e disgustoso “…rappresenta un problema per me…lo capisci?!” gli chiese la strega, con voce ferita, come se avesse bisogno di essere consolata.
Eva sentiva la bile risalirle lungo l’esofago. Un solo altro istante e avrebbe dato di stomaco in quel preciso punto, sopra gli stivali di Jake.
“S-sì…ma…”
“Sì lo capisci…sei intelligente…a modo tuo!” le dita sottili di Morgana cominciarono ad accarezzare i lunghi capelli unti di Phil, come se provasse reale affetto per quell’uomo dal volto poco affascinante.
“Sai dove la maggior parte delle credenze popolari creda che risiedano i sentimenti?!” gli chiese improvvisamente, cambiando la rotta del discorso, ma non smettendo per un solo istante di osservare il volto paffuto del bandito con i suoi penetranti occhi gialli.
“Nel…nel cuore…”
“Già…e tu Phil…tu ci credi? Credi davvero che i sentimenti come l’amore siano dentro il nostro cuore?!”
Improvvisamente il volto di Phil divenne pallido, come se avesse inteso dove andasse a parare quel discorso.
“Io non ci credo…” gli rispose la strega, con tono innocente, simile a quello di una giovane ragazza priva di alcun sentimento oscuro “e sai perché?!” il suo volto innocente fece improvvisamente spazio a qualcosa di deforme, segnato unicamente dalla rabbia e dalla collera. “Perché ho guardato dentro un sacco di cuori…e in nessuno di essi vi era qualcosa di simile all’amore…”
In un gesto deciso, la mano di Morgana si immerse nel petto di Phil, producendo un suono del tutto riconoscibile alle orecchie di Eva.
Deglutendo a fatica, la figlia del pirata strinse la mano del ragazzo alle sue spalle, chiudendo gli occhi con forza.
Ecco la punizione di Phil, quella che poco prima lei stessa gli aveva augurato.
Aveva sperato il peggio per lui, ma ora provava solo vergogna per quel desiderio.
“Cosa ne facciamo di lui Mia Signora?” chiese Ector, servizievole come sempre.
“Chiudetelo nelle celle…a me basta il suo cuore!”
“Il suo cuore…e a cosa vi serve?!”
“Un cuore può sempre tornare utile…quando meno te lo aspetti…”
 
 
***
 
Eva si svegliò di colpo.
L’aria nella stanza si era fatta secca, quasi insopportabile, rendendo la gola così arida da farle desiderare un bicchiere d’acqua all’istante, com’era accaduto un anno prima, nel castello dei troll.
Era stato un sogno, uno strano sogno, così reale che il battito cardiaco pareva non voler riacquistare il suo solito e normale ritmo.
Chissà perché aveva sognato la morte di Phil; non aveva mai avuto un debole per quell’uomo e dal momento in cui Morgana gli aveva strappato il cuore lei non aveva più ripensato a quel momento.
Aveva assistito a così tante morti che la perdita di un traditore non si era di certo guadagnata un posto d’onore nella sua mente, tanto meno nel suo cuore.
Sospirando stancamente, Eva posò i piedi nudi sul pavimento avvertendo immediatamente la sensazione fredda del legno a diretto contatto con la pelle. Non sopportava l’idea di dormire con le scarpe addosso e, forse, quell’antipatia era dovuta alle innumerevoli notti trascorse con stivali vecchi e sudati, troppo stretti per impedirle di avere qualche dolorante e scomoda vescica tra le dita.
Di malavoglia si mise calzini e scarpe, cercando di fare il più in fretta possibile.
Con un gesto stanco e affaticato, la giovane Jones si sistemò i capelli dietro alla testa, ignorando i nodi che le si erano formati.
Doveva aver dormito più di quanto immaginasse e, sebbene fuori facesse freddo, non si era coperta, preferendo accontentarsi dei suoi indumenti; una maglietta di cotone blu e jeans attillati.
Con la mente annebbiata, Eva percorse i pochi passi che la dividevano dal bagno.
Quando aveva aperto gli occhi, nonostante il soffitto della camera degli ospiti si stagliasse sopra di lei, per un momento aveva creduto di trovarsi dentro la foresta del suo sogno, a pochi metri da Morgana.
Con il corpo di Jake dietro di lei.
Jake.
Le sarebbe bastato chiudere di nuovo gli occhi e la forza del ricordo le avrebbe dato la sensazione di sentire di nuovo quel profumo inconfondibile, quel misto di bosco e legno di ciliegio. Avrebbe nuovamente sentito il tocco delle sue mani sulla sua pelle e la sua voce rassicurante che le diceva che tutto sarebbe andato per il meglio.
Ti amo Jones…
Con uno scatto, Eva aprì la porta del bagno, precipitandosi al suo interno e cercando con tutta sé stessa di respingere quelle immagini dalla mente.
Non poteva rievocare a quel momento.
Dopotutto, che senso aveva ripensare a lui? Che senso aveva ripensare ai momenti trascorsi insieme, al modo in cui erano andate le cose, se poi il finale non poteva essere riscritto?
La loro storia finiva sempre allo stesso modo.
Con lui che rimaneva indietro.
Scuotendo la testa, Eva aprì il miscelatore in acciaio, bevendo una cospicua sorsata d’acqua. Con un gesto secco, si buttò un po’ di quell’acqua fresca sul volto, avvertendo immediatamente l’intorpidimento del sonno fare largo alla veglia.
Alle volte bastava un semplice gesto a farla sentire meglio e ad allontanare i fantasmi del passato. Doveva ricordarselo più spesso.
Per un istante, Eva stette con le mani appoggiate al lavandino, godendosi la sensazione dell’acqua fresca a contatto con la pelle.
Con il volto bagnato e gli occhi chiusi, la giovane Jones prese uno degli asciugamani viola posti a lato, così morbidi e colmi del profumo di ammorbidente da dare l’impressione che qualcuno li avesse appena tolti dal cestello della lavatrice.
Tamponandosi il volto, la ragazza ebbe la sensazione di sentirsi meglio e del tutto libera dall’incubo appena fatto.
Incubi. Odiava il modo in cui il suo subconscio giocava con la sua vita.
Nel momento in cui l’asciugamano si abbassò dal suo viso e il suo sguardo si posò sulla sua immagine riflessa dello specchio davanti a lei, Eva sentì il suo corpo immobilizzarsi dalla paura.
Lì, dietro di lei, c’era Phil.
Aveva lo stesso sguardo del suo sogno.
Il volto corrugato, la pelle sudata.
Sembrava più vecchio, però, come se il tempo fosse trascorso impellente dall’ultima volta in cui lo aveva visto.
“Mi hai ucciso…”
La voce secca, arrugginita dal tempo.
Nel momento in cui Eva si voltò di scatto per affrontare il bandito, questi era scomparso, non lasciando la minima traccia della sua improvvisa e illogica comparsa.
Con il cuore che rischiava di esploderle dal petto, Eva uscì veloce dal bagno, non preoccupandosi di sistemare l’asciugamano nel modo in cui lo aveva trovato.
Con gli occhi verdi, fermi e pronti a cogliere il minimo movimento, Eva si diresse verso il salotto, con la sensazione raggelante di avere Phil dietro le spalle.
Non poteva essere, Phil era morto un anno prima, non poteva essere arrivato a Storybrooke.
Allora perchè le era comparso?
Eva camminò nervosa lungo il corridoio che conduceva al salotto, legando nervosamente i capelli in uno chignon decisamente morbido e disordinato.
Doveva smetterla di preoccuparsi. Phil non la stava perseguitando.
Era stata un’allucinazione, una stupida allucinazione dovuta ad uno stupido sogno.
Eva si bloccò di colpo al centro del corridoio, come se, improvvisamente, il reale significato di quelle parole l’avesse investita. Un fulmine a ciel sereno.
Un cuore può sempre tornare utile…quando meno te lo aspetti….
Un cuore.
Come aveva fatto a non pensarci prima?!
Come se ad innescarlo fosse stato un meccanismo involontario, Eva ricordò la sera in cui i suoi genitori erano entrati nel loft, chiedendo a lei e ad Henry di interrompere le ricerche su Excalibur. Quella sera le avevano chiesto di parlare, smettendo da entrambi i fronti di mentire. Lei aveva accettato, ben consapevole di non poter essere del tutto sincera, nemmeno con loro, i suoi genitori.
Ricordava perfettamente la voce di sua madre e da suo padre, il modo in cui le avevano detto che il corpo di Ector era scomparso, nonostante lei gli avesse strappato il cuore. Era stato in quel momento, infatti, che aveva capito di aver fatto l’ennesimo passo avanti verso l’oscurità.
Chissà se era stato così anche per Regina.
V…vuol dire che quello…non era il suo cuore…ho ucciso un’altra persona…ho ucciso…un’innocente…
Quelle parole. Era stata lei stessa a pronunciarle, eppure il ricordo di Phil non l’aveva mai sfiorata.
Era di Phil il cuore che aveva distrutto.
Lei…lo aveva ucciso.
Come aveva fatto a non ricordarsene.
L’ultima volta che lo aveva visto era stato proprio in quel sentiero, intento a parlare con la Fata Oscura. Non aveva più pensato a dove potesse trovarsi.
Probabilmente Morgana l’aveva imprigionarlo in una delle innumerevoli celle del suo castello, a nord della Montagna Proibita, lasciandolo solo e privo di una qualsiasi spiegazione.
Forse, quello stupido bandito troppo occupato ad arricchirsi, aveva finito per desiderare che la fine arrivasse, ritrovandosi improvvisamente ripagato da quelle preghiere sentendo uno spasmo al centro del petto.
Lei aveva messo fine alla sua vita.
La cosa che la spaventava più di ogni altra cosa, in realtà, non era l’aver dato un nome alla persona che aveva inavvertitamente ucciso, né la consapevolezza che Phil fosse morto da solo, senza speranza.
La cosa che la spaventava, più di ogni altra cosa, era che non provava nessun senso di colpa.
Pochi giorni fa, suo padre, o meglio la versione passata di quello che sarebbe stato suo padre, le aveva detto che ciò che differenziava i buoni dai cattivi era il senso di colpa.
E lei…lei in quel momento non ne provava.
Per quanto si sforzasse, per quanto sapesse che non erano giusti i sentimenti che provava, dentro di sé urlava a gran voce un unico pensiero: Phil meritava di morire, meritava di non avere un lieto fine.
Era stata sua la colpa se Morgana li aveva quasi catturati. Era stata sua la colpa, né di nessun altro.
Come sarebbero andate le cose se lei e Jake non fossero stati traditi dal bandito?
Non vi sareste parlati a cuore aperto. Non avreste imparato dai vostri errori.
O forse sì, chi lo sa.
Le cose sarebbero andate molto meglio.
Probabilmente in quell’istante lei non si sarebbe trovata in quella situazione, sola e con il cuore adombrato da sentimenti così poco limpidi.
Se Phil non li avesse traditi, in quel momento Jake sarebbe al suo fianco, con lo sguardo imbarazzato nel vedere sua madre giovane e controllata, con addosso un tailleur così costoso da dare l’impressione che il sarto glielo avesse cucito su misura.
Lo avrebbe visto corrugare la fronte, per apparire a sua volta un ragazzo tutto d’un pezzo, mostrandosi invece ancora più dolce di quanto già non fosse.
Avrebbe avuto anche lui la possibilità di rivedere le persone che aveva perso, che aveva amato.
Sarebbe stato vivo.
E sarebbero stati insieme.
Le cose, però, non erano andate a quel modo.
Phil li aveva traditi e la morte, forse, era il prezzo da pagare.
Indurendo lo sguardo, Eva strinse con forza le mani a pugno, ignorando il dolore causato dalle unghie a contatto con la pelle.
Con le labbra serrate, si diresse verso il salotto di Regina, dal quale sembravano provenire le voci dei suoi genitori e di una sconosciuta.
Non seppe dire cosa l’avesse spinta a nascondersi dietro la parete, se la curiosità o la sensazione che la sua entrata avrebbe interrotto quel dialogo.
Stette di fatto che Eva rimase con la schiena appoggiata al muro e ciò che sentì non abbandonò mai più la sua mente.
 
 
***
 
“Eva…è lei il frutto del Vero Amore, colei che riuscirà a distruggere Morgana!”
La voce del Principe riecheggiò tra le pareti del salotto, esprimendo a parole ciò che ognuno dei presenti si era ritrovato a pensare.
“Vuole ucciderla per non avere nemici e regnare così incontrastata!” Biancaneve annuì, mostrandosi per l’ennesima volta sulla stessa riga del marito.
“Ma Eva non possedeva la magia…non all’arrivo di Morgana, per lo meno!”
“Già…perché vostra figlia era destinata a non possederla…” rispose Nimue al pirata, rimanendo in piedi, davanti al comodo divano chiaro “…Non so se fosse lei il frutto del Vero Amore di cui parlava la profezia. Forse era davvero così…ma sta di fatto che tu lo hai creduto e ti sei comportata di conseguenza…” aggiunse, posando lo sguardo su Emma.
Per un attimo tutti rimasero in silenzio, non riuscendo a controllare le loro espressioni cariche di confusione; tutti tranne Killian Jones.
Perché per quanto cercasse di nasconderlo dietro la più spessa parete del suo cuore, il ricordo di quanto aveva visto in quel labirinto fatto di inganni e di magia oscura, finiva sempre per prendere il sopravvento, facendo accelerare il battito cardiaco del suo cuore.
Il volto dell’uomo divenne improvvisamente pallido, consapevole della facilità con cui l’angoscia provata in quella prigionia mentale riuscisse a tornare vivida nella sua mente.
“Che vuoi dire?!” Regina spostò lo sguardo da Nimue al pirata.
“Il Capitano Jones sa di cosa sto parlando…vero?!” con voce cristallina, ma alquanto sicura, Nimue posò a sua volta lo sguardo sul pirata, il quale non aveva mosso un solo passo di distanza dal corpo snello di Emma Swan.
“Lo so che cosa ho fatto nel futuro…” esclamò Emma, come se non volesse che quella realtà venisse resa palese a tutti, almeno non in quel modo.
“Noi, però, non lo sappiamo…” Regina le lanciò un’occhiataccia, la classica che, solitamente, riservava a chi le nascondeva qualcosa.
“Si è sacrificata…”
La voce della fata, o forse sarebbe stato più corretto dire della “non” fata, arrivò di getto, sicura e priva di alcun ripensamento. Il genere di risposta che si dava a chi chiedeva come fosse il tempo da quelle parti; così meccanica da apparire come la cosa più naturale al mondo.
Ma non era del tempo che si stava parlando e il modo in cui Nimue continuava a fissare il volto fermo della Salvatrice lasciava chiaramente intendere quanto anche lei ne fosse consapevole.
E continuò a parlare, priva di alcun senso di colpa o ripensamento.
“Mossa dalla disperazione, tra meno di dieci anni Emma Swan si toglierà la vita, in modo da donare alla figlia i suoi poteri e a dare a voi tutti la possibilità di aprire un portale verso la Foresta Incantata”.
Tutti sembrarono trattenere un sospiro, scioccati da quella rivelazione pronunciata con estrema facilità. Come poteva parlare della morte di una figlia, di un’amica, della donna che si amava, con così poco tatto?
Perfino Killian, che ovviamente non aveva ancora ben compreso i motivi che avevano spinto Emma a sacrificarsi, si ritrovò a spalancare lo sguardo, guardando la donna al suo fianco con un misto di tristezza e rabbia.
Ecco perché si era uccisa. Ecco perché non aveva seguito la sua famiglia nel portale.
Dal canto suo, Emma non riuscì a nascondere lo sconforto provato dal suo stesso cuore. Se c’era una cosa che odiava più del vedere le persone che amava soffrire, era vederle soffrire a causa sua.
Ma non si sarebbe lasciata divorare dalla paura o dal senso di colpa, dopotutto si trovavano in quella stanza proprio per quello no? Per impedire che le cose si ripetessero. Sua figlia era lì per questo.
E fu proprio la voce della sua secondogenita a far riemergere un senso d’angoscia nel cuore della giovane Swan
Non l’occhiata truce di Regina, né il pallore sul volto dei suoi genitori
Fu la voce collerica e ferita che, improvvisamente, fece capolinea all’interno della stanza.
“Che. Cosa?!”
Non aveva mai visto il volto di sua figlia attraversato dalla collera.
Per quanto Killian navrebbe sicuramente faticato ad ammetterlo, per una frazione di secondo sembrava di ritrovarsi davanti alla sua immagine riflessa, la sua immagine ai tempi in cui Tremotino gli aveva strappato la donna che amava.
Pura rabbia. Pura collera. Puro odio.
“E-Eva…”
“Ho detto….che cosa…hai fatto?!” la giovane Jones fece qualche passo avanti, quasi traballante, come se ai suoi piedi vi fosse un terreno disconnesso.
Nonostante il fisico asciutto, il modo in cui camminava sembrava incutere un certo timore, come se in quella stanza non vi fosse la stessa ragazza dal sorriso incerto che avevano imparato ad amare negli ultimi giorni.
I capelli, incapaci di rimanere raccolti in quel debole chignon, scendevano con la stessa lentezza con cui Eva si avvicinava al centro della stanza, senza mai staccare lo sguardo furente dal volto di Emma.
“Lo abbiamo scoperto da poco…non sapevamo ancora se fosse vero quello che Morgana ha mostrato a Killian!”
“N-non è stata Morgana ad ucciderti?” la voce incrinata tanto dalla rabbia quanto dal dolore.
 “Probabilmente ho fatto la cosa che credevo più giusta…la cosa che vi avrebbe…”
“Tu…tu ti sei uccisa, di tua volontà” ripeté incredula “…hai abbandonato me, mio padre e mio fratello…per loro?!” esclamò fermandosi sul posto con i pugni serrati, sottolineando i gradi di parentela come se le persone che aveva davanti a sé non facessero realmente parte della sua famiglia.
“Eva…” facendo un passo avanti, Killian cercò di smorzare la collera della figlia.
Dopotutto non era l’unico ad aver avvertito la strana energia che, improvvisamente, aveva iniziato ad avvolgere la figura della giovane ragazza davanti a loro “…so che in questo momento è difficile capire una cosa del genere ma…”
“Capire?....Capire?....Io sono venuta qui perché non c’era più niente da fare. Per colpa Tua…” esclamò, puntando il dito verso Emma “…abbiamo perso la speranza. Dopo la tua morte, nessuno ha più creduto di avere una via d’uscita. Sono morti tutti…perché tu ti sei arresa!” la voce sempre più alta, sempre più disperata “Ho sempre creduto che Morgana ti avesse uccisa, che ti avesse strappato via dalla tua famiglia…e tu invece, hai mollato!”
“Non penso proprio di aver mollato. Ho sicuramente cercato un modo per salvarti offrendoti la mia magia…realizzando il sacrificio di cui parlava la profezia”
E se c’era una cosa che, da sempre, caratterizzava Emma Swan era la difficoltà a mantenere un profilo basso. Era una cosa che l’aveva distinta fin da piccola; durante un litigio o durante un rimprovero da parte di un adulto, quella parte di lei, accuratamente sepolta dalle sue buone intenzioni, finiva sempre per riemergere quel tanto che bastava per farle dire la cosa più vera ma troppo dura per un momento delicato com’era quello. Ciò non faceva di lei una persona poco empatica, al contrario; se c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni da orfana era il capire quando una persona stava soffrendo, quando chi aveva davanti era vicino al baratro che portava all’autodistruzione ed era proprio in quei momenti che si ritrovava a porgere la mano per concedere una via d’uscita. Ma quella mano, il più delle volte, finiva sempre per lasciarsi avvolgere da parole poco adatte, parole sincere ma ruvide, come la carezza di qualcuno che, per troppi anni, si era ritrovato a fare a pugni col dolore della vita.
“La p-r-o-f-e-z-i-a-?” Eva scandì quelle parole con estrema precisione, ignorando volutamente la rabbia sempre più presente nel suo petto.
Era troppo da sopportare.
Phil. La morte di Jake. il sacrificio di sua madre.
Dalle sue dita cominciarono a fuoriuscire scariche di energia blu, così scure da apparire fili di lava neri.
Stava perdendo il controllo. Lo sapeva.
E, per la prima volta, non le importava.
“Eva devi calmarti…”
Regina fece un passo nella direzione della figlia di Emma, sperando di riuscire dove i genitori parevano aver fallito.
Un improvviso vento di una potenza disarmante, però, la allontanò dal punto in cui si trovava, facendola sbattere addosso al corpo del Principe, che riuscì a fermarla.
“Sta lontana da me Regina…” senza guardarla in volto, Eva puntò l’indice della mano verso la figura del sindaco di Storybrooke, continuando a incendiare la madre con la sola forza delle sue iridi verdi “Ho fatto di tutto per tornare qui, per salvarvi…”
“Emma si è sacrificata per…”
“Il suo non è stato un sacrificio…” la voce collerica di Eva interruppe quella di Regina, degnandola solo in quel momento di uno sguardo così nero da riuscire a mettere in dubbio quale fosse il reale colore dei suoi occhi “…quello di tuo figlio lo è stato. Lui ha dato la vita per salvare tutti…lui era un eroe. Tu…” aggiunse, putando lo sguardo su sua madre e poi sul resto dei presenti “…e voi tutti, siete solo dei codardi…”
“Eva…” esclamò Killian, scioccato d quel tono e da quel comportamento.
“E tu non sei come mio padre…mio padre non se ne starebbe fermo nel sentire che sua moglie, mia madre, ha sacrificato la sua vita…per niente!”
“Per niente dici?!” scoppiò Emma, stanca di quelle accuse, facendo un passo in direzione della figlia “…per niente? Grazie al mio sacrificio hai avuto la magia, sei riuscita ad arrivare qui!”
Un urlo di rabbia uscì dal petto della giovane Jones e con esso un’improvvisa sfera di luce andò a infrangersi sul divano del sindaco, finendo per sfiorare il corpo sottile di Nimue, il quale venne prontamente tratto in salvo da Biancaneve.
Gli occhi di Eva divennero vitrei e colmi di paura.
Stava succedendo di nuovo. Come quel giorno alla radura, quando Diletta l’aveva incolpata della morte di tutte le persone a cui teneva.
La magia nera stava completamente prendendo il controllo del suo corpo, del suo cuore.
Che stai facendo?
Nel sentire la voce di Jake, Eva si ritrovò ad alzare lo sguardo sconvolto.
Lì, a pochi passi dall’entrata del salotto c’era lui. Jake.
Com’era possibile che fosse lì? Lui era morto; non avrebbe potuto fare nulla per salvarla.
Non riesci a controllarla…ti stai perdendo Jones.
Il fantasma del ragazzo che amava continuava a parlarle e gli occhi di Eva, così colmi di paura e confusione da apparire arrossati, quasi isterici, non accennavano a volersi spostare da quel volto sorridente.
“Eva…” spaventata dallo sguardo della figlia, Emma fece un lento passo verso di lei, portando una mano davanti a sé, consapevole della fragilità in cui si trovava la figlia.
Sembrava non essere presente. Sembrava ossessionata da qualcosa impossibile da scorgere ad occhio nudo.
“Non mi serviva la magia per arrivare qui…Jake e mio padre non avevano la magia ed erano molto più forti di me…” improvvisamente Eva cominciò a parlare, con le lacrime che le rigavano il volto, ignorando volutamente lo sguardo sconvolto di Regina.
Quella donna, messa costantemente alla prova dalla vita, aveva scoperto nel modo peggiore di essere destinata ad avere un figlio e che, purtroppo, quello stesso figlio non sarebbe sopravvissuto.
“…per me la magia è sempre stata una rovina. Non sono mai stata in grado di controllarla. Io sono nata senza magia perché mi rende…mi rende una persona cattiva…”
“No Eva…non sei cattiva...tu…”
“N-non toccarmi…” con un gesto secco, Eva allontanò il tentativo di contatto di Emma, facendo un passo indietro e riportando, finalmente, lo sguardo su di lei.
“Eva….io ti voglio bene, credimi…”
Nonostante il tono sincero e dispiaciuto della Salvatrice, non arrivò alcuna risposta, nessun segno di assenso, nessuno rabbia collerica.
Solo il silenzio e uno sguardo fermo. E, improvvisamente, Eva fece quello che aveva fatto tempo prima, quando ancora non si fidava di nessuno.
Sparì, circondata da una scura nuvola di fumo.
Blu come la notte.
 
 
***
 
Tutto il mondo brucerà.
Anche la principessa cederà al dolore
E lo sai…lo sai…il mondo brucerà
 
Una voce melodiosa, simile al canto di una sirena in grado di ammaliare anche il più coraggioso dei pirati, inondava l’intera sala del castello.
La mancanza di qualsiasi arrendamento, al di là dell’immenso trono posto a nord della stanza, amplificava l’eco di quella voce, rendendo l’atmosfera ancora più macabra e terrificante.
Nonostante il trono fosse a pochi metri da lei, Morgana se ne stava seduta sul freddo pavimento in pietra, strappando con estrema delicatezza petali di un delicato fiore rosa.
I piedi, scalzi e pallidi, entravano in contrasto con la tinta nera della veste, anch’essa intrisa della stessa oscurità di quell’animo.
 
Le fiamme sono eterne
E con sé paura…paura e morte
La bambina sola
Soffre. Soffre. Soffre
 
A ritmo cadenzato di quell’insolita cantilena, la Fata Oscura strappava uno ad uno i petali del fiore, gettandoli nel fuoco posto al centro della sala, il quale riusciva a galleggiare nel vuoto, privo di qualsiasi combustibile in grado di mantenerne alte le fiamme.
 
Vedrai….vedrai…il mondo brucerà
 
Mormorando quelle parole, sola e attorniata dall’oscurità, Morgana oscillava il corpo avanti e indietro, come se cercasse di cullarsi da sé; come una bambina bisognosa del contatto amorevole di qualcuno che l’amasse.
E un petalo cadeva nelle fiamme.
Seguito da un altro. E un altro ancora.
“Mia signora…”
Un’improvvisa voce maschile interruppe la cantilena della Fata, la quale voltò il capo.
Il volto attraversato da un’espressione insana.
“Shhhhh….” Morgana si portò l’affusolato dito indice alle labbra “…hai interrotto la mia bellissima canzone…”
“Perdonatemi…”
Per nulla intimorito dal rimprovero, l’uomo abbassò lievemente il capo, come se un leggero inchino bastasse per meritare il perdono.
“Sai come finisce la mia canzone?”
“Che la principessa muore?!”
“No…no no…non hai ascoltato!”
Con estrema grazia, Morgana si alzò da terra, lasciando cadere ai suoi piedi la piccola camelia rosa, privata dei suoi petali, eccetto uno.
 “…la principessa ora è arrabbiata e triste. Si sente in colpa per quello che è diventata…” con fare seducente, la donna dai fitti capelli neri si avvicinò alla figura maschile, sfiorandogli le spalle e girando intorno al suo corpo, come un serpente di fronte alla sua succulenta cena “…ed è proprio questo il momento in cui segnerà la fine di questa guerra! Il momento in cui prenderà quello che mi serve…”
 
Dalle acque scure lei la estrarrà
E finalmente…
 
Sorridente ed estasiata, Morgana si allontanò dal suo nuovo fedele soldato e, con uno schiocco delle dita, i contorni di un portale si delinearono davanti a lei.
Nulla l’avrebbe sconfitta, né l’amore né il coraggio.
L’uomo dietro di lei, dopotutto, ne era una chiara dimostrazione.
Lei era potente, molto più potente di quanto sarebbero mai state Emma Swan o la Regina Cattiva; molto più potente di qualsiasi Strega Perfida.
Lei era Morgana, la Fata Oscura.
Colei che avrebbe dominato incontrastata in tutti i reami; e ora, ora che Eva era pronta, niente e nessuno l’avrebbe fermata.
Excalibur sarebbe stata sua, segnando la fine di qualsiasi lieto fine e di qualsiasi speranza ancora persistente.
Con i suoi inquietanti occhi gialli puntati sull’interno denso del portale, Morgana fece un passo avanti, lasciandosi inglobare da quella materia densa e chiara.
La risa insana della donna avvolse tutta la sala, mentre si allontanava da quel futuro oscuro, lasciando il piccolo fiore a terra, ai piedi della figura priva di alcun nome.
 
…. il mondo brucerà.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi scuso fin da subito per la “canzoncina” (chiamiamola così va) di Morgana.
Sembrerà incredibile ma ho tardato l’aggiornamento per questo pezzo finale. Da una parte ero indecisa se metterlo come inizio del prossimo capitolo, dall’altra avevo quelle poche righe in corsivo che mi mettevano in crisi.
Della serie “Erin mettiti nei casini da sola, tanto per movimentare il tutto!”
Vabbè…cmq perdonatemi. Vi prego, non giudicate questo capitolo dal pezzo finale :P (sperando che il resto non sia stato una catastrofe, ovviamente….in quel caso ho reso tutto più omogeneo xD).
Bene…detto questo, eccomi di nuovo!
Direi che il nuovo capitolo non si è fatto attendere molto (…qualcuno probabilmente non sarà d’accordo con me…e ha ragione!!). Diciamo che l’angoscia del finale di stagione mi ha un po’ rallentata, e poi come vi ho detto questo pezzo finale è stata la ciliegina sulla torta.
Ad ogni modo, fingendo che non ci siano errori di battitura…vediamo che è successo.
Eva si è incavolata di brutto.
Forse qualcuno di voi potrà pensare che ha esagerato a reagire in quel modo, ma vorrei spezzare una piccola lancia a suo favore (…sì sono un po’ di parte, lo ammetto). Lei ne ha passate davvero tante, ha visto suo padre morire, ha perso sua madre, Jake, Regina…non sa che fine abbia fatto suo fratello e ora ha appena collegato il cuore di Phil ha quello che ha distrutto, senza provare il minimo senso d colpa. Direi che la scoperta che Emma si è sacrificata è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Ma sono curiosissima di sapere cosa ne pensate (….anche dell’avvicinamento con Jake…li shippo….lo so non si dovrebbe, scrivo di loro e li shippo, ma so di non essere l’unica ♥).
Regina, inoltre, ha scoperto nella maniera meno delicata possibile che avrà un figlio (….per chi ha visto il finale di stagione sa che la parola delicata non è stata buttata lì a caso :P)….chissà come la prenderà.
E Nimue…si è scoperto qualcosa anche su di lei.
Troppe cose…mmm….forse ho buttato troppa carne al fuoco.
Ditemi vuoi.
Siete la mia ispirazione, quindi come sempre mi affido ai vostri commenti e pareri.
Ovviamente non dimentico la parte più importante di questo angoletto: GRAZIE DI CUORE!
Non so davvero come farei senza di voi, siete così gentili con me che mi ritrovo a rileggere diecimila volte il capitolo prima di postarlo, perché so che meritate il meglio per tutto quello che fate (…chiunque stia dicendo “Rileggi tante volte e ti sfuggono tanti errori????”….sappiate che vi ho sentiti :P).
Ok mi fermo, altrimenti mi dilungo troppo come al solito.
Grazie a chi legge, a chi inserisce la storia nelle varie categorie.
E GRAZIE IN PARTICOLAR MODO A CHI COMMENTA ♥
Un grossissimo abbraccio
 
La vostra
 
Erin

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Capitolo 26
*** Capitolo 24 ***


Foresta Incantata
 
La soglia del dolore è qualcosa di insolito, difficile da spiegare a qualcuno che non si è mai davvero chiesto cosa sia.
Varia da persona a persona. Lo sanno tutti e, nel corso del tempo, aveva finito col divenire un dato di fatto.
Eva aveva sentito qualcuno definirla come il semplice momento in cui uno stimolo comincia ad essere percepito come doloroso; l’esatto istante in cui il cervello manda un messaggio d’allarme, rendendo troppo calde le fiamme o troppo fredde le lastre di ghiaccio.
Non sapeva se fosse vero, ma di una cosa era certa: la soglia del dolore non variava solo da individuo a individuo, ma anche dal preciso momento in cui il cervello decideva di dar libero sfogo ai suoi segnali, rendendo pazzo chiunque vi cadesse vittima.
Qualcosa di inatteso e di estremamente illogico.
Non vi era un tempismo o la premonizione di quell’arrivo logorante; il dolore compariva senza troppe cerimonie, divenendo padrone incontrastato della vita di qualcuno.
Jake, per esempio, doveva possedere una soglia a dir poco invidiabile.
Dal momento in cui si erano rincontrati dopo quell’assurdo salto nel buio, non lo aveva più visto lamentarsi per la ferita alla spalla.
Non un accenno, non un lamento. Era come se il dolore avesse cessato di esistere; come se una parte del suo cervello fosse stata spenta improvvisamente, sotto il freddo controllo del figlio di Regina.
Le cose, però, non stavano di certo andando a quel modo ed Eva lo sapeva bene. Jake non voleva apparire debole ai suoi occhi e, piuttosto di lamentarsi, si limitava a digrignare i denti e ad andare avanti con il suo consueto portamento fiero e impeccabile.
Non voleva il suo aiuto.
Non per una questione di antipatia o chissà che altro, la sua era semplice e genuina testardaggine. Lui era un Ribelle, lui era il figlio della potente Regina e del valoroso Robin; lui non cadeva di fronte a niente, men che meno per qualche sciocca ferita, come le aveva definite lui.
Nemmeno il giovane Mills, però, era immune alla sofferenza ed Eva poteva dire di averne avuto la conferma dopo l’uscita di scena di Morgana, Ector e Phil, da quel sentiero divenuto più spaventoso del più oscuro e infestato degli incubi.
Era stata lì. La sovrana dell’oscurità, l’unica e diretta responsabile di tutto quel dolore era stata a pochi passi da loro, completamente ignara della loro presenza.
Se Jake non le avesse premuto la mano sulla bocca probabilmente a quell’ora le cose sarebbero andate diversamente, con Morgana intenta a danzare sui loro cadaveri e Phil tutto gongolante con tutto il suo tanto agognato oro tra le dita.
Ma le cose, fortunatamente per loro, avevano preso una piega diversa e, dopo aver strappato il cuore dal petto del bandito, Morgana era svanita nel nulla, maledicendo il suo servo per essersi fatto scappare il maledetto topo, ovvero lei.
Ector non aveva osato rispondere, limitandosi a trascinare il corpo privo di sensi di Phil verso il castello da cui era venuto.
Nel momento in cui il corpo sinuoso della Fata Oscura aveva lasciato la foresta, Eva e Jake erano rimasti immobili per quelli che erano sembrati minuti interminabili.
Nessuno dei due era riuscito a credere all’eventualità che Morgana non si fosse accorta di loro, che non li avesse visti o, perlomeno percepiti. Se ne era stata in quel sentiero, in compagnia di Phil e di Ector, senza chiedersi a chi appartenesse quei battiti cardiaci così accelerati.
Per un momento Eva aveva avuto la sensazione che si trattasse di un sogno, una sorta di illusione auto prodotta dal suo cervello ormai intaccato. Perché la Fata Oscura non poteva essersene andata a quel modo.
Solo pensarlo suonava strano e impossibile.
Eppure Morgana aveva manifestato il secondo punto debole della sua non più così invincibile corazza. Non solo la presenza di suo padre, il grande Killian Jones, riusciva ad annebbiare la sua vista; ora anche Jake sembrava sortire lo stesso, se non maggiore effetto.
Morgana aveva…un punto cieco.
Già…ma non era solo quello l’aspetto ad aver sconvolto entrambi i fuggitivi.  
Morgana aveva parlato dell’affetto che legava lei e Jake.
Com’era possibile che i sentimenti, non sentimenti, o qualsiasi cosa fosse ciò che provavano l’uno per l’altra, riuscisse ad annebbiare il potere di Morgana?
Affetto.
Quante cose poteva significare una semplice parola: una persona poteva provare affetto per un oggetto, per il proprio animale domestico. Si poteva provare affetto per una persona, un amico, un fratello, per la persona che si amava.
E loro? Che affetto provavano l’uno per l’altra al di là della palese e reciproca antipatia? Era un affetto di tipo familiare? Fraterno? Disperato? O qualcos’altro?
Ma chi poteva dirsi abbastanza coraggioso da intavolare un simile discorso?
Jake non pareva incline a un al dialogo ed Eva, ovviamente, non rappresentava un’eccezione.
Dopotutto, cosa avrebbero potuto dirsi? Lei non sapeva cosa provava per lui e la parola “affetto” sembrava così grande e, al contempo, così piccola da apparire del tutto inappropriata.
Nonostante ciò, durante tutto il tragitto, la giovane Swan non riuscì a pensare ad altro, fissando la mano ormai svincolata dalla stretta di quel palmo forte e sporco di sangue.
Una parte di lei voleva davvero parlarne, voleva capire il motivo che rendeva quella maledetta strega per la prima volta davvero debole ai loro occhi. L’altra parte però si chiedeva cosa ci fosse di meglio di una buona dose di profondo silenzio.
I pirati non parlano, non quando le cose si fanno serie almeno.
Dopo un’ora di cammino senza pausa, Eva aveva colto le prime avvisaglie di cedimento da parte del giovane Mills: il passo si era fatto più lento, finendo col rimanere indietro; il volto pallido e attraversato da smorfie di dolore; gli occhi spenti.
Ovviamente Jake non aveva perso tempo a dare una spiegazione ad ognuna di quelle sue accuse, come lui sembrava viverle: rimaneva indietro per coprirle le spalle; le smorfie si presentavano ogni qualvolta lei facesse rumore con quel passo da elefante, cosa che accadeva piuttosto spesso; e i suoi occhi erano stanchi di sentirla parlare.
Galante come al solito.
“Imbecille…” sussurrò a denti stretti la figlia del Capitano Jones.
Il loro affetto, sì come no. Jake era innamorato perso di lei e quelle erano semplici dimostrazioni di quanto fosse immane il loro amore.
Perfino Morgana, alle volte, riusciva a prendere dei granchi assurdi.
Infischiandosene del rumore emesso dai suoi stivali ricolmi di terra e fango, Eva stentava ancora a credere ai livelli di idiozia che quel ragazzo riusciva a raggiungere.
E con che razza di coraggio poteva dire che lei aveva un passo pesante. Sarebbe stata un ottimo acquisto per i Ribelli, se solo lei stessa fosse stata interessata a farne parte.
Avevano solo da perderne. L’idiota dietro di lei compreso.
Proseguendo verso la parte più interna della foresta, i due non si rivolsero un solo cenno di parola. Jake troppo distratto dai suoi pensieri; ed Eva….troppo occupata a lasciarsi infuriare dai suoi.
La principessa pirata si ritrovò ad aumentare la distanza tra loro, infischiandosene se i suoi passi apparivano meno aggraziati di quelli di qualsiasi ragazza Jake avesse avuto; e vista la mole di Diletta, il primato non era poi così facile da ottenere.
Un improvviso rumore alle sue spalle la fece sussultare, per poi rendere il suo sguardo offeso ancora più tagliente.
“E menomale che sono io quella che non sa attutire il passo vero…”
Nel momento in cui Eva si voltò per iniziare l’ennesima guerra verbale, ciò che vide riuscì a soffocare qualsiasi insulto stesse per lasciare le sue labbra.
Il corpo del giovane ribelle era riverso a terra, con il volto nascosto dal terreno su cui si era scontrato.
Cercando, invano, di rimettersi in piedi con l’aiuto di un’immensa radice d’albero alla sua destra, Jake emise un lamento straziante, il quale pareva aver finalmente dato voce a tutto il dolore fino ad allora trattenuto.
Ed eccolo lì.
Il dolore era arrivato.
Senza acclamazioni, senza appuntamenti.
Celere. Improvviso. Devastante.
Dimenticando tutta la rabbia che, fino a quel momento, aveva alimentato il suo orgoglio, Eva corse verso il ragazzo, inginocchiandosi ai suoi piedi e aiutandolo a posare la schiena sul tronco su cui aveva, poco prima, posato la mano insanguinata.
Solo in quel momento Eva si accorse di quanto grave fosse la situazione.
Con un gesto privo della delicatezza che probabilmente avrebbe caratterizzato qualsiasi altra ragazza, Eva abbassò la giacca di pelle nera e strappò l’orlo della maglia scura indossata da Jake, riuscendo così a mettere in luce la gravità di quella ferita fino a quel momento derisa.
La spalla era del tutto fuori posto e la caduta doveva aver peggiorato le cose, rendendo la visione di quell’osso qualcosa di disgustoso e innaturale. Sembrava che una malformazione si fosse impossessata del suo arto; l’osso era a contatto con la pelle, così vicino dal squarciarla in maniera netta, come una lastra di ghiaccio conficcata nella carne. Non poteva essere una semplice lussazione e lo sguardo di dolore di Jake ne era una dimostrazione.
Il sangue sgorgava copioso, inzuppando ogni strato di stoffa riuscisse a raggiungere.
Il colorito abbronzato, quasi bronzeo, del ragazzo aveva lasciato spazio al pallore tipico di chi era privo di forze, accompagnato da solchi neri sotto gli occhi.
Le iridi di Jake, così scure e cariche di sentimento, apparivano velate e lucide, come se una schiera di lacrime fosse pronta a riversarsi su quel volto.
Ma Jake non avrebbe pianto, Eva lo sapeva e probabilmente ne era consapevole l’intera Foresta Incantata.
“Non puoi proseguire…” la voce delicata, priva di sarcasmo.
“Si che posso…devo solo riposare un attimo…” lanciandole uno sguardo altezzoso, Jake cercò di posare una mano sulla spalla ferita e rimettersi in piedi, incontrando però l’opposizione della giovane Jones “Che fai?!”
“Non. Puoi. Proseguire”
“Ah bene…immagino che allora sia arrivato il momento di lasciarmi qui!”
Il tono di voce pareva voler essere di sfida, ma l’unica cosa che raggiunse l’orecchio e il cuore della ragazza fu la sfumatura carica di preoccupazione.
Aveva paura di essere lasciato indietro. Temeva che lei lo avrebbe abbandonato lì, continuando a fare quello che aveva sempre fatto: contare unicamente su sé stessa.
Del resto come biasimarlo. Lei lavorava da sola; a meno che nei paraggi non ci fosse stato suo padre.
Ma come gli aveva detto poche ore prima in attesa del loro boia, lei non era una stupida.
Orgogliosa, permalosa, forse addirittura ingenua in alcuni aspetti, ma assolutamente non stupida.
Imparava quasi sempre dai suoi errori, come le aveva insegnato a fare la sua famiglia e, nonostante spesso faticasse ad ammettere di avere torto, quando lo faceva si impegnava anima e corpo per non ripetere lo stesso sbaglio.
Con Jake aveva già sbagliato, lo sapeva, forse più di quanto lui avrebbe mai compreso. Lo aveva capito quando si era trovata così vicina dal perderlo; quando aveva sentito le sue parole cariche di rimpianto. Quando aveva scoperto che quello che aleggiava tra loro non era odio e disprezzo ma semplice e pura solitudine, mista a qualcosa di non ben definito.
Non si era fidata di lui e questo era stato l’errore che aveva portato entrambi a pochi metri dalle grinfie di Morgana.
Deglutendo in maniera secca, Eva si sedette di fronte a Jake, ritrovandosi ad appoggiare una mano sul suo ginocchio.
Jake la fissò, lo sguardo sbarrato, per la prima volta preso alla sprovvista. Non lo aveva mai toccato, non intenzionalmente, non senza la paura di venire inseguiti da Phil o dai soldati di Morgana.
A ben guardare, da quel tuffo dal precipizio della radura, non avevano mai avuto un solo istante di tranquillità. C’era sempre stato qualcosa, il pesante fiato sul collo di qualcuno che li inseguiva o di qualcosa che non andava, come il breve soggiorno presso il villaggio degli orchi.
Nemmeno in quel momento, con solo foglie e tronchi d’albero come scudo, non erano immersi nella tranquillità.
Avrebbero mai avuto la fortuna di godere di un momento di pace? E, se così fosse stato, come si sarebbero comportati? Cosa si sarebbero detti?
“Non ti lascerei mai indietro…” la Jones lo guardò dritto negli occhi, serrando le labbra, con fare serio.
“…ma dovrai farlo” quella che ad orecchio inesperto sarebbe sembrata una domanda, in realtà era una triste e fredda affermazione.
Non vi era bisogno di alcuna risposta confortevole, non per lui.
Sembrava una premonizione; qualcosa di già scritto e impossibile da modificare.
Jake aveva capito fin troppo bene la gravità della sua ferita. Avvertiva chiaramente l’offuscamento derivante dall’infezione; il modo in cui i suoi sensi divenivano sempre meno istintivi, sempre meno presenti. Il battito cardiaco sembrava accelerare ad ogni istante e il modo in cui la sua mano destra continuava a tremare decretava la fine di ogni dubbio.
“Non credo proprio…” Eva si ritrovò a ridere di fronte a quella sciocca eventualità.
Rideva.
Maledizione, ci mancava quel sorriso per fargli annebbiare ancora di più il cervello, così bello da riuscire ad oscurare quello di qualsiasi principessa, regina o fata dei boschi esistente.
“Eva non…”
“Non cominciare ti prego” lo bloccò con un gesto della mano, la stessa che fino a quel momento era rimasta sul suo ginocchio “…non sono il tipo che ama discorsi smielati sull’importanza del sacrificio…”
“Strano…l’ultima volta mi sembrava che questo genere di discorsi ti piacesse…”
Ed eccolo quel sorriso malizioso che doveva aver fatto sciogliere il cuore della gran parte delle ragazze che lo aveva incrociato. Doveva aspettarselo che quel Ribelle non avrebbe fatto trascorrere troppo tempo prima di tirare fuori la storia del loro bacio.
Neppure una ferita infettata sembrava essere troppo dolorosa da zittire quella bocca prepotente e maledettamente invitante.
“Non so a cosa ti riferisci…” il volto in fiamme tradiva il tono di voce altezzoso della giovane Jones.
“Se vuoi possiamo…”
“Zitto!” con la sola forza dell’indice, puntato verso quel volto la cui malizia era annebbiata dal sudore del dolore, Eva bloccò qualsiasi parola stesse per uscire dalla bocca del ladro-guerriero “…o giuro che invece di guarirti ti tolgo quel sorriso dalla faccia a suon di pugni!”
Nel sentire quella minaccia il volto di Jake si fece pallido. Stranamente, però, non furono i pugni a preoccuparlo, ma qualcosa di ben diverso e di solitamente allietante alle orecchie di chi soffriva a quel modo.
“Tu non guarisci nessuno!” il tono secco, qualsiasi traccia di divertimento del tutto svanita.
“Sì invece…”
“Ti ha dato di volta il cervello forse?...se usi la magia Morgana ci troverà. Dio solo sa per quale motivo non ci ha visto prima…”
“Lo ha detto il motivo…” Eva lasciò fuoriuscire quelle parole con la stesa facilità con cui, di solito, lanciava occhiatacce a chiunque la innervosisse; e, ovviamente, se ne pentì nello stesso momento in cui le sentì echeggiare in quella notte infinita, illuminata unicamente dai raggi della luna.
Entrambi rimasero in silenzio, agghiacciati da quelle parole.
Maledizione, perché riusciva sempre a mettersi in situazioni così maledettamente difficili?
“Già…lo ha detto…” gli occhi dei Jake divennero improvvisamente due pozzi oscuri, così espressivi da dare l’impressione di essere un reale varco verso la sua anima “…ma se continui a fare la stupida…”
“Stupida?!” lo interruppe la Jones, sussurrando quelle parole piena di collera “….io voglio aiutarti e tu mi chiami stupida? Ma che razza di problema hai?”
“Sei tu il mio problema…continui a fare di testa tua non ascoltando per un solo momento quello che ti viene detto!”
“Forse perché quello che mi viene detto è incredibilmente idiota!”
“…sei impossibile!”
“Mai quanto te!”
Per un attimo i due si fissarono, come un lupo ed un leone pronti ad attaccare di fronte al minimo segno di movimento.
Iridi verdi riflesse in pozzi nero pece.
Neppure il soffio tenue e freddo del vento sembrava riuscire ad attirare il minimo interesse. Nessuno sembrava volersi arrendere, nessuno sembrava voler cedere il posto alla minima tregua.
Fino al momento in cui, per la prima volta, l’orgoglio nel cuore del lupo fece spazio alla umanità.
“Ascolta…” esclamò Eva spostando nervosamente i lunghi capelli scuri dietro di lei “…la ferita si sta infettando e il modo in cui ti fuoriesce l’osso è una delle cose più disgustose che abbia mai visto. Devi fidarti di me…”
“Io…”
“Hai promesso a mia madre che non mi avresti mai abbandonato…” lo interruppe nuovamente Eva, non apparendo però stoica e inflessibile come poco prima …”ma se non lasci che ti guarisca…non durerai a  lungo…e lo sai!”
Jake indurì la mascella, furioso nel vedersi sconfitto dall’arida realtà di quelle parole.
“Se usi la magia Morgana arriverà di corsa….”
“Non possiamo saperlo…forse…forse non riuscirà a vederci comunque!” gli rispose, deviando su ciò che realmente li mascherava dalla strega “…ma sarebbe stupido non provare…”
Il silenzio scese nuovamente su di loro, lasciando che un maestoso gufo reale prendesse il comando di quella nottata, avvolgendo con il suo grave e breve bubolo l’intera foresta; che fosse un richiamo o un avvertimento per un uccello invasore poco importava, quel suono riusciva a far irrigidire i nervi di chiunque, pirata e ladro compresi.
Fu Jake a rompere quell’atmosfera silenziosa, non sapendo di aver attirato su di sé i ringraziamenti della giovane di fronte a lui.
“Bè…che stai aspettando, non sei di certo il tipo che chiede il permesso…!?”
“…ti ho promesso che non avrei più usato la magia…e io le promesse le mantengo…quindi….”
“….quindi hai bisogno del mio consenso?!” concluse Jake, a dir poco incredulo “..,prima con Phil però la stavi per usare…o sbaglio?!”
“Eventi di forza maggiore…non era una mia scelta!” si difese immediatamente.
“Continuo a dire che tu hai qualcosa che non va…”
“Perché sono una di parola?”
“Diciamo che non sembri il tipo che dà valore alle promesse…sei un pirata no?!”
“Per metà…”
“Quindi la metà Swan ti porta a mantenere fede alla parola data?!”
“Questo…e diciamo che la parte Jones mi tiene il più lontana possibile dal promettere qualcosa!”
Jake si ritrovò a sorridere.
Quella ragazza era una continua fonte di sorprese e il modo in cui il suo cuore continuava a battere di fronte al suo sguardo puntato addosso gli faceva ben intendere in che razza di assurdo guaio si stesse per cacciare.
Già…come se ne fosse mai uscito davvero.
“Ok…guariscimi. Ma se ci trova dovrai scappare e lasciarmi qui…Chiaro?!”
Eva sorrise a sua volta, ma ciò che il giovane Mills vi lesse fu qualcosa di ben diverso dall’arrendevolezza di chi accettava quel semplice ordine.
Eva era una ribelle.
Non una qualsiasi; non una di quelle senza cervello alla continua ricerca di avventura.
No, lei era uno spirito libero, una di quelle persone impossibili da legare a qualcosa o a qualcuno, impossibili da trattenere. Bisognava limitarsi ad assaporare la loro presenza tra le dita e sperare che rimanesse il più a lungo possibile.
Era simile al vento che soffia tra i capelli nelle dirompenti tempeste: per quanto si cercasse di domarlo, alla fine il vento finiva per prendere le sue decisioni, andando nella direzione che preferiva e nel momento che più lo aggradava.
Era come l’acqua del mare, impossibile da trattenere, impossibile da stringere tra le braccia.
Lei era come il vento…era come l’acqua.
E lui…lui invece era semplicemente l’uomo che cercava di tenerla tra le dita, sfidando inutilmente le leggi della natura.
Il contatto delle dita di Eva sulla sua spalla, riportò il giovane alla realtà obbligando i suoi occhi a posarsi su quelle dita dalle unghie corte e poco curate. Sembravano le mani agili di un artigiano e non quelle di una principessa; ma al principe dei ladri andava bene così.
“Allora…comincia pure…” la incalzò Jake, cercando di scacciare quei pensieri dalla mente.
 
***
 
 
“Non c’è che dire…in quanto ad uscite teatrali vostra figlia ne sa molto più di voi!”
Il tono secco e tagliente di Regina echeggiò all’interno del salotto, arrivando forte e chiaro alle orecchie dei due genitori, fermi nello stesso punto che avevano occupato prima che la loro figlia uscisse furiosa da quella stanza.
Con aria preoccupata, Emma lasciò vagare lo sguardo all’interno della stanza, prendendo atto di quello che era appena successo. Il divano era finito dal lato opposto della stanza; un vaso acquamarina, fino a poco prima integro, ora giaceva a pezzi ai piedi delle costose scarpe di Regina. Fogli a terra; sguardi sbarrati.
Per quanto cercasse di controllare la sua mente, la giovane Swan si ritrovava a ripetersi sempre la stessa domanda: Che diamine era accaduto?
Un momento prima, discutevano con Nimue sul modo migliore per sbarazzarsi di quella maledetta e ingombrante sorella e, nel giro di un battito di ciglia, Regina e la nuova arrivata si erano ritrovate a due millimetri da un incontro diretto con la magia di Eva.
La magia di sua figlia; una magia oscura.
Persino per la Salvatrice era piuttosto difficile ingoiare un simile rospo.
Certo, lei non era il genere di persona che innalzava sé stessa su di un piedistallo di bontà; dopotutto, anche lei possedeva un lato oscuro, ne era convinta; gran poche persone al mondo potevano definirsi totalmente buoni; forse suo figlio Henry rappresentava l’unica eccezione alla regola.
Ma la magia di Eva, la magia che le aveva visto usare poco fa; quella era magia oscura e, per quanto si sforzasse di leggere una spiegazione a tutto ciò, le risultava quasi impossibile.
“Lei…lei non sapeva com’erano andate le cose…” esclamò Biancaneve, avvicinandosi al corpo immobile della figlia “…era convinta che Emma fosse stata uccisa da Morgana…non è così?!”
“Sì…probabilmente nessuno era a conoscenza del sacrificio della Salvatrice…” rispose Nimue, con il suo solito tono freddo e distaccato “…tranne Regina!”
Gli occhi di tutti i presenti si posarono sulla figura del sindaco di Storybrooke, la quale era intenta a sfogare la sua rabbia sulla manica impolverata del suo abito.
Avvertendo lo sguardo della famiglia azzurra e della mascotte pirata su di sé, la bella Mills alzò lo sguardo di fuoco sui presenti, lasciando ben poco spazio all’immaginazione su quale fosse l’umore del momento. 
“Non guardate me…io sono la versione poco informata che, guarda caso, necessita di risposte!” esclamò graffiante la sovrana, stringendo le labbra con fare autoritario “Ho il presentimento che poco fa, quando Eva ha parlato di mio figlio, non si stesse riferendo ad Henry…Avrei gradito sapere che avrò un figlio che si sacrificherà per il bene di tutti. Quando pensava di dirmelo la tua figlioletta in crisi adolescenziale?!”
“Regina…” la voce irritata di Emma.
“Regina un corno Emma. Tu ora te ne stai qui sconvolta non sapendo come consolare tua figlia; ma qualsiasi cosa le dirai troverai il modo per riavvicinarti a lei. Io…io avrò un figlio…e non ne sapevo niente!”
“Non capisco Regina…sei più sconvolta dal fatto che avrai un figlio tuo con il Principe dei Ladri…o dal sapere che morirà?!”
Poteva una domanda simile, posta con il tono elfico e musicale della sorella di Morgana, accendere le fiamme assopite nell’animo di una persona?
Probabilmente no, a patto che quella persona non rispondesse al nome di Regina Mills.
Lasciandoci invadere dalla rabbia, Regina fece un semplice passo avanti, ignorando il suono emesso dai tacchi a contatto con i vetri rotti sparsi nel pavimento. Stringendo ancor di più le labbra, alzò la mano destra, rivolgendo il palmo verso l’alto e, con una classe impareggiabile, creò una sfera di fuoco, il cui destinatario sembrava infischiarsene del bersaglio dipinto sulla sua testa.
“Mi sono stancata di te…”
“Oooook…” esclamò Biancaneve, posizionandosi celermente davanti al corpo furioso della matrigna “…penso sia il caso di dividersi e cercare Eva…che ne pensate?! Scoprire che la propria madre si è uccisa non è una cosa semplice da digerire…né per i suoi genitori…né per sua figlia”
“È meglio dividersi!” acconsentendo silenziosamente alle parole del genitore, Emma si avvicinò alla sedia su cui aveva posato il cappotto. In fin dei conti, rimanere lì a rimuginare sulla magia di Eva non avrebbe di certo risolto le cose.
L’avrebbero trovata e, come aveva gentilmente fatto notare Regina, avrebbero chiarito le cose. Dopodiché si sarebbero occupati di Morgana, approfittando dell’entrata di scena di Nimue.
Nonostante il piccolo intoppo, le cose si stavano muovendo e non a vantaggio di quella maledetta strega arrivata dal futuro.
Arricciando le labbra con fare frustrato, Regina fece sparire la palla di fuoco con un semplice gesto della mano, senza però far minimamente assopire le fiamme che divampavano sulle sue penetranti iridi d’oro nero.
“Ok…come ci dividiamo?“ chiese il Principe Azzurro, lanciando uno sguardo verso la moglie, la quale non aveva smesso i panni di muro protettivo, rimanendo immobile davanti alla figura di Regina.
“Io vado con la nuova arrivata nella foresta…” esclamò il sindaco, lasciandosi andare ad uno dei suoi temibili e agghiaccianti sorrisi.
Luogo deserto. Regina da sola con Nimue.
Perfino Brontolo avrebbe compreso le intenzioni di Regina.
“Perfetto…Nimue…tu vieni con me e Uncino..” esclamò Azzurro, quasi ignorando la voce della sovrana “…voi tre invece…bè…andate dalla parte opposta della nostra!”
David posò la mano sulla spalla magra della “non fata”, alzando le sopracciglia, come a voler augurare buona fortuna alle due donne della sua vita, le quali si sarebbero trovate nel pieno del fuoco dirompente dell’ex cattiva di Storybrooke.
Non c’era da invidiarle.
Dopotutto, però, come biasimarla? Persino lui, che vantava un certo autocontrollo, avrebbe faticato non poco a digerire una simile informazione.
Regina avrebbe avuto un figlio che, a quanto detto da Eva, sarebbe morto per salvare tutti loro. Come si poteva reagire in maniera serena ad una simile informazione?
Ma la cosa sembrava non ammorbidire affatto il volto di Nimue, la cui schiettezza non sembrava essere dettata unicamente dall’ingenuità.
Ovviamente la sorella di Morgana non poteva rappresentare un modello di bontà, sarebbe stato strano il contrario; come si diceva, la mela non poteva cadere molto lontana dall’albero e Nimue non rappresentava l’eccezione. Perfino la parentela tra Zelena e Regina ne era un esempio. Certo, la Regina di oggi era totalmente diversa dalla Evil Queen che avevano conosciuto nella Foresta Incantata; ma stava di fatto che l’inclinazione al male era assopita in entrambe le donne e, per quanto si vergognasse a pensarlo, qualcosa di simile doveva pur legarle. Lo stesso valeva per lui no?
Ovviamente, però, la forza di volontà e il cuore di una persona potevano sconfiggere il male insito in ognuno, Regina e Killian ne erano un perfetto e valoroso esempio.
Ovviamente David non avrebbe espresso ad alta voce quella considerazione, soprattutto in presenza del pirata; non al momento almeno.
Ignaro dei pensieri che affollavano la mente del principe, Killian Jones si avvicinò alla figlia di quest’ultimo, cingendole con l’unico la vita sottile, attento a non ferirla.
“Swan…va tutto bene?!” il tono dolce e profondo, come solo quello del pirata sapeva essere.
Lasciandosi incatenare da quei profondi occhi color blu oceano, Emma alzò lo sguardo in direzione di Killian, prendendo la mano del pirata.
Chi l’avrebbe detto che si sarebbe sentita così a suo agio da fare un simile gesto in presenza di altre persone, i suoi genitori compresi.
“Diciamo che avrei preferito che Eva lo scoprisse in maniera…come dire…meno brusca!”
“Già…ti capisco tesoro. Ma ho paura che nostra figlia abbia ereditato parte della mia impulsività...e del mio lato o…”
“Shh…ti prego…” Emma posò un dito sulla bocca del pirata, porgendogli uno dei suoi semplici ma indimenticabili sorrisi “…non ha ereditato nulla di oscuro da te…perché non c’è nulla di oscuro da ereditare. Si è arrabbiata…e aveva tutte le ragioni per farlo. Il fatto che poi sia nata senza magia e che la mia versione futura l’abbia costretta ad accogliere la sua…bè…probabilmente avrà avuto un qualche effetto sulla sua personalità…”
“Pensi che non fosse destinata ad avere la magia?”
“Penso che le nostre versioni future abbiamo dato troppo peso a questa profezia…” il tono sicuro della Salvatrice catturò l’attenzione di tutti i presenti.
Gli occhi verde giada della figlia di Biancaneve sembravano brillare di luce propria, riuscendo ad accendere a loro volta le iridi blu mare del capitano della Jolly Roger dritto davanti a lei.
Eccola lì la sua Swan, la donna forte e coraggiosa che aveva scalato l’albero di fagioli insieme a lui; la donna che aveva portato il lieto fine in molti cuori, compreso il suo; la donna che avrebbe spezzato la maledizione che aveva oscurato il loro futuro.
La donna che li avrebbe liberati da Morgana.
La Salvatrice.
 
 
 
 
***
 
Jake le aveva dato il permesso di guarirlo.
Nessuno aveva ancora osato interromperli, attaccandoli con asce, incantesimi o bastonate alla testa.
Cos’altro poteva andare storto?
Ah già…Eva Jones non aveva mai usato la magia per guarire qualcuno.
Ed ecco comparire i primi segnali di preoccupazione.
Lei voleva guarirlo, certo; ma come si guarisce una persona con la magia? C’era un rito particolare da seguire? Si doveva pronunciare una qualche formula o muovere le dita in un modo particolare?
Possibile che solo ora realizzava di non averlo mai fatto? Poteva una persona essere più stupida di così?
Non aveva mai usato il suo potere per curare una ferita e una piccola, quanto infida parte di lei, continuava ad urlarle che non ne sarebbe mai stata capace. Dopotutto lei aveva la magia oscura dentro di sè e, per quanto si sforzasse di ignorarla, avrebbe sempre fatto parte del suo spirito.
Nessun cattivo usava la magia per guarire e questo, purtroppo, era un dato di fatto.
Tentando di concentrare le sue forze su quello che era il suo volere, Eva serrò gli occhi, con la speranza di mettere un muro tra lei e il mondo esterno; la magia si concentrò sulle sue dita sottili e sui palmi sporchi.
Lentamente, la sensazione di una debole scarica elettrica raggiunse ogni cellula del suo corpo, dandole l’impressione di essersi finalmente ridestata da un sonno troppo lungo e troppo profondo.
Il potere era lì, dentro di lei, le solleticava le dita, come una miriade di formiche intente a camminare sui suoi palmi.
Sentiva di potercela fare, ma qualcosa non andava. Per quanto la magai fosse pronta ad agire, c’era qualcosa che la bloccava, come una forza che si ostinava a non seguire il suo volere.
Scrollando le mani con fare frustrato, Eva si sistemò sulle ginocchia, avvicinandosi di qualche centimetro al corpo di Jake, ma evitando sempre di posare lo sguardo sul suo volto.
L’ultima cosa di cui aveva bisogno era vedere la delusione in quegli occhi scuri.
O, ancora peggio, la derisione.
Inspirando l’aria fredda della notte, Eva serrò nuovamente le palpebre.
Guariscilo. Guariscilo. Guariscilo.
Continuava a ripetersi quelle parole dentro la mente, con insistenza, con urgenza; ma nulla sembrava rispondere a quella richiesta.
Un improvviso silenzio sembrava essere disceso dentro di lei, rendendola del tutto inutile. Le mani avevano smesso di solleticare.
Nessuna scarica di magia, nessuna sensazione di leggerezza o di potere.
Il nulla.
La giovane Jones era pronta a sbraitare e ad alzarsi dando libero sfogo alla sua rabbia, quando la mano di Jake si posò sulla sua, la stessa che fino a quel momento aveva tenuto sopra la ferita del giovane, con la speranza di farla sparire.
Aveva la pelle calda, troppo calda per appartenere a qualcuno nel pieno delle forze.
D’istinto, Eva alzò lo sguardo su di lui, notando che aveva chiuso a sua volta gli occhi.
“Ti agiti troppo…”
“I…”
“Ti agiti troppo!” Jake bloccò qualsiasi rimostranza, tenendo la mano sopra la sua ed accennando un debole sorriso “…sei sempre così agitata Jones!”
“Non sono agitata…” il tono ostinato di sempre.
“Sì invece…sei sempre agitata. Arrabbiata. Irritata…” le parlava senza mai aprire gli occhi e senza accennare a volersi togliere quel sorriso dalle labbra; forse l’infezione aveva già raggiunto il cervello “…dovresti trovare qualcosa che riesca a rilassarti…”
“Non ho bisogno di rilassarmi…”
“Lo vedo…” Jake aprì un solo occhio, come a voler sbirciare la sua reazione.
“Il mio ciondolo mi rilassa…ma guarda un pò…l’ho perso…”
“Lo ritrovo il tuo ciondolo Jones…te l’ho promesso. Ma adesso devi rilassarti lo stesso…e non puoi legare la tua magia e la tua concentrazione ad un oggetto…”
“Ah no?...e perché?”
“Perché un oggetto puoi perderlo…e se vuoi usare la magia devi riuscire a concentrarti. E, guarda un po’, non ti concentri se non ti rilassi…”
“E queste cose le sai…” lo incitò a concludere la frase, con un’occhiata tutt’altro che comprensiva.
“…perché sono il figlio di Regina e ne so molto più di te in fatto di magia?!”
Questa era bella. E perché mai Regina si era presa il disturbo di insegnare i dogmi della magia al figlio che magia non ne possedeva? Che senso aveva dare certe informazioni a Jake?
Forse sperava che riuscisse ad aiutare Rowan? Visto che lui di magia sembrava possederne più di lei visti i geni materni.
O forse non vi era alcun motivo, e le idee di Regina non sempre seguivano una logica comprensibile.
Anche l’ex sindaco di Storybrooke, dopotutto, era alquanto strano.
“Bene…maestro” esclamò la giovane, con derisione “…cosa devo fare? Incrociare le gambe e divenire un tutt’uno con la natura?”
“Povero l’uomo che ti sposerà Jones…ha tutto il mio sostegno!” Jake alzò gli occhi al cielo, cercando di ignorare il dolore sempre più accecante “…Devi cercare di concentrarti…dico davvero!”
“Pensi che non ci abbia provato…c’è qualcosa che blocca la magia!”
“Forse sei troppo preoccupata…Pensa a qualcosa che ti faccia stare meglio. Qualcosa che…ti tolga un peso. Sei preoccupata per tuo padre?...per Henry?!”
“Sono sempre preoccupata per loro…” Eva abbassò lo sguardo, fingendo di concentrarsi su un ciuffo d’erba ai piedi degli stivali di Jake “…ed Henry…”
“Anch’io sono preoccupato per lui…ma so anche che Henry è un tipo ingamba e sono gran poche le cose che lo spaventano”
“Già…ma manca da più di un mese…e nessuno sa che fine abbia fatto…”
“Manca da 56 giorni “ gli occhi di Jake puntati sul volto di lei “ …io dovevo andare con lui. Eravamo insieme quando quella fata ci aveva imbambolati con la storia di un’arma leggendaria…”
Ricordava perfettamente quel giorno; le parole speranzose di una fata gravemente ferita, la cui morte improvvisa, ora come ora, era impossibile non collegarla a Diletta.
Quello fu il primo giorno in cui perfino lui, Jake Mills, aveva cominciato a sperare, a condividere la fede del fratello su una loro possibile vittoria.
“Entrambi volevamo partire al più presto…” continuò il ribelle “…e avevamo già preparato tutto per il viaggio…”
“Perché non sei partito con lui?!” nessuna accusa nel tono di Eva.
“Come sempre tuo fratello è riuscito a convincermi a fare quello che voleva. Riteneva fosse più importante che rimanessi con Roland e Row…e così finì col mettermi a capo dei Ribelli. Lui partì…alla ricerca di questa fantomatica arma…così potente da riuscire ad  uccidere Morgana…quindi probabilmente inesistente. Non so chi dei due sia stato più idiota!”
Jake si fece improvvisamente silenzioso, disorientato dallo sguardo sconvolto di Eva. Era stupore per aver scoperto che il fratello non doveva partire da solo? Stava per ucciderlo per essere rimasto?
“Non può essere…”
“Io…” cominciò il ragazzo, cercando le parole adatte per giustificare un comportamento che nemmeno lui aveva mai accettato reamente “Io volevo seguirlo…davvero…ma…”
“L’arma in grado di uccidere…Morgana…”
Stupore e rabbia per essere rimasto e aver fatto partire Henry da solo? No di certo. I figli di Emma non potevano che condividere la stessa speranza di trovare una simile arma. Stupido lui a non averci pensato subito.
“…era la convinzione di una fata in punto di morte Eva…”
“E non trovi sia curioso che sia la stessa cosa che Tremotino mi ha detto di cercare?”
Entrambi rimasero in silenzio, ammutoliti da quelle parole.
“Dopo…dopo che siamo caduti dal dirupo della riserva dei Ribelli…e che me ne sono andata…” ricominciò a parlare la giovane, glissando magistralmente sulla prima bastonata che Jake si era beccato in testa dalla sua compagna di viaggio “…Tremotino mi è apparso. All’inizio pensavo fosse un’illusione…”
“Ma guarda un po’…così hai visto il Signore Oscuro!” la derise Jake, controllando una smorfia di dolore “…sbaglio o quando te l’ho chiesto mi hai dato del pazzo visionario?”
“Vuoi che continui o preferisci morire qui da solo?”
Jake si limitò ad alzare gli occhi al cielo. Non c’era che dire, dovevano lavorare sulla permalosità reciproca.
“Dicevo…ho visto Tremotino, il Signor Gold in persona…In qualche modo è riuscito a proiettarsi nel futuro. Mi ha detto che esiste un’arma con la quale avrei potuto uccidere Morgana…ma che era presente nel passato e che...che per arrivarci avrei dovuto viaggiare nel tempo e che…”
“Il Signore Oscuro ti ha aiutata…così, guidato dal buon cuore…”
“Anch’io all’inizio ero scettica…ma poi ha detto che lo stava facendo solo per aiutare sé stesso…per non morire per mano di Morgana come invece aveva visto sarebbe successo. E per…per aiutare Baelfire…”
“Suo figlio?...ma…lui è…”
“Morto…già…ma quel Tremotino era ancora convinto di riuscire a ritrovarlo…” esclamò Eva, consapevole di come le parole di sua madre lo avessero indotto, inconsapevolmente o meno, a credere ad un lieto fine per la sua famiglia “…Mi ha detto che dopo aver trovato gli ingredienti…una lacrima di Zelena, una delle perle della Regina Bianca e l’Atto di Fede di chi non crede…e dopo essermi fatta aiutare da tua madre, sarei…sarei potuta andare nel passato, trovare quest’arma e…e salvare tutti!”
“Senza chiederti nulla in cambio?!”
“S-sì…”
“Pensavo avessi smesso di mentirmi Jones…”
“Io non mento…”
“Omettere la verità equivale a mentire…se non lo sai!”
Eva rimase in silenzio, combattuta e irritata.
Senza rendersene quasi conto aveva finito con lo svelare a Jake l’accordo stretto con Tremotino. Non aveva dovuto sforzarsi poi molto per trovare le parole; al contrario le aveva sentite uscire dalle sue labbra con estrema facilità, come lo scorrere del fiume Lyn, le cui sponde, un tempo, erano visibili dalla sua cameretta nel castello dei nonni.
Si fidava di lui e, per quanto cercasse di nasconderlo a sé stessa, era dalla sera in cui erano partiti dal villaggio di Phil che voleva parlargliene.
Poi le cose si erano fatte così difficili da mettere tutto in secondo piano, persino il suo obiettivo.
“Primo…non avresti dovuto accettare un accordo con Tremotino…” esclamò Jake, interrompendo il flusso dei suoi pensieri “…ma probabilmente io avrei fatto lo stesso quindi non starò qui a incolparti!”
“Secondo?” lo incalzò la giovane, fingendosi annoiata.
“…non avresti dovuto avere la presunzione di poter fare tutto da sola…” il tono schietto di sempre, senza troppi fronzoli o giri di parole.
Avrebbe potuto innamorarsi di un tipo così.
-Innamorarmi….dico ma che diavolo vado a pensare…- si rimproverò la giovane, arrossendo vistosamente.
“E a chi avrei dovuto chiedere aiuto? Nessuno sarebbe potuto venire con me nel passato. Tremotino ha detto che incontrare la propria versione passata avrebbe scatenato il caos….ero l’unica non ancora nata nel periodo…”
“L’unica?” la interruppe alzando le sopracciglia scure “…non mi sembra tu sia l’unica figlia degli eroi di Storybrooke mia cara…”
“T-tu?” gli chiese, scettica “…tu non verrai con me!”
“E perché no? Tu rovineresti l’intero universo se te ne andassi a spasso nel passato senza di me…”
“Ah…ma non farmi ridere…me la cavo benissimo da sola!”
“Nel giro di due giorni ti farai odiare da tutta Storybrooke con quel tuo modo di fare arrogante e prepotente!” la derise, posando involontariamente una mano sopra la ferita “…perfino da Henry…ci potrei scommettere!”
“Io so essere gentile se voglio...”
“Il problema è che non lo vuoi per la maggior parte del tempo Jones. Verrò con te…lo vuoi anche tu, altrimenti non me ne avresti parlato”
Eva si ammutolì di fronte a quelle parole.
Dopotutto come dargli torto? Aveva ragione, desiderava dirglielo per poter condividere con lui quel fardello troppo grande. Ma allora perché si sentiva in colpa?
E se gli capita qualcosa? E se muore nel tentativo di aiutarmi?
“Smettila di accollarti ogni tipo di responsabilità Eva…” la redarguì Jake, leggendo quasi nella sua mente e posando nuovamente la mano sulla sua “…non puoi controllare il destino di tutte le persone che ti stanno accanto…non puoi difendere tutti e tenerli lontani da ogni male. Ognuno ha il diritto di percorrere la propria strada. Henry aveva il diritto di partire per cercare qualunque cosa riuscisse ad aiutare chi ama. Mia madre e tuo padre avevano il diritto di partire per aiutare il figlio che li lega a tua madre. E io ho il diritto di venire nel passato con te e di aiutarti a trovare questa maledetta arma…qualsiasi cosa sia…”
“E se ti succede qualcosa? Tremotino ha detto che non esiste nessun modo per tornare qui…una volta uccisa Morgana questo futuro svanirà e con esso ogni traccia delle persone che abbiamo amato…o almeno la loro versione futura...”
Cos’era quella, preoccupazione? Eva Jones si stava preoccupando per lui? No, non poteva essere, e neppure il battito cardiaco accelerato era reale.
“Non mi succederà niente Jones…e se il nostro destino è quello di rimanere nel passato…così sia…”
Ma non potevano rimanere lì, era stato lo stesso Tremotino a dirglielo. Era per quel motivo che le aveva dato il veleno, il veleno di cui non aveva ancora fatto parola.
Il veleno che aveva perso nella lotta contro il Furetto.
Perché non gliene parlava? Perché non riusciva fidarsi totalmente di chi aveva davanti? Perché continuava a tenere per sé le cose più difficili?
“…e poi…me la so cavare piuttosto bene, come te del resto!” un sorriso provocante illuminò il viso del ragazzo, facendo arrossire vistosamente la figlia del pirata.
Vedere che qualcuno la reputava una persona forte e ingamba era qualcosa in grado di farla sciogliere lì, seduta stante.
Maledizione. Maledizione. Maledizione.
“Penso…penso sia una spada….Excalibur per essere precisi!”
E il premio come miglior esperta di fuga da argomenti scottanti va a: Eva Teresa Jones, signore e signori.
“Potrebbe essere, se questa spada sarà forte almeno la metà di quanto…dicono Morgana non avrà alcuna speranza.…”
Le sorrise.
Chissà se Jake sapeva quanto potere risiedeva dentro quel sorriso e chissà se Eva conosceva l’effetto che le sue delicate labbra stese riuscivano ad avere sul ragazzo di fronte a lei.
Abbassando lo sguardo sulla sua mano Eva vide il suo palmo brillare di una luce bianca, simile ai raggi del sole di un’alba insediata nei meandri dei suoi ricordi.
“La mia magia…”
“Ti sei rilassata…”
“N-non è…non è nera…” Eva sentiva gli occhi lucidi e colmi di lacrime di gioia “…non è magia oscura…”
“No…non lo è Jones!”
Mordendosi il labbro carica di emozione, Eva buttò l’aria fino a quel momento trattenuta e, chiudendo lentamente gli occhi, posò la mano sulla spalla del ragazzo, usando la magia per guarirlo dalla ferita.
Jake riuscì ad avvertire fin da subito il cambiamento.
Un insolito calore cominciò pian piano a propagarsi lungo tutta la spalla, raggiungendo ogni singola terminazione nervosa del suo braccio. Era qualcosa di incredibilmente piacevole, come la carezza di una piuma: quasi impossibile da percepire, ma al contempo straordinaria.
“Mi dispiace interrompervi ma…vi stavo cercando!”
Ed eccola lì.
L’ennesima interruzione, l’ennesima fine di quel guadagnato ma mortale momento di tranquillità.
 
***
 
Emma chiuse la telefonata, infilando nuovamente il cellulare nella tasca del suo cappotto.
“Era Killian…” spiegò la Salvatrice, rivolgendosi alle due donne poco più avanti di lei “…sono vicini al Troll Bridge. Hanno detto che lì non c’è nessuna traccia di Eva. Vanno a dare un’occhiata al confine…!”
“E non sembra essere nemmeno qui al parco” si aggiunse Biancaneve, preoccupata “…Forse stiamo cercando nei posti sbagliati…”
“Hai detto di iniziare dai posti che avrei scelto io…evidentemente non abbiamo le stesse preferenze in fatto di nascondigli!”
“Forse ha preso dal ramo paterno…” esclamò Regina in tono annoiato, sorpassando la panchina sui cui molto tempo fa Emma si era rifugiata, soffocata dal rimpianto di non poter far ritorno a New York insieme a Henry.
Quante cose erano cambiate.
“Hai ragione…” sussurrò a fior di labbra Emma, bloccandosi sul posto, catturando su di sé gli sguardi delle due improbabili compagne di ricerche “…Eva è cresciuta con Killian….lei…lei non si calma in mezzo alla foresta o in un parco…” continuò la bionda, osservando un punto cieco davanti a sé “…lei…è come Killian…si calma…guardando l’orizzonte!”
“Bene...” esclamò secca Regina, incamminandosi verso l’uscita dal parco di Storybrooke “…immagino che la prossima tappa sarà il molo allora!”
Madre e figlia si scambiarono una veloce occhiata, ben consapevoli di cosa si stesse muovendo dentro l’animo di Regina.
Aveva dovuto incassare l’ennesimo colpo da parte del destino, senza poter far nulla per anticiparlo o, per lo meno, sena riuscire a far nulla per attutirne l’impatto.
“Regina…non pensi sia il caso di parlarne?!”
Come riusciva Biancaneve ad avere una voce così dolce e morbida, Emma non sarebbe mai riuscita a capirlo. Non che non le piacesse la sua di voce; ma quella di sua madre aveva quel non so che in grado di convincerti a stenderti accanto a lei e raccontarle tutte le preoccupazioni che ti affliggevano.
Il tono di una mamma, ecco.
Un tempo pensava fosse qualcosa che succedeva solo a lei, un qualcosa che accadeva a tutte le figlie nei confronti delle loro madri; ma non era la sola a cadere vittima di quell’estrema dolcezza, di quello sguardo materno e sincero in grado di far affezionare persino la temibile Regina Cattiva. E fu proprio quest’ultima a lasciarsi avvolgere dall’aurea di Biancaneve.
Anche se a modo suo.
“Oh ma certo…” esclamò la mora, qualche metro avanti rispetto a loro, voltandosi di scatto e mostrando un’espressione decisamente poco propensa al dialogo “…da dove vuoi che cominciamo? Dal fatto che avrò un figlio che morirà probabilmente prima di me…tanto per rimarcare il fatto che il mio destino è quello di soffrire fino alla fine dei miei giorni?! Mai una gioia per la sfortunata Regina Mills!”
Non c’era che dire, una sintesi perfetta.
Regina possedeva quel non so che di autorevole perfino in mezzo ad un parco in pieno giorno, con un tailleur firmato di un’eccezionale tonalità blu oltreoceano, lo stesso che avrebbe messo in difficoltà qualsiasi donna d’America.
“Regina…non sappiamo nemmeno se Eva abbia detto la verità…era davvero fuori di sé poco fa!”
“Ehm…temo non fosse poi così fuori di sè…”
Figliastra e matrigna di voltarono in direzione della bionda, rimasta qualche passo dietro di loro, con il volto di chi sapeva già di pentirsi delle parole che avrebbe detto di lì a poco.
“Bè…ecco, poco fa ho utilizzato il tuo specchio Regina…per mostrare a Killian una parte del nostro futuro e…”
“E…” la esortò a continuare la donna, con gli occhi scuri alquanto scioccati.
“….e c’eri anche tu…con un bambino…di nome Jacob…”
Il silenzio.
Possibile che uccelli, scoiattoli e chissà quali altri animali abitassero la foresta di Storybrooke, decidessero proprio quel momento per starsene ziti?
“Oh…e dimmi Emma…quando avevi intenzione di dirmelo?”
“Quando ci fosse stato un momento di calma…”
“Quindi mai…”
Emma si ritrovò a fare un sorriso forzato; uno di quei sorrisi di scuse, che finivano con l’assomigliare qui a smorfie imbarazzanti che a veri e propri sorrisi.
“Bè…avrai un figlio…perché la cosa ti sconvolge tanto?”
“Perché io non posso averne!” esclamò tagliente Regina, posando lo sguardo sulla sua ex acerrima nemica “Q-quando ero…quando ero ancora la Regina Cattiva…Bè vi ho già raccontato di quando Trilli mi portò davanti alla taverna dove avrei potuto incontrato Robin. Quella notte non entrai…ma…più avanti mi si ripresentò l’occasione di conoscerlo. Si trattava, però, dell’ennesimo inganno da parte di mia madre. Finii col credere che volesse farmi avere un figlio da poter controllare a suo piacimento. A quel tempo ero divorata dall’odio e dal rancore…così…così bevvi una pozione che mi avrebbe impedito di avere figli…per sempre”
“Evidentemente non sarà così…” esclamò Biancaneve, solida sostenitrice della speranza “…e Nimue ha detto che sarà figlio tuo e di Robin…non sei felice?!”
“S-sì ma…morirà lo capisci? Mio figlio…”
“No non morirà…” Emma si avvicinò, accostandosi alla figura della madre “…Eva è qui per questo no? Faremo tutto il possibile per cambiare le cose e la presenza di Nimue è un cambiamento non da poco…non credi?!”
Regina si ritrovò a sorridere a quelle due donne che tanto aveva odiato e che ora cercavano in tutti i modi di infonderle speranza.
Come poteva ogni volta lasciarsi incantare da quelle parole? Che fine aveva fatto il suo carattere stoico e inattaccabile?
Forse aveva fatto la fine che meritava, lasciando spazio alla vera Regina.
“Forza…cerchiamo tua figlia…prima che Biancaneve si metta a fare uno dei suoi lunghi e interminabili monologhi sulla speranza!”
 
 
***
 
“Trilli!”
Era la seconda volta che la fata da toni verdi riusciva a prendere Jake alla sprovvista, facendolo invecchiare di dieci anni tutte le volte; e non era di certo una cosa di cui andare fieri.
“C-che cosa ci fai qui?!” esclamò nuovamente il giovane, alzandosi a fatica da terra e lasciandosi aiutare da Eva.
Ovviamente, alla fata non sfuggì quel delicato e breve contatto tra i due, i quali, fino ad un giorno prima, avrebbero sicuramente dato sfogo ad una miriade di offese reciproche per quel semplice tocco di mani.
La spalla di Jake era guarita del tutto, lasciando come unica traccia della vecchia ferita il sangue sui vestiti e la giacca strappata, dal quale era visibile un sostanzioso strato di pelle; ma, dopotutto, chi avrebbe potuto lamentarsi della visione diretta di quel fisico scolpito e abbronzato dal sole della Foresta Incantata?
“Ve l’ho detto…vi stavo cercando!”
“Oh no…è stata la mia magia a portarti qui vero?…” gli occhi di Eva si spalancarono, divenendo quasi più verdi del solito “…e se sei riuscita a sentirla tu, Morgana ci troverà…”
Il volto di Eva divenne improvvisamente pallido, la voce urgente. Anche la mente, solitamente concentrata, pareva essere partita a mille, focalizzandosi sulla strategia più adatta per distanziare la Strega.
“Calmati Eva…Non vi ho trovati grazie alla magia…ero nei paraggi e ho sentito le vostre voci...Per non parlare del numero di tracce che hanno lasciato i vostri aguzzini nel raggio di due miglia…” spiegò la bionda, alzando gli occhi al cielo e sistemandosi con noncuranza il fazzoletto verde scuro che teneva legato davanti al collo; come una sorta di bandana in ricordo dei vecchi tempi all’Isola Che Non C’è, quando il problema più grande era quello di non farsi uccidere dl padre del Signore Oscuro.
“Ma se mi spiegate il motivo per cui Morgana non si è ancora unita alla festa ve ne sarei grata…” aggiunse Verdolina, ignorando il ciuffo biondo finitole davanti al volto.
Improvvisamente il silenzio scese tra i due.
Per due volte Eva si ritrovò ad aprire la bocca e richiuderla, accompagnando il gesto con un insicuro cenno della mano, come se la spiegazione fluttuasse proprio lì, davanti ai suoi occhi.
Neppure Jake, dal canto suo, vantava la sua consueta sicurezza mista ad arroganza, limitandosi ad inclinare la testa di lato, scambiandosi un’occhiata con la ragazza al suo fianco.
“Allora?!” esclamò, con tono spazientito.
“Bè diciamo che…” cominciò Jake.
“…diciamo che non…non riesce a v-vederci…” si accodò Eva, titubante.
“Non riesce…a vedervi? Stiamo parlando di Morgana vero?! Quella che vede e sa tutto manco fosse un oracolo?”
“Sì…vedi…”
“Perché lei…è…”
“Noi siamo…”
Le voci dei due ragazzi cozzavano l’una all’altra, non dando la minima parvenza logica a quella spiegazione campana in aria in maniera a dir poco vistosa.
Immaturi.
Divertenti certo, ma estremamente immaturi.
“Ok……” Trilli alzò le sopracciglia, interessata dal rossore presente in entrambi quei volti solitamente spigolosi “…evitiamo discorsi imbarazzanti…per ora…”
“Bene…” esclamò Jake, lasciando andare un sospiro trattenuto, quasi in perfetta sincronia con la figlia di Killian Jones.
“E passiamo subito al patto che hai stretto con Tremotino!”
E per la seconda volta nel giro di una manciata di minuti, il volto di Eva divenne di cera.
Era rimasto qualcuno che non fosse a conoscenza del suo patto col Signore Oscuro? Mancava solo che suo padre lo venisse a sapere e avrebbe potuto benissimo trasferirsi in un altro reame.
“Ma forse anche questo è un punto spigoloso…Eva…” aggiunse la fata, alquanto pungente.
“A quanto pare alle fate piace origliare!” Jake incrociò le braccia al petto, assumendo la stessa aria altezzosa che, spesso, aveva caratterizzato la madre.
“O forse dovreste confidarvi in posti meno affollati!” lo riprese la giovane fata dai toni verdolini.
“Bè…se ci dici a che punto del racconto sei arrivata ti aggiorniamo…”
“Ho sentito tutto…”
“Alla faccia di quella che non origlia…” borbottò Jake, lanciando uno sguardo ad Eva.
“Se sei qui per dirci di non farlo….risparmia il fiato! Non ce ne staremo qui a pensare a come scappare o a dove nasconderci”
Il volto di Eva aveva velocemente abbandonato il pallore, divenendo nuovamente sicura di sé, com’era solita presentarsi.
Se Trilli pensava davvero di riuscire a farle cambiare idea soltanto perché Tremotino era il Signore Oscuro di un tempo, bè…poteva benissimo ritornare da dov’era venuta.
Lei avrebbe ucciso Morgana, o perlomeno ci avrebbe provato, anche se il prezzo da pagare era la sua vita e il suo futuro.
“Non intendo mettervi i bastoni tra le ruote Eva…” Trilli fece un passo avanti, mettendo la mano destra dentro la tasca della lunga giacca di cotone sgualcita che indossava, senza però estrarla “…al contrario voglio aiutarvi…posso portarvi da Zelena…”
La lacrima di Zelena. Il primo ingrediente in grado di farli andare nel passato.
“Perfetto!” gli occhi verdi di Eva si illuminarono, incontrando quelli di Jake in un modo quasi meccanico, ma il volto di Jake non pareva altrettanto soddisfatto.
“Dal tono sembra che la tua proposta preveda un ma…” la provocò il figlio di Regina, scuro in volto
“Ma…” arrivò prontamente la conferma da parte di Trilli “…a patto che mi diciate a chi di voi appartiene…questo!”
Con fare lento e programmato, Campanellino estrasse la mano dalla tasca, mostrando ai due giovani di fronte a lei una piccola ampolla, contenente un liquido nero e denso come solo il male poteva essere.
Con fare serio e rigido, Trilli volse lo sguardo verso Eva, la quale faticava a mantenere un’espressione controllata di fronte al piccolo oggetto finito nelle mani della fata.
Il veleno di Tremotino. Lo stesso che aveva perduto durante lo scontro con Tani e il Furetto.
Che ci faceva nelle mani della fata? Come poteva averlo trovato in mezzo ad un bosco?
“Sai che cos’è questo Eva?”
Sguardo e tono prevedevano una cosa soltanto: guai all’orizzonte.
“…un rum invecchiato troppo?”
“È un veleno Eva…uno dei veleni più letali esistenti al mondo…” replicò la fata, ignorando la risposta sarcastica degna del ramo paterno della ragazza “È il veleno delle Paludi Mortali. Si dice che lì, milioni di anni fa, sia nato il primo Spettro…e che ancora oggi vaghi su questo mondo! Chiunque beva l’acqua di quelle paludi elimina qualsiasi traccia della sua presenza…ogni ricordo, ogni traccia della sua vita svanirebbe nel nulla”
“Non vedo perché debba essere mio…”
“…perché se hai fatto un patto con Tremotino allora qualcosa mi dice che quel Signore Oscuro, divorato dal vendetta nei confronti di un certo Capitano, ti abbia chiesto come prezzo del suo favore il bere questo veleno, eliminando qualsiasi traccia dell’unica erede esistente di Killian Jones….”
“Se così fosse, e non sto dicendo che sia così, non vedo dove sia il problema…se vado nel passato e riesco ad uccidere Morgana tutto questo cesserà di esistere…”
“Già ma tu diverresti uno Spettro…” esclamò con tono acceso la fata dai capelli biondi, il cui volto appariva oscurato dagli anni e dagli eventi “Significa che vagheresti per l’eternità…diverresti uno spirito inquieto legato per sempre al luogo dove sei morta…E questo impedirebbe la tua nascita. Impediresti alla tua versione di esistere…”
Bene.
Questo Tremotino non glielo aveva detto. Ovviamente.
Eva strinse le mani a pugno, sentendo il sangue ribollirle nelle vene.
Il coccodrillo l’aveva ingannata. Certo, la cosa non avrebbe dovuto stupirla più di tanto. Dopotutto quell’uomo non aveva mai nascosto l’odio che provava nei confronti della sua famiglia, in particolar modo per suo padre, l’uomo che gli aveva sottratto moglie e rispetto.
Era stata una stupida. Una stupida a fidarsi e a non aver pensato al fatto che il coccodrillo avesse un piano di riserva per ottenere ciò che voleva: la distruzione di Morgana ed eliminare il futuro di Uncino.
E ora cosa avrebbe dovuto fare? Ignorare il patto e incorrere in qualcosa di ignoto? Infischiarsene delle parole di Trilli e sacrificare la sua vita per il bene di tutti?
Cosa succedeva a chi non manteneva fede ad un accordo con il Signore Oscuro?
“Oh bè…immagino che allora sia suo!”
La voce di Jake Mills echeggiò in tutta la foresta, portando su di sé gli occhi di entrambe le figure femminili presenti a pochi passi da lui.
“C-che cosa?!” il volto di Eva divenne terreo, più di quanto lo fosse quello di Trilli.
“È suo…” continuò il giovane, avvicinandosi alla fata e ignorando volutamente Eva “…sicuramente lo avrebbe usato per sacrificarsi…evitando di dirmelo…non è così…Eva?!”
E fu così che il momento di alleanza e pace instauratosi tra loro tramontò nel giro di un’ora.
Era durato più del previsto, dopotutto.
Senza aspettare una risposta da parte di Eva, Jake prese l’ampolla dalle mani della fata, limitandosi ad osservarla da vicino, dando l’impressione di volerla incenerire con la sola forza dello sguardo.
“Allora?” la incalzò, alzando finalmente lo sguardo su quel volto pallido e sporco di terra,
“Jake…tu non capisci…”
Buttando fuori l’aria con fare frustrato, il giovane Mills strinse con forza l’ampolla sul palmo della mano, per poi gettarla a terra e schiacciarla sotto il peso dello stivale, osservando con rabbia il fumo nero alzarsi, in seguito al contatto del liquido col terreno.
“Noooo” un urlo carico di frustrazione fuoriuscì dalle labbra della giovane, la quale si buttò a terra, inorridita da quel gesto tanto egoista “…che cos’hai fatto?....ora…ora non potrò più…”
“Cosa? Mentirmi? Ecco perché non volevi venissi con te…immagino stessi già architettando il modo per lasciarmi qui una volta presi tutti gli ingredienti! Maledizione…e io che continuo a fidarmi di te!”
“Io non ti ho mentito…”
“Omettere equivale a mentire Jones!” ripeté il concetto di poco fa, livido di rabbia.
Furiosa, Eva si alzò in piedi, stringendo mascella e pugni in maniera così forte da dare l’impressione di essere fatta di acciaio e non di carne e sangue.
“Io voglio solo proteggerti razza di idiota! Mi fido di te e se potessi…”
“Ma io non ho bisogno di essere protetto…al contrario di te che sembri avere l’indole suicida più alta del normale. Forse stai confondendo il motto della tua famiglia - Sono brava a sopravvivere - con - Sono brava a suicidarmi -
“Sei impossibile…te l’ha mai detto nessuno?!”
“Dipende…non me l’ha mai detto qualcuno a cui salvo la vita di continuo…”
“Sbaglio o sono stata io a buttarti giù da una finestra pur di salvarti?!”
“Appunto…mi hai buttato giù da u…”
“Quando avrete concluso con i vostri screzi amorosi potremmo parlare degli ingredienti che dovete cercare…”
Solo in quel momento i due sembrarono rendersi conto della presenza della fata, la quale aveva finito col sedersi su un masso a pochi metri da loro, godendo di un’ottima visuale di quello scontro tra titani.
La voce di Trilli riuscì a ridestare i due, i quali si ritrovarono ad allontanare i loro volti, così vicini l’uno all’altro da dare quasi l’impressione di riuscire a toccarsi.
Quando si erano avvicinati a quel modo?
“P-pensavo non fossi d’accordo con il patto del coccodrillo!” la voce incredula.
“Non sono d’accordo con la parte riguardante la tua morte definitiva…ma non sono così stupida da non condividere il piano”
“Ma se non muoio nel passato non rinascerò mai più”
“Moriremo. Rinasceremo…Comincia a parlare al plurale Jones, odio sentirmi messo da parte!”
Dopo aver lanciato un’occhiataccia al giovane, Eva chiuse gli occhi espirando in maniera teatrale.
“Se non moriremo…non rinasceremo!...e ti prego Trilli, non farmi dire quale sia la parte che più mi aggrada di questa frase!”
“So che tornare qui non sarà possibile…non con la magia bianca almeno…”
“Quindi sei d’accordo con me che distruggere il veleno di Tremotino non sia stata un’idea così geniale! Quindi quale altro piano di salvataggio hai in mente?” la interruppe Eva, incrociando le braccia al petto, non sforzandosi minimamente di nascondere l’astio verso il ribelle.
“Ma non sto parlando di un vostro ritorno ragazzi…”
Trilli si fece pallida. La voce poco prima divertita, ora pareva attraversata da un tremore impossibile da ignorare. “Fortunatamente, o meno, esistono molti veleni e pozioni in grado di uccidere e far svanire qualcuno. Basta solo sapere dove cercare…”
“Quindi la tua idea è quella di cambiare il modo in cui moriremo…nessuno ritorna a casa a lavoro concluso!?” esordì Jake, rivolgendo quella domanda fin troppo simile ad un’affermazione.
Trilli abbassò lo sguardo.
Chi l’avrebbe mai detto che proprio lei, una delle più vecchie amiche di Uncino e Regina, si sarebbe ritrovava di fronte ai loro rispettivi figli, discutendo sul modo in cui avrebbero dovuto suicidarsi dopo aver salvato l’intero mondo.
“M-mi dispiace…” si schiarì la voce la fata, cercando di ignorare la frase di Jake.
“Bene…cosa useremo?” tagliò corto Jake, il cui sentimentalismo sembrava avere una riserva alquanto scarna.
“Il veleno delle vipere di Agrabah…”
“Ormai sono estinte…” sottolineò Eva, corrugando la fronte.
“Sì…ma presumo che Merlino ne abbia una scorta da qualche parte…”
“M-Merlino? Quel Merlino morto anni fa?”
“Sì…quello…diciamo che è impossibilitato ad aiutarci in maniera fisica…ma può fare ancora qualcosa…”
“Perfetto….”
Già, perfetto.
Chissà perché ma alla giovane Jones l’aver coinvolto anche Trilli non sembrava una cosa poi così entusiasmante. E se anche lei fosse morta nel tentativo di aiutarla?
Henry, Roland, Neal, Alex, Rowan…quanti altri nomi doveva aggiungere a quell’infinita lista di dispersi? Per quanto ancora il suo cuore avrebbe retto all’ennesimo dolore? All’ennesima perdita?
Non puoi controllare il destino di tutte le persone che ti stanno accanto…non puoi difendere tutti e tenerli lontani da ogni male.
Le parole di Jake sembrarono rimbalzare nella sua mente.
Forse aveva ragione. Dopotutto lei era la prima a non sopportare il modo in cui suo padre o Henry la tenevano lontana da qualcosa nel tentativo di difenderla; che diritto aveva lei di tenere Jake e Trilli lontani dal destino del mondo?
Ognuno di loro aveva il diritto di fare qualcosa per cambiare le cose.
Tutti, perfino lei.
“Dobbiamo trovare una lacrima della persona più simile e più odiata di chi scaglia l’incantesimo…” fece mente locale Eva, cercando di rimandare un argomento fin troppo scomodo.
“Una delle sette perle della Regina Bianca e il terzo l’Atto di fede di chi non crede!” si accodò Jake.
“Posso portarvi da Zelena e indicarvi un portale per il Paese delle Meraviglie…nel frattempo cercherò di trovare qualcosa che abbia a che fare con l’ultimo ingrediente!”
E come avrebbe detto Henry se fosse stato lì:
L’Operazione Ritorno al Passato*…aveva finalmente inizio.
 
 
***
 
 
Seduta sulla panchina in legno, Eva osservava le profonde acque che circondavano il molo di Storybrooke.
Non avrebbe saputo dire da quanto tempo se ne stava lì, seduta, in attesa che le ultime informazioni trovassero una qualche sorta di spiegazione nella sua mente.
Sua madre, la sua perfetta e coraggiosa madre, si era uccisa.
Il cuore che aveva distrutto era quello di Phil.
Allucinazioni, vedeva i fantasmi dei suoi morti.
Aveva usato la magia nera. Di nuovo.
Troppe cose. Troppo dolore.
Troppe colpe.
Prendendosi la testa tra le mani, Eva si piegò in avanti, sentendo il cappotto allargarsi e l’aria gelida del pomeriggio sfiorarle i vestiti che aveva scelto quella mattina.
E dire che, la sera prima, dopo aver ritrovato suo padre nella foresta e averle suonate di santa ragione a Morgana, aveva pensato che il vento stesse finalmente soffiando a loro vantaggio, portandoli verso la carovana dei vincenti.
Tutto stava andando come mai si era aspettata: la Strega aveva cominciava ad indebolirsi; erano riusciti a sottrarle la bacchetta; Ector era in prigione, senza cuore, ma pur sempre dietro le sbarre; tutti sapevano che lei era la figlia di Uncino e della Salvatrice e avevano accettato di bere una pozione in grado di cancellare ogni ricordo legato alla sua presenza, una volta uccisa quella maledetta Fata Oscura.
Tutto sembrava perfetto.
E invece…ecco che la realtà più brutta che potesse immaginare finiva per venire a galla, insieme ad altre che non avevano fatto altro che oscurare ancor di più la sua anima.
La sua famiglia non era stata spezzata da Morgana, ma da Emma Swan in persona.
Perché si era uccisa? Possibile che nessuno fosse a conoscenza della sua folle idea? Perché non avevano cercato di fermarla dal sacrificarsi per permettere a sua figlia di avere la magia e a tutta Storybrooke di trovare rifugio nella Foresta Incantata?
E, forse richiamate da quei pensieri, le parole di Jake risuonarono nella sua mente, più chiare di quanto le erano parse allora.
 
“…Successe poco dopo la sua morte…dopo che Morgana la uccise. Ricordo che mia madre riuscì ad aprire un portale in grado di portarci tutti nella Foresta Incantata”
 
Regina.
Regina sapeva tutto.
Per questo motivo era riuscita improvvisamente ad aprire un varco che riportasse tutti gli abitanti nella Foresta Incantata; cosa, fino a quel momento, decisamente impossibile da fare. Non era stata fortuna; non era stata la disperazione a far amplificare il potere del sindaco di Storybrooke.
Era stata sua madre, pronta a sacrificarsi per loro.
Regina…sapeva.
La stessa Regina che aveva acconsentito a mandare la secondogenita della sua amica laggiù, tendendo nascosto a Killian Jones il triste epilogo che quell’avventura avrebbe avuto per lei, la sua unica figlia.
Pur di uccidere Morgana, Regina aveva accettato qualsiasi sacrificio, arrivando a immolare perfino sé stessa pur di vedere morta quella strega.
Dopotutto, come biasimarla?
Aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita cercando di dare un senso alla morte della sua cara amica, la Salvatrice, cercando di insegnare alla sua secondogenita tutto quello che c’era da sapere sulla magia. Sulla magia bianca.
Regina ed Emma avevano pensato a tutto quello che la magia della Salvatrice avrebbe potuto fare nelle mani del Frutto del Vero amore, non pensando mai alla cosa più importante. Non focalizzandosi mai sull’aspetto più gravoso.
Lei, Eva Jones, non era destinata ad avere la magia.
Lei era nata senza quel potere, ecco perché continuava a sentirlo così scomodo dentro di sé; come un vestito troppo stretto, così soffocante da dare l’impressione di esplodere da un momento all’altro.
Esplodere, cedere completamente all’oscurità, divenendo ciò che di più nero poteva esistere.
Lei non aveva la forza per tenere testa a quel suo lato oscuro. Era qualcosa più forte di lei, qualcosa contro cui non esisteva lotta. Nessuna competizione.
Come poteva Emma Swan, sua madre, aver resistito, e continuare a resistere, ogni giorno ad un invito così allettante? Come riusciva a non cedere alle lusinghe di quel lato nascosto, insito in un potere così grande?
Per lei era così difficile. Il solo sentire quella stretta al cuore, il sapere che sarebbe bastato lasciarsi andare per ottenere ciò che voleva, le faceva desiderare l’oscurità come la più fedele delle compagne.
Con Lei avrebbe potuto uccidere Morgana.
Grazie a Lei avrebbe potuto vendicarsi.
Lei era la salvezza della sua famiglia.
Era così difficile non cedere.
Lentamente, la giovane alzò il palmo della mano destra verso l’alto, lasciando che una piccola, ma intensa, scintilla di magia fuoriuscisse dalla sua pelle candida; come la fiamma di una candela appena accesa: piccola, indifesa, ma in grado di far divampare il più inimmaginabile degli incendi.
E quella fiamma era proprio lì, davanti ai suoi occhi, blu come la notte più oscura e potente come solo la magia nera sapeva essere.
Ma chi voleva prendere in giro?!
Lei…lei aveva già ceduto al suo lato oscuro.
Lo aveva fatto poco dopo il suo arrivo nel passato, quando aveva stritolato il cuore di Phil, pensando appartenesse al leccapiedi di Morgana. In quel preciso momento aveva scelto di vendicare Jake, aveva scelto la strada più facile, ben sapendo quanto il figlio di Robin Hood l’avrebbe odiata per questo.
“Mi dispiace…” sussurrò a fior di labbra, lasciando che la fiamma di magia sfumasse, come una candela appena spenta.
“Oh sei qui! Ti stiamo cercando dappertutto”
Quell’improvvisa voce la fece scattare sull’attenti, come un gatto attirato da un rumore troppo infido per i suoi sensi.
Odiava venire presa alla sopravvista, soprattutto quando a farlo era una persona poco gradita.
“E tu chi sei?” il tono freddo e ruvido.
“Già…poco fa non siamo riuscite a presentarci a dovere. Sono Nimue…la ragazza che tua madre ha liberato dall’albero dov’era tenuto prigioniero tuo padre…”
“T-tu sei…”
“La sorella di Morgana…esatto! Quella che stavi per disintegrare poco fa con la tua magia”
“Se pensi che possa provare rimorso ad aver quasi liberato il mondo da una parente di quella piaga sotto forma di Fata…ti sbagli di grosso. Anzi…ti consiglio di toglierti di torno!”
Con fare bellicoso, Eva si alzò dalla panchina, avvicinandosi alla donna a pochi metri da lei, i cui sottili capelli castani sembravano non aver risentito minimamente dei lunghi anni di prigionia.
“Sai non credo che mia sorella avrebbe sofferto molto per la mia dipartita. Noi…non siamo mai andate molto d’accordo!”
“Buon per te…” fingendosi annoiata, Eva superò la figura avvolta da un elegante cappotto nero, dal quale era possibile intravedere i pantaloni verde bottiglia di Ruby.
Non aveva nessuna voglia di parlare, men che meno con lo stesso sangue che scorreva nel corpo di Morgana.
Mentre si allontanava dal molo, però, la voce cristallina della donna la richiamò nuovamente, riuscendo ad attirare la sua attenzione.
“È orribile scoprire che chi ami…ti tradisce!”
Eva si bloccò, continuando a dare le spalle a Nimue, con le lunghe ciocche castane sfiorate dalla brezza fredda dell’oceano.
Lasciandosi andare ad un sorriso soddisfatto, la non-fata continuò a parlare.
“Tu hai fatto di tutto per aiutarli. Sei arrivata fin qui…e chissà quanto hai sofferto per riuscirci. Hai sacrificato le persone che amavi…tuo padre, Henry…Jake…” esclamò, avvicinandosi di qualche passo
“E tu come fai a saperlo?!” senza voltarsi, Eva spostò lievemente il capo, fingendosi interessata a qualcosa sulla sua spalla piuttosto che all’interlocutrice dietro di lei.
“…e cosa scopri arrivata qui?” continuò Nimue, non rispondendo alla domanda della ragazza “Che tua madre si è uccisa, lasciandoti la responsabilità di liberare il mondo da Morgana. Lasciandoti un fardello troppo grande da portare…”
“Tu non la conosci nemmeno. Lei…lei pensava di fare la cosa giusta…” le rispose collerica Eva, voltandosi di scatto e lottando con tutte le sue forze perché le lacrime non scendessero dai suoi occhi lucidi.
“Hai ragione…ma ad ogni azione Eva corrisponde una conseguenza. E in questo caso…la magia ha portato te verso la via dell’oscurità!”
“Non sai di cosa stai parlando...”
“Sì…invece. Ti ho vista poco fa…ormai non puoi più tornare indietro!”
“Come ho già detto…ti consiglio di andartene!” soffiò tra i denti la mora, stringendo le mani a pugno e non rendendosi conto che quel semplice gesto aveva confermato le parole della donna.
“Oh non devi preoccuparti Eva…davvero”
“Non-non devo preoccuparmi?...”
“No…non c’è nulla di brutto in quello che fai. In quello che sei! Non c’è nulla di sbagliato nella…magia oscura!”
Improvvisamente, Eva si lasciò andare ad una risata isterica, alzando gli occhi al cielo e fingendo che le parole di Nimue non stessero realmente scalfendo una sorta di apertura nella debole corazza attorno al suo cuore.
“Ah…incredibile. Stai dicendo che la mia magia è oscura…che io sono una cattiva…e non dovrei preoccuparmi!?”
“Una Cattiva? Oh ti prego ragazza…non puoi essere così riduttiva. Non esistono buoni o cattivi. Non esistono i malvagi e gli eroi…” continuò Nimue, avvicinandosi di un passo “Vedi…esistono solo diversi tipi di azioni. Ci sono le persone che posseggono la magia bianca e trascorrono tutta la loro vita a sacrificarsi per gli altri, a soffrire e a vedere morire le persone che amano…in nome di un bene superiore.
E poi ci sono le persone che…volontariamente o meno, si ritrovano a inoltrarsi nel tuo stesso cammino. Persone con una magia…diversa…”
“Vuoi dire con una magia…malvagia…come Morgana!”
“No no…Eva…sbagli” esclamò Nimue, con voce rassicurante, posandole una mano sulla spalla, gesto che riuscì ad attirare su di sé un’occhiata verde tutt’altro che pacifica “Sai…sai cosa ho dovuto sopportare in tutta la mia vita? Io ero la sorella sbagliata…la sorella che tutti…tutti vedevano cattiva, solo perché non possedevo un animo puro, solo perché una profezia aveva scagliato una maledizione sul mio nome….com’è successo a te.
Io non sono mai stata…come dire…buona, eroica…come la tua famiglia. Ma solo me stessa e…nonostante possedessi una magia tendente all’oscurità, non ho mai fatto niente di così Oscuro da rendermi…malvagia!”
“Ma tu…tu possiedi la magia oscura?!”
“Diciamo che…conosco qualche trucco Ma diciamo che, se avessi la magia vera e propria, sarebbe sicuramente oscura…hai visto i miei geni no? E per te…per te è lo stesso”
“Mio padre non è più cattivo da un sacco di tempo ” partì immediatamente in difesa la giovane Jones, scacciando con un gesto secco la mano che Nimue teneva sula sua spalla
“Lo so….ma tua madre…”
“Mia madre? Mia madre è un’eroina!”
“Già…ma a che prezzo? A pagare, a suo tempo, fu la figlia di Malefica, Lily, se non sbaglio. Se i tuoi nonni non si fossero macchiati di quell’orribile gesto…a quest’ora tua madre avrebbe potuto essere la più folle cattiva di tutti i tempi…” continuò la donna, con voce sempre più melodica e accesa “…questo immagino non lo sapremo mai. E gli Azzurri di questo tempo ancora non hanno fatto i conti con tutto questo. Ma tu…tu Eva, porti dentro di te lo stesso potenziale di oscurità. Tu sei il Frutto del Vero Amore…e questo fa di te…”
“O un grande eroe…o…o un grande cattivo!” concluse Eva, sentendo la voce di Nimue fare breccia dentro di lei, scalfendo quel che restava di quella sua ammaccata corazza di dolore.
“Non hai mai avuto scelta Eva. È il destino a scegliere per te…com’è successo a me” le sorrise la donna, freddamente gentile “Sai…io sono nata sotto un fiore nero…e le possibilità che il mio cuore fosse puro…erano alquanto scarse. Inizialmente ero spaventata da tutto ciò…da quello che sarebbe potuto accadere se la profezia si fosse realizzata…a cosa avrei potuto fare alle persone a cui tenevo. Ma poi…poi il destino ha scelto per me…e…” Nimue abbassò lievemente lo sguardo, come a voler trovare le parole giuste, come a voler nascondere una sorta di sorriso a fior di labbra “…e finalmente…mi sono sentita libera. Ho finalmente avuto la possibilità di portare avanti i miei sogni, di difendere la mia…famiglia. Ho nascosto Excalibur a mia sorella e…”
“A-aspetta un attimo…tu…tu sai dove si trova Excalibur?” la bocca della giovane si fece improvvisamente secca e arida.
“Sì…e sono disposta a dartela Eva…”
Per un istante, Eva non seppe cosa dire.
Nimue, la sorella di Morgana non solo sapeva dove fosse nascosta Excalibur, ma era anche disposta a dargliela. A lei, la bambina che la Fata Oscura cercava da uccidere da più di dieci anni. Tutta la fatica che avevano fatto, tutto ciò che lei e Jake avevano dovuto sopportare durante quella ricerca senza fine, stava finalmente dando qualche frutto.
Proprio in quel momento. Proprio grazie alla sorella di Morgana.
Già…troppo bello per essere vero.
Dove stava la fregatura?
“Tu non puoi avere Excalibur!” la voce di Eva sembrò avvolgere il suo volto sottile “…pensi davvero che sia così stupida da crederti?!” aggiunse, lasciandosi andare ad una risata fredda e sarcastica e allontanandosi lievemente da quella figura eccessivamente scaltra.
Nimue non poteva conoscere il luogo in cui Merlino aveva nascosto la spada; era impossibile. Quello era un trucco, lo sentiva fino all’ultima goccia del suo sangue.
“Non mi credi?”
“Per niente…”
“Perché dovrei mentirti Eva?...io voglio liberare mia sorella dall’oscurità…”
“Bè…questo può essere vero ma…tu non puoi sapere dove Merlino ha nascosto la spada, l’unico a saperlo è…”
E nell’esatto istante in cui Eva si stata apprestando a terminare la frase, tra le sue mani comparve il libro di Henry, aperto alla pagina di Camelot, la stessa che lei e Henry avevano studiato alla disperata ricerca di un indizio che li portasse verso la spada.
“Il libro di tuo fratello?!”
Lo sguardo sbarrato; la salivazione bloccata; il respiro mozzato.
Eva non sapeva cosa fare, cosa pensare. Troppe informazioni in un momento in cui il suo animo era così debole e ferito; in un momento in cui non sapeva più di chi fidarsi, nemmeno di sé stessa.
Eppure lì, tra le sue mani, vi era il libro di Henry, aperto nella pagina esatta in cui risiedeva l’indizio che li avrebbe portati ad impugnare la più potente spada di tutti i tempi.
“Il libro vi ha mostrato l’albero in cui ero imprigionata…” esclamò Nimue, con voce cristallina “…ero io l’indizio Eva…”
“Ma…ma tu…tu sei…la sorella di Morgana…” la voce di Eva sempre più insicura, con lo sguardo simile a quello di un lupo pronto ad andare incontro a morte certa.
“Esatto…”
“Tu vuoi che…io uccida Morgana!”
“Voglio vederla finalmente libera!”
Le due donne si fissarono l’una negli occhi dell’altra; una carica di aspettativa, l’altra ricolma di paura e dall’agghiacciante sensazione di stare per commettere il più grande errore della propria vita.
Perché il suo cuore continuava ad urlarle di non fidarsi di lei? Perché era la sorella di Morgana? Perché aveva appena usato la magia nonostante avesse fatto credere a tutti di essere indifesa?
Ma come poteva lasciarsi sfuggire una simile opportunità? Come poteva rifiutare l’occasione di impugnare la spada che avrebbe messo fine alla Fata Oscura?
Non poteva farlo. Lo doveva alla sua famiglia e a tutte le persone che contavano su di lei.
“Ok. Dammi la spada…”
“Certo…ma…”
“lo sapevo che c’era un ma…” esclamò ironica la figlia della Salvatrice.
“Prima di impugnarla Eva...devi accettarti per quella che sei. L’unico modo per riuscire ad impugnare Excalibur è quello di accettare il proprio destino…e la propria magia…” le spiegò Nimue, prendendole la mano con delicatezza, accorgendosi con una certa soddisfazione di non notare più alcuna resistenza da parte della giovane “…devi accettare la magia che scorre nelle tue vene…in tutta la sua potenza…e oscurità!”
“Devo…devo accettare la mia oscurità?!”
“Sì Eva…è l’unico modo per impugnare la spada. Se non sarai in pace con te stessa…la spada non ti accetterà mai!”
 
“La mia magia…”
“Ti sei rilassata…”
“N-non è…non è nera……non è magia oscura…”
“No…non lo è Jones!”
 
Rievocandolo per l’ultima volta, Eva lasciò andare quel ricordo, lasciò andare il modo in cui gli occhi di Jake si erano posati su di lei, colmi di orgoglio; lasciò andare le emozioni di quella notte e della sensazione di usare la magia bianca per aiutare l’uomo che amava.
Lasciò andare tutto.
Perché lei non poteva essere chi desiderava. Non poteva essere la Salvatrice di cui tutti avevano bisogno.
Lei era Eva e se era il sacrificio della sua anima il prezzo da pagare pur di salvare tutti da Morgana, bè…lei lo avrebbe fatto, un milione di volte.
“Ok…che cosa devo dire?!”
“Io Eva Jones…”
“Funziona davvero così?...stai scherzando?!”
Bastò un’occhiata glaciale da parte di Nimue per bloccare qualsiasi tentativo da parte della giovane Jones di sminuire quell’antico rito.
“Io…Eva Jones…” esclamò Eva, a fior di labbra.
“Accetto di essere oscura…e di avere l’animo colmo di odio…dolore e rancore…”
“Ma…”
“DEVI DIRLO?!” urlò Nimue, lasciandosi andare per la prima volta ad una collera fuori di sé, rendendola così simile alla follia insita nel cuore della sorella da riuscire a dare i brividi “…devi…devi dirlo, altrimenti Excalibur non apparirà!” cercò di ricomporsi, apparendo però ancora più agghiacciante.
“Accetto…di essere…oscura…” esclamò Eva, con voce tremante.
 
Ti voglio bene Eva.
Anch’io papà.
 
“…e di avere l’animo…”
 
Sei una bellissima persona…e…non riesco a fare a meno di essere orgogliosa…di te.
 
“…colmo di…” continuò la ragazza, stringendo la mascella al ricordo di quelle voci. I suoi genitori.
 
Abbraccia Henry da parte mia
Regina….
 
“…odio…”
 
Io ti aiuterò sempre. Mi butterò ancora da un burrone pur di salvarti e nessuno al mondo potrà sfiorarti con un dito senza prendere in considerazione l’idea di beccarsi una freccia in faccia.
 
“…dolore….”
 
io ti ritroverò sempre.
 
“…e rancore”
Gli occhi di Nimue colmi di soddisfazione.
“Perfetto!”
Perfetto? Cosa c’era di perfetto in tutto quello.
“Cosa stai aspettando principessa…non la raccogli?”
Intontita da ciò che stava accadendo, Eva si ritrovò a non dare importanza alle parole appena pronunciate dalla donna di fronte a lei.
Forse in un altro momento avrebbe ascoltato. Avrebbe colto ogni sfumatura; ogni incrinatura. Ogni parola.
Ma in quel momento non lo fece e, come in un sogno già fatto, si ritrovò ad abbassare lo sguardo osservando Excalibur stesa ai suoi piedi.
Era bellissima, come nel sogno che aveva fatto tempo fa.
L’impugnatura era di un intenso blu cobalto, profondo come gli occhi dii suo padre, e la lama appariva così scintillante da sembrare il più prezioso e intaccabile dei materiali.
“Questa è…Excalibur…” sussurrò Eva, inginocchiandosi e sfiorando l’arma con le dita.
“Sì…è proprio lei….” Esclamò Nimue “…e non devi fare altro che prenderla!”
Prenderla.
Sì doveva farlo. Eppure al contempo l’avvertiva come la scelta più sbagliata.
Come in quel sogno.
Già...ma cosa succedeva nel sogno? Perché non riusciva a ricordarlo.
“Prendila Eva…e metti fine a tutto questo”
Deglutendo a fatica, Eva avvicinò la mano all’elsa. Le dita, lentamente si posarono sulla pietra blu e sul cuoio che, in parte, la rivestiva.
E, proprio in quel momento, la voce di sua madre la richiamo alla realtà.
“EVA…NOOOOO!”
 
 
 
*Back to the Past (in inglese suona meglio)….ovviamente un omaggio al meraviglioso film “Ritorno al Futuro” con…Marty McWho xD
 
 
 
 
 
 
 
Come si può cominciare questo angoletto così a lungo rimasto nella polvere?
Bè…un BENTORNATI ci sta che dite?! :))
Lo so…è da molto tempo che non aggiorno la mia ff e tanti di voi avranno giustamente pensato che il nuovo capitolo non sarebbe più arrivato.
Bè…vi posso assicurare che questo non accadrà mai.
Ritardo con gli aggiornamenti certo (un ritardo così lungo dubito ricapiterà)…sono lenta e a volte alcuni capitoli sono meno avvincenti e “grammaticalmente corretti” di altri….ma credetemi…quando dicevo che avrei portato a termine questa ff, l’ho detto col cuore…e lo farò.
Adoro scrivere e questo è il mio primo esperimento. Mi sono imbarcata in questa esperienza con la speranza di riuscire, un giorno, a scrivere una storia tutta mia…e non mi cimenterò in quell’immenso progetto prima di aver portato a termine questa fan fiction.
Lo faccio per voi che mi avete sostenuta per tanto tempo, per me che tengo tantissimo a questa storia…e per chi ha continuato ad aspettare un mio aggiornamento nonostante la clamorosa pausa.
Sappiate che la mia assenza non è stata dettata da pigrizia o mancanza di idee….ma dai continui impegni (sia meravigliosi che…”pesanti”) della vita…
Non ho potuto fare altro se non mettere la storia in pausa e ritirarla fuori nel momento in cui fosse tornato tutto alla normalità (la mia amica Kerry sa di cosa sto parlando :P). Avrei potuto continuare a pubblicare…ma la storia ne avrebbe risentito pesantemente, con capitoli frettolosi e poco curati…..E visto tutto l’affetto e l’appoggio che mi avete dimostrato in questo tempo che ci conosciamo, mi sembrava una mancanza di rispetto nei vostri confronti.
Spero possiate capirmi e perdonarmi….e spero, con tutto il cuore, di avere ancora il piacere di leggere i vostri meravigliosi commenti, il vero carburante di questa storia.
Ok dai….mi sono dilungata troppo come al solito.
Se qualcuno di voi dovesse aver dimenticato parti della storia, al capitolo 23 c’è un riassunto che vi aiuterà a collocare meglio i pezzi.
Per qualsiasi cosa, dubbio, commento, imprecisione….scrivetemi. Il vostro parere mi fa sempre tanto piacere.
 
 
Che dire….sono tornata :)
 
Un grossissimo abbraccio a tutti
 
Erin
 
 
Ps: Chiedo scusa del ritardo con cui sto rispondendo ai commenti che mi avete lasciato…sto rimediando!!! Scusatemi davvero…. E ovviamente perdonatemi anche per gli errori grammaticali....avevo davvero voglia di aggiornare e forse ho fatto una revisione in meno del solito :P
Un bacione ♥
 
 

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Capitolo 27
*** Capitolo 25 ***


Ciao a tutti,
scusate questa improvvisa intromissione ad inizio capitolo. Tranquilli non intendo farlo tutte le volte :P….solo che, vista la mia lunga assenza dell’ultima volta, immagino alcuni piccoli dettagli della storia si siano un po’ dispersi (credetimi…vi capisco, siete anche troppo bravi a ricordavi tutte le cose che sparo nei vari capitoli)….quindi volevo darvi un consiglio.
Nello scorso capitolo, Eva cita per un momento un sogno che ha fatto tempo prima, quando si trovava nel villaggio dei Cacciatori insieme a Jake, ma di cui ricorda ben poco (normale visto che il sogno in questione è stato fatto più di un anno prima dei fatti narrati); il sogno lo trovate al CAP 20.
Diciamo che non è obbligatorio leggerlo…anzi, mi verrebbe da dirvi “prima leggete il capitolo qui sotto e poi andate a rivedere il capitolo 20”…oppure “prima andate a rivedere il capitolo 20 (non tutto ovviamente, ma solo la parte del sogno) e poi proseguite con questo cap”. Non so davvero quale sia il consiglio migliore…ma forse qualcuno sa già di che sogno parlo quindi non serviva fare tutto sto caos.
Non so…sono la solita incasinata…portate pazienza!
Ultima cosa: se secondo voi può servire, più avanti posso fare un altro riassunto di questi capitoli; ditemi voi se può servire!
Buona lettura (a più tardi) ♥
 
Erin

 
 


 
“EVA….NOOOOO!”
La voce di Emma Swan riecheggiò tra le vaste acque di Storybrooke, riuscendo ad espandere quelle poche parole fino al limitare della città, sfiorando il famoso e insostituibile cartello “STORYBROOKE
I passi affrettati dello sceriffo, seguiti dalle tre donne dietro di lei, produssero un suono ovattato, in perfetta sincronia con quel richiamo colmo di allarme e paura.
Doveva raggiungere sua figlia, doveva farlo prima che fosse troppo tardi.
E, chissà perché, era sempre stato troppo tardi quando riguardava Eva.
Non era stata in grado ad impedirle di uscire dalla caffetteria durante il loro primo incontro con Morgana; non era riuscita a fermarla dal distruggere quello che sembrava essere il cuore di Ector; non era riuscita a trovarla prima che lo facesse quella maledetta strega.
Era sempre arrivata troppo tardi, nonostante fosse la Salvatrice.
Com’era possibile? Era questo il ruolo di un salvatore? arrivare sempre nel momento in cui la sua presenza era inutile e priva di alcun aiuto?
Perché non riusciva a fare la differenza? Perché il suo ruolo nel mondo delle fiabe sembrava non funzionare nei confronti di sua figlia?
“Eva….fermati ti prego!”
Colta alla sprovvista dalla presenza di sua madre, in maniera quasi meccanica, Eva chiuse le sue dita sottili attorno all’elsa della famosa spada, per poi alzarsi in piedi e puntare i suoi penetranti occhi verdi sulle tre figure a pochi passi da lei.
Nel momento in cui aveva impugnato la spada, la non-fata accanto a lei aveva emesso una sorta di sospiro; come se qualcosa l’avesse particolarmente soddisfatta; come se, finalmente, il destino avesse intrapreso la strada corretta. Quella sperata da tempo.
La giovane Jones, però, non ci fece caso, tralasciando quel piccolo e quasi insignificante dettaglio. Non riuscì, però, a fare a meno di avvertire una strana sensazione al centro dello stomaco, come se una piccola parte del suo spirito si fosse già pentita per quella profonda negligenza.
Ma la presenza di quelle persone, arrivate al molo con lo sguardo terreo e pallido, aveva completamente attirato l’attenzione della ragazza, facendo ammutolire qualsiasi segnale dall’allarme il suo subconscio stesse cercando di farle risuonare nella mente.
Era lì, parte della sua famiglia era lì davanti a lei.
Sua madre.
Sua nonna.
Regina. 
Avevano tutte il fiato corto e i capelli mossi dal freddo vento pomeridiano.
 “Eva…quella non è Nimue….”
Quelle parole, urlate da sua madre con tutto il fiato che aveva in gola, ebbero la forza di un proiettile, entrato nel perfetto centro del suo cuore.
Che cosa stava dicendo?
Quella….non era….Nimue?
Con lo sguardo sbarrato e confuso, Eva corrugò la fronte, spostando per un attimo lo sguardo dietro di lei, senza emettere un solo fiato, ammutolita dalla consapevolezza di aver commesso l’ennesimo errore della sua vita.
“Nimue si trova con tuo padre e tuo nonno…li ho sentiti un minuto fa…” la voce di Emma, spezzata dall’angoscia, apparve simile ad una sentenza.
Una rivelazione che, in fondo al suo cuore, la giovane Jones sentiva di conoscere già.
Ma com’era possibile?
Nimue non poteva trovarsi con suo padre; lei era lì, era proprio accanto a lei; era stata la sorella della Fata Oscura a metterle tra le mani l’unica arma in grado di uccidere definitivamente quella Strega. Era stata lei ad indicarle la via per impugnare la spada che ora stringeva tra le sue dita pallide.
E allora perché sua madre le stava dicendo il contrario? Perché il suo cuore continuava ad urlarle a gran voce di allontanarsi dalla donna alle sue spalle?
Improvvisamente il cuore della giovane dai lunghi capelli scuri, lasciati alla mercé delle lingue ventose dell’inverno, si congelò nel petto.
Cos’era quella fastidiosa sensazione di déjà-vu? Perché sentire il contatto di quella spada tra le mani non le dava la sensazione di potenza e gioia che aveva sempre immaginato di provare?
Perché lo sguardo di sua madre, in quel momento, era più vicino alla rabbia e non al sollievo che si era aspettata di vedere quando Nimue le aveva parlato di Excalibur?
Perché….perchè le sembrava di rivivere un sogno?
O forse avrebbe dovuto dire…un incubo?!
“Che dire…grazie di avermela portata…principessa!”
La voce cristallina della Nimue alle spalle della giovane Jones, aveva qualcosa di strano, qualcosa che incrinava terribilmente con quel volto elfico; lo stesso che, fino a poco prima, si sforzava di apparire dolce  e comprensivo.
Principessa.
Era la seconda volta che la chiamava a quel modo e, nonostante la prima volta avesse ignorato stupidamente quell’importante dettaglio, ora le sembrò impossibile fare a meno di corrugare la fronte, indurendo la mascella con fare nervoso.
Nessuno la chiamava così, nessuno che non fosse….
“Morgana…” un nome a mala pena sussurrato a fior di labbra.
Eva alzò lo sguardo sulla donna accanto a lei, i cui occhi, fino a poco prima simili al colore della nocciola, ora erano divenuti due biglie gialle, così agghiaccianti da far impallidire il più valoroso dei cavalieri.
Soddisfazione. Era quello lo stato d’animo stampato in quel volto simile delicato.
Nel momento in cui Eva pronunciò il nome della Strega, questa iniziò via via a lasciare che il suo vero aspetto prendesse il sopravvento, dando conferma a quelle che erano le peggiori paure della giovane Jones.
I lunghi capelli neri, simili a vipere ricolme di odio, inghiottirono le ciocche castane appartenenti alla sorella, circondando il volto pallido della strega, come un intricato nido di rovi. Tutto apparve in perfetta sintonia con il lungo abito nero, oscuro come l’anima di chi lo indossava.
I tratti elfici fecero via via spazio ad un volto allungato e il piccolo e delicato neo sullo zigomo sinistro sparì, ingabbiato dalla pelle bianca simile a porcellana. Solo la bocca sembrò rimanere immutata, elegante e perfettamente disegnata, ma ora contorta in un ghigno sprezzante da apparire totalmente diversa da quella della non-fata.
“Ciao topolino…ti sono mancata?!”
Un’improvvisa rabbia, impossibile da contenere, si impossessò dell’animo di Eva, il cui cuore aveva ripreso a martellarle in petto, dando l’impressione di volerle uscire dal torace.
Quella maledetta pazza si era presa gioco di lei, di nuovo, come faceva ormai da un decennio.
Com’era riuscita ad arrivare lì?
 
“…grazie al tuo sangue principessa potrò raggiungerti ovunque tu sia…e arrivare qui indisturbata…senza tutti i vincoli che la tua magia ti ha imposto!”
 
Già, come aveva potuto dimenticarlo.
La sera in cui Morgana aveva preso in ostaggio suo padre per farla uscire dal diner della Nonna, quella donna era riuscita a prendere una goccia del suo sangue, sbarrandosi la strada verso qualsiasi universo temporale avesse scelto pur di raggiungerla.
Se avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto risentire quella voce cristallina e agghiacciante rimbalzarle nella mente.
 
“[…] Qualsiasi cosa tu sia venuta a fare nel passato Eva…smetti di farla e spendi quel poco tempo che ti rimane per restare con la tua cara e misera famiglia…”
 
La Fata Oscura aveva atteso nell’ombra, in attesa che arrivasse il momento adatto, il momento esatto per sferrare il suo perfetto e inarrestabile attacco.
Non aveva lasciato nulla al caso, com’era solito nel suo stile. Quella donna, sempre se la si poteva considerare tale, aveva fatto della sua smania di potere, la linfa della sua stessa esistenza. Non vi era nulla di più importante; nulla, neppure la famiglia.
Si era dimostrata pronta a sacrificare la sua vita e quella di sua sorella pur di ottenere il potere necessario a vincere; era arrivata ad imprigionare lei stessa e Nimue in una sorta di prigionia temporale, dove nessuna di loro aveva il potere di salvare la propria versione, pur di vedere realizzarsi il suo destino.
Qualsiasi errore di Morgana sarebbe stato l’ultimo, perché nessuno, neppure lei stessa sarebbe potuta andare nel passato a salvarsi. Ma questo, in fin dei conti, non importava.
La vera potenza di quella strega stava nella sua costanza, nel suo sacrificare ogni cosa, compreso il tempo, per realizzare il suo piano.
In questo caso la distruzione degli eroi.
Eva, in cuor suo, aveva sempre saputo che quell’assenza nascondeva qualcosa. Lo aveva immaginato in ogni istante.
Si era semplicemente lasciata offuscare, quasi ingannare, dall’idea di poter sconfiggere la Fata Oscura, solo perché per un breve momento era riuscita ad attaccarla con l’aiuto di Regina.
Morgana poteva anche cadere, ma avrebbe sempre trovato il modo di rialzarsi, ancora più forte e folle di prima. Perché, lei, non aveva nulla da perdere.
Lei era invincibile.
Nonostante quella consapevolezza, nonostante una piccola voce dentro di sé le stesse urlando che ormai era tutto inutile e che la cosa più intelligente da fare era quella di lasciar cadere la spada e scappare, Eva si preparò a dar finalmente libero sfogo alla sua rabbia.
Se c’era una cosa che aveva ereditato dalla sua famiglia era il coraggio di battersi fino alla fine, anche quando le cose parevano propense verso la parte avversaria.
Lei non si sarebbe mai arresa. Non avrebbe permesso a nessuno di scrivere la parola fine o di spegnere il piccolo barlume di speranza che, coraggioso, continuava a brillare dentro di lei.
Lo doveva alla sua famiglia.
Lo doveva a Jake.
Stringendo la mascella, la figlia del Capitano Jones si preparò ad usare la spada che teneva in pugno.
Era lei, dopotutto, ad impugnare Excalibur e Morgana si sarebbe pentita di averle messo tra le mani l’unica arma in grado di ucciderla.
Nell’esatto istante in cui la giovane figlia del pirata si preparò a sferrare il suo attacco carico di astio e rancore, gli occhi della Strega davanti a lei parvero illuminarsi, come due carboni ardenti, arrivati al culmine del loro bruciare.
Simile al sogno che aveva fatto quella lontana sera nel villaggio dei Cacciatori di Orchi, Eva sentì la mano che impugnava la spada farsi improvvisamente libera dal peso dell’oggetto sorretto fino a quel momento. Excalibur non era più nella sua mano destra.
Con la stessa improvvisa e inspiegabile magia con cui era apparsa, l’arma sparì dal suo palmo, come se, richiamata da una magia silenziosa, avesse scelto di venire stretta tra le grinfie dell’ultima donna che avrebbe dovuto e potuto impugnarla.
Con lo sguardo sconvolto, Eva spostò gli occhi verdi dalla sua mano a quella di Morgana.
“N-no…” un sussurro, quasi impercettibile “…tu non puoi…”
Non poteva essere. Quella era l’arma prediletta, l’arma che solo una persona dal cuore puro, dall’animo valoroso e impavido, avrebbe potuto impugnare. Era la spada in grado di uccidere Morgana, forgiata in nome del coraggio, dell’onore e dell’amore, tutti sentimenti estranei a quella donna dal cuore di pietra.
Ma allora…
“Ti stai chiedendo perché riesco ad impugnare Excalibur…vero principessa?” la voce carica di astio e soddisfazione, simile ad un sussurro “…ti stai chiedendo come sia possibile che io, l’essere più oscuro che abbia mai toccato il suolo della Foresta Incantata, riesca ad impugnare la spada più eroica mai esistita. Bè…vediamo…come posso spiegartelo?!” esclamò, fingendo di cercare le parole adatte “Beh…perché io e te ora…siamo uguali?!”
Tutto accadde così velocemente da non lasciare il tempo ad una foglia innalzata dal vento di toccare di nuovo terra.
Lei. Era. Uguale. A. Morgana.
Lo aveva detto poco fa.
Accetto di essere oscura…e di avere l’animo colmo di odio…dolore e rancore…
Lo aveva detto.
Aveva scelto l’oscurità, spianando così la strada alla Fata Oscura.
Lo aveva fatto convinta di scegliere la strada giusta, quella che l’avrebbe condotta alla vittoria.
Con il volto carico di consapevolezza, Eva spostò lo sguardo dietro di lei.
Sentiva le urla di sua madre, i passi ovattati degli stivali a contatto con il terreno asfaltato.
Sembrava che tutto si stesse muovendo a rallentatore.
I passi delle donne dietro di lei. Le onde del freddo oceano. L’aria che le circondava le ciocche scure.
Maledizione…quanto era stata stupida.
Aveva permesso a Morgana di ingannarla. Di nuovo.
Se Jake o Regina, la sua Regina, l’avessero vista le avrebbero dato dell’idiota senza troppi giri di parole.
Nel momento in cui la giovane Jones tornò a posare lo sguardo su Morgana, questa si avvicinò di un passo a lei, posandole una mano sulla sottile spalla ricurva.
Come l’abbraccio infido di un serpente velenoso, la strega avvicinò la sua bocca all’orecchio della giovane, sussurrandole le stesse parole che aveva sentito in quel suo strano sogno, quello di cui solo ora ricordava il finale.
“Tu…non sei…la Salvatrice!” esclamò soddisfatta “…sei solo Eva Jones…l’eterna ed inutile orfana!”
Parole fredde, taglienti, come la lama a contatto con la sua stessa carne.
Con la bocca aperta, un po’ per lo sgomento e un po’ per il dolore acuto all’addome, Eva si ritrovò a specchiarsi in quegli occhi gialli, più simili a quelli di un demone che non a quelli di una Fata nata nella Foresta Incantata.
Faccia a faccia con la sua nemesi.
Con la stessa grazia agghiacciante con cui solitamente si muoveva, Morgana si allontanò dal corpo della giovane Jones, estraendo Exalibur da quel corpo così a lungo odiato.
“Evaaaaa noooooo!” l’urlo carico di un terrore, che solo una madre poteva provare, sembrò far tintinnare ogni vetro nelle vicinanze “Maledetta allontanati da l….”
Pronta come forse non lo era mai stata ad usare il suo potere contro quella pazza dai capelli corvini, Emma alzò entrambe le braccia, in perfetta sintonia con l’affluire del suo incontenibile potere, non del tutto alla sua mercé ma comunque pronto a dare una bella lezione alla strega.
La voce della Salvatrice, però, si bloccò sul colpo, come il suo corpo e quello delle donne dietro di lei, a loro volta allarmate da ciò che avevano appena visto.
Con la spada insanguinata stesa lungo il suo fianco e con l’altra mano alzata davanti a sé, Morgana si lasciò andare ad una risata priva di controllo e di alcuna sanità mentale.
Emma cercò con tutta sé stessa di liberarsi, di ritrovare il controllo della sua magia, del suo corpo fermo in una posizione quasi innaturale.
Si trovava lì, a pochi passi dal corpo morente di sua figlia, bloccata contro la sua volontà.
Avrebbe dovuto fare solo un piccolo sforzo e sarebbe stata in grado di aiutarla, di raggiungere Eva.
“Oh…non riesci a muoverti vero Emma?!” la voce calma di Morgana echeggiò nella testa di Emma, la quale non riusciva a vedere nulla che non fosse sua figlia, riversa a terra, immobile, come lo era lei in quel momento.
Perché non si muoveva? Perché era caduta in maniera così scomposta?
-Killian….Killian ti prego…-
“…vedi…Emma…” Morgana apparse improvvisamente davanti a lei, sovrapponendosi alla visuale di sua figlia stesa a terra “…questo è…il giorno…più bello…della mia…vita*!” un sorriso così esteso da sembrare quasi innaturale “E non posso permettere che tu ora rovini tutto andando a salvare la tua bambina. Tutti che cercano di salvarla…quel maledetto pirata, quella specie di ladro ribelle, Regina….ma nessuno che pensa a quali siano i miei sentimenti!” parole pronunciate con una naturalezza quasi agghiacciante “Sai da quanto sogno di ucciderla? Da quando immagino il suo corpo esalare l’ultimo respiro?! Bè sono….mmmm vediamo….” esclamò, fingendo di contare come un bambino, muovendo le dita della mano libera dall’impugnatura della spada “Ah sì…dieci anni. Dieci anni, o forse più, che merito di vedere morto quel…topo di fogna. E ora…ce l’ho fatta!”
Ancora quella risata, ancora quell’assenza di delicatezza, di emozioni sane.
“Ora…sono invincibile. Non c’è più nulla che possa fermarmi…nessuna profezia…nessun atto di Vero Amore o come diavolo vogliate chiamarlo!” continuò quasi collerica “Ho vinto io!”
All’improvviso, la figura della Strega sparì dalla visuale della Salvatrice, comparendo dinanzi alla a Regina, immobile come la bionda davanti a lei, con le mani strette a pugno e il volto colmo di rabbia.
“E tu, Regina, da brava ex assassina, starai pensando: Perché non l’hai uccisa prima?!” le chiese, sfiorandole il volto con le dita e porgendole uno sguardo corrucciato “…ma perché prima non potevo, sciocchina! Come avrei potuto uccidere l’unico mezzo in grado di farmi impugnare questa….” spiegò, sollevando leggermente la pesante spada leggendaria “L’unica arma in grado di segnare la mia fine, ora è diventata il tramite della mia vittoria”
Priva di alcun controllo, Morgana continuò ad utilizzare la sua magia, comparendo dinanzi alle presenti, impossibilitate anche solo a muovere le pupille in direzione di quel volto segnato dalla follia.
Con la stessa velocità con cui era comparsa dinanzi alle due donne più potenti di Storybrooke, Morgana si materializzò dinanzi a Biancaneve, il cui volto sembrava privo di alcuna espressione, di alcuna emozione, con le penetranti iridi color nocciola puntate su un punto imprecisato davanti a sé, come a voler ignorare lo sguardo innaturale della strega.
“Lo so Regina che una parte di te mi sta invidiando” esclamò, rivolgendosi alla sovrana nonostante i suoi occhi fossero puntati sulla giovane Mary Margaret “…dopotutto l’invidia è una caratteristica di famiglia no?!!” la derise, volgendo lo sguardo verso di lei, come se potesse aspettarsi una qualche risposta diversa dall’immobilità “Io sono riuscita ad ottenere la mia vendetta…da sola, senza bisogno di alcun aiuto. E lo sai perché? Perché io sono una persona paziente. Io so aspettare anni…e anni ancora prima di guadagnarmi ciò che mi spetta. So fare dei sacrifici…Ma alla fine raggiungo sempre quello che voglio. E tu non puoi dire lo stesso!” aggiunse, sfiorando il volto pallido e perfetto di Biancaneve, per poi stringere la mandibola della donna con la mano pallida.
“Lo sai Biancaneve…sei stata una delle prime che ho ucciso. Non è stato poi così difficile. Eravate tutti così impegnati a difendere i vostri figli che non avete prestato, nemmeno per un attimo, attenzione a voi stessi. Che cosa sciocca da fare…sacrificarsi per qualcun altro ...” sibilò la Fata Oscura, non riuscendo a controllare il tono rabbioso, quasi velato da una sorta di tristezza e paura “…morire per il bene della tua…famiglia! Suona mieloso perfino per una come te…!”
Di colpo, un sorriso comparve sul volto della donna dai capelli simili a lingue di fuoco nere come la notte, come se la rabbia di poco prima fosse svanita, portata via dal vento dell’oceano.
Con fare teatrale si voltò, lanciando per un’ultima volta uno sguardo sprezzante in direzione delle donne dietro di sé “Mia sorella mi ha delusa…allearsi con voi…con i perdenti. Non è stata una scelta così intelligente. Ma dopotutto, cos’altro aspettarsi da lei?! Un’anima…disperata…come voi.” esclamò, soddisfatta, dando definitivamente le spalle alle ultime tre arrivate.
“Tutti voi pensavate che la spada fosse stata nascosta da Merlino…non sapendo che quello stregone è morto da così tanto tempo da non aver lasciato più nulla…nemmeno ai vermi!” esplose in una risata, del tutto fuori luogo e per questo ancora più spaventosa “Non vi siete posti il minimo dubbio sulla validità delle informazioni in vostro possesso. Quanto sapete essere stupidi…e avete il coraggio di chiamarvi eroi
Senza servirsi nuovamente della sua magia oscura, Morgana continuò a camminare in direzione del corpo di Eva, cullando la spada che aveva tra le mani come se si fosse trattato di un piccolo bisognoso delle sue attenzioni e delle sue personali cure.
Le scarpe alte echeggiavano a contatto con il suolo, creando una sorta di ticchettio simile all’incedere della morte.
Tutto intorno a loro sembrava immobile, silenzioso, come i corpi di Emma, Regina e Biancaneve.
“Mentre voi pensavate di fare un passo avanti verso la mia distruzione…io mi godevo la vostra imminente sconfitta…comodamente seduta sul mio trono, attorniata da chi mi sostiene.”
Arrivata ai piedi della giovane Jones, la strega si inginocchiò, osservando la ragazza sanguinante come un qualcosa di estremamente curioso e inspiegabile, piegando la testa di lato come era solito fare agli animali.
E forse era proprio quello a rendere Morgana tanta terrificante. Quel suo essere estremamente imprevedibile, priva della coscienza umana e ricolma di un senso di pazzia che la portava a fare scelte unicamente dettate dall’istinto e dalla rabbia.
Con fare quasi gentile, la Fata Oscura allungò una mano verso il viso stanco di Eva; le palpebre chiuse di quest’ultima impedivano al verde brillante dei suoi occhi di donare a quel volto la solita aria di sfida che la caratterizzava; che caratterizzava tutta la sua famiglia.
“Devo ammettere che...quando Tremotino si è intromesso e ti ho vista impossessarti di tutti gli ingredienti…ho temuto il peggio. Ho temuto di averti persa….e che fosse davvero arrivata la mia fine! Non sapevo dove fossi e sentivo scivolarmi dalle dita la possibilità di mettere le mani su di te…” sussurrò, facendo delicatamente scendere la mano verso la ferita allo stomaco, da cui sgorgava così tanto sangue da aver inzuppato lo spesso cappotto invernale, lo stesso che, poco prima, la difendeva dal freddo ma che ora sembrava rappresentare una sorta di macigno sul suo corpo pallido e via via sempre più debilitato.
“E invece…eccoci qui…insieme.” sorrise, sfiorando, con le dita simili ad artigli, la ferita di quel corpo già ricolmo di dolore “Alla fine ti sei domostrata la loro rovina principessa….e la mia…salvezza. Chissà come reagirà Lui…quando glielo dirò!”
Con lo sguardo attraversato da una nota di follia, Morgana si preparò ad inserire la mano nel petto della ragazza, pronta a suggellare la fine di quel tanto agognato momento.
 “Metti. Giù. Le. Mani. Da. Mia. Figlia….”
Un’improvvisa voce calda, leggermente roca e carica di un disprezzo impossibile da non cogliere, bloccò il movimento della mano di Morgana, la quale si fermò a mezz’aria, come se fosse controllata da un potere più grande.
Nel momento in cui la strega si apprestò a voltare lo sguardo dietro di sé, la fredda punta di una spada entrò a contatto con la sua pelle, obbligandola a fermarsi.
Dopotutto non c’era bisogno di voltarsi. Chiunque avrebbe riconosciuto quella voce. Quel modo di fare sicuro e arrogante, anche di fronte alla più temibile delle streghe mai esistite; anche con la consapevolezza che una misera spada poco avrebbe potuto contro la sua magia.
“Killian…Jones…” esclamò la donna, colma di ironia, alzandosi lentamente in piedi e stringendo ancora di più la presa sulla sua elsa “Non ci vediamo da un po’…o forse no!” rise, divertita dalla sua stessa frase “Ma dimmi…pensi davvero di poter far qualcosa con quella?!” esclamò sarcastica, puntando uno sguardo di sottecchi alla spada del Capitano.
“Io no…ma lui sì…”
A nulla servì lo sguardo stupito di Morgana; a nulla servì il suo voltarsi di scatto per controllare a chi il pirata avesse lanciato uno sguardo soddisfatto; a nulla servì vedere il Principe Azzurro inginocchiato ai suoi piedi, con tra le mani un piccolo pugnale, lo stesso che poco tempo prima aveva usato per liberare il fidanzato della figlia dal ghiaccio in cui la Regina delle Nevi lo aveva imprigionato.
Tutto accadde in maniera estremamente veloce, quasi irreale.
Nel momento in cui gli occhi giallo paglierino si posarono sulla figura aitante del padre di Emma Swan, questi calò la lama del pugnale sul suo piede destro, rendendo il grido di dolore della strega simile a quello leggendario di una banshee, portando su di sé un richiamo di morte e dolore.
 
 
 
***
 
 
“È questa la grotta?!”
“Credo di sì…Trilli ha indicato questa zona e non mi sembra di vedere molte grotte qui intorno!”
Fu la prima volta che, principe e principessa, si rivolsero nuovamente la parola dopo l’ultimo scontro, avvenuto davanti ad alla fata, piuttosto famosa, dai toni verdolini, qualsiasi fosse il reame in cui la si nominasse.
Solitamente Eva Jones non era il genere di persona che cercava di riappacificarsi; al contrario, si sentiva più il tipo incline a tenere il broncio, anche nel caso in cui la ragione non protendesse particolarmente dalla sua parte.
In fin dei conti, però, non aveva mai trascorso abbastanza tempo con qualcuno che non fosse suo padre, o suo fratello, per riuscire a testare la cosa. Loro la conoscevano e sapevano come prenderla, lasciandola, il più delle volte, a sbollire la rabbia senza troppe cerimonie.
Ma ora non era insieme a loro e, per di più, doveva ammettere che la lite la vedeva quasi del tutto come parte colpevole.
Jake si era fidato di lei; aveva rischiato tutto pur di tornare al castello e salvarla; si era dimostrato pronto a sacrificare la sua vita per lei e l’unico ringraziamento che ne aveva ottenuto era stata l’ennesima bugia.
Essere arrabbiato con lei era, probabilmente, il più logico degli atteggiamenti.
Con il cuore pesante, la giovane Jones sapeva di non essersi comportata nel migliore dei modi. Avrebbe dovuto parlagli del veleno e del particolare alquanto scomodo nascosto dietro all’accordo stretto con Tremotino.
Ma lei, per quanto odiasse ammetterlo, non riusciva a fidarsi.
Non riusciva a lasciarsi totalmente andare, a lasciare che un altro essere umano entrasse nel suo cuore.
Come si imparava a donare a qualcuno l’immenso potere di occuparsi di una piccola parte di te?
Da quasi diciassette anni, l’unico che aveva ricoperto quel ruolo era stato suo padre. Ed ora, probabilmente, era troppo tardi per cambiare per un tipo come lei.
Sarebbe diventata una vecchia scorbutica se non avesse fatto qualcosa per cambiare.
“Tu aspetta qui…entro io!”
La voce grave del ragazzo accanto a lei, riuscì a zittire le voci di quei sottili pensieri, riportandola alla quasi invisibile grotta dinanzi a lei.
Non era il genere di grotte che, solitamente, la giovane Jones aveva incontrato nei suoi numerosi viaggi nei territori della Foresta Incantata; sembrava piuttosto simile ad un piccolo foro, dal quale sì o no ci sarebbe potuta passare una figura maschile, preferibilmente lontana dal soffrire di claustrofobia. Una tana di qualche animale abbandonata da secoli e solidificata dalle rocce del luogo.
Certo, i deboli raggi dell’alba le donavano un aspetto invitante, simile alla tana del coniglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, o almeno quella che era la versione raccontata nella realtà in cui si trovava Storybrooke; ma qualcosa le diceva di non fidarsi e che, solitamente, le prime impressioni erano anche le più lontane dalla realtà.
“Perché devo essere io quella che aspetta. Sono più magra di te…ci vado io…tu aspetta qui!” esclamò la mora, apprestandosi a superare Jake, il quale, però, non perse tempo a posare una mano sopra la sua spalla sottile, trattenendola.
“Sarai anche più magra…ma ricordati che sei silenziosa come un elefante in una cristalleria. Sai com’è…preferirei evitare di far conoscere la nostra posizione alla megera!” le sorrise, sbruffone, superandola a sua volta.
Una parte di Jake, però, sapeva di dover attendere poco meno di qualche secondo prima che quella voce inconfondibile ritornasse a rivolgersi a lui, con parole sicuramente ricolme di dolcezza e amore.
“Sei proprio un grande st…”
“Ehi ehi ehi…” la fermò, voltandosi verso di lei e puntando i suoi penetranti occhi scuri su quel volto ormai così familiare “…tu poi vorresti baciarmi con quella boccaccia?!”**
Le guance della giovane Jones, solitamente rosee, assunsero di colpo un colore vermiglio, il quale pareva sposarsi alla perfezione con il colore verde giada dei suoi occhi.
Rimase di sasso.
Lei, sempre scaltra e pronta all’azione, si ritrovò ad aprire e chiudere la bocca, non riuscendo a riordinare il flusso di pensieri che, improvvisamente, cominciò a riempire la sua mente.
-B-baciarlo?...io non…io non…- nemmeno nella sua mente riusciva a controllare il balbettio dettato dall’imbarazzo.
Se suo padre l’avesse vista l’avrebbe presa in giro per il resto dei suoi giorni.
Ovviamente subito dopo aver eliminato il pretendente.
-Pretendente…maledizione…che diavolo vado a pensare…- si riprese da sé Eva, consapevole di avere il volto sempre più in fiamme.
“Che fai Jones?...non dirmi che hai deciso di rimanere qui fuori e di darmi ascolto?!”
Maledicendolo con la sola forza dello sguardo, Eva si affrettò a raggiungere il figlio di Regina, il quale se ne stava fermo davanti all’entrata della grotta, con quella sua aria strafottente e arrogante da far concorrenza ai suoi predecessori.
Lanciandole un’occhiata carica di soddisfazione, Jake si apprestò ad entrare per primo, ben consapevole dell’effetto che le sue ultime parole avevano avuto sulla giovane dietro di lui.
Per quanto faticasse ammetterlo, sapeva di non essere più così adirato con lei. Non sentiva più la rabbia dovuta alla sua ennesima bugia farsi largo nel suo cuore e il farla arrabbiare non era assolutamente un qualcosa dettato dal rancore o dalla voglia di farla soffrire.
Sentiva, piuttosto, il forte bisogno di vederla arrossire, di vedere come i suoi occhi si allargassero quando avvicinava troppo il suo viso al suo. Ma questo accadeva da sempre; dal compleanno di Alex, ad essere precisi.
Gli piaceva sapere di avere una sorta di potere sul suo umore e, forse, era l’unico modo per accettare il forte potere che lei stessa aveva su qualsiasi cosa lo riguardasse.
La sentì sbuffare alle sue spalle e, con un sorriso lievemente accennato, Il giovane Mills entrò nella grotta.
L’unico modo di proseguire era in fila indiana e, con Eva dietro di lui, Jake si addentrò in quel cunicolo di oscurità, sperando che le pareti su cui stava appoggiando le mani non cominciassero a cambiare consistenza.
Era in luoghi come quello che gli ritornavano alla mente le scene di uno dei pochi film che ricordava di aver visto in compagnia di Henry; il nome aveva qualcosa a che fare con Indiana…e forse il cognome di Eva, ma non ne era certo.
Era piccolo quando aveva guardato quel film con il fratello, di nascosto da sua madre e, per quanto tempo fosse trascorso da quel pomeriggio di tanti anni prima, c’era una scena in particolare che non avrebbe mai scordato, nemmeno se lo avesse voluto.
Non era una scena particolarmente spaventosa e, probabilmente, se qualcuno lo avesse saputo lo avrebbe deriso.
Era quella in cui la donna della storia entrava in una sorta di nascondiglio segreto, simile alla grotta in cui si trovavano in quel momento. Camminava disgustata, illuminando ciò che le stava davanti con una banalissima lampada ad olio. Quando, improvvisamente, sentì qualcosa sulla sua pelle e, puntando il fascio di luce sulla sua mano, si ritrovò tra le mani un’immensa mantide religiosa.
Ovviamente non era l’unico insetto presente in quel luogo. Millepiedi, rane, blatte, vermi di indubbia forma e provenienza. Un’immagine disgustosa.
Per quanto fosse poco virile ammetterlo, il solo pensare a quella donna mentre infilava la mano in quel buco pieno di insetti viscidi e rivoltanti, con l’intento di tirare una sorta di leva, e i millepiedi le si infilavano nei suoi vestiti, gli faceva venire ancora la nausea.
All’epoca era solo un bambino, e chiunque lo avrebbe compreso, soprattutto suo padre; ma la cosa preoccupante era che aveva mantenuto quella sorta di incubo ad occhi aperti anche ora che di anni ne aveva quasi venti.
Certo, se vedeva un insetto non si metteva ad urlare come una donnetta; ma non avrebbe mai resistito nel trovarsi in una grotta simile a quella del film e, purtroppo, quel posto e i rumori che produceva glielo ricordavano particolarmente.
Lui era uno tosto, lo sapeva e lo sapeva pure chi aveva avuto il piacere, o il dispiacere, di conoscerlo; ma se c’era una cosa che la disgustava, e di cui non andava affatto fiero, era l’accoppiata oscurità e creature piccole, viscide e rivoltanti.
Non poteva farci nulla e, ovviamente, nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza di quella sua stupida debolezza. Men che meno la ragazza dietro di lui.
Già immaginava la sua comprensione.
“Oddio…la senti questa puzza?!” esclamò Eva tappandosi da bocca con la mano, consapevole dello strano effetto prodotto dalla sua voce coperta dal suo palmo.
“Beh…non mi lavo da un po’ in effetti. Rimedierò dopo aver fatto visita a mia zia…!” le rispose con tranquillità, dimostrando di non essere così disturbato dall’odore in questione.
“No…è…è l’odore di qualcosa andato a male…tipo di…” Eva di interruppe di colpo, non riuscendo a trovare le parole “…di qualcosa di…morto!”
“Non credo ci siano molte cose vive qui dentro!”
Quasi a voler controbattere a quella risposta così sicura e arrogante, il corso degli eventi sembrò improvvisamente cambiare le carte in tavola, riuscendo a far congelare sul petto il cuore pulsante del giovane Mills.
Eccola lì.
La sensazione più orribile che esistesse. L’unica che, nel più dettagliato degli incubi, si sposava alla perfezione con l’oscurità di quella grotta.
La sensazione di qualcosa di viscido, sotto i loro piedi.
Cercando di respirare e di non perdere neanche per un istante il controllo sui suoi nervi, Jake cercò di non saltare a conclusioni affrettate.
Eppure, il rumore di qualcosa di scricchiolante e, al contempo, viscido sotto le suole delle scarpe si faceva via via sempre più vivido. Sembrava che il pavimento fosse improvvisamente divenuto morbido, viscoso; simile alla colla liquida mescolata all’acqua.
Jake si bloccò di colpo, indeciso se tentare un’arrampicata su quelle pareti, o fare direttamente dietrofront e uscire all’aria aperta, dove il sole e l’ossigeno facevano da padroni.
D’istinto il giovane iniziò ad indietreggiare, andando ben presto a sbattere contro il corpo di Eva, poco lontano da lui.
“Ehi…che ti prende?”
“C’e qualcosa sotto i nostri piedi…vero?!”
Aveva un tono lapidario, privo di quel consueto velo di arroganza e presunzione che, solitamente, lo caratterizzava.
“Penso di sì…e penso sia pure viva…e…disgustosa!” gli rispose la giovane, esortandolo a continuare “…quindi meno rimaniamo fermi qui meglio sarebbe”
Ma il ragazzo non si mosse. Nemmeno quando Eva posò le mani sulla sua schiena atletica.
“Jake…”
“Potresti usare la magia…” esclamò improvvisamente, in tono serio e alquanto nervoso.
“La magia? E per cosa?”
“Per illuminare quello che abbiamo sotto i piedi. Sento qualcosa salirmi sulla gamba e vorrei sapere di cosa si tratta…” il tono sempre più nervoso, così come doveva esserlo il suo volto.
Per un momento Eva rimase in silenzio, non sapendo se essere più sconvolta dal fatto che Jake potesse aver perso improvvisamente il controllo per qualcosa che doveva avvicinarsi a degli insetti rivoltanti, o per averle chiesto personalmente di usare la magia.
Sorrise al pensiero che un ragazzo forte e coraggioso come Jake si lasciasse sopraffare da una cosa tanto piccola. Ma forse era proprio quello ad averglielo, improvvisamente, reso più caro.
“Non userò la magia per una cosa del genere…” gli rispose “…Morgana potrebbe vederci…”
“Non ci vedrà…usala…ti prego!”
La stava pregando. E con un tono così…così…
Maledizione.
“E va bene…ma mi devi un favore!”
Senza concentrarsi troppo nell’usare la magia, Eva lasciò che la sua mano divenisse un emissario di luce, in grado di illuminare ciò che avevano davanti a loro.
Come entrambi avevano immaginato, lo stretto corridoio in cui si trovavano era lungo circa nove metri, dopodiché sembrava terminare nel buio più assoluto, dove nemmeno la magia di Eva sembrava riuscire a penetrare. Ma non era quella la cosa più preoccupante; bensì, ciò che aveva preso il posto del pavimento sotto i loro piedi.
Una miriade di insetti, dai più svariati, componeva una sorta di tappeto vivente, da cui proveniva un suono simile all’albume d’uovo, mescolato con le mani.
Consapevole dell’espressione che doveva aver dipinto in volto, Eva posò lo sguardo su Jake, aspettandosi di vedergli la stessa faccia e lo stesso disgusto. Al contrario delle sue aspettative, però, l’arciere dai capelli scuri, se ne stava con gli occhi chiusi e il volto così pallido da apparire quasi sofferente come lo era il giorno prima, con la spada di un troll puntata alla gola.
“Ehi…stai…stai bene?!” gli chiese la ragazza, posando la mano libera sulla spalla di Jake.
“Io…”
“O-ok…senti…vado avanti io…” esclamò, cercando di apparire tranquilla e per nulla preoccupata da quell’improvviso terrore dipinto sul suo volto.
Bene. Jake aveva una sorta di fobia con gli insetti.
Però, visto che lei era un’asociale, bugiarda e priva di tatto, non poteva di certo sentirsi nella situazione di poter giudicare.
Lo avrebbe preso in giro una volta usciti da lì. Ovvio.
Nell’esatto istante in cui la Jones si apprestò a superare la figura di Jake, qualcosa di viscido calò sulla testa di Eva, posandosi prima sui suoi capelli per poi raggiungere il suo volto.
Era qualcosa di solido, ma imperniato di una sostanza melmosa, simile alla bava delle lumache, ma dall’odore così acre da impedire alle narici di respirare.
Eva emise un urlo di disgusto, attirando su di sé gli occhi scuri di Jake.
“Maledizione…che cos’è…puzza da morire…”
Cercando di togliersi l’insetto dalla pelle, Eva si accorse che questi si era incollato sul suo collo, rilasciando quell’odore pungente e insopportabile che andò a finire dritto sotto il suo naso.
Come se fosse bastato il vederla in difficoltà per vincere una piccola parte della sua paura, Jake si avvicinò al corpo della ragazza e, senza prestare troppa attenzione alla morbidezza dei suoi gesti, strappò l’insetto attaccato alla pelle ormai livida della Jones, notando solo in quel momento un dettaglio fino a quel momento tralasciato.
“Eva…che stai dicendo?!...non c’è nessuna puzza.”
La giovane non fece in tempo a rispondere che, improvvisamente, una pioggia di quelle creature fece capolinea dal soffitto, tutte principalmente attirate dalla figura di Eva, la quale cercò di trovare riparo inginocchiandosi a terra, coprendosi il capo con le braccia.
Gli insetti viscidi non persero tempo a posarsi sui suoi vestiti, sul suo volto, ignorando volutamente il giovane figlio di Robin, mentre Eva cercava di allontanare quei vermi dalla sua bocca, tenuta disperatamente chiusa nonostante la voglia di urlare fosse quasi incontrollabile.
Attraversata da conati di vomito e dall’istinto di tossire, la giovane Jones usò una mano per coprirsi le labbra mentre, con l’altra, cerava di liberarsi da quelle orribili creature.
Il raggio di luce emesso dalla sua magia aveva ormai smesso di illuminare il corridoio, facendo ripiombare nell’oscurità i due giovani figli degli eroi.
Cercando di aiutarla come meglio poteva, Jake si inginocchiò a sua volta, posando una mano sui capelli voluminosi della ragazza, guardandosi al contempo intorno alla ricerca di una via di fuga.
Ma come si poteva trovare qualcosa in un corridoio immerso nell’oscurità più totale, dove l’unico rumore proveniva da quelle creature disgustose?
“Eva…dobbiamo tornare indietro…”
Senza aspettare una risposta, Jake aiutò l’amica ad alzarsi in piedi ma, dopo solo alcuni passi, la loro ritirata venne interrotta dall’ennesimo conato di vomito di Eva, la quale si ritrovò nuovamente a terra.
Le creature non arrestavano per un solo attimo la loro avanzata, usando gli arti della giovane come appiglio per raggiungere ogni tratto scoperto del suo corpo.
“Maledizione…” imprecò a gran voce il giovane Mills.
La situazione stava sfuggendo di mano e le condizioni di Eva peggioravano a vista d’occhio.
Quasi spinto da una forza invisibile, Jake posò nuovamente lo sguardo alla sua destra, verso la strada poco prima abbandonata, per sfuggire a quell’imprevedibile attacco a sorpresa.
Improvvisamente, come se qualcuno fosse silenziosamente passato da quelle parti, una torcia sembrò essere comparsa dal nulla, attirando su di sé lo sguardo del ragazzo; si trovava a qualche metro di distanza dalla posizione di Jake, appesa ad una parete in roccia, ben diversa da quella ricoperta di insetti accanto a loro.
-Le fiamme….spaventano le creature- pensò tra sé e sé Jake, senza mai allontanare la sua mano dalla schiena di Eva.
Quanto distava quella torcia? Sei o sette metri? Forse più?
Deglutendo a fatica, Jake cercò di allontanare dalla mente l’idea di dover attraversare a piedi, nella semioscurità, un tratto non indifferente di pavimento in movimento; consapevole che le mantidi giganti del film che aveva visto sarebbero state decisamente migliori di qualsiasi cosa si trovasse ai loro piedi in quel momento.
Ma doveva aiutare Eva e la sua maledettissima e imbarazzante paura avrebbe dovuto farsi da parte.
Per quella ragazza dal carattere impossibile avrebbe fatto qualsiasi cosa.
“Eva…Eva ascoltami…”
Aiutandola ad alzare leggermente il volto, Jake puntò i suoi profondi occhi scuri su quelli di Eva, la quale faticava a tenerli aperti, debole com’era.
“Torno subito ok? Non ti muovere…”
Consapevole di non potersi aspettare una risposta da parte della ragazza, Jake si alzò da terra, cominciando a camminare in direzione della torcia.
Il viscidume sotto i suoi piedi sembrava aumentare via via che i passi veloci e nervosi del giovane si posavano sulle creature a terra. Gocce di sudore imperlavano la fronte di Jake, facendo appiccicare alcune ciocche di capelli scuri sulla pelle.
Non doveva pensare a cosa aveva sotto i piedi.
Non doveva pensare a cosa stava toccando la sua mano posata alla parete.
Non doveva pensare a cosa sarebbe potuto crollare dal soffitto da un momento all’altro.
Doveva solo pensare ad Eva e a quella maledetta torcia a quattro metri da lui.
Quell’oscurità sotto i suoi piedi avrebbe finalmente lasciato spazio alla luce e alla cara e familiare roccia del pavimento, la quale poteva essere intravista già a quella distanza.
Con il fiato corto, Jake voltò il capo dietro di sé, per dare un’ultima occhiata alle condizioni di Eva prima di dedicarsi completamente all’oggetto apparso magicamente su quel muro.
La ragazza, che sembrava detenere un ruolo non indifferente sul suo cuore, era ancora seduta a terra, con le mani davanti alla bocca.
Per lo meno respirava ancora.
Lasciandosi andare ad uno stanco sospiro, Jake volse nuovamente il volto verso il corridoio che si appresta a ad attraversare quando, all’improvviso, il pavimento sotto ai suoi piedi apparve stranamente privo di alcuna creatura viscosa, scricchiolante o in movimento.
Non vi erano più insetti sotto su di lui, nulla che si muovesse o che riuscisse a renderlo nervoso.
Sarebbe stato tutto a dir poco perfetto, se solo l’assenza di insetti non fosse stata accompagnata dal vuoto magicamente apparso ai piedi del ragazzo, facendolo sparire da quell’insolito corridoio, accompagnato unicamente da un urlo di stupore e da un’imprecazione.
 
 
***
 
 
Il corpo longilineo di Evangeline Jones, era steso su di un classico letto d’ospedale, dove tubi e monitor facevano da padroni in quella stanza illuminata dal sole.
Erano trascorsi due giorni dall’incontro ravvicinato con Morgana ma le condizioni della figlia della Salvatrice non potevano ancora dirsi fuori pericolo. La potenza della lama di Excalibur, così famosa da essere riuscita ad attraversare vari regni, aveva mantenuto alto il suo valore, rendendo la ferita allo stomaco della ragazza decisamente grave, apparentemente irreparabile perfino con la magia presente a Storybrooke.
Il volto di Eva, fino al giorno prima cereo e con profonde occhiaie nere sotto gli occhi, ora appariva leggermente più roseo, ma il respiro ancora affannoso non sembrava vedere grandi miglioramenti. Fortunatamente la mascherina, sistemata poco prima dal dottor Whale, sembrava riuscire ad alleviare quella respirazione affannosa, nonostante i suoi accesi occhi verdi non sembrassero voler dar cenno di aprirsi.
Seduta su una delle sedie messe a disposizione dalle infermiere, Emma finse di sistemare la coperta azzurro oceano posta sulle gambe della figlia, quando in realtà desiderava unicamente tenere le mani su quei lunghi e morbidi capelli scuri, così simili a quelli dell’uomo che amava da perforargli il cuore.
Sembrava così indifesa in quel momento, così piccola e bisognosa dell’amore di qualcuno.
Alle volte, sentiva Eva lamentarsi nel sonno e chiamare qualcuno. Spesso chiedeva di Killian o di lei; ma non poteva ignorare il nome che ogni tanto sussurrava a fior di labbra; un nome che, non appena raggiunse le orecchie di Regina, riuscirono a far congelare il sindaco di Storybrooke sul posto.
Jake.
Regina, nonostante non lo avesse mai conosciuto, si ritrovava a convivere con la consapevolezza che suo figlio sarebbe morto, privo del suo aiuto, come lo era stato Daniel prima di lui.
Anche il sindaco di Storybrooke sembrava non poter mai vivere un periodo di pace.
Prima l’allontanamento forzato di Robin, ora la notizia di un figlio non ancora nato ma destinato ad una morte precoce.
Aveva un limite il dolore di una persona? C’era un livello oltre il quale il cuore non avrebbe più retto, o il destino aveva la piena libertà di giocare fino alla fine con la loro gioia, la loro speranza, facendoli sentire dei deboli individui la cui felicità veniva rinchiusa in uno scrigno, privo di qualsiasi chiave in grado di riaprirlo?
Allontanando quei sentimenti dal cuore, Emma posò nuovamente lo sguardo sulla figlia, sfiorandole il volto con le dita.
Se chiudeva gli occhi poteva nuovamente ritornare al molo, immobilizzata dalla magia di Morgana, mentre quest’ultima si apprestava a mettere fine alla vita della sua secondogenita.
Ricordava di essersi sentita, per la prima volta, davvero inutile, debole, priva di quella magia di cui si era ormai abituata, grazie all’aiuto e al sostegno delle persone che amava.
Eppure, in quel momento, sotto l’immensa magia della Fata Oscura, Emma non era riuscita a ribellarsi, ritrovandosi inerme davanti ad una serie di eventi che avrebbero nuovamente sconvolto la sua vita.
L’arrivo di Killian, quasi fosse stato richiamato dal suo silenzioso grido di aiuto, e di suo padre fu alquanto tempestivo.
Dopo che il Principe Azzurro aveva piantato il suo pugnale sul piede della strega, l’incantesimo di quest’ultima aveva allentato la sua morsa sui loro corpi, rendendo finalmente libere sia lei che Regina e sua madre.
Controllata da una rabbia quasi accecante, perfino lei, la Salvatrice di Storybrooke, si era ritrovata ad usare il suo potere per fare del male a quella donna; voleva farle provare il dolore che continuava a far dilagare nel mondo, duplicato un migliaio di volte.
Purtroppo, però, né il suo intervento né quello di Regina fu abbastanza tempestivo per frenare la fuga di Morgana, la quale non perse tempo a smaterializzarsi, non prima di aver promesso ad ognuno di loro la fine che meritavano.
Il volto di quella donna, di quel mostro, sembrava sempre più instabile, ad ogni occasione in cui si incontravano.
Cosa l’aveva resa così furiosa? Cosa l’aveva portata ad odiarle Eva e tutti loro con così tanto ardore?
Possibile che fosse tutto dovuto ad una semplice e stupida profezia? Non poteva essere; una persona non poteva desiderare dolore e lacrime solo perché qualcun altro aveva deciso per lei.
Non appena il corpo era svanito dietro una nube nera, Emma e Uncino si erano inginocchiato sul corpo della figlia, entrambi con il cuore così tachicardico da sembrare in sintonia l’uno con l’altro.
Come sempre, Killian aveva dimostrato una totale fiducia in lei e, con uno sguardo carico d’amore, l’aveva spronata ad usare la sua magia per curare la figlia. Non servì alcuna richiesta da parte della bionda perché Regina l’aiutasse a salvare la vita di Eva e, insieme, fecero il possibile per migliorare le condizioni della giovane stesa a terra.
La magia aveva chiuso la ferita e fermato l’emorragia, ma nonostante ciò Eva aveva continuato a rimanere in quella sorta di sonno profondo, il quale pareva via via rendere sempre più disteso il suo volto, come se stesse sognando.
Osservandola come solo una madre poteva fare, Emma si chiese cosa stesse sognando la figlia, sperando con tutto il cuore che, almeno per una volta, fossero qualcosa di bello.
Un rumore alle sue spalle, fece sobbalzare la giovane Swan che, non appena si accorse di chi si trattava, si lasciò andare al primo accenno di sorriso della giornata.
“Come sta?” chiese la voce preoccupata del Capitano della Jolly Roger.
Lasciandosi toccare la spalla sinistra, Emma alzò gli occhi su quelli blu mare del padre di sua figlia, consapevole di quanto fosse prossima alle lacrime.
Lei la Salvatrice, la cacciatrice di taglie dal cuore forte e risoluto, non riusciva a trattenere le lacrime. Se qualcuno glielo avesse riferito qualche anno prima avrebbe faticato non poco a crederci.
Oramai, però, la cosa non la sconvolgeva più così tanto.
Killian Jones era riuscito dove tanti avevano fallito, convincendola ad abbassare dei muri che, da sempre, l’avevano salvaguardata dalla sofferenza e dal rischio di una qualsiasi delusione.
Amava il modo in cui lui riusciva a farla sentire; amava il potere che aveva un suo semplice tocco, un delicato gesto su una spalla, come se riuscisse a leggere il dolore e la sofferenza ben nascosti dentro di lei.
“Nessun peggioramento…e nessun miglioramento…” gli rispose, volgendo nuovamente la sua attenzione sulla figlia “Io e Regina abbiamo provato di tutto. Il fatto che non ci siano le fate non aiuta…ma secondo Regina nemmeno loro saprebbero cosa fare. Sembra non ci sia nulla per aiutarla ad uscire dal coma…”
Era impossibile non ignorare il fatto che quel luogo, quell’ospedale e, molto probabilmente, quella stessa stanza, rappresentassero il primo posto dove loro due si erano incontrate, madre del passato e figlia del futuro.
Erano trascorse settimane da quel giorno; dai sogni che avevano legato lei a quella ragazza venuta da chissà dove, mostrandole stralci di quello che sembrava essere un loro futuro insieme.
C’era voluto tempo per lasciare che anche lei, sangue del suo sangue, riuscisse a fidarsi di loro; avevano dovuto bere una pozione della memoria ritardante per conoscere dettagli del loro domani così oscuro; avevano dovuto leggere nel suo cuore, dietro ad un milione di bugie che sembravano prossime a consumarla.
Col tempo, però, erano riusciti a costruire qualcosa, come una famiglia, anche se, purtroppo, nulla di così duraturo.
Dopo giorni e giorni trascorsi insieme, si trovavano ancora punto e a capo, con Eva priva di sensi e lei, la Salvatrice, colma di mille domande senza alcuna risposta.
Il destino aveva davvero un senso dell’umorismo incredibile.
“E Belle? Ha trovato niente in biblioteca?” chiese il pirata, sedendosi ai piedi del letto e posando una mano sulla gamba coperta della figlia, a sua volta con lo sguardo puntato su quest’ultima.
“Credo di no…ora è al negozio di Tremotino insieme a Nimue...”
“Pensate ci si possa fidare di lei? Dopotutto è imparentata con quella maledetta strega!” si ritrovò a chiedere Killian, stringendo la mascella al ricordo di come Morgana si fosse nuovamente presa gioco di loro assumendo le sembianze della sorella.
“Non è stata lei a consegnare Excalibur ad Eva…è stata Morgana. Nimue sembra essere l’ennesima vittima della pazzia di quella donna…” esclamò la Salvatrice, spostando lo sguardo sul volto serio di Killian “…ma da qui a fidarsi di lei la strada è lunga.”
Limitandosi a scambiare un’occhiata con la donna che amava, Killian tornò a concentrarsi sul volto di Eva, quasi irriconoscibile con tutti quei tubi intorno al volto.
Dal mondo in cui proveniva lui, non vi era una simile tecnologia, ma solo magia e antiche tradizioni di famiglia, dove ci si affidava quasi esclusivamente ad erbe e vecchie pozioni invece che a tubi ed a macchinari dal suono irritante.
Erano trascorsi due giorni, ed Emma non accennava a volersi staccare da sua figlia.
Come se si sentisse in colpa; come se, con la sua vicinanza, riuscisse a riparare agli anni di solitudine a cui la sua versione futura aveva costretto la sua famiglia, senza alcuna via di scampo.
Quella donna era davvero un libro aperto per lui e, per un attimo, la cosa lo fece sentire bene.
“Non è stata colpa tua…”
La voce roca del pirata echeggiò in quella stanza vuota, apparendo quasi diversa da com’era solitamente.
A differenza di come faceva in passato, Emma non scelse di evitare la domanda, e nemmeno rispose con il suo consueto modo di fare sfuggente, fingendo di non capire cosa le stessero chiedendo.
“Penso di avere abbastanza colpe in questa storia…”
“Perché Morgana è più forte di quanto pensavamo? O perché è quasi riuscita ad uccidere nostra figlia?! Non potevi prevederlo Emma…”
Quel nostra, pronunciato con tanta naturalezza, riuscì a scaldare il cuore della Salvatrice, la quale si ritrovò a chiedersi come avesse fatto a rimanere per così tanto tempo lontana a quell’uomo.
“Non potevo prevederlo è vero…ma potevo evitare di nascondere l’ennesima cosa ad Eva…” esclamò la giovane Swan, cercando di controllare il tremore alla voce “Ha scoperto che mi sono uccisa nel peggior modo possibile…e, a dirla tutta, potevo benissimo evitare di abbandonarla sacrificandomi per il bene di tutti!”
“Ma non sei stata tu Emma…non hai ancora fatto nulla…”
“Hai detto bene…non ho ancora fatto nulla…ma lo farò!” sbottò la bionda, alzandosi in piedi “Per quanto io creda di poter cambiare le cose, al momento non c’è nulla che stia andando per il verso giusto. Morgana probabilmente sarà tornata nel futuro a fare chissà cosa; noi siamo bloccati qui con più domande e meno risposte rispetto a quando tutto questo è iniziato!…e se Eva…se Eva dovesse…” sentendo improvvisamente la gola chiudersi, Emma lasciò che una lacrima le rigasse il volto, con gli occhi così lucidi da non riuscire a mettere a fuoco il volto di Killian “…se dovesse morire…noi dimenticheremmo ogni cosa di quello che sta accadendo….per colpa di quella maledetta pozione…” aggiunse, sentendo nello stomaco il peso di quella scelta “Noi due non ricorderemo di avere una figlia Killian; non sapremo nulla di Morgana e di quali siano i suoi piani. Torneremo all’esatto punto in cui Elsa e Anna se ne sono andate. Tutto…tutto resterà invariato…e il futuro non cambierà di una sola virgola. Eva sarà perduta…e io…io mi ritroverò di nuovo ad abbandonare i miei figli…la mia famiglia. Abbandonerò perfino te…”
Le lacrime continuarono a scendere, rendendo quel suo volto costantemente fiero, colmo di una tristezza in grado di riempire i cuori di tutti gli abitanti di Storybrooke.
Non lasciando scorrere un solo istante in più, Killian si alzò a sua volta, avvicinandosi al corpo di Emma e avvolgendola in uno dei suoi abbracci, senza dire una parola.
Era impossibile ignorare il calore e l’amore proveniente da quelle braccia forti e insostituibili.
Forse fu quello a dare il coraggio alla Salvatrice di lasciarsi andare; a darle il coraggio di piangere le lacrime fino ad allora trattenute, portatrici di un dolore devastante.
Il Capitano della Jolly Roger, usò la sua unica mano per accarezzare i capelli biondi della donna, in un gesto così simile a quello compiuto poco prima da Emma nei confronti della figlia che, se qualcuno l’avesse colto, avrebbe probabilmente sorriso di fronte a quella chimica dettata unicamente dall’amore.
“Emma…guardami…” le disse il pirata, alzando leggermente quel volto arrossato, così perfetto da riuscire a farlo innamorare ogni giorno di più “…lei non morirà. È forte…e lo ha dimostrato tante volte. È più forte di quanto lo siamo mai stati noi…soprattutto ora che ha ritrovato la sua famiglia!” esclamò, sottolineando con una certa enfasi l’ultima parola “Troveremo qualcosa…troveremo un modo per guarirla…e quando si sarà svegliata prepareremo un piano per eliminare Morgana una volta per tutte. Tu sei Emma Swan…e riuscirai a fare qualsiasi cosa tu voglia, anche cambiare un futuro già scritto. Ne sono convinto!” aggiunse, in tono serio “Riuscirai a salvare la tua famiglia. E vedrai che insieme faremo vedere a quella donna ciò di cui siamo capaci. La faremo pentire di essersi messa contro di noi. È una promessa Swan!”
Guardandolo dritto in quegli occhi dello stesso blu profondo delle acque che aveva solcato, Emma riuscì a leggervi un’unica cosa: verità. Persino il suo super potere, come amava chiamarlo Henry, impallidiva di fronte alla sincerità di Killian, quando si trattava dei suoi sentimenti e di ciò che pensava di lei.
Quell’uomo avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare la sua famiglia.
Famiglia.
Era incredibile che loro, i due orfani sfuggiti e costantemente rincorsi da un destino meschino e autoritario, si fossero ritrovati a condividere la stessa strada, lo stesso cuore. Perché, per quanto fosse incredibile da ammettere, Emma aveva la sensazione che il suo cuore battesse all’unisono con quello del pirata, com’era accaduto quel giorno al molo, di fronte al corpo ferito della figlia.
Aveva la sensazione che, i sentimenti che provava per lui, riuscissero ad amplificarsi grazie alla vicinanza di quel corpo e di quell’anima, così colmi di amore da aver reso le sue paure dei semplici e fragili fantasmi del passato.
Aveva ragione.
Insieme avrebbero trovato il modo per sconfiggere Morgana e di salvare la loro famiglia. Non avrebbe più dubitato di questo.
Stringendo le labbra, la giovane Swan si sforzò di porgere al Capitano della Jolly Roger uno dei suoi sorrisi, inconsapevole di quanto fossero dolci e di quanto potere avessero nei confronti di quell’uomo dalla barba leggermente incolta e dalla mascella quasi costantemente contratta, soprattutto nei momenti più difficili.
Lentamente, Killian delineò con lentezza quel volto bagnato dalle lacrime. Le sue dita da marinaio accarezzarono la guancia rosea della sua anima gemella, rimanendo in silenzio, senza dire nulla.
Il tempo sembrava aver improvvisamente cessato di svolgere il suo compito, anche lui troppo impegnato a guardare quelle due anime toccarsi.
Con la stessa delicatezza con cui aveva accarezzato quel volto, il Capitano Jones posò la mano sulla nuca della donna, vicino al suo orecchio e, lentamente, avvicinò i loro volti, dischiudendo le labbra, in un gesto quasi meccanico.
Richiamata da gesto, Emma si ritrovò a ripetere quel lieve movimento di labbra, socchiudendo lievemente gli occhi e non riuscendo a distogliere lo sguardo da Killian.
I suoi sensi sembravano essersi improvvisamente accesi, all’unisono, come richiamati da una tempesta impossibile da cogliere ad occhio nudo.
Non trascorsero molti istanti prima che le loro bocche si incontrassero, divenendo un’unica cosa.
Era in momenti come quello, quando sentiva il corpo della donna che amava a stretto contatto con il suo, che il cuore di Killian si ritrovava a rivivere il momento in cui era stato imprigionato nel labirinto di Morgana, costretto ad assistere a parti del suo futuro.
Era in momenti come quello, quando lei gli lasciava il potere di dischiuderle le labbra per sentire le loro lingue a stretto contatto, che Killian Jones riviveva il momento in cui lei lo aveva accolto in quello che sarebbe stato il loro letto, dopo che si era occupato della loro figlia, addormentata nella stanza accanto.
Era in momenti come quello che Killian sentiva di non avere più molto controllo sui suoi istinti, tanto era il bisogno di vivere realmente attimi appartenenti al loro futuro insieme.
Voleva di più. Molto di più e il suo corpo aveva ormai esaurito i segnali a tal proposito.
A differenza della delicatezza con cui era iniziato quel loro bacio, il giovane Jones allontanò di scatto il suo volto da quello della Salvatrice, lanciandole un sorriso che lasciava ben poco spazio all’immaginazione.
“Bene…penso sia il caso di fermarci qui…” esclamò con voce decisamente più roca rispetto a poco prima.
Emma si limitò a sorridere, ritrovandosi a stringere nuovamente le labbra.
Sapeva cosa si muoveva dentro a quel cuore da pirata e lei non poteva dirsi estranea a quelle sensazioni. Al contrario, la sua mente e il suo corpo non riuscivano a fare a meno di pensare alle mani di Killian su di lei e al modo in cui non smetteva di esprimerle, con estrema chiarezza, come avrebbe speso parte del loro tempo insieme.
Era decisamente arrivato il momento di cercare una casa tutta sua.
Magari con vista sull’oceano.
Prendendo con una mano l’uncino e con l’altra la mano destra di Killian, Emma gli sorrise, spostando per un attimo lo sguardo sul corpo addormentato della figlia.
“Rimani tu qui?...vado a casa a fare una doccia e poi faccio un salto a vedere come sta Henry!”
“Ti aspetto qui!” le rispose l’uomo, forzandosi di sorridere.
Con dolcezza, Emma si avvicinò nuovamente al volto di Killian, porgendogli un leggero bacio sulla guancia, per poi soffermarsi per un attimo sul suo orecchio.
“Quando le cose si sistemeranno…passeremo più tempo insieme…da soli!”
“È una promessa Swan?!” le chiese il pirata, porgendole uno dei suoi sorrisi provocatori.
La giovane donna dai lucenti capelli biondi, però non riuscì a sorridere di fronte a quella familiare sfrontatezza, richiamata dall’improvviso suono emesso dal suo cellullare.
Sfilando l’oggetto dalla tasca, Emma lesse velocemente il nome di Regina sul display.
“Regina…tutto bene?”
Osservando in silenzio il volto della donna farsi serio, Uncino si ritrovò a sperare con tutto il cuore che non vi fossero altre brutte notizie all’orizzonte. Una figlia, non ancora nata, stesa su un letto d’ospedale a causa di Excalibur era una di quelle notizie in grado di riempire tutta la giornata.
Dopo aver annuito un paio di volte, Emma chiuse la telefonata, per poi puntare i suoi penetranti occhi verdi sul volto di Killian.
“Era Regina…”
“…è successo qualcosa?”
“Ha detto di sapere cosa sta succedendo ad Eva…”
 
***
 
 
Cadere da altezze spropositate, oramai, era divenuto una sorta di passatempo per il giovane Jake Mills di Locksley.
Prima un burrone, poi la finestra di un castello ed ora…ora un precipizio apparso improvvisamente nell’oscurità.
A differenza delle volte precedenti, però, il corpo non subì alcun danno in seguito alla caduta, come se qualcuno o qualcosa avesse, in qualche modo, attutino l’impatto con il terreno.
Non trascorse molto tempo prima che Jake riacquistasse coscienza di cosa fosse appena accaduto.
La grotta. Gli insetti. La puzza inesistente.
Ed ecco che, celere e arrogante, il pensiero di lei invase completamente la sua mente, rendendo il suo corpo un involucro troppo stretto per contenere il suo cuore.
“Eva!” urlò a pieni polmoni il giovane ribelle, alzandosi da terra e puntando lo sguardo verso l’alto.
La luce proveniente dalla torcia che aveva cercato di raggiungere poco prima, ora appariva simile ad un piccolo puntino giallo completamente circondato dall’ombra, a metri e metri di distanza.
Nessuno sarebbe mai potuto sopravvivere cadendo da una simile altezza. Eppure lui era lì, illeso come forse non lo era mai stato da quando tutta quella storia era iniziata.
E pensare che, qualche giorno prima, il suo più grande pensiero era quello di mollare Diletta nel modo più indolore possibile.
Sembrava trascorsa un’eternità da quando Rowan, il fratello che stravedeva in maniera incondizionata per lui, lo aveva avvisato del prossimo arrivo di Killian e della figlia.
Quel giorno, era appena tornato da una battuta di caccia e il solo sentire il nome di lei aveva reso la semplice presenza di Diletta un qualcosa di estremamente fastidioso. Voleva così tanto vederla e, al tempo stesso, voleva così tanto cacciarla e non posare nemmeno per un attimo lo sguardo su di lei che la sua mente sembrava voler scoppiare da un momento all’altro.
Incredibile quante cose fossero successe da quel giorno; quante cose fossero cambiate e quante, invece, fossero rimaste le stesse.
Velocemente, Jake spostò lo sguardo intorno a sé, cercando di studiare il luogo in cui era precipitato.
Era un luogo umido e freddo, come del resto ci si sarebbe aspettato dovesse essere una grotta.
Nessun insetto pareva adornare le pareti, perlomeno non un numero elevato come quelli visti poco prima al piano superiore.
Ad una prima occhiata Jake pensò di trovarsi all’interno di una sala; una sorta di sala principale a forma circolare, dove la principale fonte di luce proveniva da varie torce appese alle pareti, simili a quella vista poco prima dal giovane.
“Eva….Eva….sei lì?!” urlò nuovamente a perdifiato il ragazzo, con il volto alto e le mani strette a coppa davanti alla bocca, come se potesse bastare quel semplice gesto per raggiungere le orecchie della sua Jones.
“La vuoi smettere di urlare…sto cercando di rilassami!”
L’improvvisa voce femminile alle sue spalle, obbligò Jake a voltarsi di scatto, andando involontariamente alla ricerca dell’arma al fianco che, ovviamente non possedeva.
Eppure Trilli aveva dato un pugnale sia a lui che ad Eva, in attesa di qualcosa di più efficace con il quale difendersi.
Tuttavia il pugnale era scomparso e il giovane dai capelli scuri non aveva nulla con il quale contrattaccare in caso di necessità; nulla al di là della sua sola forza fisica.
“Chi sei?” chiese Jake, con voce imperiosa, cercando di mettere a fuoco quella figura nascosta nell’ombra.
“Beh…a dire il vero dovrei essere io a farti questa domanda…visto che sei entrato in casa mia!”
Senza lasciarselo chiedere due volte, la donna, fino al quel momento rimasta nascosta nell’ombra, si lasciò illuminare dalla luce emessa dalle torce, fermandosi al centro della grotta.
Era impossibile non riconoscere quella figura: occhi glaciali, capelli rosso fuoco, bocca carnosa e sorriso esteso.
Mancava solo la pelle color verde foresta e chiunque avrebbe pronunciato il suo nome, accompagnata da un aggettivo alquanto impareggiabile: perfida.
“Z-Zelena?!”
Jake si ritrovò quasi a sussurrare quel nome, abbassando le mani poco prima sollevate e allargando i suoi penetranti occhi scuri, incredulo nel trovarsi di fronte proprio la persona che stava cercando.
“Ci conosciamo?!” esclamò Zelena mal celando il disprezzo insito nella sua voce.
Per un attimo Jake rimase in silenzio, consapevole di quanto tempo stesse trascorrendo dall’ultima volta che aveva posato il suo sguardo su Eva.
Non poteva perdere tempo, non in quel momento, con la figlia di Emma Swan nei guai fino al collo.
“S-sì…” le rispose, stringendo le mani a pugno “…ci conosciamo ma io devo…”
“La tua amica non può passare…” lo interruppe Zelena, posando entrambe le mani sui fianchi, con fare autorevole “….la magia di sangue non permette a nessuno di entrare qui dentro. Nessuno che non sia della famiglia almeno…” aggiunse, sospettosa.
Gli occhi freddi e calcolatori della donna si posarono con ancora più insistenza sul volto di Jake, il quale non riuscì a fare mano di trattenere un respiro.
Ecco perché gli insetti di poco prima avevano attaccato solo Eva; la vedevano come un’intrusa; non sentivano in lei il sangue della famiglia di sua madre e quindi l’avvertivano come un pericolo.
Ma perché Trilli non li aveva avvertiti di un simile pericolo? Perché aveva permesso ad Eva di entrare nella caverna, dove Zelena era tenuta prigioniera, sapendo che non avrebbe potuto proseguire?
“Questa non è opera delle fate!?” concluse il giovane, più rivolto a sé stesso che alla donna di fronte a lui.
“Ovvio che no! Quegli sciocchi insetti con le ali non sanno fare niente di buono con la loro sciatta magia di luce. Devo a mia sorella il tocco di famiglia!” il tono di voce quasi annoiato fu accompagnato dal gesto di controllare lo stato delle unghie; unghie stranamente poco curate “…ma tu non mi hai ancora detto chi sei. Non ti conosco e non ho idea di come tu abbia fatto a passare...La mia famiglia vanta quattro componenti…e sono certa tu non sia uno di loro!”
Il tono di voce di quella che era niente di meno che sua zia, sembrava apparire sempre più seccato e prossimo allo spazientirsi.
Non aveva mai avuto molti contatti con lei.
Quand’era piccolo, a Storybrooke, l’aveva vista spesso insieme a Rowan, nonostante suo padre non fosse affatto felice della cosa. Li vedeva in gelateria o a fare passeggiate nel bosco; e il fatto che la Strega Verde portasse il figlio nei meandri del bosco, chissà perché, faceva pensare a chiunque cose del tipo: magia nera, malvagità e perfidia.
Forse era per questo che suo padre risultava sempre piuttosto nervoso a riguardo.
Tuttavia Row era anche figlio della Perfida Strega e, nonostante la sua influenza non fosse delle migliori, nessuno poteva impedirle di vederlo o di stare con lui tanto quanto il padre.
L’arrivo di Morgana, però, cambiò le cose e l’improvvisa scomparsa di Zelena lasciò il piccolo dai capelli rossi privo di una figura materna.
Come sempre, Regina seppe fare la cosa giusta, dando anche a quello che non era suo figlio l’amore che meritava; com’era accaduto anni prima con Roland.
Nonostante sua madre fosse stata una delle più temibili cattive mai esistite, era stata in grado di attuare gesti d’amore quasi impossibili da replicare.
Lui, per esempio, sapeva di non essere altrettanto amorevole e la sola consapevolezza riusciva a procurargli un profondo senso di vergognava.
Se non ricordava male, trascorsero diversi anni prima che Regina ritrovasse il corpo della sorella, nascosto da qualche parte nella Foresta Incantata, a non poca distanza da quello che era stato il loro castello.
Quando furono abbastanza grandi, lui e i suoi fratelli vennero informati del destino di Zelena, di come fosse caduta vittima di un sortilegio di Morgana e di come, al momento, non vi fosse nulla in grado di risvegliarla. Ovviamente, solo sua madre e Trilli sapevano dov’era stata nascosta e il tenere all’oscuro la progenie fu una delle idee più geniali che avessero potuto avere. Non trascorse molto tempo, infatti, prima che Rowan pretendesse di andare dalla madre, una figura che, a suo dire, non gli aveva mai fatto mancare nulla, men che meno l’amore e la protezione.
Rowan era diverso da Zelena, così diverso che, a volta, si faticava non poco a pensare che condividessero lo stesso sangue; Jake appariva molto più vendicativo e facile alla rabbia di quanto lo fosse il fratello.
Se non fosse stato per la profonda somiglianza con la madre, avrebbe pensato di essere lui il figlio della Perfida Strega, al posto di Rowan. Ma, fortunatamente, così non era e l’influenza di Zelena non aveva intaccato l’animo di nessuno.
Chissà, forse nemmeno lei era così cattiva come si ostinava a dare a vedere; o forse Rowan rappresentava la parte migliore di lei.
Dal canto suo, Jake doveva ammettere che il rapporto tra lui e il fratello non era mai stato dei migliori e, di certo, non per colpa di Rowan; ma, nonostante ciò, il giovane Mills si era ritrovato a promettere al fratello che, una volta sistemate le cose con i Ribelli e ritrovato Henry sano e salvo, sarebbero andati insieme alla ricerca di Trilli e del luogo dov’era tenuta nascosta Zelena.
In fondo al cuore, chissà se credeva davvero alla promessa che aveva fatto.
E ora, dopo anni, eccolo lì.
Davanti alla madre di Rowan.
A sua zia.
Strano, da quanto gli avevano riferito sua madre e Trilli, Zelena doveva trovarsi in una sorta di coma, addormentata come lo fu a suo tempo Biancaneve.
Allora perché se ne stava in piedi davanti a lui, rivestita della sua consueta sicurezza?
“Credimi…sono uno di quei quattro componenti della famiglia…zia!”
Sottolineando il legame di parentela che intercorreva tra loro, Jake fece un passo avanti, mettendosi a sua volta al centro della stanza, per nulla intimorito dal corpo pallido e stanco di quella che, un tempo, era stata una delle peggiori minacce capitate a Storybrooke.
Indossava un vestito a brandelli, molto più simile a quello che aveva indossato durante la sua vita insieme alla sua famiglia affidataria, se così la si voleva chiamare, piuttosto che a quelli seducenti a cui si era abituata dopo essere divenuta la Perfida Strega dell’Ovest.
“Impossibile…” lo derise, sprezzante, la donna, lasciandosi andare ad una delle sue consuete risate amplificate “…l’unico che può chiamarmi così, a tutti gli effetti, è il figlio di Regina…e l’ultima volta che l’ho visto era solo un…”
Quasi qualcuno avesse usato la magia chiudendole la gola, Zelena si ritrovo soffocata dalle sue stesse parole, impossibilitata a concludere quella frase.
Eppure nessuno stava usando la magia in quel luogo, nessuno al di fuori di lei.
Con lo sguardo chiaro sbarrato, la donna dalle intense ciocche ramate puntò lo sguardo sul volto di quel ragazzo, improvvisamente non più così estraneo.
Quegli occhi, profondi e neri, quasi quanto lo erano i suoi capelli, dopo un attento esame potevano riflettere la stessa immagine appartenente ad un bambino molto più piccolo, più magro e più indifeso. Quei tratti del volto, riconducibili tanto a sua sorella quanto all’uomo che gli aveva, involontariamente, dato un figlio, le apparvero improvvisamente familiari; così familiari da lacerarle il cuore.
“T-tu sei…Jacpob?!”
Non provando minimamente a nascondere lo sconvolgimento, Zelena allungò una mano, quasi a voler toccare la spalla di quel ragazzo. Ma, a discapito della lentezza di un’istante prima, la strega allontanò di scatto la mano, non sfiorando nemmeno il corpo di quello che, era ormai certa, fosse suo nipote.
“Sì…”
“Non puoi essere Jacob” lo interruppe nuovamente Zelena “lui…lui è solo un bambino…”
“Ero…un bambino!”
Silenzio.
Il volto di Zelena, sempre più pallido, si colorò di una consapevolezza che forse, da tempo ormai, le attanagliava l’anima.
“Da quanto tempo sono rinchiusa qui dentro?”
“Da…tanto…”
“Mio figlio…Rowan…l-lui sarà anche più…più grande di te. Perché nessuno lo ha portato qui?” chiese irata, lasciando che il suo labbro superiore si arricciasse come accadeva ogniqualvolta perdesse il controllo “Perché non avete fatto nulla per aiutarmi?!”
La voce acuta, resa ancora più importante dall’eco emesso dalla grotta, arrivò dritta al cuore del ragazzo, il quale solo in quel momento si era lasciato andare ad una simile consapevolezza.
Perché nessuno si era chiesto come dovesse sentirsi Zelena rinchiusa in quel luogo da così tanti anni, lontana dal suo unico figlio? Perché nessuno aveva trovato il tempo per salvare lei, una cattiva?
Forse stava proprio lì la risposta, dietro a quella piccola quanto incisiva parola, così pesante da apparire come la più indelebile delle etichette. Una di quelle parole che, una volta avvicinata accanto ad un nome, finiva per condizionare costantemente la vita del proprietario, senza lasciare alcuna via di scampo al malcapitato.
Era per questo che una persona, raramente, abbandonava la strada del male per quella del bene?
Era perché nessuno si prendeva la briga di salvarla?
Per Zelena sembrava essere proprio così.
Lasciandosi completamente possedere dall’odio e dalla collera, la donna dai capelli rossi si avvicinò minacciosa al corpo del nipote, con il preciso intento di afferrare il colletto dei suoi vestiti.
Voleva fargli del male, voleva dar libero sfogo a tutta la collera che aveva represso fino a quel preciso istante.
La cosa che lasciò senza parole il ragazzo, però, non fu l’aria furibonda della rossa o la preoccupazione di quello che avrebbe potuto fargli, intrappolata in quel luogo; no, a sconvolgerlo fu il modo in cui le dita affusolate di Zelena oltrepassarono le sue vesti, in maniera inconsistente come sarebbero state le dita di un fantasma.
Arricciando ancor di più le labbra, quasi fosse un gesto involontario, Zelena non smise un attimo di perforare il volto del nipote col suo sguardo adirato, inspirando ed espirando così velocemente da dar chiaramente l’idea della voragine di emozioni che si stavano scontrando all’interno del suo cuore.
“Che c’è caro nipote…? Mai vista una proiezione?!”
“Tu…non sei qui?!” riuscì finalmente a chiederle Jake, corrugando la fronte, alla ricerca di una spiegazione.
“Ovvio che no…altrimenti me ne sarei andata da questo inferno già da un po’!” esclamò, come se stesse parlando con una persona incapace di afferrare un concetto alla prima spiegazione “Aspettare l’aiuto di qualcuno non si sta rivelando molto promettente!” aggiunse piccata “Sono laggiù…mi vedi?…in una versione che purtroppo mi ricorda fin troppo bene la moglie del Principe Babbeo…” borbottò, riferendosi alla ormai compianta Biancaneve.
Solo in quel momento Zelena si fece da parte, dando la possibilità al giovane Mills di vedere la parete opposta di quell’immensa grotta.
Lì, stesa in un giaciglio di pietra ed erba, verde come solo la primavera sapeva donare, vi era il corpo addormentato di Zelena.
La donna indossava gli stessi abiti che Jake vedeva addosso a quello che, a suo dire, era la chiara rappresentazione magica di un fantasma.
I capelli, lunghi e setosi, le ricadevano in una cascata di lingue di fuoco così simili a quelle, sebbene corte, di Rowan da rendere inconfondibile il collegamento. Madre e figlio si assomigliavano moltissimo, molto più di quanto Rowan assomigliasse a Robin.
Chissà se era dovuta a quella fisionomia l’antipatia che provava per il fratello; nonostante non avesse mai avuto un particolare rapporto con la donna di fronte a lui.
Rowan era un ragazzo di buon cuore, dopotutto, molto più di quanto lo fosse lui; poco importava a chi assomigliasse.
Consapevole dell’eco emesso dai suoi passi, Jake si avvicinò al corpo della zia, senza mai posare lo sguardo sulla sua proiezione.
“Come…come hai fatto ad uscire dal tuo corpo?!”
“Non sono uscita dal mio corpo….sei tu ad essere entrato nella mia mente, ragazzino!”
“Sono nella tua mente?!”
“Esatto…in realtà non sei precipitato da nessuna parte, sei ancora lassù con il corpo probabilmente ricoperto di insetti in zone dove raramente batte il sole!” sogghignò la rossa, consapevole del turbamento improvvisamente creatosi nel cuore del giovane “Hai semplicemente attivato l’incantesimo di sangue che ha collegato la tua mente alla mia!” aggiunse, indicando con l’indice la sua tempia bianca.
Era nella mente di Zelena?
Quindi, quella dove si trovava in quel momento, non era la stessa grotta di poco fa; bensì un luogo creato dalla mente di Morgana.
La sola idea riusciva a congelargli il sangue nelle vene.
“Quindi…è grazie a mia madre se ora stiamo parlando?” le chiese, con tono sicuro.
In risposta, Zelena non riuscì a fare a meno di alzare gli occhi al cielo, come se la sola idea di un aiuto da parte di sua sorella riuscisse ad infonderle la nausea.
“Pensavo che tra di voi le cose si fossero sistemare. Non mi ha mai parlato particolarmente male di te…”
“Già…a quello ci ha pensato il tuo caro padre vero?” esclamò piccata la donna “…dimmi, è finalmente felice di avere Rowan tutto per sé? Immagino si stia divertendo a fare il padre di famiglia con Regina…Qualcosa mi dice che l’assenza di aiuto da queste parti sia dovuto a quello!”
Ecco a cosa era dovuto quell’astio e quell’eccessivo tono velenoso.
Pensava che sua madre avesse immediatamente approfittato della sua assenza per fare da madre a Rowan, come se non avesse già un figlio da accudire.
“Mio padre è morto!”
Lo disse così, senza troppi giri di parole e nemmeno ostentando una voce sofferente.
Non sopportava di venire compatito per la perdita di suo padre. L’unica persona con cui si era sentito in grado di aprirsi era stata Eva. Non importava se quel giorno lo avesse fatto inizialmente dettato dagli eventi che li vedeva prossimi ad una morte precoce; parlare con lei di suo padre e di come si fosse sentito, e continuasse a sentirsi ogni giorno della sua vita, gli era sembrata la cosa più naturale del mondo. Come respirare. Come vivere
Era proprio quella la sensazione che gli donava la giovane Jones; il solo pensare a lei, lo spendere parte del suo tempo ad immaginarla, a ricordare tratti del suo volto, per alcuni forse impercettibili, era qualcosa di estremamente naturale.
-Eva….devo tornare da lei…- pensò, sentendo il tono allarmato perfino nei suoi pensieri.
“Allora nipote…perchè nessuno ha portato qui Rowan?!” esclamò Zelena, interrompendo il corso dei suoi pensieri.
“Perché avremmo dovuto portarlo?”
Era consapevole di chi si trovava davanti e di quanto fosse importante usare saggiamente le sue carte.
“Perché è l’unico che può risvegliarmi…idiota!” sbottò la donna, alzando le braccia al cielo, frustrata “Guardandoti saranno più di dieci anni che aspetto…e nessuno ha pensato che Rowan fosse la soluzione a tutto questo?!”
Era arrabbiata. Terribilmente arrabbiata.
E come darle torto? Da dieci anni nessuno si era preso il disturbo di aiutarla.
Certo, sua madre aveva sempre e comunque pensato al bene di Rowan, trattandolo come uno dei suoi figli; ma perché nessuno aveva preso in considerazione il fatto che proprio il figlio della strega avrebbe risolto l’enigma del suo eterno sonno?
-Perché la volevano lontana da qui- ragionò tra sé e sé il ragazzo, il cui sguardo si fece sempre più serio -né sua madre né le fate volevano altri pensieri oltre a Morgana. Così l’hanno tenuta qui dentro…prigioniera…-
Disgustato da quello che, perfino un eroe, arrivava a fare pur di salvaguardare ciò che riteneva giusto e proteggere i suoi cari, Jake si ritrovò a stringere le mani a pugno.
Sapeva che sua madre e Trilli si erano comportate in maniera ignobile; ogni fibra del suo essere glielo urlava a squarciagola, ma nonostante ciò non riusciva a fargliene una colpa.
Morgana si era dimostrata una piaga imbattibile, in grado di piegare davanti a sé anche il più valoroso degli eroi, come Re David; rischiare che anche Zelena potesse causare qualche problema non era decisamente un’opzione valida.
In fin dei conti non l’avevano abbandonata a sé stessa, ma rinchiusa in un luogo in attesa che vi fossero tempi migliori.
Già…ma se non vi fossero mai stati tempo migliori? E se il piano suo e di Eva si fosse rivelato l’ennesimo buco nell’acqua?
Dopotutto, da quando aveva scoperto quali erano le intenzioni della figlia di Uncino, Jake non era riuscito a fare a meno di pensare che nemmeno quello avrebbe risolto le cose.
Con molta probabilità avrebbero trovato gli ingredienti, forse nemmeno tutti, per poi scoprire che qualcosa non andava e che tornare nel passato era qualcosa di altamente impossibile.
Per quanto si sforzasse di credere nella causa, lui non riusciva a farlo, non del tutto almeno. Fidarsi di un simile piano era da illusi e lui non lo era più da tempo.
Jake era lì solo per Eva, solo perché aveva promesso a lei e a sé stesso che non l’avrebbe mai e poi lasciata sola.
Per questo avrebbe preso le lacrime di Zelena e per nessun altro motivo.  
Il vero problema, al momento, era il grado di collaborazione della Strega Verde di fronte a lui.
Zelena, la donna abbandonata da tutti per più di dieci anni, avrebbe davvero collaborato con loro senza ricevere nulla in cambio?
Persino pensarlo suonava ridicolo.
“Abbiamo bisogno del tuo aiuto zia…” esclamò il ragazzo, con voce tenue, cercando di testare il livello di sopportazione della sorella di sua madre.
“Che cosa?” un’improvvisa ristata colma di disprezzo riecheggiò all’interno della grotta “avete bisogno del mio…aiuto? Ma davvero?!”
“Sì…”
“Tu sei pazzo…”
“Zia…”
“Non chiamarmi così…credimi non so cosa mi trattenga dall’ucciderti qui e adesso. Ah già…non posso…”
Seccata dalla sua stessa risposta, Zelena diede le spalle al nipote, fingendosi più interessata a fare due passi all’interno dell’area priva di vie di entrata e di uscita, che ad ascoltare un’altra sola parola uscire da quella dannatissima bocca.
Beh, il livello di rabbia sembrava più alto di quanto immaginasse.
“Ci serve il tuo aiuto. Morgana sta diventando sempre più forte e noi…”
“E dimmi…perché dovrebbe importarmene. Mi avete abbandonata…”
“Non ti abbiamo abbandonata…non sapevamo che…” cercò di spiegarle il ragazzo, avvicinandosi di un passo.
“Non mi importano le tue inutili spiegazioni…” lo interruppe, lanciandogli un’occhiata a dir poco feroce, senza mai interrompere quella sua sorta di passeggiata a vuoto“….ma posso proporti….come dire….”
“Un accordo?!” finse di indovinare il ragazzo, sapendo il grado di influenza che il vecchio Signore Oscuro aveva avuto sulle sue giovani allieve.
“Esatto….sì….ti propongo un accordo!”
Bloccandosi sul posto, Zelena volse nuovamente lo sguardo su Jake, caricando quelle sue parole di un’enfasi a dir poco inequivocabile.
“Tu portami qui Rowan…e avrai il mio aiuto. Un accordo chiaro e semplice…privo dei classici trucchetti degni del caro Tremotino!”
Jake stette in silenzio, riflettendo su quella che, a prima vista, poteva essere una richiesta del tutto comprensibile.
Zelena, dopotutto, voleva solo venire liberata da una prigionia che la vedeva schiava da fin troppo tempo; voleva soltanto rivedere suo unico figlio, la sua unica e reale fonte d’amore.
Non vi era nulla di sbagliato in tutto ciò.
Già, ma per quanto in cuor suo Jake volesse davvero far riunire Rowan a sua madre, sapeva di non poterselo permettere.
Erano a giorni di distanza dal campo dei Ribelli, sempre che ve ne fosse ancora uno a cui fare ritorno. Lui ed Eva avevano una missione da compiere e, per quanto poco credesse in una sua riuscita, non poteva concedersi il tempo di ritrovare suo fratello.
L’ultima volta che lo aveva visto, il villaggio dei Ribelli si trovava sotto l’attacco di Diletta e degli uomini di Morgana e, per quanto ne sapeva, Rowan poteva anche non far parte più di quel mondo, come sua madre.
Chi gli dava la certezza che Rowan, Roland, Alex e gli altri fossero ancora vivi? Nessuno. E affidarsi unicamente alla speranza, ultimamente, non si stava rivelando un’idea così geniale.
Allontanando quei pensieri dalla mente, Jake si ritrovò a fare l’ennesima cosa priva di cuore.
Lui aveva bisogno di quell’ingrediente e doveva uscire da quel limbo prima che fosse troppo tardi per Eva.
Era lei l’unica cosa che contava.
Al diavolo tutto il resto.
Al diavolo la purezza del suo cuore.
Non aveva tempo da perdere. Non con Zelena.
“Io…vorrei accettare…davvero…ma…”
“Ma…cosa?” gli chiese, imperiosa.
“Non posso fare un accordo di cui so già non riuscirei a rispettare i patti…”
“Perché? Perché tua madre te lo impedisce? Perché anche tu sei così vigliacco da volermi prigioniera qui…da lasciare tuo fratello senza la sua vera madre?”
“No…” le rispose quasi imbarazzato “non è per questo…” si dilungò Jake, guardandosi gli stivali macchiati di terreno.
“Allora perché? Perché? Parla!” urlò la donna, priva di controllo.
“Perchè…perché ormai non ho nessun fratello da lasciare senza madre!”
Silenzio.
Tutto nella caverna sembrava aver cessato di emettere il minimo rumore. Persino il gocciolio proveniente da una delle pareti della grotta sembrava essersi zittito di fronte a quella dolorosa rivelazione.
Con lo sguardo sbarrato, Zelena sembrò svuotarsi all’improvviso, come se tutto l’ossigeno presente in quella stanza fosse stato risucchiato dall’esterno, lasciandola prossima alla morte.
“Che-che intendi…dire?!” la voce impastata e la gola priva di alcun fiato.
“Mi dispiace tanto ma…Rowan…è morto qualche mese fa…” il tono grave di chi non sa come alleviare una brutta notizia.
“No….” un sussurro simile al vento che precedeva una tempesta, forte ma delicato, leggero ma dirompente “non può essere…”
Barcollando all’indietro e tenendo una mano stretta sul petto, nell’esatto punto in cui si trovava il cuore, Zelena rimase con la bocca semiaperta, allontanando i suoi occhi dal volto serio del nipote.
Suo figlio…era morto.
“No….no no no no!”
Lasciandosi andare ad un urlo straziante e carico di dolore, quella che un tempo era la Perfida Strega dell’Ovest si inginocchiò a terra, portando entrambe le mani sulla testa, scompigliando quei folti e ricci capelli rossi.
Si sarebbe lasciata andare, se solo avesse potuto. Avrebbe pianto, se solo ne avesse avuto la possibilità.
E invece, si trovava prigioniera del suo stesso corpo, impossibilitata a dare libero sfogo a tutto il dolore che una madre avrebbe provato di fronte alla morte del figlio.
Rowan, il suo dolce e unico Rowan, era morto.
Perché nessuno glielo aveva detto prima? Perché non aveva provato nulla? Una crepa al cuore, la mancanza di un battito; qualsiasi cosa che la preparasse alla fine del suo lieto fine.
Forse fu proprio quello a distrarla e a tenerla lontana dall’ovvietà di un particolare che mai, in un’altra occasione, si sarebbe ritrovata a tralasciare.
A causa dell’immenso dolore esploso all’interno del suo cuore, Zelena stava tralasciando il fatto che un corpo lo possedeva e che ai suoi piedi, in quel momento, se ne stava inginocchiato il suo stesso nipote, intento a mantenere un’ampolla in vetro vicino al suo volto.
“Che…che stai facendo?!” gli chiese la donna, alzando lo sguardo, insospettita.
“Raccolgo queste…”
Alzandosi in piedi e fissando con aria compiaciuta l’ampolla donatagli da Trilli il giorno prima nella foresta, Jake si lasciò andare ad una smorfia soddisfatta.
All’interno dell’oggetto, accuratamente sigillato, vi era il primo ingrediente in grado di riportarli a casa.
Il primo ingrediente enunciato da Tremotino.
Le lacrime della persona che Regina più odia e con cui più condivide: le lacrime di Zelena.
“Ti sei…preso gioco di me?!”
“Sì…mi dispiace, ma non mi hai dato molta scelta…”
“Quindi Rowan…è vivo?!”
Il dolore, fino a poco prima unico padrone di quel volto pallido, svanì all’istante, rendendo Zelena portatrice della stessa ira incontrollabile che, fino a poco prima, aveva fatto da padrona dentro di lei.
Stringendo le mani a pugno, la Perfida Strega si avvicinò minacciosa al ragazzo di fronte a lei, il quale però non sembrava mostrare alcun segno di paura di fronte al velo di una sua qualche minaccia.
“Non devo essere io a ricordarti che non puoi farmi nulla…vero zia?” esclamò Jake, sogghignando alla stessa maniera in cui aveva fatto poco prima la donna di fronte a lui.
Assottigliando lo sguardo con mal celata ostilità, Zelena strinse entrambe le mani a pugno, consapevole che le parole del ragazzo, seppure la disturbassero, non si allontanassero minimamente dalla verità.
“Hai ragione. Ma è anche vero che tu non puoi uscire da quest’incantesimo senza che lo voglia anch’io…”
“E vorresti tenermi chiuso qui?! Per sempre” le chiese Jake, fingendosi disinteressato.
“Oh non per sempre…diciamo giusto il tempo che la cara figlia della Salvatrice tiri le cuoia!”
“Cosa…?!”
Al solo sentire pronunciare quelle parole, il volto di Jake lasciò improvvisamente andare quel velo di spavalderia di cui si era fatto portatore, lasciandosi completamente dominare dalla preoccupazione.
“Ahhhh un giovane amore…potrei sciogliermi in lacrime se solo non mi avessi fatto versare le uniche che mi erano rimaste!”
“Che cosa vuoi?!” ringhiò Jake, stringendo ancor di più l’ampolla che teneva nella mano destra e sentendo un improvviso macigno posarsi sul suo cuore.
“Mi sembrava di essere stata piuttosto chiara!” esclamò seccata Zelena, fermandosi a pochi centimetri di distanza dal volto del nipote “Voglio mio figlio. Voglio che tu e la principessa degli Azzurri lo portiate qui. È l’unico in grado di tirarmi fuori da questa prigione…altrimenti…rimarrò qui per l’eternità…o meglio, fino a quando Morgana lo reputerà abbastanza divertente!” aggiunse, sputando fuori il nome della Fata Oscura come se fosse veleno “Se accetti ti lascerò andare…con le mie preziose lacrime per giunta!” concluse, fingendosi magnanima.
“E chi ti dice che rispetterò i patti…”
“Oh lo farai…lo farai perché se mi tradirai troverò il modo di vendicarmi e sai meglio di chiunque altro quanto sappiamo essere pazienti e distruttivi nella nostra famiglia…”
Già lo sapeva, fin troppo bene.
In fin dei conti lui stesso faceva parte di quella famiglia e, probabilmente, era solo grazie al sangue di suo padre se non si lasciava dominare dalla stessa sete di vendetta.
“Ok…una volta uscito da qui informerò Rowan di questo posto…e lo farò portare qui!”
“No…dovrai essere tu a farlo!”
“Potrei non averne la possibilità.” le rispose di getto, cercando in tutti i modi di non rivelare nulla riguardo il piano di tornare nel passato.
“Bene. Allora giuralo sul tuo sangue. Farai arrivare qui Rowan…e lascerai che mi liberi!”
“Lo giuro!”
E quel giuramento sembrò raggiunsero ogni reame esistente.
 
 
***
 
Erano trascorsi venti minuti dalla telefonata del sindaco di Storybrooke e l’impazienza di Killian aveva iniziato ad invadere tutta la stanza.
Dopo aver camminato su e giù, apparendo più simile ad un leone in gabbia piuttosto che ad un lupo di mare, alla fine il pirata aveva finito con l’appoggiarsi allo stipite della finestra, osservando un punto imprecisato al di là della vetrata.
Emma strinse la mano a pugno con fare nervoso, posando l’altra sulla spalla della figlia, il cui volto pallido sembrava più sereno di quanto non le fosse mai apparso.
Anche in quel momento il guardarla le dava la strana sensazione che stesse sognando qualcosa; qualcosa di piacevole.
Glielo avrebbe chiesto, una volta sveglia.
Pochi istanti prima, un’infermiera era entrata per informarli delle condizioni di Eva, le quali parevano migliorare a vista d’occhio.
La ferita causata dalla spada era guarita del tutto, permettendo un totale recupero dei parametri vitali. Anche la respirazione era ormai migliorata, raggiungendo livelli accettabili.
Chissà se la magia aveva aiutato, permettendole una guarigione più celere.
Proprio in quel momento, Regina entrò nella stanza dove si trovava la famiglia Jones-Swan quasi al completo.
“Regina…” esclamò Emma, non riuscendo a trattenere una certa urgenza nel tono di voce.
La donna dai capelli scuri si limitò a lanciare uno sguardo di intesa alla bionda, per poi guardare velocemente il pirata, il cui sguardo sofferente e preoccupato non le permetteva di lasciarsi andare ad una delle sue solite frecciatine.
“Sapevo di aver letto qualcosa a proposito di quella spada…” esclamò dal nulla, come se quella discussione fosse iniziata ore prima nella sua testa “…ma non riuscivo a ricordare dove se ne parlasse nel dettaglio!” esclamò Regina, aprendo un vecchio libro dalla copertina in pelle marrone scuro.
“Io ho visto il film…” sussurrò Emma, mal celando l’imbarazzo e guadagnandosi un leggero sorriso da parte dell’uomo che amava.
Di certo non si poté dire lo stesso di Regina, la quale non perse tempo ad alzare gli occhi al cielo, spazientita.
“Ricordavo di avere questo libro da qualche parte…ma temevo di averlo lasciato nella Foresta Incantata.”
“Di che libro si tratta?” chiese la giovane Swan, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi a Regina, seguita ben presto dal pirata.
“Era un libro che, si pensava, fosse appartenuto all’apprendista di un grande mago…”
Per un momento Emma stava per dire il nome di Semola, uno dei suoi personaggi preferiti della sfera animata; ma non serviva un super potere per immaginare la reazione di Regina di fronte all’ennesima interruzione.
“…secondo questo libro Excalibur non è una spada qualunque…”
“E fin qui eravamo già tutti d’accordo!” si lasciò sfuggire Killian, guadagnandosi l’occhiata truce della sovrana, a fatica risparmiata alla Salvatrice.
“Come stavo dicendo…” riprese seccata “…la spada in questione, dotata di un potenziale magico fuori dal comune, è in grado di far svanire la magia oscura di una persona!”
“I-intendi dire…”
“intendo dire che chiunque in possesso di un potenziale magico di oscurità, se in contatto con la lama della spada, perde qualsiasi tratto di magia possegga!” specificò Regina, in tono serio, spostando lo sguardo da Emma alla ragazza sul letto davanti a sé “Penso che sia quello che sta accadendo a vostra figlia. Si sta…liberando!”
“Ma non è possibile! Eva non è oscura. Lei…lei è venuta qui per salvarci…lei è buona e lo ha dimostrato varie volte”
Non comprendendone a pieno la ragione, Emma si ritrovò a provare un improvviso calore al centro del cuore; un calore simile alla collera.
Sua figlia non era malvagia, come poteva permettersi proprio Regina a fare una simile insinuazione. Quella ragazza era arrivata dal futuro solo per salvarli; aveva sacrificato la sua vita, il suo futuro per loro.
Quello era il comportamento di un eroe, non di un cattivo.
“Lo so…” esclamò rattristata la Mills “…ma ha anche dimostrato di non saper controllare la sua magia Emma. Quando eravamo a casa mia, giorni fa, ha quasi rischiato di uccidere qualcuno!”
“Era sconvolta…” continuò a giustificarla Emma, il cui volto sembrava andare in fiamme “…lo sarei stata anch’io se avessi scoperto che i miei genitori mi hanno mentito per anni!” ***
“Tesoro…”
Ed eccola, la voce in grado di acquietare il suo animo tempestoso.
Peccato che a lei in quel momento non andava affatto di essere calmata. Voleva arrabbiarsi; arrabbiarsi come avrebbe fatto una qualunque madre.
“Regina ha ragione…” esclamò il capitano della Jolly Roger, non riuscendo a nascondere la tristezza su quel tono basso e profondo “…non è la prima volta che Eva si ritrova ad usare la magia oscura, è stata lei stessa a dircelo!”
“Lo so…ma questo non la rende…cattiva!”
“Nessuno ha mai detto questo!” intervenne Regina “…ma è pur vero che vostra figlia non era destinata ad avere la magia e questo deve, in qualche modo, aver complicato le cose. Eva ha dimostrato di saper controllare la magia oscura meglio di quanto abbia mai fatto io in tutta la mia vita. Qualcun altro, al suo posto, si sarebbe limitato a cedere all’oscurità, invece di combatterla in tutti i modi. Dovresti essere orgogliosa di lei!”
“Lo sono…” esclamò Emma, sentendo la collera scemare, con la stessa celerità con cui si era presentata “Lo sono ma…non riesco a sopportare questa situazione. Questo sentirmi…inutile di fronte a quella donna che sembra conoscere ogni nostra mossa!”
Con fare stanco, la giovane Swan si lasciò cadere nuovamente ai piedi del letto, posando lo sguardo sulla figlia, la quale pareva totalmente estranea a quella conversazione.
Possibile che quel suo volto sereno dipendesse dalla mancanza di magia?
Se Regina aveva ragione, la ferita inferta da Morgana si era dimostrata la via verso la salvezza di Eva. Una salvezza da cui lei stessa l’aveva privata per anni.
“Da quando ho saputo che nel futuro…avrò figlio, non riesco a fare a meno di chiedermi come sia possibile che io, con il mio potere, non sia riuscita a salvarlo…”
Le parole di Regina sembrarono provenire da lontano, come se la donna non si fosse realmente trovata in quella stanza, insieme a loro
“Com’è possibile che non abbia trovato un modo per evitarlo in qualche modo?! Io, dopotutto, sono l’ex Regina Cattiva…e non una streghetta da due soldi venuta da chissà dove” il tono graffiante, come se quelle parole si forzassero di rimanere nascoste nel cuore della donna “Eppure è andata così…e il modo in cui Eva pronuncia il suo nome mi fa capire che nemmeno lei ha avuto molta scelta a tal proposito. Quindi…significa che io non posso cambiare le cose? Significa che mio figlio morirà…nonostante io ora lo sappia?”
“Certo che no!” esclamò di getto Emma “Faremo di tutto per salvarlo!”
“Esatto…quello di Eva è solo un futuro ipotetico…non vi è niente di indelebile. Se fosse impossibile riscriverlo, vostra figlia non sarebbe qui e Morgana non si sarebbe di certo presa la briga di seguirla o di cercare di ucciderla se non esistesse una minima possibilità di cambiare le cose!”
“Basta solo capire come fare…” si aggiunse il pirata, avvicinandosi a sua volta al letto di Eva “…e sperare che il libro dica il vero!”
E con un gesto secco, Regina richiuse il tomo impolverato.
 
 
***
 
 
“Maledizione...” si lamentò il giovane Mills, risvegliato da un leggero solletichino alle labbra.
Un dolore insopportabile che, a tratti, gli ricordava quello che aveva provato alla spalla qualche giorno prima, sembrò improvvisamente invadergli la testa, conferendogli una sorta di boato ininterrotto.
Forse qualcuno aveva trascorso le ultime ore ad urlargli nelle orecchie, infondendogli la fastidiosa sensazione che la testa gli stesse per implodere dall’interno, rendendo difficile perfino alzarsi da terra.
A complicare ulteriormente le cose vi era il sole che, con il suo consueto accecare, sembrava provare una certa soddisfazione nell’illuminare ogni angolo del luogo in cui Jake si era risvegliato.
Nonostante fosse il genere di persona più incline ad una giornata di sole che al freddo dell’inverno, il Ribelle ebbe l’insolita sensazione di sentirsi risucchiato da quell’eccesso di luminosità, come se qualcuno lo avesse alzato troppo presto dal suo letto.
Letto. Da quanto non ne vedeva uno.
A fatica, Jake si mise in ginocchio, posando una mano a terra e l’altra al centro della fronte, come ad assicurarsi che ogni parte del volto fosse ancora al suo posto.
Non si era sentito in quel modo nemmeno dopo la peggiore delle bevute con Roland, il quale rappresentava una sorta di primato nelle gare di birra alla radura; come facesse un tipo così magro tenere così bene l’alcool era qualcosa di inspiegabile.
Con le palpebre ancora chiuse e la mente leggermente annebbiata, Jake cercò di alzarsi, accorgendosi solo in quel momento di un dettaglio a dir poco visibile. Si trattava di qualcosa di strano, di una sensazione decisamente diversa a quella a cui si era abituato fino a quel momento.
Aprendo gli occhi scuri, Jake fissò la mano che teneva posata al terreno, ritrovandosi così a sbarrare lo sguardo: erba; un alto strato d’erba ricopriva completamente le sue dita, rendendogliene quasi impossibile la vista. Ecco cosa lo aveva risvegliato poco fa.
Che fine aveva fatto la roccia delle pareti? Il terreno del pavimento?
Che fine aveva fatto la grotta e l’odore pungente dell’umidità proveniente da ogni angolo della prigione di Zelena?
Ma, sopra ad ogni cosa, che fine aveva fatto Eva?
Dimenticandosi all’istante di ciò che, fino a quel momento, gli dava fastidio, Jake si alzò di scatto, provando delle improvvise vertigini in tutto il corpo.
Con urgenza si guardò in torno, riconoscendo ben presto il luogo in cui si trovava; lo aveva attraversato con Eva poco prima di raggiungere la grotta.  
Si trattava di una piccola valle, nascosta nei meandri della foresta; i raggi del sole mattutino, si intrufolavano tra i rami folti degli alberi, donando a quel luogo un non so che di paradisiaco.
Ma, per quanto quel luogo potesse apparire incantevole e celestiale, Jake non riusciva a scrollarsi di dosso l’urgenza che si era impossessata del suo cuore.
Quanto tempo aveva sprecato svenuto a terra? Com’era uscito dalla caverna se, fino a poco prima, si trovava faccia a faccia con lo spirito della Strega Verde?
Zelena gli aveva spiegato di averlo fatto entrare nella sua mente, quando in realtà il suo corpo si trovava ancora svenuto a pochi metri da dove aveva lasciato Eva, probabilmente ricoperto di insetti.
Eppure non vi era traccia di larve o animali del genere sul suo corpo e il suo corpo era stato stranamente riportato all’esterno. Che fosse opera della magia di sangue?
Ricordava di aver ingannato sua zia per avere una delle sue lacrime e di averle promesso di portare Rowan da lei, ma poi cos’era successo? Per quanto tempo aveva abbandonato Eva dentro quella caverna?
L’ultima volta che l’aveva vista una miriade di insetti cercava in tutti i modi di soffocarla, aiutati da un odore nauseante che solo lei poteva avvertire.
Ricordava di aver provato un terrore indescrivibile nel notare il pallore del suo volto. Voleva aiutarla; voleva farla uscire da lì ad ogni costo.
E se fosse….
Interrompendo bruscamente quell’orribile pensiero, Jake corse velocemente in direzione della grotta, sentendo le vertigini e la debolezza abbandonare il suo corpo.
L’entrata della grotta era lievemente visibile dal punto in cui si trovava, ma nonostante ciò ai suoi occhi appariva sempre troppo lontana, quasi irraggiungibile.
Non poteva essere trascorso molto tempo.
Erano entrati nella grotta che era quasi l’alba e ora, vista la posizione del sole, non doveva essere che tarda mattinata.
-Quindi sono passate delle ore da quando siamo entrati…ore interminabili per lei- pensò allarmato il ragazzo, stringendo con forza le mani, come se bastasse quel gesto a deviare la rabbia e la frustrazione di quel momento.
Maledizione.
Senza guardarsi mai alle spalle, il giovane cominciò ben presto ad accelerare il passo ritrovandosi a correre e infischiandosene del rumore emesso dai rami spezzati.
Chiunque avrebbe potuto avvertire i suoi passi e il suo fiato corto; ma non importava. Pensare che, poco prima di entrare nella caverna, aveva deriso Eva proprio per la sua mancanza di grazia.
Improvvisamente, qualcosa lo obbligò ad interrompere la sua corsa, finendo quasi per scivolare sull’erba bagnata.
“Ehi…ma lo sai da quanto ti sto cercando?!”
Una voce proveniente dalla sua destra. Ecco la causa del suo arresto.
Una voce impossibile da confondere.
Non avrebbe avuto nemmeno bisogno di posare lo sguardo sul suo viso per assicurarsi di avere ragione, ma il bisogno era così impellente che il giovane Mills non fece trascorrere un solo istante in più prima che i suoi occhi scuri si posassero su quelli verdi di lei.
Aveva il volto sporco di terra e il fiato corto, come lui del resto. I vestiti, nonostante fossero scuri, apparivano sporchi e strappati in più punti.
Se ne stava in piedi, a pochi passi di distanza, con le mani stese lungo i fianchi e con una mano armata di un pugnale, come se fosse bastato quel piccolo arnese a difenderla da qualcosa di minaccioso.
Ma Eva era così; orgogliosa e dall’aria prepotente, come se niente e nessuno avesse il potere di scalfirla.
Eppure poco prima sembrava così debole, così vicina alla morte che, al solo pensiero, il cuore di Jake si fermò di un battito.
“Sei qui…” sussurrò, quasi incredulo.
“Già…ti ho cercato dappertutto…” confermò la ragazza, voltando il volto verso un punto della foresta, cercando quasi di apparire insofferente nonostante non lo fosse affatto “…tralasciando la tua fobia per gli insetti che penso ti rinfaccerò per il resto dei tuoi giorni, ma ti sembra normale sparire così? Ho pensato di morire dentro a quella malede…”
Le parole le morirono in gola.
Improvvisamente un paio di braccia le avvolsero il corpo, lasciandola letteralmente senza fiato.
“Non volevo abbandonarti…mi dispiace”
Quelle parole, sussurrate a fior di labbra a pochi millimetri dal suo orecchio, le procurarono una sensazione indescrivibile; una sorta di scossa elettrica, in grado di propagarsi lungo tutta la spina dorsale.
Con lo sguardo sbarrato e la fronte al di sotto di quel mento ricoperto da un delicato strato di barba scura, Eva si ritrovò a lasciare andare il pugnale che stringeva tra le mani.
Non era mai stata abbracciata a quel modo, sicuramente non da Jake almeno.
Il cuore della ragazza sembrava volerle esplodere dal petto e pure la sua mente pareva correre a briglia sciolta, completamente invasa da una miriade di sensazioni in grado di farla sentire su di giri.
Sentiva le mani bloccate, come se il suo corpo non fosse abbastanza all’erta da permettere qualsiasi tipo di movimento.  
Voleva abbracciarlo a sua volta, ma una piccola, quanto vigliacca, parte di lei continuava a divertirsi a deriderla, a dirle che lui si sarebbe staccato, allontanandola come aveva fatto tempo prima ai piedi del dirupo che li aveva allontanati da Diletta.
Quella volta lui non aveva voluto nemmeno sfiorarla, allontanandola come la peggiore delle disgrazie.
Ma erano cambiate così tante cose da quel giorno.
Era cambiata lei. Era cambiato lui.
Erano cambiati loro.
Ancora bloccata in quell’abbraccio così caldo, Eva riusciva a sentire il cuore di Jake martellare nel suo petto.
Riusciva ancora a vedere lo sconvolgimento nei suoi occhi nel rivederla davanti a lui, sana e salva; una sorta di panico misto a speranza.
Doveva essersi davvero preoccupato per lei.
Era rimasto inerte a guardarla per alcuni istanti, come se temesse un rimprovero; e lei non era riuscita a fare niente di meglio che mostrarti offesa.
Lui, il ribelle che non perdeva tempo per stuzzicarla o per prenderla in giro alla prima occasione. Proprio lo stesso ragazzo, ora se ne stava con la testa nascosta tra i suoi lunghi capelli, così scompigliati da farla assomigliare più ad una siepe che ad una ragazza.
Solo in quel momento si accorse che i capelli di lui erano più lunghi rispetto a quando lo aveva visto per la prima volta alla radura; forse era solo sua sensazione. Li ricordava più in ordine e meno sbarazzini. Ma a lei piacevano di più così, quasi selvaggi nel loro essere ondulati e folti; così neri da apparire simili alla notte.
Per la prima volta, Eva sentiva l’effetto che avevano quelle ciocche a contatto con il suo viso, posato su quella spalla così forte dove avrebbe potuto trovare conforto ogni qual volta ne avesse avuto bisogno, ne era certa.
Lo sapeva e, forse, una piccola parte di lei lo aveva sempre saputo.
Con la fronte leggermente al di sotto della spalla di Jake, la giovane Swan si accorse di quanto era alto; possibile che non se ne fosse mai resa conto?
E possibile che si ritrovasse a fare simili pensieri proprio ora che lui la stava abbracciando?
Sì, forse era la cosa più normale da fare in un momento come quello.
“Avevo paura di averti persa…”
Ancora quella voce sussurrata.
Nel sentirla, Eva sentì il cuore fermarsi.
Si era preoccupato per lei. Per lei.
Perché la cosa la faceva sentire così dannatamente felice?
La giovane Jones si mosse lentamente, ritrovandosi a posare le mani sulla schiena del ragazzo che strinse ancora di più l’abbraccio.
Avrebbe voluto dirgli mille parole.
Avrebbe voluto dirgli che, una volta notata la sua assenza nella grotta aveva dato di matto, facendo l’impossibile per raggiungerlo ma ritrovandosi scaraventata fuori da lì, da una magia invisibile agli occhi.
Avrebbe voluto dirgli che anche lei aveva temuto di perderlo.
Avrebbe voluto dirgli che lo aveva cercato dappertutto, senza fermarsi un solo istante.
Ma non fece nulla di tutto ciò.
“Non lasciarmi più da sola…”
Scelse quelle semplici parole, forse le più sincere che si fosse mai ritrovata a pronunciare, lasciandosi avvolgere da quel profumo riconducibile solo a lui, quel profumo di bosco e di legno di ciliegio.
Rimasero così.
Per la prima volta. Consapevoli, l’uno dell’altro.
 
 
 
 
 
*Riferimento a Rapunzel, quando esce per la prima volta dalla torre (sì lo ammetto…la stessa frase pronunciata da Morgana ha un effetto un po’ diverso :P)
** Il fandom CS sa bene a chi fa riferimento questa battuta xD
*** Anche in questo caso qualsiasi riferimento è puramente “casuale” (scherzo…mi riferisco alla stagione 4B, quando Emma scoprirà il segreto dei Charming riguardante la figlia di Malefica)
 
 
 
 
 
 
Rieccomi 😊
Scusate l’intrusione ad inizio capitolo, ma ho pensato potesse esservi d’aiuto (anche se, probabilmente, ho solo peggiorato le cose come sempre xD).
Inizio ringraziando con tutto il cuore chi continua a leggere e recensire questa ff, nonostante gli aggiornamenti non arrivino mai troppo velocemente. Questa volta mi sono impegnata a postare ad una distanza decente dall’ultima volta. Per farmi perdonare, inoltre, ho allungato un po’ il capitolo…spero di non averlo reso troppo pesante.
Ovviamente vi chiedo scusa in anticipo per tutti gli orrori grammaticali che troverete. Ultimamente sono andata a rileggermi parti dei vecchi capitoli e mi si sono rizzati i capelli in testa.
Una volta terminata la ff mi dedicherò ad una bella revisione approfondita…promesso! 😝
Allora…le cose si stanno muovendo. Eva e Jake hanno finalmente trovato il primo ingrediente ed ora non gli rimane che trovare una delle sette perle della Regina Bianca e l’Atto di fede di chi non crede. (Preparate i fazzoletti gente…stiamo per arrivare al punto cardine della storia di questi due fanciulli!).
Emma e Killian….adoro scrivere di loro e non vedo l’ora di raggiungere un determinato punto della storia che li vede particolarmente coinvolti ♥ (CAPTAINSWAN SEMPRE E COMUNQUE!)
Morgana ha ottenuto ciò che voleva, Excalibur, ed ora non le rimane che tornare nel futuro per sistemare le cose una volta per tutte (anche se ovviamente non ha dimenticato il suo caro Ector che l’ha “leggermente” delusa...).
Sicuramente qualcuno ha notato una certa “frase” pronunciata da Morgana mentre cerca di uccidere Eva………non vedo l’ora di legere le vostre teorie a riguardo.
Ok dai, non mi dilungo troppo.
Ovviamente, come la maggior parte di voi, sono del tutto presa dalla 6B di OUAT e non vedo l’ora di sapere come si evolveranno le cose…ma non dico niente, non vorrei fare spoiler.
Grazie ancora per tutto quello che fate per me; per continuare a spronarmi, per darmi fiducia e, soprattutto, per apprezzare questo passatempo e dedicarmi parte del vostro tempo leggendo e commentando.
Un grazie particolare a: anubis, Sere, Tweetycs, marty, k_Gio, Kerri, Ibetta e Julia. Grazie di cuore per i vostri commenti e il vostro costante e insostituibile sostegno!
Ovviamente grazie anche a chi legge soltanto e inserisce la storia nelle varie categorie.
Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate del capitolo.
Un grosso abbraccio
A presto con l’aggiornamento (già iniziato…sto migliorando dai 😝).
 
Un bacione
La vostra Erin ♥

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