L'occhio di Aida

di cherfifina96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




Note!


Allora... Prima di tutto,ringrazio Merkelig , perché senza di lei sarei ancora in alto mare e uno dei personaggi si chiamerebbe come un motociclista.

Altri ringraziamenti vanno a Vero Fusa (so che il tuo nick non si scrive così, ma era più comodo xD) perché mi ha fatto morire dal ridere cercando di risolvere il caso; e alla mia Ery-chan, che non importa se ciò che scrivo è spazzatura, lei mi sosterrà sempre.

 

Bene! Parte melensa finita! Buona lettura!

 

Capitolo 1

 

La prima cosa che ricordo di quel giorno, è l'odore della macchina dell'assistente sociale che mi stava accompagnando per l'ennesimo primo giorno, nell'ennesima nuova scuola. Quell'odore di libri nuovi, che nessuno ha mai aperto e di caramelle alla menta.

Sospirai. Avevo ormai perso il conto di quanti istituti ero stata costretta a cambiare a causa della mia diversità, chiamiamola così.

La mia accompagnatrice accostò senza spegnere il motore.
-Ascolta, Aida. Questa volta sarà diverso. Non sarai ospitata in una casa famiglia ma verrai data in affido alla tua datrice di lavoro, la signorina Braden, d'accordo?- disse la donna voltandosi verso di me, cercando di assumere una falsa aria felice. Come se avessi la possibilità di scegliere con chi stare. Sbuffai e feci per scendere dalla vettura, quando una fitta all'occhio destro mi fece gemere di dolore.

-Tutto bene?-
Mi voltai di scatto verso quella donna e la guardai per un'infinità di secondi. Che ne sapeva
lei? Come poteva solo immaginare come ci si sentisse a essere nei miei panni?
Non risposi alla domanda e scesi dall'auto senza nemmeno salutare; non avevo motivo di farlo, visto che con molta probabilità non l'avrei mai più rivista, con mio sollievo.

 

**

 

Appena entrata nell'atrio della scuola, centinaia di occhi si spostarono su di me e, come sempre, seguì un fiume di bisbiglii. Roteai gli occhi e continuai per la mia strada. Ero stata in così tante città diverse, in così tanti istituti diversi, che ormai sapevo dove trovare gli uffici dell'amministrazione.

Quando la segretaria, una donna sulla quarantina con occhiali a mezzaluna gentilmente posati sul naso, mi accolse per consegnarmi gli orari di lezione e farmi compilare alcuni moduli, mi sembrò subito una brava persona. Cercò immediatamente di evitare di fissare la benda che mi copriva l'occhio destro e mi sorrise gentilmente, senza quella sfumatura di compassione che caratterizzava da sempre i sorrisi di circostanza che mi venivano rivolti.

Compilai i moduli e salutai con un cenno della mano e con il sorriso migliore che riuscì a fare la segretaria e mi avviai in corridoio per aspettare l'inizio della lezione successiva. Non amavo molto interrompere una lezione già in corso. La gente tendeva a fissarmi a causa dell'occhio e anche perché ero sempre quella nuova, non mi serviva certo un altro motivo per attirare sguardi su di me.

Colsi l'occasione per guardare gli orari di lezione. Storia, letteratura, filosofia, matematica e di nuovo storia. Sbuffai. Il pensiero che dopo la scuola avrei dovuto andare al “lavoro” mi irritava. Per fortuna, si fa per dire, la campanella suonò, avvertendomi che la pausa era finita e che dovevo incamminarmi verso l'aula di storia. Che gioia... Incontrare i miei compagni.... Non vedevo l'ora.... L'ironia non si coglie, vero?

 

 

 

Aprii svogliatamente la porta dell'aula di storia e notai, con mio sommo piacere e sollievo, di essere sola. Mi accomodai in seconda fila, vicino alla porta e poggiai il mento e le mani sul banco, in attesa. Qualche minuto dopo l'aula si riempì di persone. Ovviamente tutti notarono la mia presenza, ma prima che potessi dire qualsiasi cosa, il professore di storia entrò, chiuse la porta e mi invitò ad avvicinarmi a lui per le presentazioni. Mi alzai di malavoglia e raggiunsi la cattedra.

-Buongiorno. Sono Aida Steuben, ho 16 anni e questa probabilmente è la trentesima scuola che cambio. Se evitaste gentilmente di fare commenti sull'occhio ve ne sarei grata. Direi che è tutto.- conclusi con un sospiro e mi sedetti al mio posto. Il professore iniziò la lezione, un po' turbato. Credo si aspettasse qualcuno di più... Non so..... Vitale...

Tutte le lezioni successive furono identiche. Iniziavano con la mia presentazione e finivano con i ragazzi che sparlavano di me mentre uscivano dall'aula.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***





Capitolo 2

 

Finite le lezioni uscii dalla scuola e mi sedetti sul muretto ad aspettare che mi venissero a prendere. Cercai di ricordare il nome della mia tutrice e ci misi un po' per riuscirci. Signorina Braden. Avrei dovuto ricordarmelo.

Ero sempre stata una frana con i nomi, forse a causa dei frequenti trasferimenti. Per questo quando un gruppetto di ragazze mi si avvicinò ridacchiando non me ne accorsi subito, poiché troppo impegnata a ricordare quel nome.

Quando mi resi conto della loro presenza non mi scomposi nemmeno. Mi limitai a fissarle con uno sguardo neutro.

-Allora....-esordì la ragazza al centro del gruppo -Si dice in giro che tu non sia esattamente socievole... Perciò volevamo essere gentili e chiederti di diventare nostra amica... Ovviamente dopo aver superato un'iniziazione....-

Le ragazze dietro di lei ridacchiarono ma sapevo già cosa volevano. Credevano davvero che mi sarei sottoposta a un'umiliazione pubblica che non avrebbe nemmeno portato alla loro “amicizia”? Mi credevano davvero così idiota?
Alzai un sopracciglio e mentre mi alzavo per spostarmi dissi -No grazie. Non mi interessa.- e me ne andai

 

 

**

 

Mentre camminavo senza una meta, una macchina mi si accostò.
-Tu sei Aida Steuben?- chiese la donna al volante, che nel frattempo aveva abbassato il finestrino.

Annuii e lei sorrise, aprendo la portiera del passeggero.

-Piacere! Io sono Donna Braden!- mi tese la mano mentre salivo ma non la strinsi.

-Beh...- disse grattandosi una guancia abbronzata -Mi avevano avvertita sul fatto che non sei molto socievole.. concluse con una risata un po' nervosa e con un sorriso che non mi sembrò falso.

 

 

-Allora, che ti piace fare?- chiese una volta ripartite.

Non risposi ma lei non si diede per vinta.

-Ce l'hai una voce?-

Silenzio.

Donna sospirò -Sai, non puoi stare zitta per sempre. Non con me.-

Girai la testa verso di lei e anche lei mi guardò, sorridendo.

-Hai capito bene. Prima o poi mi parlerai. E sai perché? Perché sono l'ispettrice Donna Braden e sono stata io a chiedere il tuo aiuto.-

Ah. Ora capisco.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***





Capitolo 3

 

Arrivate alla centrale di polizia, scendemmo dalla macchina nel più completo silenzio. Non che mi dispiacesse. Anzi; così potevo godermi quei momenti di tranquillità senza nessuna pretesa da parte di chiunque.

Appena entrate, la pace andò in frantumi. Tutti i presenti si bloccarono non appena mi videro. Non si aspettavano una sedicenne con l'aspetto di una dodicenne, vista la mia altezza e il mio viso da bambina. Probabilmente tutti sapevano perché mi trovassi lì.

-Da questa parte- disse Donna con un sorriso, mentre mi guidava nella sala interrogatori.

Appena un'agente chiuse la porta, notai che un uomo molto robusto, con folti baffi neri e una coda bassa, stava seduto al tavolo al centro della stanza, con le mani ammanettate in bella vista.

-Bene. Aida, lui è Joseph De Vino. Joseph, lei è Aida. Assisterà alla nostra chiacchierata e ci confermerà o smentirà quello che dirai.-

-Chi è questa bambina? Una testimone di una mia rapina?- chiese l'uomo con tono di scherno.

-Che vuoi fare, dolcezza? Testimoniare contro di me?- aggiunse con una risata.

Io non risposi e mi sedetti accanto a Donna. Quando mi tolsi la benda dall'occhio, feci cenno di cominciare.

-Allora, Joseph... Sai niente di un certo “Centauro”?-

-No.- rispose svogliatamente, mentre mi fissava.

Sì, invece, idioti. Ma non lo saprete mai perché non ci sono prove!”

Sbuffai. Trovavo fastidioso dover leggere i pensieri di quell'idiota.

Sì. avete capito bene. Posso leggere i pensieri altrui. Letteralmente. Mi appaiono come scritte luminose accanto alla testa di chi sta pensando, e posso vederle solo con l'occhio destro. È per questo che lo tengo sempre coperto. Sarebbe un fastidio maggiore, altrimenti.

Mi girai verso Donna e feci cenno di no con la testa.

-A quanto pare stai mentendo. Dì la verità.-

-L'ho fatto!-

Che quella ragazzina possa avere qualche prova? Possibile? Appena questa vipera di donna si distrarrà anche solo per un secondo, fracasserò la testa a questa mocciosetta!”

Lo guardai irritata.

-Posso insultarlo?- chiesi a Donna.

-Perché?-

-E' un gran maleducato-

-Fa pure- rispose lei con un sorriso.

Rivolsi la mia attenzione al decerebrato mentale di fronte a me e sorrisi anche io, parlando con voce dolce e calma, come si fa con i bambini quando non capiscono qualcosa.

-Ascolta, ignobile sottospecie di insetto, ti consiglio vivamente di rivolgerti a me con più gentilezza e la stessa cosa vale anche nei confronti dell'ispettrice Braden, altrimenti la testa te la fracasserò io non appena resteremo soli.-

-Questa ragazza straparla! Non le ho nemmeno rivolto la parola adesso!-

-Joseph.... Lei legge nel pensiero.- disse sorridendo Donna.

L'uomo la guardò con sguardo interrogativo -Cosa?-

-Hai capito bene. Quindi farai meglio a dirci la verità-

-E cosa vi fa credere che non sia lei quella a mentire? State credendo a una mocciosetta che dice di poter leggere nel pensiero!-disse, spavaldo.

-Perché altrimenti il suo occhio destro avrebbe cominciato a sanguinare-

Esattamente. Non posso mentire o ne pagherei le conseguenze. Un altro lato negativo dell'essere me.

-Non vi credo.- disse Joseph -Non avete prove e volete solo spaventarmi!-

Donna si voltò verso di me e capii che dovevo dargli una prova. E l'avrei fatto. L'unico punto a favore dell'essere così diversa, è quello di poter spaventare la gente che si comporta male nei miei confronti.

Il bicchiere che si trovava sul tavolo esplose i mille pezzi senza che nessuno lo avesse toccato. Pochi secondi dopo anche il tavolo si rovesciò senza preavviso.

Joseph mi fissava basito e notai che anche Donna e l'agente che aveva chiuso la porta erano abbastanza turbati. Io, invece, non mi ero mossa di un millimetro e la mia espressione non era mutata. Fissai l'uomo di fronte a me.

-Ti basta questo come prova del fatto che posso fare certe cose che gli altri non possono o vuoi un'altra dimostrazione?-

Lui scosse il capo e, tremando, disse che avrebbe collaborato. Ottenuta la collaborazione di Joseph, mi chiesero di uscire. Non mi avevano mai fatto assistere ad un interrogatorio. Lo scopo della mia presenza era solo quello di capire chi stesse mentendo o leggere i pensieri altrui in modo da aiutare a risolvere casi particolarmente difficili.

Non appena fui uscita dalla stanza mi sedetti a gambe incrociate sul pavimento e studiai un po', per passare il tempo. Mi piaceva studiare, soprattutto storia. Potevo volare con la fantasia in luoghi e tempi lontani, e immaginare di essere chiunque altro tranne me stessa. Era una bella sensazione.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 

 

Capitolo 4

 

Terminato l'interrogatorio, Donna e io ci avviammo verso casa sua.

<< Ti ringrazio per essere venuta e per l'aiuto che mi hai dato oggi >> disse dopo aver messo in moto la macchina.

<< Di nulla. >>

<< Sai... Credo dovresti lasciare scoperto l'occhio destro.... Ha un colore molto bello. >> disse con un sorriso.

<< Sarebbe solo fastidioso. Non riesco a evitare di leggere i pensieri se non lo copro. Non mi va di farlo quando non è necessario. >>

Donna sorrise. << Riguardo all'esplosione del bicchiere e al tavolo.... >> riprese << Sarebbe grandioso se potessi farlo anche io. Non sai quanta gente si meriterebbe un tavolo in faccia! >>

Per la prima volta da tempo risi anche io. E non una risata forzata. Lo feci sul serio. Forse perché mi sentivo finalmente accettata per ciò che ero e non considerata solo un fenomeno da baraccone. Forse per la prima volta, mi sentivo sollevata nel sentire che qualcuno scherzava su ciò che ero in grado di fare senza l'intenzione di ferirmi. Credetti di sentirmi felice e questo mi spaventò a morte.

 

 

La prima notte a casa di Donna fu caratterizzata da incubi. Sognavo di essere felice ma che poi questa felicità mi venisse tolta bruscamente, rendendomi impossibile provare di nuovo quel sentimento.

Dopo una nottata così, al mattino fu molto difficile alzarsi per andare a scuola.

Donna voleva accompagnarmi a tutti i costi e non me la sentii di rifiutare, visto che non avevo la forza per arrivare a scuola a piedi.

<< Oggi puoi andare a casa direttamente; non serve che tu venga in centrale, capito? >> disse la mia tutrice non appena giunte a destinazione. Io annuii in risposta e chiusi la portiera, avviandomi verso l'entrata.

Una volta dentro, mi diressi in biblioteca, visto che avevo la prima ora libera. Mi accomodai sulla prima sedia che vidi e guardai i titoli dei libri sistemati di fronte a me, immaginando il loro argomento, la storia dell'autore e così via. Persa com'ero nei miei pensieri, nemmeno mi resi conto che un ragazzo dietro di me mi stava fissando con un sorriso furbo stampato in viso.

<< BUH! >>

Appena udii la sua voce, sobbalzai per lo spavento, facendo anche ribaltare una fila intera di scaffali accanto a me. Dannata telecinesi.

Appena il tonfo derivato dalla caduta di libri e scaffali si disperse nell'aria, mi voltai verso il ragazzo, che ora aveva un'espressione sbalordita.

<< Sei impazzito? Mi hai fatto quasi morire d'infarto! >>

Lui cominciò a balbettare suoni incomprensibili fissandomi con gli occhi sgranati.

Sospirai, alzandomi.

<< D'accordo.... Respira >> gli dissi mettendomi di fronte a lui.

Il ragazzo seguì i miei movimenti con lo sguardo cercando di calmarsi.

<< Ma hai visto cos'è successo? >> chiese poi.

<< Ehm... Sì? Fino a prova contraria, anche io ho gli occhi >>

Lui mi fissò << Veramente solo uno >> disse a bassa voce. << Com'è successo? >> aggiunse.

Dannazione. Questi sono i casi in cui vorrei sparire. Non mi piace tenere nascosto ciò che so fare, ma ogni volta che qualcuno ne viene a conoscenza reagisce in modi diversi: incredulità, scherno, rabbia, e la cosa mi irrita parecchio.

Mi preparai psicologicamente prima di parlare. << Sono stata io. Mi hai spaventata e ho perso il controllo. No. Non sono pazza e non ti sto mentendo. Se non mi credi posso sempre dirti una balla qualsiasi e vedrai cosa succederà. >>

Dissi tutto d'un fiato, in modo che non potesse interrompermi. Restai stupita quando notai che non aveva distolto lo sguardo e che mi fissava con occhi attenti, e non pieni di disprezzo o paura.

<< Se non ti spiace, vorrei davvero una prova di ciò che dici >> disse poi con tono serio.

Sospirai togliendo la benda dall'occhio, senza, però, aprirlo.

<< Ehm.... Il cielo è verde. >> dissi

Sì, ok, non ho fantasia.

Quasi istantaneamente l'occhio destro cominciò a dolere e a sanguinare copiosamente.

Il ragazzo mi fissò, nel panico. Aprii l'occhio e vidi cosa stesse pensando.

Come faccio a fermare il sangue? Allora è vero. Non stava mentendo... ”

Mentalmente, gli feci un applauso, con tanto di coretto “ Sei uno scemo, sei uno sceeemo!! ”

<< Ok, non è vero. Il cielo è azzurro. >> così come aveva iniziato, il sangue smise di sgorgare. Mi ripulii il viso e rimisi la benda.

<< Questa è la cosa più strana che abbia mai visto >> sussurrò lui, abbastanza forte da farsi sentire.

Inarcai le sopracciglia, sistemai gli scaffali e libri caduti a terra con la telecinesi, e feci per andarmene ma il ragazzo mi fermò.

<< Come ti chiami? >> chiese non appena mi fui voltata.

<< Aida >> risposi atona.

<< Jay, piacere >> mi tese la mano con un sorriso e io, titubante, gliela strinsi delicatamente.

<< Senti. Immagino che tu abbia qualche difficoltà a farti degli amici. Ovviamente non ti sto chiedendo di diventarlo da un giorno all'altro, ma credo che un po' di compagnia non ti faccia male. >> aggiunse subito dopo.

<< D'accordo. Se proprio vuoi. >>

<< Grande! Ti va di accompagnarmi dal preside? Ho preso una nota e devo andare a parlare con lui. >> disse con fare menefreghista mentre già si avviava. Io lo seguii non avvicinandomi troppo, chiedendomi che cosa volesse da me.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***




Capitolo 5

 

Appena fummo davanti alla porta della presidenza, una sensazione poco piacevole mi pervase. Come quando si sentono in anticipo i cambi di temperatura.
Notando la mia rigidità, Jay mi sorrise e mi prese per un braccio, trascinandomi all'interno dell'ufficio del preside.

<< Buon giorno, signor Hamilton. Voleva vedermi? >>
<< Sì, signor Messner. Volevo vederla ma non credevo si sarebbe portato dietro la sua ragazza... >> rispose l'uomo seduto dietro la scrivania.
Lo guardai sollevando le sopracciglia.

<< Non è così >> stranamente, io e Jay parlammo nello stesso momento, provocando un moto d'ilarità nel preside, che, però, si riprese quasi subito.

<< Ho capito, ho capito... Prego sedetevi. >>

Ci accomodammo e il signor Hamilton iniziò a parlare, sporgendosi un po' sulla scrivania, come preoccupato che non sentissimo bene le sue parole.

<< Signor Messner. Non so più come dirglielo ma devo ricordarle ancora una volta di cambiare il suo atteggiamento. Le ho già detto molte volte di smettere di fare scherzi immaturi alla professoressa Robinson. Devo invitarla a cambiare il suo atteggiamento o le conseguenze saranno più gravi di un richiamo scritto, la prossima volta. >>

Jay annuì svogliatamente, alzandosi senza che il preside potesse proseguire e mi fece cenno di seguirlo.
Una volta usciti, sospirò e notai che aveva difficoltà a trattenere le risate.

<< Che ci trovi da ridere? >> chiesi.

<< Sarà la decima volta che mi dice una cosa del genere. >> rispose ridacchiando.

Stavo per ribattere, quando il mio cellulare vibrò nella mia tasca, avvertendomi di una chiamata.

<< Pronto? >>

<< Aida? Sono Donna! >>

<< Sì, lo so. Ho salvato il tuo numero. >>

<< Ah già.... Ehm... So che ti avevo detto che oggi non serviva la tua presenza in centrale ma.... le cose sono cambiate. >>

<< Che succede? >>

<< Ti spiego in macchina. Sono fuori dalla scuola. >>

 

 

Salutai in tutta fretta Jay, senza nemmeno dargli una spiegazione, e corsi fuori dove Donna mi stava già aspettando col motore della macchina ancora acceso.

<< Joseph è riuscito a comunicare al Centauro il tuo coinvolgimento. Mi sentirei più sicura a saperti in un luogo protetto. >> esordì Donna non appena salii sulla vettura.

<< Tranquilla. Non è la prima volta che mi capita di essere messa in pericolo. >>

Mi squadrò con uno sguardo che mai in vita mia mi era stato rivolto. Apprensione. Preoccupazione. Per me.

Abbassai lo sguardo, senza parlare. Era così strano che qualcuno fosse realmente preoccupato per me.

 

**

 

Passammo tutto il pomeriggio in centrale. Io ero molto tranquilla e, mentre tutti quanti sembravano sull'orlo di una crisi di nervi, mi concedetti pure un sonnellino.

Non ci furono novità e Joseph non volle rivelare nulla su come si era messo in contatto con il Centauro o cosa avesse in mente e quindi nessuno sapeva come comportarsi. Da ciò che avevo capito, questo cosiddetto “Centauro” era un criminale molto pericoloso, che sceglieva le sue vittime secondo un criterio ancora sconosciuto e doveva il suo nome al suo modus operandi. Quando perpetuava un omicidio, prima legava e imbavagliava le sue vittime, torturandole nei peggiori modi possibili, e poi infliggeva loro il colpo di grazia con un ferro di cavallo rovente. Da qui il nome Centauro.

Non appena fu buio, Donna ed io ci avviammo verso casa.

<< Ti sei annoiata? >> chiese.

<< No. Solo che non capisco tutta questa paura. D'accordo, potrei essere diventata il suo prossimo bersaglio, ma mi è sembrato un po' esagerato il fatto di farmi uscire prima da scuola e tenermi sotto stretta sorveglianza. >>

<< E' per la tua sicurezza! Non voglio che ti capiti qualcosa! Sei sotto la mia tutela, è mio dovere proteggerti! >>

<< Saresti la prima a pensarla così >>

Mi morsi la lingua. Non avrei dovuto dirlo. L'ultima cosa che volevo era che Donna provasse pietà per me.

<< Non essere così pessimista! Sono certa che- >> ma non la feci continuare.

<< Di cosa? Del fatto che anche in tutti gli altri posti un cui sono stata ci fosse qualcuno disposto a proteggermi o a preoccuparsi minimamente per me? A pensare che magari anche io avevo bisogno di un abbraccio o di una parola di conforto? Beh, no. Se è questo che pensi ti sbagli. Ovunque sia stata, non ho trovato altro che disprezzo da parte dei miei coetanei e paura da parte degli adulti. Quindi mettiamo subito le cose in chiaro: se hai paura di me, evita di fare la carina e dimmelo apertamente, così come dovrebbero farlo i tuoi collaboratori. Non ho bisogno di altra pietà o altra gentilezza di circostanza. >>

Guardai Donna. Lei non proferì parola finché non arrivammo a casa.

Scesi dall'auto e mi avviai verso il portone d'ingresso seguita dalla mia tutrice. Forse avevo esagerato. Non avrei dovuto dirle quelle cose, sopratutto perché nessuno ha mai creduto che persino coloro che avrebbero dovuto prendersi cura di me avessero il terrore anche solo a stare nella stessa stanza in cui mi trovavo.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***




Note!

 

Prima di tutto, ringrazio tutti coloro che hanno commentato e che commenteranno in futuro... Sinceramente non mi aspettavo di ricevere così tanti pareri positivi!!! Mi ha fatto davvero piacere leggere tutte le recensioni e spero di non deludervi con questo capitolo e con i prossimi che verranno!

 

 

Buona lettura!

 

 

Capitolo 6

 

Entrammo in casa nel più completo silenzio.

<< Aida >> il mio nome in un sussurro incerto.

<< Sì? >>

<< Mi dispiace. Se ti ho dato l'impressione di non tenere a te, mi dispiace. So cosa significhi essere soli al mondo, perché anche io ho vissuto la mia intera infanzia in orfanotrofio. Nessuno sapeva come comportarsi con me perché avevo visto morire i miei genitori nell'incendio che distrusse la mia casa. Molto spesso, sentivo le insegnanti parlare di me come se nemmeno fossi presente. Quindi ti capisco, ed è per questo.... >> la sua voce si spense.

Guardai Donna, ora consapevole della veridicità di tutti quei sorrisi e delle sue parole.

Le poggiai le mani sulle spalle << Grazie. Sei la prima persona che riesce a capirmi. Ti ringrazio e ti chiedo scusa se sono stata un po' rude, prima, in macchina. >>

Donna sorrise, un sorriso forzato ma comunque sincero. << Andiamo a mangiare, sarai affamata >>

 

 

Donna non era esattamente una cima ai fornelli ma almeno i suoi piatti erano perlopiù commestibili.

Cenammo chiacchierando (credo che mi sia sfuggito anche un sorriso) e decidemmo di guardare un film in TV, sul divano.

<< Cosa vuoi guardare? >>
<< Mi va bene tutto.... Mi piace molto guardare i film.... Di solito, quando gli attori recitano, pensano alle cose più strane >> risposi mentre toglievo la benda dal mio occhio destro.

Donna mi fissò, sul punto di scoppiare a ridere << Guardi i film per spiare i pensieri degli attori? >>

<< Sì... Che c'è di male, scusa? >>

Lei non riuscì più a trattenersi e cominciò a sghignazzare, cercando comunque di contenersi.

<< Vorrei proprio sapere che cosa pensano! >>

<< Durante il film posso dirti i pensieri più strani e divertenti, se ti va... >> le dissi.

<< Sì, dai! >>

Finalmente trovammo un film, e devo dire che passammo una bella serata, dopotutto.

Alla fine, eravamo così stanche che ci addormentammo sul divano.

Ancora non sapevamo che, dall'altra parte della città, si stava svolgendo qualcosa di orribile.

 

**

<< Donna! Sveglia!!! >> casa di Donna. Ore 07,40, mercoledì. Io, Aida Steuben, stavo per perdere le speranze (e anche la voce) nel tentativo di svegliare quel bradip-, ehm, volevo dire, la mia tutrice, che non ne voleva sapere di alzarsi dal divano.

<< Che cosa c'è? >> chiese con voce impastata dal sonno, alla fine.

<< C'è che non è tardi, ma TARDISSIMO! Alzati! >> risposi mettendole sotto in naso la sveglia.

Non appena si rese conto dell'ora, Donna schizzò in piedi, correndo a destra e a sinistra, preparandosi in tutta fretta.

Salimmo in macchina a tempo di record (07.50! Per una donna è davvero pochissimo per prepararsi!) e ci dirigemmo verso la scuola.

Donna mi fece scendere e quasi non riuscii a chiudere la portiera, perché era già schizzata via.

Sospirai, entrando a scuola. Alla prima ora avevo letteratura, così mi avviai verso l'aula. Appena entrata, notai che già molti altri studenti erano presenti, e, di conseguenza, i posti in fondo erano già tutti occupati; non mi restò altra scelta che sedermi in prima fila.

Al suono della campanella, la porta si spalancò con violenza. Ansimante per la corsa, Jay alzò il pugno, in segno di vittoria.

<< Ehi, Jay! La sveglia non ha suonato di nuovo, eh? >> disse un ragazzo con fare scherzoso.

<< Già! Però potevi anche tenermi un posto Mal!! >> rispose lui sorridendo.

Il ragazzo si sedette accanto a me e mi sorrise << Vorrà dire che starò con Aida per tutta l'ora e che non ti passerò le risposte! >> esclamò girandosi verso il suo amico, facendo la linguaccia. A questo suo gesto, si levò una risata collettiva. Dunque Jay era un tipo popolare? Perché mai avrebbe dovuto rivolgermi la parola, allora?

I miei pensieri furono interrotti dall'arrivo della professoressa Robinson.

<< Salve prof! >> fece il mio vicino di banco, con un enorme, anzi mastodontico, sorriso stampato in faccia.

Da parte sua, la donna sbiancò visibilmente, tanto che temetti stesse per avere un mancamento.

<< Lei è la mia “vittima” preferita, in quanto a scherzi! >> mi sussurrò Jay.

<< Li fai spesso? >>

<< Eccome! Almeno riesco a non essere introverso! >> lo guardai interrogativa. << Non si nota vero? >> continuò.

<< No, infatti. >>

Lui sorrise e si voltò verso la professoressa, che cercando di riprendere il controllo di sé, cercava di iniziare la lezione.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 

 

Capitolo 7

 

<< Ragazzi! Venite! Vi presento Aida! >>

Mentre mi tratteneva per un braccio, Jay fece segno ai nostri compagni di avvicinarsi.

<< Mal, Aida. Aida, Mal. >>

<< Piacere. In realtà mi chiamo Malcom. >> fece il ragazzo, quello che aveva accolto Jay, porgendomi la mano, che non strinsi.

<< Oh, andiamo, Aida! Non ti mangia, sai? >> fece l'altro.

In tutta risposta lo guardai storto.

<< Quanto clamore per una ragazza! >> fece una voce femminile alle mie spalle.

<< Lisa! Dai, non fare la solita guastafeste! >> Jay la fece avvicinare. Era la stessa ragazza che mi aveva avvicinata il primo giorno.

<< Ci ho già parlato. Non m'interessa essere sua amica. >> rispose lei << E' così strana! Insomma.... Che diavolo hai fatto all'occhio? E poi se hai cambiato così tante scuole, sarà perché nessuno dei tuoi genitori affidatari ne voleva sapere di te! Guarda che lo so che sei orfana! >>

<< Lisa, smettila! >> fece Jay, alzando la voce.

<< Già. Questa potevi anche risparmiartela. >> gli fece eco Malcom.

Io la guardai << A quanto pare non ti sei informata bene. Non ho mai avuto genitori affidatari. Questa è la prima volta. Fatto sta che non sono affari tuoi, comunque. L'occhio.... Beh... Nemmeno quello ti riguarda, quindi evita di fare l'oca, gentilmente, e non usare quel tono con me, grazie. >>

<< Ma l'avete sentita? Chi si crede di essere? Jay! Dille qualcosa! >>

Lui fece scorrere il suo sguardo da lei a me.

<< Ehm... Complimenti! Ci voleva qualcuno che tenesse testa a Lisa! >> esclamò sorridendo, facendo infuriare ancora di più la ragazza, che girò i tacchi e se ne andò.

<< E' vostra amica? >> chiesi.

<< Più o meno. Noi tre >> Malcom indicò sé stesso, Jay e dove fino a poco tempo prima c'era Lisa << siamo da sempre vicini di casa, per cui ci conosciamo. >>

<< Capisco. >> mi alzai dalla sedia e feci per avviarmi in corridoio, quando Jay mi fermò.

<< Dove vai? >>

<< Alla prossima lezione, perché? >>

Lo vidi assottigliare lo sguardo << Mmmmh.... Vengo con te!!! >>

Che?!

 

**

 

Io e Jay ci dirigemmo verso l'aula di educazione civica.

<< Come mai hai voluto venire con me? >> chiesi.

<< Così. Pensavo potessi essere un po' scossa per ciò che ti ha detto Lisa. >> fece lui alzando le spalle.

<< Non c'è problema. >>

<< Credevo sul serio che avresti ribaltato i banchi, in realtà... >> disse ridendo.

Sollevai un sopracciglio.

<< Andiamo! Era una battuta! >> esclamò dandomi una leggera gomitata.

Sospirai, sconfitta, e risposi al suo sorriso.

Passammo il resto della giornata insieme e, quando fu ora di andare a casa, Jay disse qualcosa di assolutamente inaspettato.

<< Sono contento che siamo diventati amici! Ciao, a domani! >>

Amici.

 

 

Amici. Amici. Amici. Amici.

L'aveva detto davvero? No. Impossibile. Beh... Forse.... No, no.... Dovevo aver sentito male...Per tutto il tragitto dalla scuola a casa i miei pensieri furono questi.

Giunta a destinazione, mi fiondai sul letto e crollai addormentata, a causa dello shock.

Amici. Amici. Amici....

 

**

 

<< Dunque è lei... >>

<< Sì... Fa un po' paura, vero? >>

<< Già... >>

No. Non di nuovo.

<< Maestra! La ragazza strana ha rotto il bicchiere senza toccarlo! Ho paura! >>

<< Oh, sta' tranquilla, piccola. Non ti farà più niente di male! >>

Basta.

<< Ehi, mostro! Dove vai, mostro? Mostro! Mostro!!! >>

BASTA!

 

Mi svegliai di soprassalto. L'avevo sognato di nuovo, eh? L'orfanotrofio.

Mi raggomitolai su me stessa. Non volevo ricordare.

 

**

 

Qualche tempo dopo, quando mi ripresi, mi resi conto che nel sonno avevo fatto un leggero caos..

Le tende erano squarciate, i vetri delle cornici erano rotti e i quadri erano a terra. Il vaso che stava sul davanzale della finestra era esploso e la porta era ammaccata.

<< Sono a casaaaa!!! >>

Sobbalzai. Non mi aspettavo che Donna rincasasse così presto!

<< Com'è andata ogg-... >> entrata in camera mia, sgranò gli occhi per la sorpresa.

<< Che cos'è successo? >>

Boccheggiai per un attimo.

<< Brutto... Sogno... >> dissi con una risata nervosa.

Donna sospirò << Non importa. Ripuliremo più tardi. Ora andiamo a mangiare, ok? >>

<< Va bene... Ma cucino io questa volta! >>

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***




Capitolo 8

 

Mentre io cucinavo, Donna apparecchiava.

<< Senti... >> iniziò << Visto che nella tua camera sembra scoppiata una bomba, ti cedo la mia, per stanotte, ok? Io dormo sul divano. >>

<< No! Non c'è bisogno! >> mi affrettai a rispondere.

Donna mi fissò è sorrise << Vedo che una volta conquistata la tua fiducia, non sei altro che una ragazza come le altre! Gentile, simpatica e premurosa! >>

Aprii la bocca, sorpresa. Effettivamente, mi ero molto lasciata andare con lei. Feci spallucce e ripresi a cucinare.

Appena la frittata fu pronta, ci accomodammo per cenare. Stavo per mangiare il primo boccone, quando il telefono di Donna prese a trillare all'improvviso.

<< Qui è l'ispettrice Braden. Sì. Sì, va bene. Arriviamo subito, grazie. >>

<< Chi era? >> chiesi.

<< Mi hanno appena comunicato che il Centauro, questa volta, ha fallito. Una delle sue vittime è sopravvissuta >>

Sgranai gli occhi. << Come sta? >>

<< Non lo so. Dicono che sia in stato di shock. Mi hanno chiesto di andare sul luogo in cui lo hanno ritrovato. E hanno richiesto anche la tua presenza. >>

 

**

 

In meno di un quarto d'ora, raggiungemmo la nostra destinazione. Entrammo in un magazzino abbandonato, pieno di rifiuti. Il luogo ideale, per un omicidio.

L'odore di putrefazione e ruggine sembrava insinuarsi fin dentro le ossa, così mi coprii il naso con la manica della felpa.

<< Allora, dov'è la vittima? >> chiese Donna. Non l'avevo mai sentita usare quel tono autoritario.

<< E' da quella parte, ispettrice >> disse un poliziotto, indicandoci un angolo del magazzino, in cui molte persone si erano raccolte, probabilmente per i primi soccorsi.

<< Grazie >>

Non appena ci trovammo davanti all'uomo, Donna gli si accostò.

<< So che è un brutto momento per chiederle di parlarmi di ciò che le è successo, per cui non insisterò se non volesse parlarmi. Vorrei solo che mi dicesse il suo nome. >>

<< Mi chiamo Dan Messner >> disse l'uomo con voce tremante.

Messner. Era lo stesso cognome di Jay!

Mi portai una mano alla bocca, per reprimere un suono di sorpresa che stavo per emettere.

Nonostante questo, però, Donna se ne accorse.

<< Che succede, Aida? >>

<< E' lo stesso cognome di un mio compagno di scuola >>

Lei mi si avvicinò, abbracciandomi. Capii subito che, oltre ad un gesto d'affetto, era un espediente per potermi sussurrare all'orecchio.

<< Guarda nei suoi pensieri >>

Annuii e mi tolsi la benda. Immediatamente, una miriade di scritte luminose mi comparvero davanti, mandandomi in confusione e facendomi girare la testa.

Indietreggiai.

<< Tutto bene? >> chiese Donna.

<< Sì, sì. Solo che.... Ha troppi pensieri in testa... Mi.... Viene la nausea.... >> dissi coprendomi l'occhio destro con una mano.

<< Ora riprovo, comunque. >> aggiunsi, riaprendo l'occhio, prima che potesse fermarmi.

Che male! Voglio andare a casa!! ” “ Ho paura! ” “ Perché proprio io? ” “ Orribile! ” “ Chi era quell'uomo? ”

Sospirai, chiudendo gli occhi.

<< Non sa niente. Non credo l'abbia visto in faccia. E comunque, anche se l'avesse fatto, è troppo scosso per pensarci. >>

<< Capisco. >> dal tono che aveva usato, capii che Donna aveva fatto molto affidamento su una possibile testimonianza dell'unica persona sopravvissuta alla furia del Centauro.

 

**

 

Il giorno dopo, Donna aveva una giornata di riposo e così decidemmo di andare in piscina.

<< Allora, ti piace nuotare? >> chiese l'ispettrice mentre guidava.

<< Non sono capace... >> confessai alzando le spalle.

Donna mi fissò con stupore e sorrise.

<< Ti insegno io! >>

La fissai di rimando dopo questa sua affermazione, con sguardo indagatore.

<< Non è che vuoi solo distrarmi da ciò che è successo ieri sera, vero? >>

<< Ti sbagli mia cara! Sto cercando di distrarre me >>

<< Come? >>

<< Hai capito bene. Questa notte non ho fatto altro che pensare e riflettere per cercare un modo di fermare quel tizio e, così, mi sono ritrovata più stanca di prima. Per questo ti ho chiesto di andare in piscina >>

<< Come mai proprio la piscina? >>

Donna ghignò, mantenendo, stavolta, lo sguardo sulla strada.

<< Perché sono una sirena. >> sussurrò poi con voce maligna, voltandosi di scatto verso di me.

Io, in tutta risposta, alzai un sopracciglio, regalando alla donna un'espressione del tipo “con chi credi di parlare?”

Lei rise e spense il motore dell'auto.

<< Scendi, siamo arrivate. >>

 

 

 

Appena entrate nell’edificio, fummo subito accolte da svariate grida di bambini che correvano in lungo e in largo per la piscina.

Potei constatare fin da subito la presenza di molte persone, nonostante le temperature basse, tipiche autunnali.

<< Ripeto: come mai la piscina? >> chiesi a Donna, guardandomi intorno, sospettosa.

<< Te l’ho detto!! Ho bisogno di distrarmi! >>

<< E cosa centra la piscina? >>

<< Nuotare mi rilassa! >>

La fissai per qualche istante

<< Eh va bene. Però… >>

<< Anche se non sai nuotare, puoi sempre bagnarti i piedi! >>

Annuii poco convinta e la precedetti negli spogliatoi; tuttavia, non mi misi in costume.

Essendo molto timida ed introversa, non mi sentivo a mio agio nemmeno con magliette a maniche sbracciate, figurarsi in costume!

In alternativa, per non restare con addosso un maglione di lana grigio e pantacollant neri, mi misi una maglietta a maniche corte bianca e dei pantaloni che arrivavano fino al ginocchio. Era pur sempre novembre!

Poco dopo mi raggiunse anche Donna.

<< Guarda che di là c’è l’aria condizionata! >> disse dopo avermi dato un’occhiata.

<< Lo so…. Però mi trovo comoda così >>

Lei alzò le spalle e sorrise, andando nell’altra stanza a cambiarsi.

Mentre attendevo che finisse, mi sedetti su una sedia lì vicino.

Mi stavo rilassando, quando dalla porta entrò qualcuno, richiamando la mia attenzione.

<< Che ci fai qui? >>

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 

 

 

Note!

 

Per questo capitolo, un enorme, mastodontico grazie va detto a Merkelig, perché mi ha fornito tutte le informazioni e l'idea! GRAZIE! Sarei ancora ferma qui se non fossi intervenuta tu, piccolo grande pozzo di sapienza!

 

Bene! Buona lettura!

 

 

Capitolo 9

 

Di fronte a me, avvolta in un asciugamano dalla fantasia floreale, stava Lisa. Ci fissammo per qualche istante, senza emettere suono.

<< Ahh! Allora, Aida, sei pront- >> in quel momento, pessimo tempismo direi, Donna si affacciò dalla porta dietro la quale era sparita qualche minuto prima, congelandosi sul posto, quando vide che Lisa ed io ci stavamo fissando, sorprese.

<< E’ una tua amica? >> chiese poi, rivolgendosi a me.

<< Una mia compagna di classe >> risposi subito. Meglio evitare fraintendimenti.

Non che avessi qualcosa contro di lei. A dirla tutta, dai suoi occhi traspariva una certa tristezza.

<< Lei è l’ispettrice Braden, vero? >> chiese Lisa

<< Sì, piacere >>

<< Come mai Aida è con lei? >>

Io e Donna ci scambiammo un’occhiata.

Subito dopo il mio arrivo, avevamo stabilito di non rivelare a nessuno al di fuori della centrale e della direzione scolastica, del mio legame con l’ispettrice più impostante della città. Questo sempre per mantenermi in una posizione protetta.

<< La conosco, e quindi le ho chiesto di accompagnarmi in piscina. >> rispose Donna, sorridendo.

Devo ammettere che come conta-frottole avrebbe un futuro.

<< Capisco. Beh… Allora a presto! >> disse Lisa prima di sparire da dove era venuta. Con le altre persone si comportava in maniera molto educata e cordiale, mentre nei miei confronti sembrava mostrare una certa antipatia, un po' insensata. Certo… il primo giorno aveva cercato di mettermi in ridicolo, ma ero pur sempre nuova. Credevo che le cose sarebbero migliorate. Sia chiaro, non è che fossi caduta in depressione perché non ero sua amica. In realtà non mi ero nemmeno posta il problema. Però…

<< Aida! Pronto, ci sei? >> Donna mi risvegliò dal mio vortice di pensieri.

<< Sì, scusa. Andiamo a nuotare, anche se fuori ci sono due gradi! >> dissi con falso entusiasmo e alzando un braccio al cielo.

<< Spiritosa… >>

 

**

 

La piscina interna era circondata da vetrate che facevano filtrare la luce, seppur debole a causa delle nuvole, del sole, facendo brillare l’acqua.

Donna si tuffò immediatamente, mentre io mi attardai a guardarmi intorno. Avevo una brutta sensazione.

Mi avvicinai alla piscina e immersi i piedi dopo essermi seduta sul bordo. Il mio brutto presentimento si faceva sempre più intenso….

<< Che ti succede? >> Donna mi si avvicinò con un paio di bracciate.

Mi strinsi nelle spalle, ma lei non sembrò convinta e continuò a fissarmi e io a non proferire parola.

 

**

 

Dopo un paio d’ore fu finalmente ora di pranzo e ci avviammo verso l’area ristorazione per rifocillarci.

Ordinammo cinese; Donna prese involtini primavera e gnocchi di riso, mentre io optai per riso alla cantonese e gamberi.

Dopo aver preso i piatti ci accomodammo al primo tavolo che vedemmo.

<< Che hai? È tutto il giorno che ti vedo strana…. >> chiese la mia tutrice

<< Non è niente… solo un presentimento. >>

Donna mi fissò poco convinta ancora una volta, ma dopo questo scambio di battute il pranzo continuò con le solite chiacchiere.

L’unica cosa strana era il continuo viavai dei bagnini, ma non vi diedi troppo peso, poiché la struttura era incredibilmente affollata.

Non sapevo, che più tardi, avrei rimpianto questa mia mancanza di considerazione….

 

 

 

Quella sera, dopo che fummo tornate a casa, Donna si rinchiuse nel suo studio, scusandosi con me per non poter passare la serata insieme.

<< Tranquilla. Se hai da fare, non me la prenderò >>

<< Scusa ancora, Aida! >> disse ancora mentre chiudeva la porta, lasciandomi sola in salotto.

Senza nulla da fare, mi sdraiai sul letto.

In quelle ultime settimane, ero cambiata. Mi ero aperta, e non solo con Donna.

Credevo di essere completamente insofferente al mondo esterno ma, forse, ero troppo impegnata a tenere lontano gli altri per paura di essere ferita, per accorgermi del mio desiderio di affetto e di contatto umano. No. Non era solo desiderio. Era fame. Ero affamata di amore.

Appena giunsi a quella conclusione, pensai istintivamente a Jay, per poi scacciare la sua immagine dalla mia mente.

<< Uffa! >> urlai a me stessa.

<< Che succede? >> dalla porta, con uno sguardo pieno di apprensione, Donna mi fissava, aspettando una risposta.

<< Niente. Pensavo. Piuttosto.... Come mai sei così agitata? >>

Lei sospirò e mi fissò intensamente prima di parlare.

<< Ricordi quando ti dissi che Joseph aveva comunicato al Centauro il tuo coinvolgimento? >>

Annuii.

<< Oggi.... Mentre eravamo in piscina, sono stati recapitati due pacchi, uno alla stazione di polizia, uno lì. >>

La fissai confusa. Cosa voleva dire?

<< In entrambi i pacchi c'era una lettera dell'assassino. Dice di chiamarsi Nesso. La lettera diceva “ La ragazza che avete coinvolto non servirà a fermarmi. So dove trovarla. Come avvicinarla, so come ucciderla e farla a pezzi ” >> Donna fece una pausa, cercando di riprendere il controllo sulla sua voce incrinata dalla preoccupazione.

<< Ma non è tutto >> continuò poco dopo << All'interno dei pacchi c'erano due paia di occhi, uno blu e uno verde, un paio d'occhi per ogni pacco, e uno stomaco, accompagnato da un cuore. Probabilmente, appartengono alle vittime che ancora non abbiamo trovato. Non sei al sicuro, Aida >>

Troppo sconvolta per parlare, mi accasciai sul letto, tenendomi la testa fra le mani. Nesso, il centauro che dotò Deianira della veste per la quale morì Eracle. Un nome di morte.

Sapevo fin dall'inizio che ci sarebbero stati dei rischi e non era certo la prima volta, per me, ma non avevo mai avuto minacce così dirette. La cosa che mi sconvolse di più fu la parte degli occhi, di due colori diversi. Sapeva chi ero, sapeva com'ero fatta.

Fissai Donna e nei suoi occhi vidi la stessa consapevolezza che mi aveva colpita. Joseph non poteva aver fornito tutti quegli indizi al killer. Nesso era qualcuno di vicino a noi.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***



Capitolo 10

 

Il giorno seguente, nonostante le forti resistenze da parte di Donna, decisi di andare comunque a scuola.

<< Non succederà niente. Sarò in un posto pieno di persone! >> dissi per la centesima volta, cercando di calmare la mia tutrice. Le sue mani tremavano sul volante e continuava a guardare a destra e a sinistra.

<< D'accordo. Ma se succedesse qualunque cosa, vai dal preside e chiamami subito! >>

Annuii e scesi dalla macchina, salutando Donna con un cenno della mano.

Guardai la vettura scomparire dietro l'angolo e sospirai.

In realtà, non mi sentivo sicura nemmeno io. Ok, ero letteralmente terrorizzata.

Per quello decisi che, quel giorno, avrei lasciato scoperto l'occhio. Ovviamente mi ero attrezzata per trovare una lente a contatto per coprire il colore dell'occhio. Non si può mai sapere. Nesso sapeva com'ero fatta. Quante persone affette da eterocromia puoi trovare in giro? E quanti di questi leggono nel pensiero?

Tolsi la benda e misi la lente a contatto mentre entravo a scuola.

<< Aida! >>

Sobbalzai, sentendo il mio nome.

<< Che c'è? Perché così spaventata? >> Jay mi si avvicinò. << Ti ho solo chiamata! >>

<< Scusa. Oggi sono un po' nervosa... >>

Lui sorrise e indicò il mio occhio destro.

<< Se è normale così, perché lo tieni coperto di solito? >>

<< E' una lente a contatto... >> sussurrai, per non farmi sentire, abbassando lo sguardo.

Jay mi guardò confuso, ma non lo feci continuare, tirandolo per la manica.

Che cos'ha? Sembra preoccupata.... Beh... Trovo che sia adorabile anche in questo stato!”

Questi erano i pensieri di Jay, e mi mandarono in confusione.

**

 

La prima ora passò, senza troppi intoppi, a parte un lancinante mal di testa a causa di tutti i pensieri che ero costretta a leggere.

Le parole che Jay aveva pronunciato nella sua mente ancora rimbombavano nella mia. Che voleva dire?

Nonostante ciò, però, mi costrinsi a non pensarci fino al mio arrivo a casa.

Alla terza ora, Lisa mi si avvicinò.

<< Come mai non porti la tua benda, oggi? >> chiese con un tono tra il “te lo chiedo ma non lo voglio sapere” e il “perché sono qui?”

<< Fatti miei >> risposi guardandola. Me ne pentii all'istante.

Uffa... Non lo capisce nessuno che non sono così. Io vorrei andare d'accordo con tutti. Però ho paura di restare sola e per questo..... Ora non devo pensarci! Devo mantenere la mia facciata da ragazza snob. In realtà mi spiace vedere questa ragazza sempre sola. Mi sembra me quando....”

 

Distolsi lo sguardo.

<< Allora? >> incalzò lei

Feci un respiro molto profondo, prima di parlare.

<< Se non vuoi comportarti così, allora sii te stessa. Non ascoltare ciò che dice la gente. Vivi meglio. >> detto questo, feci per alzarmi ma Lisa mi fermò.

<< Come....? >> sussurrò. Il suo sguardo era spaesato. Forse, mi dissi, con le mie parole l'avevo scossa.

Mi liberai con gentilezza dalla presa della ragazza e uscii dalla porta dell'aula, trovandomi in un corridoio silenzioso e, in qualche modo, cupo.

 

 

La giornata passò in un battito di ciglia e, in men che non si dica, fu già ora di tornare a casa.

All'uscita, incrociai il preside Hamilton e lo salutai per rispetto, ottenendo solo uno sguardo e un sorriso appena accennato.

Avevo avuto a che fare con quell'uomo una volta sola, eppure mi dava una sensazione strana. Non riuscivo a capire che carattere avesse.

Feci spallucce e mi sedetti su una panchina, aspettando Donna.

<< Che fai tutta sola? >>

A queste parole, alzai lo sguardo, sorpresa. Non mi ero ancora abituata al fatto che mi venisse rivolta la parola.

Davanti a me stava Lisa, con un sorriso tranquillo. Non sembrava animata da cattive intenzioni.

<< Aspetto >>

Lei sorrise ancora e si sedette accanto a me.

<< Capisco che tu sia diffidente verso di me. Sono stata una vera serpe con te, fin dal primo istante. Sono venuta per scusarmi e per ringraziarti. Sei l'unica che abbia capito che dentro sto da schifo. >>disse poi mesta.

<< Non l'ho capito. Io.... Se posso, vorrei chiederti una cosa. >>

Lisa si voltò verso di me, sgranando gli occhi.

<< Certo...? >>

Prima di parlare, decisi di vedere ciò che pensava.

Chissà che vorrà chiedermi.... Certo che sono egoista. Non voglio che mio padre.... No! Non devo pensarci!”

 

<< Che ha tuo padre che non va? >> chiesi, tutto d'un fiato.

Lei mi fissò sbalordita e boccheggiò per qualche istante.

<< Come sai di mio padre? Te lo ha detto Jay? >>

Scossi la testa in segno negativo.

Ero combattuta. Rivelarle o no le mie capacità? Dai suoi pensieri, riuscivo a scorgere il suo desiderio di fare amicizia con me. Ma può esistere un'amicizia, quando di fondo ci sono dei segreti inconfessabili?

<< Senti. Se io ti dico, e ti dimostro, come so di tuo padre, tu mi dirai che c'è che non va?. >>

<< Ok... >> rispose lei, titubante.

Sospirai e mi alzai, facendo cenno a Lisa di seguirmi. Andammo nel retro della scuola e lì tirai fuori il mio astuccio e lo poggiai a terra.

Fatto questo, tolsi la lente a contatto, rivelando il vero colore dell'occhio.

<< Cosa? Il tuo occhio destro è giallo! >> esclamò Lisa.

Strinsi le labbra. L'astuccio cominciò a fluttuare sotto gli occhi sbalorditi della ragazza, che mi fissò a bocca aperta.

<< Come ci riesci? >>

<< Non lo so. Ma non so fare solo questo. Riesco a leggere nel pensiero. Per questo non posso mentire. >> dissi indicando il mio occhi giallo.

Lisa mi guardò confusa e io feci ciò che avevo fatto con Jay, mentii davanti a lei e le feci vedere gli effetti di quell'azione su di me.

Solo una cosa fu diversa. Lei diede voce ai suoi pensieri.

<< Ok, ti credo! Come si fa a farlo smettere? >> esclamò nel panico.

Dopo che ritrattai la bugia che avevo detto e l'emorragia all'occhio si fu arrestata, entrambe tirammo un sospiro di sollievo.

<< Quindi è per questo? Che tieni l'occhio coperto... E che sapevi di mio padre >>

Io annuii e lei riprese << Perché oggi l'hai lasciato scoperto? Ho sentito che in piscina è arrivato un pacco dall'assassino che è in circolazione e... Gli occhi.... Gli occhi nel pacco! Tu centri qualcosa, vero? >>

Annuii di nuovo.

Lisa si coprì ma bocca con la mano. << Mi dispiace. >> disse con la voce incrinata.

<< Collaboro con la polizia. È per questo che sono qui. Non è colpa tua. Comunque mi devi ancora una spiegazione >> dissi mettendo la benda sull'occhio. Non volevo rimettere la lente a contatto.

<< Beh... Mio padre è un tipo molto violento e quando avevo quattro anni se ne andò di casa. Non lo vedemmo più per tre anni e allora pensammo di essere al sicuro. Presi perfino il cognome di mia madre. Ma poi.... Lui ricomparve, pretendendo di passare del tempo con me. La prima volta, avevo sette anni. Passammo l'intero pomeriggio seduti al tavolo della cucina, l'uno di fronte all'altra, e fui costretta a sentirgli dire ogni genere di oscenità su mia madre e su di me, troppo spaventata per reagire. >> fece una pausa e io mi avvicinai a lei, cercando di confortarla.

<< E oggi >> riprese poi << Oggi verrà a prendermi per ripetere per l'ennesima volta quella scena. >>

Dopo la sua rivelazione, Lisa mi abbracciò e io, un po' titubante, ricambiai la stretta, mentre lei piangeva sulla mia spalla.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


 

 

 

 

Capitolo 11

 

 

 

Una volta che si fu calmata, Lisa mi guardò e si scusò per, parole sue, quella scenetta patetica.

 

<< Non c'è problema. Anzi. Se vuoi, puoi venire da me, oggi. La mia tutrice è l'ispettrice Braden e non credo che tuo padre verrà a casa mia per portarti via. Se ci provasse gli tirerei un tavolo. >>

 

<< Davvero? >>

 

<< Ovvio >>

 

Lisa sorrise << In realtà, anche tu hai una maschera. Sembri così distaccata e fredda, ma in realtà sei una tenerona >>

 

<< Lo so. >> risposi << Tutti abbiamo le nostre cicatrici e tutti abbiamo paura che possano riaprirsi e ferirci di nuovo >>

 

 

 

 

 

Nonostante qualche titubanza iniziale, Donna non si oppose alla presenza di Lisa.

 

Passammo un pomeriggio tranquillo, ma, non avendo argomenti di conversazione comuni, a volte si crearono silenzi imbarazzati.

 

“Beh. Questa è la riprova che ogni persona può avere un lato buono.” pensai dopo che avemmo riaccompagnato a casa Lisa.

 

<< Allora.... E' una tua amica? >> chiese Donna sulla strada dei ritorno.

 

<< Non direi.... Non esattamente. Si è solo aperta con me.... Credo avesse solo bisogno di qualcuno con cui parlare: e poi l'avevi già vista. >>

 

Lei annuì e sorrise.

 

<< Direi che è un inizio per un'amicizia! >>

 

Annuii a mia volta e ripresi a fissare il panorama fuori dal finestrino.

 

<< Piuttosto.... Com'è andata oggi, a scuola? >>

 

<< Bene..... Solo molto mal di testa. >>

 

Donna mi squadrò, come per accertassi che non stessi mentendo e io sbuffai in risposta indicandomi l'occhio.

 

<< Novità sul caso? >> chiesi per cambiare argomento

 

<< No.... Siamo a un punto morto... >>

 

<< Sai che se dovesse servire, ci sono, vero? >>

 

<< Certo. Però..... Preferirei non esporti... >>

 

<< Tanto conosce già il mio aspetto... Che problema c'è? >>

 

**

 

 

 

Appena giunte a casa, io mi lasciai cadere sul divano, mentre Donna si diresse verso il bagno.

 

<< Vado a farmi una doccia. Se il telefono dovesse squillare, sentiti libera di rispondere, va bene? >>

 

Biascicai un << Sì >> in risposta, giochicchiando con i lacci della felpa.

 

Ripensando alla giornata appena trascorsa, al pericolo che probabilmente avevo corso, sentii il mio petto stringersi e farsi pesante.

 

Avevo iniziato a lavorare a casi di questo genere da quando avevo dieci anni, tuttavia non mi ero mai ritrovata a provare una paura simile. Solo in quel momento, forse, mi stavo rendendo conto di quanto la situazione fosse rischiosa. Mi sdraiai per cercare di calmarmi, ma non sembrò servire a molto.

 

Quando, dal bagno, sentii il rumore dell'acqua fermarsi, mi rimisi a sedere velocemente, temendo che Donna potesse sfoderare nuovamente il suo sguardo apprensivo.

 

In quell'istante, il telefono prese a squillare con una suoneria molto allegra, vivace, che in quel momento mi sembrò completamente fuori luogo. Nella mia testa, avrebbe dovuto essere come nei film: asettica, monotona e inquietante; soprattutto in un momento del genere.

 

Mi alzai controvoglia e, raggiunto l'apparecchio, sollevai la cornetta.

 

<< Sì? >> dissi, cercando di sembrare convincente.

 

<< Salve. È la segreteria della scuola Wellington. C'è la signorina

 

Braden o la signorina Steuben? >>

 

<< Sì, sono Aida Steuben. >> risposi titubante alla voce un po' seccata della donna dall'altra parte della cornetta.

 

<< Bene. Il preside la vorrebbe vedere domani, nel suo ufficio, all'ora di pranzo. >>

 

Che cosa?

 

<< Posso chiederle il motivo? >>

 

<< Ha detto che è una cosa molto importante, ma non ha aggiunto dettagli. >>

 

<< Va bene. Ci sarò >>

 

Detto questo, e senza nemmeno salutare, la donna riagganciò.

 

<< Chi era? >>

 

Il suono improvviso della voce di Donna mi fece sobbalzare, facendola ridere.

 

<< Era la scuola. Il preside vuole vedermi domani. >> risposi, voltandomi. << Dovresti andare a vestirti, o prenderai freddo >> aggiunsi, vedendo che indossava solamente l'accappatoio.

 

<< Non mi sorprende che abbia richiesto un colloquio con te. Il signor Hamilton è a conoscenza del tuo coinvolgimento nelle indagini. Immagino voglia assicurarsi che tu non corra rischi troppo alti e che la tua presenza non metta a rischio altri studenti. >>

 

<< Oh >> riuscii solo a dire.

 

In pratica, il preside voleva accertarsi che l'avermi accettata nella scuola non fosse un problema. Credevo che la mia presenza non fosse più d'intralcio agli altri, ma forse mi ero solo illusa.

 

<< Vado a dormire >> dissi, lasciando trapelare troppo il mio stato d'animo.

 

<< Che succede? >>

 

<< Niente >> mentii, pentendomene subito.

 

L'occhio destro, come di consueto, cominciò a far male e a sanguinare copiosamente.

 

<< Qualcosa mi dice che stai mentendo >> disse Donna, cercando di sdrammatizzare.

 

<< Ok, sì. C'è qualcosa, ma non mi va di parlarne. >>

 

L'emorragia si fermò e mi ripulii il sangue dal viso con la manica della felpa.

 

<< Sai che se me ne vorrai parlare, ci sarò, non è vero? >>

 

Annuii mestamente e mi avviai in camera, con la speranza che i miei ricordi d'infanzia non tornassero a galla nemmeno quella notte.

 

 

 

 

 

 

La mattina seguente mi svegliai con un peso sullo stomaco. Avevo la netta sensazione che qualcosa non sarebbe finito bene, quel giorno. Come se fossi stata messa all’angolo, come in trappola.

 

Cercai di ignorare quella sensazione, cercando di convincermi che fosse solo una suggestione derivata dal pericolo che avevo appena scampato.

 

Conoscendo la natura di bradipo incallito di Donna, mi accinsi a svegliarla. Dopo la telefonata della sera prima, aveva insistito molto sul volermi accompagnare a scuola, mettendomi nella posizione di non potermi rifiutare, anche perché mi aveva svegliata dal mio sonno e presa in contropiede. Quando si impegnava aveva un grande potere persuasivo.

 

Appena entrata nella stanza, presi a scuotere la figura dormiente nel letto con forza, cercando di destarla dal suo stato di coma apparente.

 

<< E’ presto…. >> mugugnò Donna, cercando di impietosirmi.

 

Sospirai forte. A mali estremi, estremi rimedi!

 

Mi buttai su di lei a corpo morto e, solo allora, ci fu segno di vita da sotto le lenzuola.

 

<< Scendi! Mi schiacci! >> protestò lei, ormai sveglia.

 

Mi spostai sull’altra sponda del letto e la guardai.

 

<< Ora ti alzi? >>

 

<< Arriverà il giorno in cui ti sveglierò anche io così…>> rispose lei, alzandosi. << Io ti ho svegliata gentilmente, ieri sera! >>.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***



Capitolo 12

 

Dopo la colazione, uscimmo di casa per dirigerci a scuola.

<< Allora, hai capito tutto? >> chiese Donna per l’ennesima volta.

<< Sì. Se dovesse succedere qualunque cosa, dovrò chiamarti immediatamente e andare nell’ufficio del preside. >> ripetei atona. Mi aveva fatto le stesse raccomandazioni per tutto il viaggio. Nonostante fosse già passato del tempo da quando mi ero trasferita a casa di Donna, ancora non riuscivo ad abituarmi alla preoccupazione che mostrava per me. Mi suonava ancora molto strana.

Il tragitto mi sembrò più breve del solito, e mi ritrovai a desiderare di non dover scendere dall’auto.

Scossi la testa lievemente, come per far uscire quella sensazione di panico che mi aveva attanagliata e scesi, affacciandomi sul marciapiede.

Dopo un’ulteriore raccomandazione, Donna scomparve dalla mia vista, mentre io mi avvicinai alla porta d’entrata.

Il peso allo stomaco col quale mi ero svegliata quella mattina non mi lasciava ancora, non importa quanto cercassi di distrarmi.

Le ore passavano monotone, il tempo scorreva lento, come per torturarmi. Non accadde nulla di straordinario, fino all'ora di pranzo.

<< Ehi >> fece Jay, avvicinandosi al mio banco << Ho saputo che devi andare dal preside! Ti accompagno, per sdebitarmi dell'altra volta. >>

Non risposi e lasciai che mi seguisse.

Camminavo con passo innaturalmente lento, con gli occhi fissi sul pavimento. Jay parlava, mi esortava ad aumentare il passo, forse. Non riuscivo a sentire la sua voce distintamente, come se fosse solo un brusio lontano.

Nella mia mente un solo pensiero: FUGGI.

 

 

Dopo pochi minuti, che a me parvero ore, giungemmo davanti alla porta della presidenza.

Esitai qualche istante prima di bussare, con la mano che tremava.

<< Prego. >> la voce del preside Hamilton, attutita dalla porta, mi raggiunse ed entrai, facendo cenno a Jay di aspettarmi fuori.

<< D'accordo. Quando avrai finito, però, ti riaccompagnerò in classe. Mi sembri strana >> disse per poi girarsi e appoggiarsi al muro di fronte alla porta.

Mi richiusi la porta alle spalle, ma rimasi ad aspettare sulla porta.

<< Si sieda, signorina. Non mordo. >>

A queste parole mi avvicinai lentamente alla sedia di fronte la scrivania.

<< So che questo è un periodo difficile per lei, ma voglio che sappia che qui è assolutamente al sicuro. >> disse Hamilton.

Annuii, cercando di sembrare convincente e meno spaventata di quanto non fossi in realtà.

<< E' per questo che le ho chiesto di parlare con me. Potrei avere delle informazioni sul vostro uomo. >>

Alzai lo sguardo sorpresa. << Come? >>

<< Ha capito bene. >>

<< Ma.... Perché non ne parla con la polizia? >>

<< Perché potrei divenire anche io un bersaglio. Se ne parlo con lei, invece, è solo una chiacchierata amichevole. >> disse sfoderando uno sguardo di chi la sa lunga.

<< Comunque, tornando alla nostra “chiacchierata”; credo che l'uomo che state cercando sia fissato con la mitologia, di qualunque cultura ed epoca. Sembra interessato soprattutto agli occhi. In particolar modo ai suoi. >> continuò, indicandomi.

<< So dai giornali che quest'uomo ha già ucciso venti persone e che nel primo omicidio di cui è accusato, ha lasciato un biglietto dove diceva che le sue vittime sarebbero state in tutto sessanta tre, scelte con un determinato criterio, che ancora non si conosce, per poter realizzare “l'occhio”. Fin qui come me la sto cavando? >>

Feci cenno di sì con la testa. Queste erano informazioni note a tutti, causate da una fuga di informazioni e reperibili ovunque.

<< Ed è questo che mi ha fatto sorgere un dubbio. Io ho studiato archeologia, e le posso dire che, secondo la mia teoria, il killer sta cercando di ricreare metaforicamente l'Occhio di Horo. Gli servono sessanta tre parti, che a quanto pare interpreta come vite umane, per poterlo completare, per poi donarlo ad un Horus idealizzato. Credo che si identifichi come parte integrante della mitologia. >> concluse.

Dopo aver ascoltato la sua teoria, realizzai che poteva essere quello il movente dell'assassino.

Un patito di mitologia che vuole compiacere qualcuno. Ma chi?

<< Beh... Queste sono mere supposizioni. Spero di non averla turbata. La nostra chiacchierata finisce qui. Buon proseguimento. >>

 

**

 

Uscii dall'ufficio del preside un po' frastornata.

<< Tutto bene? >> Jay, di cui mi ero completamente dimenticata, mi si avvicinò, con fare apprensivo.

<< Sì... >> risposi con un fil di voce. << Devo chiamare Donna >>

 

 

<< Questa teoria ha un senso. Lo sapevo che ci serviva un consulente fisso! >> Donna e io ci trovavamo in centrale. Dopo la mia chiacchierata con il preside, l'avevo avvertita dei sospetti dell'uomo. Ci eravamo recate alla stazione di polizia senza dire una parola.

<< Secondo voi, se il signor Hamilton ha ragione, chi sta cercando di impressionare, Nesso? >> chiese uno degli agenti.

<< Non ne ho idea. Forse qualcuno che ha a che fare con la sua infanzia. Il padre, forse. >> rispose un altro.

Di lì a poco la stanza si riempì di voci che si confondevano tra loro, creando un coro di ipotesi e supposizioni.

<< Quello che sappiamo è che c'è qualcosa che ha scatenato questa sua furia omicida. I motivi arriveranno dopo. Prima dobbiamo capire come sceglie i suoi bersagli >> disse Donna con tono autoritario.

Mi alzai dalla sedia e mi avvicinai alla lavagna dove tutti i dati in possesso della polizia erano collocati, senza un filo logico che li legasse.

Le vittime non avevano nulla che le collegasse. I loro nomi e i loro volti erano appesi alla lavagna senza un perché.

Dorothea Hedley

Derek McRae

Mira Harmann

Adelaide Kelley

Jared Garber

Dan Messner

 

Rifletti, mi dicevo, rifletti. Qualcuno fissato con la mitologia, cosa può cercare?

Poi, l'illuminazione.

<< Datemi un dizionario dei nomi! >> urlai all'improvviso.

<< Cosa? >>

<< Datemelo e basta! >>

Un agente corse nella sala d'attesa e tornò con il libro da me richiesto.

Lo aprii e cercai i nomi delle vittime e li scrissi su un foglio.

 

Dorothea = regalo di Dio

Derek = capo del popolo

Mira = mondo

Adelaide = nobile

Jared = discendenza

Dan = Dio è il mio giudice

 

 

 

<< Sceglie le persone in base ai nomi, ok, ma come? >> chiese Donna guardando il foglio.

<< Forse con l'elenco telefonico. >>

<< Questo non restringe il campo. Tutti possiedono una guida telefonica. >>

Di nuovo, un vociare assordante invase la stanza.

<< Farò da esca. >>

Non appena queste parole uscirono dalla mia bocca, un silenzio innaturale avvolse tutti i presenti e almeno venti paia di occhi mi fissarono basiti.

<< Non credo proprio! >> decretò Donna.

<< E' una buona idea, invece! Il mio nome significa “ritorno”! Potrebbe significare qualcosa per il killer! Mi ha già minacciata, sono già un suo bersaglio! >>

<< E' una pessima idea! >> insistette Donna

<< Ispettrice; la ragazza non ha tutti i torti. >>

<< E' una ragazzina! La ucciderà! >>

<< No, invece! >> urlai << Posso difendermi! Hai dimenticato che posso- >>

<< Non mi interessa se puoi spostare le cose! >>

<< Calmatevi tutti, ora! >> la voce potente e sconosciuta di un uomo risuonò, zittendo tutti.

<< Zio... >> sussurrò Donna, allibita, girandosi.

<< Ispettore capo... >> seguirono gli agenti.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***



Capitolo 13

 

L'aria sembrò congelarsi.

Sul viso di tutti i presenti lessi lo stupore.

<< Vedo che mi assento per qualche mese per risolvere un caso e qui scoppia il pandemonio. >> disse l'uomo mentre si avvicinava a me e a Donna.

<< Nipotina; ti ho affidato la centrale. Non dovresti farti prendere dal panico. >>

<< Hai ragione, zio >> sussurrò lei.

Lui rise fragorosamente, poggiando la mano sul capo di Donna, forse con un po' troppa irruenza.

Quando si ricompose, i suoi piccoli occhi grigi come i suoi baffi si posarono su di me.

<< Tu devi essere la famosa Aida! Piacere di conoscerti! Io sono Gilbert Rhodes, lo zio acquisito di Donna! >>

Lo fissai in silenzio e lui rise di nuovo.

<< Taciturna, eh? Comunque sia; credo che tu sia una ragazza coraggiosa. Io approvo la tua idea. A patto che indosserai un localizzatore in modo che possiamo seguirti da lontano, ma non troppo. >> Annuii con fermezza.

Il signor Rhodes batté le mani << Bene. Domani cattureremo questo Nesso >>

 

 

Sulla via del ritorno, Donna non mi rivolse la parola, mentre suo zio guidava e cantava come se nulla fosse le canzoni trasmesse dalla radio locale.

Il tragitto sembrò infinito e ringraziai il cielo quando raggiungemmo il vialetto di casa.

<< Allora, Aida. Ho sentito molto parlare di te. Come ti trovi? >> chiese gioviale l'ispettore capo.

Alzai le spalle con fare indifferente.

L'uomo sospirò e, in silenzio, ci avviammo verso il portone.

<< Allora! Stasera cucino io! >> esordì, gioviale, lo zio di Donna entrando in cucina, ma né io né lei rispondemmo.

<< Ascolta >> cominciò, rivolgendosi a sua nipote << So che sei preoccupata per ciò che potrebbe accadere domani, ma non devi. Terremo questa fanciulla al sicuro >>

Donna annuì, sconfitta e io inarcai il sopracciglio.

<< Fanciulla? >>

 

**

 

La cena si svolse senza intoppi e tutti e tre ci infilammo sotto le coperte molto presto, in vista del giorno successivo.

Mentre stavo sdraiata nel mio letto a fissare il soffitto, mi misi a riflettere sull'ispettore capo.

Da ciò che avevo avuto modo di capire, il signor Rhodes aveva adottato Donna quando aveva 15 anni e da allora avevano sempre vissuto nella casa dove tutt'ora stavamo.

Avevo la sensazione di potermi fidare di quell'uomo dai folti baffi bianchi e dal sorriso facile.

Sorrisi fra me e me, chiudendo gli occhi e addormentandomi serena. Forse anche troppo, poiché il risveglio non fu affatto piacevole.

 

Mi risvegliai in un luogo buio e freddo. Le mie mani, legate dietro la schiena con una corda, stavano lentamente perdendo sensibilità.

Respirai profondamente per non farmi prendere dal panico e mi guardai intorno. Il mio occhio destro, scoperto, non percepiva nessun pensiero. Ero sola.

Nessun rumore. Solo il mio respiro e il mio cuore.

Poi un fruscio, come quello degli altoparlanti quando vengono accesi.

<< Ben svegliata, mia Horo! >>

 

**

 

Sbarrai gli occhi per la sorpresa.

Horo?

<< Mia cara Dea, non essere spaventata. Presto il tuo occhio sarà completo. Per questo ti ho portata qui. Per proteggerti! >> continuò la voce sconosciuta. Lo psicopatico che mi aveva rapita aveva pensato bene di alterare la sua voce e renderla irriconoscibile.

Accidenti.

<< Il mio occhio? >>

<< Sì, mia cara. Ancora qualche frammento e potrai riavere il tuo occhio e spazzare via i tuoi nemici! Guarda! So tutto su di te! Ho raccolto tutto su questa parete! >>

A quelle parole, l'oscurità che mi avviluppava si diradò tutto d'un tratto, illuminando il muro di fronte a me.

Fogli, foto, articoli di giornale e pezzi di stoffa. Tutto su di me.

Scorsi il mio certificato di nascita, il mio viso da bambina, l'orfanotrofio.

La voce riprese: << Povera Horo. Ancora non ricordi? Beh.. Te lo ricorderò io >>

<< Che cosa mi ricorderai? >> chiesi cercando di restare calma. L'ansia e la paura mi stavano lacerando lo stomaco.

<< La tua nascita! >>

 

 

Sbigottita e confusa.

Nessun'altra parola potrebbe descrivere meglio il mio stato d'animo a quelle parole.

<< Lascia che ti spieghi, mia dolce Dea. All'epoca io ero alla ricerca di un lavoro; con la mia laurea, non avevo molte possibilità, ahimè. Fu allora che incontrai questo team di scienziati.

Volevano provare a creare “l'uomo superiore”, un essere incapace di qualunque menzogna, forte, praticamente invincibile, attraverso una soluzione chimica. Un unico problema si poneva sulle loro strade. Gli esperimenti sulle persone non possono esistere. Perciò escogitai un piano. Far passare i miei colleghi per medici qualunque e trovare una coppia in attesa di un figlio. Fu così che trovammo i tuoi genitori. Vennero per un controllo e ti somministrammo il siero attraverso la placenta, facendo credere ai tuoi che fosse una cura speciale. Aspettammo con pazienza la tua nascita e poi uccidemmo tua madre dopo il parto facendolo risultare come “complicazioni”. Implorava di risparmiarti. Tuo padre fuggì portandoti con sé e ti nascose nell'orfanotrofio in cui sei cresciuta. Povero sciocco; credeva che non ti avremmo trovata. Che non ti avrei trovata. Come se non bastasse quegli scienziati idioti guardavano solo la sfera scientifica, ma io capii che eravamo di fronte a una divinità. Così ti sorvegliai, aspettando che fossi abbastanza grande per poter accrescere il tuo potere e governare il mondo! >>

 

Calde lacrime sgorgarono dai miei occhi. Una cavia da laboratorio. Non ero altro che questo;

<< Non piangere, mia cara. Non ne hai motivo. Nessuno di quegli uomini cattivi è ancora vivo. >> riprese con una nota di soddisfazione nella voce.

Nel contempo, sentii dei passi avvicinarsi.

Con il tuo potere governeremo il mondo”

Questo l'unico pensiero.

L'uomo misterioso si avvicinò ancora, mostrandomi il suo volto; e non riuscii a credere ai miei occhi.

 

**

 

I miei singhiozzi si fecero di minuto in minuto più forti.

<< Non piangere, cara... >> disse il mio rapitore con fare rassicurante. << Non voglio farti del male >>

<< Perché dovrei fidarmi di lei? Ci ha presi in giro tutti! >> urlai tra le lacrime.

<< Oh, no! Ti sbagli, mia Dea. Vi ho dato informazioni importanti, in modo che capissi che siamo dalla stessa parte... >>

Alzai lo sguardo con astio.

Mi diedi mentalmente della stupida per non averlo capito prima. Eppure era così chiaro, in un certo senso.

Davanti a me, con un sorriso che avrebbe voluto essere rassicurante ma che a me provocò un misto fra disgusto e terrore, c'era il preside Hamilton.

<< Non dovrai preoccuparti di nulla >> riprese ignorando il mio sguardo. << Non appena gli ispettori si avvicineranno a questo luogo li ucciderò e sarai libera. Tra l'altro il mio tentativo di depistaggio alla piscina ha funzionato molto bene. Credevano davvero che volessi ucciderti! >> concluse, sparendo dietro ad una pesante porta di metallo lasciandomi sola.

Pensa, Aida, pensa.” mi ripetevo.

Nella stanza non c'era nulla che potessi usare. Nulla che potesse farmi uscire da lì.

Le corde strette attorno ai miei polsi mi stavano facendo impazzire, così cercai di liberarmi, ma senza nessun risultato.

Buffo pensare che mi ero sempre basata su me stessa per non dover contare sugli altri, e in quel momento non potevo far altro che cavarmela da sola o...

Distolsi l'attenzione da quel pensiero. Non potevo farmi prendere dal terrore. Dovevo reagire; ma come?

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***



Capitolo 14

 

Non avevo idea di quanto tempo fosse trascorso. Ore, giorni, settimane; chi lo sa? Hamilton si presentava sempre portandomi cibo e acqua che mi porgeva lui, per non slegarmi. Dopo la sua quarta visita, si decise a slegarmi.

<< Mi dispiace, Horo. Volevo essere sicuro che comprendessi la tua natura divina. Ora che lo sai posso slegarti >>

Fu con queste parole che mi liberò, per poi andarsene immediatamente.

Mossi lentamente le dita; o meglio: la mia testa diceva loro di muoversi ma queste non obbedivano. Solo dopo vari tentativi ripresi ad avere sensibilità alle mani. Provai ad alzarmi, ma ovviamente anche quell'azione risultò oltremodo complicata. Con estrema fatica mi avvicinai alla pesante porta scorrevole arrugginita dalla quale il mio rapitore era uscito. Provai a scuoterla, pur sapendo che fosse completamente inutile.

Fu allora che fui presa dallo sconforto. Il peso delle rivelazioni che Hamilton aveva fatto, dell'essere rinchiusa e incapace di fuggire franò su di me in un istante che sembrò, al tempo stesso, essere infinito e dilatato all'ennesima potenza. Sentii il mio corpo accasciarsi sul pavimento pieno di sporcizia in quella stanza senza finestre, come a rallentatore. Nessun battito di palpebre, nessun tentativo di fermare la caduta. Mi afflosciai a terra come una piuma. Lentamente; e lentamente chiusi gli occhi.

 

**

 

Al mio risveglio non ero più davanti alla porta. Mi trovavo accanto al tubo dove ero stata legata.

Mi guardai intorno, stranita. Scostai dalla fronte i capelli pieni di polvere e terra e mi misi a sedere, urtando qualcosa.

Accanto ai miei piedi stavano una ciotola d'acqua, del cibo e un biglietto:

 

 

Sono andato a scuola. Tornerò presto con un nuovo frammento del tuo occhio

 

Accartocciai il biglietto e lo scagliai lontano.

Poi, un pensiero mi colpì.

Ero stata inerme tutto quel tempo, senza pensare che, oltre a saper leggere i pensieri....

Strinsi i pugni e una forza invisibile ammaccò visibilmente la porta. Strizzai gli occhi per lo sforzo e quella volò via, divelta.

Dopo un attimo di sollievo, strappai dal muro i documenti che inchiodavano Hamilton, come il mio certificato di nascita, i resoconti sull'esperimento e un foglio scritto e firmato di suo pugno in cui dava sfogo alle sue turbe psichiche, e corsi il più velocemente possibile, senza una meta.

Cercai di seguire la direzione dell'aria e, probabilmente anche per miracolo, riuscii a trovare l'uscita. Mi trovavo nella stessa zona dove Hamilton aveva aggredito il padre di Jay.

Corsi a perdifiato verso la strada. Il suono delle macchine mi investì e mi accasciai a terra, sul marciapiede, piangendo.

Non mi accorsi della presenza di qualcuno alle mie spalle, perciò mi spaventai non poco quando sentii una mano appoggiarsi delicatamente alla mia spalla, facendo piegare un lampione poco distante.

 

<< Aida, stai calma. Sono io. >>

Jay!

 

Senza nemmeno pensarci, mi buttai tra le braccia del ragazzo.

Lui ricambiò l'abbraccio, confortandomi e quando ci staccammo, tirò fuori il cellulare.

<< Tieni. Chiama Donna. È una settimana che i poliziotti ti cercano >>

Ancora sconvolta, presi il telefono e composi il numero.

<< Pronto? >>

<< Donna, sono io! >>

<< Aida! Dove siete? Questo è il numero di Jay, no? >>

<< Sì... Siamo.... Non lo so.... >>

<< Passamelo >>

Porsi il telefono al ragazzo che diede tutte le indicazioni alla donna, per poi riagganciare.

<< Che cosa sono quei fogli? >> chiese poi notando ciò che tenevo in mano.

<< Prove. Per incastrare Nesso >>

 

**

 

In pochi minuti, Donna ci raggiunse e con lei suo zio.

Lei si precipitò ad abbracciarmi.

<< Ero così preoccupata! Ero venuta a svegliarti e non c'eri! Sul... Sul comodino c'era un biglietto lasciato da Nesso. Perché ti ha rapita? Non voleva ucciderti? >> disse tutto d'un fiato.

Io le sventolai davanti al viso i fogli.

<< Ti spiegherò tutto in centrale. Andiamo, prima che torni. >> dissi sbrigativa, guardandomi alle spalle.

Donna annuì e guardò Jay con gratitudine << Grazie. Grazie per esserti offerto di aiutaci a cercarla e grazie per averla trovata. >>

Lui alzò le spalle e sorrise, mentre il signor Rhodes gli diede una pacca sulla schiena.

Dopo ciò, l'ispettore capo e la mia tutrice si accomodarono nei sedili anteriori della macchina, mentre io e Jay su quelli posteriori.

I due adulti si guardarono intorno con circospezione per tutto il viaggio, mentre io appoggiai la testa alla spalla del mio amico e lui mi cingeva i fianchi con un braccio con fare protettivo.

Era finita.



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Capitolo 15
*** Epilogo ***



Note!


Voglio ringraziare tutti coloro che hanno seguito questa storia e tutti coloro che la leggeranno in futuro. Ringrazio coloro che hanno recensito e quelli che lo faranno. Vi ringrazio davvero di cuore, perché credevo sul serio che questa storia non l'avrebbe letta nessuno. Grazie!



Epilogo

 

Dopo la mia deposizione, tutto si svolse molto rapidamente.

Hamilton fu preso e incarcerato a vita in un ospedale psichiatrico. Avevo assistito al processo. Non tentò nemmeno di difendersi; anzi, cercò di avvicinarsi a me per inchinarsi al mio cospetto e continuò a proclamare la sua devozione folle nei miei confronti.

 

L'ispettore Rhodes decise di andare in pensione, così come io decisi di restare in città, nonostante la mia presenza non fosse più necessaria.

Donna sapeva la verità sulla mia nascita, ma il suo modo di fare non cambiò. Mi trattò con lo stesso affetto di sempre.

Lisa ed io, piano piano diventammo amiche. Lei riuscì a smettere di sembrare altezzosa e cominciò ad uscire con Malcom.

Cosa che generò infiniti tira-e-molla tra i due.

Lisa riuscì, tra l'altro, ad allontanare suo padre dalla sua vita.

Non dovendo più risolvere casi in giro per il Paese, finii per usare le mie capacità solo occasionalmente, per pigrizia o per divertimento.

Dopo varie ricerche, trovai le tombe dei miei genitori: Teresa Dust e Felix Steuben.

In quanto a me e Jay... Beh....Cominciammo ad uscire insieme, dopo che mi dichiarò il suo amore facendomi trovare una poesia in tasca.

La mia storia, tuttavia, non è ancora finita. Posso dire di aver appena iniziato a vivere.

Per questo, con un respiro profondo, inalando il profumo di mentine che sentii quando arrivai, dico al mondo: ECCOMI.

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