Take my Revolution

di Rota
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** *Prologo* ***
Capitolo 2: *** *Primo capitolo* Heroically, with bravery I'll go on with my life ***
Capitolo 3: *** *Secondo capitolo* But if the two of us should get split up By whatever means, let go of me ***
Capitolo 4: *** *Terzo capitolo* In the sunny garden, we held each other's hands. Drew close together and soothed each other with the words Neither of us will ever fall in love again. ***
Capitolo 5: *** *Quarto capitolo* Into this photograph of us, smiling cheek to cheek I took a bit of loneliness And crammed it inside. ***
Capitolo 6: *** *Quinto capitolo* Even in my dreams, even through my tears Even though I'm being hurt Reality is approaching now, frantically ***
Capitolo 7: *** *Sesto capitolo* What I want now is to find out Just where I belong and my self-worth Up through today ***
Capitolo 8: *** *Settimo capitolo* Heroically, I'll throw away My clothes, 'til I'm nude ***
Capitolo 9: *** *Ottavo capitolo* Like the roses dancing all around me Whirling free ***
Capitolo 10: *** *Nono capitolo* But if the two of us should get split up By whatever means ***
Capitolo 11: *** *Decimo capitolo* I swear to you I will change the world ***
Capitolo 12: *** *Epilogo* ***



Capitolo 1
*** *Prologo* ***


*Autore: Rota/margherota
*Titolo: Take my Revolution
*Fandom: Kuroko no Basket
*Personaggi: Kuroko Tetsuya, Kagami Taiga, Un po' tutti
*Pair: (INNUMEREVOLI) Principalmente KagaKuro; KasaKise, MidoTaka, WakaAoSaku, MuraMuro, AkaMibu, OgiKuro
*Generi: Romantico, Introspettivo, Angst
*Avvertimenti: Shonen ai, Fandom!AU (La rivoluzione di Utena), What if...?, OOC
*Rating: Arancione
*Numero parole: 22500
*Settimana/Prompt Cow-T: Sesta settimana/ Fandom!Au
*Dedica: Alla Mughetto, perché le è piaciuta tanto la prima che ho scritto (L) A Himiko, perché magari qualcosa di più completo che una OS le può fare piacere (L)
*Note: Avevo detto che sarei tornata a scrivere in questa AU, ed ebbene eccomi qua.
Questa sarà un attimino più lunga, dal momento che è una long *coffete
Seguirà più o meno fedelmente la trama del manga di Revolutionary Girl Utena, quindi se non conoscete la serie neanche un pochino temo che vi sarà difficile capirci qualcosa Al solito, tutte le lyrics appartengono alla opening “Rimbu Revolution", opportunamente prese dalla traduzione in inglese.
C'è angoscia, disperazione, cose varie che di solito mi diverto un mondo a scrivere con la scusa di prendere spunto da manga dalle trame brutte. Quindi, insomma, siete avvisati BD
Buona lettura (L)


 

*Take my Revolution*

 

 

 

 

*Prologo*

 

 


Il Sole forte e allegro di quella primavera piena accarezza con delicatezza appena esuberante tutta la bellezza che l'istituto Seirin può donare anche al visitatore più disattento, nei muri bianchissimi dei suoi edifici e sulle mattonelle lisce dai colori caldi e rassicuranti.
Il mare scintillante di luce, ai piedi della dolce collina su cui tutta la struttura si staglia isolata da ogni interferenza del creato, si allunga distendendosi tanto da finire oltre l'orizzonte, creando una distesa infinita di indefinito che rende, all'animo, qualsiasi distanza ancora più invalicabile – ed è rassicurazione e timore assieme, sferzata di salsedine in mezzo al profumo dei fiori della serra delle rose.
Alberi e diverse gradazioni di verde, in forme e personalità variopinte, circondano quel pezzo di mondo a sé stante come una cornice elegante alle lunghe passeggiate di studenti e professori, accompagnando qualsiasi tipo di passo tra aiuole in matura fioritura e siepi dense.
Un viale solo porta alla strada di cemento, oltre un cancello dorato con due ante arcuate; oltre quello, percorrendo quel serpente di lampioni neri, c'è il mondo ignorato dall'adolescenza trasbordante.
Taiga Kagami è tornato da poco in terra di Giappone, portandosi dietro un bagaglio che non è solo fisico e non è neanche solo emotivo, ma un miscuglio di esperienze che pesano sulla sua espressione come sulle sue spalle. Non viene toccato da molto di tutto quello, e il suo passo rimane incurante su ogni mattone color terra rossa che le suole delle sue scarpe calpestano, nell'eccitazione generale ancora ben presente nei ragazzi del primo anno come lui, le prime settimane di scuola.
Qualcuno già gli ha additato la capigliatura poco giapponese, poco seria, con quella parrucca dal colore focoso e tutta disordinata. Il modo di muoversi libertino, forse conseguenza di una stazza non propriamente esile, non lo ha aiutato a passare inosservato, così come la giacca nera aperta e l'espressione quasi rabbiosa.
Tutto questo racchiuso in un sospiro trattenuto a stento e uno sguardo serio che manda, troppe volte, al cielo assolutamente sgombro di nuvole.
Negli sport è bravo, nello studio riesce a non arrancare. E c'è solo una cosa, davvero soltanto una cosa che lo lega a quel luogo, assieme all'assoluta fiducia nelle proprie capacità di riuscita: il desiderio di trovare il principe che lo salvò, un giorno di tanto tempo fa, nel momento più acuto del suo dolore.
Sente il vento che lo spinge in avanti, come se fosse un sasso poco pesante. Si lascia condurre, senza troppi pensieri, per un corridoio che non attraversa spesso ma che collega due ali dell'edificio che lui frequenta tutti i giorni. Dalla palestra, deve tornare all'uscita – anche quel giorno è finito, e lui desidera tornare soltanto ai dormitori.
Qualcosa nella brezza che lo avvolge lo ferma, il suo olfatto stuzzicato; chiude gli occhi per qualche secondo, giusto perché qualcosa attorno a lui cambi senza che possa reagire di conseguenza.
Vede, come se fosse un'apparizione, la serra delle rose, e al suo interno qualcuno che alza il capo nella sua direzione.
Kuroko Tetsuya ricambia il suo sguardo per la prima volta.

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Capitolo 2
*** *Primo capitolo* Heroically, with bravery I'll go on with my life ***


*Primo capitolo*

Heroically, with bravery
I'll go on with my life

 

 

 

La borsa pesante, piena di libri di scuola, gli scivola dalla spalla lungo il braccio, finché le dita della mano non ne afferrano la maniglia e non la indirizzano contro il muro, in modo che si appoggi e non scivoli a terra senza forma e senza vita. Lui, privo di ogni grave, può appoggiarsi con gli avambracci e tutto il proprio peso al davanzale della finestra, per affacciarsi a quel piccolo cortiletto interno dove la luce del giorno filtra come se fosse in un sogno.
Gli è capitato di tornarci alcune volte, in quei giorni, come se la sua mente si ritrovasse non troppo per caso a ripercorrere determinati percorsi fino a trovare ciò che cerca con insistenza soltanto nel profumo dei fiori di quella serra. Lo ha infastidito, anche se non abbastanza per ammetterlo.
Anche in quel momento intravedere quel ragazzo dalla capigliatura scura chino sopra i fiori, con l'innaffiatoio tra le mani e un'espressione indefinita per colpa della distanza.
Accanto a sé, si ritrova vicino una presenza amica, che non gli crea nessun disagio e nessun disturbo. Himuro gli sorride quando viene guardato in viso, con l'espressione rassicurante di sempre.
-Tatsuya, sai chi è quello?
Fa cenno con la testa verso il cortile, e anche l'altro ragazzo si sporge per vedere a cosa si riferisce.
-Taiga, sei interessato a Kuroko- kun?
Si ritrae e non incrocia neanche le braccia al petto, abbastanza disinteressato – gioca, piuttosto con i ciuffi scuri della propria frangia troppo lunga, scoprendo di poco le lunghe ciglia dell'occhio nascosto.
-È solo un ragazzo strano, si prende cura dell'aiuola delle rose.
Si appoggia con il sedere al davanzale della finestra, dando così la schiena all'esterno. Però gli sorride, e gli racconta altro.
Lui si trova in quella scuola da un anno più di lui, e sembra conoscere discretamente diverse cose che caratterizzano quel luogo, o quanto meno ciò con cui il corpo amante del chiacchiericcio degli studenti ama intrattenersi nelle pause dello studio.
-Rimane sempre sulle sue, non l'ho mai visto approcciarsi a qualcuno.
-Non c'è nessuno assieme a lui, a badare ai fiori?
-No, rimane sempre solo.
Taiga torna a guardare la serra di vetro, con lo sguardo un po' buio. Ancora prima che l'altro continui a parlare, nota qualcosa di diverso nella scena sempre uguale.
-Te l'ho detto che è un ragazzo strano.
Mentre un ragazzo alto, dai capelli biondi, si avvicina alla struttura della serra, Kuroko smette di annaffiare i fiori e esce dalla piccola porta, per andargli quasi incontro. Non mostra, almeno all'apparenza, alcun turbamento emotivo, né una qualche reazione diversa.
Impassibile di fronte a quello.
-E quello?
-Quel ragazzo è Kise Ryouta, del club di basket. Fa parte del concilio studentesco, alle dirette dipendenze del presidente Akashi Seijuuro.
-Akashi?
-Sì, il ragazzo con più influenza della scuola.
Lo guarda senza comprendere, e Himuro lo canzona come sa di essere il solo a potere.
-Davvero non lo sai, Taiga? Anche tu sei ben strano.
Kagami lo ignora, un po' permaloso. Piuttosto, è interessato a qualcosa di diverso, e il profumo dei fiori riesce a raggiungerlo anche a quella distanza.
-Quei due hanno una relazione di qualche tipo?
-Non credo. Kise non è il tipo da frequentare uno come Kuroko Tetsuya, anche se gli gironzola sempre attorno.
-Lo dici come se lo conoscessi parecchio.
Non c'è cattiveria in Himuro, e Kagami lo sa bene. Però, trova appena fastidioso il fatto che l'altro si prodighi, diverse volte, al pettegolezzo facile, come se non ne possa fare a meno.
Sapendo di questa disapprovazione implicita, Tatsuya gioca con lui.
-Sei per caso geloso? Non ti preoccupare, tu rimani sempre il mio fratellino.
Taiga lo guarda male, un poco rosso sulle gote, e decide che è ora di muoversi da lì.

 

Le dita di Kagami si arrotolano e si muovono attorno all'anello non spesso, giocando con la catena che lo intrappola attorno al suo collo nel tirarlo e rilasciarlo a intervalli irregolari. È un gesto che compie sovrappensiero, quando i pensieri sono troppi o troppo pochi all'interno del suo cranio e il suo corpo deve esprimere il proprio disappunto in qualche modo – anche semplice, anche immediato, anche meccanico.
Quella lezione sfianca la sua poca pazienza e lo porta, con la coscienza, ben distante da quell'aula di matematica. La sedia dura che si trova sotto la sedia non gli fa assumere una posizione comoda, e il fastidio che gli pungola l'attenzione non è per niente piacevole. Trova facilmente l'irritazione in sé, per niente felice.
Dietro di lui, sa esserci il banco di Kuroko Tetsuya. Non se n'era accorto subito, e aveva dovuto aspettare un passo falso di lui per percepire la sua presenza: uno starnuto improvviso, non trattenuto, che lo ha fatto sobbalzare come il sospiro di un fantasma.
Eppure, la sua presenza non gli è così sgradita come ha potuto sospettare, soltanto all'inizio, e più passano i giorni più si convince che in realtà quel ragazzo tanto strano non è. Forse soltanto un po' asociale e un po' distaccato, con addosso un'insolita assenza di profumo, ma niente di speciale.
Assolutamente niente di niente.
Così, anche il fatto che i suoi passi ricapitino altre volte lungo il corridoio che costeggia la serra delle rose, non è più un motivo di fastidio, e anzi una scorciatoia più che utile per non dover costeggiare tutta l'ala est della struttura scolastica.
La campanella suona e lui ha la possibilità di alzarsi da quel banco maledetto.
Himuro, di un anno più grande, è in una classe diversa, e frequenta come hobby altri club e altre attività che a lui non competono quasi per nulla.
Lascia quindi che la folla sciami attorno a sé, senza prestarci molta attenzione e senza lasciarsi troppo coinvolgere dal rumore dei passi altrui. Qualcuno lo guarda e lo chiama, ricordandogli una proposta vecchia di unirsi a qualche club sportivo, qualche cosa che possa attrarre la sua popolarità latente e il suo talento verso determinati punti e gruppi.
Guarda male e si prodiga in versi quasi animaleschi, per scansare ogni distrazione noiosa, nell'identificare quel ronzare come degno di insetti unicamente da sfondo, lontani dall'importanza degna di attenzione alcuna.
Cammina, e vede Kuroko lontano, in compagnia di uno squittente e troppo esagitato Kise Ryouta – sguardo inespressivo, posizione umile.
Cammina ancora, e trova Himuro ad attenderlo, in un angolo appartato dove può essere non visto – raccoglie il suo passo e si lascia accompagnare da un'altra parte, lontano da quel brusio insopportabile.

 

Non è una questione pubblica ciò che fa scattare la rabbia e l'indignazione dentro Kagami, ma qualcosa di assolutamente molto privato – la differenza tra la cultura che sente sua e la cultura che lo circonda risiede anche nella capacità di dare un diverso peso alle due cose, così che la personalità si palesi nella scelta specifica tra le due.
Non c'è folla che lo schernisca direttamente e con precisione, non c'è gente che usi le proprie parole come arma affilata, non c'è neanche pubblico nel momento in cui qualcosa viene montato nel suo stomaco e si trasforma in bile pura, invadendo ogni anfratto dello stomaco e rendendolo poco ragionevole.

 

C'è solo il rumore di passi affrettati e di una palla che rimbalza quando lui entra nella palestra vuota, spalancando le ante dell'ingresso con un gesto. Il branco di ragazzette che asseconda quella certa fama belloccia non è presenta, ma anche se lo fosse non cambierebbe molto o qualcosa.
C'è solo Kuroko Tetsuya sugli spalti, con in mano un libro e troppo silenzio sulle labbra, che non fa neanche presenza.
Procede con passi pesanti sul parquet, dritto verso la meta. L'altro ragazzo, infatti, dopo una schiacciata sonora e un dondolio appeso al canestro come se fosse corda senza vita, non può far altro che rivolgergli almeno un briciolo di attenzione: la palla è rimbalzata nella sua direzione, e per necessità di cose lo sguardo capita proprio lì.
Sull'espressione incattivita di Taiga.
-Tu sei Kise, giusto?
È piuttosto sprezzante quando lo chiede, carico di irritazione per un motivo che Ryouta neanche vuole comprendere. Atterra al suolo e si avvicina a lui con un sorriso posato, senza pensare a qualcosa.
Magari, è appena infastidito dalla sua presenza nel momento che lui avrebbe preferito continuare in intimità, anche se non palesa altro che una maschera di cortesia infantile.
-E tu chi saresti?
-Sono Kagami, un amico di Himuro.
-Oh. E cosa desideri? Non faccio autografi ai ragazzi, quindi se sei qui per quello mi dispiace, ma devo rifiutare.
Kagami sente i propri sentimenti rimbalzargli addosso di forza, come qualcosa che l'altro reputa inutile e talmente poco rilevante da poter essere bellamente preso in giro, e questo ingigantisce le sue emozioni negative di molto.
Concilio studentesco o meno, quel ragazzo ha fatto davvero una delle poche cose che avrebbe dovuto evitare in qualsiasi caso. Un conto era l'orgoglio, un altro era la boria, e quell'assoluto disprezzo con cui ha trattato Tatsuya nella partita occasionale che hanno avuto, davanti ai suoi occhi, lo ha mandato davvero in bestia.
Parole, sguardi, gesti. Tutto ciò solo per una sconfitta.
Quasi gli urla addosso, lasciandolo a dir poco incredulo nell'istante in cui lo ferma.
-Io ti sfido!
-Mi sfidi?
-A un one-on-one!
-Oh, e perché?
-Ti sfido e basta! Qui e ora!
C'è qualcosa che cambia, nello sguardo di lui – brilla come una luce gialla, nelle iridi scure del suo occhio, e una strana aura si palesa sotto forma di brezza fredda che tocca tutta la persona di Kagami.
-Sai con chi stai parlando?
Ma anche Kise si accorge che c'è qualcosa negli occhi di Taiga, e prima che quello continui a sputargli addosso tutta la propria ira, sghignazza e abbassa lo sguardo, vinto dalla sua determinazione.
Akashi gli ha detto di stare attento, d'altronde, che il Confine del mondo ha preannunciato l'arrivo di un nuovo sfidante e pretendente allo Sposo della Rosa. La Zone nei suoi occhi è soltanto la conferma di quello che sospetta.
Ha trovato, quindi, il motivo giusto per cui rispondere alla proposta.
-Va bene, accetto la sfida.
Recupera il pallone, togliendogli finalmente gli occhi di dosso. Un po' Kagami non capisce, e mentre l'altro si muove ancora non si esplica in nessuna reazione.
Poi la palla rimbalza nuovamente, ed è come se i suoi sensi tornassero attivi.
-Ci incontriamo al campo dietro la scuola, verso mezzanotte.
Lo guarda torvo, stringendo i pugni contro i propri fianchi.
-Ci sarò!
Kuroko alza lo sguardo da terra, e lo guarda nell'ombra.

 

Kagami resta qualche istante sorpreso di ritrovarsi di fronte, più o meno all'improvviso, un cancello di pietra inciso di motivi floreali.
Ha seguito le aiuole che portano dal retro dell'edificio scolastico a una zona isolata, oltre i giardini dove di solito la fauna studentesca si disperde nei momenti tranquilli e nelle giornate assolate, incontrando non poche siepi di confinamento tra una zona e l'altra, oltre i vari campi sportivi dei diversi club attivi. Dopo un laghetto, nascosta tra alberi alti e corposi cespugli di rose, si trova questa barriera chiara quasi di marmo, dall'apertura a maniglia – come l'entrata di un castello segreto in stile occidentale, di vecchio stampo.
Trema di freddo quando appoggia le dita sulla superficie liscia, e quindi entra senza ulteriori indugi.
Una scala dai gradoni alti si alza dopo un sentiero di acciottolato candido, in una spirale che sembra protrarsi fino al cielo e ben oltre le nuvole gonfie, colorate della notte.
Sulla cima, in un'arena aperta che rasenta le caratteristiche di un campo da basket, Kise lo attende già con una divisa strana addosso, blu dalle scritte nere, un'espressione strafottente sulle labbra.
-Ti stavo aspettando.
Si avvicina con passo svelto, per lasciarsi alle spalle ogni tipo di nebbia, fisica o mentale che sia.
Si accorge solo dopo essere entrato nel cono di luce che apre tutta la scena di un particolare che non ha notato prima e che lo fa sobbalzare sul posto, preso da una sorpresa notevole – la sua voce pure è sgradevole, e l'irritazione ulteriore.
-Cosa ci fa lui, qui?
-Fa parte del tutto, come di regola.
-Regola?
Lo guarda male, senza capire. Kise non lo aiuta con quell'espressione di commiserazione su tutto il suo viso, come se stesse trattenendo delle risate notevoli e un'ilarità troppo forte.
La presenza di Kuroko Tetsuya vestito a quel modo strano, paradossalmente, pare l'unica in grado di calmarlo appena un poco.
Ha un profumo gradevole non di essere umano, di rose appena sbocciate, con i bordi coronati di rugiada fresca.
-Stai tranquillo, Kagami- kun. Non interferirò con la sfida.
Gli passa la maglia di una divisa, bianchissima dai bordi scuri, con sopra un numero e il suo nome.
Mentre la indossa, capita che i suoi occhi arrivino in alto, verso il cielo.
Quello che gli appare, diluito nell'atmosfera come un sogno o un'illusione, è un grande castello blu, dalle torri altissime e dalle decorazioni d'oro.
Sbalordito, spalanca gli occhi.
-E quello cosa è?
-Il castello di Dios, non lo sai?
Kise ora ride apertamente di lui, rimarcando la propria naturale e superficiale attitudine alla derisione facile. Il fatto che lo faccia con leggerezza, quasi senza malizia e consapevolezza, è un'altra delle cose che più lo irritano, proprio di primo impatto.
-Sei qui per quale motivo, esattamente?
Non si spreca neanche a rispondere e si fa avanti, posizionandosi di fronte a lui, al centro del campo.
-Forza, cominciamo.

 

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Capitolo 3
*** *Secondo capitolo* But if the two of us should get split up By whatever means, let go of me ***


*Secondo capitolo*

But if the two of us should get split up
By whatever means, let go of me

 

 

 

Le palpebre del ragazzo si schiudono pian piano, sotto la carezza leggera dei raggi di luce che filtrano dalle persiane abbassate in malo modo sulla finestra. Tetsuya ritrova la sensibilità della nuca contro il cuscino morbido, delle gambe sotto le coperte calde, delle mani che stringono mollemente il lenzuolo liscio. Il corpo, abbandonato per diverse ore al sonno, ritrova il poco vigore che è solito usare, muovendosi piano e allungando nell'aria il suono di un fruscio basso, discreto.
Il suo sguardo si perde sul soffitto, per qualche istante, a guardare i movimenti liberi di una particella di polvere, che danza tra il buio e la luce, a seconda di quanto forte lui respira.
Viene convinto ad alzarsi da un profumo che gli arriva da lontano, e dal rumore di stoviglie mosse.
Ritrova, ordinate, le pantofole ai piedi della scala di metallo del letto a castello e i vestiti per la scuola sullo schienale della sua sedia, piegati e riposti come non ricorda di averlo fatto da sé.
Si veste lento, anche quando la fragranza del cibo gli arriva più chiara e distinta – come l'imprecazione di Kagami per un coltello che gli è scivolato di mano e lo schizzo di olio che gli ha toccato il polso.
Esce dalla stanza da letto dopo aver aperto la finestra, almeno di un poco, venendo subito accolto dal suo cucciolo tutto festante e ben contento di vederlo. Si abbassa verso terra per dargli una carezza sulla testa, quindi guardandolo mentre scappa via verso la propria ciotola.
E quando arriva in prossimità della cucina di quella piccola abitazione condivisa solo da loro due, Taiga nota subito i suoi capelli arruffati e la sua maglietta messa male, l'aria assonnata racchiusa nelle sue occhiaie e lo sbadiglio trattenuto dalle labbra sottili, rosee. Il ragazzo più alto sbuffa, rivolgendosi a lui brandendo una pentola su cui continua a far saltare delle uova perfettamente dorate.
-Siediti, che è pronto.
Il tono è scorbutico, anche a tratti spiccio, ma Kuroko pare ricevere più la cura di una tavola apparecchiata per due e i posto messi vicini, l'uno accanto all'altro. Anche la presenza di tè verde, quello che lui abitualmente beve, e i due sacchetti del pranzo già impacchettati in un angolo del banco dei fornelli, non troppo distante da entrambi loro.
-Buongiorno anche a te.
La sua espressione non muta di niente, prende posto e aspetta la sua colazione: riso, pesce e una zuppetta che Taiga ha preparato personalmente – le uova, come le salsicce e il pane imburrato, sono solo per Kagami, che ha uno stomaco capace di digerire quell'ammontare di grasso spropositato, con colesterolo e zuccheri aggiunti. Se dovesse provare a mangiare altrettanto, con ogni probabilità morirebbe nell'arrivare a metà del tentativo stesso.
Kagami è rumoroso persino quando si siede accanto a lui e comincia a masticare forte, con gli occhi socchiusi. Sa che dovrà affrontare un'altra giornata di scuola e l'umore non è proprio dei migliori, come al solito.
In più, c'è quella preoccupazione che ultimamente si è aggiunta al piegarsi delle sue sopracciglia che Kuroko conosce bene e non può, davvero ignorare. Per questo motivo, come tante mattine precedenti e seguenti, mostra quel briciolo di interesse che serve per cambiare, di poco, le cose.
-Hai dormito bene, Kagami- kun?

 

La Spada di Dios è una palla tonda e perfetta, dai colori brillanti, e Kuroko Tetsuya il suo custode – con una formula precisa e il diritto di pronunciare quelle parole, lui è il solo in grado di evocare un tal giudice imparziale perché i duelli tra gli sfidanti possano avere inizio.
Per riuscire ad assumere questo concetto come verità indiscussa, Kagami ha dovuto passare attraverso diverse fasi, non tutte molto indolori né molto veloci.
Vivere con un estraneo non è mai stato un problema, almeno a livello concettuale: andando all'estero, in un collegio scolastico, già l'idea viene incamerata e resa implicita, quindi non è quello il punto della questione. Potrebbe esserlo, forse, il fatto di abitare in un appartamento isolato, troppo vicino a quelli altrettanto lussuosi e belli del concilio studentesco, o abitare sotto lo stesso tetto di qualcuno le cui prime parole a suo indirizzo, con quell'espressione disadorna in viso che tanto gli è incomprensibile, siano state riguardo dettagli come “sposo” e “fiore”, messe all'interno della stessa frase.
Kagami non sa decidere se essere imbarazzato o arrabbiato, e nel dubbio è entrambe le cose contemporaneamente.
Ha preso coscienza di quando i membri del concilio siano pericolosi e determinati – perché se prima Kise poteva rappresentare solo il dubbio, Midorima è stata la sua netta conferma – ma continuano a sfuggirgli particolari davvero significativi, quali per esempio lo scopo o il traguardo di tutto quello.
Non si dà risposta, e questo lo rende frustrato, imprigionandolo in uno stato emotivo dove la sola arma di difesa può essere una finta indifferenza.
Almeno fino all'arrivo di Aomine Daiki all'interno della sua vita.

 

Occhi che scintillano, per la terza volta, davanti a lui, di quel profondo e di quel selvaggio che non lo lascia insensibile neanche a volerlo.
È risaputo che Aomine Daiki sia paragonabile a una bestia, quando gioca – mai una definizione è stata più precisa, nella mente di Taiga, se non quella – che muove la palla come se fosse un'estensione del proprio corpo e corre sul campo come se non facesse mai altro.
Ghigna, quando gli arriva addosso, scaraventandolo a terra quasi solo per la sua presenza. Poi si fa indietro, con il pallone nel palmo della sua mano più lontana, e un altro guizzo forma la scia del suo sguardo e del suo viso che spariscono alla vista, passando di lato.
Le braccia di Kagami sono in alto, nel tentativo stupido di porre una qualche tipo di difesa, come se sia possibile mettere un freno a tutta quella furia, in un modo o nell'altro. L'impotenza di essere non solo inutile ma pure privo della giusta motivazione per la vittoria è lo smacco più grande, quando dietro di sé, come un suono che viene dal futuro e non dalla propria sensibilità, gli arriva persino l'eco di un pallone già in rete, di un punto già fatto.
Il senso dell'orgoglio infantile di Kise sfuma, come quello dello sdegno geniale e autoritario di Midorima, come labili impronte di qualcosa che non gli appartiene neppure.
Aomine ha vinto, e si è preso il suo sposo.

 

Tatsuya si è quasi rifiutato di rivolgergli la parola, dopo averlo visto così fiacco.
Ha passato gli ultimi due giorni a cercare di farlo mangiare, o anche solo di vederlo reagire in qualche modo che non fosse un mugugno contrariato e distante oppure un'occhiata sfuggevole – si è persino arrabbiato con lui a un certo punto, e tremava di rabbia che si è implicitamente rifiutato di comprendere e di vedere realmente come tale, troppo preso da se stesso.
Non concepisce colpa nella mancanza di appetito, e non ha intenzione di interrogarsi a tal riguardo: non è un problema, dal suo punto di vista, né mai potrebbe esserlo davvero. Come non lo è per Himuro, ma anche chiedersi come mai il caro amico prenda tanto a cuore proprio quella questione lo infastidisce fuor di misura e lo rende ancora più intrattabile del solito. E Tatsuya non è così forte da sopportarlo questo suo sentimento negativo, preferendo nella propria fragilità una irritazione riflessa.
Kagami sente un quantitativo di rabbia, dentro il petto, che non crede di aver mai provato prima di questo momento. Lo sfoga in urli selvaggi e improvviso, fatti in mezzo a corridoi e in luoghi pubblici di normale vita scolastica, dove scaturiscono dall'intimità del suo petto e si propagano in una condizione uniforme di sorpresa generale, senza trovare alcuna resistenza o alcun ostacolo per una perfetta rappresentazione dell'inutile. Nel momento rado in cui trova riposo la notte, viene accompagnato da sogni agitati dove si allungano ombre e luci particolari, che si accendono e si spengono all'improvviso, come fanali di un'auto impazzita dal conducente ubriaco.

 

La campanella di fine lezione suona, in lontananza, rimbalzando tra i muri dell'edificio scolastico.
C'è brezza fresca tra i lembi dei suoi vestiti, e un vento leggero spettina i ciuffi verdi dell'erba lasciata crescere da troppo tempo. Il profumo dei fiori è distante, meno concreto persino del ricordo.
Le palpebre di Taiga si mantengono aperte in modo stanco, verificano il passaggio delle nuvole senza troppa voglia – lui mastica un rametto secco, per occupare la bocca e le labbra.
Quando un'ombra definita si frappone tra lui e la luce del sole, ha già piegato l'espressione a una smorfia contrita.
Midorima Shintaro tiene tra le dita fasciate della mano destra una piccola ranocchia con la bocca aperta e la lingua di fuori; se non fosse per quel particolare, gli risulterebbe ancora più fastidioso, più o meno pungente come il tono della sua voce.
-Non pensavo che fossi così stupido.
I muscoli di Kagami si contraggono, in risposta. Gli monta un'insofferenza acida a livello dello stomaco, fin troppo velocemente, che gli pizzica in viso e rende sgradevoli le sue parole.
Non vuole accettare lezioni da uno sfidante sconfitto.
-Cosa hai detto?
Neanche Midorima si lascia scomporre dalla sua insolenza, e dopo essersi sistemato di nuovo gli occhiali sottili sul naso, togliendosi da davanti la vista la frangia più lunga, torna a guardarlo male.
Lui non è mutato, dopo l'incontro con cui si sono sfidati, e questo è piuttosto visibile. Kagami non sa dire se per testardaggine o altro, e se fosse in altre condizioni psicologiche potrebbe anche essere toccato dalla cosa.
-Il tuo orgoglio non vale nulla, se è così debole.
-Stai forse cercando di farmi arrabbiare?
Si alza a sedere sull'erba, pronto a issarsi sulle gambe. Midorima fa un solo passo indietro, per non dovergli togliere gli occhi di dosso. L'indignazione rimane palese.
-La tua reazione non mi provoca in alcun modo. Per me, tu sei soltanto ridicolo.
Taiga quasi abbaia un insulto, rimanendo però fermo dove si trova. Si sente fiacco, quasi all'improvviso, e non ha tanto voglia di ascoltare l'ennesimo rimprovero, specialmente da uno come Shintaro. Non si rende conto che con quei sentimenti sgradevoli cerca soltanto di allontanare anche quell'ennesimo tentativo di aiuto, e il dolore che sente è abbastanza forte da annichilire qualsiasi tipo di timida razionalità.
Midorima non è disposto, però, a lasciarsi impietosire dalla sua debolezza. Non per niente, fa ancora parte del concilio studentesco, ed è uno dei pochi aventi il diritto ad accedere al campo dei duelli.
-Con che coraggio pronunci determinate parole, Kagami? Il tuo spirito è fiacco, hai perso tutta la tua vena combattiva.
-Parli tu, che sei stato sconfitto da me?
-Parlo io, che so cosa significa essere sconfitti.
Uno scintillio, che ricorda tanto la luce della Zone, negli occhi verdi di lui. In realtà è solo impressione, fermento, una voce ferma e autoritaria che viene guidata dal senno pur nell'impeto della passione morale.
-C'è vergogna nella disfatta, ma c'è ancora più vergogna nella mancanza di onore.
-Onore? Piuttosto antiquata, come cosa.
-Chiamalo come vuoi. Il concetto non cambia.
Abbassa al fianco il proprio oggetto porta fortuna, con calma non studiata.
Gli occorre chiudere gli occhi qualche secondo per ricordarsi i propri sentimenti e le proprie intenzioni – il loro duello e il suo desiderio, Kuroko con quegli occhi grandi e il castello di Dios sopra le loro teste. Lui si è battuto per uno scopo, e questo lo rende per definizione migliore di quello.
Apre di nuovo gli occhi, con l'intera propria figura statuaria.
-Per cosa hai combattuto fino a ora, Kagami? È questa la vera domanda. Il tuo amico è preoccupato per te, hai perso lo Sposo della Rosa. Non pensi che tutto questo valga la pena di una risposta?
Kagami si vergogna, dopo due secondi di rabbia cieca: per la testardaggine, per la stupidità, per un'altra serie lunga di cose. Si sgonfia come un pallone bucato e ritrova una sorta di calma interiore, domando la propria indole distruttrice e ammansendola come una belva educata.
Kagami si alza in piedi lento, con lo sguardo torvo, e prima di dire qualcosa di davvero imbarazzante e sconsiderato, fuori luogo, riesce persino a trovare le parole giuste.
-Grazie, Midorima.
L'altro non gli concede neanche un sorriso, per premura di non farlo scambiare per becera pietà.
-Non ringraziarmi. Fai in modo che la mia perdita di tempo non rimanga infruttuosa.
E ha ragione, ancora una volta.

 

Per troppo tempo ha permesso che il proprio combattere fosse privo di alcun significato. Si è lasciato trasportare dalla foga del momento, dal senso di piacere nato dalla prospettiva di una sfida succulenta che gli gonfiava l'ego e gli mandava scariche di adrenalina eccitante, per mandare fuori di senno la propria testa.
Il divertimento in sé non è qualcosa di sbagliato, e questo pensiero non è una giustificazione atta a perdonare in anteprima tutto ciò che è stato fatto, a priori: la constatazione che magari, di partenza, non c'è stata malizia, può aiutare ad accettare il fatto di aver sbagliato poi.
Perché Kagami ha capito di aver errato non una sola volta, ma diverse, in successive circostanze.
Non ha sbagliato per altri che per se stesso: non per Midorima, non per Kise, non per Himuro, e neppure per Kuroko, perché il sentimento che lo lega a questo parte dal proprio cuore e dal proprio cervello, e quindi la responsabilità della cosa gli appartiene tutta.
Così come anche le conseguenze della tale.

 

È appresso ai fornelli, con due pentole sul gas acceso e il bollitore dell'acqua calda appena spento. Le sue mani non riescono a trovare pace, si muovono in ogni dove e prendono oggetti a caso, giusto per non rimanere ferme.
Un rumore capta la sua attenzione, e lui si volta subito in direzione dell'entrata della cucina.
Guarda in basso e nota il cucciolo di cane, festante, che saltella nella sua direzione – non fa nulla per impedirgli di avvicinarsi a lui, per quanto un leggero brivido di terrore lo fa tremare tutto.
Guarda in alto e vede lui, sempre stanco e sempre spettinato.
-Buongiorno, Kagami- kun.
Eccolo lì, il suo motivo.
Il suo orgoglio integro.
La sua volontà completa.
La normalità che vuole raggiungere a tutti i costi.
Borbotta, con una felicità appena rosea sulle guance.
-Buongiorno, Kuroko.

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Capitolo 4
*** *Terzo capitolo* In the sunny garden, we held each other's hands. Drew close together and soothed each other with the words Neither of us will ever fall in love again. ***


ATTENZIONE
Questa storia è una Fandom!AU profondamente legata al mondo di La Rivoluzione di Utena.
Non conoscendo il fandom di partenza, è difficile che si colgano diversi riferimenti di trama. Vi chiedo scusa per l'inconveniente, ma questa storia è stata costruita in tale esclusivo modo.
Spero comunque sia una buona lettura per tutti voi








*Terzo capitolo*

In the sunny garden, we held each other's hands.
Drew close together and soothed each other with the words
Neither of us will ever fall in love again.

 

 

 

Uno a destra e uno a sinistra: gli occhi di Akashi Seijuuro si sdoppiano l'ennesima volta di fronte e a lui e prendono due strade distinte, attorno al suo corpo. Come due persone dal fisico e dal volere ben distinti, il presidente del concilio studentesco affronta il proprio avversario nell'ultima delle sfide che gli competono per detenere l'assoluto possesso dello Sposo della Rosa. Il Confine del mondo ha spedito la sua lettere, ed è stato piuttosto perentorio.
Per quasi tutto l'incontro, l'avversario di Kagami ha tenuto sul viso un'espressione di dovuta arroganza, come se il risultato scontato fosse già nelle sue mani e la Spada di Dios una sua implicita proprietà. Non ha dubitato neanche un secondo della propria vittoria, e tutte le sue parole e tutte le sue azioni sono state mosse secondo questa direttiva.
Ma ora, in quel preciso momento, mentre Taiga riusciva a tenere testa alla sua capacità e a un solo punto dalla meta tanto ambita da entrambi, i suoi occhi dorati brillavano non solo di potere, ma anche di follia repressa – come se davvero le personalità, in lui, fossero due, tra quella più brutale e selvaggia e quella invece più umana.
La sua volontà ha cercato di imporsi su Taiga, e in un primo momento è anche riuscita nel proprio intento. Ma l'animo, l'orgoglio e la forza del detentore della Spada di Dios non è mai stato tanto debole da lasciarsi sopraffare a quella maniera, e lo ha potuto dimostrare sul campo.
Gira velocemente a destra, impedendo al primo Akashi di avanzare verso il canestro; nel momento in cui accenna il passaggio, la mano forte di Taiga schiaffa la palla a terra e la fa rimbalzare lontano, perché possa correre in avanti e prenderla al volo.
Ruota su se stesso, voltandosi all'indietro. Non ha mai tirato da quella distanza, e sa che l'errore gli può essere fatale. Ma è troppo stanco, quel match dura da troppi minuti e lui non ha più aria nei polmoni. Akashi Seijuuro è immobile a terra, con la sorpresa sul viso.
Kuroko, da bordo campo, lo sta guardando con occhi spalancati, pieni di un'espressione e di una vitalità che non gli ha mai visto addosso.
Il polso si piega, il braccio si stende, la mano lancia. Qualche secondo dopo, c'è solo il rumore del metallo della rete che cigola un po', danzando in aria, e l'eco del tonfo della palla sul parquet, come lo schiocco di uno schiaffo.
Mentre Kagami atterra, Kuroko gli si fa incontro, con un sorriso grande quanto almeno il suo viso e tutto il fruscio del suo vestito bianco e elegante, con le code lunghe che gli si incastrano tra le cosce delle gambe: non riesce a trattenersi, ormai, e la sua felicità è palese e spontanea, calda come una carezza diretta. Taiga non sa se è felice per quello che vede sulla sua bocca o per il senso di vittoria che lo invade; non deduce, neanche a stento, che è una cosa mista tra le due, perché il suo animo è più sensibile di quello che lui stesso crede e non può rimanere, ormai non più, ai sentimenti di lui.
-Hai vinto.
-Te lo avevo promesso, no?
Sorride, di un sorriso radioso e perfetto.
Mentre non si parlano e neanche cercano altre parole con cui rivolgersi l'uno all'altro, succede altro, che fa tremare l'aria attorno a loro. Con un grido sordo, un dolore al petto che lo spezza quasi a metà, Akashi si piega a terra e spalanca la bocca priva di qualsiasi suono – la luce sopra le loro teste diventa quasi accecante, un bagliore che li obbliga a chiudere gli occhi e a ripararsi il viso per non venirne feriti. Quando tutto termina e loro sono in grado di riaprire le palpebre per guardarsi attorno, notano entrambi che di Seijuuro ne è rimasto solo uno: quello accovacciato e accucciato su se stesso.
Taiga si impone di andargli vicino, per quanto i muscoli del suo corpo desiderino non altro che il riposo. Kuroko accenna a volerlo fermare, ma poi decide che non sia il caso e lo segue lento, al suo fianco. Quasi accanto a lui, il ragazzo più grande nota che trema quello, ed emette dei pigoli bassi.
-Che ti succede, Akashi?
Lui è sinceramente preoccupato, si piega verso di lui e non osa toccarlo ancora: l'altro ragazzo non accenna a considerare la sua presenza, o qualsiasi altra cosa attorno a loro.
Pian piano, anche il campo magico sullo sfondo comincia a svanire, e il castello di Dios in cielo diventa soltanto una nuvola scura, ammantata della notte buia. La palla sferica si alza da terra e vola verso Kuroko, sparendo nelle prossimità del suo ventre e illuminandolo all'altezza dello stomaco.
Lo Sposo, con il vestito tanto bianco da sembrare una stella immortale, è accanto al suo padrone, fermo sui propri piedi in una posizione quasi statuaria, il sorriso di prima neanche racchiuso agli angoli della sua bocca.
-Questa è la tua vittoria, Kagami- kun.
Si volta a guardarlo di scatto, un poco sorpreso e un poco sconvolto.
-La mia vittoria?
-Sì, esatto.
Non capisce, ed è troppo stanco per fare lo sforzo di applicarsi mentalmente. Torna a fissare Akashi, che non si è messo neanche di un centimetro. Aggrotta le sopracciglia, in una diretta espressione della propria incomprensione.
-Che cos'ha? Perché sta male?
-Ha semplicemente perso.
Ancora una pausa, per cercare di capire qualcosa in tutto quello. Kuroko ora gli pare distante da ogni cosa, ed è paradossale perché il suo cuore ancora lo tocca ma tutto il resto del mondo gli è come indesiderato estraneo.
-Non mi pare normale.
Non saprebbe dire a chi si sta riferendo, se a Seijuuro schiantato a terra oppure proprio a Tetsuya. E il suo compagno ha la grazia e la delicatezza di non chiederglielo: socchiude gli occhi, e per la prima volta guarda Akashi, con un misto di pietà indifferente e malinconia nello sguardo.
-Non lo era neanche prima.
Suona ancora più terribile, dopo tutto quello.
Con il fiato ancora pesante, Kagami si alza e si guarda attorno, all'arena dei duelli in cui ancora sta. Ricorda gli incontri con gli altri membri del concilio, le loro sconfitte e le sfide disputate, i desideri di ognuno di loro che gli hanno toccato l'animo.
Umanità per umanità, nessuno ha negato se stesso sul quel parquet: l'elemento che li ha contraddistinti, in particolare, è stato proprio ciò.
Più umano di quello che pensava di essere, Taiga si china sul proprio avversario inerme e gli tende la mano – non lo tocca, ma si vuol lasciar toccare.
E attende tutto il tempo necessario perché Akashi recuperi la propria dignità e il proprio essere per guardarlo in faccia e rispondere al suo richiamo.

 

***

 

C'è un senso strano di inquietudine, in lui, che dura ormai da qualche giorno. Non gli impedisce di dormire la notte, non gli ruba l'appetito e non lo rende più isterico del solito, ma torna a dimorargli in petto e non lo lascia mai, qualsiasi cosa lui faccia. Torna a tormentarlo quando sente di dover sospirare più forte, per rilasciare tutto quello che ha a lungo trattenuto, o anche quando si concede una decina di minuti in più alla mattina sul cuscino, con gli occhi chiusi e il tentativo di riprendersi il sonno.
È solo per la presenza di Tatsuya che non sbotta qualcosa di poco educato, maledicendo l'invisibile santo e dannato al medesimo tempo. Quando capita che i loro sguardi si incrocino, mentre camminano tra i corridoio della scuola fianco a fianco, il maggiore gli sorride gentile e lui si sente in colpa, anche se mai gli è venuta la tentazione di rivolgere i suoi problemi su di lui.
Qualcosa è finito, eppure lui non riesce a godersi quella pausa di attività.
Il loro passo lento li conduce all'esterno, sotto un cielo grigio di nuvole cariche di pioggia. Entrambi loro hanno dimenticato l'ombrello ai rispettivi dormitori, e quindi la minaccia della pioggia battente è piuttosto reale.
Invece che continuare dritto, verso il giardino verde smeraldo che si distende davanti all'ingresso principale dell'edificio scolastico, la coppia di ragazzi gira verso destra, entrando in una scorciatoia stretta che affianca per un bel pezzo quel muro alto e li porta verso i laboratori di chimica e fisica. Da quel punto, proseguendo ancora e rientrando nel complesso di strutture, si scende solo una scalinata di pietra bianca, sulla quale è facilissimo scivolare in inverno e durante la stagione delle piogge, per quindi rientrare nel lungo corridoio che porta alle palestre di ginnastica, che porge il fianco al giardino interno.
La serra delle rose è riparata soltanto a metà da un tetto posto molto in alto, ma si staglia quasi isolata da ogni elemento di contorno, persino dalla mancanza di luce di quella brutta giornata. Rimane luminosa, quasi brillante nei vari riflessi di colore dei suoi vetri che giocano sulle armonie dei fiori e li sfumano in mille modi diversi.
Quando Himuro prende la maniglia dell'ingresso tra le dita e apre l'entrata, viene accolto da un profumo di fiori pieno, quasi maturo. Una volta entrati sia lui che Kagami, Nigou viene loro incontro e gioca con i loro piedi, com'è solito fare; il suo padrone, Kuroko Tetsuya, sbuca dopo pochi secondi da dietro un cespuglio più alto della propria spalla, con l'innaffiatoio ancora in mano.
-Buongiorno, Himuro- kun. Ciao, Kagami- kun.
Tatsuya risponde con un sorriso e un cenno del capo, chinato a terra per farsi mordere la mano dal cucciolo di cane. Lui non è quello che è stato attirato con la promessa di qualche dolcetto, come il suo amico del cuore, e quindi può permettersi persino poca vergogna. Kagami, invece, già cerca con gli occhi il tavolino del tè dove mangeranno la merenda.
Kuroko lascia un piccolo sospiro, fintamente deluso, che Taiga sente fin troppo bene; appoggia l'innaffiatoio nell'angolo di una aiuola, dove non ci sono piccoli fiori da poter ferire, e apre la via nel suo piccolo vivaio, con una mano protesa.
-Di qua.
Quello è il suo spazio personale, più intimo ancora di una camera da letto. Taiga, come chiunque altro, lo può intuire dalla quantità di tempo che il ragazzo trascorre in quel luogo e la cura con cui cresce le sue adorate piantine, come la bellezza di queste. La serra prende il proprio soprannome da una siepe piuttosto alta di rose bianche, che fa da cornice al discreto ritaglio di spazio dove è posizionato il tavolino basso. Pietra dura contro le suole, profumo di fiori che carezza il viso.
Tatsuya si prodiga in più di un complimento, ben felice di mangiare tutte quelle delizie – il cagnolino è sul suo grembo, a lasciarsi coccolare tutto contento, mentre sui bordi del suo piattino già ci sono i residui di tre biscotti al burro. Kuroko conosce un negozio dove rifornire se stesso e il proprio compagno di dolci, dal momento che Taiga non sa cucinarne, e quindi ha deciso di approfittarsene per viziarlo un po', o almeno nella misura in cui gli è concesso.
E Kagami gradisce, davvero. Anche solo mangiando in silenzio, anche solo accompagnando il tutto con quella che lui chiama brodaglia calda che sa di erba, anche solo stando in quel tavolino piccolo per lui e tutto vezzoso, così distante dal suo stile.
É un po' rosso sulle guance, con gli occhi bassi e la bocca che mastica. Rimane in silenzio, con la borsa a terra e la divisa della scuola a fasciargli le spalle, quasi sia uno studente modello grato del proprio vestiario: vederlo così, in quel frangente rilassato e tranquillo, senza tormento sul viso oppure il fiato corto, gli dona molti sentimenti felici. L'altro non fugge al suo sguardo quando lo incrocia, e sembra ringraziarlo nel silenzio che c'è tra di loro, in maniera davvero sincera. A Tetsuya
sfugge un sorriso sulle labbra morbide, rosate, anche quando gli offre l'ennesimo biscotto.
L'inquietudine che ha nel petto si dissolve per ogni parola che dice, per ogni secondo che passa assieme a lui.
Per il momento, almeno, è quello che gli serve per stare bene, e non ha bisogno di altro.

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Capitolo 5
*** *Quarto capitolo* Into this photograph of us, smiling cheek to cheek I took a bit of loneliness And crammed it inside. ***


ATTENZIONE
Questa storia è una Fandom!AU profondamente legata al mondo di La Rivoluzione di Utena.
Non conoscendo il fandom di partenza, è difficile che si colgano diversi riferimenti di trama. Vi chiedo scusa per l'inconveniente, ma questa storia è stata costruita in tale esclusivo modo.
Spero comunque sia una buona lettura per tutti voi







*Quarto capitolo*

Into this photograph of us, smiling cheek to cheek
I took a bit of loneliness
And crammed it inside.

 

 

 

Goccia dopo goccia, una scia di acqua limpida cade sul terreno morbido e soffice che sorregge quell'unica rosa nera nell'anfora di argilla rossastra. Fa il rumore del tempo, che volutamente scandisce i secondi e si rifiuta di sorreggere il peso di ciò che passa, lento, per essere dimenticato: non ha fine né scopo questo continuare imperterrito, e muore senza mai essere davvero nato.
Imayoshi guarda lo spettacolo dall'esterno della teca di vetro dove sia il fiore che il suo contenitore sono stati riposti, come trofei irraggiungibili e sacri.
Non c'è la minima meraviglia, in lui, ma solo l'analisi compita dei fatti che si mostrano davanti al suo naso, proprio di fronte alla sua attenzione. Che sia un sogno o un semplice desiderio, che sia il frutto di una volontà implicita o esplicita, ciò che accade non ha proprio bisogno di interpretazione, e non può essere stravolto da alcuna parola.
A questo riesce ancora ad aggrapparsi, con tutte le proprie forze.
Hanamiya è vicino a lui, vestito come sempre di bianco. Gli sorride, con una dolcezza estremamente finta, che vuole proprio dare l'impressione di pre-costruito.
Cammina piano, mentre nella stanza si sentono distinti i suoi passi.
-Oggi ho colto una rosa. Sai, Makoto- kun?
L'altro ragazzo fa una smorfia, concentrandosi sul suo viso e sul bagliore riflesso sul vetro dei suoi occhiali.
-Una rosa?
-Sì, un delicato fiore giallo.
Alza le sopracciglia, vagamente irritato. Lo è quasi sempre, non è una novità, così come le sue maniere sgarbate e quel tono di sufficienza con cui si rivolge al proprio compagno.
-Oh, bene. Era ora che iniziassi a raccogliere campioni per il nostro esperimento.
Imayoshi non si scompone, ghigna un poco e guarda ancora il contenuto dell'anfora di argilla.
I petali più interni, ancora chiusi in un bocciolo soffice, gli danno un'aspettativa a cui si concede con qualche difficoltà: per quanto stia costruendo una speranza con tutte le proprie forze, si vuole lasciare anche una seconda via di fuga, per tutte le eventuali emergenze.
-Non posso certo cogliere fiori qualunque. Devo fare un'attenta selezione.
-Attenta selezione, dici?
Hanamiya ride un po', e ruba il suo sguardo a quel maledetto fiore.
-Cos'aveva di speciale, questa rosa?
-È stata cresciuta al silenzio, sotto un sole troppo luminoso. Poca acqua corrente, ristagno di diversi mesi inconcludenti.
-Radici molli?
-Radici fragili, che si staccano facilmente dal terreno.
Sorride, allungando la mano al suo viso. Non lo tocca, fa soltanto il gesto della carezza – metafora non troppo sottile, che fa arrossire di rabbia l'altro ragazzo.
-Sono quelli che fanno più male, Makoto- kun.
-Perché me lo dici? Io non sono un fiore.

 

***

 

Non capisce, davvero Kise non capisce. Forse è il dolore che lo sta immobilizzando in un istante, fermo come una brutta statua modellata male, eppure gli è più difficile del solito concentrare la volontà nel cranio e trarne qualche pensiero razionale in quel preciso attimo, perché tutte le forze paiono averlo abbandonato di colpo.
Le mani del suo capitano, quel ragazzo sempre severo e contrito dai meravigliosi occhi azzurri, sono protese verso di lui con le dita tese e i muscoli delle braccia completamente rigidi, in una posa che esprime brama e desiderio. Ha, sul viso, una rabbia che non gli ha mai visto prima, neppure in piena collera – e pensava, dopotutto, di aver capito cosa mai potesse agitare il suo animo, almeno un poco, e di non dover alzare alcun tipo di barriera per proteggersi da qualche suo attacco. Si ritrova molto fragile, invece, e viene ferito dalle esplicite intenzioni.
In una palestra vuota, dove Kise è solito sfogare quella che ormai è soltanto frustrazione e non una capacità sportiva vera e propria, Kasamatsu Yukio evoca dal suo ventre un pallone da basket, che non è la Spada di Dios, ma rimane una delle armi più potenti in assoluto: la sua volontà, che lascia inerme a terra un corpo ormai privo di qualsiasi forza. Neanche una lacrima nascosta tra le ciglia, solo l'ennesima incomprensione a modellare le rughe contratte della fronte.
Il ragazzo più grande fa rimbalzare la palla a terra, e quindi si allontana in silenzio.

 

Neanche Kagami capisce bene cosa stia accadendo, così all'improvviso.
Davanti a lui, c'è un ragazzo che ha già visto altrove, il capitano della squadra di basket di Kise Ryouta, con una divisa nera dai bordi blu cobalto, più o meno come gli occhi fiammeggianti che sono aperti, fino al dolore, sotto la sua fronte. Lo ha accolto con rabbia viva, passione smodata, nel momento stesso in cui lui ha messo piede nell'arena, e la sua aggressione è così esplicita che lo tocca nel profondo.
È stranito e non poco, cade quasi all'indietro a un passo falso dell'altro, mantenendosi a stento in equilibrio sui propri talloni pronti. Lo vede roteare un poco il bacino, un istante e basta, e proseguire veloce al suo fianco senza neanche considerare il braccio che ha alzata in pallida difesa del canestro dietro di sé. Quando lo rincorre, con una prontezza di spirito e di riflessi degna del campione che è, l'altro lo scarta con pochi passi, ruotandogli attorno e saltando, alla fine, per fare canestro. Quattro a due, ancora un punto e la vittoria è nelle sue mani.
La palla viene raccolta da Kuroko, più velocemente che può, e rimessa in campo tra le dita di Taiga. Il ragazzo prende qualche secondo di pausa, per respirare e pensare velocemente.
Per quanto non riesca a capire, sa di poter contare sulla propria sensibilità e il proprio istinto. Non ha visto tante volte Yukio, né ha mai parlato con lui per troppe battute, riservandogli in modo naturale quella sorta di reverenza degna di un ragazzo più giovane e meno esperto – lo fa per educazione, e riconoscendo il valore di una posizione diversa dalla propria: ben conosciuto all'interno dell'edificio scolastico, Kasamatsu ha sempre avuto la fama di basare la propria nomea su fatti concreti.
Si ricorda, anche, quell'unica frase che Kise ha detto di lui, a proposito di quello che li lega intrinsecamente. E tutto, ma davvero tutto Kagami si aspettava, tranne che quella furia devastatrice senza la minima logica.
Pare quasi che Kasamatsu Yukio abbia dimenticato da qualche parte la propria anima e si sia lasciato andare ai propri istinti più bassi e ferini. Non assomiglia neanche a Aomine, perché Daiki distruggeva più il mondo che se medesimo.
A un certo punto, preso dallo sconforto e dall'ennesimo pallone rubato, e l'ennesimo passo di Kise copiato e così spudoratamente messo davanti ai suoi occhi, Kagami gli urla addosso tutto il proprio disappunto.
-Perché stai combattendo? Cosa ti spinge a giocare in questo modo?
Kasamatsu ferma il proprio palleggio e il gioco soltanto per guardarlo in viso, con l'espressione contorta di una rabbia repressa.
Con il proprio peccato dipinto nelle rughe del viso e il senso della deturpazione e della corruzione in ogni stilla di voce, dice quel poco di verità che gli rimane in corpo.
-Perché lui non abbia più niente!
Perché lui non abbia niente di tutto quello che ha, così da aver desiderio soltanto di ciò di cui necessita – di lui, soltanto di lui, nient'altro che lui. Il suo desiderio si è mescolato a quello di Ryouta e si è fatto ombra, si è incancrenito fino a diventare pura matassa di rigurgito sensoriale, emotivo e spirituale.
Ecco cosa diventa l'amore se viene calpestato, lasciato a se stesso, abbandonato ai continui colpi dell'invidia e della gelosia. Persino l'anima più forte si concede al singolo dubbio, e nel momento in cui le è permesso rivelare quell'ombra parziale di sé che necessariamente accompagna anche la luce accecante e magnifica, gloriosa e imperiale, ecco allora che le difese vengono abbassate con energia, come in uno stupro, e tutta la bontà cancellata dall'ennesimo tragico tradimento.
Rimane quindi rabbia cieca, e un mondo stravolto abbastanza da volerne la fine ultima. Kasamatsu, nell'assenza di pietà che si sta riservando, è quanto di più coerente possa concedere.
Lo incalza all'improvviso, ancora una volta aggressivo. Si fa addosso a lui con impeto, ma questa volta non riesce a coglierlo impreparato e quasi gli si schianta contro – il fallo rimane, e Kagami ha di nuovo la palla tra le mani.
Si allontana di un po' dal canestro, guardando in uno scatto della testa Kuroko a bordo campo. L'altro ragazzo sta seguendo la scena con indifferente partecipazione, le mani intrecciate nelle dita all'altezza del ventre e lo sguardo che lo segue in ogni sua mossa. Quando gli ha chiesto, nel momento in cui ha ricevuto la lettera di sfida da parte del Confine del Mondo, se fosse a conoscenza del motivo di tutto ciò, l'altro non ha neppure risposto. Capisce che non è propriamente il caso di farsi delle domande, con qualcuno pronto ad assaltarlo come una belva, ma da quell'irritazione sotto pelle ne nasce un senso di vertigine che lo porta a rispondere con impeto rinnovato, con energica passione spropositata.
Urla, si fa avanti, per la prima volta costringe Kasamatsu sulla difensiva, e lo spiazza tanto da riuscire persino a segnare un punto, quello del pareggio. Dopotutto, il fatto che siano di due stazze diverse ha anche il suo vantaggio, e Yukio non può nulla contro la sua furia se ha abbastanza intelligenza da usarla bene.
Questa volta, l'ultima, la rimessa mette a favore il suo avversario, e Taiga sa perfettamente di non potersi concedere alcun tipo di errore. Con il prossimo punto decisivo, sia la sua guardia che quella dell'altro sono fin troppo alte, i loro muscoli tirati per compiere qualsiasi tipo di sforzo e i nervi provati che non lasciano scampo al pensiero razionale.
Non ha più pensato all'eventualità di sconfitta, da quella volta con Aomine. Gli ha creato uno strappo all'altezza del cuore, l'assenza di qualcosa di fondamentale. E ha come il timore che, se perdesse in quella circostanza, sarebbe anche peggio.
Daiki desiderava tutto, per sé; Kasamatsu desidera niente, per tutti. L'idea lo atterrisce, e sa che la paura non può far altro che appesantire il suo passo.
Yukio scatta in avanti, muovendosi veloce. Riesce a riparare il primo attacco, impedendogli un'avanzata verso il canestro; Kasamatsu gli da le spalle, così da difendere il proprio possesso di palla e senza lasciargli alcuno spiraglio per contrattaccare. Però, Kagami ha imparato anche come difendere, ed è piuttosto bravo persino con un avversario dalle dimensioni piuttosto ridotte come lui.
Sbuffa, piuttosto contrariato dalla cosa, e quando tenta di nuovo di sorpassarlo Kagami abbassa di scatto la mano e riesce, non si sa per quale miracolo, a rubargli il pallone, che subito porta dietro di sé e protegge. Yukio non è abbastanza svelto da reagire e mettersi davanti a lui, che subito Taiga corre verso il canestro e salta, salta in schiacciata, arrivando in meta qualche istante dopo.
Vittoria.
Finito tutto.
Kagami crolla a terra, sfinito, mentre la bolla di illusione si scioglie dagli occhi di Kasamatsu e lo riporta alla realtà con un suono di apertura che dura un istante; è il dolore di ritrovarsi in carni afflitte e con un cuore pulsante che lo sconvolge, nel secondo successivo, e lo fa urlare e tremare: cade anche lui a terra, di schianto, e lì rimane contro il pavimento.

 

Quando riprende coscienza, si accorge di essere in un letto che non è il suo e circondato da un profumo a cui non è decisamente abituato. Apre le palpebre di scatto, ritrovandosi in quella che riconosce essere l'infermeria della scuola.
É ben passata mattina, ormai, come si vede dal sole non più così basso oltre i vetri della finestra.
Si guarda un attimo attorno, per vedere se c'è qualcuno a cui fare un paio di domande: come è finito lì, che giorno è, che gli è successo. Ricorda con estrema vaghezza un'azione fatta durante un tramonto, la confidenza data alle ombre mentre camminava lungo il corridoio per uscire dalla scuola.
I suoi piedi, poi, si erano mossi da soli, tornando indietro fino a che la memoria non si perde egli stessa in un incubo dalle fattezze insolite. Poi, ha dormito molto, e si sa come l'inconscio prenda possesso di tutto quando la ragione viene a mancare.
Ha il corpo rigido, e gli fanno male le gambe quando scende dal letto. Deve fare qualche passo per accorgersi di chi c'è sul letto accanto al suo, oltre la tenda bianca che scende dal baldacchino alto.
Kise Ryouta dorme tranquillo, con un'espressione abbandonata e serena, incapace di essere turbata da chicchessia.
Per un attimo, ora che non c'è nessuno a guardarlo e a sentire il rumore dei suoi pensieri, si bea della sua bellezza con tutta tranquillità, in un respiro lento. Nota il polso nudo rivolto verso l'alto, la mano abbandonata dal palmo appena schiuso, quasi invitante.
Rimane fermo accanto al letto, senza riuscire ancora a fare quel passo necessario: cuore stretto, tanta paura.
Kuroko, scivolando via da dietro lo stipite della porta di ingresso dell'infermeria, un po' prova tenerezza sia per l'uno sia per l'altro. Lui non è quell'ombra che inghiotte la malvagità, eppure riesce a scivolare sotto le vite degli altri con estrema maestria e scegliere accuratamente i sentimenti da rivolgere ai recitanti di quell'immensa tragedia.
A chi affida al sonno i propri intimi desideri.
A chi persino da sveglio riesce a trovare riparo dietro una sincerità sfrenata.
Ma non ha pensieri, o almeno non troppi. La loro via ora è chiara, e non ha bisogno di altri sfoghi.
Per una volta, si concede il lusso di una tenue speranza, persino lui.

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Capitolo 6
*** *Quinto capitolo* Even in my dreams, even through my tears Even though I'm being hurt Reality is approaching now, frantically ***


ATTENZIONE
Questa storia è una Fandom!AU profondamente legata al mondo di La Rivoluzione di Utena.
Non conoscendo il fandom di partenza, è difficile che si colgano diversi riferimenti di trama. Vi chiedo scusa per l'inconveniente, ma questa storia è stata costruita in tale esclusivo modo.
Spero comunque sia una buona lettura per tutti voi



 

*Quinto capitolo*

Even in my dreams, even through my tears
Even though I'm being hurt
Reality is approaching now, frantically

 

 

 

-Hai colto un'altra rosa?
Raccolti i petali caduti sul terreno morbido, il particolare vaso è rimasto vuoto per qualche tempo, così che risalti ora, nel momento in cui il suo passo si avvicina alla teca di vetro, quel nuovo ospite dritto, dalla corolla aperta e gustabile.
Makoto Hanamiya apre il mantello che gli copre le spalle e ne porta un lembo al proprio fianco, avvolgendosi nel tentativo di trattenere un po' di calore: accanto a Shoichi c'è sempre l'umidità delle piante sotterranee che non fa per niente bene alle ossa, e neppure la sua magia può contrastare questo.
L'altro non gli si rivolge direttamente, e bada molto più ai petali delicati del nuovo fiore e gioca con la rugiada che essi racchiudono, con la punta delle proprie bianche unghie.
-La prima aveva radici troppo profonde, e nel momento in cui si è privata del terreno, è morta dopo poco tempo.
Non sembra particolarmente dispiaciuto, constata soltanto i fatti avvenuti e questo lo allontana da qualsivoglia giudizio morale sull'accaduto. Sembra quasi disinteressato al raggiungimento del loro scopo finale, e Makoto sa che sta trattenendo tutto quanto dentro, solo per rispetto nei suoi confronti.
-Peccato fragile, ha smesso di brillare subito.
Perché una sconfitta pesa, in specie quando viene condivisa da gente piena di speranza. E lui, quella vittoria tanto agognata, l'attende in modo letterale come qualcosa di salvifico.
Una vita per un sogno, dopotutto.
Si avvicina ancora di un passo a lui, facendosi notare con la coda dell'occhio.
-Di che colore è, questa?
-Verde, come il tutto.
-Come l'invidia.
-L'invidia è un colore troppo sfumato. No, direi piuttosto verde come l'insidia.
-L'insidia non è sfumata?
Alza finalmente lo sguardo a lui, nascondendosi però dietro il bagliore riflesso sulle lenti dei suoi occhiali fini.
Quando si tratta di mostrare un po' di partecipazione, Shoichi fa sempre così – non è troppo disturbante, alla fine, ma a lungo andare tutti si rivelano nei dettagli più innocui, in tutto il loro disgusto.
-No, perché una volta che l'inganno è formulato, non torna più indietro.
Ghigna, come se avesse già l'esito in mano. E Makoto sospira, un po' refrattario a dargli ragione senza niente in cambio.
-Tu sei il vero mostro, Imayoshi.

 

***

 

Conosce Takao Kazunari solo attraverso le parole di Kuroko, perché gli è capitato di chiedergli se mai ci fosse stato qualcuno, tra tutti gli studenti della scuola, che lo abbia aiutato con la cura dei fiori della serra. E pensandoci un poco, Tetsuya si era ricordato di Kazunari, che non è riuscito a definire esattamente come un amico ma neanche come un semplice conoscente.
Gli ha detto che non veniva tutti i giorni né tutte le settimane, a trovarlo. Capitava più o meno quando ne aveva voglia lui, con qualche cosa da mangiare o soltanto per fare una carezza al cagnolino. Rimaneva, di solito, nella serra per diverso tempo, guardandolo mentre poteva le siepi o toglieva le erbacce dalle aiuole – ogni tanto, persino, lo aiutava anche, prendendo i guantoni spessi che lui gli prestava e smuovendo con fare sapiente il terreno. Era bravo e non aveva mai ucciso nessuna piantina; sapeva parlargli con gentilezza, per quanto magari le sue parole non erano così educate come potevano esserle quelle di un signorino di alta classe, ma era uno dei pochi compagni di Kuroko che mai, proprio mai, gli aveva rivolto una parola sgarbata.
E poi, era l'unico che sapesse fare indispettire Midorima così tanto perché quello si arrabbiasse sul serio. Gli girava spesso attorno, e con la scusa di essere il presidente di qualche club lo rincorreva piuttosto di frequente per fargli domande assurde, giusto per essere certo che perdesse del tempo prezioso con lui. Kagami non ha mai capito perché si desse così tanto affanno per seguire un individuo del genere, contando che Shintaro non gli riservava lo stesso tipo di trattamento in quasi nessuna occasione; Kuroko, dalla sua, gli ha potuto far notare che tutto il gioco si reggeva appunto sull'eccezione rara, che Takao e soltanto poche persone avrebbero potuto apprezzare – e infatti, solo Kazunari e pochissime altre persone riuscivano ad avvicinarsi al vice presidente del concilio studentesco. Tutto tornava, nel rimando perfetto di ciò che era stato in precedenza dato.
Quindi, a Kagami sfugge il senso del perché ora proprio quel ragazzo tanto privilegiato dal destino, quell'individuo che tanto ha piegato la fortuna al proprio volere fino quasi a ottenere ciò che più ha desiderato nelle profondità del proprio cuore, ora si trovi davanti a lui, su quel parquet, nell'arena dei duelli. Lui, e il suo desiderio sconosciuto e incomprensibile.
-Perché lui sbagli, una volta tanto!
Taiga non può sapere, d'altronde, cosa corrode la sua ferrea volontà: è quella corazza di inesperienza dovuta all'aver sempre ragione, perché chi non cade mai o fa finta di non farlo neppure una volta non può comprendere le aspirazioni di chi è disposto a sporcarsi le mani nel fango pur di andare avanti. La separazione brucia, e siccome l'altezza risulta irraggiungibile, l'unica soluzione possibile è spezzare fino alla bassezza.
Questo ha fatto, con la brutalità tipica dei privi di pudore.
È scaltro e fluido, come una lingua di brezza ghiacciata; la sua divisa arancione si gonfia di aria a un passo veloce all'indietro, e si scontra con il suo fisico tonico quando il ragazzo scatta in avanti, senza lasciarsi indietro niente.
Taiga continua a non comprendere, perché sono cose che non possono toccarlo.
Quei sentimenti turpi, quella volontà serpentina, quell'ambizione così spudorata. Lui non li ha mai assaggiati né desiderati, e non saprebbe che farsene.
Tuttavia, rimane in piedi, sotto il canestro, con le braccia alzate e la guarda fin troppo alta. Non lo farà passare, perché a nessun costo lui concederà la vittoria all'altro – qualsiasi siano le sue motivazioni.
La battaglia, nel senso di scontro, è un incontro violento di volontà, e anche lui ha qualcosa di troppo prezioso da proteggere.
Kazunari grida, e gli va quasi addosso.
 

***

 

Il vento soffia fresco e allegro, tra di loro, anche in quella zona abbastanza nascosta della scuola. Le belle giornate di primavera si sono fatte piene, andando sempre più velocemente verso la stagione soleggiata delle più lunghe ore di sole: l'estate che bussa alla porta, con molle carezza.
Tetsuya è seduto sopra il gradino di una scalinata di pietra, che poco più in là apre a una piccola piazzetta circolare che si riduce, per lieve dislivello, a una fontana centrale, dall'acqua limpida e profumata di buono. I cespugli bassi ora hanno foglie dal color verde corposo, pieno di linfa utile e di energia essenziale; nascondono fringuelli allegri, che zampettano su un terremo marrone e morbido.
Il ragazzo addenta volentieri un tramezzino ripieno di tonno, per poi masticare lento. Ha lo sguardo perso, e un bicchierone di frullato di banana accanto al proprio bacino, appoggiato a terra. Muove le punte dei piedi di tanto in tanto, con disinvolta spensieratezza.
Ha proprio un'espressione tranquilla, in questo momento.
-Kuroko.
Lo chiama senza aspettarsi di ricevere una risposta così repentina, tanto che rimane qualche secondo zitto e fermo a fissarlo mentre ancora lui mastica.
Per salvarlo dal proprio stesso imbarazzo, il ragazzo è costretto a chiamarlo per nome.
-Sì, Kagami- kun?
Taiga si alza dal muretto su cui è seduto, per sgranchirsi i muscoli delle gambe: è già stato seduto tutta la mattina in un banco stretto, se anche in quel breve tempo di pausa rimane in quella posizione finirà con il ritrovarsi i piedi in cancrena, e la prospettiva non lo esalta.
Il fatto che non ci sia Himuro, lì con loro, lo aiuta abbastanza. Ultimamente lo ha trovato strano, sempre pronto a rientrare nel proprio appartamento con una scusa o con l'altra, quasi che la sua compagnia non gli risulti poi così gradita, o quantomeno non gradita quanto quella di un'altra persona. Ed è brutto pensare questo del proprio migliore amico, anche solo per sbaglio.
E poi, così, può godersi la compagnia di Kuroko senza che nessuno intervenga tra di loro, e per quello che deve chiedere di sicuro è un grande vantaggio.
Cammina all'ombra di un grande albero, che lo protegge dai raggi spietati del sole con le sue fronde generose..
-Se dovessi scegliere un desiderio per cui batterti, quale sarebbe?
Kuroko lo guarda stranito, decisamente sorpreso. Appoggia le proprie mani con il tramezzino azzannato per metà sulle cosce, perché sa che quello è un discorso che non potrò interrompere con tanta facilità – e non lo vuole affatto, in realtà.
-Non saprei dirti, così all'improvviso. È molto difficile.
-Non ci sono cose che desideri?
-Certo che ci sono, è ovvio.
Abbassa lo sguardo, per non venir distratto dai suoi occhi indagatori. Kagami sa essere molto indiscreto, alle volte, anche se non se ne rende pienamente conto, e lui ha bisogno più che mai di soppesare le proprie parole.
-Forse non concepisco l'idea della lotta violenta.
-Mi sembra un po' paradossale, detto da te.
-Dici?
Taiga si rifiuta di rispondere, per semplice cortesia. Gli pare che, ribadendo l'ovvio, si offra soltanto l'ennesima possibilità al dolore, e non è ancora pronto ad affrontare quel tema con Kuroko.
D'altronde, ha molta paura di sapere diverse cose sul suo conto. Prima tra tutte la differenza tra realtà e illusione quando si parla delle sfide nell'arena dei duelli, o come mai Tetsuya sia la federa, più o meno letterale, della Spada di Dios. Non vuole assegnargli alcuna responsabilità preventiva, e sempre si è fidato delle parole di lui come del proprio istinto.
Pretendere risposte prima del tempo, però, è sgarbo, e lui sa di non saper scegliere con attenzione.
-Invece, qual'è il tuo desiderio?
È contento di cambiare discorso, anche se questo lo rabbuia più di prima. Calcia il vuoto, pretendendo di aver trovato un sasso, e si allontana dall'altro per un passo e basta.
-Sto cercando una persona.
-Una persona?
-Io sono orfano. Mia madre morì quando ero davvero piccolo.
Kuroko non lo interrompe, così come niente del mondo circostante.
Il vento, i fringuelli, qualsiasi elemento non testimonia la propria presenza in alcun modo, così da non disturbare quell'avvelenamento del reale con l'ennesimo pesante ricordo.
L'illusione si fa concreta e tangibile, non resta sospesa ma permea in tutto ciò che tocca. E basta che Taiga pronunci qualche parola perché l'incantesimo si compia anche in quel luogo.
-Questa persona mi ha aiutato a ritrovare me stesso, e non l'ho mai ringraziata come dovevo.
-Il tuo principe, forse?
Lo guarda male, senza capire – l'altro alza le mani per mostrarsi innocente, con quella faccia da schiaffi che sempre si ritrova.
-Parli nel sonno.
L'imbarazzo gli impedisce qualsiasi altro commento, e si ritrova a fissare il suolo e le proprie scarpe con insistenza, così da non poter mirare il sorriso dolce di lui.
-È molto romantico da parte tua chiamarlo così, Kagami- kun. Mi sorprendi piacevolmente.
-Oh, stai zitto!
Lo lascia sbollire come vuole, senza interromperlo. La timidezza ha colori ben precisi, non si lascia violare da qualcosa, ed è davvero bella soltanto quando è sinceramente pura. Kuroko si vuole riempire il cuore di quell'immagine, perché è egoista e ha sentimenti fin troppo umani.
Ne vuole ancora, quindi, e anche se non può ottenere tutto, gli basta che gli vengano rivolte poche e precise parole.
-Perché sei venuto qui? Pensi di trovarlo?
Kagami ha un attimo di incertezza, perché a quel punto la svolta tra loro due è davvero definitiva.
Si toglie qualcosa dal collo, e quando gli è vicino abbastanza fa ciondolare dalla mano una catenina di metallo, dove è infilato il suo anello.
-In quell'occasione, lui mi ha fatto dono di un anello.
Tetsuya lo guarda in viso, prima di mirare l'anello che gli sta offrendo.
-Ha lo stemma della scuola.
-Esatto. Ho pensato che potesse essere un inizio.
-Quindi, il tuo desiderio è di trovare questo ragazzo?
-E dimostrargli la dovuta riconoscenza.
-Lo dici come se ne fossi innamorato, Kagami- kun.
-Non dire fesserie.
Il tono è appena sgarbato, serve a nascondere qualcosa di molto più profondo nel mezzo, come una storia complessa e fatta di dolore.
In una chiesa in stile cattolico, degna di una famiglia dalla forte sensibilità occidentale, Taiga ha perso ogni sensibilità che lo legava al creato attorno a lui. Non era servita neve o pioggia, neanche un temporale o una folla particolarmente molesta – soltanto una bara, e il silenzio degli adulti, incapaci di raccogliere le lacrime amare di un bambino solo.
In quel frangente, il gesto felice di un fanciullo è stato molto, per il suo cuore, e questo non lo può in alcun modo dimenticare.
Kuroko ora gli sorride, un poco commosso dalla nobiltà del suo animo.
-Non ci sarebbe nulla di male.
Lui borbotta, conservando per sé altri dettagli di quella scena da sogno. Era piccolo e non ricorda bene, neanche il volto di lui, ma rimembra con precisione un particolare: il profumo delle rose.
-Come potrei amare un sconosciuto? O un ricordo?
-Ma lo stai inseguendo.
Non risponde più, completamente vinto. Gli da la schiena, con piena stizza.
Si perde l'ultimo dei suoi sorrisi, però, che viene ad arricciare le labbra sottili e rosate dell'altro ragazzo proprio quando la brezza torna a respirare attorno a loro.
-Ti auguro di trovarlo al più presto, Kagami- kun.

 

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Capitolo 7
*** *Sesto capitolo* What I want now is to find out Just where I belong and my self-worth Up through today ***


ATTENZIONE
Questa storia è una Fandom!AU profondamente legata al mondo di La Rivoluzione di Utena.
Non conoscendo il fandom di partenza, è difficile che si colgano diversi riferimenti di trama. Vi chiedo scusa per l'inconveniente, ma questa storia è stata costruita in tale esclusivo modo.
Spero comunque sia una buona lettura per tutti voi





 

 

*Sesto capitolo*

What I want now is to find out
Just where I belong and my self-worth
Up through today

 

 

Prova un dolore indicibile – ha un animo troppo fragile, davvero troppo fragile, perché si sorregga il peso di una scossa che oggettivamente non ha radici così profonde da giustificare una reazione come la sua, e l'orgoglio stupido e testarda fa tutto il resto.
Murasakibara lo guarda come sempre lo ha guardato, perché la sua espressione non varia quasi mai, se non si considerano i momenti dei pasti. E anche in quel momento mangia, lentamente, l'ennesimo pezzetto di torta che Himuro stesso gli ha cucinato il giorno prima, con tutta quella panna montata sopra e quella frutta fatta a pezzi e sparsa qui e là.
Ha colto l'occasione per viziare un po' quel giovane, come meglio ha pensato di poter fare: un luogo dove dormire in ogni occasione, al riparo dai continui litigi con Akashi Seijuuro, e dove poter godere quasi in maniera ininterrotta della compagnia di cibo di ogni genere, tra salato e dolce. Gli ha dato un rifugio in cui potersi nascondere a ogni ora del giorno, senza chiedergli nulla in cambio.
Lo ha desiderato a lungo, il suo sguardo su di sé. Ha coltivato per parecchio tempo la dolce illusione di poter entrare a far parte, almeno di un poco, almeno in sordina, del mondo di lui, che lo considerasse appena appena meno della plebaglia che li circonda ogni giorno.
Ha attribuito alla propria gentilezza e alla propria disponibilità un merito morale più che preciso, e ha pensato che anche l'altro potesse pensare la stessa cosa – perché tornava da lui, sempre, e ogni tanto si lasciava scappare qualche commento lusinghiero su quanto fossero morbide le sue cosce su cui puntualmente si addormentava, o quanto buono fosse il profumo della sua stanza da letto, e via dicendo. Ha provato piacere a pettinargli i capelli, in carezze molli, e Atsushi non se n'è mai lamentato, respirandogli con tranquillità contro il ventre.
Tutto questo vissuto assieme a lui non gli ha impedito di pronunciare parole crudeli, con la bocca ancora impastata di dolce e di panna.
-Aka- chin vuole che torni al concilio studentesco.
Pausa, per prendere il pezzo finale della fetta enorme.
-Dice che gli serve il mio aiuto.
Lo guarda solo dopo, con il piattino proteso, aspettandosi di ricevere altra torta. Himuro sulle prime ostenta una innocente incredulità, perché davvero non capisce come mai così tanto all'improvviso tutto debba cambiare a quel modo.
Eppure, non riesce a essere totalmente disinteressato anche nel tono con cui gli si rivolge.
-Ma tu e Akashi non avevate litigato?
-Sì, ma abbiamo fatto pace.
-Ah, e quando?
-Ieri.
Mangia, e alza di nuovo il piatto per leccare le tracce restanti di zucchero. Quasi lo pulisce, da tanta è la cura con cui si prodiga a raccoglie ogni minima impronta bianca. In condizioni normali, Tatsuya ne sarebbe stato davvero felice, ma in questo momento trova molto irritante il non essere ricambiato con lo sguardo, neanche fosse l'ultimo dei pezzenti.
Quello che riceve da Atsushi, ora, è un giudizio di superficialità e irrilevanza.
-Sono andato a far merenda da lui, e mi ha detto che occorre che io torni.
Aspetta qualche secondo, perché lui finisca di bere il suo tè alla vaniglia, prima di fargli un'altra domanda.
Non è sgarbato, e Murasakibara nota benissimo la tensione ai bordi del suo sorriso – non è così stupido, ma neppure così debole da lasciarsi influenzare dal suo malumore: così com'è grosso fisicamente, è anche ben solido nelle proprie convinzioni e nei propri pensieri.
-Tu hai intenzione di andare da lui?
-Non posso certo rifiutarmi. Lui è il presidente.
Si lascia andare a un sorriso soddisfatto, e quindi lo guarda negli occhi, per la prima volta dall'inizio di quella conversazione.
Donandogli l'ultima delle stilettate.
-Mi mancheranno i tuoi dolci, Muro- chin.

 

Zone d'ombra, all'interno dell'istituto scolastico. Mentre il sole va incontro al proprio tramonto, il buio si stende dietro le colonne e i muri, fagocitando quel che rimane non soltanto del giorno ma anche di essenze più intime, che impregnano di sonno e di sogni ogni altra consapevolezza.
Himuro cammina lento, uscito dal laboratorio di chimica dell'ultima lezione pomeridiana. Ha libri pesanti nella propria borsa e un sacchetto di biscotti vicino all'astuccio, proprio quelli che non è riuscito a dare Murasakibara il giorno prima – per quello che sono costati, sarebbe stato uno spreco buttarli via, e che ora, sentendo la loro consistenza contro il bordo della cartella, gli danno solo fitte negative.
Il suo passo distratto lo conduce tra corridoi e scale, in una zona sempre meno illuminata della scuola, e lo fa passare davanti, per solo qualche istante, all'ufficio del consultorio psicologico della struttura.
Dottor Imayoshi Shoichi.
-Dimmi qualcosa che non potrei mai sapere.
Gli sussurra un'ombra, che non ha consistenza e non può essere pericolosa; lui è stanco, assonnato, ha rimuginato per tutta la giornata su questioni poco importanti ed è esausto persino di se stesso.
-Sono molto arrabbiato. Non credevo di poterlo diventare così tanto.
Non si rende neanche conto di star parlando a voce alta, e non c'è bisogno che qualcosa o qualcuno lo incalzi, perché fa tutto quanto da solo.
-Non solo è frustrante, ma è anche inconcepibile. Come se io non fossi mai esistito, in alcun modo.
Passo dopo passo, c'è sempre meno luce attorno a lui, la testa sempre più pesante.
-Non merito neanche la sua considerazione.
Stringe le dita attorno alla maniglia della cartella, con forza rabbiosa – quello gli è rimasto, ora che la coscienza è scivolata via da qualche altra parte.
-Ha sempre trovato la porta del mio appartamento aperta, non gli ho mai negato nulla. E ora, ora che gli faccio qualche domanda, lui si ritrae come un animale ferito.
Parla con il muro, guardando torvo il nulla.
-Come se lo avessi ferito io.
Butta a terra la cartella con uno scatto del braccio, sentendosi bruciare tutto: dallo stomaco a ogni cellulare del suo corpo.
-Che senso ha avuto, allora, essere gentile?
Solo a quel punto, però, qualcosa lo incita – è di nuovo l'ombra seducente che lo induce a continuare, ad addentrarsi di più nel proprio animo.
-Non fermarti, non ancora.
Lui la ascolta, riprende a camminare senza più il peso di alcuna remora, senza più alcun ostacolo morale.
-Io avrei voluto soltanto che fosse felice.
Alza la voce, un poco.
-Ma è chiedere troppo che lo sia con me?
Alza la voce, ancora un poco.
-Perché io sono la persona giusta per lui, non è forse così? Io mi sono preso cura di lui, io lo faccio felice.
Cammina, cammina senza fermarsi. È tutto buio, ora, e neanche uno spiraglio di luce filtra in tutto quel nero.
-Perché mi è arrivato tanto vicino se poi doveva allontanarsi a quel modo crudele?
Nel vortice dell'incoscienza, ogni riferimento spaziale e temporale viene annullato, così che rimanga soltanto una bolla entro cui galleggiare.
-Lo odio, lui e la sua infantilità.
Urla, finalmente.
-Mi ha lasciato con ogni responsabilità di questo sentimento addosso, soltanto a me.
E poi Himuro Tatsuya scompare, con gli occhi illuminati di una luce violetta.
-Odio quel moccioso viziato, che prende tutto e non da mai indietro niente!

 

***

 

Lo odia, con un ardore terribile. Lo odia e sa di odiarlo; non può biasimare se stesso, e neppure tenta di dare un freno alle proprie passioni angoscianti.
Per quello che ha fatto, per quello che è, per quello che gli ha detto.
-Ho dato alle persone la possibilità di essere sincere in modi che non potevano neanche immaginare.
Alle orecchie di Taiga, le sue parole sembrano soltanto facili giustificazioni per un agire sbagliato: argomentazioni di chi è bravo a trarre profitto dall'abilità oratorio, vendendoti ogni menzogna in un dono prezioso contornato di bellezza.
La giustizia è gretta, la decadenza si presenza con raffinata eleganza nelle persone come Shoichi.
Non può perdonarlo, proprio di niente.
Kasamatsu, Takao, Himuro, Sakurai e Mibuchi – anche Reo, che voleva qualcuno in grado di vederlo in una maniera soltanto. Per tutti loro, e per lo stesso motivo per cui può chiamare orgoglio ciò che lo lega a Kuroko, non può perdonarlo.
Affronta il suo ghigno e la sua volontà con la rabbia di una fiera, urlando con tutto se stesso nell'ennesimo incontro delle rose nere.

 

***

 

Zoppica, con una ferita non sanguinante e non presente che gli tende tutto il fianco destro e lo obbliga a reggersi contro il muro di cemento. È scappato dall'arena dei duelli come se fosse stato offeso da una spada, e il suo dolore persiste e si intensifica a ogni metro.
La notte, davanti e attorno a lui, è più tetra che mai, e rigurgita il ghigno e lo sguardo malevolo di Hanamiya come se non fosse neanche degno di far parte del mondo delle ombre.
Segue il suo lento passo e lui sorride, in modo amaro.
-C'è chi ricorda la propria gioia e c'è invece chi ricorda il proprio dolore.
Il ragazzo più giovane ha le mani dietro la schiena e nessunissima intenzione di dargli il benché minimo aiuto. Nello scherno, c'è una notevole dose di sarcasmo, e pure di commiserazione.
-Il mondo si divide tra persone stupide e persone intelligenti, dopotutto.
-Pensavo di conoscermi abbastanza bene da scampare qualsiasi giudizio affrettato, Makoto.
-Invece ti sbagliavi.
Sospira, fermandosi in un punto lungo il corridoio e scivolando verso terra.
-Invece mi sbagliavo.
Makoto sparisce qualche istante – o forse è soltanto lui che chiude gli occhi e quindi non vede più niente, neanche quel piccolo pezzente per cui darebbe la propria vita.
Tutte le rose sono morte, nelle loro mani: lo sconforto più grande, suo, è proprio questo.
Dal muro, esce soltanto la testa di Hanamiya, fino al pallido collo.
-Tu sei come il peggiore degli imbecilli, sul serio.
-Ah, continuare a sentirti mi fa dubitare di me stesso.
Sorride, ancora, e appoggia tutta la schiena alla parete verticale, con il viso rivolto verso l'alto.
Impiega un po' ad alzare le palpebre, notando di star mirando il soffitto di un posto che non riconosce.
E il dolore non è per niente scomparso, scava nella sua carne con insistenza.
-Non ho idea di chi stia ascoltando, se me stesso o il riflesso dei miei desideri.
Tossisce, sputa un grumo di sangue. Non si sofferma a pensare se è qualcosa da considerarsi vero o meno, perché materiale o immateriale quello che sente dentro è più reale che mai – e il dubbio su come catalogarlo lo fa sentire confuso e sconcertato come mai nella sua vita.
Le domande che gli ha fatto Kagami sono penetrate in lui come radici di una pianta troppo forte, e hanno sementato nella sua stessa coscienza. Ripete le parole di quel ragazzo anche al proprio compagno, sperando che almeno lui abbia qualche risposta.
-È così sbagliato credere in un desiderio, Makoto? Io credevo di no.
Makoto però ghigna, e non è niente attorno a lui.
-Qualcosa ti ha fatto cambiare idea?
-La sconfitta è una dura prova per tutti, specie per chi non ha forza.
-Come fai a desiderare qualcosa se non hai la forza per farlo?
Makoto però è crudele, come sempre, e non gli risparmia proprio niente.
Ma se una volta, quando è stato pieno di vita e di ardore, ha trovato proficuo lo scambio dell'irreale con il proprio, ora che si sente al di là di ogni concezione terrena e l'unico sentimento che lo ancora a quel luogo è la morsa sofferente del corpo, non può più giocare con se stesso: non è tanto sconsiderato dal farlo.
-Se metto tutta la mia forza in quello, dimenticandomi di vivere, è facile cadere alla minima scossa.
-Mi diverte il fatto che tu creda di vivere ancora, Imayoshi.
-Sei crudele, a parlarmi a questo modo.
-Non è forse sempre stato così?
Vede il suo sorriso, e in qualche modo ne è rassicurato.
-Sì, nei miei ricordi. O in quello che pensavo fossero.
Mentre lui si alza di nuovo in piedi, Hanamiya prende la propria forma di essere umano – basso, con i capelli scuri e lo sguardo assente – non lo segue più, e lo lascia finalmente andare da solo.
-Sei schiavo di te stesso, Imayoshi. Quanto ridicolo può essere un uomo che non sa dare valore alle cose? E neppure a se stesso?
Imayoshi cammina in avanti, e non si tiene neanche più il fianco. C'è qualcosa che cade di schianto a terra, e forse è il suo corpo, forse è soltanto materia.
Lui continua a camminare.
-Ho abbracciato la causa stessa del mio inganno e sono crollato, pezzo dopo pezzo.
-È ora di mettere fine a tutto ciò, Imayoshi.
-In effetti ho un po' di sonno, ora come ora.
E continua a muovere i propri passi fino a che non è solo ombra e non è solo notte anche per lui.

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Capitolo 8
*** *Settimo capitolo* Heroically, I'll throw away My clothes, 'til I'm nude ***


ATTENZIONE
Questa storia è una Fandom!AU profondamente legata al mondo di La Rivoluzione di Utena.
Non conoscendo il fandom di partenza, è difficile che si colgano diversi riferimenti di trama. Vi chiedo scusa per l'inconveniente, ma questa storia è stata costruita in tale esclusivo modo.
Spero comunque sia una buona lettura per tutti voi

 



*Settimo capitolo*
Heroically, I'll throw away
My clothes, 'til I'm nude

 

 

 

Kagami è abituato ad averlo attorno, e questo procura al suo animo una leggerezza tranquilla di cui gode tutte le volte che riesce. Quando sono loro soltanto loro due, all'interno di quell'appartamento davvero troppo grande, implicitamente sa di vivere qualcosa di molto simile a un'atmosfera familiare, che è tutta loro.
Nel trambusto della sua vita da adolescente, è bello avere almeno qualche punto fermo, per non vorticare come una trottola impazzita senza meta e senza riposo, così da arrivare a perdere persino se stessi – lo ha potuto notare negli altri, e lindo da un timore verso la vita che non è assolutamente suo, ne è rimasto alquanto impressionato comunque, perché dotato di una certa sensibilità e una certa empatia.
Eppure, con Kuroko le cose sono diverse.
Ha imparato a distinguere i suoi sorrisi, a lungo andare, e a intendere le sue espressioni, anche quelle meno visibile. È stato facile, d'altronde, dal momento che vive con lui le giornate dal loro inizio alla loro fine, senza quasi mai lasciarlo. Volendo o meno, si è ritrovato a guardarlo piuttosto spesso. Tetsuya è piuttosto comunicativo, conscio di esserlo e conscio allo stesso modo di non farlo nella maniera appropriata – proprio per questo Kagami si pone diversi quesiti, inerenti ai desideri e alle motivazioni di lui; non crede di essere diventato così intimo con l'altro da potergliele proporre, e per carattere stesso non vuole sollevare quel genere di polemica. A lui, dopotutto, interessano i fatti, così com'è sempre stato.
Ma si ritrova a pensare se questo sia, dalla sua, soltanto un limite, e fino a dove potrebbe spingersi a compromessi per salvaguardare la propria coerenza. Partecipare alla vita altrui con un interesse esplicito vorrebbe dire mettersi in gioco, vorrebbe dire rivolgere sentimenti precisi a quella persona.
Lui non sa cosa prova per Tetsuya, non con esattezza, e si ritrova a tergiversare troppo per qualcosa che, si rende conto, gli è davvero importante.
Però, qualcosa lo può fare comunque, come stargli vicino. O sfamarlo a ogni ora del giorno.
La cura con cui cucina o provvede ai suoi bisogni primari è, per Kuroko, la prova evidente che non è indifferente, perché non può credere che una persona faccia quello che lui a conti fatti fa soltanto per abitudine. E se lui è poco comunicativo, Taiga si perde in particolari inutili che rallentano di molto la sua comprensione, sviando se stesso dal punto centrale.
Lo trova tenero, anche nel suo affannarsi verso la meta.

 

Avere vicino Nigou non è più un grosso problema. Il cucciolo è sempre pronto alle feste e al gioco, reclama il suo cibo con un vigore mai spento e sparge i suoi peli ovunque con attenzione continua.
Quantomeno, però, obbedisce all'ordine del suo padrone di non saltare addosso a Kagami ogni tre secondi, ed è più che obbediente.
Così, Kagami può starlo tranquillamente a guardare, immerso nell'acqua della propria vasca, mentre Kuroko lo insapona per bene e lo pulisce come meglio può con un prodotto adatto al suo pelo e tiepida acqua calma; con la mano a coppa, raccoglie piccole quantità di liquido, e mentre lo risciacqua lo consola con una carezza gentile lungo tutto il dorso. Gli sorride in continuazione, seduto su quello sgabello di legno appena rialzato dal pavimento pieno di acqua e bolle e lasciando che quello scodinzoli ogni volta che incrociano lo sguardo l'un con l'altro.Potrebbe anche essere toccato dalla cosa.
Si muove, scuotendo la quiete dell'acqua, e si sporge dal bordo della vasca bianca in cui è sdraiato. La schiena di Kuroko si offre totalmente alla sua vista, bianca e dritta; ci sono alcune piccole sporgente, le vertebre della colonna, verso la nuca, e sotto la pelle liscia le sue ossa si muovono ogni volta che compie un gesto. Ha i capelli sparati in aria, pregni di umidità e di shampoo.
Parla senza pensare.
-Vuoi che ti lavi la schiena?
Si rende conto di quello che ha appena detto quando l'altro si volta a guardarlo, abbastanza sorpreso della sua proposta. Non è mai successo che Taiga lo abbia toccato di sua iniziativa, men che mai quando condividono momenti di intimità.
Kagami diventa rosso quanto i suoi capelli, e comincia a farfugliare di essersi confuso per colpa dell'alta temperatura dell'acqua.
E che assolutamente magari non è molto il caso che gli lavi la schiena.
Poi però Tetsuya gli parla con un tono netto e deciso, e seda ogni altro tentativo di comunicazione.
-Sì, grazie.
Il fatto che non capisce se gradisce o meno la cosa non lo aiuta per niente, ma non ha la forza di fermarlo quando si alza ed entra nella vasca, tra le sue gambe.
Vorrebbe esplodere. O sciogliersi. O soltanto scomparire.
Il ragazzo davanti a lui resta in attesa, picchiettando la punta delle proprie dita sopra il suo ginocchio, alla propria destra. Non gli dice nulla, e rimane a giocare tra sé e sé.
Kagami gli attribuisce tutta la malizia e la malvagità del mondo, ma soltanto perché è conscio di essere in una posizione di enorme svantaggio – o soltanto perché l'altro non è così timido come lui, e non vive quel contatto in modo tanto sconvolgente.
A pensare a questo, un po' si calma.
Sospira due volte, prima di prendere il sapone e cominciare a spargerlo sulla sua schiena, in una scia corposa, colorata e profumata. Dopo aver riposto il sapone a terra, e ignorando Nigou che pretende un poco di attenzioni, comincia a massaggiare i suoi muscoli.
E Kuroko risponde con un sospiro contento.
-Kagami- kun, hai le mani calde.
-Kagami- kun, resta ancora un po' sulle spalle.
-Anche il collo, Kagami- kun.
-Kagami- kun, sei bravo a massaggiare.
Arriva a capire che lo sta facendo apposta, e l'imbarazzo lascia il posto a una sottile irritazione. Però poi Tetsuya si sporge indietro, arrivandogli proprio addosso. Giusto per sedare qualsiasi tipo di rivolta.
Lo guarda dal basso, con gli occhi che sembrano più grandi del solito, e un sorriso accennato all'angolo della bocca che è fin troppo luminoso, per la resistenza del ragazzo.
-Grazie, Kagami- kun.

 

***

 

C'è un raggrupparsi di folla che attira l'attenzione di entrambi loro, nell'intervallo del pranzo tra le lezioni del mattino e quelle del pomeriggio.
È più Himuro che non Kagami a virare in quella direzione, nel mentre passeggiano l'uno accanto all'altro in prossimità di una delle tante palestre della scuola, con quel fare che ricorda troppo giornate spensierate. Sorride come sempre ha fatto, e lo guarda due o tre volte per vedere se lo sta seguendo o se deve considerare il suo tentativo di curiosare non condiviso nelle intenzioni dell'altro, e quindi non cosa da portare a termine. In realtà, come sempre è stato e come sempre sarà, Kagami lo segue dovunque lui voglia andare, e non c'è davvero bisogno che gli chieda qualcosa in merito o anche solo accenni nel volerlo fare.
Non vuole perderlo, in nessun modo. Non dopo che lo ha visto così distante e così arrabbiato col mondo, a quel modo bestiale che non permette il minimo avvicinamento; non dopo che ha provato quel senso di inadempienza e di inutilità nel non saperlo aiutare in qualsiasi maniera, obbligato nella propria condizione da una foga che non sapeva giustificare in alcun modo. Vederlo soffrire è qualcosa che gli fa troppo male, per qualsiasi ragione.
E quindi lo vizia e lo protegge alla maniera dei goffi, senza mai dargli contro e cercando di proteggerlo in una aurea di rassicurazione e totale appoggio. Per ora, almeno, pare che Tatsuya non abbia niente da ridire, e non trovi il suo comportamento irrispettoso.
Si ritrovano quindi a sbirciare, oltre le teste basse dei loro compagni di scuola, la partita di basket di qualcuno. Sono due squadre separate, bianchi e neri, disposte sul campo, e il tabellone dei punti da un vantaggio netto alla parte di destra.
Quando riescono a seguire con più attenzione l'azione di un giocatore, è anche evidente il perché di questa cosa: il giovane Sakurai è lasciato solo ad affrontare un avversario grande e grosso, che mai loro due hanno visto prima, che senza il minimo tatto o la minima esitazione, gli va addosso e lo scarta con estrema facilità – inutili i tentativi di lui di riprenderlo, perché quello va direttamente a canestro senza più badargli, così da segnare gli ultimi due punti della partita. Urla di gioia mentre ancora l'arbitro fischia, e quindi si rivolge all'altro con un sorriso che pare molto un ghigno.
-Ryou, oggi eri fiacco! È stato fin troppo facile batterti!
Il ragazzo, per i soliti motivi tutti suoi, comincia a scusarsi con lui, e pare di captare il nome di questo alto e biondo sconosciuto, tanto che solo a quel punto Himuro lo riconosce.
-Chi è quello?
Guarda Taiga, con un sorriso tranquillo.
-Wakamatsu Kousuke, capitano della squadra di basket prima che lo diventasse Kise.
Kagami guarda ancora in avanti, cercando di guardarlo meglio. Ora è difficile, perché si sta allontanando verso gli spalti interni, dove è seduto in malo modo Aomine Daiki.
Da come si muove, anche a quella distanza, non pare esattamente molto contento di vederlo.
-È bravo.
-Sì, parecchio.

 

Quella volta, entrando nella serra, Taiga non trova nessun cagnolino a fargli le feste, né la voce calma e posata di Kuroko a dargli il benvenuto, con quella sua solita aria indifferente e l'innaffiatoio in mano. Pensa che il ragazzo sia stato trattenuto altrove, e prova per un singolo istante la brutta sensazione di essere, nel momento sbagliato, nel posto sbagliato: quasi stesse spiando nella camera da letto di una persona assente, con quell'indiscrezione indisponente che tanto odia.
Il suo passo si è già diretto verso l'uscita, di nuovo, quando percepisce un conosciuto odore di tè e sente il rumore di una voce, accompagnata subito dopo dal flebile mormorio lontano di Tetsuya. Allora si inoltra all'interno della serra, accompagnato dalle aiuole piene di rose sbocciate, e arriva finalmente al tavolino bianco in mezzo alla struttura.
Ad attenderlo, non c'è solo Kuroko, ma un ragazzo mediamente alto dai capelli scuri, che lo scruta con attenzione. Il suo Sposo si alza con tranquillità, andandogli incontro per prendere la sua cartella e la sua giacca, per riporle all'angolo di un muretto non troppo distante.
-Kagami- kun, ti presento una persona.
L'altro ragazzo gli sorride in modo decisamente amichevole, così da obbligarlo a proferire un qualsiasi suono.
-Salve.
È affabile, per quando non confidente. Indossa una maglietta chiara, sotto la divisa scolastica abbottonata per bene, con la cravatta rossa che spicca per contrasto perfettamente annodata. E uno strano ventaglio in mano, che continua a muovere.
-Ciao, Kagami. Io sono Ogiwara Shigehiro.
Taiga guarda Tetsuya, messosi di nuovo al fianco di lui, per cercare una spiegazione a tutto quello, con gli occhi. Pare un ragazzino spaesato, che non sa bene come comportarsi.
Non ha mai visto Kuroko dare così tanta intimità fisica a qualcuno, e questo lo turba.
-È un mio carissimo amico. È dirigente del concilio studentesco, ha diretto contatto con il corpo docente.
Si decide quindi a farsi avanti, almeno di qualche passo.
-Kagami Taiga. Piacere.
È lo stesso Ogiwara che lo invita, con un gesto e un altro sorriso ampio, a sedersi vicino a loro. Il ragazzo dai capelli rossi prende posto alla destra di Kuroko, istintivamente mettendo distanza tra sé e quel nuovo giovane uomo. A Shigehiro non crea disagio, per niente, e questo gli permette di tornare a occuparsi del proprio tè – Taiga allunga una mano per recuperare un biscotto, nel frattempo.
-So che tu ti stai prendendo cura di Tetsuya.
-Beh, sì. Sembra che non riesca neanche a cucinarsi le uova da solo.
-Non è cambiato niente, allora. È sempre stato così.
Lo vede ridacchiare, fermando finalmente quel maledetto ventaglio, e un po' di preoccupazione sembra scemare via. Prende anche il secondo biscotto, e con quell'assenza di tatto che in realtà è propria degli orientali, nota una cosa ad alta voce.
-Hai un incarico insolito, per essere così giovane.
Gli risponde Kuroko, mentre versa un'abbondante dose di tè nella sua tazza, avvicinandogli poi quella e il barattolo delle zollette di zucchero. Sorride, e Taiga non sa se esserne geloso oppure felice.
-Ogiwara- kun è molto rispettato e gode di un'ottima reputazione, all'interno del corpo docenti.
Il ragazzo, dalla sua, continua a essere affabile.
-Spero solo di riuscire ad adempire ai compiti che mi sono stati assegnati, tutto qui.
Kagami si vergogna un po' della propria ritrosia, a quel punto, perché pare davvero che il suo istinto gli abbia suggerito cose che in realtà non ci sono.
Ha le guance un po' rosse, e mezzo biscotto in bocca, quando nota forzatamente un'altra cosa.
-La scuola funziona bene, quindi penso che per ora tu stia facendo un buon lavoro.
-Ti ringrazio.
Ancora il tè, e per un po' soltanto quello. Nigou striscia tra le loro gambe, andando a farsi finalmente accarezzare anche da Kagami.
-Facevo notare a Tetsuya quanto un appartamento come il vostro fosse davvero grande, per due persone. Magari vi fa piacere venire a vivere a casa mia, così da farci compagnia a vicenda.
Taiga è colto impreparato da questa proposta, e quindi alza senza neanche rendersene conto la voce.
-Sarebbe davvero troppo disturbo!
-Perché? Sono io che vi sto invitando. Anche io sono parecchio solo.
Taiga si zittisce, di fronte a quell'ennesima prova di cortesia. Non sa come rifiutarsi, e arriva a pensare che, magari, non è così strettamente necessario.
A lui piace, e molto, l'intimità con Kuroko, ma si rende conto che magari, sia per lui ma specialmente per l'altro, sarebbe meglio avere anche altre persone vicine, in particolar modo se sono amiche. Non vuole provare pietà per lui, ma gli è sempre sembrato solo.
Risponde Kuroko al posto suo, prima che il silenzio si prolunghi troppo.
-Ci penseremo, Ogiwara- kun, e ti faremo sapere.
-D'accordo, come preferite.
Non è scocciato, ha una lieve velatura di delusione nella voce.
Sporge a Tetsuya la propria tazza vuota, con un rinnovato sorriso posato sulle labbra.
Il suo ventaglio torna a muoversi.
-Altro tè?

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Capitolo 9
*** *Ottavo capitolo* Like the roses dancing all around me Whirling free ***


ATTENZIONE
Questa storia è una Fandom!AU profondamente legata al mondo di La Rivoluzione di Utena.
Non conoscendo il fandom di partenza, è difficile che si colgano diversi riferimenti di trama. Vi chiedo scusa per l'inconveniente, ma questa storia è stata costruita in tale esclusivo modo.
Spero comunque sia una buona lettura per tutti voi




 

*Ottavo capitolo*

Like the roses dancing all around me
Whirling free

 

 

 

Kousuke non ha l'abilità della Zone, quindi è stato piuttosto facile batterlo.
L'energia che mette nel gioco è decisamente lodevole, e non soltanto perché di prodiga a urlarla contro l'avversario ogni volta che ne ha l'occasione e sembra straripare di forza a ogni passo, con quel passo pestato che quasi lascia l'impronta dove appoggia la pianta del piede. La tenacia, la velocità, i riflessi che gli permettono di non farsi cogliere spesso impreparato, la resistenza stessa.
Manca soltanto di un po' di tattica e di una vera e propria direttiva, questi sono gli unici due punti deboli.
Kagami, poi, non comprende come sia possibile che sia entrato nell'arena dei duelli, essendo lui privo di quella capacità che ha fatto entrare lui. O perché abbia deciso di sfidarlo, essendo lui un perfetto sconosciuto a tutta la sua storia personale. Conosce abbastanza bene Aomine, ma questo significa poco o niente, dal suo punto di vista.
Così come non comprende Sakurai né la sua presenza in quel luogo. È vestito come il suo Kuroko, e questo lo confonde ancora di più. Non si lascia distrarre da questo genere di dettagli, e se con i precedenti suoi incontri ha capito come devono andare le cose, per l'ennesima volta, con quella nuova accoppiata ogni sua certezza si è stravolta.
-Sono qui, Kagami!
Ora è lui che lo affronta, correndogli incontro. Wakamatsu è quasi accovacciato a terra, in una posizione di difesa: non ha intenzione di lasciarlo passare, e tutte le sue forze sono indirizzate a questo tentativo.
Peccato solo che Kagami abbia imparato a tirare da oltre la distanza dei due punti – o abbia imparato a fidarsi molto di più delle proprie capacità, come un giocatore finalmente esperto – e quindi non abbia neanche la necessità di andargli vicino per saltare e far finire la partita.
Altri tre punti, un ultimo canestro. Tutto di nuovo finito.
La Spada di Dios rotola di lato, arrivando a dissolversi come suo solito e finire in una scia di luce all'altezza del ventre di Tetsuya, ancora in disparte.

 

Con piedi e membra stanche, Kousuke entra nello spogliatoio maschile della palestra, sistemandosi meglio il manico del borsone pesante sopra la propria spalla indolenzita. Sembra non esserci nessuno, in quel momento, e in effetti il silenzio e la solitudine sono cose di cui sente particolarmente il bisogno.
Si denuda per coprirsi soltanto con un accappatoio chiaro, dirigendosi quindi verso il box doccia che usava in preferenza quando frequentava ancora quella scuola – prima della sua malattia. Ricorda le ombre che la luce stirava contro il muro, e ricorda la mattonella un po' sollevata verso il fondo, quasi all'altezza della sua caviglia.
Acqua bollente contro la pelle, ben presto l'aria si profuma di sapone.
Esce sgocciolando ovunque, e si accorge di non essere più solo.
-Per quale motivo ti sei avvicinato a Sakurai?
Daiki rimane soltanto per un attimo ancora appoggiato alla parete verticale degli armadietti: dev'essere entrato prima, pensa Wakamatsu, ed aver aspettato che lui finisse di fare quello che doveva per non disturbarlo. Lo affronta subito, però, parandosi di petto contro di lui.
È sempre stato così, nei suoi confronti, e il fatto che non sia cambiato nonostante il tempo passato rincuora abbastanza l'ex capitano, che gli riserva il solito sorriso tirato e l'espressione maliziosa.
-Ora ti interessa della sua sorte?
-No, non mi piacciono semplicemente le persone come te.
-Come me in che senso?
Lo stuzzica, lo provoca apposta, lo lascia in sospeso senza dargli alcuna risposta precisa.
Quello che è sempre stato, tra di loro, è una rivalità più che esplicita che vira pericolosamente sul pregiudizio e sulla rabbia per una questione di caratteri di base troppo simili, troppo agguerriti e molesti.
Aomine è abituato a questo genere di conversazioni che finiscono nel vuoto, ma in questo momento non sopporta il peso della minima frustrazione. È provato già per altre mille cose e non vuole reggere anche l'indelicatezza di un altro essere umano.
-Dimmi perché ti sei avvicinato a Sakurai!
Kousuke mostra tutto il proprio cambiamento in una sola, indifferente frase.
-Perché provavo interesse per lui.
-Non dire cazzate. Non lo provi né lo hai mai provato!
-Forse hai ragione, Aomine. Ma d'altronde non l'ho certo obbligato io ha venire con me.
Non sorride, neanche un poco, ma fa male lo stesso, perché Daiki è convinto, assolutamente certo che l'altro non sia così meschino a pensare davvero quello che ha detto e tutte le conseguenze o cause implicite; è soltanto il fatto che lo abbia detto apposta per farlo arrabbiare che lo irrita profondamente, fin dentro l'animo.
Perché non capisce lo scopo che lo sta muovendo – dopo anni di conoscenza, quello è il primo vero e proprio distacco con Wakamatsu, ed è difficile ammettere quanto sia doloroso.
-Sei un maledetto-
-Pensi che io lo abbia usando? Balle. Volevo solo provare una cosa.
-E che cosa?
-Quanto patetica può sembrare una persona.
Alza il pugno in aria, trattenendo a stento la rabbia. I suoi occhi brillano per colpa non della Zone ma della furia con cui sarebbe pronto a colpire, se solo Kousuke non fosse così calmo tra le sue mani: si domanda quando gli abbia preso il colletto dell'accappatoio tra le dita, tirandoselo quasi addosso.
Gli sente il cuore, e quello non lo tradisce.
Batte come il suo, in piena corsa.
-Mi vuoi picchiare, ora? Lo sai che verrai espulso dalla scuola.
-Non mi interessa niente! Per un verme come te, ne vale la pena!
-Dici? Allora ti propongo una sfida.
-Perché dovrei accettare?
Glielo urla in faccia, troppo vicino alla bocca.
Il tempo in cui ha desiderato di baciarlo è volato via troppo in fretta, lasciando spazio a sentimenti ben più turpi e irrisolti.
Come, per esempio, la sua indelicata passione e il suo travolgente interesse per qualcun altro che si ostina a non voler interpellare in nessun caso, come se la cosa non lo riguardasse affatto. Facile, poi, ritrovarsi un nemico davanti, così pieno di rancore che nelle sue mani ogni tipo di amore si avvelena e diventa puro odio.
Aomine questo non l'ha mai capito, e Wakamatsu è stanco.
-Mettiamola così. Io vinco, e tu verrai con me. Io perdo, e lascerò definitivamente in pace Sakurai.
Ancora più vicino, e poi lontano con una spinta forte.
-Non solo lui, ma anche me.
-Come vuoi, Aomine. Sarà fatto.
 

***

 

-Ti piace stare qui?
Con la bocca ancora piena del cibo che le sue stesse mani hanno preparato – riso alla cantonese e una serie di verdure pastellate con tanto di frittata di udon a parte, più la solita zuppa di miso – Taiga non è riuscito a rispondere alla domanda gentile di Ogiwara. L'altro ragazzo sorrideva, tranquillo, seduto dall'altra parte del tavolo, di fronte a un piatto e una ciotola vuoti: ha apprezzato con diversi complimenti ciò che gli è stato servito, e si è prodigato in ulteriori parole di pregio nei suoi confronti. Per questo, forse, il tempo passato sotto quel tetto sono sembrati imbarazzanti: come una gentilezza inaspettata, che fa così tanto bene al cuore che riscalda ogni altra cosa.
Non è riuscito a rispondere, e a tenuto lo sguardo basso per tutto il resto della cena, lasciando Ogiwara e Tetsuya a parlare da soli.
Al momento di andare a letto, mentre si abbottona la parte superiore del pigiama, Kuroko fa strisciare le pantofole spumose sul pavimento liscio, affiancando il letto e avvicinandosi a Kagami con aria assorta.
-Kagami- kun, tutto bene?
L'altro ragazzo distende fino al bordo del pantaloni la propria maglia, perché lo copra tutto.
Si volge verso di lui: c'è una luna bianca fin troppo luminosa, quella sera, che entra dalla finestra priva di ante od oscuranti. Tetsuya è ancora più bello, immerso in quella luce candida, e la sua espressione preoccupata è motivo di fretta per l'altro.
-Sì, sono solo un po' stanco.
Sospira, socchiudendo gli occhi. Tocca con le gambe il bordo alto del letto, e la tentazione è semplicemente di stendervici sopra per dimenticare, almeno per qualche ora, tutti i problemi del giorno.
-Mentalmente.
È Tetsuya il primo ad affondare nella morbidezza del materasso, prima con le ginocchia e poi con il resto del corpo. Seguendo il suo esempio, Taiga si sdraia sul proprio giaciglio, a poca distanza da lui.
Da quella posizione – ed è stata la prima cosa che ha notato, la prima delle cinque notti che ha dormito lì – riesce persino a vederlo in viso, quando dorme o quando si sveglia. Non ha mai condiviso la stanza con qualcuno, tanto meno con lui, e gli fa un certo effetto.
-Lo posso vedere.
Non gli deve sfuggire il suo disappunto, perché ridacchia e poi sorride.
-Sai, Kagami- kun. Io ti osservo molto. Non che sia difficile capire cosa ti passi per la testa: sei fin troppo esplicito.
Borbotta, un po' preso in contropiede. Le lenzuola del suo letto sono morbide, così come anche il guanciale dove sta appoggiando tutto il viso: si strofina con gli zigomi sporgenti, per ricevere in cambio una carezza molle.
-Beh, neanche tu sei molto misterioso.
Kuroko lo guarda senza fiatare, grato per la visione che gli è concessa.
Kagami borbotta ancora qualcosa di incomprensibile, prima di trovare le parole giuste da rivolgere all'altro, che non siano troppo ma che non siano neanche troppo poco. E trovare un compromesso, per la sua anima, non è affatto semplice.
-Anche io ti guardo spesso.
-Mi trovi interessante?
-Abbastanza.
I suoi occhi brillano anche nel buio della stanza, tanto che deve afferrare il cuscino e stringerlo tra le proprie braccia, mentre ci affonda mezzo viso arrossato. Questo gesto arrossa le gote dell'altro, che lento si alza a sedere sul letto e abbassa gli occhi, cercando di distrarsi con i propri stessi ricordi.
Non capisce né se stesso né tanto meno Kuroko.
-Molti dicono di te che sei inespressivo e quasi indifferente. Si sbagliano, perché tu non sei nessuna delle due cose.
-Mi hai guardato così tanto da capire quali sono le mie espressioni?
-Non ci si impiega molto.
Tetsuya si nasconde di nuovo, ed è così strano e bello che lo faccia. Taiga continua a non capire, ma non ha la minima intenzione di fermarlo.
O di fermarsi.
-Poi però sono rimasto colpito dal resto.
-Resto?
-Sì, da te. Ci sono diverse cose che mi piacciono di te, Kuroko.
Qualcosa li interrompe, proprio in quel momento.
Il vento, all'esterno, ha cominciato a soffiare forte, trasportando le nuvole sopra la luna, e diverse foglie contro il vetro della finestra. Gli occhi di Taiga scattano in quella direzione, e così anche quelli di Tetsuya. Quando tornano a osservarsi, tra di loro è rimasto soltanto l'imbarazzo, e nessuna traccia di quella sensazione molle e carezzevole di prima.
Kuroko mastica un angolo del cuscino, mentre parla.
-Kagami- kun, ti chiedo scusa. È molto tardi, e io ho sonno.
Kagami, prima di stendersi e dormire, sospira un'ultima volta.
-Sì, hai ragione. È meglio andare a dormire.

 

***

 

Aomine ha perso, e questa volta deve scontare pegno.
Taiga rimane un estraneo, sia fisicamente sia mentalmente, alla logica della creazione delle coppie di duellanti, perché non è arrivato a quel punto della vita da accettare, nel proprio animo, sentimenti distorti quali la prevaricazione forzata oppure il disguido psicologico.
Quando però inizia a giocare, davanti agli occhi di Kousuke, non riesce a evocare la Zone neanche una volta. Rimane la belva di sempre, non si risparmia alcuna mossa e alcuna occasione: nella grinta, Kagami riconosce pienamente Daiki, in ogni suo particolare.
Il respiro pesante tradisce ogni cosa, come quello sguardo spento.
-Non ti abbattere!
Kousuke urla, da bordo campo, incitazioni davvero accorate. Resta attento a ogni mossa del suo compagno, non lo perde di vista neanche un secondo come se fosse l'unica attrazione esistente in quell'arena.
Non serve a niente, perché Aomine non reagisce alla sua voce.
Gli scivola la palla di mano, rotolando via. Daiki la guarda mentre si allontana da lui, e c'è quel momento di stasi evidente che persino Kagami recepisce, e a cui reagisce fermandosi in mezzo al capo, con un'espressione preoccupata rivolta tutta a lui.
Non c'è più forza, ora, perché Aomine ha finalmente capito il punto della questione.
La pretesa di agire per il bene degli altri è una giustificazione fallace, illusoria e pretenziosa, arrogante in ogni possibile forma. La santificazione di se stessi in nome di qualcosa di inconcludente non è che la conseguenza di un disagio interiore, profondo e recuperabile a stento.
Quella partita non ha il minimo senso, perché è fatta per uno spettro che fugge, precipitosamente, dalle mani di Daiki.
Wakamatsu, lento, si avvicina al suo sposo. Sente il suo cuore, perché è come il proprio, e gli è più vicino di qualsiasi altra cosa – e per questo, non esisterà mai più nell'attimo dopo, né nella vita di Aomine né nell'esistenza stessa.
-Non ti preoccupare. D'ora in poi andrà tutto bene.

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Capitolo 10
*** *Nono capitolo* But if the two of us should get split up By whatever means ***


ATTENZIONE
Questa storia è una Fandom!AU profondamente legata al mondo di La Rivoluzione di Utena.
Non conoscendo il fandom di partenza, è difficile che si colgano diversi riferimenti di trama. Vi chiedo scusa per l'inconveniente, ma questa storia è stata costruita in tale esclusivo modo.
Spero comunque sia una buona lettura per tutti voi


 

 

*Nono capitolo*

But if the two of us should get split up
By whatever means

 

 


Kuroko vorrebbe dirgli che non riesce più a sopportare tutto quello. Il suo ruolo, il suo fato, la lunga tragedia che stanno portando avanti assieme: dopo tutti quegli anni, gli pare qualcosa di insostenibile, e sente la fatica e la stanchezza mozzargli di tanto in tanto il fiato.
Vorrebbe domandargli come sono arrivati fino a quel punto.
È stato lui a desiderare per primo, tra tutti, la felicità di Ogiwara – quello è stato l'errore primordiale dello Stregone, all'inizio di ogni cosa, con l'innocenza di chi vorrebbe soltanto il bene per il proprio migliore amico e il primo dei propri amori.
Come si poteva immaginare che la benedizione data dalla possibilità di realizzare una simile volontà si tramutasse in maledizione?
Shigehiro ha perso se stesso, nel marasma di magia e che ha avuto tra le mani e quel potere illusorio dato dal suo sacrificio estremo per la sua persona, e lui non è in grado di opporsi in alcun modo a lui.
Fa male, perché sente ancora quel legame che lo attrae al ragazzo in fondo al proprio animo; non si riesce a liberare in alcun modo, neanche volendolo davvero.
Il rimpianto di aver coinvolto Kagami in tutto quello lo ha già ucciso dentro troppe volte. Nello spirito, nella carne, nella coscienza.
E delle rassicurazioni di Shigehiro non riesce a farci niente, come delle sue parole e delle sue carezze.
Capisce di amare un'altra persona, pur rimanendo intimamente e perennemente legato a lui, e questo crea qualcosa di ancora più profondo e avvelenato, come il senso di colpa.
Riscopre sentimenti umani che fanno sussultare il suo cuore, ogni volta che Ogiwara lo chiama nel suo letto.

 

***

 

Non è uno scenario solito, quello che gli si presenta di fronte.
Al di fuori dei confini prettamente appartenenti all'edificio scolastico, dopo una lunga strada serpeggiante costeggiata da innumerevoli e altissimi lampioni di luce giallastra, c'è quello che tutti loro chiamano il mondo degli adulti. Una città brulicante di ombre e colori troppo accesi, suoni squillanti che fanno male alle orecchie, odori sgradevoli di macchine umane o di ferro.
E l'arroganza di chi giudica dall'alto di un'esperienza fatta soltanto arrancando di giorno in giorno.
In un contesto simile, sotto la tendina vivace di una bancarella di ramen da strada, siede Ogiwara Shigehiro, che ripulisce la seconda porzione con cui si è servito. Dall'altra parte dell'angolo che lui occupa, che Mibuchi, seduto come meglio può su uno sgabello troppo basso e troppo piccolo per la sua stazza imponente – ha ordinato anche lui qualcosa da mangiare, sperando di calmare il suo stomaco in subbuglio, ma all'arrivo dell'ultimo loro ospite qualsiasi appetito gli è svanito di colpo.
Akashi Seijuuro guarda entrambi, ancora in piedi contro una colonna portante, cartella in mano e sguardo severo.
-Non capisco cosa tu ci stia proponendo.
Ogiwara mastica per bene il suo boccone prima di rispondere, con il solito sorriso in viso.
Il suo ventaglio è fermo sul bancone orizzontale, comunque vicino al suo padrone.
-La possibilità di realizzare il vostro desiderio.
Le sue sopracciglia non si inarcano né accennano al minimo movimento. Rimane fermo come una pietra, irremovibile e distante dalla cortesia a tratti seducente di quella persona. La bellezza, come l'esplicito intento, è molto affascinante per le menti contorte, e Ogiwara è fin troppo consapevole di questo – lo si può notare, perché si presenta a lui senza ombre o bugie.
Ma lui si crede forte, arroccandosi nelle proprie convinzioni.
-Anzitempo ho rinunciato a esso. È stato quando Kagami Taiga mi ha sconfitto la prima volta e ha fatto suo lo Sposo della Rosa.
Sente la voce di Reo, dopo tanto tempo.
-Sei- chan, quella volta sei stato soltanto sfortunato.
Si volta a guardarlo in faccia, perché c'è ancora qualcosa che lo attrae, di lui: non è il senso della tragedia che hanno condiviso, in quei momenti buio del loro incontro, che li ha portati a una distanza dolorosa quanto angosciante, estenuante, perfida. Dopo che Mibuchi è entrato così tanto dentro di lui, gli ha permesso di guardare oltre la rabbia che provava nei suoi confronti, e quel poco di forza che Akashi ha sempre avuto gli è stato utile per trovare la luce, alla fine, proprio in lui.
Una violazione rimane sempre una violazione, anche alla luce di ciò
-No, Reo. Quella volta ho perso. Non attribuisco ad altri i miei meriti come non attribuisco ad altri i miei demeriti. Neppure alla sorte.
Lo vede sorridere, e ne è un poco turbato.
-Questo mi piace, di te.
Cerca di ignorare lui e i sentimenti incoerenti che prova, tornando quindi a parlare a Ogiwara.
-Quindi, non capisco come mai sono stato invitato qui.
Shigehiro sorride, e prima di rispondere al suo quesito chiede al proprietario del ramen un'altra porzione di cibo, che ha ancora molta fame. Lo guarda mentre gli risponde a propria volta con un sorriso e comincia a sistemare gli ingredienti da mettere nella grande ciotola, tra pasta, brodo e tutto il resto del condimento.
Quando torna a parlare a Seijuuro, la sua espressione calma non è per niente scomposta dal sottile astio del ragazzo.
-La delusione brucia, non è vero? Il tuo orgoglio è materiale molto infiammabile e sensibile, è logico che tu sia così scosso.
Lo percepisce fremere nello spirito, perché lui lo conosce forse meglio di chiunque altro.
Dal principio, ha potuto osservare tutto, azioni e reazioni, sentimenti e atti compiuti. Il suo cuore si è riempito di tutti i loro desideri, e un peso tale ha portato alle sue conseguenze.
C'è chi è privo di scrupoli, nel conseguire al proprio compito; lui no, conserva ancora quella certa morale che non da per scontato ogni dettaglio, e rimane vigile a guardare verso il traguardo, cercando di accompagnare il passo di ognuno.
È la selezione preventiva ciò che lo dipinge come veramente malvagio.
Beve un po' di brodo caldo, tra una parola e l'altra.
-Pensi che una volta chiusa una porta sia troppo ardito tentare di aprirla di nuovo?
Sia Shigehiro che Reo notano, subito, il mezzo passo che il suo piede fa all'indietro, preso dall'istinto di totale repulsione per tutta la questione. Ma se Ogiwara è cosciente che le sue parole non potranno penetrarlo più di così, a Mibuchi serve allungare la mano nella sua direzione e stringere le dita attorno al suo braccio perché la rassicurazione data dalla presenza fisica si trasformi in qualcosa di sentimentale, per il suo intimo.
Lui, dopotutto, è l'asso vincente.
-Sei- chan, questa volta potrebbe essere diverso.
-Perché?
Non lo guarda carico d'odio, e non rifiuta neanche il contatto con lui. Però non comprende come mai speri così tanto di poter cambiare le cose, quando nella logica non è possibile.
Aiuta Ogiwara, ora che il più è stato fatto.
-Pur di non contare sugli altri, tu sei arrivato a sdoppiare te stesso. Cosa pensi che accada, quando cadi su un'altra persona?
-Io non voglio cadere su Reo.
Akashi sente la presa del ragazzo farsi meno stretta, e d'istinto il suo sguardo va di nuovo a lui.
-Tu sei gentile come pochi, Sei- chan, ma io non sono fragile come te.
Colpito, di nuovo, anche dal suo sorriso.
-Puoi fidarti di me.

 

E cade, di nuovo.
La palla oltre l'anello del canestro, da cui pende la rete bianca. L'illusione totale dell'arena e delle loro divise sportive, come se mai sia successo davvero nulla tra di loro. Lui, ancora , a terra, con le ginocchia al suolo e lo sguardo perso, che non trova un appiglio al quale reggersi.
Il Confine del Mondo gli ha mentito una seconda volta, quella definitiva: non c'è niente, per la sua anima stanca, per cui valga la pena continuare.
-Ci sono io!
O forse si sbaglia, forse il dolore della caduta gli ha fatto davvero troppo male per sentire altro che non se stesso. Qualcosa stringe, da dietro – sono due braccia grandi, muscolose, che gli circondano il busto e lo attraggono verso qualcosa di morbido e solito, come un petto provvisto di cuore.
-Ci sono io, Sei- chan!
Sente un tremolio su tutta la superficie che lo tocca, come qualcosa che vibra mentre esce per arrivare a lui. Assieme al calore, è davvero l'unica sensazione che lo ancora a quella terra e non lo abbandona al disfacimento totale.
Poi c'è qualcosa di diverso, sulla pelle esposta e nuda del collo, stille delicate e fredde, che scivolano in gocce lungo la linea definita dei muscoli. Il primo pensiero razionale che Akashi riesce a comporre, nella propria mente, è la definizione di quello: lacrime.
-Non ti lascio...
Si accorge della presenza di Mibuchi, alla fine, quello stesso Mibuchi che ha estratto la propria Spada dal suo petto.
Se avesse avuto rispetto per il suo orgoglio e il suo onore, non gli avrebbe neanche rivolto la parola, mai più. Si sarebbe rifiutato di stare al gioco di Ogiwara a priori, e non lo avrebbe chiamato in causa per i suoi loschi fini.
Eppure, lui è lì, ed è l'unico a poterlo fare. Perché rifiutandosi di spogliarsi completamente al mondo, Akashi non ha permesso né a lui né a nessun altro di avvicinarsi alla sua persona, rimanendo un algido traguardo irraggiungibile.
Si domanda quanto possa essere disperato un amore disposto a fare male pur di non consumarsi del tutto, che scenda a quel livello di marciume pur di non morire e di ottenere qualcosa: la pienezza della gioia.
Mibuchi non ha sacrificato lui, ha sacrificato se stesso in suo nome e in nome di quello che lui definisce come amore assoluto.
Ha un singhiozzo, forte, talmente forte che Reo lo sente e cerca di trattenerlo nel suo petto stringendolo di più; ha il viso contro la sua nuca, e ingoia tutti i propri gemiti. Ma Akashi non regge più, perché ormai tutto è crollato, a partire dalle sue convinzioni.
Era forse questo l'intento del Confine del Mondo? Toglierli da quello stato di indifferenza verso tutta la realtà e consegnare i loro resti alla vita vera, alla vita reale che non è la loro e non è di sicuro rinchiusa entro quelle quattro mura che costituiscono l'edificio scolastico. Rimanendo dentro quei limiti mentali e fisici, non sono riusciti a sbocciare, e hanno ritardato una fioritura necessaria.
Ma quanta crudeltà, quanta perfidia.
Una lezione basata sul dolore e sul trauma, affinché l'anima venga scossa nel profondo lascia, oltre che una totale liberazione alla fine, anche profondissime ferite.
Sa che Kasamatsu Yukio si è di nuovo avvicinato a Kise Ryota e che Kazunari Takao, dopo tre tentativi, si è messo assieme al suo caro Midorima. Ma come scordare Sakurai, che fa fatica a parlare con chicchessia, oppure a Murasakibara e Himuro stesso, che non riescono più a capire quali siano i loro reali desideri e si scontrano e si odiano come se non avessero mai fatto altro.
Lui ha Mibuchi, e finalmente si rende conto di quanta fortuna ha in mano.
Piangendo, si rivolge a Kagami e a Kuroko, accorsi entrambi vicini a loro.
-Io vi auguro tutto il bene possibile.
Si gira, piano, nell'abbraccio di Reo, e finalmente lo ricambia.

 

***

 

 

Tra le sue braccia rimane nudo ben presto, fremente carne viva. Il letto è ancora caldo, con le lenzuola sfatte e un unico cuscino ad accogliere le loro teste, eppure lui non ne riesce a trarne alcun conforto.
-Cosa pensi di ottenere, così facendo?
Ogiwara passa la punta delle dita sul suo fianco scoperto, come se avesse il potere di ferirlo in ogni istante – lo ha, a conti fatti, e ci gioca pericolosamente.
-È una domanda insolita, la tua. Stai avendo qualche ripensamento?
Come risposta ha solo una lieve tensione dei muscoli, da parte sua. Quindi si ripete, sempre in quella maniera dolce e gentile che gli è propria, mai forzando o imponendo nulla.
-Qualcuno ti induce a questo ripensamento?
Ancora troppi secondi di silenzio.
Gli prende il mento, per sollevarlo nella direzione del proprio viso.
-Non devi pensarci. La forza per rivoluzionare il mondo non può appartenere a tutti.
Gli occhi di Tetsuya brillano di qualcosa che gli è, ormai, sconosciuto.
-E se lui potesse farcela?
Gli bacia le palpebre, perché le chiuda, e torni a essere il perfetto Sposo che lui vuole.
-Il tuo desiderio è illusione, Tetsuya.
Se solo tutto quello fosse realmente falso, magari Kuroko riuscirebbe anche a piangere, e invece si deve accontentare di un risentimento che lo fa soffrire ancora di più.

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Capitolo 11
*** *Decimo capitolo* I swear to you I will change the world ***


*Decimo capitolo*
I swear to you I will change the world



 

 

 

Chiesa, una bara piena, di dolore e di spirito che non c'era più.
Oltre il bordo di legno scuro, un bambino raccolse le ultime sue lacrime e si alzò in piedi, accanto a quel principe ammantato di bianco e dal volto gentile.
-Qualcuno sta soffrendo come te.
Così gli aveva detto, e non per consolarlo in modo facile e gretto, ma soltanto per provare la nobiltà del suo cuore. E il fanciullo, nonostante il cuore a pezzi e la emotività fragile, lo aveva ascoltato parola dopo parola, seguendo anche il suo passo.
Nel terrore del pieno dolore folle, la Strega era appesa per le ossa delle spalle: figura nera su uno sfondo rosso sangue.
-È terribile! Perché deve soffrire così?
Questo aveva urlato, sentendo lui solo la sofferenza immensa di quella creatura, e il principe gli aveva spiegato la ragione di quello che vedeva con poche parole.
-Deve scontare una pena per i suoi peccati.
-Ma non è giusto! Qualcuno deve aiutarla!
-Nessuno può farlo.
Kagami aveva guardato un'altra volta la Strega – capelli celesti e occhi grandi – e aveva preso una decisione.
-Sarò io! Io aiuterò la Strega! Io la libererò da ogni suo male! Sarò io il suo principe!

 

***

 

Tramonto, strada verso casa.
Tetsuya ha deciso di saltare le lezioni scolastiche, quel giorno, e obbligare Taiga a fare lo stesso: lo ha portato al mare, nel frattempo, a correre sulla spiaggia assieme a Nigou e a mangiare gelati. Solo all'inizio è stato refrattario, ma poi si è liberato di ogni dubbio quando ha cominciato a toccare l'acqua. Il profumo di salsedine ancora impregna la sua pelle, ed è buonissimo.
Sono alla fermata della metropolitana che li porterà in cima alla collina, verso la residenza di Ogiwara, quando si avvicina di soppiatto a lui – interrompe un suo sbadiglio a metà, con poco garbo.
-Kagami- kun, sei più silenzioso del solito.
Kagami lo guarda male, sulle prime, ma poi la sua espressione torna seria e composta; è massiccio, su quella piccola panchina, e il confronto con il fisico minuto e asciutto di Kuroko è piuttosto evidente.
-Stavo pensando.
-A che cosa?
-Beh, ora dovrebbe essere tutto finito, giusto?
Alza gli occhi al cielo tinteggiato di arancio, cercando nuvole che non ci sono.
-Proprio tutto quanto.
-Hai ricevuto la lettera del Confine del mondo?
-Sì. Mi ha detto che ho vinto.
Sospira, con le braccia in alto. Abbassa di nuovo gli occhi su di lui, e all'angolo della sua bocca c'è un accenno di sorriso dolce. Tetsuya non gli ha mai visto un'espressione del genere, e pare quasi incantato in un secondo.
-Quindi non ci saranno mai più duelli. E non dovrai più fare quelle cose.
-Quali cose, Kagami- kun?
-Ho notato che soffrivi molto, Kuroko.
Non arriva a toccarlo, ma la sua mano si protrae verso il suo viso e quasi lo accarezza sulla guancia; desiste all'ultimo secondo, quando Tetsuya trattiene a stento il fiato.
Rivelare certe cose, quando non ci sono conseguenze all'agguato, è quasi un atto vile e codardo, ma proprio perché non ci sono conseguenza successive la colpa delle parti si affievolisce fino a scomparire, lasciando dietro di sé soltanto una sensazione di benessere.
-Ho pensato di rifiutarmi di fare altri duelli, a un certo punto. Non ci sono riuscito perché sono stato un debole. Devi scusarmi.
Lo dice con tono grave, come se non avesse trovato per troppo tempo le parole giusto.
Tutto, di lui, è esposto a Kuroko, che trova quel raro sentimento di umana e totale commozione a suo servizio. Trattiene le lacrime con grande difficoltà, perché un groppo alla gola gli impedisce qualsiasi tipo di liberazione.
-Kagami- kun, tu non ti devi scusare proprio di niente.
Abbassa gli occhi, trova la sua mano – la stringe, venendo stretto dalle sue dita. E sorride anche, prima di sentire proprio una frase detta dalle sue labbra, con la sua voce.
-Io ti voglio bene.
Non reagisce, e Kagami lo fa per lui, forse troppo: diventa quasi isterico, borbotta con evidente e totale imbarazzo.
-Come si vuole a un amico!
Poi però si ricrede, perché alla fine non è una persona malvagia, e sa quando è il momento di essere davvero sinceri ed espliciti.
Questo è anche il suo bello, d'altronde.
-No, che sto dicendo... non come si vuole a un amico.
Gli stringe la mano, avvicinandola a sé.
-Ben più.
Alza piano lo sguardo al suo viso, scoprendosi timido quanto lo è lui. Non ci riesce, deve tentare una seconda volta e anche una terza. Kagami, dalla sua, diventa sempre più rosso, ma non molla la presa né sfugge alla sua presenza.
Si ritrovano con quelle espressioni serie, come se non stessero neanche parlando d'amore.
-E allora, il tuo principe?
-Lui cosa c'entra? Siete due cose diverse, per me. Lui è importante perché è il mio punto di riferimento, tu sei importante perché sei tu.
-È una risposta un po' scortese...
-S-scusami!
Riescono a ridere, dopo un po' – ci riesce prima Kuroko, a sentire il suo tono allarmato, e dopo qualche secondo anche Taiga, contagiato da lui. Le dita si intrecciano, lente e gentili, e non importa neanche più che la metropolitana passi, accanto a loro, e riparta per la sua corsa.
C'è tutto il mondo che gli serve, sul viso di Tetsuya.
-Anche io ti voglio bene, Kagami- kun.
C'è tutto il mondo di cui necessita, sulle labbra tremanti di Tetsuya. Sanno troppo di buono, perché si accontenti di una sola volta.

 

***

 

Scende, sull'arena dei duelli, il castello di Dios, con i suoi cancelli spalancati e le porte aperte ai visitatori e a coloro che hanno finalmente il diritto di varcare i suoi confini.
Si dissolve scontrandosi con il suolo, come una rocca che cade pezzo dopo pezzo e si sfracella contro una resistenza troppo dura da vincere; allora ci sono le torri, il tetto che si sfascia, le finestre eleganti in una pioggia di macerie pesanti quanto nuvole bianche. Pesante quanto la volontà che si accontenta di mistificazioni fantasiose e imponente come il sogno di un bambino distratto.
Rimane soltanto il cielo, sopra di loro, e costellazioni imperiture.
Qualcosa è cambiato lo stesso, però, perché davanti a Kagami si presenta il Confine del Mondo, e questo modifica la sua espressione in rabbia pura.
-Tu!
L'interpellato si avvicina a lui piano, passo dopo passo.
È elegante, come lo Sposo della Rosa, e ha fascino sia nelle movenze sia nei gesti che accompagnano questi – e nonostante tutta la sua aurea di nobiltà, come quella di un vero e proprio principe, Taiga non si smuove dalla sua furia.
-Quindi sei davvero tu!
Quasi urla, accanto a Kuroko, mentre la luce rivela sempre più dettagli dell'altro ragazzo: il vestito bianco, come quello di Tetsuya, i capelli pettinati all'indietro e mille altri gioielli. Un mantello rosso, sulle spalle.
-Sono io, Taiga?
Ogiwara si ferma davanti a lui, alla fine, e questa volta il sorriso sulle sue labbra è meno socievole e aperto, appena più cauto. Per quanto sia fiducioso nella propria vittoria, c'è ancora qualcosa che non ha avuto modo di considerare, e che potrebbe rivoltarglisi contro.
-Tu sei il Confine del Mondo!
-Sì, sono io.
Lo ammette con tranquillità, anche perché a questo punto sarebbe inutile negarlo – forse confonderebbe di più Kagami, o lo attizzerebbe come un bufalo impazzito verso il suo telo rosso e la spada nascosta in esso. L'ultima delle cose che può fare, a quel punto, è proprio dimostrargli la propria superiorità e la propria forza. Chiama Kuroko a sé, porgendogli la mano.
Taiga sulle prime non capisce cosa stia accadendo, e continua a guardarlo con perfetto furore. Poi, però, quando Tetsuya comincia a muoversi, il suo sguardo e la sua attenzione finiscono per dirigersi sulla sua persona, e quindi anche sui movimenti che sta compiendo.
Quindi, senza che lui trovi la forza di commentare, Tetsuya si fa al fianco di quel Dios corrotto e gli offre, con languido abbandono, la sua Spada.
Non c'è peggior tradimento che quello, per Kagami.

 

È brutto accorgersi solo in quel momento di cose così radicate nel suo spirito e così implicite da averle dimenticate con la ragione stessa.
La Strega, o lo Sposo della Rosa, o ancora Tetsuya Kuroko, rimane appeso a un nulla di dolore, con le braccia in alto e il corpo esposto a qualsiasi tipo di offesa gli venga inferta. Questo è lo scotto della sua maledizione: l'aver corroso il desiderio di qualcuno con la propria indigente volontà.
E Kagami lo sente, fortissimo, nel cuore.
A terra, sconfitto da Ogiwara come neanche Aomine era riuscito, inerme nella propria sofferenza, può percepire la sensibilità distrutta dell'altro – è paradossale come solo in quella situazione lui riesca a farlo, con il cuore così distrutto e più niente a cui appellarsi, neanche la ragione.
C'è un principe fasullo a cui avrebbe votato volentieri la propria esistenza, che ora cammina sempre di distante dal suo corpo abbandonato e palleggia, con quella sfera luminosa e perfetta, verso il suo premio: il potere racchiuso nello scrigno dorato di quel che resta del castello di Dios.
Quella è la chiave, quello è colui che la può usare.
Ma mentre Shigehiro tenta di forzare la serratura, Kagami può assistere alla stessa scena di allora, ugualmente impotente. Non c'è alcuna nobiltà che lo smuova, alcuna pietà, alcuna commiserazione.
-No.
Invece che attaccare Ogiwara, il mondo attacca la Strega, con tutta la crudeltà e la forza di cui dispone.
-Non voglio.
Non può accettarlo.
Kagami si alza a fatica, reggendosi sulle proprie braccia tremanti – l'anello che ha al collo, sfilandosi dalla catena rotta, rotola a terra, fino a perdersi in un tintinnio lontano.
Riesce a ergersi sulle proprie gambe, dopo qualche tentativo, e a camminare verso lo scrigno. Sorpassa Shigehiro, che inutilmente gli fa notare quanto futile sia il suo sforzo; non lo ascolta, perché ora ha la maturità di distinguere con esattezza il bene dal male, e non lasciarsi ingannare da nessuna lusinga. Ogiwara non ha niente per lui se non pena.
Kagami inciampa, e cade sopra lo scrigno.
Forza a mani nude la serratura, mentre il mondo lo deride e la Strega lo guarda dall'alto.
Forza, con mani nude e ricoperte di sangue, l'apertura dello scrigno, e riesce nel proprio intento.
Quello che trova non è che il vero Kuroko Tetsuya, che finalmente lo può guardare con i propri occhi pieni di paura.

 

Mentre il mondo cade a pezzi, le loro mani sanno incontrarsi nel mezzo.
E sfiorarsi, prendersi di nuovo, con le dita protese.
Non c'è niente di più bello e perfetto di quello.

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Capitolo 12
*** *Epilogo* ***


*Epilogo*

 

 

 

Il suo sorriso è rimasto quello di sempre, anche se circondato da barba rossiccia e ispida.
-Mi ricordavo quale tè ti piacesse.
Ha qualche ruga, a lato degli occhi, e i capelli appena più lunghi sulla nuca.
-Sì, ricordavi bene.
Sa di avere qualche incuria del tempo sul viso a propria volta, come quelle fossette agli angoli della bocca, e il fisico non più così minuto.
Kagami lo guarda come se fosse un prezioso tesoro, e lo fa sentire bene.
-Perché mi fissi?
Nello sguardo di lui, c'è sempre quell'innocenza di fondo,ma per quanto le sue guance si colorino di piacere, non c'è molto imbarazzo ad appesantirgli gli occhi, che continuano così a guardarlo. La sua voce, anche, è diventata più calda e posata, come quella di un uomo adulto.
È proprio bello, e lo fa arrossire.
-Ti attendevo da tanto tempo.
Dieci anni sono passati, dall'ultima volta che gli è stato permesso di toccarlo.
Dieci anni a cercarlo ovunque, dieci anni lontano da quel maledetto istituto scolastico e da ogni schema preimposto che divide in bianco e nero ogni possibile slancio umano di categoria.
Dieci anni che Kagami è andato via, e lui ha dovuto cercarlo.
Prova per lui soltanto attrazione pura, incontaminata da odio o da rancore. È stata la sua volontà a portarlo lì, e Taiga lo ha accolto a braccia aperte.
Ha una casa nuova, tanto spazio e tanta luce, un bel giardino con una cuccia pronta per un cagnolino in arrivo, che sarebbe dovuto arrivare da un momento all'altro. Un letto matrimoniale, oggetti da dividere in due persone.
Una foto del piccolo Tatsuya sul comodino del salotto, perché il cuore non possa mai dimenticare le cose davvero belle della vita passata.
E una teiera che non ha mai usato prima di quel pomeriggio.
Non è più goffo, d'altronde, e Kuroko lo nota quando, dalla propria sedia, si alza per andare da lui.
-Mi ami ancora?
-Non ho mai smesso.
Nessun dubbio a riguardo.
Ritrovano la felicità l'uno sulla bocca dell'altro, e finalmente è pace vera.

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