Chop Suey! - I cry when angels [deserve to] die

di bambi88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I cry when angels [deserve to] die ***
Capitolo 2: *** Part Two ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 4: *** quarto capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo ***



Capitolo 1
*** I cry when angels [deserve to] die ***


contest metal 1
Chop Suey!
I cry when angels [deserve to] die

I Atto
Here you go create another fable


Il bambino si guardò attorno, avanzando impaurito nel lungo corridoio davanti a sé.
Fece un passo, i piedi scalzi che tamburellavano leggeri sulla moquette colorata, mentre la luce soffusa della lampada – una sola lampada – illuminava le porte socchiuse.
Il ragazzino si grattò il naso, togliendosi  poi i ciuffi castani dalla fronte.
Se c’era una cosa che detestava era quella di trovarsi sempre Lì, e dover sempre ripetere quella scena.
-    Kankuro – si sentì chiamare, e, nonostante l’avesse sentita centinaia di volte ormai, il suo cuore mancò di un battito.
-    Mamma – rispose, con quella vocina infantile che non gli apparteneva da tempo.
Ma Lì gli apparteneva sempre.
Perché Lì  lui non poteva fuggire.
-    quante volte ti ho detto di non disturbare papà mentre lavora? – ripeté la voce gentile nell’oscurità, vicina a lui.
Ma in realtà fin troppo lontana.
Ma Lì tutto era creato per farlo impazzire.
-    Ma papà è tornato e non mi è venuto a salutare – rispose, il visino ancora infantile che si piegava in una smorfia.
E chissà perché quella porta anonima ora era lo studio del padre, e quel corridoio buio era la sua vecchia casa.
La voce di donna si incrinò, silenziosa.
Perché Kankuro sapeva che Lì tutto poteva accadere.
-    vieni a giocare con me? – disse poi – ma lascia stare il papà –
Kankuro sentì un dolore all’altezza del petto, e ricordò, vagamente, che da bambino aveva urlato e svegliato Gaara, che dormiva nell’altra stanza.
-    certo mamma – rispose invece, trascinandosi verso l’oscurità, cercando con gli occhi scuri il volto dell’altra.
-    Ma voi non andrete via vero? – si ritrovò a mormorare, afferrando una gonna [comparsa da dove, poi? ] che profumava di fiori.
Alzò lo sguardo verso l’alto.
Sempre più in alto.
Lì lui era pazzo.
-    andremo via quando ti sveglierai – e un volto chiaro, sottile, etereo gli sorrise.
E due occhi azzurri lo accarezzarono.
Lo sai benissimo che è Qui che devi tornare, sembrarono sussurrare.
E Kankuro maledì quel suo corpo da bambino, che non gli permetteva di stringere il corpo fragile della madre né, tanto meno, di sfondare quella porta socchiusa e urlare al padre che se avesse osato morire di nuovo  [E ancora una volta non per mano Sua] Lui sarebbe rimasto Lì per sempre.
-    e papà non partirà più, vero mamma? –
Lei sorrise
Perché era l’unica cosa che Kankuro ricordava di lei.
Un sorriso su una foto.
Una tenda che svolazzava.
E il telo che la copriva nella stanza d’ospedale.
- se tu rimarrai qui –
Kankuro le afferrò la mano, trattenendo un singhiozzo.
Perché sapeva che il suo incubo stava per finire.

E che la dose era stata troppo leggera.

Anche questa volta non era morto.

 [I, cry, when angels deserve to die]



II Atto

Wake up


Aprì un solo occhio, il corpo ancora intirizzito dalla droga.
Cercò invano di rotolare su un fianco, biascicando poi con le labbra sporche di bava un – dannazione-
Non era morto, questo sicuramente, dato il suo alito pesante che gli rimbalzava in faccia dal cuscino,  e se una parte di lui, quella che ricordava che, da qualche parte, almeno due occhi avrebbero pianto per lui, l’altra si malediva, chiedendosi perché tutto dovesse essere così complicato.
L’anta della finestra sbatté di nuovo, ricordandogli, nonostante tutto, che era ancora marzo, e che a marzo era ancora inverno.
Riuscì a sollevare il braccio intorpidito, sfiorandosi la fronte sudata e i capelli sporchi.
Puzzava di fumo ed alcool e gli abiti della sera prima erano accatastati ai piedi del letto, gettati senza riguardo.
Se quella era diventata davvero la vita di Sabaku no Kankuro, posato fratello mezzano della ricca famiglia Sabaku, nonché promettente studente di ingegneria meccanica, allora aveva ragione a smettere di viverla.
E lui ci stava provando disperatamente da mesi.
- che cazzo di ore sono? – si disse poi, mentre il suono di un clacson rompeva l’aria fredda e quello di una frenata brusca si aggiungeva nel silenzio.
Si sollevò, facendo oscillare la testa pesante, rimpiangendo di non avere i soliti analgesici sul comodino.
Chissà se facevano ancora effetto?
Accese l’abat jour e la luce rossastra si diffuse per la camera spoglia del lussuoso appartamento.
Era pur sempre un Sabaku.
E l’eredità dei suoi genitori non erano solo degli incubi in cui suo padre si chiudeva in una stanza e sua madre sorrideva.
- le quattro – sibilò poi, schiantandosi sul letto e facendo cigolare le molle usurate.
Il vento si infilò tra le ante socchiuse della finestra, trascinando l’odore muschiato della pioggia.
Kankuro chiuse nuovamente gli occhi, appena prima che il temporale iniziasse a scrosciare.



III Atto
Why have you forsaken me
In your eyes forsaken me
In your thoughts forsaken me
In your heart forsaken me


-    ridammi il mio pupazzo o chiamo mamma! – strillò il ragazzino, muovendo le mani verso la sorellina, distesa sul divano.
-    I giochi sono di tutti e due, scemo – rispose lei, sorridendo ad occhi socchiusi, mostrando le prime prove del suo famoso ghigno diabolico.
Il ragazzino si morse un labbro, scattando in piedi – e io chiamo mamma, Temari –
- e io chiamo mamma, Temari! – gli fece il verso l’altra, giocherellando con le braccia del vecchio pupazzo, per poi iniziare a tirare il bottone che gli faceva da occhio.
- non rompere Karasu! – piagnucolò Kankuro, mangiando le consonanti e ingurgitando la R.
Il suo nemico mortale, che osava sfidarlo persino quando si presentava e con la faccina concentrata sibilava un “KankuLo” decisamente poco elegante.
-    non lo sto rompendo, io ci gioco – rise Temari, passandosi tra le manine paffute il pupazzo – e comunque io sono la maggiore – ghignò – ho tanti anni così! –
Piegò, non senza qualche difficoltà, le dita a formare un tre incerto, negli occhi una vena sadica, la stessa che un giorno l’avrebbe resa famosa.
Kankuro abbassò gli occhi verdi, le guance gonfie di imbarazzo – un giorno saprò contare anche io -  biascicò con tono lagnoso –e allora vedrai che…-
Dlon.
Il ragazzino si voltò di scatto, seguito da Temari, che balzò seduta.
Conoscevano quel suono.
-    sono a casa – tuonò una voce maschile, abbandonando le chiavi sul tavolo d’ingresso.
Kankuro si sollevò da terra, inciampando nella palla di Temari, sorridendo.
-    papà!- urlò poi, la gola secca dalla gioia.
Temari lo sorpassò, fiondandosi nel corridoio ed incrociando lo sguardo di Karura, ferma sullo stipite della cucina, il grosso pancione che pendeva rigido sul corpo esile.
Il padre li guardò serio, togliendosi l’impermeabile zuppo – datemi il tempo di asciugarmi – disse poi, calmo – torno dopo due settimane e quello che trovo sono due selvaggi? – disse ancora, scrutando la stanza disordinata.
Temari abbassò colpevole lo sguardo e Kankuro, più semplice nei suoi due anni, gli rivolse un sorriso ancora sdentato.
-    al mio ritorno fatevi trovare come i miei bambini –
Karura ondeggiò la testa, rientrando in cucina.
E un lampo illuminò il viso raggiante di Kankuro, ancora preso a fissare la porta dello studio del padre, lì dove spariva sempre.
- un giorno diventerò come papà! Forte, bello e buono–

Bagnato, infelice ed egoista.



Prima classificata al contest Metal di Laly & Hipatya.
Grazie, semplicemente alle giudici, rapidissime e gentilissime (__)
Complimenti alle altre partecipanti, e alle mie colleghe di podio jess_elric e kymyt! ^^

N.B. La fic è una lunga oneshot. Ho deciso di dividerla in brani più brevi, per facilitare la lettura.
         Ci saranno diversi pairing di sfondo. Ma la fic è centrata più sul rapporto, qui estremizzato, trea i fratelli del deserto.

Fatemi sapere cosa ne pensate ^^

Roberta

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Capitolo 2
*** Part Two ***


contest metal 2 IV Atto

Wake up


Rumore di passi, ticchettio di stivali nuovi sul parquet lucido.
Kankuro mormorò un verso sconnesso, rotolando sul lenzuolo sudato.
Aveva sentito il portone aprirsi e la voce roca e famigliare della ragazza infilarsi noiosamente per le stanze vuote.
Se c’era una cosa che Kankuro conosceva bene era la routine delle sue mattine.
E l’entrata in scena di Temari, tacchi alti e costoso vestito di Armani indosso, era scontata come il sorgere del sole.
Sapeva dove aveva lasciato le chiavi, rubate e copiate chissà quando, e, saltellando allegramente, perché era sempre stata la più brava a mentire, aveva lanciato il sacchetto della colazione sul tavolino, accendendo la tv.
Probabilmente aveva messo a bollire il caffè, alzando il volume.
Quasi sicuramente aveva urlato un – buongiorno fratellone –, ignorando di essere la maggiore, e aveva iniziato a parlare di cose assurdamente banali.
Spesso Kankuro la sentiva urlare del tempo, della moda che tornava e ritornava negli anni o delle mezze stagioni che non c’erano più.
Ogni tanto, invece, si limitava a borbottare riguardo la sua complessata storia d’amore con il solito ragazzo, ed a versare con più veemenza il latte nella tazza.
Talvolta, ma solo quando la roba era stata buona e il cervello di Kankuro aveva ripreso a funzionare, lui si univa a lei.
Rubava un biscotto e lo masticava lentamente, facendosi sfuggire qualche battuta tirata per i denti.
Era allora che Temari riprendeva a ridere sincera e i suoi occhi verdi smettevano di fissare le braccia nascoste del fratello.
Si illudeva fosse tutto normale e continuava a fare colazione con lui, lamentandosi dei suoi assurdi turni in banca.
Poi, dopo essersi raccomandata su tutto e nulla, lo lasciava con un bacio sulla fronte, chiedendogli di richiamare Kiba, che aveva ripreso ad assillarla da quando Kankuro era sparito dal solito giro.
Lui annuiva, sempre, e le prometteva che la mattina dopo si sarebbe fatto trovare sveglio e attivo.
Lei, allora, si passava una mano tra i capelli e borbottava un – è tardissimo, chiamami a pranzo – e usciva, lanciandogli quell’ultima occhiata che sapeva tanto di – so che non lo farai-.
Ma questo accadeva sempre più raramente e Temari, da qualche mese a questa parte, si limitava a lasciargli i cornetti sul tavolino e a sistemargli la cucina.
Kankuro aggiustò il cuscino sotto la testa, pregando che la sorella se ne andasse in fretta. Doveva andare in bagno, ma non se la sentiva di incontrarla.
E, soprattutto, non se la sentiva di farsi vedere in quello stato pietoso.
La sentì aprire il rubinetto della cucina, il rumore della televisione sempre più alto, e gli sembrò, persino, di sentirla canticchiare..
Se c’era una cosa che lui e Temari sapevano fare bene era fingere di vivere normalmente,  mentre tutto il resto andava a puttane.



V Atto
I don't think you trust
In, my, self righteous suicide
I, cry, when angels deserve to die

 DIE


Temari gli passò il pezzo di cioccolata, gli occhi arrossati e asciutti.
La poliziotta che li sorvegliava lanciò loro un’occhiata dispiaciuta, per poi riprendere a fissare la finestra chiusa.
Il nastro giallo passava attorno la maniglia, attorcigliandosi lungo la lampada.
Kankuro tirò su col nasino, le guance infantili piegate verso il basso, molli.
-    ma la mamma dove è andata?- chiese poi, nuovamente, guardando verso la poliziotta, ora più decisa che mai a continuare a fissare la porta.
Lui grugnì, storcendo la labbra nella sua classica smorfia che Karura definiva “semplicemente adorabile”.
Tutto quello che aveva capito era stato che la mamma non stava bene e che la depressione post qualcosa l’aveva portata via.
Ma per Kankuro era difficile capire perché la mamma, quella mattina, lo avesse infilato nel lettone accanto a Temari, e avesse ignorato il pianto di Gaara, nella culla.
E quello non lo faceva mai.
Lei urlava, di solito, e si teneva la testa tra le mani, piangendo.
Kankuro, la manina ancora ancorata a quella della madre, si era limitato ad obbedire, chiedendole solo di avere il pupazzo che zio Sasori aveva regalato a Gaara.
Perché era geloso di quel fratellino piccolo e pelato, dagli occhi grandi e dal pianto facile.
La mamma allora gli aveva detto di fare il bravo e aveva sussurrato a Temari di tenerlo stretto.
Poi si era voltata, il viso nascosto sotto al solito sorriso delle foto.
Li aveva salutati, aprendo la finestra.
Poi era saltata.
Kankuro si era irrigidito, afferrando poi la manina di Temari e chiedendole – dove va la mamma? –
Lei non aveva risposto, e il labbro aveva iniziato a tremarle.
Non si erano mossi dal letto, confortati solo dall’ultima frase di Karura, quel “tienilo stretto” che continuava a sbattere nelle loro teste.
Qualche minuto dopo la poliziotta era entrata in camera, sul volto un’espressione preoccupata e Gaara tra le braccia.
E tutti avevano iniziato a parlare di depressione post partum.
- era strana ultimamente, diceva che Gaara fosse il demonio, e se me lo sta per chiedere eravamo prossimi al divorzio –
Kankuro sollevò lo sguardo sul padre, seduto tranquillamente ai piedi del letto.
L’uomo in divisa guardò con preoccupazione i bambini, chiedendogli poi se volesse cambiare stanza.
-    loro madre è una suicida, dovranno abituarsi al pensiero – li fissò glaciale – devono essere pronti a quello che li aspetta, da oggi in poi, la gente farà delle domande – si interruppe – lo fa sempre -
Kankuro rispose allo sguardo del padre, gli occhi verdi, ma che tutti scambiavano per castani, spalancati.
-    c’è altro che potrebbe esserci utile? – chiese ancora il sergente, osservando altri agenti dalle tute bianche rilevare impronte sull’imposta della finestra
-    Karura non accettava le mie frequenti assenze per lavoro e la sua angoscia ricadeva sui bambini, su Gaara in particolare. Non voleva altri figli, ma io ho sempre voluto una famiglia numerosa – il dottor Sabaku smise di parlare, gli occhi castani duri – sono solo sollevato che si sia uccisa. Temevo facesse del male ai miei figli –
Si alzò, il lenzuolo che frusciava sotto i pantaloni costosi – ora devo tornare al lavoro, se non le dispiace – sibilò, raccattando la giacca dalla sedia.
La stessa dove Karura si era poggiata un attimo prima di tuffarsi, sorridendo.
Ma solo Kankuro e Temari potevano saperlo.
La bambina smise di giocherellare con le dita sporche di cioccolata, fissando il padre stringere la mano al poliziotto.
- vai via? – sussurrò, agitando i codini sfatti.
Il padre si voltò verso di lei, osservandola distrattamente – verrà a prendervi nonna Chiyo, fate i bravi –
Temari si avvicinò a Kankuro e lo abbracciò, mozzandogli il fiato, almeno per un istante.
-    devo tenerti stretto – spiegò poi, voltandosi verso l’altra stanza, dove Gaara dormiva placido.
Kankuro si agitò tra la sue braccia, irritato – ma mi fai male!- si lagnò, gli occhi gonfi di pianto – e io da nonna Chiyo non ci voglio andare –


VI Atto


Wake up


Tum Tum Tum.
Se c’era qualcosa di sicuro, oltre Temari e le sue visite ( anche se temeva che un giorno all’altro sarebbe inesorabilmente cessate, vittima del suo menefreghismo, o di sua una sniffata letale ) era quel fottuto mal di testa che gli dava il vero buongiorno.
Puntuale quasi quanto la sua radiosveglia ( ormai fedelmente ancorata alle undici e tre quarti) iniziava come un fruscio nella testa.
Un’interferenza fastidiosa nei suoi sogni.
Un dolore soffuso alle tempie.
Era allora che Kankuro capiva che la notte era finita e che era tempo di far finta davvero di vivere.
Si alzò, tirando via le coperte dall’ampio torace, chiedendosi da quanto indossasse quella canotta scura.
Sembrava ricordare di esserci nato dentro.
Cercò di mettere a fuoco le immagini sbiadite della stanza, per niente aiutato dalla vista offuscata e dal martellare nel cranio.
Tum Tum Tum
Avesse avuto il suo vecchio senso dell’umorismo ( quello che gli faceva fare sguaiate risate con Kiba Inuzuka, dividendo una birra nel retro del bar della madre ) avrebbe persino composto un piccolo rap.
Tum Sono un cretino che la sera si fa lo shottino
Tum Sono un coglione e come me ce n’è uno su un milione
Tum sono un demente e mi distinguo tra le gente.
-    ma vaffanculo, Kankuro – grugnì, tirandosi forzatamente a sedere – prendi la tua fottuta aspirina e smetti di pensare, stronzo –
Insultarsi di prima mattina era di buon auspicio.
Già.
Poggiò il piede a terra, facendo frusciare il tappeto colorato.
Alzò lo sguardo, osservandosi allo specchio.
Occhi nocciola ( aveva rinunciato a ricordare a tutti fossero verdi)  e naso schiacciato.
Un sorriso gli increspò le labbra, quando lo accarezzò.
Quella forma schiacciata era anche merito di quel cretino dell’Inuzuka.
Con buona pace di Madre Natura.



VII Atto

 Grab a brush and put a little (makeup)
Grab a brush and put a little
Hide the scars to fade away the (shakeup)
 

Tre tempi:

Primo tempo:
-    se credi che questa la passi liscia Sabaku, te lo scordi –
Kankuro sollevò lo sguardo dal sedere di Kurenai Yuhi, professoressa della sezione B, incrociando gli occhi dorati di Kiba Inuzuka.
Matricola e promettente testa di cazzo.
-    credevo che la Yuhi si facesse fottere da Sarutobi, non da un pivello come te -  rispose Kankuro, riprendendo a masticare la chewing gum.
Kiba gli si avvicinò, gli occhi ridotti a fessure – Ino Yamanaka. – scandì – ti dice qualcosa? –
L’altro sollevò gli occhi al cielo, infastidito – no – mentì – dovrebbe? – chiese ancora, le labbra feline distese in un sorriso soddisfatto.
Kiba scrollò le spalle nel giubbotto di pelle, inquieto – ieri l’hai portata a fare un giro in moto –
Il Sabaku schioccò le dita – ora ricordo! - l’interruppe – ma sbagli su un particolare: ieri me la sono scopata sulla moto –
Il grugno dell’altro si piegò in una smorfia nervosa e i pugni si chiusero a scatto lungo i fianchi.
Kankuro deglutì silenziosamente, cercando di non distogliere lo sguardo dall’altro.
Ok, forse non era quella la versione esatta del giorno prima.
Quella bastarda della Yamanaka gli si era effettivamente buttata addosso, chiedendogli un passaggio.
Kankuro all’inizio aveva cercato di tergiversare, evitando di buttare lo sguardo nella scollatura della matricola.
Ma poi aveva ceduto e, maledetti ormoni, si era ritrovato nel viale alberato di un ricco villino.
Che non aveva l’aria di essere casa Yamanaka.
-    Grazie, Sasuke mi starà aspettando da ore! – aveva squittito Ino, lasciandoli un buffetto sulla guancia – sei stato un tesoro –
Nessuna scopata.
Nessun bacio.
Niente di niente.
Ma la soddisfazione di vedere Kiba incazzato non gliela avrebbe tolta nessuno.
Kiba sollevò gli occhi ad incrociare quelli dell’altro, lo sguardo feroce.
-    tu me la paghi!- aveva urlato, poggiando il peso sulla gamba destra e roteando sui fianchi.
Kankuro ghignò di rimando, cercando di spostarsi verso destra.
Troppo lento.
Il pugno gli colpì lo zigomo, e un dente crocchiò sinistramente nelle orecchie.
-    Bene Inuzuka, vediamo che altro sai fare – biascicò dopo qualche secondo, impiastricciando le parole col sangue.


Secondo tempo:


-    Kankuro, puoi passarmi il burro? –
Il ragazzo sussultò, seduto tra la vecchia nonna e la sorella maggiore.
-    certo, padre –
Temari gli lanciò un’occhiata tra il risentito e il preoccupato.
Il grosso ematoma sulla guancia era lì, fresco e targato Inuzuka, inutile il tentativo di coprire lo spacco sul labbro e la ferita alla mano.
-    come va la scuola? – il padre riprese a tagliare la carne, lanciando un’occhiata furtiva a Gaara, seduto ben lontano da lui.
Kankuro provò ad aprire bocca, interrotto però dalla voce di Temari.
-    come sempre padre. I voti di Kankuro sono migliorati e, nonostante l’aspetto, anche quello in condotta –
Il dottor Sabaku incurvò le sopracciglia – mi fa piacere – incurante del tremore delle mani di Kankuro, saldate attorno alla forchetta.
-    Gaara, tu hai niente da aggiungere? –
Il rosso incrociò lo sguardo del padre, vagamente risentito – no – scandì lento, allontanando il piatto con un gesto piccato – torno a casa di zio, non vuole che torni troppo tardi –
Kankuro gli rivolse la stessa occhiata atona di Temari quando lo vide alzarsi da tavola, il vestito della domenica largo sulle spalle magre.
Gaara era stato il primo pezzo della famiglia a cedere, chiedendo di andare a vivere con lo zio materno ad appena otto anni.
Il padre ingoiò il boccone con estrema lentezza, per poi tornare con lo sguardo sulla figlia.
-    riparto per Londra domani, fatemi sapere se avete bisogno di denaro –
Kankuro afferrò il bicchiere stringendolo nervosamente tra le dita.
Non è dei tuoi soldi che ho bisogno.
Guardami papà, guarda la mia faccia.
Non mi chiedi che è successo?
- certo – biascicò, intromettendosi – come sempre, padre -



 
Terzo tempo:

Kankuro gettò i pantaloni nell’armadio, infilandoli, con strana ed inaspettata precisione, tra un maglione nero e due paia di calzini sporchi.
Se lo avesse visto la nonna come minino avrebbe urlato tanto da riesumare i morti.
-    Kankuro, sto entrando –
Il castano roteò gli occhi, infastidito.
Temari non avrebbe mai imparato a chiedere qualcosa.
Temari faceva, che tu fossi volente o nolente.
-    che onore averti qui sorellona – mormorò il ragazzo, guardandosi imbronciato allo specchio – che cazzo, l’Inuzuka mi ha aperto la faccia come una noce – sbottò poi, portandosi due dita al labbro pulsante.
La bionda chiuse la porta alle spalle, camminando scalza sulla moquette colorata – devi piantarla di fare a cazzotti con il primo che passa – sibilò, gli occhi ridotti a fessure – e poi non avevi detto che Kiba ti stava simpatico? –
Il fratello si gettò sul letto, un ghigno famigliare sul volto ammaccato – che c’entra in tutto questo la simpatia? – disse, reprimendo una risata.
Temari incrociò le braccia sotto al seno, facendo frusciare la stoffa della camicia da uomo che indossava come pigiama.
Le lettere S.N. tuonavano, ricamate sul taschino, ricordando a Kankuro che per la sorella il suo periodo nero era appena finito.
E che un altro, nero solo per lui, era appena iniziato.
-    se vuoi attirare la nostra attenzione non è così che la avrai – mormorò poi Temari, sedendosi accanto all’altro ed accavallando le gambe nude – non puoi ridurti così per Lui, Kankuro. E nemmeno per Gaara –
Il fratello abbassò lo sguardo, mentre la guancia tornava a dolergli.
Temari gli afferrò una mano, fissandolo con i grandi occhi chiari – domani vuoi farti vedere così a scuola? – disse poi, improvvisamente leggera.
Kankuro la fissò sbigottito, negando poi con la testa – mi stai dicendo che nonna mi lascia dormire domani mattina? – chiese, negli occhi la vaga speranza di bigiare la scuola.
La bionda si imbronciò, colpendogli la testa con uno schiaffo – ti piacerebbe! – rise poi – ti trucco un po’, così i lividi si vedranno di meno – concluse, il sorrisetto furbo sulle labbra.
Kankuro si imbronciò – io truccato come una femminuccia non vado da nessuna parte! –
L’altra rise, saltellando fino al suo viso – su, non sarà così traumatico, mio viril fratello – gli lasciò un buffetto sul naso, rotolando sul copriletto – ci metto un minuto a farti diventare più bella di Charlize Theron, fratellone -
Lui fece scattare il mento – stronza – per poi vederla ondeggiare fino alla porta – a domani, allora – rise lei, facendogli l’occhiolino.
Kankuro l’osservò distratto, mentre lei reclinava il viso, il ghigno divertito che ancora non se ne era andato dalle labbra.
E quando la porta si chiuse, nascondendola alla vista, Kankuro si chiese quanto trucco dovesse servire per mascherare davvero quello che stava diventando.
Forse solo Temari ( quella stessa Temari che si era nascosta dietro rimmel e un’altra acconciatura, prima di incontrare signor – quel ragazzino di - S.N ) poteva davvero saperlo.



Seconda parte...ce ne saranno forse altre due.

Ringrazio coloro che hanno letto e lasciato una recensione alla prima parte, i primi atti ^^

Vi lascerò i dovuti ringraziamenti all'ultimo capitolo ^_^

Un bacio!

Roberta

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


contest metal 3
VIII Atto

Wake up

Due cornetti, uno alla crema e l’altro alla cioccolata.
Kankuro non ci mise molto ad indovinare il contenuto del sacchetto lasciato sul tavolino della cucina, abbandonato tra un biglietto scritto con la solita fretta e un fazzolettino sporco di rossetto rosa e cioccolata.
Si lasciò quasi sfuggire un sorriso, scostando la sedia con un piede.
Gli sembrava di vedere quasi Temari entrare in cucina, ondeggiando sui tacchi alti. Poteva immaginarla urlare un saluto e forse sussurrare un insulto a mezza bocca.
La sentiva quasi lì, accanto a lui, quando si accasciava, prendendosi la testa tra le mani, passandosi le dita affusolate nei capelli umidi e chiedendosi ancora e ancora dove avesse sbagliato, lei.
E poteva quasi toccarla mentre tirava su col naso, afferrando il cornetto dal sacchetto, e, con gli occhi socchiusi, quasi ad affrontare un nemico epico, morderlo avidamente.
Aveva quasi la certezza che poi fosse balzata in piedi, guardandosi sconsolata attorno e con un – benvenuta, fame nervosa – essersi pulita le labbra con il fazzoletto.
Kankuro spostò il sacchetto con un dito, osservando la scia di rossetto sul foglietto di carta.
Aveva smesso di chiedersi perché Temari si truccasse sempre così pesantemente da ragazza e perché, ora, avesse ricominciato a farlo.
Ci sono ferite che nessuno stupido ragazzino dalla camicia sgualcita poteva sanare.
Afferrò il cornetto alla crema con uno strattone, quasi a voler cacciare il pensiero che gli si era affacciato alla mente.
Iniziò a masticare lentamente, mentre il sapore dolciastro e caramelloso della crema si diffondeva nel palato, lasciandogli la stessa, solita e amara, sensazione di deja vu.
-    mi è pure passata la fame – biascicò poi, risollevandosi sulle gambe malferme.
Il mal di testa gli colpì le tempie con la forza di una fucilata, costringendolo ad arretrare ed a colpire con un fianco il tavolino.
Quanto avesse bisogno di un po’ d’oblio solo lui poteva saperlo.
Ma ancora è troppo presto, si disse con un sospiro, tra poco potrò riprovare.
Fu allora, che, come sempre, i sensi vennero meno, costringendolo a ricadere sulla sedia.
E l’oblio tornò.
E stavolta aveva il volto dell’ultima cosa bella che valesse la pena di ricordare.



IX Atto

You wanted to
Why'd you leave the keys upon the table?


Tre tempi:

Primo tempo:

Kankuro si infilò le monete nella tasca del jeans usurato, cercando, invano, di infilarle tra il mazzo di chiavi e il pacchetto di chewing gum.
- fanculo – disse poi, mollando i pochi spicci nel cestito delle mance, non senza un moto di stizza.
La cameriera ammiccò felice, volteggiando nel completino rosso e bianco dell’autogrill.
Kankuro seguì interessato la curva del seno, afferrando il cornetto dal tovagliolo e mordendolo rapace.
- serve altro? – chiese la cameriera, la lunga coda bionda poggiata sulla spalla.
- nah – ribadì Kankuro, strappando un morso con vigore – niente di quello che potresti darmi da là dietro, almeno… –
La bionda storse le labbra, un sorrisetto malizioso nello sguardo – sei il solito porco, lo sai, Kankuro? –
Il castano rise nuovamente, osservandole l’anello che le avvolgeva l’anulare – …e niente che Kiba approverebbe, comunque –
Si voltò sullo sgabello, riprendendo ad osservare la gente che, a quell’ora di mattina, trafficava alla pompa di benzina.
L’orologio segnava le sette e trenta.
Perfetto, gli rimanevano venti minuti per arrivare all’università e un quarto d’ora per svignarsela dalla prima lezione.
Magari in compagnia di Kiba, tanto quello non seguiva una lezione a pagarla oro.
- Ino ti saluto – biascicò poi, finendo il cornetto e pulendosi la bocca con il palmo della mano.
La bionda, indaffarata tra due cappuccini e un paio di paste in equilibrio sul braccio, gli rivolse un cenno sbrigativo di saluto, ignorando anche che il solito perfetto ciuffo si fosse piegato dietro l’orecchio.
Imperdonabile distrazione, pensò Kankuro, aprendo la porta a vetri.
- stronzo! Cazzo –
Il castano si voltò, osservando divertito la scena del distributore nove.
Una ragazzina, adolescente e in piena turba adolescenziale, si agitava frenetica tra uno sgangherato motorino arancione e la pompa, imprecando adorabilmente.
Kankuro si puntò una mano sui fianchi, sghignazzando divertito.
Se quella non era grinta…
Osservò impensierito la sua Volvo d’annata, parcheggiata poco distante dal motorino e chiedendosi, con un certa preoccupazione, se la Furia della benzina arrivasse a scalciare fino a lì.
Dopo una breve analisi concluse che gli rimanevano solo due possibilità: o fuggire, evitando ogni possibile motivo di screzio con la Belva, o rischiare la sorte e toglierle dalle mani quella pompa.
Kankuro sorrise, con quello strano ghigno che stava diventando un vizio di famiglia.
Lui adorava le sfide.
-    serve un mano?- chiese circospetto, avvicinandosi cauto alla ragazzina dai corti capelli castani.
Lei gli scoccò un’occhiata di fuoco, mollando un nuovo calcio alla carrozzeria scassata del motorino.
-    questo coso non funziona – sbottò infine, quasi tra sé – la mia lezione è già iniziata, avevo il compito di greco e rischio il debito –
Kankuro, già pronto ad una sfuriata o ad un testardo silenzio ostinato, la guardò sbigottito, cercando di immagazzinare la miriade di informazioni che la ragazzina gli aveva rovesciato addosso.
Se aveva il compito di greco doveva essere almeno alle scuole superiori.
Strano, le aveva dato si e no dodici anni.
-    sai che sei piccolina per la tua età? – disse infine, dimentico della più elementare diplomazia.
-    E sai che tu sei un brutto cafone? – rispose lei, vagamente agitata – se vuoi aiutarmi sbrigati, altrimenti me ne vado a piedi, tanto per quel che mi importa –
Kankuro rise, afferrandole il bocchettone di mano.
-    piacere, Kankuro –
La mora si lasciò sfuggire un sorriso impaziente – Matsuri, ma tanto sto per essere uccisa dalla mia professoressa, quindi cancellami dalla tua lista di contatti –
Il ragazzo infilò la banconota da dieci nel distributore, infilando senza difficoltà il bocchettone nel motorino.
-    ok, Matsuri




Secondo tempo:

Kankuro la vide stringere le mani alla sua maglia, lasciandosi sfuggire un singhiozzo a mezza voce.
Le passò le labbra sul collo, sentendola fremere appena, quando arrivò a sfiorarle il lobo dell’orecchio.
Lei sussurrò una frase che sapeva di “non smettere” per poi socchiudere la bocca e gemere ancora, più forte.
Kankuro la vide inarcare la schiena, per poi ricadergli accanto, abbracciata a lui sul divano, la divisa scolastica sollevata sulla pancia piatta e gli slip con i fiorellini che gli premevano lungo il dito.
Lei aprì i grossi occhi castani, fissandolo con lo sguardo vacuo – grazie di aspettare ancora, Kankuro –
Il ragazzo ritirò il dito bagnato e caldo, inchiodandola poi sotto di sé – non dirlo mai, Matsuri – per poi ricominciare a baciarle l’incavo della spalla, nudo sotto la camicia a righe.
Se c’era qualcosa di giusto nella loro storia, Kankuro non avrebbe davvero saputo dirlo.
Lei era una studentessa liceale di appena sedici anni.
Lui un secondo anno di ingegneria, e piuttosto maturo per la sua età.
Lei ascoltava le canzoni di uno di quei gruppi da adolescenti.
Lui era già tanto che provasse ad accendere una radio commerciale.
Lei sognava di fuggire col principe azzurro.
Lui alle favole aveva rinunciato da tanto tempo.
Lei aveva ancora il suo diario nascosto sotto al letto, scritto fitto di quel ragazzo grande con cui voleva fare l’amore.
Lui sognava di fare sesso con lei, ma ogni giorno la sentiva più distante.
Lei viveva la sua storia con l’eccesso della ragazzine innamorate.
Lui temeva ogni sguardo indiscreto, reo di qualche mese che la divideva ancora dalla maggiore età.
Matsuri gli si accoccolò meglio tra le braccia, lasciando che i capelli sottili gli andassero a solleticare il collo scoperto.
-    mi dispiace, davvero, amore – disse poi, la vocina sottile – io voglio tanto fare l’amore con te ma…-
Il ragazzo socchiuse gli occhi, avvertendo quell’usuale calore tra le gambe al semplice sentirle dire “fare l’amore con te”.
-    Matsuri, ne abbiamo parlato – replicò poi, cercando di contenere l’ansito del respiro – tu sei ancora troppo giovane anche solo per pensarle, certe cose –
La ragazzina rise, leggera, e il suono trillò nelle orecchie del castano – hai solo qualche anno più di me, non esagerare – disse poi, sollevando gli occhi verso il suo viso – ma tu sai dirmi quello che può fare una ragazzina della mia età? –
Kankuro le passò una mano tra i capelli, divertito, osservandola sbuffare quando un ciuffo le si parò davanti al naso – può prendersi le mie coccole e non lamentarsi –
Matsuri storse il naso, divincolandosi dal suo abbraccio – pensavo ad altro – disse poi, accarezzandogli la cinta già slacciata.
Kankuro provò a mormorare un no, già smorzato sulle labbra quando le dita della ragazza si infilarono sotto la stoffa e del tutto dimenticato quando la bocca di lei gli sfiorò l’erezione.
Socchiuse gli occhi, il peso della coscienza che svaniva d’un tratto, lasciando il posto a quella sensazione indefinita, quella che per lei aveva iniziato a cercare di domare.
Senza alcun successo.

Era in quei momenti che il bisogno di oblio gli pulsava nelle vene.
E non sarebbe stata Matsuri a placarlo.


Terzo tempo:

La ragazza bionda ondeggiò il ciuffo chiaro, ammiccando - perché io valgo – mormorò poi, mentre il marchio “l’Oreal” invadeva lo schermo quadrato.
Nero.
Kankuro la vide avvicinarsi dal riflesso del televisore, la borsa colorata a tracolla.
-    credevi che non me ne sarei mai accorta? – chiese Matsuri, gli occhi che saettavano alla schiena del compagno.
Lui la vide nella camicia larga, i pantaloni a vita bassa che le sfioravano la pelle nuda dei fianchi.
E la rivide poco più che ragazzina, quando, con ancora addosso la divisa scolastica, corta sulle gambe, gli si gettava al collo, mentre i capelli corti gli solleticavano le guance.
- è? Allora?-
E la rivide nuda, sdraiata sul suo letto, mente rideva e gli diceva che quell’esame di maturità non lo avrebbe mai passato e che quel professore non smetteva di torturarla con quella cazzata di trigonometria.
E lo diceva ridendo e ridendo, passandogli una mano sull’addome sudato.
Senza smettere di ridere.
- io sono venuta a letto con te! – urlò lei, gli occhi in fiamme – da quanto lo fai, è? –
Kankuro non si voltò, abbassando gli occhi – non è come credi – replicò solamente, cercando di reprimere il solito demone.
Quello che gli aveva sempre detto che ciò che non si poteva avere con la diplomazia lo si poteva ottenere comunque.
Sempre e comunque.
Quel demone che aveva ereditato anche Gaara.
E anche lui aveva perso la sua sfida.
- Matsuri, sta zitta – sibilò il castano, cercando di contenere il mal di testa portandosi una mano alla tempia – sta zitta –
La ragazza tremò nella sua giacca lunga e colorata, la fascia annodata al collo che ondeggiava.
-    dimmi solo se – il respiro le mancò – se hai mai rischiato di…ammalarti –
Kankuro sollevò nuovamente lo sguardo sull’immagine riflessa – lo chiedi per me o per te? – chiese infine, pentendosene subito dopo.
Appena, almeno, la luce negli occhi dell’altra venne meno, sostituita da un lucido opaco – una volta entrambi avremmo detto noi – chiuse i pugni lungo i fianchi – come ti è venuto in mente di drogarti? – sussurrò, sperduta.
Kankuro la vide portarsi una mano tra i capelli, il corpo totalmente immobile – non potresti mai capire –
-    non ti davo quello che volevi? – chiese ancora lei, gli occhi ancor più vuoti.
E i suoi sogni di ragazzina cancellati con un colpo di spugna.
- ero davvero così inutile? –  continuò, riprendendo a giocherellare col nastrino colorato che pendeva dalla borsa hippy.
Davo.
Volevi.
Ero.
Già parla di noi al passato.
-    nessuno può darmi quello di cui ho bisogno – replicò Kankuro, nascondendo il braccio tumefatto sotto la manica della camicia.
Perché non ho capito da cosa scappo.
E perché ho fatto di tutto per perderti, Matsuri.
- non posso salvarti, vero? – chiese d’un fiato la ragazza, cercando gli occhi verdi dell’altro.
Con un sussurro che poteva dire tanto.
Ma anche: liberami, Kankuro.
Io così non posso più vivere.
Lui reclinò la testa sul divano, chiudendo gli occhi.
-    no, Matsuri – biascicò – la verità è che io non voglio –
Avvertì nel buio un singhiozzo e un cuore che si spezzava.
E un respiro che si allentava.
Sei troppo giovane per farti condividere tutto questo.
Non lo meriti, Matsuri.
-    addio, Kankuro –
Il ragazzo serrò le palpebre, trattenendo il respiro.
Ma nulla gli impedì di ascoltare il suono delle chiavi di casa sua che lei lasciava cadere sul tavolo.
- addio, Matsuri -


X Atto

Wake up


Ogni volta che si svegliava, ogni volta che si svegliava e si ritrovava a piangere, allora capiva che qualcosa stava andando nel verso sbagliato.
Capiva che stava passando troppo tempo da vivo e che aveva bisogno di tornare nel mondo dei morti.
Lì dove ogni ricordo era una pennellata di colore, perché era lui stesso ad essere solo un’ombra.
Si asciugò le lacrime dalla guance, ignorando quel viso pallido riflesso allo specchio, quello stesso viso che un giorno lontano gli aveva giurato di amarlo.
Quello stesso viso che lui aveva giurato di amare.
-    forza, Kankuro, è solo questione di non pensarci – si mormorò, passandosi una mano tra i capelli ancor più stopposi e sporchi.
Aveva sudato ancora e i vestiti gli aderivano umidi agli avambracci scoperti.
Per un attimo tremò di repulsione al pensiero di specchiarsi nuovamente, poi scosse le spalle, indifferente.
Se aveva imparato una cosa era che era meglio non gettare acqua sul fuoco.
Doveva solo tornare a far finta di non soffrire.
A farlo era sempre stato bravo.
Si asciugò il naso colante con la mano stretta a pugno, guardandosi attorno con gli occhi annebbiati.
Il mal di testa continuava, ancora e come sempre, ma il suo suono martellante era appena ovattato.
Peccato fosse una risata argentina di ragazza a coprirlo.
E un dolore sordo al petto che lentamente sostituiva quello tartassante alla tempia.
Tum Tum.
Tum.
Provò a rialzarsi, guardando senza molto desiderio il mezzo cornetto al cioccolato, per poi sollevare lo sguardo all’orologio.
-    l’una e trentadue – ghignò con sguardo spento – più che altro è ora di pranzo –
Tum Tum.
Si avvicinò al frigorifero, più per abitudine consolidata negli anni, che per vero languore.
La droga nel tempo gli aveva detto molto di sé.
E la mancanza di appetito era uno dei suoi argomenti migliori.
Tum.
Per non parlare dell’umore tetro e delle tachicardie notturne.
La droga sapeva riempirti le giornate con le sue chiacchiere, se sapevi ascoltarla.
TUM TUM TUM.
Kankuro si voltò, la bottiglia del latte che cadeva a terra, rovinando sul tappeto.
TUM TUM TUM.
Non ci aveva messo molto a capire che questa volta il rumore non proveniva dalla sua testa.
Il cardine della porta tremò nuovamente, accompagnato da un tossicchiare infastidito.
Il ragazzo strinse il pugno lungo il fianco, chinandosi lentamente.
Non ci aveva messo molto neanche a capire chi fosse dietro quella porta.
-    Kankuro, apri – tuonò una voce maschile, bassa e profonda.
L’altro si limitò a gettare il latte nel frigo e a chiudere la portiera con un calcio ben assestato.
-    mi ha mandato Temari, devo solo controllare che la tua carcassa non stia marcendo da qualche parte –
Kankuro si lasciò cadere sulla sedia, attendendo in silenzio che l’altro si allontanasse.
-    me ne vado – sibilò la voce, infastidita – io non sono Temari, Kankuro, non puoi ignorarmi ancora –
Il castano lanciò un’occhiata in tralice alla porta, infastidito, ascoltando i passi lenti che si allontanavano.
È una vita che riesco a ignorarti, Gaara.
Più o meno.
Chiuse gli occhi, poggiando la testa sul tavolo.
Forse stavolta il mal di testa sarebbe passato.


XI Atto
Father, father, father, father
Father into your hands, I commend my spirit


Il cimitero era un po’ isolato rispetto al centro della piccola Suna, un paesino sperduto in quella regione assolata e perennemente troppo calda.
Kankuro si guardò attorno vagamente annebbiato, cercando di ricordarsi perché il taxi l’avesse scaricato proprio davanti l’imponente cancello settecentesco, dalle inquietanti guglie di ferro.
Si infilò le mani in tasca, proprio nell’istante in cui il naso riprendeva a bruciargli, vittima della sniffata di qualche ora prima.
Cosa l’avesse portato a farlo in quella camera di hotel, però, non lo ricordava affatto.
Sapeva solo che lui nella casa dei genitori non era voluto andare.
Ma ogni certezza si perdeva lì.
Si incamminò per il sentiero lastricato, lanciando, di tanto in tanto, occhiate annacquate e vaghe alle grosse tombe monumentali.
Ricordava che anche la sua famiglia doveva averne una, da qualche parte.
La ricordava imponente, con qualche statua dai volti severi e persino un’enorme cripta per pregare.
Ma l’ultima volta che vi era entrato era stato a sette anni.
Poi anche lo zio era morto e nessuno andava più a visitare sua madre.
Scalciò un sassolino, ritrovandosi inconsciamente a seguire il suono di una litania confusa, proprio nell’angolo più lontano del cimitero.
E fu solo quando i suoi occhi si posarono sul nugolo scarno di persone che circondava la bara scura, che ricordò perché si trovasse lì.
Incrociò lo sguardo vuoto di Temari, osservando il ragazzo dai capelli scuri stringerle la mano.
Era ancora un ragazzino, con quello stupido codino sulla testa.
Sfuggì agli occhi di Gaara, che lo fissavano penetranti.
E cercò di non vedere il viso smagrito della ragazza castana che gli era affianco, pallida.
Perché Matsuri si era attaccata a quel fratello triste del suo ex e se c’era qualcuno a cui volesse stare accanto in un momento così duro…
Kankuro avanzò lentamente, pregando di avere in tasca una sigaretta superstite alla notte insonne.
Da un po’ non gli mancava davvero nessun vizio.
O forse era quel “il fumo uccide” ad attirarlo tanto.
- Kankuro, sei arrivato –
Il castano annuì, ancora vagamente stordito.
Suo padre era morto.
-    e sono arrivato persino dopo Gaara, finalmente lo batto in qualcosa –
Almeno so che lo disprezziamo allo stesso modo.
-    stai bene? – gli sussurrò Temari, lasciando la mano del ragazzo moro, che portò gli occhi stanchi al cielo.
Kankuro tossì, l’ondata di emicrania che tornava a spaccargli la testa.
-    si – disse, mentre la cassa veniva calata nella cripta – certo –
Suo padre era morto.
Sbatté le palpebre pesanti, cercando di cancellare la sensazione fastidiosa che tutti lo stessero guardando, insistentemente.
Ascoltò il ragazzo di Temari sussurrarle una frase nell’orecchio, quel poco che servì ad allentarle la tensione ed a farla nuovamente voltare verso la tomba.
-    potete portare i fiori – disse poi, rivolta agli inservienti, il tono di voce arrochito.
Kankuro rimase immobile, mentre la folata di profumo dolciastro gli entrava nelle vene, troppo forte per essere naturale.
Ondeggiò appena, stordito, un secondo prima che un volto severo gli tornasse alla mente, con la stessa intensità dell’odore di fiori.
Un volto scuro, inquieto, accigliato.
Un volto che gli ricordava il suo, seppur invecchiato.
L’immagine di suo padre.
Quella stessa immagine che aveva temuto e adorato.
Non pianse Kankuro, quando la corona di fiori venne posata sulla cassa scura.
E non pianse neppure quando la mano di Matsuri si intrecciò a quella di Gaara o quando Temari soffocò un sospiro nella felpa del suo ragazzo.
Kankuro fissò la scena con distacco, muto in quella sensazione di dolore misto a sollievo.
Quella stessa sensazione che i tre fratelli stavano silenziosamente condividendo.



Ancora manca parecchio! XD
Cavolo non la ricordavo così lunga.

E qui c'è MatsuKanku. Perchè Leti può capire *blink*

E nel prossimo...c'è un'altra coppia. Indovinate?! XD

Lascerò le risponste ai vostri gentilissimi commenti nell'ultimo capitolo.

Un bacio!

Roberta

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Capitolo 4
*** quarto capitolo ***


contest metal 4 XII Atto

Wake up


Quando ti addormenti con la testa sul tavolo e ti risvegli in un letto sfatto, la prima cosa che devi controllare è che non ci sia nessuno accanto a te.
Specialmente qualcuno di sgradito.
Kankuro aprì gli occhi, mentre nella testa rimbombava una vocina che urlava “sveglia stronzo”.
Afferrò il solito orologio, domandandosi cosa fosse successo in quelle cinque ore e perché si trovasse nuovamente sul letto, il viso rigato di bava.
Meglio, molto meglio, non chiederselo.
Osservò la luce rossa intermittente segnare le diciotto e ventitre con sguardo fisso, smettendo di battere le ciglia.
Ascoltò il suono del suo cuore, mentre gli occhi secchi iniziavano a dolergli.
Una piccola tortura prima di ritentare di nuovo a cercare l’inferno.
Si sollevò, notando con stizza che il mal di testa era cessato del tutto.
Nessun suono insistente, nessun dolore all’altezza del cuore.
Solo la solita vecchia fame e il solito e vecchio nulla nel petto.
Gettò uno sguardo alla giacca posata nell’angolo.
C’era sempre la Dose ad aspettarlo.
E lui aveva bisogno di smettere di ricordare.
O forse aveva solo bisogno di ricordare.
Si alzò meccanicamente, aprendo il cassetto con un rumore secco.
La siringa giaceva lì, tra un block notes e una vecchia penna a sfera dall’inchiostro ormai secco.
L’afferrò senza espressione, chiedendosi quanto, in quello stato, ricordava Gaara.
Almeno quel Gaara chiuso e scontroso della sua infanzia.
Forse un po’ meno quello premuroso e incredibilmente perfetto che si era formato nel tempo.
Quel Gaara che lo infastidiva.
E a cui non riusciva a smettere di voler bene.
E c’erano state solo due persone che gli avevano fatto provare una cosa del genere.
Ed entrambe lo avevano abbandonato.
Strinse con forza la siringa, rischiando quasi di romperla, tanta era la foga.
-    tra poco è finita, Kankuro – si rassicurò, sperando che la parola finita ponesse davvero termine a quell’inferno che non era solo il suo.
Per un attimo avvertì ancora la voce di Gaara dietro la porta e i tacchi di Temari ticchettare sul pavimento.
Poi aprì la giacca.
E la polvere bianca lo avvolse.
Come sempre.





XIII Atto
Trust in my self righteous suicide
I, cry, when angels deserve to die
In my self righteous suicide

I, cry, when angels deserve to die

Kankuro le poggiò una mano sulla gamba soda, osservandola tirare la polvere bianca dal naso.
I ciuffi castani le scendevano dai codini sfatti e la maglia rosa le accarezzava i fianchi ossuti.
Conosceva Tenten da cinque giorni, quando si erano trovati entrambi sotto la stessa pioggia, ad aspettare lo stesso spacciatore, ma da allora non aveva fatto altro che fissarla, rapito dal suo modo leggero di distruggersi.
-    ne vuoi ancora? – chiese la ragazza, la voce argentina, come piaceva a lui, sul corpo esile.
-    No – rispose, osservandola ripiegare con cura il terzo cartoncino bianco, stretto stretto nelle mani tremanti.
-    Come vuoi, Kankuro – replicò infine, riponendo con cura il cartoccio sul comodino, lasciando una sguardo morbido sulla foto dalla cornice lucida.
Una delle poche cose normali, in quella stanza.
Il ragazzo la vide portare le ginocchia nude al petto, rannicchiandosi contro la spalliera del letto.
Ricordava poco di quello che avevano fatto, durante quei giorni.
Sapeva che lei gli aveva offerto un posto dove farsi, dato che Temari si era momentaneamente trasferita da lui.
Giusto il tempo di sistemare casa mia per me e il mio ragazzo, lo sai che è pigro, le cose le deve fare con calma, gli aveva detto, con il solito ghigno sulle labbra.
E lui si era ritrovato la sua insistente e protettiva sorella alle calcagna.
E un quasi- cognato che non aveva la minima intenzione di terminare il suo trasloco.
Ma lui sapeva bene fosse Temari a chiedergli di temporeggiare.
-    Kankuro, mi passi la birra? – chiese la ragazza, la voce arrochita dalla droga.
Lui la fissò interdetto, rigirandosi tra le mani la bottiglia ormai calda.
-    sei sicura?-
-    ho sete – replicò lei, gli occhi castani e caldi sgranati.
Kankuro le portò il collo della bottiglia alle labbra, osservandola bere assetata.
Si chiese quante volte avessero fatto sesso.
Non ricordava davvero nulla, tranne qualche immagine evanescente e qualche ricordo bollente.
Sapeva di averla stretta e di averla sentita gemere al proprio petto.
Ma finchè non aveva visto il pacchetto di preservativi giacere sul comodino aveva davvero creduto fossero tutte illusioni.
Tenten posò una mano su quella di Kankuro, allontanandosi dalla bottiglia ormai semivuota.
-    basta – mormorò, come rassegnata.
Al ragazzo sembrò logico aggiungere “tanto non basterebbe”.
L’osservò reclinare la testa sul cuscino, i codini ormai ridotti a due intricati cespugli e le labbra vermiglie tirate in una linea biancastra.
Nulla a che vedere con le Tenten della foto sul comodino.
-    perché lo facciamo? – chiese poi la ragazza, mentre gli occhi appannati si chiudevano lentamente.
Kankuro bevve una lunga sorsata di birra calda, che gli scese lungo la gola come lava bollente e disgustosa.
-    io non l’ho ancora capito – biascicò il ragazzo – deve avere a che fare qualcosa col fatto che sono uno stronzo – si sforzò in una risata, che gli usci poco più di un rantolo.
Tenten lo fissò come allucinata – io ero una brava ragazza, sai? – disse dopo poco, le labbra che si muovevano appena – ero felice, ero spensierata e felice, sempre felice –
Fissò il soffitto, il respiro delicato – li vedi quei due sulla foto? –
Kankuro osservò i due ragazzi che fissavano la stanza dalla cornice – si – annuì poi, il senso di disagio sempre più forte.
Tenten sorrise, ebbra – Lee e Neji li conoscevo da quando ero bambina. E li amavo, in modo diverso, ma li amavo molto –
Kankuro appoggiò la bottiglia vuota a terra, chiedendosi se fosse meglio interrompere la ragazza e il suo sproloquio su quei due.
-    li amavo tanto. Lee credeva gli volessi bene come un fratello. Che stupido, io lo amavo davvero, sai? –
Lui le fissò gli occhi e nella sua espressione lesse il riflesso della propria.
-    che è successo, Ten? –
La ragazza trattenne il respiro, sempre sorridendo.
-    eravamo usciti, quella sera – ridacchiò – festeggiavamo…non ricordo cosa, ma Lee si era ubriacato, non che gli servisse poi molto per farlo –
Kankuro la vide socchiudere i pugni, impercettibilmente – Neji mi aveva detto che bisognava tenerlo fermo, sai, Lee era un vero demonio quando beveva – si strinse nella spalle, come in cerca di riparo – guidavo io la macchina, quella sera – concluse poi, funerea.
I due si fissarono per interminabili secondi, prima che lei riprendesse – il camion ha sbandato e ci ha presi in pieno. Lee e Neji non avevano la cintura, li ho visti volare via dal parabrezza –
Kankuro rabbrividì alla parola volare.
Alla fine lui e Tenten non erano poi così diversi.
Cadde un silenzio tombale per diversi minuti.
La ragazza iniziò a tremare, il veleno nelle vene.
Lui la fissava svuotato, chiedendosi perché non smettesse ancora di pensare a quel volare.
-    mia madre si è suicidata e mio padre ha distrutto la mia famiglia – sbottò poco dopo, rendendosi conto di aver dato voce a un pensiero troppo a lungo celato.
-    Ma non riesco a odiarli. Come Gaara e Temari voglio solo essere accettato. Anche se loro sono due cadaveri, ormai –
Tenten, il corpo ormai quasi esanime, si voltò a fissarlo, lo sguardo tiepido.
-    io voglio essere perdonata da due cadaveri – mormorò –È questo che stiamo facendo Kankuro. Vogliamo diventare come loro –
Il castano socchiuse gli occhi – non hai mai paura che loro ci guardino? Non hai paura che…facciamo loro schifo? –
Tenten ridacchiò, il petto smunto che si alzava e sollevava irregolare – io mi faccio schifo già da sola – gli tese la mano – e so che loro mi amano, comunque. –
Kankuro si osservò riflesso allo specchio, il corpo deperito e l’espressione smarrita – vorrei poterlo pensare anche io –
Tenten si avvinghiò a lui – devi saperlo, Kankuro. – sorrise, le labbra incerte - noi abbiamo ancora il fardello della nostra merdosa vita addosso. Non aggravarlo, non ne vale la pena. -
Il ragazzo le passò un braccio lungo la schiena ossuta, baciandola tra i capelli spessi e lucidi
– passerà mai? –
Lei gli sorrise con le labbra nuovamente calde – magari, un giorno –


Quando Kankuro trovò Tenten nel suo stesso vomito, due mesi dopo, gli sembrò che la sua vita avesse perso un altro pezzo e che avesse una persona in più da piangere nel suo Oblio.
Allo stesso tempo, però, Kankuro pensò che la vita di Tenten si fosse finalmente risolta.
E che, forse, potesse finalmente urlare al suo Lee che lo amava, giù nel vero Inferno.
Che era, sicuramente, meglio di quello che i due si erano creati da soli.




XIV Atto

Wake up

Kankuro sbarrò gli occhi, il fuoco in gola.
Tentò di sollevarsi con uno scatto, ma gli arti, immobili, sembravano voler ostinatamente ignorare i suoi ordini.
Avvertì nuovamente l’ondata di calore travolgergli lo stomaco e la vista, già annebbiata, sparì del tutto.
Attese qualche secondo nel buio di quella notte senza fine, poi l’udito seguì il primo senso, svanito e risucchiato da una forza invisibile.
Fu allora che urlò, aggrappandosi al lenzuolo umido.
E urlò muto, in quella notte che gli sembrò davvero senza fine.



Quando, solo dopo cinque minuti, Kankuro ritrovò la forza si vedere e poi, solo poi, di sentire, si ritrovò nella sua stanza, tra i cuscini sudici, il ghiaccio che aveva preso il posto del fuoco sotto la pelle.
Lo sentiva, gelido, infilarsi nelle vene già provate, scavare solchi tra i muscoli indolenziti.
Kankuro strinse i pugni, rifiutandosi di urlare ancora.
Si era preparato a morire, tante e tante volte.
Lo aveva provato la prima volta che si era infilato un ago nelle vene, pregando che trovasse il coraggio di volare via, come Karura.
Lo aveva provato nel bagno, mentre Matsuri si rivestiva, sperando che lei non entrasse a dargli il bacio della buonanotte.
Lo aveva provato con Tenten, e quando lei ci era riuscita, lui stava comprando della stupida pizza.
Ma ora l’avrebbe raggiunta, in quel loro inferno, e le avrebbe detto che proprio mentre stava per morire, aveva capito una cosa.
Lui non voleva farlo.
E Kankuro urlò.
Poi il buio.


Morire.
Ora che Kankuro fluttuava in quell’oscurità gli sembrò di rivedersi, ragazzino viziato che sbatteva i piedi perché la vita non era andata come aveva sempre sperato.
Bambino poco socievole.
Adolescente aggressivo.
Adulto instabile.
Una parte di lui aveva lottato per distinguersi dalla massa e dai suoi fratelli.
Che perfetti non erano, ma unici… eccome.
E a lui che restava?
La faccia del padre e l’emotività della madre.
Bella accoppiata.
Era allora che aveva deciso che senza uno scopo non valeva la pena vivere.
E che forse il suo scopo non era volato via con Karura, né sepolto con il padre.
Semplicemente, lui non aveva voglia di lottare per esso.
Aveva deciso di andare alla deriva, vivendo solo di quei ricordi che era la droga a dargli.
Smettendo di vivere il suo tetro presente, lasciandosi trasportare dal suo passato.
E un giorno, lo aveva sempre saputo, sarebbe morto.
E addio affanni, giusto, Kankuro?

Ma ora, piegato in due, la testa tra le ginocchia e le mani strette al cuscino, non vuoi morire, vero Kankuro?
Ora che vomiti anche l’anima che avevi giurato di aver già venduto per un po’ d’eroina, vuoi vivere, vero Kankuro?

-    si – biascicò il ragazzo, smuovendo la bocca impastata dalla saliva e dal vomito.
E il buio lo avvolse di nuovo.



L'ultimo capitolo verrà pubblicato a giorni, insieme ai ringraziamenti.
Grazie per aver atteso, tanto - impegni e imprevisti di Natale -

Un bacio

Roberta

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Capitolo 5
*** Quinto capitolo ***


contest metal 4 XV Atto

You wanted to
Hide the scars to fade away the shakeup
You wanted to

L’altalena cigolava piano in quel parco deserto, sottofondo adatto all’umore dei tre ragazzi.
Temari sollevò la terra con la punta dei lunghi stivali, facendo sollevare il bordo della ridicola minigonna scura.
Gaara, stringendo i pugni alle catene dell’altalena, le lanciò un’occhiata assassina, continuando a darsi leggere spinte.
Il cigolio si interruppe per un attimo, come deviato dai suoi occhi chiari.
Kankuro si pentì di non aver portato il pacchetto di sigarette, nascosto abilmente nel fondo della valigia, tra il bagnoschiuma e i calzini puliti.
Sbuffò infastidito.
C’erano tante cose che detestava al mondo.
E da quando era entrato nel fatato mondo dell’adolescenza ogni disturbo era andato moltiplicandosi esponenzialmente.
Guardò trucemente Temari passarsi la mano sotto la palpebra, trascinando via il mascara colato.
Odiava vederla ridotta in quello stato.
Aveva smesso di arrabbiarsi al solo sentirla chiamare puttana, troia, sgualdrina.
Sapeva che Temari non lo fosse. Questo gli bastava, a modo suo.
E sapeva anche che un giorno si sarebbe guardata alle spalle e che si sarebbe pentita dei suoi errori.
Sarebbe stato allora che avrebbe cancellato Hidan dalla sua vita.
Ma forse era ancora troppo presto.
-    odio questo posto – sbottò improvvisamente la ragazza, sbilanciandosi sulla panchina gelida.
Gaara sollevò gli occhi al cielo, sempre silenzioso sulla sua altalena.
Kankuro si puntellò sul cavallo a dondolo, poggiando una mano sul manico scrostato – e dove avresti voluto passare il Natale, è Tem? – ingoiò la bile – magari con il tuo albino del cazzo? –
L’altalena riprese a cigolare, sempre più forte.
La ragazza sollevò un sopracciglio, stringendosi nella giacca di pelle – e che ti frega? – sibilò poi – sono grande abbastanza da poter scegliere della mia vita –
Il cigolio aumentò d’intensità.
L’altro avvertì la solita scossa di corrente attraversargli la schiena – ma zitta, hai diciassette anni, che gran donna che sei! –
Temari socchiuse gli occhi, sussurrando un insulto a mezza bocca.
Il cigolio si interruppe.
-    chiudete quella bocca – Gaara li fissò, nello sguardo il puro nulla – dovrei essere io a lamentarmi, passare una settimana con voi è l’ultima cosa che vorrei al mondo –
Temari si morse un labbro, gli occhi che si inumidirono spaventosamente rapidi.
L’altro fratello ignorò la bile che gli si era riversata in gola e soffocò il grido che gli era montato alle labbra.
In fondo era sicuro di aver perso Gaara tanto tempo prima.
Temari lottò silenziosamente con le lacrime calde, per poi sistemarsi uno dei codini.
Nervosa, come i fratelli.
-    è desolato questo posto - disse poi, come a voler cancellare con una spugna il commento del minore.
Kankuro la fissò, orgoglioso del suo tentativo.
Se c’era qualcuno che ci provava ancora, questa era proprio Temari.
-    Suna non è questo paese ridente – sussurrò di risposta, porgendole idealmente una mano – è un deserto del cazzo – aggiunse poi, osservando di sottecchi le reazioni dei fratelli.
Gaara continuò a fissarli impassibile, chiudendosi nel suo abituale rancore.
Quello del figlio demonio.
Quello di chi non si era sentito mai amato.
Forse a torto, forse a ragione.
Temari reagì con un sorriso forzato – già, qui non c’è nulla, però ricordo che da piccoli ci piaceva passare qui le vacanze –
Da piccoli.
Quando Karura era ancora viva, quindi.
Kankuro osservò le dita di Gaara sbiancare sotto la pressione dei pugni stretti.
Abbassò lo sguardo, incerto tra compassione e rabbia.
-    vi avevo pregato di stare zitti, sapete che non amo ripetermi - sibilò il più piccolo, lo sguardo ceruleo piantato tra i piedi impolverati.
Kankuro si grattò una guancia – con il carattere che ti ritrovi, capisco perché la settimana scorsa Naruto e Sasuke volessero darti una bella lezione – sussurrò, le labbra che si muovevano impercettibilmente.
Temari quasi sbiancò, attaccandosi allo schienale della panchina.
Tra Gaara e Hidan conosceva bene cosa volesse dire “reazione violenta”.
E ora la temeva con tutta sé stessa.
Il rosso incrociò gli occhi del fratello, gelido – non ti ho chiesto io di venire a difendermi – mormorò, rabbioso – oltre tutto sono stato io a doverti tirare fuori dalla rissa, idiota -
Kankuro avvertì nuovamente il sapore della bile in gola – quindi la prossima volta preferisci essere picchiato da due ragazzini piuttosto che accettare il mio aiuto? – ridusse gli occhi a fessura – mi terrò lontano allora. E con piacere
Temari chiuse gli occhi, serrandosi nel suo giacchetto.
Kankuro si morse la lingua, pentendosi di aver parlato.
Fu allora che Gaara parlò.
-    non potete credere di comportarvi da famiglia con me, non lo siamo mai stati –
E fu quel plurale a farli rabbrividire.
- non è questione di volerlo o no, Gaara – Temari socchiuse le palpebre – non possiamo scegliere di amarci, anche se vorremmo non farlo –
Anche lei parlò al plurale, attraverso le labbra screpolate.
Dai baci e dagli schiaffi di Hidan.
-    non puoi chiederci di abbandonarti al tuo destino, neanche se è quello che hai scelto per te, Gaara – si aggiunse Kankuro – non mi fa piacere, davvero, ma devo farlo –
Gaara li guardò, nello sguardo confusione e distacco – nessuno vi costringe – per poi riprendere a oscillare sull’altalena.
I tre rimasero in silenzio, mentre il vento freddo riprendeva a sollevare sabbia attorno a loro.

Solo un cigolio.

Poi qualche parola.

Ed infine anche una risata.

Timida, ma era pur sempre una risata.

-    non possiamo abbandonarti al tuo destino –



XVI Atto

Wake up

Aveva creduto di dover morire.
Parte di lui era davvero convinta di non avercela fatta.
E quando aprì gli occhi e lo sorprese un bianco assurdamente brillante, per un attimo credette di essere in Paradiso.
E si chiese che cazzo ci facesse lui in un posto del genere.
- Mamma? – biascicò poi, mentre la puzza di vomito gli investiva le narici secche.
Solo allora capì di essere ancora vivo.
Il paradiso non poteva puzzare in quel modo, no?!
Avvertì la pressione di cinque dita sulla fronte e il ciuffo sulle labbra scrostarsi con un tocco deciso.
-    Ha parlato –
-    È vivo, sta calma
Il brusio indistinto confuse nuovamente le voci, lasciando filtrare, di tanto in tanto, uno sbuffo annoiato e ansioso.
-    Mamma? – ripeté ancora, mentre rapidi flash si accavallavano nella mente sconvolta.
I capelli biondi di Karura.
La finestra socchiusa.
Il cioccolato nelle mani di Temari.
La porta del padre.
Le ferite sul volto.
Il silenzio del padre.
La mano della madre.
-    Kankuro parlami, ce la fai a parlarmi? – la voce di donna squarciò il silenzio del suo incubo, ricacciando le immagini spaventose nel loro oblio.
Il ragazzo aprì lentamente gli occhi, scontrandosi con un volto pallido e due occhi cerulei sgranati.
-    Gaara? – chiese poi, mentre le mani sulla fronte si staccavano bruscamente.
-    Chiama l’ambulanza! Forza chiama l’ambulanza Shi…- strillò Temari, il tono di voce esasperato.
Kankuro afferrò la mano della sorella, portandosela al petto – sto bene, davvero –
La figura longilinea del ragazzo scuro si allontanò, brontolando qualcosa a riguardo di asciugami e “dare una pulita al casino”.
La bionda fissò il fratello con l’espressione distrutta – che diavolo volevi fare, è? – indurì lo sguardo – non potevi morire proprio quando io e Gaara ci eravamo decisi a venire a prenderti –
Gaara afferrò l’asciugamano dalle mani del ragazzo di Temari, voltandosi verso il castano.
-    non ho intenzione di chiederti quali diavolo fossero le tue intenzioni – sibilò – non ho voglia di ascoltarti –
Kankuro si lasciò sollevare, piantando un braccio lungo il fianco dell’altro.
-    non è che io muoia dalla voglia di parlartene – rispose, sollevandosi sui gomiti.
Temari gli lanciò un’occhiata furente
-    l’ambulanza sta per arrivare – sbottò poi la ragazza, la mano sul fianco e la voce divenuta una corda tesa.
Kankuro si ritrovò a sorridere – è un ultimatum? –
Gaara e la sorella si lanciarono un’occhiata stravolta.
E Kankuro comprese di non averli mai visti così vicini al suo stesso baratro.
- non potevamo farti scegliere, Kankuro – mormorò Gaara, gli occhi infossati – tu e Temari l’avete impedito a me, noi e lui l’abbiamo impedito a lei – cercò i suoi occhi – non possiamo lasciarti fuggire –
Kankuro reclinò la testa sulla spalla, avvertendo il solito mal di testa martellargli le tempie.
-    lo so – biascicò – non possiamo abbandonarti al tuo destino
Temari si portò le mani sugli occhi, stanca e abbattuta.
Gaara sbuffò, il peso al petto che si scioglieva lentamente.
Kankuro si specchiò nel riflesso della finestra socchiusa, le prime luci del sole che illuminavano il suo viso spigoloso.
Sorrise, mentre il ricordo dei suoi genitori svaniva con quella porta chiusa e quella finestra spalancata.
E quella frase gli salì alle labbra.
- credevo ci saremmo abbandonati –


Addio papà,
ho smesso di voler essere come te.

[ad  libitum sfumando]




Capitolo Finale.
La storia finisce qui, con quel ad libitum sfumando che può essere interpretato in tanti modi, sia con Kankuro che riesce a salvarsi, sia con un Kankuro che non ne uscirà mai del tutto.
Spero vi sia piaciuta, qui c’è davvero parte di me, oltre che una buona parte delle mie coppie preferite, dalla ShikaTema d’obbligo, alla TenKankuro e alla KankuroMatsuri.
Senza dimenticare, ovviamente, l’accenno TenLee, per me fondamentale.
Mi sono divertita a scriverla e spero di non aver tediato voi.

Le risposte ai commenti seguono qui.
Ringrazio le colleghe di contest che hanno recensito.
E’ stato un piacere leggere le vostre storie.

Topy: ti ringrazio per i tuoi commenti e mi fa piacere che ti sia piaciuto il personaggio di Kankuro, è vero, su di lui c’è scritto sempre troppo poco.

Kaho_chan: grazie Leti, davvero. Grazie per l’appoggio, per i meravigliosi, intensi commenti e grazie per aver imparato ad amare il sand team XD E ovviamente…grazie per il tifo! XD Se stata davvero molto dolce, in ogni tuo commento. Un bacione!

Lily_90: tu più di tutti hai patito questa fic. Prima come sostegno, poi come beta…e poi come poveraccia che si è sorbita le mie turbe. Grazie, se è stata scritta è anche un po’ merito tuo. Un bacione!

Kalanchoe: che dirti se non: la canzone mi ricorda quando giravamo per scuola, nel corridoio delle palestre a ridere per qualche scemenza o a disperarci per qualche compito in classe? XD Grazie per il commento, davvero. Un bacio

Jess_elric: grazie, collega di podio ^^ è stato un enorme piacere trovare il tuo commento. MI fa piacere che il capitolo ti sia piaciuto, io adoro il personaggio di Kankuro, seppur secondario, e trovo intrigante scrivere su di lui.
Ancora grazie.

Rory_chan: sasusakurista mia adorata! *_* Grazie per lo splendido commento, sei stata davvero dolcissima. Un bacione

Talpina Pensierosa: Grazie per i complimenti, mi hanno fatto molto piacere. ^_^ Sei stata davvero molto dolce, un bacio!

Valy88: grazie di tutto: dei commenti, dell’aver apprezzato i personaggi e i rapporti che li ho costretti ad instaurare tra loro XD Grazie, mi ha fatto molto piacere leggere le tue recensioni, sono state piacevoli e hanno aiutato la mia autostima XD Un bacio

Terrastoria: Grazie, davvero. Anche di aver rivalutato kankuro. È un personaggio a cui tengo e leggere che te l’ho fatto piacere, interessare è stato davvero molto bello. Grazie di ogni parola, davvero. Un bacio

_Ala_ : grazie dei tuoi complimenti, gentilissimi davvero….e la somiglianza con “quella che non sei” è stravoluta *_* adoro quella canzone, adori li Liga *_*

martufella87: Grazie. Quel tuo “senti le sensazioni dei personaggi, capisci il loro punto di vista” mi ha fatto piacere, è come sapere di essere riuscita a comunicare qualcosa. Grazie ancora.

Shatzy: Leggere anche un solo complimento da parte tua è molto più di una lunga recensione fiume, davvero. Fa con calma nel leggere questa fic, so che a volte diventa un tantino pesante XD Cmq grazie, grazie davvero. Mi fa piacere averti appassionato con un AU, anche se non è il tuo genere preferito. Un bacio.

Gloria7: Grazie per i dolcissimi commenti. ^_^ Un bacione

Eleuthera: sempai, da quanto. Ritrovarla proprio per questa fic mi ha fatto un piacere immenso. Inutile dirti quanto mi ha fatto piacere ritrovare le tue recensioni. Sono stata lusingata, oltre che felice. Questa è la fine di Kankuro. Nelle mani dei fratelli, perché lo sai che mi piace vederli così, un po’ dipendenti l’uno dall’altro, un po’ mai stanchi di sfuggirsi. Ok, forse sono in trip mentale, vero? XD Spero che il finale della fic ti sia piaciuto, un bacione.




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