Cento sterline per Poirot

di Adeia Di Elferas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Una villa immersa nella neve ***
Capitolo 3: *** Aspettando la cena ***
Capitolo 4: *** Non uno di meno ***
Capitolo 5: *** In tredici a tavola ***



Capitolo 1
*** prologo ***


~~
 “Ah, oui.” disse Hercule Poirot, guardando fuori dal finestrino la campagna innevata che correva accanto al treno.
 Ariadne Oliver cercò nella borsa una mela, la pulì in fretta contro la manica e soffiò, esasperata: “Vedete, amico mio? Se l'assassino è il tenente Brown, allora Sven si sbaglia, ma se l'assassina è la signorina Moore, Sven ha ragione, ma a quel punto, cosa c'entrava la lettera trovata sul luogo del delitto?”
 Poirot strinse le labbra, pensieroso, senza rispondere. Vedeva la sua immagine vagamente riflessa nel vetro che gli stava davanti e notava con piacere che i suoi baffi neri e arricciati erano in perfetto ordine.
 Visto che Mrs Oliver sembrava in attesa di un qualche commento, Poirot soggiunse: “Ecco perchè preferisco risolvere crimini veri, invece che quelli dei romanzi gialli.”
 Ariadne alzò un sopracciglio, trovandosi d'accordo, stacco con un sonoro crac un morso dalla mela e sentenziò, a bocca ancora piena: “Se potessi, farei anche io come voi.”
 Poirot sorrise distratto, sempre guardando la neve bianca che ricopriva ogni cosa attorno a loro. Quel clima gli ricordava tremendamente quella volta in cui aveva percorso la transiberiana a bordo di un treno carico di assassini. Il solo ricordo lo fece rabbrividire.
 “Avete freddo, Poirot?” chiese Mrs Olvier, fissandolo divertita. “No, no...” si affrettò a dire lui: “Solo... Ricordi.” concluse, laconico.
 Mrs Oliver si accontentò della spiegazione e tornò a riguardare i fogli di appunti che teneva sul sedile accanto.
 Nello scompartimento si era creato un piacevole tepore, che rendeva molto gradevole la vista della neve sui campi. A Hercule sembrava di capire a fondo i versi latini che dicevano quanto fosse bello vedere una nave che affondava in lontananza, sapendo di non esservi sopra.
 Forse era un pensiero molto egoista, ma gli infuse un grande senso di pace.

 “Secondo voi perchè ci hanno chiamati?” chiese Ariadne, riunendo i fogli, stufa di cercare una scappatoia per il suo odiato protagonista Sven Hjerson.
 Poirot si lisciò il bavero della giacca e inclinò la testa verso destra: “Non saprei. Voi conoscevate bene la signora Thomson?”
 Mrs Oliver sbuffò: “L'avevo incrociata una sola volta a Londra, ormai più di vent'anni fa... Dubito che la nostra si potesse chiamare amicizia...”
 Hercule sporse in fuori il labbro: “Molto strano.”
 “E voi, Poirot? La conoscevate bene?”
 L'uomo scosse piano il capo: “Non l'ho mai vista in vita mia, Mrs Oliver.”
 “E questo non vi pare strano?” chiese Ariadne, infilando il plico di fogli nella borsa, non badando troppo a tutte le pieghe che infliggeva loro con quel gesto affrettato.
 “Oui, molto strano.” convenne Poirot: “Mais...” aggiunse, accigliandosi: “No, non saprei.”
 “Mh, qualcosa che il geniale Hercule Poirot non sa.” gongolò Mrs Oliver: “Da annoverare negli annali.”
 Poirot sorrise benevole e si abbandonò di nuovo contro lo schienale: “Spero solo che questo viaggio finisca presto.”
 “E che non succeda nulla di spaventoso.” fece Ariadne, incrociando le braccia sul petto.
 Poirot la guardò in tralice: “Il vostro sesto senso dice il contrario, forse, ma amie?”
 Mrs Oliver alzò le spalle in modo plateale: “Non saprei Poirot. Non mi piace muovermi con tutta questa neve, tutto qui.”
 Hercule la guardò ancora un momento, poi si concentrò di nuovo sul paesaggio. Ormai il sole stava calando e la luce dello scompartimento si rifletteva contro il vetro, rendendo quasi impossibile distinguere qualcosa.
 Stava ricominciando a nevicare, quello lo si capiva, e Poirot aveva il sentore che, più si fossero addentrati nel nord, più sarebbe nevicato.
 Mrs Oliver sospirò e chiuse gli occhi, così anche Poirot si decise a rilassarsi, benchè essere ancora in viaggio a quell'ora non fosse nelle sue corde. Per fortuna anche la sua amica Ariadne aveva dovuto prendere lo stesso treno e per il suo stesso motivo.
 'Un'eredità' pensò Poirot: 'di una donna che non conosco...'
 Approfittando degli inequivocabili segni di assopimento della sua compagna di viaggio, Poirot prese lo specchietto che teneva in tasca e si diede una sistemata millimetrica ai baffi.
 Lo rimise in tasca e ricominciò a pensare. Chi mai poteva lasciare una parte di eredità a uno sconosciuto? E soprattutto, perché?

 

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Capitolo 2
*** Una villa immersa nella neve ***


~~ “Siamo arrivati, Poirot...” disse Ariadne, alzandosi per indossare il cappotto.
 “Bien.” annuì Hercule, accingendosi a fare altrettanto.
 Uscire dal vagone confortevole e caldo fu per entrambi un'esperienza traumatica. L'aria era gelida, e il vento soffiava senza sosta, rendendo i fiocchi di neve un turbine attraverso il quale era impossibile vedere alcunchè.
 “Venite, Poirot!” esclamò Mrs Oliver: “Credo di aver visto l'autista che ci è stato promesso!”
 Poirot seguì con fiducia la donna, stando attento a non scivolare sulla neve fresca che riempiva completamente la banchina.
 Si trattava di una piccola stazione di paese, quattro assi di legno e una biglietteria, nulla di più. Oltre a loro era sceso dal treno solo un altro passeggero, un uomo alto, sulla trentina, che si teneva il cappello in testa con una mano, per paura che il vento glielo portasse via.
 “Siete voi l'autista di Mrs Thomson?” chiese Ariadne, quando raggiunsero l'uomo che secondo lei era lì per loro.
 Questi annuì, stringendo gli occhi contro la bufera: “Sono Albert Johnson, l'autista, sì. Voi siete...?” domandò.
 Aveva pochi e sottili capelli neri, orecchie a punta e labbra violacee. Le sue guance rientravano, tanto egli era magro, e la sua spalla sinistra era decisamente più alta della controlaterale. Nell'insieme, era una figura grottesca.
 “Mrs Oliver e Mr Poirot.” fece Ariadne, con un sorriso a metà. Stava congelando e non vedeva l'ora di mettersi in automobile e sottrarsi a quella tempesta di neve.
 “Bene.” fece l'autista: “Stiamo aspettando anche il signor Philip Hall. Oh, eccolo...” disse a voce bassa, mentre l'altro passeggero che era sceso li raggiungeva.
 Il treno fischiò e riprese ad arrancare sui binari congelati. Non appena il rumore fu abbastanza lontano, l'autista salutò il nuovo arrivato: “Mr Hall, è un piacere rivedervi.”
 Philip Hall ricambiò con un gesto secco del capo e poi squadrò Poirot e Mrs Oliver. Indugiò qualche secondo di troppo sulla seconda, e poi disse: “Allora, andiamo?”
 L'autista fece un mezzo inchino e guidò i tre verso l'automobile che stava parcheggiata appena fuori dalla stazione.
 
 “Tempo pessimo.” disse Hall, sedendosi accanto all'autista.
 “Pessimo davvero, signore.” concordò egli, mettendo in moto.
 Poirot e Mrs Oliver erano seduti dietro, senza sapere come inserirsi nella conversazione degli altri due che, evidentemente, si conoscevano già da tempo.
 Mrs Oliver cercava di scorgere qualcosa al di là del finestrino, ma il buio e la neve non le lasciavano vedere nulla. Poirot, invece, non faceva altro che guardare il proprio cappotto pieno di neve, chiedendosi quando avrebbe avuto modo di sistemarsi e mettersi vestiti asciutti e puliti. Non sentirsi in ordine era la cosa che più odiava al mondo. Forse ancora più degli omicidi e degli assassini...
 Così proseguirono per qualche minuto in balia delle chiacchiere sul clima del posto di Mr Hall e mr Johnson e a tutti andava bene così.
 Fu mr Hall a ricordarsi improvvisamente della presenza dei due ospiti. Si voltò verso di loro, sporgendosi oltre il proprio sedile: “Non mi sono presentato.” cominciò: “Sono Philip Hall, il nipote della compianta Mrs Thomson. Voi invece? Come mai conoscevate la mia prozia?”
 Poirot stava per aprire bocca, ma Mrs Oliver lo anticipò: “Io sono Ariadne Oliver e questo è il mio amico Hercule Poirot.”
 Hall ebbe un fremito appena percettibile che gli attrversò il viso cavallino fermandosi agli occhi castani, che si piantarono in quelli di Poirot: “Hercule Poirot il detective?”
 Hercule sorrise con un certo distacco: “Oui.” rispose: “Credo proprio di sì.”
 Philip si irrigidì improvvisamente: “E come accidenti fate a conoscere la mia prozia?” chiese, con improvvisa ostilità.
 Poirot finse di non dar peso a quel cambiamento di registro e tono e disse, semplicemente: “Non la conoscevo affatto. Mais mi ha voluto citare nel testamento e chi sono io per non presentarmi alla lettura?”
 Hall si rimise dritto a sedere, premendosi una mano sulla bocca, come improvvisamente colto da un pensiero molto spiacevole.
 “Io invece sono l'autrice di romanzi, avete presente?” buttò lì Mrs Oliver, per stemperare un po' la tensione del momento.
 “Ah...” farfugliò Mr Hall, senza badarle troppo: “Non... Non leggo romanzi rosa, mi spiace...”
 Ariadne incassò il colpo per lei durissimo e se ne stette zitta per il resto del viaggio.
 Malgrado il tempaccio, l'automobile sfrecciava per le strade tortuose della campagna sommersa di neve, facendo desiderare a tutti i trasportati di arrivare al più presto a destinazione e – nei limiti del possibile – di farlo tutti interi. L'autista si fece molto più cauto, quando imboccarono una strettoia in salita.
 Poirot sedeva rigidamente, indeciso se proporre qualcosa o meno. Poiché non aveva idea di come porre fine a quel tribolato viaggio, restò zitto.
 Ariadne, invece, stava ancora sbollendo per l'arrabbiatura di poco prima e quindi si curava poco della strada e dei suoi pericoli.
 Dopo quello che parve un secolo, la macchina fece un'ultima, azzardatissima curva, perdendo pure un po' di aderenza, e si vide nettamente la villa della signora Thomson.
 Le finestre erano quasi tutte illuminate e parcheggiate davanti alla casa c'erano altre due macchine, così coperte di neve da essere irriconoscibili.
 La luce che colpiva il giardino proveniva esclusivamente dalla villa, che, in mezzo a tutto quel buio e quella neve che turbinava, ricordava molto un rifugio.
 “Ci fermiamo qui. Ho paura che se andassi più vicino alla casa resteremmo bloccati con le ruote...” disse l'autista, svogliatamente, quando già l'automobile dava segno di non riuscire a proseguire.
 “Certo.” fece subito Ariadne, sgusciando fuori dalla macchina non appena si furono fermati.
 “Nessun problema.” concordò Hall, chiudendo il morso con un certo nervosismo.
 Poirot non disse nulla, ma si forzò a fare come gli altri. Quando si trovò in mezzo alla neve impazzita, si rese conto che ne era scesa più di quel che credeva. La gamba gli sprofondò nel manto nevoso ben oltre la caviglia.
 “Mon Dieu...” si lasciò sfuggire Hercule, guardando in basso. Non poteva vedere molto, solo un misto di ombre e giochi di luce, ma il gelo gli dava una precisa indicazione sull'altezza della neve accumulata in terra.
 “Suvvia, Poirot!” lo riprese Mrs Oliver, che aveva intanto recuperato le valigie di entrambi: “Non lasciatevi abbattere da un po' di cattivo tempo! Guardate che bella casa...!”
 Poirot alzò lo sguardo verso la villa immersa nella neve. Era bella, sì, ma con tutte quelle finestre illuminate e tutte quelle altre buie, aveva anche un che di sinistro che proprio non gli piaceva...

 'Stai diventando vecchio, Hercule' – si disse da solo – 'ora basta qualche ombra e qualche luce a farti paura, vecchio mio...'

 

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Capitolo 3
*** Aspettando la cena ***


~~ “Voi dovete essere Hercule Poirot e Ariadne Oliver, vero?” chiese un uomo sulla cinquantina, quando i due entrarono in casa.
 L'ingresso era lungo e stretto, reso angusto dai mobili scuri e dalla tappezzeria rosso cupo. L'aria era permeata di un odore strano, odore di anziano e di medicinali. Sembrava più quello di una casa di cura, che non di una casa di campagna.
 Poirot si scrollò la neve dalle spalle e fece un breve sorriso in segno di assenso. L'uomo ricambiò appena il sorriso, facendo tremolare le sue guance cadenti e stringendo gli occhi da cane bastonato.
 Ariadne allungò la mano per stringergliela, ma egli non ricambiò, anzi, spostò subito la propria attenzione su Philip Hall: “Oh, Philip, che piacere, dopo tanto tempo...”
 “Avvocato Taylor, finalmente ci rivediamo...” rispose subito Philip, con voce strascicata.
 Sia Poirot sia Ariadne rimasero un momento sulla porta, aspettando che qualcuno dicesse loro che fare o dove andare. Per fortuna non dovettero attendere molto.
 Una donna sui quaranta, vestita da cameriera, si avvicinò a loro con passo svelto, ma elegante. Teneva le mani giunte sul petto e c'era un qualcosa in lei che le dava l'aura tipica della martire.
 I suoi capelli, di color biondo rame, erano corti e acconciati con cura. I suoi occhi erano bassi, ma quando li alzò per guardare gli ospiti, il loro color nocciola brillò sotto la luce del lampadario.
 “Piacere... Sono Josephine Fairchild... La cameriera della compianta Mrs Thomson...” sussurrò, allungando la mano verso Ariadne, che la strinse, felice di poter finalmente salutare qualcuno come si doveva.
 “Ariadne Oliver.” si presentò, mentre Josephine Fairchild ritirava la mano per stringere anche quella di Poirot.
 Hercule sorrise e inclinò appena la testa: “Hercule Poirot.”
 La donna parve sbiancare sul colpo e balbettò: “Her... Hercule P... Poirot...?” fece una breve risatina nervosa: “Quale onore...”
 Poirot allargò appena le braccia: “Non formalizziamoci, mademoiselle...”
 Ariadne fissò un momento Poirot, vagamente infastidita del fatto che lui era stato riconosciuto come una persona famosa e lei no.
 “Prego, non state nell'ingresso.” fece improvvisamente Josephine, scurendosi in volto.
 Poirot e Ariadne la seguirono, mentre Philip Hall, l'autista e l'avvocato restavano all'ingresso a chiecchierare.
 La cameriera li condusse nel salone, tappezzato dello stesso rosso scuro dell'ingresso, ma con mobili meno ingombranti e meno lugubri.
 Nel mezzo della stanza c'erano tre divani, disposti a ferro di cavallo. Sul lato libero c'era un grande camino, in cui il fuoco scoppiettava tremolante.
 C'erano già altre quattro persone, che non fecero una piega alla comparsa della scrittrice e dell'investigatore.
 “Sedete pure dove preferite. Stiamo aspettando gli ultimi ospiti, prima di servire la cena.” disse piano Josephine, indicando i divani a Poirot e Ariadne.
 “A me servite del gin.” disse Ariadne, vedendo che alcuni dei presenti avevano in mano un bicchiere. La cameriera sbattè le palpebre un paio di volte prima di reagire: “Oh, certo...”
 Ariadne sorrise compiaciuta e si andò a sedere sul divano ancora libero, quello centrale e più lontano dal fuoco. In breve Poirot le fu accanto.
 Ci fu un lunghissimo silenzio, durante il quale tutti fissarono con insistenza il camino. Quando la cameriera portò il bicchiere di gin ad Ariadne, questa non ne potè più e salutò: “Buona serata a tutti, io sono Ariadne Oliver e questo è il mio vecchio amico Hercule Poirot.”
 Sul divano di sinistra c'erano quelli che dovevano essere marito e moglie. L'uomo, da poco sopra i quaranta, passò gli occhi azzurri dal poprio bicchiere di whisky ad Ariadne: “George Baker e lei è la mia signora.” disse, mentre un sorrise increspava le sue labbra sottili.
 La donna, di una decina d'anni più giovane, seduta al suo fianco, tanto vicina che le loro spalle si toccavano, indossava un abito rosa molto leggero, troppo leggero per quella sera. Aveva capelli di un colore spento, acconciati in modo complesso. I suoi occhi scuri incrociarono per un istante lo sguardo di Poirot e subito si concentrarono su altro.
 Ariadne sorrise pacatamente ai due coniugi, alzando il bicchiere in segno di ulteriore saluto.
 Dal divano di destra si erse un uomo che doveva aver passato da un pezzo i sessanta. Era alto almeno due metri, ben piazzato ed ancora molto in forma. In una mano stringeva un bicchiere di birra quasi finito, mentre con l'altra afferrò prima la mano di Ariadne e poi quella di Poirot, stringendole con forza: “Sono Robert McClare, molto piacere.” si presentò, con voce profonda.
 Si rimise a sedere e si passò una mano sulla folta barba grigia che gli dava, assieme coi capelli bianchi e il vestito di tweed, un'incredibile aria campagnola.
 “Miss Rose Deville.” si presentò infine l'anziana donna che stava accanto al gigante. Era una donnina scheletrica, con grossi occhi da rana e labbra cadenti. I pochi capelli grigi erano nascosti quasi del tutto da un cappellino nero da lutto e le mani, visibilmente deformate dall'artrosi, erano coperte da guantini di pizzo nero.
 “Arriveranno, prima o poi, gli altri?” chiese nervosamente la signora Baker, con una voceta stridula che non si addiceva affatto alla sua età: “Se arrivassero, leggeremmo questo benedetto testamento e poi potremmo andarcene!”
 “Immagino che siamo tutti qui per il testamento, n'est pas?” chiese Poirot, incuriosito da quello strano gruppo di persone.
 “Immaginate bene, signor... Come avete detto che vi chiamate?” chiese il signor Baker, finendo in un colpo il suo whisky.
 “Ah, Hercule Poirot.” si ripresentò il belga.
 “Di dove siete, Poirot?” domandò l'uomo, stringendo le palpebre con interesse.
 “Dal Belgio, come potrete capire dal mio accento.”
 “Oh, sono stato in Belgio tre anni fa, per lavoro. Posto molto triste.” fece Baker, sbrigativo. Poirot non commentò, limitandosi a dissentire nella propria mente.
 “Cosa fate per vivere?” chiese Baker, accavallando le gambe.
 “Oh, sono un investigatore privato.” rispose Poirot.
 Baker parve irrigidirsi, poi commentò con un che di arrogante: “Ognuno si sceglie il lavoro che preferisce. C'è chi ama fare successo e chi ama sperare di farlo.”
 Poirot finse di non cogliere la provocazione e chiese: “Voi cosa fate, invece, Monsieur?”
 “Sono avvocato.” disse subito Baker: “Mi occupo per lo più di affari internazionali, anche se qualche volta sono stato interpellato per risolvere delle questioni della corona.”
 “Niente meno.” buttò lì Poirot, fingendosi molto ammirato.
 “Già, niente meno.”
 L'uomo sollevò il sopracciglio: “Conoscevate la vecchia?”
 “George!” lo rimbrottò la moglie: “Non parlare così della povera Mary!”
 “La povera Mary...!” sbuffò il signor Baker: “Povera non la era, tanto per cominciare e se non posso chiamare 'vecchia' una di novantatrè anni, allora non so più come chiamarla!”
 “Lo scusi, signor Poirot.” disse la signora Baker, sempre con la sua voce stridula: “Doveva essere a Londra per lavoro e invece l'ho dovuto trascinare qui...”
 Poirot agitò con benevolenza una mano: “Non si preoccupi, madame. Posso comprendere.”
 “Anche io dovevo starmene a Londra, adesso.” si intromise Ariadne, facendo girare il gin nel suo bicchiere: “A farmi venire il sangue acido nell'ufficio di quell'impresario... Poirot, ve l'avevo detto che quel farabutto vuole stravolgere uno dei miei libri per metterlo in scena a teatro?”
 “Scrivete libri?” chiese improvvisamente l'anziana Miss Deville, risvegliandosi dal suo torpore.
 Ariadne annuì con gravità: “E non sa quanto me ne penta ogni singolo giorno.”
 “Io non leggo libri. Li trovo tutti molto volgari.” commentò piano la signora Baker.
 “Sono una perdita di tempo, poco ma sicuro.” convenne il marito.
 “Che genere di libri scrivete...?” chiese, con interesse molto vago, il mastodontico Robert McClare.
 “Gialli, li chiamano così.” rispose Ariadne: “Con un insopportabile protagonista svedese.”
 “Sven Hjerson!” esclamò Miss Deville, indicando Ariadne con un molliccio sorriso dipinto in volto: “Ho letto tutti i libri con Sven! Lo adoro!”
 Ariadne ringraziò pacatamente e poi sussurrò a Poirot: “Ve lo giurò, Poirot: se non usciamo in fretta di qui, potrei anche impazzire.”
 Dei rumori provenienti dall'ingresso fecero capire a tutti che dovevano essere arrivati altri ospiti.
 “Forse usciremo di qui prima del previsto, ma amie.” la rassicurò Poirot, sperando vivamente di avere ragione come sempre.
 

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Capitolo 4
*** Non uno di meno ***


~~ La cameriera arrivò nella sala scortata da John Taylor, Philip Hall, Albert Johnson e altre quattro persone che nessuno dei presenti sembrava conoscere.
 Philip Hall teneva a bracetto una delle nuove arrivate e la presentò con una certa pomposità: “Lei è Jules Allen, mia cugina.”
 La donna, di poco sotto ai quarant'anni, salutò tutti agitando appena la mano. Aveva la stessa forma allungata del volto del cugino, tuttavia non poteva essere più diversa da lui in tutto il resto. Aveva grandi occhi blu scuro e corti capelli biondi. Era bassa, non arrivava nemmeno alla spalla di Philip, e sembrava una persona molto sorridente.
 Gli altri due nuovi arrivati se ne stavano un po' in disparte. Ci pensò la cameriera a presentarli a tutti gli altri: “Il dottor Brice Davis...” disse, mentre un uomo sulla sessantina stringeva gli occhi,nascosti da spesse lenti, in un sorriso.
 “Curava la povera Mrs Thomson.” spiegò con gravità la cameriera: “Lei è Mrs Olga Baumann, vedova del compianto cugino della povera Mrs Thomson.”
 Una donna molto anziana, ma ancora vigorosa, si fece largo per raggiungere uno dei divani. Salutò tutti con un gracchiante: “Buona sera, gente...” dall'accento un po' strano e si fece subito versare del brandy da Mr McClare, che la servì in mezzo secondo.
 Era visibilmente sovrappeso e la patina bianca che le copriva uno degli occhi grigi faceva intuire che fosse mezza cieca.
 “E lei è...” fece, passando alla donna che attendeva praticamente sulla porta.
 Questa indossava vestiti visibilmente maschili, che tuttavia non nascondevano le sue forme, attirando gli sguardi favorevolmente impressionati di Mr Baker e Mr McClare, che aveva appena porto il bicchiere all'anziana Olga Baumann.
 “Sono Sophie King.” si presentò la ragazza, all'incirca venticinquenne, allungando la mano e stringendola a tutti i presenti, partendo da Mr Baker e finendo con Poirot, che sussurrò: “Enchanté, mademoiselle...”
 “Lei è la Sophie King che doma i cavalli selvatici?” chiese McClare, raddrizzando le spalle e stringendo le palpebre per vederla meglio.
 “Preferisco essere ritenuta un'allevatrice. O una cavallerizza.” si schermì lei, con un'espressione dura che rendeva i suoi lineamenti fin troppo severi, per una giovane donna della sua età.
 “Comunque sì. Addomestico cavalli, tra le altre cose.” confermò, dopo un momento di esitazione.
 “Lavoro faticoso.” fece notare Ariadne, non trovando di meglio da dire, di fronte a quell'amazzone dalle braccia muscolose.
 Malgrado i capelli castano chiaro e lunghi, raccolti in una treccia lunga e stretta e gli occhi di un verde sorprendente, c'era qualcosa in quella ragazza che non le pagava l'occhio.
 “Molto, ma anche molto appagante.” ribattè Sophie, mentre le labbra carnose si aprivano in un sorriso insinuante che confermò alcuni dei dubbi nutriti da Ariadne.
 “Allora, quando apriamo il testamento? Sono stanca di aspettare.” disse di punto in bianco Mrs Baker, guardando l'orizzonte con occhio assente e atteggiano il braccio e la mano destra come se tenesse una sigaretta invisibile.
 “Nora.” la richiamò suo marito, abbassandole il braccio e fissandola intensamente.
 “Che ho detto?” chiese quella, stupita: “Siamo tutti qui. Mary è morta. Se aspettiamo non torna certo in vita.”
 Nessuno fece notare il proprio disappunto nei confronti di quella donna dalla vocetta stridula, e fu il medico a rompere il silenzio per primo: “Anthony Thomson, fratello della nostra compianta amica, mi ha mandato questo pomeriggio un telegramma.” Cerò un foglietto che teneva nella tasca interna della giacca e lo porse a Taylor, avvocato e notaio, di fatto colui che aveva chiamato tutti loro in quella casa.
 L'uomo allungò la mano per prendere il messaggio e per un istante la luce che arrivava dal camino fece brillare l'anello che portava sul mignolo in modo sinistro.
 “Dice che le sue condizioni sono peggiorate, che non se la sente di affrontare un viaggio simile sotto la neve e che vuole che siate voi a fare le sue veci durante la lettura.” continuò il medico, riassumendo il telegramma.
 Taylor lesse comunque il comunicato originale, prima di concedere: “Bene. Ci siamo tutti, dunque.” guardò i presenti e bisbigliò, come se temesse una rivolta improvvisa: “Prima il signor Jhonson mi spiegava che per colpa della neve la strada sarà inagibile tra un paio d'ore, dunque ritengo quanto meno irrealistico pensare che ciascuno di noi possa tornare a casa prima di domani mattina...”
 Mr Baker sbuffò, così come Philip Hall. Mentre Miss Rose Deville si permise di alzare un poco una delle mani deformi per dire: “Io abito a meno di un quarto d'ora di distanza...”
 “Non credo sia prudente tornare a casa nemmeno per lei, mia cara signora.” le disse McClare, con un sorriso bonario.
 “Quindi proporrei di preparare la cena e succesivamente dare lettura al testamento.” continuò l'avvocato, come se non fosse stato interrotto: “Dopo di che ci concederemo una notte di sonno e domani, Dio piacendo, ripartiremo per tornare alle nostre vite.” 
 Taylor si voltò con una vaga apprensione verso la cameriera: “Miss Fairchild... Ci sono abbastanza camere per tutti gli ospiti, vero?”
 La donna annuì, servile, e subito confermò: “Certamente, signore.”
 “Ottimo – fece l'avvocato – quindi ora direi che possiamo andare a rinfrescarci per la cena, mentre la cuoca ci prepara qualcosa di buono.”
 Detto ciò, tutti quanti si mossero a tempo, come se fosse una questione d'urgenza, per recuperare i propri bagagli e scoprire quale sarebbe stato l'alloggio per la notte.
 “Mi raccomando – sogghignò Mr Baker, con un'arroganza e uno strano senso dell'umorismo che fecero rabbrividire Poirot – non rovinate nulla nelle camere. Non prima di sapere chi ha ereditato questa casa, almeno!”
 “Merci.” sussurrò Poirot a Miss Fairchild, che gli passava il bagaglio.
 La donna fece un sorriso stiracchiato e poi diede una breve stretta al braccio di Hercule, dicendo a voce tanto bassa che nella confusione che si era creata nessuno oltre al belga avrebbe potuto sentirla: “Sono felice che lei sia qui.”
 “Vi aspetto tra un'ora a cena.” disse Taylor, ritrovando un po' di allegria nel tono in cui precisò: “E soprattutto vi aspetto tutti alla lettura del testamento. Tutti, eh? Non uno di meno!”

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Capitolo 5
*** In tredici a tavola ***


 Finalmente Poirot si sentiva di nuovo in ordine. La camera che gli era stata assegnata era un po' polverosa, ma non ne incolpò la cameriera. In quei giorni, a quel che aveva capito, le forze delle domestiche erano state concentrate sulla compianta Mrs Thomson.

Inoltre la casa era molto grande, tanto che c'erano camere sufficienti per tutti gli ospiti arrivati per la lettura del testamento, perfino per Miss Rose Deville, la vicina, che avrebbe potuto tranquillamente sfidare un po' di neve e tornarsene nella sua dimora appena dopo cena.

Si diede un'ultima controllata ai baffi, guardandosi attentamente nello specchio. Il suo sguardo acceso ricambiò l'occhiata, anche se vi vide un'ombra che anni prima non c'era e che, ogni volta, lo rattristava.

Strinse le labbra e distolse la sua attenzione dalla propria immagine, passando al letto. Sembrava comodo.

Improvvisamente non vide l'ora di potersi coricare e riposare dal viaggio.

“Bon.” sussurrò, sicuro ormai di essere di nuovo presentabile. Quando aveva già la mano sulla maniglia, si bloccò, perchè delle voci si inseguivano nel corridoio.

Stavano bisbigliando, ma il tono era comunque troppo alto, per non essere sentito dalle orecchie allenate di Hercule.

“Ma cosa vuoi che gli abbia lasciato? Era vecchio quasi quanto lei!” stava dicendo una voce femminile, che a Poirot parve quella di Jules Allen, la nipote di Mrs Thomson.

“Che ne sai? Di certo amava più lui di noi!” rispondeva un uomo, quasi per certo l'altro nipote della defunta, Philip Hall.

“Dico che se fosse morto prima di lei sarebbe stato meglio per tutti!” ribatté la ragazza.

Hercule teneva quansi l'orecchio premuto contro la porta, ma non riuscì a sentire distintamente la risposta dell'uomo, che pure c'era stata.

Con una smorfia di delusione, finalmente abbassò la maniglia e uscì in corridoio. Aveva percorso sì e no la metà del tappeto viola che ricopriva il parquet, che Ariadne Oliver uscì dalla sua stanza, che stava proprio accanto a quella di Poirot.

Guardandosi atorno con aria cospiratrice, la donna si avvicinò all'investigatore con una mano alzata e, non appena fu abbastanza vicina, bisbigliò, molto concitata: “Avete sentito anche voi, Poirot?”

“Oui.” ammise lui, serio: “Mais ora è meglio che teniamo per noi le nostre considerazioni, n'est pas? Quanlcuno potrebbe sentire e pensare che anche noi abbiamo qualcosa da nascondere.”

Ariadne annuì, sempre con un'espressione degna di una spia internazionale, e seguì Poirot al piano di sotto, alzando la voce, mentre buttava lì, casuale: “Quanta neve che scende ancora, avete notato, Poirot?”

 

Il lungo tavolo da pranzo era apparecchiato in modo modesto, come se partecipasse al lutto della casa.

La sedia a capotavola era vuota. “Ci si sedeva sempre Mrs Thomson.” aveva spiegato la cameriera, quasi scoppiando a piangere.

L'altro capotavola era vuoto, senza nemmeno una sedia vuota, a sottolineare, forse, l'importanza della vacanza della padrona di casa.

Quando Poirot si sedette, gli fu chiara una cosa: mancando Mrs Thomson, erano in tredici a tavola. Sette da un lato e sei dall'altro. Se solo l'anziano fratello della scomparsa, Mr Anthny Thomson, fosse riuscito ad arrivare in tempo, sarebbero stati in quattordici...

Quando furono tutti al proprio posto, la cameriera annunciò che a breve sarabbe stata servita la prima portata.

Hercule registrò mentalmente la posizione di ciascun commensale.

Dalla parte dove stava lui c'erano, partendo dalla sua destra estrema: l'avvocato Taylor, il dottor Davis, lui stesso, Ariadne Oliver, il cacciatore McClare, la cavallerizza King e la vicina di casa Deville.

Dall'altro lato, sempre da destra, la moglie del cugino di Mrs Thomson, ovvero Olga Baumann vedova Thomson, l'autista Johnson, il nipote Philip – che stava proprio davanti a Poirot, la nipote Jules, e poi Mrs e Mr Baker.

Non c'è che dire, erano un gruppo molto strano, date le circostanze e data l'età della defunta.

La cosa che colpì di più Poirot fu che, tra tutti, le uniche due che parevano anche solo in minima parte scosse per l'accaduto erano Mrs Baker e la cameriera, Miss Josephine Fairchild.

“Posso fare una domanda a tutti voi?” disse Ariadne, mentre la cameriera cominciava a servire quella che sembrava, ahimè, zuppa di cavolo.

La tavolata la guardò in silenzio. L'unico a borbottare qualcosa fu Mr Baker, che sembrava poco incline ad aprire una conversazione coi propri commensali.

“Come conoscevate Mrs Thomson?” riprese Ariadne, non curandosi dello scarso entusiasmo dimostrato da tutti gli altri.

Ciò che accadde sorprese un po' Poirot. Forse, pensò, tutti erano così curiosi di scoprire cosa aveva portato gli altri ad essere lì, che pensavano fosse uno sforzo di poco conto raccontare la propria parte.

Come se si fossero dati un turno preciso, cominciarono, proprio dal restio Mr Baker, a spiegare come mai erano collegati a Miss Thomson.

“Io l'avrò vista in tutto cinque o sei volte.” disse Mr Baker: “Di solito Nora veniva qui da sola o con l'autista. Quando è capitato che l'ho accompagnata io, allora sì, ho incontrato la vecchia.”

“George!” lo richiamò la moglie, con gli occhi fuori dalle orbite e un'espressione tirata tirata.

“Scusa, amore.” fece lui, quasi esasperato: “Mrs Thomson.” si corresse, a beneficio esclusivo della sua consorte.

“Io l'ho conosciuta più o meno quattro anni fa.” fece Mrs Baker torcendosi le mani con nervosismo. Sembrava incapace di stare ferma un istante, quando era intenta a parlare. Poirot trovava questa caratteristica veramente insopportabile.

“Ero andata alle corse, ricordi George?” proseguì, mentre il marito annuiva stancamente.

Bevve un sorso e deglutì rumorosamente, mentre i suoi occhietti scuri indagavano le reazioni dei presenti: “Mi ero seduta accanto a lei e abbiamo cominciato a parlare. Io non ho avuto una famiglia...” bevve ancora un po', prima di concludere: “Quindi mi dava sicurezza, una donna della sua età. Era come una madre.”

“O una nonna.” commentò pungente Mr Baker, buttando gli occhi al cielo.

“Ovviamente io la conosco da sempre” prese la parola la nipote, Jules: “O meglio, la conoscevo.”

Poirot strinse gli occhi. Stva molto attenta ai tempi verbali, eh?

“Venivo qui da lei ogni due settimane al massimo... Non mi fermavo molto, lo confesso, ma nemmeno lei apprezzava particolarmente la mia compagnia. Avevamo caratteri incompatibili.”

“Io venivo qui circa ogni due, tre mesi.” fece il nipote, Philip.

Prima che potesse continuare, Jules gli parlò sopra: “E indovinate chi era il preferito!”

“Non mi pare il momento di parlarne.” disse secco Philip, guardando male Jules: “Ti ricordo che l'hanno seppellita solo tre giorni fa!”

Questa frase parve colpire tutti come una spada in mezzo al petto. Forse nessuno di loro, o quasi, si ricordava quel piccolo dettaglio.

“Già! E tu non c'eri!” gridò Jules, preda di una rabbia improvvisa e incontrollata.

Philip strinse il morso e la fulminò coi suoi occhi penetranti. Il suo viso, così simile a quello di Jules, era contratto in un'espressione di furia che per un momento Poirot temette di dover assistere a una rissa.

Jules Allen pareva in procinto di scoppiare a piangere, incapace di andare oltre nelle accuse, mentre l'autista, Albert Johnson, ben pensò di stemparare la tensione prendendo la parola: “Io lavoravo da Mrs Thomson più o meno da tre anni. La portavo alle corse e raramente in città. In più accompagnavo spesso la cuoca o la cameriera a fare compere e spese per la casa.”

“Oh, ma dai, ci stavamo divertendo tanto...” fece Mrs Olga, con il suo accento teutonico: “Perchè hai interrotto l'unico spettacolo della serata?” fece, sorridendo all'autista.

Johnson arrossì debolmente, ma essendo pallido come un cencio, tutti lo notarono.

“Comunque io la conoscevo da quando mi ero sposata con suo cugino.” continuò l'anziana: “All'inizio la venivamo a trovar spesso, poi quando Laurence è morto, io ormai ero vecchia e così ci sentivamo solo per lettera o telefono.”

Come se prendesse una palla al balzo, dall'altro lato del tavolo, l'avvocato si schiarì la voce: “Seguivo gli affari della compianta Mrs Thomson da una decina d'anni. I nostri rapporti erano sia professionali, ma anche, ormai, d'amicizia. Qualche volta venivo fin quaggiù a prendere il tè con lei.”

“Come per l'avvocato Taylor.” disse subito il dottor Davis: “Solo che io la conoscevo da oltre trent'anni. È stata una delle mie prime pazienti.”

Poirot, che stava ancora osservando le occhiate di fuoco tra Philip e Jules, si trovò in lieve impiccio nell'ammettere: “Non conoscevo Mrs Thomson. Non l'avevo mai sentita nominare...”

Nessuno parve farci caso più di tanto. Solo Mrs Olga e Mr Baker alzarono gli occhi su di lui, con un che di dubbioso.

“Io incontrai Mrs Thomson a Londra, ma almeno vent'anni fa. Ci siamo parlate un po', ma niente di più.” fece Ariadne, sbrigativa.

“E vi ha ricordata dopo tutti questi anni?” chiese, accigliandosi, Mr Baker.

Ariadne trovò superfluo ricordargli che era una scrittrice di una certa fama e che forse era proprio per quello che era stata ricordata. Quindi si limitò a scrollare le spalle e sorridere.

McClare, il cacciatore, tossicchiò e poi disse: “Nemmeno io la conoscevo di persona. L'avevo sentita nominare, ma nulla di che...”

“Io nemmeno l'avevo sentita nominare.” si accodò Sophie King: “Solo, forse, mi aveva scritto delle lettere... Non saprei, ne ricevo parecchie, da ammiratori e simpatizzanti. Non riesco mai a leggerle tutte.”

Terminò la vicina, Miss Deville, che concluse, lapidaria: “Era mia amica da più di cinquant'anni.”

Calò un lugubre silenzio, interrotto dall'arrivo della cameriera, che chiedeva chi preferiva la carne e chi il pesce.

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