uno spartano a runeterra

di redwarrior
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Nello spazio profondo...


Cortana risiedeva nel proiettore olografico della stanza criogenica, eseguendo una serie di diagnostiche durante il monitoraggio del tubo crio che conteneva il Master Chief o Jonh, come aveva iniziato a chiamarlo più spesso. Nel frattempo era riuscita a mantenere operativa ciò che rimaneva della matrice dei sensori della Dawn per monitorare l'esterno mentre lo Spartan dormiva davanti a lei. Riuscì anche a tener traccia del tempo e sapeva che erano passati tre mesi, dieci giorni e ventidue ore dalla battaglia finale sull' Arca contro la Mente Suprema, i lealisti Covenant, i Flood ed il Profeta della Verità.

Era finalmente finita, ed ora si trovavano nello spazio profondo a bordo della Forward Unto Dawn in attesa di soccorso.

Naturalmente aveva i suoi dubbi circa l'essere salvati in fretta essendo così lontani dallo spazio UNSC, ma mise da parte quelle riflessioni avendo cose più importanti a cui pensare. Ha ricordato la promessa fatta a se stessa per mantenere Jonh al sicuro, senza compromettere la sua lealtà al consiglio di sicurezza dell'ONU e all'umanità. Fu quella promessa che l'ha aiutata a resistere quando era rimasta intrappolata su Alta Opera e
torturata da Mente Suprema fino a che non arrivò il Capo a salvarla.

Aveva anche deciso di archiviare buona parte dei suoi dati nei computer della Dawn, per ora. Per lo più ciò che riguardava i Precursori, i Flood, gli Halo e qualsiasi altra cosa per far spazio nel suo sistema di memoria.
 Era stato impegnativo visto che aveva alimentatori limitati con cui lavorare e la maggior parte degli archivi della Dawn già pieni di informazioni, cosi dovette essere selettiva con quali dati mantenere e gli altri da cancellare. Fatto questo, si sentiva molto meglio non essendo più gravata dalle troppe informazioni.

Mentre riposava fece in modo di mantenere alcuni suoi sistemi online per sorvegliare la zona e John. Aveva alcuni infortuni ma sapeva che era un osso duro, così si tranquillizzò; ciò non voleva dire che non lo avrebbe tenuto d'occhio anche durante il suo riposo.

Tuttavia, come ha registrato i movimenti dei resti della fregata attraverso il vuoto dello spazio, qualcosa scattò sui suoi sensori svegliandola dal suo letargo. Cominciò a raccogliere i dati provenienti dai sensori e ciò che vide la sorprese: a quanto pare c’era un pianeta nelle vicinanze e da quello che affermavano i dati era anche abitabile.

L’UNSC AI esaminò le sue possibilità: con la Dawn nello stato attuale non c’era modo che sarebbero tornati sulla Terra in tempi brevi ed era plausibile che sulla superfice di quel pianeta sconosciuto avrebbero trovato forniture e una posizione più stabile per avviare una chiamata di soccorso.

Tuttavia, questa scelta avrebbe potuto rappresentare dei rischi. Non sapeva se gli indigeni fossero ostili o meno, se trovassero John o lei, chi sa cosa succederebbe. Ma da quello che era riuscita a raccogliere e quello che gli diceva la scansione, non avevano molte scelte, per ora. Almeno, sulla superfice potevano creare un campo base e poi fare un sistema COM rudimentale per inviare un segnale SOS, piuttosto che restare alla deriva nello spazio profondo.

Dopo aver preso la sua decisione, decise di fare un elenco delle forniture e attrezzature a bordo della Dawn prima di svegliare lo Spartan, suo protettore da anni. Avevano bisogno di tutto ciò che potrebbe aiutarli a sopravvivere in questo nuovo mondo. Doveva anche trovare un buon posto su cui far atterrare la fregata nel momento in cui avesse tracciato la discesa.
Mentre attraversava gli archivi dati, raccolse tutto ciò che riguardava il pianeta. Sembrava ci fosse un unico gigantesco continente circondato dall’oceano e da piccole isole. Una a nord-ovest, un’altra grande a nord-est con attorno tre isole più piccole ed infine tre di grandezza simile a sud-est. 

Completato il controllo dell’inventario delle forniture rimaste, decise di svegliare John. Sapeva che ci sarebbe voluto molto altro tempo prima di riuscire ad atterrare sulla superfice.
Mentre metteva online i sistemi di basso livello, fece molta attenzione a controllare i segni vitali del suo guardiano per far in modo che non fosse troppo gravemente ferito dalla sua permanenza in crio-stasi. Non appena i sistemi furono pronti iniziò la procedura di scongelamento, mentre controllava lo stato degli organi vitali. Sollevata dal fatto che i segni vitali erano tutti verdi, guardò il pod aprirsi sprigionando una massiccia ondata di gas ibernante.

“Svegliati John… ho bisogno di te.” Sussurrò dolcemente.

Non dovette attendere a lungo come John cominciò a muoversi, mostrando che si stava finalmente svegliando dal suo sonno criogenico indotto dal contenitore. E da quello che poteva vedere lo stava facendo piuttosto in fretta, considerando da quanto tempo era là dentro.

Quanto a John, si svegliò nello momento stesso in cui il sistema operativo della MJOLNIR avviava i sistemi. Fece un rapido controllo dell’armatura e vide che, nonostante i danni ricevuti nella battaglia dell’Arca, era ancora in ottime condizioni. Nonostante questo avviò lo stesso il sistema di diagnostica, solo per essere sicuro. Fatto questo, uscì lentamente dal baccello galleggiando, a causa della mancanza di gravità, verso il proiettore di Cortana.

“Apprezzato il pisolino ragazzone?” chiese lei con un sorriso.

Jonh sorrise un po’ dentro il suo casco all’ espressione sul volto di Cortana, poi notò che era leggermente diversa, il suo solito colore viola aveva un ombreggiatura blu ed era anche un po’ più stabile.

“Sembra che l’usura non ti abbia intaccato.” Commentò con tono di apprezzamento.

“Già, ho trasferito un sacco di dati che ho accumulato nella mia memoria per liberare spazio di elaborazione. Ora il mio sistema operativo si sente molto meglio.

“Così ho notato… c’è qualcosa che non va?”

Cortana si è affrettata a fare il riepilogo della situazione al Master Chief. Lo spartan ascoltò attentamente e non era molto entusiasta per il fatto che non erano ancora stati salvati da una nave e né che l’altra opzione fosse
quella di atterrare su un pianeta sconosciuto. Ma visto che non avevano altre opzioni al momento, non poteva obiettare sulla logica. Inoltre essendo in una posizione stabile avrebbero potuto creare un campo base e inviare
SOS alle navi di passaggio, piuttosto che rimanere nello spazio, o peggio, atterrare su pianeti meno ospitali.

Con le loro opzioni attentamente valutate, lo spartan decise che stavano per avere un atterraggio di fortuna sul pianeta e affrontare ciò che c’era laggiù. Iniziò prendendo il suo fidato MA5C ICWS dall’armeria ed una M363 con detonatore di proiettili remoto che galleggiava lì vicino. Controllò lo stato di entrambe le armi e vedendo che erano in buone condizioni le mise sulla schiena e sulla coscia destra. Fatto questo disinserì il chip di Cortana dal proiettore olografico e se lo infilò nel parte posteriore della testa, sentendo la familiare sensazione di mercurio freddo.

“Sai, non importa quanto tempo lascio la tua testa mi ritrovo sempre nello stesso ampio spazio. In un certo verso è comfort amente ridondante.” Rifletté giocosamente ad alta voce.

John alzò gli occhi a quest’osservazione.

Appena entrò in una delle sale armeria della nave, ha rapidamente iniziato a raccogliere le attrezzature di cui aveva bisogno: pacchi di munizioni, armi, attrezzi per le comunicazioni, forniture mediche e alcune confezioni di razioni.

Non appena ebbe raccolto abbastanza forniture, si diresse nella sezione dove venivano tenuti i baccelli ODST HEV. Iniziò subito a caricarne uno con le armi e le forniture di riserva che aveva raccolto. Fatto ciò, si avvicinò ad un altro HEV, controllandone sempre lo stato. Trovandolo adeguato ritornò in armeria per prendere più forniture possibili.

Riuscì a trovare un SRS99D-S2 AM con tutte le munizioni necessarie così come una spada d’energia di riserva; a quanto pare l’Arbiter l’aveva lasciata qui in giro senza preoccuparsene, forse potendo contare su altre armi di riserva. Decise di portala con sé sapendo quanto quest’arma fosse formidabile. Dopotutto, era stato nel suo raggio d’azione così tante volte da non poterle contare e ne aveva fatto uso in alcune occasioni. Mentre era più abituato a combattere a lungo raggio, riusciva a cavarsela anche in mischia.

Posò l’arma sulla schiena e decise di portare anche un coltello da combattimento, dentro la apposita guaina, sulla coscia sinistra. Così facendo riuscì a far spazio ad un altro paio di razioni nel proprio HEV.
Dopo di che decise di parlare di nuovo con Cortana per definire meglio i dettagli del piano, se volevano scendere illesi sul pianeta.

“Allora, come facciamo a far atterrare la Dawn tutta d’un pezzo?” chiese lui.

“Sto calcolando un angolo di traiettoria per la nave nella sua discesa dell’atmosfera, per assicurarmi che la blindatura non sarà troppo sotto sforzo o venga bruciata per il rientro atmosferico. L’angolo che ho impostato servirà anche ad evitare che le zone tagliate siano esposte a terra durante l’impatto, così che venga impedito qualsiasi danno ai sistemi centrali.” Spiegò lei.

“E il resto dei sistemi interni della nave?”

“Ho deciso di isolare le sezioni e le aree principali della nave. C’è ancora abbastanza energia nelle porte antincendio per farlo. Se ciò non fosse rimane dell’energia residua nel reattore a fusione da mandare a quelle porte che non ne hanno.”

John annuì, e controllando l’inventario per l’ultima volta ha iniziato a digitare il codice di comando nella console dell’altro HEV per farlo sganciare solo quando avesse digitato la chiave di crittografia nella console nascosta. Il pod sarebbe stato di vitale importanza per le sue operazioni future sulla superfice.

Una volta che fu pronto entrò nel suo HEV lasciando Cortana fare i calcoli necessari. Quando diede il segnale il Master Chief attivò l’ordine di sgancio. L’unica cosa che sentì fu il suono dei morsetti del HEV che venivano rilasciati e la sensazione di precipitare. In quel stesso momento dalla nave fuoriuscì un satellite drone con la funzione di agire come i loro occhi e loro orecchie.

Attraverso il computer di bordo guardò la restante parte della Dawn immergersi nell’atmosfera. Mentre osservava vide un bagliore arancione intenso con striature luminose circondare la nave durante l’attraversamento dell’atmosfera esterna mentre il suo e l’atro HEV erano appena entrati in quella esterna. Nonostante la notevole schermatura dal calore, lo spartano non aveva dubbi che all’esterno c’è ne fosse abbastanza per sciogliere la protezione di lamiera e friggere un uomo in nanosecondi. Anche se lo stesso John non era nervoso di fronte a tale prospettiva, avendolo fatto migliaia di volte, ricordava di storie riguardo i malfunzionamenti del HEV.

I baccelli erano per gli ODST il modo migliore per atterrare velocemente sulla superfice di un pianeta, portando scorte sufficienti, armi di ricambio, una radio, un alimentatore elettrico, e possono diventare degli ottimi rifugi temporanei. Altre varianti potevano essere configurate per portare altri oggetti o attrezzature necessarie per operazioni di commando o perfino istituire centri di comando e controllo. Tuttavia queste apparecchiature erano soggette a malfunzionamenti di volta in volta. Spesso finendo con l’occupante bruciato vivo o spiaccicato al suolo.

Molti ODST temevano questo tipo di morte, in quanto era come scavarsi la propria fossa. Ha sentito di molte storie di HEV finiti in laghi, fiumi, fianchi di montagne e altro ancora. Per questo prima di partire aveva scelto attentamente quali baccelli usare.

Ma il capo sapeva che niente di tutto questo sarebbe successo per il fatto che Cortana era stata molto attenta nel calcolare la traiettoria del HEV ed era quella più dotata in questa parte di missione. Quindi tutto quello che doveva fare era sedersi ed aspettare di atterrare sul pianeta che avrebbe chiamato casa per un po’.

Bene il primo capitolo è andato! Spero che vi sia piaciuto e se avete dei dubbi sulla geografia di Runaterra basterà cercare su internet “Runaterra map”.
P.S se qualcuno ha dei consigli per le scene di combattimento li accetto volentieri. BYE!

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Sulla superfice del pianeta…

Una foresta lussureggiante piena di alberi esotici e del chiacchiericcio della fauna locale si stava godendo quella che sarebbe stata una serata tranquilla… se non fosse per la grande figura che arrancava faticosamente attraverso la fitta vegetazione.

“Maledizione! Perché capitano tutte a me?” si chiese la misteriosa figura, continuando ad avanzare nella boscaglia.

“Merda! Merda! Stava andando tutto così bene, ero ad un passo da un’altra gloriosa battaglia… ed invece sono finito nel bel mezzo di questa foresta.” sospirò triste.

“Ti sembra giusto?” domandò ad un gufo appollaiato su un ramo lì vicino. L’unica risposta che ottenne fu una lunga occhiata ed un uuuhuuhuhuu.

“Aaah, che ne vuoi sapere stupido uccello.” disse irritato. Il volatile ribatte all’insulto lasciandogli un ricordino sulla spalla prima di volare via.

“Brutto figlio di una gazza! Appena ti prendo ti spenno e poi ti faccio arrosto, hai capito maledetto?” urlò all’uccello, ma questa volta non ottenne risposta, solo la foresta ed il silenzio lo circondavano.

Arrabbiato, ferito nell’orgoglio e un pochino più sporco riprese la sua lunga marcia per ritrovare la tanto agognata civiltà.

“E pensare che è successo tutto nell’arco di una giornata” pensò, mentre i ricordi gli attraversavano la mente.

FLASHBACK

BZZZZZZZ-BZZZZZZZ-BZZZZZZZ cominciò a suonare un cristallo, delle dimensioni di pugno, appoggiato per terra. Finché una mano non lo colpì facendolo tacere.

“Yaaaaawn…. Che dormita ragazzi.” Disse alzandosi da terra. Quando fu in piedi iniziò a fare alcuni esercizi per riattivare i muscoli indolenziti. Mentre faceva gli esercizi posò lo sguardo sul suo giaciglio: era un semplice sacco a pelo, con una coperta di lana ed un cuscino imbottito con della paglia. Non gli erano mai piaciute le comodità, pensava che lo facessero diventare debole.
Stesso discorso per la stanza: oltre al “letto” aveva un tavolo con due sedie, un bagno e la rastrelliera dove teneva armi e armatura. Dopo gli esercizi si diresse verso il bagno, dove si lavò il viso e i denti. Si guardò brevemente allo specchio per essere
sicuro di aver fatto una pulizia completa.

Soddisfatto, si diresse verso la rastrelliera cominciando a mettersi l’armatura: per prima cosa si mise gli schinieri di metallo; poi passo con i para bracci anch’essi dello stesso materiale; poi allacciò la gonna con le frange di cuoio alla vita; in seguito mise la corazza di bronzo per coprire il torso ed infine avvolse il mantello color blu sulle spalle, fermandolo con una spilla raffigurante il simbolo della sua tribù. Per sicurezza fece un rapido controllo, muovendo gli arti e le articolazioni o camminando per la
stanza. Non voleva perdere pezzi in giro, soprattutto durante i match.

Soddisfatto della situazione prese lo scudo e la lancia. Guardando il grande scudo rotondo ebbe un po’ di nostalgia, ogni graffio o ammaccatura sulla superfice gli riportavano in mente tutte le sue battaglie passate, sia che fossero vittorie o sconfitte, e la Λ sopra di esso gli ricordava da dove veniva. Vi batte sopra l’arma con forza, producendo un suono sordo che lo fece sorride. Aveva imparato a fidarsi di quell’oggetto e della sua resistenza, come fosse un vecchio amico.

Passò la sua attenzione alla lunga lancia nella mano destra. La tenne dritta davanti a se per poter saggiarne il peso e guardandola cercava di ricordare quante vite quell’arma avesse tolto.
Molte… ma non ancora abbastanza.” Pensò tra sé e sé.

Prese anche una spada corta, infilandola nel retro dello scudo, vicino all’impugnatura. Non la usava molte volte, preferendo la lancia nei combattimenti, ma come diceva spesso il suo insegnate:
“Ricorda, se perdi o rompi la tua arma principale, averne una di riserva può salvarti la vita.” Anche se le sue armi erano delle antiche reliquie, forgiate per imbrigliare la potenza mistica di Runeterra e quindi impossibili da rompere, non aveva mai ignorato un consiglio dal suo maestro, per cui teneva sempre la spada a portata di mano.

Dopo alcuni secondi a guardarsi allo specchio, si diresse verso la porta. Era già sulla soglia finché un pensiero lo colpì.

“Oops, quasi mi dimenticavo…” disse imbarazzato mentre ritornava alla rastrelliera. Aveva dimenticato l’elmo, il suo marchio di fabbrica. Con un movimento fluido lo indossò, coprendogli l’intera faccia e lasciando intravedere solo gli occhi, dandogli così un’aria più temibile.

“Ok, adesso sono pronto.”

Dopo aver chiuso a chiave la stanza camminò lungo il corridoio per alcuni minuti, salutando i campioni che passavano lì per caso. Anche se alcuni rispondevano al suo saluto, con una certa dose di imbarazzo, la maggior parte sceglieva semplicemente di ignorarlo. Non che se la prendesse… era nuovo all’istituto, quindi era del tutto normale che i veterani ignorassero i nuovi arrivati che dovevano farsi ancora un nome.

Qualche minuto dopo arrivò a destinazione. Era un enorme stanza con molti tavoli circolari sparsi in giro e d’un lungo tavolo pieno di cibarie, ma l’elemento più notabile erano sicuramente le enormi finestre che la illuminavano.
Aaah, la mensa… non vedo l’ora di mettere qualcosa sotto i denti.” Pensò tra sé e sé.

Prese un vassoio e si diresse verso il buffet. Decise di fare una ricca colazione: scelse uova, carne, del pane tostato, qualche frutto e una tazza di tè dal colore scuro, che a molti non piaceva per il suo gusto amaro, ma che lui trovava particolarmente invitante. Appena finito di scegliere, andò a prendere un posto a sedere. Scelse un tavolo nelle vicinanze delle finestre per poter godere della vista ma soprattutto perché era quello più isolato dagli altri. Preferiva far colazione da solo.
Appoggiò le armi sulla sedia vicina con la mano sinistra mentre con la destra sistemò il vassoio.

Stava per gustarsi il proprio pasto finché qualcuno si avvicinò.

“Ehi, è libero ragazzone?” alzando lo sguardo dal piatto, vide la fonte della domanda: era una donna abbastanza alta, con dei corti capelli rosa e con indosso un corsetto grigio abbinato ad un giubbotto di pelle marrone. Dietro di lei, invece, si trovava un’altra donna, poco più bassa, con lunghi cappelli castani ed un vestito con gonna viola. L’elemento, però, che la distingueva di più era un grosso cappello a cilindro, anch’esso viola, con delle eleganti strisce d’oro.  Guardò intorno a sé, per capire se stava parlando veramente con lui.


“Dice a me?” chiese lui un po’ confuso dalla domanda.

“Vedi qualcun altro?” ribatté lei con uno sguardo sarcastico. Effettivamente aveva ragione, visto che i tavoli intorno a loro erano vuoti.

Allora perché vuole sedersi qui con tutti i posti liberi che ci sono?” pensò infastidito a quella violazione della privacy.  Ma acconsentì lo stesso, non avendo motivi per respingerle.

“Prego, fate pure.”

“Grazie mille, ragazzone” disse con un sorriso mentre si sedeva, seguita a ruota dalla compagna.

Decise di tornare a concentrarsi sul cibo, cercando di ignorare le due sconosciute, ma venne nuovamente interrotto.

“Come mai sei armato di tutto punto a quest’ora del mattino?” chiese di nuovo la donna.

“Mi è stato insegnato fin da piccolo a portare almeno un’arma sempre con me, anche durante i pasti o quando dormo” rispose lui in tono neutro. “Se venivamo scoperti a non portarne nessuna venivamo severamente puniti.”

“Ad esempio?” domandò ancora più curiosa di prima.

“Le punizioni variavano di molto, ma le principali consistevano nel rimanere di notte nei boschi senza vestiti o armi riuscendo a far poi ritorno oppure essere costretti a portare per dieci giorni interi un sacco pieno di pietre, pesante il triplo di noi.”
A quella risposta le due donne rimasero scioccate.

“Wow… avevo sentito che i Rakkor fossero dei duri ma non immaginavo così tanto.” Disse incredula quella con i capelli rosa, mentre l’altra si limitò a fare un cenno d’assenso.

Quel complimento rivolto verso di lui e la sua tribù fece sparire il fastidio di prima, lasciando spazio alla curiosità.

“Bè, non sono così male dopotutto… vorrei solo sapere cosa vogliono.”

“Allora, umm…” stava per chiedere cosa volessero, ma si era appena ricordato di non sapere i loro nomi. La donna doveva averlo notato e iniziò con le presentazioni.

“Il mio nome è Vi e la mia amica qui è Caitlyn, lo sceriffo di Piltover.”

“Piacere di conoscerti” parlò per la prima volta la donna con il cappello.

“Il piacere è tutto mio. Ora, però, vorrei sapere del perché siete qui.”

“Uh, di cosa parli?” chiese Vi.

“Senza offesa, ma non penso che siate qui solo per quattro chiacchiere.” Disse ironico.

“Aaah… sei più attento di quanto pensassi. E per rispondere alla tua domanda è sì e no.” Rispose con un sorrisetto.

“Che significa?” domandò serio. Caitlyn, sentendo il suo tono, incominciò a spiegare la situazione.

“Quello che Vi vorrebbe dire è sì, abbiamo un motivo per parlarti, ma volevamo anche conoscerti meglio visto che sei un nuovo arrivato.”

“Va bene, allora, cosa volete?”

“Dritto al sodo eeeh? Mi piaci.” Disse Vi.

“Vogliamo che ci aiuti a fermare una banda di criminali a Piltover.” Rispose Caitlyn.

“Perché io? Ci sono molti altri campioni disposti ad aiutarvi.”

“Bè, vedi, se chiedessimo aiuto ai Demaciani, gli unici di cui ci fidiamo, finiremmo col far infuriare Noxus. Il Frejord, ha già abbastanza guai da risolvere di per sé, figuriamoci aiutarci!” Spiegò la vice sceriffo, gesticolando con una brioches, “E Zaun… dal quel posto sono arrivati più problemi che aiuti.” Terminò addentando il cibo.

“Quindì…” iniziò Caitlyn.

“Sarei la scelta migliore perché faccio parte dei Rakkor, una fazione neutrale. Giusto?”

“Esatto ragazzone! Allora, che ne dici?”

“No” rispose glaciale.

“Eeeeeh?” fecero scioccate.

Vedendo la confusione delle donne iniziò a spiegare il motivo del suo rifiuto.

“Perché non ho nessuna ragione per aiutarvi. Ci conosciamo a malapena.” Disse, alzandosi dal tavolo.

Caitlyn stava cercando disperatamente di fermarlo, “a-a-aspetta possiamo trovare un accordo se…” ma venne fermata da Vi.

“Tranquilla, ho un idea.” Disse dandogli una lieve pacca sulla spalla.

Mentre si stava avviando verso l’uscita poteva ancora sentire le due donne discutere tra di loro. Senza accorgersene rallentò il passo per poter origliare.

“Che peccato, non siamo riuscite a convincerlo ad aiutarci.” Disse Vi con voce abbattuta.

“Già, e pensare che lo avremmo pure ricompensato.” Rispose Caitlyn.

Al sentire parlare di ricompensa si fermò di colpo.

“Chi sa di che tipo di ricompensa parlano?” pensò. Ormai era troppo curioso per andarsene e nel esatto momento in cui si voltò verso di loro rimase pietrificato.

“A proposito Caitlyn, non sentì anche tu un po’ di caldo.” Chiese sfilando il giubbotto. Senza l’indumento sembrava una ballerina di cabaret ma soprattutto dava una gran bella vista del suo generoso petto.

“Hai proprio ragione… mi sembra di soffocare.” Dichiarò tamponandosi il sudore dal viso. Dopo di che passò il fazzoletto anche sul petto, anch’esso generoso quanto quello dell’amica, facendolo, però, in modo molto provocante.

“Già una vera e propria sfort-“ non riuscì a finire nemmeno la frase che era già ritornato al tavolo.

“Quando si parte?” chiese con calma, dando un impressione di nonchalance. Rovinata soltanto dal sangue che colava dal naso.

“Subito ragazzone!” rispose Vi alzandosi dal tavolo insieme all’amica.

“Ah! A proposito non ci hai ancora detto il tuo nome.” Disse Caitlyn ricordandolo solo adesso.

“Pantheon. Il mio nome è Pantheon.”

Ed eccoci alla fine del secondo capitolo e prima parte del flashback.
Bye bye!
 
 

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