All was well

di luna_storta
(/viewuser.php?uid=236208)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Harry era molto nervoso per il colloquio che lo aspettava il giorno dopo, il suo colloquio per diventare Auror. “28 marzo... 28 marzo...” si continuava a ripetere “Dolores, domani vedremo chi aveva ragione, se tu, o la McGranitt”.
Non sembrava passato tutto quel tempo, lo ricordava come il giorno precedente ma in realtà, era successo molti anni prima. La vita di allora era del tutto diversa e mai se la sarebbe aspettata così.
Pensò, per un breve momento a Sirius, che era stato un padre fantastico per quei due lunghi anni e sarebbe stato con lui perfino il giorno prima del suo primo colloquio. Con un pizzico di amarezza ricordò l’ultimo anno che aveva trascorso con la compagnia del suo amato padrino. Passò lentamente una mano sulla tasta del divano beige del suo salotto e socchiuse gli occhi, immergendosi brevemente in un mare di ricordi. Quando li riaprì, decise che sarebbe andato in quella che era stata la casa di Sirius. Uscì frettolosamente dalla casa e con un sonoro CRAC si materializzò davanti al numero 12 di Grimmauld Place. Una leggera ondata di vento gli scompigliò dolcemente i capelli.
Aprì meccanicamente la porta e, senza ricordarsi del porta-ombrelli, v’inciampò facendo aprire le tende del riquadro della madre del padrino.
«Sbadati mezzosangue!» disse una voce dal ritratto.
«Buon giorno anche a te.» disse, ormai abituato al delicato comportamento di Walburga.
«Come osi, lurido mezzosangue, traditore del mio sangue, sudicio ibrido…» non volendola ascoltare, richiuse rapidamente le tende. Almeno era certo di non aver sbagliato casa!
Era rassicurante sapere che, se qualcuno fosse entrato in quella casa, ne sarebbe uscito credendo di essere completamente pazzo.
Rimise a posto il porta-ombrelli e con un rapido Reparo ricucì i jeans che aveva sdrucito nel frattempo e andò nella camera di Sirius, la sua stanza preferita in tutta l’abitazione.
Di solito si soffermava a vedere quelle strane foto di babbane in bikini e di quelle assurde motociclette, oppure si prendeva del tempo per rileggere le lettere tra Sirius e i suoi genitori ma quel pomeriggio non aveva per niente voglia di fare nessuna di queste cose, così si buttò semplicemente sul letto. Era diventata ormai una consuetudine recarsi lì, era come una nuova casa tutta sua.
Andava tutto bene; la sua vita sembrava perfetta a quel punto: possedeva una casa, una moglie e a breve forse avrebbe avuto un lavoro. C’era sempre qualcosa da fare e i suoi pensieri non la finivano mai di tormentarlo, era questo ciò a cui ormai Grimmauld Place numero 12 serviva, in fin dei conti: allontanarlo per il giusto lasso di tempo dalla realtà. Con un’infinità di pensieri in testa buttò gli occhi su un angolo della stanza e vide, qualcosa che prima d’ora non aveva mai notato. Si riaccese in lui quel senso di entusiasmo davanti ad un mistero che ormai aveva dimenticato nonostante l’avesse accompagnato per ogni singolo anno ad Hogwarts.
Decise di andare più vicino per scoprire cosa fosse. Una volta vicino, vide dei simboli eleganti disegnati sulla parete, erano dipinti in un angolo della stanza, un po’ come per essere visti e un po’ per non esserlo. Non si stupì di non averlo mai notato: era delle dimensioni di una scatola molto piccola, grande quasi quanto una Ricordella.
Avvicinandosi sempre più capì che era una scrittura, una scrittura elegante, sicuramente femminile. Per quanto vicino fosse ancora non riusciva a capire cosa ci fosse scritto a causa della piccolezza del tutto. Tirò fuori la bacchetta, deciso in tutto e per tutto a leggere cosa ci fosse scritto e recitò Engorgio. Fortunatamente il punto s’ingrandì fino a raggiungere una grandezza ragionevole.
Sorrise. Si girò eccitato verso la sua destra, dove di solito c’era sempre Ron, ma Ron non era lì. Per un attimo il sorriso del ragazzo si spense, ma riprese presto a rianimarsi.
Harry lesse velocemente le parole che vi erano scritte:
Eccoti qui, presentata al tuo cospetto la stanza dei segreti più segreti. La stanza delle memorie più dimenticate.
Oh tu, mago così brillante, riuscirai mai ad entrarvi? Per farlo devi sapere che,
sono pochi gli alberi tanto ramosi,       
poche le lune così storte,
pochi i peli così folti e silenziosi nella notte,
e poche le code lisce come quelle appena uscite da un barbiere.
Bisogna vivere nel giusto, anche se questo vuol dire non avere buone intenzioni.” 
Sembrava una dolce e familiare filastrocca.
Apparentemente erano parole vuote, senza nessun senso. Non avendo voglia di risolvere quello che sembrava un indovinello, puntò la bacchetta contro le scritte e provò con una serie di Alohomora, o altri tipi d’incantesimi simili ma nessuno parve funzionare. Forse l’assenza di un’ipotetica serratura ne rendeva impossibile l’apertura.
Rassegnato e incuriosito pensò molto, come nemmeno ai G.U.F.O. aveva fatto. Non era un Corvonero ma non era nemmeno così stupido da non poterlo indovinare! Sembrava così facile…eppure era certo che gli sfuggisse qualcosa…qualcosa di facile, la chiave di tutto. Lo rilesse tante volte, fino a perdere completamente la cognizione del tempo. Ormai era completamente concentrato su quelle parole tanto da essersi dimenticato del colloquio; al momento non esisteva altro se non quelle poche righe così intriganti. Si chiese cosa Hermione avrebbe fatto perché lei sì, ne era certo, avrebbe saputo cosa fare. Si sedette per terra incrociando le gambe, sentendosi finalmente comodo. Si passò distrattamente una mano sui capelli e si sistemò gli occhiali sul naso.
Ad un certo punto capì che esclusi alcuni versi, gli altri alludevano ognuno ad un Malandrino diverso: sono pochi gli alberi tanto ramosi alludeva a Ramoso; poche le lune così storte a Lunastorta; pochi i peli così folti e silenziosi nella notte a Felpato; e poche le code lisce come quelle appena uscite da un barbiere a Codaliscia. Era un ragionamento assai contorto e strano, sempre volendolo considerare corretto! Proprio per questo però, era certo che fosse dei Malandrini.
Era assolutamente certo di aver capito le parole chiave e ora tutto poteva essere più facile, poteva finalmente venirne a capo. Si chiese perché non l’avesse capito subito, dal momento che tutto si basava su un elementare gioco di parole. La probabile stanchezza fu per l’ennesima volta la scusa.
Ricapitolando (forse) i Malandrini avevano scritto quelle frasi, alludendo in quattro di queste ad ognuno di loro quattro. Bene, non era poco, era moltissimo. Non avere buone intenzioni gli ricordò a quel punto la frase Giuro solennemente di non avere buone intenzioni!”.
Quasi quasi Harry non ci credette: era fantastico! Ora tutto aveva un chiaro e limpido senso! Sorrise: quella era pura genialità. Si sentì nuovamente come colui che poteva, come colui che osava sempre e che sempre vinceva, proprio come negli anni del Quidditch. Per una volta, si sentì alla pari di Hermione e fu davvero una bella sensazione. Lo ammise: si sarebbe volentieri pavoneggiato.
Tornò alla realtà e assieme ad essa, a casa.
Non raccontò nulla a Ginny e lei gli fece ricordare un fatto molto importante che aveva dimenticato: il colloquio! La sua preoccupazione per esso era diminuita, tanto era entusiasta.
Il mattino dopo, si alzò, si vestì in giacca e cravatta, fece una colazione di cui sicuramente Ron sarebbe andato fiero e prima di entrare nel gabinetto (nonché via di accesso al Ministero) non dimenticò i fogli in cui aveva brevemente spiegato le sue competenze. Ginny era stata premurosa a volerlo accompagnare e aveva anche fatto bene: sapeva quanto Harry avesse bisogno di lei. Il colloquio non aveva un orario preciso e non c’era nemmeno un ordine ben preciso, chi arrivava prima aveva prima la chiacchierata infernale. A loro disposizione era dedicata una intera mattinata.
Quando i due arrivarono Harry si guardò in torno, infantilmente stupito per ciò che era il cuore dell’amministrazione magica. Ginny sapeva orientarsi molto bene e riuscì presto a trovare lo stretto corridoio brevemente improvvisato come sala d’attesa. Non c’erano molte altre persone in attesa di entrare e Harry tremava come una foglia.
Sua moglie lesse più volte il suo curriculum, accertandosi che non vi fossero errori di scrittura e che le capacità e i meriti di suo marito fossero ben illustrati uno ad uno. L’aria era molto calda, o almeno, questo fu ciò che parve al mago. Sentì le orecchie scottargli e allentò lievemente il nodo della cravatta. La vista gli si offuscò lievemente ma riprese ad essere normale con qualche battito di ciglia.
Conosceva poche canzoni ma riprodusse fedelmente il ritmo di ciascuna di esse sulla sua gamba, servendosi di entrambe le mani: la cosa lo calmava. Quando si rese conto che alcune persone avevano iniziato ad osservarlo, smise.
«Rilassati» gli disse Ginny, notando il suo nervosismo. Harry le sorrise appena.
L’attesa parve straziante e lacerante tanto che avrebbe di gran lunga preferito sentire il canto di una Mandragora. Si rigirava le mani fra di loro, consumandole d’ansia.
Arrivò anche il suo turno. Con una velocità indicibilmente lenta Harry percorse lo stretto e anonimo corridoio, fino a giungere davanti ad un portone di legno che aprì velocemente.
Per colui che aveva sconfitto Lord Voldemort, cosa doveva essere un colloquio?
Entrò in una stanza ampia e luminosa. Dovette percorrerla tutta su un soffice tappeto per arrivare alla scrivania dove un uomo di mezza età lo attendeva comodamente seduto su una poltrona e le braccia incrociate sul mobile. Sia a destra che a sinistra c’era una sedia, Harry scelse quella di sinistra. 
«Buongiorno» disse l’uomo. Assomigliava terribilmente a suo zio Vernon. Entrambi avevano una corporatura cicciottina e parevano avere entrambi quello strano amore per quegli orrendi baffi.
«Buongiorno» disse Harry dopo quella che sembrava un’eternità.
Dovette sembrare parecchio spaventato, perché l’uomo disse:
«Vorresti diventare un Auror e hai il timore di una semplice chiacchierata? Forse le voci che circolano su Harry Potter non sono poi così vere» lo stuzzicò «Ad ogni modo sappia che non ci sarà nessun favoritismo nei suoi confronti. Il grande Harry Potter verrà trattato nella medesima maniera di tutti gli altri»
Quelle parole lo fecero tremare ancora di più. Riacquistò un po’ di coraggio e prese il controllo della situazione.
«Non mi aspetto affatto che voi mi assumiate perché ho sconfitto Tom Riddle o perché io sia sfuggito alla morte in tenera età. Mi aspetto che voi mi assumiate per le mie capacità e non per ciò che ho saputo fare con il mio sangue freddo»
«Bene signor Potter. Vedo che la differenza fra lei e suo padre è sottile, proprio come mi avevano detto. Ha parlato delle sue capacità che, come lei dovrebbe sapere, devono tutte essere elencate per iscritto nel curriculum e nessuna può essere aggiunta a voce. Vorrei prima vedere i suoi punteggi di G.U.F.O. e M.A.G.O., gentilmente»
Harry sapeva bene che i punteggi di M.A.G.O. non erano fondamentali per essere assunti. Portavano con sé dei punti in più ed erano quello che nel mondo babbano poteva essere associato all’avere una laurea, anziché solo un diploma. Porse all’uomo solo il foglio che attestava i suoi punteggi del G.U.F.O. e lo scrutò attentamente.
«Astronomia, accettabile. Cura delle creature magiche, oltre ogni previsione. Incantesimi, oltre ogni previsione. Difesa contro le Arti Oscure, eccezionale. Erbologia, oltre ogni aspettativa. Pozioni, oltre ogni previsione. Trasfigurazione, oltre ogni previsione. Divinazione, scadente. Storia della magia, desolante. È evidente che il signor Potter non sia portato per le materie di solo studio e Divinazione. Vorrà dire che avremo un occhio interiore di meno» disse sorridendo. Era il primo sorriso che gli rivolgeva e si rivelò piuttosto inquietante.
Ora era calmo e mentre l’uomo leggeva il resto delle scartoffie, si soffermò a osservare meglio la stanza. Sul soffitto c’erano quattro quadri e ognuno di essi sembrava raccontare una storia a sé stante. Era tutto molto bello, era tutto molto raffinato. Tutti avevano sicuramente più di duecento anni. Sulle pareti laterali erano state dipinte molte porte e sopra ad ognuna di esse era stato scritto il nome di ogni Ministro della Magia assieme agli anni per cui ognuno era stato in carica. Harry lesse alcuni nomi come Faris Spavin, Millicent Bagnold, Pius O’Tusoe…ne conosceva qualcuno ma onestamente ammetteva di non essersene mai interessato anzi, spesso erano stati interessati loro a lui, come nel caso di Rufus Scrimgeou.
«Bene signor Potter, di lei leggo un ottimo profilo. Deve comunque sapere che la sua concorrenza è piuttosto ampia e valida, spero che lei riesca a convincere gli altri come ha convinto me oggi...» fece una breve pausa, come per assicurarsi che Harry stesse seguendo e poi riprese «Conoscevo suo padre, James. Mi diede un grande aiuto quando io tentai di entrare qui dentro, svariati anni fa, cercherò di restituire il favore. Siete l’unico in tutta la giornata di cui ho letto il profilo, gli altri erano talmente intimoriti da non essere probabilmente nemmeno in grado di dire il proprio nome.» sorrise, nuovamente. Pensò a sé e a quanto impaurito si fosse sentito e si stupì nel credere che c’erano state persone più spaventate di lui.
Il tono dell’uomo mutò:
«In tutta sincerità, Harry, dovresti cercare di migliorare l'Occlumanzia e di imparare la Legilimanzia: qui al Ministero sono molto importanti e ricercate. Un Auror oltre che capacità pratiche ha bisogno di un aiuto che nessun’altro potrà mai dargli: l’autocontrollo. Autocontrollo inteso come “gestione delle proprie emozioni” quali rabbia, paura e molte altre. Ci saranno dei test in cui il tuo controllo verrà messo a dura prova ma per te, che sei decisamente sulla buona strada, non dev’essere sicuramente un problema. Non mi è permesso dirtelo, tecnicamente, ma devi sapere che hai buonissime probabilità di venire assunto. Buona fortuna, Harry.»
 
Tutto era andato bene. Quando Ginny gli chiese come fosse andata, lui le raccontò tutto molto minuziosamente.
A cena, quella sera, la donna aveva superato se stessa.
«Ginny» bofonchiò Harry, intento a masticare «quando ci siamo sposati…non sapevo sapessi cucinare!» Ginny sorrise ma non disse nulla.
«É messa molto male la casa di Sirius?» chiese improvvisamente.
«No…ma se vuoi, potremmo andarci durante le vacanze per risistemarla» rispose lui.
«Potremmo prendere seriamente in considerazione l’idea…»  ma quando lei lo disse, Harry era perso, era tornato nella casa, a quella strana frase…
«Devo andare» sentenziò infine, una volta finito di mangiare. Si catapultò fuori di casa, preso dalla curiosità. Non sentì nemmeno sua moglie che gli chiese, leggermente preoccupata «dove vai?».
Era di nuovo lì, al numero 12 di Grimmauld Place, con la soluzione ben chiara. Non cadde nel portaombrelli –era stato attento- e corse nella camera di Sirius, ritornò nell’angolo a fissare ancora una volta quella parete. La scritta era ancora lì. 
«Giuro solennemente di non avere buone intenzioni» disse.
A quelle parole, il riquadro in cui la scritta era dipinta s’ingrandì, fino a diventare delle fattezze di una comunissima porta. I lati del quadrato presto divennero le fessure di una porta e puntualmente, a sinistra, comparve il pomello. Harry non stava più nella pelle e aprì la porta.
 Quello che trovò dentro non fu che oscurità, nient’altro che oscurità.
«Lumos!»
Subito la bacchetta produsse un lieve bagliore che diede un’ottima visibilità di quella che era la stanza. Harry si guardò attentamente attorno, davanti a sé vide degli scrigni, decorati con serpenti che si rigiravano su loro stessi di color nero e argento. Vi erano dei nomi color oro uno su ogni contenitore: Arcturus Black, Cygus Black, Cassiopea Black, Lycoris Black, Orion Black, Regulus Arcturus Black, Walburga Black, Regulus Black, Phineas Black, Pollux Black, Alphard Black e tante altre persone il cui cognome era Black. Gli scrigni andavano avanti sino a oltre il soffitto che sembrava non aver mai fine. Quando aprì bocca per lo stupore alla sua destra vide altri scrigni, che a dire il vero assomigliavano molto di più a scatole da scarpe.
Si avvicinò per leggere meglio e notò dei leoni oro e rosso finemente disegnati con delle scritte fatte evidentemente con un pennarello nero. Lesse mentalmente i nomi, partendo dal basso:
 James Potter, Sirius Black, Remus Lupin e per ultima Maya Rosier. Non fece nemmeno in tempo a chiedersi chi fosse Maya Rosier che notò un grosso libro appoggiato sopra quella pila di scatole, evidentemente dei grifoni.
Quella stanza, delle dimensioni di un ripostiglio per scope, pareva essere piena di sorprese.
Buttò il libro per terra, il quale fece un gran tonfo. Mise una mano sul coperchio della prima scatola e la aprì. Subito ne uscì un bagliore azzurrastro che costrinse Harry a spegnere la bacchetta e a chiudere gli occhi; poi quando il bagliore si affievolì, potè notare cosa vi era dentro: delle provette con un liquido, una specie di nebbiolina opaca color azzurro. Pian piano la sua mente tornò indietro, sino al sesto anno a Hogwarts, quando Silente gli mostrava i suoi ricordi. Ecco cos’erano, ricordi! Centinaia e centinaia di ricordi datati, assieme a una scritta “pag.” accompagnata da un numero e da un altro, separati da un trattino. Aprì tutte le scatole ed in ognuna di esse vide lo stesso contenuto. Si sedette per terra e restò lì a fissarle per un bel po’ quando si ricordò del libro. Lo tirò su e se lo mise sulle ginocchia. Era rilegato da una copertina rigida e le pagine sembravano essere state bagnate, data la loro strana consistenza. Lo aprì, ed iniziò a leggerne la prima pagina.   

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Odio profondamente gli “angoli autrice” e penso che non ne farò uno mai più; ma c’è una cosa che devo assolutamente dirvi.
Dunque, mi dispiace aver utilizzato tutti questi colori e so quanto la cosa possa esser trovata ridicola ma è stato fatto per una semplice questione pratica: volevo distinguere chi stesse parlando e ho trovato che, usando diversi caratteri e saltando spazi non si capisse comunque, perciò ho aggiunto la divisione in colori. Non capiterà più. O almeno, non è in programma.
Probabilmente avrei tenuto solo la divisione in diversi caratteri se solo si fosse capito ugualmente ma purtroppo quelli che EFP mette a disposizione sono tremendamente limitati e simili.
Detto ciò, un abbraccio e buona lettura.


 
Buongiorno!
 
È notte, Sirius.
 
Sara, vuoi che scriva “buonanotte”?
 
Scrivi quello che vuoi.
 
Non sorridermi così, sei inquietante! Dicevo, prima che la formica mi interrompesse…                                                                    
Buongiorno, siamo Felpato, Lunastorta, Ramoso e Sara, la formica.

 
Io a dire il vero non sono Sara, sono Maya.
 
Maya, se è per questo, nemmeno io sono veramente Ramoso!
 
Siamo i Malandrini.
Felpato sono io, Sirius Black.
Lunastorta è Remus Lupin.

 
Ramoso, quel figo di Ramoso, è James Potter.
 
Ci sono io, anche se Sirius si è dimenticato di me. Mi chiamo Maya Rosier.
 
In un buon libro è opportuno scrivere la data!
 
31 maggio.
 
Collocazione?
 
Biblioteca di Hogwarts, vicino al reparto proibito.
 
Maya dannazione scendi dal tavolo! Dobbiamo parlare del libro! Ti aiutiamo noi a cercare “il Quidditch attraverso i secoli”, ma dopo!
 
Ma la partita è domani!
 
È vero Sirius! E James gioca! Non puoi essere così poco patriottico!
 
Ti prego Sirius! È l’ultima partita dell’anno! E James gioca!
 
È vero! Io gioco!
 
E Lily sarà lì a guardarlo! Simili torti non si accettano, Sirius! Non tiferai mica per Serpeverde, vero?
 

Ma avevamo deciso che questa sera avremmo dedicato del tempo al libro! Mi importa del match ma il libro…
 
Maya, parla del libro e fai in fretta, così possiamo pensare alla partita!
 
D’accordo Remus, grazie dell’occasione.
Avete presente come si racconta una storia? Da dove si parte? Noi no. Non sapremmo definirne l’esatto inizio nemmeno volendo. Stiamo finendo il nostro primo anno ad Hogwarts e ne vogliamo scrivere una storia. Inizialmente non volevamo scrivere un bel niente, avevamo imprigionato tutto in delle boccette zuppe di ricordi. Ciò che ne sarebbe rimasto sarebbe stato solamente qualcosa di visto e di udito, totalmente privo delle nostre reali emozioni. Vedendoli, nessuno avrebbe mai saputo ciò che realmente avremmo pensato o provato ed eccoci qui, a scrivere la nostra storia. Siamo Felpato, Lunastorta, Ramoso ed io. Abbiamo incantato il libro affinché lui scriva per noi la storia e riteniamo di averne una veramente bella da raccontarvi.
 

Questo sarebbe stato ciò che avrei dovuto scrivere io, se solo la formica non mi avesse interrotto! Stavo scrivendo quando lei si è intromessa e zum-zum, si sono intromessi anche tutti gli altri! Questa pagina doveva essere chiara come l’acqua, mentre invece è diventata confusa quanto i miei appunti di pozioni!
 
Sirius, smettila di brontolare! Ti trasformo in un calice se non la smetti!
 
Fammi vedere, su! Non ti credo.
 
Sirius, perché devi sempre provocarlo?
 
Jhon, fagli vedere di cosa sei capace!
 
Stupeficium!
 
Qui le cose si mettono male! Buona lettura.
Non schiattate anche se James è uno schianto
.
 
Innerva!
 
◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊
1 settembre 1971, Kings Cross
 
«James, scrivici appena ti sarà possibile per dirci le tue impressioni sulla scuola e ovviamente la casa in cui sarai smistato! Comportati bene e facci essere orgoglioso di te! » disse freneticamente Dorea Black al figlio.
Era una donna di gran classe, sempre ben vestita e ordinata, raramente si scomponeva e quel giorno era una di quelle rare volte. Le lacrime cadevano giù e lei tentava di nasconderle, di catturarle ma erano decisamente troppe.
«Sì mamma…chi sono i lontani parenti Black di cui parlavi? » chiese il giovane.
«James non sono poi parenti così lontani! I tuoi nonni sono i suoi stessi suoi bisnonni! E ora che ci penso anche il padre dovrebbe essere imparentato…dunque…il bis… » James, a cui importava già poco, si perse e non ascoltò più nulla; solo quando la madre lo richiamò tornò alla realtà.
«James, mi stai ascoltando? Ti dicevo…è quel ragazzino là, quello con quella brutta signora di fianco…»
«Dorea! » la richiamò Charlus, il padre di James. Il figlio scoppiò a ridere e ci mancava poco cadesse per terra.
«Dovrebbe chiamarsi Regulus…Regulus Black» affermò decisa sua madre.
«Oh no Dorea, quello è il fratello! Lui dovrebbe essere Tirius…Tirius Black» la corresse il marito.
«Semmai Sirius» disse una voce alle loro spalle. Non appena sua madre vide chi aveva appena parlato sorrise raggiante.
«Bellatrix!» esclamò Dorea dipingendosi subito il viso con un sorriso.
La ragazza in questione era molto bella, aveva dei boccoli neri molto curati, folti e lucenti che le ricadevano dolcemente sulle spalle. Ad un primo impatto al giovane Potter non piacque e nemmeno al secondo. Nel suo sguardo acceso, pronto a sputare fiamme, c’era un’aria perversa che a lui non prometteva nulla di buono nonostante il suo aspetto fisico la tradisse molto. Doveva sicuramente essere una prima (e seconda) impressione sbagliata.
La madre di James spesso gli teneva delle lunghe lezioni in cui gli spiegava tutti i legami di parentela, in cui inseriva l’albero genealogico dei Black tentando vanamente di farglielo imparare a memoria. Lei doveva essere Bellatrix Black, la pronipote di sua madre e quindi, sua cugina di secondo grado. Era l’unica Bellatrix di cui James si ricordasse nell’albero.
«Bella, cara, ti credevo più grande! Non credevo andassi ancora ad Hogwarts! Perdonami, ormai la mia mente è del tutto andata…» la ragazza sorrise.
«Infatti non vado più ad Hogwarts, ho finito due anni fa. Sono qui solamente per accompagnare Narcissa per il suo sesto anno. Andromeda invece ha finito lo scorso anno» e così dicendo indicò due ragazze intente a parlottare in disparte. L’una molto simile a Bellatrix mentre l’altra con dei folti capelli biondi, alta e sottile.
Non era del tutto sicuro che a Bellatrix piacesse sua madre ma non lo diede a vedere perché era buona abitudine, da persone educate quali erano, tenere sani rapporti tra famiglie purosangue. Era un po’ come la nobiltà babbana di una volta, in fin dei conti: si finiva imparentati con tutti, praticamente.
Suo padre lo prese da una parte per parlargli, intanto che le donne erano intente a discutere della frase di Bellatrix “a breve non sarò più una Black ma una Lestrange”.
Kings Cross però non era occupata solo da quella famiglia.

 
1 settembre 1971, Kings Cross
 
La famiglia Black era interessante quanto un pagliaio. O almeno, secondo Sirius Black.
 
Contenta Maya?
Molto.
 
Sirius era sicuro che quello sarebbe stato uno dei giorni migliori della sua vita. Sapeva bene quanto la casata dei Black fosse obbligata ad essere, generazione dopo generazione, Serpeverde.
Lui voleva essere Grifondoro.
Adorava trasgredire ad ogni ordine impostogli o ad ogni singola regola: nella casa di Grimmauld Place non c’era una sola regola che lui rispettasse e dubitava profondamente di iniziare a rispettarne qualcuna ad Hogwarts.
Quel giorno lui si sarebbe liberato della sua famiglia e loro di lui. Quel giorno, la liberazione era per tutti. Sirius attendeva quel giorno da tutta la vita, ma il vero e proprio conto alla rovescia era iniziato il mese precedente quando ogni sera, prima di andare a dormire segnava con una grande croce rossa il giorno appena passato sul calendario.
Tutte le madri erano in lacrime o molto vicine ad esserlo, tutte tranne Walburga Black alla quale faceva solo piacere che suo figlio se ne stesse andando via.
 
«Sirius, ti chiederei di renderci fieri di te ma non ne saresti in grado. Tu prova a venir smistato in Grifondoro e vedi cosa ti faccio! Sarai, in qualunque modo, una enorme delusione per noi. Non saprai mai darci soddisfazioni. Confido che Regulus sappia riempire le tue mancanze » fu tutto ciò che sua madre gli disse.
In lontananza poteva vedere sua cugina Bellatrix parlare con qualcuno (non ne pareva molto entusiasta) e, non troppo distanti, Andromeda e Narcissa intente a parlottare. Li odiava tutti, dal primo all’ultimo, fattasi eccezione per Andromeda.
Sua madre e suo padre parlarono fra di loro tutto il tempo, ignorandolo completamente. Noncurante del fatto che stesse parlando con Cissy, Sirius si avvicinò ad Andromeda, la prese per il polso e la portò da un’altra parte.  
«Ehi, quando hai intenzione di dirglielo? L’hai già fatto? Era questo quello di cui stavate parlando?» la bombardò lui e la ragazza sorrise. Sirius le voleva davvero bene e lei era forse l’unica parente che gli volesse bene. Era un ragazzo difficile e poco obbediente ma sapeva anche essere delizioso se lo si sapeva prendere bene. Lei, a differenza di tutti gli altri, mai lo aveva odiato e lui era l’unico a cui lei aveva confidato il suo grande segreto: la sua relazione con un nato Babbano.
«Sirius, ho paura a farlo, devi capirmi… potrebbero diseredarmi tranquillamente. Non importa che io sia stata una Serpeverde e non importa nemmeno che io sia stata una figlia più o meno perfetta perché sono pur sempre fidanzata con…» e per dire quest’ultima cosa abbassò la voce «un nato Babbano! Per di più mi ha chiesto di sposarlo! Capisci? Ho deciso che Natale potrebbe essere il momento perfetto. Vorrei che ci fossi anche tu…ma non voglio obbligarti ad essere dove non vuoi» a quelle parole al ragazzo brillarono gli occhi.
«Ti ha chiesto di sposarlo? Magnifico! Hai accettato, vero?»
«A dire il vero, non gli ho dato ancora una risposta» affermò sconsolata.
«Tranquilla futura signora Tonks, almeno le tue sorelle non smetteranno mai di volerti bene!» disse facendole l’occhiolino e lei lo fulminò con lo sguardo.
I suoi bagagli erano già sul treno e lui era convinto di farsi strada tra le famiglie per potervi salire, stava già muovendo qualche passo quando si sentì prendere la mano e istintivamente si girò. Andromeda aveva le lacrime agli occhi e restarono tutte lì, non ne cadde nessuna. Lo guardò proprio come una madre avrebbe dovuto guardare suo figlio: con amore. Lo abbracciò e gli lasciò un leggero bacio in fronte.
Prima che lui si girasse riuscì a dire «Se non scrivi a tua madre, almeno fallo a me. Sirius, sai che mi mancherai e sapere di te mi farà stare bene» al che lui rispose con un «Lo so, fallo anche tu, Andromeda».
 
1 settembre 1971, Kings Cross
 
Alcune persone ritengono la puntualità molto importante, come un particolare molto incisivo del carattere. Alcune persone sanno essere sempre puntuali, anche a costo di mettere da parte qualcosa di importante per arrivare in orario. Alcune persone ritengono la puntualità sopravvalutata e la ignorano completamente. Alcune persone alternano l’essere in orario perfetto con l’essere in un esorbitante ritardo. Alcuni invece,  come nel caso di Remus John Lupin, sono sempre spudoratamente in anticipo tranne quel giorno, in cui pareva che tutti avessero progettato il suo ritardo.
Remus in quel giorno era molte cose messe insieme, tra cui trepidazione e felicità. Si sentiva esattamente come un ossimoro.
Sua madre era preoccupata quanto o forse più di lui, ben sapendo che mancavano solamente cinque giorni. Non aveva mai abbandonato suo figlio durante la luna piena e doverlo fare le costava molto.
Erano caduti in disgrazia quando avevano saputo che il loro caro figlio, era stato morso da Fenrir Greyback, un lupo mannaro. Inizialmente temevano che non gli sarebbe stato più permesso  frequentare Hogwarts ma, vedendoli così triste, il professor Albus Silente era riuscito a trovare delle soluzioni ottime per la salvaguardia del ragazzo e degli altri studenti. Tanto per cominciare, aveva deciso di impiantare una particolare pianta: il Platano Picchiatore per consentirgli di arrivare sino alla Stamberga Strillante dove avrebbe trascorso poi le terribili notti di luna piena. Sarebbero riusciti però a piantarlo solamente dall’anno seguente, mentre in quell’anno sarebbe dovuto andare nella Foresta Proibita. “se la caverà”, aveva detto il preside. Tutti riponevano una grande fiducia nel lupo: sapevano che sarebbe stato responsabile, tuttavia lui non ne era poi così sicuro.
Quando arrivarono alla stazione di Kings Cross riuscirono a passare nel muro tra il binario nove e dieci per puro miracolo. Sua madre riuscì a strappargli un bacio prima che il ragazzo salisse.
Aveva aspettato quel momento dalla sua nascita. Se l’era immaginato pieno di chiacchiere, baci e abbracci; ma non era stato così. Sarebbe stato così se il mondo non si fosse messo di mezzo tra loro e quella stazione. Una lacrima di orgoglio scese a sua madre quando il treno iniziò a muoversi.

 
  1 settembre 1971, Kings Cross
 
Maya Rosier si era alzata all’alba e da allora non si era fermata nemmeno un secondo. All’ora prefissata con la sua famiglia era uscita di casa, correndo, dimenticandosi addirittura del suo baule.
Ora era in stazione a Kings Cross e ancora non si capacitava di quanti maghi ci fossero.
Parlava fitto fitto con suo fratello Evan il quale, gentilissimo, l’aveva aiutata a caricare i suoi bagagli sul treno e i suoi genitori parlavano con tutte le famiglie che incontravano.
«Poi potrai far volare gli oggetti e prendere i libri senza alzarti!» disse suo fratello.
«Evan finché sarò ad Hogwarts però, a casa non potrò fino ai diciassette anni…»
«E allora? Sarà divertentissimo comunque! Per tutti i mesi in cui tu sarai a scuola io potrò solo sognarli certi incantesimi!»
«Hai ragione Evan»
«Allora, ne sai già fare qualcuno?» domandò curioso il fratello.
«Sì…» la ragazza sorrise eccitata «e non vedo l’ora di arrivare a scuola per sperimentarne qualcuno»
«Dimmene uno, ti prego!» la ragazza sorrise nuovamente.
«C’è l’incantesimo di Disarmo, è abbastanza potente ma altrettanto facile da produrre. È una delle prime cose che vengono insegnate agli studenti. Ti separa violentemente da ciò che hai in mano. Mamma ha detto che solitamente nei duelli è utilizzato per togliere la bacchetta all’avversario e che lei mai l’ha visto essere utilizzato per altro. La sua formula è Expelliarmus. Chiaramente ce ne sono molti altri di elementari ma non sono sicura della loro riuscita quanto di questo»
«Oh ti prego, mandami una lettera il primo o il secondo giorno e dimmi se ti è venuto! Cate ti prego!» la ragazza scoppiò a ridere. Sorrise poi a suo fratello e gli disse «Tutto per il mio carissimo Evanino!» e a quel punto gli occhi del ragazzo si infiammarono.
«Non chiamarmi così!» sibilò.
«Ma Evanino, perché no?» lo stuzzicò nuovamente.
Si guardarono negli occhi per qualche secondo e dopo scoppiarono entrambi a ridere attirando l’attenzione di qualche studente più grande.
Si volevano molto bene e i loro genitori ne erano fieri; sapevano di molti altri fratelli, in famiglie purosangue, che non andavano minimamente d’accordo, che si sarebbero volentieri scagliati fatture continuamente. Evan e Maya non erano affatto così e mai lo sarebbero stati.
Maya buttò improvvisamente l’occhio sul suo polso e parve preoccupata. Sua madre, che aveva finito di parlare con le altre famiglie la guardò e se ne accorse.
«Maya, tutto bene?» domandò.
«Mamma…» incominciò «in Storia di Hogwarts  ho letto che gli oggetti babbani non funzionano all’interno della scuola»
«E allora?» le domandò il padre, ancora non capendo.
«L’orologio…» disse, come se fosse una cosa ovvia.
«Oh, tesoro! Vieni con me» esclamò la madre. La portò dietro una colonna, le prese il polso, tirò fuori la bacchetta e la puntò contro l’orologio; chiuse occhi e si concentrò. Li riaprì dopo un po’ ma non sembrava fosse cambiato nulla.
«Mamma?» sua madre sorrise.
«Maya, imparerai presto non tutti gli incantesimi si possono vedere. Molti tipi di magie sono invisibili agli occhi, molti sono qui» ed indicò la sua testa «ma molti altri rimangono qui» e le indicò il cuore «ad ogni modo, ora il tuo orologio potrà funzionare anche dentro i confini della scuola»
«Grazie» e fu l’ultima cosa che le disse dietro quella colonna.
Salutò tutti e poi partì verso la felicità. Le sarebbero mancati tanto.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Harry tornò alla realtà e non potè non scappargli un sorriso. Erano i Malandrini e quella era stata la loro vita, l’idea di sapere dei loro anni ad Hogwarts lo rendeva felice. Non aveva mai sentito parlare di Maya, mai e da nessuno e se ne chiese il motivo.
Prese il libro sotto braccio e ancora sorridendo, tornò a casa, dove trovò Ginny sul divano, addormentata.
«Ginny…» disse piano, per svegliarla.
«Ginny…» disse di nuovo.
«Harry!» disse lei finalmente. Lui le sorrise ma lei non fece lo stesso, lo guardò con uno sguardo iracondo e in quel momento gli ricordò tanto sua madre, Molly.
«Dove sei stato?» tuonò lei.
«A casa di Sirius» rispose tranquillamente lui.
«E non potevi dirmelo? Non potevi dirmi “vado a casa di Sirius, Ginny, non preoccuparti per me, non sarò finito in qualche pasticcio” ma no, figuriamoci se il grande Harry Potter dice una cosa così a Ginny Weasley, figuriamoci!» non succedeva quasi mai che Ginny si arrabbiasse con lui e normalmente Harry si sarebbe scusato. Anzi, no, normalmente Harry non se ne sarebbe andato via a metà cena e senza darle spiegazioni.
«Ho sbagliato Ginny, ma se vuoi delle scuse sappi che non le avrai» disse, cercando di alleggerire il carico di quelle parole. Non si scusava semplicemente perché sarebbe significato dirle che gli dispiaceva, quando non era vero. Non gli dispiaceva affatto aver trovato la stanza!
«O meglio, Ginny, non ti dirò che mi dispiace. Ti devo, in ogni caso, delle spiegazioni. Il giorno prima del colloquio sono andato a casa di Sirius, ricordi?» la ragazza annuì.
«Bene. Ho notato qualcosa che non avevo mai visto prima, ti porterò a vederlo domani, se vuoi. Comunque era una stanza dove dentro c’era questo» e le mostrò il libro «i Malandrini l’hanno stregato affinché scriva un libro prendendo spunto da dei loro ricordi, che erano in delle scatole. Sembra che lo abbiano scritto loro perché» e le aprì la prima pagina «guarda, per ogni persona la calligrafia cambia perché è la calligrafia di ognuno di loro. Su ogni fialetta ci sono scritte le rispettive pagine del libro. Il punto è che i ricordi non sono solo dei Malandrini ma anche di Maya Rosier, che sembra una loro amica da ciò che ho letto ma nessuno mi ha mai parlato di lei» Ginny pareva aver sbollito la rabbia e sembrava aver concentrato tutta se stessa su ciò che Harry stava dicendo.
«Che ricordi sono?» disse mentre prendeva il libro dalle mani di Harry e iniziava a leggere.
«Ricordi degli anni passati ad Hogwarts, credo» passarono un paio di minuti e la giovane Weasley lesse ciò che il marito aveva letto prima.
«Harry» disse poi ad un certo punto.
«Mh?»
«Evan» disse, come fosse una cosa ovvia.
«Il fratello di Maya, da quello che ho capito»
«Lui non è un comune Evan fratello di una comune Maya. Lei forse è comune, ma lui no. Lui è Evan Rosier. Era uno dei più temuti e pericolosi Mangiamorte durante la Prima guerra e uno dei più fidi e antichi Mangiamorte al servizio di Voldemort. Mamma ha sempre sostenuto che lui fosse uno dei principali responsabili delle morti di Gideon e Fabian, i suoi fratelli. Ha torturato numerosi Babbani e non sostenitori di Voldemort. Quando gli Auror lo andarono a prendere lui preferì combatterli che finire ad Azkaban. Duellò contro Malocchio Moody e gli cavò un pezzo di naso, ma lui morì durante lo scontro»
Harry conosceva Evan Rosier, ne aveva sentito parlare abbastanza spesso ma non aveva collegato le due cose, non l’aveva riconosciuto.
«Qualcosa dev’essere andato storto. Era tremendo, ricordo ciò che avevo sentito sul suo conto ma non sembra proprio la stessa persona»
«L’unica cosa da fare è leggere il libro, Harry. Potrebbe essere successa qualsiasi cosa; un trauma o altro. Spero solo che il libro ne parli»
«Ginny» iniziò, cercando le parole giuste «sai che non sono mai stato un buon lettore. Per quanto il libro mi interessi…» la ragazza lo interruppe.
«Mi stai chiedendo di leggere il libro e poi leggerti le parti più salienti?» chiese, divertita.
«In un certo senso sì. Solo che…vorrei sapere di Maya, tutto. Vorrei che tu mi legga ogni suo ricordo…e anche quelli di mio padre, se puoi» disse molto gentilmente.
«Va bene» disse, semplicemente.
 
Se lui non era un gran lettore, Ginny era tutto l’opposto; perché dopo una settimana l’aveva già finito.
Quella sera gli diede la lieta notizia e gli lesse quello che lei chiamò “l’inizio della grande avventura”.

 
Pix ghignava malignamente, ancora.
«Pott-er!» lo canzonò.
«Pott-er, sei un canzonato o un canzoniere?
Sei una pappa molla o rendi pappe molli?
Fai finire in punizione o finisci in punizione?» lo canzonò di nuovo.
James si fermò ed alzò un sopracciglio.
«Chi sei?» domandò, cortesemente.
«Non ti hanno mai detto che non si risponde ad una domanda con un’altra domanda?
Non importa chi sia io, importa chi vuoi essere tu» recitò.
«Voglio essere James Pott…» stava dicendo quando Pix lo interruppe.
«Idiota, il nome non è la tua personalità. La personalità, al contrario del nome, devi creartela tu. Oggi devi decidere, devi decidere ora. Il tempo passa, giovane Potter, tic toc, al tre sei un perdente al due sei vincente» eh? Che diceva?
«Uhm, sono un canzoniere» abbozzò.
«Pott-er era il quat-tro! Doppiamente vincente, Potter!» canticchiò.
«L’altro era arrivato a cinque» disse poi.
«L’altro chi?» domandò James.
«Come chi? Il Black rivoluzionario!»
«Quindi vincente o perdente?» chiese. A quel punto il discorso era arrivato a non avere affatto senso e come tale bisognava portarlo avanti.
«Devo andare, ho Trasfigurazione» disse senza aspettare una risposta.
«Non hai nemmeno tempo di un innocuo scherzo ai Serpeverde?» a quelle parole il Grifondoro sorrise.
«Che tipo di scherzo?» Pix ghignò e tirò fuori da dietro la schiena un pacchetto di coriandoli.
«Te la cavi nel far lievitare le cose, Potter?» James annuì. Pix lo portò su per una scala e lo fece fermare in un pianerottolo. Il poltergeist liberò i coriandoli e indicò a James il punto preciso in cui sarebbero dovuti rimanere sospesi.  
«Bravo Potter, te la cavi davvero bene» constatò Pix, estasiato.
«Ora vieni qua» gli disse, indicando una rampa di scale più in alto dove sicuramente avrebbero avuto un’ottima visuale senza rovinare il loro effetto sorpresa.
Aspettarono un po’, mentre i coriandoli rimasero sospesi sopra allo stipite della porta dell’aula di Trasfigurazione. Entrambi ad un certo punto videro dei ragazzi avvicinarsi. Serpi, capirono, dalle loro sciarpe. James si tenne pronto e quando Pix gli sussurrò «ora» li lasciò andare. I pezzi di carta caddero sopra le loro teste come acqua e loro tentarono di cacciarli via mentre continuano a lamentarsi. I due colpevoli scoppiano a ridere e James addirittura cade a terra e Pix, per l’accaduto, se possibile, rise ancora di più. Esilarante!
Le risate continuarono fino a quando qualcuno non arrivò.
«BASTA! Pix, quando la finirai di disturbare gli studenti? E tu sei…?»
«James, James Potter» rispose lui intimorito.
«Bene Potter, dieci punti in meno alla tua casa. In punizione, questa sera alle sette, nel mio ufficio» rispose la professoressa di Trasfigurazione.
«Potter rimane comunque un doppio vincente. Anche Black lo è» disse il poltergeist, facendogli l’occhiolino, prima di andarsene.
James sentiva molte sensazioni diverse in quel momento, e nessuna di quelle era dispiacere. Era certo che quella sarebbe stata la prima volta di tante.
Quella sera, senza troppo stupirsi vide anche Sirius in punizione nell’ufficio della McGranitt.
«Scherzi di pessimo gusto, ragazzi. Non posso permettere che dei miei studenti abbiano questo comportamento» disse «non dopo i primi giorni almeno ed è per questo motivo che siete in punizione. Spero che a nessuno di voi due venga questa brillante idea di nuovo» disse la professoressa McGranitt «A voi ragazzi le parole servono poco, servono più i fatti. Bisogna farvi fare qualcosa che voi assolutamente non vorreste rifare, perciò, consegnatemi le bacchette e andate in Sala Trofei, li pulirete tutti alla maniera babbana» sia James sia Sirius spalancarono gli occhi. Entrambi si voltarono e si osservano, non era la prima volta che si vedevano ma lo sembrava; mai si erano parlati e ora, erano in punizione assieme. Improvvisamente si sorrisero, adesso compagni di sventura.
«Allora Black, cosa hai combinato?» abbozzò James. Voleva far sembrare quella punizione un po’ meno spaventosa di quel che era.
«Ho dato retta a Pix. E tu, Potter?»
«Oh, anche io» il punto era uno: James si sentiva stupido. Stupido perché era orribile tentare di mandare avanti una conversazione quando lui era l’unico a volerlo, proprio come in quel momento. Ma non era affatto così.
Sirius si guardò intorno e quando non vide la professoressa parlò, bisbigliando nonostante la sua assenza: «In tutta sincerità, James, per quanto pulire trofei possa essere orribile, penso questa non sarà affatto l’ultima volta» James sorrise.
«Neanche per me, Sirius» a quel nome il ragazzo rabbrividì.
«Non ti piace il tuo nome?»
«Non mi chiamavano così da tanto » rispose l’altro, secco «però mi piace» aggiunse
«perché è originale. Sirius…sai quanti giochi di parole?» scoppiarono a ridere entrambi.
«Ci pensi Sirius? È passata una settimana di scuola e solo ora siamo in punizione! Abbiamo sprecato un preziosa settimana» Sirius rise.
Parlarono per tutta la serata e anche se i trofei erano a centinaia, loro erano contenti di essere assieme. Ora erano amici e non più solo due compagni di dormitorio.
Quella fu la prima di tante punizioni. E l’inizio di una delle più grandi amicizie di sempre.

 
 
Ginny chiuse velocemente il libro con un sonoro sbadiglio.
«Allora Harry, soddisfatto?» domandò.
Harry si riprese dalla sua trance. Dire che era fantastico sarebbe stato dir poco. Era felice di sapere di poter sapere

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Il compleanno di Ginny era ormai alle porte e nonostante lo strano caldo opprimente dell’Inghilterra, Harry stava tentando di regalare alla moglie una degna giornata. Una festa a sorpresa era l’ideale e l’idea, nella sua mente, gli era inizialmente suonata facile ma poi, iniziando ad organizzarla, ne capì ben presto la difficoltà. Non era semplicemente un comprare cibo e avvisare tre-quattro persone, magari! Si doveva comprare il cibo, prepararne un po’ (non si poteva mica mangiare solo cibo già preparato!), avvisare tutti gli amici e parenti di Ginny che aveva scoperto non essere pochi, preparare un’attività che tenesse occupata la moglie mentre lui allestiva la festa, disporre le bevande e il cibo, mantenere la massima segretezza e quindi guardarsi sempre le spalle ed infine, scegliere il giorno. Mai più.
Stava ricopiando i nomi di ciascun invitato sopra ogni busta quando sentì un rumore alle sue spalle. Con un rapito colpo di bacchetta li fece scomparire e si girò maldestramente per poi vedere una sorridente moglie alle sue spalle con in mano le borse della spesa.
«Se i nostri vicini non fossero Babbani non dovrei portare ogni volta queste borse alla maniera babbana, mi fanno talmente tanto male le mani!» si lamentò la moglie. Appoggiò le borse per terra e guardò il marito.
«Che cosa stavi facendo?» domandò. Già, cosa stava facendo?
«Stavo pulendo un po’ la cucina. Il pavimento era abbastanza sporco ed in cima ai mobili c’era molta polvere. La mia bacchetta mi ha dato un mano»
«Potremmo tranquillamente dire che abbia fatto tutto lei, allora»
«Ginny Weasley, è per caso un’accusa la tua?» disse scherzando, per poi prendere le borse della spesa e appoggiarle sul tavolo.
«Harry…sono così tanto stanca. Questa casa è un supplizio, non finirà mai di cadere a pezzi» disse buttandosi sul divano. Voleva chiaramente lasciare intendere che l’avrebbero dovuta cambiare. Era vero, la casa aveva molteplici riparazioni da effettuare ma la cosa non scoraggiava il giovane.
Nel frattempo Harry aveva incantato il cibo che si stava disponendo nel frigo e nella credenza.
«Godric’s Hollow ne vale la pena, Ginny» affermò e la ragazza seppe che la conversazione era finita lì. Dopo qualche minuto di silenzio Ginny parlò nuovamente.
«Harry?»         
«Sì?»
«C’è una storia che coinvolge due persone all’interno del libro che potresti trovare particolarmente interessante. Vorrei dare la priorità a loro, perché penso siano ancora vivi. Ho intenzione di invitarli alla Giornata del Ricordo il prossimo due maggio, se li scoprissi ancora vivi. Vorrei che tu potessi essere concorde con me, quando avrai saputo tutto. È qualcosa che riguarda principalmente te e lo farò solo se anche tu lo vorrai»
Harry scrollò le spalle.
«Vorrei coinvolgere anche Hermione e Ron in questa storia, sempre che non ti dispiaccia» aggiunse lentamente, quasi a tastare la reazione del marito.
«Certo» disse lui con nonchalance «se vuoi posso chiamarli subito»
«Sarebbe fantastico»
Detto fatto Harry compose il numero di casa Weasley nel loro tecnologico telefono. Una piccola conversione alla tecnologia babbana da parte di entrambi e detto in gran segretezza, una gran comodità. Sorrise al ricordo di quanto Ron lo chiamò per la prima volta, quando ancora viveva con i Dursley, era stato così impacciato!
 «Pronto?» domandò la voce di Hermione.
«Hermione!» la salutò Harry.
«Harry! Come stai?» rispose altrettanto allegramente lei. Era strano parlare con Hermione al telefono, insolitamente strano.
«Io sto bene» rispose neutro.
«Dimmi tutto» disse, chiaramente felice della chiamata.
«C’è qualcosa che vorrei raccontare a te e a Ron»
«Certo, ti metto in vivavoce se vuoi» affermò improvvisamente confusa.
 «Preferirei parlarne di persona, perché avrei anche qualcosa da mostrarvi. Per questa sera siete impegnati?»
«No, non avevamo programmato nulla. È un invito a cena?»
«Sì, lo sarebbe. Venite qui per le…sette e mezza?»
«Certo, avviso Ron appena torna a casa. Ne sarà molto felice»
«Perfetto, ci vediamo dopo»
«A dopo» e in seguito ciò l’amica attaccò il telefono.
«Abbiamo ospiti a cena» annunciò Harry.
«Certo, fa’ pure come se questa fosse casa tua» borbottò Ginny. Si avvicinò a lei e a poca distanza dal suo viso affermò che quella effettivamente era casa sua, prima di depositarle un breve bacio.
«Sai esattamente cosa intendo, Harry Potter. Non ho assolutamente voglia di cucinare, sono molto stanca. A proposito, ho trovato dei mobili carini che potremmo aggiungere alla camera da letto. Sai come la penso, è troppo spoglia»
«Tutto quello che vuoi» disse con un sorriso.
«Se sei troppo stanca vai a dormire, io troverò sicuramente qualcosa da fare nel frattempo. Se aspetti un po’ posso cucinare io il pranzo»
«Ah, già, il pranzo…e la cena?»
«Per cena potremmo ordinare qualcosa. Come si dice? Take Hawaii?» domandò. Ginny scoppiò a ridere.
«È take away, Harry» lo corresse continuando a ridere e si aggiunse pure lui.
Mentre Ginny era a riposare, finì di ricopiare tutti i nomi sulle buste e aspettò pazientemente la sera.
 
«Hermione, Ron» disse facendoli entrare.
«Cosa si mangia?» domandò Ron.
«Pensavo di ordinare del…»
«…take away» finì Ginny per lui.
«Non abbiamo mai provato» ammise timidamente Hermione.
«Come avete potuto? Mi stai dicendo che per tutti i pranzi e le cene hai sempre cucinato?» domandò Ginny sbigottita.
«Siamo andati fuori a mangiare alcune volte» tentò di giustificarsi la Grifondoro.
«Hai visto che partitone quello di ieri?» domandò Ron all’amico.
«Le Hollyead Harpies per una volta meritavano di vincere!»
«Non dirlo nemmeno per scherzo! Le Appleby Arrows hanno pienamente meritato la vittoria!»
«Ci dispiace interrompervi ragazzi. Cosa volete?»
«Quello che prende Harry» affermò Ron con una scrollata di spalle.
«Harry?»
«Il solito» rispose sorridendo.
Dopo qualche minuto Ginny ed Hermione tornarono e si sederono sul divano.
«Venite anche voi, ragazzi» li incoraggiò Ginny. Fecero come gli era stato detto.
«Racconti tu o racconto io?»
«È la tua storia Harry, raccontala tu» lo spronò la moglie.
«A casa di Sirius ho trovato una specie di libro dei ricordi, alcuni giorni fa. Ginny l’ha già letto tutto. Sono i ricordi dei Malandrini e di Maya Rosier durante i loro anni ad Hogwarts. Non so chi sia onestamente ma viene descritta in tutto e per tutto come una dei Malandrini. Nessuno mi ha mai raccontato di lei. É un fatto stranissimo. Ginny sostiene che ci sia una storia che coinvolge due persone all’interno del libro che potremmo trovare particolarmente interessante. Vorrebbe dare la priorità a loro, perché penso siano ancora vivi. Volvevo mettervene al corrente. Questo è tutto ciò che so»
«È un libro abbastanza dettagliato, racconta di molte loro esperienze. Alla fine mi sono sorte delle domande inevitabili, a cui non sono riuscita a trovare risposta; è successo qualcosa di strano. È dal punto di vista di tutti e cinque, si può capire chi essi siano a seconda della scrittura che suppongo sia la loro. Sono dei geni assurdi, capite? Hanno incantato il libro affinché raccontasse tutto al posto loro! Non è una magia semplicemente geniale e sensazionale?» finì per lui la ragazza.
«Lo è…» sussurrò Hermione.
«Leggici qualcosa!» la spronò Ron.
«Inizierò da dove inizia la storia delle due persone di cui vi parlavo, se non vi dispiace»
«Certo» dissero in contemporanea i coniugi.
«Prima però devo assolutamente raccontarvi tutto. Maya Rosier è la sorella di Evan Rosier, che a inizio storia è un tenero e amabile fratellino. Hanno due anni di differenza. Sì Ron, quel Evan Rosier. È iniziato ad essere un mostro quando è arrivato ad Hogwarts, dove è stato smistato in Serpeverde e ha iniziato a frequentare quelli che in futuro sarebbero diventati Mangiamorte. Prende in giro i nati Babbani e architetta continuamente scherzi contro di loro. Quanto a Maya…anche lei è soggetta alle sue prese in giro. Non è realmente sua sorella, è stata adottata e sia lei che Evan lo sanno da sempre. Prima non era mai stato un problema, ora a quanto pare sì. È nata in tempi difficili e sui suoi genitori non si sa nulla, né se siano Babbani né se siano maghi, è davvero una situazione insolita. Non sapendo quindi se sia una Purosangue o una nata Babbana, Evan la tormenta, la prende in giro. È a tutti gli effetti una malandrina e una Grifondoro. Per ora è tutto quello che dovete sapere»
Prese il libro, lo aprì ed iniziò a sfogliarlo, mentre Harry la guardava, impaziente. Finalmente, trovò la pagina e si mise comoda sul divano. Si schiarì bene la voce, inspirò profondamente e cominciò.

 
«Maya, mi stai ascoltando?» le domandò James. No, certo che no. Non rispose.
«Tutto bene piccola?» Che appellativo carino! Piccola…come se lei fosse piccola!
“Non sono piccola, James!” sibilò nella sua testa.
Comunque no, non andava tutto bene.  
Non che la compagnia dei Malandrini non fosse piacevole. Non che non si divertisse quando James si buttava il cibo in faccia, quando Sirius provava a riprodurre le voci di chiunque conoscesse –riuscendoci alla perfezione-,  quando Remus provava ad imitare gli scherzi di James e Sirius. Non avrebbe mai dimenticato quella volta in cui, entrando in stanza, Remus era inciampato nel Mantello dell’Invisibilità davanti ai suoi occhi facendo saltare così la sua copertura.
Nulla che si possa dimenticare. Nulla che non si potesse amare. Aveva solo paura. Aveva solo paura che tutto potesse finire, proprio come era iniziato.
Era bello pensare a ciò proprio durante la prima cena del quinto anno, vero? Emozionante. Da brivido. Era un timore orrendo, che le stava attaccato esattamente come la colla e che la faceva sentire insolitamente sporca. Nessun bagno riusciva a mandar via quella terribile sensazione, per quanto sfregasse non c’era nulla da fare. Ne avrebbe dovuto parlare al più presto con qualcuno, non poteva tenersi tutto dentro ancora per molto. Aveva bisogno di essere rassicurata e di sapere quanto le sue paure fossero infondate.
◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊
Due settimane. Due settimane di sconfinata normalità.
Una giornata comune, caratterizzata da una anomala passeggiata dopo pranzo.
Lei e James si tenevano a braccetto mentre ridevano, prendendo in giro a loro insaputa una coppia di due ragazzini del terzo anno.
«Allora?» le domandò James.
«Allora cosa?» gli domandò in risposta.
«Hai intenzione di dirmi che cosa succede?»
«Va tutto bene, James» mentì e sentì lievemente le lacrime pizzicarle gli occhi che prontamente ricacciò dentro.
«Se non vuoi dirmelo non ha importanza ma sappi che se mai tu me ne volessi parlare io ti ascolterò ben volentieri. Sei la mia migliore amica e voglio come minimo esserci, qualunque sia il problema, intesi? Se è per Evan che stai così sai che posso tranquillamente fargliela pagare. È per lui?»
«No James…»
«L’importante è che tu sappia che io sono sempre qui, intesi?» la ragazza annuì.
«Sei dei nostri stasera?» le domandò.
«Sì, certo. In camera vostra, giusto?»
«Sì. Sarà bene sperimentare la pozione Polisucco»
«Ricordamene il motivo»
«Forse non c’eri…eri a studiare probabilmente. Comunque chiaramente è per sostituire Remus»
«Mi piace l’idea. Dici che acconsentirà?»
«Sarà costretto quando il turno di ronda coinciderà con il periodo del piccolo problema peloso»
«Vero. Ci serve solo per quel periodo?»
«No, certo che no! Dovremo riuscire a convincerlo per qualche extra! Dici che infranga le regole usare la pozione polisucco per sostituire un amico prefetto in caso di stretta necessità?»
«Almeno una decina ma è proprio per questo che fa al caso nostro» disse Maya sorridendo.
Tornò nella sua stanza dove trovò la sua migliore amica ad attenderla.
«Ti piace?» le domandò Lily. La bella Lily.
«Chi?»
«So già chi ti piace, Maya. Parlavo di questo» ed indicò una boccetta d’acqua con dentro un petalo di giglio.
«Scelta molto azzeccata quella del giglio, Lily. Ho sentito che a James piacciono molto» disse con un ghigno.
«Non capisco cosa tu possa trovare in lui. È fin troppo arrogante, come fai a sopportarlo?»
«Blablabla Lily ma quanto parli? Mi sembri davvero una serpe a volte, forse ne frequenti troppe»
«Ne frequento solo una e lo sai! È un mio amico e pretendo che tu lo accetti»
«Una serpe basta e avanza per tutta la vita. Cambiamo argomento. Chi mi piacerebbe? Sentiamo!»
«Uh, ma è ovvio. Thomas Fields» questa volta toccò a Lily ghignare.
Si dia il caso, che Thomas Fields fosse il professore di Arti Oscure più amato delle ragazze di sempre. Era bello, giovane e bello. Aveva i capelli marroni, gli occhi azzurri ed era bello. Non c’era una sola ragazza ad Hogwarts, fidanzata o non, che non lo trovasse bellissimo. Era costantemente sulla bocca di molte pettegole, ed era bello.
Era uno studente Corvonero dell’ultimo anno e, ovviamente, Caposcuola. E bellissimo.
Da ormai una decina di anni, due dei quattro Caposcuola divenivano i professori di Arti Oscure per i ragazzi più piccoli. A tutti gli studenti del settimo anno, invece, la lezione veniva impartita direttamente dagli Auror. Era splendido, come ciclo. Anche Thomas Fields, era splendido. E fidanzato. Felicemente e dannatamente fidanzato.
◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊
La testa pesava tanto. Il sonno era tanto. Anche la bellezza di Thomas Fields era tanta. Nemmeno il braccio di Maya poteva più sostenere il peso della sua testa, la quale cadde con un tonfo sonoro sul banco. Stava morendo di sonno e James aveva cordialmente deciso di non presentarsi a lezione sebbene in ritardo. Quale sarebbe stata la sua scusa, quella volta? Non che la compagnia di Sirius le dispiacesse, anzi. Una voce lontana la fece tornare in aula.
«Allora Maya» era la voce del professor Fields, il bellissimo professor Fields! «Ti ritieni troppo altezzosa per rimanere sveglia a lezione come tutti quanti? Avere Sirius Black affianco o James Potter come migliore amico non mi pare affatto una buona idea» ahia, scelta sbagliata di parole. Maya Rosier era una ragazza poco paziente ed era solita lanciare frecciatine a chi più le stesse antipatico. Non che fosse solitamente insolente, ma odiava le mancanze di rispetto e non le importava che fosse stato Thomas a parlare, per quanto bello fosse, l’avrebbe pagata. Alzò la testa dal banco e sospirò rumorosamente. Era furiosa.
«Già Thomas» disse, chiamandolo per nome e non dandogli del Lei volutamente «nemmeno il bel faccino mi pare una buona scusa per essere professore di Arti Oscure. Sai che disastro se qualche incantesimo andato male rovinasse la tua faccia? Sarebbe una perdita molto grave per i Corvonero! Mi sorprende che possano mettere persone come te, ad insegnare. Insomma, non saprai evocare nemmeno un Patronus e insegni Arti Oscure, ma scherziamo?»
Sapeva di aver esagerato, ma il suo obiettivo era proprio quello. Dopotutto, aveva cominciato lui.
Tutta la classe, Sirius incluso, la guardava con occhi sgranati. Thomas le dava le spalle e non si girò nemmeno per parlarle.
«Rosier, punizione. Otto settimane di punizione. Dalle nove alle undici, tutte le sere, inclusa questa. Nel mio ufficio. Non osare mai più rivolgerti a me con quel tono. Io per te sono il professor Fields, capito? Non Thomas» disse.
Maya non si premurò di nulla e uscì dall’aula, quando alla fine della lezione mancava ancora tanto.
Sprezzante, arrogante, Malandrina. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Uno sbuffo.
Due sbuffi.
L’orologio segnava le nove meno cinque.
Tre sbuffi.
Quattro sbuffi.
Lo sapeva, non si sarebbe dovuta presentare. Avrebbe reso meglio il suo disprezzo, forse.
Cinque sbuffi.
«Maya! Non devi aspettarmi, entra pure» disse il ragazzo appena arrivato. Il bellissimo ragazzo appena arrivato.
Il suo tono non era affatto arrabbiato, come invece Maya si era aspettata. Nemmeno oggi lo era. Non aveva importanza, a breve lo sarebbe diventato.
Non gli diede retta e aspettò che aprisse lui, mentre lei chiuse, sbattendo con forza volutamente. Il pavimento e le pareti vibrarono leggermente.
Lui si sedette dietro una scrivania in legno e lei si buttò malamente su una poltrona, giusto davanti alla scrivania.
Lei non disse nulla, e lui nemmeno. Lei voleva che lui si arrabbiasse, che sfogasse la frustrazione che provava nei suoi confronti perché trovava l’idea davvero divertente; ma nulla, assolutamente nulla. Questo era snervante.
Sbuffò per la sesta volta, irritata dal suo silenzio.
Stava vincendo lui, di qualsiasi gara si trattasse.
Il silenzio divorò il tempo, e la punizione finì.
Ancora nessun vincitore per quel round.  
◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊
Non aspettò che lui arrivasse, né si premurò che lui fosse dentro. Aprì la porta e si sedette sulla poltrona molto più elegantemente della scorsa volta.
Farlo arrabbiare non era più così tanto necessario.
«Scusa il ritardo, mi ero intrattenuto a chiacchierare con l’altro Caposcuola.» Era arrivato. Non rispose.
«Ho saputo della tua amica Lily e di Piton, un vero peccato per quei due, erano parecchio amici» aggiunse. Già.
«Non erano poi così tanto amici, a quanto pare. In una amicizia non può essere il tuo costante pensiero la discendenza dell’altra persona» ribatté lei.
«Non è detto che fosse il suo costante pensiero» insisté.
«Perché fai l’avvocato del diavolo?» domandò lei, seccata. Lily ci era rimasta male, non le andava che qualcuno difendesse Mocciosus.
«Potter ha esagerato, Piton non lo voleva assolutamente dire seriamente, James gliel’ha cavato fuori!»
«Non importa cosa James gli abbia fatto, certe cose non le si devono dire e basta! Si sarebbe dovuto arrabbiare con James, non con Lily, Lily non ha fatto niente; anzi, lo voleva solo aiutare!» sbraitò.
«E perché, Piton ha forse fatto qualcosa? Te lo dico io, non ha mai combinato nulla di male ma James l’ha sempre messo in mezzo ai suoi stupidi scherzi. È naturale essere esauriti dopo anni di scherzi! Dimmi, chi è ora l’avvocato del diavolo?» Maya inspirò lentamente: non voleva litigare. Quando riprese a parlare, il suo tono di voce era più pacato.
«Non conosci James e forse non saprai nemmeno che lui è geloso dell’amicizia di Mocciosus e Lily; ed è per questo che si è sempre comportato così con lui. Era iniziato tutto per scherzo, sai, con James inizia tutto per scherzo; il punto è che poi non è più stato uno scherzo, è stato qualcosa di sempre più personale. A volte dispiace anche a me come James tratta Severus, ma so che James non è affatto una cattiva persona, perciò non lo fa con cattiveria. La mia unica alternativa è buttarla sul ridere, perciò mi sono sempre immaginata James e Mocciosus come due amici appartenenti a due gang rivali, che però la sera, quando nessuno li vede, si incontrano e si scambiano sigarette. Lily è nella gang di Mocciosus e la sera, Severus passa a James delle informazioni riguardanti Lily. Diventa un fardello meno pesante. Non mi piace dire che il mio migliore amico si comporti male o che compia azioni sbagliate, preferisco mettere in evidenza le azioni sbagliate dell’altro. Perciò sì, sono l’avvocato del diavolo»
Thomas, il bellissimo Thomas, sorrise. Sapeva quanto le fosse costata quella confessione e decise di non parlarne più.
«Maya, ricordi la tua punizione?»
«La mia ingiusta punizione?» domandò lei, esausta.
«Tu non hai nessuna punizione ingiusta, ne hai una, che hai perfettamente meritato» rispose lui.
«Sì, me la ricordo» disse, rassegnata.
«Volevo intercedere per una punizione più leggera, ma ho pensato che non fosse il caso» disse, accennando un mezzo sorriso. La risposta della ragazza fu solo un lungo silenzio.
«La biblioteca è parecchio disordinata» incominciò lui «e ha bisogno di essere messa in ordine. Quale lavoro potrebbe essere più appagante e divertente che mettere in ordine tutti i libri della biblioteca secondo argomento, poi secondo autore e infine secondo volume? Senza l’uso della bacchetta, ovviamente» Maya sbiancò. Otto settimane di quello?
«Non finirò mai…» sussurrò lei, sconsolata.
«Non devi finire, infatti. Per tutta la durata della punizione metterai in ordine»
«Immagino il sorriso divertito di un pazzo mentre mi guarda faticare arduamente per sforzarmi di ricordare l’alfabeto e per salire in cima agli scaffali» disse lei, tornando improvvisamente in sé; sorrise. Sprezzante, arrogante, Malandrina.
«Iniziamo da oggi?» domandò lei, non ricevendo una risposta.
«Sì, sarebbe il caso» disse lui, chiaramente trattenendo una risata. Si alzò prima lei di lui e si preparò davanti alla porta ma lasciò a Thomas il piacere di aprirla e farle strada verso la biblioteca.
Thomas aveva delle caratteristiche fisiche molto banali, per essere: occhi azzurri e capelli marroni (sparati, amabilmente sparati) ma erano i suoi tratti a renderlo particolarmente bello. Erano tutte d’accordo su questo fatto: Thomas Fields era bello. Sarebbe stata sempre l’unica cosa su cui tutte le studentesse di Hogwarts avrebbero concordato. Era fidanzato. Questa era stata per tutte una tremenda batosta. La ragazza e il ragazzo in questione erano molto simili e agli occhi delle persone potevano sembrare praticamente fratelli. Lei aveva gli occhi azzurri e i capelli neri come la pece, lisci e splendenti. Il fatto che fosse fidanzato forse rendeva solamente Thomas più ambito. Maya non riusciva proprio a ricordare il nome della sua fidanzata…eppure ricordava che fosse facile!
 «Thomas, come si chiama la tua ragazza?»
«Alex, perché?» rispose. Giusto! Alex! Vero, vero.
«Perché non mi veniva in mente il nome. Di cognome come fa? Aspetta, non me lo dire…Hastings?»
«No» disse per poi lascar fuori uscire una lieve risata.
«Mi arrendo! No...no...aspetta! Aspetta! Dammi un momento! Non me lo dire!» disse tutto d’un fiato.
«Higgins!» esclamò.
«Brava. Siamo arrivati» disse lui.
«Dammi due minuti, devo liberarti un intero scaffale» aggiunse.
Maya prese una sedia da sotto il tavolo e si accomodò in attesa, dando le spalle al professore. Dopo qualche secondo sentì tanti grandi tonfi e si girò di scatto: tutti i libri su un intero e ampio scaffale erano caduti a terra, alcuni in verticale, altri con la copertina sul pavimento, altri ancora aperti a metà e a capo di tutto quel disastro, Thomas si ergeva con la bacchetta in mano.
«Scaffale libero!» annunciò lui con un ampio sorriso.
«Ti prego, non dirmi che devo tirare su il disastro che tu hai fatto!» sospirò esasperata.
«No, tranquilla, di quello mi occupo io. Dammi la bacchetta e inizia il tuo lavoro» le impose. Lei fece quanto detto.
«Ripetimi l’ordine che i libri dovranno avere»
«Argomento, autori, volume. Il primo argomento è l’Acromantula»
«E io come faccio a sapere quali libri parlano delle Acromantule? Che per inciso, conosco a malapena!»
«Non lo so. Li leggi un po’ tutti, non saprei; il lavoro è tuo, magari un’altra volta ci pensi due volte prima di fare l’insolente» fece spallucce. Era impossibile credere che il ragazzo che diceva quelle parole fosse lo stesso con quel bel viso. 
«Che cosa? Io non sono io a mancare di rispetto a qualcuno, Thomas! Tu, mi hai mancato di rispetto e hai sbagliato! Se non ti fossi comportato così, io non avrei fatto niente! Non so quale sia il tuo problema nei miei confronti!» esplose. Si pentì subito delle sue parole ma doveva mostrare orgoglio, così non si scusò.
Si chiese se dovesse andare anche nel reparto proibito ma decise di non chiedere nulla al ragazzo, perché non sarebbe di sicuro stata quella la prima cosa che gli avrebbe detto dopo avergli maleducatamente urlato contro. Andò verso un reparto, scelse uno scaffale e cercò per una buona mezzora almeno una manciata di libri da poter portare di là e poi mettere in ordine.
Fu quando il professor Fields non accennò nulla che sentì il senso di colpa divorarla. Doveva scusarsi.
«Mi dispiace, professore. Non avrei dovuto gridarle contro in quel modo» disse, riprendendo un tono formale e appoggiando i libri su un tavolo. Notò con piacere che il ragazzo aveva già finito di riordinare i tomi che aveva precedentemente fatto cadere dallo scaffale in ordinate file che occupavano la bellezza di quattro tavoli.
«Il problema è che tu credi che ciò che hai detto sia vero» puntualizzò.
«Cosa vorrebbe dire?» e in tutta risposta lui borbottò qualcosa in una strana lingua.
«Che cosa?»
«Rune antiche» rispose con fare ovvio. Le sorrise, segno che pace era stata fatta.
Non rispose, perché non pensava che lui si aspettasse una risposta. Era però giunto il momento di fargli una domanda.
«Professore, devo cercare i libri anche nel Reparto Proibito?» domandò.
«Sì, devi andare anche lì ma per favore, dammi del tu» Fu colpita da ciò che aveva appena sentito e voleva assolutamente farsi elogiare ancora. Sentì un breve solletico al livello della pancia. Dannazione, gli stava iniziando a piacere. Sorrise inconsciamente e fu felice di dargli le spalle.
«Cosa?» sussurrò appena.
«Non ho assolutamente intenzione di ripetere» Se lo fece bastare. Andava benissimo.
«Va bene, Thomas» era quasi certa di averlo sentito ridacchiare.
◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊
Il terzo giorno di punizione fu il grande inizio di qualcosa.
Parlarono per tutto il tempo e mai una volta battibeccarono. Raccontarono le loro vite l’uno all’altra e Maya gli raccontò anche di Evan, perché si fidava e credeva che Thomas potesse perfettamente capire. Così era stato. Ebbe modo di osservare quanto fosse intelligente e saggio, da perfetto corvonero quale era. Scoprì informazioni che in parte sospettava: il suo professore era figlio unico, i suoi genitori formavano la famiglia perfetta e lavoravano al Ministero della Magia. La conversazione si era fatta tesa nel momento in cui il ragazzo aveva iniziato a raccontarle dell’argomento “Alex” (perché ammettiamolo, era gelosa marcia di quella ragazza) ma Maya aveva cercato di nascondere tutto il suo fastidio e fingersi entusiasta. Per fortuna, era finito presto. Si raccontarono tutto con grande velocità e nel giro di poco tempo sapevano tante cose sull’altro. Le uniche pause che avevano fatto erano state quando lei era andata a prendere alcuni libri sempre sull’argomento Acromantula. Non aveva lavorato molto, ovviamente, ma a Thomas non era sembrato importare più di tanto. In effetti non era necessario che i libri della biblioteca avessero un loro ordine, l’unica cosa che contava era che la bibliotecaria sapesse dove essi fossero. Dato che lo sapeva sempre, il problema non sussisteva realmente. Quella di Maya non era una punizione socialmente utile ma una di quelle allo scopo di punirti e basta.
«E di James? Che mi dici? Qualche informazione interessante su uno dei ragazzi più popolari di tutta la scuola?» domandò d’un tratto.
«Tutto quello che so su James è top secret» affermò lei.
«Oh, ma andiamo! Siamo amici ormai! O no?» domandò, sempre più curioso. La ragazza sbuffò.
«Fammi delle domande, vedrò se posso risponderti»
«Ti piace?» chiese con tono neutro. Maya spalancò gli occhi.
«No!» esclamò.
«Era solo una curiosità. Sei l’unica ragazza del gruppo e passate molto tempo insieme, sarebbe più che normale»
«Non ho mai pensato a James in quel modo»
«A James chi piace?» cambiò argomento.
«Quello lo sapete tutti. È di dominio pubblico»
«Avevo sentito qualche voce in proposito ma ho sempre creduto che fossero false. Perché proprio Lily? Non nego che sia una ragazza splendida ma» fu interrotto.
«Non penso che ci debbano essere delle spiegazioni affinché qualcuno ti piaccia. A James Potter piace Lily Evans e non c’è un perché» disse, seccata. Le dava fastidio sapere che qualcuno non fosse d’accordo con quanto affermasse o che ne cercasse una crepa. A James piaceva Lily, era vero, senza motivazione e indissolubile.
Guardò velocemente il suo orologio e notò che la punizione era finita da già ben cinque minuti e lei aveva fretta. Iniziò ad incamminarsi verso l’uscita della biblioteca senza nemmeno salutare il suo professore e non si girò nemmeno quando lui chiamò il suo nome a gran voce. Non voleva parlargli e non ne aveva il tempo. Corse verso la Sala Comune dei Grifondoro dove trovò puntualmente Remus, Sirius e James.
«Scusate il ritardo ragazzi» disse con il fiatone.
«È ora di andare» affermò James.
Sirius prese Remus sotto braccio e uscirono dal castello, sperando di non incontrare i Caposcuola alla ronda. Camminarono furtivi e veloci. Dopo un’oretta abbondante di cammino furono alla Stamberga Strillante. Portarono Remus nella sua stanza e uscirono, chiudendo la porta. Mancava ancora un’oretta alla trasformazione di Lupin, ma loro dovevano prepararsi con grande anticipo dato che tutte le formule per diventare Animagus richiedevano tempo. Maya sfoderò la bacchetta, James le passò il libro e lei lo aprì a pagina 394.
«Me lo sento ragazzi, questa è la volta buona» disse.
«Lo dici sempre» rispose Sirius. La ragazza lo ignorò, doveva credere in ciò che faceva.
«Allora, chi vuole provare per primo?» domandò. James gli si posizionò davanti, come sempre impaziente di provare a diventare un Animagus. Maya si schiarì la gola, era veramente agitata. Puntò la bacchetta contro James e la vide tremare chiaramente.
«Quaeritis me habeo ut animal (1)» recitò. Dalla bacchetta uscì una lieve luce bianca, che si posizionò attorno a James.
«Aspettare cinque minuti» disse. Ormai tutti sapevano a memoria la procedura e i tempi di attesa, eppure Maya faceva tutto come se fosse la prima volta. In realtà erano anni che provavano a diventare Animagus e non c’erano ancora riusciti.
Maya tamburellò le dita sul libro, fremendo di ansia. I cinque minuti le parvero una vita.
«Qui sunt hi? Quid tibi vis? Scio tamen Animagus sim nescio. Quid mihi est in Animagus? (2)» iniziò a piovere e dovette alzare il tono della voce per sovrastare il rumore della pioggia.
«Aspettare due minuti» disse più a sé che agli altri.
«Concentrati, Potter»
«Quaeritis me habeo ut animal (3)»
«Aspettare dieci secondi»
«James Potter nomen mihi est (4)»
C’era un “non aspettare” che lei non lesse, proprio per non perdere tempo.
«Muta me (5)»
Un altro “non aspettare”.
Chiuse gli occhi e un leggero vento arrivò. Non disse nulla, d’altra parte succedeva sempre e poi James era sempre lo stesso. Riaprì gli occhi e quasi non ci credette. James non c’era più, al suo posto c’era un cervo.
«Santo Potter»
«Che togo!» fu il commento di Sirius. Maya strabuzzò gli occhi. Remus spalancò la porta.
«Quello è…James?» domandò incredulo a sua volta. Maya annuì.
«Ce l’hai fatta Maya!» gridò Remus. La ragazza in questione annuì nuovamente. La guardarono tutti per un po’, pieni di ammirazione e fu lei ad interrompere quel silenzio.
«Come lo facciamo tornare umano ora?»
 
 
 
(1) Sto cercando di scoprire l'animale che devo essere
(2) Chi sono? Cosa voglio? Questo lo so, ma non so che Animagus io sia. Qual è il mio Animagus?
(3) Sto cercando di scoprire l'animale che devo essere
(4) Il mio nome è James Potter

(5) Trasformami!

N/A
Le traduzione le ho fatte con google traduttore, quando saprò meglio il latino magari vedrò di farle da me. Intanto accontentatevi di questo. Un abbraccio.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Non che tutti non avessero preso paura quando James aveva detto “così”, riferendosi alla domanda “come lo facciamo tornare umano ora?”, dopo essersi ritrasformato da solo.
Il giorno dopo i Malandrini erano assetati di informazioni da far paura.
«Com’è stato, James?» chiese uno.
«Come hai fatto?» chiese un altro.
«Cosa si prova?»
«Hai scelto tu di essere un cervo?»
«Perché proprio il cervo?»
«Fa male?»
«Ora ti senti diverso?»
«Sì ragazzi, ora posso volare, ho un superpotere. Credo però che la Kryptonite mi faccia male» rispose.
«Davvero?» domandò ironico Remus. Sirius scosse violentemente la testa e si spiaccicò la mano in fronte.
L’unica a non aver parlato era stata Maya, sbalordita per essere riuscita in quell’impresa titanica. Finita colazione si fiondò nel dormitorio, dove vide la finestra aperta. Sbuffò: era una brutta abitudine di Lily. Si stava per appisolare nuovamente nel letto quando notò qualcosa appoggiato sul letto dell’amica. Curiosa, si avvicinò. Era un fiore, accompagnato da un biglietto. Non era un fiore comune, era un giglio. Prese alla svelta il biglietto e lo lesse:
Lily, ti prego, perdonami. Severus
Semplice, diretto e probabilmente efficace. Impulsiva qual era, senza pensarci, sussurrò «incendio» e il biglietto prese fuoco.
Uscì dalla stanza e si diresse a lezione dove raccontò tutto a Remus, l’unico che sicuramente non se la sarebbe presa con Mocciosus.
«Non raccontare nulla a Lily, hai fatto probabilmente la cosa giusta» la rassicurò.
«Secondo te lo rifarà?»
«Non possiamo saperlo» disse. Passarono il resto della lezione di trasfigurazione ad ascoltare e a prendere qualche appunto qua e là. Seguirono incantesimi, pozioni e babbanologia.
«Maya!» si sentì chiamare mentre si dirigeva nella Sala Comune. Oh no, Thomas. Il suo cuore prese a battere forte. Non gli diede retta e andò avanti.
«Maya, aspetta» disse sorpassandola e parandosi davanti a lei.
«Perché ti sei offesa?» domandò. La ragazza non rispose.
«Per favore Maya, mi dispiace che ciò che penso ti abbia irritato ma per favore, non essere arrabbiata con me. Ormai sei una mia amica e tengo a te e al nostro rapporto. Perdonami, per favore» disse. Oh. Infondo perché doveva essere arrabbiata? Le sue erano state solo domande. Fece la prima cosa che gli passò per la testa: gli si gettò fra le braccia e lui, la coccolò per un bel po’ nel suo rifugio sicuro. Stava abbracciando Thomas Fields, oh, grande oh.
Non sapendo bene né come né quando, il giorno seguente, si era ritrovata ad ascoltare una lezione del professor Fields con James vicino.
«Sei stata bravissima» le disse James.
«Cosa?» domandò lei distrattamente.
«L’altra sera, insomma, lo sai» ora aveva tutta la sua attenzione.
«James, non ci posso ancora credere» sussurrò.
«Sei stata un portento! Sapevo che ce l’avresti fatta! Ho ragione quando dico che sei una strega eccezionale» lei sorrise, immensamente felice.
«Grazie James. Tu quindi non hai fatto nulla?» il ragazzo scosse la testa.
«Rosier, Potter» li richiamò il professore di Arti Oscure.
«Thomas, cosa vuoi?» rispose lei freddamente.
«Sai già troppo per poter ascoltare la mia lezione? O per lo meno, fingere di ascoltare?»
«Oh Thomas, non era mia intenzione non ascoltare la tua lezione, credimi! La mia intenzione era quella di chiacchierare con Potter. Il fatto che la tua lezione me lo impedisse, è un altro discorso» l’ennesimo battibecco, le ennesime farfalle nello stomaco di lei.
«Rosier, ne parleremo nel mio ufficio questa sera, alla punizione che per la cronaca, si è protratta di una settimana» Maya scrollò le spalle e fece per tornare a parlare con l’amico quando capì di esser stata silenziata. Pensò ad una ragione ottima per farsi restituire il dono della parola e solo in seguito alzò la mano.
«Maya, spero per te che sia importante» la ragazza sorrise, risentendo di nuovo la voce.
«Vedi Thomas, è stata una cosa che mi sono sempre chiesta. Devo aver letto o sentito in giro che è possibile sapere gli ultimi incantesimi eseguiti da una bacchetta. Mi sbaglio?»
«No, Rosier»
«Bene. In merito a ciò, mi sono sempre chiesta come fosse possibile»
«Bene, avete sentito ragazzi? Abbiamo trovato qualcosa che Maya Rosier non sa» ci fu una breve risata generale.
«Sarò lieto ad ogni modo di rispondere alla tua domanda. È una risposta semplice ma la spiegazione non è altrettanto facile. Penso che qualcuno di voi già abbia sentito parlare di Prior Incantatio. Ebbene è naturale che alcuni non sappiano di cosa io stia parlando.
Dunque, il Prior Incantatio è un effetto che si verifica quando due bacchette, aventi lo stesso nucleo entrano in contatto; con un incantesimo, ad esempio. Durante uno scontro, mettendo per ipotesi che io e Maya possediamo lo stesso nucleo, le nostre bacchette potrebbero entrare in contatto e quindi rivelare al vincitore la cronologia, chiamiamola così, degli ultimi incantesimi; degli ultimi cinque, a voler essere precisi. Sempre parlando di bacchette a medesimo nucleo, si può evitare il contatto per far sì che il Prior Incantatio avvenga, è semplice, basta dire Deletrius, che è la sua formula. Il punto è: come si fa a scoprire gli incantesimi recenti avendo due bacchette di nucleo diverso? E qui, Maya, arriva la risposta alla tua domanda. Si parla di un altro incantesimo, non più del Prior Incantatio. Basterà puntare la bacchetta contro l’altra e dire Faino » tutta la classe e Maya compresa era in piena attenzione e concentrazione sulle sue parole.
«Dammi la tua bacchetta Maya, così farò vedere alla classe di cosa parlo. È veramente molto bello da vedere. In entrambi i casi si mostrerà una breve scenetta in cui si vedrà come ciascun incantesimo sia stato utilizzato» solo dopo aver consegnato la bacchetta a Thomas Maya capì il madornale errore che aveva commesso. Thomas tirò fuori la sua e la puntò contro quella della allieva e dopo aver mormorato Faino, Sirius Black, e con lui tutta la classe, venne a conoscenza dell’enorme segreto di Maya. Le scenette iniziarono.
Il primo incantesimo, ovvero l’ultimo prodotto da Maya era Oppugno, che aveva utilizzato nella camera dei Malandrini per scagliare degli uccellini di carta addosso a Sirius.
La classe rise.
Il secondo incantesimo, era Avis, che aveva utilizzato per creare i teneri uccellini che si erano scagliati sulla testa del dolorante Sirius.
La classe rise.
Il terzo incantesimo, era Wingardium Leviosa, che aveva utilizzato per far rimanere sospesa a mezz’aria la padella (rubata con cura agli Elfi) dove poi Sirius aveva battuto la testa.
La classe rise.
Il quarto incantesimo, era Aguamenti, che aveva utilizzato per bagnare le gambe di Sirius, che si era alzato di colpo mettendosi a sedere, andando a sbattere addosso alla padella sospesa, ricevendo in fine degli uccelli di carta addosso.
La classe rise.
Il quinto incantesimo, era una formula della sera prima, si vide solamente lei che urlava quest’ultima formula.
Fortunatamente nessuno capì di quale procedura si trattasse. La classe questa volta non rise.
«TU» sibilò Sirius.
«Ehm…Sirius…posso spiegare!» James e Remus si stavano asciugando le lacrime dagli occhi: ecco chi era stato quella mattina!
«Ah sì?» domandò un Sirius furioso.
«No» rispose Maya con voce tremante.
◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊ ◊
«Thomas, com’è che non mi degni nemmeno di un insultino?» domandò Maya, dopo la prima ora di punizione passata in silenzio.
«Ho sentito il quinto incantesimo di oggi» Maya iniziò a sudare freddo «e non pensare che non me ne sia accorto»
«Non vorrai mica dirmi che ti spaventano quattro parole messe in croce!»
«Non mi preoccuperebbero affatto se solo non fossero un incantesimo. Era l’ultimo dei cinque incantesimi della Trasfigurazione Umana, Maya. Tu e i tuoi amici stavate provando, non è vero?» lei divenne pallida e sentì il sangue bollirle nelle vene e il cuore batterle all’impazzata.
«Thomas, quale tono accusativo! Noi non stavamo facendo niente»
«E allora perché quel incantesimo era nella tua bacchetta?»
«Sì, stavamo provando, va bene? Stavamo provando a trasformarci e ci sono riuscita. Ho trasformato James. Sappiamo quello che facciamo, Thomas, non ti devi preoccupare»
«Potrai dirmi quante volte vuoi che non mi devo preoccupare, ma lo farò sempre, Maya»
Maya non poteva credere a quello che aveva appena sentito. Thomas non avrebbe detto mai e poi mai una cosa del genere! Aveva sicuramente capito male.
«Cosa hai detto?» chiese.
«Ho detto, che la Trasfigurazione Umana è pericolosa e che perciò, avrai un’altra settimana di punizione» rispose. Cosa? Ancora punizione? Continuando così la sua punizione sarebbe stata a vita.
Sbuffò semplicemente e tornò a mettere in ordine i libri.
Da lì in poi, Thomas riprese a punzecchiarla. Quello andava bene!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3046566