Va bene così

di Barry Q
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO: chance ***
Capitolo 2: *** Una piovra di nome passato ***



Capitolo 1
*** PROLOGO: chance ***


Desiree prese posto sulla sedia che le venne offerta.
Le tremavano le mani, ma andava bene così. Significava che teneva a quel posto di lavoro più che a qualsiasi altra cosa riempisse le sue giornate, significava che ne sarebbe valsa la pena.
Per l'occasione aveva indossato un cardigan viola, il colore che le aveva sempre portato fortuna, o così credeva, ed una gonna di lino nera lunga fino alle caviglie.
Copriva le gambe, copriva i grossi polpacci, le orride vene varicose che cominciavano a sbucare, numerose e fiere.
Si era dimenticata di sfilarsi il lungo trench color crema, ma non importava poiché nell'ufficio della preside Farrini la temperatura sfiorava lo zero e Desiree non si sarebbe affatto stupita di vedere spuntare un pinguino da sotto la scrivania.
Si trattava di una stanza tutta decorata sulle tonalità del grigio. Grigio alle pareti, grigio sui mobili, grigia la moquette; grigi erano persino i fiori appassiti che agognavano un solo raggio di sole, sufficiente a placare la loro inesorabile discesa verso una morte assicurata.
Persino il cielo al di là della finestra era grigio.
La preside Farrini picchiettava le dita sul tavolo, assorta nei propri pensieri, persa tra le parole in carattere Times New Roman che si accalcavano sotto la scritta “Curriculum Vitae, Desiree Mancini”.
Desiree, dal canto suo, non riusciva a non guardarsi intorno e a non scostarsi dal viso le ciocche di capelli castani che in realtà non si erano mosse di un solo millimetro, intrappolate com'erano in una coda di cavallo che non l'aveva soddisfatta minimamente ma che i minuti di ritardo accumulati non le avevano concesso di aggiustare.
Non si era nemmeno truccata e pregava Dio che il pallore del suo viso orribilmente rotondo non terrorizzasse la preside, pregiudicando il suo futuro lavorativo.
Da anni tentava di farsi assumere e da anni falliva miseramente.
“Signorina Mancini” esordì d'un tratto la donna al lato opposto della scrivania, sistemandosi gli occhiali sul naso e penetrando le difese di Desiree con quel suo sguardo da predatrice che da decenni intimoriva generazioni di studenti “Signorina Mancini, che curriculum!”.
Desiree non riusciva proprio a capire se la donna fosse entusiasta o semplicemente indignata.
Azzardò un sorriso e sospirò di sollievo quando la Farrini lo ricambiò, rivelando una dentatura storta e ingiallita dalle troppe sigarette fumate.
“Ma mi dica” riprese, abbandonandosi allo schienale della poltrona di pelle sulla quale sedeva e accarezzandosi il mento con una mano “Perché dovrei assumerla? Perché dovrei finanziare questo suo progetto?”.
Desiree, la quale già si torceva le mani, al riparo da occhi indiscreti sotto la superficie macchiata di caffè della scrivania, si schiarì la voce e si impose di mantenere la calma.
Non era arrivata fin lì per mandare tutto in aria un'ennesima volta. Non era arrivata fin lì per stringere la mano a chi aveva in mano il suo futuro e andare via.
Era arrivata fin lì per restare, per fare qualcosa, per aiutare, per essere se stessa, per ricorrere alla verità e cambiare le cose.
“Tengo a questo progetto più che a qualsiasi altra cosa io abbia fatto nel corso della mia vita” confessò “Il bullismo nasce tra le pareti di scuola, ma ce lo si porta dietro per sempre. Voglio raccontare la mia storia e cambiare quella di chi non ha il coraggio di dire basta”.
“È ammirevole” annuì la preside Farrini, risistemandosi gli occhiali sul naso e passandosi una mano tra i sottili capelli castani, umidi d'unto o di sudore “Ma vorrei prima conoscere io la sua storia. Le dispiace?”.
Nella mente di Desiree si affollarono le immagini di una vita intera.
Il sangue, le grida, Marcello, Lucia, quella triste rosa bianca, il volto duro di Giacomo, le lacrime di Ettore.
Ricordò tutto e le vene mutarono in tubi di ghiaccio, raggelati dai ricordi di un inamovibile tumore.

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Capitolo 2
*** Una piovra di nome passato ***


CAPITOLO SECONDO

Una piovra di nome passato

 

Sei dei nostri.

Nella piccola e fredda casa che da mesi era testimone dei suoi tormenti e delle sue mille domande al secondo, Desiree non si era mai sentita davvero a proprio agio, eppure quella sera qualcosa era cambiato e persino le macchie d'umidità alle pareti sembravano aver assunto i contorni di tanti volti felici, esatto riflesso del suo e della gioia che ne increspava le labbra.
Sei. Dei. Nostri.
Con voce mossa da una strana commozione ed i dentastri ingialliti sempre in bella mostra, la preside aveva pronunciato quelle tre semplici parole e d'improvviso il mondo di Desiree aveva ricominciato a girare.
Che le cose stessero cominciando ad andare per il verso giusto? Dopo tutto il tempo passato a piangersi addosso?
Si concesse un rinvigorente bagno caldo, una cena surgelata e scaldata in fretta e furia al microonde, un po' di zapping davanti alla TV e SBANG!
Si premono gli interruttori, scattano i salvavita, esplodono le lampadine e alla loro stessa velocità il palloncino d'allegria di Desiree, stravaccata e al settimo cielo sul suo scomodo divano, semplicemente scoppiò. Puff. Rapido come s'era gonfiato.
Aveva tentato per ore di concentrarsi sul meglio, di lasciare da parte tutto il dolore che era stata costretta a richiamare dalle acque più profonde, a rivivere per il bene di quella magnifica impressione che le aveva garantito un posto di lavoro, il posto di lavoro, eppure quel benessere, per quanto agognato, non bastava a sopraffare tutto il resto.
Parlare di Lucia non era mai stato facile, ma raccontare la loro storia nei minimi dettagli lo era stato ancora meno.
Come ignorare quell'ingombrante passato? Come ignorare il sangue che macchiava quegli orribili ricordi?
Gli occhi le si riempirono immediatamente di lacrime, la gola le si strinse come in balia della più ferrea delle morse, lo stomaco si ribellò, intenzionato a svuotarsi con violenza.
Fissava il televisore, ma non vedeva nulla.
Osservava gli attori muoversi all'interno del cubo, ma non vedeva che lei.
Lucia.
Lucia, Lucia e ancora Lucia.
Erano passati anni, ma gli anni non sono che file di giorni ed i giorni, si sa, non scorrono mai troppo in fretta.

 

Oh, bene, il nostro maiale snob preferito s'è degnato di farsi vivo”.

Desiree prese posto, lo sguardo fisso sulla superficie liscia e linda del proprio banco.

Ignorala, continuava ad intimarsi, ignorala e non piangere, Guai, Desiree! Guai a te!

Come mai così silenziosa?” proseguì Lucia con quella sua voce da unghie sulla lavagna “Colazione pesante? Stai per vomitare? Oh, beh, non la riterrei affatto una sorpresa, dal momento che non fai altro che mangiare, lurida...”.

Piantala, Lucia!”.

No, Sara, piantala tu. Che? Ti piacciono le obese vestite da Barbie Culo Moscio?”.

Sara tacque, come da copione.

Desiree la odiava forse più di quanto odiasse Lucia, poiché sapeva che Sara non faceva altro che fingere, non faceva che mascherarsi di impertinenza per non finire nelle sue condizioni, per non essere una vittima, per non subire, per non rivivere gli orrori che si era lasciata alle spalle quando aveva finalmente trovato il coraggio di parlare con i suoi genitori e cambiare scuola.

La odiava perché se Lucia non capiva, Sara fingeva di non capire. Se Lucia colpiva, Sara uccideva.

Ma leggiamo un po' qui” andò avanti Lucia, furibonda per il modo in cui Desiree continuava a non guardarla, ad ignorare il suo patetico spettacolino “Caro diario, è così che si comincia, no? Mi chiedo e mi richiedo: perché Giacomo deve comportarsi in questo modo? È amico di Marcello! Come fa ad andare d'accordo con un ragazzo così dolce e poi atteggiarsi a idiota patentato quando provo ad avvicinarmi a lui? Io davvero non...”.

Basta, Lucia!”.

Sara, ti ho detto di...”.

Ma si interruppe.

La sedia su cui Desiree se n'era stata seduta fino a quel momento adesso era vuota e se il nemico non è in scena, ovviamente, la recita non ha motivo d'esistere.

Dov'è andata, la vacca?” domandò, chiudendo con forza il diario di Desiree ed infilandolo nuovamente nella borsa.

È scappata via” spiegò Sara, cupa “Lucia, io non credo che...”.

Taci” sbraitò Lucia “Taci o comincerò a prendermela con te!”.

 

Bussarono alla porta, con così tanta violenza che quasi la scardinarono.
Desiree sussultò, cominciando a guardarsi intorno con fare allarmato.
La TV ancora blaterava, il divano era ancora scomodo, il suo volto di nuovo rigato di lacrime e trucco.
Bussarono di nuovo. La donna lanciò un'occhiata all'orologio da parete e sospirò.
“Arrivo!” esclamò poi, alzandosi ed imprecando a mezza voce.
Detestava le visite improvvise di Giada, la sua migliore amica, e ancora meno quando queste arrivavano nelle serate come quella, avvelenate dai ricordi e da pianti che si era ripromessa di non assecondare mai più.
Sicura, spalancò la porta. Il cuore mancò uno, due, tre, cento, mille battiti.
Senza pensarci su un solo istante, richiuse la porta con eccessiva energia e si voltò, appoggiandosi con la schiena al freddo legno.
“No” biascicò, tergendosi il viso con le maniche del cardigan “No, no...”.
Calma, si disse, Mantieni la calma, Desiree. Ti scongiuro!
L'uomo sul pianerottolo bussò una terza volta, con sempre maggior ferocia.
Non si trattava di Giada, nient'affatto.

Mi chiedo e mi richiedo: perché Giacomo deve comportarsi in questo modo?

Dopo tutti quegli anni, si ritrovò a chiederselo ancora.

 

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