1998

di sese87
(/viewuser.php?uid=87132)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Occhi neri ***
Capitolo 3: *** Questione di scelte ***
Capitolo 4: *** Rosso Malpelo ***
Capitolo 5: *** Chissà ***
Capitolo 6: *** Hoegaarden ***
Capitolo 7: *** Risiko ***
Capitolo 8: *** Segreti e baruffe ***
Capitolo 9: *** Riders on the storm ***
Capitolo 10: *** A letto insieme ***
Capitolo 11: *** Muffin e sigarette ***
Capitolo 12: *** Pizza? ***
Capitolo 13: *** Mascotte ***
Capitolo 14: *** Like a rolling stone ***
Capitolo 15: *** Mi devi un libro di arte ***
Capitolo 16: *** A walk on the wild side ***
Capitolo 17: *** Allora che ne dici? ***
Capitolo 18: *** Two lost souls swimmin’in a fish bowl ***
Capitolo 19: *** Obbligo o verità? ***
Capitolo 20: *** Life ain't worth a dime ***
Capitolo 21: *** Il Drago e le Sette Sfere ***
Capitolo 22: *** It's getting faster, moving faster, now it's getting out of hand ***
Capitolo 23: *** Introducing Cell ***
Capitolo 24: *** Voglio il mondo ***
Capitolo 25: *** The sound of silence ***
Capitolo 26: *** L'età dell'innocenza ***
Capitolo 27: *** Lolita ***
Capitolo 28: *** The life I had can make a good man bad ***
Capitolo 29: *** L'inizio del gioco ***
Capitolo 30: *** Ragazzi, Interrotti ***
Capitolo 31: *** Hai mai visto la pioggia in un giorno di sole? ***
Capitolo 32: *** Storm ***
Capitolo 33: *** Dramamine ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


NDA: Sto eseguendo una "ristrutturazione" dei capitoli più vecchi, cercando di non stravolgerli troppo. Per cui magari non storcete troppo il naso per alcune imprecisioni o piccole illogicità: sono passati molti anni e il mio stile non corrisponde più a quello di allora, quindi sono ben consapevole di qualche piccola manchevolezza. A cui, tuttavia, sto ponendo rimendio. Grazie dell'attenzione, buona lettura! pro

 Prologo

__________________________________________________

 

 

Memories warm you up from the inside.

But they also tear you apart.

(Murakami, Kafka on the shore)

 

 

 

Prima che il piede tocchi terra ritiro la gamba e mi richiudo nell’abitacolo. Stringo le mani sul volante, mentre gli occhi si perdono lungo il viale alberato. 
Tutto è rimasto come all’ora, all’ultimo giorno di scuola, in quella mattina di giugno. 
Il cruscotto custodisce il biglietto arrivatomi la settimana scorsa; mi mordo il labbro e recupero quella lettera.

 

“Ritrovo Classe ’98”

Palestra Liceo Scientifico Statale A. Toriyama.

27 luglio 2010, ore 20:00

 

Dice il balloon in rilievo, da uno sfondo colorato. 
Rileggo più volte le tre righe. Smetto quando mi sale un groppo in gola. Avrà ricevuto anche lui l’invito? 
Sì, e i suoi occhi si sono poggiati sulle stesse identiche lettere.
Ripongo il cartoncino nella pochette e cerco di regolare il respiro. Preso coraggio, attraverso il prato del mio vecchio liceo e mi fermo all’ingresso. La vetrata riflette una donna in abito da sera. Sono io. Resto immobile, per dare al vetro il tempo di riconoscermi, di sovrapporre l’immagine della vecchia me (una ragazzina in divisa) con la nuova. 
Quanto tempo è passato? Sedici anni… e ancora mi sembra di vederlo scendere le scale. Se solo mi fossi accorta subito di lui avrei risparmiato molto tempo, evitando alla mia mente di inciampare nel suo ricordo ogni santo giorno da allora. 
Chissà, cosa avrà fatto in questi anni? 
Un gruppo d'invitati ride al mio fianco. Non li conosco… o forse non li riconosco, ad ogni modo m'ignorano e le loro risa si perdono tra le mura dell’atrio.
Afferro la porta prima che si richiuda, lo stesso gesto fatto in molte mattine di ritardo. Zittisco una strana sensazione passando la soglia.
Mi sento di nuovo insicura, come non lo sono mai stata tra queste mura. Andiamo, che mi prende? E’ solo una stupida festa, e avrà una fine come ogni cosa. Scrollo la corta zazzera azzurra. 
Con pesanti passi raggiungo la palestra, attraversando gli spogliatoi. Il ticchettio dei miei tacchi a spillo si arresta prima di varcare la soglia. Possibile che l’idea di rivederlo mi condizioni tanto? 
«Ciao Bulma!»
Il saluto allegro di un uomo contento di rivedermi. Non ho bisogno di guardarlo in faccia per capire chi sia. «Ciao Yamcha! Sei venuto anche tu
Mi
sorride ed è sincero. «Ovvio, non me lo sarai perso per nulla al mondo!»
Certamente non abbiamo lo stesso mal d’animo. Se gli spiegassi il motivo della mai titubanza non capirebbe. In fondo non mi ha mai capito.

 

 

Continua…

Ps: scusate se come primo capitolo è molto corto, ma trattandosi solo di un prologo non ho voluto aggiungere altro. Comunque i prossimi capitoli saranno più lunghi.

Creative Commons License
All chapters of this story are licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Occhi neri ***


2

Occhi neri

 

________________________________________________

 

 

 

 

Febbraio 1998.

 

«Guarda che sei sempre in tempo per rifiutare.»

«Ormai non posso e poi con chi lo farei altrimenti?» Parlo al telefono col mio ragazzo mentre scarabocchio su un foglio.

«Con me per esempio.»

«Sì, certo, e poi il tuo compagno con chi lo farebbe?» La penna ha smesso di scrivere, ne prendo un’altra, colorata.

«A Goku non importerebbe.»

«Yamcha, abbiamo già consegnato i nominativi alla prof., non possiamo più cambiare; non capisco perché la cosa ti preoccupi tanto.»

«Perché è un sociopatico, ecco perché!»

«Bulma, tesoro, sono quasi le quattro!» Trilla mia madre, da dietro la porta.

«Sì, mamma, dieci minuti e sono pronta! Ti saluto, Yamcha, devo prepararmi.»

«Vuoi che venga con te?»

«Smettila! Non ne ho bisogno.» Lo rassicuro.

«Ok, ok, a dopo.»

Abbasso la cornetta; mordicchio il cappuccio della biro. Ad essere sincera la situazione inquieta anche me. Andare a casa di Vegeta Arensay*. Il tipo più strano di tutto il Toriyama. Quando ha annunciato alla professoressa di voler fare il progetto di scienze con me, sono rimasta a bocca aperta per un tempo indefinito. Onestamente, ho sempre pensato ignorasse i nomi di noi della classe, invece, ha chiaramente detto “Brief”.

Mi sposto verso l’armadio, indosso ancora la divisa scolastica. Che cosa potrei mettere? Una tuta, magari quella grigia, però con la felparossa non vorrei mi vedesse sciatta: ci tengo ad apparire sempre al meglio. Anche se figuriamoci se quello lì sta a notare il mio abbigliamento! 
Infine opto per un paio di jeans, e l’ingolfante felpa rossa. Così capirà di avere a che fare con una di un certo calibro, ma allo stesso tempo la felpona sarà un monito: “non ti avvicinare, le mie curve non sono per te!”.

Stringo la sciarpa al collo, prendo le chiavi del motorino e sfreccio via.

“Via Dei Principi”. È questa. Devo solo trovare il numero sette. Scendo dal mio mezzo e, mentre slaccio il caschetto, alzo la testa verso il palazzo. 

Drago”.

Raibon”.

Arensay”, spingo il tasto del citofono. «Chi è?»
«Ahm, Bulma
 Brief.» Imbecille, come se dovesse aspettare altre visite!

«Sesto piano.» Una sonora vibrazione seguita da uno scatto mi da il via libera.

Varco la soglia del portone, l’atrio umettato sa di muffa; si tratta di un palazzo antico, dubito ci sia l’ascensore. Inizio, così, a salire la pesante scalinata di marmo.

Non ce la faccio più!

Ho il fiatone, ho tolto la sciarpa e slacciato il cappotto, un barlume di orgoglio mi impedisce di arrampicarmi ai gradoni con le mani, mentre rimpiango di aver indossato una maglia così pesante.

Sono quasi arrivata. La sommità delle scale è un’oasi nel deserto, il nirvana da raggiungere nell’eden.

«Non ti facevo così rammollita!» Una voce mi rigetta all’inferno, da sopra un paio di scarpe verdi con la punta bianca.

Sarebbe questo il benvenuto di Vegeta? Il pomeriggio si prospetta angosciante.

«Ciao, scusa il ritardo.» Non mi perdo d’animo e sfodero piuttosto il mio savoir fair. Ho il fiatone, ma stringo lo stesso il respiro nel petto. Sollevo gli occhi, un battito di ciglia mi dà il coraggio di prepararmi all’agghiacciante personaggio, l’Alfa Alfa della classe.

Il quale veste un maglione nero, sotto il quale si intravede una maglietta bianca, sopra dei normalissimi jeans.

Lo vedo senza divisa per la prima volta; ho sempre pensato portasse giacca e cravatta anche nel tempo libero, non so perché lo immaginavo. Scommetto però cha indossa almeno i boxer di Superman!

«Hai intenzione di restare sul pianerottolo o ti decidi ad entrare?» Stiletta, scocciato, braccia conserte.

Ciò che dice, e come lo dice, mi lascia basita, si vede che non è abituato a trattare con il genere umano, né con le ragazze. Questo mi basta per pensare che non ne ha mai avuta una. Figuriamo trovarsi con una come la sottoscritta. Tutto sommato ho fatto bene a indossare il maglione ingolfante, magari avrei dovuto lasciare a casa i jeans stretch. Non vorrei questo qui si facesse strani disegni in testa!

«Hey!» Mi affretto a bloccare il portone che lo scimmione non si cura affatto di richiudermi in faccia.

Casa sua è un minuscolo appartamento senza ingresso.

Così diverso dalla mia villa a cupola!

Varcata la soglia ci si ritrova subito nel salotto e una libreria traforata e dozzinale separa questo ambiente dalla cucina. Sembra di essere in un albergo, tanto è ordinato, asettico e poco vissuto. 

«Prendo i libri, aspetta qui.» Annuncia tutto serio. Ma che gli prende? Che mi dia almeno il tempo di ambientarmi. Potrebbe offrirmi un caffè, ad esempio.

Nemmeno ascolta una risposta che già sparisce in una stanza in fondo a destra. In sua assenza, mi sento ancora più a disagio. Ho l’impressione che queste mura mi stiano ispezionando, incuriosite dalla mia presenza. Non devono essere molte le ragazze che hanno calpestato questi tappeti. Ancora mi chiedo il motivo della sua scelta. Yamcha ha detto che Vegeta mi ha squadrata per tutta l’ora di scienze, prima di annunciare di voler fare il progetto con me. Tale rivelazione mi mette i brividi. C’è da giurare l’abbia fatto altre volte.

Oh Dende, chissà quante mi sono lasciata indagare, ignara, dai suoi occhi eccitati!

Anche io la penso esattamente come il mio ragazzo: Arensay ha suggerito il mio nome per avere la possibilità di uscire con la ragazza più carina della scuola. Sicuramente vorrà che lo inserisca nel giro. O peggio! Magari provare a baciarmi. Sistemo il cappuccio della felpa a coprirmi meglio la nuca, decisa a non lasciare nemmeno un lembo della mia candida pelle alle sue perversioni.

Voglio dire, è il sogno di tutti gli studenti essere popolari, quindi, per un emarginato come Vegeta, significherebbe molto poter passare del tempo con il capitano delle cheerliders. Ed egli è esattamente il cliché del secchione, con tanto di apparecchio, occhiali così pesanti che farebbero impallidire un fondo di bottiglia.

Poggio lo zaino a terra con delicatezza, come se gettarlo con noncuranza significasse mescolare la sua stoffa al pavimento. E prendo a girovagare per la sala. Noto un Super Nintendo vicino al televisore e molti videogiochi perfettamente impilati. Epiteto perfetto di un nerdsolitario. Persino il divano, dalla seduta affossata, lamenta prove di una gioventù bruciata. Oh Signore! Ma con chi sono capitata? Quando invece dovrei essere con le mie amiche a girare per negozi.
Dei passi martellano tra le mie congetture, calamitando il mio sguardo, ormai consapevole del guaio in cui mi sono imbattuta, sul ragazzo appena tornato. «Lì c’è il frigo, se vuoi qualcosa da mangiare prendila e non mi seccare!»

«Grazie tante!» Rimbrotto, sarcastica.

Decisamente non sa rapportarsi a una ragazza.

Però! Un progetto interessante potrebbe essere trasformarlo in un figaccione come Yamcha. Ridacchio tra me e me, per la coccarda rossa che ho mentalmente appeso al suo petto magro, mentre i prof. applaudono al mio successo dalla platea sbigottita.
Smetto di fantasticare appena noto che l’energumeno mi fissa. Accidenti, e rilassati, tesoro!

«Allora, qualche idea?» Chiedo per spezzare la tensione creatasi, rimpiangendo i mie sogni di gloria. 
«Niente di concreto.» Si sistema sullo sgabello metallico. «Ovviamente, non faremo il solito vulcano.»

Non faremo il solito vulcano, lo scimmiotto mentalmente, chiedendomi se è scemo o cosa: non crederà sul serio che ci metteremo a montare aggeggi strani? Tutti porteranno un vulcano, spruzzante lava fatta di cola e mentine. Inoltre, la cartapesta non ha rovinato le unghie di nessuna, constato osservando le mie lunghe e laccate di rosa confetto.
«E che cosa vorresti fare allora?» Vorrei non aver usato un tono così acido, ma la prospettiva di rovinarmi le mani per via di oleosi attrezzi non mi alletta affatto.
«Questo.» Una fotocopia in bianco e nero mostra delle lastre, o almeno credo siano lastre, circondate da una rete di schizzi, formule e scarabocchi vari.
«Ma che roba è?» La domanda sorge spontanea e quasi sguaiata.
«Dei pannelli solari.» Risponde, con la stessa naturalezza con la quale avrebbe esclamato "oggi c'è il sole".
«Vorresti costruire dei pannelli solari?» Gli servirà più di un raggio di sole per trasformarsi da sfigato qual è in aitante supereroe. 
In quel momento suona il telefono, Vegeta si alza per rispondere mentre io, grattandomi la testa, provo a capire la sua scrittura. Tanto per noia e per non sembrare stupida. Mi mancherebbe altro.
Non capisco proprio il senso di tutto questo, insomma, io sono Bulma Brief, il mio nome su una forchetta sarebbe più che sufficiente per guadagnarsi un votone e i plausi del preside Satan. Che senso ha affannarsi tanto? Magari faccio prima a chiedere a papà di costruire qualcosa per noi, in modo da essere libera di andare dalla parrucchiera e liberarmi, finalmente, di questo strazio.
«Yeah it's me, obviously. Fine. Yeah, I'm now»
La mia espressione cambia repentinamente in un’accartocciata sorpresa. Perché mai Arensay sta parlando in inglese?
«This Friday.» Strizza leggermente gli occhi come se stesse sperando in qualcosa.
«Ok. It's all right. No, I don't care at all.» Fa infine indifferente, quasi indolente, prima di salutare e riabbassare la cornetta.
Friggo di curiosità. «Parli inglese?»
Soppesa la mia domanda. «Solo con mio padre, non vuole che lo dimentichi. Sono di origine inglese.»

«E adesso dov’è tuo padre?» 
Rimugina sulle mie parole, evidentemente non gli piace parlare di sé. Mmh, ci sarà qualcosa gli piaccia fare oltre ad imbrogliarsi la testa con formule matematiche?!
«Lavora all’estero. Per rispondere alla prossima, prevedibile domanda, sì, vivo da solo. Adesso pensiamo al progetto.» Taglia corto. Decisamente detesta parlare di sé. 
Distolgo lo sguardo afflitta per la mia sorte, avevo almeno sperato in un po’di conversazione in questa landa desolata che è la sua casa.

Certo che, a questo punto, è chiaro come l’acqua che ignori la parola “divertimento”. Se vivessi da sola ne farei di feste! 
Torno a guardarlo mentre disegna non so cosa, chiedendo al creato se mai potesse esserci speranza in uno come lui.

Così alza la testa, poggia i pensati occhiali sul tavolo. I suoi occhi, senza lo schermo di vetro, sono neri. Incredibilmente, neri. «E smettila di fissarmi!» 
Mai visti due occhi così.

 

 

 Continua...

 

*Arensay è l'anagramma di re sayan

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Questione di scelte ***


3

Questione di scelte

 

_________________________________________

 

 

 

Non serve piangere sul latte versato,

Perché tutte le forze dell’universo sono state inclini a versarlo.
(William Somerset Maugham
)

 

 

 

 

Yamcha è invecchiato. Dimostra più degli anni che ha. Yamcha è cambiato, ma dentro è sempre lo stesso; lo capisco da come mi guarda e da quel suo sorriso sbilenco, quasi stantio, poiché, come sempre, è soltanto un mostrar di denti. 
Niente di più.
«Sei uno splendore!» Enfatizza un po’ troppo il… fantasioso complimento rivoltomi. «Grazie.»
Il suo complimento m’illumina poco, non dice nulla che io non sappia da me; vorrei altre parole a gratificarmi, parole già dette, non ascoltate, che non saranno ripetute. Non sono solo una bella donna. Purtroppo, egli non vede (e ha visto) che questo.

Per anni!
Abbiamo
condiviso quasi una vita, tra alti e bassi. Poi la rottura, quella definitiva.
Superficialmente, potrei dire che non avevamo più nulla da dirci, inariditi dalla quotidianità. Non è stato per questo: quando due persone si amano, non hanno paura dei giorni da vivere insieme.
La realtà: non siamo riusciti a crescere, in panne subito fin dalla partenza. Né io l’ho amato sul serio. E ho creduto, cercato, di amarlo il mio ragazzo, il mio uomo, il mio compagno. Abbiamo provato e riprovato, molte volte e molte altre ancora, perdonando gli scivoloni di entrambi. È servito a far soffrire lui, a far star male me, inaridendo, passo dopo passo, il nostro cammino insieme.
Perché ho perseverato, in seguito all’aver capito di essere sbagliati, l’uno per l’altra, non saprei dirlo con precisione. O forse non voglio dirmelo, per vergogna. È dura ammettere di stare con qualcuno per paura di ritrovarsi da sole. Ho sempre avuto scarsa fortuna in fatto di uomini, nonostante sia sempre stata bellissima. Eh sì, sono ben consapevole dei miei mezzi! Altrettanto facile non è, però, essere consapevoli di aver sbagliato e ammetterlo a se stessa.

Cercare in un uomo le carezze che avremmo voluto, invece, da un altro.

Non è vero che “al buio tutti i gatti sono neri”.
A
diciannove anni avevo già capito: Vegeta sarebbe stato l’unico che avrei amato per tutta la vita; non avrebbe potuto essere altrimenti e mi spaventai. Ciò che tardai a capire fu che, alla fine dei giochi, possiamo amare una persona soltanto. Una mela ha solo un’altra metà. Una soltanto, e non può averne altre. 
Volli comunque provare altre metà. Senza successo, inutilmente, e mentre, sconfitta da me stessa, ritornavo in un porto sicuro, Yamcha, avrei voluto Vegeta ad aspettarmi.
In tutti questi anni, non ho mai smesso di pensare al ragazzino con le scarpe verdi; di immaginarlo di spalle mentre mi aspettava sulla panchina; di sognare di abbracciarlo e baciarlo e stare insieme, finalmente e per sempre… tutto questo non è mai accaduto, non l’ho mai raggiunto, nessun abbraccio, né baci: vivo nell’amarezza di quell’incontro mai avvenuto. 
Ricordo che preferii (illudendomi) vivere un po’ di più la mia vita e avere altre esperienze. 

Non è vero, mi spaventai della forza di sentimenti, così ardenti da avere quasi i contorni di una sciocchezza. Il principe azzurro non poteva essere arrivato già all’inizio della favola! E non era lì per salvare me, ma io avrei dovuto salvare lui. Decisamente troppo a quell’età. 
Mi sentii troppo giovane. Le scelte prese da me quel giorno mi convinsero al punto da essere pronta a crederle inoppugnabili per sempre.

Come mi sbagliavo!

E non è stato per gli errori da me commessi in fatto di uomini, per gli abbracci di Yamcha che avevano il sentore della sconfitta personale. Non è per quello che rivorrei Vegeta. Semplicemente perché non avrei potuto avere altri al mio fianco più giusti di lui. Persino il volto più bello impallidisce di fronte al fantasma della mia adolescenza.

Non ci siamo più rivisti, purtroppo. Né ho mai avuto occasione di chiedergli scusa.
Ancora una volta per timore. Stavolta, per ragioni diverse: temo il tempo abbia disegnato nella mia mente un Vegeta inesistente. Se dovessi scoprirlo un altro, infatti, perderei il capro espiatorio dei miei errori sentimentali. A trentatré anni ho poca voglia di dirmi: hai vissuto credendo di aver fatto una scelta sbagliata; la scelta invece era giusta, semplicemente è andata male lo stesso. Ho giocato, ho rischiato, partita persa.

«Bulma, mi stai ascoltando?»

«Eh? Sì, sì, continua…-
Presa dai miei pensieri confusi e caliginosi, ho dimenticato di avere Yamcha al mio fianco. Come al solito, parla di sé senza nemmeno preoccuparsi se l’argomento possa minimamente interessarmi. D’accordo, magari sono troppo cattiva con lui. In fondo, non se lo merita, dopo aver sopportato i miei innumerevoli tira e molla, essere ascoltato gli è quasi dovuto. Purtroppo per lui non è sera. Sono in ansia: Vegeta potrebbe arrivare da un momento all’altro ed io ancora non so cosa dirgli, come comportarmi. E se non venisse da solo? Probabile che abbia incontrato una donna, o magari l’abbia sposata, o abbia avuto figli.

Tanto per cominciare potrei chiedergli “scusa” una volta per tutte. Qualcosa tipo “ti ricordi di me”? Certo, con un bel “ti chiedo scusa per averti dato buca ben tredici anni fa” non mi sentirei per niente una sciocca! Oppure, ti sbavo dietro da anni come una ragazzina psicopatica troppo cresciuta. Provo davvero pena per me. Chi lo avrebbe mai detto, a diciotto anni che oggi, proprio io, l’integerrima Bulma Brief, avrebbe seriamente rimpianto quel sociopatico dagli occhi di vetro e il sorriso di metallo?

Conoscendolo verrà, m’ignorerà, andrà via. Punto. Che dico, questa è già una prospettiva fin troppo ottimistica.

Conoscendolo non verrà affatto! Eppure, c’è una parte di me che spera in un suo colpo di testa, in uno di quei suoi imprevedibili moti dell’animo, così sorprendenti da dubitare del suo carattere.

Se apparisse, adesso, in quest’istante; se le sue scarpe verdi calpestassero davvero questo suolo, rimbombando non soltanto nella mia immaginazione, lo guarderei negli occhi nero pece e semplicemente le mie labbra si schiuderebbero per un: «Allora come va?»

«Co… come?» Un confuso Yamcha mi riprende dalla mia immaginazione alla realtà e capisco di aver parlato ad alta voce.

Accidenti a te, Vegeta, è ancora questo l’effetto che mi fai? Ho perso completamente la bussola.

Yamcha non smette di guardarmi con disappunto. Come dargli torto del resto? Dopo avermi parlato per mezz’ora, non è il massimo sentirsi rivolgere una domanda del genere.

«Ahm, come stai, hai sete, andresti per caso a prendermi qualcosa da bere?»

Là, con un colpo non solo ho salvato la faccia, ma mi sono anche liberata di lui.

«Ahm, certo… con piacere
Nel
frattempo mi avvicino al buffet dei dolci, le mie dita laccate si posano su un bigné al cioccolato che mi si scioglie in bocca. Assaporo la crema e cerco di rilassarmi.
La mia vecchia palestra. Stasera profuma di diverso, ma se mi concentrassi, riuscirei a distinguere l’odore gommoso dei tappetoni, della polvere umida e dell’igienizzante. Non posso non notare come anche tra queste mura ho lasciato qualcosa di me.

«Ecco a te, un classico: punch alla frutta!» Questa volta sorrido anch’io, a Yamcha, l’eterno ragazzo di tutte. 
Tracanno il bicchiere in un sorso, sperando sia almeno qualcosa di alcoolico.
«Ehi vacci piano!»
«Avevo molta sete.»

In realtà vorrei bere per dimenticare, per avere sonno e avere una scusa per tornare a casa. «Me ne prenderesti un altro?»
Al diavolo Vegeta, non ho intenzione di rendermi ridicola stasera, in fin dei conti nemmeno lui si è preoccupato di venirmi a cercare, no?

 

 

Continua…

 

 

 

 

Per GIULZ87: Ciao! Grazie, mi ha fatto piacere che il capitolo scorso ti sia piaciuto, spero tu abbia gradito anche il terzo. Per quanto riguarda i telefilm che hai nominato, mi sono ispirata proprio a quelli, però vorrei cercare di non fare la solita AU scolastica. Nel sito ce ne sono tante, alcune anche belle, quindi non vorrei ripetere argomenti e storie già raccontate (anche se sarà difficile). Immagino avrai notato i puntini che ho messo! Non picchiarmi, li ho usati solo una volta!T.T Ciao e alla prossima.

 

Per MauMau: Ciao! Già è ancora molto presto! Ho pensato di descrivere un Vegeta diverso, ma non per questo meno affascinante: si tratta pur sempre del nostro principe, e cercherò di renderlo al meglio :) Per quanto riguarda Yamcha spero tu abbia apprezzato questo capitolo, magari leggermente contorto. Eh sì, purtroppo per lui, Yamcha non lo sopporto neanche io, e penso sarà sempre bistrattato!;)
Per i famosi pannelli solari farò un capitolo interessante, o almeno mi sforzerò di farlo! Ciao e alla prossima!

Per Lovelie: Ciao! Già, mi piace aggiornare subito, anche è piuttosto facile quando si ha l’ispirazione e un po’ di tempo a disposizione. Mi fa piacere consideri il mio Vegeta affascinante nonostante tutto, era proprio mia intenzione renderlo tale! Come puoi aver letto (o leggerai, visto che hai detto di essere in vacanza) Bulma ha “saltato” un appuntamento col nostro bel principe, spero di aver fatto capire bene le motivazioni di tale scelta, e questo ha avuto delle ripercussione sulla sua vita sentimentale. Non resta che vedere come avrà reagito Vegeta… Un salutone e buone vacanze! Alla prossima!

 

Per Yori: Ciao! Sì, è vero un po’ lo è visto che sta sempre tra le sue, ma ci piace anche per questo! Sono contenta che la prima parte ti sia piaciuta, infatti, ho ritenuto non necessarie le descrizioni, ne ho messa giusto una ogni tanto per dare un suggerimento della scena, e più importanti i dialoghi. Altre volte, invece, mi perdo in descrizioni dettagliate, ma comunque preferisco lasciare che sia il lettore a immaginarsi la scena come meglio crede! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, mi auguro vivamente di non averlo reso troppo confuso! Ah, ti confesso una cosa, nemmeno io credo nel binomio secchione-sfigato!;) Ciao e alla prossima!

 Infine ringranzio flyvy, GIULZ87, lady melody, Prince Vegeta, uranian7 e yori per averla aggiunta alle seguite; un grazie anche a tutti i lettori silenziosi, se non recensite mi arrabbio! Non è vero sto scherzando, fate come volete, vi ringrazio lo stesso!:)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Rosso Malpelo ***


4

Rosso Malpelo

 

_______________________________________________

 

 

 

 

Sono le sei. Ricopro l’orologio con la manica, mentre tiro le labbra cercando di nascondere uno sbadiglio figlio della noia perpetua con cui sono stata catturata dalla voce atona di Arensay. «Un cristallo di un parabrezza o portellone di una macchina; quattro assi in legno…»
Le
finestre riflettono le luci dorate di una città ormai al
 tramonto. A quanto pare ho sprecato il pomeriggio qui e la lista dei materiali di Vegeta non accenna a finire.
Resto fino alle sei e mezzo, poi dico che devo andare, con una scusa o con un’altra. Sbirciando l’orologio che ho al polso, ho notato di essere ancora in tempo per una passeggiata serale con Yamcha.  «…Alto circa dodici centimetri e dello spessore di due virgola cinque centimetri…»
In
realtà ho perso ben più di qualche
 centimetro della lista che sta decantando Vegeta. Lo avvertirei se non fossi sicura ricomincerebbe da capo. «…Una lamiera di acciaio al carbonio…»
Mi
stropiccio un occhio e, contemporaneamente
, butto l’altro nella stanza. 
La sua voce burrascosa squarcia la serenità dei mie pensieri. «Dello spessore di due virgola cinque. Tre millimetri… ma mi stai ascoltando
«
Eh? Sì, sì»
Mi
guarda di sbieco, quasi sospettoso. 
«Dicevi di tre millimetri, giusto?» Sorrido.
«
Dicevo, un tubo di rame flessibile…» S’immerge di nuovo nel foglio che ha tra le mani. Scuoto la testa, in cerca di un appiglio per uscire da questo labirinto fatto li numeri, virgole e millimetri. Non c’è nulla in questo salotto, molto piccolo, che possa far divagare la mia mente annoiata. Persino il l’azzurro delle tende si perde nella monotonia del restante mobilio. Si vede subito che manca il tocco di una donna qui! 
Ora che ci penso, se il padre lavora all’estero e lui vive da solo, la madre dov’è?
«Una quantità sufficiente di lana di vetro o lana di roccia; una chiusura di fondo del pannello in lamiera dello spessore di un millimetro o compensato marino.»
«Senti, ma tua madre?» Chiedo con naturalezza.
Silenzio. Sta per dirmelo, si gira verso di me. «Una matassa di filo di rame nudo o di ferro dolce, di diametro non inferiore ad un millimetro
Niente
. Ha ripreso la lettura. Ecchecavolo. 
Avrebbe anche potuto rispondere. In fin dei conti la mia era normalissima domanda, rivolta certo, non nel momento opportuno, ma sarebbe anche giusto smorzare i toni di questo incontro con qualche chiacchiera futile! Avrei dovuto aspettarmelo davvero un atteggiamento simile, da un emarginato sociale come Vegeta. 
Cosa ne dovrebbe sapere lui, di pubbliche relazioni?
Inoltre, la mia curiosità è più che lecita, nonché supportata da forti argomentazioni. Lui non ha mai parlato di sé a nessuno della classe. Nemmeno i professori stessi saprebbero qualcosa sul suo conto, se non fosse per i documenti che ognuno di noi è obbligato a depositare nella segreteria della scuola, al momento dell’iscrizione.
La litania che sta leggendo senza sosta spegne ogni speranza di sapere qualcosa sul suo conto. Mi sfilo la felpa, tanto per far muovere un po’ le braccia. La famosa felpa rossa vortica nell’aria che mi separa dal divano, aprendosi in una macchia di brio tra toni tenui della stanza. Finisce scomposta sulla poltrona e scivola poi a terra, sulla moquette grigia.
Chiazza di non troppo silenziosa insubordinazione. Vegeta, infatti, stiletta su di me l’ennesima occhiataccia. Io, del canto mio rispondo con indifferenza, allungando le braccia in avanti e riprendendo la posizione di finta concentrazione di prima.
Fermamente convinta sia colpa sua se mi sto annoiano così! Avrebbe almeno potuto mettere un po’ di musica di sottofondo, tanto per dirne una.
Ma chissà che musicaccia ascolta, uno come lui! A questo punto, non mi stupirebbe se fosse qualche pesantissima aria classica o peggio ancora, lirica! Giuro, mai successo di trovarmi in una simile situazione di tedio. Sbatterei ripetutamente la testa contro il muro, esclamando “Uccidimi, Dio”. Accanto al mio braccio noto un porta coltelli di legno. Potrei sempre tagliarmi le vene e correre subito al pronto soccorso.
Sarebbe già qualcosa. 
Sfilo un coltello da salmone affilatissimo, la cui lama si colora del mio sorriso imbellettato.
C’è, in realtà, qualcosa di ancora più sconvolgente!
Possibile che Vegeta non abbia ancora provato a fare il cascamorto con me? Solitamente è questo che accade quando mi ritrovo tra ragazzi. 
Evidentemente queste mura sono testimoni della sua timidezza. Forse è scontroso proprio perché timido! Ma certo, non si sarà mai trovato nella circostanza di dover rompere l’impaccio della sua vergogna. Non che la cosa mi interessi punto, però… è strano!
Uhm
 ho anche un po’ di rossetto sui denti. Friziono l’incisivo con la punta della lingua. Trovare conforto nella lama di un coltello, a cosa non mi sono ridotta! E sto sul serio perdendo il mio prezioso tempo.
Ci avesse provato! Mi sarei almeno divertita a sfoggiare con lui tutto il mio prorompente fascino, e poi dargli il due di picche che si merita per avermi annoiato a morte.
Ѐ così immerso in quel sul dannato foglio che, scommetto, se me andassi nemmeno lo noterebbe. 
«Un barattolo di vernice nera opaca con temperatura massima di esercizio non inferiore a centoventi gradi; una serie di tubetti di…»
Mi annoio, mi annoio, mi annoio. Quando diamine la finisce? Camuffo uno sbadiglio tra le chiome che sciolgo all’occorrenza. Il profumo di shampoo alla fragola arriva subito a rincuorarmi che, no, la mia vita non è questa. Così m’inebrio per un attimo della dolce consapevolezza di avere un’esistenza ben più satinata di quella vissuta da Vegeta, in questo arem della noia mortale.
Altra sbirciatina all’orologio: sei e quindici minuti. I secondi sono scanditi delle parole pronunciate da Arensay. «Pasta conduttiva, o pasta per termometri; alcune confezioni di sigillante al silicone per esterni e per temperatura di esercizio non inferiore a centoventi gradi
Mi
rifaccio la coda, con una lentezza tale da darmi almeno tre minuti buoni di fuga.
Ho persino una gamba addormentata. Cambio posizione, lentamente anche per questo. Un piede ha preso a formicolarmi fastidiosamente. Detesto quando accade. Do dei piccoli calci contro lo sgabello, per liberarmi del fastidio. Che imperterrito non passa! 
«Ehi!»
Mi blocco all’istante. Che gli prende adesso? 
«Scusa?» Chiedo, dolcemente scendendo dalle nuvole.
Mi accusa senza giri di parole e incrocia le braccia al petto. «Lo sapevo che non mi stavi ascoltando
«
Certo invece, continua!»
«Ho finito da un po’.»
Resto interdetta, con la bocca semiaperta. «E perché non me l’hai detto?» Arranco.

«Avrei dovuto dirtelo?» Ribatte con ovvietà. 
Ok, ho fatto una domanda ridicola, lo ammetto. Ciò, comunque, cambia poco. «Beh, non è colpa mia se mi stavi annoiando. Avrei prestato sicuramente più attenzione se tu, mio caro, ti fossi sforzato di rendere la cosa più divertente
«
Divertente? Ma che cosa credevi, che avremmo fatto le trecce alle bambole
«
No, di certo. Non sono mica stupida! Però avresti potuto evitare di perdere tre ore con quell’elenco della spesa, per costruire un’inutile pannello
«
Guarda che ti ho solo reso partecipe. Ho addirittura letto ad alta voce
«
Per favore, ero davvero rapita dalla tua litania!»
«Se invece di specchiarti avresti prestato la dovuta attenzione, magari seguendo sul foglio ciò che stavo leggendo, sarebbe stato meglio per tutti.»
«Vicino a te, ma certo! Quindi è qui che volevi arrivare, così avresti allungato una mano o tutte due su di me, non è vero
«
Che vai blaterando?»
«Hai capito benissimo a cosa mi riferisco! Non vedi l’ora di poggiare le tue manacce su di me
«
Come no, che tipa rozza che sei.»
A quel punto monto su tutte le furie. Come si permette, questo rifiuto della società di dare della rozza a me, Bulma Brief.
«
Io sono Bulma Brief, hai capito? E dovresti ritenerti onorato della mia presenza, giacché sarà l’unica cosa a valerti il primo premio alla mostra di scienza! Possibile che tu non capisca?» Nella foga strappo un pezzo di carta dal suo block notes, e calcando la matita con rabbia scrivo sopra il mio nome. «Ecco, tieni, questo è più che sufficiente!» Sbotto lanciandoglielo in faccia. «Credi forse che abbia una bella media perché sono intelligente?» Raccolgo il mio zaino, imprecando su dove avrebbe potuto ficcarsi quel suo stramaledetto pannello, farfugliando su come sarebbe addirittura più divertente leggere il Rosso e il nero. Esco sbattendo la porta e mi precipito a discendere la scalinata di marmo.

 

 Una volta a casa mi lascio cadere sul letto, esausta. Se avessi letto Stendhal sarebbe stato meno noioso. 
«Bulma, tesoro, c’è Yamcha al telefono.»
«Digli che lo richiamo più tardi.» Urlo a squarciagola, con la testa affondata nel cuscino. Mai, mai, in tutta la mia vita sono stata trattata con così non curanza! 
«Yamcha, ha detto Bulma che ti richiamerà lei più tardi.»

 

Stringo la tazza calda tra le dita affusolate. Sulla strada, oltre la vetrata, si riflettono le stesse luci che poco prima mi avevano rapito a casa di Vegeta. 
«Ecco lo zucchero, dicevi?» Yamcha riprende il suo posto.
«
Grazie; solo che mi sono annoiata a morte!» Espressione affatto calzante. Diciamo che ho desiderato una morte veloce, per farla finita subito in quell’abisso di noia in cui stavo affogando senza ossigeno.
«
Ma perché che avete fatto?»
«Mi ha letto una sorta di lista della spesa… i materiale occorrenti al nostro progetto.»
Sorseggio la bevanda, un the che avrebbe dovuto essere al lampone e invece è alla pesca: come al solito Yamcha ha dimenticato i miei gusti. 
«E basta? Voglio dire, ti aveva al suo fianco e ha pensato solo a leggerti la lista
«
Già, come vedi, non hai nulla di cui essere geloso.» Sorrido, dietro una tazza fumante che mi sta distendendo i nervi.
«
Che stupido, io al posto suo ti sarei saltato addosso, bella come sei!» Mi elogia, come d’abitudine.
«
Solo che, forse, non avrei dovuto alzare la voce. Secondo te perché ho reagito così? Non è da me perdere il controllo in quel modo
Ricevo
dal mio ragazzo un’occhiata che non so bene interpretare. «Beh… Perché… non vedevi l’ora di rivedermi, e poi perché erano cose davvero troppo noiose per teAfferma sensuale, a pochi centimetri dalle mie labbra. Mi bacia di nuovo, accarezzandomi la guancia.

 

 

Prima ora: letteratura.

Ciao da Bulma!!! Bulma Brief  ciao ciao ciao ciao!!!

 

«Brief!» 
Alzo la testa all’improvviso, scopro il testone canuto del professore, che si rivolge a me con aria bonaria. «Non scarabocchi!» Sorride benevolo, come un padre richiamerebbe un figlio viziato.

«Sì, mi scusi.» Metto via la matita e appoggio la testa sulla mano. Così, gironzolando per la classe con lo sguardo, mi soffermo su Vegeta. Il quale, stamattina, non ha nemmeno risposto al mio saluto. E dire che avrei fatto bene a non salutarlo! Quando l’ho visto entrare, però, non ho riflettuto sul nostro recente trascorso e gli ho rivolto un cordiale “buongiorno” come nulla fosse accaduto nelle passate ventiquattro ore.
Ovviamente, non ha risposto altro che non fosse un grugnito pastoso e scostante. Non mi meraviglia che ci sia rimasto male per la mia sparata di ieri.
Questa mattina, intrecciandomi i capelli, sono persino giunta a considerare di aver un tantino esagerato. Avrei dovuto capire il suo non essere avvezzo alla compagnia del gentil sesso.
Se soltanto, però, mi avesse trattato con più riguardo, invece di comportarsi come uno zotico, magari sarei stata più ben disposta nei suoi confronti. Ora, mi chiedo come andrà avanti questa storia, giacché non possiamo dire alla prof. che, per un litigio, non possiamo portare a termine il nostro progetto di scienze.
Giuro, mai la testa mi ha ribollito di rabbia come ieri sera! Ero stanca e volevo solo passeggiare col mio ragazzo. Poi il tono che ha usato con me e il tono che io ho usato con lui. Beh, se l’è meritato, ripeto. Se crede che sia il tipo da stare zitta a incassare sbaglia di grosso. Non avrebbe dovuto scegliermi fin dall’inizio. La sua scelta avrebbe dovuto ricadere su una compagna di scienze diversa. Più duttile, magari come Lunch.
Chissà poi perché proprio io… ancora non riesco a spiegarmelo. Perché, timido o non timido, se davvero avesse voluto fare colpo su di me, non avrebbe dovuto percorrere la strada sbagliata di ieri sera. 
Dovrei dirgli di lasciarmi in pace. Spero mi dica di voler continuare il lavoro senza di me. Tanto non ho voglia, né ci capisco niente di pannelli e arnesi vari!

 


Bulma Brief B.B ciao!

Seconda ora: scienze.

I passi della professoressa si bloccano davanti alla porta, stagliandosi contro il blocco di luce dei finestroni nel corridoio.
«
Buongiorno!» Affetta, senza una particolare intonazione nella voce.
Metto via i libri di letteratura e prendo i suoi, lasciati sotto il banco da giorni.

«Allora, ditemi, come va con i progetti di scienze?» Interroga la classe, seguita dal ticchettio delle sue scarpe in camoscio beige.
«
Benissimo! Io e Brief l’abbiamo finito e siamo pronti a presentarlo, inedito, alla classe.» Per poco non mi viene un colpo! Le sue parole hanno sormontato ogni rumore nella classe, e io mi sono così meravigliata che per porco non ho sbattuto la testa contro il muro alle mie spalle.
«
Come Arensay?» Anche la prof. è incredula, si sistema gli occhiali sul naso arricciato.
Lo zotico si alza in piedi, non senza aver prima recuperato una scatoletta di cartone dal suo zaino blu scuro. Il silenzio è cadenzato dai suoi passi sicuri. Non mi ero mai accorta, né soffermata a considerare, quanto il suo incedere fosse così superbo. Solito atteggiamento da secchione spocchioso.
Tutti in classe sono stata rapiti dalla sua rivelazione e attendono curiosi di conoscere il contenuto della scatola. Così, io!

Le mani scarne dell’insegnante si riempiono allora di quel vaso di Pandora. 
Siamo tutti in trepidante attesa, quando con trasporto la professoressa invita anche a me, a raggiungerli in cattedra.
Sono titubante, nonostante tutto mi alzo con ostentata fermezza d’animo, ma il mio sguardo confuso mi tradisce.
«Magnifico, sapevo avreste fatto una bella coppia. E lei Brief è una sempre una notevole scoperta!» Mi lusinga.

«Oh non sa quanto!» Le fa eco Vegeta, mellifluo quanto basta per insospettirmi ulteriormente.
Le dita lunghe dell’insegnante accarezzano dunque i lembi del coperchio di plastica, che solleva insieme ad un suo sopracciglio. Uno sbattere di palpebre è la virgola finale ad una domanda che le ha già increspato la fronte.

«Brief…, cosa significa?» Chiede dubbiosa. Mi squadra in cerca di una giustificazione, la sua voce assume un cipiglio nervoso mentre sventola un foglietto di carta davanti alla mia costernazione. «Bulma Brief!» Ripete a pieni polmoni, leggendo la sciagurata scritta che proprio io ho lasciato sul quel pezzo d block notes!
Mi
porge il foglietto, e non posso fare a meno di ripetere il mio nome, mentre il pavimento si sgretola ai miei piedi, perdendo consistenza, insieme al silenzio nel fragoroso boato delle risa degli altri compagni.
«Ma come, si meraviglia professoressa?» Domanda allora il maledetto, prendendosi in pieno volto la schioppettata di due occhietti furiosi. «Brief ha detto che sarebbe bastato il suo nome sopra su foglio di carta, a farci vincere il primo premio
«
Ѐ vero?» Si rivolge a me stridula la prof. «Perché se è così, adesso, entrambi all’interrogazione!»

 
Per cola sua mi sono becco la prima insufficienza della mia vita! Passo il restante del tempo, fino alla ricreazione, a meditare su quanto accaduto a causa di Vegeta. Quando finalmente la campanella suona, decido di seguirlo fuori dalla classe, con un cipiglio che non ammette affatto nulla di buono. 
Si appoggia al termosifone e apre un libro come al solito disinteressato alla realtà che lo circonda.
Appena gli sono davanti assumo una posa bisbetica; egli non si scompone, alza solo gli occhi. 
«Non ti chiederò scusa, Brief» M’informa, calmo e allo stesso tempo strafottente, nemmeno si prende la briga di sollevare lo sguardo dal libro.
«Nemmeno io, per la sparata di ieri.» Rispondo allora decisa, guadagnandomi solo allora i suoi occhi neri su di me. Restiamo a fissarci, mentre il mondo studentesco ci passa attorno.
Una ragazza mi urta il gomito, nuotando nella folla di gente alle mie spalle.
Arensay distoglie lo sguardo, richiude il libro, torna però a guardarmi. «Sai, Verga scrisse che Rosso Malpelo era un ragazzo cattivo perché aveva i capelli rossi.»

Rilancio con un’espressione interrogativa. «E quindi
Si
sistema gli occhiali sul naso. «E quindi tu sei stupida perché sei bella.» Termina enigmatico, nello sciamare della folla al suono della campanella. «Ci vediamo oggi pomeriggio, vengo io da te.» Annuncia tornando in classe. 
E io resto, perplessa rivolta al vuoto da lui lascato. 
Non sono poi così sicura di essere stata insultata. E il flebile dubbio posa un sorriso sulle mie labbra.

 

 

Continua...

 

 

 

 

 

 

 

Per prima cosa vorrei ringraziare tutti coloro che leggono; Pinklink per aver aggiunto la storia alle preferite e alle seguite; Yoko_kun per averla aggiunta alle seguite. 

Per GIULZ87: Ciao! Sono davvero contenta ti sia piaciuto il capitolo precedente!:) Come hai potuto leggere, sono tornata a descrivere eventi passati, ma per la famosa "buca" ci vorrà ancora del tempo!;) Anche questa volta spero di aver messo bene la punteggiatura, in caso contrario, non aver paura di farmelo notare! Mi auguro ti sia piaciuto ciò che ho scritto! Alla prossima, un bacione.

Per yori: Ciao cara! Sono felicissima ti siano piaciute quelle frasi, poichè ci tengo in maniera particolare, essendo fermamente convinta di ciò che ho scritto! E come al solito, noto che continuiamo a stare sulla stessa frequenza d'onda e mi fa davvero piacere: almeno non sono una mosca bianca!;) Spero questa volta la lunghezza del capitolo ti soddisfi, come il suo contenuto: non vorrei aver fatto pasticci! Alla prossima, un bacio!  

Per MauMau: Ciao! Sì, fare un capitolo sul passato e uno sul presente è proprio la mia idea, anche se non sarà uno schema fisso.  Allora, come vedi siamo solo all'inizio, e in Bulma, piano piano, cambierà qualcosa (forse per colpa di Vegeta? Chissà!:P); quindi temo dovrai aspettare un po' per avere un quadro di insieme di quanto accaduto nel passato!:) Vegeta, stai tranquilla, cercherò di farlo restare sempre fedele a  stesso, ma non posso dirti come andrà a finire: non sarebbe divertente! Mi auguro di non averti delusa con questo capitolo, come ho già detto mi lasciapiuttosta perplessa, perchè non sono molto sicura degli eventi descritti, anche se mi sono impegnata per renderlo al meglio. Alla prossima, un bacio.

Per Yoko_kun: Ciao! Grazie infinite per la bella recensione, non mi hai annoiata affatto, anzi, mi ha fatto davvero paicere: sono contenta di essere riuscita a rendere bene i pensieri di Bulma, temevo di averli fatti troppo complicati. Infatti, quando scrivo, ho bene in mente ciò che devo descrivere, ma spesso mi capita di mettere su carta molto meno e ho paura che il lettore non riesca a seguirmi. Venendo a noi, sono contenta la storia ti sia piaciuta tanto, e ti confesso, che non vorrei rovinare le tue aspettative con il seguito: non lo dico per farmi dire il controrio, ma sono insicura già di mio (soprattutto quando inizio una nuova storia) quindi dopo ciò che mi hai detto, non vorrei fare brutta figura!:) Un salutone e alla prossima!

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chissà ***


5

Chissà

 

_______________________________________

 

 

Un uomo, da solo, nel suo studio. La città brilla ai suoi piedi, in questa calda notte estiva. Né una stella nel cielo torbido.
Nessun rumore giunge dalla strada al suo attico di vetro, che non sia quello del proprio respiro.
Entra qualcuno: una donna con un pacco di documenti. Lui la ignora, aspetterà che poggi i fogli sulla scrivania, poi tornerà a pensare, nel silenzio della propria fortezza.
«
Signor Arensay, mi scusi, io avrei finito; se non serve altro le auguro una buona serata.» Si congeda la donna, indugiando, forse troppo, sulla schiena di quell’uomo schivo e affascinante.

«Aspetti!» La richiama, autoritario, mentre getta nel cestino un invito colorato.

 

 

***

 

 

Domani soffrirò di stomaco: sono passata dal dolce al salato, inzuppando il tutto col punch al mandarino. 
Ricordo che da ragazza tre bicchieri di questa brodaglia sarebbero stati sufficienti a farmi girar la testa, ora, invece, ho solo un gran sonno. Meno male che volevo bere per dimenticare.
Se l’avessi saputo, avrei evitato di berlo. Tuttavia, pare sia altro da fare per passare il tempo a questa sciagurata festa. Sono qui da un’ora e dei miei vecchi amici non ho rivisto nessuno, a parte Yamcha ovvio. Il quale, suppongo, sia in giro a correre dietro a qualche vecchia e ritrovata fiamma!
«
Sogno o son desto, Bulma Brief tra noi comuni mortali!»
Mi volto a quella voce familiare. «Crilin, non ci posso credere. Sei proprio tu
«
Vivo e vegeto.» Si passa una mano tra i capelli. «Notato che chioma
«
L’hanno notata anche i muri!» Una donna bionda si frappone tra me e il mio amico, la riconosco all’istante: la ragazza che chiamavamo C18; un altro dei fantasmi della mia adolescenza. 
Ricordo la volta in cui le chiesi il suo vero nome; lei sorrise beffarda e rispose: C18.
«Sorpresa di vedermi?» Mi fa, con un sorrisino di scherno.

«Ahm… a dire il vero sì, cosa ci fai qui: non eri della nostra scuola
«
Infatti, sono in veste di accompagnatrice.»
«Già, è il mio più uno.» M’informa il bassetto, cingendole i fianchi. «Sai, dopo la scuola ci siamo messi insieme, poi ci siamo sposati e ora eccoci qua! Ops, scusate, ho visto qualcuno che conosco, vado a salutarlo
Restiamo
da sole, io e lei. «Togliti quell’espressione scettica dal viso, dopotutto, qualcuno doveva pur raccogliere i cocci.» Mi fa, “cordiale” come sempre.
«
Tranquilla, non mi va discutere.» Riprende, avendo notato la mia smorfia. «Ho imparato a trattare il rancore e poi adesso le cose sono cambiate.» Spunta il mento in direzione del marito, mentre sorseggia la propria bevanda.
C’è sempre stata poca simpatia tra noi; non che lei fosse antipatica, più che altro, il nostro era un sentimento di circostanza: amare lo stesso ragazzo non ha mai fatto da collante a nessuna amicizia. 
Né ci siamo preoccupate di trovare altre “affinità” oltre a questa, e magari le avremmo anche trovate: per esempio ricordo avevamo gli stessi gusti musicali. Tuttavia, questo particolare mi torna in mente solo adesso: all’epoca ero troppo gelosa perché avesse un peso.

«Vuoi sapere se verrà?» Dice di punto in bianco, interrompendo i miei pensieri.
«
Verrà “chi”?» Domando, più allo scopo di prendere tempo, non può infatti che riferirsi a Vegeta.
«
Sai bene a chi mi riferisco, l’ho sentito.»
Cerco di nascondere una punta d’invidia per il fatto si sentano ancora; per il fatto lei faccia parte della sua vita; per averlo visto crescere mentre a me è rimasta una foto e qualche ricordo sbiadito. 
«Allora?»
Voglio davvero saperlo, sostituire le miei illusioni con certezze? Preferisco credere che verrà. «Sono qui solo per divertirmi, Vegeta non m'interessa.» Mento, spudoratamente, per un semplice motivo: non mi va di passare per la fallita che pensa ancora al ragazzo del liceo. Certo, è la verità, ma preferisco tenerla per me!


«Eccomi ragazze, mi sono perso qualcosa
«
Parlavamo dei vecchi tempi.»
«A proposito dei vecchi tempi: avete visto Goku e Chichi?»
«Non sono ancora arrivati, ma verranno sicuramente.»
«Lo spero, non li vedo da una vita! Comunque, tu cosa ci racconti? Ho letto di te suoi giornali, proprio l’altro giorno, la nuova promessa della scienza.»

«Già, l’idea delle “capsule” è piaciuta molto»
«
Piaciuta? E’ stata una trovata formidabile.» Caccia dalla tasca una cosetta ovale. «Anzi, geniale!» Continuiamo a parlare di lavoro e convenevoli vari. Come sempre, quando si rivede qualcuno dopo tempo. Esauriti i “come te la passi”, i “ti trovo in forma” ecc decido di averne abbastanza e di andare a prendere una boccata d’aria. Almeno zittisco, una volta per tutte, la voglia di chiedere di Vegeta.
In cortile c’è ancora un’altalena, dubito sia la stessa di tanti anni fa. Faccio un giro tra gli alberi ai margini del piastrellato. Ci sono quattro alberi di noce: uno per ogni angolo.
Ai miei tempi, rappresentavano il modo di passare la ricreazione: la noce dei fumatori; degli innamorati; dei depressi, dopo un compito in classe andato male. Del quarto non ricordo. 
Mi siedo sull’altalena, il vestito arriva a terra; dondolo, nella speranza di lasciarmi qualche pensiero dietro le spalle; mi sento ridicola ad essere triste. 
Sono le nove e venti: chissà se arriverà.
«Ciao Bulma.»

 

Continua…

 

 

 

Inoltre, credo abbiate capito la funzione dei capitoli ambientati nel presente: danno delle “anticipazioni” agli eventi che verranno trattati nel passato ( ne approfitto per annunciare che i prossimi saranno ambientati in quel periodo, il presente lo riprenderò in seguito, giusto per farvi stare sulle spine).Quindi, come al solito, spero abbiate gradito ciò che ho scritto. Ora, vi informo che mi ritirerò per qualche giorno, fino a data da destinarsi!XD Saluto tutti e alla prossima! Allora, ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle seguite e alle preferite, mi ha fatto davvero piacere, quindi grazie!:)Un grazie e un saluto anche a coloro che leggono.

Per GIULZ87:Ciao cara! Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo, anche se un po’ corto spero di aver trasmesso comunque qualcosa. Ho lasciato alcune “porteaperte” per rendere più interessante il seguito, infatti penso, il prossimo ambientato nel presente sarà l’ultimo (anche se è ancora tutto da vedere:P); tuttavia, ci vorà ancora un po’: ora mi concentrerò sul passato. Inoltre, sono contenta ti sia piaciuto il mio Vegeta: ho sempre paura di renderlo o troppo IC o troppo OOC.Grazie per aver detto che scrivo bene, mi fa piacere sentirlo dire perché vuol dire che sto migliorando! Un salutone e alla prossima! Per uranian7: ciao! Grazie mille, sto cercando di migliorare e ciò che hai detto non può che farmi piacere!:) Alla prossima. Per MauMau:ciao! Già, la Bulma del passato non è il massimo, ma qualcosa di bello dovrà pur averlo ;) Spero no ti abbia annoiata nemmeno questo capitolo e che ti sia piaciuto. B.B e Vegeta del passato torneranno presto, e mi auguro che gli sviluppi siano di tuo gradimento! Ti saluto, al prossimo capitolo!;)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Hoegaarden ***


6

Hoegarden

 

___________________________________________________

 

 

 

 

 

«Papà, credi, che io sia stupida?» Chiedo mettendomi la cintura di sicurezza.
Oggi è venuto a prendermi lui. «Ma cara, che domande fai, certo che non lo sei; perché qualcuno ti ha insultato?» Ovviamente, essendo mio padre non potrebbe altrimenti. 

«No, al contrario.» Termino, lasciando cadere il discorso. Dal momento che sento ancora i suoi occhi su di me in cerca di maggiori informazioni, scelgo di mostrarmi indaffarata a disegnare una faccina sul vetro appannato, lamentando di essere talmente stanca da non veder l'ora di tornarmene a casa.

E mentre mi pento di essermi lasciata scappare quel sentore di complimento, rivoltomi da chissà chi, scorgo Vegeta tra le righe dello sgorbio da me stessa disegnato. 

Fuori sta piovendo, ma nonostante tutto, invece di correre come farebbe chiunque senza ombrello, procede tranquillo come niente fosse fino alla fermato dell'autobus.

«Ferma la macchina!» Grido a mio padre, e prima che possa aggiungere altro, sento la cintura proteggermi dall'urto della frenata.
«Che succede, hai dimenticato qualcosa?»
Lo ignoro completamente e abbasso il finestrino, -Ehi, Vegeta!- Ripeto il suo nome più volte, giacché non si volta subito come avrei sperato. Evidentemente è disabituato a sentirsi chiamare da qualcuno che non sia suo padre o gli insegnati. Non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello che potrebbe starmi ad ignorare di proposito.
Finalmente, braccia conserte, gira la testa nella mia direzione.

«Perché non vieni con noi?»
Alza un sopracciglio come unica risposta, ma io non demordo. «Verresti lo stesso nel pomeriggio, quindi tanto vale pranzare insieme, no?» Continuo, per spiegargli che il mio non è un invito senza motivo.
Allora scioglie le braccia. Prima di attraversare la strada volge lo sguardo a destra, poi a sinistra, e un attimo dopo mi ritrovo le sue mani appoggiate al finestrino semiaperto e bagnato. «Mi stai invitando a pranzo?» Chiede quasi incredulo.
«Certo! Ma solo se prometti di tenere le tue manacce lontano da me.» Sfodero un sorriso degno di me. 
Anche lui sorride, ma in modo diverso, quasi beffardo.
«Allora?» Incalzo in attesa che decida; non capisco, dovrebbe essersi già fiondato dentro. «Guarda che non sto scherzando, dico sul serio!»
«Non posso.» Sentenzia infine.
«Come sarebbe non puoi? Che devi fare» Scendo dalla macchina, incurante di mio padre che aspetta. Non ci posso credere: Arensay sta facendo il prezioso con me. «Ma che cavolo hai?» Domando; mi guarda come fossi una pazza.
«Nulla, ho solo detto che declino il tuo invito, è così difficile da accettare?» Sale sull’autobus appena arrivato. «Ci vediamo oggi  pomeriggio come stabilito.»

Le porte mi si chiudono in faccia e resto come una scema, sotto la pioggia, ad osservare il mezzo che riparte lasciandomi inerme. Dai finestrini intravedo Vegeta che prende posto buttando lo zaino su un sedile. 
Il clacson di papà cattura la mia attenzione, e non posso che risalire in macchina, se non altro per preservare quel che resta della mia acconciatura. Accendo il riscaldamento al massimo, per asciugarmi durante il tragitto: ci manca solo che mi becchi un raffreddore!

Che accidenti gli passerà per la testa, a quello zotico? Tanto oltre allo studiare, dubito che il mio invito avrebbe compromesso la sua già di per sé pallida vita sociale.
«Tesoro chi era quel ragazzo?»
«Un compagno di classe; verrà da noi oggi pomeriggio.»
Che poi ha usato il verbo “accettare”, non capire; non comprendere. Accettare, come se davvero non riuscissi a farmi una ragione del suo rifiuto, proprio io, Bulma Brief! Già, e ha pensato bene, come ha potuto rifiutare un mio invito dopo lo scherzo combinatomi in classe? Non avrei dovuto lasciarmi impietosire dal vederlo tutto solo sotto la pioggia, sapendo che non avrebbe trovato nessuno ad accoglierlo a casa. 

 

Scendo in cucina ad aspettarlo sorseggiando una bibita fresca, mi attacco direttamente alla lattina. «Che finezza!»

Vegeta appare alle mie spalle nel momento esatto in cui mi scappa un piccolo rutto… accidenti! Proprio adesso doveva arrivare?
«Chi ti ha fatto entrare?» Sono tutta rossa in viso, vorrei sotterrami.
«Tua madre, ovviamente. E io che credevo fossi la principessa sul pisello; cosa penserebbero i tuoi spasimanti se ti sapessero così rozza?-.
Sono ancora rossa, ma di rabbia! Sta ingigantendo la cosa per farmi imbarazzare, come se non lo fossi abbastanza. 
«Guarda che è una cosa normale, lo fanno a tutti; si chiama digestione!» Rispondo saccente. La soddisfazione di mettermi in difficoltà non gliela lascio.
«Anche le altre cheerleader si dedicano quindi al rutto libero?»
Gli rivolgo una linguaccia indisponente, ma la mia condotta bellicosa si affloscia in un lampo: quand’è che siamo entrati così in confidenza?
L’arrivo provvidenziale di mia madre mi salva dal pormi una risposta.
«Allora ragazzi, che dite di una bella merenda prima di iniziare a studiare?»
«Grazie tante, ma a me non va.»
«Oh, non fare i complimenti caro!»
La mamma deve per forza propinare a tutti il suo the.
«Infatti, non li sto facendo; semplicemente preferirei iniziare il progetto quanto prima: abbiamo poco tempo.»
«Poco tempo?» M’intrometto. «Ma se abbiamo ancora una settimana!»
«Sì, ma adesso, abbiamo poco tempo: devo andare via alle sei e mezzo, e non vorrei essere venuto qui inutilmente.»
«Venti minuti non faranno mica la differenza!» Mi ostino a rimbeccarlo. Mica stiamo lavorando per la Nasa, è solo uno stupido progetto di scuola.

«Per te che non hai nulla da fare no, per me venti minuti sono tanti.» Sentenzia, invece lui lapidario.
«E quali sarebbero i tuoi impegni improrogabili, fare la fila per una nuova console?» Ma chi si crede di essere! Soprattutto, come si permette di insinuare che sono una sfaccendata? Sta per controbattere, ma mia mamma lo precede: «Coraggio ragazzi, non litigate! Bulma, tesoro, magari vi porto io qualcosa di sotto mentre lavorate!» Ci guarda amorevolmente, compiaciuta che pace sia stata fatta, infine si congeda dicendo di dover annaffiare il prato.
«Per la cronaca, i miei impegni improrogabili, cioè studiare, sarebbero anche i tuoi, se non fossi raccomandata.» Riprende, appena mia madre mette piede in giardino.
La mia belligeranza, da floscia qual era, si rinvigorisce all'istante, pronta ad esplodere e... lascio sfumare. Non gli darò la soddisfazione di vedermi nervosa. Anche se la tentazione di rispondergli per le rime è alta, molto alta! 
«Se non hai nulla da obiettare, possiamo andare.»
«Dove?» Chiedo a denti stretti.
«Nel laboratorio di tuo padre, ovviamente; sono sicuro che lì troveremo ciò che ci serve. A proposito.» cerca qualcosa nello zaino. «Tieni.» 
Mi rivolgo titubante alla mano che mi porge un foglio ripiegato:  dopo lo scherzo di questa mattina non sono sicura di accettare.
«Prendilo!» Mi ordina spazientito. 
«Una lista?»
«Sì, ho pensato di darti una copia: così non ti annoi come la volta scorsa; non vorrei iniziassi a dare di matto anche oggi.»

Gli rivolgo un flebile grazie, sorpresa dal gesto: Mr. Ho-mille-impegni-e-tu-no ha addirittura perso del tempo per me!

 

Spingo il pulsante meno uno sulla tastiera dell'ascensore e mi volto poi a guardare Vegeta. Sta a schiena dritta il che mi fa considerare la larghezza delle sue spalle. Noto che i capelli sono bagnati.
«Fissi sempre tutte le persone che ti stanno intorno?»
«Solo chi mi incuriosisce.» mi scappa detto, sovrappensiero per il particolare dei capelli. Accidenti. Devo riprendermi: non vorrei pensasse che mi piaccia. «Mi chiedevo come mai avessi i capelli bagnati! Non sai che potresti prendere un raffreddore così?»
«Sono appena tornato dalla piscina.»

 La porta si apre gettandoci in faccia l’odore metallico dell’officina di papà. 
«Nuoti?» Riprendo a mostrare interesse mentre gli faccio strada. Un "Sì" è la sua risposta annoiata. 

Dunque è per questo che ha le spalle così larghe. E io che credevo nascondesse un fisichetto rinsecchito sotto la divisa scolastica! Camminiamo in silenzio, continuo le congetture sullo stato della sua chioma. Che sia davvero così indaffarato da non potersi nemmeno asciugare per bene? 
«Sei così indaffarato da non poterti nemmeno asciugare per bene?»
«Mi alleno tutti i giorni: la mattina prima di andare a scuola e se necessario il pomeriggio dopo pranzo; e siccome devo anche studiare, non ho molto tempo da perdere!» 
«Nemmeno il tempo per la merenda?» Lo provoco.
Mi guadagno un’occhiataccia. Vuol dire che sto andando bene, certamente non smetterò adesso che ho trovato il modo per farlo spazientire: se lo merita. «Bhè, smetti di nuotare!»
«Non posso.»
«Perché?»
«Ho raggiunto un livello molto alto.»
«Allora smetti di studiare!»
«Per diventare come quei beoti dei tuoi amici?»
Si ferma. Mi fermo anch’io «Cosa c’entrano i miei amici?»
Ci osserviamo in cagnesco. Poi, lui distoglie lo sguardo. «Smettila di farmi perdere tempo!» Riprende a camminare, con lo stesso atteggiamento che avrebbe avuto se questa fosse stata casa sua.
Lo sorpasso e lo blocco; incredibile come, con un niente, riesca a farmi cambiare umore così velocemente: sono furiosa.
«Senti, io sono fatta così: mi piace socializzare.» Scandisco l’ultima parola. «Se tu sei così orso da non volerlo fare allora il tuo progetto potevi benissimo fartelo da solo!»
«Impossibile.»
«E perché di grazia?»
«Perché non ho un laboratorio!»
Strabuzzo gli occhi.
«Quindi mi hai scelto solo per questo?»
«No, perché sei la più popolare della scuola!»
«Ti stai approfittando di me!» Lo accuso, quasi scandalizzata.

 «Solo del tuo laboratorio, non sono mica il tuo ragazzo!»

 Slam!

Gli stampo uno schiaffone in faccia. Un gesto che mi sorprende più di lui: non l’avevo mai fatto prima d’ora. Nemmeno a Yamcha. 

Ho ancora la mano sulla sua guancia, l’abbasso. Siamo occhi negli occhi, non ci chiediamo scusa, ma abbiamo capito. Soprattutto, lui mi auguro abbia capito che non deve insultarmi così alla leggera. Torna la calma, dopo un climax di emozioni burrascose. «Andiamo.» Riprendo il cammino, dopo un lungo sospiro. Siamo soli, io e lui nella scatola metallica che è il laboratorio di mio padre, fuori per un convegno.
Vegeta non perde tempo, come già annunciato, e m'illustra quali arnesi useremo per lavorare.

Impieghiamo mezz’ora per riunire tutto l’occorrente, un tempo che avrebbe potuto essere stato più breve, se avessi conosciuto almeno la metà di quegli oggetti. La sorpresa maggiore è però stata di avere usato io stessa quegli arnesi sotto le sue istruzioni: mi ha spiegato che non potrà esserci sempre, e quindi sarà importante che in quelle occasioni sia in grado di mandare il progetto avanti da sola. Non credevo mi avrebbe dato tanto credito. Non credevo sarebbe stato così divertente!

Slaccio il casco, ravvivo i capelli e raggiungo i miei amici al Namecc, il nostro bar di ritrovo. Annuncio agli altri che Yamcha ci avrebbe raggiunto dopo cena, e inizio a sciorinare i dettagli del mio pomeriggio trascorso con Arensay. Riferisco esattamente quello che si sarebbero aspettati di sentire sul suo conto. Ma è quando dico loro di essermi tagliata le unghie cortissime, per meglio maneggiare gli strumenti, che li sorprendo tutti! Voglio dire, è ovvio che con le unghia lunghe sarebbe stato piuttosto scomodo lavorare, persino i guanti non mi avrebbero calzato come di dovere.

Mi scocciano un po’ i loro commenti del tipo “non ce lo saremmo mai aspettati”, neanche fossi un’oca giuliva capace solo di beccare concime.

 

 

Il Red Ribbon, un capannone enorme appena fuori città, è pienissimo di gente: l’idea della gara musicale deve essere piaciuta a molti. E' più di un'ora che sostiamo davanti all'ingresso in attesa di Yamcha. Quando inizio davvero a spazientirmi, eccolo che arriva, tutto trafelato. 
«Finalmente, era ora che arrivassi!» Lo rimbecco, acida più che mai.
Tra spintoni e minacce riusciamo a farci largo fino al bancone.
«Non mi chiedi com’è andato il pomeriggio?» Inizio, civettuola, mentre siamo in fila per ordinare da  bere.
«Mi hai messo le corna con Arensay?»
Siamo costretti a urlare, dato il volume altissimo.
«Ma smettila, ho fatto una cosa più… eccitante!» Cerco di suscitare la sua curiosità. «Ho usato moltissimi attrezzi di mio padre! Persino un trapano.»

«Un che?» Non riesce a sentire bene di cosa sto parlando. Lo ripeto per l’ennesima volta, mimando lo strumento in questione. 
«Tu? Ah ah, mi prendi in giro?»
«No, è stato divertente; Vegeta ha detto che venerdì dovrò lavorare da sola, per questo mi ha insegnato!»
«Lavorare da sola?»
Un tizio gli dà uno spintone mentre mi parla. «Ma è matto? Vuole che mandi a fuoco la casa?»
«Ha detto che sono brava!»
«Certo, perché non ti conosce; altrimenti saprebbe che, una come te non è adatta a simili lavori.»
«Come?» Domando esterrefatta, non capendo cosa intenda per “una come te”. Ancora, ma per chi accidenti mi prendono tutti quanti?
«Ho detto,» alza il volume della voce, ma poi ci ripensa. «Niente, lasciamo stare! Che cosa prendi?» chiede alla fine.
«Il solito.»
«Cioè?»
«Hoegaarden.»
Dopo aver preso tutti da bere, ci sistemiamo in modo da non perderci di vista. È frustante quando tutti, intorno a te, sono ubriachi e tu no.  E il tasso alcoolemico è inversamente proporzionale alla sfacciataggine di certa gente: io e Chichi abbiamo fatto a mala pena due metri che siamo state importunate da ben tre ragazzi. Chichi, evidentemente non soddisfatta del poco spazio respirabile, mi chiede se per caso avrei voglia di accompagnarla in bagno, tanto per nuotare un po' in questa massa di gente puzzolente e sudaticcia.
Appena intravedo un piccolo spazio calpestabile davanti a me, lo raggiungo per riprendere fiato. Solo in un secondo momento mi rendo conto di essere rimasta da sola: ho perso la mia amica durante il tragitto. Provo a chiamarla inutilmente.
Se solo tutti la smettessero di saltare, riuscirei a scovarla. Decido di saltare anch’io, dimenticando di avere un bicchiere pieno in mano. Lo stesso bicchiere che, inesorabilmente, rovescio addosso a una ragazza.
«Ehi!»
«Scusami, scusami tanto! Ero con una mia amica che...»
«Scusa un corno! Guarda cos’hai fatto alla mia maglia, razza di imbecille.»
«Hey, non l’ho fatto a posta, è stato un incidente!»
«Già, ha ragione sorellina, non è il caso di farla tanto lunga.» Il fratello della malcapitata prende le mie difese. 
«Ah no? Secondo te come ci salgo sul palco, adesso?»
«Vorresti dire che non hai una maglia di riserva?»
«Certo, un intero negozio!» 
Approfitto della situazione per defilarmi, ma qualcuno mi afferra per un braccio: ancora la biondina cui ho rovinato la maglia. «Dove pensi di andare?»
Il fratello interviene per la seconda volta. Al che lei stizzita decide di piantarci in asso. Che cafona!
«Devi scusarla, di solito non è così nervosa! Comunque puoi chiamarmi C17.» La giustifica in vano il fratello.
«Bulma!»
«Come?»
«Mi chiamo Bulma.» Ripeto, stanca di dover urlare per ogni benedetto respiro, domani mattina la mia splendida voce sarà un soffio roco! «Ho perso i miei amici.» Lo informo. «Potresti aiutarmi a ritrovarli? Erano vicino al bancone, ma ho perso la bussola.»
«Mi dispiace, ma devo salire sul palco tra poco... Però se raggiungi il mio tavolo,» indica un punto imprecisato del soppalco, «Sono sicuro che da lì riuscirai a individuarli. C'è un mio amico al tavolo! Guarda è quello laggiù!» A quel punto credo di trovare in un universo parallelo.

«Il tuo amico?» Ripeto puntando niente di meno che «Vegeta Arensay?» Rimarco, incredula. Tra tutti i posti della terra, mai mi sarei aspettata di trovarlo a sentire concerti rock. Mentre l'amico si congeda, meravigliandosi delle dimensioni modeste del mondo, mi faccio largo tra la folla e raggiungo il famigerato oggetto della mia sorpresa. 

«Brief?»

«Sono sorpresa quanto te, credimi. Come mai questa botta di vita? Credevo che la vita mondana  fosse per te una perdita di tempo.»

«Io invece crede ti amassero tutti alla follia.» 

«Cosa?« Le sue parole si perdono nel volume troppo alto nel locale. Lo speaker annuncia il prossimo gruppo: I Cyborg. Sul palco salgono il ragazzo e la ragazza di prima, quella a cui ho sporcato la maglietta. 



 I'm gonna fight 'em off 
A seven nation army couldn't hold me back 
They're gonna rip it off

 

«Che cos'hai detto prima?» Cerco di riprendere il discorso.

«Prendi qualcosa da bere?» Mi domanda invece lui. A quel punto mi arrendo, e non posso che annuire, sollevandomi in punta di piedi alla ricerca dei miei amici, dispersi chissà dove. Non sono più nemmeno vicino al bacone.

«Prendo una Hoegarden.» Annuncio al vento, giacché Vegeta è già sparito.

 

Taking their time right behind my back *
And I'm talking to myself at night 
Because I can't forget 
Back and forth through my mind 
Behind a cigarette

 

Torna al tavolo con in mano due birre, una delle quali è la mia birra preferita. 
«Come sapevi che mi piaceva questa qui?» Mi stupisco, afferrando la mia Hoegarden.

«Ho tirato a indovinare.» Si giustifica, bevendo la sua.

 

“Every single one's got a story to tell”

 “All the words are gonna bleed from me 

And the stains coming from my blood
Tell me go back home”

 

 

Continua…

 

 

 

*la canzone è Seven nation army dei White Stripes. L'ho scelta perché il pair mi pareva appropriato per C17 e C18, inoltre le parole mi ricordano Vegeta. :P

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Risiko ***


Risiko

Risiko

 

______________________________________

 

 

 

«Ragazzi, è stato fantastico!» C17, pieno di adrenalina da palcoscenico, arriva tutto sovraeccitato a scompigliare i capelli di uno stizzito Vegeta. Mentre la sorella, dietro le sue spalle, gli fa da ombra in tutti i sensi. E mentre il fratello dispensa sorrisi a destra e a manca, lei indifferente ci sorpassa, annunciando a mezza voce di aver bisogno del bagno. Ovviamente, non perde occasione di darmi una spallata.
«Non farci caso.» Rassicura il fratello. «É sempre la solita permalosa.»

«Vuoi dire che è ancora arrabbiata con me? Neanche l’avessi fatto di proposito.»
«Con te, con il mondo intero. Chissà!»
Chissà. Decreto ma per me fa soltanto il personaggio, la diva con smanie da protagonismo che si atteggia nemmeno ce l’avesse d’oro. «Meno male che secondo te ero io la principessa sul pisello!» Ricordo a Vegeta, il quale anziché rispondere mi fissa, le luci a neon del locale riflesse sulle sue lenti spesse; sorseggia la sua birra, senza cedere al mio rimprovero.
«Mi devi scusare, ma prima non ho capito il tuo nome.» Riprende allora l’altro, nel tentativo di conoscermi meglio.
«Mi chiamo Bulma.»
«Ah, quella Bulma?»
«Sì, quella del progetto.» S’intromette veloce Vegeta con fare spiccio, come a rimproverare all’altro la confidenza accordatami.
«Ecco perché ha un’aria da scema!» Esclama quindi la biondina tornata dal bagno; a quanto pare non ha espulso anche la sua antipatia.
«Oh, perdonami, forse dovrei ripagarti quella maglietta da due soldi per starti più simpatica?»
«No, risparmia pure per comprarti un cervello nuovo!»
«Non credo ne abbia bisogno, magari se lo costruisce.» Conclude il suo degno compare, Arensay. E se quell’altra zotica non stesse sorridendo, aumentando così la mia voglia di spaccarle i denti, potrei anche crederlo un complimento.
La simpaticona, a quel punto ammansita, prende posto accanto al mio compagno appropriandosi della sua birra, mentre mi lancia un’occhiata di sottecchi.
Se non fossi una signorina garbata, gliela farei ingoiare, la bottiglia.

 

I nostri bisticci sfumano via, via insieme al chiasso nel locale. Le luci, infine, si accendono a ricordare che la serata è finita insieme alla ricerca dei miei amici, che a dire il vero, non è mai iniziata veramente: presa com’ero a rispondere per le rime alla strega dai circuiti dell’ego sballati, ho completamente dimenticato di cercarli! Mi consola che nemmeno loro si siano prodigati più di tanto a vedere che fine avessi fatto.
«Credo proprio di aver bisogno di un passaggio.» Ovviamente, mi rivolgo all’unico che nella combriccola è degno della mia simpatia: C17.
«Scordatelo!» Risponde per lui la sorella, scompigliandosi i capelli biondi.
«Non posso restare da sola in un postaccio del genere! Siamo in periferia, e la mia casa è troppo lontana da raggiungere a piedi.»
«Non sia mai dovessi romperti un tacco della scarpa durante il tragitto.» Rimbrotta Vegeta, il quale per tutta la serata si è ingegnato a dare man forte all’acida biondina.
«Ma perché non vieni con noi, invece di tornare a casa? La serata non è ancora finita.» M’invita C17 a discapito degli altri.
«Perché io non la voglio, semplice.» Chiarisce Diciotto.
«Come se stessimo andando a casa tua, sorellina.»
«Allora, forse dovresti chiedere a me se la voglio oppure no!» Precisa Arensay, meritandosi un’occhiataccia da parte mia.
«Perché, avresti il coraggio di rifiutarmi, dopo aver passato il pomeriggio a giocare nel laboratorio di mio padre?»
In realtà, non ho molta voglia di concludere la serata in loro compagnia, ma fosse anche per indispettire i due cafoni, mi autoinvito con tutta la determinazione di questo mondo e dell’altro!

 

Ed ecco, che per la seconda volta in tutta la mia vita, mi ritrovo in Via dei principi, numero sette. Il pesante portone è lì, pronto a rinfacciarmi tutti pregiudizi che, fino ad allora, avevo serbato nei confronti del mio compagno di classe. Dall’inizio del progetto, infatti, non solo ho scoperto che non è un emarginato sociale, ma ha addirittura degli amici, certo di dubbio gusto considerato il loro gusto nel vestire, ma pur sempre amici.
Varco ancora la soglia del suo appartamento spoglio, senza restare immune a ripensamenti di sorta; cosa dovrei fare, qui, adesso?
Osservando la scombinata comitiva, mi chiedo quali potrebbero essere i loro progetti. Tutti si comportano con confidenza e gettano i cappotti sul divano. Vegeta, invece, sparisce nel corridoio, lasciandomi da sola con gli altri due.
Ripeto, cosa dovrei fare io, qui, adesso? Mi fingo in sintonia con l’ambiente, e prendo posto accanto alla scorbutica. Almeno, infastidirla mi diverte. Tento allora di mostrare un approccio diverso, e le chiedo il suo vero nome.
«Ci-diciotto.» risponde con un ghigno più lungo del suo nome.
«Ma non hai un nome vero?»
«È questo il mio nome vero.»

Capisco l’antifona. Almeno non mi ha risposto mandandomi a quel paese.
Quando Vegeta torna è con un scatola di Risiko tra le braccia. Viene accolto dagli altri con come se fosse riemerso dalla sua stanza con il Sacro Graal.
«Un gioco da tavolo?» Domando un po’ sorpresa, leggendo l’etichetta sulla scatola cartonata.

«Se preferisci truccarti, Brief, il bagno è di là.» Continua a prendermi in giro Arensay, suscitando un risolino in C18. Non saprei dire chi tra i due sto detestando di più questa serata. «Solitamente non è così che passo le mie serata, ma se mi spiegate le regole giocherò volentieri!» In realtà, vorrei solo mi riportassero a casa, e l’avrei già chiesto se non significasse passare per la guasta feste di turno.
E’ C17 a spiegarmi, seppur con una punta di noia nella voce, quelle che sono le regole. Vegeta ne aggiunge una extra: «Scordati di usare i carro armati neri.»
«Figurati, il nero è un colore così deprimente che te lo lascio volentieri. Scelgo i rossi, perché sono una tipa passionale.»
E sorrido dell’innocente, e forse non tanto brillante battuta, ma accidenti a loro potrebbero anche provare a farsi una risata! Gli ignoro, con ancora il riflesso del mio sorriso stampato in volto, e leggo la missione assegnatami dal destino.

 

 Distruggi le armate

nere;

se sei tu stesso o sono

state già distrutte,

conquista 24 territori

 

 

Fantastico, non avrei potuto essere più fortunata di così! La mia prima partita sarà la mia prima sconfitta, se Vegeta gioca tanto bene quanto è odioso.
Quindi, non mi resta che provare a impegnarmi, potrà anche essere un veterano del gioco, ma non intendo rendergli la vittoria facile.

 

La partita inizia con uno scontro tra me e C17, in cui gli rubo l’Oceania. Mi spiegano che si è trattato di un puro colpa di fortuna, e che da adesso in poi avrò diritto non solo ad armate extra, ma a quanto pare è anche uno dei migliori punti strategici del gioco.
Fortuna del principiante.
Fortuna che, per mano delle truppe di Vegeta, mi libera dall’odiosa presenza di C18. La quale, contrariata, abbandona il tappeto su cui stiamo giocando e si butta sul divano. In contemplazione, forse, di qualche piano di vendetta nei miei confronti.
C17 è il prossimo a cadere, questa volta per la mia incredula mano. Non avrei mai creduto di poter essere così brava!
I bagliori della mia vittoria, però, durano giusto il tempo di realizzare che, da adesso in poi, dovrò vedermela con Arensay, il quale sentendo i pareri degli altri due, è bravissimo a mischiare le sue carte in tavola senza mostrare i suoi veri piani in partita.
Tira i dadi, ma non dimentica di scambiare prima i sui tris per ottenere dei rinforzi. Cambio anche io i miei. E a suon di rollate di dadi scateniamo una vera e propria guerra.
Ora siamo dieci armate contro dieci, come ha voluto il destino. Vegeta ghigna alla mia possibile e quasi palese sconfitta, e con sfida lancia a terra la sua carta obiettivo:

 

 

                                                   

Distruggi le armate

rosse;

se sei tu stesso o sono

state già distrutte,

conquista 24 territori

 

 

Gli rivolgo un gran sorriso e tiro i dadi, riuscendo a togliergli tre armate. Altrettante ne perde al suo turno, ma al mio lo sconfiggo del tutto distruggendo i suoi rifornimenti e sbrindellando il suo orgoglio da campione, fino ad ora, imbattuto di Risiko.
Un urlo di gioia scoppia da C17, il quale ha tifato per me fino alla vittoria, se non altro per sperare di vedere l’amico sconfitto, una volta per tutte.
Così, si sveglia anche C18, nel frattempo appisolata sul divano. Viene subito informata.
«Sai che me ne importa!» Decreta, con la sua solita sfavillante simpatia, eppure ha evitato di guardarmi, punta da un ago di gelosia.
«A me importa, invece!» Ammette però Vegeta, che a malincuore è costretto a complimentarsi con me, senza però dimenticare di appellarsi, ancora, alla mia sfacciata fortuna da principiante.
La sconfitta di Vegeta è stata la degna ricompensa per essere stata maltrattata tutto il tempo, da lui e dalla sua degna compare. Prima di chiedere un passaggio per casa, però, chiedo se per caso sua altezza mi concede l’uso del suo bagno.

 

Il bagno è esattamente come me lo sarei aspettato, ordinato come il resto della casa. Tutto nell’appartamento mostra il temperamento di Vegeta, duro e offensivo come un nazista orgoglioso. Persino lo specchio mi insulta, riflettendo l’immagine di una ragazza stanca e stressata. Sistemo i capelli fuori posto e mi accingo a tornare di là, quando noto davanti a me la porta semichiusa della camera da letto di Vegeta!
La voglia di concedermi una sbirciatina è tanta. Talmente tanta da non pensarci nemmeno due volte, così che sto già varcando quella soglia, appropriandomi anche di quel pezzetto sconosciuto di Arensay.
La camera smentisce da subito le mie aspettative: la divisa della scuola è gettata con noncuranza su un letto non rifatto; i libri, impilati sulla scrivania, sulla quale sono accatastati quaderni di ogni sorta. Solo le mensole sui muri sono in ordine, dalle quali brillano le sue vittorie nel nuoto.
Mi giro intorno, tra vecchi dischi e romanzi offesi dalla polvere, noto un volumetto incastrato alla meno peggio nella libreria stracolma. Non è rilegato, tanto basta per calamitare la mia attenzione.
Lo sfilo, e con cura apro la prima pagina. A penna, c’è una dedica a Vegeta da parte di sua madre. Mi stupisco, forse anche a torto giacché suo padre non può averlo trovato sotto un cavolo nell’orto, perché non riesco proprio ad immaginarlo a ricevere le cure amorevoli di una mamma innamorata.
Una mamma che non gli ha nemmeno insegnato come comportarsi con le ragazze, rozzo com’è.
Continuo l’ispezione, ma riesco a leggere soltanto le prime righe “Nell’oriente lontano, dall’unione di Pietra e Sole nacque un giorno uno scimmiotto. Egli crebbe scaltro ed assai forte; percorse il mondo su una nuvola dorata e di nemici fece una mangiata. Un bastone magico brandiva come arma e… “, interrotta dalla voce di C17 che mi richiama in salotto.

 

Il viaggio di ritorno non si prospetta allettante. Invece, per mia gioia, C18 casca addormentata in macchina, come se all’improvviso le avessero staccato la spina.
Mi ritrovo a condividere l’abitacolo con il fratello, con il quale mi vedo costretta ad intavolare un discorso per evitare un silenzio imbarazzante.
«Come vi siete conosciuti voi due con Vegeta?»
«Siamo andati in classe insieme per un po’, poi ci siamo separati alle superiori, ma abbiamo continuato ad andare in piscina insieme.»
«Capisco. Mi chiedo come tu faccia a sopportarlo. O a sopportarli, nemmeno tua sorella è simpaticissima.» Azzardo.
«Lo è invece, ma credo sia gelosa del tempo che Vegeta sta passando con te. Prima il suo tempo libero lo spendeva con lei, ma con questa storia del progetto di scienze lui è sempre con te.» Chiarisce affatto offeso dal mio giudizio sulla sorella bisbetica. Per quanto riguarda me, invece, non posso nascondere una certa sorpresa nell’apprendere che quei due hanno una relazione! Chi mai potrebbe aver piacere di stare con una smorfiosa di quel calibro o con quell’orco di Vegeta?

 

 

 

 Continua…

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Segreti e baruffe ***


seg

Segreti e baruffe

 

___________________________________

 

 

 

«Eh sì, Brown, l’inverno non è affatto finito, arriverà una tormenta come non se ne vedevano da anni!»
«E finalmente potremmo fare i nostri pupazzi di ne…»

 

Spengo la tv: detesto sentire troppe parole appena sveglia. L’unica a non averlo ancora capito è, purtroppo, mia mamma nel suo instancabile cicaleccio. «Tesoro, ti andrebbe di accompagnarmi in quella nuova pasticceria in centro? Dicono i loro bon-bons siano deliziosi.»
«Mi spiace, mamma, ma oggi ho da fare!» In realtà non sarei andata nemmeno potendo, i dolci non sono esattamente il mio forte.
«Esci di nuovo con Yamcha?»

«No, devo finire il progetto di scienze.»
«Oh, deve piacerti davvero molto quel Vegeta.»
«Non dire sciocchezze, per piacere! Siamo costretti a passare del tempo insieme, se solo potessi andrei a comprare scarpe.» Affermo con risolutezza; la serata a casa sua mi è bastata per ridimensionare la poca simpatica che avevo nutrito nei suoi confronti! Affogata nella marea di improperi rigurgitata dalla quella simpaticona della sua ragazza svitata.
«A me pare un ragazzo così affascinante!»
La ignoro, come meritano le sue supposizioni sciocche; a quanto pare Arensay non è l’unico ad aver bisogno degli occhiali, qui, se mia madre ha addirittura l’ardire di considerarlo affascinante. Vegeta ha lo charme di uno scimmia ubriaca. Se ancora non accampo scuse per evitare di trovarmi con lui il pomeriggio, è solo per evitare altre brutte figure con la professoressa di scienze. Certo, ho scoperto di trovare abbastanza spassoso costruire oggetti con le mie mani (cosa di cui non mi ero mai creduta capace), ma con un laboratorio a disposizione, potrei ugualmente fabbricare tutto ciò che voglio senza avere Vegeta tra i piedi! Ho o non ho il più grande scienziato di tutti i tempi come genitore?
«E quelli cosa sono?» Domando, dopo aver notato un arcobaleno di post-it colorati sul frigo. Mia madre chiude la valvola delle sue chiacchiere, giusto il tempo per informarmi dei tentativi dei miei amici di contattarmi, da Chichi a Goku. Manca solo Yamcha.
«Hanno chiamato senza sosta, dovresti proprio richiamarli!» 
Già, dovrei.
Decido che di domenica mattina possono anche aspettare, i miei amici. Dal momento che si sono ricordati presto di me! Avrebbero anche potuto cercarmi ieri sera, invece la mia assenza non è pesato affatto fino a questa mattina.

 

Cerco di rilassarmi tra le bolle che riempiono la mia vasca da bagno. E continuo a pensare a Vegeta; a casa sua, alla serata trascorsa. Al suo rapporto con l’odiosa biondina.
Per colpa di quella mi sono dimenticata di chiedergli a che ora ci saremmo visti; oppure me l’ha detto e l’ho dimenticato?
Mi ripropongo di chiamarlo appena possibile.

 
Trovo il suo numero in elenco che, pensate mi finisce sul piede nel tentativo di digitare i tasti, bere un caffè che mi rovescio addosso e reggere la cornetta tra mento e spalla. Dopo innumerevoli squilli, finalmente quel cafone risponde, e lo accuso un po’ di tutto.
Lui incassa in silenzio, e poi sbotta. «Mi hai forse scambiato per il beota del tuo ragazzo? Se non hai nulla di intelligente da dirmi, faresti meglio a stare zitta, almeno avresti il pregio di sembrarlo.»
«Mio caro Arensay, non sembrerei un bel niente, visto che è una conversione telefonica la nostra. Se resto zitta, sembreresti un cretino a stare al telefono senza parlare.»
La mia risposta lo zittisce per alcuni istanti. «Mi chiami addirittura per cognome? Devo dedurre che hai finalmente riconosciuto la mia autorità.»
Sorrido maligna, perché, ancora una volta, mi stata servita la risposta su un piatto d’argento. «Veramente anche tu mi chiami sempre per cognome.»

Un nuovo mortificante silenzio da parte sua.
«Ad ogni modo oggi non ci vediamo, se mi hai chiamato per quello.» Chiarisce nella successiva frazione di secondo.
«Perché, devi uscire con C18?» Domando maliziosa, giusto per tormentarlo ancora un po’.

«Non sono affari tuoi.»
E quindi sì, dalle sue risposte in differita non posso che arguire i suoi impegni con la ragazza smorfiosa. «Coraggio, ti vedi con lei o no?» Continuo tanto perché, per qualche sconosciuto motivo, si innervosisce a parlare di sé: devo pur vendicarmi del trattamento riservatomi durante la partita a Risiko, che secondo lui ho vinto per pura fortuna, troppo stupida per comprendere le tattiche di gioco.
«No.» Risponde esasperato, ma non gli credo.
«Allora esci con lei, è sicuro.»
«Comunque oggi io e te non ci vediamo.» Ripete e mi richiude il telefono il faccia.
Scimmione che non è altro, lo richiamerei solo per dirgliene quattro. E infatti sono già lì che digito il suo numero, ma all’ultimo minuto un tuono, così forte da sembrare caduto in casa, interrompe la linea e il filo delle mie imprecazioni.
Abbasso la cornetta e prova ancora a comporre il numero, ma la linea è intermittente e cade ogni tre per due. Le mie mani ricompongono, per l’ennesima volta il contatto ormai imparato a memoria, digitando la tastiera con una pesantezza degna di un lottatore di sumo.
Continua a cadere la maledetta!
Nel frattempo mi squilla il telefono in un orecchio e rispondo furibonda. «Che cosa c’è adesso?»
«Bu… Bulma, sono io Chichi! Ѐ un’ora che tento di richiamarti ma hai telefono sempre occupato.»
Vorrei farle presente che se il telefono era occupato, era evidente la cosa non fosse accidentale. Mi limito però a rispondere con creanza, nella ritrovata calma delle mie facoltà mentali, in fondo lei cosa c’entra se è un tuono ha interrotto la linea mentre ero intenzionata ad insultare Vegeta?
«Allora cosa c’è?» Proprio adesso doveva chiamare! Magari, Vegeta esce e io non posso più insultarlo.
La mia acidità la blocca per un istante prima di spiegarsi. «Ecco, eravamo tutti preoccupati per te, ieri sera sei sparita e nella bolgia non siamo riusciti a trovarti!»
«Nemmeno io se per questo.» Nascondo il fatto di non averci affato provato: ero troppo impegnata a tener testa alla smorfiosa da un lato e allo scimmione dall’altra. «Fortuna ho trovato Arensay.» Almeno questo devo riconoscerlo, non fosse stato per quel colpo fortuito, sarei rimasta tutta sola e magari anche costretta a tornare a piede.

 

«Che cosa c’entra Arensay?»
«Cosa vuoi che ne sappia!»
«Chiediglielo.»

 
«Chichi, ma chi c’è lì con te?» Ho distintamente sentito delle voci in sottofondo.
Mente. «Oh, nessuno, nessuno, piuttosto, hai sentito Yamcha per caso?»
«No, perché? Goku ha bisogno di qualcosa per il progetto?» Mi fingo tranquilla, tuttavia mi offende che mi credano così imbecille da prendermi in giro facilmente.
«Oh no è che… ridammi il telefono, razza di cafone!»
«Ciao Bulma, è Crilin! Ci risentimo, ok?»

 
«Restituiscimi immediatamente il telefono!»

 

La voce di Chichi in sottofondo è l’ultima sentita prima che mi venga, di nuovo, sbattuto il telefono in faccia nell’arco di trenta minuti.
Ora sì, che ho un diavolo per capello! Come un toro impazzito ricompongo i numeri, ma nella foga compongo quello di Arensay; allora sono costretta a digitarlo di nuovo. Manco un numero. Riprovo. Salta la linea di nuovo.
Riprovo.
Occupato.
Provo con Goku.
Occupato pure lui.
Scaravento il telefono a terra, lasciando sfogare tutta la mia ira funesta.
Il mio umore non migliora per tutto il resto della giornata. Non sono riuscita a contattare nessuno. Non sono nemmeno riuscita ad insultare Vegeta come avrei dovuto.
L’unica consolazione è stato il progetto di scienze!
Alterata per il risvolto negativo dei miei tentativi telefonici, ho pensato bene di calmarmi cambiando completamente scenario. Così, sapendo che proprio Vegeta avrebbe voluto continuassi da sola, ho provato a lavorare da sola al nostro progetto.
Gli unici risultati soddisfacenti sul mio umore nero.
E quell’idiota di Yamcha è disperso come gli altri.
Ѐ con lo stesso cattivo umore che arrivo in classe il giorno seguente, decisa a far luce su tutta la questione delle intercettazioni telefoniche.
Quando arrivo, noto subito che Yamcha non è al suo posto, fortuna per lui non è ancora qui, altrimenti sarebbe stato il primo a beccarsi uno schiaffo.
Purtroppo, essendo in ritardo come al solito, sono costretta a prendere posto e a rimandare la ramanzina ai miei amici.
Mentre mi siedo mi accorgo che Chichi freme dal dirmi qualcosa; mi fa segno lo scriverà su un pezzo di carta. Missiva finita, tenta di lanciarmela con scarsi risultati, così finisce accanto alle scarpe bianche di Arensay.
«Passala a Bulma!» la sento sussurrare inutilmente, perché Vegeta, raccolta la pallina, si sta già impicciando dei nostri affari. Vedo i suoi occhi seguire riga per riga ciò che la mia amica mi ha scritto.
Nel frattempo, ecco Yamcha fare capolino in classe, e tra un “buongiorno professore” e un “scusi per il ritardo”, si appresta a raggiungere il proprio banco.
Quindi, Vegeta solleva lo sguardo, appallottola il pezzo di carta e lo lancia, niente meno che in faccia Yamcha!
«Era per me!» Gli sussurro contro, in urlo strozzato e irritato.
Le mie parole vengono però sopraffatte da un «Ma che cavolo fai, Vegeta!»
«Ti paleso la tua idiozia.»
«Che cosa?» Si altera a quel punto il mio ragazzo, a ragione. «Ripetilo se hai il coraggio.»
«Ragazzi, sedetevi!» Li richiama il prof.
Vegeta si alza in piedi, Yamcha è una spanna più alto di lui.
«Ragazzi, sedetevi ho detto!»
«Idiota.» Ripete con più convinzione, meritandosi uno spintone che lo manda dritto a rovinare contro il proprio banco. A quel punto, colpito nell’orgoglio, torna in piedi e come un orso infuriato lancia un pugno al naso dell’avversario.
Ѐ un attimo e scoppia una baruffa senza eguali, scandita dai richiami ignorati del professore.
Mezz’ora dopo, ecco Arensay che torna dalla presidenza, da solo, annunciando alla classe che «L’altro è in infermeria.»
Raggiunge il banco fulminato dalle mie occhiatacce, seguito dagli sguardi sorpresi degli altri compagni.
Che razza di animale prenderebbe a pugni a quel modo un'altra persona? Gratuitamente, per giunta.
La sua strafottenza e tracotanza mi disgustano.
Mi accorgo che Chichi sta scrivendo un altro bigliettino, e mi appresto a riceverlo credendolo indirizzato a me, dopo quello che è appena accaduto, merito una spiegazione.
Invece, resto delusa, perché la nuova missiva è lanciata dritta, dritta in direzione di Vegeta. Il quale nemmeno la apre, la posa in un angolo del banco e si mette a seguire la lezione.
Eh no!
Sbatto i pugni sul banco.
«Signorina Brief!»
Ignoro il professore, e mi lancio alla volta sbigottito Arensay, il quale si vede rubare la missiva da una bisbetica infuriata.
La apro.
«Brief, se non torna al suo posto, spedisco anche lei in presidenza!»

 

 “Non capisco perché ti sei immischiato, ma stai pur certo che le racconterò tutto quanto!”

 

 

Continua...

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Riders on the storm ***


tg

Riders on the storm

 

__________________________________

 

 

 

 

«Brief, non ci si metta anche lei: torni al suo posto!»
La voce turbolenta del professore mi riporta in classe. Ficco il foglio in tasca e con estrema lucidità annuncio: «Mi scusi, devo correre in infermeria; dopo, se vorrà, andrò anche in presidenza.»
L’uomo mi guarda interdetto per una frazione di secondi, ed io ne approfitto per defilarmi. 
La suola delle scarpe scivola sulle piastrelle di granito grigio, non vi bado e corro a più non posso per arrivare a destinazione: se c’è qualcuno che mi deve una spiegazione, quello è solamente Yamcha.
Non sono una stupida, e onestamente sono stufa di passar per tale. 
Ignoro quale sia la verità, ma di sicuro mi stanno nascondendo qualcosa… poi l’insulto che Arensay ha proferito dopo aver letto il primo messaggio la dice lunga.

Spalanco la porta dell’infermeria, riprendo fiato, e mi butto dentro come una furia.
«Buongiorno!» Mi riprende l’infermiera confusa, squadrandomi da capo a piedi per controllare se il mio irrompere può essere giustificato da un’emergenza.
Rimane delusa, una volta decretato a se stessa che non ho nulla di rotto. «Ha bisogno di qualcosa?» chiede irritata.
«Devo parlare con lui.» Le indico Yamcha. L’unica scusa che ha per non guardarmi è il premersi un tampone nel naso.

«Beh, non ho ancora finito qui, può aspettare in classe quindi.»
«No, non posso aspettare. E’ sorda forse?»
«Ma come si permette?»
Iniziamo così un bisticcio verbale, che ovviamente, si conclude con me fuori dall’infermeria. Ѐ a braccia incrociate, imprecando a mente, che mi metto ad attendere in corridoio il mio ragazzo.
La porta è semichiusa, quindi lo sento distintamente rispondere. «Sì, era bello grosso quello mi ha colpito.»

Bugiardo, Vegeta è sì e no poco più alto di me!
Non appena esce, però, dovrà vedersela con qualcosa di grosso davvero: la mia collera. Nemmeno vedere la neve che scende fuori dalla finestra serve a mettermi di buon umore.
«Allora?» Lo attacco subito, senza perdere altro del mio prezioso tempo.
«Allora cosa?»
«Allora, perché Arensay ti ha dato dell’idiota dopo aver letto quel foglietto?»
«Perché è un sociopatico!»
Stringo in tasca il foglietto che ho rubato ad Arensay. Lo accartoccio nel pugno, ma poi decido di non tirarlo fuori. Sono curiosa di sapere dove l’idiota qui presente ha intenzione di arrivare.
«Non credo, lo conosco.» Sentenzio saccente. «Non fa mai nulla per nulla, poi figuriamoci fare quella figura in classe, se non fosse stato per nulla.»
«Evidentemente è geloso che io sto con te.»
«Né dubito.»
«E perché? Sei così carina!» Ci prova il provolone, a spegnere il mio nervoso.
«Smettila di cambiare discorso. Che cosa voleva Vegeta da te e Chichi?»
Il silenzio che scende tra noi è tale che quasi potrei sentire i fiocchi di neve attaccarsi agli alberi. Allora tiro fuori la prova del misfatto.
«E questo cos’è?»
Yamcha sbianca più del muro alle sue spalle. «L’hai letto?»
Chiede, confermandomi che dietro c’è effettivamente qualcosa che non dovrei sapere.
«Certo che no!» Dal momento che non sa nulla del secondo messaggio, penso bene di fingere sia il primo, quello che gli sto sbandierando davanti. Inoltre, sono stufa di tutte queste bugie, vorrei sapere la verità senza dover mettere nessuno alle strette.
«Perché no?»
«Perché vorrei me la dicessi tu la verità!» Mi esaspero. Possibile non abbia un minimo di intuizione?
Aspetto un istante prima di piantarlo in asso.
«Aspetta!»
«Sto aspettando.» Il mio tono di voce non ammette un altro silenzio.
Eppure è questo ciò che ottengo. Stringo quel dannato messaggio tra le mani, poi lo strappo e lo getto all’aria, sparendo tra coriandoli di bugie.
Yamcha cerca di rincorrermi ma scappo nell’unico posto in cui non può raggiungermi: il bagno delle ragazze. Mi chiudo dentro e ci resto, fino alla ricreazione. E al diavolo l’ora di lettere!
Un rubinetto che si apre è l’interludio alle chiacchiere tra due ragazze starnazzanti.

 

«Ehi, hai sentito cos’è successo? Pare che Wolf e Arensay se le siano date di santa ragione, per colpa della Brief!»
«Arensay?»
«Ma sì, lo sfigato del quinto D, quello che legge sempre, tutto solo. Pare sia andato a letto con lei…»
«Cosa?!»
«Sì, così questa mattina Wolf l’ha preso a pugni mandandolo in infermeria. Me l’ha appena raccontato Marion che glielo ha detto Wolf in persona.»
«Ahah, non ci credo miss “Ce-l’ho-solo-io” e quello sfigato di Arensay!»

 

Al secondo sfigato mi altero, perché non è affatto vero quello che si dice sul suo conto, lo so che non è così! E poi è stato lui a rompere il naso a Yamcha non il contrario, inoltre io sono una che la dà. Odio che si mettano in giro voci fasulle anche sul mio conto.
«Brutte oche, come vi permettete» Ma lo domando al vento, poiché sono tornata ad essere sola, mentre la campanella suona la ricreazione e la fine del round.
A questo punto non mi resta che uscire da qui, tanto sono sicura che Yamcha sia sparito in classe.
Non torno dai miei amici, ma vado direttamente in presidenza. Non che abbia una voglia matta di costituirmi, ma voglio scappare da tutti i miei amici e mi sembra l’unica scusa plausibile.
Poi conosco il signor Popo, il professore di lettere, mi adora al punto che il tutto sfumerebbe in un’alzata di spalle e in un sorriso sbilenco. Di fare di nuovo la figura della raccomandata davanti a Vegeta e dargli la spinta per prendermi in giro non mi va punto.

 
“Preside Professor Satan”, c’è scritto sulla targhetta d’ottone, talmente lucida da potersi specchiare, talmente altisonante da palesare la tracotanza di Satan.

Un professore sarebbe stato più che sufficiente.
«Allora signorina.» riordina delle scartoffie tossicchiando. «Chi la manda?»
«Nessuno, tecnicamente mi sono mandata da sola.»
«Allora suppongo sia qui per il giornalino della scuola!»
«Ma no, sono qui perché sono uscita di classe senza permesso.»
«Come mai è uscita?» Chiede confuso.
«Perché il mio ragazzo era in infermeria.»
«Quindi lei, ha deciso di raggiungerlo per sincerarsi delle sue condizioni.» Arguisce, tutto soddisfatto della proprio arguzia. Si alza per sistemare le veneziane alle finestre.
«No, affatto.»
«Come sarebbe no?»
«Perché il pugno se lo meritava.»
«Uhm… strano, è la stessa cosa che ha detto quell’altro…» Si schiaccia contro il muro, diventando un tutt’uno con la carta da parati color chachi. «Ih, sarete mica parenti?»
«Ma che le viene in mente! Io mi chiamo Brief, non sono imparentata con quel cafone di Arensay!»
«Ah ah, sì lo so, stavo solo scherzando.» Chiarisce in una risata sguaiata e fuori luogo. «Allora per quale motivo è qui?» Finge di sistemare alcune cartelle.
«Perché merito di essere punita! Non ho intenzione di tornare in classe senza una punizione.» M’impunto quasi a strapazzarlo verbalmente.
«A… allora, che ne pensa di restare qui, dopo la scuola, insieme a quell’altro?»
«Quale altro?»
«Arensay…»
Mi fermo a rifletterci sopra, prima di accettare quella che ha più le vesti di un accordo che di un richiamo disciplinare. Se restassi con lui, magari potrei anche sapere cosa diavolo c’era scritto sopra quel benedetto foglio di carta!
Quando torno in classe trovo proprio lui, Vegeta, rosso dalla vergogna, mentre decanta una poesia alla classe su richiesta del professore. Non sembra lui quando arrossisce!
Chi lo avrebbe mai immaginato?
Tornata al mio banco, non posso fare a meno di ascoltarlo rapita dal tono della sua voce. Riesce quasi a essere bello, se non sprecato a proferire insulti.
Il tono, mica Vegeta.

 

Alla fine delle lezioni vengono raggiunta da una serie sconclusionata di spiegazioni. Solo in quel momento, vedendo tutti i miei amici lì, mortificati davanti a me, mi accorgo dell’assenza di Yamcha. E vengo subito informata che l’esagerato ha preferito tornarsene a casa per via del naso dolorante.
Mentre i miei amici tolgono, per l’ennesima volta, la parola a Chichi con il loro vociare sconnesso, Vegeta passa loro dietro e mi ricordo di avere una spiegazione in sospeso con lui.
«Vegeta!»
Lo chiamo correndogli dietro, chiamata a mia volta dagli altri, sono però decisa a conoscere il motivo della sua intromissione. Ansiosa di annunciargli che passeremo un altro pomeriggio insieme, tanto per indispettirlo.

 

 

 La mensa brulica di ragazzi rimasti a scuola per il rientro. Mi faccio largo tra di loro, finché non lo scorgo seduto tutto solo a un tavolo in fondo alla sala.
«Ciao! Sono stata punita come te e quindi resto qui anch’io. Contento?»
«Moltissimo.» Bofonchia sarcastico addentando un tramezzino.
«Beh, allora lascio lo zaino qui mentre faccio la fila!»
Un grugnito è tutta ciò che riesco ad ottenere in risposta.
Al mio ritorno non trovo né il mio zaino, né Vegeta, che maledico con tutta me stessa.
«Ѐ sotto il tavolo, il tuo zaino!» Mi arriva in aiuto proprio lui, cui erano rivolti tutti i miei improperi.
«Ma sei scemo? Meno male che ti avevo chiesto di controllarlo! E se qualcuno ci avesse rovistato dentro, eh? E poi dove eri finito?» Chiedo lecitamente, giacché il suo vassoio sporco è ancora abbandonato al suo destino, anziché essere stato riportato al deposito.
«A fare una telefonata.»
«A C18?»
«Affari miei.»
«Allora, di grazia perché mi hai detto di aver chiamato qualcuno, se avevi già intenzione di farti gli affari tuoi?»
«Perché ho scoperto che infastidirti mi diverte.»
Alzo un sopracciglio.
«Figurati, sai che m’import.» Mi rode in realtà non saperlo, ha indovinato.
Per semplice curiosità, non per altro. Decido di lasciar cadere il discorso, almeno smetto di dargli soddisfazioni.
«La mangi quella?» Indica la mia crostata, che è già finita nella sua bocca prima di finire la frase. Un pugno sul torace per mandare giù il boccone, e via, mi lascia da sola come una scema.

«Vegeta, aspettami! Devi fare sempre così?» Lo rincorro, zaino in spalla.
«Ѐ tardi.»
«Oh non ricomincerai con la tiritera del tempo, vero? Ma C18 non ti dice mai nulla?» Ed è questo il punto in cui ottengo tutta la sua irriverente attenzione.
«Vuoi smetterla di nominarla sempre? Inizi ad irritarmi davvero.»
«Perché t’infastidisce parlare di lei? Avete litigato forse?»
Risistema gli occhiali sul naso, aggrotta le sopracciglia. «E tu perché ne hai tanta voglia, sei gelosa forse?»
«Certo che no! Come ti viene in mente un sciocchezza simile?»
«Allora lasciami in pace.»

 

Sono le tre e mezzo e di Vegeta neanche l’ombra e mi sto annoiando da morire, tutta sola. Ha fatto di tutto per fuggire la mia compagnia. Mi chiedo dove si sia cacciato… è più di un’ora che lo cerco, non vorrà mica lasciarmi fare tutto il lavora da sola? Quel cafone ne sarebbe capacissimo.
Mi fermo davanti alla piantina della scuola, con sopra indicati i percorsi da fare secondo le varie catastrofi. Facendo un rapido calcolo, il primo e il secondo piano sono da escludere: il biennio starà sicuramente facendo lezione. Quindi, mancano i piani dal triennio in su. 
Rivolgo un’occhiata veloce al corridoio sul quale mi trovo adesso, reso cangiante dal riverbero della neve, oltre le finestre.
Queste aule le ho visitate tutte e lui non c’è. 

Mentre mi chiedo in che classe possa essere, un’idea non tanto bizzarra mi piomba in testa.
Così attraverso il porticato circondato dalle grandi vetrate intarsiate. E mi ritrovo davanti alla porta lunga, altra e stretta della biblioteca. Il cigolio dei suoi chiavistelli mi annuncia nella sala quando varco la soglia. Un odore di muffa e carta vecchia mi prude nel naso, camminando tra scaffali stracolmi di volumi polverosi e vecchi che mai nessuno aprirà. Parole silenziose perse nel tempo.
Trovo Vegeta nella sala di lettura, chino sullo scrittoio di mogano, proprio nel mezzo.
Ad una rapida occhiata mi accorgo di essere soli. Silenziosa mi avvicino a lui e gli spengo la lampada.
«Ancora tu!» É la sua esasperata meraviglia.
«Ma non dovevamo vederci più?» Gli sorrido ma non capisce. «Come diceva la canzone!»
Per tutta risposta riaccende la lampada; torna alla lettura di… «Chimica?»
«Se invece di perderti oltre lo specchiocome diceva il libro, ti sforzassi di prestare attenzione a ciò che accade in classe, sapresti che dopodomani abbiamo il compito.» M’informa sputandomi addosso quella frase come fosse un’unica parola.
«Il compito?! Quando è stato detto?» Cado dalle nuvole, altro che specchio.
«Solo una settimana fa.»
Una settimana fa nemmeno ci conoscevamo così, io e lui.
«Visto che non mi ascolti…»
«Aspetta! Posso studiare con te?» Lo preferisco, piuttosto che restare da sola.
«Non puoi.»
«Ti ricordo, Arensay, che per colpa del tuo scherzo quell’arpia dell’insegnante di scienze mi ha preso di mira e adesso ho tutti voti bassi.»
«Non mi sembra che ti stia impedendo di studiare, in uno spazio così ampio per giunta.» Allarga un braccio per la sala circolare. Ci troviamo al suo centro, e, tra le grandi scalinate di marmo che abbracciano i muri, ci sono ben tre file di lunghi scrittoi con un lampada per posto.
«Ma perché devo stare da sola, quando posso stare con te?» Oggi ce la sta mettendo tutta per evitarmi.
«Perché non voglio la tua compagnia!» Raccoglie le proprie cose, mentre io incasso il colpo. Si dirige verso il soppalco, occupa un posto lì per chiudersi nella sua ostinata indifferenza.
A questo punto, per dispetto, decido di infastidirlo al fine di riottenere la sua attenzione. Mi siedo.

Le gambe della sedia sbattono contro il pavimento ad ogni mio dondolio.

Stlak.

Stalk. 

Stlak.

 

«Ti stancherai prima tu.» Mi fa presente il mio compagno, dalla sua rocca della solitudine
«Allora come mai hai sentito il bisogno di farmelo notare?» All’improvviso sento uno scatto diverso: quello di un libro che si chiude; seguito da una sedia strusciata sul pavimento.
Arensay si affaccia alla balaustra.
«Perché non mi lasci stare?»
«E tu, perché mi lasci stare?»
Stiamo quasi urlando, fortuna che nessuno, a parte lui, ha sentito il bisogno di rintanarsi qua dentro.
«Perché, dovrebbe essere altrimenti contrario? Tu ed io non siamo nemmeno amici.»
Un insulto sarebbe stato meglio di questa frase, chi l’ha detto che non siamo amici? Tutti voglio essere amici miei.
«Allora per quale motivo mi hai invitato a casa tua, sabato?»
«Ti ha invitato C17, non io, e non l’ho fatto per ovvie ragioni.»
«Allora perché hai preso Yamcha a pugni, se non siamo amici?» Ed ecco che arrivo al nocciolo della questione, se gli fossi stata del tutto indifferente, non avrebbe reagito così. Il problema è capire perché. Il mio udito si tende in attesa delle sue parole, la mia fronte corrucciata è pronta a distendersi alla verità, che non arriva se non dietro la risata di Vegeta.
«Credi davvero che l’abbia fatto per prendere le tue difese? A quanto pare non sono ancora riuscito a farti abbassare la cresta, Brief!»
Faccio un passo indietro, lasciando cadere la sedia alle mie spalle. Vegeta non è mai stato il massimo della simpatia nei miei confronti.

«Allora il vero motivo quale sarebbe? Un po’ di moto mattutino?» Vorrei che la mia voce risultasse ferma, invece trema per la stizza.
«L’hai anche chiamato idiota!» Rinforzo la mia inquisizione.
Entrambi veniamo sopraffatti dal silenzio. Vegeta mi osserva da dietro le spesse lenti dei suoi occhiali da vista, il riflesso della luce rende difficile scorgere suoi occhi nascosti da esse, ma sento comunque il suo sguardo su di me.
«L’idiota, per l’appunto, cosa ti ha raccontato?» Domanda, cambiando le carte in tavola.
«Nulla.»
«Come sarebbe? Non romperesti così tanto se fosse per nulla.»
«Rispondi alla mia domanda ed io risponderò alla tua!»
Ruota la testa, annoiato. «Dimmi prima cosa ti ha detto.»
«Uffa, nulla! Sto aspettando che mi dica la verità; gli ho mostrato il biglietto che ti ho rubato, e gli ho fatto credere che fosse il primo messaggio di Chichi. Gli ho detto di non averlo letto, e che se mi avesse confessato tutto, prima che io potessi farlo, l’avrei perdonato.»
Vegeta rimugina, assente, sul senso delle mie parole, finché le sue labbra non si tirano in un sorriso di metallo. «Sei proprio una stupida a credere che la verità basti.»
Non apprendo a pieno il senso delle sue parole, ma io sono sicura delle mie ragioni: se Yamcha mi raccontasse cos’è accaduto veramente, riuscirei a fidarmi di lui. «Non è vero che non basta.»
«Basterà a perdonarlo questa volta. Quindi lo rifarà di nuovo, confesserà, e via daccapo, così all’infinito. Che stupida che sei!» Se non mi avesse offeso, non sarebbe stato da lui, suppongo.

Le sue argomentazioni sono uno schiaffo alle mie certezze, ma prima che riesca a formulare un nuovo punto di vista, ecco che mi stupisce. «Sei impressionante, da far quasi pena.»
«Mi prendi in giro?»
«No.»
Penso non sia mai sembrato più serio in vita sua. Questa conversazione mi sta esasperando.
«E allora tu come ti comporteresti al mio posto?»
Fa spallucce. «Non sarei proprio arrivato al tuo posto. Inoltre, non mi sarei mai messo con un simile idiota.»
Non stento a crederlo.
Solo allora lo vedo abbandonare la sua roccaforte, e discendere le scale per venirmi vicino. «Non credi sia ironico, dopotutto?» Sice mentre mi sorpassa per rimettere a posto un libro.
«Cos’è ironico?»
«È da quando sei arrivata, che mi trituri per sapere il perché del mio comportamento, mentre per l’altro aspetti che sia lui a dirtelo.»
«Non crederti importante, mio caro, è solo perché trovo divertente infastidirti!»
Si gratta il collo, piegando il capo leggermente di lato. Si volta verso di me. «In realtà non credo ti interessi poi molto il suo punto di vista. Ammetilo.»

«Questo non è affatto vero!»
«Scommetto ti ha infastidito di più il fatto sia rimasto zitto, senza prendersi le proprie responsabilità ha lasciato che gli eventi si susseguissero» Continua impertinente, come se stesse pensando ad alta voce.
La verità è che non sta sbagliando. Affatto. Per una volta, avrei preferito non mettere Yamcha alle strette, come mi ritrovo a dover fare tutte le volte. Invece si è eclissato per giorni, fino al suo arrivo in classe. Quando avrebbe potuto chiamarmi domenica mattina, come tutti i miei amici.
«Comunque, ti aiuto in chimica e poi tu la smetti di infastidirmi.»
Così mi concede la sua benevolenza, con il suo particolare modo di stringere accordi. Rimaniamo a studiare, e resto affascinata dalle sue spiegazioni così semplici.
Ѐ rimasto mio, scappando solo alle sei e mezza, quando poi si è alzato senza concedermi di ribattere, lasciandomi da sola con qualche formula in testa.

 

Quando esco dall’edificio, è con sgomento che noto il mio scooter sommerso dalla neve.
Da un metro di neve.
Cerco di liberarlo, scavando con le mani che si arrossano proporzionalmente al mio sconforto, finché non vengo illuminata dai fari di una macchina.
«Allora? Ti decidi a entrare o vuoi passare la notte lì?»
Non me lo faccio ripetere due volte e, contenta come non mai di vederlo, mi precipito a dargli retta.
«Grazie! Non sai quanto tu mi sia stato d’aiuto!»
«Non fraintendere, non volevo averti sulla coscienza.»
Questa volta la sua discutibile ironia non mi tocca, e gli rivolgo un sorriso smagliante come la neve.
Il nostro tragitto viene interrotto da un coagulo di traffico per colpa del maltempo. La prospettiva di tornare a casa in tempo per la cena resta ferma con me, davanti all’imbocco di un ponte.
Mi volto per chiedergli secondo lui tra quanto tempo potremmo riprendere il cammino, ma poi non gli dico nulla. Mi sorprendo a studiare i lineamenti del suo volto corrucciato libero dagli occhiali che sta pulendo con un lembo di maglia.
Non è poi così brutto.
«Smettila di fissarmi!» Mi ordina, bisbetico, e accende la radio per evitare di conversare.
 “…sso; Virgin Radio”Annuncia una voce contraffatta.
«Questa è la stessa stazione che ascolto sempre io!»
Vegeta alza il volume sulla prossima canzone, “Riders on the storm”, mettendomi a tacere.
«Questa canzone è perfetta per la situazione!» Esclamo imperterrita nel mio romanticismo, ma lui alza ulteriormente l’audio.

 

Girl ya gotta love your man,

Take him by the hand

Make him understand

 

«Ma la smetti di zittirmi, perché ti ostini a non parlarmi?»

 Our life will never end,

Gotta love your man, yeah

 

«Non mi va di perdere tempo a conoscerti.»

 

Riders on the storm

 

 

 

 

 
Continua…

 

 

*la canzone è “Riders on the storm” dei Doors, mi è sembrata appropriata!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** A letto insieme ***


a letto

A letto insieme

 

_________________________________________

 

 

 

«Non mi va di perdere tempo a conoscerti.»

La sua risposta mi coglie alla sprovvista: che cavolo vuol dire? Per quale motivo, approfondire la conoscenza di qualcuno deve essere una perdita di tempo?
«Ti ricordo che sei stato tu a darmi un passaggio fino a casa, se non volevi perdere tempo, avresti potuto evitare!»
«Tsk, con tutta quella neve non avresti resistito nemmeno mezz’ora. Mi manca solo di averti sulla coscienza.»
«Beh grazie mille, allora!» Sbotto, incollerita.
Mi sorride. «Più che altro non credo sarebbe valsa la pena… avere guai a causa tua.»
«Se non passi per un duro, non sei contento.» Puntualizzo. «Se fosse davvero come dici non avresti bisogno di rimarcare il concetto, dico bene?»
Rialza il volume, come a dire che la conversazione è finita in un trionfo, il mio! Sarebbe tuttavia un errore considerare il battibecco concluso qui. Perché, infatti, Vegeta ci tiene davvero molto puntualizzare la sua antipatia nei miei confronti. Così, dopo averlo ringraziato per aver abbassato il condizionatore non manca ovviamente di dire non fraintendere, sentivo caldo anch’io.
«Ma certo, non preoccuparti, mio caro, non c’è alcun rischio ch’io ti consideri un gentleman!» Lo canzono, e scoppio a ridere.

 

La neve continua a scendere copiosa, bloccando la città e noi in mezzo al traffico.
Poggio la testa sul vetro, la superficie fredda è talmente liscia che quando ruoto la fronte su di essa mi sembra spigolosa. 
Sulla carreggiata si vedono i solchi lasciati dalle auto, e le luci dei lampioni non riescono a illuminare la via, costellata da leggeri bagliori rossi e gialli provenienti dalle automobili.
E’ un piacere godersi lo spettacolo di questo tempo all’interno di un confortevole abitacolo, ma la piacevole atmosfera è rovinata dal silenzio di Vegeta. E non gliene importa un accidenti! Chiunque si sarebbe sentito in imbarazzo a stare così zitto in compagnia di qualcuno, lui, invece, pare quasi pregarmi di restar zitta.
Un rumore secco contro il finestrino mi distoglie dalle mie riflessioni: un poliziotto molto attraente vorrebbe abbassassimo il vetro.
Vegeta rivolge all’uomo un’espressione dubbiosa e scocciata, come a dire “che cavolo vuoi?”
«Scusate ragazzi, stiamo cercando di accertarci che state tutti bene e vorrei anche approfittare per ragguagliarvi sulla situazione.»
Le folate di vento gli formano una gobba d’aria sulla schiena, coperta da un impermeabile di plastica blu, e il bavero gli sbatte sulla bocca mentre parla.
«Stiamo bene.» Esclama Vegeta spiccio, e avrebbe richiuso subito il finestrino, se il poliziotto non glielo avesse impedito sporgendosi ancora di più dentro l’abitacolo. A quanto pare non ritiene ancora di aver detto abbastanza.
«Stiamo facendo del nostro meglio per gestire il traffico, ma la situazione, purtroppo, è ancora in stallo.» Annuncia, aggrappando le dita inguantate allo sportello e resta in attesa di domande ma Arensay si limita a fissarlo annoiato, quasi con disgusto. 
Così, schiocco la lingua sul palato e decido di prendere in mano la situazione.
«Cosa sta succedendo, agente?» Esorto, scostandomi una ciocca di capelli dal viso. «È più di un’ora che siamo in fila!» Mentre parlo poggio, inavvertitamente, una mano sulla coscia di Vegeta, che arrossisce; lo sento irrigidirsi, sia per il mio tocco, sia per il poliziotto, il quale gli sta alitando in faccia il caffè appena bevuto. 
Tolgo la mano alla svelta, non vorrei provocargli un’erezione!
«C’è stato un tamponamento all’imbocco del ponte.» Racconta l’agente, distogliendomi dai miei vanitosi farneticamenti. «Di solito sarebbe cosa da niente, ma oggi dato il clima sta diventando un’impresa, anche perché il carro attrezzi fatica a raggiungerci.»
«Ehm…Capisco e quanto crede ci vorrà, più o meno?»
L’agente dell’ordine si prende il mento tra due dita, come a raccogliere i suoi pensieri da quel punto e, in una nube di vapore dice:
«Tra un paio d’ore dovrebbe essere tutto risolto, credo.»
«Tra un paio d’ore?» S’intromette allora Vegeta, «Sta scherzando?»
«Affatto giovanotto, purtroppo non dipende da noi: la situazione è quella che è; vorrà dire che, con la sua ragazza, passerà una serata romantica in strada.» Ironizza, convinto di essere simpatico. Come se non fosse abbastanza evidente che, io, non potrei mai stare con Vegeta! Insomma, dopo aver conosciuto la sua ragazza, è ovvia una totale mancanza di gusti da parte sua.
«Lei non è la mia ragazza!» protesta Arensay, addirittura sdegnato.
«Ah ah, allora se fossi in te inizierei a farci un pensierino, perché passerete molto tempo insieme!» strizza l’occhio e va via, lasciandoci esterrefatti per una simile uscita.
«Beh? Si può sapere perché hai fatto quella faccia quando ha assunto che stessimo insieme?» Attacco, battagliera.
«Perché mi pare evidente che non potrei mai stare con una tipa rozza come te!»
«Davvero, rozza? Semmai troppo poco rozza, se pensiamo alla finezza della tua ragazza.»
«Quanto meno lei avrebbe avuto la decenza di non flirtare con quel poliziotto!»
«Io non ho flirtato affatto!»
«Se ti ha guardato le tette per tutto il tempo, sbottonata come sei!» Mi indica la camicetta della divisa scolastica, che effettivamente avevo sbottonato per il caldo nell’abitacolo.
«Beh non è colpa mia se sono una bella ragazza!» Puntualizzo, offesa per queste sue terribili illazioni. «Per chi accidenti mi hai preso? Ora non si può nemmeno più parlare.»
«Sono state chiacchiere inutili, le vostre. La conversazione era già finita al “tutto apposto”»
Ancora un volta mi ritrovo a sorridergli maligna, pregustando l’ennesima vittoria. «Sai, se non fossi così sicura del tuo paventato disgusto nei miei confronti, si direbbe quasi che tu sia geloso, Vegeta!»
Toglie gli occhiali e li posa sul cruscotto; si stropiccia gli occhi, stanco di questi nostri diverbi, poi, una volta rimessi gli occhiali, domanda: «Che t’importa di cosa penso di te?»
«Nulla, ti stavo solo prendendo in giro!» Biascico. «Il ragazzo ce l’ho già, ed è più bello di te!»
«Adesso che lo so, mi sento meglio.» Continua con sarcasmo. «Ma è giusto rimarcare le ovvie qualità di quell’idiota, altrimenti si potrebbe pensare sia un’idiota e basta.»
«Ehi, come ti permetti!» M’infiammo. «Dovresti smetterla di chiamarlo così, se poi non ti prendi la briga di spiegarmi perché ti interessa tanto considerarlo tale! Poi capirai, non mi pare la tua spicchi per altre qualità, oltre al suo dubbio charme.» Affetto e  mi schiaccio contro il finestrino, in attesa della reazione di Arensay; reazione che, stranamente, non arriva.
Piuttosto, resta zitto nel suo angolo e , dal suo silenzio, mi guarda come se avesse capito che questo suo atteggiamento potesse infastidirmi più di una risposta.
Ad ogni modo non mi va di passare in questo modo tutto il tempo che siamo costretti a condividere. Così spezzo una lancia in favore di una tregua, e cambio argomento. «Ahm… sai che ieri ho quasi finito il nostro progetto?»
Mugugna qualcosa, poco interessato alle mie parole.
«Hai capito cos’ho detto? Ho lavorato da sola!» Rimarco imperterrita.
«Buon per noi.» Mi concede, fisso sulla strada innevata.
«Come sarebbe, buon per noi?»
«Che accidenti vuoi, un biglietto per Stoccolma? Credevo ci fossimo già accordati che avresti lavorato da sola per buona parte del tempo.»
«Ma non ti stupisce che abbia fatto tutto da sola, senza l’aiuto di nessuno?»
«Non vedo perché dovrei stupirmi per così poco.» Finalmente, sposta lo sguardo su di me, e con molta ironia aggiunge: «O stai forse ammettendo di essere una stupida?»
E adesso sono io a stupirmi. «Ovviamente no. Volevo solo avvertirti che il progetto sta andando a gonfie vele.» Riaggiusto il tiro, adesso contenta: a quanto pare, crede davvero che io sia una ragazza intelligente! O mi sta ancora prendendo in giro?
Cerco di studiare i suoi lineamenti, per scorgere una qualche risposta. Ho capito che, a parole, non otterrei alcuna ammissione diretta da parte sua. Per mia sfortuna però, procediamo in avanti con la macchina perdendo la luce del lampione sotto cui ci trovavamo. Al buio, non vedo che il suo profilo silenzioso.

 
Welcome to the…”

 

«Che succede!?»
Scatto con il cuore in gola, a momenti non mi veniva un infarto; abbasso il volume altissimo.
Arensay è affianco a me che sghignazza.
«Ma sei scemo? Che cavolo t’è preso?» Domando, devo essermi addormentata durante il tragitto e lui non può che aver trovato estremamente divertente svegliarmi in questo modo barbaro.
«Siamo arrivati.» E con il mento indica il vialetto di casa mia.
«Ah, ma che ore sono?» Chiedo ancora frastornata.
«Nove e mezzo»
Butto un occhio sulla facciata di casa, le luci sono tutte spente. «Non c’è nessuno.» Deduco.
«Beh ci vediamo, Brief.» Mi saluta Vegeta, sporgendosi verso il mio sportello che apre. Una sferzata di aria fredda mi irrigidisce al mio posto.
«Ehi, ma hai capito cos’ho detto? Sono da sola!»
«E quindi?»
«E quindi, vieni a stare con me finché i miei non tornano. Non ci sto da sola in casa con questo tempaccio, potrebbe essere pericoloso! Qualche malvivente potrebbe approfittarne.»
Solleva un sopracciglio titubante. «Immagino ogni ladro vorrebbe approfittare di una tormenta di neve.»
«Certo! La polizia potrebbe avere problemi ad arrivare.»
«Credo che anche loro avrebbero lo stesso problema. Ci vediamo.» Rimarca il concetto che è ora di smammare.
«Se prima hai detto di avermi dato un passaggio per mettere la coscienza a tacere, non ti pare di venire meno al tuo buon proposito se adesso lasciassi una ragazzina indifesa come me, tutta sola in una casa tanto grande?»
«Chiama il tuo ragazzo.»
«Non posso, primo perché, mi pare abbiamo entrambi decretato che nessuno verrebbe in strada con questo tempo, e secondo perché, abbiamo litigato.» Argomento, senza rendermi conto di essermi data la zappa sui piedi da sola.
«Allora, se abbiamo decretato che nessuno verrebbe per strada con questo tempo, non dovresti aver paura a restare da sola in casa.» Ragiona di rimando.
«E va bene, fai come accidenti ti pare, Vegeta! Resterò da sola, e se dovesse accadermi qualcosa sarai l’unico responsabile!» Risolvo infine, e dopo averlo mandato a quel paese, gli sbatto la portiera in faccia.
A gran passi arrivo al portone della mia abitazione; sono talmente furiosa che nemmeno mi accorgo del freddo pungente. 
Impreco: non riesco a trovare la chiave, né i lampioni sono forti abbastanza da illuminare la mia ricerca. Butto tutto a terra e inizio a cercarla nello zaino, con le lacrime che prepotenti mi bussano sugli occhi. Restare da sola! Cosa gli costa farmi un po’ di compagnia? Possibile gli faccia così ribrezzo? Ma mentre sono in preda ai singhiozzi, Vegeta ritorna sui suoi passi, meglio, sulle mie impronte lasciate per il vialetto di casa.
«Cerchi queste?»
«Le mie chiavi!» Mi rallegro tirando su col naso. «Grazie, Vegeta!»
Mi sporgo per prenderle ma le lascia cadere nella neve, da autentico bastardo.
Stringo i pugni e gli do uno spintone, che non si aspettava di ricevere finendo nella neve insieme alle mie chiavi.
«Beh, adesso colpisci anche me, stronzo!» Lo incito, riferendomi alla stessa dinamica di questa mattina, quando ha dato un pugno a Yamcha per punirlo dello stesso gesto. Tuttavia, accoglie la mia ribellione con una risata. «Ti piace davvero tanto, farti mettere le mani addosso!» Bercia, supponendo una mia facilità di costumi, secondo quanto stabilito dalle voci di corridoio della mia scuola.
Senza raccogliere il suo insulto (non vale proprio la pena), prendo la chiave visibile in un buco sulla neve ed entro in casa.
Vegeta però non pare voler terminare qui il nostro incontro, giacché arrivare ad avere il coraggio di suonare al campanello. Credendo, a torto, sia almeno per chiedermi scusa, decido di aprirgli.
«Spero le tue scuse siano convincenti, stavolta!»
«Non ho intenzione di chiederti scusa.» Specifica, e senza essere invitato, mi scosta dalla soglia e la varca ritrovandosi nel mio ingresso. «Allora, il tuo strabiliante progetto?» Domanda, tutto tranquillo, come se non mi avesse appena dato della troia.
«Di’ un po’, non è che per caso soffri di bipolarismo?»
«Vuoi che me ne vada lasciandoti da sola?» E dal suo sguardo capisco che più che una questione, sta ponendo un avvertimento.
«Di qua!» Scelgo di fargli strada, davvero non mi alletta l’idea di dover restare da sola in casa con questo tempo finché i miei non tornano.
Accendo le luci per farci strada, ma mentre ci dirigiamo al laboratorio, si spengono da sole ad intermittenza e poi decisamente ci lasciano al buio.
«Oh!» Esclamo sorpresa e grata che sia rimasta con qualcuno, Vegeta, a cui mi attacco, sento il suo respiro sfiorarmi i capelli e un brivido mi sale lungo il corpo, scuotendomi la schiena.
Egli se ne accorge, e naturalmente non si lascia scappare l’occasione per deridermi mentre si allontana. «Fai tanto la spavalda e poi hai paura del buio!»
«Non ho paura, solo mi ha colto di sorpresa!» Mi giustifico, con ancora l’alone caldo del suo respiro addosso.
«Non dirmi che non avete le luci di emergenza!»
«Solo in laboratorio, ma non possiamo scendere perché gli ascensori sono fuori uso.»
«Fuori uso?»
«Ehm… mio padre ha dimenticato di collegarli all’impianto di emergenza. Ma in cucina devono esserci delle candele.»
E con questo scherzo del destino, le probabilità di essere lasciata da sola aumentano esponenzialmente. «Vorrà dire che vedrò il progetto domani.» Esclama, infatti, Arensay.
«Cosa? Adesso non puoi proprio lasciarmi sola! Cosa faccio al buio?»
«Intanto ti accendi le candele!» Lo sento già camminare verso l’uscita. Così mi gioco l’ultima carta.
«Aspetta, ti invito a cena! Scommetto che sei affamato, ho delle lasagne in frigo!»
«Brief, per quale motivo dovrei trovare allettante mangiare delle lasagne fredde al buio?»
«Staremo a lume di candela!»
«Oh beh, questo cambia tutto!»
Inizio a stufarmi di doverlo pregare tutte le volte, per tutte le cose! «Non dirmi che tutte queste reticenze sono perché temi una reazione gelosa da parte del mio ragazzo!»
«Non dire stupidaggini! Hai forse dimenticato come l’ho ridotto?»
«Magari è stata solo fortuna!»
«Andiamo.» Decide infine, e ci dirigiamo in cucina.
«Farai anche finta che le lasagne fredde ti piacciono?»
«Me le riscaldi in padella, visto che il gas funziona.»

 

Cosa mi sono ridotta a fare, pur di non restare da sola! Rigiro in padella le lasagne, ormai ridotte ad un ammasso informe; la luce delle candele mi trema addosso, come lo sguardo di Vegeta che reclama la sua porzione perché sta morendo di fame.
«Ho fame anch’io, se proprio vuoi saperlo, e mettermi fretta non mi farà sbrigare: ci vuole il tempo che ci vuole!»
«A rovinare la cena?»
«Guarda che sono un’ottima cuoca, non è colpa mia se adesso devo arrangiarmi alla bell’e meglio, per servire qualcosa di caldo a vostra grazia.»
«Se non ti sta bene, posso anche andarmene!»
Gli spiattello la sua porzione in un piatto che gli metto davanti. «Ecco.»
Pendo posto anch’io, di fronte a lui e iniziamo a mangiare, al lume romantico di una cena che di romantico non ha niente.
Solo il trillo del telefono spezza la mancanza di conversazione. Si tratta di mia madre.

«Oh, tesoro, sono la mamma!»
«Era ora che vi faceste sentire.» La rimprovero, stizzita: non si “abbandona” una figlia così.
«Hai ragione cara, ma siamo riusciti a telefonare solo in questo momento, sai il convegno è durato più del previsto.»
Mi ero dimenticata dal convegno a cui mio padre era stato invitato. «Beh non importa, a che ora tornate?»
«Ma cara, con questo tempo e con il traffico che c’è, sarebbe davvero da irresponsabili prendere la macchina. Pensavamo di passare una serata romantica in Hotel!»
«E io che faccio, resto sola? Lo sai che è andata via la luce?»
Biascica qualcosa di sconnesso, prima che cada ancora la linea a causa della neve; ma in quel momento torna la luce, con un mitico tempismo.
«Erano i miei, faranno tardi.» Mento. «Emh… Ti va di vedere un film?» Approfitto lestamente, strizzando gli occhi alla luminosità ormai tornata.
«Mi va di andarmene, veramente.»
«Perché? Hai forse paura che ti salti addosso?»
«Perché dovrei?» Stiletta, con aria di sfida.
«Beh… magari perché… dovrai spiegare a Diciotto di aver passato la serata con una ragazza attraente come me.»
«Non ti trovo affatto attraente.» Bercia di rimando, e si sta già alzando in piedi.
«Oh, accidenti a te! Ti pago, d’accordo?» Propongo.
«Mi hai preso per una prostituta?»
«Ti ho detto che non voglio restare da sola!»
«Sei proprio una cagasotto
«Non è così! È solo che da sola, mi annoio. Quando vuoi? Duelima, tremila? Ti darò darò cinquemila zenizeni all’ora!» Inizio a dare i numeri.
Scuote le testa, ma infine accetta.
«Diventeranno seimila, se mi costringi a vedere una cavolata.»
«Affare fatto!» E ci stringiamo la mano, senza lasciargliela, lo induco a seguirmi al piano di sopra. Solo una volta davanti alla mia collezione di videocassette, lo lascio.
«Avrei giurato che la tua stanza fosse più femminile.» Esordisce, guardandosi intorno, forse deluso per non trovare alcun appiglio alla presa in giro su cui stava già rimuginando. La cameratta da principessa. Poco male.
«Solo perché sono la reginetta della scuola, non vuol dire che impazzisca per trine e trinette dipinte di rosa.»
«Allora questo film?» Taglia corto, iniziando a scorrere lo sguardo sulla mia collezione di videocassette.
Naturalmente, iniziamo un litigo estenuante sulla scelta della videocassetta. Alla fine propendiamo per qualcosa che possa andare bene ad entrambi e, una volta sistemati sul letto, Vegeta decide di mettersi comodo sfilandosi cravatta e giacca.
A quel punto, inizio a riconsiderare la scelta di averlo costretto a passare la serata con me, culminata con entrambi su letto. «Sei sicuro che non ti interesso, neanche un pochino?» «Sicuro. Perché, ci stai facendo un pensiero, Brief?»
«Affatto.»

«Bene.»
«Beh, promettilo.» Ripeto non del tutto soddisfatta.
«Non ti toccherei nemmeno con un bastone allungabile.» Promette.
«Davvero?!» Mi scandalizzo, senza ragione. «Il non piacere è diverso dal fare schifo!» Faccio presente, sentendomi quasi offesa.
«Sei sicuro di non essere tu, quella bipolare? E poi sei stata tu ad invitarmi in camera.»
«Perché i mie film sono qui.»
«Potevi portarne uno di sotto.»
«Il lettore è rotto, da giorni ormai, e mio padre non decide a sistemarlo.»
«Ma non mi dire.»
«Vuoi forse insinuare che mi piaci? Ti spagli, per la cronaca, nemmeno io ti toccherei.»
Mi rivolge un ghigno metallico. «Allora, non c’è alcun rischio!»
«Infatti.» Continua a sogghignare.
Torno al film. Solo per alcuni istanti. «Sono la più bella della scuola, è impossibile che non ti piaccia!»
«Invece fattene una ragione. Per me potresti metterti nuda, non mi farebbe né caldo né freddo.»
Sono evidentemente troppo sciocca, o troppo piena di me per credere che sia sincero. Sono sicura che tutti, a scuola, mi guardano desiderando di avermi come ragazza. Ora, sono per certo più bella di Diciotto. È impossibile che non gli faccia né caldo né freddo.
Deve notare la mia indecisione, così mi viene vicino e, guardandomi negli occhi, a un palmo dal mio viso mi assicura che: «Non mi si rizzerebbe nemmeno se me lo toccassi!»
«E perché mai? Ce l’hai rotto?» Lo provoco, senza sapere bene il perché, ma è un insulto che mi ha servito su un piatto.
«No, è solo che mi fai quest’effetto.» Taglia corto, in un mugugno, tornando dal proprio lato; ma aggiunge: «E comunque se continui ad insistere, potrei pensare che sia tu a volermi portare a letto.»
«Hai ragione. Spogliami.» Lo sfido nuovamente, senza riconoscermi nella mia stessa proposta. Voglio proprio vedere se è capace di restarmi indifferente.
Si sistema gli occhiali sul naso, riflettendo su questa assurda competizione a chi dei due ha più ragione.
Infine, mi sorride malizioso e, avvicinatosi, inizia a spogliarmi. Toltami la divisa, con gesti caldi quanto un termosifone in estate, mi lascia in biancheria intima. Sta per allontanarsi, convinto di aver ottenuto soddisfazione; gli prendo le mani e, in un sussurro gli dico:
«Il reggiseno, toglilo.»
La richiesta lo lascia basito, ormai immagino non capisca fino a che punto questo sia ancora uno gioco scemo tra me e lui o, se veramente, vorrei concedermi alle sue attenzioni.
Accoglie quest’ultima richiesta, però, stavolta, mi accarezza la schiena nuda dai fianchi alle spalle, sfiorandola con le dita.
Si sporge verso il mio collo, mentre slaccia gli agganci; sento il suo respiro sulla pelle. E, nolente, inizio a sciogliermi, sentendo il suo corpo così vicino al mio. Lui non lo immagina, ma è la prima volta che un ragazzo mi vede così. E devo essermi bevuta il cervello, per averglielo lasciato fare! Eppure, sento che… se volesse continuare… le sue labbra sono a pochi centimetri dalle mie. Forse vorrebbe baciarmi. Il suo odore.  Socchiudo gli occhi, schiudo le labbra in un respiro, quando sento il petto nudo, senza reggiseno.
Si allontana leggermente e… vengo ricoperta dalla camicia da notte che tenevo sotto al cuscino.

 

Continua….

 

 

 

 

Questa volta l'aggiornamento è arrivato prima! Purtroppo oggi vado un po' di fretta per via dello studio, quindi non posso rispondere alle vostre bellissime recensione! Vi prego di scusarmi, la prossima volta risponderò volentieri a tutti quanti! Grazie ancora per le belle parole lasciate!

Infine, ringrazio tutti coloro che leggono e che seguono la storia; che l'hanno inserita tra le ricordate e e chi tra le preferite! Grazie!

Mi scuso ancora, per non poter rispondere! Ciao a tutti, alla prossima!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Muffin e sigarette ***


f

Muffin e sigarette

 

________________________________

 

 

 

 Sento freddo, cerco di coprirmi ma la coperta non riesce a riscaldarmi, per qualche strano motivo è troppo corta.
Allora, la tiro verso di me ma c’è qualcosa che la blocca. Tiro con più forza, nel frattempo, apro gli occhi e...
«Vegeta!»
«Mh?»
Non ci posso credere: ha dormito qui! 
«Vegeta!» Urlo con più convinzione, dandogli uno scossone.
«Ma si può sapere perché non mi lasci dormire?» Mugugna, stropicciandosi gli occhi; in quel momento si accorge di aver dormito con tutti gli occhiali. «Ma che? Cazzo!»
Si desta di colpo mettendosi a sedere, più spaesato di me, resosi conto che la vera dimenticanza non riguarda gli occhiali. Guarda a destra, a sinistra.
Prima di aprir bocca inizia a tastarsi i vestiti, forse per verificare che siano al proprio posto.
«Che diamine ci faccio ancora qui?»
«Vorrei saperlo anch’io! Non mi pare di averti invitato a passare l’intera notte nel mio letto.» Bercio, senza alcuna ragione, giacché ancora meno ne avevo nell’invitarlo a… spogliarmi!
Gli rifilo un altro spintone, per riprendere possesso completo del mio piumone, mentre mi sovvengono  altri particolari della notte appena trascorsa in compagnia dell’ultima persona al mondo con mi sarei aspettata di dormire.  
Il quale nel frattempo sta recuperando gli indumenti smessi: la giacca e la cravatta. Alcuni raggi polverosi filtrano dalle tapparelle, spezzandosi sul suo corpo.
Sembra in crisi peggio di me.
«I miei non ci sono!» Lo informo. «Puoi anche fare con calma.»
«E invece, io sono qui e non dovrei esserci! Dov’è la cravatta?» Solleva lenzuola e cuscini alla ricerca dell’oggetto perduto.
Decido, allora, di aiutarlo, almeno per evitare che metta a soqquadro l’intera stanza. Poi, una strana sensazione mi assale. Come se avessi dimenticato qualcosa.
«Sai, Vegeta, mi pare di aver dimenticato qualcosa.» Ripeto a voce alta.
«Il pudore, forse?» Scherza, guardandomi il seno prosperoso che, a stento, riesco a tenere nella scollatura della camicia da notte.
Mi copro con le braccia, arrossendo. Spalanco gli occhi. E ricordo. Anzi, ricordiamo.
«La scuola!» Esclamiamo all’unisono, e continuando ad avere un unico pensiero, ci buttiamo verso la sveglia, ticchettante da sopra il comodino. La capocciata è inevitabile.
«Mi hai fatto un male cane, accidenti a te!» ci rimproveriamo ad una voce, premendo la mano sul punto dolorante della fronte.
«Non potevi stare più attento, eh? Vuoi che vada in giro con un bernoccolo?»
«Sono le nove e mezza. Maledizione, per colpa tua farò tardi!»
E corre dritto al piano di sotto, seguito da me che gli chiarisco lo sbaglio di credere che lui non c’entri nulla con questa svista. Apre il portone, e io chiudo la bocca.
È tutto coperto da un pesante manto bianco. «Azzarderei che la scuola è chiusa stamattina.» Proferisco, quasi non fosse abbastanza chiaro; mi stringo nella camicia da notte, torno dentro.
«Ebbene, vuoi farci gelare? Chiudi quella porta!» Lo invito. Alle sue spalle, un cumolo bianco cade da un albero, prima di ritrovarci entrambi nell’ingresso a porta chiusa.
Restiamo in silenzio, che rompo io per prima. «Comunque non credere di raccontare quello che è successo ieri.»
«E cosa sarebbe successo ieri?»
«Beh… lo sai.» Tipo che mi ha visto le tette.
«So cosa?» Vuole scherzare forse? Dal ghigno si direbbe di sì.
«Sul fatto che mi hai visto le tette.» Dico bieca, scandendo bene ogni parola.
«Ah! Certo, non preoccuparti, sarebbe più clamoroso se raccontassi che non te le ho viste!»
Sfila al piano di sopra prima che riesca a prenderlo a sberle, torna in un lampo con in mano le chiavi della sua macchina. Deve averle tolte dalle tasche ieri sera. Apre ancora il portone e senza salutare va via. Mi lascia sola, con in mente la sue mani sul mio corpo. Non avevo mai permesso a nessuno di arrivare a tanto, non capisco cosa mi sia preso, ero come impazzita.
Salto in piedi per fiondarmi in bagno, confusa dalle miei sensazioni: mi sento sporca e con la spugna gratto via l’impressione del suo tocco; oppure, vorrei lavare via la certezza che, per la prima volta, sarei stata capace di lasciarmi andare, con lui? Impossibile.

 

Organizzo il pomeriggio insieme ai miei amici. Avrei evitato, perché sono ancora arrabbiata con loro, ma hanno insistito così tanto che infine ho ceduto. Se, però, avessi saputo quale tiro intendevano prepararmi, gli avrei mandati tutti a quel paese!
La proposta era infatti stata una battaglia di neve nel parco centrale, la realtà, era un appuntamento con Yamcha per indurmi a far pace con lui.
Si forma una nube di vapore a ogni mio respiro, da piccola cercavo di formare delle spire nell’aria, per emulare il mio papà con il fumo delle sigarette, ma non ci sono riuscita che quando ho iniziato a fumare anch’io.
Yamcha è seduto accanto a me, su una panchina che quale abbiamo dovuto liberare dalla neve. Indossa la sciarpa rossa che gli ho regalato al nostro primo San Valentino, un colpo davvero basso. Il naso è invece ancora gonfio, un colpo meritato. Davanti a noi il laghetto ghiacciato. Spero abbia architettato questa buffonata per spiegarmi il suo comportamento.
Tuttavia, continua a restare in un silenzio impacciato. «Non è difficile, prova col raccontarmi cos’è accaduto sabato.» Gli suggerisco.
«Io… c’è stato solo un bacio, con una. Cioè, lei ha provato a baciarmi e io…»
«Ti è piaciuto, suppongo. Le labbra ce le abbiamo tutti e funzionano a tutti allo stesso modo.» Getto fuori il fumo, stupita da quanto cruda sia stata la mia deduzione.
«Ma non ho risposto!»
«La conoscevi già?»
«Ecco… no, tesoro. Mai vista.»
«E una che non ti ha mai visto, appare così dal nulla e ti bacia?»
«Era ubriaca, ed era della nostra scuola; forse chissà, ha sempre avuto una cotta per me.»
«Hai appena detto di non averla mai vista!»
«Beh… ero confuso quanto te, prima che mi dicessero che beh… era una ragazza della nostra scuola che non ho mai visto!»
La mia decisione di non parlare o forse la mia espressione annoiata deve averlo indotto a sbrogliare le sue menzogne, perché ritorna sulle sue stesse parole e ammette di conoscerla già. «Ma se ti dico chi è, prometti di non dare di matto?»
«Perché dovrei dare di matto? Tanto c’è stato solo un bacio, per giunta non corrisposto, o sbaglio.»
Sono terribilmente a disagio, evito di guardarlo negli occhi e non per quanto lui stesso stia ammettendo, quanto per ciò che io stessa non riesco ad ammettere: continuo a pensare a Vegeta.
Inspiro il freddo pungente di questo mese innevato, per raffreddare le sensazioni che, da ieri notte, mi sono rimaste addosso. E abbiamo passato la nottata insieme, abbiamo dormito insieme, insieme ci siamo svegliati.
Certo, Vegeta è stato scontroso, odioso, bigotto… con che coraggio accuso Yamcha, quando ieri notte mi è venuta la brillante idea di farmi spogliare da qualcuno che non ha aperto bocca se non per darmi della puttana? A me che sono ancora vergine!
«Yamcha, ascolta, non mi va di parlarne adesso.»
«Perché, no? Lasciami spiegare!»
«Non mi sento molto bene, credo che tornerò a casa. Sarà stato il freddo. Davvero, ne riparliamo.» Cerco di mettere fine a questa penosa conversazione, ammansita dal ricordo delle mie azioni. Già mi alzo in piedi, e ripercorro la via verso casa.

Vegeta Arensay! Spero non racconti a nessuno l’accaduto.

 

La vacanza da scuola è durata solo un giorno. Non appena la neve ha smesso di scendere, è stata spazzata via dalle strade e accantonata ai margini della carreggiata.
Ho cercato di arrivare prima degli altri, prendendo un autobus cittadino piuttosto che il bus di scuola, nella speranza di incontrare (o scontrarmi) con Vegeta. Vorrei parlargli riguardo la mia sciagurata idea di due sere fa; non arriverei mai a pregarlo di mantenere il silenzio, ma forse riesco a inculcargli che sono una ragazza per bene e non una poco di buono, come è convinto che sia.
I corridoi della scuola sono quasi deserti, così come la mia classe ed Arensay non è ancora arrivato. Decido di fare una capatina al bar, nella fretta di raggiungere la scuola il prima possibile, ho dimenticato la colazione. E proprio qui, trovo il mio compagno di disavventure immerso nella lettura di un libro, muffin alla mano e un espresso pronto per essere bevuto.
«Buongiorno!» Lo saluto, prendendo posto sullo sgabello al suo fianco.
«Brief.» Gli occhi gli scorrono sulle pagine di un mattone di romanzo scritto in inglese.
«Credo di doverti delle spiegazioni riguardo l’altra sera.» Esordisco, cercando di sembrare il più sicura e consapevole possibile.
Neanche mi guarda. «Non importa.»
«Invece, sì, prima di tutto non ti permetto di considerarmi come credi che io sia!»
Sposta lo sguardo dal libro su di me. «Non ti considero proprio.»
«Non sono una che va con tutti!» Chiarisco, senza lasciar spazio ad un nuovo battibecco. «È solo che, non so cosa mi sia preso; ero probabilmente arrabbiata con Yamcha e, dentro di me, volevo fargliela pagare in qualche modo.» Butto giù, e non è neanche tanto vero. Sono semplicemente impazzita.
«Capisco, sarà stato il mio accattivante magnetismo.» Mi sorride mellifluo; vuole prendermi in giro.
«Ma che dici, di magnetico hai solo l’apparecchio!» Rispondo, scostandomi una ciocca ribelle dal volto.
«Ci hai pensato tutta la notte?» Domanda, masticando il proprio muffin.
Arrossisco imbarazzata. «Ecco, no… io…»
La mia reazione lo diverte, manda giù il boccone. «Intendevo alla battuta pessima.»

«Ho pensato di adeguarmi al tuo humour inglese.» Stiletto mentre raggiungo il bancone per comprare un cornetto alla crema.

 

 
È ancora presto per entrare in classe e, dopo colazione, mi fermo vicino al cortile per fumare una sigaretta prima delle lezioni. Fa freddo, e mi copro per bene con il mio cappottino rosso.
«Tsk, non lo sai che il fumo invecchia?»
«Mi stai seguendo, forse?»
«Sarà per il tuo magnetismo!» Ridacchia, ma rende chiare le sue vere intenzioni quando, appoggiandosi all’uscio dice: «Credo di aver dimenticato la cravatta da te, riportamela domani.»
«Non credo proprio, perché non l’ho trovata!»
«Ti conviene cercare meglio, allora, non vorrei la trovasse il tuo ragazzo!» Ammicca lasciando intendere la sconvenienza di una simile prospettiva, di cui certamente non gli importa un accidenti. Tanto la brutta figura la farei io.
«Non ti preoccupare, al momento dubito che mi venga a casa!»
Apre il libro che stava leggendo poco fa al bar e, riprendendo la lettura, dice: «Hai ragione, preferisce venire altrove.»
«Non fa ridere!» Rimbrotto, offesa. «E poi senti chi parla, come se tu fossi un esempio di virtù! Cosa direbbe la tua ragazza se sapesse cosa hai fatto a casa mia?» Detesto questo suo atteggiamento di superiorità, quando ognuno di noi è colpevole.
«Se proprio ti interessa saperlo, non ha detto niente.» M’informa tutto serio. Sistema gli occhiali sul naso, solleva lo sguardo da Bleak House, come leggo dalla copertina. «Anzi mi ha detto di ricordarti, che mi devi quarantacinquemila zeni per aver passato la notte con te.»

 

 

 Continua...

 

 

 

Ringrazio tutto coloro che seguono e leggo questa fic!:D

Per GIUlZ87: Ciao carissima! Ormai non so più come ringraziarti, visto che, da brava piattola, ti bombardo sempre in chat!!xD Comunque ci tenevo che alla fine Vegeta, dopo averle detto di no, decidesse di restare; l'ho fatto per evidenziare il suo stato d'animo combattuto!:) Ah, sì, mi sono ispirata proprio a quella scena del manga, avrei voluto aggiungere "sei anche bruttina" ma non ho saputo inserirlo nel contesto :(, magari più in là!:D Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo!;) Alla prossima!

Per MauMau: GRAZIE!! Sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo e spero che questo non sia da meno!;)  Comunque, mi dispiace ma al momento non rho intenzione ti tornare al presente: con quei due, Bulma e Vegeta, non ho ancora finito! Ciao e alla prossima!:)

Per Vegeta4e:Ciao!  Grazie del compliemento! Anche se ho ancora molto da imparare!:) Mi auguro che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Alla prossima!^^

Per Yori: Ciao Marty! Mi fa davvero piacere che tu ti riveda nei miei personaggi, anche se, alla fine, per forza di cose, dovrò stravogere(leggermente) la normalità delle loro vite!:)  Visto?! Alla fine non si è spogliato, piuttosto l'ha sconvolto il fatto di essere rimasto a dormire da lei senza accorgersene!;) Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Alla prossima!^^

Per Maia74: Ciao cara! Allora, per quanto riguarda il comportamente di Vegeta direi un po' tutte e due le ipotesi da te avanzate!xD Spero tu abbia gradito anche questo capitolo!:D

Per Lovelie: Ciao cara, vabbè anche se non hai lasciato una recensione hai comunque detto che il capitolo scorso ti era piaciuto, spero spero di non averti deluso nemmeno questa volta! Grazie di seguirmi, un bacione e alla prossima!^^

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Pizza? ***


cad

Pizza?

 

___________________________________________

 

 

 

La campanella suona nell’istante esatto in cui metto piede sull’ultimo gradino. Sciami di ragazzi, accompagnati da un incessante vociare, ingombrano subito il corridoio. E perdo di vista Vegeta.
Quel maledetto non ha voluto aspettarmi; non capisco cosa gli prenda, certe volte. Oltretutto, come può credere di svignarsela dopo aver buttato lì un’informazione così preziosa: il nome della ragazza che è stata con Yamcha. Ha aspettato che la prima ora suonasse e poi mi vomitato addosso un nome che non sono riuscita a capire.

Quando raggiungo la classe, Arensay è già vicino al suo banco.
E’ l’unico a sedersi, mentre gli altri schiamazzano ancora euforici: c’è chi parla di una passeggiata nel parco innevato, chi di pupazzi di neve e altre amenità. Lui, invece, è tranquillo, in silenzio, con già i libri pronti e matita alla mano.
«Bulma, muoviti: dobbiamo andare!» Prima che riesca a chiamarlo, vengo colpita in piena faccia dalla luce biancastra oltre le finestre: Chichi mi ha afferrato per un braccio, trascinandomi fuori dall’aula con una giravolta.
«Ehi, ma che fai?» Protesto, liberandomi dalla presa.
«Come sarebbe che faccio: ti sto portando in aula magna!» Spiega, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«Ma perché? Non ci siamo andate la scorsa settimana?»
Sbuffa, prima di ricordarmi della riunione dei rappresentanti. Siccome io sono una di loro la mia presenza è necessaria. La sua mano si stringe di nuovo intorno al braccio e mi costringe a riprendere il passo, neanche fossi un delinquente che ha bisogno di una scorta.
«O Bulma, dovresti iniziare a prendere il tuo ruolo può seriamente!»
«Sì, ma non così… spesso!»
«Sei proprio indolente, certe volte! Questo è quello che succede se ci si candida senza cognizione di causa.»
Già, ha tremendamente ragione: mi candidai spinta solo dalla promessa della libera uscita durante le lezioni. Credevo sarebbe stato divertente, facile soprattutto; ovviamente mi sbagliavo: adesso so che non posso semplicemente contare le mosche, ma giacché rappresentante devo curare gli interessi della classe, discutere con i professori e proporre soluzioni di riconciliazione. 
Una vera seccatura che certamente non fa per me: detesto le responsabilità. 
Chichi, al contrario è molto presa dal ruolo che riveste all’interno dell’istituto.
Prima di lei, non ricordo di aver avuto rappresenti altrettanto valenti: è una tosta, sa il fatto suo ed è l’unica che riesce a mettere tutti d’accordo; non per niente questo è il suo secondo anno di nomina.

Il rumore dei nostri tacchi si blocca davanti alla porta dell’aula magna. Una lunga porta a scomparsa di legno scuro e lucido, sulla quale si riflettono le plafoniere della parete di fronte. La ragazza infila le dita sottili nell’intercapedine tra un’anta e l’atra, e, con tutta la forza che ha in corpo, tira verso di sé liberando l’ingresso.
L’aula è vuota: come sempre siamo le prime ad arrivare.
Rivolgo a Chichi un’occhiataccia, per avermi fatto scapicollare senza motivo.
Tuttavia, il rimprovero non è raccolto: la mora sta già spostando le pesanti tende di velluto rosso dalle finestre, per far entrare un po’ di luce tra queste quattro mura.
«Quasi dimenticavo,» il fruscio delle stoffe copre leggermente le sue parole, «papà ha detto che ieri sera mi hai chiamato.»
«Sì, volevo parlarti della vostra trovata geniale.»
La informo, mettendomi a sedere sul ciglio del palcoscenico in fondo alla stanza; lascio i piedi penzoloni, facendo sbattere le ballerine tra di loro.
«Hai ragione, scusaci. Sappi, però, che l’abbiamo fatto solo per voi: il gruppo non sarebbe lo stesso con te e Yamcha divisi.»
Si volta verso di me, cingendo le mani in grembo.
«Beh, mi dispiace per il gruppo.» faccio sarcastica, se le fosse dispiaciuto così tanto avrebbero potuto impedire a Yamcha di sbaciucchiare la prima venuta.
«Sai bene cosa intendo!»
In realtà non molto, ma evito di aggiungere altri commenti: io stessa non ho voluto parlare con il mio ragazzo, un po’ per senso di colpa e un po’ perché, appunto, non saprei proprio cosa dirgli. Mi chiedo se Chichi sappia il nome della ragazza con cui è stato. Avvicino lo zaino e caccio una sigaretta dal pacchetto.
«Bulma, non si fuma qui dentro. Non sai leggere i cartelli, o sei scema?» Mi viene cortesemente ricordato, da Ginger, una ragazzona con una nuvola fulva in testa; trova sempre mille modi per rimarcare la sua antipatia nei miei confronti. 
Lascio che sia Chichi a salutarla anche per me.
«Gli altri stanno arrivando.» Comunica, spogliandosi di sciarpa e cappotto.
«Bene, intanto aiutami con queste sedie.»
Quando finiscono la disposizione (un cerchio con la sedia di Chichi nel mezzo), sono già arrivati tutti quanti gli altri.
«Bene, rappresentati, oggi abbiamo molto di cui discutere.» Esordisce Chichi, mentre inizia a distribuire il programma della seduta:

 

1)     Gita scolastica (proporre mete);

2)     Festa di San Valentino (stabilire anche budget);

3)     Chiedere o no giorno di vacanza per il 19 (causa sciopero mezzi pubblici).

 

«Allora, che cosa proponete?»
Chichi cattura la nostra attenzione, dispensando un sorriso diplomatico in perfetta sintonia con la situazione; io, invece, mi sento il solito pesce fuor d’acqua.
«Che ne dite di Praga?»
Ginger è la prima a farsi avanti, si alza in piedi e aggiunge:
«Non è una metropoli, quindi potremmo visitarla facilmente.»
«Scusate, ma perché non Amsterdam, allora?» Un ragazzo osa proporre, guadagnandosi un’espressione feroce da parte della leonessa che detesta essere messa in discussione.
Comunque, ho l’impressione che andremo per le lunghe: inizio persino a rimpiangere l’ora di fisica che sto saltando.
Inoltre, come posso concentrarmi su ciò che dicono con tutto quello che mi sta accadendo in questi giorni? Il tradimento di Yamcha, la mia botta di testa con Vegeta… a proposito, spero di potermi fidare di lui sul serio, devo anche pagarlo!
«E tu Bulma, cosa proponi?»
Mi chiamano in causa, cogliendomi alla sprovvista «Ahm, che ne dite di Barcellona? E’ una bellissima città piena di attrattive.»
«Stavamo già parlando della festa!» mi schernisce Ginger, battendo a terra un piedino grassoccio. «E comunque a Barcellona ci vanno quelli del secondo.»
«Non mi ero accorta che avevate già cambiato argomento!»
«Se ascoltassi invece di pensare ai tuoi bei capelli.»
«Sentite ragazze, non perdiamo tempo con inutili battibecchi.» S’intromette Chichi per sedare la discussione sul nascere; allarga le braccia con i palmi stesi. 
«E per il ballo che proponi?»
Proporrei che non sono in vena di decidere su cosa fare o non fare per una festa degli innamorati, penso al mio ragazzo che tanto innamorato non mi è parso, a Vegeta che mi ha spogliato, alla sua ragazza scontrosa che gli ha ricordato di farsi pagare. Decisamente non mi sento in vena di romanticherie. «Non ne ho idea.»
«Naturalmente, prendi sempre il tuo ruolo con molta serietà, Brief!» Mi attacca la rossa, e non posso davvero darle torto. «Perché non lo ammetti una buona volta, che sei qui solo per saltare le lezioni? Ti hanno votata solo per le tue moine.»
«Tanto lo sappiamo tutti che finiremo a mettere cuori ovunque! Cosa ne discutiamo a fare?» Mi difendo, che sciocchezza! Come se loro stessero qui per salvare il mondo, anziché saltare le lezioni.
L’assemblea va avanti a singhiozzi di battibecchi, fino al suono della ricreazione. Mentre
gli altri escono, io resto ad aiutare Chichi con le sedie: abbiamo un discorso da finire.
«Allora tu e Yamcha cosa vi siete detti?»
«Non molto. A suo modo mi ha confessato qualcosa, ma non avevo molta voglia di starlo a sentire.» Ammetto.
«Sei ancora molto arrabbiata?»

Ma va? Lei come la prenderebbe se Goku si sbaciucchiasse con un’altra? Il vero problema è che la mia coscienza mi impone di perdonarlo, allo stesso tempo non vorrei mettermi nella posizione di dovergli raccontare della mia serata con Vegeta. Se lo perdonassi subito, non sembrerebbe strano, vedermi così remissiva?
«Sì, e molto anche.» Blatero, raccolgo la mia roba.
«Ma non avevi detto che, se lui avesse confessato, lo avresti perdonato?» Mi ricorda.
«Beh… in realtà ho dovuto cavargli le parole di bocca.» Non è che abbia davvero confessato, eh! E poi, dovrei confessare anche io? Per le sensazioni provate a casa di Vegeta, le sue mani sulla mia pelle… il suo odore tra le mie lenzuola.
«Non è così semplice!» La butto lì e, raccolta la mia roba, dico a Chichi che non ho intenzione di passare la ricreazione in un posto polveroso come il palco!
«Ma il nome della ragazza, lo sai?» Continua imperterrita, una volta fuori.
«Più o meno… so che la conosce, Vegeta mi ha detto qualcosa ma non ho ben capito.»
«Vegeta?» Chiede, e dopo essersi ricordata della scenetta avvenuta in classe, azzarda: «Ma dimmi, per quale motivo siete diventato tanto amici?»
Arrossisco imbarazzata. «Amici? Ti sbagli Chichi, stiamo solo lavorando insieme a quel progetto di scienze. Per il resto, ti assicuro che è un vero buzzurro!»
«Ma dici che ti viene dietro?» Ammicca, forse sperando di accaparrarsi qualche informazione in più; mi viene il sospetto che, tutte questa chiacchiere, siano state richieste da Yamcha. Che sospetti qualcosa? E cosa potrebbe sospettare? Saprà che abbiamo passato un’intera giornata insieme? Saremmo stati visti alla mensa, ma non c’è alcun male a condividere un pasto.
«Ne dubito. E spero di no, ma l’hai visto?»
Se continuo a non apprezzarlo pubblicamente, magari nessuno arriverà a capire quanto inizi a piacermi passare del tempo con Vegeta. È molto intelligente e… senso dell’umorismo a parte, è stimolante parlare con lui.
«Comunque, io l’ho so chi è la ragazza!»
«Conosci il nome vero?» Mi agito, nessuno potrebbe mai chiamarsi C18!
«Beh… sì, è Marion…» Balbetta Chichi, e la guardo da ebete per un tratto finché non collego le sue parole alle mie sinapsi: si riferiva alla ragazza che ha baciato Yamcha, non alla ragazza di Vegeta. Che testa, avrei dovuto afferrare al volo!

Marion. La ragazza più cretina per cui si possa prendere una sbandata. A dirla tutta mi assomiglia molto, fisicamente intendo. Che non si sia scansato perché credeva fossi io?
E poi perché proprio lei? È una cheerleader del mio gruppo, adesso avrà sicuramente raccontato a tutte di avermi soffiato il ragazzo! Quella stupida. Devo trovare un modo per fargliela pagare.
E Vegeta, come accidenti l’ha vista? È evidente che la notizia sia, grazie a Marion, sulla bocca di tutti. Ecco come l’ha saputo anche lui.
Questo, davvero, non posso perdonarglielo, a Yamcha, di avermi resa ridicola nella mia stessa scuola, quando ci sono già abbastanza dicerie sul mio conto!
Adesso sì, che è tutto rovinato. Almeno ora ho un motivo per farmi vedere arrabbiata nei suoi confronti, perché io, al contrario, non lo avrei mai tradito con qualcuno di levatura tanto bassa! Arensay, almeno, sa il fatto suo.
A ricreazione finita torniamo in classe. La professoressa Green sta già consegnando i test per il compito.
Vegeta e Chichi sono gli unici due tranquilli, mentre noi tutti stiamo tribolando davanti ai quesiti incomprensibili.
Ho studiato insieme al primo, quindi non dovrei trovare molta difficoltà! Eppure, arrivo tentennante fino alla quarta domanda, su cui mi blocco. Ricordo l’argomento, trattato in classe appena una settimana fa, ma ricordo anche di non aver seguito affatto la lezione e con Vegeta non ne abbiamo parlato!
Se l’insegnante non se la fosse presa così tanto per lo scherzo della forchetta, sarei potuta andare da lei a chiederle qualche chiarimento strategico. Mi avrebbe aiutato di buon grado, ma suppongo che ai professori non faccia piacere rendere note le proprie beghe, in questo caso, un atteggiamento di favore nei miei confronti.
Come potrei risolvere questa perniciosa situazione? La formula non torna neanche se ricevessi un’ispirazione divina.

Tutta colpa di quello stronzo di Vegeta!
I minuti iniziano a passare inesorabili. La biro mi scivola dalle dita mentre calco sul foglio per scrivere risposte che non trovo. Mi asciugo una mano sulla coscia velata dalla calzamaglia bianca.
Il silenzio è esplosivo, nel ticchettio della lancetta dell’orologio alla parate.
Basta, ci riprovo. Afferro la gomma per cancellare e ci scrivo sopra “il quarto?” poi, la tiro ad Arensay. La piccola missiva di lattice sbatte contro la finestra, prima di ricadere sul suo banco. La professoressa allunga su di noi uno sguardo inquisitorio e, non trovando soddisfazione, torna a leggere il giornale. Vegeta, invece, raccoglie la gomma e sbuffando, lo vedo scriverci sopra qualcosa! Chi l’avrebbe mai detto? Che abbia deciso di aiutarmi? Si alza dal posto per fingere di dover aguzzare la matita. Non nonchalance mi lascia la gomma sul banco. Rigiro subito tra le dita quel triangolino biancastro, lo libero della carta protettiva per leggere il suggerimento nascosto. E...
“Scordatelo”, scritto maiuscolo, lapidario.

Che razza di comportamento è, non c’era bisogno di scrivermi una risposta simile. 
Maledetto Vegeta, riesce sempre a trovare il modo per infastidirmi più del dovuto.

 
La campanella dell’ultima ora è accolta dalla solita euforia. 
Ripongo, velocemente, le mie cose nello zaino e mi avvicino a lui, Vegeta, prima di smarrirlo tra la folla.
«Oh mi spiace tanto di non averti aiutato!» Mi prende in giro, non appena si accorge di me, che gli cammino affianco.
«Figurati, come minimo oggi dovrai venire ad aiutarmi in laboratorio!» Sto in pratica mandando il progetto avanti da sola. Va bene che mi diverte, ma se continua così lo presenterò soltanto a mio nome.
«Non posso, devo recuperare l’allenamento di nuoto che ho perso a causa della punizione. E questo venerdì ho una gara.»
«Sono sempre da sola a costruirlo, dovrei considerare di presentarlo solo a nome mio!» Ripeto ad alta voce.
Blocca il passo, e impone anche a me di fermarmi. «Non ci provare, Brief! L’idea è stata mia e anche tutti i calcoli sono stati miei!» E con questa minaccia, senza aspettare una risposta, né salutare, mi lascia.
«Invece è proprio così che andrà a finire! Mi hai sentito?»

 

Sei e un quarto.
Tre ore di studio: un vero record personale; non ricordo di aver mai studiato con tanto zelo, ad eccezione di quella volta in biblioteca con quello zotico di Vegeta.
Chiudo il libro di latino e spengo la lampada del comodino, vorrei stendermi a riposare un po’ e ho già il walkman addosso, per addormentarmi ascoltando musica, quando il ciuffo biondo di mia madre fa capolino da dietro la porta.
«Tesoro, ma perché non rispondi?»
Mi libero dalle cuffie. «Come hai detto?»
Sorride, imperturbabile. «Di sotto c’è qualcuno per te!» Ammicca.
«Chi Vegeta?» Domando, contenta, ci avrei scommesso! Sicuramente non vuole che presenti il progetto da sola (perché ne sarai capacissima), e si sarà sentito in colpa per aver scaricato tutta la responsabilità su di me.
«Oh no, tesoro, è Yamcha!»
Il quale è giunto per invitarmi fuori a cena. Sono costretta ad accettare, prendendola come un’occasione di mostrarmi arrabbiata. Perché non riesco ad esserlo per il tradimento, sarebbe da ipocriti. Lo sono però per la sua leggerezza! Baciare Marion, che mi avrà sicuramente coperta di ridicolo.

 

«Così, lei è Marion.» Asserisco a bruciapelo, causando un repentino cambio di espressione al mio ragazzo, intento a tagliare la sua pizza a spicchi. 
«Come lo sai?» Balbetta.
«Come ho fatto a non saperlo per tutto questo tempo, vorrai dire! Lo sanno tutti a scuola. Mi chiedo solo cosa ti sia saltato in mente. Non hai visto che non ero io?»
Voglio concedergli uno spiraglio di speranza, non ho affatto voglia di stare a discutere su queste sciocchezze. Anche io ho perso la testa, quella sera con Vegeta. Se Yamcha non è del tutto stupido, coglierà il mio suggerimento.
«Ecco… ehm…. al buio, è stato difficile capire bene, poi si è gettata sulle mie braccia con tanto ardore che ho davvero creduto fossi tu.»
«Immagino.» Affondo il coltello nella pizza, su cui inizio a scaricare la mia rabbia senza riuscire a formare uno spicchio come si deve.
«Quella stupida, se ne sarà approfittata. Ma poi non è neanche vero che mi somiglia, no?»
«Assolutamente, tesoro, siete così diverse… cioè… a parte i capelli… per il resto… non ha la tua classe!»
«Lo credo anch’io!» Rispondo, a bocca aperta, masticando un boccone che mando giù con abbondante cola.
«Ma vedrai, ho preparato una sorpresa che ti farà dimenticare l’accaduto!» Promette, trasognato, accarezzandomi una mano.
Mando giù la pizza. E guardo gli occhi dolci di Yamcha, il mio ragazzo di sempre. Stiamo insieme da così tanto di quel tempo che tutti si aspettano che sia così per sempre. E perché non dovrebbe? Anche io non posso dirmi senza colpe. In fondo non è con lui che sono arrabbiata, ma con l’altra a cui, giuro, preparò uno scherzetto che non dimenticherà tanto facilmente.

 

 

 

 Continua…

 

 

 

 

 

 

Ringrazio tutti per le splendide recensioni, in particolare Giulz87, MauMau, yori, vegeta4e, maia74, lovelie e Bolla Blu*; inoltre tutti coloro che seguono e leggono la storia anche solo per caso! Giuro che la prossima volta lascerò due righe di risposta a tutti voi,  stasera davvero non ho tempo ma volevo ugualmente postare il capiotolo!T.T Perdonatemi, anche se sono imperdonabile!T.T

Spero che anche questo capitolo, di passaggio in verità, sia stato di vostro gradimento. Alla prossima! Un salutone a tutti voi!

Ps: ieri avevo dimenticato di nominarti! Scusami tanto!:)

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Mascotte ***


cadf

Mascotte

 

______________________________________

 

 

«Ahi, mi stai tirando i capelli, Yamcha
«Scusa, tesoro, ma è molto corto.»
Sbuffo, mentre aspetto che quest’idiota finisca di coprirmi gli occhi con uno stupido foulard che odora di antitarme. Ci sta impiegando una vita e qui nell’atrio fa un freddo cane. Mi chiedo a cosa servano i termosifoni nella tromba delle scale, se poi nessuno li accende.
«Fatto!» Annuncia, finalmente. «Vedi qualcosa?»
«No, però puzza!» Il fazzoletto sta scivolando verso il mento; allora lo blocco con una mano, e, sbuffando di nuovo, alzo la testa in alto per evitare di perdermelo.
«Se vuoi lo stringo ancora.» Si offre Yamcha.
«No, grazie: mi hai già strappato abbastanza capelli!»
Arriva l’ascensore e vengo spinta dentro con una leggera pressione sulle schiena.
Le porte si chiudono; ho la sensazione di innalzarmi nel vuoto. Presa dalle mie sensazioni non mi accorgo che la fascia si snoda ancora.
«Yamcha, guarda!» Lo avverto e, repentino, cerca di sistemarmi.
Un trillo avverte che siamo arrivati al nostro piano, così vengo scortata all’esterno dal moro, che continua ad armeggiare dietro la mia testa.
«Vai avanti piano, a sinistra.» Suggerisce.
«Lo so: conosco bene la strada.» Capirai, sarò venuta qua almeno un centinaio di volte da quando stiamo insieme; tuttavia tanta sicurezza viene sfatata quando il mio ragazzo mi afferra per il cappotto: evidentemente stavo superando il suo portone.
«Scusa, ma non sarebbe stato meglio indossare il foulard adesso, invece che prima?» Domando, arguendo di aver compiuto uno sforzo inutile.
«No, è stato meglio così.» Biascica l’altro di rimando, con tono insicuro, resosi conto della stupidità che ha impregnato la sua idea.
«E perché mai?» Sono proprio curiosa di sapere cosa inventa per giustificare la sua mancanza di organizzazione, ma resta in silenzio, mortificato dall’ovvietà dell’osservazione. Sono sicura che Vegeta avrebbe trovato di che rispondere per le rime. Anche se, non sono sicura si sarebbe preso tanta briga per la sua ragazza. Ho visto come la tratta con indifferenza! Scommetto, le avrà raccontato della nostra serata al puro scopo di prendermi in giro con lei.
Yamcha, invece, è tanto caro! Nonostante sia troppo spesso dietro ad altre… davvero troppe volte si perde in un bicchier d’acqua.
«Ehi, fa’ attenzione!» Esclamo, sentendomi tirare.
«Scusa: devo prendere le chiavi in tasca.»
«Te le prendo io, basta che smetti di tirarmi i capelli!» E inizio così a cercarle nelle tasche del suo giubbotto; spero solo non arrivi qualcuno: sarebbe abbastanza imbarazzante.
Dopo un’eternità (non so se per colpa dell’incompetenza di Yamcha, o per il foulard troppo corto), riusciamo varcare la soglia di casa e  il profumo di vaniglia del  salotto m'invade le narici. 
Poi mi sfila il cappotto e, prendendomi sottobraccio, mi accompagna per il corridoio.
Anche da bendata riesco a figurarmi la struttura del suo appartamento; per esempio, presumo di aver appena oltrepassato la cucina.
Scommetto che è anche in disordine, forse la benda serve a nasconderlo. «I tuoi genitori dove sono?»
«Dalla nonna; tornano lunedì: te lo avevo anche detto.»
Già, me lo aveva detto: è un’informazione che risale a prima del “fattaccio”; quando eravamo una coppia perfetta.
Ricordo che, per l’occasione, avevamo intenzione di organizzare una serata qui, con gli tutti gli altri. Siamo stati due stupidi.
Inizio a pensarci troppo, non ha senso continuare con le accuse. Altrimenti, non avrebbe avuto senso seguirlo fino a qui.
Entrambi, riprenderemo il controllo della situazione e tutto tornerà perfetto, in barba a Marion!
«Puoi toglierla adesso!» Mi invita, quando credo di trovarci davanti alla sua camera da letto.
Libero gli occhi dalla pezza puzzolente e  strabuzzo: non siamo nella sua stanza ma nel bagno.
«Ti piace?» Vuole sapere, accanto una vasca colma d’acqua e bollicine.
Deglutisco, sforzandomi di restare calma mentre il sangue mi sale alla testa, insieme all’odore di muschio bianco.
Come cavolo gli è saltato in mente?
Abbiamo appena fatto pace per colpa di un suo tradimento, e lui vorrebbe che lo facessimo così, in una vasca da bagno? Inoltre, chi ha preparato la vasca mentre noi eravamo via a cena? Forse suo fratello Puar.
E come sapeva che l’avrei già perdonato, sono così scontata? Una pizza e una vasca da bagno, è tutto quello che valgo per lui?
«Allora? Sei rimasta senza parole, vero?»
«Decisamente.»
Ammetto che, in altre circostanze, avrei apprezzato una romanticheria simile, sciogliendomi come un ghiacciolo (o almeno la reazione è sempre stata quella, quando vedevo certe cose nei film) ma adesso mi sembra solo una costrizione, bella e buona.
«Yamcha, riconosco lo sforzo, ma vuoi dirmi cosa significa?»
«Ma… non ti piace?»
«Sì mi piace, ma… come sapevi che ti avrei già perdonato?»
Mi guarda mortificato. «Non lo sapevo, ho solo preventivato nel caso avessi accettato di uscire con me.»
Avanzo fino alla vasca, immergo la mano tra le profumata bollicine bianche. «E cosa ti aspetti, adesso?»
«È solo un bagno insieme… ecco… per essere un po’ intimi… io e te!» Mi raggiunge, rosso di vergogna. «Bulma, io ti amo. Ho commesso un errore, lasciami la possibilità di chiederti scusa.» Mi sfiora la nuca, e poi mi bacia in fronte.
È davvero bello il mio ragazzo e perché non dovrei accettare le sue scuse?
«Sicuro che non sia un modo per mettermi fretta? Sai bene che… non sono ancora pronta!» Cerco di sincerami e arrossisco anch’io adesso, al pensiero del respiro di Vegeta sulla mia pelle, del suo sguardo sul mio seno scoperto ed io che, adesso, mi vergogno a spogliarmi davanti a Yamcha, il mio ragazzo di sempre. Forse lo sento come una costrizione, mi pare di essere su una nave di cui non controllo il timone.
Perché sono stata pronta a spogliarmi davanti a quello sfigato di Arensay? Ci siamo provocati a vicenda in un gioco piccante. Il film, la neve fuori e noi al caldo sul mio letto… ho perso la bussola. Potrei ritrovare la strada soltanto se, adesso, tornassi tra le braccia del mio ragazzo e fingere che non sia mai accaduto nulla.
«Yamcha
«Sì?»
«Riportami a casa, ti va?» Dico infine. Non mi sento pronta, questo bagno non laverà lo sporco che ha impregnato la mia coscienza. Come potrei essere obiettrice, proprio io, che non appena qualche sera fa ho concesso ad un altro di vedermi mezza nuda?

 

Ho gli occhi fissi sulla strada, ripensando all’espressione di Yamcha dopo la mia richiesta di essere accompagnata a casa: senza dubbio c’è rimasto molto male.
«Mi spiace per prima, l’idea era buona, ma… non me la sono sentita!»
«Ma certo, capisco. Hai i tuoi tempi, colpa mia che ho tirato troppo la corda.» Cerca di comprendere, ma non sa come mi sento. Sono terribilmente confusa, e non riesco a riconoscermi nelle mie stesse azioni. Non ho mai permesso a nessuno, eccetto Yamcha, di toccarmi, e poi passo le serate a costringere Vegeta a spogliarmi.
«Per quanto riguarda Marrion, ti perdono, ma non parliamone più, d’accordo?» Naturalmente, a lei ci penso io, a modo mio.
E prima che scenda dalla macchina, ferma davanti al vialetto di casa, lui mi afferra e mi bacia.

 

La mattina seguente trovo in cucina un pacchetto lasciatomi da Vegeta, che mia madre credeva un regalo di San Velentino.
Quando apro la scatola blu e vi trovo un biglietto e una macchinina radiotelecomandata che, come stabilito da entrambi, verrà collegata al pannello solare.
Leggo anche il biglietto, su cui sono state scritte, in modo frettoloso, due righe in una calligrafia molto piccola.

 

Questa è la macchina che dovrai collegare al pannello, segui le indicazioni per modificarla (v. retro) e non sbagliare.
Dovrai fare da sola perché non ci sarò, né oggi, né domani.

 
Tutto qui, non ha scritto nemmeno un “ciao Bulma, a presto”? Il post scriptum è colpo di classe:

 
Ps: non rompere niente.

 

Questo messaggio è proprio degno di lui.
Che fastidio! Non solo si sta prodigando al massimo nell’arte dello scaricare barili, ma sta via tutto il tempo che vuole senza fornire spiegazioni né ringraziarmi per quello che faccio.
E mi ha pure visto le tette!


Quando arrivo a scuola è chiaro che, suonata la campana dell’inizio delle lezioni, Vegeta non ha intenzione di farsi vivo, lasciandomi tribolare sul fuoco della curiosità.
Cerco di ricordare se è solito concedersi assenze, ma proprio non riesco a rammentare l’ultima volta che ho prestato attenzione alle sua presenza a cui non ho mai dato peso fino ad ora.
Mentre osservo il suo posto vuoto, mi accorgo di un libro lasciato nel sottobanco. Quello zotico deve sicuramente averlo dimenticato.
A ricreazione vado a raccogliere quel pezzo di lui dimenticato da chissà quanti giorni: il manuale di arte. Lo raccolgo.
«Ciao Bulma, come mai resti dentro?» Chiede Crilin, rientrato a per prendere le sigarette.
Scatto sull’attenti, non vorrei notasse che sto gironzolando proprio intorno al banco di Vegeta, come una di quelle ragazzine che, invaghite di Yamcha, lasciano bigliettini strappalacrime ovunque.
«Ecco… stavo ripassando.»
«Wow, ne prendi di appunti tu!» Nota, una volta venutomi vicino, scorrendo lo sguardo su un dipinto di Picasso, costellato dalla scrittura di Vegeta. «Ma questa non è la tua scrittura!» Nota anche questo. «Di chi è il libro?»
«Uffa, è di Vegeta. Ho visto che l’ha dimenticato e lo stavo sfogliando.» Sono costretta ad ammettere. Poi per cosa dovrei nascondermi? È soltanto un dannatissimo libro. Certo che, solo lui, poteva prendere tutti queste note anche per arte!
«Davvero? Che fortuna! Io non prendo mai appunti ad arte, perché non mi lasci copiare?»
«Eh? No, non sarebbe corretto!»
«Ma se tu stessa lo stai facendo?» Domanda, gli occhi sospettosi ridotti ad una fessura.
«Beh, lo sto solo sfogliando. È mia intenzione restituirglielo perché immagino l’abbia dimenticato.»

«Andiamo non lo saprò mai, oggi abbiamo arte e credo m’interroghi. Farei un figurone se potessi dare almeno una sbirciatina.» E poggia le sue manacce sopra il desiderato manuale, che gli strattono via.
Iniziamo a litigarcelo. Non mi va proprio che ci si approfitti di Vegeta a sua insaputa, non lo trovo corretto. Soprattutto da parte di qualcuno che non nutre alcun rispetto nei suoi confronti.
Tiro dalla mia parte, Crilin dalla sua e viceversa, e alla fine una pagina si strappa!
«Guarda cos’hai combinato!» Lo accuso, chinandomi a raccogliere un pezzo di Guernica.
«Se me lo avessi lasciato prendere, a quest’ora te l’avrei già restituito intonso!» Si difende il mio compagno.
Continuiamo il battibecco, e più continuiamo più il libro, bistrattato, perde fogli, finché , dopo l’ennesimo strattone, mi prendo il libro una volta per tutte.
Voltandomi per tornare al mio posto, scorgo Marion che osa ancora parlottare con Yamcha, dopo tutte le dicerie che ci sono state.
Devo assolutamente trovare il modo di fargliela pagare a quella stupida impudente!

 

 
«Quindi tra te e Yamcha è tornato tutto come prima?» Inizia Chichi, dalla sua cabina doccia, in cui ci siamo dirette dopo la sessione di allenamenti da cheerleader.
«Insomma, non direi proprio tutto. Detesto abbia baciato proprio quella smorfiosa di Marion.» Rispondo, insaponandomi la schiena.
«Non preoccuparti, scommetto che lei si sia già stufata. Gira voce sia interessata a Crilin adesso.»
«Da come l’ho vista fare gli occhi dolci a Yamcha, a ricreazione, dubito sia così interessata a Crilin.» Chiudo il getto dell’acqua ed esco fuori avvolta da un asciugamano bianco di spugna con il simbolo del nostro liceo. Chichi ed io siamo le uniche due ritardatarie e solo dalla sua doccia sbuffano ancora nuvolette di vapore.
Inizio a rivestirmi. «Di’ un po’, esiste ancora quel vecchio costume da mascotte?» Le chiedo non appena la vedo uscire dal getto dell’acqua, in mille contorsioni per la vergogna di mostrarsi quasi nuda.
«Intendi, quel costume puzzolente, che per anni nessuno ha voluto indossare?»
«Proprio quello! Credo mi sia venuta un’idea fantastica!»

 

 

Continua…

 

 

Salve a tutti, mi scuso per l'immane ritardo ma ho avuto poco tempo a disposizione; premetto che il capitolo doveva essere più lungo, ma alla  fine ho preferito dividerlo in due parti, data la diversità degli argomenti tra la prima e la seconda^^, quindi tra non molto potrete leggere anche il resto.^^

Ringrazio tutti coloro che leggono e seguono la storia; chi l'ha aggiunta alle preferite  e che alle ricordate. Un grazie anche  a chi ha recensito (ho risposto personalmente ad ognuno di voi tramite la nuova funzione del sito).

E per ultimo, ma non per importanza, vorrei dedicare  la storia a Yori che ha  mi ha fatto anche il bellissimo disegno! Spero che di non deludertinè con questo,  con i prossimi capitoli!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Like a rolling stone ***


rolling

Like a rolling stone

____________________________________

 

 

«Ciao Bulma!»
Riconoscerei questa voce tra mille.
«Ciao Goku.» Rispondo, mentre mi sforzo di sorridere. Un istante dopo mi rendo conto che sono ancora girata di spalle. Vorrei… potrei restare come sono e lasciare che sia lui ad avvicinarsi, magari, nel frattempo, smetterei di sorridere. E direi “Mi fa piacere vederti Goku, ma non sono in vena di chiacchiere e preferirei restare sola”. In fondo mi sono allontanata dagli altri amici per questo.
Goku capirebbe.
«Mi fa piacere vederti Goku, quanto tempo è passato!» Esclamo invece. Mi alzo in piedi ed esibisco il più fasullo e smagliante dei sorrisi. Mi comporto come ci aspetterebbe da me. L’incrollabile Bulma Brief.
In realtà, non sono più in grado di dire cosa gli altri si aspetterebbero da me: non ci vediamo da troppi anni, a parte Yamcha che mi sono trascinata dietro dall’infanzia alla maturità. Sono cresciuta e sono cambiata insieme ai miei gusti musicali. Ciò che è rimasto, sono i ricordi, Vegeta, e il frastuono dei miei sensi di colpa.
Di Goku non ho saputo più nulla da quando lui e Chichi si sono separati. Credo che adesso siano divorziati, vallo a sapere! Con lei ho mantenuto ottimi rapporti fino al mio primo anno di università, quando poi lei è rimasta incinta ed io ho cambiato città per continuare gli studi. Lei non riusciva a capire i miei impegni universitari ed io, evidentemente, non comprendevo a pieno cosa volesse significare trovarsi con un marmocchio all’età di diciotto anni, senza arte né parte e con un marito che spende più tempo fuori casa alla ricerca di un lavoro che a casa stessa.
Da allora, solo poche telefonate, fino all’ultima, quella in cui mi chiamò in lacrime per lamentarsi di Goku e del fallimento del suo matrimonio.

«Urca! Sei un po’ invecchiata Bulma o sbaglio?»
A questo punto vorrei spaccargli la faccia, stringo i pugni fino a farmi male con le unghie e, maledizione, lascio correre. Anche se avere una scusa per lanciare un urlo mi farebbe proprio bene in questo momento, ma sono una signora, cazzo!
«Sono ancora giovanissima!» Ribatto a denti stretti, in un urlo strozzato, le braccia rigide lungo i fianchi. E ci mancherebbe altro, con tutto quello che spendo in cosmetica. «Ti informo che mi danno tutti vent’anni!»
«Eddai, non te la prendere!» Sdrammatizza, grattandosi la zazzera. Un gesto istintivo che gli ho visto fare milioni e milioni di volte. Certe cose non cambiano mai. Così come l’aver esordito con quella sciocchezza, perché era una sciocchezza: uno non sono invecchiata; due è troppo buio per notare altro che non sia il colore dei miei capelli. Ergo non sapeva come rompere il ghiaccio e ha preferito rischiare che gli rompessi la testa.
«Come mai sei qui tutta sola?»
«Perché… volevo prendere un po’ d’aria. Lì dentro si soffoca. Tutto qui.»
In realtà si soffoca anche fuori, o meglio, sono io che soffoco ovunque. Non avrei dovuto accettare di tornare qui. Ripensandoci adesso, nel momento stesso in cui ho deciso di varcare la soglia della mia vecchia scuola, ho mandato a quel paese tutto ciò che, fino a stasera, mi ero imposta di essere: una persona normale. Anzi, una donna fantastica con una meravigliosa carriera ancora in salita… ma come vorrei che gli unici scheletri del mio armadio fossero solo quelli delle feste di Halloween!
Sono ridicola. Alla mia età, chiedersi ancora quale sia adesso il colore delle scarpe di Vegeta. L’unica persona che sarà felice del magro bottino di questa serata è il mio analista il quale ignora dove i miei rancori sono riusciti a condurmi.
Mentre mi perdo nei miei pensieri, non mi rendo conto del silenzio caduto tra me e Goku.
Lo vedo trascinarsi fino all’altalena e occupare lo stesso posto su cui ero seduta io un attimo fa.
«E tu perché sei qui?» Mi appoggio a una delle aste arrugginite dell’altalena.
Goku fa spallucce. «Volevo prendere un po’ d’aria, come te.» Si allarga il nodo della cravatta. «Chichi non c’è. Speravo portasse Gohan e Goten.»
Le sue ultime parole sono coperte dalla musica proveniente dalla palestra, “Once upon a time you dressed so fine”,  un uomo esce dalla porta a vetri accendendosi una sigaretta. Ѐ subito raggiunto da una donna. “Threw the bums a dime in your prime, didn’t you?”.
Non sono in grado di riconoscere i loro volti, alla luce modesta della luna. Forse li conosco, forse li conoscevo, forse no. Ha importanza?
«Cosa hai detto?»

 

People’d call, say, “Beware doll, you’re bound to fall,”
You Thought they were all a’kiddin’you.
You used to laugh about
Everybody that was hangin’out.

 

 «Che Chichi non c’è .» Si dondola leggermente, guardando dritto davanti a sé.

 
Now you don’t talk so loud,
Now don’t seem so proud.

 



Nemmeno Vegeta.

 How does it feel?
How does it feel?

 

 «Sei a casa tua?»
«No.
Sono in Hotel.»

 To be without a home?
Like a complete unknown?
Like a rolling stone?




«Sei qui con Yamcha, vero?»
«No. Sono qui da sola.»

 

How does it feel?
How does it feel?
To be on your own?
With no direction home?
A complete unknown?

Like a rolling stone?

 

Restiamo a pensare a noi stessi, in silenzio. Vorrei chiedergli come sta, ma so già che sta come me. La differenza è che Goku aspetta sua moglie; io, invece, sto aspetto un fantasma. Lui è un adulto che vorrebbe rivedere i suoi figli. Io una sfigata che a trent’anni suonati fantastica sul ragazzo di cui era innamorata al liceo. E non so nemmeno se quello che provo è senso di colpa, pena per lui o per me, o se davvero provo qualcosa di profondo.
Guardo la strada davanti a me, il viale dei ricordi in tutti i sensi. Non prenderò la strada che mi porterà a casa mia: non possiedo più una casa qui.  Mi chiedo chi stia dormendo in quella che una volta era la mia camera da letto: come sarà la sua carta da parati; che tipo di musica ascolterà?
E penso a mio padre, alle sue notti insonni. Al laboratorio che gli è sopravvissuto. Non mangerò più i biscotti di mia madre.
Mi sento sola, in un posto che mi era appartenuto. Sorrido.
Se leggessi questi pensieri in un libro li accuserei di banalità; ma in fondo la verità è una sola, per questo è banale. Mentre le mie bugie sono sempre diverse.
Vorrei parlarne con Goku, raccontargli come mi sento, perché questa non sono io: non mi riconosco. Cercare un consiglio? Allora volto di scatto la testa verso di lui. Schiudo le labbra ma non dico nulla: non ho il coraggio.
Un tempo gli avrei spiattellato tutti i miei sentimenti in cerca di aiuto.
Ora? Non sono sicura di avere davanti uno dei miei migliori amici. Ed è buffo, perché lo conosco… lo conoscevo. Lo conosco ancora?
Da ragazzi avevamo come una specie di codice. Pronunciare il soprannome di qualcuno, dire una parola, bastava a descrivere un’intera situazione. Bastava quello o quell'altro aneddoto a farci ridere tutti quanti.
È strano rivedere un amico dopo tanti anni. Ti chiedi se sia ancora la stessa persona e in cuor tuo lo speri. Ad esempio, potrei semplicemente riprendere da dove c'eravamo lasciati al liceo e parlargli di me; mi starebbe ancora ad ascoltare?
Non sono sicura gli importerebbe.
Così ti ritrovi a trattare con uno sconosciuto che in realtà non lo è.
Perché ci siamo persi di vista? Non gli interessava sapere della mia vita? E se a me interessava, perché l’ho lasciato andare?
In realtà non ho voluto. Ci tenevo sì, ma non ho avuto tempo, però non ricordo in cosa di preciso fossi impegnata.
Non ho cercato nemmeno Vegeta, soprattutto per orgoglio.
«Ricordi la recita scolastica?» Mi chiede Goku.
Come potrei dimenticarla.
«Sì, come potrei dimenticarla? Sono stata la Wendy migliore della storia!» Mi vanto, e ripenso al mio “non bacio” con Vegeta. «Yamcha è stato il peggior Peter Pan della storia, invece.»
«Ci siamo divertiti.»
«Oh sì! Tranne Vegeta!»
Scoppio a ridere, di fronte a tanta verità. «Sicuramente il peggiore addetto luci di sempre!»

«E l’idea della mascotte? Sorprendesti tutti. Come mai decidesti di farlo?»
Faccio spallucce. Fu per sorprendere Vegeta e per dimostragli che non ero una completa idiota.

 
You shouldn’t let other people get your kicks for you.
You used to ride on a chrome horse with your diplomat
Who carried on his shoulder s Siamese cat.
Ain’t it hard when you discover that
He really wasn’t where it’s at
After took from you everything he could steal?



Sorrido, non più di me, ma per me. Non è vero che sono cambiata: sono cresciuta, e ho imparato ad essere me stessa. 
Ho fatto le scelte che ho sentito mie in quell’istante. Come quando ho deciso di non raggiungere Vegeta.
La mia ossessione.
Non ero pronta. Dovrei smetterla di biasimarmi. Non potevo sapere come sarebbe andata a finire. Avrei dovuto essere lungimirante, ma a diciotto anni la mia lungimiranza arrivava al week end. 
Poi a un tratto realizzo: se Arensay fosse stato davvero l’uomo della mia, anch'io avrei dovuto essere la donna della sua vita, no? Solo io ho continuato a pensarlo, a sperare in un suo ritorno. 
Se fosse stato davvero l’uomo della mia vita, a quest’ora sarebbe qui. Invece sono passati decenni e non è mai venuto a cercarmi. 
Non è mai accaduto nulla.
Se fosse stato davvero l’uomo della mia vita, anche lui, come me, avrebbe avuto bisogno di me, tanto quanto io ne ho avuto di lui. Invece non è accaduta nessuna empatia.

 

You’re invisible now, you’ve got no secret sto conceal.
How does it feel?
Aw, how does it feel?
Like a rolling stone.

 

 L’uomo e la donna usciti a fumare rientrano in palestra. E, con loro, svanisce anche le musica, “Like a rolling stone”.
Tutti i miei ricordi sono durati una sigaretta in cortile.
Like a rolling stone”.

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

:)

Ed eccomi qui, dopo un tempo infinito a pubblicare un nuovo capitolo di questa storia che mi dispiaceva abbandonare senza un finale. Purtroppo è lungi dall’essere finita, e di acqua sotto i ponti ne deve ancora passare. Come ne è passata nella mia vita, da quando ho iniziato a scrivere 1998 ad oggi. L’unica cosa che resta è la mia dislessia ;)
Mi scuso per avervi lasciato in sospeso, a fantasticare su Bulma Brief e Vegeta Arensay. Prometto che cercherò di essere più regolare negli aggiornamenti.
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia nelle seguite, nelle preferite, coloro che hanno recensito e coloro che hanno letto soltanto.
Da ultimo, vorrei riservare un ringraziamento speciale a tutti coloro che mi hanno spedito disegni, richieste e quant’altro. Avete fatto bene al mio ego u.u
Scherzi a parte, mi avete dato la voglia di continuare a scrivere, nonostante tutto.
Vi ringrazio.
Inoltre, colgo l’occasione per dedicare questa storia a una scrittrice e lettrice di questo fandom Yori, se non la conoscete, andate e leggere le sue storie ;)
Ah, dimenticavo, la canzone è di Bob Dylan, “Like rolling stone”, mi è sembrata appropriata al momento, e nonostante il capitolo sia piuttosto corto (ma con alcune anticipazioni e in perfetto stile 1998 ;P ) spero che comunque vi sia piaciuto e soprattutto di non averi deluso per via della sua "cortezza". Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate! :)
Così come il disegno, opera di LoveKath, che spero mi perdoni per aver rimpicciolito l'immagine!

PS: nel frattempo, qualcuno di voi mi ha fatto notare alcune sviste ed errori che andrebbero corretti, provvederò a correggere i capitoli precedenti, ma continuate a farmi notare i nuovi ;)

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Mi devi un libro di arte ***


libro

Mi devi un libro d’arte

 

________________________________




E adesso il libro si è incastrato; non posso né tirarlo via, né spingerlo dentro. Come se non bastasse ha ripreso a piovere e mi sto inzuppando mentre tento di cacciar via quel maledetto libro dalla cassetta delle lettere di Vegeta, un’inutile fessura nel portone.
Le dita nude scivolano dalla superficie liscia e bagnata della copertina di “Arte”, e non riescono a far presa. A spingerlo sembra quasi un’impresa più ardua, visto che non è incastrato nemmeno per metà.
Sono arcistufa! 
Punto un piede contro il portone, stringo il libro con due mani, tiro e… scivolo all’indietro sbattendo contro un’inaspettatamente morbido “qualcosa”.
«Mi scusi!», esclamo mortificata alla persona che ho urtato. Si protegge dalla pioggia con un giornale ormai illeggibile che getta a terra senza troppe cerimonie. Il suo volto è quello di un Vegeta adulto, più alto e con il pizzetto. Suppongo, si tratti del famigerato Sig. Arensay.
«Non hai visto che per le cartacce c’è la cassetta apposita?»
Bella predica, penso, da parte di qualcuno che ha appena buttato in strada un giornale intero! Ma seguendo il suo sguardo mi accorgo che per “cartacce” intende dei volantini, i cui lembi umidi spuntano da una cassetta bianca accanto al citofono su cui in blu è scritto “Pubblicità”.
Beh, non è comunque una scusa per buttare un giornale in quel modo cafone. Mi mordo l’interno della guancia, per evitare di essere sfrontata. Con la calma più calma del mondo «Non consegno volantini, devo restituire un libro a Vegeta Arensay che non è in casa», spiego, «così ho pensato di lasciarglielo nella posta».
«Quella cassetta non è usata da anni», m’informa e gira la chiave nella serratura, varca la soglia e con un cenno del capo indica una serie di piccole gabbiette attaccate al muro grigio dell’ingresso, su ognuna c’è una targhetta metallica con scritto il nome del proprietario.
«Il portone è aperto tutte le mattine per permettere al postino di lasciare la posta.»
Una specificazione retorica, che recepisco quasi come un insulto intriso di sarcasmo. 
«Io la mattina vado a scuola!», ribatto piccata; penso di essere di fronte ad un uomo estremamente metodico, per il quale il più piccolo errore sarebbe imperdonabile.
Che esagerato!
E invece solleva un’estremità di un labbro a mo’ di ghigno tra il serio e il faceto, come ho spesso visto fare da suo figlio.
Dura poco tanto che il suo volto torna ad essere una maschera impenetrabile, torva come quella di un attore drammatico.
Non aggiunge altro alle nostre battute, inizia ad armeggiare dietro il portone e dopo alcuni minuti il manuale di arte cade sulla strada con un tonfo.
«Vegeta è mio figlio», mi avvisa, quasi come se dal suo aspetto non fosse già abbastanza ovvio. «Dammi quel libro», ordina infastidendomi con quel suo tono autoritario. Vivere con lui dovrà essere tremendo.
Gli porgo il manuale, piena di vergogna per le condizioni in cui l’ho ridotto. La copertina e alcune pagine si sono strappate nel tentativo di salvarlo dalle grinfie dei miei compagni, e la pioggia ha pensato al resto, rendendo il risultato imbarazzante. 
Questo è anche uno di motivi per cui avevo preferito lasciare il libro nella posta, alla sordina, piuttosto che consegnarlo direttamente a Vegeta e ai suoi improperi.
Persino il padre lo guarda esterrefatto, chiedendosi chi tra suo figlio e me possa aver ridotto quel piccolo pozzo di cultura in un relitto. 
Il Sig. Arensay osserva l’orologio, nell’altra mano stringe una ventiquattrore, poi solleva lo sguardo su di me. Sembra svegliarsi, accorgersi solo in quel momento di avere davanti una ragazzina zuppa di pioggia, che aveva fatto tutta quella strada solo per riconsegnare un libro a quello sciagurato del figlio. «Vegeta sta per tornare, puoi aspettarlo in casa», alcuni istanti dopo aggiunge «Se vuoi».
E nel tono di voce, nello sguardo puntato sul mio, leggo quasi un’esortazione a non restare; non vi leggo nulla di gentile. Quell’uomo non vuole seccature e mi sta invitando soltanto perché quell’invito gli è sembrata la cosa più giusta da dire, secondo le regole della società in cui viviamo.
Pare molto stanco, sicuramente deve essere tornato da un viaggio d’affari, e Vegeta mi aveva detto che suo padre lavora molto all’estero, che sta poco a casa. 
Vorrà stare in pace, ad aspettare suo figlio che rientri dalla gara di nuoto, piuttosto che accudire una ragazzina nell’attesa.
Rifiuto l’invito. Saluto. Torno al mio motorino.
Più tardi avrei ripensato a quella scena come svolta al rallentatore. 

«Rifiuto l’invito, saluto e torno al motorino», le mani mi tremano e quasi non rovescio la tazza di tè bollente che ho in mano, «Non ho visto nulla, agente». Ho la voce rotta, mentre ripeto quella storia per l’ennesima volta all’agente Duck, che adesso mi stringe la spalla come a farmi forza.
Ma non ho paura, sono confusa.
No, ho paura e sono confusa. Sto ancora tremando nonostante il tepore della coperta di lana. Il corpo del signor Arensay è stato coperto con un panno bianco, su cui spunta una macchia rossa di sangue. Tutto intorno post-it gialli con scritto un numero a indicare gli oggetti ritrovati sulla scena del delitto. Il libro di arte è il numero tre.
«Non ha visto nessuno uscire dal palazzo? Qualcuno entrare, mentre parlava con il signor Arensay?»
«No, nessuno. Ho sentito uno sparo e basta. Gente che usciva sui pianerottoli e una donna che gridava.»
L’agente Duck appunta tutto ciò che dico, annuisce. Morde il cappuccio della penna, rileggendo le note prese. 
«Sarebbe meglio se lei restasse qui ancora per un po’, il tempo di finire l’interrogatorio ai vicini. Nel frattempo, cerchi di ricordare qualche altro particolare». La visiera nera del suo berretto è illuminata dalle luci blu e rosse delle sirene.
Dietro le sue spalle, vedo arrivare Vegeta, scendere da una macchina nera in compagnia di un uomo molto alto e nerboruto; un altro agente avverte Duck del suo arrivo. Nessuno dei quattro ha un ombrello e lasciano che la pioggia gli cada addosso.
Come un automa, seguo, a debita distanza, i due uomini avvicinarsi ad Arensay, tra le macchine della polizia, paramedici, scientifica e giornalisti lì per carpire le ultime news sulla morte di uno degli affaristi, a quanto pare, più in voga del nostro tempo.
«Lei è Vegeta J. Arensay?», chiede Duck.
Vegeta annuisce.
«Mi spiace doverla informare che suo padre, Vegeta Arensay è morto».
«Lo so, mi hanno appena informato», risponde secco, lo sguardo posato oltre i due agenti, a seguire due paramedici spingere su una barella il corpo del padre, ora coperto da un sacco di plastica grigio. 
«Gli hanno sparato», precisa Duck.
«C’è altro?»
 I due agenti, presi alla sprovvista, si scambiano un’occhiata, e sempre Duck informa che non sanno chi sia il colpevole. 
«Non so chi possa essere stato», dice subito Vegeta precedendo la domanda dell’agente. 
«Mio padre non viveva qui, ma a… veniva qui solo di rado»
L’altro agente esita, poi afferma «Mi hanno detto che non eravate in buoni rapporti».
«Se ero in buoni rapporti con mio padre è affar mio.» Taglia corto Vegeta, con un’insolenza fredda. Ho come l’impressione che la pioggia, scivolandogli addosso, gli stia sciacquando via tutta la sua adolescenza.
È un uomo in quel momento, non il ragazzino secchione e taciturno con cui ho lavorato al progetto di scienze.
L’agente Duck fa un cenno di assenso.
«Bulma, tesoro, siamo arrivati appena abbiamo potuto, sai non potevamo lasciare il forno acceso con dentro i biscotti!», arriva mia madre in compagnia di mio padre. Mi abbracciano felici di trovarmi sana e salva, nonostante abbia detto loro che non ho corso alcun pericolo.
Almeno, per non aver accettato l’invito del sig. Arensay. Un brivido mi percorre la schiena, al pensiero che avrei potuto rimetterci la pelle anch’io, se solo fossi salita insieme al padre di Vegeta.
Ripeto ai miei che sto bene, che non ho nulla, liberandomi dalle loro carezze invadenti; ma quando mi giro per scorgere Vegeta mi accorgo che non è più lì.

La mattina dopo, in classe, è tutto un gran parlare dell’accaduto. Sulle prime, avevo pensato di restarmene a casa, non sentendomela di andare a scuola. Ma di notte, la mia spavalderia si era esaurita ben presto lasciandomi in balia di bruttissimi incubi.
E pensare che Yamcha si era persino offerto di farmi compagnia! Ho rifiutato come una sciocca, salvo poi essermene pentita al secondo o terzo incubo. Sogni tutti uguali, in cui seguivo il signor Arensay per le scale e sparavano a me, invece che a lui.
All’alba ho poi deciso che non ne potevo più di starmene a letto e che oggi sarai venuta a scuola, per riappropriami di un po’ di normalità che giornalisti invadenti mi avevano tolto chiamandomi per tutto il giorno prima, in cerca di notizie.
Notizie che, tuttavia, erano riusciti a trovare lo stesso. E anzi, adesso, tutta la storia della famiglia disastrata di Vegeta era in prima pagina, sulla bocca di tutti, grazie alle “ultimissime” dall’Orange News.

A quanto pare, infatti, il Signor Arensay non era stato proprio il più candido degli affaristi, si era fatto un certo nome in società grazie ad alcuni affari loschi “ai limiti della legalità” (citando il giornale) condotti nei primi anni ’80, grazie ai quali era diventato uno degli uomini più ricchi e influenti del pianeta; indagato più volte per frode al fisco, era stato costretto a dichiarare fallimento dal quale era riuscito ad uscire grazie ad una fusione con la Freezer Corporation. Il suo lavoro l’ha sempre portato fuori casa, lasciando il figlio a vivere la sua vita come meglio credeva: allo sbando.
Tuttavia, adesso, morto suo padre Vegeta è diventato erede di un cospicuo patrimonio, di cui Freezer Cooler sarà fiduciario fino a quando non compirà ventitrè anni.
«Hai capito Arensay!», esclama Crilin, tutto concitato.
«Non ci trovo nulla di entusiasmante, dal momento che è morto suo padre!», gli ricordo stizzita; tutto questo ciarlare mi sta facendo innervosire, rimpiango di non essermene rimasta a casa.
Eppure, se fossi restata a casa, non avrei fatto altro che ripensare all’accaduto… cosa che comunque sto facendo da quando sono arrivata, ma almeno sono in compagnia.
Di certo non potevo chiedere ai miei amici di marinare la scuola e passare la mattinata in mia compagnia.
O forse avrai dovuto?
E se io sto reagendo in questo modo, non oso immaginare come si senta Vegeta. Ieri ha avuto un gran da fare a fingersi un duro, a mostrarsi quasi indifferente. So per certo che ne soffre. 
Sarebbe inumano non provare nulla, come ha dimostrato ieri ai due agenti.
Mi disgusta che nessuno dei qui presenti abbia speso una parola, una domanda sul suo conto. Tutti interessati ai maneggi di suo padre; tutti a chiedersi il motivo della sua morte.
Nessuno. Nessuno che mi abbia chiesto “Come pensi che stia Vegeta?”.
Ha ragione lui, a considerarli un branco di bifolchi.
«Bulma, come pensi che stia Vegeta?»
«Eh?», è Goku che me lo chiede, come se mi avesse letto nel pensiero. «E come vuoi che stia? Male, no?» Rispondo acida, «giurerei che non lo rivedremo più da queste parti, almeno per i prossimi tre mesi!» Preannuncio con l’aria di chi la sa lunga.
Sono l’unica tra tutti che lo conosce, a loro non importa come importa a me, forse sarebbe stato meglio se Goku non mi avesse chiesto nulla.
Oh, tutta questa faccenda! Sono talmente agitata che non riesco nemmeno a essere coerente con me stessa.
«Scusatemi, ho bisogno di una boccata d’aria. Se nel frattempo arriva la prof ditele che non mi sono sentita bene…»
«Vuoi che venga con te?» Domanda Yamcha, declino il suo invito.
Voglio solo restare sola. 
«No, grazie!» Risoluta esco dall’aula, quando per poco non mi viene un colpo!
Vegeta che, zaino in spalla, cammina verso di me.
«Ma che ci fai qui?», chiedo quasi con malagrazia, piena di stupore, con un tono acido affatto adatto alla situazione. Mi maledico, per non aver saputo trovare una migliore accoglienza.
Lui mi guarda, come se la pazza fossi io. «Vengo a lezione!» Dice come fosse la cosa più ovvia di questo mondo. Riprende a camminare, mi sorpassa, e si arresta di nuovo.
«A proposito di ieri,» mi fa, «mi devi un libro di arte.»





Continua…

 

Nda: Scusatemi tutti per la lunga, lunghissima assenza ç______ç lo so, lo so, che dovrei aggiornare più spesso, ma ho davvero pochissimo tempo per dedicarmi a questa storia come si deve! Non ho ancora finito di correggere i capitoli vecchi =//= ma ci sto lavorando =u=/ 
Spero che la storia continui a piacervi, soprattutto dopo questo cambio di scena! Giuro che non era previsto, ma poi, come si suol dire, i personaggi hanno preso la tangente e oramai vanno avanti da soli! 
Ringrazio tutti coloro che seguono la storia, chi l’ha aggiunta tra le preferite e chi l’ha recensita. Se poi volete lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate, sarà bene accetta :D
Alla prossima! :* 

















Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** A walk on the wild side ***


walk

A walk on the wild side

________________________________________

 

La chiacchierata con Goku mi aveva fatto bene, come sempre. 
Mi ero schiarita le idee, anche fin troppo. Tanto da essere di un tale buon umore da accettare di ballare un lento con Yamcha. Non fosse altro per far vedere a C18 che di Vegeta non me ne importava niente, di certo non volevo gli raccontasse di quanto patetica ero stata da averlo aspettato tutta la notte come una scolaretta in piena crisi ormonale.
Il dopobarba di Yamcha puzza da morire, ma porta con sé il sentore della nostra storia travagliata. Forse sono stata io l’unica sbagliata, innamorata di un’idea di perfezione che probabilmente non avrei trovato nemmeno con l’altro.
Mi ha sempre tradita, ma del resto anch’io ho sempre tradito lui, immaginando di stringere Vegeta persino la notte della nostra prima volta. Con Yamcha è sempre stato tutto semplice: l’ho ripreso tutte le volte che ho voluto. Non è mai stato un fantasma. C’è sempre stato, senza però avergli mai dato una possibilità di riscatto.
L’ho sempre accusato di non avermi mai compreso, idealizzando le capacità di comprensione dell’altro. 
Forse nemmeno Vegeta mi ha mai capita. Ciò che mi lega a lui sono ricordi che quasi mi sfuggono. Sensazioni ricreate nella mia immaginazione, colpevolizzandomi per qualcosa che persino Vegeta non aveva fatto: trovarmi, trovarci.
Magari mi sono presa in giro e ho voluto vedere nel nostro rapporto adolescenziale qualcosa che in realtà non c’era. Trascinata da quell’amore mai consumato, ho trascurato le mie relazioni da adulta confrontandole con qualcosa che, di fatto, ha perso vigore anche nella mia mente.
Yamcha il superficiale; Vegeta l’irraggiungibile. Io, la povera sciocca.
Dentro di me ho sempre incolpato Yamcha di non essere Vegeta, quando era ovvio che non potesse esserlo. L’immatura sono sempre stata io, che invece di aggiustare ciò che avevo, sono stata solo capace di fare paragoni con ciò che non avevo e mai avevo avuto!
Mi stringo più forte al mio compagno, mentre una delle mie lacrime gli inumidisce la camicia. Se ne accorge.
«Stai bene?» Sussurra.
«Sì, sto solo… pensavo a noi.»
«Vedo che il punch ti ha reso malinconica.» Mi costringe a  un piroetta per farmi ridere. Sorrido.
Vegeta non mi ha mai fatto ridere, soltanto piangere e tribolare.
Non è solo Yamcha che dovevo decidermi a lasciare; ma era il ricordo di Vegeta che dovevo decidermi a lasciar andare.
Mi ristringo a Yamcha, «Sei sempre stato un buon amico.» Gli concedo.
«Solo un buon amico?»
Non mi va di concedergli altro. «Sei venuto in taxi?»
«No, ho la mia macchina.»
«Mi riaccompagni in hotel? Non mi va di guidare.»
Ovviamente accetta. Voglio andarmene da questo posto, e dagli sguardi di C18. Che gli racconti che sì, sono stata con Yamcha, o che non gli racconti nulla, a Vegeta. Ormai sono stanca, anche le mie stesse congetture mi annoiano.
Entriamo in macchina. E lì, nel buio del cruscotto, succede ciò che, a inizio serata, non mi sarei mai augurata: bacio Yamcha!
Un bacio che si prolunga nel desiderio di voler andare oltre. Per questa volta, voglio pensare a lui soltanto, lasciandomi la scuola, i miei ricordi e, soprattutto, Arensay alle spalle.
Sì, finirò a letto con Yamcha stasera, per non pensare a nessun altro se non a me stessa.
Un colpo di spugna, un addio inaspettato.
Un addio a Vegeta e ai rimorsi che non merito. Libera!
«Metti in moto, andiamo in Hotel!» Dico infine trafelata, risistemandomi al mio posto.
E siamo già lontani, verso il centro cittadino. Sto sbagliando di nuovo, non me ne importa niente.
La macchina sfreccia via, svolta l’angolo, gira, e…

 BOOM

 Un boato. Una bomba esplosa. Polvere, ci investe in un’onda. 
«Fermati!» Grido, ma Yamcha ha già premuto il piede sul freno, inchiodando con una sgommata sull’asfalto. La cintura mi strattona indietro, e c’era mancato poco. Pochissimo, a che investissimo un uomo ferito buttato sulla strada. Dei ciottoli ricadono sul tettuccio della nostra macchina.
Dopo un instante di stordimento, scendiamo dalla macchina; resti di un palazzo in fiamme. Urla. Gente che scappa. Raggiungo l’uomo ferito. 
Succede tutto velocemente, come in un sogno. Un incubo.
Ancora urla, questa volta le mie, e l’uomo che ho raccolto tra le braccia, Vegeta.

Ricordo che presi una decisione solo alle sette e mezza di sera. Per tutto il pomeriggio non feci altro altro che chiedermi se fosse meglio andare o restare a casa, a pensare ai fatti i miei, come mi era stato vivamente chiesto da Vegeta. 
Purtroppo non sono mai stata in grado di farmi gli affari miei. Così, forte di una risolutezza che sarebbe venuta a mancare nell’instante in cui l’avrei rivisto sulla porta, decisi di andare da lui. 
In fondo, gli dovevo un libro di arte. Gli portai il mio, che tenni stretto tra le braccia a farmi coraggio, mentre salivo le scale del palazzo a occhi chiusi per paura di trovare qualche traccia di sangue. Fu sorprendente la prontezza con cui Vegeta rispose al citofono, salvo poi restare immobile sotto l’uscio, con quel suo solito cipiglio di malcontento. Braccia conserte, mi disse di aver aperto subito credendo fosse qualcun altro, aggiungendo che, se fossi andata sin là per parlare, era stato tempo perso giacché non ne aveva intenzione alcuna…

«Nemmeno io ho questa intenzione, sono solo venuta a riportarti il libro di arte.» Glielo sventolo davanti. È il mio libro, sul quale ho ricopiato alcuni appunti di Chichi.
«Potevi portarlo domani!» Palesa la sua voglia di non volermi lì; mi prende il libro.

«Beh, considerato che è una delle poche cose che hai detto stamattina, ho pensato non vedessi l’ora di riaverlo!» Ribatto, rendendogli pan per focaccia; lo sorpasso e mi autoinvito dentro. «Ma che accidenti fai, così al buio?» Accendo la luce con finta disinvoltura. Fingo anche di non vedere i giornali buttati per terra. Sono sicura stia soffrendo.
«Non ti ho invitato ad entrare.»
«Ormai sono entrata, cosa vorresti fare, cacciarmi?» Spingo via col piede i giornali sotto al divano, e mi siedo. «Poi abbiamo molte cose di cui discutere.» Aggiungo.
«Ti ho detto che proprio non è aria. Non costringermi a trascinarti fuori.»
«Dicevo, che dobbiamo ancora discutere del nostro progetto, non crederai che sbrighi tutto il lavoro da sola! Non ti pare di star approfittando un po’ troppo del mio tempo?» M’importa poco di cosa parleremo, voglio solo stargli accanto. «Allora la chiudi quell’accidenti di porta, Vegeta? Fa freddo.»

Chiusa la porta, non viene a sedersi con me, va dritto al frigo a prendersi qualcosa senza offrimi nulla. Siede allo sgabello della penisola. Nell’istante in cui mi alzo per andare da lui, squilla il citofono. Quel qualcuno che Vegeta aspettava sembra essere appena arrivato.
Tuttavia, lui non si muove, si limita a volgere uno sguardo bieco verso l’apparecchio, che suona ora insistentemente.
«Non apri?»
Vegeta mette fine alla questione con una scrollata di spalle. 
Dovrei ritenermi contenta per essere l’unica con cui ha deciso di dividere la sua alcova di dolore. Invece, non riesco nemmeno a mostrarmi triste per la sua sorte. Vorrei dirgli che mi dispiace, ma non suonerei convincente. La portata del suo dolore mi è così estranea da non riuscire nemmeno a percepirlo, mi accorgo solo di volergli un gran bene. 
Gli vado vicino e gli guardo le spalle per alcuni istanti, vorrei abbracciarlo ma immagino che lui non vorrebbe. Mi limito allora a sedergli di fronte, ci guardiamo negli occhi.
I suoi sono arrossati. Lo avevo notato anche prima. E la lattina presa dal frigo non è stata aperta, la superficie metallica sgocciola intatta sulla superficie del tavolo.
Il telecomando dello stereo è a portata di mano. Accendo la musica, una canzone che stona con il nostro stato d’animo.

Hey babe, take a walk on the wild side,
Hey honey, take a walk on the wild side
And the coloured girl says
Doo, doo doo, doo doo, doo doo doo

 Alla terza strofa, il mio millantato equilibrio vacilla e il dolore di quella distanza incolmabile, tra me e lui, mi scoppia dentro. Sono io che piango adesso, in silenzio, per entrambi. Perché non so cosa dire, né come aiutarlo, perché soffro per lui.
Lacrime calde mi scorrono sulle guance, denudando la mia insicurezza. Lui le guarda scorrere inesorabili senza dir nulla. 

Hey honey, take a walk on the wild side*.

 

 

 

 

Nda: Scusate tutti l’estremo e, ormai solito, ritardo con cui aggiorno. Purtroppo non riesco davvero a stare al passo D’: 
Spero questo capitolo vi piaccia, e che non mi tiriate dei pomodori virtuali! Mi auguro di ritrovare i vecchi lettori e trovarne di nuovi. Grazie per tutte le recensioni, i disegni e il supporto in questi anni!
Un abbraccio a tutti! :*

*Lou Reed, Take a walk on the wild side

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Allora che ne dici? ***


che ne dici

Musica consigliata durante la lettura: Pixies, Where is my mind




 Allora che ne dici?

_____________________________________________

 

Sono scalza, ho lasciato i tacchi in un angolo. La fronte schiacciata contro il vetro, il mio respiro forma aloni di condensa che sanno di punch al mandarino. Non saprei dire da quanto tempo sono qui; ho il braccio indolenzito a forza di tenerlo sollevato contro il vetro, le dita della mia mano accarezzano la superficie liscia e trasparente che mi separa da Vegeta.
È in terapia intensiva. Non si è ancora svegliato. 
Arriva Yamcha, poggiandomi una mano sulla spalla. “Hanno detto che ti avrei trovata qui. Stai bene?”
Non lo so se sto bene, Ricorderai di avermi atteso tanto.
«Abbastanza.» Mento; voltandomi incrocio le braccia al petto. Indosso ancora il vestito del ballo, sporco del sangue di Vegeta. Non dico altro e Yamcha rispetta il mio silenzio per alcuni istanti prima di sedersi sulla poltroncina dirimpetto. Anche lui indossa ancora i vestiti del ballo, ma il colletto della camicia è sbottonato e la cravatta è stata tolta.
«Dicono che,» esita per sincerarsi di poter continuare; sollevo gli occhi su di lui, Qualsiasi cosa ti abbiano detto non corrisponde alla verità, vorrei dirglielo ma riesco solo a pensarlo, tanto la mia gola è secca di sconforto.
«Bulma.» adesso è lui a guardami negli occhi,

 
«Arensay, ce l’hai fatta ad arrivare.
» Sono contro il muro del corridoio della scuola, tra le mani sudaticce stringo il tessuto della mia gonna a pieghe, mentre mi sforzo di reggere lo sguardo di Vegeta. Nell’ordine, ho già bevuto un paio di camomille, lavato il viso diverse volte e pensato tutto il tempo al nostro ultimo colloquio.
Da quando gli sono scoppiata a piangere in faccia, oggi è la prima volta che ci vediamo, ho marinato la scuola, fingendo di essere stata malata. E il progetto, alla fine, l’ho terminato da sola nei pomeriggi passati a casa a pensare a tutto questo.
Non faccio che ripetermi che suo padre è stato ucciso e che io non so come aiutarlo; che cosa ha provato vedendomi piangere; perché non ha detto nulla, senza menzionare alcunché nemmeno al telefono.
Avrà pensato che provo qualcosa per lui? Avrà pensato di non essere più solo?
Ma solo non lo è mai stato. La sua ragazza avrà consolato le sue lacrime, e ne sono gelosa.
Stringo ancora i pugni sulla stoffa, sono una stupida: essere gelosa di C18, in simile circostanze! Non faccio che pensare a me stessa, che egoista!
Poi proprio lui, Arensay, rompe il silenzio. «Sai, volevo…» 
«Bulma, tesoro, stiamo tutti prendendo posto!» Interrompe mia madre, sbucando fuori da un prisma di luce proveniente dalla porta socchiusa della palestra, dove sono stati allestiti tutti i progetti di classe; dove tutti i genitori (tranne uno) sono in trepida attesa.
«Oh, ciao caro, come stai?» Gli domanda dolcemente.
«Bene.» Bercia Vegeta, sorpassandoci entrambe e sparendo nel chiasso della palestra che un istante dopo si sarebbe acquietata, per il sacrosanto diritto di fare dei pettegolezzi sul giovane Arensay.
«Mamma, accidenti a te! Devi rovinare sempre tutto.»
«Tesoro scusami, vi stavate forse baciando?» Chioccia inopportuna come sempre.
«Mamma!» La riprendo esasperata, e raggiungo anche io la mia postazione, accanto a Vegeta, dietro il nostro progetto di scienze: una macchina radiocomandata ad energia solare, grazie alla quale, più tardi, avremmo vinto il primo premio.
Vedo tutti bisbigliare indicando ora me ora Vegeta; se lui sembra non darsene cura, io mi sento estremamente in imbarazzo. Forse perché io, al contrario di lui, non ho un lutto a cui pensare, non mi sono ritrovata orfana a diciotto anni, non sono odiata da tutti. Non mi sento così sola come lui.
Mi volto a guardarlo, provo a sfiorargli una mano nell’atto di stringergliela, la ritira immediatamente. Volevo che avesse un contatto con la realtà, invece credo preferisca il suo mondo. 
Un’occasione sprecata, non saprò mai cosa voleva dirmi. Magari ringraziarmi, ma ringraziarmi di che, di essere scoppiata a piangergli in faccia?
Quella serata passata a giocare a Risiko, non mi è mai sembrata così lontana…

 
«C’è un’indagine in corso e ci sono buone probabilità che sia stato proprio Vegeta ad innescare la bomba! Non credo che dovremmo restare qui. Ma mi stai ascoltando?»
«Lo farei se mi dicessi qualcosa di interessante!»
«Ma non capisci che sei al capezzale di un probabile psicopatico?»
«Oh, per piacere, non esagerare… cosa ne sai tu?»
«Beh, perché tu ne sai moltissimo, invece. Ti ricordo che fino a poche ore fa avresti aperto le gambe per me!»
E si becca un schiaffo in piena faccia. Ho le lacrime agli occhi, i nervi a fior di pelle. Quel che peggio è che ha ragione: non conosco nulla di Vegeta e probabilmente è stato lui ad uccidere tutta quella povera gente. 
Il mio respiro è così pesante che mi gonfia il petto, in cui il cuore mi batte all’impazzata. 
Yamcha stringe un insulto tra le labbra, digrigna i denti umiliato. «Comunque sono venuto a chiamarti perché la polizia vuole vederti.»
«La polizia?» Chiedo scioccamente.
«Te l’ho detto, hanno aperto un’indagine. Quel pazzo ha fatto esplodere la sede principale della Freezer Corp. Credi davvero che la cosa si sgonfi in un nulla? Vogliono interrogarti.»
«Interrogarmi?» Sta andando tutto troppo veloce. Continuo a ripetere domande stupide, come se la realtà non volesse entrarmi in testa.
«Certo, vogliono sapere come, dove e quando abbiamo trovato il corpo di Vegeta Arensay.» 
«E tu cosa gli hai detto?»
«La verità!» Suta sprezzante, come stesse schiacciando un insetto schifoso. Quasi riesco a sentirne il viscido scrocchio.
«E quale sarebbe la verità per te?» Domando trafelata, rendendomi conto che la vita di Vegeta non è retta dagli apparecchi che lo stanno tenendo in vita, ma soltanto da una testimonianza lasciata con rancore.
«Credevi forse che non mi fossi accorto del tuo patetico attaccamento al tuo amore del liceo?» Riprende Yamcha. «Hai davvero toccato il fondo, Bulma. Non ti importa delle persone che sono morte stanotte? L’ospedale è in piena emergenza, e tutto per colpa sua! Sussurravi il suo nome, quando ti stringevo tra le braccia; ma io ti ho sempre amata, e sarei stato disposto ad accontentarmi delle briciole pur di stare con te!»
«Adesso basta!» Batto un piede a terra e un’infermiera mi fa segno di abbassare la voce, «Risparmiami i tuoi piagnistei da soap opera, Yamcha!» Riprendo con un tono più fermo e basso, «Non osare incolpare me per la tua incapacità a farmi dimenticare il mio patetico amore del liceo!» Gli punto il dito contro. «Questa sera non si è trattata di una semplice casualità: se non avessimo preso quella strada, domani avrei comunque appreso tutto dai giornali. Saresti uno sciocco a credere che non avrei fatto il possibile pur di essere qui. E adesso lasciami in pace.»
Raccolgo i tacchi da terra e, scalza, mi dirigo dalla polizia per rilasciare la mia testimonianza.

 

«Allora che dite, accettate l’invito?» Chiedo piena di gioia. 
Abbiamo vinto il primo premio! Il primo premio. Non mi era mai capitato di vincere nulla tutto da sola con le mie proprie forze, in scienze tra l’altro! Certo, ho avuto un grande supporto da Vegeta, ma il progetto è stato completato da me. Se questa coccarda non fosse così di pessimo gusto, la porterei come spilla tutti i giorni.
L’idea è di organizzare una festicciola a casa mia, una cosa semplice solo con i miei compagni di scuola più intimi. Credo che passare un po’ di tempo allegramente faccia bene a tutti, anche a Vegeta.
«E tu bel fusto non vieni?» Lo esorto, avvicinandomi a lui. «O credi che sarebbe di pessimo gusto passare la serata in festeggiamenti?» Ritraggo.
«Perché mai, il mondo non si è mica fermato.» Risponde schietto, raccogliendo il proprio zaino da terra.
«Quindi verrai?» So che una festa potrebbe non essere la cosa più appropriata, dall’altro lato, però, continuo a volere che, soprattutto, lui si svagasse. 
Mi mordo le labbra, pizzicata dalla coscienza che ripudia il mio modo subdolo e affatto ortodosso di voler creare un’occasione per passare del tempo con Vegeta, quasi a costringerlo a divertirsi in una situazione simile.
Oh, i miei neuroni sembrano ubriachi: mi sento una pessima persona a volerlo con me e a voler festeggiare, mi sentirei anche peggio a saperlo da solo mentre io mi diverto con gli amici. 
La mia solita boccaccia! Avrei fatto meglio a starmene zitta, e a festeggiare la vittoria in modo più discreto.
«No, Diciotto e Diciassette sono venuti con me.»
«Beh, allora porta anche loro, no?» Mi crolla il mondo addosso. Se avessi saputo che si era portato dietro quella zavorra di sarcasmo, mi sarei stata zitta.
Accidenti, sicuramente gli avrà raccontato dei miei piagnistei! Chissà quante risate si sarà fatta alle mie spalle.
O forse era proprio lei al citofono, quel giorno da lui. Un motivo in più per odiarmi: restare in strada mentre il suo ragazzo si sorbiva una crisi di pianto da una… dall’ultima persona che aveva visto suo padre in vita.
Mi stringo tra le braccia, imbarazzatissima. «Scusami, è stato lo slancio della vittoria. Non avrei dovuto invitare gente a casa!»
Vegeta ed io saremmo legati per sempre da questo brutto ricordo: fino alla fine dei giorni, penserà a me come all’ultima persona che avrà visto suo padre. Il padre assassinato.
«Tsk invita pure chi pare, cosa vuoi che me importi!»
Sospiro, pensando fino a che punto avrà intenzione di reggere la parte del duro, “Ma tanto è solo una pizza a casa mia, verranno Goku, Chichi, Crilin e… Yamcha…» Continuo insicura, a convincermi di aver avuto una buona idea dopotutto, in realtà mi sento in colpa, per essere stata testimone involontaria di un evento così terribile e privato. 
Vorrei Vegeta mi associasse a qualcosa di diverso, di divertente, di piacevole. Vorrei in futuro pensasse a me come la ragazza carina con cui ha vinto il premio di scienze; vorrei non essere mai andata a casa sua a riportargli quel maledetto libro. Vorrei non aver mai conosciuto suo padre.
«Se accettassi,» risistema gli occhiali sul naso, «Sarebbe solo perché non mi va di sembrare patetico, non perché tu e i tuoi amici mi state simpatici.» 
«Vuoi dire che accetti?»

 

 

 

Continua…

 

     Nda: Aggiornamento a tempo record! xD In realtà, il precedente e questo erano stati pensati per far parte di un unico capitolo, poi però ho preferito dividerli e postare questo subito dopo!^^ Spero vi piaccia! Ringrazio i nuovi lettori che hanno inziato a seguire la storia! 
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate della storia fino ad ora, quindi, se capitate tra questi lidi... recensite!:D       

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Two lost souls swimmin’in a fish bowl ***


two

Two lost souls swimmin’in a fish bowl

_______________________________________________________

 

Hey you,

would you help me to carry the stone?*

 

 

In quel momento non avrei mai creduto che l’odore della palestra avrebbe tormentato le mie fantasie di donna ben dieci anni dopo. Che quella stessa luce al neon, chiara come la nolente verità, avrebbe raffreddato la confidenza che serbavo in me stessa, in una notte di aspettative disattese. 
E forse era chiaro anche allora che non sarei stata in grado di salvare Vegeta, nella presunzione di poter cambiare quella sua sofferenza con una pizza tra amici. I miei amici.
Gli chiesi ancora cosa avesse deciso, quasi offesa per la sua irriconoscenza nei mei confronti, per quella sua riluttanza a passare del tempo con me, quasi l’unica al mondo a poterlo capire; perché avrei fatto qualsiasi cosa per annebbiare il ricordo del padre con un presente di sorrisi, quando lui preferiva tormentarmi senza rispondere. Nel profondo, non lo avrei mai ammesso, credevo mi fosse dovuto almeno un abbraccio, soprattutto dopo avermi visto piangere per lui; mi consideravo, era vero, ormai parte indimenticabile della sua vita e non capivo perché lui non voleva riconoscerlo. Quasi stufa di doverlo sempre riconcorrere per tirarlo fuori dalla sua mente, la mia paura, pensavo, meritava empatia e mi sbagliavo. Sentivo che saremmo stati legati per sempre, in un cameratismo di dolore di cui, senza accorgermene, mi compiacevo con me stessa. Sentimenti complicati, troppo per poter essere afferrati nella loro egoistica essenza da una giovane ragazza ai primi assaggi di vita. Li scambiavo per amicizia e altruismo disinteressati, ma era soltanto voglia di passare del tempo con lui. Ora lo riconosco, non era compassione ma giustificazioni date a me stessa.
Tuttavia, era ancora il 1998, eravamo adolescenti, eravamo prede di emozioni potenti e me la presi. Quando il suo sguardo scorse oltre le mie spalle, avevo ancora la convinzione che avesse potuto accettare il mio stupido invito. La delusione sarebbe arrivata in un istante, fastidiosa come il dito indice che, da lì a pochi secondi, C18 avrebbe imposto a pistola contro la mia schiena “Ci provi sempre, vero?”. Poi Vegeta mi avrebbe dato le spalle, io lo avrei rincorso… lo ricordo come fosse ora… afferrandolo per un braccio, “Dai, ho anche ilKaraoke!”, dicevo. Ti dicevo.
E ora sei qui, Vegeta, lontano la distanza di un vetro. Mi tremano le mani, mi trema la voce, mi tremano i pensieri che, veloci, trascinano lacrime. Avrei voluto abbracciarti con la forza di un’attesa decennale, e invece sono qui con la paura di romperti anche solo con lo sguardo. Sei forte, tuttavia umano e dicono che forse morirai.
Nel caso tu non morissi… nel caso tu non morissi… nel caso tu non morissi… Vegeta…dovrei dirti che non m’importa niente di chi hai ucciso stasera. Di cosa hai fatto, perché. Ti direi: “Vieni a casa”, come fosse quella sera.
Non cederei alla forza della distanza che, da giovani, le nostre paure ci imponevano. Non ascolterei la mia testa, andrei dritta per il cuore.  

 

«Ma si può sapere che vuoi?» Strattona il braccio per liberarlo dalla presa, «Ehi Yamcha, perché non te la vieni a riprendere? Mi ha stancato!» Ma prima che Yamcha colga l’insolenza, Vegeta decide di continuare il suo monologo a labbra tirate di rabbia: «Mi hai stancato Brief, mi sei sempre tra i piedi! Ma che diamine vuoi
«
Mh…Vacci piano, Vegeta, o si metterà a piangere di nuovo!», affonda C18.
«Glielo hai detto?», domando furiosa, più colpita dalle parole di C18 che da quelle di Vegeta, resa partecipe di quell’unico, intimo istante tra me e lui.
«Ehi, Bulma, tutto bene?», sopraggiunge Yamcha, osservando tutti e due in modo torvo.
«Non lo vedi? La tua ragazzetta mi pare piuttosto insoddisfatta!» Bercia Arensay, strafottente, leccandosi il labbro superiore. «Forse dovresti farti lei, piuttosto che la copia! Sarebbe ora, o continuerà a chiedere ad altri di spogliarla
«
Vegeta…», sospiro. 
«Come? Che cosa vuol dire, Bulma, Vegeta
«
Oh non te l’ha detto, forse?» Scoppia a ridere quest’ultimo. «Che mentre punisce te per esserti scopata un’altra, una sera si sarebbe volentieri fatta dare una botta da me!» La risata diventa più forte, gutturale, maliziosa. 
«Non è vero, Yamcha!», riesco solo a mentire, impreparata davanti a quello schiaffo morale che mi arriva proprio dal poco raccomandabile Vegeta. 
C’è molta gente intorno a noi; tra ragazzi e genitori impegnati a tessere le lodi dei loro figli ai professori, nessuno ci bada, venendoci incontro. Bloccandoci. E Vegeta non sta nemmeno gridando, afferma, con quella sua voce calma e velata, rendendo ancora più pesanti le parole. E la sue risa potrebbero essere intese come nate da una battuta spassosa, tanto è distaccato quel suo tono strafottente. 
«Siete solo patetici! Degli inutili mocciosi. E tu, Brief, ora che hai quasi assistito alla morte di mio padre, ti senti libera di rivolgerti a me come a un qualunque dei tuoi stupidi amici; sappi che non ho bisogno della tua pietà. Mettiti pure il cuore in pace, di mio padre non me ne importa niente, tanto meno di te. Anzi, sei talmente fastidiosa che avresti potuto morire quel giorno come una mosca qualsiasi
Quelle
sue parole mi arrivano talmente sproporzionate rispetto al mio invito che resto confusa, ferita e mortifica; per la prima volta incapace di reagire durante un litigio. Nondimeno, con Vegeta non sono mai sicura di poter vincere.
«
Adesso basta, Vegeta!» Sbotta a qual punto Yamcha, che finalmente crede di avere un motivo valido per mandarlo a quel paese sembrando l’eroe ma m’infastidisco delle sue interruzioni e glielo dico che non c’entra nulla lui, tra me e Vegeta. Il quale a un certo punto si avvicina, scansando Yamcha che gli si era parato davanti allo scopo di proteggermi, ma nessuno ha il diritto di proteggermi da Vegeta.
C18 lo richiama risentita mentre lui mi afferra il mento con una mano e, «Lo vedi», sussurra, sfiorandomi le labbra con il suo respiro. «Quanto sei ridicola?».
«
Oh lo dicevo io che siete fidanzati. Ma che bella coppia!» Irrompe a quel punto mia madre, procedendo al braccio di mio padre.
Vegeta si allontana, infastidito, lancia a mia madre tutto il suo disprezzo dagli occhi neri. «E la pizza, puoi anche ficcarla nell’orifizio che vorresti ti prendessi!» Mi dice, e ride ancora, di una battuta che è un insulto. Vedo Yamcha fremere di collera, vorrebbe rincorrerlo e picchiarlo ma suppongo tema di rompersi di nuovo il naso; C18, invece, gli corre dietro. Mia madre che come al solito non ha capito un accidenti «Cosa avrà voluto dire, caro? Però è così carino».
Nemmeno
io lo lascio andare. Gli corro dietro, perché tanto lo so che non è con me che ce l’ha e non gliela perdono. Devo sapere. Gli devo dire che è un arrogante, un vigliacco che ha paura di dover ammettere di essere triste.
Fuori sta piovendo, sono nel parcheggio, C18 è lì che lo rincorre; dietro di me sento i passi e la voce di C17 che li richiama. Fa freddo, molto. Grido il nome di Vegeta, ma C18 lo pronuncia più forte di me, aggiungendo uno schiaffo che non arriva a destinazione.
Vegeta dice qualcosa, lo richiamo, ma è a C18 che parla. C17 li raggiunge. Li raggiungo. 
È troppo tardi, C18, con tutta la sua forza, dà una spinta a Vegeta, il quale non aspettandoselo, perde l’equilibrio e cade a terra. Si rialza, è furente. «Ma cosa credi che solo perché sei una femmina non sia capace di colpirti?» e la spinge a sua volta, con più forza, contro una macchina. 
«Vegeta, adesso basta, o te la vedrai con me!» Interviene C17 in soccorso alla gemella.
«
Fatti sotto, allora!» Lo provoca Vegeta.
«
Vegeta!» Lo richiamo anch’io.
«
Tu sta’ zitta, stupida!» Mi dice la ragazza.
«
Stupida a chi, maldetta strega?» Ribatto, lanciandomi contro di lei; le afferro i capelli e tiro forte.
L’altra risponde con un calcio negli stinchi. A quel punto sto per fare la contromossa, schiamazzando insulti come una povera gallina a cui stanno torcendo il collo, ma Vegeta mi afferra per le spalle allontanandomi da C18. C17 regge già la sorella.
«
Lasciami, lasciami!» Mi dimeno.
Anche gli altri, a questo punto ci raggiungono allarmati, tranne mio padre che mi chiede come mai non ho portato l’ombrello. Mi distraggo da quella domanda fuori luogo e mi calmo.
Sento le braccia di Vegeta scivolarmi addosso mentre allenta la presa. I nostri vestiti sono bagnati; noi quattro: Vegeta, C18, C17 ed io siamo, effettivamente, senza ombrello. Passata l’adrenalina, mi accorgo adesso del freddo e mi stringo nel maglione bagnato, quasi un riflesso incondizionato.
«
Stavamo solo parlando.» Mi difendo, appuntando i gomiti.
«
Non credere sia finita qui!», mi avverte C18, mentre si allontana. C17 scuote la testa, guarda Vegeta con ostilità per aver osato maltrattare la sorella tanto amata, e segue quest’ultima fino alla macchina che li avrebbe riportati a casa. Vegeta resta solo, diviso anche da me da un muro invisibile.
Ci guarda tutti con disprezzo, gira le spalle a se ne va. Fa alcuni passi, sotto la pioggia; si ferma; torna indietro.
«
Ehi tu!» Si rivolge a me. «Le mie chiavi di casa erano in quella macchina. Vengo da te.» Asserisce, quasi in un ordine.
«
Ma come ti permetti?» Lo riprende Yamcha. «Con che coraggio ti inviti da lei, dopo quello che è successo
«
Fammi il favore, impicciati degli affari tuoi!» Ribatte Arensay, incrociando le braccia al petto. «E tu, vecchio, perché non vai a prendere la macchina?» Domanda (ordina?) a mio padre il quale, vittima del suo solito temperamento indolente, ridacchia: «Ecco, mi pare un’ottima idea, figliolo!».
Una
volta all'asciuto nell’abitacolo, a coronare l’assurdità della situazione, Yamcha siede tra me e Vegeta.

 So you think you can tell*,
Heaven from hell,
Blue Skies from pain

 Vorrei fosse la mano di Vegeta quella che sto stringendo.

Do you think you can tell?

«Vegeta, mi piace molto come porti i capelli. Mi sono sempre piaciuti i ragazzi alla moda!» Cinghetta mia mamma imbarazzandolo.
Un risvolto di serata decisamente inaspettato.

 We’re just two lost 
Souls swimming in a fish bowlyear after year...
 Canta, invece, la radio.

 

 

Continua…

 

Finalmente l’aggiornamento è arrivato! Scusata tutti il mio solito, lunghissimo ritardo. Spero questo capitolo vi sia piaciuto e, se potete, lasciatemi una recensione: le vostre opinioni sono molto importanti per me! :)

 *Questa canzone è dei Pink Floyd, “I wish you were here”.Tuttavia, ho scritto questo capitolo ascoltando anche “Hey you”, sempre dei Pink Floyd, nel caso vi vada di sentire anche questa mentre leggete! ;)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Obbligo o verità? ***


19bis2.1

Obbligo o verità?

 

Chiudo l’acqua; afferro l’asciugamano e mi avvolgo nel languore del dopo doccia. Esco dal bagno in una bolla di vapore; l’aria fresca della stanza è piacevole alla pelle. Penso a Vegeta, a come si è comportato durante tutta la serata, e non posso che chiedermi se la sua arroganza consegua la sua tristezza. Tuttavia, non sono i suoi insulti ad occuparmi la mente e credo di essermi bevuta il cervello se considero che l’unica cosa che davvero vorrei sapere da lui è ciò che stava per dirmi ad inizio serata nel corridoio della scuola, prima che mia madre ci interrompesse.
Allungo lo sguardo verso la coccarda del primo premio; è ancora attaccata al maglione della scuola finito nei panni sporchi insieme all’entusiasmo della vittoria. Ero contentissima di aver vinto, ma questo era ancora prima di conoscere gli intriganti risvolti della serata.
Mi siedo, sconfortata, allo sgabello del mio beauty. Strofino i capelli con l’asciugamano, mi fermo allungando una gamba al cui piede calzo una pantofola rosa. Lascio l’asciugamano sulle spalle, mi guardo allo specchio; scosto una ciocca umida di capelli dal volto. Non mi vergogno nemmeno del broncio che mi tiene Yamcha. Gli ho detto che Vegeta mentiva per farci innervosire, quasi mi ha creduto ma dubito gli piaccia sapere Arensay qui a casa mia per tutta la notte. Illuso, non ha proprio capito di chi si sta parlando!
­«Bulma, coraggio, muoviti! O Goku mangerà tutta la pizza!», sento chiamarmi dal salotto; gli starnazzi dei miei amici risuonano al di sopra dello stero acceso.
Stringo i pugni infastidita. Ma come accidenti gli viene di essere così chiassosi sapendo quello che è successo a Vegeta?
Precipitandomi al comò affermo delle mutandine, una felpa; indosso velocemente un jeans e, a passo pesante, irritato, esco dalla stanza per andarne a dirne quattro a quei maleducati dei miei ospiti.
«Vegeta! Che fai lì impalato, perché non sei ancora vestito?», gli domando confusa, fermandomi davanti alla sua stanza. «Non hai trovato i vestiti asciutti, forse?», la luce è accesa e lui è ancora con l’asciugamano intorno alla vita, immobile in mezzo alla camera. Avrei giurato fosse sceso a cena da un pezzo, considerando che sono stata mezz’ora sotto la doccia!
Vedendomi sussulta leggermente. Sono certa stesse pensando al padre; mi guarda come se avesse passato l’ultima mezzora in un altro mondo; la mascella è serrata, le braccia strette ai fianchi.
«Cos’è, ti vergogni?», lo schernisco, allo scopo di tirarlo fuori dalla sua mente. Il suo corpo bagnato è traslucido, illuminato dal lampadario al soffitto. Non è alto come Yamcha, ma la sua figura è ugualmente perfetta, da atleta.
Fa un passo verso il comodino per riprendere gli occhiali, li inforca sul naso dritto: «Smettila di fissarmi! Figurati se mi vergogno di una mocciosa».
Ancora con questa “mocciosa”, «Capirai, ha parlato l’uomo maturo!», ribatte la mia boccaccia.
«Vuoi vedere?», domanda lui, con quel suo caratteristico ghigno, prima di denudarsi completamente; l’asciugamano, retto dal braccio teso, viene poi lasciato mollemente per terra.
«Allora? Ce l’hai esattamente come ce l’hanno tutti! Quale sarebbe il punto?», lo rimbecco, senza lasciare pause tra una parola e l’altra per riempiere la mia bocca stupita dall’assurdità del gesto; spunto poi il mento in un’espressione saputa, gli occhi socchiusi allo lo scopo di mascherare il mio imbarazzo. Completamente nudo! «Magari tra un po’ ti cresce anche il cervello!», aggiungo agitata, prima di lasciare la stanza e quella conversazione assurda. Lo sento ridere da dietro la porta che mi sbatto alle spalle. Perché diamine deve comportarsi sempre così?
Ci gode, e parecchio, a provocarmi per qualsiasi cosa! «Sei un cafone!», lo rimbecco con puntiglio, dal corridoio, fomentando ancora di più la sua risata. Scendo in fretta un piano di scale, poi mi accascio contro il muro, sedendomi a terra, al buio, nell’eco delle voci dei miei compagni in salotto.

L’ho visto nudo!
Un secondo per rendermi conto.
Due, e non faccio in tempo a bloccarmi la bocca con la mano che scoppio in una fragorosa risata incontrollata, ammaliata dal lato comico di tutta quella faccenda, dalle botte a C18 al pene di Vegeta! A suo padre assassinato.
Torno seria. Raggiungo gli altri con gli occhi ancora umidi dalla risata, segno della mia scarsa compassione.
«Allora come sta Vegeta?», si fa avanti Goku, masticando una fetta di pizza a bocca aperta.
«Come vuoi che stia!», rispondo bisbetica, come mio solito quando mi vengono fatte domande stupide.
Mi infastidisce aver visto Vegeta nudo, soprattutto per il significato di quel gesto: una prepotenza verso i suoi sentimenti; perché dubito avesse voluto mostrarmi la sua prestanza fisica. Lo avrei pensato se si fosse trattato di qualcun altro, ad esempio di Yamcha, ma Vegeta è diverso, non è qualcun altro e pare voler sbattere in faccia la sua indifferenza per la sua condizione di orfano.
«Beh, dov’è la famosa pizza che ci tenevi a farmi mangiare?» entra il diretto interessato, assolutamente tranquillo, come se non si fosse mostrato in tutta la sua indecenza nemmeno un attimo fa. È senza scarpe, i suoi passi sono attutiti dai calzini bianchi che indossa. Lo osservo con attenzione, quasi a sincerarmi che i suoi vestiti ci siano tutti. Goku ridacchia imbarazzato, «Eh… eh… mi sa ch’è finita!»
«Ma erano trenta pezzi!» Esclamo trafelata.
«Eh… eh… che vuoi farci, avevo una fame…» è l’affatto poco convincente difesa di quello che un giorno avrebbe dovuto difendere Vegeta dalla sedia elettrica.
«E quindi adesso cosa pensi di darmi?», rimbrotta quest’ultimo.
«Ti ricordo, maestà, che sono digiuna anch’io.»
«Non mi riguarda, ho fame!»
«Sei proprio uno scimmione, lì c’è il frigo, se vuoi qualcosa da mangiare prendila e non mi seccare
Ripeto, trionfante, la stessa frase “accogliente” dettami proprio da lui il primo pomeriggio passato insieme a casa sua. L’ho ancora ben presente, la sua proverbiale ospitalità!
«Coraggio, ragazzi, non vedo il motivo di litigare per così poco!», azzarda Goku con le braccia in avanti, notando sulla fronte di Vegeta una vena di nervoso in procinto di scoppiare.
«Tu sta zitto!», gli intimiamo all’unisono.
«Lo dicevo io che sei solo una mocciosa; mi hai scassato tutta la notte per la tua fantomatica pizza e poi se l’è mangiata quest’ebete qui!»
Goku ed io ci guardiamo, e scoppio di nuovo a ridere; di quel riso irrefrenabile che solo una con i nervi a pezzi potrebbe avere. Il comportamento di Vegeta, quello che dice, quello che fa, mi coglie del tutto impreparata, tanto quanto l’amarezza dei suoi pensieri che mi considero del tutto inadeguata ad addolcire.
Deve aver pensato ancora che sono una mocciosa, giacché dopo uno sbuffo si è diretto in cucina scuotendo la testa; non fa in tempo ad aprire il frigo che mia madre lo soccorre, «Caro, va’ pure a divertirti con i tuoi amici, alla cena ci penso io!»; «Non sono miei amici.» borbotta lui in risposta.
No, in effetti, ha ragione: non sono i suoi amici. Smetto di ridere quando il rimorso per essermi concessa una risata in faccia a lui mi riporta alla dura realtà dei fatti: Vegeta è solo, stasera, tra persone che disprezza; e non parlerà mai più con suo padre. Non l’ho invitato per bisticciare, ma per tirarlo su di morale. A quanto pare ci sto riuscendo davvero alla grande!
«Goku, sei proprio un idiota! Tutta colpa tua!», lo rimbrotto mollandogli un colpo alla schiena, lasciandolo confuso mentre mi avvicino a Vegeta.

 
Facciamo cerchio seduti sul tappeto, tranne Vegeta che preferisce star fuori dal nostro atollo, da solo contro il camino acceso. Le luci sono spente e i nostri volti paiono perdersi nella semioscurità della stanza, tranne, ancora una volta, Vegeta, la cui figura lambita dalle fiamme impone la sua presenza molto più delle nostre parole. E chissà in che ricordo, a me inaccessibile, sta vivendo adesso! Lontano ma vicino la distanza di un passo. A guardalo mi sento come un marinaio in un mare in tempesta, rivolto al faro che sa non riungerà mai.
«E allora credo proprio sarebbe una bella idea guadagnare dei crediti extra con una recita scolastica!», sta proponendo Chichi, continuando la conversazione a cui non ho ancora preso parte.
«Non lo so, non mi pare una grande idea…» bofonchia Crilin.
«Cosa vuoi saperne tu? È un’ottima idea, invece! Avere crediti extra ci aiuterebbe ad avere voti più alti!»
«Coraggio Chichi, non c’è motivo di essere sempre così nervosa…», tenta di calmarla Goku.
«Dico solo che ci vorrà del tempo, e poi recitare non è così facile!», è la labile difesa di Crilin.
«Beh, non dobbiamo mica vincere il premio Oscar!», obietta Chichi incrociando le braccia al petto, ormai decisa riguardo i suoi propositi, come fossero di insindacabile importanza. «E comunque non è detto che tu reciterai, potresti occuparti di altro, tipo… delle luci. Io invece farei la regista.»
«A me piacerebbe molto recitare, invece!», dico a quel punto, sforzandomi di partecipare al discorso, non vorrei che Vegeta si accorgesse dei miei sguardi.
«Già, ti ci vedrei nei panni della Bella addormenta, Brief!», commenta però a sorpresa quest’ultimo, rimasto fino a quel momento impassibile ai nostri chiacchiericci.
«Cosa intendi dire con “addormentata”, Vegeta?», ribatto, incrociando le braccia.
«Niente più di quello che ho detto, ma trovo curioso il fatto tu dia per scontato mi riferissi all’epiteto negativo.» È soddisfatto di avermi innervosito ancora una volta.
Lo guardo di sottecchi, «Mi stupirebbe di più ricevere un complimento da te!», asserisco, sotto gli occhi vigili di Yamcha, mentre Vegeta ha già lasciato perdere il discorso, tornando ad ignorarci.
Nemmeno gli altri, del resto, hanno tanta voglia di renderlo partecipe, credo per evitare di dover compatire qualcuno destato fino a quel momento. Né Vegeta pare fare alcuno sforzo per rendere la sua amicizia più appetibile. Né vedo perché dovrebbe preoccuparsi di simile stupidaggini, considerate le circostanze. C’è una tensione, in questa stanza, che credo di sentire solo io, opposta alla spensieratezza dei miei amici. Sono sicura, però, sia solo apparenza: sono a disagio tanto quanto me, stasera.
«Vi va di giocare a qualcosa?», butto lì.
«Oh sì, che ne dite di Obbligo o verità?», domanda allora Chichi, la cui proposta viene però declinata da Vegeta con un’argomentazione inattaccabile: «E che gusto ci sarebbe, visto che oramai le vostre “scottanti” verità sono state scoperte da un pezzo!» a quelle parole fa seguito un imbarazzante silenzio. Sappiamo tutti a cosa si sta riferendo: alla serata nel locale, quando tutti erano consapevoli del tradimento di Yamcha tranne me.
«Allora che facciamo?», chiede Crilin, per distogliere l’attenzione dalle parole di Vegeta.
«Potremmo giocare a Risiko!», propongo, «Scommetto che non vedi l’ora di riavere la rivincita!», interpello Vegeta, sicura non abbia nulla da ridire su questa proposta.
«Non mi va!», sentenzia invece, senza ammettere repliche. Si alza dalla poltrona, «Vado a dormire.» Annuncia, guardando Yamcha, provando a rimarcare il fatto di passare la notte qui da me.
«Sei proprio noioso, Vegeta,» mi lamento stiracchiandomi, «Perché non resti ancora un altro po’?», lo esorto alzandomi da terra, accendo al luce e mi avvicino allo stereo in cerca di qualcosa da ascoltare tutti insieme. Vorrei Vegeta capisse che tre me e lui le cose possono ancora essere normali.
«A far che?», bercia, però, lui.
Afferro l’album I wish you were here, la stessa canzone ascoltata in macchina durante il tragitto per casa, «Se resti, ballo questa con te!», esclamo facendo scoppiare tutti gli altri a ridere, non consci delle mie vere intenzioni. Tanto meglio, a quel punto scoppio a ridere anche io, non conscia delle mie vere intenzioni. Ed è lì che perdo Vegeta per il resto della serata. Lo vedo lasciare inesorabilmente il salotto, tutto seccato. Vorrei seguirlo, ma «Se vuoi ballo io con te!», dice Yamcha, predendo l’album dalle mie mani con un’espressione talmente dolce da farmi venire il voltastomaco. Dovrei proprio decidermi a farla finita con lui.
«Sì, potremmo ballare tutti!», accolgono la sua idea gli altri.
«No, che non balliamo!», ribatto infine io, «È già tardi e i miei potrebbero svegliarsi!», preciso, contrariata che Vegeta sia andato via; quasi infastidita, adesso, dalla presenza scomoda di Yamcha e dei miei amici. «E anche voi dovreste andarvene a casa!», sbologno allora tutti, mostrando loro la porta. Sono arrabbiata con me stessa, con Yamcha, con tutti gli altri. L’idea di questa serata è stata uno sbaglio.
Quando finalmente se ne vanno tutti quanti, salgo di sopra diretta in camera di Vegeta. Sento che dovrei chiedergli scusa.
Busso.
«Vegeta?», chiedo con un filo di voce, per non svegliare i miei che si trovano adesso sullo stesso piano.
Nulla.
Busso ancora, sempre cercando di non far troppo rumore. «Vegeta? Lo so che non stai dormendo, posso entrare?», chiedo per la seconda volta, cercando di frenare i miei istinti omicidi, le mani già mi prudono per il nervoso: sono sicura stia fingendo di non sentirmi; non può dormire già, non sono passati nemmeno dieci minuti da quando è salito in camera.
Mi salta in mente l’idea di entrare lo stesso. La mia mano è sulla maniglia ormai calda, metà viso contro la porta fredda per cercare di captare qualche movimento interno.
Nulla. Dovrei entrare lo stesso?
Al massimo lo trovo che dorme davvero ed esco.
«Bulma! Che fai ancora sveglia, tesoro?»
«Mamma! Che ci fai tu, ancora sveglia!», ribatto, fuori da ogni logica.
«Oh tuo padre vorrebbe un bicchier d’acqua e andavo a prenderglielo», mi risponde con il suo solito candore, «Ma è la porta di Vegeta quella?»
«Uhm… stavo solo vedendo se era sveglio!», sbotto sperando che mia madre non faccia allusioni imbarazzanti.
«Tesoro, è normale alla tua età che tu voglia passare del tempo con il tuo fidanzato. Poi lui è un tipo così affascinante! Ma forse è un po’ tardi adesso, non credi?»
«Mamma, che vai pensando», concludo esasperata; entrando in camera.
«Ce l’hai fatta finalmente!», sento dal buio della stanza. Nella penombra, prima che accenda la luce, vedo qualcuno steso sul mio letto.
Accendo la luce, «Che ci fai qui, Vegeta?», domando stupita.
«Mi annoiavo in camera mia.» Dice semplicemente, mettendosi a sedere e allungandomi la custodia di un VHS, 2001 Space Odissey.
Resto interdetta, ancora sulla soglia, senza riuscire a capire la situazione tranne che non sono più arrabbiata con lui. Riesco soltanto sentire un barlume di colpa verso Yamcha non appena mi rendo conto che restare da sola con Vegeta era esattamente quello che avrei voluto fare per tutta la serata.
Mi trovo nella stessa situazione di qualche sera fa, solo che all’epoca temevo che Vegeta allungasse le mani su di me; ora, piuttosto, quasi temo il contrario e mi vergogno da morire con me stessa nell’ammetterlo. Non ho ancora definito la situazione con Yamcha, né credo riuscirei mai a definire cosa sia questo sentimento che mi attrae verso Vegeta, se pena o se, davvero… o se davvero… o se davvero… «Sai mi piace molto questo film, certo non ne sono innamorata, ma trovo che sia intrigante», esclamo, avvicinandomi al letto, non proprio sicura di riferirmi al film; né credo sia lecito concedermi simili congetture, considerate le circostanze del mio rapporto con Vegeta.
«Non mi pare di averti chiesto un’opinione!», mi risponde lui, mentre gli prendo il VHS dalle mani per infilarlo nel lettore.
«Mi pareva t’interessasse, visto che stiamo per vedere un film che hai scelto tu stesso!», ribatto.
«Era l’unico decente!», mente. Ne sono sicura, ricordo bene quanto avesse apprezzato i miei film l’ultima volta che è stato qui. «Bugiardo, ti piacciono i miei film; perché accidenti devi sempre dire il contrario di quello che pensi?»
«Vuoi mettere quel diamine di film, invece di blaterare?», sbotta a quel punto.
Mi chiedo quale sia il vero motivo della sua visita notturna, «Sei proprio un tipo rozzo, lo sai?»
«Vuoi che me ne vada, allora?», domanda, alzandosi dal letto, con una serietà che quasi mi destabilizza. Sono quasi sicura sia un’altra delle sue provocazioni. Scelgo di mettere da parte il mio orgoglio, cercando di essere comprensiva. Lascio partire il film e mi stendo sul letto. Vegeta, però, non mi raggiunge preferendo sedersi alla poltroncina della mia scrivania.
È la stessa situazione di qualche tempo fa, ma siamo diventati diversi.
Tutta la mia concentrazione è rivolta verso di lui; la pellicola scorre mostrando lo spazio e la distanza incolmabile tra me e Vegeta.
Non riesco proprio a concentrarmi sul film, ho troppe domande. Ho desiderato così a lungo di restare da sola con lui che ora non so da dove iniziare.

 
Un uomo, da solo, nel suo studio. La città brilla ai suoi piedi, in questa calda notte estiva. Né una stella nel cielo torbido. Nessun rumore giunge dalla strada al suo attico di vetro che non sia quello del proprio respiro.
Entra qualcuno: una donna con un pacco di documenti. Lui la ignora, aspetterà che poggi i fogli sulla scrivania, poi tornerà a pensare, nel silenzio della propria fortezza. «Signor Arensay, mi scusi, io avrei finito; se non serve altro le auguro una buona serata.» Si congeda la donna, indugiando, forse troppo, sulla schiena di quell’uomo schivo e affascinante.
«Aspetti!» La richiama, autoritario, mentre getta nel cestino un invito colorato. 
La segretaria, capelli biondi corti, avanza indecisa di un passo nella sua camicetta bianca da cui spuntano aloni di sudore da sotto le braccia. Pensa sia la prima volta che lui le rivolge la parola; di solito entra, lascia i documenti e va via. Non resta mai.
Vegeta sta sfogliando le carte che lei gli ha steso sul tavolo, pratiche da sbrigare, piani azionari da controllare. È svagato, pare non gli interessino affatto. Dietro le sue spalle, sul vetro, è ancora impressa la condensa del suo respiro come una piccola luna contro il cielo senza stelle di Città dell’Ovest.
«C’è… c’è qualche errore?», domanda la donna; è lì solo da quale settimana; ricorda l’affitto da pagare e spera di non aver sbagliato alcun passaggio. Le è noto il cattivo carattere del suo principale.
Il sudore ormai le imperla la fronte, quando lui scaraventa quelle carte a terra, «Maledizione!»
La donna nasconde la testa tra spalle mortificata. Crede sia spacciata, non ha un soldo e se l’è andata male anche questa volta non le resterà che dormire sotto i ponti. E d’estate i ponti sono pieni di topi. E che ne sarà di tutte quelle scarpe che ho comprato? Si domanda la stupida.
«Mi chiami subito Dodoria, ha sentito?» le ordina invece Vegeta, sbattendo i pugni contro la scrivania.
I tormenti della donna si sciolgono in un profondo respiro, sollevata di non essere lei l’oggetto del malumore del suo principale.
«Credo sia un po’ tardi adesso…», balbetta.
«Lo chiami subito, ha capito?», sbraita l’altro, facendola indietreggiare per lo spavento.
«Sì…sì… subito… su…sulla linea due…», incespica, uscendo di corsa dalla stanza.
Dopo alcuni istanti, la linea interna inizia a squillare. «Dodoria!»
«S…signore sono io, Sauce. Mr Dodoria non risponde!»
«Beh continui a chiamarlo!»
«Ho provato diverse volte, la linea è libera ma credo, signore, credo che Mr Dodoia stia dormendo!»
Azzarda, a quel punto desiderosa di tornare a casa a dormire anche lei. La camicetta è diventata trasparente sotto le braccia, tanto la donna si è agitata.
«Maledizione!», impreca ancora una volta Vegeta, «Lo vedremo se quel pallone gonfiato sta dormendo!», apre il cassetto di sicurezza della scrivania; tira fuori una pistola lucida quanto nuova, la carica; aggiunge il silenziatore e la infila nella cintola dei pantaloni uscendo dal palazzo.
Blocca una macchina mettendosi in mezzo alla strada, «Ehi, che diamine combini, sei impazzito forse?», sbraita l’autista dal finestrino, costretto ad una manovra di emergenza, lo stridio dei freni echeggia ancora nella strada deserta.
«Esci dalla macchina!» ordina Vegeta aprendo la portiera.
«Ma dico, ti sei bevuto il cervello amico?»
L’amico gli punta la pistola alla tempia, tenendogli ferma la testa con una mano, «Esci, ora!», ripete, freddo come la punta dell’arma che non esiterebbe ad usare in una strada deserta.
«Ce…ce…certo, amico… non ti agitare, eh?»
«Non sono tuo amico, pezzente!» chiarisce, prima di dare una botta in testa all’autista; lo tira fuori dall’abitacolo e, lasciatolo in strada, entra al suo posto.
Una nuova sgommata si aggiunge alla eco della precedente, la macchina schizza via, come se il conducente stesse fuggendo da un’orda di zombie famelici.
Venti minuti dopo quella stessa macchina si apparta dietro un cespuglio, nella zona residenziale di Città dell’Ovest. Vegeta, a luci spente, osserva le luci di una casa non poco lontano.

Lo sapevo, maledetto ciccione!, pensa, e come una ghepardo in procinto di attaccare la sua preda, esce dalla macchina per avvicinarsi in silenzio alla casa di Dodoria. Tutto tace, nessuno è nei paraggi.
Attende che anche l’ultima luce sia spenta, prima di scassinare la porta sul retro.
Entrando, sente l’eccitante brivido di intrufolarsi nella casa di qualcun altro, solo il mobilio, nella sua quiete sinistra, sarà spettatore dell’atroce delitto che Vegeta si accinge a compiere. Nella sua testa, la lista di azioni compiute per conto di Freezer il quale, adesso, stava pensando di sbarazzarsi di lui perché sapeva troppe cose.
Sale le scale silenzioso. Il cammino illuminato dalla luce della luna che trapela dalle finestre. Non è difficile trovare la camera da letto di Dodoria, giacché solo un sordo non lo sentirebbe russare!
Ecco la porta, Vegeta si ferma, con la mano sfiora la maniglia; con la lingua si lecca le labbra sottili, pregustando la resa dei conti.
Entra, seguito dal cigolio della porta; veloce si avvicina al letto, afferra le coperte e le solleva con forza, rilevando il corpo seminudo dell’odiato antagonista svegliandolo.
«Ehilà, Dodoria! È da tanto che non ci si vede, come va?»,
«Vegeta, che ci fai tu qui?»
«Sono passato per un saluto, sai ero ansioso di vederti il prima possibile! Non ti dispiacerà se ho portato un’amica!», solleva la pistola puntandola contro l’uomo, il cui volto deformato dalla paura pare non essere di questo mondo.
«Che ti salta in mente? Metti subito giù quell’aggeggio, sei ubriaco forse?», balbetta quest’ultimo con voce stridula, spingendosi contro la spalliera alta del letto.
Un click alla sicura della pistola, «Cosa c’è? Non mi sembri felice di vedermi! Eppure avresti dovuto aspettartelo.» dice Vegeta, mellifluo quanto calmo, guardando l’altro negli occhi, pregustando il momento in cui quel testone sarebbe finito spappolato contro il muro. «O forse credevate tutti quanti di prendermi in giro»
«A… aspetta un attimo, Vegeta, non puoi farmi fuori!», piagnucola la vittima, «io non c’entro nulla!»
«Non mi incanti!»
«No, aspetta! Se mi risparmi la vita, io… io ti racconterò una cosa di tuo padre che non sai! Non sei curioso? Ascoltami, ne vale la pena!», è l’ennesimo tentativo di Dodoria, mentre cerca di recuperare il coltello che tiene sempre sotto il cuscino senza che Vegeta se ne accorga.
«Che cosa? Di che diamine stai parlando? Cosa sai di mio padre che io non so?»
«Metti giù quell’aggeggio, mettilo subito giù o non dirò una parola!»
Vegeta esita, una goccia di sudore gli solca la fronte stempiata; solleva il mento, poi abbassa l’arma.
«Ma bravo, vedo che cominci a ragionare, finalmente!»
«Ti conviene vuotare subito il sacco, grassone, o ti uccido all’istante!», minaccia Vegeta risollevando la pistola in aria.
«Immagino che Freezer ti abbia raccontato che tuo padre era sull’orlo del fallimento, che aveva finito tutti i soldi e che doveva milioni ai suoi creditori. E che poi si sia ucciso per evitare la vergogna. Ebbene mi dispiace, ma non è vero!»
«Che dici?»
«È stato Freezer a rubare tutti i soldi di tuo padre; approfittando della tua buona fede, ti ha fatto firmare un contratto fasullo per appropriarsi di tutti i tuoi soldi eri solo un ragazzino e non ti sei accorto di nulla!» puntualizza, con un punta di orgoglio nella voce, «Devi sapere che in seguito a manovre finanziare fallimentari, le sostanze di Freezer si erano irrimediabilmente prosciugate e avrebbe dovuto pagare lui stesso i debiti che poi ha onorato con i soldi della tua famiglia, una delle più benestanti del pianeta. Considerata la fama non proprio lusinghiera di tuo padre, ucciderlo facendo finta si trattasse di un suicidio per rimorso, è stato un gioco da ragazzi!»
«Non dire assurdità, ricordo bene che non c’erano altre impronte sull’arma del delitto.»
«Non lo sai che esistono i guanti, mio caro? Ed essendo il delitto avvenuto in un luogo frequentato, sarebbe stato impossibile trovare altre tracce che conducessero a Zarbon! Quanto a te, Vegeta, devi ritenerti molto fortunato se Freezer ha sempre avuto un debole per te, accogliendoti e facendoti lavorare per lui! E adesso muori!», urla infine Dodoria, scagliandosi contro Vegeta brandendo un coltello affilato.

Bam!
Il colpo di pistola tuttavia arriva prima, ferendo ad una gamba Dodoria che si accascia dolorante all’angolo del letto.
«Spiacente, non avresti dovuto fare il furbo con me, Dodoria! Sappi che non mi importa un accidente di come sono andate le cose.»

Bam!
Un ultimo, silenzioso colpo all’altra gamba, «Quello di cui sono furioso, è sapere che mi avete preso in giro per tutti questi anni!»
«Aspetta, Vegeta… io non sono mai stato d’accordo con i piani di Freezer.» Farfuglia Dodoria, digrignando i denti dal dolore.
«Questo lo prendo io,» dice Vegeta in risposta, ignorando le parole del moribondo, appropriandosi del suo cellulare, «Adesso, se vuoi, salutami anche quell’idiota di mio padre!», annuncia, leccandosi le labbra prima di sparare il colpo finale.

Tra dieci minuti al Namecc. Messaggio inviato.

 
«Se proprio vuoi saperlo preferisco Arancia Meccanica.» Risponde Vegeta addentando una delle frittelle fatte da mia madre.
Questa mattina mi sono svegliata da sola, non ricordo il momento in cui mi sono addormentata né mi sono accorta di quando Vegeta è tornato nella sua stanza. Alla luce del sole mi è parso tutto più semplice ed ho capito che Vegeta vorrebbe mi comportassi come sempre, invece di mostrarmi impietosita. Sono sicura che non vorrebbe. Per questo, semplicemente, gli ho chiesto cosa pensasse del film di ieri sera.
«Adoro tutta quella violenza gratuita, fa sentire i personaggi come onnipotenti!», continua a spiegarmi, con uno sguardo che va al di là del semplice apprezzamento. «Se fossimo in quel film ti violenterei sul tavolo e poi di ucciderei!», conclude non appena mia madre esce dalla cucina.
«E questo ti farebbe sentire onnipotente? Non mi pari molto credibile, con della marmellata di fragole sulla guancia!», ridacchio, ma Vegeta mi guarda serio.
«Magari è sangue.» dice, raccogliendo la macchia con la mano, prima di leccarla dalla punta delle dita.
Mi torna in mente di averlo visto nudo proprio la sera precedente. Mi vergogno anche solo a pensarlo, ma probabilmente è con Vegeta che lo farei per la prima volta. Credo di essermi innamorata di lui, nonostante le circostanze mi stiano tutte contro.
Arrossisco, e lui lo nota non capendo però il motivo del mio imbarazzo. Come potrebbe immaginare, infatti, i miei pensieri? Che mi vergogno ad ammettere a me stessa di essere innamorata di un tipo improbabile come lui: Vegeta Arensay, a cui resterò legata per sempre da un avvenimento sconvolgente come un assassinio.
Come potrei spiegargli che questo sentimento che nutro nei suoi confronti è figlio della compassione che provo per lui e non di una passione sconvolgente? Mi fa pena. É la crocerossina che è in me che mi spinge a volerlo salvare.
Colpisco inavvertitamente una forchetta con il gomito, mi chino a raccoglierla da terra. «Certo che con tutti i soldi che hai, potresti comprarti delle scarpe nuove, Vegeta!», lo prendo in giro, nella speranza di riprendere il controllo del mio colorito, riferendomi ad una delle sue Convers verdi bucata a un lato.
«Non dovresti credere a tutto quello che leggi sui giornali.»
«Che intendi dire?», domando, tornando composta, scimmiottando dal giornale: «Non è forse vero che sei il diciottenne più ricco della città
Non ammette né smentisce, mi guarda impassibile e non posso che maledirmi per aver fatto una simile insinuazione, giacché ha ereditato tutti quei soldi dal padre assassinato: non avrei dovuto parlare con tanta leggerezza.
Continua a non parlare, mi fissa con quei suoi occhi nerissimi dai quali non traspare nulla. Ghigna.
«Mi pare di non averti detto che hanno trovato l’arma del delitto.» Annuncia poi, con lo stesso tono con cui mi avrebbe offerto del tè.
«Ma è fantastico, vuol dire che se ci sono le impronte si potrebbe scoprire chi è l’assassino!» Esclamo, un po’ confusa e un po’ entusiasta per quel cambio di discorso.
«Sanno già chi ha sparato il colpo e devo ammettere di non esserne sorpreso.»
«Allora il caso è risolto?», azzardo, decisamente confusa dal tono tranquillo che sta usando Vegeta.
«A quanto pare. Non ti sei accorta che, quando sei venuta l’altro giorno, la scena del delitto era stata già smantellata?»
Mi sposto in avanti, sorpresa: era vero, non lo avevo notato, tanto ero sconvolta quel giorno. Ricordo di aver fatto di tutto per evitare di guardami intorno. «Allora l’hanno preso? Faranno un processo, si saprà il movente!» Adesso sono più entusiasta di lui, sperando di vedere presto questa faccenda finita.
«Sanno già tutto,» continua invece lui calmo, neanche stesse raccontando una storia qualsiasi a lui del tutto estranea, come la trama di film. Mi spaventa, adesso e non mi sento più a mio agio, soprattutto quando scoppia a ridere, «ma in quanto a prenderlo dovranno tirarlo fuori dalla fossa!»
«Non capisco…»
«E vuoi sapere dove l’hanno trovata l’arma?» riprende il suo racconto, ignorando la mia confusione, «Era scivolata dietro a una nicchia. C’erano anche le mie impronte lì sopra, pensa un po’! Fortuna che non mi trovavo nei paraggi, o mi sarai ritrovato nella lista dei sospettati.»
Resto lì impalata, non riuscendo ad afferrare la logica di quel discorso; vorrei chiedergli di ripetere perché credo di essermi persa qualche passaggio. Non ce n’è bisogno, la soluzione all’enigma mi arriva da Vegeta stesso, che ora non ride più.
«Non hai ancora capito, Brief? Mio padre si è suicidato. Un colpo in testa e via!», sorride.
«Mi dispiace!» È la necessaria replica che mi pare fuori luogo, pietrificata nelle mie pantofole rosa con le orecchie di coniglio.
«Perché dovresti? A lui non è dispiaciuto affatto lasciarmi nei guai. Sono io che ho perso tutto, per colpa di un inetto. Quel povero idiota era oberato di debiti, era un fallito; doveva milioni anche al mio padrino. E vuoi sapere qual è la cosa migliore? Mia madre mi aveva lasciato in eredità alcuni beni, di cui mio padre sarebbe stato l’amministratore fino a quando non avessi compiuto ventun anni: ha fatto fallire anche quelli! È stato Freezer a dirmelo, quel giorno. Quel vigliacco di mio padre non era nemmeno presente, ora capisco anche perché.»
Il suo tono mi spaventa, è asettico come stesse recitando una lezione di storia in classe.
«Ma ne sei sicuro?» Domando ostinata, quasi incapace a credere vera quella storia. «I giornali non hanno detto nulla a riguardo!», convinta anche che, se un fatto non diventa di dominio pubblico, c’è la possibilità che non sia vero.
«Freezer ha messo la stampa a tacere per non allarmare i creditori, a quanto pare non tutti verranno soddisfatti.»
«E tu? Cosa farai tu?», domando sgomenta.
«Finirò la scuola, e poi Freezer mi ha detto che potrò lavorare per lui.» Sputa fuori quelle parole come fossero un grumo di muco. «Posso anche dire addio all’università!» Conclude con un sorriso forzato.
«E la casa?»
«Non è più mia, ma mi è stato concesso un usufrutto almeno fino agli esami finali.»
«Vieni a stare qui!», sbotto apprensiva, non sapendo come ricomporre i pezzi della sua vita. «L’università, l’università te la pagheranno i miei!» aggiungo, sgomenta, capendo quale fosse il nocciolo della questione.
«Non farmi ridere! Stavo solo cercando di spiegarti perché non posso comprarmi le scarpe nuove.»

 

 Continua…

Scommetto che un aggiornamento così veloce non ve lo aspettavate! Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la storia alla seguite, alle preferite e alle ricordate! :)

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Life ain't worth a dime ***


Life ain’t worth a dime

 

“Dammi un liquore qualsiasi!”, ordina Vegeta sedendosi al banco.
Passare un venerdì sera al Namec sarebbe stata scelta ovvia negli anni novanta, quando pareva fosse l’unico locale disponibile della città. Non c’era bisogno nemmeno di darsi appuntamento, tanto era ovvio ci si sarebbe ritrovati tutti là, perché tutti andavano al Namec e il Namec era il centro dell’universo.
Oggi è un locale di terz’ordine nascosto in una via poco trafficata persino di giorno. Gli unici avventori sono irriducibili appassionati di vecchia musica e coppie ufficiose in libera uscita dalla vita coniugale. Ognuno va lì per un motivo che non vuol farsi chiedere nemmeno dopo un bicchiere di troppo. Ecco perché i maggiori accordi finanziari, ai limiti della legalità, sono sempre stati discussi e siglati proprio là. 
Almeno, è sempre stato così per Freezer e per quelli della sua cricca.
“Ehilà!”, saluta Vegeta, centellinando un bicchiere di un liquore qualsiasi, ha un’insospettabile goccia di sangue sul dorso della mano. La lecca via, e torna al liquore mentre Zarbon si avvicina. Ha un’aria molto soddisfatta e rilassata, nessuno lo direbbe artefice di un delitto efferato. Piuttosto ha l’aria dell’uomo d’affari, venuto lì per rilassarsi e bersi la fine di una dura giornata di lavoro in compagnia di un collega. Esattamente come pare anche Zarbon, che fa un cenno al barista per avere da bere appoggiandosi al bancone. Una coppia improbabile balla abbracciata in pista su Far away eyes*. La musica si blocca per un istante, qualcuno da un colpo al vecchio Jukebox. Riparte.
“Sapevo non sarebbe venuto”, dice Vegeta.

Much to my surprise,
There she was sittin’in the corner
A little bleary, worse for wear and tear

“E sai anche che è molto impegnato”.
“Anche per incontrare un amico?”
“Amico che, a quanto pare, non è qui!” Osservò Zarbon, riferendosi all’assenza di Dodoria che aveva richiesto il colloquio. 
“Si vede che era molto impegnato anche lui.” Sbeffeggia Vegeta, poggiando il cellulare di Dodoria sul bancone, “È incredibile cosa non si dimentica in ufficio quando si va di fretta!”, spiega mentendo.

I had an arrangement to meet a girl, and I was kind of late
And I thought by the time I got there she’d be off

Zarbon mostra una fila di denti bianchissimi, “Hai in mente qualcosa.” Arguisce, “E credo sia meglio tu non la faccia.”
“Anche voi avreste fatto meglio a non farla.” 

And if you’re downright disgusted,
And life ain’t worth a dime
Get a girl with far away eyes

“Perché non ascolti il consiglio della canzone, Vegeta? Prenditi una ragazza e tornatene a casa.”
“È un po’ tardi per dare consigli, ti pare?”, risponde Vegeta, roteando la testa verso Zarbon con aria strafottente; manda giù l’ultimo sorso. “Ma dato che non è con te che volevo passare la serata, non mi resta che darti retta!”.

And all my dreams would come true, So I did the next week
I got a prayer with a girl, well,
You know what kind of eyes she got

Zarbon non sa ancora della morte di Dodoria e osserva il collega, che forse ha capito tutto o forse non ha capito niente. Pensa sia meglio dire il meno possibile, come Freezer si aspetterebbe da lui. 
Vegeta scende dallo sgabello barcollando leggermente, “Sono troppo ubriaco per guidare,” mente, “Dammi un passaggio!” ordina mellifluo all’altro, “In fondo, la ditta me lo deve!” riversa dei contanti sul bancone, più di quelli utili a pagare, e, continuando la messinscena si dirige all’uscita. Un fascio di luce azzurra dal palco gli illumina la schiena.

You know what kind of eyes she got
Get a girl, with far away eyes

Zarbon, ormai convinto dello stato di ebrezza di Vegeta, decide di seguirlo per approfittarsi della situazione: magari, rivolgendogli le domande giuste, riuscirà a capire cosa diamine gli sta passando per la testa.
Raggiunta la macchina, Zarbon si ritrova una pistola puntata alle costole da un affatto ubriaco Vegeta. Non passa nessuno per quella via, o, come al solito, nessuno a cui importi capire cosa sta accadendo tra due sconosciuti. Il solito taccheggio, andiamo via.
“Avrei preferito che questa pallottola fosse per Freezer, ma per il momento cercherò di accontentarmi!”, ironizza. Zarbon è alto il doppio di lui, ma Vegeta con quell’affare tra le mani si sente forte, invincibile. Supremo.
E forse un po’ ubriaco lo è, ma di ebrezza! Deve essersi bevuto il cervello, pensa, ma dopo vent’anni di prese in giro sente che non ha più nulla da perdere: invischiato com’è negli affari loschi di Freezer, non potrebbe comunque denunciarlo senza risultarne complice, tuttavia… si merita la sua vendetta e che vadano tutti all’inferno, compreso se stesso! Ha nel naso l’odore del dopobarba costoso di Zarbon, un disgustoso aroma di oli orientali, un odore da donna. Inspira l’aria profondamente per imprimere quel sentore nella sua mente, frammisto all’estate, profumo della libertà. La sua, che stava riconquistandosi quella notte stessa.
Freezer aveva deciso di prenderlo in giro, credendolo uno sciocco. Ed era stato uno sciocco a non accorgersi di nulla per tutti questi anni. Probabilmente se l’era meritato. Questo lo mandava in bestia: non essere stato all’altezza! Si era fatto fregare, esattamente come suo padre prima di lui. 
Vegeta però aveva finito di a farsi derubare. Per anni aveva lavorato per Freezer in modo da ripagare i debiti di suo padre, aveva dovuto rinunciare a tutto quello per cui aveva lavorato sodo da ragazzo. I sacrifici, l’impegno, lo status. La sua era sempre stata una famiglia potente, e c’era quel minuscolo appartamento in cui aveva abitato da ragazzo. Un appartamento in affitto. E Freezer si godeva alle sue spalle i beni che sua madre gli aveva lasciato in eredità. 
Che idiota era stato! Uno stupido raggirato da stupidi. 
Digrignò i denti, impastando la lingua in bocca; voleva farli fuori tutti.
Aveva scoperto, controllando e ricontrollando tutte le entrate, tutte le spese dell’azienda, di aver saldato il debito con Freezer da un bel pezzo! Ovviamente l’infame non lo aveva avvertito, prendendosi generose fette dei suoi soldi lasciandolo sempre al verde, nonostante lavorasse venti ore su ventiquattro, instancabilmente, per mandare avanti un impero economico che non era nemmeno il suo. Sporcandosi le mani al posto di Freezer e dei suoi tirapiedi, firmando tutto a suo nome, come uno sciocco. Questo lo fece ridere, tanto. Rise di sé con disgusto Vegeta, pronto a premere il grilletto.
Lo preme.
Dalla pistola, però, rimbomba solo silenzio. Preme ancora, nulla.
Qualcun altro sta ridendo adesso, ed è Zarbon. Rimasto indenne, scosso perché per un attimo aveva temuto di poter morire in quel vicolo dimenticato da dio, tuttavia ancora vivo nella scia del fallimento di Vegeta.
Zarbon riprende pieno possesso della situazione mentre quella risata isterica gli storpia i lineamenti perfetti. Essendo il doppio di Vegeta, sia per altezza che per prestanza fisica, non fatica affatto ad assumere un posizione di vantaggio sull’aggressore afferrandogli il braccio. “Bum!”, esclama divertito, nell’eco del silenzio, “Ti diverti a prendermi in giro, vero? Ma adesso il gioco è finito, Vegeta!”, con una torsione gli porta il braccio dietro la schiena, immobilizzandolo. “Ti conviene spiegarmi cosa diamine avevi in mente! Se non vuoi che ti spezzi il braccio!”
“Così poi lo racconti al paparino Freezer?”, scherza Vegeta digrignando i denti, “Ammazzami di botte, piuttosto.” Lo provoca.

 

È un appartamento spartano. Non ci sono quadri alle pareti, né soprammobili e, se non fosse per il laptop accesso sul tavolino, si direbbe completamente disabitato.
Non accendo la luce perché ho mal di testa; mi aggiro nella penombra della stanza, dalla cui finestra si vede l’enorme luna e i grandi fabbricati di un quartiere di periferia. 
Non c’è nulla, qui dentro, che mi parli di Vegeta! Eppure è casa sua; almeno da quanto ho letto dai suoi documenti.
Mi guardo intorno, senza riuscire a figurarmi cosa ci faccia Vegeta in un posto come questo, proprio lui che indossa completi costosi da uomo da affari.
Qual era la sua vita prima di questa sera?
Cerco la camera da letto aprendo a caso le poche porte. 
La camera, come il resto della casa, è in perfetto disabitato ordine. Apro l’armadio in cerca di qualche vestito, un pigiama, della biancheria da portagli in ospedale per quando si sarà svegliato. Osservo le camice bianche che spiccano nel stanza semi buia. Odorano di pulito, di lavanderia. Non di lui. Né paiono appartenere a questo posto, come Vegeta del resto. 
È un mistero come il motivo dei fatti di questa sera alla Freezer Corp. 
Non c’è alcun mistero, sono solo io a non conoscere la vita condotta da Vegeta fino ad oggi. Sono venuta qui semplicemente perché, dopo tutti questi anni, averlo vicino senza potergli parlare non mi bastava. Voglio sapere chi è diventato Vegeta Arensay. 
Aveva segni di colluttazione per il corpo, ma puzzava di benzene!
Sconfortata, mi stendo sul letto. Annuso anche le lenzuola per ritrovare un po’ dell’odore del Vegeta dei miei ricordi, più mi sforzo, più quel vanesio ricordo svanisce. 
Non indossava dopobarba da ragazzino, né scarpe costose, solo Convers rotte! Non puzzava di alcool come questa sera. 
Mi stringo al cuscino e ripenso a tutti quei feriti in ospedale, ai loro sguardi accusatori per la donna che vegliava al capezzale di un pazzo. Del mostro che una notte d’estate aveva appiccato un incendio mettendo a repentaglio la tranquillità di un intero quartiere.
Sono stanca. Tanto stanca. Vorrei chiudere gli occhi e dormire, qui con l’assenza di Vegeta in questa casa in cui si percepisce, invadente, la sua assenza. Vorrei capire cosa sta accadendo.
Sto per chiudere gli occhi, quando avverto qualcuno maneggiare la porta. Mi alzo di scatto!
Chi accidenti può essere? Un parente? C18? Mioddio, cosa racconto se mi trovano qui?! 
Vegeta è stato proprio uno sciocco! Ripagare Freezer in questo modo, dopo tutto quello che ha fatto per lui!
Sento i passi dell’intruso aggirarsi per il salotto. Decido di nascondermi sotto il letto. 
Gli squilla il telefono. “Sì, sono qui. Non è stato difficile, Vegeta non poteva renderci le cose più facili! Credo lo sia… credo, so…sono sicuro, l’ho fatto esplodere… no, non ho controllato…” 
Un lungo silenzo. “Come desideri, Freezer!”
Sento i passi allontanarsi e il portone richiudersi; aspetto alcuni istanti prima di essere sicura di poter uscire indisturbata. 
Quel tizio parlava di esplosione e di Vegeta! Si riferiva sicuramente a stasera. E il nome, Freezer, il presidente della Freezer Corp. Allora non è stato Vegeta!
Un momento. 
Manca anche il laptop!
Devo tornare subito all’ospedale, avvertire qualcuno… se scoprissero che Vegeta è ancora vivo in ospedale, lo ucciderebbero! 

 
“Siamo arrivati!”, dice Zarbon, aprendo il cofano della macchina. Vegeta, quasi ammazzato di botte, sta per rotolare a terra, ma l’altro lo rimette in posizione allacciandogli la cintura. Sono nel parcheggio della Freezer Corp.
“Vedi Vegeta,” lo apostrofa, sollevandogli la testa per i capelli, “Stava andando tutto splendidamente prima che tu iniziassi a ficcanasare in giro.” Avrebbe potuto lasciarlo tramortito, invece di svegliarlo, ma Zarbon voleva che Vegeta vivesse gli ultimi istanti di vita nella consapevolezza della sua morte. Non gli era mai piaciuto. Soprattutto, non gli era mai piaciuto l’interessamento immotivato di Freezer nei confronti. Adesso, gli era stato dato il permesso di farlo fuori. Lo avrebbe fatto con tutti i convenevoli del caso.
Vegeta gli sputa in faccia un grumo di sangue, che l’altro raccoglie dal volto con le dita, impassibile e spaventoso, prima di restituirgli uno schiaffo sonoro.
“Credo proprio che stasera farai gli straordinari! Gli sforzi di ognuno sono i risultati di tutti!” Conclude scimmiottando il motto della Freezer Corp. 
“Scusami per un istante, ti spiace? Giusto il tempo di prendere l’occorrente per un bel falò!”, continua a scherzare mellifluo. “Mi spiace debba finire così, ma converrai con me non ci sono altre soluzioni. Sai troppe cose e non possiamo permetterti di andare in giro a fare il pazzo! Proprio no. Non più almeno. Il nostro caro Freezer ha una reputazione da difendere. Eri solo un inutile sassolino nella scarpa, stasera sei diventato la classica goccia che potrebbe far traboccare il vaso! Hai fatto una carriera, esplosiva, complimenti!”
Zarbon è sicuro che Vegeta non abbia le forze per svignarsela, gonfio di botte com’è. E lo lascia in macchina mentre disegna per terra una scia di benzina, abbastanza lunga da permettergli di allontanarsi indenne una volta appiccato il fuoco. Freezer gli ha ordinato di far esplodere tutto così da liberarsi di Vegeta e di tutte le prove contro di lui una volta per tutte. “Bruciare l’erba cattiva è l’unico modo per liberarsene, Vegeta. L’assicurazione penserà al resto. Non è un piano fantastico?”
A una trentina di metri, si ferma a guardare Vegeta, non sorride più. Getta un fiammifero acceso e corre via, senza più curarsi dell’altro.
Il quale è riuscito a liberarsi e a svignarsela prima dell’esplosione. 
Il boato è forte, ma il colpo non lo è abbastanza da far esplodere un palazzo intero.
“Quell’idiota di Zarbon!”, dice Vegeta, con il fiatone, gettatosi a terra per proteggersi dallo scoppio. “Finisce sempre per fare le cose a metà!” 
“Adesso te la do io l’esplosione, Freezer!”, promette, rinvigorito dall’adrenalina. Gli antifurti delle macchine gli trillano nelle orecchie, a mano a mano che l'udito gli ritorna. Ormai non poteva più tirarsi indientro, avrebbe fatto esplodere tutto e, una volta che Freezer l'avrebbe creduto morto, avrebbe agito indisturbato.
And if you’re downright disgusted,
And life ain’t worth a dime,
Get a girl with far aways eyes.
I had an arrangement to meet a girl, 
But I was kind of late





Continua…

 

 

 * Far away eyes è una canzone dei Rolling Stones. Come canzone non è un granché, ma mi è parsa adatta non solo alla scena nel locale che ho immaginato piuttosto squallido, ma anche perchè, in un cert senso, questa canzone pare riprendere perfettamente gli avvenimento di questa storia e della storia di Bulma e Vegeta.

Spero anche questo capitolo vi sia piaciuto, mi scuso per la lunga assenza! Putroppo non ho molto tempo libero, ma vi assicuro che cercherò di impegnarmi per non lasciare questa storia alla deriva! 

Un abbraccio e alla prossima! ;)

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Il Drago e le Sette Sfere ***


Le Sette Sfere del Drago

Il Drago e le Sette Sfere 

 

Stasera andrò a vedere “Le Sette Sfere” al cinema Onion. Un rappresentazione cinematografica del mio fumetto preferito, dove i protagonisti sono alla costante ricerca di queste sfere magiche in grado di esaudire i desideri più disparati.
Gli altri ed io ci siamo dati appuntamento al Namec, per un frullato prima della proiezione. Ho sempre adorato questo locale: tutti i ragazzi popolari vengono qui per chiacchierare e “farsi vedere”, per intrecciare le loro esistenze con pettegolezzi che, in un modo o nell’altro faranno comunque parlare di sé.
Il Namec è appunto una livella sociale: se sei qui, sei nel giro, altrimenti sei tra coloro che, oltre a riempire i corridoi della scuola come una massa indistinta, sono sconosciuti ai più.
Adesso, mi piacerebbe far parte degli sconosciuti; poter pensare ai fatti miei senza lasciarli analizzare da chi che sia, come sta accadendo in questo momento. Sento addosso gli sguardi di tutti. Il privilegio di essere una rappresentante d’istituto in pieno marasma sentimentale ed esistenziale!
“E a te, Bulma, cosa piacerebbe desiderare?”, mi chiede Yamcha, succhiando il suo frullato all’arancia.
“Ecco… “, passo in rassegna i miei pensieri, “Che domande! È ovvio che chiederei la giovinezza eterna, per restare sempre bellissima!”, rispondo spavalda ma sto mentendo.
“Ma sarai sempre bellissima, tesoro!”, è l’immancabile commento del mio ragazzo.
In realtà, preferirei avere un fidanzato come si deve, invece sono rimasta intrappolata dai miei stessi principi. Avevo promesso a Yamcha che l’avrei perdonato. E l’ho perdonato, semplicemente per aver perso interesse alla vicenda. Sono successe tante cose terribili in questi ultimi giorni, e sarebbe stato sciocco rimuginare su una ragazzata come quella tra di noi.
Vorrei tagliar corto, ma sono assolutamente incapace di dare una spiegazione alla fine del nostro amore. Lasciarlo per via di ciò che ho vissuto in questi giorni, mi pare una bassezza nei confronti di Vegeta: non è questo il motivo e fungerebbe soltanto da scusa.
Lui è stato scorretto, tuttavia il mio orgoglio mi impedisce di usare la sua infedeltà come motivo per troncare la nostra relazione, soprattutto dopo aver concesso il perdono. Passerei per una pusillanime e non mi va affatto.
Dire di non amarlo più, dopo averlo perdonato proprio per amore, sarebbe un altro colpo basso, oltre che conferma di vigliaccheria! Eppure ricordo di averlo perdonato proprio in forza di un sentimento che ora non sento più e non riesco a spiegarmi perché.
C’è bisogno di un perché dopotutto? Non basterebbe semplicemente dire “Non ti amo più?”, ci resterebbe male e mi odierebbe! Non voglio essere odiata.
Soprattutto, non riesco a sentirmi perfettamente a mio agio qui al Namec, sia per la civetteria degli altri compagni di scuola sia per il mio stato d’animo, non completamente in linea con quello che potrebbe definirsi “normale”.
“Smettila di chiamarmi tesoro, Yamcha, è da bambocci!”, lo riprendo, scontrosa, “E comunque è ora di andare! Il film inizia solo tra…” lancio un’occhiata all’orologio, “appena trenta minuti”, farfuglio tirandolo via dalla sedia e da questo postaccio. Maledetta me per esserci voluta venire!
“Un momento Bulma, lasciami almeno finire il mio drink! E poi Goku e gli altri non sono ancora qui!”, protesta. Glielo darei in testa il suo drink, se non fossi sicura di calamitare maggiore attenzione dagli astanti. O forse dovrei dire spettatori? “Vorrà dire che non vedendoci ci raggiungeranno direttamente là!”
E dire che una volta sentirmi al centro dell’attenzione generale mi inorgogliva; adesso mi è solo d’impiccio. Probabilmente perché sono la prima a non capire un accidenti della matassa sentimentale in cui mi sono impigliata da sola; l’interesse degli altri mi è inutile, se non riesco a trovare, io stessa, il capo del filo.

 

Ci mettiamo in fila per entrare, “Non capisco perché hai voluto iniziare la fila da adesso, Bulma!”
“Senti, Yamcha, sono già di pessimo umore e sai bene perché, una boccata d’aria non può che farci bene.”
“Potevamo farci una passeggiata, se era questo che volevi”, raramente Yamcha sprizza tanta logica come questa sera.
“Così poi saremmo entrati per ultimi!”
“Tanto dobbiamo ancora aspettare gli altri.”
“Allora, vorrà dire che compreremo i biglietti anche per loro!”
“Come se ci fosse una fila disumana, siamo venuti oggi proprio perché ci sarebbe stata poca gente, visto che la prima c’è stata ieri. Ricordi? È stata una tua idea!”
“So benissimo che è stata una mia idea, grazie! Ma non è un buon motivo per entrare per ultimi e beccarsi dei posti in ultima fila.”
Sarebbe tutto più ragionevole se, semplicemente, gli spiegassi che uno, restare al Namec mi metteva in imbarazzo, e che due, restare da sola a passeggiare con lui, come un’irriducibile coppia di innamorati, mi avrebbe fatto sentire ancora peggio.
Ho anche un terribile mal di testa che mi rende insopportabile tutto quanto! Ce l’ho dal pomeriggio, da quando io e Chichi abbiamo iniziato a sistemare i festoni per il ballo di San Valentino. Tutti quei cuori mi hanno disgustata, ricordandomi la mia codardia.
“Di’ un po’, hai invitato anche lui, per caso?”
“Eh?”, faccio svogliata, “Non stavo ascoltando!”
“Me ne sono accorto che non stavi ascoltando!”, mi rimbecca risentito, “Dicevo, hai invitato anche Arensay stasera?”, domanda infine.
“No, perché?”, Yamcha non risponde, spunta il mento in direzione di Vegeta davanti al botteghino.
Giuro, se fossi riuscita a controllarmi meglio, non avrei agito così. Di fatti, non appena lo scorgo, mi illumino più dell’insegna al neon del cinema! Inizio a sbracciarmi in un saluto gioioso tanto quanto quello di un naufrago alla vista di una nave in mezzo al mare.
A scuola ho sempre rispettato i suoi spazi, convinta volesse restare solo per via della morte del padre.
Tuttavia, questa sarebbe anche l’occasione migliore per avvicinarmi a lui e capire come si sente e come sta affrontando la cosa; a scuola mi sfugge sempre con la scusa di dover studiare.
Non gli avrei chiesto nulla direttamente; vorrei solo capisse che, nonostante tutto, io gli sono amica.
Lui ci nota, e io avvampo quando mi rendo conto di essere agitata tanto in presenza Yamcha; la mente mi si confonde, abbasso le braccia senza dir nulla.
Anche Vegeta resta fermo, non un cenno, indeciso?
Infastidito. Ci volta le spalle ed entra in sala.
Adesso mi vergogno di averlo saluto in modo tanto plateale! La gioia di averlo visto mi aveva fatto dimenticare le circostanze. Insicura io stessa dei miei problemi sentimentali con Yamcha dell’attaccamento che nutro per Vegeta, da non rendermi conto di essere risultata del tutto fuori luogo.

 

All’arrivo dei nostri amici entriamo in sala anche noi. Sono irrequieta per tutta la durata del primo tempo: continuo a pensare alla figuraccia di poco prima. Yamcha non ha detto nulla, questa volta, ma dubito gli abbia fatto piacere. Beh se vogliamo, nemmeno a me ha fatto piacere il suo tradimento!
Ecco, che il risentimento torna a galla. E mi torna in mente anche quella frase sentita in macchina con Vegeta “Si perdona finchè si ama”. Se è vera, vuol dire che innamorata non lo sono più. Eppure, se continua a darmi fastidio, vorrà pur dire qualcosa! Che sono gelosa. E se sono gelosa, forse non è vero che sono del tutto indifferente a Yamcha!
Che pasticcio. E Vegeta? Perché mi evita così da quando è morto suo padre?
Posso capire il suicidio del padre, voglio capire anche il suo dolore; ma perché chiudersi così di fronte all’aiuto che io stessa gli ho sempre offerto?
Ed è da questo momento che smetto del tutto di prestare attenzione al film. Sono rivolta allo schermo, ma penso a Vegeta e a tutta quella forza che dimostra nell’affrontare ogni tormento, la sua maturità e chiarezza mentale. La passione che mette nel raggiungere i suoi obiettivi. Tutte qualità che ostento ma che rivedo in lui soltanto. Mentre io ho bisogno che la mia sicurezza arrivi dal riconoscimento degli altri, mettendomi sempre al centro dell’attenzione, lui non basta che a se stesso, restando fedele alle proprie convinzioni.
Adesso capisco il mio bisogno egoistico di stargli accanto: essere amata da una persona così, mi renderebbe piena di orgoglio. Riuscire dove nessun’altra è riuscita, dove persino C18 così simile a lui ha fallito, mi riempirebbe piena di amor proprio.
Lo userei per innalzare me stessa.
Come può, inoltre, esserci equilibrio dove il mio attaccamento nasce dalla pena che provo per lui?
Ha ragione. Ha ragione lui a odiare chi osa impietosirsi. Di per sé, un riconoscimento di superiorità verso chi si reputa svantaggiato. Ecco perché il suo orgoglio lo tiene lontano da me, perché mi evita.
Gli impongo la mia consolazione come fosse un cane bastonato, quanto è chiaro che la condivisione e l’empatia possano esserci solo laddove ci sia equilibrio.
Si è allontanato dopo l’incidente del padre per via del mio atteggiamento da crocerossina. Sono io che ho rovinato tutto, con la mia stupida apprensione da maestrina! E quindi non capisco se ne sono davvero innamorata, o se solo bisogno, il mio, di essere apprezzata tanto quanto Yamcha mi ha disprezzata tradendomi.
Mi sento una stupida, un cretina. La rabbia mi occlude la gola. Che senso ha, rimuginare sui i miei sentimenti, quando io stessa sono incapace di capirli.
Come posso continuare a mettere da parte il mio amor proprio per un cretino come Yamcha? Io non sono così, io sono Bulma Brief!
Ed ecco che, nel mezzo di questo mio delirio di convinzioni, qualcuno viene ad occupare il posto rimasto vuoto accanto al mio. Persino nella penombra riconoscerei la sua improbabile capigliatura.
“Vegeta!”
“Ho finito i miei e c’era troppa fila al bancone!”, dice, afferrando il mio pacco di Popcorn, nel contempo facendomi quasi rovesciare addosso la mia bibita.
“Ehi, sta’ attento!” sbraito.
Shhh, Esorta una ragazza dietro di noi, che io ovviamente ignoro, “Questo è un maglione di mohair, hai idea di come l’avresti ridotto?”
Shhhhhh, fanno dietro di noi con più insistenza.
“Io parlo quando mi pare! Nessuno mi fa shh!” Sbraito furiosa con una gomitata contro lo schienale della mia poltrona, per rendere il concetto più chiaro contro quella smorfiosa che mi ha interrotto nel mezzo di una ramanzina.
“È la raffinatezza che ti contraddistingue.” Mi prende in giro Vegeta.
Shhhhh, ma insomma la smettete di blaterare! Lasciateci vedere il film!
“E tu la smetti di sibilare come una lucertola, vecchia strega?”, sbotta Vegeta, girandosi verso la donna che aveva osato indispettirlo.
“E ridammi i miei Popcorn!”, aggiungo io non appena torna a sedersi composto; faccio per riprenderli dalle mani di Vegeta, il quale tiene salda la presa prima di mollarla. Più di una manciata finisce a terra.
“Scusami,” sussurra suadente al mio orecchio, e sto per sciogliermi in un perdono quando, strafottente, aggiunge, “Credevo fossi ormai abituata alle briciole!” Spunta il mento in direzione di Yamcha, che non ha sentito l’ultima frase ma, nella penombra, vedo la sua mascella contrarsi dal fastidio di avere Vegeta di nuovo tra i piedi. E a ragione, considerato il casino che abbiamo combinato. Tuttavia, più che sentirmi in colpa verso Yamcha sono furiosa con Vegeta.
Non posso credere che fino ad un attimo fa stavo ammettendo a me stessa di provare qualcosa per lui. Ma stavo dimenticandomi la sua più grande caratteristica: è un’irriducibile stronzo! Cerco di calmarmi, perché sono una signora, altrimenti dovrei fare a pezzi tutto il cinema. Non voglio comunque fargliela passare liscia. Mi preparo a rispondergli a tono, quando Yamcha, cavallerescamente propone sussurrandomi: “Se ti sta dando fastidio lo sistemo io!” credendo sia tutta colpa di Vegeta, quanto in realtà siamo complici.
Ricordo ancora com’è finita l’ultima volta che ha pensato a sistemarlo! Allora desisto, per evitare ulteriori complicazioni.

 

“Ciao, Vegeta!”, saluta Goku alzandosi quando, a fine proiezione, accendono le luci della sala, “Cosa ci fai qui?”, domanda, quasi ricadendo dalle nuvole.  
“È un cinema, mi pare ovvio cosa ci faccia!”, risponde l’altro, piuttosto spiccio, la cui scontrosità non riesce ad intaccare la giovialità del mio amico.
“E ti è piaciuto il film?”, continua infatti quest’ultimo già infilando un braccio nella manica del giubbino.
“Non credo ci abbia fatto molto caso!”, si intromette Yamcha, riferendosi al teatrino tra me e Vegeta.
“A me sono piaciuti molto i Sayan,” cerco di smorzare i toni, “Soprattutto il Principe senza regno, è così affascinante!” Faccio sognante.
“Il Principe? Ma è un psicopatico.” Controbatte Crilin, “Un assassino senza scrupoli che pensa solo a se stesso!”
“Beh non è quello che facciamo tutti?”, ribatte Vegeta, in difesa del personaggio, “L’unico con un po’ di personalità.”
“É poi quel suo passato tormentato! Ho sempre avuto un deboli per i cattivi!”, concordo congiungendo le mani in adorazione.
“Beh, io preferisco il ragazzo lupo.”, dice Yamcha, mentre ci avviamo all’uscita, sentendosi messo da parte.
“Ah sì? E quale sarebbe la sua specialità oltre ad essere il primo a morire?” lo sbeffeggia Vegeta, ridendo, “É quello con meno spina dorsale. Sai, mi ricorda proprio qualcuno!”
“Cosa vorresti dire?”, domanda Yamcha minaccioso, mostrando il pugno. Ultimamente è particolarmente suscettibile su tutto, soprattutto quando Vegeta è nei paraggi.
“Coraggio, ragazzi, non litighiamo.” Riporta la pace Goku.
“E chi litigava, ho solo evidenziato un dato di fatto.”
“È un personaggio leale e che sbaglia e lo ammette! Il tuo, invece, manda tutto in rovina a causa del proprio orgoglio e della sete di potere”
“Io non la chiamerei sete di potere, quanto voglia di libertà!”, controbatto con aria saputa, alzando un indice, “È vero che le sue azioni sono tutt’altro che lodevoli, ma chiunque, con quella storia alle spalle, avrebbe agito allo stesso modo!”
“Vuoi forse dire che è giusto calpestare gli altri per il proprio egoismo?”
“Attento Yamcha, mi pare la tua difesa stia prendendo una brutta piega.” Stiletta Vegeta, mellifluo e trionfante. Anche Yamcha non ha mostrato molto altruismo quando ha calpestato i miei. Tuttavia non credo che l’intento di Vegeta sia stato di difendermi, quanto piuttosto di mettere zizzania: ha trovato un solido appiglio, e adesso lo sta caricando con tutto il peso. Gode parecchio a riversare i suoi sentimenti ombrosi sugli altri, vuole che tutti entrino nelle sue tenebre. Infatti continua, “Anche l’altruismo può essere una forma di egoismo, se non vado errato. Lo sapresti se avessi studiato filosofia!”, bercia, riducendo il discorso ad una glorificazione della propria cultura. Sto quasi per concedermi un sospiro di sollievo pensando, ingenuamente, sia finita lì. Com’è ovvio, tuttavia, dopo aver colpito non può che affondare, “Ma sono discorsi troppo complicati perché un idiota come te li capisca!”.
L’idiota in questione sta per ribattere, già lo vedo stringere i pugni, quando Chichi fa “Beh, se volete saperlo a me è dispiaciuto che quel ragazzino non abbia potuto finire gli studi!”.
“Oh Chichi, possibile che pensi sempre a studiare?” Ride Goku, cingendola con un braccio.
“A proposito di studio, ragazzi, mi avete ricordato che devo finire la relazione di storia per domani!”, si rattrista Crilin, affatto allettato dalla prospettiva di dover finire la serata tra i libri.
“Inutile che ti sforzi, tanto farà schifo lo stesso!”, si sente, però, in dovere di puntualizzare Vegeta con cattiveria; evidentemente non contento di non essere ancora riuscito a rovinare la serata a tutti, di portarci tutti nel suo baratro.
“Scusa tanto se non siamo tutti sapientoni come te, Vegeta.” Si difende Crilin, squadrandolo con astio.
“Guarda, guarda che coraggio!”, ghigna, cinico, Arensay, “L’altra volta non mi sei parso così spavaldo, quando ho rotto il naso al tuo amico.”
“Adesso basta, Vegeta!”, lo riprende Goku, questa volta con un cipiglio serio, per nulla adatto al suo viso da bambino.
“Perché altrimenti l’eroe della favola mi riempie di botte?”, gli punta un dito contro, chiamandolo per cognome, “Non ho paura di te, Kakaroth!”
“Vuoi fare a pugni, Vegeta?”, Goku si allontana da Chichi e fa un passo avanti, “Perché mi pare tu non stia cercando altro questa sera! Fatti avanti allora,” lo provoca, “Ma sappi che non attutirai il rancore che provi verso tuo padre.”
Vedo Vegeta fare un passo avanti, la folla all’uscita del cinema si è ormai diradata; a scompigliargli i capelli tira un vento piuttosto freddo, carico degli odori di un ristorante poco più avanti. Stringe i pugni e gli occhi in uno sguardo che non gli avevo mai visto. Un sentimento la cui note non riesco a decifrare; probabilmente, un sentimento che non proverò mai in tutta la mia vita.
Poi le labbra sottili si tirano in un ghigno, l’apparecchio si illumina dei lampioni della strada; sistema gli occhiali sul naso dritto e fa un passo indietro, piegando la testa da un lato. “Non mi importa niente di mio padre.” Sentenzia con un dito medio bene alzato rivolto a tutti, pima di girare i tacchi e andare via.
E con quella precisazione, credo di capire perché ha evitato di battersi: probabilmente non vuole scoprirsi così tanto con noi. Prendere a pugni Goku, o chi per lui, nonostante sia stato forse il suo intento dall’inizio, sarebbe come ammettere due cose: che Goku ha ragione e che la sua sofferenza e rabbia sono tali da non riuscire a contenerle.
Non appena ci dà le spalle e si allontana, capisco di essere al bivio che, in fondo avevo sempre sperato. Una scusa per poter finalmente scegliere tra Yamcha e Vegeta. L’occasione di sentire in me stessa chi vorrei davvero seguire. Con mia grande sorpresa, però, mi accorgo che non mi va di seguire nessuno. Due rette indipendenti nella stessa direzione, ecco com’è una relazione, senza bisogno di completarsi ma solo incontrarsi.
“Yamcha,” Dico, “Torno a casa a piedi!”
“Cosa?”
E mi separo da tutti, con Vegeta già lontano, “Ci vediamo domani alla partita, ragazzi!” Saluto sorridendo tutti come niente fosse, girata lancio uno sguardo sbieco a lui e prendo in mezzo quella parallela d’astio tra i miei amici e Vegeta.
Torno a casa, da sola.
Mentre camminavo sentivo che ogni passo lontano dai miei amici era un passo in più verso Vegeta, con la testa. Vedevo la strada dritta davanti a me, ma nei pensieri lui soltanto, con quelle spalle larghe abbastanza da sorreggere la sua vita complicata. Senza abbattersi, sempre a combattere se stesso per mantenersi forte, inattaccabile.
Adesso, arrivata finalmente a casa, posso dire di averlo raggiunto, così come la chiarezza mentale che mi pervade e riscalda in questa fredda notte invernale.
Scontroso, rude, profondo, oscuro come i sentimenti che gli ingarbugliano l’animo e rendono fosco lo sguardo. Sono finita nel suo angolo buio, incapace di vedere altri che lui, consapevole di non poter non percepire la sua essenza per sempre.
Non voglio più che lui cerchi il mio aiuto, come volevo accadesse; ma che mi cerchi senza condizioni, soltanto perché sono io.
Non gli parlerò dei miei sentimenti, perché la pietà che provo adesso toglierebbe loro lo smalto della particolarità.
Infilo la chiave nella serratura, un piccolo intoppo a minare la fluidità dei miei pensieri. E risento sulla mia pelle l’irrequietezza che ha contraddistinto Vegeta per tutta la serata, in cerca solo di una miccia per esplodere e sfogarsi; e rivedo Vegeta vacillare davanti a Goku, fermo come una roccia che il vento attraversa ma non può scalfire, e penso.
Penso che se persino lui per un attimo avrebbe potuto perdere la lucidità e la concentrazione che lo tiene ancorato all’imperturbabilità con cui sta affrontando tutto questo, come potrei io non cedere difronte alla sua tempesta? Come potrei non crollare vedendolo immerso nei suoi sogni infranti, quando io, al contrario, sono libera di scegliere la strada che voglio?
Così il dubbio di non poter essere abbastanza, si impossessa dell’energia che avevo recuperato solo alcuni istanti prima. Sento che “amore” è riduttivo ed è un oceano in cui mi perdo, vasto e tempestoso, eppure di vacillante c’è solo la certezza che lui non capisca.
Ho preso la mia decisione.

 
Liceo Toryama, ore 10:30.

 

“Bulma, sei ancora sicura di volerlo fare?”, mi chiede Chichi apprensiva, bloccandomi il passo prima dell’entrata in scena allo stadio. Indossa il completo da cheerleader che io stessa ho ideato per l’occasione; è così bella che dovrebbe bastare a darle sicurezza, ma il suo sangue freddo è tradito dalla fronte imperlata di sudore. In realtà, crede la coreografia dell’apertura della stagione di football sarà uno schifo. In fondo, non è mai stata d’accordo con la mia idea fin dall’inizio.
“Ti renderai ridicola, lo sai?”, chiede, le mani posate sulle mie spalle imbottite del costume di scena. Sicuramente il miglior vestito abbia mai indossato! “Cosa penserà Yamcha?”, decisamente nessuna della mie proposte le era parsa abbastanza ragionevole.
“Oh Chichi, a dirla tutta non mi importa nulla di quello che penserà lui. È una questione di principio capisci? Qualcuno doveva pur far qualcosa,” mi libero dalla mani di Chichi e sistemo i capelli in una coda di cavallo che sa di fragola, “Marion ha finalmente l’occasione di combinare qualcosa di buono, sta a lei coglierla.” Mi tolgo un pelucco dalla bocca.
“Non credi di mandare un messaggio sbagliato?”
“Oh santo Dende, Chichi, il mio messaggio arriverà. Forte e chiaro a chi di dovere.”
“Credo ancora sia meglio parlargli direttamente e dirgli come ti senti, invece di questa messa in scena. Sono sicura Yamcha capirà!”
Sbuffo, questa conversazione inizia a starmi stretta più dei collant che indosso! “Non capisci, Chichi. Ho detto che il messaggio arriverà.” Dico risoluta, e adesso sono io a poggiarle le mani sulle spalle.
“Ora si va in scena!”, con un occhiolino decreto la questione conclusa; infilo gli ultimi dettagli del costume e corro via, in posizione.
Ho la bocca secca. Sono terrorizzata. Mi volto verso Marion, la quale, questa mattina, non era tanto convita del suo ruolo di oggi; se ne aspettava un diverso, prima che io cambiassi i piani all’ultimo minuto, e ora teme di fare una figuraccia.
Deglutisco, anche se non ho abbastanza salivazione per farlo. La mani inguantate e sudate, le stringo a pugno. La canzone parte. La coreografia inizia. Spettacolare e colorata! Forse troppo per un liceo, ma ho voluto fare le cose in grande, affinché il mio messaggio arrivi, chiaro e forte come questo sole freddo di oggi.
Sento gli sguardi di Yamcha seguire la coreografia. Avrà sicuramente gli occhi fissi su di Marion che sgambetta incerta nel suo costume vistoso e ingombrante, inondata dalla sua capigliatura turchina e particolare, come la mia.
È bellissima.
 Indossa il costume più bello, scelto da me. Una maschera ottocentesca le copre il volto, e pare quasi ci sia io lì dietro. Lo pensano tutti. Lo pensa anche lui. Non riesco a vederlo, ma immagino il suo ghigno strafottente. Crederà io sia una bamboccia.
La coreografia giunge al termine, ci riuniamo in gruppo al centro del prato; un turbinio di colori carnevaleschi, come da tema. Ed io, al centro, vengo sollevata in alto dalle mie compagne in quanto mascotte della squadra: un goffo, voluminoso, puzzolente drago verde dalle “zampe” in calzamaglia gialle. Lanciano tutte la loro maschere eleganti in aria.
Poco prima che la canzone finisca, mi libero anch’io dell’enorme casco di peluche; un colpo di testa fuori copione. Ed eccomi, struccata, sudata, con i capelli, non più di fragola, appiccicati al volto accaldato su cui soffia l’aria fredda di questo Febbraio. Sfoggio il mio sorriso più brillante; il petto scosso dal fiatone. Mi sento bellissima e forte. Invincibile.
Finalmente Vegeta capirà di che pasta sono fatta! Bella, senza bisogno di artefici per sembrarlo; risoluta, perché solo lui può capire il mio gesto fino in fondo. La migliore, e considerata tale anche senza mascara e inondata di sudore.
Guardo lui, dopo averlo scorto, da solo, poggiato alla fine degli spalti. È troppo lontano per capire la sua espressione, ma immagino un ghigno su quelle labbra sottili.
Io posso scegliere dove stare e non raccolgo le briciole di nessuno, perché sono Bulma Brief e sono capace di restare sempre me stessa, Vegeta.
Scendo giù a terra. Raccolgo la testa di drago, trofeo della mia vittoria personale. Gli occhi sono comunque puntati su di me, continuo a sorridere mentre mi avvicino ad un confusissimo Yamcha. Non ha prestato la minima attenzione al fagotto verde che saltellava ridicolo dietro alle bellezze mascherate; guardava Marion, convinto fossi io. Ora guarda me con aria da ebete.
Gli mollo il testone da drago addosso, “È finita, Yamcha!”, dico raggiante senza ammettere repliche. Nemmeno mi interessano, che faccia pure una partita di merda, pensando a me. Me ne frego.

 

Alla fine delle lezioni ne parlano ancora tutti, e ne avrebbero parlato per settimane. Bulma Brief, la reginetta della squadra delle cheerleader, intrappolata in un costume mefitico per portare alla ribalta la ragazzetta che aveva osato andare a letto col suo ragazzo. Un piano così bene architettato, dicevano, che la poverina non capiva di essere stata fregata, nonostante sia stata la più bella della coreografia.
Vegeta, spero tu capisca che sbagli a considerarmi come gli altri, che non puoi ridurre a pietà le mie attenzioni verso di te e il mio orgoglio non sarà mai infranto. Nemmeno dal tuo.
Non ci siamo rivolti nessuna parola, né sguardi, per tutta la durata della giornata scolastica. Eppure io mi sento trionfante, perché la mia presenza è impertinente anche quando ci ignoriamo, Vegeta.
All’uscita di scuola mi aspetta tuttavia una brutta sorpresa: C18, l’unica virgola fuori posto di questa giornata. Bellissima e glaciale, avanza verso di me, nella divisa grigio e ocra del Liceo Lemon, prendendosi la scena che, fino a quel momento, era stata mia soltanto.
Resto sorridente, e sorridente l’accolgo mentre lei mi sbatte in faccia il volantino colorato del Ballo degli Innamorati, “Di’, l’avete già fatta questa pagliacciata?”
“Come ti permetti di definirla così! Sono io stessa l’organizzatrice, in quanto rappresentante d’istituto, e sarà una festa fantastica!”
“Ma non mi dire…”, sbeffeggia, gli occhi le scorrono sul volantino, “Avete già trovato la band per la serata?”.
“Veramente non ancora!”, esclama Chichi, “Sai con tutto quello che è accaduto, abbiamo dovuto posticipare i preparativi. La festa non si terrà che questo week-end.”
Rifilo a Chichi una gomitata, “Piuttosto che ci fai qui?”, domando.
“Fai parte del Liceo Scientifico Lemon, non è così?”, le chiede, però, anche Crilin, mentre si stropiccia le mani sudaticce, toccandosi gli indici, leggermente arrossato.
“Mi pare ovvio!”, stiletta lei, riferendosi alla sua divisa, senza raccogliere il tentativo di conversazione iniziato dal mio amico, degnato neache di uno sguardo. “Sei sempre l’ultimo ad uscire.” Dice poi la ragazza, sorpassandoci tutti alla volta di Vegeta.
Il cuore mi batte forte. “Bulma, dobbiamo parlare, è tutta la giornata che cerco di farlo!”, arriva Yamcha, inopportuno.
Accidenti, “Non adesso, Yamcha!”, infatti sono più curiosa di sapere di Vegeta e C18. Credevo si fossero lasciati. Maledizione, con questa folla e chiacchiericcio (provocato da me tra l’altro), non riesco a sentire cosa si dicono quei due.
“Bulma, ti prego ascoltami!”, mi riprende per un braccio, “Mi dispiace non aver guardato te, durante la rappresentazione, non credevo che quella in maschera fosse Marion.”
Ecco come Yamcha non ha capito un accidenti di quello che intendevo: pensa me la sia presa per questa sciocchezza. “Sul serio, Yamcha, non importa!”, lo rassicuro un po’ distratta, mentre cammino verso Vegeta e C18 che si stanno allontanando insieme.
Yamcha mi si para, tuttavia, davanti, ed arriva anche Marion. Oh no, il piano mi si sta rivoltando contro, proprio adesso! Ho gli occhi di tutti puntati addosso, tranne i loro che continuano per i fatti propri.
Ho perso la salivazione, l’odore nauseabondo del costume che ho indossato questa mattina mi torna nei polmoni.
Yamcha e Marion mi parlano, ma io non gli ascolto, concentrata su Vegeta e C18 che stanno litigando?
In tutto questo marasma, mi paiono in una bolla inaccessibile. Irraggiungibile. Che sia stato tutto inutile? Che il significato del ghigno di Vegeta sia stato di disprezzo, anziché approvazione?
C18 gli punta il dito contro.
“Bulma ti prego, perdonami!”
“Bulma, mi prendono tutti in giro oggi, spiegami perché!”
Ma non ascolto questi due, tra le fessure dei loro corpi paratimi davanti, intravedo Vegeta scuotere la testa. Il cipiglio indispettivo di C18, che lancia nel vuoto un oggetto dal bagliore metallico.
“Fottiti, Vegeta!”, le leggo sulle labbra, prima di vederla sparire.
“Cavolo!” esclamo, sconsolata, intrappolata nella mia stessa macchina della gloria. Quando finalmente riesco a liberarmi, con gli occhi di tutti puntati addosso, mi getto verso il cancello dell’uscita alla ricerca di Vegeta e della bionda. Spariti.

 

 

 

 Continua...

 

 Nuovo capitolo, lungo e succoso (lo spero!). Spero anche che vi sia piaciuto. Non posso promettervi nulla riguardo la velocità con cui verrà postato il prossimo capitolo (avrete ormai capito che gli aggiornamenti sono piuttosto random!), dico solo che sono stata travolta da un'ispirazione inaspettata e che, quindi, potrebbe già essere in cantiere! :P 

Grazie a tutti coloro che, di recente, hanno aggiunto la storia alle seguite (come Died e Bibi84), alle preferite e alle ricordate! :)

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** It's getting faster, moving faster, now it's getting out of hand ***


23n

Nda: le canzoni usate per questo capitolo sono Disorder e Love will tear us apart, entrambe dei Joy Division (in particolare, il titolo è stato preso da un verso di Disorder).

 

It's getting faster, moving faster, now it's getting out of hand

 

Una giornata di sole fantastica! Dopo tutto il freddo, la neve e la pioggia sento finalmente il sole rinascermi dentro e arrivo a scuola con un ottimo buon umore. Questo Venerdì ci sarà il tanto desiderato ballo di San Valentino, nonostante si tenga nei primi di Marzo. Sia io che Chichi temevano di andare fuori tema (ne abbiamo scelto uno piuttosto primaverile, niente cuori, molti fiori) ma oggi mi pare che tutto stia andando come previsto.
La serotonina m’illumina illudendomi così tanto da sentirmi invincibile che entro in classe senza accorgermi della discussione tra i miei compagni.
Agito la testa e le codine al ritmo del mio Walkman, mentre mi sistemo al mio banco.
Getting faster… moving faster… lalala…who gives a damn right now…lalala.
«…Ulma…
Bulma!?», Chichi mi sfila via le cuffie, «Diglielo anche tu, accidenti!»
«Ehi, ma che modi sono?», sbraito con il mio umore incrinato.
«Non può partecipare!» Continua Chichi sventolando in aria un foglietto. Pare piuttosto seccata.
«Dai Chichi, non facciamone un dramma!» Goku cerca di calmarla, mentre Vegeta scoppia a ridere di gusto. «Ahahah davvero credi che una mocciosa possa convincermi del contrario?» Mi indica col mento.
«Ancora con questa parola. Chi sarebbe la mocciosa, scusa?» Lo riprendo, got the sprit, but lose the feeling… feeling, fee…clicco l’off del Walkman, e saetto furiosa lo sguardo su di lui, le cuffie basse sulle spalle.
«Tutti voi, mi pare ovvio.»
«Non puoi partecipare, Vegeta!» Ripete Chichi, agguerrita contro di lui, «Non è giusto non sarebbe corretto!» Puntualizza come fosse un’unica parola.
«Non sono affari che ti riguardano.» È la replica calma dell’altro, braccia conserte, irremovibile dal suo punto di vista.
«Bulma, non stare lì impalata!» Vengo di nuovo chiamata in causa, senza tuttavia che mi si spieghi quale nocciolo si stia tentando di rompere.
«Se vi degnaste di spiegarmi, forse, potrei interessarmi al problema!»
«Ecco!» Sbatte un volantino sul mio banco, noto subito l’accostamento di colori migliore di quello del nostro ballo nonostante pubblicizzi qualcosa di diverso: Sul podio del successo grazie allo sport. Una gara di nuoto, tra le scuole cittadine, indetta dal sindaco. In palio: 5000yen di borsa di studio. Però, ora capisco l’interessamento dei miei compagni.
«Ma da quando t’interessa il nuoto, Chichi?»
«Sarà Goku a partecipare, ovviamente divideremo il premio.»
«Parli come se quel babbeo possa battermi.» Dice Vegeta.
«Non ce ne sarà bisogno, perché tu non parteciperai!»
«Io partecipo a quello che mi pare!»
«Beh, in fondo, non credo di essere così preparato…» Azzarda a commentare Goku.
«Sciocchezze! Avrai tutto il tempo per allenarti!»
E qui Vegeta ride di nuovo e ancora più forte, sicuro delle proprie capacità. La notte scorsa mi pare lontana anni luce. Come ho potuto dubitare di non ritrovarlo qui, in classe, questa mattina?
«Mi spiace Chichi, ma non vedo perché non possa partecipare anche lui.» Trovo fuori luogo la testardaggine della mia amica, «E anche Vegeta ha bisogno di soldi!»
«Impicciati degli affari tuoi, mocciosa, non ho bisogno di nulla!» Tuona il nocciolo sempre più duro della questione.
«E allora si può sapere perché t’interessa così tanto partecipare?» Domando spiccia, puntando i gomiti.
Mi sorride con un passo nella mia direzione, «Perché a loro interessa che non partecipi.» Allunga le braccia a coprirmi le orecchie con le cuffie.
Il nocciolo non si è rotto, torna trionfante al suo banco, sguardo alla finestra, corpo coperto dall’ombra delle tendine.
A ricreazione lo raggiungo al suo angolo buio in cortile. Al solito resta sempre in disparte. Sta mangiando un cornetto alla crema, ne ha un altro in un sacchetto di carta bianca poggiato in grembo. Siedo accanto a lui sul granito degli scalini che pare umido tant’è freddo. Dietro di noi una porta rimasta sempre chiusa per una stanza mai usata, metafora della nostra amicizia.
Ovviamente ha notato che sono qui, decide comunque di ignorami continuando a mangiare senza scomporsi. Zucchero a velo su una guancia.
«Ti piacciono i Joy Division?» Me ne esco a un tratto, con la serietà di chi non avesse aspettato che quel momento per parlare di musica con lui. Penso a mia madre e a suoi pasticcini, che il suo propinarceli sempre sia un tentativo come un altro per iniziare un dialogo con noi, che la ignoriamo sempre?
Vegeta ribatte lo stesso, secco “no” che avrei dato a mia madre come risposta alla sua dolce offerta.
«Allora i Talking Heads?» Allora che ne dici di questa torta al limone, tesoro?
Non ho altri motivi per stare qui se non la voglia di parlargli. Ricorderò forse un giorno l’odore di questa giornata, e dell’erba fresca che il sole è giunto ad asciugare; ritornerò al profilo di questo giovane amico e alle sua bocca mai avuta mentre assapora, meno ignaro di me, un dolce alla crema.
«Dovresti parlarne con C18, di queste cose, a lei piacciono molto entrambi.» Schiocca compiaciuto. Mi chiedo se sia vero o se l’abbia detto solo per innervosirmi. Perché dovrebbe volermi innervosire, però, lui non può immaginare cosa provo per lui e come vedo lei.
«Allora avete fatto pace?» Sono comunque felice l’abbia tirata in ballo, così posso indagare su di loro. Risponde con un’alzata di spalle, mentre addenta il secondo cornetto, uno sbuffo di zucchero a velo si alza nell’aria come pulviscolo. Un profumo zuccheroso mi entra nel naso.
«Non è da tutti continuare a sentirsi dopo aver litigato in quel modo.» Commento, tirandomi indietro poggiata sulle braccia.
«Perché se senti qualcuno vuol dire starci insieme?», butta giù il boccone e un nuovo enigma, «Anche io e te, quanto pare, ci sentiamo. Non vuol dire nulla
Nulla. Ha ragione. Non abbiamo nulla io e lui. «Quindi non verrai a vederla suonare al ballo?» Tentenno. Da un lato ci spero; non potendolo invitare direttamente, avrei almeno l’opportunità di vederlo alla festa e mostrargli quanto sono carina, nonostante tutto.
Chichi ci sta osservando da sotto il castagno vicino ai gradini dell’entrata, crede sia qui per convincerlo a non partecipare alla gara come le ho detto; si sforza di leggere il nostro labiale, mentre Vegeta risponde che potrebbe venire ma non per lei.
Goku invece non ha alcun problema a raggiungerci, a interromperci.
«Allora l’hai comprato tu l’ultimo alla crema, Eh Eh!»
Vegeta strappa con soddisfazione un enorme morso al secondo cornetto in mano, «Che accidenti volete tutti quanti?»
Il sorriso di Goku continua a brillare luminoso quando propone «Dal momento che hai tutta l’intenzione di partecipare alla gara, mi chiedevo se non ti andasse di allenarci insieme!» La nonchalance della proposta soffoca l’altro di sorpresa, che deve battersi un pugno sul petto per ingoiarla tutta.
«Stai scherzando, vero? Cosa ti fa credere che voglia perdere tempo con te, Karoth?»
«Sarà divertente!» Goku è l’unico a dare credito a chiunque, «Se sei così bravo, potresti insegnarmi qualcosa.» L’occhiolino che mi strizza sorprende anche me.
L’altro lo scannerizza con occhi sospettosi. Starà ripensando alla serata al cinema, quando per poco non si sono presi a pugni; non conoscendo bene Goku, si starà chiedendo il perché di quell’invito.
Accartoccia la busta di carta bianca ormai vuota, mentre svetta in piedi la lancia in un cestino vicino senza fare centro, «Non accetto la pietà di nessuno.» È pietà il nome che dà ad un’offerta d’amicizia, prima di iniziare ad allontanarsi; non mi va di lasciarlo andare via così, non dopo aver saputo che potrebbe venire al ballo.
Mi avvicino poggiandogli una mano sulla spalla e lo costringo a voltarsi. Ci stanno guardando tutti adesso dall’ombra delle pareti del cortile, noi al centro dove convergono i raggi chiari del sole.
«Hai dello zucchero sulla guancia!» Dico, pulendogli il punto con due dita. Sono io adesso a fare l’occhiolino quando rientro in corridoio lasciandolo attonito e rosso di vergogna.

Until the spirit new sensation takes hold, then you know,
Until the spirit new sensation takes hold, then you know,
Until the spirit new sensation takes hold, then you know,
I've got the spirit... feeling, feeling, feeling…

 

 

Non mi andava proprio di parlare con loro, ma appena arrivati ho dovuto salutarli.
Qualche chiacchiera di circostanza, lei mi rivolge uno sguardo fugace ma così freddo da sembrare metallo. Indossa uno strano completo da cow girl, ma è talmente sicura di sé da non tradire alcun imbarazzo.
«E tu chi sei?», domando al terzo del gruppo, il fratello maggiore mi spiegano, a quanto pare è qui per aiutarli a sistemare gli strumenti. «Come ti chiami?» Non riesce però a rispondermi ché la sorella, beffarda, lo precede: «È ovviamente il cyborg numero sedici.» Tira dietro le orecchie una ciocca bionda, inamovibile da quel loro fare i Cyborg.
«Come no, io sono il numero quindici!» Ribatto, astiosa.
«Fa parte della scena!» Ci scherza su il diciasette, chiatarra in spalla, raggiunge il palco dal quale accorderà qualche nota prima dell’inizio della festa.
È passata un’ora e di Vegeta ancora niente e il mio umore è inversamente proporzionale ad ogni minuto in sua assenza. Ancora non so che anni dopo mi sarei trovata nella stessa, insopportabile attesa; ignara che lo avrei aspettato per anni, non soltanto una manciata di minuti. Avrei dovuto allontanarmi allora, invece, sono rimasta illusa che la sua sola apparizione da dietro un bicchiere di cocktail alla frutta lo avrebbe reso presente per sempre.
Sorrido, senza capire nulla di ciò che Chichi mi sta chiedendo. Noto subito che, sotto il giubbino aperto, Vegeta indossa ancora la divisa di scuola, la camicia bianca è più spiegazzata del solito ma la cravatta è tirata alla perfezione.
Stranamente, non mi chiedo come mai non sia passato per casa a cambiarsi, la mia concentrazione prende un’altra strada quando mi accorgo che ha portato delle persone e lo stesso ragazzo del bar a cui, adesso, sta indicando i Cyborg intenti a suonare l’ennesimo pezzo.
Nonostante sia concentrata su di loro i miei occhi non registrano un altro dettaglio importante, a cui farà caso solo in seguito: nemmeno l’altro è vestito in modo appropriato.
Ma è Vegeta, davanti all’entrata, illuminato a intermittenza da un faro ora rosso ora blu, tutto ciò che mi entra in testa in quel momento. Ha una mano poggiata alla schiena di Cell, un istante, lo spinge ad avvicinarsi ai due musicisti. Resta solo. Luce rossa.
Decido di andare a salutarlo. Luce blu. Stringo il bicchiere. Luce rossa. Posso avvicinarmi, nonostante C18? Aveva detto non sarebbe venuto per lei. Luce blu. Finalmente mi nota, tra tutti, è me che guarda adesso.
«Bevi qualcosa?» Luci rosse e blu su di noi, sfumano in un viola pallido. La mia mano sul bicchiere ha intorno un alone di sudore, la sua mano sulla mia. Lascio che prenda il mio cocktail, beve direttamente dal bicchiere senza curarsi della cannuccia. Restituisce.

Love, love will tear us apart,

Again.

«Allora ci vediamo.» Dice. Luce viola, blu, rossa. Lo seguo fuori dalla palestra.

Love will tear us apart,

Again…

 

«Aspetta un attimo! Dove stai andando?» il corridoio freddo mi alita sulle braccia nude. Abbandono il cockatail sul davanzale di una finestra, così distrattamente che scivola via a terra in frantumi. Il rumore mi sorprende e sorprende anche Vegeta facendolo arrestare.
«Guarda cosa hai combinato?» Sbraito, dando a lui la colpa di quella chiazza arancione tra pezzi di vetro.
«Sei stata tu a farlo cadere come un’idiota!»
«Solo perché hai deciso di essere uno stronzo! Cosa sei venuto a fare se già va via, cosa significa?»
«Che il ballo fa schifo. Anche la musica, ma fortuna che tra poco quella cambierà.» Commenta, in uno sbuffo di ironia che non colgo del tutto.
«Chi erano le persone con cui sei arrivato?»
«Non ti riguarda.» Gira i tacchi, intento a lasciarmi sola di nuovo. Faccio per rincorrerlo, ma scivolo sul pavimento bagnato di cocktail fruttato. Ho sbattuto il sedere in un doloroso tonfo, trattengo le lacrime mentre urlo contro Vegeta che finalmente torna indietro.
«Sei davvero un’imbecille.» Sentenzia, non aiuta a mettermi in piedi, anzi, incrocia le braccia al petto mentre mi guarda riprendere l’equilibro.
«Volevo solo parlarti.» Piagnucolo, ormai conscia di dover abbandonare ogni difesa. Le lacrime restano impigliate tra le ciglia, non scorrono.
«Ancora di mio padre? Tsk, persino i giornali hanno perso interesse alla vicenda.»
«No.»
«Di cosa allora?» Mi rivolge un ghigno.
Ho il sedere dolorante, sento una chiazza di bagnato di arancia sulle natiche. La mia sopportazione sta finendo.
«Di noi.»
Impiega una frazione di istanti per cogliere le mie parole come una battuta che non capisce. «Di noi?!» Ripete e scoppia a ridere, afferratone il senso.
«Vorresti dirmi che ti piaccio, per questo mi rompi sempre le scatole?»
«Non dire… non dire idiozie, uno stronzo come te, come credi sia possibile?!» La sua reazione ha raffreddato ogni mio proposito. Mi sento una stupida. Persino io stento a crederci. Il cuore, però, batte forte.
«Allora,» fa un passo verso di me, «Che intendevi?»
Svetto gli occhi su di lui; non c’è nessuna logica al mio diniego; è troppo tardi. Il mio cervello fa le bizze.
Alcuni ragazzi aprono la porta della palestra, e ci sorpassano. Né io né Vegeta facciamo caso al loro vociare confuso. Anzi, proprio lui accorcia ulteriormente le distanze; appoggia le mani su di me e scivola quel tanto fino all’avambraccio. «Non t’interesso quindi.»
Yamcha, durante la nostra storia mi ha toccato in punti ben più erogeni, ma mai mi sono sentita avvampare come in questo momento. «E io, perché non ti piaccio?» Rigiro la domanda, i suoi occhi neri, fissi sui miei, mi hanno spogliato di ogni difesa mentre lui si veste di un sorriso che non gli ho mai visto.
«Il mio è un mondo per grandi, Brief.» Lascia un braccio e risale ad accarezzarmi una guancia con il dorso di due dita, fermandosi sul mento. «Non c’è spazio per l’ennesimo capriccio di una mocciosa dal sedere bagnato di succo.» Mi bacia in fronte. Chiudo gli occhi alle sue labbra umide premute sulla mia pelle. Credo di aver vissuto solo per questo momento; perdo la cognizione di ogni nostro problema e intoppo. Vorrei spiegargli la mia serietà, vorrei urlargli che non si tratta del capriccio di una mocciosa; ma prima, vorrei baciarlo.
Tuttavia, il suo sorriso beffardo congela ogni mio proposito davanti ad uno scherzo crudele. Mi lascia insieme alla sensazione del suo bacio addosso.
Arriva Chichi, mentre degli studenti sguizzano via dietro di lei, sparpagliandosi in un fuggi fuggi generale.
«Bulma, finalmente ti ho trovato! Sta accadendo il finimondo!»

 
«Cosa?» Strillo.
«Una rissa. Hanno preso a pugni C17, mentre C18 è riuscita a scappare con l’altro nel trambusto.» Ci vomita addosso gli inquietanti risvolti della serata.
Sto per dire qualcosa, «Come sarebbe C18 è scappata?» Mi precede però Vegeta, «Quella stupida!» Sbraita, prendendo a correre verso l’uscita.
«Vegeta! Dove accidenti vai?» Urlo, con tutto il fiato che ho in gola. Per l’ennesima volta mi ritrovo a corrergli dietro, ringraziando il cielo per la mia avversione alle scarpe col tacco.
Ho il fiatone quando lo raggiungo alla macchina fuori al parcheggio. Riesco a bloccarlo prima che metta in moto.
«Che sta succedendo?» Allargo braccia e gambe a stella davanti alla macchina già accesa, quasi come fosse sufficiente a impedirgli di prendere il largo.
«Che rompi scatole, togliti di mezzo!», esorta, dal finestrino, non esattamente con il più caloroso dei toni.
«No!» prima che riesca a fare retro marcia, mi attacco alla maniglia, «Fammi entrare o giuro che resto attaccata fino a che non dovrai portarmi in ospedale.»
«Ti ci mando subito, se non la smetti.»
Impunto una gamba contro la portiera e tengo stretta la maniglia con più determinazione. Se vuole partire, dovrà per forza farmi male. A meno che non mi faccia entrare.
Lo vedo dare un pugno al volante, il clacson tuona nel parcheggio che via via si riempie di ragazzi.
«Sali, Sali!» Grida, rosso dal nervoso.
Non faccio in tempo a sistemarmi la cintura che già schizza fuori in strada, «Ehi!» Lo riprendo, ma non mi ascolta.
«Non può essere lontana, è sicuramente nei paraggi!» Arguisce, più per fare il punto a se stesso che per rendermi partecipe di un piano che non conosco.
Iniziamo a girare a vuoto nei dintorni della scuola alla ricerca di C18 e di suoi fratello, ben presto le sirene della polizia faranno da eco alla nostra ricerca, in lontananza.
«Adesso basta, Vegeta! Inizio a spaventarmi, portami subito a casa!» protesto. Ho sulle mutande un’appiccicosissima bevanda all’arancia; ho freddo; sono confusa ed esausta.
«Non ti ho chiesto io di venire!» Replica.
«Sono stufa! Portami a casa, ho detto!» Sbraito ancora, tirando una botta al cruscotto in preda ad una crisi isterica. Finisco per accendere lo stereo. Mi innervosisco ancora di più. Con me stessa per essermi invischiata in questa situazione, con lui perché non ho la più pallida idea di cosa stia accadendo.
Do prova della mia scarsa pazienza cacciando via la cassetta dallo stereo; la sfilo via, sfilacciandone il nastro marrone in preda a quella che è molto più ad una crisi di panico per essere stata sopraffatta dagli eventi proprio quando avevo finalmente deciso di dichiararmi. Apro il finestrino e la butto via.
A questo punto, credo di averlo convinto di avere a che fare con una pazza che ha oltrepassato l’orlo di una crisi di nervi. Vengo accontentata.
«Dammi la giacca!» Comando, una volta fermi davanti al vialetto di casa. «Non ho intenzione di farmi il vialetto al freddo, a spalle scoperte.»
Riluttante, si sfila la giacca; se io non ho voglia di chiedergli cosa c’entri in tutta questa storia, lui non ne ha di mettersi a discutere con me.
Il calore che ricevo dal suo indumento smesso, tuttavia, mi calma un po’. Apro la portiera, non scendo ancora. «Mi accompagni al portone?» Gli concedo, col tono di una bestia ammansita.
In cambio ricevo la stessa occhiata incredula che avrebbe avuto qualcuno davanti ad un animale parlante. Scuote la testa, e alla fine mi dà retta come alla pazza che sono.
«Non hai alcun diritto di guardarmi così, Vegeta!» Li rimbecco, stringendomi la sua giacca (e il suo odore) addosso. «Ti ricordo che sei stato tu il primo a dare di matto.»
«Ti ricordo, che sei stata tu ad insistere.»
Avremmo continuato a discuterne, arrivando fino al punto in cui avrei avuto la bravura di chiedergli per quale assurdo motivo era corso via alla ricerca di C18, quella che comunque, a quanto ne sapevo restava qualcosa di simile alla sua ragazza. Mi avrebbe fatto ammettere di essere gelosa di lei, se all’improvviso Crilin non fosse sbucato fuori da un cespuglio insieme all’unica che, quella serata, era riuscita a suscitare tanto l’interesse di Vegeta.
Sussulto nel vederli spuntare dal buoio, «Crilin! Volemi farmi prendere un colpo? Che ci fate qui?» Lo rimprovero, prima di notare la ragazza. Si tengono per mano, fino a che lei non molla la presa imbarazzata. Ha delle foglie tra i capelli scomposti.
«Ecco, quei tizi si sono avvicinati a C17 e hanno iniziato a prenderlo a pugni, e così C16 si è messo in mezzo lei è riuscita scappare. Fortuna che ero nei paraggi e l’ho aiutata a fuggire in macchina. Ci siamo nascosti qui per non dare troppo nell’occhio in mezzo alla strada, nella speranza potessi aiutarla.» Racconta, occhi bassi sugli indici che picchietta tra di loro.
«Stai scherzando, vero? Perché non siete andati a casa tua?»
«Eh eh, sai com’è quel genio del mio vecchio, non volevo che la infastidisse, eh eh»
Per una volta non offro la mia famosa ospitalità, non so perché quei tizi li hanno attaccati, ma se anche fosse non mi va di ospitare proprio lei.
«Sei proprio un bastardo, Vegeta!» prende parola la ragazza dello scandalo, come se io e Crilin non fossimo mai stati lì, si fa spazio tra di noi con una bracciata. Fronteggia il nostro compagno con aria assassina.
«C18, non turbarti, fa male alla salute.» Non resiste a sfotterla Vegeta, fomentando la sua ira.
«Perché?»
«Cell iniziava ad annoiarmi e, alla fine, gliel’ho detto.»
Alla luce dei lampioni del giardino gli occhi azzurri di C18 tentennano di pianto. Tuttavia, il resto della sua figura è impassibile come una statua di cera. «Sei stato tu Vegeta?» Domando, sorpresa. Sapevo che i tre avevano avuto dei problemi, «Ma non ti sembra di aver esagerato?» Lo accusa anche Crilin.
«Non intrometterti, non hai idea di cosa hai combinato!» Tuona la vittima dei nostri attacchi, poi rivolto alla ragazza: «Ora hai capito con chi hai a che fare.» Le dice, in un discorso che solo loro comprendono a fondo.
«Non eri così prima!» È piena di risentimento, confusa da quel volta faccia che ha portato i suoi fratelli alla rissa. «Credevo stessi dalla nostra parte, invece ci hanno beccato in flagrante grazie a te!»
«L’unica parte da cui sto è la mia.» Il ghigno si spegne, e afferra la giovane per un braccio.
Crilin cerca di difenderla, ma guadagna solo di finire violentemente a terra con una spinta. «Fammi il piacere, levati di mezzo!» Comanda Vegeta, talmente minaccioso da terrorizzarci entrambi.
«Lasciami stare, bastardo!» Urla C18. E una luce dal piano di sopra di casa mia si accende, quella della camera dei miei.
«Ragazzi, tutto bene lì sotto?» Mio padre, dal balcone, berretto da notte in testa, esce a chiedere. Una goccia di logica, in questa rocambolesca serata, che riempie tutti di sorpresa. Ma non Vegeta, che tiene salda la presa sulla ragazza come ne andasse della sua stessa vita.
«Andiamo.» La strattona con sé fino alla macchina. Noi, attoniti, restiamo impalati a vederli andare via. 
«E adesso cosa facciamo, Bulma?»

 When routine bites hard,
And ambitions are low,
And resentment rides high,
But emotions won't grow,
And we're changing our ways, taking different roads.

 

Continua…

 

 

 Ringrazio coloro che hanno avuto la voglia di arrivare fin qui, spero di non avervi deluso. Ogni recensione sarà bene accetta, bella o brutta che sia! Spero non ci siamo errori, purtroppo finisco sempre per lasciarne qualcuno, nonostante legga e rilegga il capitolo. Alla prossima! :)

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Introducing Cell ***


Int

Introducing Cell

 

Quella sera stessa io e Chichi torniamo a scuola, con il permesso del “Magnifico Professor Preside” Satan, per finire di sistemare la palestra in vista del ballo di San Velentino. Avrei voluto cercare di contattare Vegeta ma, con quello che sta passando, sarebbe fuori luogo interrogarlo sulla sua relazione con C18. Oltretutto, sono sicura non mi avrebbe nemmeno risposto. Tuttavia, muoio di curiosità nonostante mi renda conto quanto questi miei pensieri siano inopportuni ed egoistici.
Stare a scuola nel pomeriggio tardi, quando le classi sono vuote, fa sempre uno strano effetto; i ragionamenti e la concentrazione della mattina sono come esplosi in una scia di pace e silenzio. Fa freddo: il riscaldamento non è stato acceso per l’occorrenza e dovremmo restare in cappotto per tutto il tempo.
Dalle finestre del corridoio il buio della notte già avanza, mentre camminiamo alla pallida luce al neon che discende dal soffitto. Lunch e Laura si sono offerte di aiutarci, vediamo già le loro sagome nella palestra i cui fari si stanno accendendo proprio adesso. Gli altri rappresentanti stanno già prendendo posto in cerchio, mi pare di dover partecipare alla riunione di una setta. Dobbiamo scegliere la band della serata, ma non avremmo tempo per la audizioni.
«Allora, mentre voi parlate, noi due sistemiamo i festoni!», annuncia Laura, in mano ha già una ghirlanda.
«Mi pare ovvio, siamo qui per questo!», la riprende Lunch, la gemella, togliendole la ghirlanda dalle mani. «A proposito, complimenti per la messa in scena di questa mattinata!», mi fa, «Bella idea, ma al mio uomo avrei direttamente spaccato la faccia se avesse provato anche solo a guardare un’altra!», alza un pugno in aria, elogiando l’efficacia dei modi diretti a cui è abituata. «È così, con gli uomini ci vogliono le maniere forti!» Conclude come chi la sa lunga, puntando i gomiti ai fianchi.
«Sono sicura che Bulma avrà avuto le sue ragioni, Lunch!», spiega dolcemente la sorella, sempre con quella perenne mollezza. Nessuno ha capito che non era stato per Yamcha, tanto meglio! Nessuno, del resto, potrebbe immaginare la verità. Alzo lo sguardo agli alti finestroni, oltre i quali c’è il campo da football.
«Già, prima fra tutte tornare sulla cresta dell’onda!», s’impiccia Ginger, i capelli rossi arricciati sul volto paffuto. È sempre stata astiosa nei miei riguardi, soprattutto per aver preso meno voti di me alle elezioni per la rappresentanza d’istituto. Non potendo in alcun modo competere in bellezza, trova terreno fertile nelle pecche della mia personalità.
«Cosa vorresti dire?» Ribatto, rossa in volto. Eppure, è questa l’idea che rendo di me. Stare sempre al centro dell’attenzione. Lo penserà anche Vegeta? Spiegherebbe il suo allontanamento dopo la morte del padre.
«A quanto pare il ritrovarsi nel bel mezzo di un’indagine per omicidio non era abbastanza per la reginetta Brief, lei doveva addirittura far scalpore con quella buffonata della mascotte!»
«Sei solo gelosa perché non fai parte delle cheerleader!» Controbatte Chichi che la sopporta ancora meno di quanto non la sopporti io. Mi chiedo chi l’abbia votata alla co-rappresentanza.
«Voi e la vostra cricca di smidollati non riuscite proprio ad accettare che non si parli sempre di voi! I veri signori passano inosservati!»
«E saresti tu quella che passa inosservata?» La offendo astiosa, riferendomi alla sua stazza.
Riprende fiato, ormai rubiconda, la collana di perle che indossa le nasconde una vena ulcerosa pronta a scoppiare, «Non dobbiamo mica avere tutti il fascino di un bastone!», conclude con trionfo, incrociando le braccia al petto dopo aver dato una ravvivata ai capelli ricci con la sua piccola mano paffuta.
«Infatti, alcune sono dei palloni gonfiati!»
«Sempre meglio che essere scambiati per un manico di scopa!»
«Adesso basta, abbiamo del lavoro da sbrigare e siamo indietro con i preparativi», ci interrompe Chichi, sempre ligia al dovere, adesso patteggiando per la causa piuttosto che per l’una o l’altra.
«E chissà perché poi ci siamo ritrovati all’ultimo momento.» Ginger non molla, lanciando un ultimo dardo di sarcasmo.
«Non è colpa mia s’è stato ucciso il padre di un nostro compagno!» Detesto distruggere l’atmosfera festaiola con ricordi incresciosi, ma tanto ormai l’atmosfera è stata già bella che rotta.
«Appunto, Brief, il padre di un altro. Non il tuo. E mi pare anche quell’Arensay la stia prendendo meglio di te.» Continua decisa ad affermare ora più che mai il suo punto. È convinta che me la sia cercata, che mi intrometta sempre in affari che non riguardano per vivere in una soap opera.
«Dì un po’, la vuoi smettere o vuoi che ti spacchi la faccia?» Torna in scena Lunch battagliera più che mai, più per avere una scusa per fare a cazzotti che per difendere i miei principi.
«Coraggio, ragazze, mi pare di capire che tutte noi abbiamo diversi punti di vista. Accettiamolo e torniamo al nostro lavoro.» Esorta Laura, con la sua proverbiale calma serafica. Certe volte mi ricorda mia madre!
Alla fine i toni si chetano, eppure il dado, ormai tratto, ha già scombinato la mia serenità mentale. Ginger non ha torto. Una ragazzina egoista e appariscente è esattamente ciò che sono. Temo anche Vegeta continui a pensarla così. Un dubbio figlio dei tarli di un’insicurezza che scopro di avere solo al suo fianco.
Dalla mattina passata a casa mia non mi ha rivolto la parola, eccetto che al cinema! Ma in quella occasione sono sicura che, così come Lunch un attimo fa, si sia avvicinato al mio gruppo unicamente per trovare una valvola di sfogo, come confermato dal suo comportamento all’uscita del cinema stesso.
Non pensa a me.
La superiorità con cui affronta la situazione mi distrugge. Io gli sono inutile! Non riuscirò a rasserenare i suoi pensieri solo perché nutro dell’interesse per lui. Ogni giorno questo mio sogno romantico s’infrange.
Mi rabbuio, le braccia al petto, gli occhi bassi al pavimento. Bulma Brief, una ragazza frivola e bella. Ora, dopo averti conosciuto, so di poter essere anche altro e non accetto che proprio tu, Vegeta, non lo riconosca.
«Bene ragazze, io me ne vado!», annuncia poi Lunch, dopo raffazzonata sbrigativa a un paio di festoni colorati.
«Come sarebbe a dire che te ne vai?», le domando, felice di poter evadere dalla mia angoscia.
«Ho un appuntamento con il mio uomo,» chiarisce guardando l’orologio.
«Ma non avevi detto di dover uscire con Tien Shinhan alle sei e mezza?» Le domanda la gemella con aria confusa.
«Appunto, non vorrei che nel frattempo si metta a chiacchierare con un’altra! Sono già le cinque e mezza.» Ribatte Lunch, le sopracciglia aggrottate, parentesi di una gelosia esasperata e possessiva.
«Fantastico, si può sapere che siamo venute a fare oggi?» Ritorna all’attacco Ginger.
«Hai forse qualche problema?» Lunch, agguerrita, torna a menare un pugno in aria, ma infischiandosene della risposta ha già preso la strada per l’uscita.
«È proprio innamorata, che bello!» Commenta Laura, mani giunte, vendendola andar via.
«Ok, adesso basta!» Chichi prende in mano la situazione, «Non ho rinunciato al ripasso di letteratura per non concludere nulla. Mettiamoci subito a lavoro! Tu, Laura, continua ad attaccare i festoni e i palloncini, mentre noi scegliamo la band per la serata.» Decreta finalmente l’inizio della seduta cacciando dalla borsa l’elenco delle band cittadine più note. Molti nomi sono stati cancellati a causa del poco preavviso.
«Se non troviamo altro, dovremmo davvero chiamare i Cyborg, gli unici ad essersi offerti! Sbaglio oppure oggi ti ha anche chiamato C17?», dice Chichi guardandomi.
«Che non ti venga in mente, Chichi, sai bene quanto detesti sua sorella.» Mi oppongo, raccontando in breve la chiamata ricevuta nel pomeriggio. Ho anche dovuto chiarire che prima avrei dovuto parlarne con gli altri rappresentanti.
«E allora siccome detesti un componente non vanno bene, vero? Quindi, verrai tu a suonare il tamburello?» Non perde, Ginger, occasione per attaccarmi.
«Farei comunque bella figura!», e le caccio la linguaccia.                                               
«A dire il vero nemmeno a me stanno particolarmente simpatici, se ripenso al trambusto della presentazione dei progetti di scienze… però… non trovo alternative e ricordiamoci che sono molto bravi!» Arguisce Chichi, matita alla mano, scorrendo i nomi degli altri candidati.
«Quale trambusto?» domanda Ginger, sbattendo gli occhietti scuri nelle belle ciglia lunghe.
«Non ti riguarda affatto!» Affermo.
«Invece sì che mi riguarda! Se voi scapestrati avete intenzioni di rovinarmi la festa, ve la farò pagare molto cara.»
«Rovinarti la festa? Puoi anche non venirci visto che non hai nessuno da portare»
«Per tua informazione, andrò con Gordon.» Schioppetta trionfante, «Tu piuttosto, con ci vai?»
«Beh ovvio io… io…» Alzo un sopracciglio, quello di destra per la precisazione, e per la precisazione continua ad alzarsi mentre mi rendo conto di non aver alcun “Valentino” dopo la fine della mia storia con Yamcha.
«Non mi dire, la reginetta non ha nessuno con cui andare. Vuoi far piovere, forse?»
«Pioverà il giorno in cui riuscirai a fare una battuta divertente, Ginger.» Assumo una posa bisbetica, il sopracciglio adesso arcuato di determinazione, anziché, insicurezza. «Figurati se, proprio io, non trovo qualcuno. Ho la fila davanti alla porta!» Preciso, non tanto sicura di quest’ultima affermazione. Conscia che, oltre Yamcha, nessuno mi ha mai chiesto un secondo appuntamento, nonostante sia considerata la più carina della scuola.
Consapevole anche di non poterlo chiedere a Vegeta! Non verrebbe mai, dubito se la sentirebbe, ma d’altro canto non ricordo di averlo visto partecipare ad altri eventi scolastici.
«E comunque non ho bisogno di qualcuno al mio fianco, io posso scegliere anche di stare da sola!» Ribatto, mettendola, finalmente a tacere.
Il resto della serata scorre via, tra battibecchi e diplomazia. Mettiamo i Cyborg ai voti; il mio è un no; per tutti gli altri, un sì. Una scelta ovvia dato il loro indiscutibile talento, nonché imposta dalla necessità: sono gli unici ad essersi offerti volontari (anche se dovrei dire, auto-proclamatosi) con così scarso preavviso. Alla fine, ho dovuto cedere.
Quando usciamo il cielo è ormai scuro, la notte invernale punge le nostre gote lisce di giovinezza. Notte senza luna né stelle. Sopra di noi solo l’alone plumbeo dello smog cittadino e un’umidità presagio di tempesta.
«Allora ci vediamo domani, Bulma!», mi saluta Chichi, alle sue spalle Laura attraversa il portone, agitando una mano in segno di saluto prima di aprire un enorme ombrello giallo. «Sei sicura di non voler un passaggio?» Mi chiede Chichi, mentre scendiamo cortile. Il riflesso delle nostre sagome sulle vetrata affoga nello scendere le scale.
«Non preoccuparti per me, con lo scooter sfreccio via!», la rassicuro.
«Oh, guarda un po’, cos’è questo?» Domanda, quando si accorge di aver acciaccato qualcosa. Solleva un mazzo di chiavi a cui è appesa una palla da biliardo con il numero 7.
«Deve essermi caduta prima quando sono arrivata!», mento, per poterlo avere. Credo di riconoscere in quell’oggetto quel bagliore metallico gettato via oggi all’uscita di scuola. Rigiro la pallina tra le dita infreddolite, sicuro di averla già vista da qualche parte.
Ripongo chiave nella tasca del cappotto per restituirla a Vegeta il giorno dopo.
«Allora, è deciso Bulma, tu stasera chiami i Cyborg mentre io passo a prenotare i cartelloni con il loro nome scritto sopra. La saluto mentre inizio ad allacciare il casco su cui batte una prima goccia di pioggia. Spero di arrivare a casa in tempo. Scavallo il motorino.
«Vai ancora in giro con quel catorcio?»
«Vegeta!? Che ci fai qui a quest’ora?» Domando.
«Non ti riguarda!»
Stento a credere che la malia dei miei pensieri sia qui di fronte a me, grazie a un regalo del destino. Il peso che ho in tasca, però, mi racconta una ragione più ovvia: è tornato per la chiave.
«Sei qui per riprendere quell’oggetto che C18 ti ha buttato via, non è così?»
«Allora l’hai notato, io che credevo fossi tutta presa dalle tue frivolezze!» Bercia in un ghigno.
Frivolezze? «Non capisco a cosa tu ti riferisca!» So benissimo a cosa alluda, eppure voglio averne conferma mentre il cuore mi ha saltato un colpo.
«Ovviamente alla cretinata da telefilm di questa mattina.»
«Non è stata una cretinata, la coreografia è piaciuta a tutti!» Tranne a lui. Il cuore ora batte forte, puntellandomi nel petto le immagini, la sicurezza delusa, e la certezza di non aver raggiunto la sua approvazione.
«Complimenti, allora. Il verde ti dona.» Stiletta, con l’insolenza con cui si accontenta una sciocca.
«Puoi ben dirlo! Hanno detto tutti che sono stata la migliore.» Controbatto scendendo, effettivamente, al livello di una sciocca. Non ha capito il mio gesto. Non gli darò, allora, la soddisfazione di avere avuto importanza.
Vegeta mi guarda, con le mani nascoste in un giubbino troppo leggero per questo mese di Febbraio, negli occhi scuri il bagliore dei lampioni, e dice: «Tu parli sempre troppo, Brief.» Così si issa sul muretto, con l’intento di valicare il cancello che poco prima mi ero chiusa, irrimediabilmente, alle spalle.
«Non vorrai mica entrare di soppiatto.» Lo ammonisco, «Ti manca solo una denuncia per scasso!»
«L’ho già detto di lasciarmi in pace?» Chiede, le mani strette sulle aste della balaustra dalla pittura grigia antiruggine, su cui la pioggia, leggera e rada, ha iniziato a stampare i propri baci.
«E non ti pare sia da idioti scavalcare dal cancello principale? Qualcuno potrebbe vederti!» Puntualizzo con una nota saccente.
Lui si ferma, quel tanto da farmi capire di non averci pensato affatto, «Beh, allora… avvertimi se vedi qualcuno.» Risponde, roteando un braccio, con aria da anfitrione, per la strada che solo ora nota deserta. «Comunque questo è il punto più basso.» Aggiunge, per smontare definitamente ogni idiozia nel suo piano. La sua schiena è già bagnata, anche dalle luci della strada. Davanti ai suoi occhi, si distanzia invece il nero di un cortile buio.
«Comunque, è un’idiozia, venire a quest’ora.» Rimbecco, per restituirgli l’insulto di prima riguardo alla mia coreografia.
«Ho una torcia.»
«Potevi tornare quando era ancora giorno!»
La voglia di controbattere blocca ancora i suoi intenti, «Secondo te mi mettevo a raccattare robaccia per terra davanti a tutti?»
«Sono le sette e mezza, potevi arrivare un po’ prima!» Sento di poter vincere questo scontro verbale.
«Ho dovuto organizzare il funerale di mio padre.» Butta giù l’asso, e dal suo ghigno capisco l’abbia detto solo per farmi sentire in colpa e per guastarmi l’umore.
«Ah sì? E cosa hai deciso a riguardo?» Non riuscirà a zittirmi. Lui stesso ha voluto introdurre un argomento di cui, sotto sotto, detesta parlare. Riceverà la stessa moneta, così impara a fingersi così cinico.
Un tuono romba nel cielo, a ricordarci la tempesta imminente. Gli antifurti delle macchine destabilizzano il silenzio della strada, poco dopo arriva la pioggia a scrosciare sulle nostre teste.
«Dannazione!» Esclama, guardandosi intorno, capendo che le circostanze sono ormai a suo sfavore. Era stata un’idea stupida, ora era diventata impossibile.
«Non preoccuparti, Vegeta!» Lo tranquillizzo, sentendo a stento le mie parole coperte dalla pioggia che rimbomba sul mio casco giallo Capsule Corp. Le chiavi che mi pesano in tasca riscaldano una tiepida speranza.
«Là dentro ci sono le mie chiavi di casa!» Sbotta, dopo essere sceso a terra con un balzo. Il braccio perpendicolare al cortile.
Gli vado vicino, «Intendi queste?» Gliele sventolo davanti con trionfo. Lui ovviamente fa per afferrarle, ma io le tiro via. «Te le restituisco, solo se lasci che ti offra un tè caldo!»
Il mio invito lo confonde un istante e, dopo un istante, incurante della pioggia, ordina: «Dammele!»
Per tutta risposta infilo la chiave in tasca, giro sui tacchi e inforco il motorino. Scavallo e accendo il motore. «Allora?» Gli strizzo un occhio.
«Sei davvero fastidiosa e petulante!» Decreta, accettando lo scambio. «Ma spostati, guido io!» Fa prepotente, spingendomi indietro con una mano poggiata sul mio petto. Arrossisce rendendosene conto.
«Sì, è così ch’è fatto il seno di una vera donna, Vegeta!» Bercio, civettuola, cedendogli il posto.
«Sei solo una mocciosa!»
E poi sfrecciamo via. «Vegeta, rallenta!» Lo riprendo, ma sono contenta, di avere la scusa di cingerlo in vita.

 

Ha scelto lo Scooter, un bar che non conosco. La poca gente che c’è mi è del tutto estranea. Siamo quindi solo lui ed io, e non mi sento affatto a disagio.
«Dove hai dormito fino ad oggi?» Chiedo, centellinando il mio tè.
«Da mio zio.» E chiarisce quel ricordo molto vago che ho di un uomo pelato, molto alto e col pizzetto.
«Non avevi una chiave di scorta?» Continuo curiosa, beccandomi una fucilata dai suoi occhi scuri che nemmeno gli occhiali riescono a schermare.
«Ti piace proprio far domande inutili.»
«Mi preoccupo solo per te, Vegeta.» Stiletto, con un’aria svagata che sembra quasi di presa in giro, mentre giro il mio tè alla vaniglia e mandarino. Solo io so di esser seria.
«Grazie tante. Ma ti preferisco quando resti zitta!» Sogghigna, versando del latte nel suo tè.
Io invece gli sorrido. «Con tutti i gusti che ci stanno, hai scelto proprio il meno interessante!» Lo canzono.
«Un vero inglese il tè lo preferisce così!», Mi spiega con fierezza, battendo un leggero pugno sul tavolino.
Vorrei continuare a riempire lo spazio tra noi di parole inutili e futili alterchi. E mi cullo nel raccontarmi che, tra noi, sono le parole non dette a speziare quello che vorrei fosse il nostro rapporto. Appunto, vorrei.
«Sai, i Cyborg verranno a suonare al ballo.» Domando, messa a disagio dalle mie stesse speranze.
«Lo sapevo già!» Mi spiazza, bevendo il proprio tè.
«Come sarebbe lo sapevi già? L’abbiamo deciso solo questa sera!»
«C18 l’aveva già dato per certo.»
Ripeto quella domanda nella mia mente. C18 l’aveva già dato per certo. Ma non è l’insolenza della ragazza a infastidirmi, quanto il crollo del mio castello di carte; C18 l’aveva dato per certo. E faccio uno sforzo enorme per mantenere un’espressione indifferente al fatto che, dopotutto, quei due si sentano ancora.
Credevo avessero litigato. Avevo quasi sperato, in fondo, avesse finalmente capito che io sono la migliore! Impasto in bocca una frase che, per la prima volta, non trovo; ma un ragazzo, più grande di noi, si avvicina al nostro tavolo. È molto alto e magro, indossa una felpa verde insetto in contrasto con il suo volto pallido.
«Vegeta, mi rincresce disturbare il tuo tête-à-tête, ma vorrei ricordarti del nostro appuntamento.» La sua voce è pastosa e autoritaria.
Non riesco a decifrare l’espressione di Vegeta, un misto di sfida e disgusto, «Figurati, non aspettavo altro, Cell.» Dice e, nell’eco di quella frase, ruota lo sguardo su di me, «Ridammi la chiave, Brief, il tuo giochetto mi ha stancato.»
A quell’ordine secco restituisco il pezzo di metallo che, per una mezzora, era stato il nostro unico legame.
«Ci vediamo domani a scuola?» Vorrebbe essere un’affermazione, ma suona come un punto di domanda. Parole quasi stonate di fronte all’espressione adulta che Vegeta mi rivolge.

 

 

 

 

Continua…

Come sempre, spero questo capitolo sia di vostro gradimento. Un grazie a tutti coloro che seguono questa storia con interesse. Alla prossima! :)

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Voglio il mondo ***


Voglio il mondo

Voglio il mondo

 

 What I'm searching for
To tell it straight, I'm trying to build a wall
Walking by myself
Down avenues that reek of time to kill

(Santogold, L.E.S. Artistes)

 

«E adesso che cosa facciamo, Bulma?»
«Inseguili pure se vuoi; io me ne vado a dormire.» Sbotto, terribilmente infastidita. «Non avresti dovuto portarla qui. Hai rovinato tutto.»


«Ecco, sì fare il sindaco comporterà notevoli responsabilità, non dico di no, tuttavia mi impegnerò al massimo per fare di questa città una città migliore!»
«Ehm… ehm…» Tossicchia il commissario della polizia, per riportare l’Immaginifico Magnifico Candidato Sindaco Preside Satan sulla traccia della discussione principale.
L’intero ufficio è tappezzato da immaginette e da bandierine con il faccione sorridente del candidato, che questa mattina ha convocato me e Chichi in qualità di rappresentanti e responsabili dei trascorsi di ieri notte, che ovviamente non si sono conclusi davanti al mio portone di casa.
«Ah già, volevo dire…comprenderete la gravità della situazione. Una scandalo rovinerebbe l’immagine dell’azienda,» Si sofferma un istante su quell’azienda, trovandola una metafora azzeccatissima per “amministrazione scolastica”. «Dobbiamo tutti collaborare affinché la nostra scuola risplenda nel grande mare delle istituzioni cittadine. Che sarà stata la rissa di ieri, ragazzate…» Minimizza a palmi rivolti all’insù e strizzando un occhio al commissario della polizia; gli infila un pacchetto di immaginette nel taschino della giacca. Pot pot.
«Si sa… la festa non si fissa se non c’è una rissa! Wah ah ah» Nessuno ride alla battuta. Si ricompone. L’idea possa essersi trattato di qualcosa di più di una semplice rissa non deve scomporre le sue ambizioni. Si solleva sui tacchi, mani giunte dietro la schiena. Si fionda su di me nascondendo la bocca con una mano, «Ho già parlato io con il commissario, dica pure a suo padre di non preoccuparsi» Pare ovvio voglia convinca mio padre e il resto della comunità scientifica a votare per lui. Farcisce anche la mia tasca del suo faccione; le tira via dalle sue, infinte, come fosse un mago. Rimpinzato del suo stesso narcisismo, ne ha avrà addosso centinai da fornire all’occorrenza.
«In fin dei conti,» Riprende, «Nessuno si è fatto male sul serio, capita ci sia qualche divergenza, uno spinello di troppo… dico bene?» Abbassa lo sguardo su di Chichi, «Suvvia, cos’è quel muso lungo? Wha wha… su col morale!» Le dà una pacca sulla schiena, «Suppongo anche lei sia maggiorenne…Ne prenda qualcuna!» Allunga un braccio sulla scrivania e prende una manciata di cartine, per consegnarle a Chichi a ventaglio, «Ha visto come sono uscito bene?»
Il commissario annuisce in combutta, mi chiedo cosa mai possa avergli promesso. Solo Chichi resta seccatissima, con una manata rifiuta l’offerta e mette il broncio, «Se ha finito, noi avremmo una lezione di matematica a cui attendere!» Era entrata in questa stanza piuttosto preoccupata, ora sicuramente ne sarebbe uscita scocciata, una volta chiarito lo scopo di questo colloquio: un lavaggio di capo con acqua di rose.
La questione è tuttavia piuttosto seria: a quanto pare il fantomatico gruppo di “cyborg” aveva pensato di approfittare del concerto per piazzare qualche robaccia agli altri studenti.
Resta comunque ignoto il loro coinvolgimento con l’altro gruppetto di scapestrati, di cui si sa solo siano stati accompagnati alla festa da un altro studente. Né il preside, né la polizia però sembrano realmente interessati al fondo della vicenda. Se il primo non vuole aggiungere scandali alla vigilia delle elezioni, la seconda sembra accontentarsi di vederci solo una ragazzata, lì solo per salvare la faccia alle famose istituzioni (vedi probabile mazzetta prontamente elargita dal nostro caro preside). Persino le inchieste si erano svolte, la sera precedente, con la più palese delle negligenze (stando a quanto raccontatomi dai miei amici): non avendo trovato i fomentatori della zuffa (scappati al suono della prima sirena nel fuggi, fuggi generale) si erano risolti ad interrogare i presenti su cui, ad alcuni, erano state trovate bustine intatte contenenti quelle che a un occhio poco esperto sarebbero parse comuni caramelle per la gola.
«Ne avete mai viste di simili, nel cortile della scuola?» Chiede il commissario, mostrandoci una bustina; determinato a dare una parvenza di serietà rispetto alla troppa scioltezza del Preside. «Noi del campo le chiamiamo Senzu Bean.» Ci spiega con tono da maestro, «Da ingoiare, sono molto efficaci, pensiamo che i ragazzi coinvolti nella rissa ne abbiamo presa qualcuna. Ed è per questo che hanno iniziato ad azzuffarsi!» Conclude in un trionfo di logica d’occasione, felice di bersi quella ricostruzione.
Non posso giurare che Cell o i Cyborg non ne abbiamo fatto uso, ma a giudicare da quanto accaduto davanti a casa mia (lo sguardo di Vegeta e la paura di C18!), dubito che qualche anfetamina sia stata la sola causa di quella baraonda.
«Mai viste prima, mi spiace.» Risponde, sincera, Chichi.
«Beh… pare ovvio i miei studenti non c’entrino nulla con questa storia, commissario.» Qui il suddetto annuisce di nuovo. «Quei teppisti fanno parte del liceo Lemon, non mi stupirei siano stati mandati allo scopo screditare la mia amministrazione alla vigilia delle elezioni. Rilasci pure questo alla stampa.» Arguisce, mimando un tratto di penna.
«Veramente, pare siano i figli del Dr Gero, un noto scienziato dell’organizzazione Fiocco Rosso.» Spiega il commissario, «Quindi credo di trovarci tutti d’accordo sul punto sia meglio non agitare le acque.» Propone, sornione, ammiccando all’immaginifico preside, che repentino cambia tono. «Ovviamente, voi due, in qualità di rappresentati avreste dovuto sorvegliare meglio gli invitati.» Aggiunge, e la mano diventa adesso una bacchetta. «Sarebbe meglio che non accada di nuovo. In una città grande come questa, comprendete che le forze dell’ordine hanno ben altri problemi di cui occuparsi.» Resta in attesa dell’approvazione del commissario, il quale non pare del tutto soddisfatto.
«Per caso suo padre conosce questo Ghiro?» Mi sussurra, probabilmente in cerca di altri voti. Scuoto la testa spazientita.
«Ad ogni modo, una punizione ci vuole. Non vorrei altri si mettano in testa chissà che!» Annuncia, giudice giusto neanche fosse un Salomone.

 
Faccio la spola da un lato all’altro della corsia. Sono talmente nervosa che, a momenti, potrei andare in iperventilazione. L’unica cosa che mi tranquillizza sono i poliziotti a guardia della stanza di Vegeta. Ma non credo affatto siano sufficienti!
Vogliono svegliarlo al più presto, ma occorrerà almeno una settimana per farlo uscire dal coma farmacologico e in sette giorni possono accadere molte cose… Persino questa notte, qualcuno potrebbe venire qui da un momento all’altro, magari proprio qualcuno del personale medico sotto mentite spoglie. M’insospettisce che i legali di Freezer non si siano ancora fatti sentire. E quell’uomo che ha rubato il laptop di Vegeta dubito abbia buone intenzioni.
Se solo questi idioti me lo lasciassero portare via! Hanno risposto che non sono nessuno per poter avere il permesso. Nessuno, ma io sono Bulma Brief, accidenti a loro e voglio che nessuno entri in quella stanza.
Guardo l’ora dal cellulare che stringo in mano; sono passati ben dieci minuti da quando ho chiamato la mia segretaria e quell’incompetente ancora non richiama. Ricompongo alla svelta il suo numero.
Occupato.
Brutta stupida! Chiamo ancora, «Signorina Brief!»
«Finalmente!»
«Ehm… stavo proprio per richiamarla. L’avvocato l’ho trovato, sarà lì a momenti.»
«Sei sicura sia il migliore
«É il più conosciuto della città! Pare non sia nemmeno tanto esos…» Chiudo la chiamata, e sprofondo in una delle poltroncine rasenti il muro. Devo avere un aspetto orrendo! Sono tutta sudata, fa un caldo bestiale.
Tra poco mi sentiranno tutti quanti, dall’amministrazione dell’ospedale al commissariato di polizia.
Sono passati altri dieci minuti. Quando arriva l’avvocato?
Alcuni agenti controllano un’infermiera giunta a controllare il paziente. Mi lanciano un’occhiata come a dimostrare che stanno facendo un ottimo lavoro.
Ho bisogno di un bicchiere d’acqua, devo calmarmi un po’. C’è un distributore proprio all’inizio del corridoio ed è lì che mi dirigo.
Osservo l’acqua gorgogliare nella giara trasparente mentre mi riempio un bicchiere, non faccio in tempo a portarlo alla bocca che ne rovescio il contenuto, sorpresa da una manata dietro la schiena.
«Ehilà, Bulma, come va?»
«Goku, cosa ci fai qui?» noto la mia gonna zuppa d’acqua, e divento una strega, «Guarda cos’hai combinato!» Sbraito, a denti stretti per evitare di indispettire il personale di corsia che già una volta mi ha intimato al silenzio.
«E dai Bulma, non ti agitare, eh? Ti vengono più rughe!»
«Come sarebbe più rughe? Guarda che ho solo trentaquattro anni, sono ancora giovanissima! E ho già i nervi a fior di pelle, non mi serve che ti ci mette anche tu.» Tracanno un altro bicchiere d’acqua, un profondo respiro; «Piuttosto, cosa ci fai qui? Ti ha mandato Yamcha vero?»
«Veramente è stata la tua segretaria a chiamarmi; ero nei paraggi e così sono arrivato subito!»
«La mia segretaria?» Mi sorprendo.
«Beh…ma non volevi un avvocato?» Si gratta la zazzera, confuso, non capendo l’immensità della mia sorpresa.
«Tu saresti un avvocato? Credevo non lavorassi!»
«In effetti non mi faccio mai pagare, per questo Chichi è così arrabbiata! Hehe…non mi piace difendere la gente per soldi!»
«Ma…ma…» Non riesco a pensare parola che sia una, mentre mi agito nella confusione.
«Allora che c’è da fare?» Domanda lui, sbattendo e strofinandosi le mani tra di loro.
«Ascolta, Goku… l’ultima volta che ho controllato, Chichi ti faceva le ripetizioni di tutto. Come puoi essere diventato un avvocato?»
Mi spiega che lui e Chichi si sono iscritti a legge insieme, ma che poi rimasta incinta Chichi non si è mai abilitata alla professione forense per stare accanto al piccolo Gohan. «Poi sai come si dice, un tozzo di pane, un bicchiere di vino e una laurea in giurisprudenza non si rifiuta a nessuno! Hehe.»
«Goku, smettila di scherzare! Questo non è un gioco!» Inizio a preoccuparmi davvero tornando in me, mentre penso che dovrò licenziare quell’incompetente della mia segretaria. Il più conosciuto della città! Non mi resta difficile da crederlo, visto che probabilmente sarà l’unico avvocato al mondo a non farsi pagare.
«Bulma, tranquilla. So quel che faccio. Certo, da un punto di vista accademico non sono molto ferrato, ma ti assicuro che con la giuria vado sempre molto forte!»
«Con… con la giuria!» Balbetto, convinta sia tutto un brutto scherzo.
«Certo, si fidano sempre di quello che dico, forse perché sono molto carino! Vinco quasi sempre, sai?»
«Quasi
«Beh… Certe volte i miei opponenti sono troppo forti, e mi battono in primo grado. In appello però vinco sempre! Hehe» Tornando serio, poggia le mani sulle mie spalle. «Fidati. So quel che faccio.»
«Sappi che sarà la prima a spaccarti la faccia, se combini un pasticcio!»
Le sue labbra si distendono in un sorriso caloroso. «Coraggio, raccontami tutto. Ti va?»
Riscalda la mia fiducia con la sua espressione speranzosa e mi arrendo, infine, alla sua presenza. Ci mettiamo in disparte e gli racconto tutto, come dei miei timori riguardo l’incolumità di Vegeta.
«Ho fatto preparare una stanza apposita alla mia equipe. Capirai, è la Capsule Corporation, settore ingegneria medica, a creare tutti quegli arnesi a cui l’hanno attaccato.» Lo informo, peccando di superbia. «Sai, ho davvero un brutto presentimento.»
«Dovresti raccontare alla polizia quello che hai visto, in modo da mettere le autorità in allerta. Poi, Vegeta è un sospettato ma questo non lo rende già colpevole. Credo che alla luce delle tue ultime rivelazioni, potrebbero, in via cautelare, accordargli i domiciliari. E chiederemo al giudice di eleggere casa tua.»
«Tutti i miei progetti e ricerche sono lì, è il luogo più sicuro del mondo, spiega anche questo!»
«Ma dimmi, chi è il giudice che si sta occupando delle indagini, lo sai?»
«É stato qui prima, ora è sul luogo del delitto… si chiama… Ru… Ka…» Faccio uno sforzo di memoria, devo essere davvero molto stanca per non ricordare un particolare così importante, «Ecco! Rou Dai Kaiohshin!» Esclamo soddisfatta.
«Davvero? Ma ci va di lusso!»
«Dici?»
«Lo conosco molto bene, so come prenderlo!» Mi strizza un occhio, mentre tira fuori il cellulare dalla tasca. Si allontana mentre compone qualche numero.

 
«Magnifico! Un bel sei in condotta, proprio quello che mi ci voleva!» Sbotta Chichi, appena uscita dall’ufficio del preside.
«Andiamo Chichi, poteva andare peggio! E comunque non è detto che ce lo mettano sul serio.» Ad esempio, potevamo finire tutti agli arresti domiciliari penso. «Ci è andata di lusso che il preside sia quel che sia.»
«Peggio? Peggio, dici tu! Se a fine anno mi ritrovo con un sei in condotta posso anche sognarmela la borsa di studio, vuol dire che agli esami dovrò fare faville! Fortuna che Goku parteciperà a quella gara di nuoto, deve assolutamente vincere. Mi occuperò io stessa della sua tabella di marcia.»
Buttiamo in un cestino tutte le immaginette e bandierine regalateci dal preside, «Hai ragione ad essere arrabbiata, ma se ci avessero arrestati tutti, la borsa di studio non l’avresti avuta di sicuro.» Esagero un po’, siamo state chiamate in causa in quanto responsabili della festa, ma non siamo state noi a fomentare la rissa, né a cimentarci in traffici illeciti. Iniziamo a camminare.
«Però ho saputo che in carcere sono in molti a laurearsi!» Controbatte Chichi imperterrita, decisa sulle proprie convinzioni, farcite di luoghi comuni.
«Avresti davvero preferito andare in carcere?» Domando stupita da una simile presa di considerazioni tanto fallaci, mentre usciamo dalla segreteria.
«Lì avrei almeno avuto molto tempo libero per studiare come si deve, invece, tra i lavoretti che faccio, le ripetizioni a Goku e adesso lo studio extra per recuperare quel sei, non credo riuscirò a mantenere la media del nove-virgola-nove!» Si lamenta, attraversando la luce riflessa dalle finestre sul pavimento di marmo.
«Il carcere! Ma io dicevo per dire, chi vuoi che ci arresti per un reato che non abbiamo commesso? Al massimo ci avrebbero fatto pagare una sanzione!» Ribatto saputa, ma nessuno avrebbe mai pagato nulla. Né chi di dovere si mostrava interessato a farla pagare a qualcuno.
«Una sanzione? Oh cielo! E secondo te dove li avrei trovati i soldi?»
«Rilassati, ormai è tutto risolto, non stiamo a ricamarci troppo sopra!» Svoltiamo l’angolo.
«Secondo te Vegeta ne sa qualcosa?» Chiede, poi, ormai siamo giunte al corridoio dove c’è la nostra classe, nessuno nei paraggi: gli studenti sono ovviamente tutti a lezione.
«Non ne ho idea…»
«Ma davvero non ti ha raccontato nulla? Hai visto no, come è ridotto questa mattina. Eppure non mi pare di averlo visto azzuffarsi.»
Infatti, questa mattina si è presentato con un bell’ematoma sullo zigomo, un occhio bendato di fresco e occhiali diversi.
«Lui non mi racconta mai nulla.» Sono costretta ad ammettere. «Non so come passi le serate.» Taglio corto, ormai davanti alla nostra classe di cui varco la soglia.
Vegeta è alla lavagna a illustrare un’equazione con la facilità della competenza e la freddezza dell’indifferenza rispetto alla notte scorsa. Se ripenso a C18 mi vengono i brividi, non per ciò che possa esserle successo (fosse stato qualcosa di veramente grave, la notizia sarebbe stata su tutti i giornali) ma perché, quando l’ho vista andare via, ho avuto l’impressione che fosse Vegeta ad allontanarsi da me per sempre, irrimediabilmente separati da un varco tra mondi diversi.
Ci scambiamo un’occhiata fugace quando gli passo davanti per raggiungere il mio banco.


«Non è stata affatto una conversazione semplice, Bulma.» Inizia col dire Goku, di ritorno dalla telefonata al pubblico ministero. «Pare l’esplosione sia partita dal parcheggio, almeno stando a quanto risulta dagli ultimi rilevamenti. Ma per via dell’incendio è difficile trovare prove davvero concrete. Anche contro Vegeta.»
«E quindi?» Incalzo, alzandomi dalla sedia.           
«Ecco, è venuto fuori che Rou Kai è tuo grandissimo fan e che sarebbe disposto a dare l’ordine di trasferimento e domiciliari a scopo cautelare e a chiudere un occhio su alcuni dettagli, se una sera di queste vai a cena con lui!» Mi sussurra a un orecchio, coprendosi la bocca con una mano. Un attimo dopo ride imbarazzato. «E visto che sei tu, verrà lui stesso a raccogliere la tua testimonianza!»
Scoppio di felicità, «Ma è grandioso Goku!».

 
Quando la ricreazione suona, e tutti si apprestano ad uscire per nutrirsi degli ultimi pettegolezzi riguardo la notte scorsa, Vegeta mi afferra per un braccio tirandomi dentro la classe ormai vuota. Chiude la porta e ci troviamo, quando lascia la presa, uno di fronte all’altro, io spalle alle porta.
«Cosa avete detto al preside e alla polizia questa mattina?» Ha finalmente modo di chiedere, per placare l’allarme della vista della polizia a scuola.
«Se proprio vuoi saperlo, con l’elezione del preside a candidato sindaco, non vogliono interessarsi alla vicenda. Proprio il preside l’ha definita una ragazzata.»
«E basta?» Vuole sincerarsi, mentre annuisco.
Mi rivolge allora l’espressione strafottente di chi l’ha fatta franca, sta per uscire in corridoio ma questa volta sono io a bloccargli il passo parandogli un braccio davanti. «Di’ un po’, non credi di dovermi ringraziare? Avrei potuto raccontare molto altro.» Infatti, se avessi raccontato l’accaduto sotto casa mia, dubito la polizia sarebbe stata così propensa a prendere sotto gamba quella che, da ogni angolo la si studiasse, pareva né più né meno che una rissa tra ragazzi fomentati da qualche pasticca.
«Tipo che mi hai visto litigare con la mia ragazza?» Domanda, rivoltando la frittata nel piatto. «Non credo sarebbero mai interessati ad un scenata di gelosia.»
«Davvero, una scenata di gelosia, eh? Non crederai io sia così stupida. Non state neppure più insieme. Che cosa le hai fatto?»
«Io nulla.»
«Dove l’hai portata?» Incalzo, impertinente.
«Non ti importa sul serio.» Taglia corto.
«Invece sì, che mi importa. Mi avete rovinato la serata!» La mia uscita lo sorprende e parecchio. «E giuro che, la prossima volta che vi salta di vendere droga durante una delle mie feste, racconto tutto alla polizia e farò in modo che mi ascoltino!»
«Io non ho venduto un bel niente!» Sbotta.
«Ma certo, non sei il tipo.» Lo canzono, «Ti limiti a far picchiare i tuoi amici.»
«Non accetto di essere giudicato da una come te, che ha sempre avuto tutto pronto.»
«Ma io non ti giudico, Vegeta.» Gli punto un dito sul petto. «Ti compatisco! Povero ragazzo orfano, costretto ad una vita grama per pagarsi da vivere.» Lo prendo in giro con arroganza, dandogli un colpetto sul naso con lo stesso dito che gli avevo puntato al petto.
Serra la mascella nervoso, ma poi il ghigno che segue è sfrontato. «Allora? Avevo bisogno di soldi. Cell voleva sapere chi vendesse a sua insaputa. Ha offerto una ricompensa. E io, gliel’ho detto.»
«E la ricompensa era farti riempire di botte?» Nella classe dilaga la mia risata cristallina.
«Beh non è stato di parola! E i soldi non me li ha dati.» Si altera, al ricordo del suo fiasco. «Per colpa dell’idiota del tuo amico, ha addirittura pensato fossi scappato con C18. Non ha creduto alla mia versione dei fatti.» Stringe la propria rabbia nei pugni.
Resto ad osservarlo in silenzio, ragionando sul suo racconto. «Sei stato uno sciocco!» Schioccò infine. «Quanti soldi ti aveva offerto? Evidentemente troppi da poterne fare a meno. E ora ti ritrovi da solo.»
Gli sfioro una mano con la mia, «Potevi chiederli a me i soldi.»
«Non voglio avere niente a che fare con te all’infuori della scuola.» Chiarisce, allontanandosi di un passo.
«Per quello che mi hai detto ieri? È un mondo troppo da fighi, e una mocciosa come me potrebbe farsi male?» Chioso la sua stessa frase, vedendone adesso il senso. Sbagliato, perché Vegeta solleva gli occhi bruni su di me. «Ho fatto picchiare i miei amici per soldi, davvero mi credi così altruista da voler proteggere qualcuno che nemmeno conosco?» Bercia.
«Stai mentendo!» Ribatto, ferita dalle sue parole. «Il bacio di ieri. Sì, il bacio di ieri era vero. Volevi baciarmi. Di me t’importa.»
La mia arguzia lo diverte. «È vero; mi è piaciuto baciarti.» Ammette. «Ma questo non significa niente. Ho degli obiettivi. Non voglio passare la vita a ripagare i debiti di mio padre. Voglio studiare nella migliore università d’Europa, perché me lo merito. E tu, sei solo una distrazione che non mi piace abbastanza.» Conclude il discorso così, lasciandomi irrimediabilmente sola nella classe vuota e piena di sole.
Avrei dovuto aspettarmelo. Raggiungo la finestra e guardo il cortile gremito di studenti. Vegeta ha il potere di rendermi impotente. Come ieri notte quando in macchina ho dato in escandescenza perché impotente davanti agli eventi su cui era scivolata via la mia dichiarazione. Spaventata, perché le sirene battevano sull’ineluttabilità della mia sconfitta. Irrimediabilmente muta davanti a sentimenti di cui non saprei spiegarne il senso. 
Abbandono la finestra e raggiungo i miei amici al solito angolo del cortile, da cui osserverò Vegeta dire sempre troppo in silenzio.

Continua…

Ringrazio chi ha letto fin qui. Spero, come al solito, che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto e che i personaggi siano ancora plausibili e realistici. Grazie! Spero abbiate passato una buona Pasqua! :)

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** The sound of silence ***


capppp

The sound of silence

 

Hello darkness, my old friend 
I've come to talk with you again 
Because a vision softly creeping 
Left its seeds while I was sleeping 
And the vision that was planted in my brain 
Still remains 
Within the sound of silence

(Simon and Garfunkel, The sound of silence-come il resto delle parole in italico nel testo)

 

 

Vegeta è sveglio e ci siamo già detti troppo poco. Era confuso di trovarsi qui, avrebbe voluto trovarsi altrove; gliel’ho letto negli occhi. Chissà dove, poi.
Fuori piove. Il rumore della pioggia mattutina attutisce i miei passi, lenti nel corridoio illuminato di grigio temporale.
Sta parlando con Goku, adesso. Racconta il suo caso, ma credo sia ancora poco convinto del suo avvocato. Tra non molto, dovrà ripetere la propria ricostruzione alla polizia.
La mia testimonianza ha fatto luce a diversi aspetti, senza tuttavia renderli chiari. Ora la polizia sa che lui potrebbe non essere il colpevole. Almeno non il solo. Dai risultati delle analisi era chiaro che Vegeta non era in sé, quella notte; il sangue, ribollendogli nelle vene in un misto di alcool e blutz wave, deve avergli dato alla testa portandolo a commettere l’omicidio di Mr Dodoria, il cui corpo è stato trovato questa mattina presto dalla sua donna delle pulizie. Sarà dura scagionarlo da questa accusa: le sue impronte erano ovunque, nonostante l’arma del delitto non sia stata trovata. Goku dice che, finché l’arma manca, c’è ancora speranza.
Credo però di averla persa da tempo; sono colpevole anch’io, di non essergli stata accanto e aver lasciato che la sua vita andasse alla deriva così. Se allora avessi avuto il coraggio di partire con lui…che sciocca! Cosa avremmo potuto fare, in fondo eravamo solo due ragazzini. Eppure…
Non posso assistere alla sua chiacchierata con Goku, né mi è concesso conoscerne i particolari per via della privacy. Lui comunque saprà la versione che ho rilasciato al pubblico ministero, utile fino al tempo che trova: non so chi era quell’uomo introdottosi nell’appartamento di Vegeta, né il contenuto dei documenti salvati nel laptop o la loro importanza.
Mi domando cosa sia accaduto dopo, come sia arrivato alla Freezer Corp. ridotto in fin di vita… la faccenda è già mediatica. È su tutti i giornali, in TV. Un attentato a uno degli uomini più ricchi e influenti del pianeta non è roba da due spiccioli.
Vegeta è stato terribilmente avventato, era sotto l’effetto di quella droga potente, ma comunque avventato. Sono passati ben diciassette anni dal nostro ultimo anno di scuola. Tanti anni quanti ne avevo io allora. Quasi una vita. Molto deve essere successo e poco ne saprò.

 
Diciotto Gero, che io avrei sempre e solo conosciuto sotto lo pseudonimo di C18 (e, mamma, come una mia amica), è qui in camera mia insieme al limpido astio dei suoi occhi azzurri. I capelli, tagliati a zero, paiono ancora più biondi, ancora più sottili, come minuscole lamelle dorate, alla bianca luce di Marzo che vi si riflette dalla finestra.
Un sua visita avrei proprio dovuto aspettarmela.
«Allora ti è chiaro?» Ripete, a braccia incrociate. È incredibile quanto certi suoi atteggiamenti siano così simili a quelli di Vegeta.
«Certo, non c’era affatto bisogno di ripeterlo.»
«Volevo solo essere sicura che capissi, perché mi pare tu non abbia capito proprio niente.» Si sofferma ad osservare i miei libri sulla scrivania; raccoglie il mio diario e lo sfoglia mentre continua a parlare. «Vegeta mi appartiene. Avevamo dei piani insieme, e tu stai rovinando tutto.»
«Beh, dagli ultimi risvolti mi pare che sia stato lui a rovinare tutto, non io.» Ribatto, seccata, togliendole il diario dalla mani per metterlo in libreria.
«Un gesto estremo per allontanarmi da lui. Tutto qui, ora l’ho capito.» Controbatte però lei con aria saputa. «Credi forse che, siccome mi ha fatto tagliare i capelli da qualcuno, dovrei odiarlo a morte? So meglio di te cosa sta attraversando.»
«Allora, se è così, perché hai sentito il bisogno di venirmelo a raccontare?» Mi sta nascondendo qualcosa. Vero, si sono limitati a tagliarle i suoi adorati capelli come ammonimento, ma dubito che tra lei e Vegeta la situazione si sia risolta così splendidamente come vuole indurmi a pensare.
«Perché ho bisogno di lui. E giuro che, se per colpa tua dovesse dimenticarlo, ti renderò la vita insopportabile.» Sento che non c’è nulla di romantico in quel suo bisogno di stare con Vegeta, ma c’è un sentimento tra loro che proprio non comprendo.
«Dovresti, piuttosto, lasciarlo stare tu.» Suggerisco, ma la mia provocazione non è raccolta.
«Ci vediamo.» Conclude, infatti, in un sorriso lascivo, lasciando nella camera la scia fresca del suo profumo.
La osservo scendere le scale dalla balaustra. «La prossima volta, chiamami, invece di appestare la mia camera con il tuo profumo da due soldi.»
La faccio sorridere, mentre risponde «Consideralo un reminder
Perché a Vegeta è piaciuta lei? Persino Crilin si è preso una cotta. Sono simili, C18 e Vegeta. Terribilmente. Forse è per questo che non riuscirò mai a comprenderlo? Mentre lei pare sicura di sé, nonostante la notte scorsa, io non sono all’altezza. Potrei sopportare una relazione del genere? Torno nella mia stanza, e mi lascio cadere sul letto, gettandomi sui miei dubbi. Cosa mi piace di lui? Non di certo l’aspetto fisico. Altrimenti mi sarebbe piaciuto dal primo anno.
Ha un brutto carattere.
È molto intelligente. Troppo avventato. Combina dei pasticci enormi. È fragile. A suo modo sa essere molto leale. Raccontò subito a C18 della notte passata a casa mia. Ha davvero avuto questo coraggio. Come il coraggio di architettare la ressa con Cell. Allo scopo estremo di allontanarla da lui, come vuole allontanare me? Non ci credo.
Cos’ha in testa? Vorrei tanto capirlo. Posso davvero essere innamorata di una persona così, per la quale non sono abbastanza?
Detesto C18 e l’odore che ha lasciato qui dentro, lo stesso odore a cui sarà abituato Vegeta.

 
Con l’acqua tintinnante ghiaccio che ho in mano, entro in camera da letto. Sono solo le undici del mattino, un po’ presto per bere alcolici, un po’ presto però anche per pensare. Butto giù una pasticca di sonnifero. Sono giorni che passo notti insonni!
Dopo un ultimo sorso, mi stendo sul letto, rivolta alla pioggia dietro i vetri. La mia casa è completamente anonima, piena solo di ricordi che gravitano nella mia testa. Persino la mia pagina Facebook è tra le più noiose del web. Un giornale l’aveva definita una pagina bunker, in realtà anche se riuscissero ad aprila, non troverebbero un bel niente.
Forse ho preteso troppo da me stessa, attribuendo alla mia depressione una scelta presa da ragazzina. Il mio analista dice che devo slegarmi, perché, probabilmente, salire su quel treno potrebbe non essere stata la scelta giusta comunque. Seguire Vegeta, solo per non sentirmi in colpa, non mi avrebbe portato ad amarlo. Ho fatto dunque bene a rispettare i miei dubbi e a non seguirlo.
Mi sono sempre aggrappata a questa considerazione ogni volta che pensavo a lui. Poi il ritrovo della classe ’98, gli avvenimenti di una settimana fa. Adesso non posso non aiutarlo. Ora che, finalmente ho la possibilità di mettere a tacere la mia coscienza; aiutarlo adesso per non averlo aiutato in passato, rimetterà a posto ogni cosa. Tornerò a sorridere e, come sempre, il mio laboratorio sgombrerà la mia mente. Non oggi, però.
Socchiudo la veranda telecomandata, la pioggia veglierà sul mio sonno, spero ristoratore. Non sono ancora riuscita a scambiare una vera conversazione con Vegeta da quando, ieri, si è finalmente svegliato.
Così stanca!

 

La pioggia ha smesso. Dalla finestra semiaperta una flebile brezza porta con sé l’odore della terra bagnata e dell’odore dolciastro di Bulma, distesa sul letto.
È lì da una manciata di minuti e non vuole andarsene. Detesta la sedia a rotelle sulla quale gli hanno consigliato di stare. L’ha lasciata in corridoio, ed è entrato con i suoi piedi, per sedere su una poltroncina bianca all’angolo.
È da lì che osserva Bulma dormire, l’ombra di un ricordo lontano. La aveva lasciata ragazzina, adesso trovava una donna dalle gambe lunghe ancora belle, dal volto baciato dal tempo ma più affascinante.
Com’era diventata non lo sapeva ancora del tutto, di certo persistente, tempestiva. Se c’era una persona, in tutto il mondo, che avrebbe potuto incontrarlo per strada, quella non poteva che essere Bulma Brief! Che ironia. Non era riuscito a sfuggirle, ma, in fondo, nella sua vita era sempre mancata.
Persino adesso. Distante.
Fragile. Così aveva raccontato a Goku. Un uomo fragile. Non glielo aveva mai detto nessuno.
Avrebbe potuto agire diversamente, certo; è molto impulsivo. Ma è anche molto fragile. La giustificazione del suo omicidio efferato, era stata, secondo l’ingenuità di Bulma, la fragilità di un uomo distrutto.
Distrutto.
Goku, invece, aveva usato parole diverse. Animo logorato. E lui avrebbe dovuto descriversi così in tribunale.
Non avrebbe mai detto nulla di simile davanti a nessuno.
Perché giustificarsi per qualcosa che aveva avuto il piacere di fare? Uccidere Dodoria. Avrebbe voluto uccidere anche Zarbon, poi Freezer e, infine, uccidere se stesso. Perché sapeva benissimo che, se il suo piano fosse andato in porto, lo avrebbe aspettato la sedia elettrica. Tanto valeva togliersi da sé questa soddisfazione.
Bulma lo aveva salvato anche da se stesso. Avrebbe voluto sparire, passare per morto finché non avrebbe avuto occasione di uccidere chi l’aveva reso un uomo distrutto. Tuttavia, la spossatezza lo aveva tratto in fallo ed era svenuto invece per strada.
Continuava osservare quel corpo nuovo ma conosciuto; le aveva rivolto pochissime parole, nemmeno quelle che avrebbe voluto dirle. L’ultima immagine che aveva di lei, nel passato, apparteneva a un ricordo mai accaduto veramente.
Era Bulma con le trecce dal profumo di fragola, un vestito rosa estivo, ad aspettarlo alla stazione nel giorno sbagliato. Vegeta era partito il giorno prima senza dirle nulla; l’unico modo per sfuggire alla dialettica di una ragazzina impertinente!
Non aveva mai più parlato con altri come parlava con lei. Era facile parlare con lei. Era difficile non parlarle. Era facile sentirsi meglio e più leggeri. Era amore o solo bisogno?
Che ragazzina!
Non si era mai sentito attratto da Bulma fisicamente, gli era sempre parsa troppo infantile, troppo fragile. Lei sì, lo era.
Starci insieme gli piaceva, immaginare di portarla a letto proprio non c’era mai riuscito. Appunto, non gli era mai piaciuta abbastanza.
Ricordava il bacio che le aveva dato sulla fronte. Aveva atteso che nel suo corpo si risvegliasse qualche istinto. Era però rimasto indifferente.
Una ragazzina ridicola, goffa e imbarazzante. Erano stati quelli i limiti alla sua libidine adolescenziale.
Ricordava le sue gote rosse all’altro bacio, ma anche quella Wendy aveva atteso invano un bacio vero, che sarebbe rimasto posato all’angolo destro delle sue labbra e mai raccolto.
Adesso, era a quel bacio mai raccolto cui pensava Vegeta. A fatica, si alzò dalla poltrona e raggiunse il ciglio del letto su cui, ignara, riposava la donna. Non erano labbra di ragazzina quelle, incorniciate da due leggere rughette verticali. Il bacio, però, era sempre lì.
Cosa provava? Si sentiva perso davanti ad una Bulma così sicura di sé. Perso perché sentiva di esserle sempre appartenuto, in una goffaggine di sentimenti che, in fondo, aveva avuto anche lui.
Tutte le persone incontrate, le donne avute, altre pagate in notti febbrili di qualche Hotel dell’Havana, le armi che aveva venduto all’est, le torture, gli uccisi… aveva percorso un cerchio che l’aveva riportato a lei. Era servito solo a questo, ritrovare proprio colei dalla quale era scappato?
Dopo la morte apparente del coma, i suoi occhi azzurri erano stati la prima cosa a specchiarsi nei suoi.
Perché voleva ancora aiutarlo?
Sollevò la mano e, con il tocco leggero della punta delle dita, le sfiorò le belle labbra rosate, come a prendersi un bacio. A rubarle il bacio che, a lungo, aveva pesato su quella bocca. Uscì dalla stanza, indisturbato come i migliori ladri.
Bulma Brief, dal sonno pesante, non si accorse di nulla. Eppure, al suo risveglio, si sentì più leggera.
Confusa dal sonno di metà giornata senza sogni, ma leggera.

 

Trovo sia inutile sforzarsi di studiare in una totale assenza di voglia. La visita di C18 poi mi ha completamente deconcentrata. Non penso che a lei e a Vegeta. Non è gelosia, è solo una grande confusione su un tipo di relazione che mi è impossibile capire.
Ha allontanato me perché non sono abbastanza; mentre ha allontanato lei perché la ama? Da come l’ha trattata mi pare difficile crederlo così innamorato.
Più penso a tutto questo, più mi sento una sciocca! La ragazzina che Vegeta disprezza tanto. Cosa potrei fare per dimostrargli che sono più matura di quanto pensi?
Non ne ho la più pallida idea. Ho solo una gran voglia di vederlo e potrei dirgli che ha ragione lui, probabilmente non è vero che sono innamorata. La mia è solo voglia di fargli da crocerossina.
Magari, a quel punto sarebbe più libero di trattarmi da amica. Le amiche sono diverse. Alle amiche si dice tutto. Avrei allora la possibilità di stragli vicino come vorrei.

 

«Un gin and tonic; molto gin e poco ghiaccio.»
Because a vision softly creeping, Left its seeds while I was sleepingAbbasso ulteriormente il volume dello stereo, lasciando la musica nel sottofondo; poso il telecomando e verso un bicchiere d’acqua a Vegeta, oltre il bancone dell’angolo bar del mio salotto.
«Solo acqua, niente ghiaccio.» Bercio, mentre lui prende posto su uno sgabello. Ha lo sguardo stanco cerchiato dalle occhiaie, ma il ghigno, che mi rivolge prima di un sorso, è sempre il suo. «Devi essere molto stanco, spero di non averti svegliato.»
«Ero stufo di stare a letto.» Mi rassicura, ma so che per lui sono stati giorni difficili. I dottori l’hanno svegliato dal coma farmacologico solo da due giorni ed è ancora in terapia.
Metto una manciata di ghiaccio in un bicchiere in cui verso della vodka alla fragola. Sono spiritualmente esausta: avere Vegeta in casa è più arduo del previsto, con i giornalisti che chiamano ad ogni ora del giorno e la paura che Freezer possa mandare qualcuno a sbarazzarsi di lui.
Sento i suoi occhi neri addosso. Lo guardo anch’io di rimando, da dietro il bicchiere dal contenuto rosato. No one dared disturb the sound of silence…
Non indossa più gli occhiali, e immagino l’uso dell’apparecchio gli abbia lasciato un sorriso perfetto che non ha ancora mostrato. È un uomo di trentacinque anni adesso. Mi chiedo cosa stia pensando di me. Mi spaventa non avere nulla da dirgli, nonostante abbia molto da chiedergli.
Chi siamo?
«Ti ricordavo più invadente.» Sentenzia, alla fine del suo giudizio silenzioso.
«Perché non ti ho ancora chiesto cosa nasconde il tuo laptop?» Domando mentre roteo in mano il bicchiere, facendo tintinnare tra loro i cubetti di ghiaccio.
«Già, non me l’hai chiesto.»
Già, non gliel’ho chiesto; alla polizia però l’ha detto e so anche che non ha voluto cimentarsi in accuse affrettate riguardo l’identità di quell’uomo. Probabilmente su consiglio di Goku.
Un altro sorso. É chiaro che l’imbarazzo di questi anni passati senza esserci mi blocca e cerco di nasconderlo bevendo con nonchalance. Per la prima volta che siamo davvero soli, lui ed io, dopo anni di separazione. Ed è vero, che oltre a vecchi ricordi non abbiamo nulla in comune. La realtà è sempre diversa da quella immaginata.
Non era così che avrebbe dovuto essere la nostra riunione, con Vegeta dalle braccia incerottate per le flebo dei giorni scorsi e la totale assenza di argomenti oltre agli orribili avvenimenti che lo vedono coinvolto.
«Me lo diresti?»
Scuote la testa, rassegnato a se stesso e alla mancanza di parole.
«Allora, cosa te lo chiedo a fare?» Rimbecco, quasi scocciata.
Poso il bicchiere, sospiro, e passo una mano sulla fronte.
But my words like silent raindrops fell 
And echoed in the wells of silence

Mi segue accompagnando lo sguardo con un movimento della testa mentre lascio il bancone per sedermi allo sgabello accanto al suo. Bevo ancora. Avevo pensato a lungo a noi due, e adesso tutto ciò che avrei voluto dire mi pare stupido ed inadeguato.
«Non ti disturba quello che ho fatto?» Interrompe il silenzio, ancora lui per primo.
Poggio il bicchiere. «Non importa.» Persino la polizia ignora la realtà, molti indizi, nessuna certezza.
«Come può non importarti?» Continua, non racconta, però, cos’ha fatto in modo esplicito. «Quando mi hai trovato non sapevi cosa fosse successo; adesso lo sai.»
«So solo che stanno cercando di incastrarti.»
«Quindi credi non sia stato io a far scoppiare l’edificio.» Arguisce. «E del resto cosa pensi?» Non dice di avere ucciso Dodoria. Non si fida al punto da farsi giudicare così direttamente.
«Penso che non ti fidi di me abbastanza da dirmi cosa hai fatto.»
«Non ti conosco.» E l’ineluttabile verità. «Chi mi dice che posso fidarmi?»
«Ti avrei portato qui, se avessi voluto imbrogliarti?»
«Mi avresti già chiesto cosa nascondo.»
«E ti avrei già ucciso, o denunciato alla polizia; se è questo che pensi. Ne hai abbastanza da finire sulla sedia elettrica.»
«E non mi hai ancora chiesto cosa nascondo.»
«Esatto. Come vedi puoi fidarti.»
«Magari aspetti che sia io a dirtelo.»
«A che pro?»
Prende un sorso d’acqua dal suo bicchiere. Il silenzio che torna fa credere che Vegeta stia davvero pensando ad una risposta.
«Non ne ho idea, mi fa male la testa.» Dice, però, infine, massaggiandosi una tempia.
«Perché pensi troppo. È sempre stato il tuo problema, Vegeta.» Non so bene perché, ma a questa frase sorride. Pizzica via quel mezzo sorriso sfiorandosi le labbra tra il pollice e l’indice. Continua a guardarmi, come non mi ha mai guardata prima.
And the sign flashed out its warning 
In the words that it was forming.
Fa la canzone in background.
«Tu dici…» Commenta, prima di alzarsi per tornare in camera. Evidentemente non riesce a fidarsi di me. «Sai, mi confondi. Non sei il tipo di donna a cui sono abituato.» Aggiunge, però, una volta in piedi.
«A che donne saresti abituato?» Domando strafottente, con un mezzo risolino, colta alla sprovvista per quella confessione.
«A quelle che si pagano.» Chiarisce, prima di uscire di scena.

 

Alla fine sono andata a studiare al parco centrale. Nelle giornate di sole è pieno di ragazzi e ragazze che studiano sull’erba; forse riesco a motivarmi.
Sfoglio qualche pagina; con svogliatezza leggo alcune righe. Altre non le capisco. È letteratura inglese, e ho dimenticato il vocabolario a casa.
Segno con una matita le parole che non ricordo, ripromettendomi di cercarle in seguito.
Dopo il primo quarto d’ora, gli altri studenti buttati sull’erba non mi sono di alcun aiuto e già sono supina sull’erba con il libro sul volto a mo’ di parasole.
Dormo da una mezz’ora, quando qualcuno arriva a disturbarmi nel sonno. «Si studia è?»
Scosto il libro dal volto, il sole negli occhi, «Yamcha, che ci fai qui?»
«Faccio jogging.» Infatti indossa una tuta da corsa. Dalle spalle scoperte guizzano i muscoli leggermente sudati. «È proprio un bel pomeriggio, non trovi? Era un peccato starsene a casa con questo bel tempo. Pensa, c’era anche Arensay fino ad un attimo fa!»
«Cosa, e dov’è?» Mi risveglio del tutto, mettendomi a sedere; poso il libro accanto a me.
«Andava da quella parte…» Tentenna confuso, inconsapevole del mio interesse.
«E perché? Correva anche lui?» M’interesso molto della questione, forse anche troppo da risultare, persino a me stessa, del tutto sconveniente.
«N…no… cioè, era vestito normale; l’ho visto solo di sfuggita… parlava con il fratello di Goku.» Conclude sprezzante. Radish, il fratello di Goku, non era mai piaciuto a nessuno. Più grande di noi, era sempre sfuggente; nemmeno Goku non piaceva del tutto.
«Oh, strano.» Concludo, affatto imbarazzata dalla mia sfrontatezza.
«Beh perché strano? Credo invece che quei due se la intendano bene.»
«Non sapevo si conoscessero.» Sono un po’ delusa per essermi fatta sfuggire Vegeta.
«Nemmeno io a dire il vero; ma perché t’importa tanto?» Chiede, circospetto, mettendosi a sedere con me sull’erba. Si asciuga la fronte con l’avambraccio.
«È solo che Radish è un brutto soggetto, non vorrei avere altri problemi dopo quello che è successo al ballo…» Butto giù, trovandola una scusa accettabile.
«Ah, capisco. Piuttosto, cosa studiavi?» Prende in mano il mio libro di letteratura inglese, e lo sfoglia anche lui con svogliatezza.
«Inglese. Ho l’interrogazione, lunedì.»
Una nuvola passeggera ci passa sopra, oscurandoci per alcuni istanti. Yamcha ed io continuiamo a parlare con facilità, come abbiamo sempre fatto, per il resto del pomeriggio. Le parole, a noi, non sono mai mancate. È facile stare con Yamcha, non ci sono enigmi. Il suo tradimento con Marion non poteva certo dirsi un enigma, a pensarci, è un avvenimento comune a molti adolescenti.
Con Vegeta è diverso, è tutto così complicato, oscuro e le nostre conversazioni sono frammezzate da pesanti silenzi. Le parole sono poi sempre di troppo tra noi.
Non esiste stabilità tra me e Vegeta. Lui probabilmente l’ha capito, per questo non mi vuole. Non gli piaccio abbastanza. Nessuno me l’aveva detto prima d’ora. Piaccio sempre a tutti!
Dopo aver salutato Yamcha, mi dirigo pensierosa alla fermata del tram; ormai si è fatto sera, e l’aria è più fresca.
Come nelle migliori (o peggiori) commedie romantiche, nel momento esatto in cui smetto di pensare a Vegeta, ecco che me lo ritrovo davanti, anche lui alla fermata. È appoggiato alla pensilina, e sta contando dei soldi.
Non si è ancora accorto di me, divisi come siamo da qualche metro di distanza. Faccio per chiamarlo, ma poi ci ripenso. Approfitto della sua distrazione e giro sui tacchi con l’intenzione di tornare a casa con un altro tram.
Contava dei soldi. Dove li avrà presi? Al parco dagli altri ragazzi, da Radish magari. Che si sia messo a vendere roba? Ancora sospetti e misteri che non sarò mai degna di conoscere.
Una volta a casa, continuo a pensare al pomeriggio trascorso. A C18 piombata in camera mia, a Yamcha sempre sorridente e facile da conquistare, e a Vegeta, inarrivabile nonostante i miei sforzi.
Non sono abituata ai rifiuti.
Dopo cena lo chiamo. Chiamo Vegeta. Il quale però non risponde. Nella mia stanza aleggia ancora, incancellabile, il profumo di C18.
Alzo il viso al soffitto per non piangere, attribuisco la mia fragilità al ciclo imminente.
Chiamo Yamcha. 

 

Una volta sola capisco di esserlo stata per troppo tempo. Lascio sul bancone la mia vodka e lo raggiungo, come ho sempre fatto. Come avrebbe sempre dovuto essere.
«Vegeta!»
Rallenta, si ferma. Si volta. È scalzo. Non dovrebbe nemmeno essere sveglio a quest’ora nelle sue condizioni, né affaticarsi a camminare. Sorrido delle sue piccole, usuali, ribellioni.
Lo raggiungo afferrandogli una mano, nel corridoio buio, salvandomi da me stessa. Gli sono davanti. Ha le spalle al muro, i nostri volti sono vicini ma prima ch’io riesca a baciarlo, lui scosta il viso tirandosi indietro. Si libera anche dalla presa.
Il mio sorriso, allora, si spegne, in uno sbuffo che sa di vodka alla fragola.
Il suo, invece, si accende; raccoglie il mio volto tra le mani e, finalmente, mi bacia. Mi mordicchia il labbro inferiore come fosse fragola, e beve poi dalla mia bocca come fosse vodka.
Ed io mi aggrappo al suo corpo come se stessi annegando, nel tempestoso mare dei miei ricordi.

 

Continua…

 

Ciao a tutti! Spero anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Qualcosa inizia davvero a smuoversi tra i due (ed era anche ora, direte voi!). Fatemi sapere cosa ne pensate, le vostre opinioni, belle o brutte, sono sempre gradite. Spero non aver fatto troppi errori dovuti alla stanchezza che, oggi, è davvero tanta.

Alla prossima! :)

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** L'età dell'innocenza ***


26

L’età dell’innocenza

 

And you'll sit beside me,
and we'll look, not at visions, but at realities.

(Edith Wharton, The Age of Innocence)

 

Sullo schermo nero i titoli di coda scorrono via con i miei pensieri, sulle note di Bernstein. Raccolgo dal tappeto la custodia del VHS de “L’età dell’innocenza”. Sulla copertina Newland Archer scambia un bacio appassionato con la contessa Olenska, entrambi al centro. In un angolo, la dolce May, felice, non vede il marito baciare un’altra.
Per l’interrogazione avrei dovuto leggere il libro, in inglese ovviamente. Un po’ troppo lungo forse. Così, alla fine, in questo sabato sera, ho invitato Yamcha a vedere con me la trasposizione cinematografica.
«Allora ti è piaciuto?» Domanda, stiracchiandosi sul divano.
«Non molto.» In realtà è una storia che mi ha coinvolto e ho rivisto la mia in essa.
«Beh la solita solfa.»
Spengo la televisione. Non credo che il tradimento sia il tema principale. Dovrei appuntarmelo questo e ricordarlo.
«Perché hai voluto che lo vedessi?» Si preoccupa Yamcha in un secondo momento, giacché noi stessi abbiamo sperimentato lo steso triangolo. Non voglio essere May!
«Tranquillo. È solo che non ho letto il libro, e non mi andava di vederlo da sola. Tu l’hai fatta l’interrogazione?» Chiedo a bruciapelo, per cambiare discorso. Non vorrei si facesse strane idee. Mentre io un’idea me la sono fatta, soprattutto su di lui. In fondo, non era nemmeno con lui che volevo passare la serata. Restare da sola a casa di sabato sera mi era parso troppo triste. Tuttavia, ho pensato comunque a Vegeta per tutto il tempo.
«Sì, la settima scorsa, quando eri via con Chichi. Ma non è andata un granché bene.»
«Cosa ti ha chiesto?»
«Non ho scelto quel libro. Ho portato La casa del mirto, dopo aver letto qualche riassunto da Chichi.»
«Capisco. Una bibita ti va?» Aggiungo alla svelta, quando lo vedo alzarsi e prendere il giubbino. Non voglio vada via; ho ancora voglia di parlare. Se parlo, non penso a Vegeta.
«D’accordo.» Accetta e, contento, si ributta sul divano, mentre io vado a prendere le bibite e dei biscotti.

 

Dopo la scuola non ho fatto che leggere libri; ne compravo a decine e, quando non studiavo, leggevo, per essere come Vegeta.
Mi immergevo in altre vite, ne ho conosciute tante, tranne quella che avrei voluto vivere io, tranne quella che non sono mai riuscita a leggere. The age of innocence, comprato in inglese, perché volevo posare gli occhi sulle stesse frasi lette da lui e cercare di capire i suoi pensieri. Non ho mai avuto il coraggio di leggerlo, ed è ancora intonso, in bella vista nella libreria.
Che parte ho avuto nella storia? Quella sbagliata, fino a ieri.
Mi sfioro le labbra con la punta delle dita e non nascondo un sorriso al nostro bacio. Il sapore della sua lingua. Il mio corpo finalmente stretto in un abbraccio corrisposto.
Abbiamo dormito insieme, sono andata via prima che il terapista arrivasse. Abbiamo solo dormito, non è successo niente, ma forse è successo tutto.
Prendo il libro.

 

La sveglia segna mezzanotte e quaranta, ma non sono ancora tanto stanca da dormire; infilo le cuffie del walkman e mi metto ad ascoltare musica alla finestra. Quando Yamcha è andato via, la malinconia è tornata. Come può mancarmi qualcosa che non è mai esistito? Una storia tra e me Vegeta esiste solo nella mia testa, e mi sento come il protagonista del film appena visto. Avrei dovuto scegliere l’altro libro.
«Bulma, tesoro, devi ascoltare la musica a tutto volume?» Mia madre, in vestaglia, mi pizzica via una cuffia dall’orecchio. Quando mi volto a guardarla, e per scacciarla dalla mia stanza, mi accorgo che non è sola. Vegeta è con lei e pare piuttosto scocciato.
«Tesoro, non crederai mai a cos’è successo!» Inizia a spiegare mia mamma, in un tripudio di gioia che infastidisce ancora di più il mio compagno. «Avevate un appuntamento romantico non è vero? Ma Vegeta ha tirato dei sassolini alla finestra sbagliata. Quella della nostra stanza, ci crederesti? Che cosa romantica!» Gongola ancora. «Quando l’ho visto non ho potuto non farlo entrare in casa!» Ridacchia divertita.
«Non è affatto un appuntamento romantico.» Protesta lui, in un imbarazzo che non riesce a nascondere.
«Spero di non aver rovinato l’atmosfera per la serenata che avrebbe voluto farti.»
L’imbarazzo di Vegeta si espande in una chiazza rossa sul viso. «Non c’era nessuna serenata in programma!» Biascica in una protesta non viene raccolta.
«Bene, vi lascio soli. Ricordati di chiudere il portone quando va via, tesoro.» Sotto l’uscio si ferma, la bella mano poggiata alla porta, mi fa l’occhiolino prima di andare.
«È incredibile quanto tu più fugga il ridicolo, e più questi ti piombi addosso!» Lo schernisco, non appena rimasti soli.
«Non ho intenzione di dichiararti nulla.»
«Allora perché se qui, o mio bel cavaliere, nel cuore della notte?» Lo sfotto ancora, ridacchiando, mentre tolgo le cuffie e lancio il walkman sulla scrivania.
«Voglio dormire qui.»
«Cosa?»
«Hai sentito benissimo.»
Penso sia un altro dei suoi scherzi crudeli. Dalla balaustra, scendo a terra, e inizio a circumnavigarlo. Non ha portato nemmeno un cambio. Ovviamente i miei non dovranno saperlo.
«La smetti?» Mi riprende lui, incrociando le braccia e fuggendo lo sguardo alla direzione opposta alla mia.
«E qui che cos’hai?» E gli punto un dito sul collo, da quale sbuca una chiazza rossa, pare quasi un morso. Un livido in piena regola.
Copre il punto con una mano, e si allontana da me. «Allora?»
«Allora che?»
«Resto?»
«Mi pare tu abbia già deciso, Vegeta.» Puntualizzo, mentre lo vedo sedersi sul ciglio del letto. «C18 è stata qui, oggi pomeriggio, lo sai?» Lo informo, mi chiedo se il suo profumo si senta ancora.
«Sì lo so.» Risponde come fosse un’unica parola.
Decido di sedermi con lui; salgo in piedi sul letto e mi risiedo a gambe incrociate. Vegeta segue i miei movimenti infantili con un certo sdegno.
«L’hai vista anche tu, non è così?» Rattristata, torno a puntargli il dito sul livido che ha sul collo, non pare nemmeno un succhiotto.
«Non è come pensi.» Puntualizza, continuando a guardarmi.
«Infatti, non so cosa pensare. Mi sei parso piuttosto chiaro quando mi hai detto di non piacerti; poi fai pace con C18 e poi ancora eccoti qui, desideroso di voler passare la notte con me.»
«Voglio solo dormire.»
«E non potevi farlo a casa tua?»
«C’è lei a casa mia, adesso.»
È un colpo, che mi confonde ulteriormente. «Ma insomma, che accidenti vuoi, Vegeta?»
«Dormire, quante volte vuoi che lo ripeta?»
«Dormire qui, dopo aver fatto l’amore con la tua ragazza?»
Quest’ulteriore domanda lo stufa parecchio, sbuffa via il nervoso che si avrebbe nel parlare con un bambino che si ostina a non capire. In realtà, so bene che non è perché non capisco, ma perché non vuole parlarne.
«Se per restare devo dirti che non abbiamo fatto nulla, allora non abbiamo fatto nulla.»
«Non mi pare.» Ritorno sul livido che ha al collo. «Cos’è ha cercato di strozzarti, forse? Se vuoi che ti ospiti, ti conviene parlare. O preferisci passare la notte su una panchina del parco?»
«Pensavo di piacerti, cos’è, ora non mi vuoi?»
«Non con l’odore di un’altra addosso.»
Lo faccio ridere, «Sembri una moglie tradita.»
«E tu uno stupido. È una scappatoia quella che cerchi. Se vuoi che ti aiuti a scappare, devi collaborare!»
«Vuoi che me ne vada?» Scatta in piedi, decisamente annoiato dalla mia dialettica.
«Se ti dicessi di sì?»
«Dimmelo.»
Cedo. «Domani mattina dovrai andartene prima che se ne accorgano i miei. E comunque dormi sul tappeto.» Afferrò un cuscino e glielo tiro addosso.
«Sul serio? Hai la possibilità di avermi tutto per te nel tuo letto, e mi fai dormire per terra!» Controbatte, gettando il cuscino contro la spalliera. «Dormo a sinistra.»
«Come ti pare!» Mi stendo sul letto per prendere il mio pigiama. «Vorrà dire che dormirò io in un’altra stanza.» Scendo dal letto; con il pigiama in mano, sulla porta mi fermo e guardando Vegeta gli auguro la buona notte.
«Buonanotte.» Augura lui di rimando, e torna a sedersi sul letto.
«Buonanotte.» Ripeto.
«Se vuoi andartene vattene, ho sonno.»
Me ne vado, affondata dal mio stupido orgoglio.
Per tutta la notte non ho chiuso occhi, nella speranza mi raggiungesse nella stanza accanto. Non l’ha fatto. E la mattina seguente, quando, finalmente all’alba ho avuto il coraggio di raggiungerlo, lui era già andato via.

 

L’insegnate di inglese entra sbuffando. Le hanno appena detto che l’inglese sarà una materia dell’esame, ci spiega, «E il programma è lungi dall’essere finito.» Ovviamente, è come se la colpa fosse di noi studenti. Prende posto dietro la cattedra e inizia a sfogliare il registro, con l’immancabile matita blu e rossa. Il suo sguardo scorre sui nomi della classe, sta cercando chi chiamare. «Brief, sei pronta, vero?»
«Certo, professoressa.» A dire il vero non ne sono sicura. Non mi sono mai uccisa di studio, in questo periodo ancora meno. Ieri pomeriggio poi non ci sono proprio riuscita. Lancio uno sguardo a Vegeta dall’altra parte. Stamattina mi ha saluto come niente fosse.
«Arensay, anche a te manca il voto. Te la senti di venire?» Azzarda a chiedere la professoressa, mentre io, sbiancata, porto la mia sedia alla cattedra. Da quando è morto suo padre, non tutti i professori se la sentono di interrogarlo. «Credo purtroppo sia necessario… ma se per caso non te la senti…»
«Sono pronto.» Asserisce e già sta avvicinandosi alla cattedra, ai cui estremi ci ritroviamo uno seduto di fronte all’altra, dopo alcuni istanti di trambusto.
«Allora, che libro avete scelto?»
«The age of innocence.» Rispondiamo all’unisono. Mi sorprende che uno come Vegeta abbia scelto proprio questo titolo.
«Bene, vi è piaciuto?» È la classica domanda per rompere il ghiaccio.
«Non molto.»
«Sì.» Risponde, invece, Vegeta, e lo guardo quasi a bocca aperta. «L’ho trovato illuminante.» E taglia il mio stupore con uno dei suoi ghigni affilati. «Ma nessuno dei personaggi mi è piaciuto.» Chiarisce.
«E questo che vorrebbe dire?» Lo interrogo io; la prof mi zittisce sollevando una mano.
«Cosa hai capito dei personaggi?»
Arensay ci riflette su un attimo, guardando l’insegnante, risponde: «Secondo la mia opinione, l'Olenska rappresenta tutto ciò che Newland vorrebbe per uscire da una condizione che non gli piace. Ma allo stesso tempo si tratta solo si un'idea, ne è consapevole e per questo non vuole lasciarsi andare. Altrimenti non si darebbe tutti quei segnali per non stare con lei.»
«Già è un codardo.» Mi intrometto.
Vegeta sta per rinfacciarmelo, ma questa volta è lui che viene zittito e la professoressa dà a me la parola. «Perché pensi sia un codardo?»
«Dicevo... Credo che lui sia un codardo. Sa che è innamorato dell'Olenska; ma è cosí diversa! Cosí ogni volta mette il loro rapporto... Anzi no, la loro corrispondenza di amorosi sensi, sì, la loro corrispondenza spirituale alla prova con stupidi giochetti. Ma la realtà è che perde solo delle occasioni. Come nell'ultima scena.»
«Un’analisi eccezionale!» Sghignazza Arensay, «Sul serio, mi fa interrompere per sentire questo?»
«Arensay, siete in due e devo interrogare entrambi. Quindi, secondo te, Brief, cosa rappresentano quei segni per la Wharton, sono una metafora di cosa?»
«L’arrendevolezza dell’uomo davanti al destino.»
A questa mia uscita, Vegeta borbotta qualcosa che non mi arriva, ma io continuo. «Tutto questo lo spevanta e ha bisogno di segni che gli mostrino che sta facendo la cosa giusta. Newland è cresciuto in un mondo in cui la cosa giusta è molto importante; cosí si affida al caso e lascia a lei, all’Olenska, la responsabilità di cogliere segnali e giochetti di cui però ignora l'esistenza. Anche lei ha un'idea di lui. Quindi credo che Newland, già sposato con un'altra, abbia paura che lei abbia visto ciò che in realtà non c'è. Alla fine Newland è più ordinario di quel che crede.»
La professoressa sta per aprir bocca, ma è preceduta da Vegeta. «E questo che vorrebbe dire? Non è cosí! Stai sbagliando, Brief!»
L’insegnante, esasperata, concede a lui la parola, «Quindi tu cosa ne pensi, Arensay?»
«Ci sono due donne, May e la contessa Olenska. Entrambe hanno qualcosa che all'altra manca. A lui piacciono entrambi, ma May è troppo simile e insieme non riusciranno ad evolvere; l'Olenska, invece, rapprensenta ciò che lui stesso vorrebbe essere e ciò a cui vorrebbe May assomigliasse. La vita che conduce l'Olenska lo meraviglia, allo stesso tempo però lui sente che, in fondo, non riuscirebbe mai a farne parte del tutto. Per questo i segnali: i segnali se li dà per rafforzare la sua idea che è meglio starle alla larga. Non perché spera lei si avvicini. Chi vuole sul serio, agisce e lui non agisce.»
«Quasi quello che ho detto io!» Rimbrotto, saccente.
«Ma io l’ho detto meglio.»
«May rappresenta ciò che si conosce.» Riprendo la parola, «Non c'è nulla che soprenda Newland in quella vita e sa come affrontarla, perché ne conosce i valori. Al contrario l’Olenska non lascia mai trasparire nulla. Forse sono entrambi due codardi, l’Olenska e Newland; mentre May è l’unica che riesce ad accettare se stessa e i propri limiti.» Riesco anche ad argomentare meglio il punto di vista, questa volta.
«E quindi tu chi vorresti essere, l’Olenska o May?» Sbeffeggia Vegeta.
«Tu invece?»
Una leggera manata sulla cattedra, tintinnante di braccialetti e anelli, precede la voce della professoressa che ci riporta alla calma. «E della vita della Wharton che sai dirmi, Arensay?»
Inizia a sciorinare tutto il suo sapere, fino a quando la palla non passa nuovamente a me a cui, però viene chiesto di tradurre delle frasi alla lavagna, mentre Vegeta è rimandato a posto.
L’insegnante prende in mano il libro, lo sfoglia, ed è evidente voglia farmi tradurre qualcosa da lì.
«Questa frase mi pare appropriata al programma di grammatica. Se hai fatto gli esercizi non avrai problemi a tradurla.» Mi lancia un’occhiatina sbilenca da dietro gli occhialini argentati; mentre io, in piedi, stringo in mano il gesso. Sono una sciocca, avrei dovuto studiare di più per oggi.
«Allora scrivi, “Non avrebbe potuto scegliere momento più significante di quello in cui l’attrice cantava: Mi ama, non mi ama, mi ama”»

 

Con il libro in mano, entro nella stanza di Vegeta che è in compagnia del suo terapista, il quale sta per andarsene.
«Ecco, mi pare non ci siano più grossi rischi. In fondo non è stato un lungo coma, è la terapia sta dando ottimi frutti.» Rassicura il dottor Dende, mentre raccoglie le sue cose. È un ottimo dottore, ma non mi piace come sfugga sempre lo sguardo di Vegeta. Fa il lavoro che deve fare e va via, poco propenso a passare più tempo del dovuto con un sospettato di omicidio doloso.
Scarabocchia qualche fascicolo, prima di apprestarsi ad uscire con la promessa di restare nei paraggi.
«Ma dove l’hai trovato quel moccioso?» Chiede infine Vegeta, una volta rimasti soli.
«È giovane, ma mi fido molto di lui. È il mio medico personale, lo conosco da tempo ed è una persona fidata. Soprattutto, incorruttibile.» Spiego, mentre Vegeta si spinge con la sedia a rotelle fino al balcone. Non apre la finestra, resta seduto in contemplazione del mare.
«Quanto dista la città dell’Ovest da qui?» Chiede.
Stringo il libro tra le mani, e rispondo: «Tre ore in elicottero. Siamo al sicuro qui.»
«Non verrebbero mai qui, è troppo rischioso.» Arguisce.
Aspetto aggiunga altro, ma resto delusa. Resto in piedi dietro di lui, mentre racconto di aver venduto la vecchia casa a cupola dopo la morte dei miei. «Troppi ricordi. Però, pensavo sarebbe bello riprenderla…»
«Non te l’ho chiesto.» Interrompe lui tranquillo, fa compiere un giro alla sedia, e adesso è rivolto verso di me. «Che hai lì?» Chiede, piuttosto, notando il libro che stringo in mano; glielo consegno.
«Ricordi?»
Lo sfoglia, come a ripescare delle immagini che, mentre nella mia testa sono limpide e vive, per lui sono sbiadite come quelle pagine giallognole. «Non l’hai mai letto.»
È evidente che non capisce. Gli sfilo via il libro dalle mani e lo poso sul letto chiudendo in esso il mio ricordo. È lui Newland.
Riesco a sorprenderlo quando mi siedo sulle sue ginocchia. «Pensi reggerà entrambi?» Scherzo.
«Non saprei, se magari alleggerissimo il peso…» Mi solleva il lembo della gonna, sfiorandomi una coscia, ma poi torna a posare la propria mano al bracciolo.
«Come sapevi qual era la mia birra preferita? Al liceo.»
«Non lo sapevo.»
«Ma una volta mi hai ordinato una birra senza che ti dicessi la marca!»
«Non ricordo, magari ti avevo già visto ordinarla al bancone… che importanza ha?»
Abbasso lo sguardo, le mani in grembo. «Io ricordo tutto di noi.» Ammetto. «E tu?»
Sento la sua mano posarsi sulla mia coscia. «Non mi piace ricordare quel periodo. Per alcune scelte prese.» Noto che non apostrofa le sue scelte come “sbagliate”, semplicemente le rimpiange, quasi quanto io rimpiango le mie. «A te, invece, perché piace ricordalo?»
Sorrido. «Non eri così propenso al dialogo, una volta.»
«Sono cresciuto anch’io, Bulma
«E come sei cresciuto, Vegeta?»
«Piuttosto male, direi. Allora, perché ti piace ricordare quel periodo?»
«In realtà, non mi è mai piaciuto. Per alcune scelte prese.»
Resta in silenzio, mentre la sua mano mi accarezza fino a sotto la gonna. Non arrossisco quando arriva ad accarezzarmi l’inguine.
«Ho bisogno di te.» Dice, prima di ritirare la mano. «Devi farmi un favore.» Continua secco. «Devi tornare alla Città dell’Ovest per prendere qualcosa di molto importante.»

 

Continua…

 

 

 

Ciao a tutti! Spero quest’ultimo aggiornamento vi sia piaciuto. Cercherò di scrivere gli altri capitoli al più presto, ma tempo che non ci riuscirò per un po’.

Grazie a chi ha seguito fin qui! Alla prossima!

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Lolita ***


27.

Lolita

 

Io muoio, se tu mi tocchi.
(Vladimir Nabokov, da Lolita)

 

 

                                                             

«Ho detto “loods”, non “lorz” ma sei cretina?»
«Sei tu che non si capisce cosa dici.» Protesto, dopo l’ennesima fallimentare pronuncia della parola “lords”.
«Perché non presti attenzione. Ripetilo.»
«Lorz.»
«Loods!»
«Lorz.»
«La “erre” non si pronuncia!»
«Ma non la sto pronunciando!» Faccio presente.
«Ci rinuncio, andiamo avanti. A pronuncia fai schifo, ma tanto faranno schifo pure quelli della commissione d’esame. E queste frasi sono sbagliate. Dobbiamo iniziare da zero. Ma come hai fatto a passare tutti gli anni?»
Siamo all’ombra di un boschetto nel parco centrale cittadino, seduti sul prato fresco e in fiore di una primavera alle porte. «Ti pago per insegnarmi, non per maltrattarmi!»
«E per te qualcuno che ti dice dove sbagli è maltrattamento?»
«Spiegami come correggermi, piuttosto!» Controbatto piccata, strappando dei fili d’erba e buttandoglieli addosso.
«Non stiamo facendo altro che litigare. Lo sapevo che sarebbe stata una perdita di tempo.» Risponde Vegeta togliendosi di dosso i ciuffi d’erba, seduto di fronte a me a gambe incrociate, libro di inglese in grembo.
Mi abbandono con la schiena contro il tronco muschioso della quercia alle mie spalle, e allungo le gambe. «La perdita è solo mia, visto che ti sto pagando profumatamente. E faresti meglio a farmi raggiungere dei risultati soddisfacenti prima degli esami.»
In realtà ho dovuto insistere parecchio affinché mi concedesse un po’ del suo preziosissimo tempo per aiutarmi con l’inglese, dopo l’ennesima insufficienza in grammatica di ieri mattina. L’idea è anche quella di aiutarlo economicamente: meglio guadagni questi soldi, che i proventi dei suoi oscuri traffici.
«Sei stata tu a volermi pagare.» Controbatte, mellifluo. «Sai, se mi avessi chiaramente chiesto di uscire, magari ti avrei detto di sì…gratis.»
Insorgo, arrossendo leggermente. «Chissà, magari volevo solo mandarti un “segno”, invece; magari ti voglio solo come prostituto.» «Quanto sei rozza!»
Devo vergognarmi se ricorro a tutto pur di passare del tempo con lui? Devo vergognarmi se mi sono innamorata di lui nel momento più complicato della sua vita?
Figuriamoci! Se gli avessi semplicemente chiesto di uscire mi avrebbe risposto di no, dopo avermi preso in giro.
«Comunque ti sei ridotta proprio in basso, scommetto che all’inizio dell’anno non l’avresti mai creduto possibile: pensarle tutte pur di uscire con me
«Perché mi fai pena.» Sorrido con una smorfia, ma la mia risposta sfacciata, invece di offenderlo, gli piace al punto da dirmi di considerarlo un onore. «Finalmente lo ammetti. Non è bello essere sulla stessa pagina?»
«Oh anche tu sei a pagina trentasei?» Chiedo aprendo libro di grammatica inglese, lasciato alla deriva sul prato fino ad un attimo prima. Riprendiamo gli esercizi.
Convincerlo a venire qui, nella eco dei ragazzi e ragazze che giocano a pallone o chiacchierano, non è stata affatto una sfida come avrei potuto immaginare: proprio lui l’ha proposto e mi chiedo come mai.
L’attesa che qualche strano individuo si avvicini per avere qualcosa da Vegeta mi innervosisce e deconcentra irreparabilmente.
Allo stesso tempo, mi pare di essere stata invitata qui proprio per arrecarmi questo genere di sensazioni sgradevoli. Ancora una volta sono portata a pensare che stia facendo di tutto per mostrarmi in che mondo è costretto a vivere, adesso che manca persino dei soldi per pagare le bollette.
«Finalmente ti ho trovato!» La ruota della sua bicicletta frena a pochi centimetri dalla mano di Vegeta poggiata sul prato. «É più di mezz’ora che giro in tondo, perché non sei stato più chiaro?»

 

Qualcosa di molto importante. Poso le dita sulle braccia nude di Vegeta, puntellate da piccole ferite di flebo. Seguo quelle tracce fino al collo, su cui una, violacea, spicca tra tutte. Vorrei passare lì la mia lingua, e leccare via tutto il marcio della sua vita.
Allontana la mia mano da quel contatto non richiesto, continuando però a stringerla. «Sei fuori strada se pensi che io sia così debole da drogarmi.»
«Non pensavo a questo.» Nonostante i risultati delle analisi siano stati piuttosto chiari, sono sicura ci sia una spiegazione razionale. Erano dosi troppo massicce, somministrate per uccidere, non da somministrarsi per avere la carica ad uccidere.
«Allora perché mi fissi?»
Coperta dalla grata di sole e ombra delle veneziane alla finestra, mi decido a rendere note le mie preoccupazioni. «Mi chiedevo cosa possa esserci di così importante da uccidere un uomo.»
«La libertà, ad esempio.»
Non resisto, calamitata sul suo collo da un’attesa decennale, invogliata dalle carezze inappagate di ieri notte, lo bacio leccandolo proprio lì dove avrei voluto, nonostante lui non risponda che affondando il viso tra i miei capelli.

 

 
«Lolita, fuoco dei miei lombi!» L’accoglie Vegeta con malcelata ironia, mentre io m’infiammo di gelosia al pensiero delle immagine rappresentate da quella semplice frase e dal livido sul collo, opera di lei, non ancora svanito.
C18, bicicletta tra le gambe, lo guarda alzarsi in piedi da dietro un paio di occhialoni scuri. La mascella serrata le si scioglie in una risposta acida. «La maglietta che indossi ti si addice proprio, Vegeta, lo sai?» Lo schernisce riferendosi alla maglia “Unknown Plesure” e a qualcos’altro tra loro di cui sono all’oscuro.
«Se vuoi te la presto.»
«Smettila di prendermi in giro. Posso sempre andarmene.»
«Sicura che puoi?»
«Allora, avete finito i compiti?» Domanda cambiando discorso dopo averlo guardato in cagnesco; ha posto un accento particolare sulla parola compiti come se fosse una bambinata da vergognarsene. «Sono stufa di questo posto.»
«E tu hai finito?»
«Mille questa volta, cinquecento per te. E sappi che mi è costato parecchio nonostante la sicurezza del parco; spero sia finita. Ma tanto allo schifo mi sono abituata, altrimenti non verrei con te adesso.» Schiocca infine, con un immancabile insulto a Vegeta. Detesto come si rivolge a lui e come, insieme, si parlano senza io capisca nulla.
«Ti piacerebbe se ci verresti sul serio.»
«Sono tutta tua, devi solo prendermi.»
«In realtà non abbiamo ancora finito!» Protesto a quel punto, innervosita dai loro alterchi maliziosi. Mi metto in piedi anch’io e mi frappongo tra loro in quel labile raggio di sole che li illumina entrambi. «Non abbiamo ancora finito noi due, Vegeta.» Ripeto, come se bastasse a convincerlo a restare un po’ di più.
«Se paghi la differenza, ti faccio un’altra ora.» Dice tutto serio. Ma la ragazza interrompe per prima la stasi del breve silenzio tra la proposta di Vegeta e la mia. «Stai diventando peggio del tuo strozzino.»
«Sta zitta. Allora Brief?»
Senza remore per il modo brusco con cui me l’ha chiesto, «Accetto!» E mercanteggio la mia parte: «Ti pago anche quelli che prenderesti da lei se li lasci perdere.»
«Che stronzata, non hai tutti questi soldi.» Asserisce C18, lasciandosi scappare qualche corda di rabbia nella voce tremolante, prima di smorzarla in una risata nervosa. Con una punta di orgoglio, però, dichiaro di averne abbastanza nel mio bancomat.
Vegeta non ci riflette che per un attimo e subito ribatte: «Perché non vuoi che prenda quei soldi?»
«Perché non sono una stupida. E ho capito come li guadagnate qui al parco.»
«Di’ un po’ ma sei qui per studiare o per impicciarti dei nostri affari?» Domanda ancora C18.
«Entrambe le cose.» Chiarisco finalmente e guardo Vegeta divertirsi alle mie parole, poi infastidirsi quando viene afferrato dalla ragazza per la maglia.
«Non farlo! Abbiamo un patto noi due.»
«Non intromettermi.» Le dice, stringendole il polso con la mano affinché lasci la presa; e, con tutto l’astio che riesce a raccogliere, si rivolge a me per chiarire il mistero: «Nessuno di noi due ha venduto droga al parco. I soldi li ha appena chiesti al padre.»
«Allora Radish? Vi ho visto insieme l’altra volta.»
«Non devo spiegarti tutto quello che faccio.»
«E lasciami il polso!» Protesta a quel punto lei liberandosi. «Se proprio vuoi saperlo…»
«Non sei tenuta a dirle nulla.» La blocca Vegeta, per estromettermi nuovamente dai loro discorsi; ma lei non gli dà retta e con l’intento di mettermi a tacere una volta per tutte risponde: «Andiamo a vivere insieme. Lui ha bisogno di qualcuno che l’aiuti con le tasse e io a casa mia non voglio più starci.»
«Se vuoi, però, puoi venirci tu al suo posto!» Mi propone Vegeta, tornando ad assumere il tono strafottente di sempre.
«Allora, li finiamo questi esercizi?» Metto fine alla discussione, tornando a sedere contro il tronco. Sono terribilmente invidiosa perché vorrei davvero ma Vegeta non me l’ha mai proposto sul serio. Allo stesso tempo, mi sento una stupida egoista, perché non me ne importa di quello che lui sta passando (lo ammetto!) non tanto quanto la mia voglia di stare con lui. È forse questo che mi rende una bambina viziata?
«Fate come accidenti vi pare, io voglio andare a casa. Dammi le chiavi.» Ordina C18 a Vegeta. «C17 sarà già lì che aspetta.»
«Vengo con te.»
«E la nostra lezione?»
«Non sono più dell’umore.» Annuncia Vegeta mentre raccoglie le proprie cose da terra; non saluta quando va via, né corre per stare al passo della ragazza. Semplicemente, procedono nella stessa direzione, verso la stessa casa, tuttavia distanti. Lei in bici, lui a piedi, contro il sole del tramonto frammezzato dai grattacieli.
Sono troppo orgogliosa per chiedergli di restare. «Bene, andate entrambi a quel paese!» Gli grido contro.

 

«E dove te la trovo la libertà?» Le nostre labbra sono divise da un filo di voce. Sento la sua mano insinuarsi tra i miei capelli; mi tira leggermente indietro la testa, ma non mi bacia.
«Nella fodera del divano del mio appartamento.» Interrompe in modo brusco il romanticismo del momento.
«Che?!»
«Nel laptop non c’era nulla di importante; ciò che cercavano è altrove.»
«Goku lo sa?»
«Non dovrai dirgli nulla.» Mi ordina in tono burbero, tanto quanto le sue dita restano invece morbide tra i miei capelli.
«Allora ti fidi di me ora?»
«E tu invece?» Stringe solo adesso la presa, in una leggera imposizione che mi costringe a guardarlo negli occhi.
Ci rifletto un attimo e capisco di essere stufa delle mezze parole e dei non detti. «Cosa ha significato ieri notte per te?» Chiedo infine, ripensando alle sue mani percorrere il mio corpo, con la stessa estasi febbrile di quelle di un cieco su un volto conosciuto.
«Invece per te? Sei stata piuttosto veloce a infilarti nel mio letto.»
«Perché tu lo sei stato ad accogliermi.»
«Ti avrei accolta anche meglio se ci fossi riuscito.» È costretto ad ammettere con una punta di malizia nella voce. Se non fosse stato nelle sue attuali condizioni, probabilmente, avrebbe scambiato molto più di baci e carezze. Tuttavia, se così fosse stato, questa mattina non mi sarebbe comunque bastato. Non mi basta neanche adesso.
«Era qualcosa di molto più di fisico; ammettilo!»
«Altrimenti non andrai a prendere quello che ho chiesto?»
Gli sorrido prima di tornare a sfioragli le labbra con le mie. «Di' che ti sono mancata, Vegeta, che hai pensato a me in tutti questi anni e, per te, andrò anche in capo al mondo.»
Accoglie la mia supplica con l’espressione maligna e sicura di chi è consapevole dei propri mezzi. «Se ci vai, magari lo scopri.»

 

«Non è che devo avvicinarmi a te solo quando ti pago.» Rimbecco quasi offesa dal suo atteggiamento scostante. Gli porgo la cuffia blu di gomma.
L’odore di cloro della piscina è piuttosto denso sotto il tendone surriscaldato dal sole di mezzogiorno. Un odore che da oggi assocerò per sempre a questa giornata e a Vegeta, in costume accanto a me mentre sistema la cuffia in testa.
«Attenta a come parli, qualcuno potrebbe fraintendere.»
Siamo divisi da appena un passo, come sempre da quando abbiamo iniziato a vederci ogni pomeriggio per le ripetizioni di inglese, continuate fino ad oggi dopo la prima, disastrosa, avuta al parco.
«Io no di certo. So bene cosa vuoi.» Rassicura C18, avvicinandosi a noi. Si sfila l’accappatoio lasciandolo a terra e, prima di raggiungere la sua corsia di riscaldamento, si volta verso Vegeta e dice: «Ma non sei in grado, Vegeta. Spero almeno tu riesca a vincere questa gara.» Le piace torturarlo in quel modo e lo fa spesso. Ciò che mi sfugge, però, è il significato del suo sguardo mentre gli parla così. È come se non fossero provocazioni le sue, ma accuse che suscitano in lui un sentimento di rivalsa. Lo capisco da come le risponde, dalla rabbia che gli ronza nella voce e nei pugni serrati, per un’ennesima prova di inadeguatezza.

 

Scendo a terra dalla finestra appena scassata, stando attenta a non calpestare i pezzi di vetro sul pavimento. Ho dovuto usare la scala anti-incendio per raggiungere l’appartamento di Vegeta.
Dalla camera da letto, arrivo al piccolo soggiorno semibuio. Non ho potuto accendere subito le luci e ho dovuto attendere che lo sguardo si abituasse al chiaroscuro della luna. È rimasto tutto come la sera del ballo, in ordine all’apparenza, ma violato da presenze indiscrete. La polvere ha steso il suo manto sottile e argenteo sopra i pochi mobili e sul divano, ciò per cui sono qui.
Sfilo il coltello dalla borsetta e con precisione quasi chirurgica, come se stessi maneggiando uno dei miei prototipi, taglio la fodera del cuscino a destra. Sotto l’imbottitura, tra le molle, trovo quello che cerco. Questa prima parte è andata.

 

«Ehi, Bulma, è vero che quei due stanno ancora insieme?» Chiede Crilin quando ritorno a sedermi con i miei amici sugli spalti.
«Perché t’interessa?» Rispondo con aria svogliata; continuo a seguirli con lo sguardo mentre entrano in acqua. Vedo C18 avvicinarsi a Vegeta, appoggiato sul divisore di plastica. Il cuore mi batte forte, nonostante sappia che nessuno dei due avrebbe il coraggio di baciarsi in pubblico, ma lei gli sta sussurrando qualcosa all’orecchio.
«Beh, insomma, C18 è molto carina.»
«Carina, è una gran gnocca!» Controbatte Oscar Olong, con quel suo faccione porcino. «Insomma, le ha un po’ piccole ma le hai visto il didietro?»
«Oh volete stare un po’ zitti?» Sospiro di sollievo quando Vegeta infila gli occhialini prima di immergersi in acqua. L’ha ignorata. E spero davvero sia così.
«Scusa, ho fatto solo una domanda!» Si giustifica Crilin, la fronte imperlata di sudore per il caldo asfissiante in cui siamo costretti.
«Già, che acida.»

 

 
Non ci sono stelle stanotte e il parco centrale è molto più sinistro nei miei ricordi che oggi a mezzanotte. La luce fioca dei lampioni forma sul selciato dei coni pieni di moscerini e fa piuttosto fresco nonostante sia Luglio inoltrato.
Stringo la borsetta quasi timorosa che possa scappare con il suo importante contenuto; lancio un’occhiata al mio orologio da polso e poi mi guardo intorno convinta, soprattutto dalla mia paura, di essere stata seguita. Sobbalzo, quando sento chiamare il mio nome. «Bulma Brief. Non ci vediamo per anni e poi per ben due volte nello stesso mese!»
«Sei arrivata finalmente!»
«È appena mezzanotte.»
Sempre bellissima, pur senza la freschezza dei diciott’anni, avvolta in un trench elegante, C18 siede accanto a me. «Allora l’hai portato?» 
«Tu l’hai portato?»
Mi mostra una busta bianca ancora sigillata. «L’ho custodita dal giorno in cui me l’ha data, esattamente come me l’ha data. Era il giorno prima del ritrovo, sai?» Si concede una pausa, volgendo lo sguardo al viale alberato, in questa notte scura velata di misteri e di brina. «È strano come, con tutta questa tecnologia, la carta resti sempre il mezzo più sicuro per custodire dei segreti. Non trovi?»
«Non ne ho idea.» Sono piuttosto incollerita per questo incontro con la faccia più odiata della mia adolescenza che, nolente, ho dovuto accettare di vedere in così fuligginose circostanze.
«Non ti ha detto niente? Tipico!» La sua risata cristallina rischiara il pessimo ricordo che già serbavo di lei. Mai avrei creduto possibile avrebbe avuto un ruolo importante anche oggi. Smette di ridere e si scosta una ciocca bionda dal volto. «Tieni.» Ci scambiamo le due buste. «Spero questa sia l’ultima copia.» Commenta in un sospiro di vittoria. Si alza in piedi, avvicinandosi ad un cestino. Dalla tasca, tira fuori un accendino. «Adesso è davvero finita!» Brucia la busta e la lascia cadere nei rifiuti. La fiamma, tra le carezze di un fumo azzurrognolo dall’odore plastico, le illumina i lineamenti del volto in un contorto gioco di luci. Una ciocca ribelle le cade ancora sul viso, la scosta di nuovo e, dandomi le spalle, va via salutandomi «Ci si vede!»

 

Continua...

 

Ringrazio tutti i lettori, silenziosi e non, di questa storia per essere giunti fin qui. Spero anche questo aggiornamento vi sia piaciuto e che i contenuti di questa storia siano abbastanza maturi e originali da non annoiarvi.  Soprattutto, spero si sia capito il senso di questo capitolo: è sempre difficile descrivere altri personaggi, quando la narrazione è in prima persona.

Leggerò con piacere ogni recensione che vorrete lasciarmi, anche le brutte! ;) 

Alla prossima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** The life I had can make a good man bad ***


turn bad

The life I had can make a good man bad

 

 

 

«Vegeta!»

Non riesco a credere che l’abbia fatto sul serio. Che razza di stronza si comporterebbe così? È stata indubbiamente colpa sua se Vegeta ha subito la peggiore delle sconfitte: quella che sfiora la vittoria per pochi centesimi di secondo. L’ha distratto, chiamando il suo nome, un istante prima che si tuffasse in acqua ed è andato tutto perduto: Vegeta ha dovuto recuperare quei pochi secondi, riuscendo a guadagnare il podio di bronzo ma non la borsa di studio messa in palio dall’organizzazione.
Adesso è furente, lo vedo dalla rigidità dei suoi movimenti mentre esce dall’acqua che fluidamente gli scorre di dosso.
«Vegeta!», ha urlato. Lui non si è girato, ma si è distratto per quell’essenziale manciata di tempo da dover recuperare la distanza che è stata fatale. Distanza che, invece, ha portato Cell alla vittoria.
«Accidenti, non ci voleva proprio!» Lamenta Chichi. «Cinquemila yen avrebbero fatto davvero comodo…» Lascia la scia delle sue parole ricadere nel chiacchiericcio circostante, mentre scende i gradoni degli spalti per andare da un imbarazzatissimo Goku arrivato secondo.
Del canto mio, continuo a seguire con lo sguardo Vegeta dirigersi agli spogliatoi. Non posso capire come si senta, tuttavia la rabbia che mi monta dentro ha note diverse dall’empatia, più simile, invece, ad una morsa al cuore, che dico? È il cancro della gelosia! Perché mi accorgo, adesso, in un lampo di lucida comprensione, di quanto Vegeta sia succube di C18. Un istante e ha perso la concentrazione al sentire il suo nome gridato da lei. Da lei che gli ha morso il collo, da lei che lo tormenta senza motivo, da lei che lui stesso disprezza!
Che razza di rapporto hanno, cos’è che li unisce in un legame così totalizzante, così fuori dalle linee che disegnano il carattere di Vegeta? Gli piace davvero così tanto?
Ed io? Tutto ciò su cui punta la mia di concentrazione è il contorno, piuttosto del suo stato d’animo a proposito del quale ho poche parole di conforto da scambiare.
Poi immagino bene lui non vorrebbe vedere nessuno adesso. Eccetto C18, forse? Dov’è andata?
«Crilin, dov’è C18?» Chiedo al mio amico intento a raccogliere da terra le cartacce delle brioche mangiate durante la gara.
«Credo negli spogliatoi, indossava ancora il costume, dovrà cambiarsi prima o poi. L’ho vista parecchio scocciata dall’esito delle gare femminili.»
«Sapessi cosa me ne importa, ben le sta!»
«Allora perché accidenti mi hai chiesto di lei?»
Ovviamente perché, immaginando l’avesse seguita come un lupetto in calore, mi premeva sapere che non fosse sparita insieme a Vegeta. A Crilin questo non posso dirlo. Ancora, però, se così fosse stato, avrei avuto ben miseri motivi per andare da lui e scacciare lei.
«Ma fatti gli affaracci tuoi qualche volta, no?» Sbotto, incollerita con la mia inutilità, piuttosto che con il mio compagno. «Andiamo dagli altri coraggio!»
«Certo che hai proprio uno strano carattere tu…»
«Che cosa?»
«Nulla, nulla.» Biascica sulla difensiva, raggiungendo Chichi che litiga con Goku.

 

A seguito delle dovute lamentele sul chi avrebbe potuto e su chi non avrebbe dovuto vincere, siamo già fuori verso la macchina, lasciata in parcheggio, per tornarcene tutti a casa. Chichi è talmente giù di morale che ha anche smesso di accusare (ingiustamente) Goku del poco impegno secondo lei dimostrato.
Il cielo volge all’imbrunire e c’è un’arietta calda e profumata di fiori che mi rincuora, per quel poco in cui non noto C18 che ascolta musica a tutto volume dalla sua vettura. Le gambe, fasciate da collant bianchi, le sbucano dalla portiera aperta, un piede si agita a ritmo, roteando una ballerina nera sulla punta delle dita. La odio da morire, starà sicuramente aspettando Vegeta.
Ho tutta intenzione di ignorarla e ficcarmi in macchina, purtroppo per me, però, Crilin manca cotanta indifferenza e, con un coraggio di cui mai l’avrei creduto capace, si avvicina a salutarla. Si avvicinano dunque tutti a salutarla, perché condividono tutti gli stessi placidi sentimenti nei confronti della povera ragazza maltrattate durante il ballo.
«È andata male anche a te, eh?» Domanda Crilin.
«Sai che me ne importa!» Mi arriva solo la sua voce, giacché mi trattengo in disparte e la vedo poco bene.
«Non dirmi che non ti interessava il premio?» Chiede Chichi, molto sorpresa.
«Sono venuta perché non avevo nient’altro di meglio da fare.»
È difficile non credere quanto possa essere indisponente. Tuttavia sarà lei a tornarsene con Vegeta, lo sta addirittura aspettando! Ne capisco sempre meno.
«Perché non andiamo tutti a prenderci un frappè?» Propone Crilin, ma C18 sbiadisce il suo entusiasmo con un colpo. «Sto aspettando… il mio ragazzo.»
L’ha detto, alla fine, l’ha detto: per la prima volta accenna a Vegeta con un simile appellativo e sono sicura sia stato solo per indispettirmi. Ora, essendomi avvicinata, riesco anche a vederla meglio seduta sempre sul sedile, rivolta ai miei amici.
Lui ha sempre negato la loro relazione. Di nuovo, che razza di relazione sarebbe poi? Soprattutto, perché non è arrabbiato con lei?
Rivolge a tutti un sorriso maligno. «Eccolo, sta arrivando.» Ci dividiamo, nel tempo in cui l’oggetto del malanimo di Crilin cammina altezzoso fino a C18.
«Togliti quel cazzo sorriso dalla faccia.» Le bercia con tono asciutto, aprendo la portiera posteriore per ficcarci dentro il borsone. «Insoddisfatto per l’esito della gara?»
La osserva un attimo, prima di sbatterle in faccia la portiera del suo lato, talmente forte che avrebbe potuto romperla. Lei allora riapre subito e scende fuori. «Che ti salta in mente? Potevi prendermi le gambe, deficiente
«Falla finita e risali in macchina. Ce ne andiamo.»
«Per niente, stavamo parlando. Il piccoletto qui mi invitava a bere un frappè.»
«Ecco, io veramente dicevo che potevamo andare tutti non solo lei in particolare!» Si appresta a specificare Crilin, timoroso che Vegeta, già nervoso, possa avere una reazione di gelosia e spaccargli la faccia. Invece, non accade nulla di tutto ciò. Arensay, infatti, gli sorride con sarcasmo, tenendo a fargli i complimenti per l’ottima scelta.
«Comunque, potremmo andare davvero a prenderci un frappè; per calmarci tutti quanti.» Ripropongo. L’idea di passare ancora del tempo con C18, o anche peggio con C18 insieme a Vegeta, mi ripugna, però sentivo di dover palesare la mia presenza, visto e considerato che qualcuno pare non averla affatto notata. Inoltre non è escluso che a vederli insieme magari ci capisca qualcosa del loro rapporto.
«Perché ti pare abbia bisogno di calmarmi, Brief?» Stiletta Vegeta verso di me, restando al centro come un accusato il giorno della sua esecuzione.
«Direi di sì.» Azzardo.
«In fondo, perché dovrei? Ho perso contro questo…» Guarda Goku con disprezzo, «Demente per colpa di questa cretina qua.»
«L’ho fatto per amore!» Gracchia C18, scoppiando a ridere.
«A chi avresti dato del demente, scusa?» S’intromette invece Chichi.
«All’imbecille che ti porti dietro.»
«Ehi Vegeta, ora non esagerare per favore!» Si difende Goku. «Non è colpa mia se sei arrivato terzo.»
«Infatti.» E l’ha detto in un modo così brusco da dimostrare il contrario.
«Di certo avresti potuto non distrarti. Chi l’avrebbe mai detto mi avresti dato tanto credito!» Continua a prenderlo in giro C18.
«Te l’ho già detto che devi stare zitta?» Tuona Vegeta di rimando. «Ringrazia solo che non hai vinto il primo premio, Kakaroth, o te li avrei fatti ingoiare quei soldi, uno dopo l’altro.»
Chichi ritorna all’attacco. «Dì un po’, con chi credi di avere a che fare, eh? Noi ce li saremmo meritati molto più di te.»
In un attimo la discussione si accende, aizzata da toni sempre più bruschi, in un teatrino che coinvolge anche gli altri presenti nel parcheggio. Continuano fino a che la risata roca di Cell li interrompe. «Ah ah, state davvero litigando per i quattro spiccioli del premio? Vegeta, mi deludi. In fondo, sapevi benissimo che avresti perso. Avresti dovuto immaginarlo.»
All’apparizione funesta C18 smette finalmente di fare l’imbecille per richiudersi in macchina. Vegeta dal canto suo si irrigidisce, senza tuttavia perdere la consueta arroganza. «Sappiamo tutti e due che non avresti vinto se fossi rimasto concentrato!»
«Ma certo, lo so; lungi da me un parere contrario.» Lo schernisce ancora Cell. «Di fatto, però, ti sei distratto per una bella biondina.» Poi apostrofa Goku. «Tu invece mi hai sorpreso, sei stato molto veloce.»
«Solo perché io sono stato troppo lento, per cause di forza maggiore.» Risponde allora Vegeta.
«Ti piace stare sempre al centro dell’attenzione, non è così Vegeta?» Rimbrotta Chichi, in difesa dei complimenti rivolti al proprio ragazzo.
«Su coraggio, ho avuto solo fortuna!»
«Fortuna, un cazzo. Perché non me l’hai detto che nuotavi?»
«Perché non è vero, ho vinto perché sei partito in ritardo e poi perché, beh, insomma, sono più alto di te e quindi arrivo prima!»
«Che cosa, che c’entra?»  
A questo punto non posso che ridacchiare dell’osservazione, quanto mai giusta, di Goku, guadagnandomi una tenebrosa occhiataccia da parte di Vegeta.
«Brief, si può sapere che hai da ridere?» Decisamente non è affatto in vena. E come potrebbe esserlo dopo aver perso cinquemila yen per una sciocchezza? Maledico il mio solito essere inopportuna.
«Calma, calma ragazzi.» Ci riporta alla pace Cell. «Essere alle cinghia ti rende proprio nervoso, bello mio. Credimi, non c’è motivo.»
Vegeta borbotta di essersi rotto, deciso a rientrare in macchina e a sfrecciare via. Cell pare però risoluto a non lasciarlo andare così, non ancora. «Non vuoi ascoltare la mia idea?»
«Me ne frego.»
«Guarda che è una buona idea.»
«So bene come finiscono le tue idee del cazzo.» È costretto rivangare la rissa dei giorni scorsi, a seguito della quale si è guadagnato gli spergiuri dei gemelli Gero e una scarica di mazzate da chi adesso gli parla in maniera tanto melliflua, da grande amico che non è.
«Questa è una buona, mi è appena venuta.»
«E rificcatela da dove ti è venuta, allora.» Lo minaccia, stringendo un pugno.
«Pensi sempre a menar le mani! Presta attenzione alla mia proposta, invece. Pensavo che, se siete ancora interessati al premio di oggi, potrei metterlo nuovamente in palio.»
«Hai una piscina per caso?» Chiede Goku.
«Affatto.»
La risposta soddisfa poco Goku, lasciandolo confuso. «Non capisco.»
«Se siete tutti d’accordo, vorrei invitarvi a un torneo di poker. Questa sera da me.»
C18 abbassa il finestrino della macchina e si sporge fuori con metà busto. «Io direi che non siamo d’accordo.»
«Invece sì che lo siamo.»
«Vegeta, l’ultima volta non ti sei fatto molto onore o hai dimenticato com’è finita? Torniamo a casa.»
«Questa volta sarà diverso.»
Cell scoppia a ridere. «Hai qualche asso nella manica forse?»
A tutto questo assisto basita; stiamo davvero mercanteggiando una partita di poker con un ragazzo pieno di boria che nel tempo libero vende droga?
«Non mi pare male come idea, è sempre piacevole passare una serata a carte.» Commenta Goku.
Porto avanti le mie preoccupazioni. «Goku, ma che stai dicendo? Siete tutti impazziti? Non dovremmo avere niente a fare con questo qui!»
«Questo qui come, bellezza?»
Spunto i gomiti ai fianchi e lo guardo dritto negli occhi. «Mi ricordo bene di te. Hai rovinato la mia festa di San Valentino con i tuoi traffici. E tu Chichi, l’hai forse dimenticato?»
«Non l’ho dimenticato; infatti, Goku non andrà da nessuna parte questa sera.»
«Chi se ne frega di lui. Io vengo, invece.»
«Bene, sarà divertente. In quanto a voi, che posso dirvi? Ho molti interessi. E se cambiate idea siete invitati a far baldoria; ovviamente, più siamo più ci divertiamo.»
«Dimentica quello che ha detto Vegeta. Noi non veniamo!» Sentenzia C18; non ha però il coraggio di guardare Cell in faccia, spaventata a morte da quello presumo sia stato il loro ultimo incontro.
«Parla per te. Ho già detto che vado.»
«Vai?»
«Sì.»
«E vai allora. Vattene proprio a fanculo Vegeta!» Rientra in macchina, passa al posto di guida e mette in moto. Con una manovra veloce si trova adesso davanti a noi e dal finestrino domanda a Crilin: «Me lo offri questo frappè o no?» Di certo non è un’offerta, quanto piuttosto una sfida al proprio ragazzo.
Crilin, invece, resta stordito a metà nello spazio tra i due. Credo di capire come si senta; vorrebbe andare ma teme la reazione di Vegeta, la quale tuttavia non si fa attendere; con una manata dà una spinta a Crilin, che incede barcollando verso la macchina di C18. «Non vorrai mica farla aspettare?»
«Ecco io…»
«Allora ti decidi o no?» Incalza la biondina con aria da rimprovero, la musica di nuovo a tutto volume, le mani sullo sterzo, la figura confusa di Crilin specchiata sugli occhiali da sole (che stranamente ha voluto indossare a quest'ora) e, nello sfondo, tutti noi attoniti.
Il mio amico si passa una mano sulla fronte, lancia un’occhiata a Goku e allora si decide finalmente a salire in macchina. Sgommano via, presumibilmente verso il Namecc.
«Tu sì che sai come tenere a bada le donne, Vegeta!» Commenta Cell, ma il suo sarcasmo viene ignorato.
«Allora per stasera è deciso.»
«Non vedo l’ora! Rinnovo l’invito anche a voi altri, per le nove e mezza. Abito nei pressi di Ginger Town, numero uno. Una casa grande sul ciglio del bosco. Portate anche gli amici dei vostri amici.» Detto ciò, nemmeno ci saluta e prende il tragitto per la sua macchina.
«Sul serio hai intenzione di andare Vegeta?» Chiedo, con una voce che suona molto più dolce di quanto non avrei voluto.
La sua invece non ammette repliche. «Perché non dovrei?»
Goku gli offre un passaggio fino a casa, che viene rifiutato con molta arroganza. Alcuni istanti dopo, quando siamo già in macchina per strada, notiamo Vegeta che chiama un taxi dal marciapiede.
Dal finestrino sul retro, continuo ad osservarlo fino a che non svoltiamo l’angolo. «Non pensate che dovremmo andare anche noi, stasera?» Propongo, tornando composta sul sedile posteriore.
«Non lo pensiamo affatto, vero Goku?» È la perentoria risposta di Chichi, ancora più infastidita adesso che sa che il premio è stato vinto da un ragazzino viziato, per giunta bocciato, per giunta un teppista, che si gioca i soldi ad azzardo!
Quando io e Goku restiamo soli però, dopo averla lasciata a casa, ritorno sulla mia proposta. «Hai mai giocato a poker?»
«Bulma, ma perché insisti così tanto? Credevo non ti piacesse quel Cell!»
«Infatti è così. Però, non vorrei Vegeta si mettesse in qualche guaio! È molto nervoso in questo periodo, e se dovesse scoppiare un’altra rissa non avrebbe nessuno dalla sua parte. Ti prego, accompagnami tu questa sera!»
«Ma Bulma non posso, cosa direbbe Chichi se lo scoprisse?»
«E tu non dirglielo, no? Poi scusa, se dovessi vincere tutti quei soldi, non credi che la faresti davvero contenta? A quel punto, se lo scoprisse, scommetto che non le importerebbe!»

 

Villa Gero. Un rigurgito moderno sulla strada per Ginger Town, numero uno, al ciglio del bosco.
Non sapevo nemmeno che lui e i gemelli fossero in relazione.
Il cancello è già aperto per gli eventuali ospiti. Motorini e macchine costellano il viale di ciottoli fino all’ingresso. La musica arriva all’esterno dai finestroni aperti. Una volta dentro, nell’arredamento stile anni settanta predomina un bianco assoluto con sprazzi di colore delle lampade moderne. Mi pare di essere finita in un set di Kubrick! Dall’ingresso non è difficile orientarsi; la casa, dalla forma ovale, non ha porte al piano inferiore e possiamo facilmente scorgere il grande salone in cui sono stati predisposti dei tavoli da gioco. I mobili consueti sono stati ammucchiati agli angoli della stanza. Ci sono davvero molti ragazzi, alcuni de quali ballano o chiacchierano. C’è persino un cartellone con i nomi dei partecipanti. Cell ha fatto proprio le cose in grande!
Noto subito che siamo solo giovani, al massimo di diciotto o diciannove anni. Nessun genitore; una loro vacanza ha probabilmente reso possibile tutto ciò.
Goku fa la mia stessa osservazione. «Ha fatto proprio le cose in grande questo Cell!»
«Già, lo stavo pensando anch’io!»
«Credi che Vegeta sia già arrivato?»
Mi guardo intorno, senza scorgerlo da nessuna parte. «Non saprei.»
Cammino stando attaccata a Goku. All’apparenza sembra una serata come tante altre, con ragazzi e ragazze del tutto anonimi. Tuttavia, lo stare a contatto con Vegeta mi ha mostrato come la società sia invece frastagliata da mille sfumature. Ho sempre scioccamente creduto che tipi come Cell o, certo, come Vegeta stesso, fossero facilmente classificabili. Invece, non è così. Il primo, a vederlo per strada, è una ragazzo di buona famiglia come tanti, annoiato come tanti, ma la cui personalità va ben oltre la semplice apparenza. Anche Vegeta è impossibile da decifrare! Ed è forse questo che lo rende tanto affascinante.
«Ehi, io vado a dare un occhiata per vedere se trovo qualcosa da mangiare, ti va?»
«Non ho molta fame, adesso. Vado a prendere una boccata d’aria, mi trovi in veranda.» E gli indico il punto della casa verso cui sto per andare con una spuntata di mento.
Prendo una sigaretta dalla borsa e l’accendo prima di uscire. La veranda è di legno grigio, e si apre con una fila di gradini verso il bosco. Sbuffo mentre mi siedo, appoggiandomi alla ringhiera. L’odore dei pini si confonde nella nicotina e sento il fresco della sera sulle gambe nude.
«Così ci sei anche tu, avrei dovuto immaginarlo. E a chi faresti da balia stasera?» Domanda Vegeta venendo dal salotto. Dalla mia prospettiva è una figura scura stagliata contro le luci del patio; si siede accanto a me.
«A te ovviamente. Goku è qui per fare rissa al tuo fianco, nel caso si mettesse male.»
Ride della mia risposta. «Grazie tante ma non ce ne sarà bisogno.»

Coyness is nice, and
Coyness can stop you
From saying all the things in
Life you'd
like to

 

Faccio un lungo tiro, e finalmente mi decido a iniziare il discorso che mi preme più di tutti. «Di’ un po’, ma non ti scoccia che Diciotto sia uscita con Crilin?»
«L’ha fatto solo per indispettirmi. Comunque, per quel che mi riguarda poteva portarsela pure a quel paese.» Ammette alla fine, massaggiandosi il collo ancora livido dal suo passaggio sul suo corpo. Non vedo l’ora che quell’odioso livido si ritiri del tutto. «Scommetto che lo pensi solo perché oggi ti ha fatto perdere.»
«Uh, quella è stata l’unica cosa con cui ha dimostrato di tenere a me in qualche modo!»
Resto meravigliata dalle sue parole. «Ma in che senso, scusa?»
«Se te lo spiegassi, non ti piacerei più e non avrei più nessuno a difendermi stasera.» Ci scherza su, nascondendo le sue vere ragioni.

Ask me, ask me, ask me
Because if it's not Love
Then it's the Bomb, the Bomb, the Bomb,
That will bring us together

 

«Sul serio, come accidenti stanno le cose tra di voi?»
Vegeta torna in piedi e con molta insolenza dice: «Stanno iniziando. Mi raccomando resta nei paraggi, non vorrei qualcuno mi picchiasse quando tu non sei pronta a difendermi. Poi chissà, in un certo senso potrei preferire te a lei.»

 Nature is a language, can’t you read?

Nature is a language, can’t you read?

 

 «Allora Zarbon, ti piace come idea?»
Dalla cornetta si sentì il ronzio di una risata nel silenzio della stanza semi buia. «Ah ah, amico, la tua ingenuità mi commuove. Secondo te sono così babbeo da darti retta? Avanti, spara, qual è il tuo vero piano?»
«Scommetto che nemmeno voi volete che la polizia inizi a ficcanasare tra i vostri affari, o sbaglio? Sarebbe quindi meglio per tutti se, ad esempio, ti venisse voglia di passeggiare fin qui a prendere l’ultimo contratto. Ve lo cedo, in cambio di un milione.» Ma sì, che venisse pure a prenderlo, pensò Vegeta. Poteva anche dire la verità, di certo non avrebbero rischiato di andare fin là per costringerlo a parlare: la casa di Bulma era piena di telecamere, e sarebbe stato piuttosto difficile, per Freezer e i suoi scagnozzi, cercare di spiegare alla giuria il motivo di tanto disturbo. Tuttavia, avrebbero volentieri messo le loro manacce su quei documenti su invito.
«E chi mi assicura che tu ce l’abbia sul serio e che non sia per uccidermi?»
«Nessuno in verità, ma varrebbe la pena correre il rischio, no?» Zarbon iniziò a pensarci sul serio, scontento com’era della piega che stava prendendo la situazione: la polizia aveva già iniziato ad indagare sulla Freezer Corporation, alla luce delle ultime notizie ricevute. L’impero economico, che lui stesso aveva contribuito a costruire in anni di abnegazione, rischiava ora di sciogliersi come neve al sole e la sabbia, con cui avrebbero voluto ricoprire i loro loschi affari, sfuggiva loro di mano nella tempesta sollevata da Vegeta. «In fondo, non siete meno colpevoli di me. Dico bene…amico?»
Con la mano libera aggiunse altri cubetti di ghiaccio al liquore che stava bevendo per calmare i nervi. «Occorrerebbe la firma di Bulma Brief per renderlo legale.» Arguì, senza sapere di aver appena abboccato all’amo. Con quella frase, infatti, Zarbon aveva implicato l’illegalità della manovra e per giunta in una conversazione telefonica che, Vegeta ne era sicuro, Freezer avrebbe potuto usare contro di lui in tribunale.
Adesso, questa possibilità si era esaurita nell’inettitudine del suo sottoposto: la Ginew avrebbe potuto richiedere i tabulati alla questura, ma quale idiota avrebbe contato su una conversazione telefonica in cui entrambe le parti si professavano colpevoli? Di certo non chi avrebbe voluto uscirne pulito come un lenzuolo fresco di bucato!
Vegeta sorrise malignamente alla prospettiva di poter farla franca, ancora una volta. «Vedrai, Zarbon, lo troverai già firmato, non c’è nulla che quella sciocca non farebbe per me.»
Zarbon però non era stupido fino a quel punto, e per un attimo, sì, per un attimo, lo attraversò l’idea che Vegeta lo stesse fregando. Prima di parlare, mandò giù un sorso amaro di liquore che sapeva di dubbio. «Quindi tradiresti così la donna che ti ha salvato la vita?» Trovava sospettoso che Bulma Brief avesse deciso di accogliere in casa un delinquente come Vegeta, raccattandolo per strada, e che Vegeta stesso si fosse ribellato proprio quando la Freezer Corp. puntava di attaccare le finanze della Capsule Corp. La Ginew aveva quindi investigato sulla relazione che legava i due scoprendo che si conoscevano già da moltissimi anni. Che poi i due non fossero mai stati visti ufficialmente insieme non tratteggiava che la discrezione di lui: Vegeta aveva sempre svolto incarichi molto delicati per Freezer e mantenere un profilo basso era essenziale; una relazione con una donna ricca e famosa come la Brief avrebbe reso impossibile agire indisturbato, era dunque stato bravo a nasconderla. Odiosamente bravo in tutto quello che faceva.
«Quindi tradiresti la donna che ti ha salvato la vita?»
«Non è colpa mia se ha una cotta per me dai tempi del liceo!» Rise di gusto alle proprie parole e continuò, dando il colpo di grazia. «La Ginew ha avuto un po’ troppa fantasia nel ricostruire la mia relazione con la Brief che, davvero, non ho visto per anni. Inoltre, dimentichi che, se mi trovo qui in casa sua, è per ordine delle autorità, non perché lo voglia.»
«Un milione hai detto?»

 

 Money, it's a crime
Share it fairly but don't take a slice of my pie
Money, so they say
Is the root of all evil today

Sospiro di sollievo quando sento la musica provenire dal salotto, in cui c'è un'unica, piccola lampada accesa sul tavolino da tè. Nel vedere tutte le luci spente mi ero spaventata. La missione di stasera mi ha resa suscettibile a tutto. Accendo le luci e porto con me la borsa fino al salotto, in modo da consegnare subito i documenti a Vegeta. Mi chiedo cosa possa essere di così importante, cosa possano dimostrare e, ancora una volta, quale sia il ruolo di Diciotto in questa storia.
Trovo Vegeta in salotto, appoggiato all’impianto stereo dandomi le spalle; sicuramente si è accorto del mio ritorno, ma ugualmente non fa una piega, nonostante io sia uscita proprio per una sua importante commissione.
«L’hai preso?» Si degna di chiedere, sempre senza voltarsi, solo una volta che gli sono accanto. Continua a sbirciare tra i miei vecchi vinili, neanche fosse in un negozio di musica, mentre le note scemano nel sottofondo.
Yeah, absolutely in the right

I certainly was in the right

«Sì» Rispondo proprio quando la canzone finisce nel silenzio. È tutto quanto riesco a dire, confusa dalla sua accoglienza. Non che mi aspettassi chissà quali feste, però, di certo non è l’atteggiamento di chi ha finalmente ricevuto “qualcosa di molto importante.” Che avesse avuto solo intenzione di aiutare C18, facendo in modo che fosse lei ad avere quel qualcosa di importante? A dispetto di ciò, è impossibile che ci sia ancora del tenero tra i due, sarebbe assurdo ora che lei è felice con Crilin. Lo è davvero, felice con Crilin?
Si volta verso di me, con in mano un vinile degli Smiths. «Cosa ne ha fatto della busta?»
Si sta di certo riferendosi a lei. «L’ha bruciata.»
Noto che alla mia risposta le sue labbra si increspano leggermente in un ghigno che preferisce trattenere. Sistema il vinile nel lettore. Parte un altro pezzo.
«È qui l’altra?» Lascio che mi sfili la borsetta dalla spalla, ma invece di prenderla la fa cadere in terra, in un tonfo al primo accordo della canzone scelta.
Good times for a change
see, the luck I've had
can make a good man
turn bad

 
Le sue intenzioni diventano esplicite appena mi sbottona la gonna che scivola giù fino alle caviglie. Dimentico i miei interrogativi ad ogni battito accelerato del mio cuore, quando mi libera anche del top e resto in reggiseno e slip. «Sarebbe divertente, se adesso me ne andassi via.» Dice con dispetto.
«Sarebbe divertente, se adesso me ne andassi via io, Vegeta.» Rispondo con orgoglio e, invece di andare via, lo tiro a me dalla maglia, e inizio a spogliarlo a mia volta.

So please please please
let me, let me, let me
let me get what I want
this time

 
Mi bacia mentre mi slaccia il reggiseno, mi sciolgo al contatto del mio petto con la sua pelle. Un bacio tra il collo e la spalla e mi solleva da terra per portarmi al divano. Una volta nudi, diventiamo un corpo solo entrando in noi stessi ad ogni colpo di reni.
Haven't had a dream in a long time
see, the life I've had
can make a good man bad

Continua…

 

 

 

 

Salve a tutti! Ecco l’ultimo aggiornamento, come sempre, a costo di ripetermi, spero sia stato di vostro gradimento e grazie per aver seguito sin qui!
Ho letto e riletto ciò che ho scritto, e mi pare (per una volta!) di non aver lasciato errori di battitura o sviste grammaticali o ripetizioni. Nel caso, ben vengano eventuali segnalazioni, non mi offenderò di certo; purtroppo non ho più una beta e quindi mi sfugge sempre qualcosa.
Mi farebbe piacere un vostro commento, bello o brutto che sia, quindi non siate timidi! ;)
Il prossimo aggiornamento ci sarà (sempre che non cambi idea, il che è possibile) dopo il 12 giugno, perché mi sto preparando per un concorso e insomma mi tocca studiare! :D
Ciao ciao!

PS: le canzoni usate in questo capitolo sono, in ordine: "Ask" degli Smiths; "Money" dei Pink Floyd; "Please, please, please" degli Smiths.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** L'inizio del gioco ***


296

L'inizio del gioco

 

Credere è molto monotono,
Il dubbio è profondamente appassionante.

Oscar Wilde

 

 

Reclino la schiena all’orgasmo che trascina il mio ultimo spasmo, al petto brucia una suzione di fuoco proprio su questo mio cuore rinvigorito dalla passione di Vegeta. Anche lui arriva al piacere con una spinta più profonda delle altre e le labbra gli tremano sfiorando la mia pelle sudata in un ringhio roco e sommesso. Tuttavia, decide di cambiare posizione ed appaga tutta la sua erezione muovendosi lentamente sopra di me. Mi guarda negli occhi ed io, incapace di lasciarlo andare, vorrei restare così in eterno, piena del suo corpo. Gli lecco un orecchio, succhiandogli il lobo, mentre sento che già mi abbandona.
«Tutto qui?» Sussurro umidamente. «Sono ancora così eccitata che…» Interrompo la frase e lambisco al collo per impedirgli di allontanarsi.
«Che…?»
Lo cingo in vita con una coscia, su cui lui stringe le dita a seguito di una carezza. «Che potrei essere costretta a toccarmi da sola.» Segno una linea sul suo petto scolpito e percorro la via della mia intimità. Capisco di averlo sorpreso dal sorriso malizioso che mi rivolge. No, Vegeta, non sono la ragazzina di fragola della tua adolescenza! Trascinato dalla mia provocazione mi bacia, tracciando le mie labbra con la punta della sua lingua, per poi mordermi la bocca e ogni mio palpito fino al ventre.

 

Lo osservo mentre chiacchiera con Goku riguardo la gara di oggi: non riesce ancora a convincersi della sconfitta e crede ci sia stato qualche trucco sotto. Tutta la mia concentrazione è sulle sue labbra, che hanno eroso il tormento dei baci di C18. E chissà se non l’avrà morso quando, preda delle sue focose spinte, non ha trovato altro che quel punto per soffocare la sua frenesia. Come potrebbe essere con Vegeta? L’immaginazione, senza alcuna viva esperienza, non riesce a soddisfarmi, non avendolo comunque mai fatto.
«Che guardi?»
Arrossisco, quasi timorosa lui possa aver colto i miei pensieri sconci. «Ehm, hai una macchia sulla maglia.» Biascico da vera cretina.
«Di che parli, dove?» Inizia inutilmente a ispezionarsi la maglietta in realtà intonsa.
«Oh beh, magari era solo un pelucco.» Gli spolvero una spalla, ridacchiando, stizzendolo e mi scaccia la mano per levarsela di dosso. Accendo un’altra sigaretta, appoggiandomi alla spalliera di una poltrona rossa. «Uhm, la prossima volta ti faccio andare in giro tutto sporco.» Proferisco, quasi offesa.
«Pensi sempre alle cretinate.» Commenta lui con un cipiglio urtato e il disgusto per l’odore di fumo che fuoriesce dalla mia bocca.
«Ehm, a proposito di cretinate… ecco, credo di aver dimenticato i soldi a casa!» Annuncia Goku, addentando un panino. Pare il più rilassato di tutti quanti, completamente dimentico di essere a casa di colui che si sarebbe rivelato un vero folle. «Bulma, non è che potresti prestarmeli tu?»
Felice che l’attenzione si sia spostata altrove, infilo la mano in borsa alla ricerca del portafogli. «Sei sempre il solito, Goku! Fortuna che ho portato venti yen. Che dici Vegeta, saranno sufficienti per il primo giro?» Glieli mostro tra pollice e indice.
Li sfila via. «Tranquilli, non servono soldi.» Ammicca un ghigno, e m’infila la banconota nel bordo del top, per darmi noia con un atteggiamento da magnaccia. Stringe il petto asciutto nelle braccia incrociate e, crucciato, si volta verso l’ospite appena entrato.
«Allora, amici ed amiche!» Inizia Cell dal centro del salotto a braccia aperte ad accogliere lo spazio circostante di gente. «Le regole le conoscete già, ma le ripeterò ugualmente per i nuovi arrivati.» Accarezza i presenti con lo sguardo, fino a fermarsi su di me e Goku. «Sono molto semplici. Si puntano gettoni, ogni gettone vale un pugno, per un massimo di venti ciascuno, che il migliore del tavolo elargirà al perdente, nella misura del piatto. A tutti gli altri, non resterà che la noia del secondo posto e la speranza di alleviare il proprio tedio giovanile alla prossima… mano. E mi raccomando, i gettoni, una volta spesi, non vengono ristorati per cui, cercate di bluffare con creanza!»
«Si puntano pugni?» Domando allora esterrefatta da quell’iniziativa da scapestrati, a metà da una bambinata e una bravata.
«Mi spiace, tesoro, lo strip poker è la prossima settimana.» Scherza qualcuno tra gli astanti, propizio a coinvolgerli tutti in una risata sguaiata e sanguinea, fomentata subito da Cell, il “capo banda”. «E in quel caso, saresti ovviamente invitata!»
«E quale accidenti sarebbe il motivo?» Continuo imperterrita, ora preoccupata per aver coinvolto Goku in questa scemenza, anche perché, se qualcosa andasse storto, come li spiegheremo, a Chichi, eventuali lividi sul volto?
«Quale sarebbe il motivo, chiedi?» Ripete Cell di rimando, mentre percorre la distanza che ci separa. «A dire il vero non lo so nemmeno io. Forse la noia. O, semplicemente, mi piace sentirmi vivo, sentire l’adrenalina dell’ansia di poter essere colpiti, restare indenne mentre a qualcun altro, preso dal terrore, viene spaccata la faccia per una semplice casualità. Oh, mi viene duro solo a pensarci!» Il volto magro gli si apre in un indecente sorriso da maniaco e mi sfiora una guancia con una delle sua dita lunghe e candide. «Sarà uno spettacolo questa tua pelle di pesca coperta di sangue!» Scaccio la carezza sgradita e ricolma di fierezza annuncio che non ho intenzione alcuna di partecipare. Ma non è con uno dei miei amici che sto parlando! Dall’alto del suo metro e novanta, Cell carica un imprevedibile schiaffo che, come un’onda contro uno scoglio, s’infrange repentino sul mio volto e mi appassisco come una rosa colpita dal temporale.
«Ehi!» Lo riprende Goku, parandomi un braccio davanti, gli occhi di brace promettono una resa repentina dei conti. Ciò che mi brucia più dello schiaffo è però l’indifferenza di Vegeta, imbronciato per fatti suoi in un angolo.
Cell scoppia a ridere. «Uno spettacolo!» Esclama lascivo, puntando il mio viso arrosato. «Non vedo l’ora di ricevere i tuoi pugni, campione!» Dice infine al mio protettore con una pacca sulla spalla. «E adesso, amici cari, che il divertimento abbia inizio!» Strepita in un gorgheggio di tronfio. «Gli spettatori sono pregati di divertirsi, ubriacarsi, farsi e, perché no, scommettere su chi arriverà intonso alla fine, guadagnandosi il premio di 5000 yen!»
Un latrato di euforia esplode dalle bocche di tutti, che applaudono estasiati al padrone di casa. Il quale pieno di sé raggiunge il suo trono: una poltrona al capo della tavola al centro della sala. Penso ad Irvine Welsh, e ai suoi personaggi devoti ad overdose di droga e di gente; ripenso a C18 e al suo orgoglio frustrato dal terrore di questo psicopatico di nome Cell.

 

Ripercorro a ritroso il tragitto, salato di sudore, dal suo ventre alla sua bocca, che torno a baciare come distillasse piacere eterno. Gli stringo le cosce alla vita, mentre mi rizzo seduta in ginocchio su di lui, disteso sul tappeto.
«Lo desideravo da una vita!» Ammetto. Lui fraintende le mie parole e mi guarda con un sopracciglio alzato dalla confusione. Gli do un colpetto sulla pancia. «Scemo, intendevo fare l’amore con te.»
Si solleva a mezzo busto, le sue braccia restano però puntate a terra, invece di abbracciarmi. «Immaginavo.» Lancia un’occhiata al mio orologio da polso. «È da un bel po’ che lo dimostri.»
Il suo sguardo resta sospeso, pensieroso, su quel contatore del tempo per un breve istante. «E il rodaggio con chi l’hai fatto, con quell’idiota di Yamcha?»
Presumo la sua volgarità venga a mascherare ricordi spiacevoli di un tempo, focalizzandoli sull’unico appiglio che potrebbe farmi cedere in questo momento. «Tu non hai mai voluto.» Stiletto in risposta, e mi chino a baciarlo di nuovo, ma questa volta le sua labbra mi vengono negate per provocazione.
«Perché volevo un’altra.» Ribatte sogghignando maligno al colpo inferto, ma lenisce, a suo modo, la ferita premendo le labbra sul mio seno.
Intreccio le dita ai suoi capelli e dolcemente lo allontano. «Che comunque non hai mai avuto.»  Pronuncio, senza punto di domanda, colpita da questo suo voler invitare amori passati ad assistere alla nostra prima volta insieme. «O sbaglio?» Aggiungo, guardandolo negli occhi, nella speranza riveli qualcosa di più su di lei, soprattutto riguardo l’incontro di questa sera.
Prende il tempo di una manciata di secondi. Poi scoppia a ridere. «Vuoi forse sedurmi allo scopo di farmi parlare? E com’era stasera, sempre bella come allora?»
«Ed io, come sono stasera, sempre bella come allora?» Non gli do la soddisfazione di ingelosirmi con un’osservazione sciocca. Ho capito non ha intenzione di spiegarmi nulla, magari non ancora, degli ultimi eventi (altrimenti, non avrebbe usato tante parafrasi inutili solo per agitarmi). Gli dimostro così di stare ai suoi tempi.
«Non mi fai più pensare a fragole e zucchero.»
«E a cosa ti faccio pensare adesso, Vegeta?»
La risposta è ritrovarmelo di nuovo sopra, mentre mi costringe a sdraiarmi sul tappeto.

 

«Sei un folle, Vegeta! Cosa ti fa pensare di arrivare intonso alla fine?» Si è già beccato un paio di pugni da un certo Bojack, alla fine del primo giro.
Solleva la testa e sputa nel lavandino un grumo di sangue misto ad acqua. «La voglia di spaccargli la faccia.» Beve un altro sorso.
«Beh, per quello potevi andare in un parcheggio, o in un vicolo; non c’era bisogno di questa farsa se volevi regolare i conti con lui.»
Torna ad appoggiarsi al lavandino e, guardandosi allo specchio, si ispeziona l’interno della guancia perché i colpi presi gli hanno cozzato contro l’apparecchio, ferendolo in bocca. «Come l’ultima volta? Poi così è più divertente.»
«Allora, cosa state combinando lì dentro?»
«Vi decidete ad uscire?» «E un attimo!» Sbraito a chi aspetta il proprio turno per il bagno, in cui mi sono rinchiusa seguendo Vegeta. Vorrei tanto riuscire a dissuaderlo, ma un muro sarebbe più facilmente removibile. «Chiamiamo Goku e andiamocene via, dai. Magari prendi a pugni Cell un’altra volta. Lo segui finché non siete soli e…»
«Dimentichi i soldi in palio. Ma credi che si porti cinquemila yen sempre dietro? A proposito, reggimi questi!» Mi molla i suoi occhiali e dopo sblocca la porta per uscire.
«Finalmente!»

 

Siamo nella penombra lasciata dall’unica lampada accesa sul tavolino poco distante, la luce fioca quasi non arriva ad abbracciare i nostri corpi nudi e accaldati, sferzati dalla brezza proveniente dalla finestra aperta. Sono grata di avere questo genere di privacy da quando, considerato il miglioramento delle condizioni di Vegeta, ho deciso di far stare l’equipe medica nelle dependance: vicina quanto basta in caso di emergenza; remote abbastanza da lasciarci soli così. È un momento perfetto che il sale del passato non può più inaridire.
Ad una spinta si blocca, mi pesa sopra reggendosi con le braccia ai lati della mia testa. Svetta il viso tagliente alla finestra. «É un delitto perfetto.»
«Oh sì, un delitto.» Mormoro, credendo di capire, persa nel suo ritmo lento che ha ripreso un movimento deciso.
«Andrà su tutte le furie quando capirà che non c’è alcun contratto, colto il senso del suo invito, diventerà nervoso e, probabilmente, cercherà di attaccarmi.»
«Di che stai parlando?» Gli impongo, confusa, le braccia al petto.
«Di che sto parlando.» Ripete, piegandosi in un sussurro contro il mio orecchio; la sua voce, suadente, è interrotta dal respiro che insegue il suo turgido ardore. «Sto parlando di come tra poco Zarbon si pentirà di aver creduto alle mie parole e furioso cercherà di attaccarmi. Allora io lo ucciderò e sembrerà per legittima difesa, perché le telecamere non riprenderanno che un tale, intrufolatosi qui di soppiatto, mentre ti sto dando un orgasmo!»

 

 
Quattro carte sono sul tavolo; una regina di cuori, un dieci di picche, un re di quadri, un asso. Ne manca una per fare scala, chi l’avrà tra i due? Cell forse, o magari l’altro ragazzo? Il primo conta i gettoni sul piatto, ne sono nove. «Nove gettoni, nove pugni. Hai puntato forte, Gravy.» Li lascia ricadere sul tessuto verde senza rumore, solo Gravy li sente rimbombare nella sua testa. Una goccia di sudore gli scivola dalla fronte, si ferma sul sopracciglio, increspa un occhio. Deglutisce. Non la migliore delle poker face.
«Chissà cosa nascondi sotto quella bella carta, ragazzo.» Commenta Cell, pizzicando la sua ancora nascosta. «Un bluff o magari un bel jack?» Gli sorride con una fila di denti bianchissimi, gli occhi rosso Tiziano brillano di follia.
Gli altri del tavolo assistono impassibili, chi ha rinunciato a questa mano è contento di averlo fatto. Non Gravy. Il quale, sicuro di poter spaventare i giocatori con una strategia da quattro soldi, ha preferito giocare fino alla fine senza fare i conti con la pazzia di Cell.
A lui non importa chi vinca o chi perda e l’ho visto incassare pugni come un fantoccio di gomma, inebriato dal dolore e dal sapore del suo stesso sangue. No, lui è qui per l’espressione terrorizzata e attonita di chi attende, e spera, che i pugni non facciano poi tanto male. È quell’espressione terrorizzata la vittoria di Cell. «Sai, potrei non avere nulla anch’io e risolverci entrambi in un sospiro di sollievo.»
Guarda ancora i gettoni, ne prende uno dei suoi in mano e inizia a giocherellarci. «Io ne ho ancora tre, tu quanti ne hai lì?» Si spalma sul tavolo e inizia a contarli ad alta voce. «Uno, due, tre, quattro… quattro! Che ne dici, ne buttiamo giù tutto ciò che ci resta? Pensaci un po’, ben sedici pugni, e me li daresti tutti qui!» Si indica il naso. «Ci stai?» Lo schernisce, e questi farfuglia qualcosa vicino ad un assenso, più per non rischiare di incattivire Cell che per vera voglia di prenderlo sul serio a pugni.
Sedici gettoni di paura al centro del tavolo.
«Bene, mostraci pure le tua carta, caro Gravy.»
Il ragazzo, foglia al vento, volta la sua carta con mani umidicce. «Un otto di fiori.» Biascica a gola secca.
«Che peccato. Sembra tu abbia perso irrimediabilmente.» Cell si ritira al suo posto, come un insetto che scappa nella sua tana terrosa. «Ma non è ancora detto, potrei aver fatto cilecca anch’io.»
Immagino sia tutta scena, sono sicura abbia un bel punto: sta solo tirando la corda.
Pizzica ancora la propria carta coperta. «Sedici pugni, però! Credo di averne dati così tanti solo a Vegeta.» Si levano alcune timide risa nella tensione della stanza. «Se vincessi, ti spaccherei proprio il naso come si deve.» Allunga un braccio in aria, a mimare un colpo deciso che resta sospeso in aria. «Tuttavia… se non avessi almeno un jack, con le carte che mi restano non farei alcun punto. Proprio come te.» Gravy deglutisce, strizzando le mani sui bordi del tavolo verde. Non avrebbe dovuto bluffare.
«Tuttavia… con questo sette non penso di farci nulla! Ho perso.» Annuncia e se l’altro esala la propria speranza esaudita quasi in uno svenimento, lui libera i polmoni con una grassa risata. In fondo, ha già vinto.
«Maledizione, adesso Cell è fuori dal gioco!» Commenta sottovoce Vegeta con rammarico.
«E allora? Non sei contento?» Gli rispondo, essendo riuscita a sentirlo perché gli sono vicina. Al pari di Gravy sono felice Cell sia finalmente fuori tiro, possiamo rilassarci tutti; anche i giocatori, scommetto che da adesso in poi si daranno solo qualche pacca simbolica, concentrandosi più sul premio finale, ora che il folle ha finito con i suoi giochetti pazzoidi.
«In effetti non è molto corretto!» Esclama Goku a sorpresa.
«Che?!»
«Beh, voglio dire, è il padrone di casa e ci ha invitati tutti qui a giocare; non credi sarebbe poco giusto se adesso restasse a guardare mentre noi ci divertiamo?»
«Divertirci?» Quasi mi cedono le ginocchia dallo sgomento. «Ti stavi divertendo un attimo fa?»
«Andiamo Bulma, non esageriamo. Cell sapeva di avere brutte carte, era solo scena. Poi nessuno di noi si sta facendo male sul serio, a parte qualche livido. Cell stesso si è sempre controllato nel dare pugni.»
«E lo schiaffo che mi ha tirato prima?»
«In quell’occasione ti ho difeso; è stato piuttosto maleducato da parte sua, ma immagino sia un po’ toccato!» Sussurra l’ultimo pezzo. «Durante il gioco però ha rispettato tutte le regole.»
«Infatti, dagli qualcuno dei tuoi gettoni allora, Kakaroth, mi pare tu ne abbia abbastanza da dividere.» Ne approfitta Vegeta, voglioso di veder Cell ancora in partita. Pare sia più interessato a prendere a pugni quest’ultimo, piuttosto che al premio in denaro.
«Ehi, Vegeta, hai proprio ragione, farò così!»
«Siete impazziti, forse?» Sibilo, inascoltata.
«Cell!» Goku gli va vicino, pronto a dividere i suoi dieci gettoni per l’ultima partita. «Visto che sei il padrone di casa, noi si pensava che non sarebbe giusto se adesso non giocassi più. Che ne dici di accettare questi cinque gettoni e tornare in partita?»
Allunghiamo tutti la mascella sorpresi. Anche l’interessato resta sbalordito dalla proposta; così gli altri, calamitati da questa nuova pazzia, staranno sicuramente chiedendosi se, per caso, Goku non abbia preso troppi colpi. «Vuoi che continui a giocare, Goku? La tua è un’offerta molto generosa, ne sei sicuro? Resteresti con pochi gettoni.»
«Io dico che cinque ciascuno bastano per entrambi. Dopotutto, è l’ultima partita.»
«Avanti Cell, accetta e riprendiamo a giocare!» Lo esorta Vegeta, cavalcando l’onda dell’ingenua generosità di Goku.

 

Sono nuda, vulnerabile, e tremo di paura quando cerco di recuperare il cellulare dalla borsa. Quando ci riesco, le dita sudate scivolano sullo schermo liscio, vetroso, che brilla nel buio dandomi un aspetto da fantasma. Non mi accorgo che Vegeta ha già ucciso Zarbon, conficcandogli in gola un coccio appuntito della lampada rotta.
«Stai chiamando la polizia?» La sua domanda mi sorprende e il cellulare mi scivola a terra. Vegeta mi viene vicino, ha il fiatone ed è provato dallo scontro, puzza di sangue. Mi passa un braccio in gola, per immobilizzarmi. Sento la sua pelle sudata contro la mia, mentre mi costringe a sedergli in grembo, in ginocchio.
«Hai paura di me, adesso?» Chiede. Il cuore batte forte ad entrambi. Ho la gola troppo secca per parlare. Rispondo di no con la testa, ma sono terrorizzata e scossa.
«Mi spiace, ma avevo una voglia matta di vederlo soffrire e, non potendo andare da lui, ho fatto in modo che fosse lui a venire da me. Gli ho detto che avresti firmato un contratto di collaborazione a cui la Freezer Corp aspirava da tempo. È bastato poco per convincerlo; scommetto che non vedeva l’ora di tornare nelle grazie di Freezer, dopo aver fallito a rubare il mio computer, vuoto. Se te l’avessi spiegato prima, non me l’avresti lasciare fare.»
«Mi hai usata.» Suona fiacca persino come esclamazione; più di tutto mi brucia che le strade percorribili, abbia scelto proprio di usarmi.
«Diciamo piuttosto che ho approfittato della situazione. Il guaio è che ci si fida sempre troppo delle persone sbagliate.» Si stringe a me annusandomi tra il collo e la spalla. «Sei stata proprio una bella scopata. Peccato non essermela goduta fino in fondo.»
«Avrei dovuto tirartelo a morsi!». Ne ride. Con l’altra mano raccoglie il telefono e compone lui stesso il 911. Uno squillo nel buio e il centralino risponde; dopo aver ricevuto le coordinate e una richiesta d’aiuto, torna il silenzio. Lascia cadere il cellulare; mi accarezza dalla coscia al seno, scioglie l’abbraccio.
Recupera i pantaloni cercandoli tra vestiti sparsi e banconote. L’elicottero di Zarbon è in giardino, pronto per la fuga; ma Vegeta non scappa, né raccoglie i soldi. Prende piuttosto la mia borsa; torna a sedersi sul tappeto. Cava dalla borsa la busta che io stessa gli ho procurato, finalmente la apre senza che al buio si capisca lo strano contenuto. Mi ritrovo in mano una tesserina molto sottile, mentre lui si stende sul tappeto.
«Cos’è?»
«Un codice crittografato. Mi pare di averlo detto, che sono abituato alle donne che si pagano.»
Le sirene della polizia arrivano in quel momento a circondare la casa. «Sai, le tue tette mi mancheranno davvero tanto in prigione!»

 

Non piango quando la polizia lo porta via, ma dentro mi urla la confusione. Ho davvero creduto di vedere il dolore dissiparsi dal suo sguardo, quand’era immerso nel mio corpo innamorato?
Ha davvero tremato di piacere senza paura di guardarmi negli occhi, mostrandomi se stesso nell’agonia del nostro fare l’amore?
Si sarà accorto del mio ventre sciogliersi per la prima volta nella metafisica dei nostri spasmi, come non esistesse altro che noi due? Ho pensato di non essere stati creati che per accoglierci.
Era tutto finto?
Obbligato a stare a casa mia ha tratto vantaggio dalla situazione, perché credo abbia infine capito che sono l’unica che lotterebbe per salvarlo; mi ha dunque indotto ad amarlo solo per essere tratto in salvo?
«A cosa pensi?» Chiede Goku; il corpo martoriato di Zarbon ci passa davanti su una barella coperto da un lenzuolo bianco.
«Che è stato Vegeta ha chiamare la polizia. Avrebbe potuto scappare e non l’ha fatto.»
«Non credo sia stato quello il suo intento fin dall’inizio.»
Forse ha voluto proteggermi, penso. «Non credo gli sia mai piaciuto stare qui da me.»
«Magari ha voluto proteggerti.»
«No. Ha voluto proteggere se stesso.»

 

Continua…

 

Non so cosa mi sia venuto in mente! xD Ho seguito la scia dell’ispirazione e spero di non essere uscita fuori rating. Mi auguro anche quest’aggiornamento (che non avrebbe dovuto esserci, ma mi sono presa una pausa dallo studio) vi sia piaciuto. So bene che molte cose restano ancora nebulose, ma verranno chiarite in seguito, anche durante il processo.

Alla prossima!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Ragazzi, Interrotti ***


cap nuovo

Ragazzi, interrotti 

__________________________________________

 

 

Potete svolazzare avanti e indietro tra queste percezioni e provare una specie di vertigine mentale. E se è così, siete nel territorio della pazzia: un luogo dove le false impressioni hanno tutte le caratteristiche della realtà.

(Susanna Kaysen, da "Girl, interrupted")

 

 

«Adesso!?» Vegeta aspetta la risposta cercando di ignorare il rumore dall’altra stanza, in cui sono tutti in attesa del suo ritorno. Ha infatti abbandonato il tavolo da gioco per prendere una chiamata “che pare importante”, come gli ha riferito il ragazzo che gliel’ha passata, da parte di Diciotto.
Sbuffa sommessamente e poi richiude senza salutare. «Cos’è successo?» Chiedo, preoccupata, restando sotto l’uscio, indecisa se andargli vicino o lasciare almeno questa distanza tra noi senza essere ulteriormente invadente.
Ha ancora la mano sulla cornetta e solleva solo lo sguardo, incupito, su di me. Dice: «Nulla che debba interessarti.» Poi Si allontana da quell’angolo della stanza e, prima di uscire, aggiunge che devo continuare la partita per lui.
Scorro gli occhi dal suo labbro rotto alla macchina di sangue sul colletto della maglia. «Sei impazzito forse? Non ho intenzione di distruggermi la faccia!»
«Non accadrà, ho una buona mano e sicuramente vinco.»
«Sicuramente in base a cosa, scusa?»
«È l’unico modo che hai per aiutarmi, altrimenti vai pure al diavolo, non ho tempo di preoccuparmi anche delle tue paturnie.» Sbotta e mi scansa per passare. Ignora i richiami di Cell e, senza salutare nessuno esce in giardino dove ha lasciato la macchina. Faccio appena in tempo ad andargli dietro per vederlo partire. 

 

 Eravamo lì a mangiare la nostra pizza, quando è arrivata una chiamata e, naturalmente, Diciotto si è alzata per rispondere. Avreste dovuto vedere come cambiava la sua espressione mentre le parlavano; alla fine era terrorizzata, poverina! Irriconoscibile.
Ha subito chiamato Vegeta, giuro che le tremava la voce, e beh… insomma, io non ne sapevo nulla ma a quanto pare Vegeta ha un fratello più piccolo che non sta molto bene. È ricoverato alla Saint Orange, capite che vuol dire? Ieri notte gli infermieri si sono confusi e non gli hanno somministrato la solita dose di calmanti, così a un certo punto ha iniziato a dare di matto! Sì, scusate il termine, ma è proprio così che è andata. Si è barricato in camera, bloccando la porta con il letto, e urlava come un ossesso, non riconosceva nemmeno il posto; minacciava di uccidersi se non fosse arrivato il fratello, il quale non si è degnato di arrivare nonostante lo avessimo avvertito. Lo so perché ero lì con Diciotto, e per fortuna aggiungerei! Altrimenti quel poverino non avrebbe avuto nessuno a vegliare su di lui.
Alla fine hanno dovuto scassinare la finestra, arrampicandosi fino al terzo piano, per impedire a Turble (è così che si chiama) di rompersi la testa contro il muro. Ha riportato diverse contusioni.
Sono rimasto davvero impressionato: mentre lo tenevano per sedarlo scalciava e urlava come un indemoniato. Mi hanno spiegato che cos’ha e da quello che ho capito è paranoico: è convito che qualcuno gli stia sempre intorno per fargli del male. Per lo stesso motivo, Diciotto non ha voluto che mi avvicinassi troppo, per non turbarlo. È proprio una ragazza dolce! Vegeta dovrebbe trattarla con più riguardo, non capisco proprio come faccia ad esserne ancora innamorata e…

«Risparmiaci le critiche sulla loro relazione, Crilin, sarebbe davvero fuori luogo.» Lo rimprovero, interrompendo il suo racconto. Siamo seduti sul ciglio di un muretto all’esterno della palestra; gli altri compagni, non eliminati, continuano a giocare a Dodgeball. «Scusa tanto se ho qualche remora nei confronti di Vegeta, che non si è nemmeno degnato di andare dal fratello malato!» Si giustifica il mio amico, guardandomi con gli occhi stretti a una fessura. È da quando, questa mattina, ha messo piede in classe che fremeva di raccontarci la sua serata con C18 e della cattiva fede del nostro compagno.
«
Non hai idea di come stanno veramente le cose, Crilin, quindi faresti bene a tacere! Poi chi ti dice che Vegeta non sia arrivato in ritardo?» Nessuno sa che proprio ieri sera, noi tre (Vegeta, Goku ed io) eravamo insieme a casa di Cell, dalla quale Vegeta è partito per raggiungere la clinica psichiatrica in cui è ricoverato il fratello minore. Si tratta, infatti, di una clinica vicina al centro della città, non esattamente a un tiro di schioppo dalle campagne di Ginger Town.
Quindi ciò di cui accuso Vegeta non è la sua presunta noncuranza verso il fratello, ma la totale mancanza di fiducia nei miei confronti: ci frequentiamo, da amici, da mesi ormai e mi pare impossibile non abbia avuto occasione di parlarmi anche di questa sua faccenda famigliare; un’altra conferma di quanto poco mi consideri. Non riesco nemmeno ad arrabbiarmi con lui, il quale, questa mattina, è assente.
«Inoltre, non dovresti permetterti di parlare male di lui quando neanche Diciotto, che di motivi ne avrebbe, si azzarda a farlo.» Continuo, con la sicurezza di un mercante di grande verità.

 

Sono passati tre giorni da quando Vegeta è stato portato in carcere. E per tre giorni ho lavorato senza sosta sui codici racchiusi nella scheda che mi ha consegnato: lo scrigno del bilancio reale della Freezer Corporation, dei contatti e delle transazioni di una compagnia che ha fatto della minaccia la propria merce di scambio. La Freezer Corporation è riuscita ad inglobare le sei più grandi società del pianeta nel tentativo di creare un unico monopolio dell’industria bellica, tenendo sotto la propria ala i migliori scienziati del nostro tempo, tra cui spiccava il famigerato Dottor Gero e la società che, per anni, aveva rifornito le milizie delle nazioni più ricche: la Sayan, un tempo presieduta da Vegeta Aransay senior.
L’ultima e settima compagnia di ricerca avrebbe dovuto essere la mia, la Capsule Corporation. Il piano, stando ai dati forniti e raccolti da Vegeta era piuttosto semplice: Freezer avrebbe costretto i miei investitori, di cui lui controlla già le finanze, a ritirarsi dal mercato, se non avessi deciso di collaborare nel grande progetto di essere l’unico produttore di androidi e armi specializzate nella distruzione di massa da vendere ai Paesi in guerra.
Nei fuligginosi combattimenti, nelle costellazioni di vinti e vincitori, la Freezer Corp. è passata da una parte all’altra della barricata, patteggiando tuttavia solo per se stessa. E mi chiedo che ruolo abbia avuto Vegeta in tutto questo. Perché ha deciso di redimersi proprio adesso, portando allo scoperto i piani affaristici di quella che ha più le coordinate di un’organizzazione a delinquere, piuttosto di una società legale?
La mia sarebbe stata il tassello mancante di un piano diabolico al punto da sembrare legale sotto molti aspetti. Che Vegeta si sia deciso a scoprire le carte proprio perché, continuare, avrebbe significato mettermi in mezzo? Tuttavia, c’è qualcosa che non torna: dai dati che lui stesso mi ha fornito, risulta che ha lavorato per Freezer dal duemilauno al duemilacinque, e di nuovo dal duemilaotto al duemiladieci; per quale motivo c’è un intervallo di due anni? Nello stesso periodo, la Freezer Corporation ha incassato ben tre milioni di dollari da fonte sconosciuta (altro introito che, dubito, sia stato lecitamente dichiarato) e ha assunto Zarbon e Dodoria.
Mentre continuo a rimuginare sui motivi che mi hanno spinta fin qui, al Carcere di Ovest City, una porta si apre, dall’altro lato della stanza separata da un vetro, e Vegeta, ammanettato e scortato da due guardie, fa il suo ingresso nella sala d’accoglienza. Seguo ogni suo movimento finché non siede al posto parallelo al mio. Non prende subito in mano la cornetta che avrebbe veicolato la nostra conversazione, sorride ancora per un attimo prima di decidersi.
«
Come stai, Vegeta?»
«Non saprei, ma trovo che l’arancio mi doni.»
«Perché non metti da parte il tuo humour da due soldi, per una volta?»
Sbuffa divertito. «Sono inglese; se mi togli il mio humour non mi resta che parlare del tempo. Di’ un po’, scommetto che hai trovato molte informazioni interessanti nella scheda che ti ho dato
«
Molte, sì. Ma come tuo solito, lasci sempre le cose a metà, proprio sul più bello.» Non mi lascio sfuggire l’occasione di bacchettarlo per avermi usata, fingendo di fare l’amore con me.
«
Se ti avessi detto tutto, adesso non saresti qui. Come avrei resistito senza vederti per tutto questo tempo?» Continua a scherzare, sorridendo sornione sul volto da schiaffi.
«
Preferisci, forse, parlare del tempo, Vegeta?»
«Per carità!» Esclama. «Dimmi piuttosto che accidenti vuoi, credevo di aver detto tutto a quell’avvocato da due soldi che mi hai rifilato
«
Goku è stato qui?»
«Certo che è stato qui, non te l'ha detto? Se ti ho dato quella scheda, è stato solo perché lui sarebbe stato troppo stupido da decifrarla.» Nota come, nolente, mi rabbui alla sua ultima confessione e decide di rincarare. «Non avrai pensato l’avessi fatto per te
Stringo
la cornetta tra le dita fredde. «No. Ho solo pensato che sono stata una stupida a correrti dietro per tutti questi anni.» Continuo a guardarlo, nonostante il riflesso delle luci del soffitto sul vetro copra la sua immagine rendendola quasi impercepibile. «Ma oggi sono qui, decisa ad aiutarti, perché sono stufa di vivere nel rimorso di scelte sbagliate e ti sto dando l’opportunità di chiarire, una volta per tutte, la situazione in cui ti sei cacciato, sempre che, piuttosto, non ti diverta sguazzarci dentro
«
Senti, Bulma, non ti permetto di rinfacciarmi le scelte che nessuno ti ha obbligato a prendere.» Si altera, alzandosi in piedi, stringendo ancora la cornetta.
Svetto anch’io, cercando però di mantenere un tono più calmo. «A dirla davvero tutta, mio caro, ho saputo di come, proprio tu te la sia filata, il giorno prima del nostro appuntamento alla stazione. Quindi, ragionandoci un po’, sei stato tu a obbligarmi a sentirmi in colpa.» Gli sbobino quanto rivelatomi proprio da Goku la sera in cui hanno arrestato Vegeta. Il quale intrappola un guizzo di nervoso in una vena che gli pulsa in fronte, probabilmente pentito di aver rilavato troppo a quell’imbecille del suo avvocato. «Che razza di ragionamento sarebbe? Avevi deciso comunque che non saresti venuta
«
Per il meglio a quanto pare! Alla fine ci stai riuscendo a tenermi alla larga, tutti questi inutili sotterfugi quando un semplice “non ti voglio” sarebbe più che sufficiente. Ammettilo, una buona volta, che non ti è mai importato nulla
Sbatte
una mano sulla superficie che gli sta difronte. Una delle guardie presenti gli va vicino a stringergli unaìa spalla, e costringendolo a comportarsi bene. Gli dice qualcosa, che non sento per via del vetro di sicurezza, poi Vegeta torna a parlarmi attraverso la cornetta. «Quante volte te l’ho spiegato che non ti volevo
Torno
composta sulla sedia. Non avremmo nemmeno dovuto parlare di questo, e il tempo sta scadendo; prendo un fazzolettino dalla borsa e mi asciugo la fronte imperlata di sudore. Riabbasso i toni. «E tu quante volte non mi hai detto perché non mi volevi?» «Perché è un segreto.» Ghigna imperterrito; poi d’istinto, con ancora la cornetta poggiata all’orecchio, si avvicina al vetro divisore, abbassa la voce per impedire alla guardia di sentire bene. «Mi piaci, Bulma, ma per quanto mi sforzi non sono innamorato di te e suppongo tu sia grande abbastanza da capire la differenza. Tuttavia, rispetto ciò che tu continui a provare per me ed è per questo che mi trovo qui dentro: fosse dipeso da me, avrei fatto fuori anche Freezer, ma non voglio tu rimpianga un assassino senza capire il motivo delle mie azioni.» Dopo una pausa in cui si riappoggia allo schienale aggiunge: «Se quella notte non mi avessi incontrato, avrei fatto di testa mia.» Fa segno alla guarda che la nostra conversazione è finita.

 

Sono qui, ad aspettare seduta sui gradini del portone, da almeno mezzora ormai; mi chiedo chi sarà il primo a tornare, se Vegeta o C18.
Mentre riavvolgo il nastro dell’album che sto ascoltando, finalmente, scorgo la macchina di Vegeta svoltare l’angolo. Parcheggia e, dopo essere sceso, si carica addosso il passeggero addormentato sui sedili posteriori. Un ragazzino molto magro dai capelli lunghi e neri; suppongo sia il fratello di cui parlava Crilin.
«
Per qualche ragione non sono affatto stupito di vederti, Brief.» Mi saluta, una volta raggiunto il portone.
«Sono venuta a portarti i soldi di ieri sera.»
«Quindi ho vinto.» Afferma con un mezzo sorriso, mentre, senza chiedere il minimo aiuto, tenta a fatica di infilare la chiave nella toppa per aprire il portone e allo stesso tempo a tenere il fratello in braccio.
Gli prendo le chiavi con un gesto scocciato; mai una volta che si abbassi a chiedere aiuto. «Lascia, faccio io!» Sono quasi contenta di avere una scusa per salire con lui fino a sopra, quindi non gli restituisco il mazzo di chiavi, ma gli reggo il passaggio mentre lo attraversa e poi, insieme, saliamo le scale fino al sua porta di casa. «Hai bisogno di aiuto?» Chiedo, riferendomi al peso che ha tra le braccia.
«
Ovvio che no.» Nonostante si sia stato scorbutico, non mi sfugge come abbia abbassato il tono per non disturbare il ragazzino.
Una volta in casa, noto quanto l’arredamento sia cambiato e non solo per la batteria, quasi smontata, che Diciotto ha lasciato in un angolo; mancano alcuni mobili: la libreria è sparita e i libri sono impilati direttamente sul pavimento; i divani non ci sono più e la televisione poggia a terra, senza Nintendo e senza videogiochi. Anche lo stereo è stato portato via, ma alcune cassette e giradischi sono rimasti poggiati al muro.
«
Lo porto in camera.» Avverte Vegeta, evitando di raccogliere il mio sguardo indagatore. Vado con lui e sono sollevata nel constatare come la sua camera sia rimasta come allora. Lascia il fratello direttamente sul letto, con tutte le scarpe e con tutti i vestiti.
«Almeno sfilagli le scarpe.» Sussurro.
«
Lascialo in pace.» Stiletta afferrandomi per un braccio prima ch’io possa chinarmi a togliere le calzature al fratello. Mi riaccompagna in salotto e percepisco il suo disagio dalla distanza che tiene e da come mi scorta all’uscita, neanche fossi una criminale da richiudere in prigione. «Va bene, dammi i soldi e vattene.» Asserisce, affatto propenso al dialogo.
«
Eh no, scordatelo che me ne vada!» Esclamo forse un po’ troppo ad alta voce, do le spalle alla porta che richiudo con il mio peso, salvo pentirmi del rumore creato. Sia io che Vegeta affiliamo l’udito e ci voltiamo verso la stanza in cui dorme il ragazzino, per sincerarci non si sia svegliato.
Siamo uno di fronte all’altro, rivolti alla stessa direzione, e azzardo a poggiargli le mani sui fianchi, stringo tra le dita la sua maglietta, la stessa che portava ieri notte ma rigirata. Vegeta non può non accorgersi del mio contatto, ugualmente però non dice nulla, nemmeno quando i suoi occhi sono su di me. Poggio la testa sul suo petto. Ha un leggero odore di sudore e di sangue. Devo essermi spinta un po’ troppo, perché si allontana, però non mi invita più ad andarmene. «Allora i soldi
«
Non pensi ad altro, tu.» Lo pungolo, cercando di essere acida come al solito: non vorrei pensasse sia rimasta turbata dal suo gesto e dagli ultimi avvenimenti. «Sono duemila e cinquecento.» Gli spiego, passandogli la busta che tenevo in borsa.
«
Come sarebbe duemila e cinquecento, e il resto?»
«Il resto non c’è; ha vinto Goku ieri sera, mentre tu sei arrivato solo secondo. Tuttavia, siccome è molto gentile, questa mattina ha detto che potevi avere metà della sua vincita
«
E per quale motivo?» Inquisisce, braccia lungo i fianchi, lo sguardo ardente.
Gli tendo ancora la mano con i soldi. «Per aiutarti
«
Grazie tante, ma se le cose stanno così non li voglio.» Si volta e aggiunge. «In quanti sanno di mio fratello
«
Più o meno tutti… però non devi preoccuparti, a nessuno importa.»
«A me importa! Non bastava che tu e tutti gli altri mi guardaste già con quell’aria penosa. Giuro che domani a quell’idiota del tuo amico gli spacco la faccia. Nessuno gli ha chiesto nulla.» Minaccia, riferendosi all’unico che avrebbe potuto raccontare tutto: Crilin.
Faccio un passo verso di lui, gli poggio la mano libera sulla spalla. «Puoi stare tranquillo, non è esattamente pena quella che i miei amici provano per te. Sono troppo impegnati a chiedersi come mai tu ti sia rifiutato di andare da tuo fratello ieri notte
«
Si vede che sanno come impegnare bene il cervello.» Attacca sarcastico. «E tu cosa pensi
Mi
faccio coraggio. «Di non aver mai conosciuto nessuno complicato quanto te
Continua
a darmi le spalle. «Complicato? Non c’è nulla di complicato. Ieri notte ho sperato che finalmente la facesse finita, per una buona volta
«
Perché non lo ripeti guardandomi in faccia.»
Non esista un istante. «Volevo morisse.» Risponde, asciutto..
Gli sorrido con aria serena. «Penso, invece, tu abbia tentennato perché non volevi che tuo fratello, già in paranoia, si spaventasse ancora di più a vederti pieno di lividi e insanguinato. Non è forse questo il motivo per cui ti sei rivoltato la maglietta
Riesco
a sorprenderlo. «Complimenti per la deduzione Watson, devo ammettere che anche tu hai i tuoi momenti.»
«L’unico mistero, mio caro Sherlock, è capire perché ti nascondi così.» Ribatto saccente.
«
Prova a indovinare.» Mi prende in giro; finge di avere il controllo della discussione quando cammina fino al balcone, lo apre, e si appoggia con aria strafottente contro la ringhiera.
Vado da lui con grande sicurezza, poggio entrambe le mani sull'asta di ferro e lo blocco tra le mie braccia. Lo fisso in silenzio prima di iniziare a parlare, illuminati dal sole, circondati dai rumori cittadini che salgono dalla strada sotto di noi. Le mie prime parole vengono portate vie da un clacson, e lui mi chiede di ripetere. «Dire ciò che provi ti costa così tanto che preferisci allontanare tutti mostrando quanto tu sia stronzo
«
Ma davvero? E cosa pensi che provi?» Inizia a cedere, nascondendosi, ancora una volta, dietro una smorfia incredula.
Lascio la ringhiera e mi appoggio ad essa con la schiena. «Purtroppo la mia perspicacia non arriva a tanto, Vegeta. Ma se vuoi puoi parlarmi dei tuoi problemi. Ad esempio, che fine hanno fatto i mobili
«
Pignorati.»
«Immaginavo. E dimmi, credi davvero sia una buona idea tenere tuo fratello in casa? Quanti giorni di scuola hai intenzione di saltare per controllarlo, ti ricordo che quest’anno abbiamo gli esami
«
Lo so bene che abbiamo gli esami!» Si innervosisce. «Lo porto in un’altra clinica domani mattina. Non ho bisogno che tu mi dica come comportarmi.»

Non cedo ad alcun malumore e gli ricordo dei soldi. «Li ho in tasca. Prendili pure se vuoi.» Lo stuzzico indicandogli i miei pantaloncini, per smorazare i toni nervosi. Almeno in questo posso aiutarlo.
Non se lo fa ripetere e mi torna davanti, sfiorandomi l’addome scoperto da una maglietta troppo corta. «Sai, è proprio per queste tue uscite rozze che non mi piaci. C’ero quasi cascato, Brief, ma come al solito, sei solo una mocciosa.»  I soldi, invece,  non li prende , obbligato dal suo orgoglio  a rifiutarli.

 

È riuscito a mettermi a disagio, quasi una ripicca per aver tentato di scoprire i suoi intenti. Sento l’impulso di abbassarmi la maglietta, che ora considero davvero troppo corta, ma scelgo invece di continuare a comportarmi con naturalezza ché non gli venga in mente mi abbia messo in difficoltà!
«
I soldi ti servono per pagare le tasse, vuoi forse pignorino anche tutto il resto?» Arguisco rientrando, come lui, in salotto.
«
Li troverò altrove. E comunque mi servivano per pagare un investigatore privato.» Spiega, sorprendendomi.
«Un investigatore privato
«
Sì perché? Guarda che esistono sul serio. O ritenevi mi bevessi la storia del suicidio? Mio padre non può essersi ucciso. Succedono cose che non mi spiego ultimamente, come ieri notte. È strano che, proprio mentre ho iniziato ad indagare, alla clinica dimenticano di somministrare le medicine a mio fratello
«
Succede, non è poi così inusuale. Anzi direi che è quasi all’ordine del giorno.»  Tento di tranquillizzarlo, andandogli in contro.
Soppesa la mia osservazione, affatto convinto. «Si tratta di una delle migliori cliniche ed è il motivo per cui ci siamo trasferiti in questo schifo di nazione; inoltre, mio fratello è ricoverato lì da anni e non è mai successo nulla di simile, né a lui né a nessun altro
«
E questo dovrebbe provare che tuo padre è stato ucciso e che adesso ti trovi nel mezzo di un complotto?»
«Assolutamente.»
«E non consideri i risultati delle indagini?» Mi torna in mente il suo racconto, quella mattina a casa mia, il giorno dopo aver vinto il primo premio con il nostro progetto di scienze. Cerco di trovare una logica tra i fatti di allora e quelli di oggi e, nonostante possa esserci del vero, mi pare assurdo trovare una coincidenza con quanto accaduto ieri notte a suo fratello.
Si altera. «Certo che li considero, mi prendi per uno stupido? Ma non è detto che sia andata come sembra. Mio padre non si sarebbe mai tolto la vita, hai capito?»
In
realtà, essendo direttamente coinvolta in quanto accaduto, ho rimuginato molto sulla morte del padre di Vegeta e di motivi per uccidersi ne aveva. Tuttavia, il mio giudizio potrebbe essere fuorviato dal timore che qualcuno, l’assassino, sia ancora in giro e possa decidere di farmi del male nel caso sospetti sul serio che Vegeta sia sulle sue tracce. Lo penso perché sono stata l’ultima persona, presumibilmente, a vedere il signor Arensay da vivo e potrei essere presa per un testimone scomodo.
Così, un’altra volta, le assunzioni mie e di Vegeta tornano a frapporsi tra il mio amor proprio e i sentimenti che nutro per lui, mettendomi alla prova: dovrei assecondarlo o proteggere me stessa, tentando di distoglierlo dai suoi intenti? E se penso questo, non equivale forse a dargli ragione? Inoltre, non vorrei pensasse che non sia dalla sua parte.
«
Domani porto mio fratello in un’altra clinica, non dirò a nessuno quale.» Riprende fortunatamente il discorso, evitandomi di indagare sulle mie paure. «Spero solo che anche lui faccio lo stesso. Devo trovare un modo per metterlo in guardia senza assecondare la sua paranoia.» Parla rivolgendosi al muro di fronte. Se non fossi qui, presente, lo giurerei impegnato in un monologo.
«Ma che tipo di paranoie ha tuo fratello?» Domando a mia volta, per prendere tempo e pensare meglio ad una risposta a tutte le questioni, sia mie che di Vegeta.
«
Soffre di disturbi paranoidi di personalità.» Schiocca, quasi fiero di ricordarsi il termine clinico. «In parole povere, ha manie di persecuzione: crede di essere perseguitato da qualcuno che lo segue ovunque per ucciderlo o, semplicemente, per fargli del male. Capisci, adesso non posso dirgli che questo qualcuno potrebbe esistere davvero
A
sentirlo ragionare così vengo pervasa da un certo imbarazzo: non so se credere pazzo anche lui, assecondarlo, o proteggere me stessa. «E… pensi sia la stessa persona che ha ucciso tuo padre?» Infine, propendo per la seconda, attribuendo i suoi scatti nervosi anche all'assenza di sonno.
«
Evidentemente qualcuno non vuole che indaghi sulla sua morte. Ieri ne ho avuto conferma: sarà anche una delle migliori cliniche, ma ci lavorano delle semplici persone e, in quanto tali, corruttibili.
»
Il mio silenzio, inusuale per me, lo turba così mi afferra con rabbia per un braccio. «Io non ho manie di persecuzione!» Si difende, fuori dalle orbite della razionalità.
«
Non lo pensavo affatto, Vegeta.» Lo rassicuro, ma a giudicare da come mi guarda, mi è difficile convincermene del tutto. «Sono dalla tua parte, dovresti averlo capito ormai
Le
mia risposta lo riporta alla calma. «Bene. Perché sei l’unica a saperlo.» Ed è proprio in questo istante che entra in scena (o forse sarebbe più appropriato dire, “rientra”) l’ultimo personaggio della nostra commedia: C18, la quale varca la soglia con indosso la divisa di scuola, dove suppongo abbia passato parte del pomeriggio in rientro. I suoi occhi azzurri si increspano di sorpresa, prima di svettare, indagatori, su Vegeta e, infine, atterrare nell’inferno d'odio che prova per me. A ulteriore conferma della sua disapprovazione, ci sfila davanti senza aggiungere parola per richiudersi in camera sua.
Nel silenzio glaciale del salotto, non sentiamo sbattere alcuna porta, segno che desidera tenerci almeno sotto orecchio.
Vegeta infine mi molla in cucina. «Vado a fare una doccia. Ci vediamo domani a scuola, Brief. Chiudi bene la porta quando esci.»
«Aspetta un attimo, come sarebbe vai a fare la doccia?» Gli cammino dietro, non soddisfatta dal suo proposito.
«Hai altro da aggiungere?»
«Beh, no.» Tecnicamente, è lui a dovermi ancora molte spiegazioni.
«Quindi…»
Non si prende la briga di accompagnarmi all’uscita, mi lascia da sola in salotto. Accidenti a lui! Mi rifiuto di abbandonare così la nostra conversazione, se davvero ha dei sospetti riguardo qualcuno, esigo di sapere ogni cosa, perché anche io potrei essere presa di mira. Ho il diritto di prendere le mie misure, come lui. Così lo seguo fino a trovarmi davanti al bagno chiuso.
«
Vegeta! Ho cambiato idea, vorrei ancora parlarti.» Lo chiamo inutilmente, l’acqua inizia già scrosciare.
«Guarda che, se vuoi, puoi entrare: non ha chiuso a chiave.» M’informa Diciotto, con aria strafottente per vedere fino a che punto sarei capace di spingermi, in attesa di un confronto.
Poggio la mano sulla maniglia. «Hai ragione, Diciotto, grazie del consiglio.» E come lei stessa avrebbe detto in seguito, ho l’ardire di entrare in bagno.
«
Brief! Che diamine combini?!» Si scandalizza Vegeta, non appena mi richiudo dentro. È ancora mezzo vestito, ha tolto solo la maglia che, appallottolata, giace a terra tra i panni sporchi.
«
Beh, che c’è? Come se non ti avessi già visto in tutte le tue grazie.» Gli ricordo.
«
Esci. Subito.» Esorta, categorico, spingendomi contro l'uscita. A quest’ora starei già fuori in corridoio, se non mi fossi impuntata; così, ancora una volta, ci ritroviamo vicini, uno davanti all’altro.
«No. A meno che tu non preferisca che ti creda paranoico, adesso mi racconti tutto.»
Lesta blocco la serratura e nascondo la chiave in tasca, con i soldi su cui lui non ha voluto nemmeno posare lo sguardo.
«Perché invece non provi ad essere onesta e dici subito che temi per la tua incolumità, invece di girarci intorno.»
«Perché è scontato sia così, ti pare?» Lo sorpasso e mi siedo sul bordo della vasca. Testo la temperatura dell’acqua. «È calda, non entri
«
Non appena sarai uscita da qui.»
«Dobbiamo ancora finire la nostra chiacchierata, e questo è l’unico posto in cui non verremmo disturbati. Quindi, mi pare che resterò a farti compagnia per un po’, bello mio. O se preferisci, non ti resta che prendermi la chiava dalla tasca.»
«
Fai come accidenti ti pare.» Cede infine spogliandosi del tutto, mi sposta con un gesto brusco e si getta sotto l’acqua. Lo osservo mentre si insapona e mi rendo conto di non provare alcun istinto libidinoso, tutto ciò di cui ho piena la mente è la situazione in cui siamo finiti e la voglia di aiutarlo a risolvere i suoi problemi. Per questo è impossibile che la mia sia una semplice cotta, ormai c’è molto più di una semplice attrazione fisica. Perché non lascia che glielo dimostri? 

«Comunque ti consiglio di tornare di là, qui stai solo perdendo tempo: ti ho già detto tutto quello che so
«
Non capisci che voglio essere rassicurata? Tutta questa storia mi spaventa
«
Perché piuttosto non ammetti che volevi vedermi nudo?» Bercia di rimando. «Mi rincresce, ma i tuoi sotterfugi diventano sempre più scadenti, Brief, devi ammetterlo.»
«
Non è affatto come immagini!» Mi difendo. «Sono davvero preoccupata
«
Beh ad ogni modo non mi riguarda, tu sei l’ultimo dei miei pensieri.»
«Allora perché me l’hai raccontato? Non volevi forse mettermi al corrente, affinché anch’io stessi in guardia
Resta
in silenzio a rimuginare sulla mia supposizione, ancora una volta rivelatasi esatta, considerando la sua reazione. Chiude l’acqua. «Vorrei non averti sulla coscienza, tutto qui
Gli
passo l’asciugamano di spugna, che si avvolge in vita. «Ammettilo che sei preoccupato anche per me
«
Costringermi a ridirti ciò che non provo per te, non mi aiuterà a cambiare idea. Ti ho spiegato che credo ci sia qualcosa di strano in tutta questa storia, quello che potrebbe accaderti è affar tuo. Se avessi dei sospetti più concreti, non mi affiderei di certo a un investigatore. Adesso, a meno che tu non voglia approfittare della situazione, ti consiglio di riaprire la porta.
»
Quando
usciamo dal bagno, Diciotto ci viene incontro dalla cucina per informarci che ha ordinato una pizza. «Ho preso qualche porzione in più per te, Brief. Ho immaginato che, dopo aver avuto l’ardire di chiuderti in bagno con Vegeta, tu voglia restare anche a cena.» Mi sfida ancora, usando una psicologia che dovrebbe farmi sentire in colpa, senza riuscirci.
«
Hai fatto molto bene, ti ringrazio del pensiero.» Accetto imperterrita.

 

La cena si è però svolta nella peggiore delle aspettative: il giovanissimo Turble (come scopro chiamarsi), ubriaco di calmanti, è rimasto a dormire per tutto il tempo; mentre noi tre abbiamo finito la pizza in un silenzio intervallato da poche e spicciole chiacchiere imbarazzate.
Avrei voluto continuare a parlare con Vegeta, chiedergli se per caso, anche lui come me, non avesse capito che il momento non ci è affatto propizio e, date le circostanze, non potremmo mai essere insieme. Avrei voluto che proprio lui mi dicesse “Mi piaci, ma ho troppi problemi e non riuscirei a reggere una relazione.”
Invece
, adesso, mi ritrovo davanti l’odiosa C18! Abbandonata per l’ennesima volta dal mio motorino bizzoso (dovrei davvero decidermi ad aggiustarlo di persona, invece di attendere i comodi di mio padre!), ho poi gioito, invano, della possibilità di poter chiedere un passaggio a Vegeta, il quale ha preferito mandare la biondina.
«
Ti è andata male, eh?» Mi sfotte la ragazza, chiudendosi il portone alla spalle. «Vegeta non poteva lasciare Turble da solo
«
Guarda che l’ho capito!» Rimbecco, terribilmente delusa, ma forte della consapevolezza di aver compreso l’allontanamento di Vegeta: non è il momento di stare insieme, lui ed io. 
«
Sappi che rompe più a me di doverti accompagnare. Te l’avrei fatta fare a piedi
«
Mi spiace che i tram non passino più a quest’ora, forse non avresti dovuto invitarmi a cena, Diciotto.» Bercio, salendo in macchina. La biondina, però, è decisa a non lasciarmi godere della piccola vittoria verbale, così imperterrita rimarca la sua proprietà sul ragazzo.
Mette in moto, non solo la macchina, ma il discorso che immagino, le sia pesato sul petto per tutta la serata. «Scommetto che, se sapessi sul serio di chi ti sei invaghita, torneresti a correre dietro ai giocatori di rugby della tua scuola.» Svolta l’angolo con una manovra brusca costringendomi a reggere alla maniglia. Continua a guidare come una pazza. «Io invece scommetto che non vorresti ti vomitassi qui dentro. E comunque, non so a cosa tu ti riferisca
«
Sveglia, so benissimo di tutti i discorsi da scolaretta in calore che gli fai.» Racconta, ma non riesce a convincermi del tutto: non ce lo vedo Vegeta a ripeterle tutte le mie parole. Piuttosto, il suo è un tentativo subdolo per costringermi a confessare.
Continua subito il discorso, senza darmi occasione di esternare i miei dubbi. «Immagino tu abbia visto il morso che gli ho lasciato sul collo. Cosa penseresti se ti svelassi che l’ho fatto per impedirgli di violentarmi?» Domanda, senza mezzi termini.
«Non ci credo.»
«Sarebbe un male. Ma se hai il coraggio, potresti chiederglielo tu stessa. Digli: per quale motivo Diciotto ti ha morso, mentre tu cercavi di aprirle le gambe?» La sua voce cede in un tremore, rendendo vera quanto dolorosa la sua confessione, che non compro. «Allora perché continui a starci, se davvero ha tentato di farti una cosa del genere?»
«Perché ho iniziato io.» Sbotta, innervosendosi nel tentativo di capire lei stessa la sua reazione. «Se tu lo conoscessi bene, tanto quanto lo conosco io, sapresti che non potrebbe mai essere il tuo principe azzurro.» Frena davanti a un semaforo rosso, e distoglie lo sguardo dalla strada per posarlo alla sua sinistra e, nelle luci soffuse dell’abitacolo, scorgo una piccola lacrima sul ciglio del suo mento.
«Non è nemmeno il tuo.» Le dico, in un sussurro scomposto e imbarazzato.

 

Continua

Eccomi tornata! :) Spero questo capitolo sia stato di vostro gradimento, da parte mia posso dirvi che non è stato affatto semplice scriverlo. Avrei voluto aggiungere un pistolotto introspettivo riguardo i pensieri di Bulma, ma alla fine ho deciso di risparmiavi: ve lo propinerò al prossimo capitolo, così intatno, questa sera posso pubblicare qualcosa. Alla prossima! E grazie ancora a chi segue, a chi legge e a chi commenta! :)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Hai mai visto la pioggia in un giorno di sole? ***


31

Nda: Turble è OOC.

 

 

Hai mai visto la pioggia in un giorno di sole?

 

______________________________________________

 

Il vero amore è devozione cieca, è umiliarsi senza fare domande, è sottomettersi completamente, è avere fiducia e confidare a dispetto di te stesso e a dispetto del mondo intero, concedendo tutto il tuo cuore e tutta la tua anima al tuo tormentatore.

(Charles Dickens, da “Great Expectations”.)

 

 

 

«Sono convinto questo sia un periodo difficile per entrambi, signorina Brief.» Arguisce Mr. Freezer, nel suo completo bianco di lino, dalla sedia dietro la mia stessa scrivania in ufficio; alle sue spalle i castelli del consumismo: grattacieli frastagliati contro un cielo terso e limpido. «Tutta questa rete di sospetti che Vegeta sta creando, non è altro che il farneticamento di un pazzo. Mio nipote è sempre stato molto instabile. Sono sicuro lei lo sappia meglio di me. Ed è per questo che mi permetto di suggerirle di stargli lontano.»
Freezer è arrivato questa mattina allo scopo di parlarmi di Vegeta; vuole convincermi a passare dalla parte che lui stesso reputa giusta, ma non ho ben capito su quali perni dovrei svoltare il mio punto di vista. So già che ha ucciso due persone.
Sono in piedi a braccia conserte. «Non credo di seguirla.»
Lui ha invece le sue rilassate sui braccioli, in una posizione di piena consapevolezza del proprio ruolo di potere. «Immagino le abbia raccontato una cosa o due sulla mia attività! Ma lei è una donna intelligente, nel business da molto tempo, mi dica, perché una fusione, tra società di successo, dovrebbe essere illegale? E perché vendere armi, alla luce del giorno, dovrebbe essere illecito? Non è la più morale delle merci di scambio, è vero, ma le guerre non si vincono con i fiori, dico bene
«
Dice bene, sì, è così che, purtroppo, ruota il mondo.» Concordo, avvicinandomi alle bottiglie di liquore su un tavolino vicino al muro. «Prende qualcosa da bere?» Domando, rivolta al dipinto astratto appeso alla parete.
«
Liscio.»
Annuisco, e riempio due bicchieri per entrambi. «Tuttavia, credo lei abbia frainteso la mia relazione con suo nipote. Prima di quella sera non l’ho mai visto, è dunque normale io non capisca molte delle sue azioni, perché vede, io, Vegeta, ho smesso di conoscerlo molto tempo fa.» Tento di chiarire la mia estraneità ai fatti, voglio sembrare lucida e cosciente, solo così potrei vincere questo fuligginosa battaglia verbale, iniziata a suo tempo con un inutile “Lei sa che il suo protetto ha ucciso due uomini!”.
«
Non avrei mai rischiato di venire qui, oggi, se non fossi convinto di essere nel giusto. Non mi induca a credere che voi non vi siete mai visti in segreto, perché potrei fornirle la lista di tutti gli eventi mondani a cui avete partecipato entrambi.»
Compio uno sforzo enorme per non lasciar trapelare la mia sorpresa, mentre mi chiedo se è sua intenzione depistarmi o se, davvero, seppur inconsapevole, io sia stata agli stessi eventi mondani di Vegeta. Freezer, da parte sua, si concede un breve sorso, e continua a parlare. «Potrebbe essere stato soltanto un caso, è vero; eppure, converrà sia strano che un tipo asociale come mio nipote, decida di presenziare soltanto agli eventi in cui era certo l’avrebbe incontrata, magari in segreto
«
Dove vuole arrivare?» Tento di prendere tempo, per raccogliere una giustificazione per l’ennesimo comportamento oscuro del nostro oggetto di conversazione.
«
Che potrei arrivare a pensare vi siete messi d’accordo allo scopo di eliminare me dal mercato, infangando la mia buona reputazione, ad esempio. Non la sto minacciando, ma bisogna ammettere sarà difficile per lei giustificare alla giuria questa sua affezione e interessamento incondizionato per qualcuno che, stando alla sua ammissione, non ha visto per anni.» Agita il liquore nel bicchiere massiccio, osserva i rivoli d’alcool discendere lentamente dalla superficie vetrosa. «O magari è davvero tutto un macchinoso scherzo del destino, oh!» Beve ancora, spegnendo il sorriso con un sorso. «Scelga bene la sua parte, perché sarà ugualmente difficile dimostrare la buona fede e la sanità mentale di qualcuno che ha passato quasi tre anni nella prigione di Shadow Bay.» Finisce il liquore, prima di congedarsi. «Ne parli pure con il suo legale, sono certo che, con un po’ di collaborazione, riusciremo a raggiungere un buon compromesso per tutti.»

 

Shadow Bay è la prigione incubo di chiunque sia stato abbastanza sfortunato da capitarci. Vi sono storie, a riguardo, di ex detenuti torturati e seviziati per confessare i propri crimini agli inquisitori. Un luogo in cui il concetto di giustizia e legalità si perde nella risacca di un impietoso bagno penale.
«Mi stai dicendo che Vegeta è stato a Shadow Bay, negli anni in cui non ha lavorato per Freezer?» Domando ancora incredula a Goku da cui sono corsa dopo il mio incontro.
«
Beh, teoricamente non dovrei dirtelo, Eh eh!» Si gratta la zazzera, e cambia di posto, dall’estremità destra a quella sinistra della scrivania, a una cornice d’argento con una foto di Chichi e i suoi figli. Sospira. «Vegeta è un tipo molto riservato, non credo voglia tu sappia cos’ha passato. Io lo so perché, beh, essendo il suo avvocato, ha dovuto spiegarmi alcune cose e ho dovuto investigare su altre; ma ti assicuro che avrebbe evitato volentieri.» Aggiunge lesto, quasi nel timore di aver avvilito la mia convinzione di essere la confidente prediletta di Vegeta. «Poi anche a saperlo, non avresti cambiato idea sul suo conto, o no?» Si accerta, infine, con un occhiolino. Il solito Goku.
«
Non me ne importa un accidenti di dov’è stato o cos’ha fatto!» Chiarisco. Sono solo arrabbiata con me stessa perché non riesco a fargli capire che può fidarsi di me. Una volta per tutte. «Secondo te sapeva che Freezer sarebbe venuto da me
«
Non saprei, Vegeta ha una mente complessa. Sinceramente, non riesco a stargli dietro.» Sparpaglia i documenti del processo sul piano da lavoro. «Mi ha detto che avresti qualcosa per me!»
«Raccontami prima cosa gli è successo. Voglio capire fino a che punto devo odiare i suoi nemici.»

 

 

Il suonatore raggiunge il solito albero nella strada assolata. Attacca l’amplificatore alla chitarra, dello stesso colore della sua barba ingrigita dall’età, e la sistema bene alla spalla. Ogni giorno è più pesante, e quella spalla sempre più dolorante, ma canterà lo stesso, per racimolare i soldi necessari per una zuppa calda a cena. Schiarisce la voce, strimpella alcune note, e attacca:
Someone told me long ago there's a calm before the storm
I know, it's been comin' for some time
When it's over, so they say, it'll rain a sunny day
I know, shinin' down like water…

 
Quando salto la scuola vado per negozi, di solito. Oggi, invece, resto con lui, Vegeta, e mi pare che il mondo ci ruoti intorno senza importanza, distesi sul tappeto a studiare, rivolti al soffitto, libri sul petto… Ma non riesco a pensare a Kant: mi sento bruciare nella parte del mio corpo a lui più vicina, un moto d’amore nel ventre illibato e, nonostante io stia leggendo di ragione, la perdo, senza avere il coraggio di chiedere ciò che più mi preme: hai davvero provato a violentare Diciotto, Vegeta? Lo osservo, neanche fosse un animale raro; il suo odore mi scioglie le ossa e mi riduco ad una poltiglia di emozioni. È questo il risultato per non averlo visto da due settimane? Vorrei piacergli tanto da entrargli in testa e, finalmente, capire cosa pensa, di me, di se stesso, di tutti.
Mi sollevo sui gomiti. «Vegeta
I wanna know, have you ever seen the rain?
Comin’down on a sunny day?

«La finestra resta aperta, se hai freddo metti la giacca.» Non distoglie l’attenzione da filosofia, «Se è per la musica, tirargli qualcosa così la smette. Ma nulla che comprenda i miei libri
«
Non ho freddo e non m’interessa del suonatore di strada.»

Yesterday and days before, sun is cold and rain is hard
I know, been that way for all my time


«É per qualcosa che non hai capito?» Assume, quindi, arrogante. Non vede mai l’ora di dimostrare quanto sia intelligente e veloce a capire testi difficili. Invece, vorrei solo mi dimostrasse che posso fidarmi, che non devo avere paura di stargli accanto e che non si sta perdendo.
Graffio il tappeto soffice e polveroso; rilascio anche quanto vorrei dirgli, raccogliendo il suo sguardo su di me. «In parte, ma non riguarda Kant
«Allora

'Til forever, on it goes through the circle, fast and slow
I know, it can't stop, I wonder

«Sai, mi è giunta voce che non hai la più pallida idea di come si stia con una donna!» Dico, dopo averci pensato per giorni, la prima, irrimediabile sciocchezza venutami a braccio.
«Eh?! Ma ti sembra il caso di dire certe cose
«
Beh, non è per questo che hai quel segno sul collo?» Gli indico il famigerato morso con un cenno.
Credo di averlo confuso ma ci pensa su un attimo. «È chiaro che qualcuno non ha idea di come si stai con un uomo.» Decreta infine con un ghigno, riferendosi a Diciotto. «Tsk, non sapevo foste diventate tanto amiche
«
Certo, siamo ragazze; mai sentito parlare di solidarietà femminile?» È, ovviamente, una menzogna ma ho intenzione di girare intorno all’argomento così da indurlo a parlare il più possibile. «Mi ha raccontato tutto.» Rincaro la dose, erroneamente, perché dalla sua espressione arguisco di averlo reso sospettoso. «Ah sì?»          
Penso che per convincerlo della mia sincerità sia meglio aggiungere un particolare piccante e plausibile. «So di come l’hai spogliata, lentamente.» Ed arrossisce. Ed arrossisco anch’io guardandolo, perché lo vedo in imbarazzo per la prima volta. Gli sorrido, avendo raggiunto, con un po’ di fortuna, almeno una certezza: chi reagisce così per frasi simili non potrebbe mai violentare nessuno. Eppure… non ha avuto rispetto per lei davanti a Crilin e me e l’ha fatta maltrattare da Cell e, lei, non ha forse pianto lacrime nascoste? O è solo la mia gelosia a volerlo innocente?
'Til forever, on it goes through the circle, fast and slow
I know, it can't stop, I wonder

I wanna know, have you ever seen the rain?

«Vegeta
«
Vegeta!» Ripete, tempestiva, un’altra voce, dal fantasma di un ragazzino assonnato, appena sveglio, che avanza verso di noi. Vedendomi, si blocca.
Raccolgo le gambe. «Ciao! Tu devi essere Turble!» Indossa una maglietta troppo larga per il suo fisico gracile e macilento; mi guarda stralunato e sospettoso.
«
Whoisshe?» Biascica in inglese rivolgendosi al fratello.
«
Una compagna di classe.» Spiega Vegeta, senza smettere di leggere il suo libro.
«
Doesn’t she have classes in the morning
Parlano in fretta e mi è difficile capirli, così non colgo del tutto la battuta di Vegeta. «Not when we are planning to kill you!» Gli scorgo un ghigno da dietro la pagine; chiude il manuale e si alza in piedi. Avvicinatosi alla finestra, la chiude. «Non ti hanno insegnato che è da maleducati parlare in una lingua che non tutti conoscono bene
Turble
esita, raccoglie un braccio nell’altra mano e, sempre ignorandomi, aggiunge: «I heard voices…»
«Nonsense. Erano le nostre
«You’re supposed to protect me, not to invite strangers home
«And you’re supposed to behave!» Tuona il maggiore, ora nella stessa lingua. «So, behave
Il
ragazzino, tuttavia, non demorde né cambia modo di esprimersi e, con quegli occhi tanto simili all’altro, bercia un rimprovero. «I highly doubt our father would appreciate your way of life, Vegeta
«Vorrà dire che gli chiederò scusa non appena lo vedo.» Se la ride in risposta quest’utlimo, mentre il fratello decide di sedersi direttamente per terra, schiena al muro, a debita distanza da me di cui non credo si fidi. «Devi perdonarlo, Brief, Turble non è esattamente normale.» Un’aggiunta innecessaria la sua, che infatti gli procura una librata, schivata, da parte del fratello, dopo aver preso la prima cosa capitatagli tra le mani. «Though having to sit on the floor is absolutely normal for you, isn’t it
«Te l’ho spiegato il motivo
«
Being stubborn
«Non ho intenzione di chiedere altri soldi allo zio, poi smettila di parlare in inglese! Ora fammi studiare.» È l’ultima parola di Vegeta, che torna a stendersi sul tappeto, pancia in sotto stavolta, tuffandosi nei teoremi filosofici argomento della prossima interrogazione.
Tuttavia, i testardi nella stanza sono due, e se uno ha propeso per un ostinato silenzio, il secondo, Turble, è risoluto a sostenere le proprie convinzioni a discapito della pazienza di Vegeta e della mia che vorrei continuare il mio discorso.
«
You don’t have to do this! It’s been two weeks since the last time you went to school. How can you face the final exam if you keep missing classes
Turble non può scorgere come Vegeta, che lo fronteggia di spalle, stia reclamando tutto il suo autocontrollo stringendo i pugni sulle pagine su cui tenta, invano, di puntare la propria concentrazione. Non risponde subito, fa un lungo respiro.
«
Hey, I’m talking to you!» Esorta nuovamente il più piccolo, imperterrito nel suo linguaggio d’oltre manica; non gli importa di essere maleducato, e cambiare argomento è per lui una latente alternativa. Si comporta come se io non esistessi, come se, dare conto della mia presenza, potesse in qualche modo scombinare il suo flebile equilibrio psichico, subordinando ciò che più gli preme chiarire alla paura di trovarsi in pericolo. Ha qualcosa da dire, e vuole dirla adesso. «You cannot have me here
«
Mi pare abbastanza chiaro che non dipende da me! Comunque ne parliamo dopo, non è il momento adesso.» Conclude Vegeta in un’ennesima manciata di autocontrollo, ed immagino si riferisca alla mia presenza. Tanto difficile è però avere a che fare con un giovane adolescente, voglioso di proteggere i propri diritti a discapito dei presenti. «And when is the right moment for you, Vegeta, uh? Not when there’s Lazzuli nor when we’re alone cause you cannot be bothered, and now? If you trust this girl to be here, I believe she can listen too Sbotta, tutto d’un fiato, adesso indicandomi con il dito; mi sento chiamata in causa senza nemmeno comprendere a pieno il motivo. Fossi stata un’altra persona a quest’ora me ne sarei andata via, essendo invece me stessa, sarebbe un torto alla mia curiosità se andassi via proprio adesso che potrei finalmente conoscere qualche particolare della misteriosa vita del mio amore non tanto nascosto. Il quale, perduto irreparabilmente il proprio “self-control”, si alza in piedi come un vulcano in eruzione, e tuona: «Would you, please, shut up? Or do you reallly want to piss me off?» È già abbastanza nervoso per aver perso molti giorni di scuola per la difficoltà di trovare una sistemazione adeguata al fratello, il quale continua a tirare la corda.
«
Why don’t you understand I’m truly in danger, Vegeta?» Urla quindi di rimando, issandosi in piedi. «I cannot stay here, I don’t want to stay in those awful clinics either, I could only stay with mum E, nella stretta pronuncia inglese, nel vomito di parole straniere di entrambi, mi giunge chiara quest’ultima parola: mum, mamma!
«Turble, how many times do I need to repeat myself?»
«And how many times do I? You promised, Vegeta! You promised Batte un colpo a terra.
«I have never made such a promise
«Yes, you did!
You did promise you’d be looking for her» Si scontrano a distanza, colpendosi a vicenda con le proprie assunzioni urlate. «You’re just a lazy bastard! You only want me to die Lo accusa alla fine, grondante copiose lacrime su per le guance scarne.
«
Maybe I do, so I’d be finally able to live my fucking life!»
Si dicono molte cose litigando, poche pensate veramente e credo anche per Vegeta sia così, tuttavia riesce lo stesso a mortificare Turble, scosso dai singhiozzi. «It wouldn’t even be difficult! There’s not so many people sharing her name Riprende piangendo, trafitto al cuore da ciò che resta della sua famiglia. «Please, if I stay here, you’ll hate me. Please, don’t… don’t hate me
«Non credo che tuo fratello ti odi, Turble!» Penso bene di intromettermi per prendere le parti del mio amico, nella speranza di mettere un freno a questa straziante conversazione e riprendere la nostra. L’intervento riesce però soltanto a raggelare il mio interlocutore, che sgrana gli occhi su di me e urla con tutto se stesso ripetendo al fratello di non odiarlo, di aiutarlo, senza tuttavia impietosirlo: Vegeta lo osserva in silenzio, probabilmente abituato a questo genere di crisi isteriche; ma negli occhi neri gli brilla già una certa sodomia, quando decide di svelare: «She cannot be found, she’s dead, Turble.»
«Lies, our father told me she had to run away!»
Oh se un dio dell’odio potesse esistere, personificato da qualcuno, questi non sarebbe che Vegeta! Il cui rancore gli corre indomito nello sguardo, prima ancora che nei suoi passi, portandolo vicino al fratello distrutto a cui, calmo e sprezzante, dice: «I know that for sure, because I was there the day she died, as it happened to be the same day of your birth
Come non provare dolore, davanti a due occhioni grandi e neri come la profonda tristezza di Turble, incapace se credere o meno alla rivelazione? Ma nessuna corda si smuove nell’animo di Vegeta, inflessibile nella sua sviolinata; s’inginocchia vicino e, messagli una mano sulla testa, come se non avesse affatto parlato fino a quel momento, aggiunge: «So did our mother promise me that she would be back soon, but she never did because of you. E adesso prendi le tue medicine e sta’ zitto, perché devo studiare.» E Turble, fattosi docile come un agnellino spaventato, annuisce; ora sì, ora è certo che suo fratello lo odia davvero e ne conosce il motivo.
Persino io dovrei capire che, l’unica persona da cui stare in guardia, è l’unica di cui mi sia mai innamorata veramente? Non capisco che è solo ossessione.
Vegeta ha però ancora voglia di esagerare e, lisciando la chioma al minore, infligge (ma sorridendo!) il colpo di grazia. «Sai, credo proprio che al tuo compleanno ti regalerò una corda, così ti ci impicchi!» Così Turble, in un'indecisa confusione, sceglie di ridere anche lui, di gusto, sperando sia stato tutto uno scherzo.

 

Continua…

 

 

 

Ciao a tutti e tutte! Spero che questo aggiornamento vi sia piaciuto. Grazie di aver letto fin qui e a coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite.

Vorrei solo aggiungere un paio di cosette: la canzone usata per questo capitolo è “Have you ever seen the rain” di Creedence Clearwater Revival (il nome del gruppo forse non vi dirà nulla, ma giuro che si tratta di una canzone famose che avrete sentito centinaia di volte xD).

Il luogo “Shadow Bay” è sì inventato, ma ho preso il nome in prestito dal videogioco Metal Gear Solid.

Questo è tutto, continuate a fare buone vacanze! :)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Storm ***


spin off

Storm

(Parte 1, Spin-off)

______________________________

 

Shirt, Kanassa, 2005.

When the night has come

And the land is dark

 

Shirt, tagliata in due dall’equatore, poggiava le sue chiappe sfiancate sull’arida terra di Kanassa, in cui l’unica brezza era probabilmente quella prodotta dallo sbattere di ali di una mosca, grassa e unta come lo strato di sudore sul palmo della mano di chi l’aveva appena schiacciata, Dodoria.
E il caldo gli si era appicciato addosso, grondante dalla pelata che, quel fazzoletto liso tra le dita, non avrebbe asciugato del tutto. «Sono stufo, ti dico, davvero stufo!» Attaccò con voce lamentosa, «Ogni volta quel Freezer e il suo cazzetto di mediatore riescono a soffiarci i clienti da sotto il naso, ed ecco che siamo costretti a sudare come maiali per nulla in cambio.» Si tamponò ancora la fronte e ordinò l’ennesimo rum al barista, intento ad asciugare bicchieri dietro ad un bancone polveroso.
And the moon is the only light we’ll see
No I won’t be afraid…

Il socio, dotato dei più bei lineamenti che ogni donna avrebbe voluto baciare, rispose solo dopo un’attenta analisi dei suoi capelli lunghi e una volta sicuro di non avere doppie punte. «È perché gioca sporco. Ma so io come giocare ancora più sporco!»
«Che intendi dire?»
«Intendo che…» Lasciò la sua spiegazione sospesa nell’aria stantia del bar, considerò che il tavolino non fosse troppo sporco da poggiarci i gomiti, fasciati da una costosa giacca di lino, e continuò: «C’è un certo Jaco, credo sia un infiltrato non troppo segreto del governo e che…»
«Non troppo segreto?» Lo interruppe Dodoria sudato come un maiale. Zarbon sospirò paziente, e dopo aver chiesto al barista di alzare il volume della radio per coprire meglio le loro chiacchiere, riprese da dove aveva interrotto. «Uno di quelli mandati per fingere che i governi facciano qualcosa per controllare il traffico d’armi, lui ovviamente non lo sa ma il suo lavoro è di rispedire a casa almeno un paio di noi per far tutti contenti, mi spiego?» Just as long as you stand, stand by me…
«Non molto, cosa vorresti fare, denunciare Freezer per caso?»
«Freezer è troppo potente!» Sbottò l’atro, stringendo i pugni. «Anche se lo denunciassimo, non è detto che lo manderebbero al fresco… tuttavia, potremmo lasciarci sfuggire qualche informazione non proprio riservata riguardo il suo mediatore, quel Vegeta.»
«E mentre saranno tutti impegnati a dissipare il polverone…» Continuò adesso Dodoria, con gli occhi porcini che brillavano di cattiveria, sulla stessa pagina del compagno.
Stan by me, ooooh stand, by me…«Noi avremmo abbastanza tempo per concludere l’affare con Tai Pai al posto suo.» Concluse il più bello dei due sfoggiando un sorriso mellifluo. Nel frattempo una cameriera pettoruta e dai capelli viola aveva portato loro da bere e ricevette, come mancia, una volgare pacca sul sedere dal più brutto.
«Ma come facciamo ad esser sicuri sia un infiltrato?» Domandò quest’ultimo e poggiò al bicchiere le labbra carnose.
«Ho sentito gli scagnozzi di Crasher che ne parlavano, stanno giusto cercando qualcuno da sacrificare e ho intenzione di dire a Kakao di aver trovato quello giusto.»
I due si scambiarono uno sguardo di complice malevolenza, prima di gioire della geniale risoluzione che li avrebbe aiutati a concludere un vantaggioso contratto e a sbarazzarsi di quel cazzetto moscio di Vegeta.

 

If the sky that we look upon

Should tumble and fall

 
All the mountains should crumble to the sea
, «Cosa vuoi che me ne importi?» Rispose Vegeta all’autista che gli aveva chiesto di poter alzare il volume. Tra il caldo, le mosche e le zanzare che non lasciavano tregua, ascoltare musica alla radio era davvero l’ultimo dei suoi pensieri.
Così la jeep andava, incespicando tra le dune del deserto, guidata da un poco di buono chiamato Yellow e più andava avanti più Vegeta sentiva che l’affare stava andando troppo tranquillamente. Molto più del solito. Non c’erano state le solite traversie al suo arrivo a Kanassa, l’elicottero era atterrato come di consueto e una vettura era già pronta ad attenderlo. Solitamente, c’era sempre stata una manciata di minuti di scarto nello scambio tra i due vettori, per sincerarsi che nessuno del Governo stesse seguendo la trattativa: o era incappato in una ben nota “botta di fortuna” oppure qualcosa nell’aria puzzava di sospetto. Eppure, per una volta, sapendosi nemico fidato di un destino sempre avverso, aveva voluto credere al sorriso benevolo della fortuna, cantando, forse troppo presto, al proprio trionfo. Non si diede dunque molto da pensare riguardo le circostanze fortuite a cui era andato, e stava andando, incontro, persuadendosi che per una volta poteva semplicemente essere stato fortunato.
Era sudato, accaldato e stanco e in cuor suo sperava stesse andando come previsto da Freezer perché, al momento, non avrebbe voluto fronteggiare altri problemi che quello di trovare un bar per bere una birra fresca! Né gli era mai importato veramente della buona riuscita dei loschi affari del parente: si vedeva come un mediatore e nient’altro, pieno d’odio per il proprio principale piuttosto che per l’immoralità delle proprie azioni. Stava imparando e, forse, un giorno avrebbe preso il posto di Freezer, mandando qualcun altro a compiere il lavoro sporco piuttosto che dirigersi, personalmente, su luoghi di guerra o limbi dalla fangosa giustizia.
E senz’altro la jeep, arrugginita ferraglia rossiccia, carica di nuovi prototipi di armi, fermò al centro di un campo circondato da tendaggi bianchi. Vegeta scese e avvertì la sensazione sgradevole di affondare nella sabbia con le scarpe da ginnastica. I won't cry, I won't cry
No, I won't shed a tear

Just as long as you stand, stand by me

 

«Insomma lo vuoi fare o no?» Si sollevò in ginocchio, e il letto sobbalzò come il suo umore. Ed era già nudo, e così era lei, ad eccezione degli slip che le biancheggiavano ancora sul ventre, del tutto asciutto.
Avevano iniziato come tante altre volte, prima degli ultimi, sconquassanti eventi della loro brevi, già complicate vite. Diciotto distolse lo sguardo. «Certo.» Scacciò dalla spalla una mosca immaginaria, voleva solo coprirsi il piccolo seno svestito, affatto turgido come l’eccitazione dell’altro. «Ma sbrigati!» Si lamentò, «Toglimi questi.» Gli indicò quell’ultimo lembo di stoffa, non osava toccarsi, non osava toccarlo. Chiudendo gli occhi, accolse, con una smorfia, l’esaudirsi della sua preghiera, mentre le sua mani sudate le sfioravano i fianchi stretti. Spalancò gli occhi, per essere sicura di avere proprio lui, Vegeta, e non l’altro, a tornarle sopra pesante col suo corpo in fiamme. Si raccolsero a vicenda lo sguardo, dell’uno confuso, dell’altra terrorizzato, nonostante nudi si conoscessero già.
Questa volta era però diversa: Diciotto sapeva che avrebbe dovuto concedersi fino in fondo per sferzare l’amore infiacchito che Vegeta provava (aveva provato?) per lei, persuaso di essere usato invece che amato di rimando.
Vegeta, infatti, aveva concimato la convinzione che la sua algida ragazza non lo vedesse che come un simile, piuttosto che come un compagno. Macchinosa, fulgida bellezza, Diciotto calcolava solo interessi materiali; incapace di svelare i suoi problemi familiari, preferiva essere accolta in casa di Vegeta, perché alla sua non poteva e non voleva assolutamente tornarci: era in fuga. Concedersi sarebbe quindi stato il modo, ormai l’unico, per suggellare il sacro patto, grazie al quale le veniva permesso di continuare una relazione in cui nessuno dei due ormai credeva più, se non per convenienza, di lei, se non per ossessione, di lui.
Temeva di baciarla, quasi temesse di restare attaccato a quelle labbra di ghiaccio. Continuava a fissarla, a studiarla, chiedendosi se anche lei fosse in grado di sentire il lambiccare del suo cuore nel petto muscoloso. Il ricordo della già disastrosa volta scorsa gli pulsava nell’inguine, e non si vergognava affatto di aver insistito tanto allora: proprio grazie a quel ricordo, invigoriva la nuova voglia, pensando all’eccitante energia che lei aveva impiegato per allontanarlo e che se non fosse stato per il doloroso morso avrebbe di certo continuato. Tuttavia, adesso, non riceveva invece che sospettosa arrendevolezza. Qualcosa era davvero cambiato.
Le sfregò la guancia, che sfrigolò ad un soffio dalle sue labbra. Sorrise, maligno. «Non sei stata mai così arrendevole.»
«Adesso sono pronta.» Mentì, era pronta soltanto a non voler tornare a casa. Lo sforzo che stava compiendo le stava riuscendo particolarmente gravoso: mai sarebbe stata pronta, pensava, a farlo così. Eppure, oggi avrebbe dovuto fingere di esserlo, perché se Vegeta avesse capito la vera ragione (tenerselo stretto per proteggere se stessa) l’avrebbe cacciata per orgoglio, né lei avrebbe mai trovato il coraggio, scevro da qualsivoglia imbarazzo, di confessare di essere tutt’altro che illibata.  
Fu lei a prendergli le labbra; gliele graffiò con un bacio veloce, come se avesse baciato un disgustoso rospo, nel sospetto che non si sarebbe mai tramutato in principe. «È il casino che viene da fuori, mi distrae, non mi piace. Chiudi la finestra!» Tornò a lagnarsi, serrando le braccia, dalle ascelle umide, ai fianchi.
Vegeta si sollevò per l’ennesima volta, sbuffando; a piedi scalzi, raggiunse la finestra e lasciò fuori i fastidiosi festeggiamenti per l’elezione del nuovo sindaco Satan.
«Scegli qualcosa alla radio.» Suggerì Diciotto, nel tentativo di prendere tempo; si ficcò intanto sotto le coperte.
«Non posso, c’è Turble che dorme di là.» Si affievolì, a nominare il fratello nel frangente della sua prima volta.
«Avrà preso i suoi sonniferi.»
«Ho detto che non mi va.»
«Allora spegni almeno la luce.» L’intimità con Vegeta non le era mai parsa tanto penosa! Era tuttavia necessario accordarsi al suo bisogno fisico di averla, altrimenti, lo sentiva, avrebbe perso l’opportunità di godere dell’agio di stare lontana dal malfidato genitore.
Né di soldi ne aveva in abbondanza: la somma promessale, all’inizio da suo padre, era andata via via diminuendosi (l’ennesimo, meschino tentativo di farla tornare) tanto da non permetterle di pagarsi altro alloggio che non fosse questo con Vegeta. Un albergo di terz’ordine rappresentava per lei un incubo, e tutti suoi vestiti e tutte le sue scarpe che fine avrebbero fatto?
Sobbalzò, quando Vegeta scostò le coperte per riprendere posto; il suo corpo minuto, niveo, tremò tutto e lui lo notò. Le fu ancora sopra, non più eccitato; iniziò a baciarla, a toccarla senza che lei si degnasse del minimo movimento. Sembrava una bambola di gomma, in balia di una lampante repulsione. Vegeta l’aveva capito, ma non riusciva a figurarsi il motivo, non il vero. Continuava a metterla alla prova, per scoprire fino a che punto avrebbe retto. Aveva poca fiducia, e in parte a ragione, per l’amore che Diciotto assumeva nei suoi confronti: era convinto volesse solo approfittare di lui per poter restare, quasi a gratis, presso di sé. Ed andarsene era esattamente ciò che la ragazza desiderava evitare.
Tuttavia, pensava Vegeta, Diciotto non stava affatto facendo un buon lavoro: trovava, infatti, che una maggiore partecipazione gli fosse dovuta. E di certo quella non era ragazza da aver scrupoli, nell’andare a letto con qualcuno che non gradiva del tutto. Scommetteva che, se l’avesse pagata, Diciotto si sarebbe esibita in peripezie degne della prima attrice porno! Magari avrebbe proprio dovuto pagarla.
Sembrava la disgustasse, e più la baciava, più questa impressione diventava forte. Eppure, non era sudato, aveva fatto una doccia, i denti li aveva lavati… Probabile fosse ancora arrabbiata con lui, quando ad essere sinceri, se non fosse stato morso, sarebbe arrivato a violentarla; ma se fosse stato questo il motivo, lei, sì, proprio lei, non lo avrebbe mai invitato a letto quel giorno!
Il motivo di quel distacco doveva essere un altro, lo ignorava. Accese la luce. «Preferisco così.» Le disse, «Voglio vederti.» Avrebbe cercato di leggerle nello sguardo ciò a cui non arrivava. Ma lei rimaneva immobile, come una lucertola frastornata in attesa del colpo di grazia del gatto.
«Sento freddo.» E si coprì di nuovo con le lenzuola, e annodò le esili gambe dai piedi ghiacciati a quelle robuste di Vegeta. Si agitò e trovò un’altra scusa per spegnere la luce; venne accontentata ma lanciò un gridolino, quando lui le prese una mano per farle rianimare una passione ormai smorta; quella stessa mano, sgusciò subito via ad riaccendere la luce, come un pesce disturbato nella sua tana sabbiosa. «Ho cambiato idea, preferisco vederti.»
«Lascia perdere, ho capito.» Decretò, rabbioso, Vegeta. Un disastro!
Lo sgomento cadde sul viso di Diciotto, insieme alla luce che lo illuminava. «Continuiamo!»
«Mi sembra evidente che tu non voglia.»
«Non è vero.»
«Magari preferisci il pelato.»
Oh no, non lo preferiva affatto; era dolce Crilin, ma solo perché non sapeva, non la conosceva, Vegeta invece era come lei: cattivo. Non avrebbe mai voluto essere guardata da Crilin come la guardava Vegeta, e sarebbe finita così, pensava, se gli avesse dato la possibilità di conoscerla meglio.
Crilin era un balsamo per la sua autostima e non voleva smettesse di considerarla perfetta! Vegeta, invece, aveva smesso da un pezzo; non avrebbe avuto nulla da perdere, nemmeno lo amava più, a raccontargli la verità sul suo conto, tranne che la propria dignità. L’orgoglio le impediva di compiere quel passo e la paura di essere oggetto di un biasimo ancora maggiore.
«Preferisco te!»
«Allora dimostralo.»
Era struggente non riuscirci, non ingoiare quel groppo di tristezza che le occludeva la gola, il terrore e il disprezzo di se stessa le aveva inaridito il ventre. Forse, per sempre.
Decise di compiere l’ennesimo sforzo, timorosa di perdere Vegeta oltre all’onore. Senza mai guardarlo negli occhi, restituì, toccandolo appena, con grande sacrificio, tutte le attenzioni ricevute fino a quel punto, quasi fosse un automa o una puttana in balia di un vecchio (il suo vecchio, suo padre) molto poco attraente. Il disgusto che lei provava per se stessa tornò ad assalirla e Vegeta lo interpretò rivolto a lui e quella rabbia divenne sua, per la presa in giro ormai penosa. Involontariamente, Diciotto gli passò la propria inadeguatezza, che corrose la sua sicurezza.
Convinto di non essere voluto, che lei, disinnamorata, continuasse solo per avere una casa in cui vivere, Vegeta iniziò ad indispettirsi; scansò la ragazza, e dopo aver giocato lui stesso contro la propria eccitazione svogliata, decise che era giunto il momento di averla finita una volta per tutte. «Mettimi il preservativo.» Ordinò, per calarla nel ruolo in cui voleva prendesse parte, quella dell’amante! E alla luce dell’invadente lampadina, le scrutava il viso, imbruttito e vinto dall’ennesima battaglia psicologica di cui Vegeta ignorava l’esistenza.
Decisa a vincere almeno la guerra, l’algida C18 scartò con i denti bianchissimi la protezione di lattice, gli occhi sfuggenti per l’imbarazzo e per la paura dell’imminente fallimento: ogni tanto lanciava a Vegeta occhiate furtive, il quale si dimostrava capace solo di fraintendere, una ad una, quelle scorse fugaci. Non capiva, infatti, che Diciotto si era resa conto che i piagnistei avrebbero dovuto finire quel giorno, non c’era in ballo solo la loro prima volta, ma tutta la loro relazione, minata dall’ingombrante reato di cui lei era stata macchiata. Se avesse continuato a non concedersi, se avesse continuato a morderlo, avrebbe dovuto spiegare il motivo del suo rifiuto psicologico e non voleva che lui la considerasse sporca. Allo stesso tempo, però, desiderava arrivare con lui fino in fondo, per vincere il ripudio maturato per se stessa. Eppure, sarebbe stato così semplice se gli avesse spiegato tutto! O forse avrebbe complicato di più la situazione, non riusciva proprio ad essere spensierata come quella Bulma. Non riusciva a decidersi e dunque, restia, galleggiava nella sua farsa. Esaudito l’ordine, insolitamente docile da sembrar colpevole, si stese di schiena, in attesa di accogliere Vegeta nel suo ventre riarso e non illibato.
Vegeta, indeciso, la guardò ancora per un istante. Per come gli appariva la questione, C18 sarebbe stata pronta a concedersi riluttante pur di avere un posto in cui dormire. Ed era questo il genere di giochetti che lo infastidiva; per l’ennesima volta, Diciotto aveva un problema e aveva preferito tacere: non era pronta, non era più innamorata, voleva solo vivere lì? Ebbene, perché non dirlo apertamente invece di prenderlo per i fondelli? Non era forse questo il rispetto?
Infine, affondò con forza le proprie disillusioni, con spinte inesperte, nell’inguine arido della ragazza, che lo accolse con dolore senza dirgli nulla. Ed erano in due, ma Vegeta lo stava facendo da solo; iniziava già a spomparsi per la passività di lei, finché riprese slancio non appena Diciotto spirò un flebile, frastornante “basta”.
Vegeta non si fermò, piuttosto proseguì fino a soddisfarsi in quella bambola di gomma, poi lascivo, ad un orecchio, poco prima di scivolare via le sussurrò: «Mi fai davvero schifo!» Restandole addosso, le strinse il mento tra pollice e indice. «A me non importa un accidenti dove dormi, ma le prese in giro mi fanno davvero arrabbiare.» Si levò dal letto, scese a terra. Perché, tra tutti i modi possibili, aveva deciso di trattarlo così? Allora, davvero, avrebbe dovuto violentarla quella volta per tutte? E adesso, era forse accaduto di averla violentata?
«Che cosa c’entra, cosa c’entra dove vivo io?» Balbettò lei, cercando al contempo di pescare delle giustificazioni plausibili per quanto appena successo. Talmente terrorizzata da dover spiegare tutto, non pensava ad attribuire anche a Vegeta una fetta di torto.
«Fosse stato per soldi avrei capito, chissà ti venga meglio.» Racimolò qualche spicciolo dalle tasche dei pantaloni, e insieme a qualche vecchio scontrino accartocciato, gettò tutto sul letto. «Tieni, magari ti viene più voglia.» Aggiunse con ironia.
Diciotto scansò le monetine, drappeggiandosi la coperta addosso, si sollevò a mezzo busto. «Sei il solito poveraccio, prova a pagarmi di più, se ci riesci!» Rispose all’insulto, tornando per un attimo la ragazza scontrosa di sempre, contenta che la discussione avesse preso una piega diversa, nonostante il bruciore tra le gambe.
«Vuoi scherzare? È esattamente quello che meriti. Non sei stata nemmeno in grado di fingere, non vali nulla nemmeno come puttana!»
«E perché, allora, non l’hai fatto con la Brief? Sai già che ti muore dietro ed è molto più puttana di me!»
Non era affatto quello il momento di tirare in discussione la mocciosa di casa Brief, «Coraggio, non c’è motivo di essere invidiosi delle sue qualità, Diciotto.» Un ghigno seguì il suo insulto. «Ti basterebbe tanto così per raggiungere il suo livello!» Il ghigno venne a sua volta seguito da una strana espressione uggiosa, indecifrabile, rivolta a chissà quali pensieri.
«Sai, è difficile riscaldarsi quando si finisce in tre minuti.» Lo beccò Diciotto, riferendosi alla breve performance di Vegeta, che sfilatosi e gettato il contraccettivo, iniziava già a raccogliere i propri vestiti.
«Eri talmente asciutta che mi si stava screpolando!»
Avrebbero continuato a battibeccare per un bel pezzo, se Tarble non avesse spalancato la porta sorprendendoli. Sentendoli discutere, non era riuscito a resistere a quell’habit, proprio anche del fratello, di origliare conversazioni di nascosto dietro una porta chiusa. Era rosso in viso, quanto imbarazzati divennero anche Vegeta e Diciotto, seminudi, scoperti nella loro intimità.
«Turble, ma che accidenti ti salta in mente!» Esclamò Vegeta, con un filo strozzato di voce, indossando velocemente un paio di jeans.
Il ragazzino chiuse gli occhi, li riaprì, e chiuse di nuovo. «Cosa le stavi facendo?» Strizzava uscio e porta tra le mani, grosse lacrime, incastonate in quegli occhi neri, fissi sul fratello.
«Cosa non mi stava facendo, magari.» Mugolò Diciotto, per colpire l’orgoglio di Vegeta, e c’era un nota dolorante nella sua voce.
«Né più né meno di quello che avrei fatto da solo.»
«Ti accontenti di poco.»
«Mi sono accontentato di te, infatti.» Sprezzante, agguantò poi il fratello per una spalla e lo scaraventò sul letto. «Ma tranquilla, è arrivato il tuo eroe, a faccenda finita, davvero tempestivo.» Non sapeva neanche più cosa stesse dicendo, stizzito per l’intromissione del fratello, arrabbiato con Diciotto, vomitava parole e insulti per distrarsi da quello che stava provando in quel momento: schifo, di sé e di tutto il resto; aveva proprio colpito il fondo, ed era stata una bella botta, perché si era lasciato prendere in giro. «Coraggio, l’ho già pagata!» Lo esortò ancora, sferzando via le coperte con cui Diciotto si stava coprendo. Le monetine tintinnarono a terra.
«Che fai?!» Gracchiò la ragazza, tirandogli un calcio, mentre cercava di non perdere la presa sull’ultimo lembo di stoffa che riusciva a malapena a coprirla.
«Smettila!» Riprese Tarble, «smettila, smettila!» E si gettò contro Vegeta a pugni tesi, in lacrime: non ce la faceva proprio più a combattere, era stanco ed era stanco di vedere il fratello così nervoso e di vedere Lazzuli maltrattata e maltrattarsi, sempre più scontrosa ma, soprattutto, era stanco di essere un peso. Non aveva avuto modo di conoscere Vegeta per bene, oltre le fugaci visite alla clinica e gli riusciva difficile decifrare i suoi modi, ma era colpa sua se stava perdendo giorni di scuola, se aveva smesso di nuotare, se dormiva poco per reggere il passo con lo studio e, allo stesso tempo, era anche colpa di Vegeta stesso che non riusciva a vincere le proprie noie per trovare equilibrio e serenità.
Tuttavia, la sopportazione di Vegeta si era completamente lacerata. Era stufo di quello stupido impertinente e dei suoi piagnistei. E aveva in bocca il sapore del sangue, perché Turble l’aveva colpito alla guancia, ferendogliela internamente con l’apparecchio. «Ma che cazzo!» Si liberò della sua rabbia, e scaraventò il bambino fuori dalla stanza, sbattendo la porta. Si rivolse a Diciotto, «Rivestiti, altrimenti te la spacco.»
Il breve silenzio tra l’avvertimento di Vegeta e la risposta di Diciotto, venne sconquassato dallo sbattere di un’altra porta, un tramestio, e poi un’altra porta ancora: il portone di casa; Turble era fuggito.

 

E Vegeta corse via, trasportato dal vento di una decisione fugace, inutile, sciocca. E l’idiota vestito da cowboy gli era già alle calcagna, più abituato di lui a correre tre le dune del deserto, nonostante gli speroni, che scintillavano al sole. Lui, invece, affondava nella sabbia come se fosse mobile, arrancava, sotto i raggi cocenti di una giornata che avrebbe segnato l’ennesima svolta nella sua vita e l’avrebbe ricordata per sempre, in ogni suo piccolo particolare onirico. Come le caviglie all’improvviso bloccate insieme, annodate da una fune con pesi alle estremità, delle bolas che lo costrinsero a rotolare sulla sabbia bollente. Sputacchiando granelli, strizzando gli occhi accecati dal riverbero, tentava di liberarsi quando due ben noti stivaloni a punta riempirono il suo ridotto campo visivo, e dovette arrendersi ad una pistola puntagli contro. «Sono Jaco Teirimentenpibosshi, membro della P.G.S.CADASS.ILL, nientemeno che la Pattuglia governativa speciale contro le armi d’assalto illegali. Non ti sorprende di avere avuto questo privilegio?» Si presentò l’ometto dal volto coperto da un cappellaccio a falde larghe.
«Di che diamine parli?» Chiese Vegeta, molto più preoccupato del mirino a laser che ora punteggiava contro il suo petto, piuttosto che della misera pistoletta in mano a quel gringo bislacco. Avrebbe dovuto capirlo subito che il suo abbigliamento era troppo sospetto! Peccato che il senno del poi arrivi sempre in ritardo.
Sollevò col pollice il bordo sudaticcio del cappello, unico segno del caldo che stava sopportando con incredibile stoicità. «No dico, non ti sorprende e allo stesso tempo inorgoglisce che proprio io, il migliore agente che la Pattuglia governativa speciale contro le armi d’assalto illegali abbia mai avuto, sia stato scomodato per scovare la tua intricata tratta mercantile? Per la prima volta, grazie a me, siamo riusciti a coglierti sul fatto!»
«Quelle armi non sono nella lista del protocollo internazionale, posso venderle a chi mi pare.» Rispose Vegeta, colpito dall’ometto di età indefinita che lo fronteggiava. Cercava di mantenere la calma, conscio che qualsiasi movimento falso gli sarebbe valso la vita.
«Allora perché sei scappato via, se credevi di essere nel giusto?» Fu l’ovvia risposta di Jaco, che con un controllo sovrumano della situazione, pareva nel bel mezzo di una normale conversazione.
«Perché hai iniziato a fare troppe domande.»
«Oh…» Jaco si grattò la testa. «Quindi credi che non saresti scappato se non ci fossero state tante domande ad insospettirti? Insomma, avrei potuto essere soltanto un compratore molto esigente. Ma in fin dei conti non mi è dispiaciuto questo inseguimento, con questo sole che taglia l’orizzonte, è stata una scena da film americano, anche se rivedrei il modo in cui sei caduto a terra, di lato. Magari frontalmente, faccia alla sabbia, avrebbe aggiunto quel tocco di comicità occidentale che non guasta mai.»
Le parole di Jaco, unico fiume nel deserto, si susseguivano rapidamente, montando a Vegeta un gran mal di testa. E perché diavolo quel tizio si era vestito da cowboy?
Mentre, incapace di accattare la sconfitta per mano di un imbecille, iniziava a chiedersi se quanto stesse accadendo fosse vero o frutto di una severa insolazione, quattro membri del Fiocco Rosso arrivarono a far da ombra al folle del far-west e sollevarono Vegeta per le braccia.
«Aspettate, ragazzi, aspettate un attimo!» Li richiamò il pattugliatore speciale, prendendo il cellulare dalla tasca del marsupio a frange. Vegeta già si dimenava e tirava calci per scappare, perché sapeva che, accerchiato da così tante persone, il cecchino che lo teneva sotto tiro non avrebbe rischiato a colpirlo in quel momento. Avventato nelle sue decisioni, con il raziocinio accecato dallo smacco subito, non pensava che, se anche fosse riuscito a liberarsi dalla presa, il tiratore lo avrebbe comunque colpito in seguito. Tuttavia, serbava la speranza di servire a loro vivo e non morto.
«Dite che c’è il tempo per una foto ricordo?» Blaterò Jaco, e fu l’ultima cosa che Vegeta riuscì a sentire, prima di essere tramortito da un colpo in testa.

 

 

Broth Street quella sera era tinteggiata dalle luci della città in festa. Striscioni colorati serpeggiavano sulle pareti dei palazzi e palloncini rossi, con su disegnata la facciona del nuovo sindaco, volteggiavano qua e là dalle mani dei bimbini. Una calma piena di giubilo, destinata a infrangersi in un tuffo nel canale dall’acqua nero pece.
«Aiuto, qualcuno si è buttato nel canale!» Gridarono alcune voci, e la folla già ondeggiava curiosa verso il punto indicato, in cui quel qualcuno nuotava come un forsennato nella melma gelida.
Un pezzetto di stoffa, una camicia bianca, galleggiava rigonfio sulla superficie scura e frastagliata dalle bracciate di Vegeta. Il quale a tratti risaliva, a tratti si immergeva per cercare il corpo di chi sperava di trovare. Un tentativo davvero molto vano; tuttavia, risaliva e si immergeva e risaliva ancora, maledicendo le esortazioni della gente, prendendo sempre meno fiato di quanto ne avesse bisogno, finché non gli fu finalmente chiaro che Tarble non sarebbe stato trovato.
Stringendo la camicia, nuotò fino al bordo; scansò l’aiuto di quanti glielo offrivano, e si sollevò sulla strada, riemergendo dalle emozioni contrastanti che gli smuovevano il cuore. Non c’era tristezza sul suo volto bagnato, ma l’amarezza di aver infranto la promessa di proteggere il fratello, e il sollievo di averlo perso per sempre?
«Cosa t’è saltato in mente? Volevi ammazzarti, forse?» Irruppe Diciotto col fiatone, spintonando i presenti; indossava un vestito leggero senza biancheria, per la fretta di dover correre fuori casa. Le gote erano arrossate.
Vegeta le gettò addosso la camicia zuppa. «Quell’imbecille si è buttato in acqua!» La informò, e scorse dei poliziotti venirgli incontro.
«Allora perché questa bravata? Proprio oggi, duranti i festeggiamenti del nuovo sindaco.» Lo interrogarono.
«Turble, credo sia caduto in acqua. Non sono riuscito a trovarlo.»
«Accidenti! Non voglio saperne nulla, di questa storia!» Sbottò Diciotto, accalorandosi, non tanto perché le importasse di Turble, quanto perché non voleva essere coinvolta in altri problemi. «È tutta colpa tua, Vegeta, non avresti dovuto parlargli in quel modo!» «E sta’ zitta allora, chi ti ha chiesto niente?» Ruggì Vegeta, ma non chiedeva alla polizia di salvare il fratello né di cercarlo. Le labbra, intanto, erano diventate violacee per il freddo che grazie all’adrenalina non sentiva. Riprese ad accusare Diciotto, con frasi sconnesse, e quella si difendeva, arrabbiandosi di più e la polizia cercava di capire cosa fosse accaduto, chi dovessero cercare e perché.
«È scappato per colpa tua!» L’accusò infine. «Se invece di fare l’indisponente come tuo solito, ti fossi limitata a stare zitta, non avrei alzato la voce e lui non si sarebbe spaventato!»
«Beh ovviamente è colpa mia! Chi l’ha scacciato, eh? Non io!»
Sopraggiunsero i paramedici, scortati dalle sirene dell’ambulanza, diedero una coperta a Vegeta, e invitarono lui e Diciotto a calmarsi, che avrebbero cercato presto il loro cane. «È mio fratello!» Esclamò, esasperato, Vegeta. «Ho perso mio fratello.» Ripeté subito dopo, stavolta, atono. Credendolo sotto shock, i paramedici gli controllarono le pupille, gli sistemarono addosso la coperta che continuava a togliersi “assicurava di sentirsi assolutamente bene”, a discapito del viso pallido e delle labbra viola. Lo accerchiavano, come sarti intenti a cucire un abito ad un cliente irrequieto. E lui ribadiva di stare bene, e Diciotto gli sputava addosso mille improperi e lui le rispondeva, accusandola ora senza rabbia, ora con solerzia.
La confusione durò fino al momento in cui qualcun altro non fece la propria apparizione. Il signor Freezer, vestito di bianco, incedette rabbioso verso il proprio protetto, «Vegeta.»

Continua…

 

 

 

 

Ringrazio tutti di essere arrivati a leggere fin qui, spero questo piccolo spin-off sia stato di vostro gradimento. E mi scuso anche per il ritardo, ma in questo periodo sono davvero impegnatissima, cercherò comunque di postare il prossimo capitolo appena possibile! :)

 
PS: una menzione speciale per Died, che mi ha suggerito il cowboy per Jaco!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Dramamine ***


Dramamine
Dramamine

I hope it doesn’t show
It’ll go’way
It’s just a passing phase
It’ll go’way
(Sparks, Angst in My Pants)

Gli pizzico via una delle cuffie del walkman e la rilascio contro il suo orecchio. «Non credo intendessero questo per socializzare!» Ha dipinta addosso l’ombra ondeggiante della grande quercia sotto cui è seduto.
«Quell’imbecille si è sparato addosso, non ho motivo di continuare quest’idiozia» Risistema le cuffie e alza il volume della musica metal che sta ascoltando. Riesco a sentirla fin qui. Non è esattamente così che deve andare; non ho organizzato tutto questo per farlo stare tutto solo sdraiato sull’erba! Gli punto il fucile contro. «Torna immediatamente dagli altri o giuro che ti sparo.» Mi ero anche premunita che lui e Goku capitassero in squadre differenti, pur di coinvolgerlo. E invece il cretino preferisce starsene per conto suo, senza nemmeno aver capito quanto mi stia impegnando per impedirgli un esaurimento nervoso. Vai a fare bene, Bulma, vai a fare bene.
Allarga la braccia, schiacciando la schiena contro il tronco dell’albero. «Accomodati, mi faresti solo un piacere!»
«E vorresti che tutti sapessero che ti ha fatto fuori una donna?»
«Io vedo solo una mocciosa!»
«Stai molto attento» Minaccio una fucilata in mezzo alle sue gambe. «O darò alla tua smorfiosetta un altro motivo per starti alla larga.» Non che abbia visto Diciotto rivolgergli la parola, anzi, credo non si siano nemmeno salutati. Dovrò indagare su questo.
Vegeta afferra la canna del fucile e con forza mi spinge indietro. «Falla finita, Brief! Perché invece non vai a puntare il sedere tra le gambe di quel troglodita che ti porti appresso? Almeno glielo fai annusare un po’!»
«Sei tu il troglodita e diventi ogni giorno più volgare.» Mi chino su di lui, sorrido mentre gli dico: «Lo sconforto ha quest’effetto su di te?»
«Guarda che sto benissimo.» Rimbrotta visibilmente infastidito. Ovviamente sta mentendo! Come potrebbe stare bene? Nel giro di pochi mesi ha perso tutto, suo fratello è scomparso e non credo sia contento della sua nuova sistemazione.
«Mah, non direi, hai una faccia da funerale!»
Noto le sue mascelle irrigidirsi come la nostra conversazione. «Notizie di tuo fratello?»  Riprendo.
«Allora le hai o no, notizie di tuo fratello?» Domando ancora, scocciata, visto che lui non si decide a rispondere.
«Non le ho.»
«Beh potevi dirlo subito!» Gli si devono sempre cavare le parole di bocca. «Cosa credi gli sia successo?»
Mi guarda di sbieco un instante, con rimprovero, ma non controbatte. Ovviamente. «Beh ne è passato di tempo, un’idea dovresti averla, Vegeta.»
«Sei venuta a farmi il terzo grado?» Sbotta, senza neanche provare a mantenere la calma.
«Ma perché ti agiti, volevo solo sapere come andasse. Una domanda più che lecita!» Puntualizzo, senza rendermi conto della mia indelicatezza.
«Ti ho già detto che mi trovo benissimo.» Scandisce tra i denti, come un cane pronto a ringhiare.
«E ti trovi benissimo anche da tuo zio?»
«Meglio di ogni aspettativa.» Afferma con un sorrisetto altezzoso.
«Meglio della notte che ti ha fatto passare al fresco?»
«Ho infranto la legge.» Scandisce ogni parola come se pesasse un macigno. Certo deve costargli parecchio difendere il parente piuttosto che darmi ragione. Chi mai avrebbe lasciato il nipote una notte intera in galera, piuttosto che pagare la cauzione?
«E poi che accidenti ci facevi in Brothel Street a quell’ora? Ti cercavi una ragazza forse?» Scoppio in una risata nervosa. Ne hanno parlato per giorni a scuola, di come Vegeta si sia lasciato coinvolgere in una rissa in una via poco raccomandata della città; la voce sia stato per una ragazza, probabilmente una prostituta, ha stuzzicato la fantasia di molti (e la mia), rendendo la faccenda ancora più misteriosa e piccante. Questo, ed altri episodi, hanno portato i genitori degli studenti a chiedere che fosse cacciato da scuola, bollato come influenza troppo negativa per noi poveri piccoli pargoli. Fortunatamente il preside Satan ha convinto tutti che, con un adeguato programma di socializzazione, Vegeta avrebbe affrontato in maniera più sana e civile gli eventi tragici degli ultimi mesi. Sfortunatamente il preside Satan non ha calcolato che Vegeta non vuole amici intorno, ci considera tutti una seccatura. Altrimenti non starebbe in disparte invece di giocare a paitnball nel torneo tra scuole. Non gli permetterò di considerarmi una seccatura. Ma che accidenti ci faceva a Brothel Street?
«Non sono affari tuoi, piuttosto perché non torni a socializzare?»
«Vuoi scherzare? Ho sentito Marion lamentarsi per un grosso livido sul braccio. Non ho intenzione di ridurmi ad uno straccio, poi ho dimenticato la crema solare.»
«La crema solare?» Ripete incredulo. Bisogna spiegargli sempre tutto, ai ragazzi!
«Certamente, la crema solare! La metto sul viso ogni giorno per rallentare l’invecchiamento cutaneo, ma stamattina l’ho dimenticata. Sinceramente credevo ci fosse stata più ombra nel campo, meno male che qui ce n’è!» Siamo sotto un albero ai margini di una foresta. «Ci siamo allontanati un bel po’ dal gruppo.» L’ho seguito fin qui non appena l’ho visto allontanarsi. Mi spoglio del fucile e mi siedo accanto a Vegeta, che nel frattempo ha abbassato il volume della musica. «Dici davvero un mucchio di fesserie.» Borbotta mentre considera il cielo non esattamente limpido.
Poggio la mano su qualcosa di viscido e molliccio. «Ah! Ma cos’è questo schifo?» Urlo all’improvviso mentre, alzandomi, scaravento via una lunga lumaca bianca che finisce addosso a Vegeta. «Che schifo, che schifo!» Strozza lui con un filo di voce balzando in piedi. Le mie urla si trasformano in una fragorosa risata, nel vederlo blu di paura per una cosa che striscia. «Odio le cose che strisciano perché me l’hai gettato addosso!» Si lamenta su di me tutto d’un fiato, infastidito.
«Ah ah ah, ma non l’ho fatto di proposito! Ho agito di istinto! Ah ah ah Non sapevo che…»
«Stupida, non è una lumaca!» Mi interrompe, indicando con il suo fucile di vernice quell’essere immondo, fluorescente in contrasto con l’erba verde e scura. Raccoglie con la punta della canna ciò che avevo scambiato per un animale e me lo agita davanti.
«Cosa credi che sia?» Domando.
«Un preservativo usato.» Sghignazza, ma allo stesso tempo arrossendo, e me lo getta addosso per ripicca. Faccio un passo indietro disgustata.
«Lo sapevo benissimo…» borbotto menzognera, non vorrei mi prendesse per un’ingenua. «Non credere sia il primo che veda!»
«Ah sì? Ne hai visti tanti suppongo.»
«Certamente.» Dall’espressione divertita di Vegeta mi rendo conto di quanto le mie parole siano suonate male, dando spago ad un seguito di battutine. «Mi chiedevo solo cosa ci facesse un preservativo usato in un posto sperduto come questo!»
«Davvero non ci arrivi?»
Sto per rispondergli per le rime ma una prima goccia di pioggia mi cade sulla guancia. «Sta per iniziare a piovere, sarebbe meglio raggiungere gli altri.» Dico invece. Raccolgo il fucile in spalla e prendo al strada del ritorno, seguita da Vegeta.

«Ti stai sbagliando, stupida! Non è affatto questa la strada per il campo!»
«Vuoi smetterla di chiamarmi stupida? Sei davvero uno zuccone, se prima mi avessi dato retta invece di girare al pioppo…» Mi guardo intorno sperduta; le cime degli alberi sono incappucciate dal vespro.
«Quello non era un pioppo! E comunque era la direzione giusta.»
«Allora come mai non ti ricordavi del bivio?» Sistemo il fucile; la cinghia bagnata mi pesa contro la spalla, tirandomi la pelle, scommetto che mi lascerà un segno orribile.
«Tu invece te ne ricordavi benissimo, visto che, ora, non sappiamo dove ci troviamo.»
Ci fronteggiamo sotto la pioggia divenuta copiosa. Siamo completamente zuppi e sporchi di fango. Un fulmine mi fa sobbalzare. «È tutta colpa tua, Vegeta! Se non ti fossi allontanato non sarei stata costretta a seguirti, e adesso staremmo con gli altri per la via di casa.» Mi lamento spaventata e infreddolita. Questo stupido! Doveva per forza addentrarsi nella foresta?
«Nessuna ti ha obbligata a seguirmi.»
Un altro fulmine, più forte di prima scuote la foresta. Così, spaventata, salto addosso a Vegeta. «Moriremo qui, colpiti da un fulmine!» Piagnucolo, stringendomi a lui. Sotto le dita, sento le sue spalle tra i vestiti bagnati.
«Te le inventi tutte per strusciarmi addosso!» Rimbrotta lui, seccato, sotto un manto di pioggia.
«Tra poco sarà buio e non vedremo più niente.» Continuo a lamentarmi senza speranza. Addio bella chioma cotonata, addio stivaletti nuovi di pelle ora rovinati dal fango, addio pelle di pesca! «Sei davvero un cretino; sei il solito testone; non potevi restare a giocare con noi? Devi sempre fare l’asociale! Sei un cretino, un testone!» Gli puntello dei pugni ben serrati sul petto, piango di disperazione sotto la pioggia; vorrei procurargli del male fisico, ma i suoi bicipiti da nuotatore smorzano l’effetto di ogni mia molestia. Mi rendo conto di essere ancora tra le sue braccia quando sento le sue mani scivolarmi sui fianchi. Allora smetto di dimenarmi e lui mi dice: «Ho detto che conosco la strada.» È un tono rassicurante; è il suo modo di promettermi che mi avrebbe riportata a casa. Si scosta avviandosi verso destra. Ed in quel momento sentiamo un chiacchiericcio, preceduto da una luce, proveniente da sinistra: sono tutti i miei amici, più quella smorfiosa di Diciotto.
Goku è in testa. «Urca, finalmente vi abbiamo trovato.» Agita la torcia contro Vegeta, che pare infastidito dal risvolto della situazione. «Vegeta, stai andando dalla parte sbagliata, il campo è di qua.» Specifica inutilmente Goku, illuminando lo sguardo torvo di Vegeta. Le lenti degli occhiali riflettono la luce.
«Ah ah è stato grazie alle urla di Bulma!» Precisa Crilin, da sotto un ombrello, come se ne avesse bisogno per non bagnarsi i capelli.
But when you think you made it disappear
It comes again, “Hello, I’m here”,
And I’ve got angst in my pants

«Eh eh e quindi mi chiedevo, sempre se per te va bene, Vegeta, di chiamare Diciotto sul banco dei testimoni.»
«Il caldo ti ha dato forse alla testa?» Ringhiò Vegeta, battendo i pugni sul tavolino bianco della sala incontri del carcere di Orange City, il rumore delle catene che ha i polsi lo fa sembrare ancora più furioso; l’arancione della tuta da carcerato, attillata contro i suoi muscoli, lo rende più spaventoso.
«Oh andiamo, ne è passata di acqua sotto i ponti, ormai ti avrà perdonato la tua cotta per Bulma!» Affermò con ingenuità l’avvocato Son Goku, rimestando alcuni documenti sul tavolo.
«Cosa vai blaterando?» Tuonò di rimando Vegeta, affatto contento degli advice del suo avvocato.
«Coraggio! Lo avevamo capito tutti che sotto sotto...» In realtà non aveva mai capito un bel niente, era stata Chichi a farglielo notare, ai tempi della scuola e, anche allora, Goku, non ci credette del tutto. «Ora avresti più possibilità, visto ti sei fatto più carino!» Era evidente il riferimento all’assenza di occhiali e dell’apparecchio ortodontico. «Piuttosto, quando ti sei tolto gli occhiali?»
Questa volta i colpi di Vegeta sul traballante tavolino furono forti al punto che una delle guardie si decise a sbirciare, timidamente, dalla porta e a chiedere «Tutto ok?», prima di socchiudere la porta ad un cenno di assenso di Goku, che agitava le braccia in aria per indicare di lasciar correre.
Il detenuto numero 204-5 non era affatto un tipo raccomandabile. La guardia ne aveva sentite di storie su di lui! Alla TV si diceva che era stato in una prigione per terroristi, che di crimini efferati ne aveva compiuti a iosa e se tutto questo era vero, aveva senso che, lì in prigione, gli altri detenuti avessero paura di lui. Basta guardarlo per capire quanto sia colpevole!  «Insomma Vegeta, basta guardarti per capire quanto tu sia colpevole!» Continuava, intanto, la conversazione tra detenuto e avvocato. «Abbiamo bisogno di qualcuno che dica apertamente il contrario!»
«Ma è proprio questo il punto, imbecille! Credi davvero che Diciotto dirà quanto io sia irreprensibile? Poi che intendi che basta guardarmi?» Sfumò di rabbia Vegeta, per nulla convinto della strategia di Goku. Aveva ancora dei conti in sospeso con Diciotto, per via del chip che lei stessa aveva consegnato a Bulma, ma da lì a chiedere una deposizione favorevole, beh come aveva detto Goku “ne era passata di acqua sotto i ponti”.
«Non soffermiamoci sui dettagli, adesso, ci penserò io, fidati di me.» Sgomitò Goku, contento e ammiccante.
«Non mi fido della la tua laurea per corrispondenza.»
«Ehi, adesso non essere ingiusto, ho impiegato ben 207 giorni per ottenerla!»

But when you’re all alone
And nothing bites
You’ll wish you stayed home
With someone nice


Chichi punta il dito verso Crilin. «Nana inizia ad abbaiare». Nulla. «E Nana inizia ad abbaiare!» Nulla, ancora.
Percorre, scandendo con rabbia ogni passo, la distanza che la separa da un sognante e sospirante Crilin; gli dà un colpo in testa con il fascicolo arrotolato che ha in mano. «Ho detto, che Nana inizia ad abbaiare!»
«Oh! Ah ah scusami Chichi!» e l’abbaiare isterico di un Chiwawa impazzito si espande dalle casse dello stereo per tutto il teatro.
«Stoppalo, stoppalo!» Inveisce ancora la ragazza, colpendo più volte l’amico con il fascicolo. «Ma cos’è?» Interroga Chichi, tra sghignazzi e risate degli altri studenti.
«Beh è quello che passa l’archivio della scuola…» Si giustifica Crilin.
«Beh e io ti avevo detto di registrarlo tu il suono! Altrimenti che tecnico del suono saresti?» Il nervoso che di secondo in secondo le cresce dentro si attacca alle sue parole formando un’unica frase. Oggi le prove sono un disastro! Con l’avvicinarsi degli esami pare che tutti abbiano una scusa per distrarsi e saltare le prove; ma dubito che Yamcha stia passando il pomeriggio a studiare.
«Ma… ma… dove lo trovo l’abbaiare di un San Bernardo?» Balbetta Crilin. «Poi hai visto quanto sono grossi? Non vorrei mai farne arrabbiare uno!»
«Già, non sia mai ti morde il naso!» Lo rimbecca Chichi, colpendolo ancora con lo script di Peter Pan, di cui è regista per la recita di fine anno. Crilin tenta di scamparla stirandosi sui pulsanti della sua postazione, riparte il Chiwawa isterico per aver premuto play inavvertitamente.
«Mi dà sui nervi, mi dà sui nervi!» Questa volta Chichi se la prende con la console, pigiando tutti i tasti fino a ristabilire il silenzio. Lo stress degli esami le sta dando proprio alla testa. «Uff…» Sospira, una volta spento lo stereo. «Vorrà dire che il San Bernardo lo farai tu, Crilin.»
«Eh?»
«Hai capito benissimo! Va’ a registrarti mentre fai il suo abbaiare.»
«Ma…ma… ma Chichi, non ho idea di come faccia un San Bernardo!»
«Sai già che non è un Chiwawa isterico.» Pone fine alla discussione, mentre forza Crilin ad alzarsi. «E trovati un registratore decente!» Letteralmente lo caccia via.
Sbam! Un libro, dal soffitto, le cade vicino schivandola per una manciata di centimetri. Lo raccoglie e lo scaraventa in platea con la stessa velocità con cui le si gonfia la vena che ha in fronte. Il libro, Utopia, colpisce una sedile dividendosi dalla copertina rigida.
«Ehi ma che cazzo fai?» Impreca Vegeta da sopra il soffitto.
«Tu che cazzo fai, Vegeta!» Chichi, mani ai fianchi in posa bisbetica, è quasi comica nell’aver pronunciato una parolaccia. «Non darò nessuna buona opinione su di te, se credi che stare appollaiato lì sopra senza far nulla sia abbastanza.» Ma Vegeta è già sceso dal suo iperuranio di legno per riprendere il libro che gli era caduto di mano.
«È pieno giorno, che luci vuoi che usi, nemmeno si vedono per terra.»
«Sei qui per impratichirti.» Rimarca Chichi, rivolgendosi a lui, meno spavalda di prima.
Vegeta risale sul palco, pare arrampicarsi alla grata di luce e polvere che i finestroni gli proiettano addosso. È così bello! Sussurra la nostra Mrs Darling a Campanellino, Già quell’aria inquieta da bel tenebroso gli si addice proprio. «Volete stare zitte?» Le riprendo tutte e due. Sono mesi ormai che Vegeta scombussola gli ormoni agitati delle ragazze a scuola. Prima nessuno lo considerava tanto attraente.
«Guarda che non siamo a Broadway.» Dice Vegeta a Chichi.
«Scusa tanto se ci tengo ad una bella figura per tutti.»
«E la farai fare anche a me.» Le è minacciosamente vicino Vegeta, mentre riscalda una mano in un pugno.
«Solo se inizi a collaborare come tutti.» In realtà “tutti” aveva smesso di collaborare da un bel po’.
«Ti ho già spiegato che le luci non si vedono, come faccio a regolarmi?»
«Allora vuol dire che per oggi farai la parte di Yamcha!» Butta avanti Chichi, facendo però un passo indietro.
«Scordatelo!»
«Neanche per sogno!» Controbatte Chichi, pronta a tirargli contro lo script, prima che una voce interiore la bloccasse: l’istinto di sopravvivenza la trattiene. «Tieni.» Gli porge il fascicolo. «Devi solo leggere da qui, così Bulma ha modo di ripetere la sua parte.»
Vegeta mi rivolge un’occhiata fugace e accetta infine il compito senza dire più nulla. Campanellino e Mrs Darling si sgomitano a vicenda in un apprezzamento del suo sedere.

You can dress nautical
Learn to tie knots
Takes lots of Dramamine
Out on our yacht
But when you’re all alone
And nothing bites
You’ll wish you stayed at home
With someone nice


You’ve got angst in your pants
You’ve got angst in our pants

«Convinceremo anche tuo fratello a collaborare.» Affermò Cell guardandola negli occhi.
«Non è poi così difficile da accettare!» Si innervosì infine, stanco di quella tiritera. Diciotto distolse lo sguardo, per quanto il suo mento restava tra le dita di Cell. Dietro di lei il gocciolio dal soffitto della rimessa, in cui l’avevano condotta. Era un ambiente umido e freddo, come la famiglia da cui lei e Cell provenivano.
«Dieci milioni. Voglio dieci milioni.»

You can be smart as hell
Know how to add
Know how to figure things
On your yellow pads
So no one knows what you just said
But it’s mumbling now
“You’ve got angst in your pants”
And “You got angst in your pants”

Sbircio da sotto le coperte polverose del mio letto di scena. É palese che si sta vergognando da morire, ha gli occhi fissi sul copione. «Campanellino, dove sei?»  Legge svogliatamente Vegeta, con voce mono-tono. «Vieni fuori da quel cassetto.»
«Fantastico, davvero, si capisce che ci stai mettendo l’anima, Vegeta!» Lo rimprovera Chichi.
«Se non ti sta bene trovatene un altro.»
«No ma continua, va benissimo.» Lo canzona Chichi, terribilmente scocciata.
«Ma chissà dove l’avranno messa, tra tutte questa scatole.» Riprede ringhioso Vegeta mangiando le parole tra i denti. Con una mano regge lo script, con l’altra rimesta degli oggetti a terra. Sta cercando la sua ombra. La sua coscienza persa?
«Eccola.» Non esclama, è annoiato. «Mica devo indossarle!» Chiede poi a Chichi in un guizzo d’ansia, brandendo in aria un paio di collant neri.
 «Devi attaccarle ai piedi con quella!»
«Una saponetta?»
«Vuoi attenerti al copione?»
«Smettila di darmi ordini o me ne vado subito!» Lo scorgo sedersi a terra, borbottando qualcosa di incomprensibile mentre tanta di attaccarsi addosso la sua ombra. Ma non sarà così semplice riattaccarla.
È il mio momento. Mi sveglio, scendo dal letto. «Ragazzo, perché piangi?» Gli chiedo dolcemente, nelle vesti di Wendy.
Peter svetta in piedi e si volta verso di me. Non ricorda cosa dire, sbircia il copione non trovando dove era rimasto. «Come ti chiami?» Chiede infine.
«Wendy Moira Angela Darling. E tu?» Siamo in un cono di sole.
«Peter Pan.» Mi guarda negli occhi.
«È tutto?»
«Sì.»
«Mi dispiace.»
Esita. «Non importa.»
Mi sudano le mani, continuo a guardarlo negli occhi. «E da dove vieni?»
«Seconda stella a destra.» Dice, si perde un attimo, aggiunge: «E poi dritto fino al mattino.»
«Che indirizzo curioso!» Ridacchio, coprendomi il viso con le mani. «Dove le riceverai le lettere?»
«Non ricevo mai lettere.» Risponde lui tutto serio.
«Ah no? E tua madre, non riceve lettere?»
«Non ho una madre.» É la paradossale verità dei fatti.
Mi avvicino di un passo. «Allora non mi stupisce che stessi piangendo.»
«Non stavo piangendo.» Risponde burbero. «Stavo solo cercando di riattaccare questa cosa… la mia ombra.» Borbotta, tentando di ricordare il copione.
«Non hai più un’ombra?» Una coscienza?
«No.»
«Che cosa orribile.» Sussurro. «Se vuoi ti aiuto io…a ritrovarla.» Raggiungo un cassetto e fingo di cercare ago e filo. «Ecco. Te la cucirò addosso!» Gli torno vicino. «Potrebbe far male.» Lo avverto.
«Correrò il rischio.» Dice Vegeta.
Ci sediamo a terra. Gli tocco una gamba per fingere di stare ricucendo la sua ombra. Lo vedo arrossire e poi scatta in piedi. «L’ho sistemata!»
«Come se io non avessi fatto nulla.»
«Beh non sei del tutto inutile.»
.«No, non lo sono affatto.»
«Il più delle volte.»
Ma che state dicendo? Ci sussura Chichi
Non so più se stiamo recitando o meno, ma devo correre offesa verso il letto.
«Aspetta, non andare via!» Riprende la parte Vegeta, leggendo. Legge ancora e ma non dice nulla. Rilegge e, senza distogliere lo sguardo dal copione, è costretto ad ammettere: «Non posso che fare il galletto quando sono soddisfatto di me stesso.» Sento Goku ridacchiare nel suo costume da bimbo sperduto. Offesa mi butto sul letto, coprendomi con le lenzuola. Come da copione.
«Bulma, cioè Wendy… aspetta!» Sempre più rosso, mi raggiunge sul letto. «Non sei affatto inutile.»
Mi scopro il viso. «Lo pensi sul serio?»
«Vado via, vieni con me.» Dice, ma non è esattamente la linea del suo copione. Mi metto seduta.
«E dove?»
«Non lo so.»
«Tra le stelle!» Lo corregge Chichi dagli spalti. «È tutto sbagliato, mettici un po’ di impegno, Vegeta!»
Ho nel pugno sudaticcio il ditale che Wendy dovrebbe dare a Peter Pan. «Sono così felice che vorrei darti un bacio.» Balbetto, avvicinandomi al suo volto, chinato sul copione.
Vegeta si scosta. «Un bacio?»
«Certamente saprai cos’è un bacio.»
«Lo saprò quando me lo darai.» E al diavolo il ditale! Afferro Vegeta per le spalle e mi getto sulle sue labbra, che sento irrigidirsi come i suoi muscoli.
«Ma no, no! Bulma, il ditale!» Chichi schizza in piedi furiosa. «Dovevi prima dargli il ditale.»
Vegeta poggia a sua volta le mani alle mie spalle a mi allontana via. È visibilmente imbarazzato.

Dopo cena, ricevo una visita da Vegeta, scortato in camera mia da mia madre. Inutile dire dove mi sia saltato il cuore nel vederlo. «Vegeta? Che ci fai qui?» Chiedo una volta soli.
«Non trovo più la mia ombra.» Spiega, lasciando lo zaino a terra, in un tonfo. «Speravo me la riattaccassi, sempre se riesci a resistere dal saltarmi addosso.» Mi prende in giro.
«Guarda che non avevo nessuna intenzione di baciarti, era nel copione, ho solo confuso le scene.»
Si avvicina allo stereo «Che musica di merda ascolti.» Alza al massimo il volume, I hope it doesn’t show, it’ll go away,
Give it hundred years, it won’t go away. Si avvicina e mi blocca alla sedia poggiando le mani sulle mie spalle. Ha addosso uno strano odore dolciastro. Non mi guarda negli occhi mentre le sua dita percorrono le mie braccia nude. Mi costringe ad alzarmi in piedi. You can be as smart as hell, but when you are all alone you and your head… Mi cinge i fianchi come quella volta nel bosco ma, questa volta, spinge il bacino contro il mio.
«È davvero eccitante.» Dice e riesco a sentirlo contro il mio corpo. «Non capisco come abbia fatto a non pensarci prima.» Non solo del tutto sicura a cosa si riferisca; mi fa quasi paura: ha lo sguardo piretico di un pazzo. Allo stesso tempo, però, resto incollata al suo corpo. È così diverso dal ragazzo che oggi arrossiva per un bacio. «Vegeta.» Mormoro, mentre lui mi solleva da terra e mi porta sul letto. Mi pesa addosso, allungandosi su di me, mentre con una mano, da sotto il mio sedere, mi tiene attaccata a lui; affonda il viso tra i miei capelli. Perdo il controllo quando inizia a baciarmi sul collo, l’altra mano sul seno. Forse dovrei dirgli che per me è la prima volta, non avrei dovuto fare la spavalda nel bosco. Le mie mani, tuttavia, cercano già la sua cintura, i bottoni dei jeans. Lo voglio così tanto che ho perso ogni freno inibitore!
«Bulma.» Chiama il mio nome, sfiorandomi un orecchio con le labbra.
Sento un fremito e inarco la schiena. «Oh Vegeta.»  Sospiro languidamente.
«Ho bisogno di soldi.» Dice prima di ridermi addosso. Mi stava prendendo in giro? Sono bloccata dal suo peso, ma riesco a tirargli una testata. Ha l’effetto di farlo ridere ancora di più, mentre si rigira sul letto, leccandosi il sangue sul labbro.
And you’ve got angst in your pants, and you’ve got angst in your pants.
«Ben ti sta! Perché lo fai? Eh? Sei proprio uno stronzo!» Gli urlo contro, riempiendolo di pugni ma lui ride ancora una risata perfida e gutturale. Poi, le sue labbra si schiudono in un ghigno. «Allora è vero che ne hai visti già molti.»
«Il tuo non mi interessa proprio.»
«Ne sei sicura?» Ride ancora, indicandosi i pantaloni che gli ho sbottonato. Noto che è ancora eccitato, ma cosa diavolo gli passa per la testa? Gli tiro una gomitata, e pensare che fino a pochi minuti fa mi sarei concessa a lui per la prima volta!
Si riabbottona e si mette seduto. «Allora?»
«Allora cosa?»
«I soldi.»
«A che ti servono, di grazia?» Sono così furiosa.
«Pensavo di avertelo già detto questo pomeriggio. Sto andando via.»
«Dici sul serio?» Domando sorpresa. «E dove pensi di andare?»
«Tra le stelle.» Scimmiotta la battuta che avrebbe dovuto dire oggi pomeriggio. Si alza in piedi e raggiunge lo zaino. Afferratolo, ne svuota l’intero contenuto sul letto, compresa una bustina quasi finita di Blutz Wave, la droga che aveva tentato di vendere al concerto di Diciotto. Ci sono anche sette sfere gialle con delle stelle disegnate nel mezzo. «Cosa sono?» Non menziono le Blutz Wave, dalle quali, tuttavia, capisco il perché del suo comportamento accelerato.
«Le ho rubate a Freezer. Sono reperti archeologici molto importanti, che lui non può dichiarare di avere perché le ha rubate a sua volta. Vendendole avrò tutti i soldi che desidero.»
Sono dubbiosa. «E non pensi che così facendo riuscirà a trovarti? Probabilmente ha già scoperto che le hai prese.»
«Impossibile! È in viaggio d’affari, adesso, tornerà tra una settimana; mi ha lasciato solo. Quell’idiota mi sottovaluta sempre. Ma avrà una bella sorpresa quando tornerà a casa.»
«E allora i mie soldi a cosa ti servono?» Continuo a domandare incredula. Vorrei prenderlo a schiaffi fino a renderlo sobrio.
«Perché ovviamente ho bisogno di soldi per il viaggio e non posso venderle adesso e non tutte insieme. Le venderò separatamente al mercato nero, in giro per il mondo. Nessuno gli dirà mai di averle, perché vorranno venderle a loro volta. A quel punto le mie tracce si saranno perse. E un piano perfetto!» Conclude, iniziando a raccogliere le sfere.
«Così sei venuto qui per questo.» Affermo. «Non tornerai più?»
«Chissà.»
«E la scuola?»
«Al diavolo!» Impreca in uno scoppio euforico. «Mi aiuti o no? Inizio a spazientirmi.»
«E va bene.» Mi alzo per prendere la borsetta, ho 50,000 zeni nel portafoglio. «Al momento è tutto quello che ho.» Glieli porgo ma ferro la stretta quando lui prova a prenderli.
«Chiedimi di venire con te, Vegeta.»
Studia la mia espressione, cerca di capire se si tratta davvero di un ultimatum. «Vieni pure.»
«Chiedimelo.» Insisto.
«Bulma tesoro, volete dei biscotti con del tè?» Interrompe mia mamma da dietro la porta, costretta ad alzare la voce per via della musica. Me l’immagino con il vassoio e i pasticcini al burro.
«No, grazie!» Rispondo, mia madre è sempre così inopportuna! Allento la presa sui soldi e Vegeta ne approfitta per sfilarmeli via.
«Prendo il treno delle cinque per Yellow City, dalla Stazione Ovest.» Dice, per l’ultima volta; apre la porta, afferra un biscotto e vola via.

But when you’re all alone
And nothing bites
You’ll wish you stayed at home
With someone nice
Continua....



 PS: tutte le scritte in Italico sono prese dalla canzone degli Sparks citata nel sottotitolo.
PPS: spero questo capitolo sia stato di vostro gradimento e, se potete, perdonatemi qualche svarione: non scrivo da quasi due anni! Avrei anche voluto impreziosire il capitolo con qualche descrizione in più o sinonimi, ma tant'è, devo riprenderci la mano e più di questo non so fare! xD
 



























Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=547091