Senza memoria

di Marty Andry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Draco ***
Capitolo 3: *** Vane ricerche ***
Capitolo 4: *** Riunione ***
Capitolo 5: *** Viola del pensiero ***
Capitolo 6: *** Incontri ***
Capitolo 7: *** Strawberries ***
Capitolo 8: *** Transizione ***
Capitolo 9: *** Cimeli ***
Capitolo 10: *** Annotazioni ***
Capitolo 11: *** Azzardo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Eros osservava.

Dalla sua colonna a Piccadilly Circus la statua luccicava alla dorata luce di un tramonto londinese di metà aprile. Un vento caldo e leggero muoveva le fronde degli alberi, provocando un fruscio che veniva coperto dalla gente che affollava l’area. 
Un misto di lingue e culture diverse si amalgamavano tra loro, che si perdevano nei meandri di Londra. Stranamente, quel giorno non aveva piovuto e il vento contribuiva ad allontanare le soffici nuvole ora d’un colore roseo. Sotto quel cielo, tutti fuggivano.
Ma Eros guardava chi restava. 

<< Guarda quei tizi… >> disse una ragazza dai lineamenti palesemente ruteni scuotendo il braccio del suo amico che le stava accanto. Nel fare quel gesto, caddero delle gocce di gelato alle amarene sul pavimento della piazza.
<< Mantieni un attimo… >> disse lui mentre le porgeva il gelato.
<< Alan! Per favore, non… >> gridò l’altra ragazza, che parlava inglese con un forte accento francese.
<< Lascialo stare, >> rispose l’altra << sai com’è fatto. >>
Videro Alan andare con passo svelto verso dei ragazzini, avrebbero potuto avere all’incirca undici o dodici anni, che importunavano un ragazzo occhialuto dai capelli color sabbia. 
Scambiate due parole con il gruppetto, Alan tornò dalle amiche. 
<< Natascia, Marion, >> disse << questo è Pablo. >> presentò orgoglioso.
<< Sono catalano. >> specificò quello, arrossendo e nel tentativo di pulire goffamente le lenti degli occhiali, rotondi.
Gli occhi cerulei di Natascia brillarono.

Eros continuava ad osservare.

E sembrava che avesse anche centrato. 

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Capitolo 2
*** Draco ***


<< Dai Marion, ce la puoi fare!! >> urlava Alan per incoraggiare l'amica.
Marion stava imparando ad usare la bicicletta, con molti sforzi da parte dell'amico che, provvisto di immensa pazienza, le aveva garantito il suo aiuto.
Erano in un parco appena fuori Londra, lontani dalla malsana aria che altrimenti avrebbero respirato a pieni polmoni. La ragazza pedalava spensierata, cercando di connettere i pensieri col movimento delle gambe. Il vento alitava sul suo volto, nel tentativo di coinvolgere in una danza i suoi riccioli color del miele. Il viottolo che stavano percorrendo era delimitato alle estremità da alberi di pesco già fioriti, emanando un profumo che fece starnutire Marion. 
<< Attenta!! Oh Dio del cielo... Sta' ferma, arrivo! >>
Alan, mettendosi dapprima le mani nei capelli, corse per raggiungere l'amica, rovinosamente caduta dalla bicicletta. Marion era distesa tra la fine del viottolo ed un albero, con le mani che le coprivano il volto a mo' di scudo.
<< Marion, >> mormorò scuotendole preoccupato una spalla << stai bene? >>
La ragazza non rispose.
<< Marion, rispondimi!! >> gridò.
Vedendo che non dava segni di vita, s' inginocchiò per toglierle le mani dal volto, pronto a scoprire chissà quale orrore. Ed invece scoppiò una forte e cristallina risata che lo fece sobbalzare per lo spavento. Alan era sull'orlo di piangere quando lei iniziò a ridere.
<< Ci sei cascato!! >> gridò, mentre gli cingeva il collo con un braccio.
<< Mi hai fatto preoccupare, non azzardarti mai più, francesina! >>  la rimproverò lui con fare scherzoso.
<< Scialbo londinese, piuttosto, aiutami ad alzarmi. >>
I due si guardarono negli occhi, abbozzando un sorriso, poi Alan la prese per un braccio e la aiutò ad alzarsi. Per fortuna se l'era cavata con qualche graffio.
Mentre camminavano per raggiungere Pablo e Natascia (che si stavano probabilmente scambiando effusioni amorose dall'altra parte del Green Hole Park) Alan inciampò e si aggrappò a Marion per non cadere.
<<  Ma che diamine... >> imprecò lui.
<< Un sasso, Alan. Un innocuo sassolino. >>
<< Nei sei sicura? >>
Ai piedi di un albero di pesco, tra le nodose radici che uscivano in superficie, la pietra si era infilata. Il ragazzo s' inginocchiò e la prese, con le mani tutte sporche di terra e lo sguardo vittorioso.
Era una pietra grande quanto il pugno di una mano.
<< Ahia, scotta! >> disse Alan buttandolo per aria.
Per fortuna Marion la prese, prima che la pietra toccasse la terra, col pericolo di frantumarsi.
La appoggiò a terra, soffiando sulle mani per alleviare il bruciore.
La pietra era rossa, con sfumature nere, simili a quelle del granito. Esalava del fumo e  nel girarla dall'altro lato notarono che vi era un dragone, inciso a caldo come un marchio. I contorni della figura emanavano riflessi ambrati che pian piano diventavano più definiti.
Alan prese un fazzoletto e lo avvolse, poi, con l'amica ancora in silenzio, si diresse verso Pablo e Natascia.

Da dietro ad un olmo i due notarono che, parallelamente a loro, la russa ed il catalano erano seduti sul prato appoggiati alla corteccia dell'albero. Natascia sorrideva amabilmente alle battute di scarso humour del fidanzato, a cui solo lei poteva ridere. Poiché Pablo aveva scrutato i due amici da dietro al tronco, tese una mano versi la ragazza e l'aiutò ad alzarsi.
<< Missione compiuta? >> chiese Natascia inarcando le sopracciglia, con gli occhi simili ad una fessura.
<< Sì, credo di sì. >> 
Alan fece le spallucce. << Ma credo che ci sia qualcuno che voglia intralciare il nostro cammino. >>
<< Ma smettila! >> disse Marion tirandogli una lieve gomitata << Quanto sei tragico... >>
<< Certo, ma tu come spieghi questo? >>
Il ragazzo tirò fuori dalla tasca, con testo estremamente teatrale, il fazzoletto, osservato con aria interrogativa dalla coppia.
<< Uh, un sasso sta per rovinarvi l'esistenza! >> esclamò Pablo con una nota di sarcasmo.
<< Non è solo un sasso! >> replicò Alan.
Mostrò l'altra faccia della pietra, lasciandoli sbigottiti.
<< Dire che potremmo fare un giro in biblioteca è troppo da romanzo, vero? >> chiese Pablo frattanto che alitava sulle lenti degli occhiali per pulirle.
<< Decisamente. >> rispose laconica Natascia << Sarà di qualcuno che l' avrà dimenticata. >>
"Spero che sia così." pensò Alan, che non aveva alcun dubbio: aveva sentito un qualcosa di caldo che lo aveva percorso dalla testa ai piedi.

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Capitolo 3
*** Vane ricerche ***



Però, Pablo non aveva ceduto. Senza dare spiegazioni, la mattina seguente si era recato nella biblioteca non molto distante dal suo appartamento nella zona sud di Londra.
Quel luogo era quasi stato la causa della sua chiusura interiore degli ultimi due anni quando, con la sorella, aveva lasciato la Catalogna dove vivevano i suoi genitori. Doveva trovare una soluzione, in quanto amava studiare ed il suo inglese era ancora scarso, nonostante lo avesse studiato come lingua straniera nella sua scuola spagnola. Di questa sua inclinazione allo studio Alan ne era non poco sprovvisto, dato che ogni anno "lottava" per uscire indenne dalla maggior parte delle verifiche finali, mantenendo sempre la sua aria da falso presuntuoso e, in tali di circostanze, quasi di un reduce di guerra.
Alan, al contrario di Pablo che cercava di circondarsi di gente per non tuffarsi nei libri, aveva un carattere schivo, talvolta eclettico,  che lo spingeva ad avere pochi amici. Ma era gentile ed aveva, come spesso lui stesso diceva, una forte allergia alle ingiustizie. Voleva diventare un giornalista, per denunciare quanto male era radicato nel cuore dell'uomo e cercare di ricostruire un mondo migliore. Iniziava da piccoli tasselli: insegnava a leggere e scrivere ad un'anziana analfabeta del suo condominio, faceva fare lunghe passeggiate ai suoi nonni e ai loro amici nella casa di riposo e, ultima ma non meno importante, aveva insegnato a dei ragazzini che torturare Pablo non era un bel passatempo.
Il catalano uscì di casa, senza accorgersi che la pioggia era più violenta di quanto avesse creduto e  aveva probabilmente rovinato il weekend di molti ragazzi. Ma lui non aveva di meglio da fare, così indossò l'impermeabile verde, artigliò il manico dell'ombrello, rotto, con due aste che, quasi per anticonformismo, non seguivano l'ordine preciso delle altre e si diresse con passo sostenuto verso la biblioteca della signora Muffers.  
Pablo arrivò all'edificio con i bordi dei pantaloni completamente fradici. Con le nocche delle dita bussò al vetro smergliato della porta di legno scuro. Spiò dalle finestre rettangolari e constatò che all'interno la luce era accesa, perciò la signora Muffers era sicuramente dentro. Sentì qualcosa cigolare e notò la maniglia che si piegava. La figura tarchiata della donna apparve in controluce, con un braccio steso lungo il fianco destro. 
<< Paul! >> disse << Entra o ti bagnerai. >>
<< Pablo, signora Muffers. E comunque lo sono già. >> replicò.
<< Vieni, vuoi una tisana alla valeriana? >>
<< Valeriana? Ehm...No, grazie. Ho appena fatto colazione e... >>
<< Siediti alla scrivania che ora arrivo. >>
Cercare di rifiutare con la signora Muffers era praticamente impossibile. Considerava i frequentatori più assidui alla stregua dei suoi nipoti, e in men che non si dica ti ritrovavi con lo stomaco pieno ed un buon libro a tenerti compagnia.
L'ambiente era illuminato da una luce fioca, che proveniva a dei lampadari dai cappelli ondulati sotto cui vi erano lampadine offuscate dalla polvere. Dietro la scrivania vi erano file e file di alti scaffali traboccanti di libri suddivisi per genere. La scrivania che aveva davanti era poco più grande di un banco di scuola, in legno scuro coperto da un centrino verde, su cui poggiava una lampada stile liberty.
<< Rileggi David Copperfield? >> chiese Pablo mentre la donna poggiava il vassoio di legno intagliato sulla scrivania. 
<< Il mio secondo marito, lo sai. >> sorrise.
<< Siamo a quota trentasette? >>
<< Trentotto, tesoro. >>
<< Male, sto perdendo colpi. >>
Pablo prese con entrambe le mani la tazza con la tisana. La signora Muffers sembrava avere una tazza per ognuno. La sua era generalmente bianca con delle violette che sembravano dipinte ad acquerello. Portò la bevanda alle labbra e, soffiando lievemente, ne bevve un sorso. Una sensazione di forte calore invase lo stomaco e chiuse gli occhi, passando la lingua sulle labbra.
<< Cosa devi prendere, Paul? >>
<< Pablo. >> la corresse.
<< Appunto, Paul. >>
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
<< La tua vita sociale è in decadenza? Oppure hai bisogno di imparare qualche danza russa? >>
 La donna abbozzò un sorriso, sistemando la nuvola bianca sulla sua testa.
<< C'entrano draghi. >>
<< Ti stai dando alla letteratura anglosassone, ora? Passi da un estremo all'altro, eh? >>
Pablo non poté più trattenersi e scoppiò a ridere, riversando un po' della bevanda  nella tazza.
<< No, signora. Credo abbia qualcosa a che fare coi blasoni. >>
<< Dovrei saperne qualcosa, sangue scozzese  non mente. >> disse fiera.
<< Così scozzese da avere una croce celtica collo? >> notò Pablo.
<< Mi smascheri presto, ragazzo. Comunque era della mia trisnonna, passa ad ogni primogenita della famiglia. >> 
Prima che iniziasse a raccontare la sua storia, Pablo intervenne.
<< Lei conosce qualche famiglia che riporta il drago come simbolo? >>
<< Ce ne saranno centinaia, per non dire migliaia. Non ti converrebbe impelagarti in vane ricerche. >>
<< Mi affido al suo buon cuore scozzese, allora. Grazie, signora Muffers. Buona giornata. >>
<< A presto, Paul. >> lo salutò.
Pablo si arrese, non provò più a correggerla. Riprese l'impermeabile e l'ombrello e uscì dalla biblioteca. Tastò con la mano libera ma bagnata le tasche dell'impermeabile, cercando il cellulare, senza successo. Vide una cabina telefonica rossa che spiccava nella tormenta sull'altro lato della strada. La foschia celava ogni cosa e la distanza tra i due marciapiedi sembrava essersi triplicata. Avvistò i fari di una macchina che si dirigevano verso di lui e si catapultò correndo alla cabina. 
In fretta compose il numero di Alan e attese.
<< Pronto? >> rispose il ragazzo con voce ansimante.
<< Alan, sono Pablo. Senti, oggi son... >>
<< Dove diamine sei finito?! >>
Era furioso.
<< È tutta la mattina che ti cerco! >>
<< Ero andato in biblioteca per cercare qualcosa sul drago, ma ne ho ricavato soltanto una tisana alla valeriana. >>
<< Te l'avevo detto che non avresti trovato nulla. >> rispose orgoglioso.
<< Ma cosa ti è successo? >>
<< Questa mattina verso le quattro mi ha chiamato Marion, disperata. >>
<< Ha scoperto che il suo gatto è maschio? >>
<< Fai poco lo stupido. >> lo rimproverò << Il suo criceto ha un piccolo marchio sulla pelle. >>
<< E dunque? Qual è il problema? È una cosa normalissima. >>
<< Non quando c'è di mezzo un drago. >>
<< Cosa?! >> urlò Pablo esterrefatto.
<< Stasera dormiremo da lei e potrai ammirare l'opera che un certo Tancloy Zeph le ha lasciato. >>

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Capitolo 4
*** Riunione ***




Erano circa le sette quando Natascia uscì dalla sua casa nel quartiere italiano. 
"Perché" pensò "una russa si ritrovava nel quartiere italiano? Assurdo...!"
Mentre camminava, girandosi e rigirandosi le chiavi di casa tra le dita, avvertì una sensazione di fastidio. Non ci fece caso e proseguì. Poi sentì qualcosa a contatto col tallone. Lo ignorò ma, fatto qualche passo, si chinò e slacciò le scarpe. Trovò uno strano foglietto verde accartocciato ma aspettò ad aprirlo e corse veloce verso casa di Marion, come se la terra sotto le scuole cedesse ad ogni passo che faceva.

<< Bene. >> disse Alan quando tutti furono riuniti al tavolo davanti ad un caffè con panna <<  Sembra che qualcuno si stia divertendo. >>
La ragazza esibì l'animale che osservava la situazione ingenuamente, mentre veniva messo a pancia in aria, mostrando il drago come se fosse un tatuaggio.
<< Abbiamo notato che sotto una delle zampe posteriori della povera creatura... >>
<< Alan, smettila. Mi stai irritando. >> sbottò Pablo alzandosi dalla sedia.
Alan lo fulminò con lo sguardo.
<< Sta' calmo. >> gli sussurrò Natascia accarezzandogli un braccio.
<< ...di questo criceto >> riprese << è inciso un nome. Abbiamo scattato una fotografia e abbiamo ingrandito. La firma è di un tale Zeph Tancloy. Qualcuno lo ha mai sentito nominare? >>
Tutti scossero la testa.
<< Perfetto. >> 
Mise una mano dentro l'altra ed alzò un sopracciglio.
<< Poi abbiamo Natascia che ha ritrovato nella sua scarpa un foglietto. >> continuò. 
Natascia fece vedere il foglio verde agli altri. Vi era segnato un indirizzo e, in un angolo, l'immancabile drago bordato di rosso.
Strawberries Road 1949
<< Nome insolito per una strada... >> commentò Marion.

Alle nove e mezza decisero di infilarsi sotto le coperte. Marion aveva sistemato quattro materassi sul parquet della sua camera da letto con delle coperte. Lei e Natascia da una parte, Pablo e Alan dall'altro. Mentre le due ragazze parlavano a bassa voce tra di loro, Pablo si girò verso Alan
<< Sei un idiota. >> sussurrò Pablo.
<< Che ho fatto, ora? >> domandò con la voce impastata dal sonno.
<< Non ti sei mai chiesto perché Marion ti chiede di studiare insieme biologia? Oppure, perché ha chiesto proprio a te di insegnarle ad andare in bicicletta? >>
<< Perché siamo migliori amici? Non mettermi strane idee in testa. >>
<< Chi ha orecchie per intendere, intenda. >> e si girò dall'altra parte.
<
Alan mise le mani dietro la testa e rivolse lo sguardo al soffitto.
<< Passare ore con la signora Muffers mi sarà pur servito a qualcosa, non credi? >>
<< È da un po' di tempo che ci penso... >> sospirò.
<< Inglesi e francesi da sempre si odiano a morte. Ma potrebbe esserci un'eccezione. >> scherzò Pablo.
<< Dormi. >> e gli diede le spalle.
<< Lo so che stai arrossendo. So anche che eri preoccupato che si fosse rotta qualcosa quando è caduta dalla bicicletta. E immagino anche come sei scappato appena oggi ti ha chiamato. >> ridacchiò. 
<< Dormi. >>

Alan si svegliò sussultando. Aveva sentito qualcosa che gli percorreva la spina dorsale ed un odore pungente era giunto alle sue narici. Aprì gli occhi e vide qualcosa muoversi nell'ombra. Il suo sguardo rimbalzò dalla porta socchiusa alla porta-finestra. Vide delle ombre sul pavimento.
"Nuvole" pensò "Ma la finestra non era chiusa?"
Si alzò lentamente per non svegliare Pablo e si affacciò al balcone. La luna era enorme ed il cielo blu a chiazze. Scorse, sul marciapiede di fronte, una figura che camminava avvolta in un mantello scuro ed un cilindro in testa. Qualcosa sotto il mantello luccicò, ma non riuscì a capire di cosa si trattasse. La figura si fermò e dopo qualche secondo sollevò lo sguardo. Due occhi infuocati lo inchiodarono, per poi voltarsi e ritornare sui suoi passi. La porta-finestra si chiuse di colpo ed ebbe l'impulso di gridare. Bussò forte ai vetri ma nessuno gli aprì. Vide qualcuno avvicinarsi, ma non riuscì a comprendere se fosse la sua mente offuscata o davvero lì dentro qualcuno gli stava sorridendo e aveva un guizzo argenteo negli occhi. 
Trasalì.
Poi, la sagoma familiare di Marion si fece sempre più nitida.
<< Marion, grazie al cielo! >> esclamò, abbracciandola.
<< Cos'è successo? >> chiese divincolandosi dalla stretta.
Alan spiegò cosa aveva visto.
<< Sarà stato il sonno che ti fa brutti scherzi. >>
<< Ma perché sei sempre così scettica? >> 
<< Perché con te non ci si può comportare altrimenti. >> rispose con una punta di irritazione.
<< Non ti seguo. >>
<< Si vede che non c'è feeling, caro. Buonanotte. >> 
E con tono alterato si congedò da lui.

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Capitolo 5
*** Viola del pensiero ***



Alan ascoltava la professoressa senza prestare attenzione né prendere appunti.
Guardò il cielo fuori dalla classe. Era di un colore grigio perla che detestava ed il sole era nascosto dalle nuvole, tanto da sembrare un lievissimo barlume.
La discussione con Pablo l'aveva messo quasi in crisi.
Non aveva mai pensato a Marion come più di un'amica. Lei così come Natascia.
Cioè, avevano passato insieme tre anni, combinando momenti di rara serietà ad altri in cui si apprestavano a fare tutto ciò che per gli altri era assurdo ma che per loro rientrava nel concetto di strano e divertente. Un inglese, una francese, uno spagnolo (o meglio, un catalano. Pablo non apprezzava molto esser definito un "semplice e comune spagnolo") ed una russa legati da un indissolubile patto che andava ben oltre l'amicizia. 
Forse non aveva mai provato ad interessarsi a qualche ragazza, Marion e Natascia erano, forse, arrivate troppo "presto", esattamente nella fase di transito tra il bambino e l'adolescente. Per cui era normale essere amico di due ragazze, senza provare qualcosa di più né qualcosa di meno.
Lui non era il tipo da ragazza, no. Non ci si vedeva nemmeno lontanamente mano nella mano con una silhouette di cui spiccavano i capelli color del miele, a passeggiare tra i viali alberati o simili cose diabetiche. Per esempio, Pablo e Natascia erano perfetti. Si erano incontrati, si erano appassionati e...ed era andata così. 
<< Forse Grween può spiegarci la formazione delle nuvole, dato che è così interessato agli eventi atmosferici che avvengono fuori. Giusto? >>
<< Eh? >> disse, girandosi di scatto verso l'insegnante, tornando sulla terra.
L'insegnante lo fissò intensamente con degli spilli al posto degli occhi. << Ed è già la seconda volta oggi, Grween. >> commentò.
Pablo gli tirò una gomitata e sussurrò la risposta. Alan farfugliò qualcosa, poi prese a far rumore con la penna sul banco, con lo sguardo basso.

<< A che stavi pensando? >> domandò Pablo durante l'intervallo.
<< All'ultimo lavaggio del cervello che hai provato a farmi. >> rispose secco.
<< Senti, >> disse Alan puntandogli gli occhi neri addosso << se stai cercando di fare Cupido, beh...Mi spiace, ma qualcuno ti ha già rubato il posto. >>
<< Sì, certo. Uh, guarda, sto volando! Un momento, esco le frecce. >> disse con tono civettulo.
<< lo ribadisco: sei un idiota. >> e gli diede una pacca sulla spalla.

All'uscita, Marion confabulava con Natascia e sentì qualcosa picchiettarle sulla spalla. Gesto tipico di Alan.
<< Ehi, dimmi. >>
<< Oggi dobbiamo studiare insieme, vero? >>
<< Ma non abbiamo ancora nulla e...tu hai da fare la ricerca. >> replicò imbarazzata: gliel'aveva ricordato sempre lei.
<< Se ti va possiamo farla insieme. Così ne trarremo entrambi un vantaggio, se alla prof andrà bene. >>
Marion pensò che non poteva proprio dirgli di no, con quel sorriso a trentadue denti e le fossette agli angoli della bocca che mettevano in risalto gli zigomi rosei.
<< Okay. >> rispose lei, cercando di mostrargli il suo sorriso migliore.
<< Potremmo vederci di nuovo al Green Hole Park. >>
<< Okay. >> 
Non riusciva a spiaccicare altro.
<< Va bene, passo da te in bicicletta alle quattro. >> disse Alan, col pollice in su.
<< Va benissimo... >>
<< Au revoir, mademoiselle Marion! >>
Lei non aveva fatto altro che tenere li sguardo basso, gli occhi puntati sulle sue scarpe, mentre l'amico le parlava. Lanciò un'occhiata a Natascia che nel frattempo stava cercando il biglietto del bus nelle tasche dei pantaloni.
Fuori dal finestrino del mezzo la città appariva ancora più frenetica di quello che realmente era. Alberi, persone ed edifici scorrevano rapidi davanti a lei, ognuno risucchiato dalla propria vita, con le relative gioie e frustrazioni.
"Tutto scorre sul piano inclinato della vita" pensò.
Accanto a lei Natascia ascoltava della musica, sprofondata nel sedile.
"Prima o poi lo noterà. Mi chiederà spiegazioni ed io dovrò spudoratamente mentirgli. O dirgli la verità. Accidenti..."
Si mise una mano all'altezza dello stomaco.
"Verità, la pura e semplice verità." si promise.

<< Al...Devo farti vedere una cosa. >> mormorò la bionda, a capo chino.
Il ragazzo sollevò lo sguardo dal piccolo portatile e smise di battere.
<< Se me lo dici così mi fai preoccupare. >> 
La sua espressione era a dir poco allarmata. Che Pablo avesse ragione e Marion stesse per fare il fatidico passo? 
Il sole aveva per poco fatto capolino dalle soffici e candide nuvole che assumevano le forme più impensabili. Un bambino con un piccolo tamburello si fermò a pochi passi da loro ed iniziò a battere le manine paffute sullo strumento, poi iniziò a ricorrere una tortora che si era adagiata sull'erba fresca e brillante. Marion prese Alan per un braccio e lo trascinò dietro ad una quercia ad una ventina di metri da loro, dalla parte opposta del vialetto. Lo prese per mano e lui, titubante, incastrò le sue dita con quelle di lei, la quale tremò impercettibilmente a quel contatto. Marion si appoggiò con la schiena al tronco dell'imponente albero. Guardò l'amico, enigmatica e preoccupata, che cercava di scostare dei rami per vederla meglio. Alan voleva scappare, soprattutto quando la vide slacciarsi, flemmatica, la cintura dei pantaloni a vita alta.
<< Marion, cosa... >> 
La francese abbassò leggermente il tessuto e scoprì di poco l'ombelico. Attorno ad esso vi erano dei petali viola. Sembrava un tatuaggio. Alan tirò un sospiro di sollievo.
<< Cos'è? >> biascicò.
<< Una viola del pensiero. >> rispose lei senza alcuna emozione.
<< E quando l'hai...tatuata? >> chiese appoggiandosi con un braccio all'albero, in modo da trovarsi a pochi centimetri dall'amica.
<< Stanotte, >> singhiozzò << ho sentito qualcosa qui. >> indicò li stomaco
<< Era come se qualcosa stesse premendo sulla mia pancia, ma era così lieve che non ho voluto aprire gli occhi. Poi, >> singhiozzò ancora << mi sono girata di fianco e ho socchiuso gli occhi. Ho visto un'ombra nera su di me. Ma quando mi sono messa a sedere non ho visto più nulla. Solo questo. >> ed indicò la viola.
Alan aveva la bocca aperta e la scrutava dubbioso.
<< Posso? >> 
Marion annuì e lui si chinò, per osservare meglio il fiore. Ne seguì i contorni sulla pelle con la punta dell'indice e Marion, sensibile a solletico, fece sforzi enormi per non ridere. Notò che su un petalo vi era qualcosa che sembrava un'imperfezione, come se i petali fossero poggiati sulla pelle. Approfittò di un attimo di distrazione dell'amica e, delicatamente, lo sollevò. Pian piano il fiore restò come se fosse di carta sulla sua mano.
<< Alan, ma che...Come hai fatto? >> chiese.
<< Era forse un pezzo di carta. >>
Il fiore di carta si ricoprì di un lieve alone rossastro, assumendo le forme di una vera viola del pensiero, di uno strano blu uniforme tendente al viola, con lievi venature più scure. 
Quando ripresero a lavorare, Alan era poco concentrato. Ad un tratto lanciò l'evidenziatore nel borsellino e, gattonando, si diresse verso Marion, che sedeva al lato opposto della coperta a gambe incrociate, intenta a riordinare degli schemi.
Le poggiò la viola su un foglio che aveva davanti. << Secondo te che significato ha la viola del pensiero? >> le soffiò in un orecchio.
Lei si spaventò e lo guardò dritto negli occhi.
<< Non lo so. >> rispose secca arrossendo e tornando al suo lavoro.
Lui lasciò stare, ripensando alle parole di Pablo.

Nell'andare via, Marion non poté resistere. La verità bisognava dirla tutta, a quel punto.
Scrisse velocemente su un post-it giallo una frase in spagnolo che forse aveva sentito in una canzone, probabilmente canticchiata da Pablo, e la appiccicò sulla tastiera del portatile. Male che vada, pensò, lo getta e non lo saprà mai.

Il cellulare di Pablo vibrò. Lo spagnolo lanciò un'occhiata al cellulare, abbandonato sul tavolo davanti a sé. Chiuse il libro di letteratura e lo poggiò sul divano.
"Alan che mi ha dato ragione" pensò. In effetti, sul display vi era proprio il nome dell'amico. Soffocò una risata quando lesse quelle due righe.

Alan: Ho trovato un biglietto nel computer. Non so come ha fatto a finire lì dentro.

Letta l'ultima frase, alzò gli occhi al cielo.

Pablo: Beata ingenuità. Che c'è scritto? 

Alan: Estoy loca enamorada de ti

Pablo: Dimmi che sai cosa vuol dire. Voglio risparmiarti un'altra umiliazione.

Alan: Un'altra?

Pablo: Una è accettare che avevo terribilmente ragione.

Il ragazzo sorrise davanti allo schermo illuminato e digitò velocemente la traduzione

Pablo: Sono follemente innamorata di te 

Alan: Ehi, ehi! Non una tua dichiarazione!

Pablo: Mi devi tre biscotti 

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Capitolo 6
*** Incontri ***



La mattina seguente Alan arrivò a scuola in netto anticipo rispetto al solito. La notte non aveva chiuso occhio e si era girato e rigirato il biglietto tra le mani sudate. Sapeva che era di Marion, e la sua illeggibile grafia da medico per lui non aveva più segreti. Sfiorava con le dita quelle poche parole scritte con la penna nera, cinque gruppi di lettere che lo avevano gettato nella più totale inquietudine. Forse aveva già la risposta, ma una parte di lui continuava a non volergliela dare vinta. 
Mentre usciva i libri dallo zaino, arrivò la bibliotecaria della scuola per lasciare dei quotidiani, come ogni giorno. Non ne leggeva quasi mai ma quella mattina, non sapendo cosa fare, ne prese uno.  Lo colpì l'articolo in prima pagina:

Ritrovato corpo nel Tamigi
"Sono nato per rivoluzionare l'Inferno"


Lesse le prime righe e, con un gesto da ladro, lo cacciò nello zaino. Aspettò l'uscita da scuola per mostrarlo ai suoi amici. Il trafiletto parlava di un uomo ritrovato annegato nel Tamigi. Tra la nuca e le spalle, diceva, era stata ritrovata la scritta "Sono nato per rivoluzionare l'Inferno".
<< Poco inquietante, vero? >> commentò Alan masticando i sottaceti del panino che gli pizzicavano la gola.
<< Ma cosa c'è di strano? Cioè, perché dovrebbe interessarci questo tale Laycton? >> domandò Natascia.
Alan fece le spallucce.
<< Vuole mettere il naso in cose che non gli riguardano e ritrovarsi nei guai, semplice. >> disse Pablo sarcastico.
<< Okay, pensala come vuoi, Don Chisciotte de la Mancia. >>
<< Ma non ne abbiamo già sentito parlare? >> domandò Marion, a cui quel nome non appariva del tutto estraneo. Tutti scossero il capo.
<< È un suicidio? >> chiese Natascia.
<< Non si sa nulla, >> rispose Alan << può essersi gettato di sua spontanea volontà oppure no. >> 
<< Fatto sta che non ci riguarda. >> commentò Pablo nuovamente.
<< Ma se sei stato proprio tu ad andare in biblioteca a cercare... >> 
<< Basta! >> intervenne Marion << È inutile discutere. >>

Aveva deciso, basta.
Pioveva, naturalmente, ed erano le sette passate. La strada era scivolosa e non c'era nessuno a parte qualche taxi. Con la mano con cui non teneva l'ombrello pigiò sul pulsante del campanello di casa.
"Accidenti, Marion, spero che tu sia dentro. " 
La porta si aprì e lei spuntò dalla porta a destra delle scale.
<< Io non salgo. >> disse rimanendo sull'uscio << Vieni ed usciamo. >>
<< Sei pazzo?! Lì fuori c'è il Diluvio Universale! >>
<< Tranquilla, ho un ombrello enorme. >>
Marion scese le scale a due a due mentre si infilava l'impermeabile. Si richiuse il portone alle spalle ed Alan la prese per mano per aiutarla. Ma non la lasciò. 
<< Sai, >> iniziò << uno scrittore spagnolo ha detto che nel momento in cui cerchi di capire se ami una persona, sai già la risposta. >>
Lui guardava avanti, oltre la foschia. Dopo che ebbe pronunciato quelle poche parole, Marion si fermò di colpo. Era rimasta fuori dall'ombrello che Alan teneva e la pioggia le bagnava i capelli, il freddo invadeva il suo corpo.
<< Sei venuto a dirmi che hai una ragazza? >>
Forse piangeva, non riuscì a capirlo perché la pioggia le imperlava le ciglia e picchiava sul suo volto. 
<< Ma che fai, vieni sotto. >> 
La raggiunse e la prese per un gomito, ma lei si divincolò, allontanandosi un altro po'.
<< È così, vero? >> ripeté.
Non rispose.
<< Vero? >> insistè.
Ora piangeva davvero, i singhiozzi la facevano sussultare. Si avvicinò e chiuse l'ombrello.
<< No, ti stai sbagliando. >>
Occhi negli occhi, cuore contro cuore.

<< Ciao Marion. >> la salutò lui, senza esser riuscito a risolvere granché. 
Quando lei richiuse il portone, Alan girò i tacchi e riaprì l'ombrello, anche se ormai era bagnato fradicio. Si tirò indietro un ciuffo di capelli, completamente bagnati.
<< L'amore è la cosa più inutile della vita, vero Alan? >>
Alle sue spalle udì una voce bronzea che lo fece sobbalzare. 
Una figura vestita di nero lo guardava, avvolta in un mantello nero e lucido di pioggia. Sulla testa aveva un cilindro anch'esso nero e tra le mani, nascoste dai guanti stringeva un bastone col pomello a forma di drago argentato. Il ragazzo non si voltò e fece un passo in avanti.
<< Mi stai ascoltando? >> disse l'altro.
Ancora girato, chiese << Con chi ho l'irripetibile occasione di conversare? >>
<< Mmmm...astuto... >> sghignazzò. << Comunque credo che l'occasione non sarà irripetibile. >> 
Gli angoli della bocca si sollevarono, mostrando un sorriso di denti acuminati e ferrei.
<< Come fa a conoscere il mio nome? >> insistè.
<< Alan Grween, >> e gli puntò contro un dito accusatorio << tua nonna mi ha impedito di esser felice. Ma la pagherà. >> 
Mia nonna è in America pensò.
Dopo aver pronunciato quelle ultime parole, schioccò le dita della mano e sparì, lasciando Alan in preda al panico. Forse quella sera era propenso a combinare guai, così prese il cellulare da una tasca e decise di chiamare Pablo.
<< Scendi, sono vicino casa tua. >>
<< Tu sei pazzo, domani abbiamo compito di matematica e fuori sta diluviando! >> sbottò.
<< Allora vuol dire che ci andrò da solo. >>
<< Dove? >> 
<< Strawberries Road 1949. >>
<< È dalla parte opposta di Londra! >>
<< O scendi tu o salgo io, muoviti. >>
<< Altro che mafia... >> sospirò Pablo dall'altro capo del telefono.
<< Ti ricordo che mi devi ancora restituire un favore. >>
<< Ma dove sei? >> chiese scostando la tenda della finestra.
<< Sono quell'imbecille con un ombrello giallo vicino al lampione. >>
Accanto ad un palo nero, in mezzo alla pioggia è circondato dalla pioggia, scorse la figura dell'amico.
<< Okay, scendo. >>

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Capitolo 7
*** Strawberries ***



<< Sei sicuro che sia qui? >>
<< Spero solo che lo stradario che mi ha dato la signora Muffers non sia della Londra vittoriana... >>
<< Talpa, cerca il numero 1949. >>
Alan e Pablo si trovarono davanti ad un portone laccato di rosso con il numero civico dalle cifre dorate nel mezzo della porta di destra. Più giù ad entrambe le porte vi era una fessura, anch'essa dorata, per la posta. Sul pilastro a destra era impiantato un citofono, rigorosamente dorato. Il nome dell'inquilino della casa non era visibile, si intravedono solo una A ed una O. 
Alan stava per suonare quando l'amico gli tirò indietro il polso.
<< Sei matto?! >> 
Alan fu sul punto di dire qualcosa, ma la porta davanti a loro si aprì emettendo un lugubre cigolio. 
<< Fermo! >> urlò Pablo << Sono stanco. >>
L'altro, di qualche passo davanti a lui, si voltò. Da come gli parlava, dall'affanno che la sua voce aveva, era evidente che fosse contrario a quanto lui stava programmando di fare.
<< Sono stanco di esser considerato una ruota di scorta, di seguire sempre te. >>
Parlava e stringeva i pugni, con le nocche bianchissime.
<< Pablo... >> mormorò Alan, con una faccia pallida.
<< Zitto! Però, almeno io... >>
<< Pablo!!! >> urlò, fiondandosi su di lui.
Finirono accovacciati sul pavimento umido dell'atrio. Un paio di metri più avanti si ergevano delle colonne in granito rosso che delimitavano una delle quattro grate di metallo nero lavorato con motivi gotici floreali. Le quattro grate terminavano con una cupola aperta, anch'essa solo di metallo, illuminando il pozzo luce. Quest'ultimo aveva il pavimento a scacchiera, in marmo bianco e nero. 
Alle spalle di Pablo una figura avvolta in un mantello nero stava per avventarsi su di lui. Alan si slanciò per proteggerlo e rotolarono ai piedi della sagoma.
<< Non pensavo saresti venuto a trovarmi così presto, Alan Grween. >>  ghignò.
<< Lo conosci? >> sussurrò Pablo.
Alan deglutì. << No. Ma a quanto pare lui conosce me. >>
<< Avvicinati. >> disse, col un dito avvolto nel guanto di seta nera puntandolo su Alan.
La pioggia cadeva fitta e il suo odore si mescolava con quello umido dell'edificio, non molto gradevole. Un lampo squarciò  il cielo sopra al pozzo luce ed illuminò, per pochi secondi gli occhi infuocati. Alan, con flemma, si diresse verso l'uomo- o quella cosa dalle sembianze umane- con lo sguardo fisso sulle sue scarpe. Il braccio si allungò di qualche centimetro e un dito sollevò il mento del giovane. Negli occhi di quest'ultimo vi era una piccola macchia bianca, quasi invisibile.
Alan tremava e quegli occhi cinerei gli fecero pensare a Caronte, il traghettatore delle anime dell'Inferno. 
Inferno
Un guizzo attraversò la mente del ragazzo che stava per dire qualcosa, ma la figura nera scomparve nel nulla, lasciando un odore di zolfo.
Il rumore della pioggia battente riempì il silenzio di quei minuti, finché Alan non rivolse la parola a Pablo che nel frattempo si era rialzato.
<< Allora, dicevi? >>
 << Alan Grween, >> disse con tono piatto << sei l'amico migliore che abbia mai avuto. >>
I due si sorrisero, abbracciandosi e riempiendosi di reciproche scuse.
<< Ecco cosa dovremmo fare. >>
<< Fammi indovinare... >> disse Alan grattandosi il mento << C'entra la signora Muffers? >>
<< Forse. Dobbiamo scoprire chi viveva qui. >> 
<< E come pensi di riuscirci? >>
<< Forse se entriamo >> disse indicando la porta << potremmo capirci qualcosa. >>
<< Aspettiamo che ci siano Marion e Natascia. >>
<< A proposito... >>
<< Frappè alle fragole? >> lo bloccò prima che gli facesse un interrogatorio.
<< E vada! Per rimanere in tema? >> e ridendo uscirono dal palazzo.

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Capitolo 8
*** Transizione ***




Erano passati diversi giorni da quando Pablo ed Alan si erano avventurati nel misterioso palazzo di Straberries Road. Era domenica mattina e, a differenza della scorsa settimana, era di gran lunga più soleggiata. Quella mattina, non appena tutti si sarebbero incontrati, avrebbero fatto di nuovo un sopralluogo. L'idea, alla luce di quanto Alan e Pablo avevano raccontato, inquietava non poco le due ragazze. Non era decisamente allettante avventurarsi in un palazzo del genere, alla ricerca di qualcosa che ancora restava vago ed indefinito che, senza che lo volessero, li stava coinvolgendo. 
Alle dieci e mezza Alan aveva appena accompagnato suo nonno a casa dopo la funzione nella chiesa protestante ad un paio di isolati dal loro appartamento, e si apprestava a raggiungere quella cattolica da cui Marion e Pablo sarebbero usciti mezz'ora dopo. Natascia lo stava già aspettando ad un incrocio lì vicino. Il ragazzo aiutò il nonno a salire le scale per poi sparire. Si arrotolò le maniche della camicia celeste fino ai gomito e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni. Con le suole che parevano prender fuoco sull'asfalto rovente iniziò a camminare con passo sostenuto per raggiungere l'amica. 
Natascia aspettava Alan all'incrocio tra due strade non molto trafficate. I capelli biondissimi, tanto da sembrare bianchi, le arrivavano sino a metà schiena e iniziarono a volteggiare in seguito ad una folata di vento tiepido. Li scostò dal viso, leggermente allungato, rivolgendo gli occhi al sole, speranzosa di scorgere Alan. Gli occhi azzurri si ridussero ad una fessura. Mise una mano all'altezza della fronte per vedere meglio, ma dell'amico non vi era nemmeno l'ombra. Poi, mentre cercava nella borsa il cellulare per chiamarlo, una dito picchiettò sulla sua spalla. Quando si girò, nonostante avesse avanti a sé Alan, madido di sudore, fu quasi certa di vedere una nuvola nera con un sorriso malefico che si dissolse in pochi secondi. Trasalì.
<< Natty? Tutto bene? >> chiese.
Lei annuì col capo. << Sembri aver visto un fantasma. >>
<< Tranquillo, è tutto ok. >> rispose, balbettando un po'.
Mentre camminavano, Alan si fermò un attimo e la prese per un gomito.
<< Cos'hai? >> chiese.
Notò gli occhi chiari dell'amica arrossati, palesi sulla sua pelle bianca.
Natascia abbassò lo sguardo. << Nulla, è solo allergia, non preoccuparti, non è niente. >>
<< Natty... >> 
La ragazza si sedette sul marciapiede, inalando lo smog emesso dalle macchine. Si portò le mani sul volto e poi le passò sui capelli. Alan si mise accanto e le circondò le spalle con un braccio.
<< Allora? >> 
<< Mio padre non è in casa da più di dieci giorni. >> mormorò sussultando.
Si strinse di più ad Alan. << E poi mia madre, stamattina, >> singhiozzò << mi ha detto che tra un mese partirò. Andrò via di qui con lui. In Italia. >> 
Appoggiò il capo sul petto dell'amico. << Io non voglio, io non posso... >>
<< Tranquilla, >> disse con un groppo in gola e gli occhi lucidi << di qui non ti muoverai, te lo prometto. >>
<< Però ti prego, >> disse alzandosi << non dire niente né a Marion né a Pablo. >>
Sorrisero. << Promesso. >> 

La messa non era ancora terminata ma già piccoli gruppi di persone stavano uscendo dalla chiesa, riversandosi sulla scalinata in marmo verde. La facciata a salienti era piuttosto semplice. Dall'esterno, attraverso due piccoli portoni lignei rovinati dalle intemperie, erano visibili le tre navate piene di banchi. Sul più grande, vi era una lastra marmorea bianca con un'iscrizione rossa in latino. Equidistanti da entrambe le parti, in delle nicchie, due statue di angeli dipinti osservavano i fedeli che uscivano. Tra questi vi erano anche Pablo e Marion, che non videro immediatamente i loro amici sul sagrato perché la loro vista si stava abituando alla luce del sole dopo quella soffusa all'interno della chiesa. Si salutarono e decisero che faceva troppo caldo per andare a piedi sino a Straberries Road, perciò avrebbero preso la metropolitana che li avrebbe lasciati a pochi metri dalla loro destinazione.

Nonostante nel resto della città ci fosse il sole splendente, in quella strada periferica di Londra tutto era avvolto da una fitta e lattiginosa nebbia. Ancora una volta Pablo non riuscì a distinguere l'architettura del palazzo, cui spiccava soltanto il portone rosso.
<< Prendete queste. >> disse Natascia mettendo in mano ad ognuno una torcia.
<< Ma è pieno giorno, non ne avremo bisogno. >> commentò Marion.
<< Non si sa mai, Marion. Non si sa mai. >> rispose Alan, che accarezzò lievemente la guancia della ragazza con due dita, in mondo che gli altri non li vedessero.
<< Alan... >> mormorò, ma lui stava già raggiungendo Natascia.
Ancora una volta quell'ingresso non era molto luminoso e Pablo si accorse che la cupola del pozzo luce era ricoperta dal vetro, talmente sporco da essere trapassato solo da flebili raggi solari. Alla loro sinistra vi era un altro portone, più piccolo dell'altro, di legno rovinato. Sulla parte destra mancava il maniglione a forma di drago che invece stava al centro dell'altra parte. Alan e Natascia aprirono la porta sinistra ed entrarono. Davanti a loro c'era un lungo corridoio alla cui fine una finestra occupava l'intera parete. Furono costretti ad accendere le torce elettriche e Marion corse verso la finestra e sollevò i lembi delle tende di velluto verde  che coprivano i vetri. La luce invase l'ambiente e lei si girò soddisfatta verso gli altri. Videro che il pavimento era ricoperto da moquette marrone e le pareti da una carta da parati biancastra un tempo color crema. Lungo il corridoio si affacciavano diverse porte di legno di betulla saccheggiato e piene di polvere. Le maniglie erano di legno verde, abbastanza inusuale, ed Alan artigliò quella della stanza subito alla sua destra. Esitò, in attesa di ricevere la conferma degli altri, e poi, lentamente, la aprì. 

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Capitolo 9
*** Cimeli ***



Il cuore di ognuno martellava e sentivano il sangue pulsare nelle orecchie. Tutti e quattro avevano una voglia irrefrenabile di andare via, ma qualcosa li teneva inchiodati su quella moquette piena di polvere che pizzicava il naso. La finestra che dava sul balcone aveva le tende di cotone bianco scostate lasciando filtrare la luce. Tutti i mobili erano coperti da lenzuoli candidi che provvedettero subito subito togliere, come la verità che andavano pian piano riportando a galla. Al centro della stanza erano stati messi due divani blu, ormai sbiaditi, l'uno di fronte all'altro e, tra di loro, un piccolo tavolo rotondo in legno. Dietro, appoggiato al muro sinistro, c'era un mobile basso con delle ante decorate ad intaglio. Sul piano d'appoggio non vi era altro se non uno spesso strato di polvere che provocò una serie di starnuti a Marion. Pablo provò ad aprire le ante, ma erano chiuse a chiave.
<< Su, una forcina. >> ordinò con finta aria di superiorità.
Natascia alzò gli occhi al cielo. << Non abbiamo forcine, caro Holmes. >>
<< Non può essere, è sempre così! >> si lamentò.
<< Calmi, >> disse Marion per non far scoppiare una guerra << qualcosa troveremo. >> 
Nella sala nemmeno un quadro occupava le pareti, ad eccezione di una natura morta di gigli bianchi , un soggetto abbastanza insolito. Quando uscirono, Alan fu l'ultimo a varcare la soglia e, mentre chiudeva la porta, notò che un'anta del mobile era leggermente aperta. 
<< Ma l'anta non era chiusa a chiave? >> chiese.
Marion annuì e gli mise una mano sulla sua spalla poggiandovi il mento. 
<< Hai paura? >> sussurrò lui.
La ragazza cercò le sue pupille nell'iride nera come la la pece, senza riuscirci.
Si strinse nelle  spalle . << Hai una cosa bianca nell'occhio. >>
<< Sarà il riflesso della luce, ce l'hai anche tu. >>
<< Chi mette per primo la mano? >>  chiese Natascia tremante e con le unghie violacee.
<< Basterà aprire. >> 
Pablo prese col pollice e l'indice i fiori intagliati sulla superficie e aprì l'anta.
Il primo ripiano, a differenza di quello inferiore, era pieno di oggetti apparentemente futili ma che, probabilmente, avevano forte valore affettivo per chi li aveva posseduti. Un piccolo album di fotografie con la copertina di pelle spiccava tra tutti. Su quest'ultima erano incise delle scritte, al momento illeggibili. Natascia fece per aprirlo, ma Alan la fermò, glielo prese dalle mani e lo cacciò nella borsa dell'amica. Oltre all'album erano state conservate tazzine di ceramica, piatti e posate d'argento. Riuscirono ad aprire anche l'altra anta, ma c'erano solo altre pile di piatti. 
Uscirono da quello che un tempo era un salotto e aprirono un'altra porta su cui, però, vi era una targa ovale di metallo ossidato su cui si riuscivano a distinguere chiaramente due lettere, una A ed una P. Anche quella stanza era vuota, fatta eccezione per un letto matrimoniale di cui era rimasto solo il materasso e la struttura in metallo, due piccoli comò ai lati e, di fronte, un armadio privo di ante. Il comò di sinistra non conteneva nulla se non una piccola agenda fitta di indirizzi sbiaditi dal tempo. Marion aprì l'altro comò e ci trovò un piccolo quaderno ed una copia di Cime tempestose. Prese il quaderno e vi passò sopra la mano per togliere lo spesso strato di polvere. La copertina era rigida e bordeaux con degli arabeschi dorati. Lo mise nella borsa: lo avrebbe letto appena sarebbe tornata a casa.

Rimasero in quella casa fino alle tre del pomeriggio senza trovare niente di particolare.
Arrivata a casa, Marion si distese sul letto ed iniziò la sua lettura. La prima pagina parlava chiaro: Annotazioni di Pearle Marwson
Girò un paio di pagine bianche e lesse  la prima annotazione, come aveva scritto la proprietaria.

26 maggio 1946

Allora, mi chiamo Pearle Marwson e oggi compio sedici anni. Zeph è arrivato presto, con Olivia, Célestine e Fedora. Ognuno, nella propria lingua, mi ha detto una frase di auguri. Beh, Zeph non ha neanche aperto bocca, ma lui è così. Mia madre, invece, mi ha ricordato che dovrei iniziare a pensare al mio futuro di moglie e madre, ma io non voglio allevare bambini né servire e riverire un uomo. L'unico uomo che potrei amare è Shakespeare che ogni giorno, anche lui mi rammenta di affacciarmi al balcone e vedere se Romeo arriva. L'ho raccontato a Zeph ed è scoppiato a ridere. Nessuno riuscirà a portarmi all'altare!
Pearle



Bussarono alla porta della stanza.
<< Mari, tesoro, c'è Alan per te. >>
<< Sì mamma, fallo entrare. >>
Il ragazzo chiuse la porta e si buttò sul letto ad una piazza e mezza di Marion.
<< Che libro è? >> 
<< Annotazioni di Pearle Marwson. >>
<< Deve essere interessante. >>
<< L'ho trovato nel comò della casa stamattina. >>
Alan sbiancò di colpo. 
<< Lo possiamo leggere insieme. >> propose lei.
<< Ma ci vorrà tutta la notte! >> sbottò.
<< Vuoi andarci fino in fondo o no? >> lo riprese con un sorriso malizioso.

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Capitolo 10
*** Annotazioni ***




26 luglio 1953

Oggi Olivia si è sposata. Ventitré anni contro trentadue, quindi per me ancora c'è tempo. Harold, suo marito, non dimostra assolutamente la sua reale età, sono certa che ha gli stessi capelli nerissimi come il giorni in cui è venuto al mondo. Olivia era stupenda, la sua pelle bianca sembrava un tutt'uno con l'abito e aveva scelto di tenere i capelli neri e ondulati sciolti, coperti dal velo ricamato di sua madre. Célestine ha pianto talmente tanto da bagnare la giacca del suo fidanzato, Fedora ha suonato all'organo, invece io mi sono limitata ad osservare la cerimonia sottobraccio a Zeph. Lui guardava Olivia e poi spostava lo sguardo verso di me. 
"È bellissima, vero?" mi sussurrava ed un brivido mi percorreva la schiena, dalla testa ai piedi. Credo che volesse vedere chissà quale reazione, invece io credo di essere solo arrossita, come al solito. Tra i numerosi parenti di Olivia, ho notato un giovane. Lei stava chiacchierando con una zia sul sagrato della chiesa quando l'uomo, trafelato, l'ha raggiunta e l'ha stretta in un abbraccio. Così mi sono liberata in fretta del braccio di Zeph e sono andata da Olivia. Prima che le potessi parlare, mi ha presentato al giovane. 
"Pearle, tesoro, lui è mio cugino Aaron."
Lui ha sfoderato un sorriso dai denti bianchissimi e gli occhi verde acqua parevano brillare. Mi ha teso la mano e ci siamo presentati. 
Abbiamo parlato tutta la notte. Ho scoperto che si è laureato tre mesi fa e per il momento sta lavorando nello studio di un avvocato. Ha appena ventisei anni e si è sorpreso quando gli ho detto che Zeph non è mio marito né futuro sposo. E sono rimasta anche io senza parole quando mi ha rivelato che non vuole legarsi a nessuna. Ma, mentre parlavamo, Olivia, Harold, Célestine e Fedora  sembravano non appartenermi più. Fatta eccezione per Zeph che, come mi ha detto Aaron, è rimasto a guardarci dall'alto di una finestra. Purtroppo tutto ha una fine...




15 ottobre 1954

Nonostante sia metà ottobre, l'estate sembra non voler lasciare Londra. Stamattina ero con Célestine in macchina, col suo fidanzato che guidava verso il luogo in cui Zeph avrebbe discusso la sua tesi di laurea in Medicina, quando abbiamo visto qualcuno che attraversava di corsa la strada. Herman ha frenato di colpo e Célestine si è lasciata sfuggire delle imprecazioni in francese. Senza pensarci due volte ho aperto la portiera per vedere chi aveva rischiato di essere investito: era Aaron!! Non sono riuscita a contenere l'eccitazione e ci siamo salutati con un abbraccio. Dopo il matrimonio di Olivia non l'avevo più visto e rivederlo mi ha fatto uni strano effetto. Si è fatto crescere le basette e i capelli castani si sono schiariti. Invece gli occhi brillavano come quel giorno.
Herman ha suonato il clacson per dirmi di fare presto e ci siamo dati appuntamento al Green Hole Park per domani. Comunque, Zeph si è laureato a pieno voti!



Marion andò avanti, sfogliò altre pagine.


6 maggio 1957

Stasera Aaron mi ha chiesto di sposarlo ed io ho accettato! 
Ho capito che vivere il resto della proprio a vita da soli è deprimente, e non c'è cosa più bella che sentire farfalle danzanti nello stomaco ogni giorno della propria vita, vedere i frutti del proprio amore. T'immagini? Io ed Aaron, decrepiti, ed una baraonda di bambini e giovani intorno a noi.



25 luglio 1957

Questa notte dormirò a casa di Fedora che mi farà compagnia con le sue melodie...Domani è finalmente il grande giorno! L'avevamo promesso, ci saremmo sposati tutti il 26 luglio. Mancano solo Fedora, Zeph e Célestine, per la quale non credo manchi ancora molto. Sono certa che Fedora tornerà in Russia e farà innamorare tutti della sua musica. Dopo cena Zeph è venuto a trovarmi e mi ha regalato una scatola di cuoio, c'erano centinaia di piccole perle di fiume dalle forme irregolari e con riflessi stupendi.
"Possono essere mangiate" mi ha detto. È una cosa stranissima! 
Poi Zeph mi ha preso le mani e mi ha detto che mi amava, che mi ha sempre amata. In quel momento ho capito l'atteggiamento che aveva avuto con Aaron, sin dalla sera del matrimonio di Olivia. Io gli ho spiegato che non ricambiavo i suoi sentimenti e se n'è  andato dicendo "Lo capisco, va bene". Per me Zeph è sempre stato come un fratello, non potrei amare lui come Aaron...


26 luglio 1957

Nel momento in cui il sacerdote ha pronunciato i nostri nomi mi sono sentita completa. Non so come spiegare questa sensazione...La prima cosa che sua madre mi ha chiesto è stato il nome che avrei dato ai miei figli. Rose, le ho risposto, o Luke. La casa a Straberries Road è graziosa, anche se l'avrei voluta più luminosa, ma non importa. Aaron mi ha reso la vita sfavillante.


3 marzo 1958

Come avevamo immaginato, Fedora partirà per Mosca il prossimo autunno, Olivia ed Harold a Centelles, Célestine ed Herman a Poitiers, Zeph dovrà fare delle ricerche nei pressi di Aberdeen...ed io e Aaron rimarremo qui a Londra, avvolti dalla sua nebbia. Ognuno tornerà nella sua terra natia, dopo aver passato insieme quasi vent'anni. Ci scriveremo, ma le nostre strade si sono divise, ormai. Darò a tutte loro un paio di perle di Zeph.


18 agosto 1962

Abbiamo appena scoperto che un piccolo Luke ed una piccola Rose nasceranno tra aprile e maggio. Sarà dura, ma diventare nonna è sempre stato il più grande sogno di mia madre.
Sono due gemelli!



Alan sbiancò.
<< Cos'è successo? >>
<< Mia madre si chiama Rose...ma non ha un fratello gemello.. ed è nata il 29 aprile 1963. >>
<< Suvvia, saranno solo coincidenze... >> 
<< Marion... Io non ho mai visto i miei nonni. >>
<< Nemmeno io. >>


29 aprile 1963

Luke e Rose sono nati alle 11 di questa mattina. Aaron era felice, quasi quanto me. Perché ora comprendo che una madre potrà amare solo i suoi figli più del proprio marito.



31 ottobre 1966

Ho ricevuto una visita. Aaron era via con Rose e Luke quando un uomo vestito di scuro ha suonato al campanello. Si è presentato sotto il nome di Zeph Laycton. Era Zeph, il mio amico Zeph. 
Mi ha detto che mi ama ancora, mi ha offerto di andare via con lui. Era totalmente fuori di sé... E mi ha dato il suo indirizzo di Aberdenn se mai avessi cambiato idea. Aaron non lo saprà mai.


23 gennaio 1967

Ho detto tutto ad Aaron e abbiamo deciso di fuggire. Lui andrà a Dublino con Luke ed io resterò qui con Rose. Cambieremo residenza
.


Quella era l'ultima pagina del diario di Pearle Marwson. C'erano diversi fogli. Uno era la partecipazione al suo matrimonio. Pearle Marwson e Aaron Hiller e, sotto, un fiore: una viola del pensiero. Poi c'era una foto in bianco e nero. Una coppia di sposi, quattro ragazzi. Dietro, una scritta:
26.07.53
Da destra a sinistra: Zeph, Pearle, Olivia, Harold, Célestine e Fedora.


Tutti sorridevano. Zeph aveva una mano in tasca e teneva il braccio a Pearle, una ragazza dai capelli mossi accanto a cui c'era Olivia, la sposa, in un attillato vestito bianco. Alla sua destra, Harold e Célestine e Fedora, con gli stessi occhi di Natascia.

<< Marion? >> 
Erano le undici passate e lei si era addormentata con la partecipazione del matrimonio in mano.
<< Chissà se ci ameremo come Pearle e Aaron. >> sussurrò mentre raccoglieva le sue cose e andava via. Si fermò a metà tra il letto e la porta e tornò indietro. Sfiorò delicatamente, impercettibilmente le labbra con le sue e si apprestò ad uscire.
<< Dicevi? >> 
Marion si era alzata, con tutta la maglietta sgualcita e gli occhi assonnati.
<< Mi stavo chiedendo se saremo mai come...loro. >> indicò il diario.
Lei fece qualche passo verso di lui è gli gettò le braccia al collo.
<< Perché? Hai dei dubbi? >> chiese sorridente.
I suoi occhi brillavano come quelli che Pearle aveva descritto.

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Capitolo 11
*** Azzardo ***





<< Tra Tancloy e Laycton non c'è differenza! L'uomo del diario è Zeph Laycton e quello del Tamigi Phez Tancloy. Ho cercato altri articoli, ma nessuno sa di chi si tratta. I loro nomi sono l'uno l'anagramma dell'altro, e chi ha voluto catturare la nostra attenzione ha firmato il biglietto Zeph Tancloy per confonderci; e se >> riprese fiato << l'amico di Pearle Marwson aveva anche lui sedici anni nel 1946, beh...tutto quadra, i due avrebbero la stessa età. >>
Pablo sperava di essere ad un passo dalla verità. Non aveva dormito, quella notte, per cercare di fare ordine, ma mancava ancora qualche tassello.
<< La viola del pensiero...Il drago, il simbolo del casato di Zeph Laycton! Se siamo finiti in questo giro è perché c'entriamo, forse indirettamente. >> 
<< Non dimentichiamo le perle di fiume che oggi ci siamo ritrovati sotto il cuscino. >> ricordò Natascia.
<< E la nazionalità degli amici di Pearle... >> continuò Alan.
Ad un tratto, il lampadario di ceramica bianca sopra le loro teste cominciò ad oscillare come un pendolo. Sulla superficie della spremuta d'arancia nei loro bicchieri comparvero dei cerchi concentrici, e la casa di Pablo venne invasa da un odore di zolfo. 
Nella stanza si materializzò una nuvola nera e densa che prese lentamente la forma di un uomo. La solita figura vestita di nero col cilindro e, solo in quel momento, notarono il bastone con un drago di granito rosso. 
<< Bene bene... >> ghignò, procedendo verso Alan.
Con un rapido movimento del braccio li scaraventò tutti e quattro contro una parete. Natascia, nello schianto, svenne. L'uomo cominciò a frugare nei mobili con le mani coperte dai guanti neri e lucidi che lavoravano svelate, come formiche, buttando tutto in aria. Nel giro di pochi minuti la stanza era completamente sottosopra. Marion cercava di rianimare Natascia, senza smettere di piagnucolare più a causa della paura che per la sorte dell'amica. 
Alan si alzò e gli lanciò un bicchiere mentre lui era girato ad aprire delle scatole. Si voltò e lo inchiodò di nuovo con gli occhi scarlatti, ardenti di rabbia e di vendetta.
<< Sappiamo chi sei. >> sibilò il ragazzo, mentre rivoli di sudore gli imperlavano la fronte e le mani strette in un pugno, con le nocche bianche.
<< Zeph Laycton. >>
Lasciò il libro che aveva in mano e lo fece cadere a terra.
<< Cosa volevi da Pearle? Cosa ti aveva fatto Aaron? >> aggiunse Pablo, ora in piedi accanto all'amico.
<< Io l'amavo >> disse, riducendo ad un mucchio di cenere un altro libro << ma lei amava quell'avvocato. Io l'ho sempre amata, avrei potuto darle tutto ciò che voleva. Stavo conducendo degli esperimenti per allungare la vita, avremmo vissuto insieme per sempre...Invece l'ho persa, non so che fine abbia fatto. >> 
Rimasero tutti colpiti. Quell'uomo provava sentimenti, aveva ancora qualcosa di umano. Sul suo volto invisibile comparvero delle lacrime. 
<< Tu non sei vivo, Zeph. >> disse Marion dall'altra parte della stanza << Sei un demone. Uno spirito. >> 
<< Célestine... >> mormorò la figura prima di svanire di nuovo, dissolvendosi.
Tutti si guardarono esterrefatti. Quando Zeph appariva tutto accadeva in così poco tempo che nessuno riusciva a trovare il confine tra sogno e realtà.
<< Devo cercare una cosa. Accompagnami dalla Muffers. >> 
Marion strattonò Pablo per un braccio ed uscirono, mentre Natascia si riprendeva lentamente.

Era tardo pomeriggio, la biblioteca era appena aperta. 
La signora Muffers stava sistemando delle viole su una mensola nel momento in cui i due entrarono facendo tintinnare la campanella sopra la porta. Rimasero atteriti.
<< Signora, >> chiese Pablo << avrei un favore da chiederle. >>
<< Oh, ciao Paul, dimmi tutto. >> 
Sospirò. << Lei è Marion, una mia amica. >>
La salutò con un cenno del capo. 
<< Ed ha un...problema di cuore. >>
<< Sedetevi. Porto qualcosa da mangiare. >>
Quando la signora scomparve nel retro, si accomodarono su delle sedie vicino ad una scrivania.
<< Dici che funzionerà? Faremo un buco nell'acqua, francesina. >> 
<< Ssst! >> lo azzittì.
La ragazza si guardò intorno, ma era tutto buio e riusciva a malapena a distinguere il volto di Pablo. Davanti a lei, oltre il vetro della finestra, la strada era un insieme indistinguibile di punti, a causa della pioggia che non dava tregua alla città.
La donna arrivò, con delle tazze bianche e dei girasoli ad acquerello dipinti sopra. La crostata di fragole sembrava appena sfornata ed emanava un aroma eccessivamente dolce per i suoi gusti.
<< Allora tesoro, che succede? >> chiese sedendosi accanto a loro.
La guardava con occhi sereni, ansiosa di sapere, pronta ad aiutare. Le dispiaceva mentirle, ma i suoi occhi non la ingannavano. E poi notò un particolare: una collana di perle di fiume le adornava il collo. Marion prese la tazza con la camomilla e la strinse con entrambe le mani.
<< Vede signora, ho un amico...Che qualche mese fa mi ha detto di provare dei sentimenti per me, poi si è trasferito. Prima di fare ciò mi ha regalato questa. >> e le mostrò la perla che aveva trovato sotto il cuscino. La donna si mise le mani sul grembo, ascoltandola con maggiore interesse. 
<< Vede, ho conosciuto un ragazzo davvero magnifico e stiamo insieme da due mesi...Ma questo mio amico è tornato e sembra come...impazzito. >> 
La ragazza marcò l'ultima parola e vide la signora portarsi una mano alle labbra, per poi spalancare gli occhi verdi alla vista della viola che spuntava dal taccuino che si era portata appresso.
<< Abbi pazienza, tesoro, vedrai che... >>
<< Ah, e poi- scusi l'interruzione- ma mia cugina si sposerà tra qualche mese e mi ha chiesto un consiglio dell'abito, ma non ho la più pallida idea di come possa essere. Intanto, ho trovato questa foto è questo abito sembra fatto apposta per lei. Che gliene pare? >> e le porse la foto del matrimonio di Olivia. La donna afferrò la foto ed inforcò scioccata gli occhiali. La girò e lesse i nomi.
<< Signora, infine, mi dica...Rose e Luke sono bei nomi? Perché sa, nel caso mia cugina abbia dei figli li vorrebbe chiamare così. >> 
Le parole le erano uscite di bocca e avevano travolto la donna come un fiume straripante. La ragazza non si riconosceva più, non era mai stata tanto audace.
Gli occhi di Marion si erano ridotti a due fessure. Pablo faceva finta di non ascoltare sfogliando il quotidiano. 
<< Ah, siete qui. >> 
Dalla porta entrò Alan e Natascia sbucò alle sue spalle. Marion si sfiorò il naso cosparso di lentiggini con l'indice, segno che era arrivato al momento giusto.
<< Venendo ho incontrato Rose, tua madre, che ti cercava. >> disse Pablo con nonchalance.
Intanto, la signora Muffers piangeva in silenzio, con la foto stretta al petto e le lenti degli occhiali appannati.
<< Grace Muffers, perdoni la mia mancanza di tatto, ma lo sappiamo. >> disse Natascia.
Marion le si avvicinò e lei alzò lo sguardo.
<< I suoi occhi non mi hanno tardita, Pearle. >>

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