I trentesimi Hunger Games di Felix_Felicis00 (/viewuser.php?uid=638784)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo e regolamento ***
Capitolo 2: *** La mietitura - parte I ***
Capitolo 3: *** La mietitura - parte II ***
Capitolo 4: *** La mietitura - parte III ***
Capitolo 5: *** La mietitura - parte IV ***
Capitolo 6: *** Verso Capitol City ***
Capitolo 7: *** Riflessioni ***
Capitolo 8: *** Addestramento e alleanze ***
Capitolo 9: *** Desideri e speranze ***
Capitolo 10: *** Le interviste ***
Capitolo 11: *** Il bagno di sangue ***
Capitolo 12: *** L'arena ***
Capitolo 13: *** Prendere decisioni ***
Capitolo 14: *** Pianificazioni ***
Capitolo 15: *** Lo scontro ***
Capitolo 16: *** Ricordi ***
Capitolo 1 *** Prologo e regolamento ***
I TRENTESIMI
HUNGER GAMES
PROLOGO E REGOLAMENTO
Tutto era pronto ormai.
Le telecamere erano
state inviate ai distretti, con gli accompagnatori e la troupe
televisiva.
I nomi,
scritti su foglietti di carta, erano nelle bocce.
Le piazze
erano state abbellite da stendardi colorati.
I ragazzi dai
dodici ai diciotto anni erano stati radunati all’interno di
zone delimitate da funi e contrassegnate a seconda
dell’età, i più grandi davanti e i
più piccoli dietro.
Ogni cosa era preparata, i trentesimi Hunger Games stavano, finalmente, per
iniziare.
A Capitol
City, l’Anfiteatro cittadino era stracolmo di gente, nella
tribuna sopraelevata, riservata agli ospiti di prestigio,
c’erano il Presidente Johnatan Clark e il Capo Stratega David Wood.
Sul palco c'era Ray Carter, l’uomo che conduceva le interviste da
quando gli Hunger Games erano iniziati, era pronto a commentare i
tributi. Quell’anno i suoi capelli erano di un accesso verde,
che faceva a pugni con il viola del suo completo. Sul viso
c’era il suo solito sorriso smagliante e la
felicità e l’emozione di quel momento la
esprimevano anche i suoi occhi azzurri.
Nei distretti,
i sindaci si avvicinarono ai microfoni, per tenere il loro solito
discorso.
- Che i
trentesimi Hunger Games abbiano inizio. E possa la buona sorte essere
sempre a vostro favore – disse Ray
SPAZIO
AUTRICE
Ciao a tutti!
Piccola premessa: ho
già due storie in corso, di cui una interattiva
(sì, sono pazza), perciò gli aggiornamenti non
saranno regolari, affatto.
Credo che
tutti voi sappiate cosa sia un’interattiva, visto che ne
girano tante, sia su questo, ma anche su altri fandom, comunque lo dico
nel caso in cui qualcuno non lo sappia: i personaggi sono inventati da
voi secondo i punti che io vi richiedo e io li collocherò
nella storia, inventando la trama.
Se vi
sembrerò severa nei punti che seguono, vi prego di non
odiarmi, non sono cattiva, ma devo essere un po’ rigida,
perché ho già un’interattiva e sono
stata fin troppo buona e ho avuto un sacco di casini per questo,
calcolate che alla fine mi sono messa a inventarmi cose dei personaggi
perché le loro schede erano “spoglie” e
gli autori che li avevano creati non davano segni di vita. Quindi non
odiatemi <3
Ecco alcune
cose che voglio dirvi:
- Non voglio storie d’amore tra tributi,
siamo in un’arena e secondo me i tributi dovrebbero pensare
di più a salvarsi e sopravvivere, che all’amore.
Questo non vuol dire che vieto le situazioni sentimentali FUORI
dall’arena, cioè i tributi possono avere un
fidanzato/a che sia nel loro distretto, basta che non sia un tributo.
- Le morti le deciderò io, voi potrete
decidere solo quante persone moriranno il primo giorno.
- Potete creare al massimo due tributi a testa, ma
se non riceverò 24 tributi, potrei chiedervi di comprarene
un altro
- Riguardo alle alleanze avete tre opzioni:
a) Fate entrare il vostro tributo a far
parte del classico gruppo dei favoriti
b) Lo fate alleare con un altro
tributo creato da voi
c) Vi mettete d’accordo con un
altro autore/autrice per fare alleare i vostri tributi
Altrimenti mi scrivete solo se
vorreste che si alleasse con qualcuno o no e poi sarò io a
scegliere con chi si alleerà. NON è detto che
rispetti tutte le vostre richieste riguardo alle alleanze.
- La scheda me la dovrete mandare per MESSAGGIO
PRIVATO, non per recensione, prima però dovete
scrivermi una recensione con scritto quale/i tributi volete creare e mi
manderete la scheda non prima di ricevere la mia risposta.
- Voglio schede dettagliate e non
“spoglie”, se lo saranno vi scriverò di
riempirle e se non otterrò risposta entro due giorni,
eliminerò il tributo.
- Avete
due settimane per mandarmi i tributi, se non li riceverò,
prima vi contatterò e se non riceverò risposta li
creerò io e li farò morire nel bagno di sangue,
spero di non dover arrivare a questo.
- Il
numero degli Hunger Games (trentesimi) l'ho scelto a caso... XD
Ecco
la scheda che dovete mandarmi per messaggio privato (i punti con
l’asterisco sono facoltativi):
NOME:
COGNOME:
ETA’:
DISTRETTO:
VOLONTARIO (se
sì scrivete il perché):
SITUAZIONE
SENTIMENTALE (single, fidanzato/a, sposato/a):
DESCRIZIONE
FISICA:
DESCRIZIONE
CARATTERIALE (dettagliata, per favore):
FAMIGLIA
(componenti, età, stato sociale, rapporto con essa, qualche
riga su di loro):
AMICI e NEMICI
(scrivete anche il rapporto che ha con loro, se ha nemici scrivete il
perché lo sono):
STORIA DEL
PERSONAGGIO:
COSA AMA:
COSA ODIA:
COSA TEME
(scrivete anche eventuali fobie):
ABILITA’:
DEBOLEZZE:
ALLEANZE
(vedete punto quattro):
INTERVISTA (di
cosa parla durante l’intervista)*:
SALUTI (come
si comporta durante i saluti, cosa dice, eccetera):
CORNUCOPIA
(tattiche scelte):
ADDESTRAMENTO
(su cosa si allena):
RAPPORTI CON
STILISTA E MENTORE:
ALTRO
(curiosità, comportamento durante la mietitura, sul treno,
durante la sfilata,
eccetera...)*:
DISTRETTO |
MASCHIO |
FEMMINA |
1 |
OCCUPATO |
OCCUPATO |
2 |
OCCUPATO |
OCCUPATO |
3 |
OCCUPATO |
OCCUPATO |
4 |
OCCUPATO |
OCCUPATO
|
5 |
OCCUPATO |
OCCUPATO |
6 |
OCCUPATO |
OCCUPATO |
7 |
OCCUPATO |
OCCUPATO |
8 |
OCCUPATO |
OCCUPATO |
9 |
OCCUPATO |
OCCUPATO |
10 |
OCCUPATO |
OCCUPATO |
11 |
OCCUPATO |
OCCUPATO |
12 |
OCCUPATO |
OCCUPATO |
.
Spero di aver detto tutto! Ah, sì, se c'è
qualcuno che si offre per farmi da BETA mi farebbe un favore, non
faccio moltissimi errori, però una vista dall'esterno a
volte può servire. Proponetevi nella recensione, se vi va!
Grazie.
Un bacione e a presto (spero),
Felix
|
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Capitolo 2 *** La mietitura - parte I ***
LA MIETITURA
– parte I
DISTRETTO
12 - carbone
Joey Anderson odiava il distretto dodici. Proprio non riusciva a
sopportarlo: gli abitanti erano sempre con una’aria moscia e triste,
non erano mai allegri. Inoltre non c’era mai un volontario,
mai! I tributi che estraeva finivano sempre con il morire nel bagno di
sangue, o comunque non molto più tardi. Nonostante questo
fece un sorriso alla gente del dodici, quando si avvicinò
alle bocce di vetro. Camminava piuttosto lentamente, forse aveva paura
di cadere come l’anno precedente, ma chi non sarebbe caduto
con quei tacchi? A Joey comunque piacevano e poi bisognava essere alla
moda a Capitol City.
- Felici Hunger Games!
E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore! – disse
con la sua voce stridula e fastidiosa, continuò il discorso
raccontando di quando fosse felice di essere lì, anche se
tutti sapevano che desiderava essere spostata a un distretto migliore.
- Prima le signore!
– esclamò
Si avvicinò
alla boccia contenente i nomi delle ragazze e tuffò la mano
tra le migliaia di striscioline di carta, ne scelse uno a caso e il
pubblico trattenne il fiato.
- Shanti Koyle
– disse
Il mentore del
distretto, un uomo basso e muscoloso, dai capelli castano scuro e occhi
neri, rabbrividì. “Tutti
ma non lei” pensò. Purtroppo non
poteva far niente per cambiare le cose. Una ragazza alta e abbastanza
formosa, con dei lunghi capelli neri legati in uno chignon laterale
uscì dalla fila delle diciassettenni. Il suo sguardo
trasmetteva fierezza, anche se suoi occhi verdi chiaro lasciavano
trasparire un leggero timore. Sul palco cercò di sorridere
al mentore, suo padre, anche se lui aveva lo sguardo perso nel vuoto.
Joey la scrutò e il suo sguardo si fermò sulla
catenella che portava al collo: aveva un ciondolo con scritto
“always myself”. L’accompagnatrice
sperò che le telecamere non la inquadrassero.
- Facciamo un
bell’applauso al nostro nuovo tributo –
Nessuno
applaudì, ma Joey non sembrò accorgersene e si
avvicinò alla boccia dei ragazzi, prese una strisciolina di
carta e lesse:
- Jim White –
Nessuno si fece
avanti, allora la donna rilesse un’altra volta il nome e a
quel punto un bambino di dodici anni avanzò lentamente, il
pubblico lo guardò silenzioso, finché qualcuno
urlò:
- Mi offro volontario!
Mi offro volontario come tributo! –
Un ragazzo di diciotto
anni avanzò velocemente verso il palco, quasi correndo, con
i capelli color cenere mossi dal vento. Joey non riusciva a crederci:
mai aveva visto un volontario nel distretto dodici!
- Come ti chiami?
– gli chiese
- Blake, Blake Dawnson
– rispose lui distrattamente, mentre con gli occhi nocciola
cercava il ragazzino per cui si era offerto volontario
- Perché ti
sei offerto volontario? – gli domandò sorridente,
forse il primo sorriso sincero di tutta la giornata
- Solo
perché non trovo giusto che dei dodicenni debbano
partecipare a questi giochi –
Il sorriso
sparì dal viso della capitolina, quell’anno le
erano capitati due tributi ribelli. I due ragazzi si avvicinarono e si
strinsero la mano. Shanti lo guardò attentamente e rimase
colpita dalla voglia color marrone chiaro che aveva sulla fronte e
dall’orecchino sull’orecchio sinistro. Dopo
l’inno di Panem, vengono scortati dai Pacificatori nel
Palazzo di Giustizia.
***
Shanti camminava su e giù per la stanza dove i tributi
avevano la possibilità di salutare i propri parenti, prima
di partire, forse per sempre. Non poteva credere di essere stata
estratta, la sua famiglia era abbastanza ricca, visto che suo padre
aveva vinto i quindicesimi Hunger Games, quindi non aveva molte nomine.
Eppure era successo, doveva rassegnarsi all’idea e cercare di
dimostrarsi forte. Riuscì a non piangere quando sua mamma,
sua sorella maggiore e la sua unica amica Scarlett vennero a salutarla.
Le abbracciò e promise loro che avrebbe cercato di vincere.
***
Blake si chiuse dentro la stanza, tanto nessuno sarebbe venuto a
salutarlo. Tutta la sua famiglia era morta quando aveva solo sei anni,
uccisa dai Pacificatori, e di amici non ne aveva. Era solo e, anche se
non l’aveva detto, era per questo che si era offerto per gli
Hunger Games: credeva di essere solo un peso, a nessuno importava di
lui, mentre era sicuro che quel dodicenne avesse una famiglia e
comunque era troppo giovane per morire.
DISTRETTO 11- agricoltura
Chanel Morgan, orribile nel suo vestito fucsia e con una tremenda
parrucca verde, estrasse un biglietto dalla boccia contenente i nomi
femminili con noncuranza. A lei infondo non importava niente dei
tributi, le interessava solo lo stipendio che prendeva, così
da potersi comprare tutto ciò che desiderava e inoltre amava
apparire in televisione. Rimase infatti a fissare le telecamere un
po’ più del dovuto e fu un colpo di tosse di un
mentore a spingerla a leggere il nome scritto sulla striscia di carta.
- Alexandra Green
–
Una ragazza abbastanza
alta, con gli occhi marroni e i capelli neri, uscì dalla
fila delle quindicenni e, con passo deciso, raggiunse la capitolina sul
palco. Chanel non la degnò nemmeno di uno sguardo e prese
subito un biglietto dalla boccia dei ragazzi; senza tante cerimonie
disse:
- Matthew White
–
Alexandra fu scossa da
un brivido. “Non
lui, non è possibile, non lui!”
pensò. Come poteva lottare nell’arena contro un
suo amico? Era già abbastanza difficile essere estratta, ma
se poi doveva addirittura combattere contro di lui… Solo uno
usciva vivo dagli Hunger Games, questo significava che almeno uno dei
due sarebbe morto.
Sembrava che il
ragazzo alto, muscoloso, con i capelli neri lunghi fino alle spalle e
gli occhi marroni, che uscì dalla fila dei sedicenni, stesse
pensando le stesse cose di Alexandra. Una volta sul palco la
guardò, cercando di rassicurarla, anche se con scarsi
risultati. Dagli sguardi che si scambiarono durante la stretta di mano,
tutti capirono che non erano semplici compagni di distretto, ma amici,
infatti avrebbero voluto abbracciarsi e confortarsi a vicenda.
Chanel li
presentò velocemente al pubblico e poi entrò nel
palazzo di giustizia, senza nemmeno curarsi di accompagnare i tributi,
che vennero scortati dai Pacificatori fino alle stanze dove avrebbero
salutato i loro cari.
***
Quando Samantha e Jacob, i genitori di Alexandra la vennero a salutare,
lei li abbracciò subito.
- Tornerò,
lo giuro – disse tra le lacrime, che cercava di fermare, per
dimostrare di essere forte
I genitori erano
davvero scossi: quel giorno, infatti, non avevano solo perso Alexandra,
ma anche Matthew, che consideravano come un figlio, da quando
praticamente viveva a casa loro. Infatti all’età
di tredici anni il ragazzo perse la sua famiglia, uccisa dai
Pacificatori, e venne accolto dalla ragazza in una giornata di pioggia.
Da quel giorno passa a casa dei Green per mangiare e dormire, si
può quindi dire che viva con loro.
Anche la migliore
amica di Alexandra, Emily, la venne a trovare. Le due rimasero
abbracciate per tutta la durata dei saluti, nessuna delle due poteva
credere di stare per perdere la persona con cui era solita confidarsi,
alla quale raccontava tutti i segreti.
***
Matthew stava camminando su e giù per la stanza, quando il
suo migliore amico, Trevor, entrò a salutarlo. Si
abbracciarono subito, senza dire niente, troppo scossi per farlo.
Quando il tempo stava per scadere Matthew disse:
- Tornerò,
fratello –
Non aggiunsero altro,
né un “ciao”, nemmeno un
“addio”, solo un altro abbraccio, forse
l’ultimo, per far capire all’altro quanto fosse
importante.
DISTRETTO 10 – allevamento
Diane Wright era conosciuta per essere l’accompagnatrice
più critica tra tutte, giudicava sempre i tributi che
estraeva in ogni cosa: nell’aspetto fisico, nel nome e
persino nell’andatura che avevano nel camminare verso il
palco. Per questo suo lato critico era odiata da tutti gli abitanti del
distretto dieci, ma nemmeno a Capitol City era considerata
particolarmente simpatica: trovava sempre il pelo nell’uovo
in tutto! Quando Felicity Morrison arrivò sul palco la
squadrò dall’alto in basso: era piuttosto bassa,
aveva lunghi capelli biondo cenere e gli occhi erano di un colore che
andava dal verde al marrone. Diane fece una smorfia alla vista dei
vestiti che erano tutto tranne che carini ed eleganti e
preferì dirigersi subito alla boccia dei nomi dei ragazzi.
Estrasse una strisciolina di carta e lesse un nome, che però
venne coperto da un urlo:
- Mi offro volontario,
mi offro volontario come tributo! –
Un ragazzo alto, con
la carnagione chiara, capelli castani e occhi nocciola, abbastanza
muscoloso uscì dalla fila dei diciassettenni, con aria
noncurante. Mentre camminava verso il palco, una ragazza dai capelli
rossi e mossi, piccola e minuta, lo seguiva con lo sguardo, scuotendo
la testa.
- Come ti chiami?
– gli chiese Diane, guardando con aria scettica i suoi
vestiti trasandati e i suoi capelli un po’ troppo lunghi
- Jack –
- E? –
- Jack e basta, mi
chiamo Jack –
- Okay ragazzo, ma
qual è il tuo cognome? – chiese la capitolina
spazientita
- Non lo conosco
– rispose lui tranquillamente
- È uno
scherzo? –
- No, nessuno scherzo
signorina Wright. Jack non conosce davvero il suo nome, vive in un
orfanatrofio, i suoi genitori sono morti negli Hunger Games, ma non
sappiamo bene chi siano – rispose il sindaco
Diane non disse
più niente, anche se continuò a borbottare
qualcosa come: “Non
è possibile, non si può non avere un cognome, ma
guarda un po’!”
I due ragazzi si
strinsero la mano e Jack lanciò a Felicity un sorriso di
sfida, che lei ricambiò, non voleva che quel ragazzo
pensasse, che tutti pensassero, che lei fosse debole. Felicity non si
riteneva debole, affatto.
***
Felicity stava piangendo tra le braccia della madre, Sarah,
nonché la sua migliore amica, a lei infatti confidava tutti
segreti. Il padre di Felicity, Jake Morrison, era stato ucciso dieci
anni prima da un assassino che non era ancora stato trovato. La madre
si era risposata con Mark Sanders e avevano avuto tre gemelle, che ora
avevano solo sei anni: Micol, Samantha e Marie. Per lei erano molto
importanti e voleva loro un mondo di bene.
- Vincerò,
lo farò per voi – disse tra le lacrime, dopo aver
abbracciato la madre e le sorelle
A Felicity non piaceva
particolarmente Mark, anzi si poteva benissimo dire che
l’odiasse, ma sapeva che se lei fosse morta, sarebbe toccato
a lui occuparsi della sua famiglia e sarebbe stato suo compito
consolare Sarah e le gemelle, perciò si rivolse a lui con un
tono che non lasciava spazio a proteste:
- Se non dovessi
tornare, toccherà a te prenderti cura di loro e sappi che se
non lo farai mi vendicherò da morta! –
- Non ti preoccupare,
Felicity – le rispose cercando di rassicurarla
Dopo la sua famiglia
entrò a salutare la ragazza Samuel Jones, il suo fidanzato.
Non appena la vide l’abbracciò forte.
- Felicity, io. . .
Vinci, non posso stare senza di te. Promettimi che ci proverai
–
- Lo prometto
–
- Ti amo –
- Ti amo
anch’io - gli rispose cercando di trattenere le
lacrime
Il ragazzo la
baciò, cercando di trasmetterle tutto quello che le voleva
dire e che in quei pochi minuti di tempo non avrebbe fatto in tempo a
riferirle. Quando anche lui se ne andò si asciugò
le lacrime e riacquistò il suo solito sguardo determinato:
non si sarebbe mostrata debole alle telecamere.
***
L’unica persona a salutare Jack fu Jacqueline, che appena
entrò nella stanza urlò:
- Perché
accidenti l’hai fatto? –
- Era una scommessa,
ricordi? Una nostra scommessa, su chi dei due era più
coraggioso –
- Sì, ma
non dovevi fare questo. Potresti morire, Jack –
- Non
morirò, non ti lascerò sola in questo schifo –
le disse e lo sguardo della ragazza si addolcì un
po’ e lo abbracciò
- Se per ricevere un
tuo abbraccio devo iscrivermi agli Hunger Games, credo proprio che lo
farò più spesso –
- Stupido –
disse lei, tirandogli una gomitata nelle costole, ma non spostandosi
dal suo abbraccio
- Guarda che se
morirò e questa sarà l’ultima parola
che mi hai detto te ne pentirai! –
- Tornerai, vero?
–
- Certo,
tornerò –
Quando il tempo per
stare insieme finì, lui le lasciò un bacio sulla
guancia e le sorrise rassicurandola. Pensò che forse avrebbe
potuto dirle che provava qualcosa per lei, ma non ne era sicuro nemmeno
lui e poi perché dirle una cosa del genere prima di andare
incontro a una possibile morte? Meglio aspettare, se fosse tornato
gliel’avrebbe detto.
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti ^.^
Ecco qui la prima
parte della mietitura, ho deciso di dividerla in quattro parti,
così, anche mettendo i saluti di entrambi i tributi, non
esce un capitolo troppo lungo.
Per quanto riguarda i
tributi, spero di averli descritti bene, se trovate qualcosa che non va
ditemelo pure, ci tengo che i personaggi risultino come li volevate
voi.
Le accompagnatrici che
conoscerete saranno per la maggior parte, se non tutte, antipatiche, ma
adoro scrivere di loro.
Parlando dei capitoli
futuri, non ho ancora deciso bene cosa fare, credo che farò
un capitolo sul treno, uno su sfilata e allenamento insieme, uno sulle
interviste e poi l'arena, ma non ne sono sicura.
Riguardo l'arena
dichiaro aperte le votazioni su quanti morti ci saranno il primo
giorno: voi scrivete un numero di morti nella recensione e poi io ne
farò una media. Le votazioni chiuderanno dopo le mietiture,
credo.
Chiedo ai creatori che
hanno prenotato i tributi dei distretti 7-8-9 di mandarmi al
più presto le schede, ovviamente non quelle che mi sono
già arrivate.
Okay, ho finito,
giuro! Ringrazio solo la mia BETA, La_Sniffa_Libri che mi ha corretto
il capitolo! <3
Se vi va lasciatemi
una recensione <3
A presto! Un bacione,
Felix
p.s. Sono l'unica a
pensare che Jack e Jacqueline siano altamente shippabili? Peccato che
lui stia andando in un'arena in cui ha una possibilità su
ventiquattro di sopravvivere, mi sento sadica!
p.p.s. Se volete potete mandarmi il prestavolto dei vostri tributi, qui vi lascio quello di Felicity Morrison, distretto 10: http://data3.whicdn.com/images/96874460/large.jpg
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Capitolo 3 *** La mietitura - parte II ***
La mietitura
– parte II
DISTRETTO
9 – grano
Estelle Harrison era probabilmente l’accompagnatrice, se non
la donna, più stupida che si fosse mai vista. Faceva sempre
battutine idiote che non facevano ridere nessuno, era ingenua e la sua
risata era fastidiosissima. Persino le altre accompagnatrici non la
sopportavano.
- April Joyce. Forza,
cara, vieni sul palco! Vogliamo vederti tutti! –
Una ragazza piuttosto
bassa e magra, con lunghi capelli biondi e mossi e un paio di
bellissimi occhi azzurri, un po’ all’infuori,
uscì dalla fila delle quindicenni.
- Dove sei, April?
– chiese Estelle, anche se la ragazza aveva ormai raggiunto
il palco – Oh, ma sei qui! – disse, per poi ridere
istericamente.
- Come ti senti, cara?
– chiese dopo
- Un po’
nervosa e agitata, ma immagino sia normale, no? Insomma, sono appena
stata estratta per gli Hunger Games. E lei invece come sta? –
- Io? Ehm, io sto
bene! –
-
Com’è fare l’accompagnatrice? Deve
essere emozionante! –
- Oh sì, lo
è certo. Però ora credo che devo finire il mio
lavoro, avremo modo di chiacchierare sul treno – le rispose
sorridente
A Estelle non le era
mai capitato di vedere un tributo così sorridente ed
estroverso, doveva essere il suo giorno fortunato perché lei
sarebbe andata sicuramente d’accordo con una ragazza come
April.
“Deve essere
molto forte, per essere così tranquilla. Oppure è
solo ottimista”
April, in
realtà, non aveva nessuna abilità segreta ed era
sì ottimista, ma sapeva che sarebbe morta, preferiva
però sorridere e cercare di stare serena per tranquillizzare
la sua famiglia e i suoi amici.
Estelle si
avvicinò alla boccia contenente migliaia di striscioline di
carta e ne pescò una. Portò il microfono vicino
alla bocca e dopo un attimo di silenzio lesse:
- Jake Sander
–
Un ragazzo con dei
profondi occhi marrone scuro, con i capelli castani tenuti
perfettamente ordinati, alto e magro, uscì dalla fila dei
sedicenni e s’incamminò verso il palco con aria
preoccupata.
L’accompagnatrice
lo accolse con un sorriso e gli chiese:
- Come ti chiami
giovanotto? –
- Ehm. . .Jake Sander,
ma ha appena letto il mio nome –
- Oh già,
hai ragione! Che sbadata! –
La capitolina
scoppiò a ridere, mentre il ragazzo fece un sorriso tirato e
poi cercò con gli occhi i suoi fratelli tra il pubblico.
Avevano sempre superato tutto insieme: la morte dei loro genitori
l’anno prima e la conseguente caduta in povertà,
la lotta contro la fame e il continuo nascondersi in baracche
disabitate per non essere rinchiusi in orfanatrofio. Ora che avevano
finalmente ottenuto il consenso del sindaco di vivere da soli, era
stato estratto per gli Hunger Games e stavolta non ci sarebbero stati i
suoi fratelli con lui.
Dopo la stretta di
mano e l’inno di Panem, i tributi vennero scortati
all’interno, fino alle salette dove salutare, forse per
l’ultima volta, i propri cari.
***
La famiglia di April era composta da cinque persone serie e
disciplinate, con una visione malinconica della vita; e poi
c’era lei, che era considerata la pecora nera della famiglia,
il suo carattere non aveva niente a che fare con il loro. Nel distretto
veniva addirittura considerata un po’ matta e spesso la sua
famiglia era finita nei guai per colpa sua, visto che invece di
lavorare preferiva gironzolare e bighellonare, causando così
la rabbia dei Pacificatori. La sua famiglia nonostante questo le voleva
molto bene e i cinque furono i primi ad andare a salutarla. Lei li
accolse con un sorriso e la prima cosa che di fece fu raccontar loro
una barzelletta.
- April, è
questo che vuoi dirci prima di partire? Una barzelletta? –
chiese sua mamma Clarity, un po’ stupita
- Volevo farvi ridere
un’ultima volta, prima di morire. . . – rispose lei
con un tono triste che non le apparteneva
Lakeisha, sua sorella
di dodici anni, scoppiò a piangere, sotto lo sguardo confuso
di Mary, di soli quattro anni. April si avvicinò alle due e
disse:
- Ascoltatemi, se un
giorno verrete estratte cercate di vedere gli Hunger Games come un
reality popolare e divertentissimo, così affronterete i
giochi più serenamente –
- Farai
così anche tu? – chiese Mary
- Certamente
– rispose sorridendo e si rivolse a tutti – Non
preoccupatevi per me, la terra continuerà a girare anche
quando io non ci sarò più –
- Provaci, April. Ti
vogliamo bene – le disse suo padre, Ivan
- Vi voglio bene
anch’io –
La sua famiglia
uscì e rimase solo Maurene, sua sorella maggiore, di
diciannove anni, nonché la preferita di April. Le due si
abbracciarono e poi la più giovane disse:
- Spero che ce la
farai a diventare una poetessa, proprio come sogni. Sei bravissima,
ricordatelo. Ti voglio bene, Maurene –
- Grazie, April. Ti
voglio tanto bene anch’io –
***
I primi ad andare a salutare Jake furono i suoi fratelli: Micheal di
diciannove anni, le gemelle Roxanna e July di quattordici anni e Sheela
di undici anni. Lui li abbracciò tutti, uno per uno,
cercando di mantenere un’espressione indifferente per
nascondere la paura che invece lo tormentava. Sheela però
riuscì a leggergli la paura negli occhi e allora gli disse:
- Promettimi che
cercherai di vincere –
- Lo prometto, Sheela.
Vi voglio bene, ragazzi –
Dopo di loro
toccò al suo amico Claus andare a trovarlo, dopo averlo
abbracciato disse:
- Alec e Marcus non
verranno. Marcus è troppo malato, non è nemmeno
venuto alla mietitura e Alec sta ancora male per la morte dei suoi
genitori –
- Certo, capisco. Me
li saluterai? –
- Ovviamente, Jake.
Tornerai? –
- E come? Io non
voglio uccidere nessuno –
- Lo so, ma non puoi
lasciare soli i tuoi fratelli e nemmeno noi, siamo tuoi amici!
–
- Ci
proverò, Claus. Ti voglio bene –
- Anche io, Jake
–
DISTRETTO 8
– tessuti
Becca Collins era l’accompagnatrice più sbrigativa
di tutte: non sopportava perdere tempo in inutili cerimonie e le sue
mietiture erano quelle più brevi di tutte. Appena finito il
discorso del sindaco si avvicinò al microfono e disse:
- Felici Hunger Games
e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore! Bene, passiamo
subito alle mietiture! –
Si avvicinò
alla boccia contenente i nomi delle ragazze e, senza nemmeno
mischiare, prese una strisciolina di carta e scelse tra vite, amicizie,
amori, sogni e desideri.
- Reylen
Sheed –
Una ragazza abbastanza
magra, con il corpo non particolarmente muscoloso e scarno
uscì dalla fila delle diciassettenni e si diresse verso il
palco con aria sicura. Il viso era pallido, spigoloso e con i
lineamenti accentuati, i capelli castani erano legati in una crocchia,
gli occhi erano verdi e leggermente allungati, mentre le labbra erano
sottili e rosee. Una volta sul palco mantenne uno sguardo
fiero, senza tentennamenti, cercando di mostrarsi forte e indifferente.
Becca la squadrò dall’alto e in basso con aria
critica, ma senza far trapassare nessun pensiero e poi chiese:
-
C’è qualche volontario? –
Nessuno
alzò la mano e allora l’accompagnatrice si diresse
alla boccia dei ragazzi con una scrollata di spalle. Il ragazzo scelto
fu:
- Vegas
Ghellow –
Un urlo di una ragazza
si levò dalle file del pubblico e un ragazzo alto e
muscoloso, con i ricci capelli castano scuro tenuti legati,
uscì dalla fila dei diciottenni con passo piuttosto sicuro.
I suoi occhi color nocciola risaltavano sulla pelle pallida del suo
viso e trasmettevano più determinazione e speranza che
disperazione. Quando arrivò sul palco le telecamere si
fermarono un attimo ad inquadrare una cicatrice che aveva sul braccio
sinistro. Nessun volontario nemmeno per lui, ma Becca non si
disperò: i tributi quell’anno sembravano piuttosto
determinati a vincere e anche se così non fosse stato non le
sarebbe importato più di tanto.
Prima di stringere la
mano a Reylen, gli occhi di Vegas vagarono sul pubblico e si fermarono
sulla ragazza che prima aveva urlato, ma lei non lo stava guardando,
infatti teneva la testa tra le mani: stava piangendo. Si
girò verso la sua compagna di distretto e le fece un sorriso
tirato, mostrando il suo incisivo scheggiato, e poi le
allungò la mano. Lei lo osservò un attimo e poi
ricambiò la stretta.
- Forza ragazzi, non
abbiamo tempo da perdere! Non possiamo stare qui tutto il giorno!
Entrate nel Palazzo di Giustizia, forza! – disse Becca, prima
di salutare il pubblico con un cenno di mano ed entrare
nell’edificio, seguita dai tributi.
***
Reylen stava seduta su una sedia di velluto e si torturava le dita per
la tensione. Rifletteva su quanto stupidi fossero gli Hunger Games:
buttare in un’arena ventiquattro ragazzini, di cui la maggior
parte deboli e malnutriti, a uccidersi a vicenda. Odiava Capitol City
con tutta se stessa. Forse solo ora che si trovava in questa situazione
riusciva a capire sua madre, il perché se ne era andata
lasciandola sola.
“Che cosa
stai pensando, Reylen? Tu la odi, lei ti ha lasciato sola, anche se
avevi solo dieci anni. È colpa sua se hai vissuto un anno da
ladra e da senzatetto!”
Sospirò e
osservò il paesaggio dalla finestra, non che fosse bello:
c’erano solo strade trafficate, nessun grande prato o fiume o
lago, nemmeno un piccolo bosco. Era un paesaggio urbano, niente di che,
ma era sempre il suo distretto e poteva essere l’ultima volta
che lo avrebbe visto. Qualcuno entrò nella stanza e lei
rivolse lo sguardo alla porta: Marcus e suo figlio diciannovenne,
Theodore.
- Reylen, io. . .
– iniziò Marcus
- Non ho voglia di
vedervi, sono ancora arrabbiata con te, lo sai. Tu mi hai mentito per
tutti questi anni: sapevi che mia madre era viva e non me
l’hai detto! – disse lei alzando la voce
- Alla fine te
l’ho detto, Sibileen mi aveva chiesto di fartelo sapere solo
quando tu saresti stata pronta! –
- Quindi ero pronta
per imparare a costruire bombe, a usare armi da fuoco e a fare
combattimenti corpo a corpo. Ero pronta per sfuggire
all’orfanatrofio, per sopportare l’abbandono di mia
madre, per vivere e crescere da sola, ma non ero pronta a sapere che
mia madre fosse ancora viva? –
- Io credo che. . .
–
- Non
m’interessa, ora andatevene, voglio stare sola! –
- Va bene. Ti voglio
bene, Reylen, puoi farcela! –
Lei non rispose, ma
Marcus uscì comunque, seguito da Theodore, che era stato in
silenzio per tutto il tempo. Poco dopo, però, il ragazzo
tornò nella stanza, questa volta da solo.
- Cosa fai qui?
– chiese lei, fredda
- Volevo salutarti e
augurarti buona fortuna –
- Grazie, Ted
–
- Sei in gamba,
Reylen, puoi vincere, lo so! –
Lei fece una smorfia:
non ci credeva.
- Confida nelle tue
capacità e sfrutta ciò che hai imparato
–
- Lo farò
–
- Tempo scaduto
– disse un Pacificatore
- Ciao, Reylen
–
- Ciao, Ted –
***
Vegas accolse i suoi genitori e la sua sorellina Coralyn, di soli
cinque anni, con un sorriso. Sua madre, Meredith, una bella donna,
nonostante i suoi quarantasei anni, lo abbracciò
all’istante, piangendo.
- Mamma, va tutto bene
–
- Come fai a dire che
va tutto bene? Stai per andare agli Hunger Games, te ne rendi conto?
–
- Lo so, ma non sono
spaventato. Io credo di potercela fare e se vincessi potremmo diventare
ricchi, non sarebbe bello? – poi si rivolse alla sorella -
Coralyn ti potrò portare in piazza non più solo a
guardare le vetrine, ma anche a comprare qualcosa! –
- Vegas, non
m’importa niente dei soldi, voglio solo che tu torni a casa
sano e salvo – rispose la madre
- Ci
proverò –
Sua sorella lo
abbracciò e poi fu il turno di suo padre, che, a testa
bassa, gli disse:
- Mi dispiace di non
esserti stato vicino, di non averti rivolto la parola per mesi e di non
averti aiutato anche se ne avevi bisogno. Ho sbagliato, spero che mi
perdonerai. Tu e Amens siete una coppia bellissima e non importa se
siete giovani, sono sicuro che sarai un ottimo padre –
Vegas lo
abbracciò forte: gli era mancato tanto suo padre.
- Sono fiero di te,
Vegas. Ti voglio tanto bene –
- Te ne voglio tanto
anch’io –
Il tempo
finì presto e, dopo la sua famiglia, fu il turno di Amens,
la sua fidanzata, di andare a salutarlo. Appena lo vide corse ad
abbracciarlo in lacrime, lui la strinse forte, accarezzandole
dolcemente la schiena per calmarla.
- Ehi, piccola, non
piangere. Sono ancora qui, non sono morto, okay? –
- Tornerai? –
- Certo, non ti
lascerò sola, anzi non vi lascerò soli
– le rispose accarezzandole dolcemente il ventre.
- Ti amo –
- Ti amo
anch’io – disse prima di baciarla
- Ascoltami, Amens:
prendi questo, è un anello d’oro, me
l’ha regalato mio nonno prima di morire, è
l’unica cosa di valore che appartiene alla mia famiglia. Se
io dovessi morire, lo venderai, così guadagnerai qualche
soldo e potrai crescere nostro figlio –
- Io. . . –
- Non dire niente.
Vieni qui – disse lui abbracciandola.
DISTRETTO 7 - legname
Stephan Robinson adorava il distretto sette: era pulito,
c’era sempre un buon odore di pino e i tributi erano per la
maggior parte forti, visto che erano falegnami. Gli piaceva fare
l’accompagnatore e preferiva farlo in un distretto di medio
livello, come il sette, che in uno come il due, quelli dei favoriti.
Lì i tributi erano sempre uguali: belli, forti e determinati
a vincere, non c’era mai niente di nuovo, dopo un
po’ ci si annoiava e Stephan odiava la noia.
- Allison Thomas
– disse prima di sorridere
Il mentore del
distretto trasalì: sua figlia. Non era vero, non poteva essere vero.
Una ragazza alta,
magra, ma con le curve al posto giusto, uscì dalla fila
delle sedicenni con aria preoccupata, ma allo stesso tempo determinata.
La pelle era chiara, le labbra erano rosee e carnose, mentre il naso
era a patata. Si passò una mano tra i lisci capelli rossi,
mentre con gli occhi color smeraldo osservava suo padre, che la fissava
con sguardo vacuo. Raggiunse il palco e Stephan le sorrise, poi chiese
al pubblico:
- Ci sono volontari?
–
Nessuno
alzò la mano e l’accompagnatore scrollò
le spalle: non ci sperava e poi la ragazza non sembrava troppo debole.
Allison strinse i pugni fino a far diventare le nocche bianche per
trattenersi dall’urlare a tutti la sua rabbia e il suo odio
verso Capitol City, odio che era aumentato dalla morte della sua amica
Jane.
Stephan
pescò una strisciolina di carta dalla boccia dei nomi
maschili e poi si portò il microfono vicino alla bocca e
disse:
- Mark Roberts
–
Si udì
l’urlo di una donna, ma nessuno veniva verso il palco.
Stephan rilesse il nome, ma ancora niente, finché qualche
ragazzo spinse un bambino di appena tredici anni fuori dalla massa. Era
mingherlino, basso, con i capelli castani ben pettinati, i suoi occhi
erano verdi; indossava abiti vecchi, che gli stavano più
grandi di almeno due taglie e aveva un’aria scioccata sul
volto. Non si muoveva, restava semplicemente lì, tra il
gruppo di maschi e quello delle femmine, immobile. Il pubblico era in
silenzio, si sentiva solo una donna piangere debolmente in lontananza.
L’accompagnatore sbuffò: questa situazione si
stava dilungando per troppo tempo, così disse:
- Forza ragazzino,
vieni sul palco! –
Allison lo
trucidò con lo sguardo, ma Stephan non se ne accorse. Mark
cominciò a camminare piano verso il palco, mentre calde
lacrime gli rigavano il viso. Nessun volontario nemmeno per lui. Quando
arrivò il turno di stringersi la mano, la ragazza lo
abbracciò, facendo commuovere il pubblico di Capitol City,
ma lei non lo faceva di certo per questo, anzi.
***
Le prime persone ad andare a salutare Allison furono sua madre Kate e
sua sorella Alexis, di soli sei anni. Era una bambina molto dolce e
timida, i suoi capelli erano rossi come quelli di sua sorella ed erano
legati in due treccine, ma gli occhi erano nocciola e ad Allison
ricordavano quelli di un cerbiatto. Le abbracciò subito
cercando di non piangere e di mostrarsi forte.
- Papà non
c’è, lo stanno intervistando, credo - disse sua
madre
- Okay, lo
vedrò sul treno, non c’è problema
–
- Allie. . .
–iniziò Kate
- Va tutto bene,
tornerò, ce la posso fare. Mi sono allenata –
- Cosa hai fatto?
– chiese sua madre un po’ stupita
- Dopo la morte di
Jane negli Hunger Games, io, James e Mary abbiamo deciso che non doveva
morire nessun altro di noi e ci siamo allenati un po’. So che
non sarò mai al livello dei favoriti, ma io ci
proverò –
Kate annuì
e abbracciò di nuovo la figlia.
- Ti voglio bene
– disse Alexis
- Anche io, piccolina.
A tutte e due –
- Ti voglio bene anche
io, Allie – disse la madre
La ragazza le
abbracciò un’altra volta e poi il tempo
finì. Dopo la famiglia, toccò a James, il suo
ragazzo, andare a salutarla. Lei lo abbracciò subito,
lasciando cadere le lacrime che aveva trattenuto per tutto quel tempo,
mentre lui le accarezzava dolcemente la schiena.
- Ce la farai, okay?
Lo so. Tieni: è il foglio con scritto le varie strategie che
avevamo preparato –
- Grazie. James, ti
devo chiedere una cosa: se io dovessi morire, prometti che allenerai
mia sorella, che le insegnerai come usare qualche arma? Non voglio che
debba toccare anche a lei, ma nel caso succedesse, ho bisogno di sapere
che lei potrebbe avere una possibilità –
- Lo farò,
Allie –
- Ti amo –
- Ti amo anche io
–
Dopo James fu il turno
di Mary, la sua migliore amica. Le due si abbracciarono a lungo, poi
Allison disse:
- Vincerò,
per Jane. Mi vendicherò della sua morte –
L’amica non
rispose e l’abbracciò ancora. Poi le
passò una scatolina, la ragazza la guardò
sorpresa, poi l’aprì. Dentro c’era un
braccialetto con scritto “Allison”.
- Grazie –
disse la ragazza
- L’avevo
preso per il tuo compleanno, ma ora puoi usarlo come portafortuna
–
- Non dovevi
comprarmelo, ti sarà costato un occhio della testa!
–
- Non ti preoccupare.
Ti voglio bene –
- Anch’io,
Mary –
***
Mark ricevette la visita solo della sua famiglia, non aveva amici molto
stretti nel distretto, era troppo timido e introverso per averne. Per
questo non aveva avuto nessuno disposto ad offrirsi per lui, la maggior
parte delle persone del distretto nove non sapeva nemmeno che lui
esistesse. Era piccolo e perciò qualcuno di buon cuore
avrebbe potuto farlo, ma in quel caso si parlava di vita o di morte e
nessuno sarebbe disposto a rischiare così tanto per una
persona che nemmeno si conosce. Nessuno. Sua madre, Helen, pianse per
tutto il tempo, abbracciando forte suo figlio. Suo padre, Josh, era
disperato, credeva fosse tutta colpa sua.
- Mark, perdonami. Se
io avessi trovato un lavoro migliore, con uno stipendio più
elevato, ora tu non saresti qui! Non avresti mai dovuto prendere le
tessere e. . . –
- Papà, non
è colpa tua, è colpa solo di Capitol City. Vi
voglio bene, non dimenticatevi di me –
- Non potremmo mai
farlo – rispose sua madre tra i singhiozzi
- Christine
– disse rivolgendosi a sua sorella, di un anno più
piccola di lui - se verrai estratta anche tu, un giorno, abbi coraggio
e non avere paura -
Abbracciò
uno per uno ciascun membro della famiglia e quando il tempo
finì e loro se ne dovettero andare pianse tutte le sue
lacrime. Era stato estratto, era tutto vero.
SPAZIO AUTRICE!
Ciao a tutti <3
Ho varie cose da dire
che divido in punti, perché mi piace così u.u
- Scusate il ritardo, ma
giuro che non è colpa mia, non del tutto almeno. La ragazza
che aveva prenotato i tributi maschi del sette e dell'otto è
scomparsa nel nulla, infatti ho postato un capitolo avviso per chiedere
se ci fosse qualcuno disponibile a crearli. Il ragazzo dell'otto mi
è arrivato, ma chi aveva prenotato quello del sette
è scomparso e l'ho creato io. Non vi preoccupate,
morirà il primo giorno.
- Due persone hanno
rinunciato a creare il loro tributo e un’altra persona non ha
risposto ai due messaggi che le avevo mandato per chiederle se avesse
ancora intenzione di mandarmi il personaggio che aveva prenotato.
Perciò mi mancano ben due tributi (visto che il maschio del
tre lo crea mia sorella), quindi se c’è qualcuno
che mi riesce a mandare le schede IN FRETTA me lo potrebbe scrivere per
recensione?
I tributi che mi mancano sono le femmine del distretto tre (PRENOTATA) e del distretto sei (PRENOTATA).
- CHI NON MI HA ANCORA
MANDATO LE SCHEDE ME LE MANDI VELOCEMENTE! Sì, sto urlando,
così magari vi metto fretta. Davvero, altrimenti sono
costretta a fare come ho fatto al punto sopra :(
- Ho paura di aver
descritto i vostri tributi in modo completamente sbagliato,
specialmente Reylen (che credo di aver fatto troppo aggressiva) e April
(che credo di aver fatto troppo superficiale). Ho riscritto le loro
parti centomila volte, ma meglio di così non mi escono :(
Sempre parlando di Reylen so che non si capisce molto della sua storia,
ma è quello che volevo, perché dandovi alcune
informazioni vi avrei detto troppo, scoprirete tutto pian piano (quindi
anche chi sono Marcus e Theodore e che cosa sono per lei).
- La media dei
morti del primo giorno è per ora 6,8 quindi sette morti. Le
votazioni sono ancora aperte :)
Okay, ho finito gli
annunci da dare, spero di non essermene dimenticato nessuno XD Scusate
per lo spazio autrice così lungo!
Volevo ringraziare
quelle benedette dieci persone che hanno recensito lo scorso capitolo
<3 E la mia BETA <3
Se vi va lasciatemi
una recensione, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Un bacione,
Felix
|
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Capitolo 4 *** La mietitura - parte III ***
La mietitura
– parte III
DISTRETTO
6 – trasporti
Serena Thompson odiava il distretto sei: era pieno di fabbriche ed era
terribilmente inquinato, non era uno di quei distretti di cui potevi
ammirare il paesaggio. E poi le persone: quanto odiava le persone di
quel distretto! Tutte stanche, tristi, depresse e la maggior parte era
drogata di morfamina.
- Buongiorno a tutti
abitanti del distretto sei! Vi vedo un po' giù di morale,
per fortuna oggi c'è la mietitura, che vi
rallegrerà sicuramente la giornata! –
Nessun commento,
niente di niente. Come poteva lei, così energica e allegra,
essere l'accompagnatrice di un distretto così smorto e
triste? Sospirò e poi si avvicinò alla boccia dei
nomi femminili. Scrutò i biglietti e poi ne prese uno,
sperando di aver scelto un possibile vincitore. Forse, se il suo
distretto avesse vinto, l'avrebbero spostata in un altro migliore.
- Kaya Patel. -
Una ragazza
uscì lentamente dalla fila delle diciassettenni. La sua
pelle non era chiara come la maggior parte delle persone del suo
distretto, ma era di un colore che a Serena ricordava la cannella, solo
leggermente più chiara. I suoi capelli erano di un nero
molto scuro ed erano raccolti in moltissime treccine, che le davano
un'aria ancora più esotica. Quando raggiunse il palco, la
capitolina pensò che non potesse essere una di quelle
persone che assumeva morfamina, perché il suo aspetto era
sano e probabilmente non apparteneva nemmeno a una famiglia troppo
povera, poiché il suo corpo non era malnutrito.
- C'è
qualche volontario? - chiese Serena e, come si aspettava, nessuna mano
alzata.
Sorrise incoraggiante
alla ragazza, che invece teneva lo sguardo fisso verso il pubblico,
sicuramente verso i suoi cari.
- Vuoi dire qualcosa,
Kaya? -
- Solo che
cercherò di fare il possibile per tornare a casa dalla mia
famiglia. -
- Certo, speriamo
tutti che ce la farai! Sei emozionata? -
-
“Emozionata” non è esattamente la parola
che userei per descrivere come mi sento adesso... Credo che "ansiosa"
sia l'aggettivo più giusto - rispose la ragazza mordendosi
la lingua per non aggiungere altro.
"Sì, ansiosa
è molto meglio di arrabbiata e di schifata da tutto questo.
Agli sponsor piace sicuramente di più un tributo ansioso che
uno che detesta gli Hunger Games e la capitale" pensò
Kaya.
- Perfetto! Anche noi
siamo molto ansiosi di conoscerti! - esclamò Serena, con un
tono che diceva tutto il contrario.
Subito dopo
pescò il biglietto con il nome del ragazzo e si
avvicinò al microfono.
- Jace
Eaton. -
Un ragazzo alto,
piuttosto muscoloso, con i capelli castani e ricci e gli occhi azzurro
ghiaccio, uscì dalla fila dei sedicenni e si diresse verso
il palco con passo abbastanza sicuro. Quando nessuno
alzò la mano per offrirsi volontario, Jace sorrise.
- Sono contento di
scoprire che tutti voi che vi siete sempre vantati di essere
più ricchi, più belli e più popolari
di me, siete solo dei codardi! Se volevate davvero essere migliori di
me, dovevate offrirvi volontari, invece non l’avete fatto.
Quando io tornerò vincitore, ognuno, qui al distretto,
saprà il mio nome. Tutte le ragazze sbaveranno per me, ma
Ashley, non ti preoccupare, ci sei solo tu nel mio cuore! –
La capitolina
pensò che fosse un po’ stupido preoccuparsi della
propria popolarità quando stai per andare in
un’arena dove hai una possibilità su ventiquattro
di vivere, ma, dopotutto, ognuno affrontava questa situazione come
voleva.
***
Se c’era una
cosa che Kaya amava davvero, era sicuramente la sua famiglia, avrebbe
fatto di tutto per loro. Aveva persino lasciato gli studi per aiutare
in casa. Non riusciva a credere di stare per partire per gli Hunger
Games, sarebbe potuta non ritornare, e non rivedere più i
suoi cari. Strinse tra le mani la collana che suo padre le aveva appena
regalato: la catenina era di spago e il ciondolo era il totem
dell’orso, inciso nel legno. Serviva per darle coraggio,
così aveva detto, ma non funzionava. Osservò la
porta da cui i suoi genitori e i suoi fratelli, tre femmine e due
maschi, erano appena usciti. E se non li avesse più visti?
Come avrebbe fatto? Sospirò, quando ad un certo punto la
porta si aprì. Nella stanza entrò un ragazzo: Dan
Latier, nonché colui per cui aveva una cotta.
“Che diavolo ci fa lui
qui?” si chiese.
- Ciao –
disse lui imbarazzato – Ehm... come stai? No, okay, non era
la cosa giusta da dire. Mi dispiace, non te lo meritavi, Kaya, non tu.
–
- Dan, non
è per essere scortese, ma perché sei qui?
Cioè, mi fa piacere la tua visita, ma noi non ci siamo mai
rivolti la parola prima! –
- Sì, hai
ragione, ma la figlia del sindaco, Margareth Collins, la conosci?
–
- Sì,
purtroppo. –
- Beh, ecco, lei mi ha
detto che tu hai una cotta per me. . . –
Kaya
arrossì e cominciò a balbettare frasi sconnesse,
ma il ragazzo la interruppe:
- Senti, devi tornare,
okay? Fallo per la tua famiglia e. . . per me. –
Detto questo le
sorrise dolcemente e lei ricambiò, poi le lasciò
un bacio sulla guancia e uscì.
***
- Ti
tireremo fuori da lì, figliolo! –
- Mamma, questo non
è possibile e lo sai bene! –
- Ma abbiamo i soldi,
potremmo pagare. . . –
- No, i soldi non
serviranno a niente, non questa volta! E anche se siamo importanti qui
il distretto, non significa che lo siamo a Capitol City. Non contiamo
niente per loro, nessuno conta per loro, altrimenti perché
credi che mandino ad uccidere ventitré ragazzi ogni anno?
–
Sua madre non rispose
e si asciugò le lacrime con un fazzoletto di stoffa, mentre
il suo nuovo marito si guardava intorno distrattamente, Jace si rivolse
a lui:
- Se io non dovessi
tornare, tu ti occuperai di mia madre e dei miei due fratelli, hai
capito? –
- Non sei nessuno per
darmi ordini! – rispose lui, ma all’occhiataccia
del ragazzo annuì debolmente.
Dopo la sua famiglia,
toccò alla sua fidanzata, Ashley Fairchild, andare a
trovarlo. Lei piangeva e lui la strinse forte a sé,
accarezzandole la schiena. Quando si calmò, la
baciò dolcemente e poi le disse:
- Tornerò,
te lo prometto! -
- Ti amo, Jace.
–
- Ti amo
anch’io, Ashley, non dimenticarlo mai! –
DISTRETTO 5 – elettricità
Hariette Marshall finì il suo discorso piangendo come
sempre, riusciva a commuoversi per ogni cosa e quando uno dei suoi
tributi moriva - cosa non poco frequente – era famosa per le
sue lacrime davanti alle telecamere e per i suoi lunghissimi discorsi
in onore del caduto, come se lo conoscesse davvero. Era tutta scena,
naturalmente. Dopo essersi asciugata le lacrime, si avvicinò
alla boccia delle ragazze e pescò un bigliettino, lo
aprì, ma non parlò per qualche secondo, per
aumentare le tensione e poi disse:
- Alexia Black. –
Una ragazza abbastanza alta, con occhi azzurri e lunghi capelli rossi
portati in una coda, si avvicinò lentamente verso il palco.
Sul suo viso si poteva leggere la sorpresa e la paura di stare andando
contro la morte. Hariette le porse il microfono con un sorriso
incoraggiante.
- Quanti anni hai, cara? –
- Diciassette – rispose lei con voce tremolante
Vedendo che la ragazza non sembrava in vena di parlare, Hariette
preferì dirigersi verso l’altra boccia e pescare
un nome, prima di leggerlo lanciò un’occhiata ad
Alexia e notò che stava facendo di tutto per trattenere le
lacrime.
Il nome fu coperto da
un urlo:
- Mi offro volontario! Mi offro volontario come tributo! –
Un ragazzo alto, con i capelli castani, gli occhi verdi, magro, ma
piuttosto muscoloso, uscì dalla fila dei diciassettenni con
passo spedito e sguardo sicuro. Hariette sorrise e gli portò
il microfono alla bocca, non appena lui la raggiunse sul palco.
- Come ti chiami? –
- Nigel Collins. –
- E perché ti sei offerto volontario? –
- Per vendicare la morte del mio migliore amico, Peter, e della mia
fidanzata, Ashley. Sono entrambi stati uccisi negli Hunger
Games! – rispose lui, stringendo i pugni.
La capitolina fece finta di asciugarsi le lacrime, probabilmente non si
era nemmeno accorta della nota di odio verso Capitol City che
esprimevano le parole del ragazzo. Alexia però
sì, per questo osservava il suo compagno di distretto con
interesse, ma si riscosse quando Hariette le chiese:
- E tu, mia cara, hai un fidanzato? –
- Sì, si chiama Matthias e spero di vincere per tornare da
lui e dalla mia famiglia! –
L’accompagnatrice si asciugò nuovamente le
lacrime, che di vero non avevano niente, poi i tributi si strinsero la
mano ed entrarono nel palazzo
di giustizia.
***
La prima persona ad andare a trovare Alexia fu suo fratello Josh,
l’unico membro rimasto della sua famiglia, infatti i loro
genitori morirono in un incendio quando la ragazza aveva solo tredici
anni. Appena entrò, la abbracciò forte, mentre
lei cercava di non piangere e di mostrarsi forte.
- Josh, se io non dovessi tornare. . . –
- Tu tornerai! –
- Io ci proverò, ma se non dovesse succedere, si prenderanno
cura di te i genitori di Matthias, come hanno sempre fatto dalla morte
dei nostri genitori. –
- Lo so, viviamo con loro da quel giorno, ma tu promettimi che
vincerai! –
- Ci proverò Josh. Farò il possibile per tornare
da voi! –
Dopo suo fratello, fu il turno del suo fidanzato, ma con lui non
riuscì a resistere e pianse, urlò, si
sfogò. Aveva già sofferto abbastanza, non si
meritava anche questo.
- Alexia, andrà tutto bene! Sei forte, ce la farai.
–
- Ti amo, Matthias! –
- Ti amo anch’io. –
Un altro bacio, un altro abbraccio, ma, nonostante nessuno dei due lo
volesse, il momento di separarsi arrivò e appena Matthias
lasciò la stanza ad Alexia sembrò di sentire il
suo cuore spezzarsi. Anche i genitori del ragazzo la vennero a trovare,
la consideravano un po’come una figlia, visto che viveva con
loro da tanto tempo. La abbracciarono forte e cercarono di consolarla,
perché nonostante lei provasse a mostrarsi forte, si vedeva
quanto fosse distrutta.
***
La famiglia di Nigel era molto numerosa, infatti i Pacificatori
protestarono un po’, prima di farli entrare tutti e sei. Sua
madre Lysandra fu la prima a correre verso di lui e abbracciarlo,
seguita subito dal padre, Charles.
- Perché l’hai fatto? – gli chiese
bruscamente suo fratello maggiore, Frank
- Lo sai il perché. –
- Credo che tu abbia sbagliato, loro non vorrebbero questo! Non
vorrebbero che tu morissi! –
- Non sai cosa vorrebbero loro, tu non li conoscevi! –
- Lo so, ma… –
- Devi capirmi Frank. Loro erano tutto per me e Capitol City me li ha
portati via. –
- Hai ragione e poi la vita è tua. A presto, Nigel
– gli disse prima di dargli una pacca su una spalla.
Sua sorella Marlene, di diciannove anni, lo abbracciò,
mentre le lacrime gli rigavano il volto.
- Grazie, Lene, grazie di tutto. Tu sei stata l’unica in
grado di consolarmi e di capirmi dopo la loro morte. Ti
voglio bene!-
- Ti voglio bene anch’io. –
Sua sorella Megan, di undici anni, lo abbracciò forte e poi
gli disse:
- Torna, altrimenti mi mancherai troppo! –
- Certo, Meg, tornerò –
Il più piccolo di tutta la famiglia, Fredric, di dieci anni,
si limitò ad avvicinarsi a lui con uno sguardo triste, Nigel
gli scompigliò i capelli e gli sorrise.
- Non fare arrabbiare troppo mamma e papà, piccola peste!
–
- Non prometto niente! – rispose lui con un sorriso furbo.
Nigel lo abbracciò, poi si rivolse a tutti e disse:
- Non importa se io morirò, l’importante
è che nessuno di voi muoia. Non prendete altre tessere, mi
raccomando! -
Nessuno poté replicare perché il tempo
finì e la sua famiglia dovette uscire dalla stanza,
lasciando Nigel solo.
DISTRETTO 4 – pesca
L’odore di salsedine, il fresco venticello, la vista sul
mare, il rumore delle onde, le persone abbronzate e sicuramente
più allegre di quelle degli altri distretti, come poteva
Mark Johnson non amare il distretto quattro? Si sistemò la
cravatta azzurra e sorrise al pubblico.
- Buongiorno a voi, abitanti del distretto 4! Come state oggi?
–
Un boato si sollevò dal pubblico e Mark sorrise: la maggior
parte dei ragazzi di quel distretto erano contenti di partecipare agli
Hunger Games e spesso c’erano persino dei volontari.
- Perfetto. Anche io sono felicissimo di essere qui! Cominciamo la
mietitura. –
Si avvicinò alla boccia con i nomi femminili e ne scelse
uno, dopo aver mescolato un po’.
- Elaine Claythorne. –
Un ragazza piuttosto bassa e robusta uscì dalla fila delle
quattordicenni. Aveva i capelli rossi e ondulati, che le arrivavano
fino a metà schiena e che le contornavano il viso pallido,
sul quale spiccavano due grandi occhi color nocciola. Pareva tranquilla
e sicura di sé, non sembrava un tributo di cui temere, ma
nemmeno uno da sottovalutare. Quando raggiunse il palco, Mark
le sorrise e poi si rivolse al pubblico:
- Ci sono volontari? –
Nessuno alzò la mano e il capitolino scrollò le
spalle.
- Vuoi dire qualcosa, Elaine? –
- Farò il possibile per tornare a casa: so che per salvarmi
dovrò uccidere e non mi farò scrupoli inutili!
–
Un altro dei soliti tributi favoriti, Mark ne vedeva ogni anno. Si
diresse all’altra boccia e il nome del ragazzo estratto fu
presto dimenticato da tutti, ci fu infatti un volontario: era un
ragazzo alto, con i capelli castani e degli occhi verdi, la sua pelle,
contrariamente a quella degli altri abitanti del distretto, non era
così abbronzata. Aveva un sorriso di sfida sul volto,
sembrava molto determinato.
- Come ti chiami? –
- Michael Waves e ho diciotto anni. –
- Come mai ti sei offerto volontario? –
- Per la gloria, ovviamente. Voglio vincere e portare onore al mio
distretto. –
“Certo, come no. Non sarei qui se mio padre non mi avesse
obbligato ad offrirmi!” pensò il
ragazzo.
- Quest’anno abbiamo due ragazzi molto determinati!
Chissà se uno di loro sarà il vincitore dei
trentesimi Hunger Games? Ovviamente io spero di sì. Facciamo
un bell’applauso ai nostri tributi! -
Il pubblicò obbedì e i ragazzi si strinsero la
mano e poi furono scortati all’interno del Palazzo di
Giustizia.
***
Elaine guardò la sua famiglia uscire dalla stanza, era
toccato più a lei consolare loro, che il contrario,
specialmente i suoi fratelli: Alyss, Clarisse e Adam. Non era
spaventata, sapeva che era destinata a questo e si era anche allenata,
come la maggior parte dei ragazzi del suo distretto. Era piccola,
questo era vero, ma era sicuramente più forte e preparata
degli altri tributi, anche se più grandi di lei. Gli unici
di cui si sarebbe dovuta preoccupare erano il resto dei favoriti, ma di
solito erano tutto muscoli e niente cervello e non sarebbero stati
difficili da battere. A questo, comunque, ci avrebbe pensato dopo.
- Elaine. . . –
Un ragazzo entrò nella stanza, con un sorriso indeciso sul
volto: Alexander, il suo migliore amico e, da qualche mese, il ragazzo
per cui aveva una cotta.
- Ciao, Alex. –
- Stai bene? –
- Sì, perché non dovrei? –
ribatté lei
- Stai per andare agli Hunger Games. Potresti morire, potresti non
tornare più! –
- Io vincerò e tornerò. – gli disse con
tono sicuro
- Me lo prometti? –
- Promesso. –
Il ragazzo la strinse in un forte abbraccio e non la lasciò
andare finché il tempo non finì. Prima di uscire
le disse:
- Ti voglio bene. –
- Anch’io, Alex! – rispose con un tono
più dolce di quello che aveva usato fino ad ora.
***
- Sono molto fiero di te, Michael! Hai ascoltato i miei consigli e se
continuerai a farlo anche quando saremo a Capitol City, uscirai da
quell’arena come vincitore! Lo sai che io sarò tuo
mentore e anche tua sorella Sky! –
- Già. . .non vedo l’ora. – rispose il
ragazzo con un tono che diceva tutto il contrario.
- Anch’io sono molto fiera di te, figliolo. Se tu vincerai i
giochi, la nostra famiglia sarà ancora più
conosciuta nel distretto e potrò vincere nuovamente le
elezioni come sindaco! – esclamò sua madre, Pearl.
Michael guardò sua sorella Sky, ma lei scostò lo
sguardo tenendo la testa bassa. Quando però i loro genitori
uscirono sorridenti dalla stanza, lei rimase e gli chiese:
- Ti ha obbligato papà a offrirti? –
- Certo, come ha fatto con tutti, no? –
- Senti, nostra sorella Coral non ce l’ha fatta, ma questo
non vuol dire che tu non possa riuscirci. Ti darò una mano,
farò il possibile per tirarti
fuori! –
- Grazie, anche se sai meglio di me che questo non cambierà
le cose. –
- Non voglio il peso di un altro fratello sulla coscienza. –
- Anche se io morissi, non sarà colpa tua, okay? –
- Torna, per favore. –
- Farò il possibile! -
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti!
Ecco qui il nuovo capitolo, spero che vi piaccia e di aver
caratterizzato bene i vostri personaggi. Il prossimo è
l'ultima mietitura, finalmente! Spero di aggiornare presto, anche se
voi lo sapete meglio di me che maggio è un mese infernale
per la scuola.
Ringrazio tantissimo la mia BETA, La_Sniffa_Libri e le meravigliose
otto persone che hanno recensito lo scorso capitolo. In particolar modo
Bolide Everdeen, che mi ha dato un prezioso consiglio sulla
punteggiatura e la ladra di libri, alla quale devo ancora rispondere,
perché ha deciso di seguire la mia storia anche se non
partecipa! *_*
Fatemi sapere se vi è piaciuto!
Un bacione e a presto,
Felix
|
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Capitolo 5 *** La mietitura - parte IV ***
La mietitura
– parte IV
DISTRETTO
3 – tecnologie
Kira Lewis guardò il pubblico del distretto tre con sguardo
torvo. Aveva appena finito il suo discorso, ma non c’era
stato nemmeno un accenno di applauso. Sbuffò e si diresse
verso la boccia delle ragazze camminando su un paio di tacchi
altissimi, tanto che la maggior parte della gente si chiedeva come
facesse a stare ancora in piedi. Prese un bigliettino a caso, senza
nemmeno mischiare i foglietti e, dopo aver raggiunto il microfono,
lesse:
- Kathleen Vince.
–
Una ragazza non molto
alta e dalla corporatura esile, bionda, con i capelli lunghi fino a
metà schiena, gli occhi azzurro chiaro e la pelle molto
chiara, quasi diafana, uscì dalla fila delle diciassettenni
e si diresse lentamente verso il palco. Kira la degnò appena
di uno sguardo e poi chiese se ci fossero volontari, ma, come previsto,
nessuno alzò la mano. Le telecamere inquadrarono per un
momento la ragazza, che stava stingendo fortissimo il ciondolo della
collana che portava al collo. Le nocche della sua mano erano ormai
diventate bianche e gli occhi erano lucidi di lacrime, ma non piangeva,
non doveva piangere.
- Chi te
l’ha regalata quella collana? –
- Il mio fidanzato,
Jonathan. È il mio portafortuna. –
- Lo sai che non
funzionano quasi mai, vero? E dire che sei del distretto in cui i
ragazzi dovrebbero essere intelligenti! – le disse
l’accompagnatrice con aria di superiorità e con
voce stridula.
- È molto
di più di questo per me: ha un valore affettivo e mi basta
averla con me per farmi forza! In ogni caso, sono sicura di essere
molto più intelligente di te! –
- Che arrogante!
– borbottò Kira.
Si diresse
all’altra boccia ripeté le stesse identiche azioni
di prima, senza nemmeno creare un po’ di suspense, non che
alla gente del distretto importasse, tutti non vedevano l’ora
che questa tortura finisse. Anche se non finiva mai, si ripeteva ogni
anno, di continuo.
- Riven Cole.
–
Sul pubblico
piombò il silenzio, rotto solo dall’urlo di una
donna e poi dai suoi singhiozzi. L’accompagnatrice si
guardò in giro sorpresa: sarebbe potuto cadere un petalo da
un fiore che lo avrebbe sentito. Un ragazzo abbastanza alto, con un
fisico longilineo uscì dalla fila dei sedicenni e si
avvicinò lentamente verso il palco. Sul viso dai tratti
delicati spiccavano due occhi azzurri, mentre i capelli erano castano
chiaro, corti e con qualche ciuffo un po’ ribelle.
- Bene, Riven. Vuoi
dire qualcosa? – chiese Kira con tono fastidioso ed
esageratamente alto.
- Non potrebbe
abbassare la voce per favore? Parla in maniera troppo stridula e sono
iper-sensibile agli stimoli sensoriali uditivi – rispose il
ragazzo in maniera seria e composta.
La capitolina dopo un
attimo di silenzi, scoppiò a ridere. Riven la
guardò perplesso e poi ribatté:
- Perché si
è truccata come un panda? -
Kira gli
lanciò un’occhiataccia e non rispose, fece solo un
cenno e i due ragazzi si strinsero la mano.
“Ma che problemi ha
quel ragazzo? Non è che è un ritardato mentale?
Ci mancherebbe solo questo! Per essere promossa ad un altro distretto,
serve che ci sia qualche vincitore in questo, ma se si va avanti
così!”.
***
Molte persone passarono a salutare Kathleen: i suoi genitori, Albert e
Melanie, il suo fidanzato e i suoi più cari amici, Sonya,
Marlene e Kevin. Con tutti cercò di non piangere, di
mostrarsi forte, perché lei non doveva assolutamente farsi
vedere debole.
Proveniva da una
famiglia benestante, non aveva mai dovuto prendere tessere, ma era
successo: era stata estratta. Sarebbe dovuta andare
nell’arena e per uscirne avrebbe dovuto uccidere. Uccidere un
essere umano. Lei, una ragazza dolce e gentile, un’assassina.
Perché era questo che succedeva: o si diventava assassini o
vittime, non c’era altra scelta!
Strinse ancora
più forte il ciondolo della collana che portava al collo,
una semplice goccia di vetro. Farlo le metteva forza e sicurezza e non
le importava se forse, come aveva detto Kira, era una cosa stupida.
Aveva un valore molto forte per lei e quando sarebbe arrivata a Capitol
City, quella sarebbe stata l’unica cosa che le avrebbe
ricordato il suo distretto, la sua famiglia, i suoi amici e Jonathan.
Se sarebbe morta non li avrebbe più rivisti, come avrebbe
fatto? Aveva paura di questo, davvero tanta paura. Doveva vincere,
altrimenti non sarebbe tornata a casa.
***
La famiglia di Riven si precipitò subito dentro la stanza
usata per i saluti e sua madre, Leyna, lo strinse immediatemnete in un
abbraccio e scoppiò a piangere, sorretta dal marito, Cypehr.
Il fratellino di otto anni, Milo, li guardò per un
po’ da lontano, poi si avvicinò e cercò
di attirare l’attenzione del fratello tirandolo per la manica
della maglietta, alla fine decise di stringergli le gambe, senza sapere
bene cosa fare. Riven non era un ragazzo normale, infatti soffriva
della sindrome di Asperger, quindi aveva una sviluppata
capacità di elaborare informazioni, ma difficoltà
nel gestire l’empatia e le relazioni sociali.
- Ti vogliamo tanto
bene, non dimenticarlo mai! – disse il padre, cercando di
trattenere le lacrime.
Quando i genitori e
Milo si allontanarono un po’ da Riven, suo nonno, Francis, lo
accarezzò dolcemente sulla testa e i due rimasero a lungo a
fissarsi in silenzio. Avevano un rapporto speciale, condividevano,
infatti, la stessa passione: smontare e rimontare qualsiasi oggetto
dotato di meccanismo, specialmente orologi. Il ragazzo tese la mano al
nonno, che la prese attirandolo a sé, per poi stringerlo in
un abbraccio.
- Ti voglio dare una
cosa. Vorrei che la portasti con te nell’arena. È
un portafortuna speciale. –
Francis
tirò fuori dalla tasca un vecchio orologio, il primo modello
che aveva insegnato a smontare e rimontare al nipote, che lo
accettò subito, stupito. Non appena uscirono,
entrò nella stanza una ragazza di nome Clareen Vegas, sua
amica e compagna di classe. Era praticamente l’unica persona,
all’infuori della sua famiglia, a capire le sue
difficoltà, a passare del tempo con lui, a proteggerlo da
chi si divertiva a prenderlo in giro e ad aiutarlo nelle interazioni
sociali. Per lui era infatti molto difficile comunicare con gli altri,
perché non riusciva a capire le persone, le loro emozioni e
le varie sfaccettature del loro comportamento e del loro carattere. Era
stata proprio lei a regalargli un foglio con disegnata una sorta di
“Tabella dell’umore” per aiutarlo a
capire se una persona in questione fosse arrabbiata, triste, felice,
annoiata, eccetera.
- Ciao, Riven
– gli disse sorridendo.
- Ciao. –
- Sono venuta per
salutarti, ho pensato che ti avrebbe potuto fare piacere. . . Immagino
che sia difficile, ma non buttarti giù e dai il meglio di
te! –
- Perché
dovrei buttarmi per terra? – chiese il ragazzo confuso, non
capendo quello che Clareen voleva dire. Infatti per lui era difficile
capire le frasi idiomatiche e le espressioni letterali.
- Non intendevo dire
questo. Comunque ce la puoi fare, puoi tornare a casa! –
Lo strinse a
sé frettolosamente e gli augurò buona fortuna,
poi uscì dalla stanza con un sorriso debole.
DISTRETTO 2
– armi e
Pacificatori
Sharon Thomas amava il distretto 2: i ragazzi erano sempre pronti ad
offrirsi volontari e spesso vincevano anche i giochi, o comunque
duravano molto. Compativa davvero molto le accompagnatrici dei
distretti più poveri, lei era felicissima dove si trovava e
non avrebbe cambiato il suo lavoro per nulla al mondo, tranne forse per
un paio di quelle scarpe che andavano di moda tra i ricchi di Capitol
City e che lei non poteva permettersi. Sorrise e iniziò a
parlare:
- Buongiorno a tutti
voi! Come state oggi? Pronti per la mietitura? –
Un boato si
levò dal pubblico e il sorriso di Sharon si
allargò ancora di più.
- Perfetto! Allora
iniziamo subito. Felici Hunger Games e possa la buona sorte essere
sempre a vostro favore! –
Si diresse alla boccia
delle ragazze e pescò un bigliettino senza nemmeno
mischiare: ci sarebbe stata comunque una volontaria.
- Isabelle Hadlington.
-
Tutte le mani che
erano scattate in aria, si riabbassarono non appena sentirono il nome
pronunciato dalla capitolina. Sharon rimase stupita e
osservò con la bocca spalancata la ragazza che stava venendo
verso il palco. Era piuttosto bassa e magra, ma sembrava abbastanza
muscolosa. I suoi capelli erano mori e legati in una coda alta, gli
occhi erano scuri e il volto era pallido.
- Ci sono volontari?
– chiese la capitolina quasi con timore.
Nessuno
alzò la mano: quella doveva essere la prima volta che nel
distretto 2 non ci fossero volontari.
- Quanti anni hai,
Isabelle? –
- Quindici –
rispose a denti stretti la ragazza
- Vuoi dire qualcosa?
–
- No. –
- Oh. . .ehm. . .okay,
va bene. –
Sharon si chiese come
mai non ci fossero stati volontari, era davvero molto strano. Si
diresse all’altra boccia e stavolta tutto andò
come doveva essere: molte mani si sollevarono e Sharon scelse un
ragazzo con un fisico robusto e allenato. La sua pelle era abbronzata,
i capelli erano ricci e biondi e gli occhi erano azzurri.
- Come ti chiami?
– gli chiese sorridendo
- Mi chiamo Merian
Oleg e ho diciotto anni. –
- Bene e
perché ti sei offerto volontario? –
- Perché so
di poter vincere, mi sono allenato per anni e credo fortemente nelle
mie capacità. Inoltre, a causa di alcune divergenze con i
miei genitori, non ho più una casa e quando
vincerò ne avrò una migliore! –
- Sembri molto sicuro
di te e determinato! Non vediamo l’ora di vederti
nell’arena! Vero? –
Il pubblico
applaudì clamorosamente, i tributi si strinsero la mano e
poi entrarono nel Palazzo di Giustizia.
***
Isabelle rimase sola nella stanza dei saluti e sapeva che nessuno
sarebbe venuto a trovarla. La madre era morta subito dopo il parto e il
padre la odiava, sentimento del tutto ricambiato dalla ragazza, che era
stata costretta fin dall’età degli otto anni ad
allenarsi per gli Hunger Games e a soli dieci anni era stata ammessa
nell’Accademia di addestramento. La sua vita era stata fin da
subito finalizzata a questo e, se non sarebbe stata estratta, si
sarebbe dovuta offrire, prima o poi. Ovviamente avrebbe preferito farlo
a diciotto anni, ma lei sapeva che avrebbe vinto lo stesso, anche se ne
aveva solo quindici. Era spietata, sadica e forte, non avrebbe avuto
problemi all’interno dell’arena.
Cosa le importava se
non aveva vissuto la vita di una normale ragazzina della sua
età? Cosa le importava se non aveva amici e se nessuno si
era offerto per lei? Cosa le importava se non aveva l’affetto
di una famiglia? Niente, assolutamente niente. Era indipendente e non
le serviva nessuno, bastava solo lei. Non le servivano amici, genitori
e un fidanzato. O almeno era questo che continuava a ripetersi.
Lei doveva solo
vincere, tornare a casa e dimostrare a tutti che lei non era solo una
ragazzina. E ce l’avrebbe fatta. Doveva farcela,
altrimenti non sarebbe servito a niente aver sacrificato la sua vita.
***
- Ciao, Merian – disse sua madre, Glenelle, non appena
entrò nella stanza.
Lui le fece appena un
cenno e poi tornò a osservare il paesaggio fuori dalla
finestra.
- Non dovevi offrirti
volontario, potresti morire! – sussurrò la donna,
quasi impaurita dalla reazione che avrebbe potuto avere.
- Ti importa
davvero? Mi avete cacciato di casa e adesso vieni a dirmi che potrei
morire? – chiese con rabbia.
- L’ha
voluto tuo padre. . .io. . .beh. . . –
- Non
morirò. Io riuscirò a vincere, te lo giuro
– la rassicurò, vedendola in difficoltà.
Dopo la madre,
entrò a salutarlo la fidanzata, la loro storia durava da un
anno, nonostante i frequenti tradimenti da parte di Merian, mentre
Jeria era innamorata e sopportava pazientemente. Era stata lei la causa
della cacciata di casa del ragazzo, infatti era rimasta incinta per
errore e anche se aveva risolto tutto abortendo, i genitori di Merian
non lo avevano perdonato.
- Ehi. –
- Ciao, Jeria.
–
- Quindi parti per. .
.i giochi – disse con voce tremante.
- Guarda che
“Hunger Games” non è una parolaccia, lo
puoi dire. –
- Lo so. È
solo che. . . –
- Hai paura che non
torni? Ti sei davvero affezionata a me? Credevo che stessimo insieme
più per una questione di reputazione, che per un sentimento
vero! –
- Infatti è
così! – esclamò lei, forse un
po’ troppo forte.
- Come fai ad essere
così sicuro di vincere? Come fai a non mostrare nemmeno un
filo di tristezza, nemmeno un po’ di paura? –
- Non sono come te! Io
vincerò, lo so. Sono allenato, sono forte, sono pronto!
–
Jeria annuì
debolmente, fece per uscire, ma poi si voltò nuovamente e si
avvicinò al fidanzato. Si sollevò in punta di
piedi, appoggiò le mani sulle sue spalle e lo
baciò dolcemente.
- Buona fortuna
– sussurrò non appena si separarono.
- Non ne ho bisogno
– ribatté lui, facendola sorridere.
DISTRETTO 1
– beni di
lusso
Helena Wilson amava con tutta se stessa il distretto 1, non solo
perché c’erano sempre dei volontari e
perché la gente era allegra e partecipava alla mietitura con
voglia, ma anche perché si producevano cose davvero
meravigliose: mobili pregiati, gioielli preziosi, vestiti alla moda,
una vera delizia per gli amanti dello shopping come lei! Ora stava
osservando le ragazze che avevano alzato la mano per offrirsi
volontarie per sceglierne una. Come ogni anno, erano davvero tante e
non era certo un compito facile trovare quella che avrebbe potuto
vincere. Alla fine ne scelse una davvero alta, all’incirca
due metri, con una corporatura molto massiccia e palestrata, fin troppo
essendo una ragazza. Aveva i capelli biondo cenere, ricci e raccolti un
una crocchia bassa, che però lasciava libera la frangetta.
Il naso era molto lungo e aveva una grossa gobba, mentre i suoi occhi
erano grandi e cerulei e quello sinistro era di vetro. I denti erano
molto bianchi, ma decisamente sporgenti, aveva anche una grossa
cicatrice che andava dall’occhio di vetro alla narice
sinistra. Helena non aveva certamente scelto una bella ragazza, cosa
che di solito accumunava le ragazza dell’uno, ma da lontano
non era facile vedere bene. Sperava che fosse almeno un abile
combattente.
- Come ti chiami,
cara? –
- Non mi chiami
“cara”! Comunque Cornelia Banks. –
- Oh, scusami. Quanti
anni hai, Cornelia? –
- Diciotto. –
- E perché
ti sei offerta volontaria? –
- Perché
ritengo che gli Hunger Games siano l’opportunità
che mi consentirò di mostrare a tutta Panem il mio
potenziale ed è anche un’ottima occasione per
rappresentare il distretto 1. –
“Quante bugie che
bisogna dire per attirare sponsor! La cosa buffa è che
qualcuno ci crede davvero a queste fandonie propagandistiche che
Capitol City ci inculca nella testa!”
pensò la ragazza.
- Fantastico! Sono
sicura che il tuo distretto sia fiero di te! –
esclamò la Helena, prima di dirigersi all’altra
boccia.
Tra i molti volontari
ne scelse uno alto e dalla corporatura massiccia, ma sicuramente
più carino di Cornelia, la capitolina sapeva, infatti, che
per i distretti favoriti anche l’aspetto fisico contava.
Aveva i capelli biondi e leggermente scompigliati, il suo viso era dai
tratti spigolosi, il naso era affilato, la labbra carnose e gli occhi
erano di un colore grigio–azzurro.
- Mi chiamo Alvin
Lorcan Theroux e ho diciassette anni – si
presentò.
- Perché ti
sei offerto volontario? – chiese curiosa
l’accompagnatrice.
- Per riscattare il
nome della mia famiglia. Infatti molti qui al distretto disprezzano e
parlano male dei Theroux a causa di mio padre, ma io ho intenzione di
dimostrare a tutti che si sbagliano! Io vincerò! –
- Sono curiosa Alvin,
cosa ha fatto di tanto grave tuo padre da infangare il nome della tua
famiglia? –
- Lui non si
è offerto volontario per gli Hunger Games quando i suoi due
fratelli minori furono estratti – spiegò il
ragazzo con la voce incrinata.
- Oh, capisco. Spero
che riuscirai a vincere e a conquistare il tuo obiettivo! –
***
Le uniche due persone che andarono a salutare Cornelia furono la
sorellina, Annette, di tredici anni, e la madre, Evelyn. Il padre era
morto quando la ragazza aveva solo cinque anni e non aveva nemmeno mai
conosciuto la secondogenita, poiché quando morì
la moglie era incinta. Annette corse subito ad abbracciarla e la
sorella le accarezzò debolmente la testa.
- Devi tornare,
Cornelia. Se tu morissi io come farei? –
- Vincerò,
vedrai! – la rassicurò.
- Me lo prometti?
–
- Promesso. –
- Ti voglio bene!
– esclamò la sorellina tra le lacrime, prima di
abbracciarla ancora.
Cornelia le voleva
bene, anche se non riusciva a dimostrarglielo. Sapeva di non essere
esattamente una buona sorella, dopotutto era un assassina, anche se non
avevano le prove per dimostrarlo. Non era successo solo una volta, ma
ben tre volte. Non le importava, anzi: uccidere era diventato il suo
primo sfogo, il senso della sua esistenza. Amava torturare la propria
vittima prima di finirla, adorava vederla morire lentamente e
dolorosamente. Non era così prima, l’avevano
cambiata e quindi se lo meritavano!
- Cornelia. . .
– mormorò sua madre, ma la ragazza non la
degnò nemmeno di uno sguardo e presto il tempo
finì.
***
Il fratellino di Alvin, Lowell, di soli dieci anni, fu il primo a
precipitarsi nella stanza piangendo. Il ragazzo lo abbraccia subito
forte e per un po’ rimangono così, poi si china
alla sua altezza e gli asciuga le lacrime.
- Non piangere, non
devi essere triste. –
- Mi prometti che
tornerai a casa sano e salvo? –
- Promesso.
– rispose dolcemente Alvin, prima di abbracciarlo nuovamente.
- Vedrai che
andrà tutto bene e presto sarò di nuovo a casa
con te! –
Mentre diceva queste
parole, il padre, Caleb, entrò nella stanza, ma rimase in un
angolo imbarazzato, mentre i fratelli finirono di salutarsi.
- Ora vai, Lowell, ci
vediamo presto. –
- Ti voglio bene!
–
- Anche io! –
Quando Alvin rimase
solo con il padre, si voltò, dandogli le spalle. Con il
padre aveva infatti un rapporto altalenante, visto che lo accusava
della partenza della madre, Elith, che se ne era andata siccome non
riusciva più a sopportare gli sguardi di accusa e i
pettegolezzi sulla loro famiglia. Ad un certo punto sentì
due braccia circondargli il busto e una testa poggiarsi sulla sua
spalla, inizialmente rimase rigido, ma poi si rilassò e si
lasciò abbracciare dal padre. Poco dopo un Pacificatore
aprì la porta e mise fine ai saluti. Caleb si
allontanò dal figlio, ma, prima di uscire,
mormorò tra le lacrime:
- Ti voglio bene,
Alvin, torna a casa! –
Il ragazzo non
rispose, ma una lacrima gli rigò il viso. La
asciugò in fretta e la sostituì con uno sguardo
determinato.
CAPITOL CITY
Il Capo Stratega,
David Wood, lasciò l’Anfiteatro cittadino, dove
l’intervistatore, Ray Carter, stava ancora commentando i vari
tributi. Era davvero una persona buffa e stramba quell’uomo,
fin troppo allegra per i suoi gusti. Lui preferiva di gran lunga le
cose sobrie, ma di classe. Era convinto che per stupire le persone non
servisse niente di complicato e sopra le righe, bastava qualcosa di
semplice, ma speciale. Credeva profondamente nel modo di dire
“il troppo stroppia”. Forse era questo che lo
distingueva da tutti gli altri capitolini, ma a nessuno importava
più di tanto, finché riuscisse a creare una
fantastica edizione degli Hunger Games e in questo era davvero bravo.
Sorrise guardando
l’ologramma della sua
arena, fra poco tutti l’avrebbero vista. Avrebbe
lasciato tutti a bocca aperta, anzi no: all’inizio tutti si
sarebbero chiesti: “È
tutto qui?”. Ma solo lui sapeva quanti segreti
nascondeva quell’arena: era la sua migliore creazione.
Per i tributi non
sarebbe stata certo una facile edizione, affatto.
- Che i trentesimi
Hunger Games abbiano inizio e possa la buona sorte essere sempre a
vostro favore! – sussurrò.
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti!
So che ho fatto un
ritardo incredibile: è un mese che non aggiorno! Scusatemi
davvero tanto, ma maggio per la scuola è davvero un mese
infernale!
Finalmente
è arrivato l’ultimo capitolo sulle mietiture,
EVVIVA! :)
Ho pensato che fosse
un’idea carina mettere anche un paragrafo dedicato al Capo
Stratega, spero che non vi sia dispiaciuta questa cosa.
Prima che inizino i
capitoli veri e propri, nel senso che questi erano più di
presentazione, vi consiglio di rileggervi le mietiture, così
magari riuscite a ricordarvi meglio i personaggi.
Vi ricordo che questo
è l’ultimo capitolo in cui potete votare per i
morti durante il primo giorno, per ora la media si aggira sul sette. Se
qualcuno che non ha ancora votato, volesse farlo, può
tranquillamente, anche chi non ha tributi nella storia.
Vi lascio una piccola
scaletta su i capitoli che ci saranno prima dell’arena, ma vi
avviso che potrebbe essere soggetta a variazioni.
·
cap. 5: Treno (quattro pov) + staff preparatori/incontro con lo
stilista (due pov). Per un totale di sei pov, tutti di distretti
diversi.
·
cap. 6: Sfilata e la prima sera, quindi eventuali chiacchiere con
l’altro tributo o con il mentore, pensieri personali,
eccetera. Ci saranno sei pov, che saranno per gli altri distretti che
non sono apparsi nel capitolo 5.
·
cap. 7: addestramento (tutti e tre i giori). Anche qui sei pov.
·
cap. 8: sessione privata e preparazione alle interviste, sempre sei
pov. Quindi a questo punto tutti i tributi avranno avuto un loro pov.
·
cap. 9: interviste. Non ho ben deciso chi avrà il punto di
vista, ma penso il Capo Stratega.
·
cap. 10: ARENA!!
So che ci
vorrà un bel po’ prima della parte che interessa a
tutti, ma vorrei farvi conoscere bene i tributi.
Per rinfrescarvi la
memoria vi lascio una lista dei tributi e per chi ce l’ha vi
lascio il prestavolto :)
DISTRETTO 1
Cornelia
Banks
Alvin
Lorcan Theroux
DISTRETTO 2
Isabelle Hadlington
Merian Oleg
DISTRETTO 3
Kathleen
Vince
Riven
Cole
DISTRETTO 4
Elaine Claythorne
Michael Waves
DISTRETTO 5
Alexia Black
Nigel Collins
DISTRETTO 6
Kaya Patel
Jace Eaton
DISTRETTO 7
Allison
Thomas
Mark Roberts
DISTRETTO 8
Reylen Sheed
Vegas
Ghellow
DISTRETTO 9
April
Joyce
Jake
Sander
DISTRETTO 10
Felicity
Morrison
Jack . . . (senza
cognome)
DISTRETTO 11
Alexandra Green
Matthew White
DISTRETTO 12
Shanti Koyle
Blake Dawnson
WOW! Ho imparato ad inserire i link nelle parole! u.u
Ora vi lascio!
Un bacione e a presto,
Felix
p.s. Buone vacanze!
|
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Capitolo 6 *** Verso Capitol City ***
Verso Capitol City
Alexandra Green
– distretto 11
Piangeva ancora quando Matthew entrò nella sua stanza.
Indossava abiti nuovi, probabilmente si era già lavato e
cambiato, e pareva tranquillo. Alexandra invece aveva le guance rigate
dalle lacrime, i capelli fuoriposto e i vestiti spiegazzati, ma non le
importava più di tanto. Osservò per un attimo
l’amico, fermo davanti alla porta, e poi gli chiese
bruscamente:
- Come fai? –
- A fare cosa? –
- A startene così rilassato! Hai capito cosa sta succedendo?
Lo sai dove stiamo andando? –
Matthew sospirò, si avvicinò al letto e si
sedette affianco a lei, prendendole le mani.
- Ale, calmati. So bene cosa sta succedendo e sicuramente non sono
tranquillo e rilassato, ma piangere non servirà a nulla!
–
In risposta la ragazza cominciò a piangere ancora
più forte e allora lui la strinse in un abbraccio. Amava i
suoi abbracci perché la facevano sentire al sicuro e a
casa.
- Io non ci riesco. Sto per andare agli Hunger Games e soprattutto con
te! Almeno uno di noi due non tornerà a casa! –
- Lo so e per questo mi assicurerò che sia tu a vincere.
–
- Non puoi! –
- Sei la mia migliore amica e te lo meriti più di qualunque
altra persona al mondo. Mi hai accolto in casa tua anche se non mi
conoscevi e mi hai trattato come un fratello! Non puoi morire, non lo
sopporterei! –
- Matthew. . . –
- Non dire niente. –
Come poteva non dire niente? Lui era una delle persone a cui teneva di
più al mondo e vincere significava perderlo. Sapeva che
probabilmente nessuno dei due avrebbe vinto: non erano allenati,
né tantomeno forti come i favoriti. Doveva trovare un modo
per assicurarsi che lui avrebbe avuto una possibilità.
- Un’alleanza! – esclamò
- Come? – chiese lui confuso.
- Dobbiamo stringere un’alleanza: noi e qualcun altro.
Pensaci: se uno dei due morisse, almeno l’altro avrebbe
qualcuno che lo aiuti, almeno fino ad un certo punto. . . –
- È una buona idea, ma come facciamo ad essere sicuri di
poterci fidare? –
- Analizzeremo bene ogni singolo tributo: troveremo i suoi punti forza
e quelli di debolezza, osserveremo come si comporta, con chi parla, su
cosa si allena. . . –
- Sembra una missione di spionaggio! –
Alexandra rise e poi mormorò:
- Ti voglio bene, Matthew, tanto! –
- Anche io – rispose lui, prima di abbracciarla nuovamente.
Si lasciò cullare dolcemente dal ragazzo, non pensando a
cosa li aspettava, ai pericoli che avrebbero corso, agli Hunger Games,
all’arena, alle alleanze. Almeno per adesso non voleva
preoccuparsene, voleva solo stare tra le braccia del suo migliore
amico, senza pensare. Voleva sentirsi ancora una volta al sicuro e
protetta, come se niente le potesse fare del male. Purtroppo per lei
non era così, anche se non ci pensava i giochi stavano per
iniziare e lei, in cuor suo, sapeva bene che c’erano poche
possibilità che tornasse a casa e, anche se questo fosse
successo, non sarebbe di certo stata felice, non senza Matthew.
Riven Cole – distretto 3
Lui, la sua compagna di distretto, il mentore e
l’accompagnatrice stavano cenando attorno a un grande tavolo
imbandito nel vagone ristorante. Riven era nervoso e si sentiva in
ansia a causa dell’improvviso cambiamento che aveva sconvolto
la sua routine quotidiana. C’era troppo casino in quella
stanza, per i suoi gusti: la capitolina che parlava con la sua voce
acuta, il mentore che cercava in tutti i modi di iniziare una
conversazione con i ragazzi e Kathleen che, con le lacrime agli occhi,
rispondeva timidamente alle domande dell’uomo. Il ragazzo non
riusciva a stare tranquillo, doveva estraniarsi dalla situazione, per
cercare di calmarsi. Iniziò così a ciucciarsi la
manica della maglietta: era un vizio che aveva, ma lo rilassava quando
si sentiva a disagio, o teso o confuso per qualcosa. Questo
però non gli bastò per tranquillizzarsi,
provò allora a concentrarsi sul ritmico rumore del treno,
fissando, contemporaneamente, il meccanismo del suo orologio,
regalatogli dal nonno. Assorto nei suoi pensieri perse così
la concezione di quello che gli stava accadendo intorno e non si
accorse, perciò, dei tentativi del mentore di parlare con
lui e di riportarlo alla realtà. Solo dopo una decina di
minuti alzò lo sguardo dal suo orologio e, a quel punto,
notò l’uomo chiamarlo.
- Oh. . .ehm. . .diceva? – chiese il ragazzo, dopo essersi
tolto la manica ciucciata dalla bocca.
- Ti volevo chiedere se avessi qualche domanda a farmi, qualche
consiglio da chiedermi. –
- Io. . .come si chiama, lei? –
- John Marshall – si presentò per la seconda volta
il mentore.
- Oh sì, mi ricordo! Ha vinto la quindicesima edizione con
la tattica delle trappole! Avrà intrappolato almeno cinque
tributi nelle sue buche e poi li ha uccisi con una freccia,
non è vero? –
- Oh. . .ehm. . .sì. Ma come fai a ricordarlo, sono passati
quindici anni! –
Riven non rispose e tolse dalla tasca un foglietto spiegazzato, lo
consultò per un paio di minuti e poi esclamò:
- Lei è confuso! L’ho capito grazie a questa
tabella delle emozioni. –
- Non capisco come tu possa ricordarti di me. . .avevi solo un anno!
– spiegò John
- Diciamo che io ho una profonda ossessione per gli Hunger Games: ho
visto la maggior parte delle edizione e memorizzato i tributi e le loro
tecniche di combattimento, le diverse arene con le loro
caratteristiche, ricordo punti di forza e punti di debolezza di ogni
ragazzo che ha partecipato hai giochi, Conosco persino la maggior parte
delle tecniche che gli Strateghi hanno utilizzato per sbarazzarsi di un
tributo, ma soprattutto ricordo i vincitori e le strategie che li hanno
portati alla sopravvivenza! –
Tutti i presenti lo guardavano a bocca aperta: nessuno aveva mai
conosciuto una persona così fissata con gli Hunger Games.
- Questo è sicuramente un punto a tuo favore, Riven. Potrai
sfruttare le tue conoscenze per adottare strategie utili e scartare
quelle che con altri non hanno funzionato, oppure migliorarle. Se hai
anche capito il modo di pensare degli Strateghi allora sei a cavallo!
–
- In realtà, sono seduto su una sedia – disse il
ragazzo confuso.
- È un modo di dire – provò a spiegare
il mentore, ma l’espressione di Riven non cambiò.
- Non importa – fece allora. – Andate pure a letto
ora, domani sarà una lunga giornata! –
Blake Dawnson – distretto 12
Blake stava affacciato ad un finestrino, osservando i paesaggi che
cambiavano velocemente ai suoi occhi. Aveva un’espressione
impassibile stampata sul volto, come se niente gli importasse, come se
niente potesse ferirlo. Si era offerto volontario per un dodicenne e
non aveva rimpianti: probabilmente quel ragazzino aveva una
famiglia,degli amici, qualcuno che gli voleva bene, mentre lui non
aveva nessuno, era solo. Tanti lo avrebbero identificato come
un eroe, come una persona coraggiosa, ma lui si sentiva un codardo. Un
codardo che preferiva morire, piuttosto che combattere contro i suoi
dolori. Era esattamente come i suoi genitori, che si erano lasciati
vincere dalla morfamina ed erano poi stati uccisi dai Pacificatori.
Nemmeno lui sapeva il motivo, probabilmente era perché non
lavoravano più: la droga aveva annebbiato la loro
realtà e avevano cambiato completamente il modo di vivere.
Era un codardo come loro, che non avevano avuto il coraggio di
affrontare i problemi ed erano morti, lasciandolo solo. Si era sempre
sentito arrabbiato con loro, ma aveva capito che l’unica
persona che doveva odiare era se stesso perché non era stato
in grado di riprendersi e per due anni era persino finito in
depressione, ora ne era uscito, ma stava ancora attraversando un
periodo difficile. A riscuoterlo dai suoi pensieri fu la voce timida di
una ragazza:
- Ciao. –
Era la sua compagna di distretto. Prima di parlare rimase un attimo ad
osservarla: aveva sciolto lo chignon laterale che portava e ora i
lunghi capelli neri le ricadevano morbidi sulle spalle, gli occhi verdi
lo scrutavano dubbiosi e con le mani si stava torturando il bordo della
leggera vestaglia azzurra che indossava.
- Ciao – rispose accennando un sorriso, per poi rigirarsi
verso il finestrino.
Shanti si avvicinò a lui e si mise anche lei a guardare i
paesaggi.
- Allora il mentore è tuo padre. . . – fece ad un
certo punto il ragazzo. – Sei fortunata, di sicuro
sceglierà te. –
- Io. . . –
- Non ti preoccupare, non è colpa tua. –
- Blake, sono sicura che farà il possibile per aiutare
entrambi! –
- Già, ma solo uno può vincere. Tu sei sua figlia
e che ti piaccia o no io sono un tuo avversario. –
Lei aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse.
- Non volevo essere duro, mi dispiace – si scusò
il ragazzo passandosi una mano tra i capelli.
- Tranquillo, non importa. –
- Credi che sarà così difficile? I giochi
intendo. –
- Non credo. Insomma, al momento sei spinto dalla voglia di tornare a
casa, ma se riesci a sopravvivere allora arriva la parte peggiore.
Capita ancora che mio padre a volte si svegli durante la notte in preda
agli incubi: i sensi di colpa non finiscono mai. Anche se vinci, ogni
anno devi rivivere i tuoi incubi facendo il mentore, ogni anno rischi
di vedere due ragazzini morire e magari li conoscevi anche! Non
è facile. . . –
- Forse allora è meglio morire, no? –
- Questo non te lo so dire, ma di certo non mi arrenderò.
Anche se non dovessi tornare a casa, voglio morire lottando! –
- Cambierebbe davvero qualcosa? Insomma, in ogni caso accontenteresti
Capitol City. –
- Sì, è vero, ma io voglio morire rimanendo me
stessa, non una pedina dei loro giochi! –
Vegas Ghellow –
distretto 8
Vegas osservò il tavolo imbandito per la colazione,
c’era davvero tantissima roba. Immediatamente gli venne da
pensare a sua madre che sempre sacrificava un po’ del suo
cibo per lasciarlo al marito e ai figli. Gli sarebbe piaciuto diventare
un padre così buono, paziente e dolce, ma prima doveva
vincere, solo così sarebbe potuto tornare dalla sua
fidanzata e dal bimbo che portava in grembo. Non riusciva nemmeno a
pensare all’idea che forse non lo avrebbe mai visto nascere.
Nonostante fosse stata una cosa imprevista, era davvero felice e non
voleva che Capitol City gli negasse anche di crescere il suo figlio. Si
accomodò al tavolo, dove il mentore e
l’accompagnatrice stavano già mangiando.
All’appello mancava solo Reylen, ma il ragazzo non si
stupì: aveva passato la maggior parte del tempo nella sua
stanza ed era uscita solo per i pasti o per comunicazioni importanti,
sarebbe arrivata a minuti ed infatti così fu.
- Allora ragazzi, ho già parlato privatamente con voi delle
vostre abilità e, come vi ho già consigliato,
durante l’addestramento concentratevi sulle vostre debolezze
oppure sulle cose da migliorare, non fate vedere troppo le cose in cui
siete bravi. Essendo il distretto 8 un distretto urbano, vi consiglio
di fare un salto anche dove vi insegnano a sopravvivere: accendere un
fuoco, riconoscere piante commestibili o no, queste cose insomma
– disse il mentore.
Vegas lanciò un’occhiata a Reylen, che era molto
concentrata. Si chiese quali fossero le sue abilità, poteva
sembrare debole, ma secondo lui non era da sottovalutare: aveva uno
sguardo determinato in volto.
- Parlando delle alleanze, secondo me potreste essere una buona
accoppiata, ma ovviamente sta a voi decidere. È meglio se
non entrate a fare parte del classico gruppo dei favoriti: sarebbero
capaci di prendervi e usarvi per quello che gli servite e poi colpirvi
alle spalle quando non hanno più bisogno di voi. Stare da
soli è sconsigliato, trovatevi almeno un alleato, qualcuno
di cui vi potete fidare. C’è una cosa che
è davvero la più importante: gli sponsor. La
vostra vita nell’arena dipende molto anche da loro: potrebbe
capitare che vi troviate in una zona senz’acqua e a quel
punto se piacete a loro non avrete problemi, altrimenti. . . –
Era un ragazzo allegro e divertente, era socievole e non faticava a
farsi degli amici, ma questo sarebbe piaciuto agli sponsor? Oppure
avrebbero preferito un ragazzo misterioso? O il classico arrogante
pieno di sé? Non gli era mai importato del giudizio altrui,
ma stavolta in ballo c’era la sua vita.
- Come possiamo piacergli? – chiese.
- Dovete comportarvi come vogliono loro e non è difficile
capire questo, il problema è farlo. Dovrete essere disposti
a rinunciare ai vostri principi e al vostro vero carattere. –
- Non voglio diventare qualcuno modellato da Capitol City! –
protestò Reylen.
- Allora devi sperare che tu piaccia loro così come sei
– disse il mentore.
Come poteva essere sicuro che agli sponsor lui piacesse? Non voleva
cambiare, ma voleva tornare a casa. Sarebbe stata una dura scelta.
Felicity Morrison
– distretto 10
Felicity si stava
mordendo le labbra per non lamentarsi con il suo staff preparatori che
le stava facendo una pulizia completa, ma anche piuttosto dolorosa. Il
mentore le aveva consigliato di stare in silenzio e lasciar fare ai
capitolini il loro lavoro e, sebbene odiasse essere comandata, aveva
deciso di ascoltarlo. Quando era entrata nella stanza
l’avevano guardata male e non li biasimava per questo: lei
non si occupava del suo corpo o di apparire bella, sia
perché aveva altre cose a cui pensare, sia perché
non le interessava. Nei distretti la gente non aveva la
possibilità di lavarsi molto spesso, ma lei non lo faceva
praticamente mai, lo riteneva solo una perdita dio tempo. Un sorriso
involontario le spuntò sul viso al pensiero della madre,
Sarah, che spesso la riprendeva per questo suo essere ribelle. Lei era
la sua migliore amica, la sua confidente e la sua consigliatrice e
anche se era passato meno di un giorno le mancava già
tantissimo. Si chiese che cosa stesse facendo ora la sua famiglia.
Chissà se avevano mangiato e se si erano messi al lavoro
nella loro fattoria, oppure non erano nemmeno usciti di casa? E Samuel,
il suo fidanzato? Aveva fatto scendere le lacrime che aveva trattenuto
per tutta la durata dei saluti per farle forza? E le sue sorelle
avevano capito quello che stava per affrontare? Probabilmente no, erano
troppo piccole, ancora lontane dall’affrontare la dura
realtà, ma presto sarebbe giunto anche il loro momento.
Avrebbe tanto voluto essere lì con la sua famiglia, le
mancava tanto. Sentiva la forte necessità di un abbraccio,
uno di quegli abbracci che ti fanno sentire al sicuro e a casa, ma
aveva la sensazione che qui a Capitol City non ne avrebbe ricevuto
nessuno così.
- Ecco fatto! – esclamò una capitolina dalla voce
acuta.
Felicity la osservò per un attimo, era bassa e grassoccia, i
capelli erano corti e rosso fuoco e aveva tatuaggi strani su tutto il
corpo. Si chiese perché i capitolini si conciassero in quel
modo. Forse quella donna era anche carina, ma era completamente
modificata da tinte, ricostruzioni, piercing e tatuaggi, non riusciva a
trovare niente di naturale in lei.
- Ora cosa devo fare? –
- Tra poco ti raggiungerà lo stilista e parlerà
con te del vestito della sfilata! Sono sicura che sarai bellissima!
– spiegò la stessa donna di prima.
La ragazza sperava solo che non fosse niente né di troppo
elegante, né di troppo trasparente, non voleva di certo
andare in giro mezza nuda. Si sentiva strana a dover dipendere
così tanto dalle decisioni di altri, nel suo distretto,
nonostante tutto, era libera. Ripensò ai pomeriggi passati a
cavalcare il suo cavallo, Lyra, nelle valli del distretto. In quei
momenti si sentiva davvero libera, priva di obblighi e doveri, si
sentiva felice e si chiese se avrebbe mai potuto riprovare sensazioni
così un giorno. Aveva infatti l’orrenda sensazione
che nemmeno se avesse vinto sarebbe stata felice.
SPAZIO
AUTRICE
Ciao a tutti!
So di essere davvero
in ritardo, ma questo primo mese di vacanza è stato
piuttosto intenso e non avevo nemmeno molta ispirazione su questo
capitolo. Inoltre è appena finito il CRE e io sono stata
animatrice ed è praticamente come un lavoro, insomma ho
avuto tempo di scrivere solo il sabato e la domenica, visto che la sera
ero stanca morta e ci sono anche i compiti, gli amici, eccetera. In
ogni caso mi scuso per il ritardo!
Vi avevo detto che ci
sarebbero stati sei pov, invece ce ne sono solo cinque,
perché non sapevo bene cosa scrivere, questo
vorrà dire che ci sarà un capitolo con sette pov.
Spero che vi sia piaciuto e spero di aver sviluppato bene i vostri
personaggi.
Come sempre ho delle
comunicazioni varie:
- le votazioni per il
numero di morti del primo giorno sono ufficialmente chiuse. Ho fatto la
media, non ricordo il numero preciso, ma comunque arrotondato
è sette.
- ho già
scelto quali saranno le persone che ci lasceranno il primo giorno e vi
giuro che è stato molto difficile decidere perché
nonostante la storia sia iniziata da poco mi sono affezionata a loro,
non voglio nemmeno immaginare quanto sarà difficile scrivere
delle loro morti. Chi ho scelto? Non ve lo dirò certo ora!
Muahahahahah!
- ho deciso anche le
alleanze, alcune si formeranno prima dell’arena, altre invece
durante i giochi, non dovrete aspettare molto per conoscerne alcune. Ho
cercato di ascoltare le vostre preferenze, ma un po’ ho agito
come meglio credevo che fosse.
- il prossimo capitolo
sarà sulla sfilata e sulla prima notte a Capitol, spero di
pubblicarlo presto!
- sabato parto per Marsa
Alam (*_*) e non credo riuscirò a scrivere un capitolo in
una settimana, quindi forse dovrete aspettare un po’ di
più :(
- ho creato un profilo
per EFP su facebook, chiedetemi l’amicizia, mi chiamo Felix
Felicis EFP
Come sempre ringrazio
chi ha recensito lo scorso capitolo e vi chiedo di lasciarmi un
commento per sapere cosa pensate di questo!
Un bacione,
Felix
p.s. Spero che stiate
passando delle belle vacanze!
|
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Capitolo 7 *** Riflessioni ***
Riflessioni
Kathleen Vince – distretto 3
La ragazza si
guardò allo specchio con occhio critico: indossava un abito
completamente grigio, aderente e che le arrivava appena sotto il
sedere, aveva delle spalline e una profonda scollatura a cuore. Si
sentiva a disagio e in imbarazzo e non capiva cosa c’entrasse
quell’abito con il suo distretto. Producevano macchine
tecnologiche e quindi ci poteva stare il colore grigio, ma il resto non
aveva senso. La sua stilista, Margaret, la raggiunse e notò
con orrore che in mano aveva uno strano copricapo. Glielo
posizionò sulla testa e poi la guardò raggiante e
sorridente. Era una specie di lampadina gigante che si accendeva e si
spegneva continuamente. Non si era mai sentita così ridicola
in vita sua.
- Sei bellissima! – esclamò la capitolina.
Kathleen non poté fare a meno di arrossire, nonostante
sapesse benissimo che non era vero. I complimenti la facevano
imbarazzare e le capitava spesso di diventare tutta rossa.
- Grazie – rispose, con un timido sorriso.
Diede un’ultima occhiata al suo viso nello specchio: era
lievemente truccata e i capelli biondi erano sciolti. Sapeva che
vestita così non avrebbe attirato molti sguardi, avrebbe
dovuto fare qualcosa per gli sponsor, la sua unica
possibilità di uscire dall’arena. Si diresse con
la stilista dove i tributi aspettavano che la cerimonia iniziasse.
Riven era già sul carro, vestito anche lui di grigio, ma
intesta non aveva nessuna lampadina, bensì
l’ingranaggio di qualche macchina, doveva essere fatto di
qualche materiale leggerlo, probabilmente polistirolo. Salì
anche lei sul carro, torturandosi le mani per l’agitazione. Che impressione avrebbe dato ai
capitolini? L’avrebbero almeno considerata di uno sguardo? Molte
domande le passavano per la testa, ma non riusciva a rispondere a
nessuna. La musica di apertura iniziò e il carro del
distretto 1 partì e fu accolto da un potente boato,
dopotutto erano i favoriti. Presto toccò anche a loro,
attraversarono le porte che davano sulle strade bordate di gente e
incominciarono il giro. Quando passavano la gente applaudiva e li
osservava, Kathleen cercava di sorridere, ma si sentiva in imbarazzo.
Provò allora un vecchio trucco: immaginò al posto
dei capitolini i suoi amici e tutto fu più facile. Stavano
per arrivare all’Anfiteatro cittadino, quando la ragazza non
poté fare a meno di notare che le persone li guardavano a
bocca aperta, o meglio, guardavano Riven a bocca aperta. Si
girò verso il compagno e vide che si stava spogliando del
vestito, gli lanciò uno sguardo confuso e lui disse:
- La stoffa mi da fastidio! –
Poi si sedette e cominciò ad osservare il suo orologio in
silenzio. La folla cominciò a protestare e ad urlare dei “bu!”.
Kathleen sapeva dei suoi problemi e quel ragazzo un po’ le
faceva tenerezza. Si accomodò quindi accanto a lui, dopo
essersi liberata del fastidioso copricapo e si mise a fargli qualche
domanda sulla meccanica. Alla ragazza non importava del parere degli
altri, o delle ramanzine che le avrebbero fatto dopo, capiva Riven e
voleva stargli vicino.
Elaine Claythorne
– distretto 4
Elaine sbuffò. Ogni
anno gli stilisti del distretto 4 vestivano i tributi allo stesso modo!
Vestivano per modo di dire, visto che erano praticamente nudi, escluse
le parti intime che erano coperte da stracci marroni. Sopra aveva una
rete da pesca, decorata da qualche conchiglia e qualche alga. Allo
stesso modo era vestito Michael, il suo compagno. Fortunatamente il suo
stilista le aveva concesso di tenere gli orecchini a forma di
conchiglia che le regalò sua nonna, altrimenti lo avrebbe
già preso a calci. Odiava le persone che giudicano solo
dall’aspetto esteriore, ma gli sponsor avrebbero badato anche
a questo e lei non voleva – non poteva
– sembrare banale. Quando il carro uscì
iniziò a sorridere, a salutare tutti, a mandare baci, a fare
occhiolini. Si sentiva importante ad essere così acclamata!
Dopotutto anche se i vestiti erano quello che erano, non avrebbero
infangato la fama del distretto 4, gli sponsor avrebbero fatto a gara
per scommettere su di loro, ne era convinta. Di certo non come i poveri
sfigati del tre che, con quegli aggeggi in testa, facevano solo ridere!
- Sorridi un po’, Michael! – lo ammonì,
pentendosene subito dopo vista l’occhiataccia che ricevette.
I ragazzi più grandi le mettevano un po’ di
soggezione, sapeva che era una paura stupida, ma non riusciva proprio a
liberarsene. Certo che con quell’espressione faceva fare
brutta figura anche a lei! Fortunatamente, la sua faccia annoiata
poteva facilmente passare per una determinata e quindi non se ne
curò più di tanto. Dovette trattenere una risata
quando sul carro davanti a lei i due ragazzi si sedettero e il maschio
era perfino mezzo nudo!
“Poveri
sfigati, non avranno nemmeno una possibilità!”
pensò.
Non avevano capito che in gioco c’era il loro onore, la loro
fama, la vittoria? No, pensavano a salvarsi la pelle e basta, ma
così non ci sarebbero certo riusciti e, inoltre, nessuno si
sarebbe ricordato di loro. Però di lei dovevano
ricordarsene, Elaine Claythorne non poteva essere un tributo qualsiasi.
Il presidente Jonathan Clark iniziò il suo discorso di
benvenuto ufficiale da un balcone della sua residenza. Come tradizione,
durante le sue parole, le telecamere si soffermarono a inquadrare il
viso di ciascun ragazzo.
- Un caro benvenuto a Capitol City, carissimi tributi. Spero che
passiate un bel soggiorno qui. Tra poco inizieranno gli Hunger Games e
sono davvero curioso di vedere come ve la caverete! –
- Sicuramente meglio di altri - sussurrò la ragazza,
così piano da non essere sentita nemmeno da Micheal.
Un sorriso sadico e determinato le si aprì sul volto quando
le telecamere la inquadrarono.
Jace Eaton –
distretto 6
- E che la buona sorte possa essere sempre a vostro favore! –
terminò il presidente.
L’inno nazionale partì, i carri fecero un ultimo
giro nell’Anfiteatro cittadino e poi scomparvero nel Centro
di Addestramento. Non appena individuò il suo stilista, Jace
gli lanciò un’occhiataccia: odiava il vestito che
gli aveva fatto indossare. Portava una maglietta e dei pantaloni neri e
in vita, come fosse una specie di salvagente, c’era una
ruota. Inoltre, sulla fronte c’era fissato un faro
illuminato. Lui e Kaya, la sua compagna di distretto, erano solamente
ridicoli. Non avevano attirato l’attenzione di nessuno
sponsor, poteva scommetterci e la colpa era solo dei loro stilisti! Non
poteva di certo essere colpa sua: lui sapeva come attirare
l’attenzione! Al distretto lo conoscevano tutti, aveva un
sacco di amici ed era molto popolare.
- Gli sponsor non ci hanno nemmeno degnato di un sguardo – si
lamentò con Kaya, la compagna di distretto.
- Ci saranno altre occasioni – rispose lei pazientemente,
anche se era chiaro che fosse nervosa.
- Pensavo che gli Hunger Games potessero aumentare la mia
popolarità, ma se andiamo avanti così! -
- Possibile che tu non pensi ad altro se non alla tua fama? In gioco
c’è la nostra vita! – sbottò
arrabbiata.
- Lo so benissimo, ma so anche che ho poche possibilità di
sopravvivere e non voglio morire senza che nessuno si ricordi il mio
nome! Non voglio essere dimenticato! –
- Sono sicura che la tua famiglia e i tuoi amici non si scorderanno di
te – disse la ragazza con un tono più dolce.
Jace abbassò lo sguardo. Davvero sarebbe per sempre rimasto
nei loro cuori? Lui non ne era convinto: suo padre era morto e sua
madre si era risposata con un uomo, con cui lui non andava affatto
d’accordo, inoltre considerava la madre frivola e
superficiale. C’erano i suoi fratelli, ma erano piccoli,
avrebbero fatto in fretta a dimenticarsi di lui. I suoi amici stavano
con lui perché era ricco e popolare, a chi davvero importava
di lui?
- Non ne sono così sicuro – rispose in un sussurro.
- Ci sarà qualcuno che ti vuole bene, che ti è
sempre stato vicino! –
Due
visi passarono in testa al ragazzo: Ashely, la sua fidanzata e Megan,
la sua migliore amica. Loro erano le persone più importanti
della sua vita, le uniche a cui davvero importasse di lui.
Annuì debolmente.
- Allora pensa a loro e fregatene degli sponsor, della
popolarità e di tutto il resto. Cerca di vincere per loro!
–
Non sapeva perché Kaya gli stesse parlando così,
non si erano mai rivolti la parola prima di allora e probabilmente
diceva queste cose per convincere se stessa più che lui, ma
non poteva negare che ora si sentisse meglio.
Isabelle Hadlington
– distretto 2
Una volta terminata la cena, Isabelle e Merian si alzarono da tavola e,
mentre il ragazzo rimase a parlare con il mentore, lei si diresse verso
la sua camera. Si buttò sul letto, ma pochi istanti dopo
dovette rialzarsi perché sentì qualcuno bussare
alla porta. Andò ad aprire e si trovò davanti il
suo mentore.
- Posso entrare? – le chiese.
La ragazza annuì e lo lasciò passare.
L’uomo si sedette sul bordo del letto, mentre lei rimase in
piedi a scrutarlo con aria interrogativa.
- Isabelle, credo che dovremmo parlare della tua strategia nei giochi
– le disse il mentore durante la cena. – Merian
cercherà un’alleanza con il resto del gruppo dei
favoriti, ma non credo sia il caso che lo faccia anche tu. –
- Che cosa intendi dire? – chiese sospettosa.
- Hai solo quattordici anni. . . –
- Ne ho quindici! –
- È la stessa cosa, sei piccola, non sei certo in grado di
affrontare gli Hunger Games da favorita! –
- Secondo te perché nessuno si è offerto al mio
posto? Tutti mi temono e mi odiano al distretto, sono la più
forte dell’Accademia! – urlò la ragazza,
arrabbiata.
- Ascolta, Isabelle, sono sicuro che te la cavi, ma
un’alleanza con i favoriti potrebbe essere pericolosa per te
– le spiegò, cercando di calmarla.
- E cosa suggerisci? Sentiamo! –
- Penso che tu debba adottare la strategia di una ragazzina impaurita:
è la tua unica possibilità per salvarti. Devi
solo fare finta di non sapere nemmeno cosa sia un’arma e
quando un tributo ti si avvicina lo devi guardare spaventata, nel
sessanta percento dei casi se ne andrà e a quel punto potrai
attaccarlo! -
- Mi stai sottovalutando! – protestò.
- È solo un consiglio, ma credo davvero che tu dovresti
ascoltarmi. –
- Non farò mai una cosa del genere! –
Il mentore sospirò sconfitto e le chiese:
- Cosa vorresti fare, allora? –
- Voglio allearmi con il resto dei favoriti, combattere, uccidere e
vincere! –
- Isabelle, ne sei davvero certa ? C’è la tua vita
in ballo! – provò a convincerla ancora il mentore.
- Non solo quella, c’è la fama, la gloria,
l’onore! –
- Quindi sei sicura della tua scelta? –
- Sicurissima! –
Il mentore se ne andò con un sospiro, lasciandola sola.
Odiava che le persone la credessero incapace di un'impresa
simile! Lei era forte e non era affatto piccola come la
definivano. Lei avrebbe vinto quei giochi, ad ogni costo.
Reylen Sheed – distretto 8
- Ciao – disse una voce che la fece sobbalzare.
Si voltò e vide il suo compagno di distretto guardarla con
un sorriso, lei gli fece un cenno di saluto e poi tornò a
guardare la città affacciata al balcone.
- Posso venire? – chiese il ragazzo.
Reylen scrollò le spalle senza guardarlo e lui si
avvicinò.
- C’è davvero un bel panorama! –
- Già. –
- Allora ce l’hai la voce, stavo cominciando a pensare che
fossi muta! –
La ragazza gli rivolse un’occhiataccia che lo fece ammutolire.
- Arriva al punto: che cosa vuoi da me? –
- Io. . .Beh, il nostro mentore ha detto che saremmo una bella
accoppiata per un’alleanza e volevo chiederti che cosa ne
pensi – spiegò il ragazzo con un filo di voce,
forse temendo la sua reazione.
Lei annuì appena e rimase in silenzio a meditare sulle
parole di Vegas. Sapeva che un’alleanza le sarebbe servita,
aveva già poche possibilità e stare da sola non
faceva che diminuirle, ma non sapeva se fidarsi del compagno.
- Non saprei, tu che dici? –
- Dico che di una persona con cui mi voglio alleare dovrei fidarmi e
per fidarmi dovrei conoscerla meglio. –
Il suo ragionamento era giusto, non poteva negarlo, ma non le andava
certo di parlare di sé con la prima persona che passava.
- Facciamo che comincio io e poi, solo se ti va, mi dici qualcosa di te
– disse lui, come se le l’avesse letta nel pensiero.
- Okay. –
- Chiedimi quello che vuoi sapere – fece lui scrollando le
spalle.
- Come ti sei fatto quella cicatrice sul braccio sinistro? –
- Sei attenta ai particolari e diretta, mi piaci. Quando avevo
quattordici anni ero vittima di bullismo, questa me l’ha
procurata un ragazzino di nome Ben Palmer, perché si era
invaghito di Amens, la ragazza che avevo a quel tempo e che ho anche
ora. Avevo sempre sopportato tutto in silenzio, ma un giorno mi sono
arrabbiato ed è scoppiata una rissa. A tutti però
racconto che mi sono tagliato picchiando un Pacificatore che aveva
picchiato mia madre. –
- Ho capito. E come è finito lo scontro? –
- Io ho ricevuto questa cicatrice e un dente scheggiato, mentre lui un
occhio nero e un braccio rotto. Alla fine però ho vinto io!
–
- Amens è la ragazza che è incinta, vero?
–
- Come lo sai? –
- Le voci corrono nel distretto e questo nome non è molto
comune, quindi. . . –
- Sì, è incinta. Spero solo di vedere mio figlio.
. . –
La ragazza rimase in silenzio, le dispiaceva, certo, ma dopotutto anche
lei voleva tornare a casa.
- Si è fatto tardi, ci vediamo domani. –
- Domani inizia l’addestramento. . .potremmo allenarci
insieme! –
- Ci penserò, ora devo andare. –
- Buonanotte, Reylen! –
- Buonanotte, Vegas. –
Alexia Black –
distretto 5
Riusciva a vedere solo
fuoco, rosso e vivido. L’odore di fumo le ostacolava la
respirazione e incominciò a tossire forte. Cercò
di uscire da lì, non poteva stare in quella stanza, sarebbe
morta. Non riusciva a muoversi, sembrava che le sue gambe si fossero
trasformate in piombo. Con difficoltà si sollevò
da terra e uscì dalla stanza ritrovandosi in salotto,
sdraiato sul pavimento c’era il suo fidanzato Matthias. Si
gettò accanto a lui piangendo, ma non c’era
più niente da fare. Il fuoco era sempre più
intenso e non riusciva a vedere niente. Sentì la voce di suo
fratello chiamarla in lontananza urlando di dolore, ma poi smise anche
quella. Le fiamme l’avevano circondata, urlò,
mentre il fumo e le lacrime non le permettevano più di
vedere. Il fuoco era sempre più vicino, pochi centimetri e
l’avrebbe toccata. Faceva caldo, tanto, e aveva paura.
Sarebbe morta, lo sapeva. Le fiamme la raggiunsero e. . .
Si svegliò urlando, madida di sudore e con le guance rigate
dalle lacrime. Era l’ennesima volta che faceva
quell’incubo, ogni volta cambiava leggermente ma in sostanza
era quello. I suoi genitori erano morti in un incendio quando lei aveva
tredici anni. La casa prese fuoco e gli unici sopravvissuti furono lei
e suo fratello, Josh. Si trasferirono allora da Matthias, quello che
divenne poi il suo fidanzato. Temeva il fuoco più di ogni
altra cosa al mondo, era la sua paura più grande. Si
alzò e bevve un bicchiere d’acqua e
cercò di calmarsi. Rimase seduta sul bordo del letto
finché il suo battito non tornò regolare e poi si
sdraiò, cercando di riprendere sonno, anche se non era
facile. Sentì qualcuno bussare e mormorò un
“avanti” non molto convinto. La porta si
aprì, mostrando Nigel, il suo compagno di distretto, in
pigiama e dall’aria preoccupata.
- Va tutto bene? Ho sentito un urlo. –
- Tutto bene, era solo un incubo. – rispose lei, accennando
un sorriso.
- Ah, capisco. Allora posso andare? –si assicurò.
- Sì, tranquillo. –
- Buonanotte, Alexia. –
- Notte! –
Lei e Nigel avevano già stretto un’alleanza su
consiglio del mentore, ma, sempre secondo lui, dovevano cercare anche
qualcun altro. Lui sembrava simpatico, per quel poco che si erano
parlati, e qualcuno di cui potersi fidare. Era quel tipo di persona che
guardi e pensi
“lui è una persona sincera e leale”.
Si vedeva chiaramente e non poteva non essere contenta di questo. Se
lei fosse morta, sarebbe stata contenta se avesse vinto lui, era
sicuramente meglio di quei favoriti che pensavano solo alla fama e alla
gloria, non li capiva affatto. Ora però doveva smettere di
pensare e riaddormentarsi, il giorno seguente sarebbe iniziato
l’addestramento e aveva bisogno di energie. Così
appoggiò la testa sul cuscino sperando di non sognare
incendi o morti.
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti!
So
che è un mese che non aggiorno, ma sono stata una settimana
in Egitto, una in Molise e per di più sono davvero indietro
con i compiti delle vacanze :(
Comunque
ecco qui un nuovo capitolo, spero sinceramente che vi sia piaciuto e
che abbia rappresentato bene i vostri personaggi.
Il
prossimo capitolo sarà sull’addestramento e
avrà sette pov. Vi avviso già da ora che non so
quando potrò aggiornare, perché come ho detto
prima sono davvero indietro con i compiti. Spero prima che inizi la
scuola, ma non garantisco nulla.
Come
sempre ringrazio chi ha recensito :)
Un
bacione,
Felix
p.s.
Nel mio profilo ci sono i link al gruppo facebook
dell’interattiva e al mio profilo facebook per EFP, se vi va
passate :-*
|
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Capitolo 8 *** Addestramento e alleanze ***
Addestramento e alleanze
Matthew White – distretto 11
Erano le dieci e qualche
minuto, lui e Alexandra erano appena entrati nella grande sala dove si
sarebbe svolto l’addestramento. Non ancora tutti i tributi
erano arrivati, ma ce ne era già qualcuno disposto in
cerchio. Si misero anche loro in posizione, aspettando i loro compagni.
La ragazza gli lanciò uno sguardo teso e preoccupato, ma lui
cercò di tranquillizzarla con un mezzo sorriso. Quando tutti
arrivarono il capo istruttore, una donna, spiegò il
programma di addestramento e le regole che avrebbero dovuto
rispettare, poi diede il via agli allenamenti.
-
Cosa facciamo, Matt? – chiese tesa Alexandra prendendolo per
mano.
-
Direi di cominciare ad allenarci, ma tieni gli occhi aperti in cerca di
un possibile alleato. Era il tuo piano, ti ricordo! – rispose
lui.
-
Giusto. Dividiamoci, avremo più possibilità
– suggerì.
-
Okay, io vado nella sezione dei nodi e delle trappole, tu? –
-
Coltelli. –
-
Perfetto, a dopo – le disse con un sorriso incoraggiante,
prima di dirigersi alla postazione prescelta.
Una
volta arrivato, l’istruttore iniziò a mostrargli
come fare qualche nodo semplice, mentre il ragazzo del 5, vicino a lui,
era già passato a trappole e intrecci complicati.
-
Sei bravo. . . – si complimentò, lasciando la
frase in sospeso, non ricordando il suo nome.
-
Nigel – rispose l’altro con un sorriso. –
Comunque grazie, ma sono in vantaggio, visto che sapevo fare qualcosa
già da prima. -
-
Capisco, io di nodi invece non mi intendo! – ammise Matthew,
lanciando un’occhiata scoraggiata al suo lavoro.
-
Perché questo dovevi farlo passare da sopra, non da sotto!
– gli mostrò il ragazzo del 5, sistemando
l’intreccio.
-
Oh, ecco! Grazie mille, Nigel! –
-
Figurati! –
-
Senti, se posso chiedertelo: tu hai già qualcuno con cui
allearti? – chiese Matthew insicuro.
-
Sì, con la ragazza del mio distretto, Alexia. E tu?
–
-
Idem, con Alexandra, ma stiamo cercando qualcun altro. . . –
confessò.
-
Sarebbe una proposta? –
-
Se ti va. . . –
-
Dovrei parlarne con Alexia, però senza di lei non se ne fa
nulla! –
-
D’accordo! – fece Matthew con un sorriso.
Nigel
si alzò e il ragazzo lo osservò da lontano mentre
parlava con la sua compagna di distretto e si rallegrò
quando la vide annuire: la caccia agli alleati non era andata affatto
male. Era sicuro che ad Alexandra i due sarebbero andati più
che bene!
Merian Oleg –
distretto 2
Era seduto a tavola nella
mensa, dove era stato servito il pranzo. Con lui c’erano i
tributi dell’1, quelli del 4 e la sua compagna di distretto.
Non c’era stato bisogno di parlare molto per creare
un’alleanza tra loro, era una tradizione che i loro distretti
si alleassero, avevano persino un nome: i Favoriti. Si erano
semplicemente osservati un po’ da lontano, assicurandosi che
tutti avessero delle abilità e poi il gruppo si era formato
da sé.
Doveva
ammettere che all’inizio dubitava di alcuni componenti della
alleanza: Isabelle, del suo distretto, e Elaine, del 4. Avevano
rispettivamente quindici e quattordici anni, ma si era dovuto ricredere
nel vederle allenarsi. L’altra femmina del gruppo era
Cornelia, dell’1, che non si poteva assolutamente definire
“bella”, ma nemmeno “carina” o
“accettabile”. Era alta più di due
metri, il naso aveva una grossa gobba ed era molto lungo e aveva anche
un occhio di vetro. Era, però, forte nella lotta corpo a
corpo, abilissima con la spada e niente male con
l’arco ed era questo ciò che contava, dopotutto.
Con il ragazzo dell’1, Alvin, non aveva parlato, era un tipo
solitario e taciturno, sempre sulle sue, ma lo aveva visto combattere
con un istruttore e doveva ammettere che era davvero bravo.
Michael, invece, era un ragazzo allegro e un asso col tridente. Poteva
dunque affermare che, quell’anno i tributi avrebbero dovuto
cominciare ad aver paura dei Favoriti.
-
Allora, qual è la strategia? – chiese Elaine,
quasi intimorita.
-
Uccidere, ovviamente – rispose Cornelia con
un’occhiataccia.
-
Okay, ma come lo facciamo? – insistette la ragazza del 4.
-
Ma come vuoi che si faccia? – fece, alzando la voce,
l’altra.
“Certo che
è decisamente irritabile”
pensò Merian.
-
Credo che Elaine intendesse con che strategia – intervenne
Michael a difendere la compagna di distretto. – E penso anche
che sia giusto discuterne! –
-
Sentite, quello che conta è uccidere e vincere, il resto lo
improvviseremo! – sbuffò Cornelia.
-
Ragazzi, basta! Mi state davvero stufando! Non ho voglia di passere il
pranzo a litigare per una sciocchezza del genere! –
brontolò Merian.
-
Non credo sia proprio una sciocchezza, visto che in palio
c’è la vittoria e, come conseguenza, la nostra
vita! - ribatté Isabelle.
Merian
la guardò male, odiava quando qualcuno lo contraddiceva e
odiava ancora di più che le cose si protraevano per troppo
tempo! Stavano solo sprecando tempo per discutere di cose superflue.
-
Okay, ma allora facciamolo in fretta, non mi va di discutere!
–
-
Che ne dite della solita tecnica di procurarci delle armi e attaccare
alla Cornucopia e, quando tutti se ne sono andati, prendere le
provviste rimaste e poi pensare con calma a dove andare? –
-
E se qualcuno ci attaccasse? – chiese Michael.
-
Nessuno attacca i Favoriti – rispose Cornelia, che sembrava
scocciata dalla domanda e Merian le diede mentalmente ragione, il suo
era un dubbio stupido.
-
Giusto, comunque mi sembra una buona idea, Elaine. Tu, Alvin, che non
hai ancora parlato, cosa ne pensi? – domandò
ancora il ragazzo.
-
Per me va bene – rispose l’interpellato.
-
Perfetto, visto come abbiamo risolto in fretta? Ora perdonatemi, ma
vado a prendermi una fetta di torta. –
Detto
questo, Merian se ne andò, lasciando i cinque ragazzi da
soli a discutere. A lui non andava proprio di passare così
il suo pranzo.
Kaya Patel –
distretto 6
Kaya non immaginava che trovare un alleato fosse così
difficile: dovevi trovare qualcuno di cui poterti fidare e farlo mentre
cercavi di allenarti. Era, a dir poco, una grande impresa. Per di
più le sembrava che tutti si fossero già trovati
un compagno o più di uno e questo complicava la situazione.
I Favoriti si erano formati già dal giorno precedente e,
sebbene sembrasse ci fossero delle tensioni da loro, incutevano
abbastanza paura.
Diede
un’occhiata in giro e poi notò i due
dell’8 alla postazione di riconoscimento di piante, frutti e
bacche commestibili. Le sembravano persone di cui potersi fidare, ma li
aveva anche visti allenarsi e se la cavavano. Si avvicinò a
loro un po’ timorosa e li salutò:
-
Ciao. –
-
Ehi, ciao. . .Kaya? – rispose il ragazzo con un ampio
sorriso. Le pareva si chiamasse Vergas,
Vigas o
qualcosa del genere. Invece la ragazza le lanciò
un’occhiata tra il dubbioso e l’incuriosito.
-
Sì, sono Kaya, del distretto 6 –
confermò mostrando il quadrato di stoffa, attaccato al petto.
-
Io sono Vegas e lei è Reylen! –
“Vegas, ecco
com’era il suo nome!”
pensò, accennando un sorriso.
-
Ehm. . .voi siete alleati? – chiese timidamente.
-
Noi. . . – fece per rispondere lui, ma la sua compagna di
distretto lo interruppe:
-
Non credo che ti debba interessare – ribatté
fredda. - E tu, Vegas, ricordati che sono tutti tuoi avversari qui
dentro. Fossi in te non andrei in giro a raccontare i fatti miei!
– lo riprese con un’occhiataccia.
-
Io. . .mi dispiace. Ero solo curiosa perché stavo cercando
qualcuno con cui allearmi, ma ho afferrato il concetto, non vi
disturberò a lungo – le rispose, prima di voltarsi
e allontanarsi dalla coppia.
Ma
chi si credeva di essere quell’arrogante? Era stata fin
troppo brava a non risponderle a tono, ma non aveva intenzione di
crearsi nemici ancora prima di entrare nell’arena.
Si
stava dirigendo verso la postazione della spada, quando qualcuno la
prese per un braccio e la fece voltare. Si trovò davanti una
ragazza dai capelli castani legati in una crocchia, gli occhi di un
colore verde chiaro e leggermente allungati, con il viso magro, un
po’ spigoloso e dai lineamenti accentuati.
-
Ehm, Kaya, sono venuta per scusarmi. So che non avrei dovuto reagire
così, ma vedi. . .per me non è affatto facile
fidarmi delle persone e quindi. . . Io e Vegas ne abbiamo parlato e se
ti va puoi allenarti con noi! – disse Reylen con un
sorriso timido e insicuro.
Kaya
la scrutò per un attimo, cercando una traccia nei suoi occhi
che la stesse prendendo in giro, ma poi sorrise sinceramente e le disse:
-
Ti capisco, non è facile fidarsi di qualcuno con cui parli
per la prima volta. –
-
Già, soprattutto se ti sei fidata troppe volte delle persone
sbagliate – concordò l’altra, parlando
forse più a se stessa che alla ragazza.
-
Allora, alleate? – chiese poi Reylen con uno sguardo
speranzoso, porgendole una mano.
-
Alleate – le rispose stringendogliela.
Jake Sander – distretto 9
- Per me va bene, ma non senza Riven – gli rispose Kathleen,
quando le propose un’alleanza. Jake lanciò un
occhiata al ragazzo citato dalla ragazza del 3. In questo momento stava
cercando di prendere in mano una spada, ma, essendo troppo pesante per
lui, lo trascinò per terra e si rimise in piedi goffamente.
-
Sei sicura? – le chiese con uno sguardo dubbioso.
–Insomma, guardalo: non ha speranze! –
-
Non dire così, Jake! Lui ha dei problemi e non posso
abbandonarlo! – ribatté Kathleen.
Non
è che odiava Riven, o qualcosa del genere. Era a conoscenza
dei suoi problemi, ma lui voleva solo tornare a casa dai suoi fratelli,
semplicemente sapeva che stringere un’alleanza con lui
avrebbe potuto comportare dei rallentamenti. Era da egoisti desiderare
di tornare a casa?
-
Arriverà il momento in cui dovrai scegliere tra la sua vita
e la tua, a quel punto cosa farai? Ti sacrificherai per lui? –
-
Non sto dicendo che morirò per salvarlo, ma solo che
cercherò di aiutarlo finché posso – si
spiegò, esasperata da quelle domande.
-
È un tuo avversario, che ti piaccia o no! –
provò a farla ragionare lui.
-
Non è una vera battaglia se si hanno armi impari. Non voglio
vincere in questo modo! –
-
Non si tratta di una semplice vittoria. –
-
Lo so e lui merita di uscire da lì tanto quanto ce lo
meritiamo noi! – affermò lei decisa con un tono
che non ammetteva repliche.
-
Hai davvero un cuore d’oro e ti ammiro per questo. Non voglio
che tu pensa che io sia un egoista, sono solo. . . –
-
Spaventato, lo so. Lo siamo tutti. Ti capisco, davvero, ma Riven ha
delle capacità, te lo assicuro: sa molto più di
tutti noi messi insieme sugli Hunger Games, sa a memoria quasi tutte le
edizioni dei giochi, conosce molte strategie vincenti e persino il modo
di pensare degli strateghi. Potrebbe esserci utile tutto questo!
Inoltre ha anche una grande memoria e conosce alla perfezione il
funzionamento di oggetti meccanici, sono abilità da non
sottovalutare!– lo rassicurò con un sorriso.
-
Grazie, Kathleen. Va bene, Riven starà con noi! –
-
Perfetto! – esclamò lei. – Ora vado a
comunicarglielo, sarà contento! –
Jack -
distretto 10
Aveva passato i due giorni precedenti, oltre ad allenarsi, a osservare
le varie alleanze che si erano create e i tributi. Cercava qualcuno con
cui stringere un’alleanza, ma non poteva essere qualcuno
qualsiasi: doveva essere abbastanza preparato, intelligente e non
troppo arrogante. Non amava i gruppi troppo numerosi, in quelli era
facile che qualcuno ti voltasse le spalle. Alla fine, dopo varie
analisi, era arrivato alla conclusione che il tributo più
giusto con cui allearsi fosse la ragazza del 7, Allison Thomas: per ora
non aveva compagni, era abbastanza preparata fisicamente, non gli
sembrava una sciocca e, inoltre, era la figlia del mentore, cosa
positiva.
Ora
Allison si stava alleando con i coltelli, la osservò un
po’ da lontano: aveva una mira niente male. Le si
avvicinò con un ghigno sul volto, appoggiò le
mani sui suoi fianchi, inclinandola leggermente, e le
sussurrò ad un orecchio con voce suadente:
-
Ti devi piegare più verso destra se vuoi centrare il
bersaglio, dolcezza. –
Lei
non sobbalzò nemmeno e con voce calma e fredda rispose:
-
Ti conviene togliermi le mani da dosso prima che te le amputi, dolcezza.
–
-
Aggressiva! – fece lui staccandosi da lei e scoppiando a
ridere.
-
Sei brava, distretto 7 – aggiunse poi, sempre con un ghigno
stampato sul volto.
-
Ho un nome. -
-
Allison, lo so. – ribatté lui senza scomporsi.
– Ho una proposta per te, che ti interesserà di
sicuro! –
La
ragazza smise di lanciare coltelli e si voltò verso Jack con
un sopracciglio alzato e le mani sui fianchi.-
-
Come fai ad esserne certo? –
-
Lasciami dirti la mia idea: io e te saremo alleati
nell’arena! – rispose lui indicando prima se
stesso, poi Allison.
-
Perché dovrei accettare? –
-
Non hai ancora qualcuno con cui allearti e poi, ammettilo, non vedi
l’ora di dormire accanto a me! –
-
Ma per favore! Ho un fidanzato – ribatté.
– E non perdo certo tempo con qualcuno che, in ogni caso, non
rivedrò mai più – aggiunse poi con tono
più serio.
-
Stavo scherzando sulla seconda parte. Dovremmo davvero allearci: te la
cavi con le armi e anche io, se non ci credi posso darti una
dimostrazione, ma penso che tu mi abbia già visto allenarmi,
visto che si può dire che ti abbia pedinato nelle ultime
ore. –
-
Non so se fidarmi di te. . . –
-
Imparerai a farlo, non sono così male come sembro, te lo
assicuro! – promise lui, portandosi la mano destra
al cuore e facendo sorridere la ragazza. – Senti, nessuno qui
si fida di nessuno, siamo tutti avversari, ma sia io che te abbiamo
bisogno di un alleato e, almeno che tu voglia entrare a far parte di un
gruppo di tre o più persone, ti sono rimaste poche scelte e
una di queste è il dodicenne del tuo distretto! –
Allison
rimase per un attimo in silenzio, meditando sulle parole del ragazzo e
poi gli domandò:
-
Te la cavi nel corpo a corpo? –
-
Piuttosto bene direi! – rispose lui, un po’
sorpreso dalla domanda.
-
Okay, allora è fatta. Siamo alleati! -
-
Fantastico! – esclamò - Cerca di sopravvivere
almeno nel bagno di sangue – aggiunse facendole
l’occhiolino.
-
Non sottovalutarmi, Jack! – rispose lei ridendo.
Mark Thompson –
distretto 7
La mattinata del terzo giorno di addestramento si era conclusa, nel
pomeriggio avrebbero iniziato a chiamare per le sessioni private, e
lui, come aveva previsto, non aveva trovato nessuno con cui stringere
alleanze. Se lo aspettava, dopotutto. Chi avrebbe voluto un piccolo e
gracile dodicenne come compagno? Nessuno. Non aveva speranze, non
sarebbe mai tornato a casa, ne era sicuro. Lo avrebbero ucciso, non
sarebbe durato nemmeno un giorno.
Si
chiedeva solo se sarebbe mancato almeno a qualcuno oltre ai suoi
genitori. C’era qualcuno nel distretto che gli voleva bene?
Non ne era sicuro. Non era molto conosciuto, non usciva quasi mai di
casa, non aveva amici e parlava poco anche con i suoi compagni di
classe.
Fra
qualche anno tutti si sarebbero dimenticati di lui.
Aveva
paura di soffrire, non voleva sentire dolore. Sperava che avrebbero
avuto pietà di lui e che gli avrebbero riservato almeno una
morte veloce e indolore. Se fosse finito nelle mani dei Favoriti questo
non sarebbe sicuramente successo, lo avrebbero fatto soffrire. Loro
volevano dimostrare la loro forza e la loro superiorità,
anche se, lo sapevano bene anche loro, contro un ragazzino era una
lotta impari.
C’era
un modo per non soffrire? Per morire in fretta? Sì, ma era
da codardi. Lui però non era certo coraggioso, altrimenti a
questi pensieri non ci sarebbe nemmeno arrivato. Aveva paura,
sì, non lo negava. Forse in quel modo sarebbe stato tutto
più veloce, non se ne sarebbe nemmeno accorto e forse non
era nemmeno così da codardi: fare quel passo richiedeva un
grande coraggio, che forse lui non aveva nemmeno per questo.
“È
l’unico modo” si disse e prese un
sospiro, prima di entrare nella mensa e prendere un posto a
tavola da solo, isolato dagli altri.
SPAZIO
AUTRICE
Ciao a tutti!
So
che è passato un mese dall’ultimo aggiornamento,
ma stavolta vi avevo avvisati. La scuola è incominciata e,
nonostante siamo solo alla seconda settimana, compiti e cose da
studiare non mancano, anzi. Comunque eccomi qui con il nuovo capitolo!
Che
dire? So che nei POV non sono molto sviluppati i pensieri dei
personaggi (tranne in quello di Mark), ma dovete perdonarmi, questo
capitolo serviva per far stringere le alleanze e quindi è
risultato più dialogato, che con riflessioni. Ma non
preoccupatevi, approfondirò i pensieri di questi personaggi
più avanti.
Per
tutti quelli che ritengono Allison e Jack una coppia shippabile, vi
sbagliate di grosso perché lei è fidanzata con
James e lui è cotto, anche se non lo vuole ammettere, di
Jacqueline, quindi rileggetevi le loro mietiture. Diventeranno solo
amici, se uno dei due non muore prima! Muahahahah!
Immagino che sia chiaro a tutti quello che Mark vorrebbe fare.
Perdonatemi, ma è il mio cucciolo e non mi va di riservargli
una morte dolorosa, quindi credo che sceglierò questa
opzione.
Finalmente avete scoperto le
alleanze, anche se non tutte! Non preoccupatevi se il nome
del vostro personaggio non appare in questo capitolo, al 99% ha un
alleato anche lui. Quindi vi scrivo le alleanze qua sotto, anche con i
personaggi che non sono comparsi. Solo due persone non avranno
un’alleanza: Mark Thompson (7) e Jace Eaton (6), poi
nell’arena probabilmente ci sarà qualcuno che
lascerà l’alleanza, ma basta, sto spoilerando
troppo!
FAVORITI:
Cornelia Banks (1), Alvin
Lorcan Theroux (1), Merian Oleg (2), Isabelle Hadlington (2), Michael
Waves (4), Elaine Claythorne (4).
***
Alexia Black (5), Nigel
Collins (5), Alexandra Green (11), Matthew White (11)
***
Kaya Patel (6), Reyeln Sheed
(8), Vegas Ghellow (8)
***
Allison Thomas (7), Jack
–senzacognome- (10)
***
April Joyce (9), Felicity
Morrison (10)
***
Shanti Koyle (12), Blake
Dawnson (12)
***
Kathleen Vince (3), Riven Cole
(3), Jake Sander (9)
Prossimo
capitolo sessioni private e preparazione per le interviste, ci saranno
sette POV dei tributi che non ne hanno mai avuto uno. Spero di
aggiornare presto, ma non garantisco nulla!
Per
finire perdonatemi gli errori, ma ho letto velocissimamente e ho gli
occhi che si incrociano! Sono davvero stanca!
Quindi
ora vi saluto, sperando di non aver dimenticato niente!
Un
bacione,
Felix
p.s.
Grazie mille per le recensioni, vi adoro <3 perdonatemi se non
vi rispondo, ma sappiate che le leggo tutte <3
|
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Capitolo 9 *** Desideri e speranze ***
Desideri
e speranze
Alvin Lorcan Theroux – distretto 1
Alvin stava aspettando di essere chiamato dagli strateghi per la
sessione privata. Sarebbe stato il primo e doveva fare buona
impressione se voleva che si ricordassero di lui.
Strinse tra le mani il suo portafortuna: era un medaglione che sua
madre, Elith, e suo padre, Caleb, avevano creato insieme, erano infatti
due orafi. All’interno dell’involucro d’oro
c’erano quattro gemme , una per ogni membro della famiglia,
una ametista per la madre, un topazio per il padre, un rubino per Alvin
e un topazio per il fratellino, Lowell.
Al pensiero di Elith, dovette stringere i pugni per evitare che una
lacrima gli rigasse il viso. La madre li aveva infatti lasciati e si
era trasferita a Capitol City, quando non si era più sentita
in grado di reggere il peso delle malelingue. La famiglia Theroux era
infatti soggetta alle prese in giro e alle risate di scherno
dell’intero distretto, poiché Caleb, al tempo
della sua mietitura, non si era offerto volontario per nessuno dei due
fratelli minori che erano stati estratti. Da allora
l’immagine della famiglia era stata macchiata e lui
soprannominato “il codardo”. Alla donna questo
all’inizio non importava, ma dopo anni di pettegolezzi contro
di loro, decise, malgrado li amasse, di andarsene. Erano questi i due
motivi per cui Alvin si era offerto volontario: riscattare il nome
della famiglia e rendere orgogliosa la madre, così che forse
sarebbe tornata a casa.
Fu chiamato ed entrò nella stanza dove, sul fondo,
c’erano gli strateghi, che guardavano scettici. Alvin prese
un respiro profondo, si fece coraggio e iniziò la
dimostrazione chiamando tre istruttori per combattere contro di loro.
Erano alti e muscolosi, ma il ragazzo non si spaventò.
Cominciò a sferrare una serie di pugni al primo, colpendolo
ripetutamente sull’addome, mentre quello cercava inutilmente
di difendersi. Alvin riuscì a colpirlo sul viso e un fiotto
di sangue gli sgorgò dal naso, approfittando della
distrazione, lo colpì ancora una volta in faccia e poi lo
buttò a terra. Il secondo era più forte, ma lento
nei movimenti e il ragazzo si sbarazzò di lui in poco tempo
e venendo colpito solo un paio di volte. Con il terzo fu più
difficile: era veloce, ma non abbastanza. Alvin gli tirò un
calcio, colpendolo alla coscia, ma l’uomo gli
sferrò un pugno sulla guancia, facendogli voltare la testa
di lato. Il ragazzo attaccò nuovamente colpendolo sul mento
e facendogli perdere leggermente l’equilibrio. Approfittando
di questo gli rifilò un calcio in pancia e poi un pugno
sulla guancia e l’uomo cadde a terra.
Gli strateghi lo fissarono sorpresi, ma poi lo congedarono senza tante
cerimonie e il ragazzo se ne andò con un sorriso soddisfatto
sul volto.
Allison Thomas
– distretto 7
Allison entrò nella stanza riservata alle sessioni private
un po’ titubante. Attorno a lei c’era ogni arma
possibile e immaginabile, c’erano anche bersagli e manichini
che si potevano colpire. Lanciò un’occhiata agli
strateghi, che la stavano guardando con un ghigno. Suo padre
l’aveva avvertita che l’avrebbero osservata
più degli altri, in quanto figlia di un mentore e
avrebbero voluto vedere cosa era in grado di fare.
L’avrebbero senz’altro paragonata al padre e
sarebbero stati più severi con lei. Anche se questo non
glielo aveva detto, lei sapeva che non l’avrebbero fatta
uscire facilmente dall’arena: era raro vedere due vincitori
della stessa famiglia.
Allison, però, non era spaventata: lei ci avrebbe messo
tutta se stessa per uscire da lì e per tornare a casa.
Quando Jane, una sua carissima amica, morì nei ventottesimi
Hunger Games, lei, la sua migliore amica e il suo fidanzato iniziarono
ad allenarsi di nascosto in caso uno di loro fosse stato estratto. Si
erano infatti promessi che nessun altro dei loro cari avrebbe perso la
vita in quei giochi. Rimpiangeva di non avere avuto prima
quell’idea, forse Jane, allenata, sarebbe potuta tornare a
casa. Ora però lei era lì, allenata e pronta a
vendicare la morte della sua amica.
Ricambiò il ghigno degli strateghi con uno sguardo
determinato, poi afferrò qualche coltello dalla lama
appuntita e, da una decina di metri di distanza, lo scagliò
verso il bersaglio, colpendolo esattamente nel centro. Ne
lanciò uno verso un manichino e lo trafisse dove ci sarebbe
dovuto essere il cuore, poi colpì uno sulla testa e infine
in mezzo alla gola. Constatò che questo era ancora troppo
poco e allora si bendò con uno straccio nero trovato nella
stanza, ora non poteva vedere niente, ma aveva memorizzato dove fosse
il manichino. Prese un respiro e, dopo qualche attimo, tirò
cinque coltelli.
Si tolse la benda ansiosa e non poté fare a meno di
sorridere ammirando il risultato: aveva creato una
“A” sulla pancia del manichino. Lo voltò
verso gli strateghi e notò che qualcuno stava sorridendo. La
congedarono e uscì dalla stanza: sapeva di averli sorpresi.
Non voleva sembrare arrogante, ma voleva solo dimostrar loro che non si
sarebbero sbarazzati facilmente di lei, che avrebbe combattuto e che
era coraggiosa, proprio come suo padre.
Cornelia Banks
– distretto 1
Cornelia era in salotto con il compagno di distretto, i mentori, gli
stilisti e l’accompagnatrice. Erano tutti sul divano in
attesa che mostrassero alla televisione i punteggi delle sessioni
private.
Alvin si stava torturando le mani, probabilmente era agitato. Lei,
invece, era tranquilla, non le importava del suo punteggio,
né di tutte le cose prima dell’arena. Per lei
erano tutte sciocchezze che Capitol City faceva solo per mostrare i
tributi alla gente e agli sponsor, così da attirare
più pubblico e guadagnare più soldi. Ma a nessuno
importava veramente di loro. Ognuno sceglieva una persona per cui
tifare e se vinceva bene, se no avrebbe sperato di indovinare il
vincitore nell’edizione successiva.
A Cornelia non interessava tutto ciò, non le interessava di
avere degli sponsor, di piacere alla gente, che qualcuno tifasse per
lei. La ragazza voleva solo entrare nell’arena e uccidere.
Uccidere legalmente. Quanto le piaceva torturare le sue vittime,
vederle implorarla di smettere, vederle piangere, pregare e morire
lentamente e dolorosamente. Aveva ucciso tre volte in tutta la sua
vita: la prima vittima era stata un ragazzo. Avevano avuto un
combattimento non autorizzato nell’accademia, ma
finì male e lei perse il suo occhio sinistro, che dovette
sostituire con uno di vetro. Avere i segni di una sconfitta sulla
faccia le portavano grande rancore e allora lo uccise, ma non
riuscì a placarlo nemmeno con la vendetta. Le sue altre due
vittime furono due ragazze che erano entrate in competizione con lei.
Le autorità del distretto chiusero i casi, ma Cornelia era
sicura che ci fosse ancora qualcuno che sospettasse di lei, ma nessuno
aveva il coraggio di dirlo.
La ragazza non aspettava altro che entrare nell’arena e poter
uccidere di nuovo. Poco le importava di vivere o morire, lei voleva
solo uccidere.
Aveva anche un altro motivo per cui si era offerta volontaria:
dimenticare i suoi problemi. Aveva una malattia genetica alle ossa, per
questo era alta due metri e sette e aveva una speranza di vita attorno
ai trentacinque anni. Inoltre, fin da piccola era infatti sempre stata
presa in giro per il suo aspetto, che non rispettava certamente i
canoni di bellezza del distretto 1, aveva sviluppato rabbia repressa
per anni e, da bambina timida e remissiva, era diventata egoista,
sadica, irascibile, crudele e persino folle. L’avevano
cambiata. Era solo colpa del mondo crudele in cui viveva.
A riscuoterla dai suoi pensieri fu l’accompagnatrice, Helena
Wilson, che le comunicò che stavano trasmettendo i punteggi.
Distretto 1
Alvin Lorcan Theorux: 10
Cornelia Banks: 9
Distretto
2
Merian Oleg: 10
Isabelle Hadlington: 8
Distretto
3
Riven Cole: 2
Kathleen Vince: 3
Distretto
4
Michael Waves: 8
Elaine Claythorne: 9
Distretto
5
Nigel Collins: 4
Alexia Black: 6
Distretto
6
Jace Eaton: 5
Kaya Patel: 7
Distretto
7
Mark Roberts: 2
Allison Thomas: 9
Distretto
8
Vegas Ghellow: 7
Reylen Sheed: 8
Distretto
9
Jake Sander:7
April Joyce: 5
Distretto
10
Jack:9
Felicity Morrison:4
Distretto
11
Matthew White:6
Alexandra Green:5
Distretto
12
Blake Dawnson:7
Shanti Koyle:6
Michal Waves –
distretto 4
Michael ed Elaine si erano divisi per la preparazione delle interviste:
lui era in camera con la sorella, una dei due mentori, che gli avrebbe
insegnato come sedersi, come camminare, persino come sorridere. La sua
compagna di distretto, invece, si trovava in salotto con
l’altro mentore, ovvero il padre di Michael.
Aveva una famiglia di vincitori e tutti si aspettavano che lui vincesse
e ottenesse altra gloria, per questo il padre lo aveva obbligato ad
offrirsi volontario, nonostante lui non volesse. Aveva perso una
sorella, Coral, e anche una fidanzata, Mary, in quei giochi.
- Allora, Michael, quando starai seduto davanti al pubblico, dovrai
cercare di stare diritto e di sorridere sempre, anche se. . .
–
- Skye – la interruppe lui – lo so quello che devo
fare e non voglio che me lo racconti adesso, visto che potrebbe essere
l’ultima volta che parliamo da soli! –
- Non dire così! –
- Non negare la realtà: potrei non uscire da
quell’arena. –
- Michael, ho già perso una sorella, non voglio perdere
anche te! Non voglio avere un’altra persona sulla coscienza,
non resisterei! – - Skye, se morissi, non sarebbe colpa tua
– la rassicurò il fratello, mettendole una mano
sulla spalla. Lei lo abbracciò e lui la strinse forte a
sé.
- Ho paura – confessò lei, con il viso appoggiato
sulla spalla del ragazzo.
- Anche io – ammise - Ma ci proverò,
proverò a vincere. Promettimi solo che, se non ci riuscissi,
te ne andrai di casa e la smetterai di farti comandare da nostro padre.
Non voglio che lui influenzi più le nostre vite. Lui non
deciderà più per nessuno. Promettimelo, Skye!
– le disse, staccandosi dall’abbraccio.
- Te lo prometto – rispose la ragazza senza esitazioni.
– È colpa mia, se mi fossi rifiutata per prima di
offrirmi volontaria, forse né tu né Coral lo
avreste fatto. Sarei dovuta andarmene e portarvi con me da qualche
parte, al sicuro! –
- Non è colpa tua, non voglio che tu abbia sensi di colpa!
Io ti voglio bene e te ne voleva anche Coral, nessuno ti ha incolpato
della sua morte e, se accadesse, nessuno ti incolperà mai
della mia! Le uniche colpe le ha nostro padre, non dimenticarlo!
–
- Ti voglio bene, Michael! – disse, mentre le lacrime le
bagnavano il volto.
- Anche io, Skye – le rispose, asciugandole con il pollice le
guance.
Nigel Collins –
distretto 5
La sera seguente ci sarebbero state le interviste e lui non aveva idea
di cosa avrebbe parlato, ma soprattutto se ci sarebbe riuscito. Sarebbe
riuscito a parlare della sua famiglia senza piangere? No. Sarebbe
riuscito a parlare di Ashley, la sua fidanzata che era morta nei giochi
senza che le lacrime gli bagnassero il viso? No. E di Peter? Avrebbe
parlato di lui, l’amico che aveva perso sempre per colpa
degli Hunger Games? No. Come avrebbe potuto? Sarebbe scoppiato in
lacrime, lo sapeva. Era sempre stato una persona emotiva, ma
dopo la perdita di due delle persone più importanti della
sua vita, aveva perso il sorriso. Raramente lo si vedeva allegro e
felice.
Diceva di essersi offerto volontario per loro, per vendicare le loro
morti e per portare un po’ di soldi a casa. Ma ora si
chiedeva se fosse davvero quello il motivo. Con una
possibilità su ventiquattro di sopravvivere, si domandava se
non si fosse offerto per la bassa probabilità di vincere.
Forse desiderava smettere di soffrire. Non sarebbe stato
così male in fondo. No, a che cosa diavolo stava
pensando? Lui doveva vincere, doveva uscire dall’arena e
portare un po’ di soldi alla sua famiglia numerosa.
C’era un problema: per vincere bisognava uccidere. Ne sarebbe
stato in grado? No. Il solo pensiero lo faceva rabbrividire, ma avrebbe
dovuto farlo. Non voleva avere nessuno sulla coscienza, per questo lo
avrebbe fatto solo nei casi di necessità estrema.
Alle interviste avrebbe sorriso, doveva farlo, per la sua famiglia.
Desiderava che loro si ricordassero di lui come il ragazzo allegro che
era prima. Quello che sorrideva sempre, che pensava positivo, che
scherzava e si divertiva. Non come il ragazzo triste e
pensieroso. Voleva dimostrare loro che stava combattendo per tornare a
casa, che non si sarebbe arreso facilmente. Per questo non poteva morire
subito, doveva dare una speranza alla sua famiglia.
Chissà cosa stavano facendo ora? Magari suo fratello Frank
era andato a trovarli con la moglie e stavano mangiando tutti insieme
sul grande tavolo in cucina. Sperava che fosse così, non
voleva nemmeno immaginare che in questo momento fossero chiusi in casa
a piangere e a deprimersi. Non voleva che fossero tristi, non per lui.
Santhi Koyle –
distretto 12
Santhi e suo padre, nonché suo mentore, si trovavano in
salotto, dove avrebbero dovuto discutere sull’argomento di
cui la ragazza avrebbe parlato nell’intervista di come
l’avrebbe fatto, ma nessuno dei due aveva ancora aperto
bocca. Erano seduti sul divano, a guardarsi semplicemente negli occhi.
- Papà, voglio che tu sappia che qualunque cosa succeda
nell’arena non sarà colpa tua –
iniziò la ragazza, con voce bassa.
- Santhi, farò il possibile per farti uscire da
lì! – disse e poi continuò: -
È così difficile vederti qui per me! Ci sono
stato anche io e so quello che si prova. So che non è
facile, ma sei una ragazza coraggiosa e in gamba, ce la puoi
fare. Solo una cosa: non arrenderti, se ti arrendi
è finita! –
- Non mi arrenderò. Se morirò, lo farò
combattendo. Se c’è una cosa che non voglio
è che Capitol City e gli Hunger Games mi cambino. Voglio
rimanere me stessa fino alla fine – disse e indicò
la collana che portava al collo con la scritta “Always
Myself”. – Voglio che tutti mi ricordino per quello
che sono! –
- Non è certo facile rimanere se stessi, né
dentro l’arena, né quando ne esci. Cambi,
è praticamente impossibile evitarlo. Ogni anno sono
costretto a venire qua e fare da mentore a due ragazzini, di cui so che
almeno uno non ce la farà. Ogni sera gli incubi mi
perseguitano, le facce dei ragazzi che ho ucciso o di quelli che non
sono riuscito a salvare mi appaiono in sogno. Non puoi rimanere te
stesso, ma puoi evitare di diventare ciò che Capitol City
vuole. -
Santhi annuì, incapace di pronunciare nessuna parola, mentre
le lacrime le pulsavano agli angoli degli occhi, chiedendo di uscire.
Lei però non voleva piangere, non davanti a suo
papà. Doveva essere forte per lui e sembrava che anche
l’uomo stesse pensando la stessa cosa, era facile capire che
fosse sul punto di scoppiare.
- Promettimi solo che non mi dimenticherete –
sussurrò la ragazza, mentre una lacrima le rigava una
guancia.
- Mai. Non lo faremo mai, te lo prometto – rispose lui, ormai
piangendo.
La figlia lo strinse in un abbraccio che il padre ricambiò.
Santhi si ritrovò a cercare di imprimere ogni singola
sensazione di quel momento nella memoria.
- Ci proverò, papà. Se non dovessi farcela,
ricordati che ti voglio bene! – disse, ancora stretta a lui.
- Anche io, piccola. Anche io! –
April Joyce –
distretto 9
Si guardò allo specchio: era davvero stupenda nel suo
vestito verde. Era corto davanti e lungo dietro, aveva le spalline e
una leggera scollatura. Dopo una giornata con lo staff preparatori, era
finalmente pronta per l’intervista. Era agitata, sapeva che
l’impressione che avrebbe fatto sarebbe stata molto
importante per ottenere sponsor. Aveva ottenuto un misero cinque come
punteggio e perciò, se voleva avere qualcuno a sostenerla,
doveva fare una bella intervista.
Adesso April desidererebbe tanto avere un po’ della calma e
della saggezza che caratterizzava la sua famiglia. Le sue sorelle e i
suoi genitori erano infatti persone serie e disciplinate con una
visione malinconica della vita, mentre lei era considerata la pecora
nera. Era sempre stata una ragazza allegra, sorridente, esuberante ed
energica, ma ora era solamente tesa e agitata.
Sarebbe riuscita a parlare senza fare brutte figure? No. Le brutte
figure e lei andavano a braccetto. Quanto desiderava in questo momento
assomigliare un po’ a sua sorella maggiore, Maurene. Era
senza dubbio la sua sorella preferita, era riservata, ma avrebbe fatto
di tutto per April. Le mancava così tanto! Desiderava
parlarle e farsi consigliare da lei, ma non era lì e forse
non l’avrebbe nemmeno più rivista. Solo il
pensiero la fece rabbrividire.
Forse avrebbe dovuto stare più vicina alla sua famiglia,
aiutarli di più nel lavoro, invece di andarsene in giro a
procurarsi guai. Forse non sarebbe nemmeno mancata alla sua famiglia se
fosse morta. Era un uragano vivente, ovunque andasse portava disordine
e problemi vari. Quante volte si era cacciata nei pasticci con i
Pacificatori? Forse sarebbero stati meglio senza di lei. Ma no, a che
cosa pensava? Loro le volevano bene, nonostante si arrabbiassero spesso
con lei, le erano affezionati e lei pure. Certo, capitava che li
incitasse a lasciarsi andare un po’ e a divertirsi di
più, ma voleva loro bene e le mancavano, uno per uno.
Sperava solo che si sarebbero ricordati di lei, anche dopo la sua
morte, che riteneva ormai certa.
Sospirò e poi sorrise allo specchio, ma il suo non era il
solito sorriso allegro che aveva, era spento e quasi triste,
esattamente come si sentiva lei in questo momento.
“April triste.
Suona quasi come una barzelletta!” si disse,
prima di entrare nella stanza con gli altri tributi che aspettavano di
salire sul palco e essere intervistati.
SPAZIO
AUTRICE
Ciao a tutti!
No, non è un miraggio. Ho aggiornato davvero e
sì, è passata solo una settimana e mezza. Fatemi
un applauso, me lo merito!
Comunque, parlando del capitolo, spero che vi sia piaciuto e di aver
rappresentato bene i vostri personaggi. Riguardo ai punteggi ho cercato
di dare un voto in base a quello che mi avete scritto in
abilità, al loro distretto di provenienza e al loro
carattere, spero che siate più o meno d’accordo.
Il prossimo capitolo sarà sulle interviste e ancora non so
bene come farlo, ma ci penserò. Spero di aggiornare presto,
anche perché il capitolo dopo sarà
sull’arena e io non vedo l’ora! A proposito, oggi
ho riguardato i tributi che avevo scelto di far morire nel bagno di
sangue e mi sono sentita troppo triste perché mi ero
affezionata a ciascuno di loro :’(
Ho delle domande per voi e sarei felice se mi rispondeste in una
recensione:
- Qual
è il tuo tributo maschio preferito (escluso il
tuo)?
- Qual è il tuo
tributo femmina preferito (escluso il tuo)?
- Qual è il tuo
tributo preferito in assoluto (sempre escluso il tuo)?
- Qual è la tua
alleanza preferita?
- Quali sono i tributi che ti
piacciono di meno e che quindi vorresti morissero nel bagno di sangue?
(so che è difficile questa)
Probabilmente
ogni tanto vi farò ancora delle domande, quindi preparatevi,
ma non siete obbligati a rispondere, solo se vi va :)
Okay, ho finito!
Un bacione a tutti,
Felix
|
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Capitolo 10 *** Le interviste ***
“PICCOLA”
PREMESSA INIZIALE: In questo capitolo il punto di vista sarà
quello di David Wood, il Capo Stratega. Lui commenterà i
vostri tributi, a volte in modo negativo. Non dovete assolutamente
offendervi o pensare che non abbia compreso il vostro personaggio,
perché quello che c’è scritto non è
quello che penso io, ma quello che pensa David. Inoltre se
non l’OC non piace al Capo Stratega non vuol dire che
sia tra i primi a morire. Sono io
a scegliere le morti, ricordatevelo! Quindi state
tranquilli e non arrabbiatevi se ci sono scritte cose che non
c’entrano con il personaggio, poiché David non li
conosce e pensa di loro solo in base a una prima impressione.
Le interviste
L’Anfiteatro cittadino era stracolmo di gente, il Capo
Stratega, David Wood, prese posto nella tribuna riservata agli ospiti
di prestigio giusto in tempo prima che lo spettacolo iniziasse. Ray
Carter, l’intervistatore, era infatti appena salito sul
palcoscenico, vestito di arancione, che faceva a pugni con i suoi
capelli di un acceso verde.
- Buonasera a tutti
signore e signori e benvenuti a questa meravigliosa serata! Stasera
potrete sentire i nostri tributi raccontarvi di loro stessi, dei loro
desideri e delle loro paure. Stasera conosceremo ciascuno di loro nel
profondo e li saluteremo prima che partano per l’Arena e
inizino ufficialmente i trentesimi Hunger Games! – disse
l’uomo con il suo classico sorriso sulla faccia.
David
sbuffò, come potevano davvero i capitolini pensare di poter
conoscere ognuno di quei ragazzi con una semplice intervista? Era
impossibile, ma non importava: un pubblico affezionato voleva dire un
pubblico che avrebbe seguito con attenzione e dedizione ogni singola
giornata nell’Arena. Questo era un punto a suo favore:
più gli ascolti sarebbero stati numerosi, più lui
avrebbe guadagnato.
Si riprese dai suoi
pensieri e portò lo sguardo sul palco, dove la ragazza del
primo distretto aveva appena iniziato a parlare con voce tanto sicura
da sembrare quasi strafottente.
Tirò fuori
il suo taccuino, dove aveva segnato i nomi di tutti i tributi e il loro
punteggio alla sessione privata. Cornelia
Banks. Era così che si chiamava la giovane.
- Soffro di una
malattia genetica alle ossa, è per questo che sono
così alta. Inoltre questa mia malformazione mi lascia una
speranza di vita attorno ai trentacinque anni –
raccontò la ragazza al pubblico con aria annoiata. Un
mormorio si levò dalla gente che stava guardando, qualcuno
si asciugò persino le lacrime.
Aveva sentito
più volte parlare di malattie dai tributi, ma mai nessuno ne
aveva parlato in quel modo. A differenza degli altri, lei non stava
cercando la pietà e la compassione del pubblico, ma
descriveva la sua situazione come se non le importasse, come se la
situazione non la toccasse minimamente. Ma era davvero così?
L’intervista
terminò e David scrisse accanto al nome della ragazza le
parole: arrogante,
superficiale e sicura di sé. Disegnò
anche una stellina accanto al suo nome, segno che la trovava
interessante.
Arrivò poi
il turno di Alvin, che si mostrò molto chiuso e scontroso,
sulla difensiva. Il pubblico però lo apprezzò
molto, tanto che le scommesse su di lui aumentarono del 10%,
soprattutto dopo che parlò di suo fratello minore Lowell. Un
sorriso spuntò sul volto del ragazzo al pensiero del piccolo
e il Capo Stratega si accorse che il suo era un sorriso vero.
- E dimmi, Alvin, che
cosa ti aspetti dai giochi? – chiese Ray, che sembrava
davvero curioso della risposta. Quanto era bravo a recitare!
- Di vincere. Spero
che mia madre possa essere fiera di me, perché
eliminerò la parola “codardia” dalla
famiglia Theroux una volta per tutte. È una promessa. Ed io
mantengo sempre le promesse! – rispose il ragazzo.
Determinato e diffidente.
La quindicenne
Isabelle salì sul palco avvolta in uno stretto vestito rosso
che la faceva sembrare molto più grande. La gente
già l’adorava: era incredibilmente forte per la
sua età, era una vera favorita. Salutò il
pubblico con un sorriso appena accennato e poi la sua intervista
cominciò.
- Cosa ne pensano i
tuoi genitori del fatto che tu stia per partecipare ai trentesimi
Hunger Games? – domandò l’intervistatore.
- Beh, mia madre
è morta durante il parto, non l’ho mai conosciuta
purtroppo – disse, guadagnandosi la compassione del pubblico
– Mentre mio padre. . .si aspetta molto da me, spera che
possa ottenere la gloria che mi merito! – aggiunse, ma non
sembrava convinta delle sue parole, nonostante questo riuscì
a mantenere la sua aria impassibile.
Orgogliosa e fredda.
Merian
conquistò il pubblicò scherzando con Ray e
suscitando quindi le risate della gente. Era chiaramente un favorito,
probabilmente credeva davvero che gli Hunger Games fossero un gioco e
che fossero addirittura divertenti. In molti lo avrebbero definito
“il tributo perfetto”: adorava la capitale e i
giochi, era pronto a combattere non per i soldi o per la vita, ma solo
per la gloria personale e del proprio distretto. Il tributo che ogni
stratega avrebbe voluto, ma non lui. Se tutti i ragazzi fossero stati
come Merian non ci sarebbe più gusto, né
divertimento. L’unica cosa che scrisse accanto al suo nome
fu: favorito.
Si ricordava di
Kathleen: era la ragazzina che durante la sfilata si era seduta sul
carro accanto al suo compagno di distretto seminudo. Con quel suo gesto
aveva sfidato la capitale e gli strateghi stessi. Gli piaceva, ma non
era il tipo di tributo che poteva vincere gli Hunger Games. Bastava un
solo passo falso ed era certo che Jonathan Clark, il presidente, gli
avrebbe ordinato di ucciderla. Fortunatamente per lei si
comportò bene, fin troppo: l’aveva quasi annoiato.
Però era sicuro che Kathleen non era da sottovalutare.
Diretta e sincera.
Riven lo
stupì e non poco. A metà intervista Ray gli
chiese se fosse vero che conoscesse tutto degli Hunger Games e quando
il ragazzo annuì, David si fece più attento: non
aveva mai sentito una cosa del genere e di certo non se
l’aspettava da un ragazzo autistico.
- Fammi delle domande,
se non ti fidi! – lo sfidò Riven.
- D’accordo
– acconsentì l’intervistatore.
– Come si chiamava il tributo maschio del distretto 8 della
quattordicesima edizione? –
- Paul Dickens
– rispose prontamente. – Quella volta vinse Helena
Williams, del 2. –
- Incredibile! E che
mi dici del Capo Stratega dei decimi Hunger Games? –
- Marcus
Lewis, a quel tempo aveva cinquantasette anni. Si è ritirato
dal lavoro circa cinque anni dopo. –
Il pubblico
scoppiò in un applauso fortissimo, facendo ancora una volta
sobbalzare il povero ragazzo per il rumore.
Interessante e intelligente.
Anche per lui disegnò una piccola stella accanto al suo nome.
Con i tributi del
quattro rischiò davvero di andarsene
dall’Anfiteatro: erano troppo perfetti per i suoi gusti.
Elaine
raccontò della sua voglia di vincere, del suo desiderio di
gloria e per lei scrisse solamente e con riluttanza: competitiva e ambiziosa.
Michael invece si
divertì a scherzare con Ray e a fare battute, ma per quanto
il ragazzo si credesse bravo a recitare, non lo aveva ingannato: sapeva
che nascondeva qualcosa e David non vedeva l’ora di scoprirlo.
Misterioso e spiritoso (fin
troppo).
- E dimmi, Alexia,
c’è un ragazzo nel tuo distretto che ti fa battere
il cuore? – chiese Ray con quello che doveva essere un
sorriso malizioso, ma che sembrava solo una smorfia.
Le guance della
ragazza si tinsero di rosso e rispose balbettando:
- Sì, si
chiama Matthias ed è il mio fidanzato. –
- E cosa pensano i
tuoi genitori di lui? –
Alexia allora
raccontò del fatto che i suoi genitori erano morti in un
incendio e che lei e suo fratello erano stati accolti dai genitori di
quello che poi sarebbe diventato il suo fidanzato. Era certo una storia
triste, ma ne aveva sentite di simili fin troppe volte. Quando
l’intervista si concluse, David non aveva ancora trovato
niente da scrivere accanto al nome della ragazza, era davvero
così priva di personalità o era così
brava da riuscire a non far trasparire nessun suo sentimento?
Lasciò bianco lo spazio accanto al suo nome.
Nigel, invece, lo
stupì: raccontò, come la maggior parte dei
tributi, della sua famiglia, dei suoi amici, della sua ragazza morta
nei giochi, ma non lo faceva per cercare sponsor o l’appoggio
del pubblico, i suoi occhi si illuminavano al pensiero dei suoi cari e
si riempivano di lacrime quando parlava della sua triste perdita. Era
sincero. Era uno dei pochi tributi veri
che David aveva visto.
- Cosa faresti se
vincessi? –
- Beh, userei i soldi
per la mia famiglia, per quella della mia ex-ragazza e per
quella dei miei amici. Vorrei aiutare chi ne ha davvero bisogno, chi
non ha il denaro per comprarsi nemmeno una fetta di pane. –
Anche stavolta quando
parlava era sincero e credeva davvero in quello che stava dicendo, per
questo il tributo si guadagnò una stella.
Buono e generoso.
Kaya Patel fu restia a
parlare della sua famiglia e non perché aveva problemi
familiari, anzi, sembrava solo che volesse proteggerli. Era un
comportamento interessante e da che lui ne aveva memoria, mai applicato
da nessun altro. Si soffermò a parlare dei capitolini, del
loro modo di vestire, delle loro abitudini e dei loro atteggiamenti. Li
giudicava, ma senza essere offensiva: era in grado di rigirare le
parole a suo favore, per questi motivi accanto al suo nome scrisse: furba.
Jace Eaton
terminò la sua intervista dicendo con un sorriso determinato:
- Sono sicuro di
vincere: sono forte e non ho paura, inoltre sono simpatico,
perciò non mi sarà difficile ottenere sponsor che
mi aiutino! Non vi deluderò, riuscirò a portarmi
a casa il titolo di vincitore e la gloria che mi spetta! –
Parlava come un vero
favorito, nonostante fosse del distretto 6. Dopo le sue parole, David
non poté fare a meno di sorridere: quel ragazzo si stava
illudendo da solo.
Ambizioso.
- Non ho paura. So
quello che devo affrontare, ma ci sarà mio papà
ad aiutarmi e so che farà di tutto per farmi uscire
dall’arena. Io mi impegnerò e darò il
meglio di me: quando voglio una cosa la ottengo sempre! –
dichiarò Allison, la ragazza del 7.
Era la figlia del
mentore Paul Thomas e, sebbene lei la considerasse una cosa positiva,
per David era solo un punto a suo svantaggio: raramente ci sono due
vincitori della stessa famiglia, soprattutto nei distretti poveri.
Si ricordava di lei:
era quella che aveva formato una “A” con i coltelli
su un manichino, non era una da sottovalutare.
Decisa e fiduciosa.
Per Mark Roberts
provò semplicemente pietà: era un gracile
ragazzino di appena dodici anni, non riusciva a dire una frase senza
balbettare, sarebbe già stato tanto se fosse sopravvissuto
per un intero giorno nell’arena. Era senza speranze. Non
ascoltò nemmeno le sue parole e si limitò a
scrivere accanto al suo nome: spacciato.
Reylen Sheed, la
ragazza dell’8, spruzzava odio per Capitol City e per gli
Hunger Games da tutti i pori. Evitò le domande sulla
città cambiando argomento e concentrandosi su come si
immaginasse l’arena o sui giochi, senza mai parlare di
sé o della sua famiglia. Non era molto loquace e rispose
alle domande a monosillabi o comunque senza giri di parole. Nonostante
questo incuriosì David talmente tanto da fargli disegnare
una stella accanto al nome della ragazza.
Riservata e intrigante.
Vegas Ghellow lo
annoiò parecchio: per metà delle interviste
scherzò con Ray e fece battute che facevano ridere il
pubblico, ma che facevano solo innervosire David. Poi
dichiarò che la sua fidanzata era incinta, che stava per
diventare padre e che sperava solo di poter vedere crescere suo figlio.
La gente nell’Anfiteatro cominciò a piangere, le
scommesse su di lui aumentarono del 20% e alcuni sponsor si
affrettarono a parlare con i suoi mentori. Invece David scrisse
annoiato un semplice: innamorato
accanto al nome del ragazzo. Uno stratega gli disse il nome della
fidanzata e lui si appuntò con un sorriso sadico il nome
“Amens” accanto al suo giudizio.
Non ascoltò
la maggior parte dell’intervista di April Joyce,
poiché la ragazza continuava a parlare, parlare e parlare. E
lui non ne poteva davvero più. Come se non bastasse, il
sorriso sulle sue labbra non era mai sparito, nemmeno un tentennamento.
Come poteva prenderla sul serio? Fortunatamente il suo tempo
finì e la ragazza se ne andò sorridendo, ovviamente.
Chiacchierona e ottimista.
Era sicuro che si
sarebbe dimenticato in fretta di Jake Sander. Non trasmetteva nulla,
non parlava di niente che potesse essere ricordato, non era nemmeno
odioso, era semplicemente senza personalità. E, come per la
ragazza del 5, lo spazio accanto al suo nome rimase bianco.
Perché gli erano capitati dei tributi così
amorfi?
Felicity Morrison, la
ragazza del 10, era chiaramente tesa. Cercava di rispondere alle
domande di Ray senza balbettare, ma non le era affatto facile.
- Mio padre
è morto quando avevo otto anni, è stato
assassinato e non abbiamo ancora scoperto il colpevole. È
stata dura all’inizio: mamma ha attraversato un momento di
depressione, non avevamo soldi, ma fortunatamente poi mamma ha
conosciuto Mark e le cose sono migliorate. Hanno avuto tre gemelle, che
io adoro! Hanno sei anni e si chiamano Micol, Samantha e Marie. Spero
di poter tornare a casa da loro – raccontò con le
lacrime agli occhi.
Speranzosa.
Jack, il ragazzo senza
comune del 10, fu uno dei tributi più interessanti. Non
parlò molto, rispose solo e brevemente alle domande. David
non era nemmeno sicuro che tutte le risposte fossero vere. Il suo non
era certo un atteggiamento che gli avrebbe fatto guadagnare sponsor, ma
in cambio incuriosiva lui. Nei suoi occhi poteva leggere
l’odio che stava provando, la voglia di libertà,
il desiderio di urlare contro tutti, ma il ragazzo rimase seduto senza
opporsi, come legato da catene invisibili. David non poté
fare a meno di disegnare una stellina accanto al suo nome.
Desideroso di libertà.
I nomi di Alexandra e
Matthew, dell’11, li scrisse vicini. Le loro interviste
furono talmente simili che non poteva non giudicarli insieme. Erano
amici del cuore e sembrava che il destino li volesse separare. Storia
commovente per gli sponsor e per il pubblico, ma dal suo punto di vista
solo irritante. Non si sprecò in giudizi, era troppo
alterato per pensare a qualcosa da scrivere accanto ai loro nomi.
Tracciò solo una spessa “X” nera che
significava morte certa.
Non fu difficile
capire che Shanti Koyle odiasse gli Hunger Games e Capitol City.
Portava con fierezza una collana con la scritta “Always
Myself” che fece sorridere David. Voleva proprio vedere se
sarebbe sempre rimasta sé stessa nell’arena. Non
poteva pensare di vincere e persino di non cambiare.
Ribelle.
Blake Dawnson
raccontò con gli occhi velati di lacrime della sua famiglia:
- I miei genitori sono
morti quando avevo sei anni, sono stati uccisi da un Pacificatore a
causa della morfamina. –
- Immagino sia stato
difficile per te, ragazzo – disse Ray con un
sorriso pieno di compassione.
- Sì,
molto. Per due anni ho attraversato un periodo di depressione, ma ora
sto meglio. –
David notò
come il ragazzo non disse di averla superata o di stare bene, solo di
sentirsi meglio. Aveva certo sofferto molto nella sua vita e non si
stupì più di tanto del fatto che si fosse offerto
volontario.
Sofferente.
Le interviste si
conclusero con un discorso di Ray e l’applauso del pubblico e
piano piano la gente uscì dall’Anfiteatro. David
era un po’ deluso dai tributi quell’anno,
nonostante ce ne fossero alcuni che lo avevano colpito. Fortunatamente
avrebbe avuto tante occasioni per vendicarsi con loro
nell’arena. I Trentesimi Hunger Games stavano per iniziare e
lui fremeva dalla voglia di mettersi all’opera.
SPAZIO
AUTRICE
Ciao a tutti!
Anche stavolta sono
puntuale (due settimane mi sembrano ragionevoli), ma questo capitolo
è stato davvero un parto e non ne sono ancora del tutto
convinta. Non sapevo bene come rendere il punto di vista di David senza
annoiarvi troppo e non avevo intenzione di scrivere ogni intervista
perché sarebbe stato troppo ripetitivo e lungo. Spero che
l’idea dei giudizi vi sia piaciuta e che non vi abbia
stancato.
L’ho
già detto nella premessa, ma voglio ripeterlo: vi prego di
non offendervi o pensare che non abbia compreso i vostri tributi,
quello che ho scritto lo pensa David, non io.
Il prossimo capitolo
sarà sull’Arena e non vedo l’ora, ma non
so quando potrò aggiornare. Spero fra due settimane, ma
visto che riesco a scrivere solo nei weekend e che il prossimo fine
settimana sono via (Lucca Comics *_*) non so se riuscirò a
pubblicarlo puntale, ma spero di sì.
Le morti, come vi
avevo già detto saranno 7 e le ho già decise. Ho
una domanda per voi: preferite che vi faccia votare quanti morti ci
saranno ogni giorno (come abbiamo fatto per il primo) oppure che decida
io? Fatemi sapere.
Vi ringrazio come
sempre delle recensioni, a qualcuna sono riuscita a rispondere e spero
di terminare al più presto.
Un bacione e al
prossimo capitolo,
Felix
<3
|
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Capitolo 11 *** Il bagno di sangue ***
Il bagno di sangue
Mark
Thompson – distretto 7
- Trenta secondi al lancio – disse una voce femminile.
Mark fece un mezzo
sorriso al suo stilista e poi si posizionò sulla piastra
metallica circolare. L’uomo gli fece un cenno di saluto che
suonava più come un addio che come un arrivederci. Nemmeno
un capitolino riusciva a nascondergli quanto poco credesse in lui, ma
non poteva certo biasimarlo, dopotutto lui stava davvero considerando
l’idea di uccidersi. Uccidersi.
Lo avrebbe fatto
davvero? Ne avrebbe avuto il coraggio? Non aveva altre
possibilità. La prospettiva di essere catturato e poi
torturato dai Favoriti non lo allettava e lui sapeva che non sarebbe
mai uscito da quell’arena vivo.
Il cilindro
cominciò a salire lentamente, Mark rimase al buio per una
quindicina di secondi, poi la piastra di metallo lo spinse fuori,
all’aria aperta. La luce del sole gli abbagliò gli
occhi per un attimo, poi ebbe appena il tempo di guardarsi attorno che
una voce maschile annunciò:
- Signore e signori,
che i trentesimi Hunger Games abbiano inizio! –
Sessanta secondi.
Questo era il tempo che aveva per decidere se uscire dal cerchio e
farsi saltare in aria o aspettare ed essere ucciso da qualcun altro.
Suonava tutto
così strano nella sua testa. Era solo un ragazzino di dodici
anni! Avrebbe dovuto preoccuparsi della scuola, degli amici, non di
questo!
Quaranta secondi.
Si guardò
in giro e quello che vedeva non era niente di particolare: le
ventiquattro pedane erano disposte, a circa dieci metri di distanza
l’una dall’altra, in un grande cerchio
all’interno di un prato verde e in mezzo a loro
c’era la Cornucopia piena di oggetti e armi varie. Non molto
lontano c’erano degli alberi, la cui chioma era molto fitta.
Era tutto troppo semplice. Era convinto che l’arena fosse
molto più pericolosa di quanto sembrasse.
Trenta secondi.
I Favoriti che Mark
riusciva a vedere dalla sua postazione si stavano scambiando sguardi
che non promettevano nulla di buono. Gli altri tributi invece
sembravano occupati a tranquillizzarsi, ad esaminare il posto dove si
trovavano, oppure a cercare una via di fuga.
Venti secondi.
Aveva preso la sua
decisione: avrebbe fatto quel passo. Non gli importava se lo avessero
giudicato un codardo o uno sciocco, lui voleva solo che tutto finisse
in fretta.
“Vi voglio bene mamma
e papà” pensò. Sperava
solo che lo avessero capito e perdonato, nonostante il dolore. In
fondo, anche loro lo sapevano che non ce l’avrebbe mai fatta.
Dieci secondi.
Prese un respiro e poi
uscì fuori dall’area cerchiata con un balzo.
Il gong
d’inizio fu coperto dal rumore dell’esplosione e ci
vollero un paio di secondi prima che anche gli altri tributi uscissero
dalle loro postazioni.
Michael
Waves – distretto 4
Il cronometro si era azzerato: i giochi erano ufficialmente iniziati,
ma lui non si era ancora mosso. Perché diavolo non lo aveva
ancora fatto? Non era certo l’unico, è vero: molti
a causa dell’esplosione, non avevano sentito il gong di
inizio o comunque erano rimasti scioccati dall’accaduto. Lui,
però, era un favorito e sarebbe già dovuto
dirigersi verso la Cornucopia come stavano facendo i suoi alleati.
Tentennò,
ma poi iniziò a correre verso la meta, recuperando da terra
un paio di coltelli e persino una lancia. Vicino alla Cornucopia
c’erano solo loro, gli altri tributi non avevano avuto il
coraggio di avvicinarsi. Pensava dunque che bastasse aspettare che
tutti si allontanassero e poi accumulare le cose rimaste sparse in
giro, ma a quanto pareva i suoi alleati non erano d’accordo.
Loro volevano mettersi subito a uccidere. Già, non bastava
vincere, dovevano ottenere la gloria! Scosse debolmente la testa,
mentre si guardava in giro.
Era tutto un casino:
gente che urlava, che scappava, che lottava. Non riusciva a credere che
il suo incubo peggiore fosse iniziato.
- Allora, Waves? Hai
intenzione di startene lì impalato tutto il giorno?
– gli chiese Merian con un’occhiataccia. Lo stava
controllando, lo sapeva. Non si fidava di lui e voleva vedere se era
davvero un Favorito e anche se lui non lo era, doveva comportarsi da
tale se voleva vincere e se non voleva che Merian lo prendesse di mira.
- Certo che no!
– rispose cercando di sembrare convincente.
Si
allontanò dalla Cornucopia, seguito dal ragazzo del 2. Poco
distanti da loro c’erano un ragazzo, che si stava guardando
in giro sperduto, quasi non si fosse reso conto di cosa fosse successo,
e una ragazza dall’aria preoccupata, che con lo sguardo
cercava qualcuno, probabilmente un alleato.
- Ti lascio la
ragazza, sarà sicuramente più facile per te
– gli disse Merian con tono di sfida. Michael
annuì debolmente e si avvicinò alla ragazza con
aria minacciosa e facendo ruotare la lancia tra le dita.
- Ti sei persa,
bellezza? – le chiese intimidatorio.
Lei lo
guardò negli occhi e per un attimo poté leggervi
la paura, ma poi il suo sguardo si trasformò in uno
determinato. Era la ragazza del 12, Shanti gli pareva si chiamasse.
Lei tirò
fuori un coltello, probabilmente sapeva che contro la sua lancia non
c’erano possibilità, ma non si voleva arrendere.
Fece un passo verso di lei, mentre quella si allontanò
tremante. A separarli c’erano circa cinque metri, avrebbe
potuto benissimo colpirla, ma sapeva che Merian lo stava tenendo
d’occhio e doveva perciò giocare un po’,
come qualsiasi Favorito avrebbe fatto.
- Hai per caso paura,
bellezza? –
- Ho un nome
– ribatté lei. –E no, non ho certo
paura. –
Stava mentendo, era
chiaro.
- Allora
perché ti allontani? – la provocò.
Shanti si morse il
labbro inferiore, ma quando lui fece un altro passo verso di lei,
rimase ferma. Fu tutto molto veloce: si scaraventò su di
lei, facendola cadere a terra, ma la ragazza tremante gli
infilzò lo stomaco con il coltello che aveva in mano. Una
dolorosa fitta lo colpì, ma non lo fece vedere, continuando
a sorridere provocatorio.
- Sei una ribelle
ragazzina! Ora la pagherai cara! –
Si sollevò
da lei e Shanti strisciò indietro, tendendo stretta la sua
arma insanguinata. Lui però riuscì a colpirla
alla spalla con un coltello e la ragazza urlò di dolore. Le
si avvicinò e estrasse lentamente il coltello, facendola
soffrire, poi la colpì al fianco destro, mentre lei
continuava ad urlare.
Cercò di
fare un sorriso sadico, ma al momento l’unica cosa che voleva
fare era vomitare. E scappare via, sì, scappare lontano. Non
sopportava di vederla soffrire ancora, quindi la finì con
una coltellata al cuore. Il sangue le sporcò la maglietta e
lo scoppio di un cannone risuonò per l’arena. Si
allontanò velocemente e spaventato dal corpo riverso a
terra.
- Bel lavoro
– gli disse Merian e lui rispose solamente annuendo. Se
avesse parlato, dalla sua bocca sarebbero solo usciti insulti e grida.
E forse lacrime dai suoi occhi.
Aveva appena ucciso
una persona, cavolo!
Il ragazzo del 2
invece non sembrava preoccuparsi del corpo che giaceva ai suoi piedi.
Michel diede un’occhiata al numero che aveva apportato sul
petto: 6. Non ricordava nemmeno il suo nome e probabilmente nemmeno
Merian sapeva il nome della sua vittima. Ad un certo punto si senti
strattonare da dietro, si voltò, ma riuscì a mala
pena a vedere un pugno che lo colpiva sullo zigomo, prima di cadere a
terra. Davanti a lui c’era il ragazzo del 12, Blake, che lo
guardava con odio.
- Sei stato tu ad
ucciderla? – gli domandò. Michael si
guardò in giro, Merian si era volatilizzato, incredibile!
- Perché?
Era la tua fidanzatina per caso? – ribatté
cercando di rialzarsi, ma un altro pungo lo colpì nello
stomaco, poi un altro e un altro ancora. Non riusciva nemmeno a
difendersi. Con orrore vide il ragazzo afferrare la lancia che gli era
caduta a terra e puntargliela contro con uno sguardo d’odio.
- Questo è
per Shanti, brutto stronzo! – lo sentì urlare, la
lancia lo colpì nel punto dove era già stato
ferito, urlò, poi tutto divenne improvvisamente buio.
Allison
Thomas – distretto 7
Una volta al riparo dagli alberi si buttò a terra con il
volto tra le mani. Subito Jack l’affianco, accarezzandole
dolcemente la schiena, mentre lei piangeva e singhiozzava.
- Ho-ho ucciso
persona! – balbettò tra le lacrime.
- Se non
l’avessi fatto, saresti morta tu –
replicò lui, provando a consolarla.
- Lo so, ma. . .
L’ho uccisa! Lei è morta! Io. . .io sono un
assassina! –
- Allie, non conta.
Sei una brava persona, lo so io, lo sa tuo padre, lo sa la tua famiglia
e lo sanno i tuoi amici. Non permettere che questi giochi di
condizionano la vita, non permettere che ti cambino! So che adesso
penserai che io non ti posso capire, che non ho provato quello che stai
provando tu, ma io so che tuo padre ha passato tutto questo,
esattamente come te, e sono sicuro che anche per lui è stato
difficile, ma lui è andato avanti: si è sposato,
ha costruito una famiglia. . .Quindi non pensare che sia tutto finito,
okay? -
- Io. . .grazie, Jack
– rispose con un sorriso, tentando di asciugarsi le lacrime.
- Ti va se ora
controlliamo quello che abbiamo? – le domandò
gentilmente e Allison annuì.
Non le era ancora
passato tutto, ma doveva essere forte. Non poteva disperarsi, non
adesso. Lei doveva uscire da quell’arena e non
c’era tempo per piangersi addosso. Osservò Jack
svuotare lo zaino dal suo contenuto e appoggiare il tutto per terra,
sull’erba.
- Allora, abbiamo: una
bottiglietta d’acqua, qualche galletta di riso e una coperta.
Per quanto riguarda le armi: una falce e cinque coltelli discretamente
affilati – elencò lui.
- Mmm. . .non siamo
messi molto bene – commentò la ragazza, osservando
le cose con occhio critico.
- Beh, sempre meglio
di niente. Vedremo di procurarci qualcosa! –
- Come fai ad essere
così ottimista? –
- Non lo sono, ma non
voglio preoccuparmi e farmi prendere dall’ansia –
spiegò Jack con un sorriso.
- Ora che si fa?
– domandò Allison, ficcandosi i pollici nelle
tasche posteriori dei pantaloni.
- Esploriamo un
po’ questa arena. Ho il presentimento che questo bosco non
sia così tranquillo come sembra. –
I due allora
iniziarono a camminare, all0ntanadosi sempre di più dalla
Cornucopia. Dopo qualche minuto la ragazza sussurrò:
- Sai come si
chiamava? –
Non ebbe bisogno di
specificare a chi si riferisse, perché Jack capiva che
intendesse la ragazza che aveva ucciso.
- Isabelle Hadlington,
distretto 2. –
Cornelia
Banks – distretto 1
Finalmente i giochi erano iniziati, ora poteva dar sfogo alla sua
rabbia repressa. Uccidere.
Poteva farlo adesso.
Aveva già
predestinato la sua vittima: la ragazza del 9, April. Era sempre troppo
allegra e sorridente e lei odiava le persone così. Non le
poteva proprio tollerare, quindi doveva eliminarla.
Individuò
la ragazza che stava correndo non molto lontana da dove si trovava, la
raggiunse velocemente e la scaraventò a terra. April cadde
di faccia con un gemito e lentamente si girò verso il suo
aggressore.
- Che. . .che cosa
vuoi fare? – balbettò impaurita.
- Adesso non sorridi
più, non è vero? – ribatté
Cornelia.
- Cosa vuoi dire? Non
capisco – rispose stupita la ragazza.
- Lasciala stare, ti
prego! – urlò una voce. Era quella di una ragazza
che si stava avvicinando a loro, appuntato alla maglietta portava il
numero 10.
- Non ti intromettere
o farai anche tu una brutta fine! – la ammonì.
- Ti prego, lasciaci
andare – la implorò ancora. Stava giocando con la
sua pazienza, quell’insulsa ragazzina.
- Sta zitta!
– le urlò, prima di tirarle uno schiaffo talmente
forte da farla barcollare e
cadere a terra.
- Torniamo a noi, April. –
La ragazza del 9 stava
piangendo e tremando, ma di certo non faceva pena a Cornelia, al
contrario, la irritava ancora di più.
Le rifilò
un paio di calci nello stomaco e poi prese in mano l’accetta
che aveva recuperato e con un sorriso sadico si avvicinò a
lei e le mise una mano attorno al polso per tenerlo fermo. Con un colpo
secco le tagliò il dito mignolo facendola urlare e piangere
di dolore. Intravide l’altra ragazza ancora a terra vomitare
e il suo sorriso si allargò. Abbandonò
l’accetta per terra e afferrò la sua arma
preferita: la spada. Le tracciò delicatamente il profilo del
viso, senza graffiarla nemmeno, si fermo ad un paio di centimetri dal
labbro e premette, facendole uscire qualche goccia di sangue.
Puntò poi la spada alla sua pancia e la infilzò.
April urlò più forte che poteva, mentre la sua
alleata, sdraiata a pochi metri da loro, singhiozzava rumorosamente
cercando di non guardare la scena.
- Ti. . .ti prego. .
.basta. . .non. . . – April fu costretta a interrompere la
sua frase a metà con un urlo, poiché Cornelia
l’aveva colpita nuovamente allo stomaco.
Le sue grida erano
fortissime, mentre la ragazza le infilzava ripetutamente la spada in
pancia. Qualche minuto dopo, però, le urla cessarono e
nell’arena rimbombò il colpo di un cannone.
Cornelia si
girò verso l’altra e le disse:
- Che ne dici? Vuoi
fare la fine della tua amichetta? –
Felicity non rispose,
mantenendo lo sguardo verso il terreno.
- Guardami quando ti
parlo! – la sgridò, furiosa. Lei quindi
alzò la testa, ma nei suoi occhi non lesse paura, solo
determinazione.
- No. . .non mi va di
ucciderti adesso, sarebbe troppo facile – decise, dopo averla
osservata per un attimo. – Tu ti meriti di peggio di April,
poiché hai osato intrometterti. Ora ti lascerò un
segno, così tutti sapranno che sei mia. Che solo io
potrò ucciderti, come e quando vorrò! –
Detto questo si
avvicinò alla ragazza e con la spada le incise una
“C” sulla guancia. Il sangue le sgorgò
dalla ferita, ma Felicity non fece niente per fermarlo. Cornelia
sorrise soddisfatta e poi se ne andò, senza aggiungere una
parola.
Matthew
White – distretto 11
Osservò il corpo di Alexandra essere portato via da un
hovercraft con gli occhi lucidi di lacrime, mentre Nigel, il suo
alleato, gli stringeva una spalla come per consolarlo. Alexia, invece,
non parlava e guardava fisso il pavimento.
Matthew non riusciva a
credere che la sua migliore amica fosse morta, colei che lo aveva
accolto in casa sua e lo aveva trattato come un fratello. Morta. Non riusciva
nemmeno a pensarlo.
L’avevano
uccisa e lui non era lì per salvarla. Era colpa sua. Tutta
colpa sua. E di Elaine, la ragazza del 4. L’avrebbe pagata
cara, sì, lui si sarebbe vendicato perché
Alexandra non meritava di morire.
Fortunatamente erano
riparati da qualche albero, altrimenti un tributo qualsiasi li avrebbe
potuti uccidere e forse non si sarebbe nemmeno opposto. Ma lui doveva
combattere, per lei. Doveva vincere e portare soldi alla famiglia
dell’amica, che ormai era diventata anche la sua famiglia.
Il corpo della ragazza
sparì dalla sua vista e lui non riuscì a
trattenere un singhiozzo, la presa dell’alleato si fece
più stretta, mentre Alexia sussurrò:
- Mi dispiace.
– Non riusciva proprio ad aprire la bocca e ad emettere suoni
che non fossero urla o singhiozzi, ma non voleva mostrarsi debole,
né a loro, né a nessun altro, perciò
si limitò ad annuire debolmente.
- Forse è
meglio che ci spostiamo da qui, qualcuno potrebbe vederci –
suggerì Nigel con voce insicura, probabilmente cercava di
essere comprensivo. Ma Matthew sapeva che il suo dolore era solo
temporaneo, si sarebbe presto trasformato in rabbia e allora sarebbero
stati guai per la favorita che l’aveva uccisa, che aveva
ucciso la sua
Alexandra.
- Hai ragione
– riuscì a rispondergli. –Andiamo, non
sembra nemmeno così spaventoso questo posto.–
- Già, non
so perché ma mi ero immaginata draghi sputa fuoco e cose
così. . . – aggiunse la ragazza, facendo
ridacchiare gli alleati.
I tre ragazzi, allora,
si inoltrarono in quello che pareva un semplice bosco dagli alberi
fitti.
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti,
come va? Spero tutto
bene <3
Come sapevate due
settimane fa sono stata al Lucca Comics e quindi non ho potuto
scrivere, di conseguenza sono riuscita ad aggiornare solo oggi, ma vi
avevo avvertiti.
Allora, che dire?
Siamo entrati nel vivo della storia, nell’arena.
Probabilmente sarete rimasti delusi dal fatto che è stato
descritto solo il bagno di sangue e dell’arena è
stato detto solo che è un bosco, ma ho delle giustificazioni:
- volevo descrivere bene il
bagno di sangue, quindi le varie morti, ecc. e ho preferito
concentrarmi su questo;
- nonostante l’arena
fosse stata decisa da tempo (ancora prima che iniziassi la storia), mi
sono venuti dei dubbi esistenziali e non mi convinceva più,
per questo ne ho progettata una nuova, ma siccome devo ancora
disegnarla e decidere tutto nel dettaglio, ho preferito evitare di
descriverla per non scrivere cose che magari in futuro avrei cambiato.
Parlando
di questo capitolo, spero di aver descritto decentemente le scene di
morte, è la prima volta per me e non è stato
facile, soprattutto per quella di April. Cornelia infatti ama le morti
lente e dolorose e le torture e io non sapevo proprio come descrivere
il tutto. Fatemi sapere cosa ne pensate :)
Mark. . .perdonatemi,
ma non mi sentivo di far morire il mio cucciolo per mano di qualche
tributo assetato di sangue.
Blake si ritrova senza
alleata, Allison ha ucciso una persona, Felicity è stata
marchiata e Matthew vuole vendetta. . .un inizio non proprio
tranquillo, diciamo!
Vi lascio il riepilogo
dei morti e faccio le condoglianze ai creatori di questi tributi,
sappiate che per me è stato difficile scegliere, ma alla
fine solo uno può vincere.
Mark Roberts
distretto
7
Shanti Koyle
distretto
12
Jace Eaton
distretto
6
Michael Waves
distretto
4
Isabelle Hadlington
distretto
2
April Joyce
distretto
9
Alexandra Green
distretto
11
In ogni caso spero che
il capitolo vi sia piaciuto e perdonatemi per gli errori ma mi si
incrociano gli occhi e ho riletto di sfuggita.
Dal prossimo capitolo
credo che vi pubblicherò il disegno dell’arena con
le posizioni dei vari tributi, ecc.
Va bene, ora vi lascio.
Un bacione,
Felix
|
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Capitolo 12 *** L'arena ***
L’arena
Kaya
Patel (6), Reylen Sheed (8), Vegas Ghellow (8)
Reylen e i suoi alleati, Kaya
e Vegas, erano riusciti a sfuggire illesi dalla Cornucopia e si erano
addentrati in fretta nel bosco. Gli alberi erano molto fitti e
impedivano di vedere oltre, quasi come se gli strateghi avessero voluto
nascondere qualcosa. Percorsi un centinaio di metri, si accorsero che
le piante davanti a loro non erano più verdi e fitte e che
al posto delle foglie, sui rami, c’era uno spesso strato di
neve, anche la terra era coperta da un manto bianco. I tre si fermarono
immediatamente e, all’unisono si voltarono: il paesaggio
dietro di loro non era cambiato.
-
Cosa significa? Non riesco a capire – chiese Vegas confuso.
-
È come se fossimo in inverno, forse gli strateghi vogliono
dividere l’arena per stagioni? – disse Kaya.
-
Possibile. Fatto sta che siamo capitati nella stagione peggiore. A
parte il freddo, dobbiamo occuparci delle impronte: se camminiamo
rimarranno delle tracce! – osservò Reylen,
guardandosi in giro con occhio critico.
-
Che cosa facciamo, allora? Non possiamo arrampicarci sugli alberi, ci
potrebbero comunque vedere! L’unica soluzione è
cancellare le impronte dietro di noi – suggerì
Vegas.
-
Forse potremmo tornare indietro e accamparci – propose Kaya.
– Non possiamo stare qui: rischieremmo troppo! –
-
Hai ragione, torniamo indietro – disse l’altra
ragazza.
I
tre si voltarono, ma non appena fecero un passo avanti una barriera di
fuoco si elevò dal terreno, i ragazzi fecero un balzo
indietro, spaventati.
-
Correte! – urlò Vegas
Le
ragazze non se lo fecero ripetere due volte e iniziarono a correre
più veloci possibili.
Qualche
metro più in là, Reylen si accorse
però che il fuoco non si era diradato, ma nemmeno spento:
era solo una barriera creata per non farli tornare indietro.
-
Fermatevi: non c’è nessun incendio! –
gridò ai suoi alleati, i quali la ascoltarono subito.
– Evidentemente agli strateghi non andava a genio la nostra
idea di tornare indietro, ma non vogliono ucciderci, non ancora almeno.
–
-
Quindi, che si fa? – chiese Kaya con il respiro affannato per
la corsa.
-
Beh, a questo punto direi di inoltrarci ancora un po’ e poi
fermarci per controllare quello che abbiamo negli zaini. –
-
Mi sembra una buona idea, Vegas. Andiamo e cerchiamo di cancellare le
nostre impronte con dei rametti – disse Reylen.
Vegas
e Kaya annuirono e i tre cercarono subito un ramo, per poi iniziare a
camminare.
Kathleen Vince (3), Riven Cole
(3), Jake Sander (9)
-
Non so il perché, ma non mi piace questo posto –
sussurrò Jake guardandosi intorno; si trovavano in un bosco,
ma era diverso rispetto a quello in cui camminavano fino a pochi minuti
prima: sugli alberi crescevano fiori colorati e frutti
dall’aria gustosa, l’aria profumava e riuscivano a
sentire degli uccellini cinguettare. - È tutto
così bello che non può essere vero. Ho come la
sensazione che questo posto sia più pericoloso di quanto
sembra. –
-
Penso che tu abbia ragione. Sarebbe troppo facile se quei frutti
fossero commestibili e se non ci fosse niente di pericoloso –
lo appoggiò Riven.
-
Beh, sono d’accordo con voi, ma non possiamo certo tornare
indietro: staranno ancora combattendo – osservò
Kathleen. – È pericoloso. –
I
due ragazzi annuirono, anche se non troppo convinti. Jake sembrava
terrorizzato da quel posto, mentre Riven era ancora scosso a causa del
rumore dei numerosi colpi di cannone. Alla Cornucopia, appena scoppiato
il gong si era spaventato, perciò si era tappato le
orecchie e seduto sulla sua postazione cercando di calmarsi,
incurante del pericolo che lo circondava. Fortunatamente Jake era
abbastanza vicino a lui e lo aveva afferrato per un braccio e
trascinato via. Gli aveva sicuramente salvato la vita.
-
Forse uno di noi dovrebbe arrampicarsi su un albero per cercare di
vedere come è fatta l’arena e per scorgere un
laghetto o un fiume, insomma un posto dove trovare l’acqua
– suggerì Jake.
-
Mi sembra un’ottima idea, chi si arrampica? –
chiese la ragazza con un tono che lasciava sottintendere che lei non
sarebbe stata in grado di farlo.
–
Lo faccio io, d’accordo? – disse Jake, dopo aver
lanciato un’occhiata a Riven, che ora se ne stava per terra
ad osservare un vecchio orologio ed era completamente assorto da questo
che probabilmente non sapeva nemmeno di cosa stessero parlando.
Il
ragazzo si arrampicò dunque sull’albero
più alto di quella zona, con fatica riuscì ad
arrivare in cima e cominciò a guardarsi intorno.
-
Non si vede molto lontano, ma riesco a vedere qualcosa. Che strano. . .
–
-
Cosa, Jake? Che c’è di strano? – gli
domandò Kathleen con voce preoccupata mentre si metteva
sulle punte come a cercare di vedere, anche se da lì era
impossibile.
-
Sembra che da quella parte ci sia la neve. –
-
Neve? –
-
Giuro. È tutto bianco e non ci sono foglie sugli alberi!
– spiegò il ragazzo. – È
tutto così inquietante. –
-
Riesci a vedere dell’acqua? – chiese la ragazza
cambiando discorso.
-
Sì, c’è un laghetto. È un
po’ distante da dove siamo noi, però. –
-
È nella zona della neve? –
-
No, fortunatamente è qui. Ora scendo, vedi di riuscire a far
alzare Riven da terra. -
Una
decina di minuti dopo i tre ragazzi si misero in cammino, ogni tanto
Jake doveva arrampicarsi su un albero per controllare che la direzione
fosse quella giusta e a volte Kathleen doveva esortare Riven a
camminare perché si fermava a fissare il suo orologio, ma
tutto sommato andava tutto bene. Erano ancora vivi.
Allison Thomas (7), Jack (10)
Allison
scese dall’albero su cui si era arrampicata con
facilità: era abituata a scendere e salire dai rami,
dopotutto proveniva dal distretto del legname.
-
Non capisco lo scopo di dividere l’arena in due parti
diverse! – borbottò Jack, scalciando
distrattamente un mucchietto di foglie per terra.
-
Credo che siano più di due zone, mi è sembrato di
intravedere delle piante verdi da quella parte – rispose
Allison indicando con il dito verso destra. – Erano piuttosto
lontane. Forse è un’idea stupida, ma credo che
abbiano voluto ricreare le stagioni. -
Nel
bosco dove si trovavano gli alberi erano spogli e il terreno era
ricoperto di foglie colorate che scricchiolavano ad ogni loro passo.
C’era una leggera nebbia, ma si riusciva a vedere bene, il
vento però soffiava piuttosto forte facendo ondeggiare i
rami.
-
E quindi noi siamo in autunno? –
La
ragazza annuì e Jack sbuffò.
-
Sempre meglio che l’inverno, no? – chiese Allison.
-
Sì, certo. È solo che trovo tutto così
frustrante! – esclamò prima di sedersi a terra,
appoggiando la schiena contro il tronco di un albero e passandosi una
mano tra i capelli. – Insomma, ti rendi conto? Loro si
divertono! Si divertono ad inventare un’arena nuova ogni
anno, a pensare a pericoli mortali, agli ibridi e a tutto il resto. Si
divertono a vedere ventitré persone all’anno
morire. Si divertono, Allie. Come possono farlo? Non hanno ancora
capito che siamo persone, persone come loro? –
Jack
stava urlando, ma la ragazza non provò nemmeno a zittirlo:
aveva ragione e aveva il diritto di sfogarsi.
-
Me li immagino, sai? Vestiti eleganti, seduti tutti attorno ad un
tavolo su delle comodissime sedie di velluto mentre si grattano la
barba e pensano al posto dove far morire altri ventitré
ragazzi. Poi ad un certo punto uno di loro si alza ed esclama.
“Perché non facciamo le stagioni?”.
Tutti applaudono e festeggiano bevendo vino e mangiando aragoste. Nel
frattempo le persone nei vari distretti muoiono di fame e lavorano per
ore per dare a loro quelle fottute sedie di velluto, i loro pregiati
tavoli di legno, il vino e le aragoste! E sai qual è la cosa
che mi fa innervosire di più? Che alcuni di noi partecipano
a questi giochi con piacere, non vedono l’ora di farlo!
Pensano di mettersi in mostra, di ottenere la gloria, la fama, ma in
realtà siamo tutti nelle loro mani. Anche se non lo
vogliamo, anche chi si ribella, tutti siamo delle pedine dei loro
giochi. Possono fare di noi quello che vogliono e noi non ce ne
rendiamo nemmeno conto! Ci mettono l’uno contro
l’altro, ci richiudono qui dentro e ci fanno uccidere nostri
coetanei. I distretti finiscono per odiarsi tra di loro e per
dimenticare che il vero nemico è solo Capitol City! Ed
è tutto così frustrante perché non
possiamo fare niente per cambiarlo. Le mie parole saranno state
sicuramente tagliate e probabilmente per quello che ho detto non
uscirò mai vivo da qui, ma non m’importa. Forse
è meglio morire che tornare in quello schifo di mondo! -
-
Jack, hai ragione, hai pienamente ragione, ma ora ti devi calmare:
qualcuno potrebbe sentirti. Inoltre si sta facendo tardi e dobbiamo
ancora decidere cosa fare questa notte. –
-
Scusami, Allie. Mi sono lasciato prendere. Cerchiamo di avvicinarci al
laghetto che hai visto, poi decideremo cosa fare – disse
prima di sollevarsi da terra e infilarsi lo zaino sulle spalle.
I
due ragazzi ripresero il cammino in silenzio. La ragazza ripensava alle
parole di Jack e di quanto fossero vere, ma lei non era come lui:
Allison doveva tornare a casa, non le importava quanto fosse brutto il
mondo, lei aveva la sua famiglia, i suoi amici e il suo ragazzo. Non
poteva non tornare.
Alexia Black (5), Nigel
Collins, Matthew White (11)
Erano
ore che camminavano e faceva caldo, molto caldo. Il sudore grondava
dalle loro fronti e bagnava le loro magliette, erano stanchi e
assetati. Erano riusciti a recuperare uno zaino dalla Cornucopia, ma
conteneva solo una borraccia d’acqua, che non bastava per
soddisfare la sete di tre persone, quindi avevano deciso di non berla,
almeno per il primo giorno.
-
Guardate, ragazzi! Un laghetto! – esclamò Nigel,
indicando una distesa d’acqua poco distante da loro. Ai loro
occhi sembrava quasi un miraggio!
I
tre si misero a correre, Matthew fu il primo a raggiungere il laghetto,
si inginocchiò e mise le mani a goccia per prendere un
po’ d’acqua. Ne bevette un sorso e poi:
-
Fermi, non bevete! – urlò ai suoi compagni, che si
erano in procinto di bere. – È salata! –
Alexia
guardò prima Matthew e poi il laghetto, non poteva crederci,
non voleva crederci.
-
Cosa diavolo stai dicendo? – esclamò.
-
Esattamente quello che ho detto: quest’acqua è
salata. È acqua di mare – ripeté ancora
una volta.
La
ragazza emesse un gemito frustrato alzandosi in piedi, per poi iniziare
a prendere a calci un sassolino.
-
Non è possibile! Che senso ha mettere dell’acqua,
se poi è salata? – si lamentò,
camminando avanti e indietro.
Matthew,
ancora seduto la osservava camminare, quasi spaventato
dall’idea che potesse prendersela con uno di loro. Nigel,
invece, era ancora inginocchiato e osservava il laghetto con aria
critica. Poi, incurante dell’avviso del compagno
allungò le braccia e fece per prendere un po’
d’acqua. Qualcosa proveniente dal lago, però, lo
afferrò per il polso. Era qualcosa di viscido che lo
stringeva e lo strattonava forte. Nigel si guardò il polso,
strette attorno ad esso c’erano delle dita. Il ragazzo
urlò, ma dalla sua gola uscì solamente un verso
strozzato. Uno strattone ancora più forte lo fece sollevare
da terra e finire in acqua. La creatura lo tirava giù,
sempre più giù. Non poteva respirare, ma aveva
bisogno di aria. Aprì la bocca, forse per urlare, forse per
respirare. L’acqua gli entrò nei polmoni. La testa
gli doleva forte. Doveva fare qualcosa, non poteva morire, non adesso.
Ripensò ad Ashley, la sua ragazza, e a Peter, il suo
migliore amico, entrambi morti per colpa dei giochi. Li avrebbe potuti
raggiungere, sarebbe potuto essere felice con loro.
Un
colpo di cannone.
SPAZIO
AUTRICE
Lo
so, lo so, sono pessima. Un mese e mezzo per questo. Un capitolo corto
e privo di colpi di scena (escludendo il finale). Dovete perdonarmi, ma
la scuola mi stava uccidendo. Non avevo più un attimo
libero. Prometto di farmi perdonare pubblicando entro il 10 gennaio
altri due capitoli.
Comunque
finite le scuse, ora posso iniziare a parlare del capitolo.
Ecco
qua l’arena. Come avrete capito è divisa nelle
stagioni.
[L’ultimo
pov erano nella parte dell’estate, non so se si è
capito anche perché ho solamente detto che faceva caldo e
che l’acqua era salata (acqua salata? e cosa
c’entra con l’estate? Beh, io collego
l’estate al mare e quindi… Perdonatemi XD)]
Spero
che l’idea vi piaccia :)
Comunque
le sorprese non sono finite! Vedrete nei prossimi capitoli.
Cosa
ha ucciso Nigel? Eheheheh! Non ve lo dirò certo adesso
*risata malvagia*
In
realtà non avevo in programma che morisse, ma poi nello
scrivere mi è venuta l’ispirazione e... poveretto!
Siamo
rimasti quindi a sedici tributi ancora in gioco! Ve l’ho
detto che ho già selezionato quattro possibili vincitori?
Ovviamente non vi dirò i loro nomi, anche perché
con il corso della storia potrei cambiare totalmente idea!
Colgo
l’occasione per farvi gli auguri di Natale (anche se
è già passato, ops) e quelli del nuovo anno,
perché sicuramente non aggiornerò fino
all’anno prossimo (che battutaccia, lo so -.-).
A
presto,
Felix
p.s.
Questo spazio autrice fa davvero pena :(
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Capitolo 13 *** Prendere decisioni ***
Prendere decisioni
Cornelia Banks (1), Alvin Lorcan Theroux (1), Merian Oleg (2) e Elaine
Claythorne (4) – Cornucopia,
secondo giorno
I quattro favoriti, dopo il bagno di sangue, avevano deciso di rimanere
alla Cornucopia per controllare quali armi e provviste erano riusciti
ad ottenere e poi, essendo quasi buio, avevano passato la notte
lì, alternandosi con i turni di guardia. Il mattino, una
volta svegli, mangiarono qualche cracker trovato in uno degli zaini e
poi cominciarono a discutere su cosa fare.
- Non capisco nemmeno perché dobbiamo discuterne!
– si lamentò Cornelia – È
semplice: andiamo in giro per l’arena e, non appena
incontriamo un tributo, lo uccidiamo. –
- Ma non possiamo non avere una strategia: dobbiamo decidere come
muoverci, come attaccare… - disse nervosamente Elaine,
mentre con lo sguardo cerava l’appoggio dei suoi alleati. Era
convinta delle sue idee, ma aveva anche paura di mettersi contro
l’altra ragazza.
- Io credo che abbia ragione Cornelia, insomma siamo i favoriti!
– la appoggiò Merian.
- D’accordo, ma come facciamo con le provviste? –
chiese Alvin. - Non possiamo portarci dietro tutto! –
- Uno di noi dovrebbe rimanere qui a controllarle –
suggerì Elaine. - Ma forse è meglio appostarci in
un altro luogo, possibilmente con dell’acqua vicino.
–
- Ma qui siamo al centro dell’arena, è la
posizione perfetta! – la contraddisse Cornelia.
- Vero, ma non abbiamo l’acqua – osservò
Alvin
- Cosa credi che servano a fare gli sponsor? –
domandò ironicamente Merian, prima di sbuffare. –
Sentite, non possiamo starcene qui con le mani in mano! Se voi due
volete stare qui per controllare le provviste, d’accordo. Nel
frattempo io e Cornelia faremo un giro di esplorazione e se troviamo un
lago, un ruscello o qualcosa del genere torneremo qui e ci sposteremo
– propose Merian. Fortunatamente tutti furono
d’accordo e si divisero come deciso. Quando si furono
allontanati abbastanza dalla Cornucopia, Cornelia disse al ragazzo che
camminava al suo fianco:
- Quei due non sono dei veri favoriti, dovremo sbarazzarci di loro,
prima o poi! –
- Sono d’accordo con te, ma intanto teniamoceli buoni:
finché i tributi sono ancora così tanti ci serve
una mano per farli fuori, poi ci occuperemo di loro. -
- Va bene, ma spero che succeda in fretta perché sto
cominciando a non sopportar più le chiacchiere di
quell’odiosa gallina! –
Merian rise, subito seguito da Cornelia.
- C’è qualche tributo che desideri particolarmente
uccidere? – gli chiese la ragazza.
- Nessuno di particolare, voglio che muoiano tutti, a parte me
ovviamente. Sì, insomma, la ragazza del 7 non mi sta molto
simpatica e nemmeno quello dell’8, ma se li uccidesse qualcun
altro per me non sarebbe un problema. Tu invece? –
- Quella del 10, Felicity. Già per il suo nome la odio.
Insomma, che nome è Felicity? E poi si dà troppe
arie per i miei gusti. La detesto. Avrà una morte lunga e
dolorosa – rispose lei con un sorriso sadico che non
prometteva nulla di buono e che mise timore persino a Merian.
I due si inoltrarono nella zona che loro non sapevano ancora fosse
l’inverno.
Blake Dawnson (12)
– Primavera,
secondo giorno
Camminava in un prato fiorito, tenendo stretto tra le mani un coltello,
l’unica arma che possedeva. Lo stringeva forte mentre
procedeva in silenzio, guardandosi intorno con le orecchie tese. Ogni
scricchiolio lo faceva sobbalzare e si girava subito verso la direzione
da cui proveniva. Anche se non lo avrebbe mai ammesso aveva paura,
terribilmente paura. E quel bosco con fiori colorati
dall’odore inebriante e dagli alberi con frutti che parevano
succosi gli metteva solo più inquietudine. Ad un certo punto
sentì un rumore, come lo spezzarsi di un ramo. Si
voltò, ma non c’era nessuno. Rimase fermo
immobile, in allerta. Un altro scricchiolio. E poi il rumore dei passi.
Erano vicini, sempre più vicini. Che cosa fare? E se fossero
stati dei tributi armati fino ai denti? E se fossero stati i favoriti?
Non poteva rischiare. Si arrampicò velocemente e il
più silenziosamente possibile sopra un albero. Nascosto
dalla chioma dell’albero spiò chi si stava
avvicinando. Era una ragazza. Non si ricordava di lei, ma era certo che
non fosse una del gruppo dei favoriti. Non sembrava particolarmente
pericolosa, avrebbe potuto ucciderla facilmente. Si calò di
colpo dall’albero, sorprendendola. Lei perse
l’equilibrio e cadde per terra, spaventata. I capelli biondo
cenere erano legati in una coda alta e i suoi occhi verdi lo scrutavano
intimorita. Sulla guancia sinistra c’era del sangue secco e
riusciva ad intravedere un taglio non troppo profondo, ma abbastanza
perché vi rimanesse una cicatrice. Sul petto era appuntato
il numero 10. Era disarmata e debole, sarebbe bastato scagliare il
coltello contro di lei per ucciderla e, probabilmente, la ragazza non
avrebbe nemmeno combattuto. Sembrava sfinita, forse non aveva mangiato.
Era così facile, così facile.
“Fallo. Forza,
fallo. Che ci vuole?” si chiese.
Strinse la sua arma ancora più forte, per poi sospirare e
abbassare il coltello. Porse la mano alla ragazza per aiutarla ad
alzarsi. Lei la guardò timorosa, ma poi
l’accettò e si mise in piedi.
- Perché non mi hai colpita? – sussurrò.
- Sei disarmata, sarebbe sleale – rispose semplicemente lui
con un sospiro.
- Sono gli Hunger Games. –
- Sei sola? – domandò lui guardandosi in giro per
controllare se ci fosse qualche altro tributo in giro.
- Sì, la mia alleata è... morta. –
- Mi dispiace, anche la mia. –
- La ragazza del tuo distretto? Shanti, giusto? –
- Sì. Come ti chiami? –
- Felicity Morrison, distretto 10 – rispose stringendogli la
mano.
- Blake Dawnson, distretto 12 – fece lui ricambiando la
stretta.
- E ora che si fa? Ognuno per la sua strada, oppure… -
- Beh, potremmo stringere un’alleanza: farebbe comodo ad
entrambi – suggerì Blake.
- Sì, mi sembra un’ottima idea. –
David Wood, Capo Stratega
- Capitol City, secondo
giorno
Il Capo Stretga, David Wood, scrutava l’ologramma della sua arena con
occhio critico. Già sapeva che era piaciuta molto al
pubblico di Capitol City grazie ai risultati del sondaggio che aveva
indetto. Poteva quindi ritenersi contento, ma non lo era affatto in
quanto c’era troppa poca azione. Dal giorno precedente non
c’era stato nessun morto, nessuno scontro, al contrario si
era formata una nuova alleanza. I tributi - esclusa Cornelia: lei
metteva un po’ di paura persino a lui - erano
più noiosi di quanto gli fossero sembrati alle interviste e
quindi toccava a lui movimentare la situazione.
Merian e Cornelia erano entrati nell’area
dell’inverno: sarebbe bastato bloccare qualche strada con
tronchi o ghiaccio per fare in modo che arrivassero al luogo dove si
trovava l’unica alleanza presente in quella stagione, quella
costituita da Reylen, Vegas e Kaya.
- Fate in modo che i Favoriti raggiungano i tributi dell’8 e
la ragazza del 6: ci serve un po’ di azione -
ordinò ai suoi collaboratori, che si misero subito al
lavoro.
- Quanti ne devono morire? - chiese una donna con un orrendo taglio di
capelli.
- Non più di due. Cercate di salvare Cornelia, almeno per
adesso. Mi piacerebbe vedere qualche altra scena con lei, magari con la
ragazza del 10. Ma non preoccupatevi troppo di difenderla, se la sa
cavare da sola - rispose lui con un sorriso, divertito da come -
nonostante fossero i tributi a combattere - potesse ancora lui decidere
chi far morire o meno. Erano tutti sotto il suo potere. Era lui a
decidere. Certo, cercava di far in modo che gli scontri andassero per
il suo corso, ma se serviva interveniva.
Osservò Kaya alzarsi da terra e fare gesto ai sui alleati di
fare silenzio, probabilmente aveva sentito un rumore o delle voci, beh
non si sbagliava: poco lontano la coppia di Favoriti si dirigeva verso
di loro. I tre si nascosero dietro degli alberi dal tronco abbastanza
largo per non essere avvistati, così da coglierli di
sorpresa quando gli altri li avrebbero raggiunti.
Entrambe le alleanze erano abbastanza rifornite di armi (coltelli,
lance, asce e spade) ed erano entrambe molto forti. Sarebbe stato uno
scontro interessante.
- Concentrate le telecamere su questa zona, nelle altre stagioni non
sta succedendo nulla di importante - ordinò.
- Dieci secondi allo scontro - annunciò un uomo. - Tre. Due.
Uno. È iniziato. Telecamera 3 su Merian. -
- Voglio che telecamera 3 riprenda dall’alto, dobbiamo avere
anche una visione generale! - esclamò David.
- Sì, signore - rispose, prima di eseguire gli ordini.
I cinque stavano combattendo valorosamente: erano tutti molto
preparati, ma i Favoriti - nonostante fossero di meno - erano
più forti. Kaya era già stata ferita a un braccio
da Cornelia e stava perdendo molto sangue.
- Signor Wood, il tributo del distretto 6 è caduta. Merian
si sta preparando ad attaccare - lo aggiornò una donna
anziana, anche se non ce ne era bisogno: lui era attento alla
situazione.
- Bene. Primo piano sul ragazzo… Perfetto, ora spostatevi
sudi lei. Okay ora ripresa dal basso. -
Merian lanciò una lancia e Kaya venne colpita esattamente al
centro del petto: i suoi occhi si spalancarono e la sua bocca si
aprì come per urlare, ma nessun suono uscì dalla
sua bocca. I suoi alleati la guardarono con sguardo triste e allo
stesso tempo spaventato: ora erano due contro due. I due Favoriti
sorridevano, invece, era un sorriso malefico e freddo, il loro.
- Controllo del battito cardiaco - disse.
- Nessun battito, signore. È morta - gli rispose uno degli
strateghi.
- Fate partire il colpo di cannone. Non voglio altri morti, altrimenti
perderemmo i due tributi dell’8 e li voglio dentro, almeno
per un po’. Fate in modo che smettano di combattere. -
- Bufera di neve o Yeti, signore? - chiese l’addetta agli
effetti speciali.
- Bufera di neve. Teniamoci gli ibridi per più avanti -
rispose lui.
- Perfetto. Tra tre. Due. Uno. È iniziata, signore. -
La neve cominciò a cadere forte sopra le loro teste,
impedendogli di vedere e di riconoscere le persone con cui stavano
combattendo. Vegas afferrò Reyeln per un polso e
cominciarono a correre il più velocemente possibile lontano
da loro, lasciando però le provviste, che furono recuperate
dai Favoriti. Merian e Cornelia si fermarono, in attesa che la bufera
finisse.
- Bel lavoro. Ora devo andare, chiamatemi se succede qualcosa degno di
nota. -
David Wood uscì dalla stanza con un sorriso trionfante: era
riuscito a dimostrare anche oggi che era lui ad avere il controllo e
che i tributi erano solo pedine dei suoi giochi.
SPAZIO AUTRICE
Ciao,
so che l’ultima volta che ho aggiornato è stata
talmente tanto tempo fa che probabilmente c’erano ancora i
dinosauri e so anche che vi avevo promesso di aggiornare presto. E il
capitolo era anche pronto per la data stabilita, ma –
sì, c’è un ma – come scrivere
l’ultimo pezzo e mi è venuta solo poco tempo fa
l’idea di farlo dal punto di vista del Capo Stratega. Poi ho
perso la chiavetta dove avevo salvato tutto il lavoro e
dunque… eccomi qui solo oggi!
Mi dispiace davvero, sono imperdonabile, spero solo che ci sia qualche
anima pia disposta a leggere ancora questa storia.
Comunque, spero di pubblicare il prossimo capitolo entro due settimane.
Un bacione,
Felix
|
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Capitolo 14 *** Pianificazioni ***
Pianificazioni
Alvin
Lorcan Theroux (1) - Cornucopia,
notte del secondo giorno
Alvin guardava i suoi
alleati dormire tranquillamente: era il suo turno di guardia e doveva
assicurarsi che nessuno rubasse loro armi o provviste e che nessuno
volesse attaccarli, anche se quest’ultima opzione era assai
improbabile. “Chi
attaccherebbe i favoriti?” si chiedevano ridendo
i suoi compagni, che non avrebbero mai potuto immaginare che proprio
uno di loro li avrebbe traditi. Sì, proprio lui:
l’innocuo Alvin: quello che non parlava mai troppo, che non
si esprimeva, che non metteva troppo timore a nessuno. Il ragazzo stava
infatti per abbandonare il suo gruppo di alleati, non prima di aver
preso qualche arma e delle provviste per sé, ovviamente.
Era un ragazzo
diffidente, non aveva fiducia nelle persone e inoltre era convinto di
potercela fare da solo. Voleva vincere, doveva vincere.
Alvin aveva il compito che la sua famiglia non fosse così
codarda come si pensava al suo distretto, doveva riscattare il suo
cognome, che era stato precedentemente infangato dal padre, il quale
non si era offerto volontario agli Hunger Games, nonostante i suoi due
fratelli più piccoli fossero stati estratti.
Inoltre Alvin doveva
impressionare sua madre, farle capire quanto aveva perso lasciandoli.
Elith, infatti, si era trasferita a Capitol City poiché non
riusciva più a reggere il peso delle malelingue contro la
sua famiglia e in particolare contro Caleb, suo marito, che era stato
rinominato “il Codardo”.
Era quindi tutta colpa
di suo padre se si trovava in quella situazione. Alvin gli voleva bene
infondo, ma non riusciva a non attribuirgli la colpa della fuga di sua
madre, a cui era molto legato.
Silenziosamente,
afferrò uno zaino e lo riempì con del cibo, un
sacco a pelo, dei fiammiferi, una borraccia d’acqua e dei
coltelli. Prese poi una spada e una lancia e si allontanò
velocemente dalla Cornucopia. Avrebbe voluto appiccare un incendio e
bruciare così le provviste che rimanevano agli ormai ex
alleati per crear loro seri problemi, ma non voleva rischiare di essere
scoperto. Doveva camminare in fretta, ma senza fare rumore: non poteva
rischiare che uno dei favoriti si svegliasse e lo cogliesse sul fatto.
Cornelia e Merian avevano detto che la parte dell’arena che
avevano esplorato era coperta di neve, perciò non era certo
il luogo giusto dove andare. Si diresse quindi dalla parte opposta che
avevano preso i compagni, sperando di trovare un luogo adatto per la
sopravvivenza.
Alexia
Black (5) e Matthew White - Estate,
terzo giorno
Matthew e Alexia erano
ancora scossi per il dimezzamento della loro alleanza: prima Alexandra
era stata uccisa da Elaine e poi Nigel era morto a causa di esseri
misteriosi nel laghetto. I due si erano subito allontanati da
lì, sia perché erano troppo spaventati per
rimanerci, ma anche perché sarebbe stato inutile, visto che
l’acqua era salata e quindi imbevibile. Ancora non avevano
compreso il motivo di questa folle idea, ma non potevano farci niente.
Fortunatamente avevano una boraccia d’acqua, troppo poca per
bastare per tutta la durata del gioco, ma abbastanza per dissetarsi
almeno un po’. Inoltre entrambi erano segretamente convinti
che nessuno dei due sarebbe durato ancora per molto: avevano solo un
coltello a testa, qualche galletta di riso e un panino. Non erano
particolarmente forti, al contrario erano deboli e privi di energie.
Nonostante tutto
ciò, in Matthew c’era ancora il desiderio di
vendetta. Non riusciva a sopportare che la sua migliore amica fosse
morta: era come una sorella per lui e, se c’era qualcuno che
doveva salvarsi in quell’arena, era lei. Non era giusto che
Alexandra fosse morta, non se lo meritava. Voleva vendicare la sua
morte, voleva uccidere Elaine. Ne aveva parlato con Alexia, ma gli
aveva dato del pazzo: lei era una favorita e loro giravano sempre il
gruppo, ma anche se fossero riusciti a isolarla era troppo forte.
Matthew però non si voleva arrendere: l’avrebbe
vendicata, oppure sarebbe morto provandoci, non se ne sarebbe stato con
le mani in mano. Doveva solo architettare un piano abbastanza astuto
per ottenere quello che voleva. Non poteva essere così
difficile, doveva solo sforzarsi.
- A cosa stai
pensando, Matthew? - interruppe il suo flusso di pensieri Alexia,
mentre se ne stava seduta per terra, accarezzando distrattamente
l’erba verde scuro.
- Lo sai - rispose lui
freddamente, senza guardarla negli occhi.
- Io vorrei aiutarti,
davvero, ma non è facile. Se tu trovassi un modo per poterlo
fare senza troppi rischi, io sarei dalla tua parte. Non voglio
però che tu pensi sia necessario farlo, Alexandra non
vorrebbe che tu lo facessi. -
- Tu non la conoscevi,
non puoi sapere quello che vorrebbe! - sbraitò lui, facendo
sobbalzare la ragazza. - E comunque - aggiunse abbassando la voce - Non
si tratta di quello che vorrebbe lei, ma di quello che voglio io. -
- D’accordo,
Matthew. Non volevo essere invasiva. Pensa a un piano e io ti
aiuterò. -
- Grazie, Alexia e
scusami se ho urlato, ma lei è, era importante per me - si
scusò il ragazzo, abbassando la testa e continuando a
pensare a un modo per uccidere Elaine senza troppo rischio.
Jake
Sander (9) - Autunno,
terzo giorno
Jake si era
allontanato da Riven e Kathleen, i suoi alleati, per esplorare un
po’ l’arena. Purtroppo, si era perso e dai prati
fioriti era giunto a una zona che aveva le caratteristiche tipiche
dell’autunno. Era preoccupato perché non sapeva
come tornare indietro, aveva camminato talmente tanto che non ricordava
più la strada che aveva preso. Ormai era passata
un’intera giornata da quando aveva lasciato gli altri due,
che probabilmente ora erano addirittura più preoccupanti di
lui.
“Che
stupido” pensò, scalciando delle
foglie a terra. “Non
p0tevo tornare indietro prima? No, dovevo andare avanti! Stupido io e
stupida la mia curiosità!”
Fortunatamente
sembrava non ci fosse nessuno e quindi che non ci fossero pericoli. O
almeno così credeva lui. Ad un certo punto, mentre stava
ancora camminando verso una meta indefinita, sentì un rumore
di passi e dei bisbigli. Afferrò l’unica arma che
aveva, un coltello, e si nascose dietro un albero, cercando di scoprire
chi fossero gli autori di quei rumori. La paura scorreva nelle sue
vene: chi poteva essere? E se fossero stati i favoriti? O comunque
tributi armati e pericolosi?
Vide due figure
avvicinarsi a lui: un maschio e una femmina. Non ne era sicuro, ma
sembravano la ragazza del 7 e quello del 10. Erano senza dubbio tra i
più forti nell’arena, non sarebbe mai uscito vivo
da uno scontro con loro. Continuò a fissarli, mentre si
facevano più vicini. Fortunatamente i due girarono a destra
a pochi metri di distanza da lui. Jake tirò un sospiro di
sollievo e fu questo a metterlo in pericolo.
- Jack, hai sentito? -
bisbigliò la ragazza, guardandosi intorno preoccupata.
- No, non ho sentito
niente - rispose lui. Jack, credeva si chiamasse, quello senza cognome.
-
C’è qualcuno, ne sono sicura - ribatté
l’altra.
- D’accordo,
guardiamoci in giro. -
I due tributi presero
dei coltelli e iniziarono a camminare, cercando la fonte del rumore,
che Jake sapeva fosse proprio lui. Era terrorizzato, se
l’avessero visto non avrebbe avuto scampo. Non poteva fare
niente: era disarmato.
Chiuse gli occhi,
pregando di non essere trovato, pregando che se ne andassero e che lui
potesse andare avanti. Poco dopo, però sentì un
fruscio vicino a lui, decisamente troppo
vicino. Lo avevano visto, lo sapeva. Il cuore gli batteva forte nel
petto, sembrava volesse uscire dalla gabbia toracica. Aprì
gli occhi, davanti a lui c’era un ragazzo alto, con la
carnagione chiara e i capelli castani lunghi fino alle spalle. Aveva un
coltello in mano che puntava dritto verso di lui. Lo stava fissando,
sembrava indeciso su cosa fare. Forse non aveva ancora ucciso nessuno
dentro l’arena, forse lo avrebbe lasciato andare. Poi
però avvicinò l’arma e
sussurrò:
- Mi dispiace. -
Subito dopo lo colpì.
Jake riuscì
a pensare ai suoi fratelli che sarebbero rimasti soli ora che anche lui
era morto, sperava solo che Michael sarebbe riuscito a non farli finire
in orfanatrofio. Erano una famiglia unita, non potevano dividersi.
Pensò anche alla ragazza di cui era innamorato e poi ai suoi
genitori, ch presto avrebbe raggiunto. Poi chiuse gli occhi, questa
volta per sempre.
Un colpo di cannone
risuonò nell’arena, mentre Jack estrasse
l’arma insanguinata dal corpo dell’avversario con
un sospiro rassegnato.
Felicity
Morrison (10) e Blake Dawnson (12) - Primavera, terzo giorno
E anche il terzo
giorno nell’arena era ormai giunto al termine. Felicity si
infilò nell’unico sacco a pelo che avevano a
disposizione, mentre Blake avrebbe fatto il primo turno di guardia. Il
cielo è ormai buio quando inizia l’inno che
precede il riepilogo delle morti del giorno. Il sigillo di Capitol City
illumina lo schermo enorme trasportato da un hovercraft, poi tutto si
fa scuro per un istante, poi appare l’immagine di Jake
Sander, distretto 9. Felicity lo ricordava vagamente, non ci aveva mai
parlato, ma sembrava un ragazzo gentile. Blake fissava un punto
indefinito con occhi vuoti, probabilmente stava pensando, forse a
Shanti, forse alla sua famiglia, forse non stava semplicemente pensando
a niente. Lì dentro era inutile pensare, non serviva a
nulla, se non a rattristirsi ancora di più.
- Posso chiederti una
cosa? - chiese il ragazzo, spostando lo sguardo su Felicity, che
annuì.
-
Cos’è quel segno che hai sulla guancia? Sono
sicuro che non ce l’avevi prima di entrare
nell’arena e non sembra una normale ferita. -
Felicity
sbiancò, non le piaceva ricordare quel momento e non sapeva
se le andava di parlarne con lui. Blake sembrò leggerla nel
pensiero, perché aggiunse subito:
- Non sei obbligata a
parlarne, se non ti va. -
- No,
cioè… io… è okay -
balbettò. - È stata Cornelia Banks, del distretto
1. Lei ha ucciso la mia alleata, April e poi voleva uccidermi, ma ha
deciso di risparmiarmi. Mi ha fatto però questo simbolo:
è l’iniziale del suo nome. Ha detto che
così nessuno mi toccherà e che sarà
solo lei ad uccidermi, quando e come vorrà -
spiegò Felicity, tenendo gli occhi bassi.
- Perché
pensi che Cornelia ti abbia risparmiata? -
- Io… non
lo so. Forse vuole dimostrare che è lei che comanda, che mi
ha in pungo. -
- Sì, hai
ragione. Sei spaventata? -
- Un po’ -
confessò. -Insomma, non è facile convivere con
l’idea che qualcuno voglia ucciderti. So che, essendo in
un’arena, non dovrei preoccuparmi più del normale,
ma dovevi vedere come ha ucciso April: è stato terribile.
Lei piangeva e urlava e io… io non potevo fare niente! -
- Ti prometto che
quando arriverà il momento non sarai sola, io ti
aiuterò. -
- Non sei tenuto a
farlo, Blake. -
- Lo so, ma Shanti
è morta e io non c’ero per difenderla, non voglio
che la cosa si ripeti. È bastato una volta. -
- In tal caso, grazie
- rispose lei riconoscente, prima di chiudere gli occhi e provare a
dormire.
SPAZIO
AUTRICE
Eccomi qui con un
nuovo capitolo, spero che vi sia piaciuto. Diciamo che può
essere considerato un capitolo di passaggio: come reagiranno i favoriti
alla fuga di Alvin? Riuscirà Matthew ad escogitare un piano
per uccidere Elaine? E Felicity e Cornelia quando si scontreranno?
Manterrà Blake la sua promessa? Per sapere le risposte di
queste domande dovete aspettare il prossimo capitolo e forse anche
quello dopo ancora.
Detto ciò,
martedì questa storia compie un anno, perciò sto
pensando di organizzare una sorpresa come un capitolo bonus, spero di
riuscire a pubblicarlo per il giorno giusto, ma ancora non so bene cosa
fare, si accettano suggerimenti.
Ora vi saluto e vado a
vedermi Modern Family! *_*
Un bacione,
la vostra Felix <3
|
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Capitolo 15 *** Lo scontro ***
Lo scontro
Alexia Black (5) e Matthew
White (11) – vicino
alla Cornucopia, quarto giorno
Matthew
aveva pensato e ripensato a un modo per uccidere Elaine e finalmente
aveva avuto un’idea. Aveva esposto il suo piano ad Alexia la
quale - dopo aver provato nuovamente a dissuaderlo – aveva
accettato. Per questo ora erano nascosti dietro gli alberi poco lontani
dalla Cornucopia, dove si trovavano i Favoriti. Il piano prevedeva che
gli alleati di Elaine si allontanassero da lei, altrimenti non
sarebbero mai riusciti nella loro impresa e quindi stavano aspettando
lì da ormai un’ora. Non erano così
vicini da intendere tutte le loro parole, ma erano riusciti a capire
che uno di loro, il ragazzo dell’1, li aveva lasciati e aveva
rubato anche alcune loro armi e delle provviste durante la notte e che
loro erano molto arrabbiati per questo.
-
Matthew, forse è meglio se ce ne andiamo. Non lasceranno mai
Elaine da sola, non dopo quello che è successo. Molto
probabilmente non si fidano più l’uno
dell’altro! – sussurrò Alexia, ma
invano, poiché il ragazzo era convinto dalle sue idee e
bruciava dal desiderio di vendicarsi, perciò non le rispose.
La
ragazza continuava a guardarsi in giro preoccupata e disse ancora:
-
Possiamo tornare domani. Se stiamo qui, rischiamo che ci vedano!
–
-
Aspetta, guarda! – rispose lui, indicando Merian e Cornelia
che si allontanavano da Elaine, lasciandola sola.
Matthew
sembrava al settimo cielo, mentre Alexia era quasi delusa. I due
cominciarono ad avvicinarsi piano e silenziosamente alla ragazza, che
dava loro le spalle. Erano ad un paio di metri di distanza, quando lei
si girò, ma non sembrava spaventata, né tanto
meno sorpresa, anzi, sorrideva.
-
Credevate davvero che non ci saremmo accorti di voi? Siete due sciocchi
ingenui! – esclamò prima di scoppiare a ridere.
Matthew
non ci vide più dalla rabbia, emise un suono che sembrava
quasi un ringhio e si scaraventò addosso a lei, brandendo il
suo coltello. Elaine si spostò in fretta e lui cadde a
terra. Alexia li guardava spaventata, mentre pensava a cosa fare per
aiutare l’amico. Merian, che si era nascosto tra gli alberi
insieme a Cornelia, nel frattempo li aveva raggiunti, mentre
l’alleata stava camminando verso di loro, ma non sembrava che
volesse sbrigarsi, forse perché era convinta che gli altri
due li avrebbero uccisi in fretta, senza bisogno di altri
aiuti. Anche Alexia la pensava così: non avevano speranze di
uscire vivi da quello scontro. Merian sorrise sadicamente, roteando la
sua spada tra le mani. Non fece nemmeno a tempo ad urlare che lui
l’aveva già colpita. Cadde a terra con un rantolo,
riuscì a vedere in maniera sfuocata Matthew guardarla con
aria colpevole e dispiaciuta prima che tutto divenne buio ed un colpo
di cannone risuonasse nell’arena.
Il
ragazzo dell’11 sapeva che era colpa sua, era tutta colpa
sua. Alexia era morta e l’unico responsabile era lui. Non gli
importava di uscire vivo da quella lotta, l’unica cosa che
voleva era che Elaine morisse e che la sua alleata non si facesse male.
Uno dei suoi obiettivi, però, non era andato a buon fine e
sperava solo di riuscire a portare a termine l’altro. Aveva
solo un arma e solo un tiro. Incrociò le dita della mano
sinistra, mentre con la destra tirava il suo coltello verso
l’avversaria. Poi iniziò a correre, il
più veloce possibile. Non sentì nessun grido e
nemmeno un colpo di cannone, l’aveva mancata. Qualcosa lo
colpì al fianco sinistro, un coltello, o una lancia, non lo
sapeva, ma faceva male, tanto male.
Si
fermò solo quando fu abbastanza certo di essere al sicuro
nascosto dagli alberi. Aveva perso molto sangue e sapeva che non
sarebbe riuscito a curarsi la ferita, anche perché nessuno
sponsor gli avrebbe mai mandato qualche medicina o delle fasce. Sarebbe
morto dissanguato, una fine brutta e dolorosa, che forse meritava, ma
non voleva che andasse così. Improvvisamente si
ricordò del laghetto in cui Nigel era morto misteriosamente.
Quindi si tirò in piedi e si trascinò fino alla
meta prefissata. Guardò l’acqua, che in quel
momento gli sembrava spaventosa. Poi puntò il suo sguardo in
alto, pensò ad Alexandra e ai genitori di lei, che ormai
considerava come suoi. Sussurrò uno
“scusatemi” e poi si lasciò cadere nel
laghetto. Delle creature, che gli sembravano sirene, lo trascinarono
giù, sempre più giù. L’acqua
gli entrava nei polmoni e lui non riusciva più a respirare.
Pochi secondi dopo un colpo di cannone rimbombò
nell’arena.
Kathleen Vince (3) e Riven
Cole (3) – Primavera, quarto
giorno
Da
quando Jake era morto, per Kathleen era molto difficile andare avanti.
Riven aveva bisogno di essere continuamente controllato, lei era a
conoscenza dei suoi problemi, quindi cercava di proteggerlo, ma ora si
sentiva sempre più stanca. Non dormiva da tempo: non poteva
permettersi che fosse Riven a fare i turni di guardia di notte e quindi
toccava sempre a lei. Di giorno non poteva riposare: se lo lasciava
solo, rischiava che il ragazzo si allontanasse o che mangiasse uno di
quei frutti dall’aria gustosa, ma che Kathleen era convinta
fossero velenosi.
Fortunatamente
era molto tranquillo: parlava poco e quando lo faceva era solo per
discutere sugli Hunger Games, la sua era una fissa quasi inquietante,
sapeva ogni dettaglio su tutte le edizioni e conosceva le tecniche
degli strateghi; il resto del tempo lo passava in silenzio, assorto in
chissà quali pensieri, si fermava a fissare il suo orologio
da polso o a guardare nel vuoto.
Kathleen
non aveva idea di cosa stesse pensando, forse semplicemente a niente.
Le
sarebbe piaciuto non preoccuparsi di nulla, almeno per un
po’; invece nella sua testa c’erano continui
pensieri rivolti alla sua famiglia, ai suoi amici, al suo fidanzato,
Jonathan, alla sua vita, all’arena. Non riusciva –
non poteva – smettere di pensare. Si aggrappava ai ricordi,
alle immagini dei suoi cari per non lasciarsi andare, per andare
avanti. Forse se avesse avuto per qualche minuto la mente libera
sarebbe riuscita a dormire, perché il problema in fondo non
era Riven: erano in una zona isolata, non vedevano altri tributi dal
bagno di sangue, si sarebbe quindi potuta concedere qualche ora di
sonno, ma non riusciva. I pensieri che le vorticavano in testa le
impedivano di chiudere gli occhi.
Aveva
paura, tremendamente paura. Aveva paura di morire, di non tornare a
casa. Aveva paura di dover uccidere qualcuno. E aveva anche paura di
vincere. Non sapeva se sarebbe mai riuscita a sopravvivere con il
pensiero di aver privato qualcuno della propria vita. Gli incubi
l’avrebbero perseguitata a vita.
Forse
non doveva preoccuparsi di questo, era convinta che non avrebbe mai
vinto. L’avrebbero uccisa prima. Non era forte, era solo una
ragazza proveniente dal distretto 3. Come avrebbe potuto vincere? Era
impossibile. Avrebbe dovuto rilassarsi, dormire un po’, tanto
a cosa serviva restare sveglia se poi sarebbe morta comunque?
“No, Kathleen. Non
devi pensare così. Devi essere forte e coraggiosa. Ce la
puoi fare, puoi tornare a casa”.
Era
come se dentro di lei vivessero due anime differenti: una che la
spronava a farsi forte e l’altra che le consigliava di
arrendersi. Più passava il tempo, però, e
più la voce della prima diventava fioca e debole e
più dentro di lei risuonava quella che le diceva di
lasciarsi andare, di smetterla di pensare. E forse prima o poi
l’avrebbe ascoltata.
Cornelia Banks (1) – Primavera, quinto giorno
Era
ormai giunta la mattina del quinto giorno nell’arena. Elaine
era stata ferita ad un braccio dal ragazzo dell’11, non era
nulla di grave, ma la principessina voleva fare la malata e starsene
seduta. Merian era quindi rimasto con lei per fare da guardia alle
provviste, perciò Cornelia era andata a caccia di tributi.
Questa
era l’occasione che tanto aspettava per uccidere la sua
preda, Felicity. S’avventurò per un po’
nell’arena in cerca della ragazza. Non aveva idea di dove
fosse, perciò si era portata delle provviste e un sacco a
pelo nel caso le fosse servito più di un giorno.
Verso
sera sentì delle voci poco distanti, una di esse apparteneva
a una ragazza. Si avvicinò al luogo da dove provenivano
e, da dietro un albero, riuscì a scorgere due
figure sedute vicino a un fuoco. La femmina era proprio la sua vittima,
mentre l’altro era il ragazzo del 12, Blake.
Cornelia
sorrise vittoriosa e uscì dal suo nascondiglio.
-
Bene, bene, bene. Guarda un po’ chi abbiamo qui. Felicity!
–
La
ragazza trasalì e la guardò spaventata, mentre
Blake afferrò la sua lancia e si alzò
immediatamente in piedi.
-
Oh, cara, ti sei fatta il fidanzatino? – la
provocò. – E tu, sei sicuro di volerti mettere in
mezzo? Potresti farti male, sai? –
-
Non ho paura di te – rispose lui.
-
E nemmeno io, Cornelia – aggiunse la ragazza che si era
alzata e aveva impugnato un coltello.
-
Beh, di certo io non ne ho di voi! – esclamò,
prima di scoppiare a ridere. Era una risata priva di allegria,
rappresentava solo odio e cattiveria. Voleva ucciderli e non aveva
certo paura di farlo. Lei adorava vedere la luce spegnersi negli occhi
delle sue vittime, adorava vederle pregare prima di risparmiarle e poi
di ucciderle, mettendo così fine alle dolorose torture che
praticava su di loro. Uccidere le faceva dimenticare i suoi problemi,
le sue debolezze. Non le importava di vincere: soffriva di una malattia
che l’avrebbe portata a morire comunque, l’unica
cosa che voleva era uccidere.
Cornelia
afferrò un coltello e lo lanciò verso Felicity,
non riuscì però a vedere se l’avesse
colpita, perché cadde a terra, ferita dalla lancia di Blake.
L’aveva colpita al centro del petto, di lì a poco
sarebbe morta. Per una volta poteva sapere anche lei com’era
il dolore, cosa provavano le sue vittime, poteva sentire in prima
persona la vita sfuggirle dalle mani. Pensava a questo prima che un
colpo di cannone rimbombò nell’arena.
Blake
la fissò finché chiuse gli occhi, poi si
voltò con un sorriso verso l’alleata, che
però giaceva a terra, ferita, con un coltello conficcato
nello stomaco.-
-
No! – urlò, prima di inginocchiarsi accanto a lei
con gli occhi umidi di lacrime. – No, resisti, Felicity. Gli
sponsor ci manderanno qualcosa che ti possa curare. Resisti, non
lasciarmi! Non anche tu! –
-
Blake, sai benissimo che, anche se ne avessimo di sponsor, non
avrebbero niente che possa curare questo –
sussurrò lei, afferrandogli una mano, mentre con
l’altra gli asciugava le lacrime che gli rigavano le guance.
-
No, non dire così. Non è vero! – diceva
lui, continuando a scuotere la testa.
-
Ascoltami: grazie, grazie di tutto. Sei stato un buon amico e un ottimo
alleato. Ti auguro di essere il vincitore e di tornare a casa.
–
-
Ti voglio bene, Felicity – disse, ma lei non
riuscì a ricambiare il suo affetto. Era morta.
SPAZIO
AUTRICE
Ehi,
ciao!
So
di essere in un ritardo tremendo, ma avevo già scritto il
capitolo da tempo, il problema è che mi si era cancellato :(
Poi non ho più avuto tempo di riscriverlo – causa
scuola – fino a ieri! Spero che mi perdoniate e che ci sia
ancora qualcuno disposto a leggere questa storia (esclusa mia sorella
XD).
Anyway,
ho deciso chi sarà il vincitore ... RULLO DI TAMBURI
… SQUILLO DI TROMBE … PREPARATEVI SIGNORE E
SIGNORI … IL VINCITORE SARA’… no, non
ho intenzione di dirvelo XD
Se
tutto va bene dovrebbero esserci altri cinque capitolo più
l’epilogo, che non so ancora bene come sarà.
Idee/consigli/suggerimenti sono ben accetti.
Mancano
ancora 10 tributi!! Se il vostro/a/i/e è/sono tra questi:
congratulazioni, avete superato la metà!
Vi
lascio i nomi dei tributi rimanenti e alcune domande alle quali mi
piacerebbe rispondeste con una recensione. Grazie <3
Alvin Lorcan Theroux
– distretto 1
Merian Oleg –
distretto 2
Kathleen Vince –
distretto 3
Riven Cole –
distretto 3
Elaine Claythorne –
distretto 4
Allison Thomas –
distretto 7
Reylen Sheed –
distretto 8
Vegas Ghellow –
distretto 8
Jack – distretto 10
Blake Dawnson –
distretto 12
DOMANDE:
1)
Qual è il vostro tributo maschio preferito?
Tributo femmina? E tra i due chi preferite?
2)
Qual è il tributo maschio che meno vi piace?
Tributo femmina? E tra i due chi vi piace di meno?
3)
Chi pensate che vincerà?
4)
Qual è l’alleanza che preferite?
5)
Per quale tributo morto vi siete dispiaciuto di
più?
6)
Il vostro tributo è ancora in vita? Se
sì, chi è? Pensate che potrebbe vincere?
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto e di aggiornare presto!
Un
bacione,
Felix
|
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Capitolo 16 *** Ricordi ***
Ecco
qui il capitolo per celebrare il compleanno della storia che vi avevo
promesso (anche se con un giorno di ritardo)
Ricordi
David Wood adorava il suo lavoro, non per i soldi che guadagnava -
anche se gli facevano certamente piacere - ma perché lo
faceva sentire bene. Nelle ore che lavorava riusciva a dimenticarsi dei
problemi che lo affliggevano e a dimenticarsi della sua triste vita.
Lui adorava vedere quei ragazzini soffrire, per lui ogni morte era come
una piccola vittoria. Non pensava questo perché era una
persona sadica o malata, ma perché loro se lo meritavano. Se
Capitol City era giunta a questa soluzione era stata solo colpa loro. I
distretti avevano deciso di ribellarsi e ora avevano ottenuto la loro
punizione.
Questi
suoi pensieri non erano nati dagli insegnamenti che aveva appreso a
scuola - o meglio non solo, visto che i professori dovevano
inculcare queste idee in testa ad ogni alunno - bensì da
ciò che gli era capitato.
Era
piccolo quando le ribellioni erano iniziate, sei anni o forse sette.
Era un bambino uguale a tutti gli altri, non tanto diverso da quelli
che abitavano nei distretti. Gli piaceva giocare con gli amici, andare
al parco, mangiare gelati. Aveva due genitori che gli volevano bene:
Caroline e Thomas Wood, non erano particolarmente strambi: forse
avevano vestiti dai colori un po’ più sgargianti,
ma alla fine erano dei genitori come quelli che vivevano fuori da
Capitol City. Erano una famiglia normale, in fondo: Caroline era un
medico, Thomas uno stilista non molto conosciuto, mentre David andava
solo alle elementari. Quindi perché li avevano uccisi?
Perché se l’erano presa con loro? Cosa avevano
fatto di male? Queste erano le domande che David si era posto per tanto
tempo.
“Non avevano fatto
niente di male, David. Nessuno di noi ha fatto qualcosa di sbagliato,
ma questa è la guerra e le persone si stanno ribellando per
avere più diritti. Non volevano colpire i tuoi genitori in
particolare, ma solo la città. Vogliono uccidere noi
capitolini perché credono, di poter vincere, di poterci
sottomettere, ma, fidati, si sbagliano.” Tanti
avevano provato a spiegarglielo, ma lui non riusciva a capirlo, forse
perché era solo un bambino, o forse perché non
poteva semplicemente accettarlo.
Un
giorno stava tornando da scuola, felice di aver preso un bel voto nella
verifica di geografia e correva verso casa, pronto a ricevere i
complimenti dai suoi genitori. Quando era arrivato, però, ad
aspettarlo non c’era ciò che si aspettava: la casa
era bruciata e i corpi dei suoi genitori erano avvolti in due sacchi
neri, che assomigliavano tanto a quelli della spazzatura. Aveva pianto,
urlato, battuto i piedi e i pugni a terra e poi era scappato dalle
braccia della sua vicina di casa che aveva provato a calmarlo. Si era
rifugiato nella casetta su un albero di un parco e non era uscito fino
a sera. A quel punto aveva guardato in alto: il cielo era tempestato di
stelle e sembrava che due brillassero più delle altre, o
forse era solo la sua fantasia. Comunque fosse, capì che non
serviva che si disperasse, non sarebbe cambiato nulla, ma
c’erano altri modi che – nonostante non gli
avessero riportato indietro la sua famiglia – lo avrebbero
aiutato a sentirsi meglio.
Poi
era stato spedito in un orfanatrofio, lì si era trovato
degli amici e per un po’ il suo desiderio di vendetta
scomparve. In particolare strinse un bel rapporto con una sua coetanea
di nome Emily. Aveva i capelli biondi e due grandi occhi azzurri, il
suo sorriso era luminoso ed era sempre gentile e dolce con lui. Quando
entrambi compirono diciotto anni riuscirono ad uscire da
lì e si presero un appartamento in affitto insieme. Si
innamorarono presto, anche se David probabilmente era cotto di lei fin
dal giorno in cui l’aveva conosciuta. La guerra era giunta
praticamente al termine, Capitol City aveva distrutto il distretto 13
e gli altri erano ormai stanchi. Il desiderio di vendetta di
David era scomparso del tutto, anche perché era venuto a
sapere che la città stava pensando a delle riforme per
tenere più controllati i distretti e per punirli di
ciò che avevano fatto.
Una
sera David, tornando dal lavoro (aveva intrapreso la carriera di
avvocato) si era fermato in una gioielleria ed era entrato per comprare
un anello: aveva finalmente preso la decisione di chiedere ad Emily di
sposarlo. Aveva passato un paio di ore in quel negozio a discutere con
la commessa sul suo acquisto. Era piuttosto perfezionista e attento ai
particolari: doveva essere tutto perfetto. Nel tornare a casa
chiamò al loro ristorante preferito e prenotò un
tavolo per due. Poi si fermò da un fioraio e
comprò un bel mazzo di rose rosse. In ufficio aveva
già scritto e imparato a memoria il discorso, quindi era
tutto pronto. Quando arrivò a casa, però, non
c’era nessuno ad aspettarlo, ma David non si
preoccupò troppo: probabilmente Emily era stata trattenuta
al lavoro. Passata un’ora decise di chiamarla, ma non ottenne
alcuna risposta.
Il telefono squillò
e David si alzò dal divano, convinto che a chiamare fosse
Emily per avvisare che stava arrivando. Sullo schermo però
c’era un numero sconosciuto, forse le si era scaricato il
telefono e aveva usato quello di una collega.
“Pronto?”
rispose.
“Buonasera. Lei
è il signor Wood?”chiese una voce maschile, che
non conosceva.
“Sì,
salve. Con chi sto parlando?”
“Sono un
Pacificatore, signore. Mi chiamo Johnson.” Che cosa poteva
volere un Pacificatore da lui?
“Posso fare qualcosa
per aiutarla, signor Johnson?”
“Lei conosce la
signorina Emily Brown?” A sentire il suo nome David si
agitò molto. “L’ho contattata
perché il suo numero era segnato tra quelli da chiamare in
caso di emergenza.”
“Sì,
è la mia fidanzata. Perché? Le è
capitato qualcosa? Dove si trova? Sta bene?”
domandò preoccupato.
“Mi dispiace
comunicarle che la signorina Emily Brown è morta,
è stata uccisa.”
Per
lui fu come se il mondo gli crollasse addosso, per la seconda volta.
Adesso però non sarebbe riuscito a rimettere assieme i
pezzi.
Più
tardi quella sera scoprì che a compiere l’omicidio
era stato uno dei pochi ribelli rimasti. Egli era riuscito ad arrivare
a Capitol City, ma poi era stato circondato dai Pacificatori e, preso
dal panico, aveva preso Emily come ostaggio e le aveva sparato vedendo
che gli uomini continuavano ad avanzare, senza considerare la sua
minaccia.
Ancora
una volta loro era
riusciti a potargli via la sua felicità. Lo avevano privato
dei genitori, della sua casa e ora dell’amore della sua vita.
Era abbastanza.
Un
mese dopo riuscì ad entrare tra gli uomini di fiducia del
Presidente e quando nacquero gli Hunger Games fu tra i primi a proporsi
come Stratega e venne subito scelto; infatti non era difficile vedere
il lui il desiderio di vendetta.
Quest’anno
era stato promosso come Capo Stratega e quindi poteva controllare
tutto.
Non
si sentiva in colpa nemmeno un po’. Era giusto che i figli, i
nipoti e i pronipoti dei ribelli pagassero. Gli avevano portato via
tutto quello che aveva e adesso era arrivato il suo momento di fare lo
stesso.
Li
odiava. Odiava ogni singolo tributo. Era stata colpa loro. Erano stati loro a farlo
soffrire e ora dovevano pagare.
SPAZIO AUTRICE
Ciao
a tutti!
So
che può sembrare stupido festeggiare il compleanno di una
storia, ma io non sono del tutto normale, quindi: TANTI AUGURI A TE, TANTI AUGURI A TE, TANTI AUGURIII STORIAAA, TANTI AUGURI A TEE!
Detto
questo ecco qui il capitolo extra che vi avevo promesso. Ora conoscete
meglio anche il nostro Capo Stratega, David Wood.
Spero
sinceramente che la sua storia vi sia piaciuta e che abbiate apprezzato
il capitolo.
Vi
lascio!
Un
bacione,
Felix
p.s.
Spero di aggiornare presto, ma non garantisco nulla.
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