Forever And A Day

di Tix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Forever And A Day.                                                                                                


Prologo.

 
A R. Ieri, oggi, domani e sempre.



 
Un urlo soffocato interruppe la tranquillità di casa Stilinski quella domenica notte. Uno Stiles visibilmente agitato e sudato respirava affannosamente guardandosi intorno, reduce da un incubo. Un potente senso di nausea lo colpì, costringendolo ad alzarsi velocemente dal letto e a recarsi in bagno, piegandosi sul water e rigettando anche l’anima. Rimase lì per fino a che i conati non si calmarono poi, lentamente e ancora spossato, si alzò e si sciacquò il viso e i polsi, sospirò e barcollando si diresse al piano inferiore per bere un bicchiere d’acqua. Quando tornò a letto guardò la sveglia e vide che segnava le 4:45 del mattino, si allungò faticosamente e la disattivò, decidendo che non sarebbe andato a scuola il giorno dopo.

Quando la mattina seguente si svegliò, erano passate da poco le 9 e il giovane aveva un leggero bruciore di stomaco. Infastidito, si coprì gli occhi per pararsi dalla luce che filtrava dalle tende dalla finestra. Con un leggero sbuffo si alzò e poggiò i piedi nudi sul pavimento; nonostante l’autunno fosse iniziato da poco e le temperature fossero quelle estive rabbrividì per il freddo. Dopo una doccia calda, che gli rilassò i muscoli, andò in cucina e provò a mandare giù qualcosa, ma senza risultato. Nonostante fosse riuscito a riprendere sonno la mattina presto provava uno strano senso di spossatezza che lo costrinse a sedersi. Si sporse verso il piano da cucina dove aveva poggiato il telefono la sera precedente prima di andare a letto e mandò velocemente un messaggio a Scott, probabilmente in pensiero per non averlo visto arrivare quella mattina senza avvertirlo. Il suo migliore amico promise di passare il pomeriggio stesso dopo scuola.
Nonostante si sentisse ancora poco bene pensò di approfittare della mattinata libera per mettere un po’ di ordine e sbrigare tutte quelle faccende con cui era rimasto indietro nel corso della settimana precedente. Pensò di pulire la camera di suo padre e fare il bucato così che i due uomini potessero avere vestiti a sufficienza fino alla domenica dopo. In un batter d’occhio arrivò l’ora di pranzo e con quella la chiamata di suo padre che lo avvertiva di un nuovo caso e che ci avrebbe lavorato durante la pausa pranzo. Sgranocchiò qualcosa per amore del suo stomaco e, distrutto dalla giornata faticosa, si buttò sul divano per riposare i muscoli, rimproverandosi per la pessima forma fisica.

Si svegliò di botto, il campanello che suonò nuovamente; si era appisolato senza neanche accorgersi ed erano già le 5 del pomeriggio. Schizzò in piedi troppo velocemente tanto che lo colse un capogiro e dovette sostenersi allo schienale del divano.

“Arrivo!” urlò dal salotto. Mise le pantofole e con passo incerto e ancora mezzo intontito si trascinò verso la porta dove riusciva a scorgere la sagoma di uno Scott che non faceva altro che spostare il peso da un piede all’altro. Aprì lentamente la porta e, davanti a lui comparve uno Scott visibilmente agitato.
 
“Hey amico! Sono attaccato al campanello da un sacco di tempo, tutto okay?” Chiese Scott velocemente mentre gli si buttava addosso. Iniziò a squadrarlo dalla testa ai piedi e con un sopracciglio alzato si soffermò sul viso.
“E quelle occhiaie? Dormito male?” chiese oltrepassando la porta e scaricando lo zaino per terra. Si stiracchiò leggermente e si voltò a guardare l’amico. Quest’ ultimo lo guardava di rimando e scuoteva la testa con un leggero sorriso sulle labbra. Scott si preoccupava sempre per lui, qualsiasi cosa succedesse eccolo lì, super ansioso.

“Sto bene, mi ero solo addormentato un momento sul divano, stanotte mi sono sentito poco bene e ho dormito male, non ti preoccupare” rispose scompigliandogli i capelli e deridendolo scherzosamente.
I due rimasero un po’ insieme, chiacchierando del più e del meno e guardando un po’ di tv finché non venne l’ora che Scott tornasse a casa per studiare; lasciò i compiti a Stiles e mettendosi a cavallo della sua moto sfrecciò via.
 
Lo sceriffo rientrò la sera sul tardi, sospirando e levandosi le scarpe sfilandole direttamente dal tallone; le ripose in un angolo dell’ingresso vicino all’appendiabiti e con ancora il giubbotto addosso si trascinò in cucina per salutare il figlio. Stiles era alle prese con un’insalata che avrebbero mangiato quella sera stessa. Come a percepire lo sguardo su di sé Stiles si voltò incontrando i suoi stessi occhi in un viso più invecchiato e segnato dalla stanchezza.

“Hey pà!” salutò il più giovane sorridendo apertamente. Si voltò nuovamente verso il piano da cucina e continuò a sciacquare la verdura sotto l’acqua corrente.

“Ciao Stiles” lo salutò il padre avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla, stringendola leggermente. Rimasero per un po’ in quella posizione, entrambi bisognosi di ritrovare quel calore famigliare che si spezzava la mattina presto quando entrambi andavano via di casa. Lo sceriffo tirò via una sedia dal tavolo e ci si buttò con tutto il peso, reclinando la testa all’indietro.
“Sono distrutto stasera, oggi non mi sono allontanato un momento dalla scrivania, senza contare quel dannato telefono che squillava in continuazione.” borbottò frustrato strizzando gli occhi per il sentore di mal di testa che percepiva.
Di rimando il ragazzo corrugò la bocca preoccupato per la mole crescente del lavoro del padre e pensò se sarebbe riuscito a cavarsela con i problemi di salute che si ritrovava.
Prese gli hamburger di soia e l’insalata che aveva preparato per cena e glieli mise davanti il naso; poi riempì un bicchiere di acqua e fece sciogliete un’aspirina effervescente riconoscendo le espressioni del padre.

“Intanto mangia, poi prendi questa, dalla faccia che hai sono sicuro che senti già arrivare il mal di testa; perciò mangia e poi fila a letto” mormorò con tono autoritario.
John Stilinski si rese conto di essere il padre più fortunato del mondo e per un momento sentì di avere ancora la sua Claudia con sé.
 
*
 
Stiles Stilinski si era sempre ritenuto un ragazzo atletico. Nonostante non fosse mai riuscito ad entrare nella squadra di lacrosse della scuola non voleva necessariamente significare che era come uno di quegli ossuti ragazzini-zombie del primo anno. Certo, non aveva il fisico di Scott ma neanche il suo migliore amico era stato sempre così, gli piaceva pensare che “la cosa da lupi” avesse influito parecchio quando spuntò da un giorno all’altro col fisico di un atleta.
Per questo quando il coach ordinò a tutta la squadra (comprese le riserve) di fare almeno una decina di giri di campo, il ragazzo si stupì nel sentirsi già esausto dopo il primo giro e mezzo. Giustificandosi con un malore improvviso, superò un coach urlante e si gettò a peso morto su una delle panche degli spalti respirando profondamente; sentiva che i muscoli delle gambe bruciavano e provava uno strano dolore diffuso in tutto il corpo. Sì, era decisamente fuori forma.
Con una forza muscolare praticamente assente riuscì a mettersi nuovamente in piedi e si trascinò verso la sua auto. Arrivò alla macchina e quasi sospirò dalla gioia quando riuscì a toccare la carrozzeria della sua sbiadita jeep. Mise in moto e schizzò velocemente verso casa, posteggiò nel vialetto e fiaccamente si trascinò dentro casa. Si appoggiò alle pareti per aiutarsi a camminare e finalmente, quando fu dentro si ritenne soddisfatto. Abbandonò in un angolo lo zaino e si sedette sul grande divano che c’era in salotto; una strana sensazione, un ricordo che la mente cercava di riportare a galla improvvisamente lo folgorò. Aveva capito, ma era troppo stanco per pensarci ora, si lasciò cullare dai suoi stessi respiri che lo portarono all’oblio permettendosi, per l’ultima volta, di lasciarsi andare, ci avrebbe pensato domani.
 
Quando Stiles si svegliò notò di essere ancora sul divano. Addosso aveva una coperta che probabilmente gli era stata messa addosso dal padre. La maglietta che aveva messo il giorno prima era appiccicata al suo corpo a causa di uno strato di sudore. Cercò di non rimuginarci più di tanto, si alzò dal divano sentendosi intorpidito, con una leggere nausea e una strana sensazione alla testa, come se fosse improvvisamente pesante, ma non per questo fastidiosa. Salì le scale silenziosamente cercando di non svegliare il padre e andò in bagno per una doccia veloce, aveva una cosa da fare oggi. Si vestì velocemente, sistemò lo zaino e preparò la colazione per suo padre; era ancora mattina presto, in giro non c’era nessuno e attraverso il finestrino della sua jeep vedeva il paesaggio distorto in una imponente macchia verde scuro che sembrava quasi volerlo chiudere in una morsa.
Casa Hale era sempre stata una bellissima casa in stile vittoriano, lo aveva sempre pensato e nel recente restauro era stata riportata al suo antico splendore. Scese dall’auto sprofondando nelle foglie autunnali che ricoprivano il vialetto, sentendole scricchiolare mentre si avvicinava alle scale del portico: era sicuro che l’avesse sentito, cercò di non essere timoroso e percorse quei quattro scalini e si piazzò davanti la porta. Nervosamente si morse le labbra, si passò le mani tra i capelli e fece un sospiro tremolante, decidendosi a battere tre colpi alla porta. Neanche trenta secondi dopo comparve una zazzera nera e scompigliata, quegli occhi che quella mattina erano verde muschio e che lo scrutavano curiosi; se stesse provando fastidio o meno Stiles non lo percepì, la faccia di Derek che era come sempre composta e rigida.

“Ho bisogno di parlarti.” Asserì il più giovane fissando Derek direttamente negli occhi.
 
“Non avevo dubbi moccioso.” Ribadì il moro scostandosi dalla porta e aprendola ancora di più permettendo a Stiles di passare.
“In salotto, la strada la sai.” Borbottò veloce chiudendosi la porta alle spalle.
 
Stiles camminava lentamente, barcollava leggermente ed appena raggiunto il salotto dovette poggiarsi un momento allo stipite della grande porta scorrevole, fu solo un momento, poi riprese a camminare un po’ più velocemente per sprofondare su una delle sedie che erano intorno al tavolo che di solito usavano quando si convocava una riunione d’emergenza.
Derek lo fissò stranito, inarcando appena le sopracciglia e posizionandosi davanti a lui, rimanendo in piedi, con le gambe leggermente divaricare e le braccia conserte, come a voler comunicare anche con la postura una certa supremazia.
 
“Faccio parte del tuo branco?” Chiese Stiles schietto, dopo un istante di silenzio.

“Come scusa?” Ripeté Derek stranito strabuzzando leggermente gli occhi.
“Diamine Stiles, non sono neanche le sette del mattino e piombi in casa mia solo per placare una delle tue insicurezze da ragazzina in preda agli ormoni? Non ho tempo per le tue cavolate.” Rispose l’alpha ringhiando. Fece appena in tempo a voltarsi quando la voce di Stiles, determinata come non mai lo raggiunse.
 
“Ho bisogno che tu venga con me in un posto.” Continuò Stiles. Stava con la schiena dritta sulla sedia, la testa alta e gli occhi incollati a quelli di Derek. C’era qualcosa di diverso stavolta; gli occhi del ragazzo erano diventati duri, freddi, quasi distaccati.

“Perché non ci vai con Scott? Perché io?” domandò Derek, rimanendo di schiena ma voltando comunque la testa in direzione dell’adolescente.
 
“Lo capirai una volta arrivati. L’alpha protegge il suo branco, non importa in quale situazione si trovino gli altri; allora, faccio parte del tuo branco Derek?” chiese Stiles alzandosi e appoggiandosi allo schienale della sedia. Continuava a scrutarlo, gli occhi determinati, accesi da una strana scintilla che gli aveva fatto capire che non se ne sarebbe andato via senza una risposta affermativa.

“Dannazione.” Rispose il moro alzando gli occhi al cielo.











Oh che ansia! Questo è quello che è venuto fuori dopo che questa malsana idea si è formata nella mia testa, eccovela qui! 
È completa quindi non dovrei avere problemi ad agiornare regolarmente una volta a settimana. Un grazie speciale va alla mia migliore amica che mi supporta (e sopporta sempre!). Questo è per te tesoro. 

Grazie per la pazienza, un bacio.


Tix. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Forever And A Day.


1.






I due ragazzi erano in macchina da un paio di ore e ancora nessuno dei due era riuscito a dire niente. Dopo la leggera discussione avvenuta nel salotto di casa Hale, Derek era velocemente salito al piano superiore lasciando Stiles in balia di palpitazioni e una scarica di adrenalina che attribuiva alla paura; Derek raggiunse il piano inferiore e il castano notò che si era cambiato, invece della tuta aveva optato per un paio di jeans e una maglietta, nient’altro. Con aria burbera e un gesto secco della testa gli indicò la porta d’ingresso e si avviarono, uno accanto all’altro, verso la jeep di Stiles. Il ragazzo si sedette sul sedile del guidatore, stranamente senza proteste da parte del più grande.
Era iniziato così quel viaggio, che sembrava quasi interminabile. Il giovane tamburellava con i pollici sul volante e ogni tanto si schiariva la voce per poi sistemarsi un po’ meglio sul sedile.

Derek non aveva distolto lo sguardo dal suo finestrino da quando erano partiti, rigido e teso sul sedile come una corda di violino.

“Dove stiamo andando?” chiese severo, cercando di non far trasparire dalla sue parole l’evidente curiosità che provava. Stiles sorrise leggermente, divertito dalla testardaggine di quel ragazzo.
 
“Los Angeles” rispose sintetico il castano. Percepì chiaramente lo sguardo di Derek fisso sul suo viso; lo fissò di rimando e si sorprese di trovarci un’aria leggermente infastidita.
 
“Sono sette ore di macchina Stiles. Sette. Se scopro che ti sto accompagnando a conoscere una con cui hai parlato in chat giuro che ti uccido con le mie stesse mani, e poi le laverò nel tuo sangue.” Bisbigliò mostrando i denti, gli occhi che erano diventati di un rosso acceso. Nel frattempo l’adolescente era tornato a guardare la strada e aveva sorriso di più.
 
“Certo che per conoscermi da anni hai una bassa opinione della mia intelligenza eh sourwolf?!” domandò sollevando un sopracciglio e sorridendo di sbieco, sorriso che divenne una risata quando Derek tornò umano e, sbuffando, voltò la testa verso il finestrino e incrociò le braccia al petto. Improvvisamente Stiles svoltò a destra e accostò in un’area di servizio. Spense la macchina e si stiracchiò leggermente e poggiò la testa sul sedile, voltandosi verso Derek.

“Ti dispiacerebbe andare a prendere qualcosa da mangiare? Ne avremo ancora per un po’, forse è meglio fare scorta ora, io penso a fare rifornimento” mormorò ad occhi chiusi per poi sospirare ed aprirli lentamente. Trovò Derek che lo scrutava attentamente con le sopracciglia aggrottare; l’adolescente sorrise stanco e, stranamente, il moro non fece questioni, scendendo dall’auto e dirigendosi verso il negozio in silenzio.
Stiles scese svogliatamente dall’auto, iniziando a fare il pieno per la jeep: chiuse un attimo gli occhi e si appoggiò alla carrozzeria, un fruscio e sentì che le chiavi erano state sfilate dalla tasca dei suoi jeans. Aprì di scatto gli occhi per vedere Derek intento a fissare la pompa di benzina.

“Guido io, mi annoio a stare fermo sul sedile perciò siediti e sta' zitto.” Borbottò a bassa voce. Stiles sorrise, evidentemente non riusciva a fare nient’altro dall’inizio del viaggio, e si rese conto solo ora che Derek aveva sempre avuto la straordinaria capacità di riuscire a leggere nella sua testa semplicemente guardandolo. Appena chiuse lo sportello del passeggero respirò più profondamente e rilassò i muscoli che erano stati tesi durante tutto il periodo della guida: era peggio di quel che pensasse. I muscoli stavano iniziando ad intorpidirsi, sentiva una strana sensazione di calore, voltò la testa e si sedette meglio, tutto ciò che riuscì a sentire era solo l’accensione del motore della jeep e la sensazione di due grandi occhi verdi addosso.

Una botta fece svegliare Stiles di soprassalto; scattò sull’attenti talmente velocemente che per un attimo la vista si offuscò. Girò la testa a destra e sinistra, confuso, fino ad abbracciare con lo sguardo l’imponente figura che stava sul sedile del guidatore, il profilo spigoloso, il naso dritto, le labbra stirate in una linea rigida e severa.
Il giovane si schiarì leggermente la gola e bevve un sorso d’acqua; come colto di sprovvista il moro voltò la testa nella sua direzione, probabilmente era perso nei suoi pensieri e non aveva notato che Stiles si fosse finalmente svegliato.

“Mi dispiace, piombo in casa tua la mattina presto senza preavviso chiedendoti un favore del quale neanche immagini l’entità e poi mi addormento non essendo neanche di compagnia durante il viaggio, sono davvero pessimo. Ho dormito per molto tempo?” Mormorò imbarazzato passandosi entrambe la mani sul viso.

“Solo qualche ora; nessun problema, vuol dire che me la pagherai ancora di più quando arriveremo.” Borbottò Derek concentrandosi di nuovo sulla strada. Derek prese l’uscita per Los Angeles e si voltò verso Stiles.
“Da qui in poi devi darmi indicazioni tu” gli disse sistemandosi meglio sul sedile; se erano quasi arrivati vuol dire che Derek aveva guidato almeno quattro ore, si sentì un po’ in colpa.

“Andiamo verso West LA.” Sussurrò abbassando lo sguardo. Improvvisamente l’enormità di tutto quello che stava per accadergli lo investì, mozzandogli il respiro, il cuore che aumentava vistosamente i battiti. Derek non disse nulla neanche stavolta.
“Accosta, fai una pausa, lascia guidare me” sussurrò ad un tratto. Non aveva idea del perché avesse chiesto a Derek di andare con lui, era sicuro di non volere Scott e neanche suo padre, sperò solo che non si trattasse di un grande errore.

“Non fare l’idiota Stiles, sei pallido, stai iniziando a sudare e tremi leggermente, non lascerò che tu ci faccia schiantare contro un muro, non sei nelle condizioni per guidare.” Lo guardò severo l’alpha. L’adolescente deglutì a fatica e provò a guardarlo negli occhi.

“Ne ho bisogno Derek. Non permetterò ad entrambi di arrivare neanche lontanamente vicino ad un muro; sei un dannato lupo maledizione, nel caso in cui dovesse succedere sono sicuro che troveresti il modo di farci uscire miracolosamente vivi entrambi.”  Rispose Stiles con il suo solito sarcasmo pungente. Non ricevette risposta dal più grande, semplicemente accostò.
“Grazie.” Mormorò sfiorando per un istante la mano di Derek con la punta delle dita. Fu un contatto appena accennato, delicato come il tocco di un battito d’ali di una farfalla ma che riscosse Derek e creò una piacevole contrazione all'altezza dello stomaco. Ancora leggermente scosso scese con movimenti meccanici e prese il posto che prima occupava il più giovane.
Quando rallentarono fino a fermarsi del tutto notò che avevano accostato di fronte un imponente edificio con un sacco di finestre e qualche balconcino. Stiles Scese dalla macchina e si diresse verso il cofano dal quale uscì il suo zaino di scuola, scrisse velocemente qualcosa sul telefono e richiuse il bagagliaio; Derek lo seguì immediatamente e gli si mise accanto aspettando. Chiusero la macchina e iniziarono ad incamminarsi. Girato l’angolo un’enorme insegna gli si parò davanti.

“The Angeles Clinic and Research Institute?” Chiese Derek leggendo ad alta voce e voltandosi verso il castano. Stiles si guardava la punta delle scarpe incredibilmente assorto e dava le spalle a Derek; il moro riusciva a vedere le spalle alzarsi e abbassarsi, segno che Stiles stesse respirando pesantemente.

“Non sei costretto a venire Derek, potresti rimanere in macchina se ti va” sussurrò il più giovane, talmente piano che sarebbe stato un mormorio impercettibile per qualsiasi orecchio umano.

“Neanche per sogno, non mi sono fatto 8 ore di macchina per niente, andiamo” disse velocemente precedendo Stiles. Delle porte a vetri automatiche si aprirono e Derek venne immerso in quella che gli sembrava una reception a tutti gli effetti. Al centro della stanza vi era un grande bancone rotondo, di legno chiaro, dietro il quale stava seduta una donna con i capelli legati all’indietro, dall’aria cordiale e gentile. Dietro il bancone, in fondo alla stanza c’era una grande parete in vetro dove scorreva dell’acqua, l’unico rumore che si riusciva a percepire nella stanza; le pareti color tortora facevano risaltare il mobilio che si alternava tra diverse sfumature di marrone e bianco. Qua e là erano disseminate delle piante e c’era qualche fiore sistemato sui vari tavolini sparsi per la grande stanza. Da entrambi i lati della parete di vetro c’erano due scale che portavano al piano superiore. Derek non si era neanche reso conto di essersi bloccato; ci fece caso solo quando Stiles lo superò per avvicinarsi a quella che immaginava fosse la reception; ancora imbambolato lo segui, pur rimanendo in disparte.

“Salve, sono Genim Stilinski, è possibile vedere il dottor Brown per favore?” Chiese il castano sporgendosi leggermente verso la donna. Quest’ultima smise di battere furiosamente i tasti del computer e alzò lo sguardo verso l’interlocutore.

“Ha un appuntamento signor Stilinski?” chiese con voce materna e addolcendo d’un tratto lo sguardo.

“N-no,ma sono sicuro che se riuscisse a mettersi in contatto con lui potrebbe ricevermi.” Balbettò arrossendo impercettibilmente. Derek stette in disparte e rimase lì a distanza come spettatore silenzioso.

“Va bene vedo cosa posso fare, non ti prometto niente!” esclamò la donna puntandogli un dito contro e afferrando con l’altra mano la cornetta del telefono lì vicino e digitò velocemente una sequenza di numeri.

“Dottor Brown? Sono Rebecca, chiamo dalla reception. So che non dovrei disturbarla, ma qui c’è un ragazzo, dice di chiamarsi Genim Stilinski, vorrebbe parlare con lei, non ha un…” la donna strabuzzò gli occhi un momento lasciando la frase a metà, chiudendo poi di scatto la bocca.
“Sì, sì è ancora qui. Certo, sì, come desidera.” Disse concludendo la chiamata.
“Devi essere davvero un ragazzo speciale eh Genim?”gli sorrise apertamente la donna.
“Siediti pure su una di quelle poltroncine, il dottor Brown ha una visita, ma mi ha detto di dirti che ti raggiungerà non appena avrà finito.” Gli sorrise ancora una volta, Stiles ringraziò e si voltò verso Derek, ancora ammutolito dalla bizzarra scena alla quale aveva appena assistito. Seguendo uno Stiles barcollante, Derek sprofondò nella poltroncina color beige, seduto accanto a Stiles.

“Stiles, davvero, che ci facciamo qui?” chiese ansioso guardandolo. L’espressione di Stiles era fredda; il ragazzo si voltò verso di lui e la sua espressione si riscaldò leggermente.

“Hai paura delle cliniche e dei dottori lupo da strapazzo? Non ne avevo idea, potrei usare questa nuova informazione contro di te la prossima volta..” mormorò alzando gli occhi al cielo e scoppiando a ridere vedendo l’espressione allibita e truce di Derek.

“Suvvia, stavo solo scherzando, come siamo suscettibili oggi”  ribadì il castano dando una gomitata scherzosa nel fianco di Derek.
Con fare stizzito quest’ultimo strappò lo zaino dalle mani di Stiles e prese un panino che avevano preso alla stazione di servizio; sgarbatamente lo mise tra le mani di uno Stiles meravigliato.

“Non hai toccato cibo da quando siamo partiti, mangia, non sarò certo io a trascinarti in giro per questo posto nel caso tu abbia un mancamento.” Stiles sorrise intenerito e iniziò a mangiare il suo panino senza protestare; riuscì a mangiarne solo metà, appena in tempo, perché dalle scale che c’erano infondo notò una chioma castana leggermente brizzolata che scendeva speditamente. Stiles gi alzò e nervosamente si lisciò le pieghe dei pantaloni. Derek che fino a quel momento era rimasto in silenzio e con le braccia conserte alzò lo sguardo verso il giovane ragazzo, incuriosito. Un uomo con il camice, sulla cinquantina con i capelli e la barba brizzolati si stava avvicinando velocemente verso i due ragazzi.

“Stiles!” urlò l’uomo correndo verso il ragazzo e abbracciandolo stretto. Stiles rise, dando qualche pacca sulla spalla a quella che, Derek ipotizzò, era la persona che stavano aspettando.

“Hey dottor Brown, non sei cambiato per niente in questi ultimi anni che non ci siamo visti eh? Cecilia e le bambine come stanno?” chiese curioso il più giovane. Derek notò che le sue gambe tremavano appena, era impercettibile ad occhio umano, come se non riuscissero a reggere il peso del corpo di Stiles.

“Bene grazie, ma non sono più delle bambine sai? Sono cresciute anche loro, come te. Ma guardati, sembri lo stesso bambino di qualche anno fa” rispose il dottore allontanandosi appena ma tenendo una mano poggiata sulla spalla di Stiles. Derek decise che quello fosse il momento di intervenire, si alzò e passò, con non poco imbarazzo, una braccio attorno alla vita di Stiles; lo capiva dal suo viso più pallido del solito e da un leggero velo di sudore che imperlava la fronte del giovane che era stato visibilmente provato dal viaggio. Stiles arrossì in risposta e con gesti convulsi della mano presentò i due.

“Dottore, lui è Derek Hale è uhm, un amico che ho su a Bacon Hills, Derek lui è il dottor Andrew Brown.” Entrambi si strinsero la mano velocemente e l’adulto gli rivolse un sorriso caloroso; la veloce presentazione non chiarì i dubbi di Derek, pensieri che gli ronzavano in testa da questa mattina quando aveva visto il ragazzo davanti la sua porta.

“Beh ragazzo, cosa posso fare per te?” chiese il dottore sorridente. Stiles smise di sorridere d’un tratto, riacquistando quell’aria fredda e distaccata che aveva assunto per la maggior parte del tragitto in auto.

“Che ne dice di andare nel suo studio a parlare un po’?” rispose cercando di tornare quello di sempre. Anche il medico cambiò completamente espressione, annuendo velocemente e precedendoli lungo le scale: Stiles era ancora stretto nella morsa di Derek e dopo i primi scalini pose le sue mani, ossute e ghiacciate, attorno al braccio di Derek, come per sorreggersi. L’andatura era terribilmente lenta, anche per un pigrone come Stiles, il dottore voltandosi indietro rallentò l’andatura e fissò con gli occhi diventati tristi e consapevoli il viso di uno Stiles che gli sorrideva a disagio, come per chiedere scusa e comprensione per qualcosa che Derek non capiva. All’improvviso Derek si rese conto di essere l’unico ad essere all’oscuro della faccenda. Arrivati nell’ufficio del medico Stiles si sedette scompostamente sulla poltroncina davanti la scrivania e tirò la maglietta di Derek intimandolo di fare lo stesso. Il dottore li raggiunse poco tempo dopo con una cartella in mano e chiuse la porta. Lentamente fece il giro del tavolo, si sedette sulla poltrona e si schiarì la voce in attesa.

“Andiamo dottor Brown, ti trovi a disagio anche con me? So già quello che mi dirai voglio semplicemente capire quanto è degenerata la cosa.” Disse schietto Stiles abbandonandosi contro lo schienale della poltrona e riacquistando quella che era la sua caratteristica determinazione.
“Sudorazione notturna, perdita di peso, dolore diffuso e diminuzione della forza muscolare improvvisa. Provo uno strano senso di familiarità con tutto questo, lo sapeva che sarebbe arrivato il momento vero?” Chiese Stiles sorridendo. Derek alternava lo sguardo tra i due; il dottore era evidentemente mortificato, teneva lo sguardo basso sulla cartella che aveva portato con se sfogliandola nervosamente, Stiles era determinato, rassegnato? Non riusciva a capire cosa passasse per la sua testa, tanto era vasta la gamma di emozioni che passava sul suo viso.

“Dobbiamo fare prima dei test Stiles, per esserne sicuri. Possiamo farli anche immediatamente.” Mormorò il medico con un po’ di sicurezza in più.

Quello che successe dopo è un accozzaglia di cose confuse nella testa di Derek. Il dottore e Stiles andarono via per gli esami di cui parlavano lasciandolo solo. Rimase lì per un tempo indeterminato, quando Stiles tornò non sembrava avere una bella cera, trovò comunque la forza di sorridergli incoraggiante e di tirargli una gomitata scherzosa.

Il dottor Brown entrò poco tempo dopo con in mano un mucchio di scartoffie.
 
“Voglio sentirmelo dire esattamente come lo dice agli altri.” Sussurrò Stiles guardando il medico direttamente negli occhi. Aveva il corpo totalmente abbandonato contro lo schienale della sedia, arrendevole.

“Stiles sei affetto dal linfoma di Hodgking. È un tumore maligno che colpisce gli organi del sistema linfatico. È tremendamente raro che capiti ad una persona della tua età, probabilmente ha influito il fattore genetico. Hai delle ghiandole sotto il collo ingrossate, il diaframma è compromesso e anche la milza sembra presentare delle masse tumorali. Possiamo definirlo al terzo stadio, anche i sintomi lo confermano. Tra un po’ arriverà la febbre continua, probabilmente anche il prurito. Hai diverse opzioni per quanto riguarda la terapia. La chemio, ovviamente, e le cellule staminali che sono ancora in sperimentazione però nel caso in cui la chemioterapia non dovesse funzionare. Con la radioterapia abbiamo ottenuto dei risultati ottimali tramite l’irradiazione agli organi compromessi.” Stiles non aveva staccato per un momento gli occhi da quelli del dottore, che cercò di essere il più distaccato possibile. Stiles aveva improvvisamente stretto la mano di Derek, tanto più grande e calda della sua. Ci fu un momento di silenzio. Il moro era sconvolto, tutto si sarebbe aspettato tranne che questo; strinse un po’ di più la mano di Stiles e questo sembrò riscuoterlo dallo stato si semi-incoscienza nel quale si trovava.

“Parlando di sopravvivenza, quante possibilità ci sono che la terapia possa funzionare davvero? Se è arrivato alla milza sto per entrare nel quarto stadio dottore, non pensi di fare il furbo con me, ci ho convissuto per anni” ghignò Stiles.
“Arrivati a questo punto so con certezza le che possibilità di sopravvivenza sono scarse, ci sono, ma sono praticamente inesistenti per un caso come il mio. Ho una dignità che voglio conservare perciò no, non mi sottoporrò a nessun tipo di trattamento, potreste iniziare a prescrivermi qualche antidolorifico però; sappiamo che in realtà sono quello di cui avrò veramente bisogno tra un po'. Dottor Brown è stato incredibilmente prezioso, la ringrazio con tutto il cuore." Asserì Stiles snocciolando le parole una dietro l'altra. Con passo malfermo si alzò dalla poltrona e zoppicò verso la porta; sia Derek che in medico rimasero allibiti. Derek iniziò a correre dietro Stiles, lo raggiunse appena prima che iniziasse a fare le scale: lo prese in braccio e lo aiutò a scendere.







Eccomi qui! Sono decisamente in anticipo ma la settimana prossima proverò a dare un esame e non sono sicura di riuscire ad aggiornare in tempo, quindi meglio prima che dopo.
Spero che questo imprevisto vi faccia piacere, chiedo venia per eventuali errori ma lo studio mi sta uccidendo.

Un bacio.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Forever And A Day.


2.






"Stupido idiota, sei davvero la persona più imbecille che io abbia mai incontrato! Hai il cancro diamine, e non vuoi nessun tipo di trattamento, sei per caso impazzito?! Ora risaliamo e dirai al dottore che non eri in te e non sapevi che diavolo stavi blaterando e che sì dannazione vuoi quelle maledette cure!" Iniziò a sbraitare il moro una volta che ebbe messo il più giovane a terra: aveva praticamente iniziato a urlargli in faccia da quando avevano raggiunto l'atrio e ora li guardavano tutti. Durante la sfuriata Stiles lo aveva guardato per tutto il tempo, rimanendo impassibile e con un'espressione neutra. Quando Derek ebbe finito il suo monologo respirò più profondamente come per tenere a bada qualcosa che scalpitava dentro di lui.
 
"Andiamo a casa Derek." Disse semplicemente, voltandosi e passando davanti la reception accennò un saluto con la mano e un sorriso ad Rebecca che ora lo guardava dispiaciuta. Derek lo seguì impotente, si accomodò sul sedile del passeggero e ripartirono. Nella mente dell'alpha mille pensieri inciampavano l'uno sull'altro, quel dannato ragazzino era piombato in casa sua per portarlo con lui a sentirsi dire che aveva il cancro, roba da matti. Come avrebbe dovuto gestire tutta quella situazione? Era un malato terminale, come avrebbe affrontato l'immensità di quella situazione? A guardarlo ora non avrebbe mai detto che da lì ad un paio di mesi, anni forse, non ci sarebbe stato più. Scosse la testa velocemente come per disfarsi di un brutto pensiero; pensando non si era accorto che effettivamente non stavano tornando a casa finché l'aria salmastra non gli riempì le narici. Stiles lo guardò un momento e poi scese dall'auto, seguito a ruota da Derek. Il castano abbandonò le scarpe e le calze, arrotolando i bordi dei pantaloni fin sopra le caviglie, beandosi della sensazione della sabbia tiepida tra la dita; velocemente barcollò fino alla spiaggia, lasciando che l'acqua arrivasse a sfiorarlo appena, e lì si lasciò cadere a terra, gettando le braccia all'indietro e rimanendo semi-sdraiato. Chiuse gli occhi ascoltando il mare e sentendo il tiepido calore del sole autunnale sul viso; il moro arrivò silenziosamente e si sedette su un tronco spiaggiato non molto lontano da lì, entrambi rimasero in silenzio per un po' finché Stiles non decise di rompere quel silenzio.
 
"Conosco il dottor Brown da quando avevo otto anni, era il medico della mamma, stessa malattia, questione di predisposizione genetica immagino. Quando lo hanno diagnosticato avevo otto anni, non ne capivo niente, pensavo solo ai fatti miei. Hanno iniziato la cura quando era ancora al secondo stadio, circoscritto solo al diaframma. Inizialmente la chemio sembrava andare bene, il tumore non era regredito ma ne aveva arrestato la diffusione. Era debole, iniziò a perdere i capelli color caramello, venivano via ciocca per ciocca e lei piangeva, per farla sentire meglio una volta chiesi a papà di rasare anche me. -Rise divertito- che sciocco, come se fosse stata una questione di soli capelli. Poi di punto in bianco la terapia ha semplicemente smesso di funzionare. Oh Derek avresti dovuto vederla, la malattia e le cure erano dei tarli che la divoravano e sgretolavano dall'interno, l'ho vista deteriorarsi davanti ai miei occhi, per tre anni, quando è andata via ne era sollevata. Non voglio ridurmi come lei, incapace di muovermi, di respirare, di vivere; se questo vuol dire accorciare un po' la mia vita non importa, la vivrò sentendomi ancora me stesso." Disse sinceramente fissando affascinato l’oceano che stava iniziando a perdere la sfumatura blu e iniziava a prenderne una arancione.

“Okay lo capisco, ma credi che con il corso della malattia le cose saranno più semplici? Non sarai comunque in forze, guardati: riesci a stento a camminare e stare in piedi per un massimo di un paio di ore.” Cercò di farlo ragionare Derek. Ora che aveva sentito quello che gli passava per la testa gli era più chiaro il ragionamento che aveva seguito; non aveva idea di ciò che avesse sopportato quando era più piccolo.

“Pensi che non ne sia consapevole?!” urlò voltandosi di scatto a guardarlo, gli occhi pieni di rabbia.
“Sarò talmente debole che certi giorni magari dovrò andare in giro con la sedia a rotelle o rimanere a letto perché il dolore sarà insopportabile. Dovrò assumere morfina fino alla fine della mia vita, ne sarò dipendente, e come dalla morfina dovrò prendere altri farmaci, e altri ancora per combattere l’effetto collaterale dei primi. Sarà una vita di dipendenze la mia, ma non lascerò che intacchino anche il mio modo di essere. Non cadrò in una dannata depressione come mia madre.” Gli rispose con rabbia. Si alzò di scatto e si diresse verso la macchina a passo di marcia passandosi le mani sui pantaloni per levare la sabbia. In un balzo Derek gli fu accanto preoccupato che i sintomi della malattia si facessero sentire da un momento all’altro; rimase comunque in silenzio aspettando che Stiles sbollisse la rabbia, poi accelerò di un po’ il passo fino ad arrivare per primo in macchina e mettersi sul sedile del guidatore.

“Non penserai mica che io ti lasci guidare?!” rispose il moro meravigliato in risposta allo sguardo truce che gli aveva rivolto l’adolescente.

“Ho il cancro Derek non sto..” iniziò a dire il castano ma venne subito interrotto da Derek.

“Sì Stiles, stai morendo. Non mi fare innervosire e sali su questa dannata macchina, ti riporto a casa.”  Disse velocemente Derek e mise in moto, aspettando che Stiles facesse in giro della macchina e salisse.

“Grazie per essere venuto con me” sussurrò dopo un po’ l’adolescente. Non lo guardava, aveva la testa rivolta verso il finestrino, forse provando a calmarsi dato il battere furioso del suo cuore.
“Non avrei mai potuto riportare mio padre qui, Scott mi avrebbe forzato a seguire il trattamento, non mi avrebbero ascoltato, non avrebbero capito, non ci avrebbero nemmeno provato a dirla tutta quindi grazie”

“Nessun problema. Come hai intenzione di dirlo agli altri?” chiese l’alpha cercando di usare un tono meno brusco; non riusciva neanche a immaginare come dovesse sentirsi Stiles in questo momento quindi cercò di non rendergli le cose ancora più difficili. Quando la risposta da parte del più giovane non arrivò Derek si voltò e lo vide con lo sguardo basso, le guance leggermente rosate e capì.

“Non hai intenzione di dirglielo?! Dio Stiles in un paio di ore hai dimostrato che ho ragione su tutta la linea a considerarti un moccioso.” Asserì Derek scuotendo la testa rassegnato.

“Ho un piano sourwolf, non sono così idiota. Andrò a farmi un giro prima che la malattia diventi troppo evidente e poi chissà.” Asserì Stiles con un sorriso soddisfatto.

“Dio sei proprio un idiota. Scott? Tuo padre? Lydia e il resto bel branco? Sei davvero così egoista e insensibile? Non vuoi dare la possibilità a nessuno di vederti per l’ultima volta? Dove vorresti andare da solo poi eh? Non puoi più permettertelo, hai bisogno di costante compagnia di qualcuno. Se sono stato tollerante con il rifiuto della terapia su questo non scenderemo a compromessi, non mi importa, dovessi essere costretto a legarti da qualche parte.” Ringhiò il lupo contrariato.
“Dannazione lo so che non sarà facile moccioso, stare lì a guardare mentre tu sei quello che hai la malattia ma sono gli atri che la vivono peggio di te ma credi davvero di essere più felice stando lontano dagli altri? Sarai anche un moccioso ma non sei stupido, lo so che lo fai per gli altri e non per te stesso ma, non precludergli questa possibilità a priori, nessuno di loro lo merita. Ti si sono affezionati, ti vogliono un gran bene, fai l’uomo stringi i denti e resisti per loro okay? Non meritano quello che stai progettando, potrebbero rimpiangerlo per tutto il resto della loro vita, non lasciarli vivere con quel peso.”
Stiles ascoltò con attenzione e rifletté attentamente stabilendo che non era una cosa impossibile e dandosi la possibilità di rimandare la decisione in futuro. Entrambi stavano pensando molto, Derek a quanto fosse dispiaciuto per Stiles a cui si scoprì straordinariamente legato e Stiles cercava in tutti i modi di non fare caso al peso che si era posato sul suo cuore pensando che avrebbe lasciato solo suo padre, ancora.
Non avevano niente da dirsi ma non era un silenzio fastidioso, stranamente riuscirono a bearsi della compagnia reciproca cosa che da tempo mancava a Derek mentre Stiles attingeva tranquillità dalla postura e dalla giuda sicura del più grande. Il sole cominciò a sparire dietro l’orizzonte, le sfumature del cielo diventarono arancioni e viola e già si vedeva qualche timida stella che faceva la sua comparsa. Stiles chiuse gli occhi e respirò piano dalle narici, beandosi della sensazione quasi dolorosa dei polmoni che si riempivano completamente; era stanco, era stata una giornata interminabile e improvvisamente metabolizzò tutto quello che gli era stato detto, tutto quello di cui avevano parlato lui e Derek e si rese conto che il moro aveva avuto ragione, fin dall’inizio.
 
“Penso che la cosa migliore sia aspettare un po’, dammi qualche mese ti prego, farò tutto quello che mi dirai, starò a riposo e ti ascolterò senza ribattere come il mio solito. Voglio solo qualche mese di normalità, puoi farlo?” chiese il ragazzo voltandosi verso il guidatore. Lo scrutò attentamente e Derek per un momento ricambiò lo sguardo con le sopracciglia corrugate, leggendo attentamente l’espressione di Stiles.

“Stiles tu hai bisogno che qualcuno che ti è vicino sappia quali sono i tuoi problemi, le tue esigenze e ti possa aiutare. Anche se finalmente il fatto che io abbia il potere di ammutolirti mi attira parecchio.” Sorrise il moro divertito, cercando di smorzare un po’ la tensione.
 
“Non è ancora così grave ed evidente, un paio di mesi, nient’altro.” Chiese con sguardo supplicante.

“Okay non dirò niente, ma se noto che la cosa peggiora da un momento all’altro non so se riuscirò a tenere la bocca chiusa, chiaro?” disse sinceramente il lupo.

“Chiaro capo.”
 
Arrivarono a casa che era l’una passata, Derek guidò fino a casa di Stiles e poi tornò di corsa verso villa Hale. Stiles entrò in casa e salì le scale ancora intontito dalla quantità di eventi che erano successi nell’arco di meno 24 ore; andò a letto più consapevole di quello che lo aspettava in futuro, fiducioso che nonostante tutto non l’avrebbe affrontato da solo.
 
*
 
Passarono le settimane, Stiles continuò normalmente la sua vita andando a scuola cercando di ridurre al minimo l’attività fisica che era costretto a fare per non destare sospetti. I sintomi rimasero quelli che aveva riconosciuto, senza progressi evidenti.
Solo il dolore diffuso peggiorava quando poneva il suo corpo sotto sforzo, ma niente che dei profondi respiri non potessero risolvere. Derek continuava stranamente a reggergli il gioco, ogni tanto, durante gli allenamenti (ai pochi a cui aveva il permesso di assistere) si scambiavano degli sguardi, Derek per assicurarsi che il più giovane stesse bene e Stiles per rassicurarlo come meglio poteva. Trovarono una complicità che non avevano sperimentato prima e che non sapevano di poter avere, la cosa però non infastidiva nessuno dei due, anzi si trovarono spesso compiaciuti del grado di familiarità e sopportazione reciproca che avevano raggiunto.
Arrivò l’inverno e con questo iniziarono a manifestarsi dei pruriti sparsi e l’insonnia, il resto dei sintomi però Stiles riusciva a tenerli abbastanza sottocontrollo.
Derek e Stiles avevano iniziato a passare tanto tempo insieme, ognuno dei due scoprendo sfaccettature del carattere dell’altro che mai avrebbero immaginato. Ad entrambi iniziò a piacere la reciproca compagnia ma non lo ammisero apertamente, attribuendo quelle sensazioni solo alle necessità di Stiles.
Una sera si trovarono entrambi a casa di Stiles, lo sheriffo era fuori per un paio di giorni a causa di un congresso e il ragazzo era rimasto solo. Erano entrambi seduti sul divano a guardare un film a cui nessuno dei due prestava davvero attenzione, presi com’erano dalla conversazione.
 
“Derek, tu credi ci sia qualcosa dopo la morte? Tipo cancelli di madreperla o qualche altra fesseria?” chiese il castano sorridendo divertito.

“Non lo so.” Rispose l’alpha sorpreso da una domanda del genere.
“Immagino ci sia qualcosa, tutti crediamo in qualcosa suppongo” rispose evasivo.
 
“A dire il vero ho letto su internet di una credenza nella religione buddista riguardo una energia costante…i fisici quantistici hanno dimostrato la sua esistenza. Spazio universale perfetto e senza tempo. È solo come essere..essenza. Non riesco a evitare di immaginarmi come polvere che balla nella luce tremolante. Milioni di atomi di costante essenza. Immaginatemi che faccio tip tap fra le stelle e sarò ben felice.”¹ Rispose ridendo il ragazzo. Derek rimase colpito dalla maturità dimostrata nei confronti di tutta quella faccenda; spesso e volentieri si dimenticava di avere a che fare con Stiles, il sarcastico e logorroico Stiles e che lo infastidiva sin da quando era tornato a Bacon Hills. Lo osservò più attentamente guardando come fosse dimagrito ulteriormente, le profonde occhiaie sotto gli occhi e il leggero tremore che scuoteva le mani. Paragonando l’immagine con il primo ricordo che avesse di Stiles, il ragazzo che lo stava osservando sembrava l’ombra di quello che era stato, ma ora, con quel sorriso e gli occhi illuminati dalla luce della tv, l’adolescente gli sembrò più bello che mai.
 
Era arrivato maggio, e con quello si percepiva nell’aria tiepida la tensione dei giovani diplomandi del liceo, tra i quali anche Stiles. Era contento di essere arrivato a quel traguardo, mancava poco e avrebbe ottenuto ufficialmente il diploma con la cerimonia e tutto il resto. Passava molto tempo a casa di Derek, che lo aiutava a studiare; l’apprendimento con il progredire della malattia era diventato più difficile, Derek lo aiutava a mantenersi concentrato con l’imposizione della sua presenza autoritaria.
Arrivò il pomeriggio prima del diploma, Stiles era visibilmente emozionato e non riusciva a stare fermo per il nervosismo, Derek continuava a seguirlo con lo sguardo da dietro il suo libro.

“Derek?” chiese il castano fermandosi di punto in bianco davanti a lui. Il moro alzò gli occhi dalle pagine e gli fece un cenno con la testa come per intimarlo a continuare, curioso.

“D-domani è il giorno del mio diploma, lo sai no?” balbettò nervoso abbassando lo sguardo e iniziando a torturarsi le mani.

“Sì che lo so, non fai che ripeterlo da settimane moccioso” borbottò intenerito, inclinando appena la testa lateralmente cercando di mantenere comunque la sua aria distaccata.

“B-beh tu, si insomma, verrai?” chiese alzando lo sguardo e incatenandolo a quello verde acqua di Derek; quest’ultimo non poté far altro che notare la leggera speranza che aleggiava dentro quegli occhi ambra.

“Non so Stiles, vedremo direttamente domani” mormorò in imbarazzo tornando alla sua lettura. In realtà era scontato che sarebbe andato, solo che non lo avrebbe detto al ragazzo semplicemente perché non aveva voglia di svelare sin da subito le sue carte; se tutto sarebbe andato come previsto sarebbe stata una giornata memorabile per entrambi.
Quando quella mattina Stiles si svegliò sentì una strana sensazione allo stomaco, la testa era leggera, sembrava quasi che fluttuasse: era il giorno del suo diploma, gli sembrava straordinario essere riuscito ad arrivare fin lì, per la prima volta si sentì orgoglioso di se stesso. Nonostante avesse dormito poco e niente non sentiva la fatica e la stanchezza, anzi, probabilmente erano mesi che non si sentiva così pieno di energie. Andò a farsi una doccia, preparò la colazione per lui e suo padre, che si era preso appositamente la mattinata libera per festeggiare con suo figlio, si sistemò e prese la toga per dirigersi a scuola. Salutò il padre velocemente e corse verso la palestra dove si sarebbe effettuata la cerimonia per cambiarsi velocemente. Arrivato lì riconobbe subito il suo migliore amico che parlava fitto fitto con Isaac; abbracciò entrambi e uscì in cortile per prendere una boccata d’aria dall’atmosfera soffocante che regnava lì dentro. Aveva indosso dei pantaloni scuri e una camicia bianca con una cravatta (suo padre aveva insistito per quest’ultima), sopra aveva la toga blu che aveva lasciato aperta, il capello sottobraccio. Improvvisamente, come per rispondere ad un richiamo voltò la testa verso destra e vide Derek che avanzava attraversando il cortile. La gioia e il sollievo che provò il castano furono indescrivibili, iniziò ad andargli incontro fino a circondare il petto con le braccia, affondando il viso nel suo petto.

“Lo sapevo che saresti venuto” mormorò l’adolescente, le parole che venivano attutite dalla maglietta di Derek. Il moro sorrise divertito e portò la sua mano a scompigliare i capelli del ragazzino che aveva imparato a voler bene.
Una folla di ragazzi in toga blu iniziò a entrare in palestra, Stiles si staccò dall’alpha lo salutò con un cenno imbarazzato della mano e seguì la folla.
Quando arrivò il suo turno di salire sul palco non riuscì a tenere a bada le emozioni, guardò il volto di suo padre e Melissa un po’ commossi che applaudivano contenti e lì, infondo alla sala, spiccava un Derek sorridente ed emozionato che batteva le mani nella sua direzione.
Dopo la fine della cerimonia però, non ce n’era più traccia.

Si rividero solo più tardi, quella sera stessa. Stiles e i ragazzi avevano festeggiato tutto il giorno e ora era disteso nel suo letto, guardando il soffitto. Poi all’improvviso sentì un rumore provenire da fuori; balzò spaventato sul letto precipitandosi alla finestra quando una figura scura gli si parò davanti dall’altro lato del vetro. Spaventato a morte indietreggiò, stava quasi per urlare quando riconobbe Derek che se la rideva mentre lo fissava.
 
“Dannato sourwolf non sarà il cancro ad uccidermi, mi stavi facendo venire un infarto idiota!” borbottò aprendo la finestra e lasciandolo entrare. Derek continuava ridere divertito dall’espressione del castano di poco prima. Stiles sbuffò infastidito e andò a sedersi sul letto a gambe incrociate mettendo su il broncio.


“Perché sei andato via? Ti ho cercato dopo la cerimonia…”
 
“Troppa gente, lo sai che non mi piace la confusione, avremmo avuto un sacco di tempo dopo”

“E se io tutto questo tempo non lo avessi?” chiese il più giovane sfidandolo con lo sguardo. Improvvisamente, senza che potesse controllare le cose, una serie di parole iniziarono a fluirgli dalla bocca. Tutti i pensieri che gli frullavano in testa da un paio di settimane, mesi addirittura, uscirono incontrollatamente per andare a incontrare lo sguardo stupito del moro.
“Dannazione Derek che diavolo stiamo facendo?! Ci avevo perso le speranze e ora sei così…così diverso e adorabile e gentile a tratti anche divertente e fai sembrare tutto così diverso e meno brutto di quanto in realtà non sia.” Iniziò a balbettare Stiles misurando la sua camera a grandi passi.
“E magari questa è la mia unica occasione per dire le cose davvero come stanno perché quando non ci sarò più non voglio avere nessun rimpianto alla fine e tu saresti senza dubbio il più grande della mia vita.” Disse sta sé e sé fermandosi di scatto e tenendo la schiena rivolta verso il più grande.
Derek da parte sua si dovette concentrare attentamente per capire le parole che erano uscire dalle labbra del ragazzino ad una velocità impressionante; rimase perplesso continuando a guardare la schiena del castano che si alzava e abbassava ritmicamente seguendo il suo respiro. Incrociò le braccia al petto confuso e spostò il peso da un piede all’altro nervosamente.

“Che diavolo stai blaterando ragazzino?”
Stiles si girò completamente verso il moro, guardandolo direttamente in faccia e incatenando il suo sguardo in quello verde muschio di Derek.

“Sono innamorato di te, ti amo praticamente da sempre. Tu non mi ami?”  chiese flebilmente Stiles. Iniziò a giocherellare con le sue dita, continuando a tenere lo sguardo fisso su un Derek che da impassibile diventava prima confuso per rimanere in uno stato di shock subito dopo.

“I-io..” balbettò iniziando ad indietreggiare fino a scontrarsi con la scrivania.
“I-io non posso Stiles. Non posso amarti. È meglio…non possiamo più vederci scusa.” Balbettò con gli occhi sgranati. Velocemente si voltò e balzò fuori dalla finestra, rivolgendo un ultimo sguardo all’interno della camera dove era riconoscibile uno Stiles visibilmente scioccato nel mezzo della camera. 








¹: citazione presa dal film della BBC "Third Star"

Eccomi, non odiatemi vi prego! Il mio professore ha l'influenza e ha rimandato l'esame 
Capisco che possa essere fastidioso non avere un giorno fisso per l'aggiornamento, se avete qualche problema scrivete pure e cercherò di rimediare! Un'altra cosa che vi chiedo riguarda la lunghezza dei capitoli. Troppo lunghi? 
Arrivati a questo punto dovrebbero mancarne solo due. Vi ringrazio infinitamente e mi mando un grande bacio.
Buona giornata e a presto!

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Forever And A Day.


3.






Erano passati solo pochi giorni e Stiles iniziò a risentire sempre di più dei sintomi della malattia. Stava a letto dolorante praticamente tutto il giorno e quando riusciva ad alzarsi si stancava dopo pochi minuti; sembrava che Derek avesse portato via con sé tutta la vitalità che lo aveva sempre caratterizzato. Faceva fatica a mangiare e ormai non vedeva quasi più nessuno al di fuori di Scott e di qualche membro del branco che ogni tanto passava a salutarlo. Un paio di volte aveva anche provato a guidare verso casa Hale ma l’aveva sempre trovata vuota o non rispondeva nessuno quando bussava.
Dall’altro lato anche Derek si era isolato come non mai. Con Peter che era andato a vivere da qualche parte, aveva iniziato ad evitare tutti fino a rimanere completamente solo. Stiles era andato a cercarlo qualche volta ma non aveva mai avuto il coraggio di affrontarlo; si limitava ad accontentarsi dei respiri brevi e veloci che riusciva a sentire e immaginava uscire dalle labbra rosee, piene e leggermente aperte del ragazzo, imponendosi l’autocontrollo necessario per non andare e prenderlo tra le sue braccia. Capiva anche che la malattia iniziava a progredire velocemente, più velocemente del previsto, il passo di Stiles che diventava più pesante e trascinato.
Era una sera d’estate, lo sheriffo aveva il turno di notte in centrale e aveva lasciato il figlio solo per l’ennesima volta. Il castano andava in giro per casa, spalancando quante più finestre possibili per liberarsi dal calore e da quella sensazione di umidità che gli faceva imperlare la nuca di sudore. Stava per aprire la finestra della cucina quando la sua attenzione fu catturata da un rumore proveniente dal piano di sopra. Cautamente e con una forza quasi assente prese la sua fedele mazza e la trascinò a fatica su per le scale, convinto che sarebbe servita poco in caso di un’aggressione. Era appena entrato in camera sua quando la sua attenzione fu catturata dalla figura di Derek che era seduto sul bordo del letto, le mani giunte e il capo chino. Lasciò cadere la mazza a terra provocando un tonfo che sembrò riscuotere il giovane alpha, che alzò la testa nella sua direzione, gli occhi sgranati dalla sorpresa. 

“Stiles…”mormorò flebilmente. Iniziò ad agitarsi sul posto, torcendo lievemente le mani.
“Io..io..” borbottò abbassando nuovamente lo sguardo e diventando leggermente rosso.
Stiles da parte sua non riusciva a decifrare la gamma di emozioni che lo scuoteva da dentro: rabbia, furia, curiosità, tenerezza e immensa gioia. Ogni stato d’animo si alternava all’altro lasciandolo confuso.

“Sei sparito per settimane. Per settimane ho cercato di contattarti in ogni modo possibile e tu non c’eri. Avevo bisogno di te Derek e non c’eri. Come pensi di giustificarti questa volta?” rispose Stiles alzando leggermente il tono di voce; gli occhi iniziarono a diventare lucidi e l’impeto avuto poco prima si affievolì lasciandolo spossato. Si appoggiò allo stipite della porta e portò la testa indietro, chiudendo gli occhi e cercando di trattenere le lacrime per non sembrare un bambino. Derek continuava a vergognarsi del suo comportamento ma voleva davvero sistemare le cose; si alzò silenziosamente e con dei passi lenti si avvicinò al ragazzo e gli sfiorò le dita delle mani con le sue. Stiles non si tirò indietro, anzi portò le sue dita a incrociarsi con quelle del moro e le strinse forte; rimasero in quella posizione per un tempo indefinito, Stiles che provava a darsi un controllo e Derek che gli stringeva la mano e lo guardava assorto. Quando Stiles riuscì a riprendere il controllo di se stesso trascinò Derek con lui sul letto, slacciando momentaneamente l’intreccio delle dita. Incredibilmente sentì subito la mancanza di quel calore e quella stretta rassicuranti sperimentati solo poco tempo prima. Sentendo improvvisamente freddo scostò le coperte del letto e ci si infilò dentro, tirandole fino a metà busto e sistemandosi di fianco, guardando Derek che era rimasto alzato e aveva seguito tutti i suoi movimenti con lo sguardo.
“Vieni” sussurrò il più giovane stremato allungando la mano verso l’alpha. Derek si precipitò verso il castano afferrando la sua mano e sistemandosi vicino a lui, seduto sul letto.
“Ti do la possibilità si spiegare, sii convincente” borbottò stancamente chiudendo gli occhi.
 
“Non c’è niente da spiegare. Hai il cancro Stiles. Come pensi mi possa fare sentire una consapevolezza nel genere? Non posso amarti Stiles perché non ho bisogno di prendere qualcuno che mi è vicino ancora una volta. Che senso ha affezionarci pur sapendo che abbiamo un tempo limitato?” chiese Derek infervorandosi man mano che procedeva con il suo discorso. Stiles aveva aperto gli occhi, stanchi lucidi e visibilmente provati da tutta la situazione che si era venuta a creare.
 
“Morirò, non posso di certo affermare il contrario, ma io sono convinto che ne valga la pena. Ti amo e ne vale la pena. Sta a te decidere se saltare con me o no.” Rispose il castano sistemandosi seduto, appoggiando la schiena sulla testiera del letto, la mano ancora stretta nella presa rassicurante del più grande. lo guardò attentamente negli occhi e vide che quelle due geme verdi trasparivano di indecisione e turbamento.
“Non posso forzarti a stare con me, io non pretendo niente lo sai. Immagino sia difficile prendere una decisione ma ti prego, qualunque essa sia,non andare mai più via da me, ho bisogno di qualcuno accanto, non lasciarmi più solo.”concluse Stiles sentendo nuovamente gli occhi bruciare e stavolta nemmeno provò a fermare le lacrime che caddero sottoforma di vistose gocce sul copriletto.
Passarono minuti che sembravano infiniti mentre al più piccolo sembrava quasi di sentire il rumore dei pensieri di Derek. Quest’ultimo da parte sua non aveva mandato dei chiari segnali che potessero far capire al castano le macchinazioni che gli passavano per la testa e rimase pressoché immobile tutto il tempo. Infine si decise a puntare lo sguardo in quello di Stiles con il più timido dei sorrisi.
 
“Ne vale la pena.” Disse solamente spostando lo sguardo fino a fissare le loro mani intrecciate. Per Stiles quell’affermazione ebbe la stessa potenza come se il moro l’avesse in realtà urlata. Sorrise come non faceva da giorni, talmente tanto che sentì male alle guancie; lasciò la mano di Derek e aiutandosi con l’altra fece perno per avvicinarsi maggiormente al viso del moro. Sentì la consistenza dei capelli di quest’ultimo sulla fronte e inspirò l’odore fresco che emanava. Gli accarezzò delicatamente i capelli e piegò leggermente il viso verso destra e posò delicatamente le labbra sulla guancia del più grande, sentendo la consistenza della barba sulle labbra. Sorrise nel bacio sentendo che Derek tratteneva il respiro. Continuando ad accarezzare i capelli da un lato,dall’altro strofinò leggermente le labbra su quella stessa barba che gli piaceva tanto. Troppo presto si allontanò e con un sorriso intenerito guardò quel ragazzo che gli aveva aperto il cuore nonostante tutti i timori e le reticenze che provava.
 
“Non sarà poi così difficile, te lo prometto” sussurrò Stiles prendendogli la mano e sorridendogli incoraggiante. Da parte sua Derek provava a far rallentare il battito frenetico del suo cuore e far sparire una strana sensazione allo stomaco che lo faceva sentire strano. Annuì frastornato, senza parole. Una smorfia di puro dolore fece capolino sul volto del più giovane, facendolo muovere concitatamente sul letto; Derek scattò subito sull’attenti sistemandosi in posizione eretta. Sulla fronte di Stiles iniziarono a comparire delle piccole goccioline di sudore mentre serrava ferramente la mandibola emettendo un verso strozzato.
 
“Stiles” sussurrò il moro alzandosi velocemente in preda al panico, lo fissò mentre il ragazzo si rannicchiava su se stesso respirando pesantemente e rilassando i muscoli che in precedenza si erano contratti.

“Non è niente” biascicò Stiles sdraiandosi e poggiando stancamente la testa sul cuscino. Era visibilmente provato, Derek lo vedeva, nonostante ciò gli sorrise stancamente.
 
“Vieni, mettiti vicino a me” sussurrò il castano tendendogli la mano. Il moro si avvicinò cautamente, ancora spaventato dell’improvvisa situazione che si era venuta a creare. Lentamente si sdraiò vicino al più giovane, voltandosi di fianco e guardandolo dritto negli occhi. Li trovò socchiusi lucidi e arrossati, ma bellissimi. Quando parlò lo fece con un sussurro.
 
“Da quando tempo è arrivato il dolore?” chiese muovendo impercettibilmente le labbra. Il giovane si mosse a disagio, distogliendo gli occhi da Derek e allontanandosi impercettibilmente. Prontamente l’alpha pose una mano alla base della schiena di quello che ormai si poteva considerare il suo compagno e se lo riportò vicino. Stiles aprì la bocca in una piccola O muta, meravigliato del calore che sentiva arrivare a ondate dalla mano sulla sua schiena e ciò lo fece rabbrividire. Non si oppose a quella mano, anzi, si fece più vicino finché la punta del suo naso toccò quella di Derek.
 
“Nell’ultimo periodo direi..non riuscivo a concentrarmi su nient’altro ed ecco si uhm..” balbettò abbassando lo sguardo imbarazzato. Non aveva voglia di confessare che fino a un paio di settimane prima era stato merito di Derek che era riuscito a non farlo soffermare troppo sull’ andamento della malattia.
“Beh immagino sia ora di iniziare a procurarci quei dannati antidolorifici..” ridacchiò il castano tentando di alleggerire la tensione e sentendosi vulnerabile davanti allo sguardo di Derek che lo scrutava e lo studiava con attenzione. La stanchezza che aveva accumulato durante la giornata si fece sentire e le palpebre iniziarono lentamente a chiudersi. Cercò di combattere contro la stanchezza schiudendo gli occhi lentamente sentendoli secchi ed esageratamente grandi; con una mano si aggrappò alla maglietta di Derek, cercando di tenerlo il più vicino possibile. Il moro gli posò la grande mano calda su un lato del viso, coprendo l’orecchio, le tempie e buona parte della guancia. Quel calore era così piacevole e invitante che, non volendo, cedette al sonno.

“Buonanotte Stiles” mormorò l’alpha soffiando sulla fronte del più piccolo regalandogli un delicatissimo e privatissimo bacio su di essa.


 
Passarono un paio di giorni, Derek e Stiles riuscirono a recuperare il rapporti che avevano prima, se non addirittura meglio. Spesso si trovavano a casa del più piccolo a guardare la tv seduti comodamente sul divano o andavano al cinema insieme; Stiles lasciava un sacco di spazio a Derek, permettendo di abituarsi a quella nuova e riscoperta intimità che si era creata tra i due; Derek da parte sua era sorpreso di come il castano riuscisse a rispettare i suoi spazi e di come riuscisse a farsi spazio lentamente. Una volta per esempio stavano guardando uno di quei film di fantascienza che piacevano tanto a Stiles quando le dita scheletriche e fredde del suo compagno (ormai si rendeva conto di non poterlo effettivamente definirlo diversamente) tracciarono delicatamente le dita del moro andandosi poi ad intrecciare alle sue agognando un po’ di calore e vicinanza. Si voltò sorpreso verso Stiles che non si era scomposto minimamente; a Stiles bastava solo quel contatto appena accennato, si stava impegnando talmente tanto per non forzare le cose che Derek non poté che ripromettersi si impegnarsi anche lui ad adattarsi a quella che era la vera indole del castano e a dirla tutta il contatto e la forte presenza imposta da quella stretta di mano non gli davano neanche fastidio, anzi creava una certa familiarità che, si accorse solo ora, mancava poco prima. Stiles era riuscito a procurarsi la morfina che portava puntualmente in una bottiglietta ed assumeva bevendola come se fosse acqua. La portava sempre con se, per le emergenze, ne usufruiva quando il dolore si faceva davvero acuto e insopportabile e ne bastava solo una piccola dose per calmare immediatamente il dolore. Con il passare delle settimane trascorse anche l’estate, i suoi amici si preparavano per il college e Stiles capì che era arrivato il momento di rivelare che no, non sarebbe andato al college e spiegarne anche il motivo. Derek si ritrovò d’accordo, affermando che lo avrebbe sostenuto sempre e comunque. Fu per questo che si ritrovarono tutti nel salotto di casa Stiliski un giovedì pomeriggio, una riunione d’emergenza del branco, o almeno così c’era scritto nell’sms che aveva mandato a tutti i suoi amici più cari; aveva particolarmente insistito che venissero tutti, compresi Melissa e suo padre. Aveva paura di affrontare il discorso con i suoi amici figuriamoci ripeterlo con il padre, stabilì che quella era la maniera più veloce per dirlo a tutti. Iniziarono ad arrivare tutti: Lydia, i gemelli, Isaac, Kira e infine arrivarono Scott e Melissa, che considerava come una seconda mamma. Tutti presero posto nella sala, trovando Derek e Stiles seduti ad un tavolo e vicini; lo sceriffo borbottò infastidito, scocciato dal fatto di essere stato distratto da un caso importantissimo a causa del quale l’ FBI gli stava col fiato sul collo. La sala si riempì di mormorii, con i presenti impegnati a chiacchierare animatamente tra di loro. Stiles da parte sua non aveva idea di cosa fare, con il capo chino fissava insistentemente la punta delle sue scarpe in cerca di un qualche tipo di risposta; improvvisamente la sua mano, racchiusa a pugno e posata sulla coscia venne riscaldata dal calore avvolgente di quella di Derek, che l’aveva presa tra le sue e l’aveva stretta, cercando di infondergli un minimo di coraggio e di sostenimento, facendogli presente che sarebbe rimasto sempre e comunque con lui. Stiles sollevò lo sguardo sorpreso, incrociando gli occhi verde muschio di Derek, che lo fissavano incoraggianti; il castano sorrise di sbieco, leggermente e scrollò le spalle, posizionandosi sullo schienale e alzando fiero lo sguardo. Derek non si sentì mai così orgoglioso.
Stiles si schiarì la voce, sentendo la presenza di Derek vicino a se che gli infondeva coraggio.

“Ho bisogno dell’attenzione di tutti.” Mormorò Stiles a voce alta. A quel punto catturò l’attenzione di tutti i presenti che si voltarono per guardarlo. Derek da sotto il tavolo rafforzò la presa sulla mano e si drizzò impercettibilmente sulla sedia, come a voler incassare nuovamente il colpo per una notizia che conosceva già.

“Non c’è un modo facile per dirlo, quindi penso che lo dirò e basta senza troppi giri di parole” borbottò abbassando lo sguardo un momento per poi rialzarlo e puntare gli occhi su ciascuno dei presenti. Prese un profondo respiro e parlò.
“Ho il cancro, chiamato linfoma di Hodgking. È un tumore maligno terminale, che ormai ha raggiunto una fase metastatica. Ha contagiato milza e hanno riscontrato delle masse tumorali anche nel diaframma. Mi è stato diagnosticato un paio di mesi fa, questo è tutto.” Sussurrò soffermando lo sguardo in quello di suo padre che ora stava appoggiato allo stipite della porta con le braccia abbandonate lungo i fianchi, lo sguardo vacuo e gli occhi spalancati. Si udirono un paio di respiri spezzati mentre il ragazzo passava in rassegna a tutti i volti nella stanza; le ragazze avevano gli occhi lucidi, a qualcuna stava iniziando a cadere qualche lacrima. Tralasciò suo padre, incapace di affrontarlo ora e si soffermò su Scott che incredulo boccheggiava in cerca di recuperare aria. Il suo migliore amico sospirò e lo guardò direttamente negli occhi.
 
“Beh ma noi possiamo morderti Stiles, ci hai chiamato qui perché ci vuoi chiedere di essere morso vero?” chiese speranzoso Scott mentre Isaac gli stringeva forte la mano e lo scrutava con i suoi profondi occhi azzurri. Per un momento la terra vacillò; Stiles non aveva preso in considerazione quell’opzione e improvvisamente gli si aprì uno spiraglio di speranza che non si era rischiato mai di pensare.

“Non è così semplice Scott.” Rispose Derek facendo sentire per la prima volta la sua voce quel pomeriggio. Strinse più forte la mano di Stiles sotto il tavolo, intrecciando le dita a quelle del castano. Lo guardò velocemente con uno sguardo dispiaciuto.
“Si, noi licantropi abbiamo la capacità di guarire dalle ferite più velocemente dagli altri ma non funziona così per il cancro. Vedile come delle cellule impazzite che si duplicano velocemente e non hanno nessun senso del controllo. Non c’è ferita o altro, sono solo cellule che si riproducono velocemente, il morso e la guarigione che ne deriva non fanno altro che velocizzare il processo di rinnovamento cellulare, immagina cosa succederebbe se delle cellule impazzite si riproducessero ancora più in fretta; sarebbe letale. È solamente una teoria, ma io non sono disposto a rischiare.” Concluse guardando Stiles e mimando “scusa” con le labbra. Si era reso conto che era un’eventualità a cui Stiles non aveva pensato ed aveva iniziato a sperare e gli dispiaceva enormemente doverlo deludere così. Lui in primis aveva cercato qualsiasi via di fuga per scappare da quell’incubo che era la malattia della persona a cui teneva di più, ma non ci era riuscito.

“No.” Sussurrò Scott spalancando gli occhi. “Dannazione. Dannazione. DANNAZIONE!” urlò alzandosi, mentre gli occhi iniziavano a cambiare colore, ruggì e tirò un pugno contro il muro, correndo via subito dopo. Nella stanza calò il silenzio mentre Isaac educatamente si alzava.

“Vado a cercarlo..”mormorò e congedò brevemente il resto dei presenti con un cenno del capo.
 Stiles non si ritenne offeso, lui e Isaac erano buoni amici, sapeva che il biondo era discreto e introverso, facendo attenzione a non mostrare le sue intenzioni, ma Scott era il suo ragazzo, era sconvolto ed era comprensibile che non sarebbe rimasto impassibile davanti a quella dichiarazione.

“Beh credo sia tutto, se non vi dispiace vado in camera mia, ho bisogno di stendermi un momento.” Disse alzandosi e facendo strisciare la sedia. Lasciò la mano di Derek e si voltò verso di lui; il moro lo guardò negli occhi cercando di interpretare lo stato d’animo del più piccolo ma questo teneva lo sguardo basso.






E siamo riuscite ad aggiornare anche questa settimana! Ci tenevo a precisare comunque che non sono un medico, tutto quello che ho scritto deriva dalla mia immaginazione e da quel poco che ho letto su Wikipedia (che sapiamo tutti non è sempre il massimo dell'affidabilità!) Vi ringrazio come sempre per l'attenzione ed il supporto, alla settimana con l'ultimo capitolo! 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Forever And A Day.


4.




 
I'll be there forever and a day – Always.
I'll be there till the stars don't shine
Till the heavens burst.
 
 
 
“Se vuoi rimanere solo ti capisco..” sussurrò Derek respirando vicino l’orecchio di Stiles. “Se hai bisogno di me sai come chiamarmi, sarò da te in un baleno.” Disse infine raddrizzandosi.
 
“Non andare via” mormorò Stiles alzando lo sguardo spaventato e puntando i suoi occhi in quelli verde prato di Derek. “Ho bisogno di te, hai promesso che non mi avresti più lasciato solo. Entra furtivamente dalla finestra, ormai abbiamo imparato che ne sei più che capace” sorrise leggermente il ragazzo, ancora visibilmente provato.

“Certo, aspettami lì allora” borbottò il moro. Salutò tutti con un cenno mentre con la coda dell’occhio guardava Stiles che lentamente saliva le scale. Derek chiuse la porta alle sue spalle e furtivamente si arrampicò sull’albero che c’era vicino la finestra del castano. Con un balzo riuscì ad entrare; con lo sguardo cercò Stiles e lo trovò seduto sul letto, ricurvo e con le mani giunte. Derek si avvicinò velocemente e si inginocchiò davanti al ragazzo, temendo che avesse avuto un crollo e che si fosse male.

“Sto bene” sussurrò Stiles subito dopo, posando la sua mano sulla testa del moro e intrecciando le dita ai suoi capelli in una carezza. Derek chiuse gli occhi, beandosi del contatto; sapeva che non c’era niente che andasse bene ma non aveva voglia di costringere Stiles a parlargli; certo, nell’ultimo periodo aveva perso quella scintilla di vitalità e il ragazzino logorroico era diventato taciturno e riflessivo quindi si era abituato a tenere tutto dentro, nascondendo ciò che lo affliggeva.

“Lo so che non stai bene, ti conosco troppo bene per non notarlo ormai, ma non ho voglia di forzarti.” Sussurrò il moro prendendo delicatamente la mano che aveva tra i capelli e baciandone il palmo in un gesto pieno di devozione.
“E’ stata una giornata faticosa, riposati un po’, noi ci vediamo più tardi” concluse cercando gli occhi dell’altro. Stiles sentì lo stomaco contrarsi emozionato e incredulo di avere Derek così vicino; liberò la mano dalla presa ferrea ma gentile del suo ragazzo e la portò sulla guancia dove il contatto con la barba gli solleticò appena le dita. Sospirò pesantemente e alzò lo sguardo da terra.

“Dio, non so cosa farei senza di te.” Borbottò il castano, mettendo su il broncio.

“Probabilmente saresti un ragazzino irritabile e rinchiuso in camera tua per la maggior parte del tempo.” Ridacchiò Derek cercando di alleggerire l’atmosfera. Era così impegnato e concentrato che non notò il cambio di espressione di Stiles, gli occhi che si facevano più scuri e il respiro era veloce e secco mentre usciva dalle labbra appena dischiuse.

“Derek?” lo chiamò con voce rauca e profonda, schiarendosi la gola e attirando l’attenzione del più grande.
“Io..io vorrei tanto fare una cosa, non so se mi è permesso..” sussurrò agitandosi sul posto e sedendosi meglio sul letto. Derek percepiva uno strano cambiamento in Stiles, il petto di alzava e abbassava vistosamente, seguendo il suo respiro, le labbra schiuse si seccavano in continuazione e il battito cardiaco era fortemente accelerato. Il moro aggrottò le sopracciglia, curioso di sapere cosa passasse per  la testa del castano; era insolito che avanzasse richieste così direttamente.
 
“Ti ascolto” rispose improvvisamente interessato, inginocchiandosi davanti al ragazzo sul letto e raddrizzando la schiena.
 
“Beh..queste settimane sono state…interessanti.” Borbottò Stiles diventando improvvisamente rosso. Derek alzò un sopracciglio, aspettandosi tutto tranne che quella definizione.
 
“Interessanti? Sono sorpreso Stilinski, non pensavo che una relazione potesse definirsi interessante, ma avevi una richiesta, questa non è una domanda.” Sorrise furbescamente godendosi la vista di uno Stiles imbarazzatissimo e che si contorceva le mani; non lo aveva mai visto in quelle condizioni e prenderlo in giro gli piacque tantissimo.
 
“Beh, immagino che ormai tu ti sia rassegnato a stare con me e penso che possiamo dire di stare insieme no? Perciò se stiamo insieme dobbiamo, si insomma fare una cosa che fanno gli altri ma noi no. Ecco..” sbuffò frustrato passandosi una mano tra i capelli, scompigliandoli. Derek non ci aveva capito niente, dalla bocca di Stiles erano uscite della parole che a suo parere non avevano nessun filo logico. Sospirò e guardò Derek dritto negli occhi.
“Voglio darti un bacio. Sulle labbra. Come quello che si danno i fidanzati. Le persone normali insomma.” Disse deciso, contraendo la mascella. Derek rimase sorpreso, con gli occhi spalancati, guardandolo.

“Tutto qui?” Chiese sorridendo apertamente ora. Stiles lo guardò strabuzzando gli occhi.

“Che vuol dire ‘tutto qui?’ ” con la voce che gli uscì stridula.
“Dio mi farai impazzire prima o poi” borbottò infastidito e incrociando le braccia.

“Pensavo fosse qualcosa di più sconvolgente; paradossalmente mi sono abituato alla tua presenza e al costante contatto fisico quindi sì, puoi baciarmi, sì sulle labbra, sì come se lo danno i fidanzati.” Rise Derek allargando le braccia. Il castano lo guardò attentamente mentre sentiva le pulsazioni del cuore direttamente nelle orecchie; si inumidì le labbra in un gesto involontario mentre facendo leva sulle braccia si sedeva sul bordo del letto, divaricando le gambe così che Derek stesse più vicino a lui. Si chinò lentamente, sentendo gli occhi verdi su di se che seguivano ogni movimento; inclinò leggermente la testa verso destra, umettandosi nuovamente le labbra e con il tocco più leggero depositò un bacio lì dove il collo incontrava la clavicola, un tocco fugace. Si allontanò di poco strofinando il naso per tutto il collo, respirando lentamente, assaporando ogni minimo dettaglio dell’odore di Derek.
Il moro aveva smesso di sorridere da un po’; nessuno gli si avvicinava così tanto da anni ed era preoccupato di come potesse reagire. Il bacio di Stiles e il suo respiro leggero che percepiva sul collo gli fecero chiudere gli occhi, scatenando brividi in tutto il corpo. Iniziò a sentirsi rilassato mentre la tensione (che non aveva percepito) rilasciò le spalle. Improvvisamente il calore del respiro sul collo svanì e venne rimpiazzato da un sospiro che gli arrivò direttamente sulle labbra che dischiuse naturalmente. Stiles era rimasto incantato a guardare il volto di Derek da così vicino: le labbra rosee e invitanti, il naso stretto e affilato, le lunghe ciglia nere. Sollevò le mani, leggermente tremanti e le portò ai lati del viso del più grande, allargando e richiudendo le dita in una lenta carezza. Si avvicinò fino a posare le sue labbra su quelle di Derek che erano di una morbidezza straordinaria. Il contatto durò solo pochi secondi, poi Stiles prese a mordicchiargli il labbro inferiore passandoci poi la lingua sopra come a voler cancellare il morso; Derek era travolto dalle sensazioni che un solo bacio gli stava dando e, lasciandosi trasportare, avviluppò le sue braccia intorno alla vita di Stiles trascinandolo giù dal letto finché non finì a cavalcioni su di lui. Entrambi non si erano mai resi conto di quanto questo contatto fosse agognato e il bacio diventò subito più urgente; entrambi diedero libero accesso alle proprie bocce mentre Derek stringeva Stiles un po’ più vicino sentendolo tremare, ed iniziò una danza di lingua e labbra. L’ossigeno ad un certo punto venne a mancare per entrambi e furono costretti a staccarsi. Entrambi aprirono gli occhi, respirando pesantemente con i nasi che si sfioravano. Stiles si fece più vicino mantenendo gli occhi ambra in quelli verde muschio del più grande e diede nuovamente un bacio beandosi della morbidezza e della leggera frizione che c’era a causa della barba.

“Avrei dovuto fartelo presente molto prima, sei il mio ragazzo, è stata una grave mancanza da parte tua escludermi da tutto questo.” Mormorò Stiles inclinando leggermente la testa, carezzando per un’ultima volta Derek. Il moro, ancora sopraffatto da tutte le emozioni contrastanti che lo governavano improvvisamente appoggiò la sua fronte sulla spalla del castano; Stiles rimase basito, considerando il fatto che Derek non avesse replicato e ora un leggero tremore gli scuoteva la schiena possente. Il castano abbracciò subito Derek accarezzando a palmi aperti la grande schiena muscolosa, preoccupato da quello strano comportamento; improvvisamente sentì Derek ridere di tutto cuore, a crepapelle: una di quelle risate liberatorie, che ti lasciano con quella strana sensazione di leggerezza. 

“Ti spiacerebbe rendermi partecipe di questa follia?!” domandò Stiles con gli occhi spalancati dalla sorpresa ma con un leggero sorriso che gli aleggiava tra le labbra. L’alpha prese un profondo respiro e rialzò la testa dalla spalla del suo compagno fissando i proprio occhi in quelli ambra; Stiles si domandò come potesse essere così sfacciatamente fortunato. Derek aveva i capelli scompigliati a regola d’arte, un furbo sorriso sulle labbra e gli occhi resi ancora più lucidi dal precedente attacco di risa.

“Stavo immaginando cosa potrebbe pensare tuo padre se, entrando, ci trovasse in questa posizione..” mormorò dopo che gli scappò l’ennesimo sorriso.

“Perché mai dovresti pensarci?!” mormorò Stiles inorridito.

“Beh, penso che sia indeciso se salire o meno nella tua stanza, credo che tra un po’ verrà a farti visita” gli disse all’orecchio, poi improvvisamente aggrottò le sopracciglia.
“Non puoi pretendere nient’altro…gli hai appena detto che morirai tra un po’, hai la stessa malattia che ha avuto tua madre, la cosa lo ha ucciso Stiles.” Annuì serio adombrandosi improvvisamente. Stiles per un momento aveva dimenticato cosa fosse successo solo qualche minuto prima e le parole di Derek lo riportarono brutalmente alla realtà, così violentemente che gli si mozzò il respiro.
 
“Hai ragione. Dio che persona orribile, come diavolo mi è venuto in mente di dirglielo davanti a tutti?!” disse più che altro a se stesso rimproverandosi. Si alzò dalle gambe di Derek e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza, frustrato, portandosi le mani nei capelli; non aveva idea di come avrebbe affrontato suo padre ed era terrorizzato dall’idea di farlo da solo, senza che Derek fosse lì vicino a dargli coraggio come era successo quello stesso pomeriggio.

“Mi sa che è meglio che vada” disse Derek alzandosi dal pavimento e raggiungendo la finestra.
“Ho sentito dei passi, sta salendo le scale, non ci vorrà molto. Se hai bisogno di me sai cosa fare.” Sussurrò. Stiles si precipitò di tutta corsa verso la finestra e gli prese la mano tra le sue, la strinse leggermente.

“Ci vedremo non appena hai voglia” sussurrò Derek intenerito; aveva percepito il panico di Stiles quando aveva detto che sarebbe andato via, ma non avevano più tempo.
“Ce la farai, sei più forte di quanto tu creda e non sarai mai più solo.” Sussurrò accarezzandogli il viso con le nocche.

“Mai più” ribadì Stiles annuendo bruscamente e lasciandogli la mano andandosi a sedere sul suo letto con la schiena poggiata alla testiera. Prese un profondo respiro e immediatamente sentì dei leggeri tocchi alla porta.

“Avanti” borbottò, schiarendosi piano la gola e sistemandosi meglio sul letto. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare suo padre; era stato il suo primo pensiero quando aveva scoperto della malattia, la stessa che gli aveva portato via la moglie ora avrebbe portato via anche suo figlio. John Stilinski entrò con la testa bassa, un passo alla volta, senza avere il coraggio di guardare il figlio negli occhi. Con passo incerto raggiunse la scrivania e afferrò la sedia, che trascinò vicino al letto del ragazzo. Si lasciò cadere pesantemente, le braccia mollemente abbandonate sui pantaloni della divisa che portava indosso. Prese un profondo respiro e guardò suo figlio negli occhi: Stiles sentì lo stomaco stringersi alla vista di quello che non era altro che lo spettro del genitore che lo aveva cresciuto sin da quando aveva perso la sua mamma.

“Stiles…” soffiò il padre, la voce spezzata che a stento riuscì a pronunciare il nome del figlio.  Immediatamente Stiles sentì una leggera stretta allo stomaco e guardò suo padre negli occhi, così simili ai suoi, rossi e pieni di lacrime trattenute; nel giro di qualche minuto suo padre aveva assunto un’aria così stanca che Stiles si sentì irrimediabilmente colpevole. Non era questo il momento per abbandonarsi ai sensi di colpa, doveva essere forte questa volta, per la prima volta forte abbastanza da sorreggere entrambi.
 
“Io…” balbettò il ragazzo in cerca di qualcosa da dire.
“Scusa papà, non avrei mai voluto comunicartelo così, non avrei mai voluto che succedesse una cosa del genere.” Disse raddrizzando la schiena. Suo padre da parte sua lo guardava come se avesse davanti un fantasma.

“Ma perché? Perché rifiuti le cure figliolo? È terminale, lo so bene, ma hai considerato il fatto che la cura potrebbe lungare notevolmente la tua vita?” iniziò a supplicarlo il padre, prendendogli la mano e stringendola con cura.
 
“Si ma a quale prezzo?!” rispose nervoso e scivolando via dalla stretta del padre. Sapeva di stare agendo troppo impulsivamente ma si era stancato della pietà che iniziavano a provare tutti.
“La mamma non era più in lei già da molto tempo, lo sai. Non voglio spendere il poco tempo che mi rimane in una camera d’ospedale, né tantomeno ho intenzione di farmi piegare da quel cocktail di farmaci che sono sicuro mi rifileranno. Voglio essere totalmente padrone di me stesso, del mio corpo, della mia mente; voglio avere potere decisionale sulle scelte e sulla mia vita, non voglio diventare una specie di vegetale, costretto sempre a letto. Le persone che rimangono in vita chissà per quale strano motivo si concentrano sempre sugli ultimi giorni di vita di chi hanno perso, come se dietro non ci fosse stata tutta un’altra via, completamente diversa da quelle che sono state le ultime settimane. Non ho intenzione di essere ricordato per il mio cancro, non lascerò che la mia persona, la mia essenza venga ridotta ad una semplice malattia.”
 
*

Le cose andavano avanti tra alti e bassi, Derek e Stiles gestivano la malattia che con prepotenza si era fatta strada nelle loro vite. Il castano perdeva sempre più peso, i sintomi erano sempre più evidenti; erano arrivati ad un punto nel quale ormai cercare di nascondere gli effetti del mostro che si nutriva di Stiles, ma faceva parte di Stiles stesso, era diventato impossibile. Il dolore diventava sempre più forte, lui sempre più stanco, e il giorno in cui capì che gli antidolorifici non sarebbero bastati sentì un nodo che gli si formò in gola, il petto iniziò a bruciare e spalancò la bocca per cercare di incamerare più aria possibile mentre la vista si offuscava e iniziavano a cadere delle lacrime. Per la prima volta, da solo e seduto sul suo letto si concesse un momento di autocommiserazione e pianse. Davanti i suo occhi aveva davanti il ricordo sfocato del viso della madre che aveva lottato strenuamente contro il Mostro, aggrappandosi alla vita con le unghie e con i denti per non lasciare suo marito e il piccolo Stiles; ma la malattia aveva vinto, e quando gli antidolorifici non bastarono più e la terapia non riusciva a produrre nessuno degli effetti largamente sperati Stiles ricordò il volto stravolto e intontito della madre sotto l’effetto della morfina. Non c’era cosa peggiore e il castano lo sapeva che arrivati ala morfina ormai era solo questione di tempo. Si stava deteriorando e non poteva fare altro che rimanere impotente e fare da spettatore mentre il suo stesso corpo lo soffocava. Non si buttò mai giù, cercando di dare la propria forza a tutti quanti e non mostrandosi mai debole. Fece quello che tutti i malati terminali supponeva dovessero fare: prestare attenzione a tutti, farli sorridere il più possibile e cercare di non fare pesare a loro più di tanto la situazione. Suo padre ormai si era rassegnato da tempo, nonostante avesse provato strenuamente più e più volte a fargli cambiare idea, spesso cercando l’appoggio di Derek che, sapeva, avere una certa influenza su suo figlio.
La relazione tra i due giovani uomini andava sempre meglio e spesso Stiles si era fermato a dormire nella casa del moro. Ricorda ancora con un sorriso quando disse a suo padre della sua relazione con il giovane Hale; lo sheriffo lo aveva sguardato con gli occhi spalancati e il castano aveva risposto nel modo più spontaneo e sincero che potè, alzando le spalle, improvvisamente timido.
 
“Siamo una strana coppia, nessuno avrebbe mai scommesso su di noi, ma funziona.”
Il ricordo della prima volta che dormirono insieme ha un retrogusto amaro. Erano entrambi sdraiati sul letto assolutamente gigante di Derek, in silenzio, beandosi della presenza reciproca e giocherellando con le mani. Successe in una frazione di secondo: il corpo ormai debilitato di uno Stiles esausto si irrigidì improvvisamente, strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca in cerca di aria mentre un dolore rapido e intenso come una scossa lo attraversò da capo a piedi. Derek si immobilizzò di conseguenza mentre poggiava entrambe le mani sugli avambracci del più giovane e, per la prima volta, provò ad alleviare il suo dolore, sentendo defluire il dolore dalla punta delle dita di Sitiles, risalendo per la sua mano. Per la prima volta riuscì a provare il dolore insopportabilmente straziante con cui Stiles doveva convivere da un anno a questa parte e lo ritenne il più coraggioso di tutti. Stiles si trascinò lentamente verso di lui, che lo accolse a braccia aperte tirandolo completamente su di se, sentendo il corpo di Stiles aderire completamente al suo; ormai era dimagrito esponenzialmente, sentiva le ossa appuntite spingere contro le sue e si chiese come un ragazzo così delicato non potesse rompersi solo respirando.
Stiles posò la testa nell’incavo del collo di Derek strofinando la fredda punta del naso contro la pelle bollente, sentendo Derek rabbrividire impercettibilmente. Sorrise soddisfatto. Rimasero così, stesi uno sopra l’altro, respirando insieme e sentendo i rispettivi battiti del cuore.
 
*
 
 
Stiles morì in una fresca mattina d’autunno. Lui e Derek si erano svegliati presto, Stiles che come tutte le mattine quando si sentiva un po' più vigile si stringeva un po’ di più al fianco di Derek, strizzava gli occhi e posava lo sguardo su quello provato e teso di Derek, che irrimediabilmente diventava più sereno non appena ritrovava gli occhi brillanti di vita del suo Stiles. Quest’ultimo però sentì che ormai non erano rimasti che pochi granelli nella clessidra che era stata la sua vita, iniziava a sentire la mortalità scivolare via dalla sua ferrea presa, il suo corpo iniziava piano piano a cedere sotto il peso schiacciante della malattia. L’intorpidimento saliva serpeggiando dapprima dalle gambe e di irradiandosi in tutto il corpo. Nascose come sempre la testa nell’incavo del collo di Derek e strofinò contro la pelle calda la spunta del suo naso, diede un bacio con le labbra umide lì, dove poco prima aveva premuto il naso ed espirò pesantemente, semplicemente scivolando via dalla costrizione che era stata quella di un corpo malato.

Derek rimase in silenzio mentre fissava distante la lapide subito dopo il funerale, la terra ancora visibilmente smossa da poco. 
C’erano un sacco di cose non dette; Derek non gli disse mai che lo amava, non lo disse a nessuno. Non disse che avrebbe ricordato quei pochi mesi che avevano condiviso per il resto della sua vita e che alcuni giorni aveva voglia di sentir la vita scivolargli via dalle dita, così da poterlo raggiungere il più in fretta possibile.
Non gli disse che quella stanchezza che tanto gli rimproverava non era immaginaria e che spesso la notte rimaneva sveglio controllando che respirasse ancora. Non gli disse che da quando non c’era più non riposava bene, in balia degli incubi e che aveva il terrore che l’odore del castano che impregnava una parte del letto prima o poi svanisse. Non gli disse che una volta aveva immaginato di invecchiare con lui: i capelli del suo Stiles erano del colore dell’argento e lui persisteva a tenere il broncio nonostante avessero passato tutti quegli anni insieme.
Per la prima volta nella vita si trovò a sperare in qualcosa di più. Qualcosa oltre la futile vita che c’era su questo mondo, qualcosa che gli avrebbe permesso presto o tardi di raggiungere quella che era stata probabilmente la persona più importante di tutte. Alzò lo guardo e sbatté le palpebre, sentendo gli occhi bruciare. Solo allora si accorse che era calata la sera, la timida luna che rischiarava tutto con la sua luce pallida e il cielo pieno di piccole stelle; un discorso che sembrava essere di anni fa gli riempì totalmente la mente. Focalizzò la sua attenzione sulle stelle e rivide il suo Stiles sorridente, roseo in viso ed ebbro di felicità ballare il tip tap tra una stella e l’altra. Sorrise, sentendo le lacrime accumularsi agli angoli degli occhi.
 
“Mi manchi.” Sussurrò al vento, ed è come se gli avesse detto che lo ama.
 
 

 


 
                                                                                                                                                           Fine.





Ecco l'ultimo capitolo! Siamo giunti alla fine di un percorso impegnativo per me, ringrazio tutti quelli che mi hanno accompagnato e supportato durante queste poche settimane di aggiornamenti. Vi lascio con la speranza di aver suscitato qualcosa nel vostro cuoricino, vi mando un grande bacio e vi ringrazio ancora di tutto cuore. A presto.

Tix.
 

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