Wicked Game

di _Laine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aidan ***
Capitolo 2: *** Ellie ***
Capitolo 3: *** Harriet ***
Capitolo 4: *** Aidan ***
Capitolo 5: *** Ellie ***
Capitolo 6: *** Aidan ***
Capitolo 7: *** Harriet ***
Capitolo 8: *** Sean ***
Capitolo 9: *** 9. Ellie ***



Capitolo 1
*** Aidan ***


 
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"What a wicked game to play, 
to make me feel this way. 
What a wicked thing to do, 
to let me dream of you." 

 

 
1. Aidan


Appena vide sua sorella, Aidan capì subito che qualcosa non andava.
Era sempre la stessa storia: quando Harriet decideva di cambiare acconciatura e rivoluzionare il suo look, significava che era preoccupata per qualcosa.
Stavolta si presentò con una chioma biondo platino; i suoi capelli, perfettamente lisci, le ricadevano morbidamente sulle spalle.
Ma la cosa davvero sorprendente è che la trovava sempre bella, qualunque fosse il colore dei suoi capelli.
Come era solita fare da qualche tempo, corse verso di lui e lo abbracciò forte. «Aidan, che bella sorpresa!»
Bastò la sua visita per renderla felice e questo lo riempì di orgoglio. «Sei impegnata? Volevo invitarti fuori a pranzo.»
La ragazza fece no con la testa. «Aspettami qui, tra cinque minuti ho finito.»
E sparì dietro alla porta che conduceva alle postazioni.
Aidan si sedette sul morbido divano bianco e si guardò attorno: l'ambiente era raffinato ed accogliente, l'arredamento era studiato con cura e precisione. Non si stupiva che la sorella avesse deciso di lavorare come parrucchiera, vista la sua passione per le tinture di capelli, ma non aveva mai smesso di sperare che un giorno sarebbe andata a lavorare con lui nell'azienda di famiglia.
A soli venticinque anni, Aidan aveva improvvisamente ereditato un vero e proprio impero, diventando di fatto uno dei miliardari più giovani del mondo. Ma non era assolutamente pronto, almeno dal punto di vista psicologico, a subentrare ai propri genitori, scomparsi due anni prima. I coniugi Westmore erano stati dei leader nel settore immobiliare dopo anni di successi, delusioni e sacrifici, e Aidan sentiva di non meritare il posto che aveva occupato.
Dopo essersi laureato a pieni voti alla facoltà di Architettura, andò immediatamente a lavorare nell'azienda, ma aveva sempre svolto un ruolo marginale; ora si trovava a capo di centinaia di dipendenti e ogni giorno doveva prendere decisioni importanti. Fortunatamente imparò da subito molti segreti del mestiere e diverse persone lo aiutarono a consolidare la sua posizione.
I primi tempi erano stati veramente difficili e più volte aveva pensato di lasciar perdere e vendere tutto, ma sapeva che i suoi genitori non l'avrebbero mai voluto, quindi decise di andare avanti ed essere forte per loro.
Non solo il lavoro occupava gran parte della sua giornata, ma anche a casa erano sorti diversi problemi.
Mentre si perdeva nei suoi pensieri, sua sorella fece ritorno nel salone con una donna che portava i capelli raccolti in un'acconciatura elegante.
«Ti ringrazio di nuovo, hai fatto un ottimo lavoro» disse quest'ultima.
«E' stato un piacere, Miss Hampton, alla prossima!»
E la donna uscì, senza aggiungere altro, soddisfatta del suo nuovo look.
Harriet sorrise in direzione del fratello. «Sto morendo di fame.»
Uscirono dal salone e si diressero verso l'auto sportiva di Aidan, come sempre tirata a lucido.
Il ragazzo indossò gli occhiali da sole, mise in moto e si infilò nel traffico cittadino.
«Dove andiamo a pranzo?»
«E' una sorpresa, ho pensato ad un posto perfetto.»
Harriet preferì non indagare e continuò ad osservare il paesaggio che scorreva veloce davanti ai suoi occhi.
Di tanto in tanto Aidan la osservava: ora i capelli erano molto chiari, ma la sua pelle non era da meno; sua sorella diceva sempre di essere completamente priva di melanina, e che non sarebbe riuscita ad abbronzarsi nemmeno se esposta ai raggi solari per un'intera settimana. Indossava una maglietta bianca molto larga, che le lasciava scoperta una spalla e recava una serie di scritte colorate sul davanti; i jeans attillati le stavano a pennello e un paio di scarpe da ginnastica completavano un look casual che le donava tantissimo.
Era bella, si ritrovava sempre a pensare Aidan, ma in modo inconsapevole.
L'aveva sempre adorata ed ammirata, ma mai quanto negli ultimi mesi, aveva pensato che nessuna ragazza al modo potesse eguagliare Harriet.
Cercando di reprimere quei pensieri poco consoni ad un fratello maggiore, si ricordò dell'improvviso cambio di look e le chiese: «C'è qualcosa che non va? Mi sembri pensierosa.»
Lei sembrò esitare, prima di rispondere. «Mi manca Sean.»
Quel nome lo fece innervosire e stringere il volante tra le mani con una maggiore forza.
Sean era il fratello gemello di Harriet, e Aidan era geloso del rapporto speciale da cui erano inevitabilmente legati.
A volte non la capiva. Sean frequentava il college e tornava a casa alla fine di ogni semestre, ma almeno era vivo. Perché invece non sentiva la mancanza di mamma e papà? Lui ci pensava ogni singolo giorno. Invece Harriet, a quanto pare, si preoccupava solamente del fratello.
«La prossima settimana tornerà a casa per le vacanze» affermò, cercando di non far trapelare alcuna emozione. «Così almeno potrete passare un po' di tempo insieme.»
Trattenne a stento una risata ironica.
«Mi prometti che cercherete di andare d'accordo? Fallo per me, per favore!»
Aidan la guardò, mentre attendevano che scattasse il verde del semaforo, e si imbatté nei dolci occhi castani di Harriet. Quando lo guardava in quel modo, sentiva di non poterle negare nulla.
«Ci proverò» cedette.
«Bravissimo!» e gli stampò un bacio sulla guancia che gli provocò dei brividi indescrivibili. Tuttavia non lo diede a vedere e ripartì velocemente in direzione del locale che aveva scelto per pranzare.
 
«Credo proprio che prenderò il solito hamburger con bacon e formaggio» annunciò Harriet, esaminando il menù.
Aidan si era reso conto di non avere fame; gli ultimi giorni erano stati a dir poco frenetici e il mangiare era l'ultimo dei suoi pensieri. Vedendo Harriet, poi, il suo stomaco aveva deciso di chiudersi completamente. Tuttavia, all'arrivo del cameriere, decise di ordinare una bistecca e un’insalata, giusto per stare leggero.
«Allora, come sta andando il lavoro?» chiese la ragazza, mentre attendevano i loro piatti.
«Come al solito; progetti da rivedere ed approvare, cantieri da visitare, costruzioni da seguire, collaboratori da ingaggiare. Ultimamente non ho un attimo di tregua.»
Lei lo ascoltò con attenzione mentre spiegava le varie vicende che si erano susseguite al lavoro negli ultimi tempi e di tanto in tanto annuiva.
«Ieri mi ha contattato un architetto che vorrebbe costruire un'immensa villa in periferia; ho già visto il progetto che ha ideato, non ho idea di quanto verrà a costare al futuro proprietario, ma si tratta sicuramente di una fortuna!»
«Sembra molto interessante» commentò lei. «Sono sicura che Ellie sarebbe entusiasta di aiutarti...»
Improvvisamente calò il silenzio.
Ellie, la seconda dei quattro fratelli, era quella che più di tutti aveva sofferto per la morte dei genitori, e si era subito rifugiata nell'alcol. Ora, dopo l'ennesimo crollo, si trovava a casa in malattia, mentre cercava di riprendersi. Lavorava nell'azienda di Aidan come vicepresidentessa, ma purtroppo negli ultimi tempi trascorreva più tempo a casa che al lavoro.
I fratelli avevano cercato di starle vicino mentre si facevano forza a vicenda, ma ad un certo punto non seppero più come comportarsi con lei.
«Dici che riuscirà a liberarsi del suo problema?» domandò Harriet, con la voce tremante.
«Non saprei, ma lo spero tanto.»
 
Una volta terminato di mangiare, pagarono alla cassa ed uscirono dal locale.
«Ti accompagno a casa, poi devo tornare in ufficio.»
Durante il percorso rimasero perlopiù in silenzio; dopo aver menzionato Ellie, entrambi si erano rabbuiati, perché si erano resi conto di non essere in grado di risolvere la situazione da soli.
Per smorzare la tensione, Harriet accese la radio: le note di Wicked Game invasero l'abitacolo.

 
“The world was on fire and no one could save me but you, 
It's strange what desire will make foolish people do. 
I never dreamed that I'd love somebody like you; 
I never dreamed that I'd lose somebody like you.”
 

Aidan ascoltò le parole della canzone e si ritrovò inevitabilmente a pensare alla sua situazione.
Non le avrebbe mai e poi mai rivelato i suoi sentimenti; sapeva che erano sbagliati e doveva reprimerli ad ogni costo.
 
Mentre si avvicinavano all'elegante edificio che ospitava il loro attico, i due fratelli notarono che un’enorme folla si era radunata all'ingresso; si guardarono perplessi e Aidan imboccò la strada per il parcheggio sotterraneo. Fu al suo interno che si imbatterono i due automobili della polizia.
«Ma che succede?» domandò Harriet, più che altro a sé stessa.
Appena scesi dall'auto si avvicinarono ad uno dei poliziotti e gli fecero la stessa domanda. L'uomo non rispose e si limitò ad indicare una zona poco lontana, limitata da un nastro giallo.
Non dovettero avvicinarsi troppo per scoprire che si trattava di una persona: un uomo con un impermeabile nero era a terra a pancia in giù, circondato da una pozza di sangue; gli occhi erano spalancati per il terrore e un buco nero gli attraversava la tempia.
Harriet sbiancò e lanciò un grido, poi cominciò a singhiozzare. Allora Aidan la prese tra le braccia e la strinse forte, facendo in modo che non fosse più costretta ad osservare quella scena terrificante.

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Capitolo 2
*** Ellie ***


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2. Ellie




Le giornate di Elizabeth Westmore avevano finito per assomigliarsi un po’ tutte. Quasi sempre in casa e costantemente sotto osservazione, si sentiva come una reclusa.
Sapeva perfettamente che i suoi fratelli la tenevano d’occhio solo ed esclusivamente per il suo bene, ma spesso quella situazione le pesava.
Non toccava alcolici da più di una settimana e quell’astinenza forzata la stava lentamente consumando. Ma non poteva fare nulla: Samuel e Pauline, il maggiordomo e la domestica dei Westmore, la sorvegliavano praticamente ogni ora del giorno e non sarebbe mai riuscita a rubare gli alcolici, messi sotto chiave da Aidan, senza farsi scoprire.
Avrebbe potuto attingere alla sua scorta personale, ma la conservava solo per le emergenze, e stava cercando di capire se fosse una di quelle.
Ora, cercando di distrarsi, osservava la città ai suoi piedi, attraverso le ampie vetrate del soggiorno. Qualcuno si stava svegliando per iniziare la giornata, qualcuno aveva già raggiunto il posto di lavoro, qualcun altro ancora avrebbe trascorso la giornata chiuso fra quattro mura, proprio come avrebbe fatto lei.
Si strinse nelle spalle; nonostante tutte le finestre fossero chiuse, avvertì un inspiegabile gelo e, guardandosi attorno, provò un forte senso di solitudine. Il salone sembrava incredibilmente triste ed asettico, specialmente quando si trovava lì da sola. Sentiva la mancanza dei genitori e sapeva che nulla, nemmeno le bottiglie di alcolici, avrebbero potuto colmare quel vuoto, ma bere era l’unico modo che conosceva per far sì che le sue preoccupazioni si offuscassero.
Si diresse verso il camino; era settembre e le temperature erano ancora piuttosto elevate, ma quel mattino Ellie continuava ad avvertire dei brividi lungo la schiena che non riusciva proprio a spiegarsi.
Sopra la mensola vide una cornice che conteneva la sua fotografia preferita: mamma e papà sorridevano all’obbiettivo e i loro quattro figli li circondavano, abbracciandoli e sfoggiando dei dolci sorrisi. Ellie ricordava perfettamente il giorno in cui era stata scattata: doveva aver avuto più o meno quindici anni; i genitori avevano deciso di portare i figli alla loro casa al lago in una delle poche giornate di libertà che si concedevano. Avevano fatto il bagno, mangiato, giocato sulla riva e trascorso dei momenti indimenticabili con tutta la famiglia.
Ellie non era più tornata in quella casa, e ora solo pensando ad essa e a quei giorni memorabili provava una fitta al cuore.
 
A differenza dei suoi fratelli, Elizabeth Westmore non riuscì mai a superare la perdita dei genitori.
Ricordava perfettamente di essere al bar con degli amici, quando ricevette la telefonata che le cambiò la vita.
Quando aveva premuto il pulsante per avviare la chiamata, udì subito la voce di Samuel: «Signorina Ellie, mi dispiace disturbarla, ma è accaduta una cosa terribile.»
«Dimmi» rispose la ragazza, con voce tremante. «Cos’è successo?»
«I suoi genitori sono morti in un incidente stradale, mentre erano di ritorno da Boston.» Probabilmente Samuel stava cercando il modo giusto per comunicarle la terribile notizia, anche se forse le parole giuste in queste situazioni non esistono. «Un folle che guidava contromano li ha travolti in pieno.»
Il cuore di Ellie cominciò a martellare alla velocità della luce; non riusciva a credere alle sue orecchie. «Se si tratta di uno scherzo, Samuel, sappi che non è affatto divertente.»
Il maggiordomo rispose tristemente: «Non potrei mai scherzare su una cosa del genere, signorina. Mi dispiace moltissimo.»
Non fece in tempo a concludere la conversazione che scoppiò a piangere.
Gli amici le chiesero spiegazioni, ma lei non rispose subito, poiché ripetere le parole di Samuel era un po’ come rendere tutto reale. Decise invece di riempirsi il bicchiere di vino, ancora ed ancora, finché non sentì i sensi affievolirsi. Solo a quel punto cominciò a raccontare l’accaduto. Gli amici tentarono invano di consolarla, poi decisero che la soluzione migliore era riaccompagnare Ellie a casa.

Ad un tratto quei pensieri si fecero troppo intensi e la spinsero a dirigersi verso la sua stanza, dove aprì le ante del suo guardaroba; in fondo, tra delle scatole da scarpe, ce n’era una contenente un assortimento di bottiglie di vetro. Ellie vide quei contenitori colorati, le etichette e le scritte di ogni genere. Con la testa che girava, fece scorrere la mano sulle bottiglie, con l’intenzione di sceglierne una.
Ne aveva bisogno.
 
Si svegliò all’improvviso, udendo dei colpi insistenti alla porta della sua camera.
«Signorina Elizabeth!» una voce la chiamava con una nota di preoccupazione. «Per favore, risponda!»
Ellie si stropicciò gli occhi, i sensi ancora offuscati dall’alcol.
«Signorina Elizabeth, mi apra!»
La testa le faceva ancora più male di prima. Barcollando, si alzò in piedi, cercando di mantenere l’equilibrio, e si avvicinò alla porta con passi incerti.
«Santo cielo, ero così in pensiero!»
Il volto di Samuel era teso, sembrava veramente preoccupato. Come lo vide, Ellie capì che lui sapeva.
«Come si sente?»
Lei non poteva mentire, sarebbe stato del tutto inutile, perciò rispose: «Come se mi avesse investito un treno.»
«Cosa posso fare per lei? Le porto qualcosa da mangiare?»
Scosse la testa. Il cibo era il suo ultimo pensiero.
«D’accordo. Se avesse bisogno di qualcosa, non esiti a chiamarmi.»
Il maggiordomo si allontanò ed Ellie provò un forte senso di vergogna. Così non andava, ma non sapeva proprio come uscire da quel tunnel.
 
«Ellie!»
Ancora una volta fu svegliata di soprassalto da una serie di colpi. Perché ce l’hanno tutti con la porta della mia camera?
«Sono io, apri!»
Impiegò alcuni istanti per realizzare che la voce autoritaria e severa che udiva era quella di suo fratello.
«Entra pure.»
Aidan spalancò la porta con fretta e decisione. «E’ accaduta una cosa terribile: un uomo è stato assassinato nel parcheggio.»
«Cosa?» domandò, cercando di capire cosa stesse dicendo.
Il ragazzo non rispose. «Per favore, potresti scendere al piano di sotto?»
Ellie sbuffò; il mal di testa non si era affatto placato. Voleva solo restare chiusa in camera e non fare assolutamente nulla, e invece era sorto questo contrattempo. Ma cosa voleva Aidan da lei?
C’era solo un modo per scoprirlo.
«D’accordo, dammi un minuto e scendo.»
Il fratello maggiore annuì e, senza aggiungere altro, se ne andò.
Com’è strano, pensò Ellie, mentre si massaggiava le tempie con movimenti circolari.
 
Appena raggiunse il soggiorno, vide dei volti familiari - Aidan, Harriet, Samuel e la domestica Pauline - ma poi la sua attenzione fu catturata da un uomo intento a conversare con i suoi fratelli.
Notò subito che era un bell’uomo. Alto, biondo e con un’espressione seria stampata in volto. Ad occhio e croce poteva avere circa trentacinque anni.
Appena i presenti la notarono, Ellie si avvicinò timidamente. «Buongiorno.
»
Lo sconosciuto le rivolse un sorriso cordiale e le porse la mano per presentarsi. «Lei dev’essere Elizabeth Westmore. Piacere di conoscerla, sono il detective James Miller.»
Ellie lo guardò perplessa, mentre gli stringeva la mano. Un detective?
«Sono qui perché è stata aperta un’indagine» spiegò l’uomo, come per rispondere alla sua tacita domanda. «Come saprete, questa mattina è stato rinvenuto il cadavere di un uomo nel parcheggio sotterraneo di questo edificio; sono dell’idea che l’omicidio potrebbe avere un collegamento con la vostra famiglia.»
Ellie cominciò a preoccuparsi. Non è che uno dei suoi fratelli si fosse messo nei guai?
«E in che modo?» domandò Aidan sulla difensiva. «Io e mia sorella abbiamo visto il corpo e siamo sicuri di non conoscere la vittima.»
«Forse non di persona» sentenziò il detective Miller, con calma e freddezza. «Ma non vi dice nulla il nome Peter Collins
Ellie cercò di fare mente locale, per capire se il nome corrispondesse ad una delle sue conoscenze. Fece no con la testa e vide Harriet fare lo stesso.
«Un momento» disse Aidan, improvvisamente spaventato. «Forse ho già sentito questo nome.»
James Miller sentenziò: «E’ molto probabile: era uno dei soci in affari dei vostri genitori.»

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Capitolo 3
*** Harriet ***


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3. Harriet


 
Da quando il detective aveva menzionato Peter Collins, Aidan aveva iniziato chiaramente a scavare nella sua memoria alla ricerca di un episodio, un avvenimento, un ricordo che includesse quell'uomo.
Harriet vide il fratello seriamente concentrato e per un istante si chiese se qualcuno avesse voluto uccidere una persona vicina, per poi giungere a loro e fare del male a lei e ai suoi fratelli. Scosse la testa, pensando che probabilmente negli ultimi tempi aveva visto troppi film polizieschi in televisione.
E poi Aidan sembrava sincero nel dichiarare: «No, non ho mai avuto nulla a che fare con lui, almeno non di persona.»
«Ho formulato alcune ipotesi sin da subito» disse James Miller. «Forse l'assassino aveva avuto dei precedenti con la vittima, oppure quest'ultima aveva o sapeva qualcosa che non poteva essere divulgata. Ovviamente sono solo congetture, ma riusciremo a venirne a capo.»
Harriet aveva notato che di tanto in tanto il detective osservava sua sorella Ellie, cercando di non farsi notare. Lei era evidentemente scossa, non parlava e restava rannicchiata sulla poltrona, fissando il pavimento. Era chiaro che aveva di nuovo alzato il gomito e, seppure tentasse, non riusciva proprio a mantenere un'aria disinvolta.
«Non preoccupatevi» riprese Miller. «Presto scopriremo la verità e come si sono svolti i fatti. Nel frattempo vi suggerisco di fare molta attenzione: il killer è da qualche parte e, se il mio intuito non sbaglia, potrebbe essere in qualche modo alla ricerca di uno di voi.»
«Farò tutto il possibile per proteggere le mie sorelle.»
Dopodiché il detective annunciò che per il momento era sufficiente, ma raccomandò loro di fargli una telefonata per qualsiasi evenienza. «Se vi venisse in mente qualsiasi dettaglio, anche il più insignificante, non esitate a contattarmi. Mi trovate sempre disponibile a questo numero.»
Si alzò e porse a Aidan un biglietto da visita, poi aggiunse: «Per ora non voglio disturbarvi oltre.»
«La accompagno alla porta» disse il fratello maggiore e, dopo aver salutato, i due si diressero verso l'ingresso.

Una volta rimaste sole, Harriet disse: «Wow, ci voleva un omicidio per ravvivare l'ambiente. Negli ultimi tempi da queste parti era un autentico mortorio.»
Era consapevole dell'assurda stupidità della sua battuta, ma almeno riuscì a strappare una risatina alla sorella maggiore, la quale sembrò sollevata dopo che Miller si era congedato.
Poi sopraggiunse l'imbarazzo. Harriet non sapeva mai come comportarsi in presenza di sua sorella, cosa dire per farla sentire a suo agio e non darle fastidio. Sapeva che dopo aver bevuto poteva avere reazioni imprevedibili a ciò che la circondava e, per quanto si sforzasse di mantenersi calma e disinvolta, spesso la giovane Westmore si trovava in difficoltà.

Qualcuno si schiarì la voce e alle loro spalle apparve Samuel. «Signorine, gradireste qualcosa da bere? Pauline sta preparando del tè.»
«Volentieri, grazie» rispose Harriet, mentre sua sorella si limitava a scuotere la testa, per poi aggiungere: «Credo che andrò in camera mia a riposare.»
Una volta lasciato il soggiorno, il maggiordomo si avvicinò alla più giovane dei fratelli e le disse sottovoce: «Mi dispiace moltissimo, signorina Harriet.»
«Per cosa?» domandò lei, perplessa.
«Non so proprio come Elizabeth abbia fatto a trovare degli alcolici. Io stesso ho fatto in modo che sparissero dall'appartamento e gli unici ancora presenti sono ben nascosti nello studio di Aidan, in un luogo che solo lui conosce.»
«Non preoccuparti, Samuel, parlerò con mio fratello e vedremo cosa si può fare in proposito.»
La ragazza fece un ampio sorriso all'uomo che più si poteva avvicinare alla figura del padre che aveva perso quasi due anni prima. Insieme a Aidan e Sean, il maggiordomo era una delle sue più importanti figure di riferimento.
Prima di tornare in cucina, Samuel aggiunse: «Comunque il suo nuovo look le dona molto.»
Harriet sorrise di nuovo mentre, ancora seduta comodamente sul divano bianco, si arrotolava una ciocca di capelli biondo platino tra le dita.

Pochi attimi dopo Aidan fece ritorno. «Dov'è Ellie?»
«È nella sua stanza a riposare. Aidan, credo che sia riuscita a procurarsi degli alcolici.»
«Come fai a saperlo?»
Harriet era basita. «Non hai visto come si comportava in presenza di Miller? Era assente, teneva lo sguardo basso ed evitava il contatto visivo con tutti.»
«Non sembrava ubriaca» osservò il fratello maggiore.
«No, ma evidentemente non era in sé. Mi sorprende che tu non te ne sia accorto.»
Aidan alzò le spalle. «Mi dispiace, ero sconvolto per ciò che ha detto il detective.»
«Non ti preoccupare» Harriet cercò di consolarlo. «Vedrai che alla fine si sistemerà tutto.»
«Lo spero» rispose lui, poi aggiunse: «Ora devo proprio tornare al lavoro. Per favore, potresti tenere d'occhio Ellie?»
«Certo.»
«Grazie» Aidan le depositò un dolce bacio sulla testa, poi prese la valigetta e uscì, urlando: «A stasera!»
Harriet rimase da sola nel soggiorno, aspettando che il tè di Pauline fosse pronto.
Non era affatto una ragazza ingenua: si era resa conto che il fratello maggiore, da qualche tempo, le riservava delle attenzioni particolari che non aveva verso nessun altro componente della famiglia.
Aveva però pensato che si trattasse di un cambiamento dovuto alla scomparsa dei genitori; al fatto che, essendo la più piccola, Aidan si sentisse in dovere di proteggerla e farla sentire coccolata ed amata. Ma lei non sentiva queste esigenze, poiché l'unica cosa di cui aveva bisogno era la vicinanza di Sean, il suo gemello, la persona che più le somigliava e di cui non avrebbe mai potuto fare a meno.
Sean era un ragazzo difficile, che amava creare problemi a chiunque gli stesse vicino. Harriet però sapeva che non feriva gli altri intenzionalmente; è solo che ognuno dei fratelli aveva reagito in modo diverso alla perdita dei genitori: qualcuno aveva iniziato a bere, qualcuno sfogava la sua rabbia durante le risse, qualcun altro si era gettato a capofitto nel lavoro.
Paradossalmente Harriet era forse quella che aveva sofferto di meno. Certo, i primi giorni erano stati devastanti, ma lei aveva sempre trovato conforto e serenità grazie a Sean.
La ragazza sapeva che senza di lui non ce l'avrebbe mai fatta.

Ripensando a tutto ciò che era accaduto quel giorno sentì il bisogno di avere il fratello accanto. Sapeva che sarebbe tornato la settimana seguente, ma per qualche strana ragione era convinta che il ragazzo dovesse tornare a casa al più presto. Avvertiva che il fratello era nei guai, grazie ad una particolare connessione che solo i gemelli possono sviluppare.
Sperava con tutto il cuore di sbagliarsi, ma quella sensazione permaneva e non riusciva a darsi una spiegazione.
Si ripromise di fargli una telefonata, ma solo dopo aver finito la tazza di tè che la domestica Pauline le stava portando con un sorriso.


 
*
 

Era quasi giunto il momento di agire.
Una figura si nascondeva nell'ombra di un vicolo angusto e pieno di sacchi dell'immondizia, intenta ad osservare l'entrata del parcheggio sotterraneo dell'imenso palazzo. Storse il naso, cercando di non respirare i cattivi odori che quel luogo emanava.
Aidan uscì alla guida di un'auto sportiva che doveva valere una fortuna, poi si immise nel traffico cittadino.
Oh, non hanno idea di ciò che li aspetta.
Era solo un'ombra, ma presto avrebbe assunto un ruolo importante all'interno della famiglia Westmore.
O meglio, di ciò che ne restava.
Sogghignò a quel pensiero.
Avrebbe potuto entrare in scena in grande stile, ma poi convenne che era meglio insinuarsi lentamente, con discrezione ed astuzia, per poi distruggere la famiglia dall'interno.
E nessuno di loro avrebbe mai saputo la verità. Sarebbero rimasti per sempre all'oscuro della storia.
La figura rise di nuovo. La sua mente era invasa da pensieri malvagi e sconnessi.
Ci divertiremo così tanto insieme, miei cari ragazzi.
Non avevano idea di quello che stava per accadere.

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Capitolo 4
*** Aidan ***


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4. Aidan

 
Il giorno seguente, Aidan si recò in ufficio accompagnato da un'ansia che gli aveva impedito di chiudere occhio tutta la notte; in parte questa preoccupazione era dovuta a tutto ciò che era accaduto, dall'assassinio nel parcheggio alla visita del detective. Cosa aveva a che fare quel tale Collins con la sua famiglia?
In parte invece era molto preoccupato per Ellie, ma soprattutto del fatto che non si era reso conto dello stato in cui la sorella si trovava il giorno precedente.
Forse era troppo concentrato sul lavoro e i suoi ambigui sentimenti per Harriet, quindi tutto il resto era tristemente passato in secondo piano.
Da quando i genitori erano venuti a mancare, Aidan si era sempre buttato a capofitto negli affari, preoccupandosi di non fare mai mancare nulla ai fratelli minori; forse era giunto il momento di fermarsi, allentare la presa e riflettere.
Si ripromise dunque di darsi una svegliata e stare più attento a ciò che lo circondava, al fine di non ridursi come una specie di automa.
Senza neanche degnare di uno sguardo il panorama che si godeva dall'alto del suo ufficio – che tanto somigliava a quello dell'attico dei Westmore – Aidan si accomodò alla scrivania e accese il computer per controllare le e-mail.
Qualcuno bussò insistentemente alla porta. «Avanti!» gridò il ragazzo, e Danielle Johnson entrò, elegante come al solito.
La ragazza dai lunghi capelli biondi era la sua segretaria da alcune settimane, ed era piuttosto in gamba. Sveglia, brillante e divertente, aveva sempre svolto un lavoro impeccabile. E come se non bastasse, Aidan pensava di non aver mai visto una ragazza più bella di Danielle. Più volte le aveva detto che avrebbe dovuto fare la modella e non la segretaria, ma lei gli rispondeva sempre che non voleva ridursi ad uno scheletro e rinunciare al cibo, a suo avviso uno dei maggiori piaceri della vita.
E infatti Danielle aveva delle curve morbide e sinuose, che avrebbero innegabilmente fatto girare la testa a qualsiasi uomo.
A conti fatti era la ragazza perfetta, ma Aidan non aveva mai pensato a lei come potenziale fidanzata. In qualche modo per lui era un po' come tradire Harriet e, anche se riconosceva l'assurdità di questa sua idea, non aveva voglia di uscire con nessuna ragazza.
«Buongiorno Aidan» salutò, con un sorriso teso. «Non dovresti essere in viaggio?»
Il ragazzo la guardò, perplesso. «Perché?»
«Tra mezz'ora devi incontrare Mr Harper, dall'altra parte della città. Non dirmi che l'avevi dimenticato!»
Aidan trasalì. «Cazzo.»
Non era il momento di osservare le buone maniere, aveva appuntamento con un potenziale socio in affari e gli era completamente passato di mente!
Si alzò in piedi di scatto, rischiando di rovesciare la sedia all'indietro, poi si affrettò a riporre tutti i suoi effetti personali nella valigetta e si diresse verso la porta.
«Per favore, Danielle, telefona a Charles Harper e digli che sto arrivando.»
«D'accordo, ma... Aidan, ti senti bene? Non mi sembri in condizione di poter guidare. Vuoi che chiami un taxi?»
«No, grazie, vedrai che non ci saranno problemi.» Indossò la giacca dopo averla recuperata dall'appendiabiti ed uscì senza aggiungere altro.

Guidare lo aiutò a distrarsi dal trambusto che in quel momento caratterizzava la sua vita. Accese la radio e lasciò che le violente note di una canzone metal invadessero l'abitacolo.
Se l'affare fosse andato in porto – supponendo che arrivasse in tempo per l'appuntamento di lavoro – Aidan avrebbe avuto tra le mani il progetto di una villa di lusso in periferia, e il compenso sarebbe stato decisamente alto.

L'ufficio dell'agente immobiliare Charles Harper si trovava all'ultimo piano di un palazzo di circa trenta piani, perciò Aidan ritenne opportuno salire con l'ascensore. Notò che gli ambienti erano semplici ma eleganti e denotavano una certa cura per i particolari.
Quando raggiunse il piano, il ragazzo rimase sorpreso nell'imbattersi in qualcuno che conosceva.
«Shannon, ciao!» il ragazzo salutò una delle migliori amiche di Ellie, che a sua volta lo osservò stupita.
«Buongiorno, Aidan! Come mai da queste parti? Non dirmi che sei tu che devi incontrare Mr. Harper!»
Lui annuì. «Abbiamo un appuntamento di lavoro. E tu, invece? Da quanto lavori qui?»
Shannon sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Sono stata assunta da poco, ma devo dire che mi trovo molto bene. Harper è davvero un buon capo e una splendida persona.»
Aidan sorrise.
«Come sta Ellie?» il volto della ragazza si fece serio. «Non ci siamo sentite spesso ultimamente, ma conto di andare a trovarla in questi giorni... Sempre se non vi disturbo, chiaramente.»
«Ma figurati, sei sempre la benvenuta.»
Il telefono di Shannon emise un segnale sonoro e, quando la ragazza sollevò la cornetta, disse: «Mr. Harper può riceverti.»

La prima volta che Aidan aveva sentito il nome di Charles Harper, l’aveva associato ad un uomo piuttosto anziano con gli occhiali, la barba folta e i capelli grigi.
Invece, seduto alla scrivania, c’era un ragazzo che poteva essere un suo coetaneo, dall’aspetto elegante ma alla mano. Unico elemento corrispondente al suo personale identikit erano gli spessi occhiali neri che indossava.
Quando vide entrare Aidan, il ragazzo distolse l’attenzione dallo schermo del computer e si alzò in piedi.
«Buongiorno, lei deve essere Mr. Westmore.»
Aidan annuì. «È un piacere conoscerla, spero di non essere in ritardo.»
«No, affatto» Charles sorrise cordialmente. «Devo confessare che sono un po’ sorpreso di incontrare un ragazzo così giovane. Ammetto che in realtà mi aspettavo di incontrare un architetto attempato.»
Aidan scoppiò a ridere. «Ho pensato esattamente la stessa cosa!»
«Quindi credo che potremmo darci del tu.»
«Naturalmente.»
Dopodiché Charles pregò Aidan di accomodarsi sulla sedia di pelle nera di fronte alla scrivania.
«Dunque» esordì il ragazzo. «Anche se sicuramente saprai in cosa consiste il progetto che ci è stato assegnato, vorrei fare il punto della situazione.»
Aidan annuì.
«Mr. Hudson è un tipo piuttosto particolare e vorrebbe acquistare un’abitazione fuori città per allontanarsi dal caos e dallo smog, ma comunque essere vicino al luogo di lavoro. Perciò ha scelto il luogo più ottimale, a sud della città e a pochi chilometri dal mare. Il problema è che, dopo svariati tentativi, non ha ancora trovato l’abitazione adatta a lui e alla sua famiglia. È a questo punto che entriamo in scena noi: il nostro compito è progettare dalle fondamenta la villa dei suoi sogni e soddisfare ogni sua richiesta. Mr. Hudson è notoriamente molto ricco, quindi puoi star certo che non baderà a spese. Ora aspetta solo di avere una conferma da parte nostra.»
Aidan si sentiva elettrizzato; dopo due anni di lavoro nel settore, finalmente gli si presentava davanti un’ardua ma stimolante sfida.
«Quando cominciamo, Charles?» chiese sorridente, senza bisogno di pensarci due volte.
«Anche subito, devo solo fare una telefonata» rispose il ragazzo. «Ah, a proposito: chiamami Charlie, nessuno usa mai il mio nome di battesimo.»

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Capitolo 5
*** Ellie ***


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5. Ellie

Qualche giorno dopo...

 
 
Si fece forza e trasse un lungo respiro, mentre osservava la sua immagine riflessa. Dopo un lungo periodo chiusa in casa, si sentiva pronta per tornare ad affrontare il mondo esterno.
Quelle quattro mura sospese in cima al mondo rischiavano di farla impazzire, e i fratelli di Elizabeth si resero conto che forse era meglio lasciarla uscire e farla tornare al lavoro, piuttosto che tenerla rinchiusa a combattere i suoi demoni. Sarebbe senz’altro risultato più semplice uscire e distrarsi, piuttosto che rimanere in casa e perdersi troppo nei suoi pensieri.
Perciò quella mattina indossò abiti comodi ma eleganti, al fine di sentirsi a suo agio. Poi raccolse i capelli in una lunga e ondulata coda di cavallo. Guardandosi allo specchio notò che le profonde occhiaie si erano ridotte e, grazie ad un correttore, riuscì a nasconderle con cura.
Sorrise debolmente alla ragazza riflessa e, pian piano, riuscì a rilassarsi.
Ce l’avrebbe fatta, ne era sicura.
Scese in cucina per la colazione: Aidan era seduto al tavolo da pranzo, mentre leggeva il giornale e mangiava un’omelette, Pauline era alle prese con i fornelli; Harriet probabilmente era già uscita.
«Buongiorno a tutti» Ellie salutò sforzandosi di sembrare allegra, e gli altri ricambiarono il saluto con un sorriso.
«Signorina Elizabeth, cosa desidera per colazione?»
La ragazza si rese conto di essere davvero affamata. «Gradirei dei pancake, grazie.»
«Sono contento che tu abbia appetito» le disse Aidan, mentre lei si sedeva comodamente al tavolo. Poi il ragazzo aggiunse: «Ellie, vorrei chiederti scusa per non essere stato presente in questi giorni. Ero talmente preso dal lavoro e dai doveri da non accorgermi di quanto stessi male.»
Elizabeth gli rivolse un sorriso incoraggiante. «Non ti preoccupare, so che hai tante cose da fare e non hai nessuna colpa. Adesso mi sento molto meglio e sono pronta a rimettermi al lavoro.»
Pauline si avvicinò al tavolo con una pila di pancake su cui aveva messo dello sciroppo d’acero. «Buon appetito! Ora vado in città a sbrigare delle commissioni; ricordate che oggi è il giorno libero di Samuel? Se avete bisogno di me, comunque, mi trovate al cellulare. In ogni caso ci vediamo stasera!»
«Vai pure, Pauline, qui ci pensiamo noi» rispose Aidan, congedandola.
La domestica uscì sorridente dalla sala da pranzo.
«Sono davvero contento che ti senta meglio, Ellie. Fai pure colazione con calma, dopo di che andremo al lavoro insieme. Guido io!»
 
La giornata stava procedendo piuttosto bene e scorreva in fretta. Tutti i colleghi di Elizabeth l’avevano riaccolta con affetto e dolcezza, e lei si sentiva quasi come a casa.
Riprese gradualmente a svolgere i suoi compiti, in particolare si occupava di coordinare i vari compiti degli impiegati ed assistere Aidan nel suo lavoro. Ma quel giorno, poco dopo averla accompagnata nell’edificio, il fratello maggiore se n’era andato. Ultimamente era accaduto spesso, perché il ragazzo doveva lavorare a stretto contatto con Charlie Harper, con il quale stava ideando il progetto per l’abitazione di Mr. Hudson e del quale appariva ogni giorno sempre più entusiasta.
Ellie era sicura che Aidan avrebbe svolto un lavoro eccellente: le sue doti erano fuori discussione e il progetto l’avrebbe dimostrato senza alcun dubbio.
Nel tardo pomeriggio, quando si stava avvicinando l’ora di tornare a casa, Elizabeth ricevette una visita inaspettata.
«Ciao, Ellie!»
La ragazza, che era nel suo piccolo ufficio intenta a riporre delle cartellette colorate, si voltò sorpresa e vide sulla soglia la sua migliore amica Shannon. Questa le si avvicinò in tutta fretta e la abbracciò forte. «Che bello vederti, sei in forma! Scusa per non averti telefonato, ma volevo lasciarti i tuoi spazi, e inoltre ho avuto un po’ da fare, con il trasloco e il nuovo lavoro…»
Ellie ridacchio. «Tranquilla, capisco. Anche io sono felice di vederti!»
«Ti andrebbe di fare qualcosa dopo il lavoro? Potremmo andare a mangiare fuori!»
Ellie sembrò rifletterci per qualche secondo. Poteva essere la cosa più normale e tranquilla del mondo, uscire con la migliore amica e distrarsi per qualche ora. Ma la giornata era stata lunga e spossante, seppure fosse andato tutto bene, perciò non ne era convinta.
Shannon sembrò leggerle nel pensiero e aggiunse: «Oppure potrei semplicemente accompagnarti a casa…»
La ragazza trasse un sospiro di sollievo, trovando la seconda opzione decisamente più rassicurante. «Ne sarei felice! Potremmo preparare qualcosa per cena e stare a casa tranquille.»
Qualche minuto dopo Ellie era pronta per andare.
Le amiche raggiunsero l’auto di Shannon e, durante il tragitto, la ragazza raccontò del suo nuovo lavoro. «Non è incredibile che il mio capo e tuo fratello siano soci in affari? È davvero piccolo il mondo!»
«Già» assentì Ellie, distratta.
Shannon rimase concentrata sulla strada, mentre chiedeva: «Va tutto bene? Mi sembri pensierosa.»
Le cose effettivamente stavano migliorando per la ragazza, ma la preoccupazione era latente, pronta a palesarsi in qualsiasi momento e farla sprofondare nuovamente nell’oscurità.
«Sto bene» rispose, senza convinzione, ma l’amica pensò di non insistere.
 
Dopo aver parcheggiato, le ragazze si diressero verso l’ascensore.
«Allora, cosa potremmo preparare per cena? Sto morendo di fame.»
Ellie ridacchiò per l’affermazione dell’amica. Nonostante spesso mangiasse senza vergogna, Shannon aveva una linea davvero invidiabile, poiché dedicava diverse ore alla settimana alla palestra e alla corsa.
«Pauline oggi doveva andare a fare compere, perciò in cucina troveremo di tutto e di più. Vedrai che riusciremo senza dubbio a combinare qualcosa.»
Mentre le porte dell’ascensore si aprivano, Elizabeth provò di nuovo una sensazione di soffocamento nel petto. Qualcosa non andava.
Appena mise piede nel grande atrio che precedeva l’entrata dell’attico, vide qualcosa che la pietrificò.
Sulla grande parete bianca a sinistra campeggiava un’immensa scritta, che a prima vista le sembrò scritta col sangue. La pittura scarlatta, ancora grondante, recitava una scritta.
 
 
MORIRETE TUTTI

 
*
 
«Signorina Westmore, cerchi di respirare profondamente. Va tutto bene, stia tranquilla. Ha fatto benissimo a chiamarmi.»
Era indubbiamente in stato di shock.
Dopo aver realizzato quello che stava accadendo, Elizabeth aveva perso i sensi, ma fortunatamente Shannon era riuscita ad afferrarla prima che cadesse a terra. Dopodiché la ragazza era rinvenuta e, dopo aver aperto la porta con mani tremanti, l’amica l’aveva condotta fino al divano e fatta stendere per riprendersi.
«Chiamo tuo fratello?» le aveva chiesto.
«No, aspetta» rispose la ragazza con un filo di voce. «In questo momento sarà impegnato. Pauline invece dovrebbe essere già tornata.»
Shannon allora andò a cercare la domestica per tutto l’appartamento, ma non trovò anima viva.
Provò allora a telefonare a Harriet, ma anche lei doveva essere occupata, poiché il cellulare suonava a vuoto.
Alla fine l’unica persona a cui Elizabeth pensò di poter chiedere aiuto era il detective Miller, il quale si era dichiarato sempre disponibile per qualsiasi evenienza.
Ancora in stato di shock, la ragazza compose il numero e, quando l’uomo venne a conoscenza dell’accaduto, rispose: «Arrivo immediatamente.»
 
Ora Ellie sedeva ancora sul divano avvolta in una coperta pesante, mentre James Miller era di fronte a lei intento a riflettere sul da farsi.
«Ti va qualcosa di caldo?» chiese Shannon, evidentemente a disagio.
Ellie annuì debolmente e l’amica si diresse verso la cucina.
«Chi potrebbe mai fare una cosa del genere?»
James le si sedette accanto, spinto forse da un senso di protezione che gli suggerì di tranquillizzarla con la sua vicinanza. «Ancora non lo so, ma vedrai che lo scoprirò, te lo prometto.»
In quel momento Ellie era talmente scossa da non accorgersi che l'uomo aveva cominciato a darle del "tu". Le prese delicatamente la mano gelida e gliela strinse tra le sue.
L'aveva conosciuto solo qualche giorno prima e visto solo per pochi minuti, ma quel contatto le provocò dei brividi inaspettati lungo la schiena.
Lo guardò negli occhi e scoprì che erano turchesi, talmente profondi che la costrinsero a distogliere lo sguardo. Ma guardandoli aveva capito che poteva fidarsi di James e che l'uomo era totalmente intenzionato ad aiutarla.
«Potremmo cominciare esaminando i nastri della videosorveglianza, in modo tale da scoprire chi è entrato nell'edificio nelle ultime ore.»
«Perfetto» rispose lei. Al primo piano ci sono degli uffici e so che in uno di questi ci sono gli schermi dove vengono trasmesse le riprese delle telecamere.
Miller fece un cenno di assenso. «Se te la sentì, potremmo dare subito un'occhiata.»
Ellie, che in quel momento desiderava solamente chiudersi in casa per il resto dei suoi giorni, si sentì quasi elettrizzata all'idea di partecipare in qualche modo all'indagine. In fondo, dopo anni di serie televisive, era affascinata dai gialli e stavolta si trovava in qualche modo al centro di uno di essi.
Così, dopo aver recuperato le chiavi dell'ufficio, i due raggiunsero il primo piano.
«Ok» esordì James Miller. «Le uniche riprese che potrebbero rivelarci indizi sono solamente due: quella dell'atrio e quella dell'ascensore.»
Naturalmente in un edificio di tali dimensioni e con un'infinità di piani potevano passare dozzine di persone, in una sola giornata. Ma era "sufficiente" individuare qualcuno con un abbigliamento o un atteggiamento sospetti.
Ellie vide la domestica Pauline uscire dall'ascensore poco dopo le undici, ma ancora non aveva fatto ritorno.
Dove si sarà cacciata? Si domandò la ragazza, mentre osservava i piccoli schermi. Individuò poi alcuni vicini che conosceva, ma nessuno aveva un'aria insolita.
La ragazza propose: «E se esaminassimo le riprese all'interno dell'ascensore, riusciremmo a scoprire chi è salito fino all'attico?»
«Ci ho pensato anch'io, ma sfortunatamente sarebbe davvero difficile capirlo.»
James le mostrò come quasi tutte le persone, mentre premevano il tasto del piano prescelto, dessero le spalle alla telecamera e così facendo coprissero completamente la pulsantiera.
Dannazione,  sembrava troppo facile.
«Anche se il numero di persone è spropositato, almeno ora abbiamo un punto da cui partire.»Ovviamente non posso indagare su ogni persona che è entrata oggi nell'edificio, ma restringerò il cerchio. Per cominciare, devo recuperare una registrazione delle riprese, poi deciderò il prossimo passo.»
Terminate le operazioni,  James Miller riaccompagnò Elizabeth all'ultimo piano.
«Ti senti meglio?» le chiese.
La ragazza annuì, in qualche modo più sollevata. «Grazie per essere venuto subito ad aiutarmi.» Aggiunse timidamente.
«Figurati, è il mio dovere. Per qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi. Vi telefono appena scopro qualcosa.»
Poi fece un gesto che la lasciò quasi senza fiato: le prese la mano, la portò alle labbra e baciò il dorso con dolcezza. «A presto, signorina Westmore.»
Dopo che le porte dell'ascensore si chiusero, Ellie rimase imbambolata per alcuni secondi. È accaduto davvero? Si domandò. Esistono ancora uomini tanto gentili e premurosi? Ma soprattutto, perché il detective Miller dovrebbe interessarsi ad una come me?
Immersa nei suoi pensieri, si accinse a rientrare in casa, mentre un lieve sorriso insisteva ad emergere sulle sue labbra.
 
Il buonumore non durò a lungo.
Appena entrò in nell’appartamento udì una musica proveniente da salone, e il volume era decisamente troppo alto. Ma cosa sta facendo Shannon?
Appena raggiunse la fonte di quei suoni assordanti, fu costretta ad assistere ad una scena che la pietrificò.
Harriet correva per la stanza a ritmo di musica e di tanto in tanto improvvisava dei passi di danza. Non era in sé, notò subito Ellie, e pensò che la sorella fosse impazzita.
Solo in un secondo momento notò la bottiglia di vodka mezza vuota sul tavolino.
«Harriet, fermati!»
La ragazza non la ascoltò, o finse di non averla sentita. Continuò a volteggiare, ridere e barcollare.
Ti prego, non puoi fare la mia stessa fine!
E dov’era Shannon?
Devo fare qualcosa, pensò, cercando di riacquistare lucidità. Ma cosa?




 


*
 
Salve a tutti! Non avevo ancora fatto sentire la mia voce all'interno di questa storia, quindi vorrei approfittare di questo momento per dirvi un paio di cose.
Credo che questa sia la storia più impegnativa che io abbia mai scritto, non tanto per la trama in sé, ma perché sto cercando di metterci tutta la passione è l'impegno possibili. Sto cercando di dare una personalità a ciascuno dei personaggi e renderli credibili. Pensate che prima di Like Light and Dark non avevo mai nemmeno terminato una storia, per quanto breve o semplice potesse essere.
Quindi sento di essere sulla pista giusta, tanto per usare dei termini un po' da indagine xD e voglio assolutamente portare a termine anche questo racconto. Mi sto affezionando ai personaggi e voglio assolutamente dare loro un finale.
Ho già delineato la trama e so come proseguirla, ma ci terrei veramente a sapere anche il vostro parere, lettori, perciò se per caso aveste qualche secondo da dedicarmi, non esitate a lasciarmi le vostre impressioni. Ho davvero bisogno di critiche e pareri, perché so che ho ancora tanto da imparare e, anche se le idee ci sono, sento che spesso mi manca qualcosa. Ci tengo a fare un buon lavoro e so che potreste aiutarmi.
Non voglio fare come quelle scrittrici che minacciano di sospendere la storia se non ricevono recensioni, perché se scrivo è in primis per me stessa, per esternare i miei pensieri, per allontanarmi dalla quotidianità ed estraniarmi dal mondo per un po'. E in più, vorrei che voi mi accompagnaste in questo viaggio.
Nel frattempo vi ringrazio per aver letto fino a qui. Non aggiorno troppo velocemente, perché cerco sempre di far quadrare tutto e scrivere capitoli il più possibile in linea con le mie idee, perciò potrei metterci un po' ad aggiornare, ma cercherò di compensare con capitoli sostanziosi e soddisfacenti.
Alla prossima e grazie ancora! - L

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Capitolo 6
*** Aidan ***


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6. Aidan



 
La villa che Mr. Hudson desiderava era ancora un abbozzo nella mente di Aidan, ma il facoltoso cliente si era già figurato davanti agli occhi il risultato finale.
«Qui vorrei mettere un gazebo circondato dalle piante, dove poter trascorrere del tempo in compagnia di parenti ed amici» spiegò l'uomo, gesticolando senza sosta. «E laggiù sarebbe il posto ideale in cui installare la piscina.»
Aidan ascoltò attentamente le indicazioni, mentre Charlie Harper prendeva appunti su un bloc-notes. Il ragazzo gli ricordava in qualche modo un giornalista intento ad intervistare una celebrità ed appuntare tutte le sue risposte.
Pensando che in quel momento fosse alquanto buffo, Aidan notò però che il "collega" ci sapeva decisamente fare. Egli infatti aveva chiesto a Mr. Hudson di chiudere gli occhi ed immaginare nei particolari che risultato volesse ottenere, e l'uomo aveva cominciato a descrivere tutti i dettagli, il numero di stanze e persino lo stile dell'arredamento che prediligeva. In questo modo il lavoro sarebbe stato molto meno difficoltoso ed era più semplice accontentare il cliente.
«D'accordo» concluse Charlie. «Credo che abbiamo abbastanza informazioni per ideare un progetto. Per ora la ringraziamo.»
«Grazie a voi» rispose Hudson con un sorriso formale ed una stretta di mano ad entrambi. «Ci sentiamo presto!»
Una volta che l'uomo si fu allontanato, Charlie fece una proposta: «Che ne dici se andassimo fuori a pranzo?»
Aidan accettò senza esitazioni. Anche se lo conosceva solo da pochi giorni, si era reso conto di apprezzare molto la compagnia di Charlie; i due avevano pressoché la stessa età e molti interessi in comune perciò, nei momenti di pausa, il tempo trascorreva veloce in sua compagnia.
«Perfetto, hai in mente un posto in particolare?»
Aidan ci rifletté un istante e concluse che sì, in fondo poteva portarlo nel locale preferito di Harriet e mostrargli dunque parte della sua vita. «Dipende. Ti piacciono gli hamburger?»
 
«Avevi dannatamente ragione. Qui il cibo è delizioso!»
«Non scherzavi quando dicevi che stavi morendo di fame, Charlie
» commentò Aidan, ridendo.
Appena il cameriere aveva portato i piatti al loro tavolo, Charlie si era letteralmente avventato sul suo hamburger. Sembrava che non mangiasse da settimane.
«Spesso vengo qui a mangiare con mia sorella» spiegò Aidan. «È il nostro ristorante preferito in assoluto.»
Charlie lo ascoltava attentamente, mentre masticava con impazienza. Poi, una volta terminato, disse con serietà: «Mi sarebbe piaciuto avere un fratello o una sorella.»
«Devo dire che è bello, adoro le mie sorelle» commentò, evitando accuratamente di includere Sean. «Ci siamo sempre fatti forza a vicenda, specialmente dopo ciò che è accaduto a mamma e papà...»
«Ho saputo ciò che è successo e mi dispiace tantissimo» Charlie aveva lasciato momentaneamente perdere il suo piatto e guardava Aidan con espressione triste. «Per quel che può valere, sappi che puoi contare su di me per qualsiasi cosa.»
Aidan sapeva benissimo che si tratta di una di quelle frasi di circostanza che si dicono in questi casi. Ma fu comunque un piacere sentire che Charlie esprimesse la volontà di rendersi utile.
«Grazie, lo apprezzo davvero.»
I due continuarono a parlare a lungo, finché non convennero che fosse ora di tornare in ufficio e cominciare a stendere un progetto.
Fu solo quando i due salirono in auto che scoprì che Elizabeth aveva cercato di contattarlo al cellulare. Che strano, di solito lascio sempre la suoneria ad un volume piuttosto alto. Possibile che non abbia sentito nulla?
Pensò si trattasse solamente di una distrazione, poi si disse che, se fosse stato urgente, la sorella l'avrebbe richiamato.
Nel pomeriggio, Aidan e Charlie si preoccuparono di raccogliere le idee e trascriverle in modo da avere un chiaro quadro delle richieste del Signor Hudson. Le ore trascorsero senza che i due ragazzi se ne rendessero conto.
Ad un tratto il cellulare di Aidan squillò, questa volta forte e deciso.
«Ellie, che succede? Sono ancora...» Dall'altra parte si udiva una musica assordante. «Ma che diamine sta succedendo lì?»
«Aidan, per favore, puoi tornare a casa? Abbiamo un problema e non sappiamo cosa fare...»
«Ma di cosa si tratta? Sono ancora qui con Charlie Harper, abbiamo un lavoro da sbrigare.»
«Ti prego» la voce della sorella sembrava rotta dal pianto. «Harriet è fuori controllo, ha bevuto e...»
Quelle poche parole gli bastarono per cambiare subito idea e, rispondendo con un secco «Arrivo subito» comunicò a Charlie che era sorta un'emergenza e doveva scappare.
«Lascia che ti accompagni! E non preoccuparti, riprenderemo domani.»
Aidan lo ringraziò e i due salirono ancora una volta sull'auto di Charlie.
 
Il tragitto dell'ascensore verso l'attico non gli era mai parso così interminabile. Appena le porte si aprirono, Aidan si precipitò verso la porta d'ingresso, che era già spalancata.
«Ma che cazzo fai?!» Harriet aveva un tono aggressivo che non le apparteneva. «Riaccendi subito quel dannato stereo!»
«Per favore, calmati!» Ellie guardava esterrefatta la sorella minore. «Perché non ti siedi e mi racconti con calma quello che è successo?»
Aidan vide Harriet barcollare fino all'impianto stereo ma, invece che alzare il volume, si voltò di scatto. «Non c'è molto da dire, sono stata licenziata. Contenta?»
Detto ciò accese nuovamente la musica e le note di una canzone metal invasero di nuovo l'appartamento.
Aidan, che sino a quel momento aveva assistito impotente alla scena, si svegliò improvvisamente dallo stato di trance in cui era caduto e, col cuore che gli batteva a mille, esclamò: «Ma che diavolo sta succedendo?!»
«Finalmente sei qui! Non sappiamo cosa fare» disse Shannon, comparendo dal corridoio. «Abbiamo cercato di fermarla in tutti i modi, ma non c'è verso di convincerla a calmarsi.»
«Non l'ho mai vista così» aggiunse Ellie con gli occhi lucidi ed arrossati.
«Va bene.» Il ragazzo cercò di mostrarsi fermo e risoluto e fece per staccare la spina dello stereo ma, mentre si inginocchiava per compiere l'operazione, vide con la coda dell'occhio la sorella perdere l’equilibrio, cadere rovinosamente a terra e scoppiare in lacrime.
«Io non ho fatto nulla di male!» riuscì a dire tra i singhiozzi. «È tutta colpa di quella stronza di Ms Campbell e quella mocciosa di sua figlia... Non è stata colpa mia!»
Istintivamente Aidan si sedette per terra accanto a lei e la cinse tra le sue braccia, mentre la sorella continuava a singhiozzare.
«Ellie, sai dove possa aver trovato questa bottiglia di vodka?»
«No» rispose la ragazza. «Quando sono entrata in casa era già in queste condizioni.»
«Dove sei stata?»
«Miller voleva vedere le riprese delle telecamere installate nell'edificio, in modo da scoprire chi avesse scritto quelle parole nell'atrio.»
«Quali parole?» chiese nuovamente, pensando che la sorella avesse perso il lume della ragione.
Ellie spalancò gli occhi. «Stai scherzando? Non hai visto qui fuori? Qualcuno ci ha lasciato una bella sorpresa e James Miller sta indagando per trovate il colpevole.»
Aidan era costernato. Com'è possibile che non me ne sia accorto?
«Porto Harriet in camera sua» disse infine, sollevando la ragazza senza sforzo. «Dopodiché scenderò per capire cos'è successo.»
Mentre saliva le scale, Harriet aveva smesso di piangere e ora si teneva stretta al fratello maggiore. Di tanto in tanto emetteva suoni confusi, ma non pronunciò alcuna parola.
Mentre la adagiava sul letto, Aidan osservò quel viso corrucciato, il trucco sbavato e quei capelli chiarissimi più arruffati che mai. Nonostante tutto, la trovava comunque bellissima.
«Devi riposarti» le sussurrò, per poi dirigersi silenziosamente verso la porta.
«Resta qui.»
In un primo momento credette di essersi immaginato quelle parole, dettate solamente dalla sua immaginazione e le sue speranze. Ma poi Harriet le ripeté e aggiunse: «Per favore, abbracciami.»
Inutile dire che non se lo fece ripetere due volte; in fondo quella ragazza aveva solamente bisogno di conforto, e non era il caso di lasciarla sola in un momento così buio.
Perciò trasse un profondo respiro, si coricò accanto alla sorella e la strinse in un affettuoso abbraccio.
«Mi hai spaventato a morte, oggi» spiegò, inspirando il suo profumo. Sentì odore di alcol e pino silvestre. «Ti prego, non farlo mai più. Intesi?»
La ragazza non rispose e si limitò ad annuire.
«Non so cosa farei se ti perdessi.»
Il cuore cominciò a battergli forte nel petto e ad un tratto temette che potesse scoppiare.
È ora di scoprire le carte, fatti coraggio e diglielo.
Ma sapeva che in questo modo nulla sarebbe più stato come prima.
Fallo e basta, non potrai vivere per sempre con questo peso.
«Ora che siamo solo noi quattro sei la persona più importante della mia via e se dovesse accaderti qualcosa ne morirei. So che le mie parole ti sembreranno sbagliate e orribili, ma non posso più vivere in questo modo, chiedendomi cosa succederebbe se tu non sapessi mai la verità. Harriet, credo di essermi innamorato di te.»
Trattenne il fiato ed attese una risposta, che tuttavia non arrivò. Aidan non sapeva se la ragazza si fosse addormentata o lo stesse volutamente ignorando, o ancora se fosse rimasta talmente sconvolta da smettere di parlare completamente.
«Non sono uno stupido, mi rendo conto che i miei sentimenti per te sono sbagliati, ma avevo bisogno di raccontarti tutto, per poi voltare pagina e non pensarci più.»
«Mmh» fu l'unica risposta che ottenne. Era quasi certo che si fosse addormentata.
Quando ne ebbe la conferma, si alzò lentamente dal letto per non disturbare la sorella, poi le rimboccò le coperte e, in religioso silenzio, si diresse verso la porta.
Una parola incomprensibile uscì dalla bocca di Harriet e Aidan le si avvicinò nuovamente. Se si fosse trattato di una risposta alla sua confessione, aveva bisogno di sapere cosa ne pensava.
«...Cosa hai detto?» le sussurrò all'orecchio.
La risposta, se tale poteva essere definita, gli diede il colpo di grazia.
«...Sean.»

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Capitolo 7
*** Harriet ***


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7. Harriet




Una voce indistinta cercava di comunicarle qualcosa, ma non riusciva a cogliere le parole, lontane ed offuscate.
 
Credo di essermi innamorato di te...
 
Si trovava nel bel mezzo di un vortice rosso, furioso ed insistente. Tutto girava e nulla aveva senso.
Poi, ad un tratto, lo vide. Era davanti a lei e se avesse allungato la mano sarebbe riuscita a toccarlo.
 
“Sean...”
 
Cosa hai detto?
 
Le frasi erano confuse e sconnesse, mille voci si univano in un martellante coro di urla.
Il fratello sparì come era apparso e lei, delusa e spaventata, ritrasse la mano.
 
Sean...” provò a chiamarlo ancora una volta.
 
Sto sognando? Devo svegliarmi subito!
 
L'ultimo pensiero di senso compiuto la abbandonò e la fece piombare nel buio più totale.
 
Quando aprì gli occhi, Harriet si rese conto che la testa le faceva male come mai le era accaduto prima. La tenne tra le mani, pesante e dolorante, per poi massaggiarsi le tempie con delicatezza.
Dalle tende della finestra faceva capolino un sole radioso; doveva aver dormito per diverse ore.
Cercò di ricordare come fosse finita a casa e nel suo letto, ma non ci riuscì. L'unica cosa che ricordava era che, dopo che il suo capo l'aveva cacciata, aveva camminato fino ad un negozio poco lontano, aveva comprato una bottiglia di vodka, chiamato un taxi e iniziato a bere.
Tutto ciò che era accaduto dopo si trovava avvolto in un fitto fumo nero, fatta eccezione per alcune immagini poco chiare e sconnesse.
Sei una deficiente, pensò tra sé. Credi che bere sia una soluzione ai tuoi problemi? Non hai imparato nulla dall'esperienza di Ellie?
Maledicendosi per la sua irresponsabilità si diresse verso il bagno dove, chinata sul water, riverso tutto il contenuto del suo stomaco.
Come cavolo ha fatto mia sorella a sviluppare un'indipendenza dagli alcolici? È la prima volta che bevo così tanto e non mi sono mai sentita peggio in vita mia.
Respirando profondamente, si rese conto di aver dormito con gli stessi abiti che indossava il giorno precedente. Prima di scendere per la colazione, quindi, decise di farsi una doccia e scegliere degli indumenti puliti.
Che posso fare ora? Pensava nel frattempo. Non ho più un lavoro e devo mettermi subito alla ricerca di un nuovo impiego.
Una volta recuperato un aspetto quantomeno umano, Harriet scese le scale e raggiunse la cucina dove, prima di entrare, sentì Ellie che si rivolgeva a Pauline con toni accesi:
«Ma dove sei stata ieri pomeriggio? È accaduto di tutto qui, e non sapevamo dove fossi. Ci hai fatto preoccupare» sentì.
«Sono desolata, avevo diverse commissioni da sbrigare e ho fatto tardi.»
«Buongiorno» annunciò Harriet, facendo la sua comparsa.
«Hey!» la sorella maggiore corse ad abbracciarla. «Ti senti meglio? Eri veramente a pezzi, ieri, non ti ho mai vista in quello stato.»
«Ora sto bene, mi dispiace per ciò che è accaduto. Ho fatto una cazzata e non si ripeterà mai più.»
Ellie aveva le lacrime agli occhi. «Sono contenta che la pensi così.»
Poi entrambe si sedettero a tavola.
«Signorina Harriet, cosa desidera per colazione?» domandò la domestica.
«Al momento il mio stomaco mi sta pregando di lasciarlo in pace, perciò vorrei solamente una spremuta d'arancia, per favore.»
La domestica annuì e si diresse verso il frigorifero. Nel frattempo, Aidan fece la sua comparsa.
Harriet sobbalzò: aveva un aspetto terribile. I suoi occhi erano stanchi ed arrossati, aveva delle marcate occhiaie e i capelli castani arruffati.
«Buongiorno ragazze» disse, sbadigliando sonoramente. «Sono felice che tu sia in piedi, Harriet.»
«Devo dire che la cosa ha sorpreso anche me» rispose la ragazza, sorridendo. «Non so proprio cosa mi abbia preso.»
Notò che il fratello la guardava curioso e, mentre si sedeva a tavola, chiese: «Ma si può sapere cosa ti è successo?»
Dopo che Pauline ebbe portato la spremuta ah Harriet e chiesto a Aidan cosa desiderasse per colazione, la ragazza cominciò pazientemente a raccontare: «Ieri, al negozio, stavo tagliando i capelli alla figlia di Ms. Anderson. La bambina è un diavolo, tanto per usare un eufemismo, e non voleva stare ferma. Saliva in piedi sulla sedia, toccava i prodotti sul bancone e si agitava continuamente. Ad un certo punto, mentre stavo spuntando una ciocca di capelli, la peste si è mossa di scatto ed io le ho lasciato un taglio sul braccio. È stato solo un graffio superficiale, ma la mocciosa si è messa a piangere e strillare, attirando l'attenzione della madre e del mio capo. La madre di Satana non ha voluto sentire spiegazioni, ha preso la bambina strillante in braccio e se n’è andata di corsa.»
Aidan sorrise amaramente.
«Il mio capo mi ha detto che il mio comportamento era stato inammissibile e, anche se la bambina era un po' agitata, avrei dovuto stare più attenta. E quindi mi ha mandata via.»
Ellie, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio, intervenne: «E poi sei andata a bere?»
«Mentre ero di strada, mi sono fermata ad un negozio e ho comprato una bottiglia di vodka. Poi ho preso un taxi e, durante il tragitto verso casa, ho iniziato a berla. Stamattina, sopraffatta dal mal di testa ho realizzato di aver fatto una stronzata. Sono proprio una cretina, cosa diavolo avevo in mente?»
«L'importante è che te ne sia accorta subito» commentò Ellie dolcemente. Poi aggiunse, con una punta di amarezza: «Avrei voluto capirlo subito anch'io.»
Poi, senza aggiungere altro, lasciò la stanza.
Harriet vide che il volto di Aidan, già segnato dalle occhiaie, si era fatto ancora più tetro. «Cosa ricordi di ieri sera?»
La ragazza ci pensò alcuni istanti, cercando di dare un senso logico alle immagini che apparivano come flash. «Non molto, se devo essere sincera. Ricordo il taxi, ricordo il momento in cui sono entrata in casa, il viso sconvolto di Ellie e della sua amica, la musica ad alto volume. Poi, non so come, mi sono ritrovata nel mio letto. Inoltre stanotte devo aver fatto degli strani sogni, e in uno c'era senz'altro Sean, ma non riesco proprio a ricordare il contenuto.»
Ora il volto di Aidan aveva assunto un'espressione indecifrabile.
«Devo andare al lavoro» concluse il fratello dirigendosi verso la porta. «Più tardi il detective Miller verrà qui per fare il punto della situazione. Per favore, non uscite di casa, almeno per oggi.»
Infine uscì senza aggiungere altro.
È mestruato? Pensò Harriet, scrollando le spalle e finendo di sorseggiare la sua spremuta.
 
Era rimasta sconvolta, più tardi, nel rendersi conto che qualcuno era salito fino all’ultimo piano dell’edificio al fine di imbrattare una parete con un messaggio intimidatorio. Ma ancora di più rimase scioccata nel rendersi conto che era talmente fuori di sé da non rendersene minimamente conto.
Anche James Miller parve sconcertato mentre le comunicava la notizia, ma cercò di non darlo troppo a vedere.
Ellie invece sembrava di nuovo con la testa tra le nuvole, ma stavolta per una ragione del tutto nuova e particolare. Difatti, non riusciva a staccare gli occhi dal loro ospite.
«Vi ho portato una copia della registrazione effettuata dalle telecamere, che parte dal momento in cui siete usciti tutti di casa, sino al punto in cui Elizabeth ha trovato la scritta sulla parete. Vi pregherei, appena ne avete l’occasione, di visionare il filmato e prestare attenzione ad ogni minimo particolare, anche quello che vi sembra insignificante. Poi dovrete dirmi se qualcuno si comporta in modo strano, sia nell’atrio che nell’ascensore, oppure se notate un volto familiare. Qualsiasi cosa potrebbe risultare determinante.»
«Crede che la scritta abbia un legame con l’omicidio di Mr. Collins?» domandò Harriet, concentrata sulla discussione.
«A meno che non si tratti di uno scherzo di cattivo gusto, direi proprio di sì. E se posso darvi un consiglio, vi suggerirei di spostarvi il meno possibile in completa solitudine. Per quanto ne sappiamo, potrebbe esserci qualche pazzo in circolazione e nono voglio assolutamente che corriate rischi.»
«D’accordo, cercheremo di muoverci sempre in compagnia di qualcuno» Ellie era in un evidente stato di apprensione.
Successivamente il detective spiegò che stava indagando sul passato di Peter Collins e in particolare si stava concentrando sul legame che lo univa alla famiglia Westmore. Erano semplici soci in affari o c’era dell’altro? Una delle piste che stava seguendo riguardava proprio i suoi trascorsi in ambito lavorativo. In ogni caso, al momento, non era ancora emerso nulla di rilevante.
«Ora tolgo il disturbo, ma ci sentiremo presto» concluse infine. «Mi raccomando, osservate attentamente il filmato. Potrebbe essere cruciale per risolvere il caso. Vi auguro buona giornata.»
Harriet ricambiò cordialmente il saluto, mentre la sorella maggiore si offriva di accompagnare Miller alla porta.
Lo faccio o non lo faccio? Ok, lo faccio. Darò solo una sbirciatina.
La curiosità spinse la ragazza a dirigersi verso l’atrio per capire se tra Ellie e Miller stesse accadendo qualcosa. Facendo capolino dalla grande arcata che collegava il salone all’ingresso, Harriet udì i due scambiarsi alcune parole.
«Grazie ancora per quello che stai facendo, lo apprezziamo molto.»
«Figurati, in fondo è il mio lavoro. Spero solo di chiudere l’indagine il più presto possibile. So che ne avete passate tante ed ora meritare solo serenità.»
Il detective fece per uscire, ma poi aggiunse: «Ah, Elizabeth, so che probabilmente penserai che io sia troppo avventato, ma… Ti piacerebbe cenare con me una di queste sere?»
Sul volto della ragazza si manifestarono diverse espressioni: sorpresa, emozione, preoccupazione e infine felicità. «Sì, mi piacerebbe molto.»
«D’accordo, allora a presto» concluse lui, per poi portare una mano di Ellie alle sue labbra e baciarne il dorso con dolcezza.
Che uomo d’altri tempi! Pensò Harriet, divertita. Forse ha un modo di fare troppo cerimonioso, ma è decisamente una persona interessante. Potrebbe essere ciò di cui Ellie ha bisogno in questo momento difficile.
 
Appena si sdraiò sul letto, ad Harriet tornò in mente che aveva perso il lavoro e un senso di vuoto e desolazione la colpirono come una morsa.
Sin da quando aveva terminato gli studi, il suo obiettivo era stato quello di rendersi indipendente e, anche se i genitori avevano accumulato un’eredità immensa per i quattro fratelli, aveva sempre cercato di non dipendere da nessuno.
Potrei mettermi alla ricerca di un nuovo lavoro, oppure tentare di riprendermi quello vecchio.
In ogni caso non poteva assolutamente restare con le mani in mano, non era nella sua natura. Perciò, dimenticandosi completamente del pranzo, decise di fare due passi in centro e girare trai i negozi, per scoprire se qualcuno fosse alla ricerca di nuovi dipendenti.
Mentre camminava, però, una brutta sensazione la spinse a procedere verso un vicolo laterale, dove probabilmente si affacciava il retro del bar presso cui aveva chiesto se il direttore fosse alla ricerca di personale.
Non sapeva come spiegarsi quella sensazione, ma forse l’istinto le stava suggerendo che là ci fosse qualcosa che doveva vedere. In parte anche perché il sogno che aveva fatto quella notte, dapprima così misterioso ed oscuro, si stava finalmente manifestando nella sua mente.
Procedette quindi con passi lenti e silenziosi all’interno del vicolo, cercando di farsi coraggio e mantenere la calma.
Non fare cose stupide, corri via da qui e chiama qualcuno, le suggeriva la sua parte razionale, ma camminò ugualmente in avanti, come se fosse all’interno di un incubo da cui non poteva svegliarsi senza aver prima scoperto la verità.
Fu allora che lo vide. Era a terra, sdraiato a pancia in su e ricoperto di sangue.
No, non è possibile. Lui non è reale, non può essere qui.
Urlò come mai aveva fatto prima, ma la voce le morì in gola. Dapprima pietrificata, corse a perdifiato verso quel corpo abbandonato a sé stesso.
Ti prego, fa’ che non sia morto, fa’ che stia bene.
«Sean, ti prego, rispondimi!»
Il ragazzo non si muoveva.

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Capitolo 8
*** Sean ***


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8. Sean


Qualche ora prima...
 

Si svegliò di soprassalto.
Aveva senz'altro fatto sogni spiacevoli, ma non riusciva proprio a ricordarne i particolari.
Ciò che invece aveva bene in mente era ciò che aveva fatto la sera precedente con la bionda che, ancora senza nulla addosso, dormiva supina accanto a lui. I suoi lunghi capelli erano arruffati e disposti disordinatamente sul cuscino.
Sean la guardò e sorrise; non riusciva nemmeno a ricordare il nome della ragazza con cui aveva passato la notte. Sempre che i due si fossero presentati, beninteso.
Sono proprio uno stronzo, pensò, divertito. Mike è così gentile da ospitarmi a casa sua ed io lo ringrazio portando qui delle ragazze e facendo casino tutta la notte.
In effetti Sean si era trasferito dall'amico già da qualche giorno; non aveva ancora rivelato ai fratelli ciò che era accaduto al college, e al momento non sapeva proprio come affrontare la questione. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dare delle spiegazioni, ma al momento Michael, il suo migliore amico, si era dimostrato gentile e paziente e l'aveva ospitato a casa sua.
Sbadigliando, Sean si alzò e andò alla ricerca dei suoi indumenti, sparsi per tutto il pavimento.
«Buongiorno...» la bionda si stiracchiò e sorrise, per poi coprirsi maliziosamente con il lenzuolo.
Sean la osservò per alcuni istanti e notò che la ragazza era di una bellezza fuori dal comune.
«Ci credi se ti dico che ricordo poco o nulla della scorsa notte?» domandò lei.
«Ah, davvero? E pensare che ne abbiamo fatte di cose...»
Il ragazzo indossò jeans e maglietta, poi si avvicinò al letto.
«Temo dovrai rinfrescarmi la memoria...» la ragazza fece segno a Sean di avvicinarsi e lo baciò attirandolo a sé. Lui stava per togliersi i pantaloni alla stessa velocità con cui li aveva indossati ma, prima che potesse farlo, la bionda lo fermò. «Ma tutto questo dovrà aspettare, sono in ritardo per il lavoro!»
Si alzò e ripeté l'azione compiuta da Sean, andando alla ricerca dei suoi indumenti. «Non mi ero resa conto che fosse così tardi, il mio capo potrebbe uccidermi!»
Il ragazzo la osservava divertito. Ha davvero un corpo mozzafiato. Non so assolutamente nulla di questa ragazza, ma non mi sorprendo che tra tutte quelle presenti nel locale abbia deciso di provarci proprio con lei. Vorrei solo non aver bevuto a tal punto da non ricordare nemmeno il suo nome.
Quando la ragazza ebbe indossato tutti i suoi abiti, si diresse verso la porta.
«Aspetta!» la chiamò lui. «Potresti ricordarmi come ti chiami?»
Lei lo guardò con un'espressione delusa. «Ma non avevi detto che ricordavi tutto ciò che abbiamo fatto?»
Sean la guardò, per la prima volta lievemente imbarazzato. «Be’, a dire la verità ho un ricordo tutt'altro che vivido del nostro primo approccio.»
«Facciamo così: domani sera sarò di nuovo al bar in cui ci siamo incontrati. Se verrai ti rivelerò il mio nome, altrimenti dovrai vivere il resto dei tuoi giorni senza saperlo.»
«Come sei misteriosa... D'accordo, non mancherò.»
Lei si avvicinò a Sean e gli diede un veloce bacio a stampo. «A domani, Sean.»
Ed uscì dalla porta agitando i fianchi con fare sensuale.
Mio Dio... Devo assolutamente rivederla.
 
Dopo aver pranzato con Michael, Sean decise di fare due passi per schiarirsi le idee.
Uscì dunque dal piccolo ma lussuoso appartamento dell'amico e, dopo aver chiamato un taxi, raggiunse il centro e cominciò a vagare senza meta.
Le strade erano poco affollate nel primo pomeriggio e il ragazzo poté godere della fresca aria settembrina mentre passeggiava in solitudine.
Nel frattempo ebbe modo di riflettere su tutto ciò che gli era accaduto negli ultimi tempi.
Sin da quando era un adolescente, sapeva che nel suo futuro c'erano senza alcun dubbio i computer e la tecnologia, di cui era sempre stato appassionato. Perciò, giunto il momento della scelta del college, non aveva mai avuto il minimo dubbio. Non era sua intenzione seguire le orme dei fratelli maggiori e, semmai avesse deciso di entrare nell'azienda di famiglia, lo avrebbe fatto solo nel reparto informatico.
Ma negli ultimi tempi aveva maturato l'idea che il college lo preparasse solo all'aspetto teorico e non gli avrebbe permesso di praticare ciò che preferiva: programmare, ideare nuovi software e risolvere problemi legati agli apparecchi tecnologici. Certo, seguendo i corsi aveva appreso le nozioni di base, ma ora quell'ambiente gli risultava troppo stretto.
Col tempo aveva quindi pensato più volte di lasciar perdere tutto e tornarsene a casa. L'unica cosa che lo spingeva ad andare avanti era il pensiero dei suoi genitori, che non avrebbero mai voluto vederlo rinunciare e abbandonare gli studi, ma piuttosto stringere i denti e tagliare il traguardo.
Il semestre stava per terminare e Sean si sentiva più confuso e combattuto che mai.
Poi avvenne l'incidente.
 
Tanto per cambiare, era accaduto tutto a causa di una ragazza.
Si trovava ad una festa organizzata dai suoi amici del college, ma si stava annoiando a morte. Mentre si trovava al buffet, intento a decidere se andarsene o meno, Sean vide Alice Richardson avvicinarsi con un sorriso. Sapeva che si trattava di una delle ragazze più popolari dell’università, ma ricordava anche che da qualche tempo aveva trovato un ragazzo.
Effettivamente era davvero bellissima, nel suo tubino nero e con i capelli castani raccolti in testa. Sembrava addirittura più grande, anche se i due erano coetanei.
Lei sembrò avergli letto nel pensiero, perché gli disse: «Anche tu ti stai annoiando a morte, vero? Ti andrebbe di uscire a fumare una sigaretta?»
Sean non se l’era fatto ripetere due volte e, abbandonando sul tavolo il cocktail che stava bevendo, seguì la ragazza fuori dal locale dove era stato organizzato il party.
«Queste feste sono sempre così noiose» riprese la ragazza, estraendo un pacchetto di sigarette dalla borsa. «Non succede mai nulla di emozionante.»
Sean non colse il senso di quelle parole. Cosa mai dovrebbe accadere ad una festa universitaria? Sapeva che all’ordine del giorno c’erano persone ubriache e spaccio di droga, ma nessuno si era mai spinto oltre, per quanto ne sapeva.
«Già» si limitò a commentare, pensieroso.
«Tu invece sei una persona molto interessante, da quanto ho sentito.»
Sean non rispose. Aveva capito a cosa stava alludendo la ragazza e non aveva affatto voglia di affrontare l’argomento ancora una volta.
Mentre lei gli si avvicinava, spostò lo sguardo verso la direzione opposta, infastidito dalla sua affermazione.
«Ho detto qualcosa di sbagliato?» domandò ancora, insistente.
Sean cercò di mantenere la calma, anche se la presenza di Alice cominciava ad indisporlo nella maniera più assoluta, poi la allontanò afferrandole le spalle. «Lasciami in pace.»
«Dai, non prendertela, volevo solo chiacchierare.»
Gli istanti seguenti sembrarono un susseguirsi di scene di un film: Alice gettò a terra la sigaretta ancora accesa e si avventò sulle sue labbra, per poi spostare le mani sulla cerniera dei suoi jeans. Sean non fece in tempo ad allontanarla che i due udirono la porta del locale che si apriva e Jason, il ragazzo di Alice, fece la sua comparsa.
Il nuovo arrivato spinse via la ragazza, facendola cadere rovinosamente a terra, poi aggredì Sean, il quale si difese senza lasciarsi sopraffare. Anzi, lo riempì letteralmente di botte. A Jason fu immediatamente chiaro che aveva osato troppo. Se la cavò con un qualche ematoma, ma giurò che avrebbe avuto la sua vendetta.
Nel frattempo, questo episodio costò a Sean l’espulsione.
 
Ed ora si trovava di nuovo nella sua città, indeciso sul suo futuro ed incerto su ciò che lo aspettava. Doveva trovare il coraggio per rivelare l’accaduto ai suoi fratelli.
Tra tutti, il giudizio che temeva maggiormente era quello di Aidan: si era sempre comportato in modo così severo con lui. Sean era convinto che il fratello facesse così per compensare la mancanza dei genitori, ma non aveva affatto capito che il suo atteggiamento era tedioso ed inopportuno. Tuttavia aveva sempre taciuto il suo fastidio.
Improvvisamente, mentre attraversava la strava, vide un gruppo di ragazzi che correva nella sua direzione. Impiegò meno di un secondo per rendersi conto che si trattava di Jason, e stavolta aveva portato i rinforzi.
Nonostante la sua forma fisica, Sean capì che non avrebbe mai potuto cavarsela contro quei cinque individui che l’avevano riconosciuto e si erano messi ad inseguirlo, perciò non poté fare altro che cominciare a correre nella direzione opposta.
Non riuscì a capire quanti minuti fossero trascorsi, ma ad un tratto si girò e vide che alle sue spalle non c’era nessuno.
Li aveva seminati? Nel dubbio raggiunse un vicolo e vi si rintanò per alcuni istanti, per riprendere fiato e fare mente locale.
Come hanno fatto a trovarmi?
Gli venne quasi da ridere.
Quel ragazzo ha dei seri problemi mentali. Possibile che, al posto di incazzarsi con la sua ragazza, venga qui apposta per prendersela con me?
Stava per uscire dal suo nascondiglio, quando un paio di braccia muscolose lo tirarono all’interno. Cercò di divincolarsi dalla stretta, ma ogni tentativo si rivelò vano.
«Adesso non fai più il prepotente, eh?»
Jason fece la sua comparsa; aveva un’aria talmente strafottente che Sean avrebbe voluto spezzargli le ossa.
«Vigliacco!» esclamò, digrignando i denti. «Sei talmente codardo che hai dovuto portarti dietro gli amichetti per avere la tua piccola vendetta?»
Per tutta risposta ricevette un pugno su uno zigomo; il dolore si irradiò per tutto il volto.
Jason incrociò le braccia. «Al tuo posto non farei tanto il gradasso. In fondo te l’avevo detto che avresti pagato le conseguenze del tuo gesto, non è vero?»
Cercando di ignorare quel formicolio sempre più insistente, Sean rispose: «Quale gesto? È stata quella troia della tua ragazza a provarci con me!»
«Bugiardo!» un altro pugno raggiunse il suo volto. «So come fanno quelli come te: credono di poter avere tutte ai loro piedi con uno schiocco di dita. Chissà cosa le hai detto per convincerla a seguirti fuori.»
«Tu sei fuori di testa!» esclamò il ragazzo, sempre più dolorante. «Tu e Alice formate una gran bella coppia di dementi. Chissà quanti ragazzi si scopa quando tu non ci sei!»
Sapeva che la situazione non era delle più adeguate per esternare i suoi pensieri più cattivi, ma le parole gli uscirono come un fiume in piena. Era ben consapevole di aver oltrepassato il limite.
A quel punto fu un susseguirsi di pugni, calci e percosse. Sean venne spinto a terra e pestato ripetutamente. Cercò di ripararsi il volto e raggomitolarsi su se stesso, ma la furia di Jason e i suoi compagni si scatenò sul corpo ormai inerme del ragazzo.
 
*
 
Qualcuno, poco fuori dal vicolo, aveva osservato tutta la scena: Sean si era messo a correre a perdifiato ed era riuscito a nascondersi nel vicolo.
La misteriosa figura, stretta nel suo impermeabile e nascosta da un cappello e gli occhiali da sole neri, aveva visto il gruppo di ragazzi guardarsi freneticamente attorno poi, attirando l’attenzione di uno di loro, indicò il nascondiglio del fuggitivo.
Da quel momento non aveva dovuto fare altro che attendere, sorridendo.
Stava andando tutto secondo i piani.
Quando vide i ragazzi uscire, si affrettò ad allontanarsi. Non voleva assolutamente correre il rischio di farsi riconoscere o preoccuparsi che qualcuno ponesse delle domande.
Preoccupandosi di non essere vista da nessuno, l’ombra percorse la via con la maggiore naturalezza possibile.
Doveva tornare ad accertarsi delle condizioni del ragazzo?
No, pensò subito. Di certo gliele avranno date di santa ragione, non c’è motivo di preoccuparsi.
Confidava sul fatto che Sean non sarebbe più stato un problema.
Restava solo da compiere gli ultimi passaggi, quelli decisivi.
Nessuno avrebbe saputo la verità e tutto sarebbe finito nel migliore dei modi.
È ora di fare una visita al caro Samuel.

 



*


Ciao a tutti! Approfitto nuovamente di questo piccolo spazio per dirvi un paio di cose.
Ci ho messo un po' ad aggiornare perché ho avuto poco tempo per mettermi a scrivere, ma soprattutto non riuscivo a dare un'impostazione a questo capitolo; spesso mi trovavo ad aggiungere faticosamente qualche frase di tanto in tanto, ma il risultato non mi piaceva.
E infatto non sono per niente soddisfatta di questo capitolo; non sono proprio riuscita a dare l'effetto che volevo. In parte è anche perché non ho mai scritto scene di violenza e mi sembrava che i gesti fossero troppo forzati, o ricordassero quelle di un telefilm scadente ahah. Questo è per dirvi che se avete dei suggerimenti su come realizzare questo particolare tipo di scena non fatevi alcun problema; so di doverci lavorare mlto, anche in virtù del fatto che non sarà l'ultima scena di questo tipo.
Ho già schematizzato i prossimi capitoli e so che direzione deve prendere la storia, spero solo di concretizzare le mie idee esattamente come le ho immaginate.
Vi ringrazio per aver letto fino a qui, vi mando un bacione. Alla prossima! - L

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Capitolo 9
*** 9. Ellie ***


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9. Ellie



La stanza piombò nuovamente nel silenzio.
Ellie osservò il fratello minore disteso nel suo letto d’ospedale, ancora privo di sensi. Si sentiva inerme, completamente incapace di reagire a quella situazione che si faceva di giorno in giorno sempre più insostenibile. Prima aveva avuto la sua ricaduta, poi qualcuno aveva cominciato a perseguitare la sua famiglia. E adesso Sean si trovava nel reparto di terapia intensiva e nessun medico sapeva dire con esattezza se il ragazzo si sarebbe ripreso completamente.
“Le prossime ore saranno cruciali” aveva riferito uno di loro, dopo un’infinita serie di esami. “Il paziente riporta numerosi ematomi e ferite, nonché possibili danni alla scatola cranica. Per questa ragione saranno necessari ulteriori accertamenti per verificare le attività cerebrali.”
Al resto della famiglia non rimaneva che aspettare. Le ore passavano e, dopo aver accompagnato Sean in ambulanza, Harriet aveva vegliato su di lui per tutto il tempo. Una volta lasciata la stanza, Elizabeth era rimasta con il fratello minore, ma i pensieri più cupi le affollavano la mente. La situazione le ricordava le innumerevoli volte in cui era finita all’ospedale per aver alzato troppo il gomito; tutte le volte in cui i medici le avevano detto che doveva prendere provvedimenti, se voleva continuare a vivere; tutte le volte in cui li aveva bellamente ignorati.
Cosa sto diventando? Si domandò. Cosa stiamo diventando?
«Si riprenderà, vedrai.» Una voce alle sue spalle la fece sobbalzare. Si voltò e vide James sulla soglia, con in mano una busta di carta. «Ho pensato che voi ragazzi aveste bisogno di mangiare qualcosa.»
Ellie sorrise. In mezzo a quella disastrosa situazione era bello vedere un volto rassicurante.
«Allora, ci sono novità?»
Mentre il detective le si accomodava accanto, Ellie gli spiegò ciò che avevano riferito i medici. «Ancora non sappiamo se e quando si riprenderà completamente.»
Poi lo ringraziò per il suo interessamento e, mentre i due sorseggiavano i loro caffè, rimasero ad osservare il ragazzo in silenzio.
«Credi... Che tutto questo possa avere a che fare con la morte di Peter Collins?» chiese Ellie ad un tratto.
Il detective rifletté per alcuni istanti prima di rispondere. «Onestamente, non ne ho idea. Da quello che mi avete detto, so che tuo fratello ha un carattere piuttosto violento ed impulsivo. È probabile che appena tornato in città sia rimasto coinvolto in una rissa.»
La ragazza considerò molto probabile quell'ipotesi. In fondo la descrizione di James Miller corrispondeva perfettamente all'atteggiamento che il ragazzo aveva sempre avuto e che si era addirittura accentuato dopo la morte dei genitori.
L'uomo però riprese a parlare: «Non mi sento comunque di escludere la possibilità che qualcuno l'abbia aggredito di proposito.»
Ellie si voltò nella sua direzione, sorpresa da quell'ultima affermazione. All'idea che qualcuno stesse perseguitando la sua famiglia e che avesse addirittura cominciato a colpire direttamente, cominciò ad inquietarsi.
Miller sembrò leggerle nel pensiero, perché riprese: «Voglio fare in modo che non vi accada nulla di male. Vi conosco da poco tempo, ma in qualche modo mi sento molto legato a voi e voglio proteggervi.»
Per un istante, la ragazza si concesse di credere che il detective avesse esteso quella frase anche ai suoi fratelli, ma che in realtà si stesse riferendo specialmente a lei.
Senza soffermarsi troppo su quella precisazione, chiese: «Cosa possiamo fare per proteggerci?»
«A questo punto credo sia necessaria una pattuglia che sorvegli l'ingresso del vostro palazzo. Inoltre, se non vi sentite al sicuro, potreste considerare l'idea di assumere delle guardie del corpo.
Ellie non era affatto convinta di quella proposta. «Vuoi dire che qualcuno dovrà sorvegliarci e seguirci ventiquattr'ore al giorno?»
Miller ridacchiò. «Non necessariamente. Potresti, ad esempio, avere qualcuno che ti guardi le spalle quando esci di casa, oppure nei momenti in cui non ti senti tranquilla quando sei sola.»
In altre parole, qualcuno l'avrebbe tenuta sotto osservazione in modo che non assumesse alcolici. La proposta la convinceva sempre meno.
«Non preoccuparti» riprese. «Puoi fare quello che ti senti. Ma sarei davvero più tranquillo sapendoti al sicuro.»
Ellie non riuscì a trattenere un sorriso, mentre ascoltava quell'ultima frase.
Senza aggiungere altro, James le prese la mano e la strinse forte tra le sue. Sorprendentemente, quel semplice gesto le trasmise subito un profondo senso di pace e sicurezza.
«Per quanto possano suonare banali o scontate queste parole, non riuscirei mai a perdonarmi se ti accadesse qualcosa di male.»
 
Quando il detective le comunicò di dover tornare al lavoro, la ragazza ricominciò a vegliare in silenzio sul fratello minore.
Oh Sean, cos'hai combinato questa volta?
Sapeva che nella sua vita i guai erano all'ordine del giorno, ma non era mai finito all'ospedale in stato di incoscienza. E pensare che se Harriet non fosse passata casualmente da quelle parti, nessuno avrebbe mai scoperto che il ragazzo era tornato in città.
Perché non ha avvertito nessuno?
 
«Non se ne parla.» «E' un'ottima idea!»
Esclamarono Aidan e Harriet all'unisono. Nel corridoio, accanto ai distributori automatici, Elizabeth aveva appena messo al corrente i fratelli del'idea di Miller.
Mentre la sorella minore aveva approvato subito senza riserve, Aidan si era mostrato decisamente contrariato. «Sarò felice se voi accetterete, ma io non voglio assolutamente che qualcuno mi stia tra i piedi tutto il giorno.»
Ellie notò che il fratello era di umore nero. Infatti, non faceva altro che fissare in continuazione lo schermo del suo cellulare, oltre a camminare nervosamente per il corridoio.
«Aidan, che succede? Ti senti bene?»
Il ragazzo si lasciò cadere su una sedia, poi rispose: «A dire la verità, ho avuto qualche problema con il lavoro. Non è nulla di grave, ma sono preoccupato per alcuni investimenti che non sono andati in porto come speravo.»
Ellie ne fu sorpresa poiché, pur lavorando nello stesso edificio, era completamente all'oscuro di quell'aspetto prettamente legato alla contabilità.
«Ragazzi, andate pure a casa a riposare» disse poi Harriet. «Voglio rimanere qui con Sean.»
Ellie ringraziò mentalmente la sorella; dopo tutte le emozioni che quella giornata le aveva riservato, non vedeva l'ora di concedersi un po' di riposo.
Invece Aidan parve contrariato da quell'affermazione, ma poi rispose: «D'accordo, andiamo.»
 
Per tutto il viaggio fino a casa, Aidan non aprì bocca. La ragazza si chiese se la situazione al lavoro non fosse più grave di quanto sembrasse, oppure se il fratello avesse altre preoccupazioni che preferiva tenere per sé. Ad ogni modo evitò di indagare oltre ed indispettirlo ulteriormente.
Come il tragitto in auto, anche i momenti in ascensore trascorsero in totale silenzio. Una volta fatto il loro ingresso, i due furono accolti da una Pauline più che ansiosa. «Per fortuna siete tornati. Samuel è sparito, non riesco a trovarlo da nessuna parte!»
Ellie cercò di mantenere la calma, mentre il fratello prendeva in mano la situazione e cominciava a perlustrare l'attico.
La ragazza inspirò profondamente, poi si sedette sullo sgabello del bancone in cucina. La sua attenzione fu catturata da un foglio completamente bianca che si trovava in mezzo alle buste della posta ritirata. Non presentava alcun nome ne' indirizzo, perciò qualcuno doveva averlo poggiato lì recentemente e di proposito. Con il cuore che le batteva all'impazzata, dispiegò il foglio e lesse con attenzione le parole scritte con una calligrafia incerta e tremolante:
 
Miei cari ragazzi,
solo Dio sa quanto mi costi scrivere queste parole, ma è giunto il momento per me di dare una svolta alla mia vita. È da diverso tempo che ci rifletto e sono giunto alla conclusione che la routine quotidiana si sta facendo troppo soffocante. Vi chiedo scusa per non avervi detto nulla e per averlo fatto solo ora in modo così improvviso e sbrigativo, ma ho sentito l'esigenza di allontanarmi immediatamente. Sparirò dalla circolazione e starò via per un po', poi deciderò cosa fare per il resto della mia vita.
Non temete, non è colpa vostra; è stato un onore per me servire la vostra famiglia e vi auguro tutto il meglio possibile. Ve lo meritate.
Con affetto,
Samuel.”

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