All That I’m Asking For

di gigicriss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - Beth ***
Capitolo 3: *** 2 - Always ***
Capitolo 4: *** 3 - Mrs. Dornan ***
Capitolo 5: *** 4 - Interview ***
Capitolo 6: *** 5 - Oh, Mandy! ***
Capitolo 7: *** 6 - England ***
Capitolo 8: *** 7 - Good life ***
Capitolo 9: *** 8 - You? ***
Capitolo 10: *** 9 - Wedding ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


All That I’m Asking For
 
Se qualche anno fa mi avessero detto che mi sarei dovuta trasferire a Londra per lavoro, suppongo che non c’avrei creduto. È una città così grande e dispersiva che quasi mi spaventa. Ho letto qualche informazione su di essa prima di partire, e ne è uscito fuori che ovviamente è la capitare dell’Inghilterra. Si trova nella parte meridionale della Gran Bretagna e sorge sulla riva del Tamigi, fiume tra i più conosciuti. Il clima è temperato, con estati non troppo calde ed inverni non troppo freddi. Praticamente la città perfetta!
Comunque, ancora non ho avuto modo di visitarla, ma sembra davvero molto bella. L’Inghilterra mi ha sempre incuriosita in qualche modo, anche per la sua grandezza.
Mi guardo allo specchio per la centesima volta, cercando di sistemarmi i capelli nel modo più adeguato possibile. Verso le cinque del pomeriggio, ovvero tra un’ora esatta, ho un colloquio di lavoro. Il mio terzo ufficiale, per essere sincera, ergo sono molto nervosa. Per l’occasione non ho scelto di indossare niente di particolare, un jeans con il risvolto ed una camicia infilata dentro andranno benissimo. Ah, e ovviamente le mie Vans ai piedi, come sempre. Non che i tacchi non mi piacciano, solo li trovo scomodi. E non sono così femminile da indossarli, non saprei neanche camminarci.
I miei ricci normalmente combattono contro la gravità senza che io possa fermarli, così se prima speravo di sistemarli in qualche modo, adesso ho completamente perso le speranze. Li lascio liberi di andare ovunque essi vogliano, la mia pazienza ha un limite e loro lo superano di gran lunga. Ma per l’occasione ho deciso di allisciarli. Anzi, da ora in poi lo farò più spesso.
Prendo in mano il fogliettino con le indicazioni di casa Dornan – “E come si legge? Dòrnan o Dornàn? Dovrai imparare, Adele!” – il posto in cui lavorerò (speriamo) come baby sitter. Sono emozionatissima perché conoscerò persone nuove, la cosa mi eccita da morire.
A interrompere i miei pensieri ci pensa il mio cellulare, che comincia a vibrare in modo frenetico sul comodino.
Mi alzo, vado a rispondere e sento gridare qualcuno: mia madre.
«Come stai, bambina mia?» la solita.
«Mamma, vorrei ricordarti che ho quasi trent’anni!»
“Tanto non lo capirà mai, inutile starci a combattere.”
«Sì, va bene, non importa. Come stai?» continua. Sicuramente adesso, conoscendola, si starà mangiando le unghie freneticamente.
«Bene, mamma, non sto andando in guerra» alzo gli occhi al cielo, arricciandomi i capelli con un dito.
«Abbi cura di te, bambina mia, sei così lontana» piagnucola. «Mi manchi già.»
«Anche tu mamma, ma adesso devo andare. Il viaggio verso il centro sarà abbastanza lungo e non vorrei arrivare in ritardo proprio il giorno del colloquio.»
«Certo, hai ragione. Allora ciao, Adele» sospira, e so che sta sorridendo. Ha un tono più tranquillo rispetto a quello precedente.
La saluto, le ricordo che la amo, le dico di salutare mio padre e attacco.
 
Casa Dornan è molto accogliente, ed il giardino sa il fatto suo. Quando ho suonato il campanello mi ha aperto una signora di sessant’anni, suppongo, molto graziosa. Capelli color platino, occhi celesti e forza d’animo di una sedicenne. Mi ha detto di essere la cuoca della casa, e di lavorare qui da fin troppo tempo.
Sono seduta su uno dei tre divani che occupano questo salone, spazioso come non mai. Le pareti ed i pavimenti, tra l’altro, sono bianchi e grigi: colori del genere, rendono la casa ancora più grande di quello che è.
Mi appoggio con la schiena alla spalliera, tamburellando un piede a terra. Spero solo di far bella figura, non vorrei che pensassero male di me. “Perché dovrebbero?” Il nervosismo mi porta a pensare a qualsiasi cosa, ho il cuore in gola.
Prendo la torturarmi le mani, mi mordo il labbro come mio solito, espiro ed inspiro per ritrovare la calma, ma sinceramente è impossibile. “Sembra un parto!”
«I signori Doran ti aspettano nello studio, vieni» sorride, facendomi segno di seguirla.
“Hanno anche uno studio?”
Chissà come si chiama, in tutto ciò non le ho chiesto nemmeno il nome.
«Grazie. Come sono questi Dornan?» le domando.
«Sono brave persone» fa spallucce.
Ci fermiamo difronte una porta rigorosamente grigia; prima di bussare, la guardo attentamente. Il mio cuore comincia a battere più forte del dovuto.
“Evitiamo di farci riconoscere, Adele, mi raccomando.”
La mia dea interiore parla bene, è facile per lei, tanto quella che - se qualcosa andrà male - ci rimetterà le ossa sono io!
«Il signor Dornan è simpatico, solo un po’ timido. A lui piacciono le persone che sanno tenergli testa, quindi sappi rispondergli. Per il resto… Beh, sii te stessa, apprezzerà, sei così carina» mi da un pizzicotto sulla guancia e va via.
“Me stessa forse è meglio che non la tiro fuori.”
Prendo l’ennesimo respiro profondo e abbasso la maniglia.
Mi chiudo la porta alle spalle e, il ragazzo che è affacciato al balcone, viene attirato dalla mia presenza. Beh, niente male per essere un padre e un marito.
Rimango sulla porta, poi lui mi dice che posso accomodarmi e così faccio. Lo studio attentamente, ora che mi è più vicino.
Castano, alto, un lieve accenno di barba e due occhi grigi che sono la fine del mondo. Non li avevo mai visti prima d’ora.
“Sii te stessa, sii te stessa nei limiti del possibile ed evita di fare figure di merda come tuo solito.”
Le parole della mia dea interiore riecheggiano nella mia testa.
«Tu devi essere la baby sitter, vero?» dice, stringendo le mani a pugno e portandosele avanti alla bocca.
«Ma che intuito» ironizzo.
Lui mi guarda attentamente: siamo vestiti allo stesso modo, tra l’altro. Intorno a noi ci sono chitarre, fili, microfoni, casse di medie dimensioni e roba del genere.
Se è un attore, per quale oscuro motivo ha questi arnesi in casa?
«Come ti chiami?» chiede, adagiandosi sulla poltrona.
«Adele, Adele Hoodson» rispondo, accavallando una gamba.
«E… Posso chiederti da dove vieni?»
La sua voce è profonda, mette quasi i brividi.
«Sono Russa, ma abito in America da un bel po’ di anni ormai» mi porto una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«La Russia è molto bella…» risponde sbadatamente, concentrato a guardarmi in ogni minimo dettaglio.
«C’è mai stato?» gli domando.
«No, magari mi ci accompagnerai tu, un giorno» sorride, cambiando posizione e smettendo di guardarmi come se fossi la cosa più strana di questo mondo.
“Può darsi, sì…” comunque, il suo sorriso è niente male.
La nostra chiacchierata viene interrotta da una ragazza, molto bella, che entra velocemente nella stanza e si siede sul bracciolo della poltrona in cui siede il signor Dornan. A pelle non mi è molto simpatica, ma non dirò nulla.
In genere sono allergica alla gente, non mi stupisce il fatto che non mi vada a genio.
«Tu devi essere la baby sitter» sospira, incrociando le braccia al petto.
Il signore tossicchia, sorridendo. Forse perché anche lui mi ha fatto la stessa stupidissima domanda, prima.
“Eccone un’altra. Loro e l’intuito viaggiano di pari passo, eh?”
«Sì, sono io» rispondo, sistemandomi sulla sedia.
La signora inarca un sopracciglio, mi guarda per quanto può e tossicchia.
«Quanti anni hai?» mi chiede, non convinta.
«Ne ho ventinove, signora.»
«Hai avuto altre esperienze in questo campo?»
«Certo» rispondo. «Anche con bambine più piccole.»
“1 a 0 per me, simpaticona!”
«Perché hai scelto proprio di venire da noi?» si fa sentire lui, drizzandosi con la schiena.
«In realtà mi ha avvisata mia sorella, ha letto lei il manifesto. Ma immagino che ce ne siano tante altre di ragazze in coda» spiego, gesticolando. «Non c’è un motivo in particolare, cerco lavoro e qualsiasi sarebbe buono» faccio spallucce.
Lui sorride e annuisce. «Certo, certo. No perché, vedi, alcune lo fanno solo per il mio impiego, e la cosa mi irrita parecchio.»
«Io oggi ho conosciuto i signori Dornan, non l’attore o chiunque lei sia» rispondo.
“Gli piacciono le persone che sanno tenergli testa, no?”
Sento il mio cuore riprendere una velocità normale, noto con piacere che ho anche smesso di torturarmi le mani. Mi mordo le labbra, mentre i signori si guardano a vicenda per decidere se farmi rimanere o meno. Vorrei tanto, anche se non sto molto simpatica alla tipa, si nota parecchio.
L’aria si fa sempre più pesante, io mi sento il terzo incomodo in questa situazione.
Mi guardo attorno come a fare finta di niente, poi mi passo le mani in mezzo ai capelli e sospiro senza farmi sentire: devo reprimere in qualche modo il mio nervosismo!
“Andrà tutto bene, Adele, andrà tutto b…”
«Sei assunta» mi sorride lui, tendendomi una mano che stringo prontamente. «Congratulazioni!»
“Hai visto? Ci sei riuscita!”
La mia dea interiore in questo momento sta ballando un samba, è incontenibile.”
«Vi ringrazio» mi alzo dalla sedia, mentre la signora mi fulmina con lo sguardo.
«Jamie, spiegale la procedura, per favore. Io mi vado a preparare» borbotta quella, uscendo dalla stanza.
«Sì uhm… Le cose sono abbastanza semplici: dovrai trasferirti qui» fa spallucce.
“Cosa? No, io ho una casa!”
«Non ce ne sarà bisogno, perché vede, io ho affittato un appartamento…»
Jamie ride, passandosi una mano tra i capelli.
“Oh… wow.”
«Le spiego, signorina: la signora che ha visto, non abita qui. Ergo, deve trasferirsi» mi spiega, gesticolando.
“Ed io che credevo che fossero sposati. Che sciocca.”
«Ah, mi scusi, credevo fos…»
«Abbiamo divorziato» si gratta la nuca, guardando in basso.
“Ouch…”
«M-mi spiace» balbetto. «Non volevo entrare nei particolari, mi scusi.»
«Non si preoccupi, signorina. Io scappo, prima che Claire mi tagli la testa. Domani chiamerò una ditta e dirò di aiutarla con i traslochi. Più tardi, quando ritorno, le faccio vedere la bambina.»
Si avvicina alla porta e, prima di uscire, mi saluta. «A dopo!»
 
«Com’è andata?» mi chiede la signora di prima, spuntando dalla cucina.
«Bene… Sono assunta» dico, sedendomi sul divano.
«Oh, sono felicissima per te, tesoro!»
«Già, anche io.»
«Qual è il tuo nome, carina?» domanda, curvando la testa di lato.
«Adele» le porgo la mano.
«Io sono Cora» la stringe, sorride e la stringe.
 
* * * 
 
Hello there!!!
Questa è la prima fan fiction che scrivo su Jamie. Diciamo che è uscita come volevo, ne sono abbastanza soddisfatta, e così l’ho pubblicata. Ovviamente i vostri pareri per me sono necessari, quindi vorrei che lasciaste delle recensioni anche minime per poter continuare.
Ho cambiato il nome della moglie di Jamie, Amelia Warner. Non che lei non mi piacesse, anzi, l’adoro e trovo che siano bellissimi assieme. Solo che non mi ispirava per la fan fiction. E ho cambiato anche il nome della bambina (per chi non lo sapesse, Dulsie, sua figlia si chiama così) per lo stesso motivo ahah.
I personaggi li avrei inquadrati in questo modo:
 
Jamie Dornan
 
Adele Hoodson
Adriana Lima
 
Beth Dornan
Mackenzie Foy
 
Claire Bennet 
Laura Brent

Detto questo, vi saluto. Spero che la fan fiction vi piaccia, vi ringrazio in anticipo e niente… Ciao, splendori! A presto (si spera)!

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Capitolo 2
*** 1 - Beth ***


1 - Beth

 
«Scusa se ho ritardato, ma sai, Claire…» gesticola. «Con lei è complicato.»
«Ho notato, non si preoccupi» faccio spallucce e lo guardo sorridere.
Non dev’essere simpatica, anzi, secondo me è antipatica e anche molto appiccicosa. Non la conosco, quindi non posso giudicarla, solo che… Beh, diciamo che si pone male. Prima, quando mi ha conosciuta, sembrava che fossi un parassita della civiltà. Parlava come se lei stesse su un piano superiore. Non fraintendetemi, è normale che non si fidi, non ha idea di chi io sia ed ho in mano sua figlia, ma alcune smorfiette in quel momento poteva risparmiarsele, perché non aiutano in generale.
«Vieni, accomodati» mi indica i divani. «Cora, scusami, potresti portare qui Beth?»
«Certo» urla questa dalla cucina.
Jamie non risponde, piuttosto cala un silenzio imbarazzante e incolmabile fra di noi. Io stringo le mie gambe, dondolandole un po’, e fisso il pavimento come se sia la cosa più interessante del mondo. Lui invece si guarda attorno, tossicchia solo quando vede la bambina spuntare dalle scale in compagnia dalla cuoca.
Sembra una principessa, è bellissima. I suoi capelli sono ramati, non troppo lunghi, e gli occhi non hanno un colore preciso, sono tra il verde ed il grigio. Quando mi ha parlato di lei, Jamie ha detto che cambiano colore a seconda del tempo. Di lei ha detto solo cose belle, ma è sua figlia, come dargli torto? Ha specificato il fatto che è la cosa più preziosa che abbia mai avuto, parla di lei ed è come se andasse in trans. È bellissimo, e raro. Soprattutto nel campo in cui lavora.
Beth scende le scale lentamente, mentre stringe sotto il braccio un peluche un po’ malandato. È un orsetto color pane, ma ha dell’ombretto sugli occhi. Originale!
«Amore mio» sussurra lui, correndole incontro. La prende in braccio e la stringe forte, baciandola ovunque. «Hai dormito bene stanotte?» le chiede.
«Sì» annuisce. «Ma stamattina ho trovato Ula per terra, è caduta» continua, con una vocina innocente.
«Beh, Ula dovremmo lavarla, che dici? Sembra reduce da una guerra. Non ti pare?» commenta Jamie, facendomi sorridere. Ma lei annuisce, è consapevole del fatto che quel peluche sia troppo sporco.
Si avvicinano, lui la fa sedere sulle sue gambe e mi indica. «Lei è Adele, la tua baby sitter» sorride.
«Ciao, piccina» le tendo la mano. Prima di prenderla, la guarda attentamente, come se non sapesse come comportarsi.
Poi allunga la sua, poggiandola sulla mia. «Io sono Beth» sussurra.
La stringo poco, non vorrei farle male. «Quanti anni hai?» le chiedo.
Alza la manina e «Cinque» risponde.
Jamie la guarda incantato e sorride, portando subito dopo l’attenzione su di me.
«Che ne dici, Beth, mostriamo la tua cameretta ad Adele?» sussurra.
Lei annuisce, le sorrido e mi alzo dal divano. «Mi indichi la strada?» le chiedo.
«Vieni» sussurra, scendendo dalle gambe del padre.
Mi prende la mano come se niente fosse e mi trascina con sé.
 
Come previsto, le mura sono grigie e bianche. Jamie dice che questi colori sono antipanico, ma io non me ne intendo molto. Difronte alla porta c’è una finestra grande, senza balcone. Un letto grande abbastanza, una scrivania con tanto di libreria incorporata e una modestissima televisione. Sinceramente mi aspettavo qualcosa di più elaborato, considerando il fatto che è un personaggio pubblico. Avevo notato la sua umiltà, ma non credevo che toccasse questi livelli!
«Ti piace l’ambiente?» mi chiede, infilandosi le mani in tasca.
«Moltissimo» sorrido, lasciando che la bimba mi mostri tutti i suoi giochi.
Parla di loro come se fossero la cosa più preziosa del mondo, ha moltissime barbie ed anche una casa in cui posizionarle.
«Guarda cosa ho» la indica, appunto. È grandissima, considerando che dentro ci abiteranno delle bambole! Ma sembra reale, sul serio! Ha un bagno, una cucina, una sala  e perfino una camera per gli ospiti oltre quella matrimoniale. «Ci giochiamo insieme?» mi chiede.
«Certo» mi siedo per terra, avvicinandomi a lei.
Si siede e comincia ad elencarmi tutti i loro nomi, dalla prima all’ultima. Clod, Eden, Jess, Loreline. E poi mi parla anche dei loro caratteri, di ciò che preferiscono e ciò che fanno a meno di provare. Ad esempio il cibo. Mi dice che Jess mangia moltissima pizza, invece a Eden non piace.
E si vede che è pura fantasia: come può non piacere la pizza?
«Non ti spiace se per una settimana ti starò vicino, Adele, vero?» mi chiede il signor Dornan. Si siede affianco a noi e incrocia le gambe a mo’ d’indiano, poi ci poggia su entrambi i gomiti ed il mento su questi ultimi. Mi osserva attentamente, mette più ansia lui che la situazione in sé.
Capisco che voglia controllarmi, rimango pur sempre un’estranea che rimarrà sola in casa con l’unica figlia che ha. È il minimo che lui possa fare.
«No» rispondo, tenendo lo sguardo basso. «Certo che no, questa è casa sua, può fare ciò che vuole. Ho in custodia sua figlia, è normale che voglia seguirmi.»
Annuisce, non smette di osservarmi mentre pettino una barbie che mi ha dato la piccola Beth.
“Chissà dove l’avrà infilata per far sì che profumi così tanto di cocco.”
Questo silenzio diventa sempre più imbarazzante, per fortuna lo interrompe la piccola che si alza di scatto e «Mi aiuti a fare il bagno a Ula? Papà dice che è sporca» mi chiede, facendo spallucce.
«Non c’è bisogno che lo dica io, la cosa è piuttosto evidente» borbotta Jamie, grattandosi il mento e facendo finta di niente, ma Beth credo proprio che non lo abbia sentito.
Mi viene da ridere, ma cerco di non farlo. Non voglio che la piccola si senta presa in giro.
«Certo, andiamo» rispondo.
 
Riempiamo il lavandino di acqua e sapone, il signor Dornan prende in braccio Beth e lei immerge il pupazzo nella schiuma solo dopo essersi tirata su le maniche.
«Devi passare il sapone ovunque, tesoro» le dico, sciacquando il peluche mentre lei si morde il labbro inferiore, curiosa. Ho paura di rovinarlo, in realtà, ma da color pane era diventato quasi nero!
«Sono sicuro che adesso Ula starà meglio» constata Jamie con un perenne sorriso stampato in faccia quando si tratta di sua figlia.
«E se si ammala poi?» chiede Beth, con fare innocente.
“Oh, beata ingenuità.”
«Adesso l’asciughiamo bene con il phon, poi le mettiamo una maglia. Così non si ammala» faccio spallucce.
Passo di nuovo la saponetta sulla pancia del peluche; sento Jamie sospirare.
«E quale maglia pensi di mettere ad un pupazzo?»
«Andremo a comprarne una!» esclamo, alzando lo sguardo e incontrando il suo.
È confuso, ma non replica, mi lascia fare.
Se devo essere sincera, anche io sono confusa su dove andrò a comprare una maglia per Ula. Forse mi farò semplicemente dare una pezza da Cora, la ritaglierò e poi la dipingerò.
«Beth, hai degli acquerelli?» le chiedo, asciugandomi le mani.
Lei annuisce. «Perché?» mi chiede.
Prendo Ula e accendo il phon. La bimba stringe il pupazzo tra le mani mentre io lo asciugo.
«Vieni tu con me, stavolta» sorrido.
 
Scendiamo le scale velocemente. Beth ride, è forse divertita dalla situazione? Ma cosa c’è di tanto divertente in tutto questo? Il signor Dornan ci segue senza dire una singola parola, ripeto: mette solo ansia. Se lo pagassero per farlo, sarebbe più miliardario di quanto non lo sia già.
«Cora, posso chiederti una cosa?» domando alla cuoca di casa.
Lei smette di tagliare alcuni peperoni, si gira verso di noi e sorride con dolcezza.
«Certo. Cosa ti serve, cara?»
«Hai per caso una pezza che magari non usi più?» stringo la mano della bambina, mentre lei stringe il pupazzo a sé.
Cora ci pensa un po’, poi apre un cassetto a caso e tira fuori un canavaccio un po’ malandato… Più o meno come Ula.
«Va bene questo?» mi chiede, non capendo a cosa mi possa servire.
“La mia mente è ingegnosa, Dornan che altro non sei, adesso ti faccio vedere cosa so fare.”
La fortuna ha voluto che sia pure bianco, perfetto!
«Grazie, Cora, va benissimo» le sorrido e lei ricambia.
Mi piego sulle mie ginocchia e raggiungo l’altezza di Beth. Le lascio la mano e «Sei pronta a lavorare con me?» le chiedo.
Lei annuisce e scoppia a ridere.
 
Dopo aver preso le misure del peluche, dopo aver tracciato i giusti contorni, con una forbice di ferro comincio a ritagliare la pezza. Beth mi guarda con attenzione, poi un dito se lo porta sulla bocca e si appoggia con le braccia sul tavolo e si sporge per vedere meglio. Non dice niente, ogni tanto sospira. Ula invece se ne sta seduta sulla sedia; la piccola Dornan ci ha promesso solennemente che non la truccherà più, non le metterà più ombretti, matite etc. E questo mi sembra già un grande passo avanti.
Per quanto riguarda Jamie, beh, lui è chiuso nel suo studio a causa del lavoro. Ha detto che deve recitare in una trilogia particolare, non mi ha spiegato i dettagli della cosa, ma dev’essere tutto abbastanza duro. Io non riuscirei mai a fare l’attrice, mi vergognerei troppo. Ad esempio: se ci fosse la scena di un bacio e se il ragazzo che dovessi baciare non mi piacesse, non saprei proprio come fare, non riuscirei a muovere un passo. No, meglio non rischiare. So che il lavoro da baby sitter non frutta come quello dell’attrice di fama mondiale, ma poco importa. Tanto non farò mestieri del genere per tutta la vita.
Stessa cosa per la moglie dell’attore bello, sexy, affascinante e famoso. Come potrei mai essere la fidanzata o la moglie di Jamie Dornan, ad esempio? Bello com’è, chissà quante ragazze gli correranno dietro o semplicemente gli staranno intorno!
 Ma perché mi pongo domande del genere? Tanto non accadrà, non c’è pericolo.
“Peccato, però. Un pensierino a primo impatto ce l’avevo fatto…”
«Abbiamo finito?» mi chiede la bimba.
La sua vocina acuta mi riporta alla realtà, e teoricamente avrei finito.
La maglia è… Decente? Beh sì dai, sarebbe potuta uscire peggio. La alzo avanti ai miei occhi e controllo che abbia la forma giusta di una maglia.
“Sì, ce l’ha, brava Adele!”
«E’ bellissima!» urla Beth, coprendosi la bocca con entrambe le mani.
“Beh, non esageriamo adesso. Beata ingenuità!”
È proprio vero che i bambini si accontentano di piccole cose, di attenzioni che possono sembrare stupide. Lei si è accontentata di una maglia fatta di pezza per il suo peluche preferito.
Sorrido guardandola. Dovrei farla sentire importante io, ma quando ride così accade l’esatto contrario.
Mi sono affezionata a lei e non ci sto insieme da neanche un giorno.
“Ah, Adele, sei sempre la solita.”
 
«Sei pronta a colorarla con gli acquerelli?» le chiedo, legandole i capelli in una coda di cavallo come lei mi ha chiesto.
Annuisce e «Che colori posso usare?» mi domanda, indecisa.
«Beh, Ula è color pane, quindi sarebbe preferibile un colore scuro. Un blu, magari, o un viola, o un nero.»
«Il nero non mi piace» storce il naso, puntando su un blu cobalto.
“Ottima scelta!”
Infila il pennello nell’acqua, poi lo strofina sul colore e lo passa sulla pezzetta. Tutto questo, finché la maglia non è completamente colorata.
Poi disegna, con il rosa, un fiorellino al centro, abbastanza grande.
A fine opera sorride. «E adesso?» mi chiede, con le mani sporche ovunque.
«Adesso lasciamo che si asciughi. Nel frattempo che ne dici di andarci a lavare le mani?»
Lei guarda le sue da ogni angolazione, poi «Va bene» risponde, scendendo dalla sedia.
Usciamo dalla cucina e ci dirigiamo verso il bagno, svoltando un paio di angoli. Devo ancora imparare la disposizione delle stanze in questa casa. È troppo grande per me, non sono abituata a tutto questo. La fama del mio datore di lavoro, una casa immensa e i fan che citofonano ogni tre per due. È più o meno dall’ora di pranzo che suonano alla porta, Jamie mi ha detto di non farci caso, ma è difficile. Sono piuttosto fastidiosi, devo dire.
«Avete finito di creare maglie ai pupazzi?»
Mi volto di scatto e vedo il signor Dornan entrare in bagno. Indossa un pantalone elegante, nero, ed una camicia bianca sbottonata quasi per metà. Cerco ovviamente di non guardarlo, ma mi riesce alquanto difficile. Non mi fissa stavolta, è concentrato a passarsi la mano su tutto il viso, stanco. La sua voce è roca, più del solito. Si appoggia con la spalla allo stipite della porta e incrocia le gambe.
«Sì papà, è uscita benissimo» risponde Beth, asciugandosi le mani.
«Ne sono felice» incrocia anche le braccia, sorridendole.
«Merito di Adele» mi indica, la bambina.
Lui alza lo sguardo verso di me; io non posso fare a meno di arrossire e cominciare a torturarmi le mani, prendendo a fissare le mie scarpe.
«Allora complimenti a te, Adele» sussurra.
“La sua voce. Lui, con quella camicia. Dio, Adele! Sei al primo giorno, per favore!”
«La ringrazio, ma infondo non è niente di eclatante» faccio spallucce.
«No, ma ha reso felice mia figlia. Quindi per me lo è.»
«Papà, posso farti vedere cosa abbiamo fatto insieme?» gli chiede Beth, fissandolo con un sorriso piuttosto soddisfatto.
Jamie la prende in braccio e «Prima facciamo vedere ad Adele dove dormirà?» si rivolge a lei, accarezzandole il volto. Beth annuisce, come sempre, e mi guarda.
«Prego, seguimi» mi fa segno col capo.
 
Attraversiamo tutto il corridoio di casa Dornan, scendiamo le scale a chiocciola e superiamo anche la cucina. La mia stanza è proprio vicino al bagno, categoricamente bianco/grigio.
«Dovrai fare parecchia strada per raggiungere la stanza di Beth. Mi spiace, purtroppo questo non l’ho deciso io…» mi spiega, girandosi verso di me con tutto il corpo.
«Beh, io posso anche andare a dormire in albergo, non c’è problema.»
“La sua ex moglie non vuole che rimanga? Io lo avevo detto che avevo un appartamento in affitto.”
Lui ridacchia, si passa una mano sui capelli e «No, Adele» scuote la testa.
“No, cosa?”
«Intendevo dire che lei ha scelto la disposizione delle stanze.»
“C’è qualcosa che hai scelto tu, precisamente?”
«Ah» annuisco. «Adesso ho capito, mi scusi.»
«Non preoccuparti, vieni, entra» sussurra, aprendo la porta della “mia” camera.
È grandissima, grigia, spaziosa. Effettivamente questi colori sono rilassanti, adattissimi ad una camera da letto. Avevo sempre pensato che il grigio fosse un colore triste, ma visto sotto questo punto di vista…
«Ti piace?» chiede.
“Moltissimo!”
Letto a baldacchino, un comò antico e bianco su cui è poggiato un maxi televisore, scarpiera, appendiabito e armadio per tre persone come minimo. Potrei stare peggio?
“E menomale che questa è la stanza degli ospiti!”
«Certo che mi piace! La ringrazio davvero!» esclamo, guardandomi intorno un po’ incredula.
«Non devi ringraziarmi, la schiavitù è stata abolita da un pezzo» fa spallucce. «Vado a vedere il mostro che avete creato, intanto puoi sistemare le tue cose, rassicurare i tuoi familiari e fare ciò che vuoi» mi sorride.
Sta per andarsene, quando si volta e mi indica una porta affianco al comò, infondo alla stanza. «Lì c’è un bagnetto tutto per te, nel caso non volessi usare quello comune, diciamo così. Anche Cora ne ha uno per sé, mi sembrava equo e giusto darne uno personale anche a te. A stasera, la cena è per le otto» sventola una mano in aria e va via.
“Ho un bagno tutto per me? Questa è una reggia!”
Però, la prima cosa che faccio, è chiamare mia madre. Sicuramente si starà preoccupando, starà facendo mille domande a mio padre.
Quindi compongo il suo numero di telefono in modo molto veloce e, in modo molto veloce, lei risponde.
Mi chiede come sto, dove sto alloggiando, come sono le persone che ho conosciuto e quando penso di ritornare.
«Mamma, calmati» le rispondo. È sempre la solita. «Non so quando potrò tornare, sono appena arrivata. Ma sto benissimo, è tutto bellissimo qui, anche il mio datore di lavoro.»
“Sincerità per sincerità…”
«Davvero?» scoppia a ridere. «Sei a casa sua, immagino.»
«Immagini bene, mamma» rispondo.
«Ne sono felice, sul serio. Tua sorella verrà a trovarti presto, dice.»
“Oh, mia sorella!”
«Come sta?»
«Bene, direi bene. Si è da poco fidanzata con Mark, uno speaker da strapazzo.»
«Migliora di giorno in giorno, Eve!» rido, immaginando l’espressione di mia madre in questo preciso istante.
«Lasciamo perdere, confido in te, figlia mia!»
«Sì, mamma. Ti porterò il meglio!» la rassicuro. «Adesso però devo sistemare le mie cose, più tardi ceniamo.»
«Come si chiama la famiglia in cui lavori?»
«Non è proprio una famiglia. Diciamo che è un padre che non ha abbastanza tempo da dedicare a sua figlia a causa del lavoro che fa» faccio spallucce, anche se non può vedermi.
«Quindi?» continua.
«Dornan. Il padre in questione è Jamie Dornan. L’attore, hai presente?»
 
Mi alzo da tavola e «Grazie per aver cucinato anche per me, Cora. È stato tutto buonissimo» le sorrido, passandogli i piatti.
«Beh, ormai anche tu sei parte della… Famiglia? Chiamiamola così» strizza un occhio.
“Famiglia…”
«Il signore e la piccola Beth dormono?» mi chiede.
«In realtà non ne ho idea. Jamie mi ha detto che avrebbe guardato con lei un cartone animato…»
«Sì, un’ora fa, però. Adesso sarà crollato, come al solito, insieme a lei» ride.
«Mi sa che è meglio se vado a controllare, vero?»
«Vero! L’altra volta voleva far addormentare Beth e invece si è addormentato lui» ride ancora.
Immagino quanto sia stancante fare l’attore, o comunque il personaggio pubblico. Ritmi assurdi, spostarsi da un paese all’altro più volte al giorno, superare quattro o cinque ore di viaggio se tutto va bene. Dev’essere stressante. Certo, non si sta parlando di lavoro in miniera e hanno una buona paga. Ma credo che ogni lavoro abbia la sua difficoltà.
Come previsto, il signor Dornan e la piccola Beth dormono mentre la televisione parla da sola. Lui ha la testa piegata da un lato, il labbro inferiore è più sporgente rispetto a quello superiore e un braccio cinge la vita di sua figlia che, teneramente, tiene poggiata la testa sul suo petto.
Il loro respiro è ritmato, sono così belli che mi dispiace svegliarli. Ma in questa posizione a Jamie verrà un torcicollo, sicuro.
Mi avvicino a lui e lo scuoto un po’, così sbatte le palpebre due o tre volte e apre gli occhi, stropicciandoseli subito dopo.
«Mi sa che anche stasera mi sono addormentato» ironizza.
“Ha la voce roca, si è appena svegliato, è più tenero del solito, ma tu non baderai a niente di tutto ciò, Adele!”
Sì, mi sa che è meglio se evito.
«Eh, mi sa proprio di sì.»
Spalanco gli occhi: legge nei miei pensieri adesso, bene.
«La porto io a letto, tranquilla, va’ pure» continua, alzandosi, cercando di non svegliare la piccola.
«Allora buonanotte, signor Dornan.»
«Buonanotte, Adele» sorride.
 


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Scusate il ritardo, e grazie per tutte le recensioni precedenti.
Siete dolcissime.
Spero che anche questo capitolo vi piaccia, fatemi sapere.
Grazie in anticipo, con tutto il cuore. :)

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Capitolo 3
*** 2 - Always ***


2 - Always
 


“And I will love you, baby, always.
And I’ll be there forever and a day, always.
I'll be there till the stars don't shine, till the heavens burst and the words don't rhyme.
And I know when I die, you’ll be on my mind.
And I'll love you, always.
 
Sento Bon Jovi cantare dallo studio di Jamie, “Always”, una delle canzoni d’amore più belle al mondo. Ha buon gusto, per quanto riguarda il genere musicale: poco fa ascoltava Barry White a tutto volume, e prima ancora Michael Jackson. Il mio cantante preferito, tra l’altro.
Prima sono entrata nella camera di Beth, lei non c’era. Ho chiesto a Cora e mi ha risposto che non ne sapeva niente. Sono preoccupata, vorrei tanto poter entrare in stanza e chiederglielo. Solo che ho paura di disturbarlo, non ho idea di cosa stia facendo lì dentro.
Ci rifletto un attimo, mi mordo le labbra.
Forse la piccola starà con la madre… Ma cosa posso saperne, io? Ce l’ho in custodia e l’ho persa di vista.
“Brava Adele, fai passi da gigante!”
Alzo gli occhi al cielo: non mi interessa cosa dirà il signor Dornan, io devo sapere se Beth è con lui!
Mi faccio coraggio, prendo un respiro profondo e spalanco la porta dello studio. La scena che mi si presenta davanti, credo proprio sia una tra le più dolci in assoluto: Jamie ha in braccio Beth e ancora sotto le note di “Always” la fa volteggiare, sorridente. Lei ride, stringendosi di più al petto di suo padre. Il signor Dornan tiene una mano sotto il suo sedere e con l’altra tiene la testa della bimba.
“You see, I've always been a fighter. But without you I give up.” Canta Bon Jovi. Ha rimesso la canzone daccapo!
Il quadro è uno tra i più belli, così sorrido e provo ad uscire dalla stanza cercando di non farmi notare. La cosa non mi riesce affatto, poiché sento chiamarmi proprio quando chiudo la porta alle mie spalle.
«Adele!»
“Ecco. La grazia di un elefante in un negozio di porcellane.”
Mi volto verso di lui e «Mi scusi signor Dornan, solo che prima sono andata a controllare Beth e non l’ho trovata nella sua stanza e mi sono preoccupata e..» spiego, cercando di rimanere calma.
«Tranquilla, va tutto bene» sorride divertito. «Appena mi sono svegliato, sono andato io da lei.»
«Ha fatto benissimo» annuisco.
«Ti piace questa musica?» mi chiede, facendomi segno di entrare.
«Beh, a chi non piace» faccio spallucce, mentre mi torturo inevitabilmente le mani.
Lui continua a guardarmi come se fossi cosa strana, ormai è passata quasi una settimana da quando sono entrata in questa casa, dovrebbe conoscermi abbastanza.
«Sai che m’incuriosisci parecchio?» ride, posando la piccola Beth per terra. Lei viene a darmi un bacio e poi scappa via, così rimaniamo soli io e il signor Dornan.
Incrocia le braccia e «Sei strana» continua.
«Potrei saperne il motivo?» gli chiedo, inarcando un sopracciglio.
«Vieni, aiutami ad abbassare le serrande in sala» mi fa cenno col capo di seguirlo ed io così faccio.
Vi starete chiedendo il perché di questa scelta, ed io vi risponderò che ultimamente la casa è accerchiata da quindicenni con ormoni un po’ in subbuglio che suonano il campanello, citofonano o bussando alle finestre ventiquattro ore su ventiquattro. Jamie, da come ho capito, vuole proteggere sua figlia anche se mi sembra una cosa impossibile, visto che quelle sanno già chi è.
«Sei strana perché vesti come farebbe una principessa, però ascolti Michael Jackson, Bon Jovi o qualsiasi altro cantante di questo genere» ride. «Mi suona un po’ strano.»
Beh sì, adesso che ci penso è vero. «Ascolto anche Marylin Manson, se è per questo…»
Lui si gira verso di me e spalanca gli occhi con aria divertita. «Tu, un esserino così piccolo che ascolta quel genio del male?»
«E perché no.»
«Mi stupisci» continua a guardarmi. «Comunque, oggi pomeriggio viene Dakota Johnson a trovarmi, dobbiamo provare una piccola parte e non possiamo arrivare impreparati sul set. Te lo dico per farti star tranquilla, lei può entrare» mi spiega con aria divertita.
Per una settimana ha parlato pochissimo, sembrava quasi che avesse paura di esprimere ciò che pensava. E invece oggi sembra un raggio di sole, felice come una pasqua. Sarà per l’arrivo di Dakota?
“Non è tua sorella, potresti chiamarla per cognome, ad esempio…”
Sì, va beh, Dakota Johnson.
Probabile, sono molto amici. Poi chiunque sarebbe più simpatica di quella Claire da cui ha divorziato. Intendo… Se ha divorziato un motivo ci sarà, no?
«Va bene, signor Dornan. Appena arrivo la chiamo» dico, vedendolo rinchiudersi in studio. Lui mi fa l’occhiolino e scompare dietro la porta marrone scuro.
«Guardiamo un film insieme?» mi chiede la piccola Beth, tirandomi i jeans per attirare la mia attenzione.
«Che film vuoi vedere?» le rispondo, guardandola.
«La Sirenetta» batte le mani, infilando la cassetta nel registratore.
Nel frattempo dall’esterno si sentono cori del tipo: «Jamie! Jamie! Jamie!», manco fossimo allo stadio.
«Chi sono quelle?» mi chiede Beth, riferendosi forse alle voci che provengono da fuori.
«Sono persone a cui piace tuo padre, piccina» le spiego, accarezzandole i capelli, mentre lei è intenta a guardare Ariel mentre scappa insieme a Flounder da uno squalo.
«E cosa vogliono da lui?» questa volta si gira a guardarmi, poggia un dito sul suo mento e rilassa perfettamente il volto. È bellissima.
Le sorriso e le accarezzo le guance.
“Forse è meglio che tu non lo sappia, tesoro.”
«Vogliono fare una foto con lui, vogliono abbracciarlo, parlare con lui, dargli alcuni regali» faccio spallucce.
«Ah, quindi non ci sono regali per me» dice con un velo di tristezza nella sua voce.
Ghigno e «Perché no» le rispondo.
A dirla tutta non sappiano cos’abbiano portato per lui. E aprirei per controllare, ma Jamie mi ha detto che sarebbe preferibile che questo non accadesse, perciò niente.
«Possiamo chiedere a papà di aprire, che ne pensi?»
«Tesoro» sorrido. «Papà sta lavorando, non possiamo disturbarlo.»
«Papà lavora sempre» dice, abbassando lo sguardo.
Non riesco ad immaginare quanto per lei possa essere difficile tutto questo, ma so benissimo che ha bisogno di più tempo per stare con suo padre.
«Deve lavorare papà, per forza. Ma sono sicura che troverà più tempo da dedicarti» le sorrido, avvicinandola di più a me.
Lei non mi risponde, sospira e si concentra sul cartone animato che ha deciso di vedere.
 
«Hai visto quando Sebastian ha aiutato Scuttle a uccidere Ursula? Hanno interrotto il matrimonio ed Eric finalmente ha sposato Ariel» urla eccitata Beth, saltando sul divano. «Sì, e poi Re Tritone ha fatto comparire un arcobaleno in cielo!»
Rido della sua goffaggine mentre mi raggiunge, è così bella quando riesce a non pensare a tutto ciò che la circonda. La prendo in braccio, lei avvinghia le braccia attorno al mio collo e le gambe attorno alla mia vita.
«Adesso però dobbiamo sistemare il divano, vedi? Tra un po’ verrà la Johnson» le spiego, prendendo i cuscini con una sola mano.
«E chi è?» mi chiede.
«Un’amica di papà, devono lavorare assieme.»
«E’ bella?» si sistema i capelli dietro le orecchie mentre io apro le finestre.
“Questa casa dovrà pur prendere un po’ d’aria.”
«Sarò sincera con te, piccola. Non ho idea di chi sia» rido.
Ci pensa qualche secondo, poi sorride e «E’ innamorata di papà?» continua.
La guardo perplessa, lei scoppia a ridere e butta indietro la testa, portandosi entrambe le mani a coprire la bocca.
«Signorinella, andiamoci piano» ghigno.
“Se non è innamorata di lui, poco ci manca. Voglio dire, chi non è attratta da un tipo con un’aria così misteriosa, che parla neanche il 20% delle volte e che è tutto da scoprire? Che quando ti guarda sembra che voglia trapassarti? Che quando passa lascia una scia di profumo da sentirsi male? Che ha muscoli ovunque, perfetto come pochi? Tutte!”
«Tuo padre è bellissimo, ma non so se lei ne sia innamorata. L’amore è qualcosa di grosso, piccina» le spiego.
«E lui è innamorato di lei?» sospira, appoggiando la testa sulla mia spalla.
«Non ne ho idea. Io e tuo padre non abbiamo ancora così tanta confidenza da svelarci questi segreti» la cullo un po’, passando una mano dietro la sua schiena.
«Ma se s’innamorasse di te farebbe bingo, tu vivi con noi!» esclama, scoppiando a ridere.
“Che imbarazzo, Gesù…”
Butta la testa indietro e, come prima, si copre la bocca con entrambe le sue piccoline mani.
«Ma cosa dici» rido, cominciando a farle solletico ovunque.
Lei si contorce tra le mie braccia e quasi non respira più per quanta enfasi ci sta mettendo.
Quando la vedo così felice mi scoppia il cuore in petto, perché tutto quel benessere in qualche modo è dato da me e da tutte le attenzioni che le riservo. Avere un bambino è da sempre il mio desiderio più grande. Solo che per farlo c’è bisogno di un uomo, ed è proprio quello che mi manca. Ho ventinove anni e la vita sembra scapparmi via dalle mani, ho avuto brutte esperienze che non auguro a nessuno e sì, mi hanno fatta crescere, mi hanno resa più forte, ma cosa mi rimane?
«Cosa sono tutte queste risa?» Jamie esce dallo studio. «Beth, sembri un koala» le dice, lasciandole un bacio tra i capelli. Lei si butta tra le sue braccia, cerca di ricomporsi invano. «Perché ridete?» continua ad indagare.
Io non rispondo, piuttosto mi preoccupo di sistemare i cuscini del divano che Beth ha disfatto per la centesima volta.
Spruzzo del profumo per tutta la sala e così faccio anche nello studio. Passo la scopa ovunque e lucido i vetri.
«Adele, sta arrivando Dakota, non la regina Elisabetta. Potresti anche tranquillizzarti» ride, accompagnando sua figlia in camera.
«Appena arriva la ragazza raggiungo Beth» annuisco.
Lui mima un “OK” e scompare nei meandri del corridoio. Non so perché mi agito quando so che deve venire qualcuno a trovarmi. Voglio che trovi tutto pulito, non importa che non si fermerà in sala o che rimarrà solo cinque minuti o, che ne so, che non farà niente di importante. Davvero, non mi importa. Voglio che sia tutto perfetto.
 
Qualcuno suona alla porta, vado ad aprire e mi trovo avanti una ragazza alta ma non troppo, con dei capelli castani che le arrivano al seno ed una pelle candida. Ha due occhi celesti bellissimi ed un sorriso dolce. Non è la sensualità in persona, né una regina di bellezza, è molto semplice. Da questo nome importante mi aspettavo qualcosa di più, se devo essere sincera.
«Sono Dakota, Jamie è qui?» chiede con voce flebile.
«Certo, entra pure» le sorrido.
La cordialità non è il mio forte, ma mi sa proprio che dovrò sforzarmi oggi.
«Vuoi qualcosa da bere? O da mangiare?»
“In realtà queste cose dovrebbe chiederle Jamie, ma non so che dirle. Brava Adele, stai andando bene.”
Ha un profumo forte, chiunque lo sentirebbe pur non volendo. Ma è ovvio. Voglio dire, è un’attrice di fama mondiale, potrebbe mai puzzare?
«No, ti ringrazio…»
«Adele, mi chiamo Adele» incrocio le braccia al petto, sorridendole il più possibile.
«Perfetto. Ti ringrazio Adele, ma per stavolta salta» ghigna.
“Stavolta? Jamie, sbrigati ad arrivare, grazie.”
Il silenzio cala tra di noi. Siamo in piedi difronte alla porta. Cosa si fa in questi casi? Si chiede se..
«Accomodati pure, Jamie è con Beth» le indico i divani e lei con una leggerezza disumana si appresta a sedersi.
Vorrei essere fine quanto lei. Non è una bomba sexy, non parla molto, ma c’è decisamente di peggio.
«Ah, la piccola, sì» si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio e accavalla le gambe. «Immagino che tu sia la baby sitter.»
“Perché questa frase mi perseguita?”
«Sì, sono io» faccio spallucce.
Dovrebbero scrivere un cartello del tipo: Conoscere Jamie Dornan non porta a nulla di buono.
«Sei molto carina» continua.
Le mie guance si colorano di rosso, non so mai cosa rispondere ai complimenti.
«Beh, anche tu» le faccio un occhiolino e lei ride.
«Scusami Dakota se ti ho fatto aspettare, Beth non mi mollava» Jamie scende le scale correndo e abbraccia la ragazza, sorride appena.
«Non ti preoccupare, non fa niente» risponde lei.
“Perché mi sto sentendo di troppo?”
«Bene, adesso che vi siete trovati vado da…»
Non finisco la frase, perché dal piano di sopra si sente un rumore assordante.
«Beth!» grido, correndo subito da lei.
 
 
-
 
Ciao, splendori!
Scusatemi se aggiorno tardi, ma ho poche volte il pc a disposizione e prima di pubblicare un capitolo ci penso e ci ripenso… Non vorrei scrivere stupidaggini ahah
Questo è solamente di passaggio, infatti non è che mi piaccia poi così tanto. Ma dal prossimo in poi il rapporto tra Jamie e Adele cambierà radicalmente. Staranno molto più vicini e vabbè, non aggiungo altro.
Spero che vi piaccia, grazie per le recensioni.
Un abbraccio fortissimo!

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Capitolo 4
*** 3 - Mrs. Dornan ***



3 – Mrs. Dornan
 
 
Dakota strofina una mano dietro la schiena di Cora, quest’ultima si copre la bocca con entrambe le mani e guarda in basso. Non dice una parola, non emette nessun rumore, neanche per respirare. Io sono seduta difronte a loro, guardo Jamie. Lui è super agitato, fa su e giù per la stanza. Prima incrocia le braccia, poi porta le mani sui suoi fianchi, e si tocca i capelli, si gratta il mento. Non ha pace, starà impazzendo senza poter fare niente per sua figlia. Vorrei andare ad abbracciarlo, ma ho paura che sia fuori luogo. In queste circostanze non si sa mai cosa fare, mi sento quasi un’estranea.
Dakota mi sorride dolcemente, io ricambio. È carina, molto. E starebbe molto bene col signor Dornan, anche se l’idea mi disturba un po’. Sono… Come dire, abituata ad averlo tutto per me, in un certo senso, stiamo insieme tutti i giorni, tutto il giorno. Ma prima o poi si fidanzerà e le cose cambieranno. Se non lo fa lui, chi altri dovrebbero? Dovrò abituarmi.
«Bella» dice la Johnson, indicando con un cenno del capo la mia maglia.
“Beh, non che sia qualcosa di particolare, non ho i tuoi soldi, ma mi accontento. C’è gente che non ha neanche questo!”
«Ti ringrazio» le rispondo.
Siamo qua da stamattina e ancora non ci hanno fatto sapere niente di Beth. Quando l’ho vista a terra, con la testa insanguinata, mi è preso un infarto. Non so con quale forza ho chiamato il pronto soccorso; Jamie la teneva fra le braccia e cercava di calmarla, ma inutilmente. Per uscire di casa c’abbiamo impiegato un po’, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Adesso le fans del signor Dornan hanno quasi assediato l’ospedale, gridano da quando siamo arrivati: «We’re here for you». Sono molto carine, hanno in mano striscioni e roba del genere, mi chiedo solo se rimarranno anche per la notte.
«Se rimangono, scenderò a comprare un pezzo di pizza a tutte, e anche dell’acqua. Mi spiace vederle accampate come fossero terremotate, per me poi» dice Jamie, leggendo letteralmente nei miei pensieri.
«Non è di questo che devi preoccuparti, mi occuperò io di loro, tu rimani pure vicino a Beth» sussurro, cercando un contatto visivo che non arriva.
Sospira e si affaccia alla finestra. Rimango a guardarlo più del solito; le voci urlanti delle ragazze sembrano svanire. È affascinante, bello. Quegli occhi grigi raccontano più di ciò che vuole far vedere e credere; la sua bocca poi, fina, rosea, è la fine del mondo. Poggia il mento sul palmo della mano, mentre osserva le ragazze giù di sotto. Sorride, salutandole. Il suo sorriso potrebbe sciogliere chiunque; e la sua risata riempie una stanza intera, delicata così com’è.
“Jamie Dornan è un bel problema da risolvere, cara mia.”
«Adele, Adele!» mi sento chiamare, qualcuno mi riporta alla realtà. Ah, Dakota.
«Sì?» alzo lo sguardo su di lei.
«Perché l’arancia non va mai a fare la spesa?»
Rimango a guardare il suo sorriso eccitato per un po’, ma non riesco a trovare una risposta. Non sono brava in queste cose, immagino.
«Ecco, ci risiamo» ridacchia Jamie, sedendosi al mio fianco.
«Beh, non saprei, io-»
«Perché mandarino. L’hai capita? Manda-rino, mandarino.»
“Ma che idiozia!”
Dakota scoppia a ridere della sua stessa battuta, mentre il signor Dornan scuote la testa. «Non ci fare caso, okay? La tristezza è il suo cavallo di battaglia.»
«Ah, capisco… Molto, divertente? Sì dai, è stata divertente» faccio finta di ridere. Perché, più della freddura, è divertente lei ed il suo sguardo orgoglioso come se avesse appena dato la notizia del secolo.
«Non devi ridere per forza» mi sussurra all’orecchio trattenendosi dallo scoppiare a ridere, mentre Dakota comincia a parlare con Cora.
Sento brividi ovunque, forse sarà la troppa vicinanza. Meglio rimediare.
«Che ore sono?» chiede subito dopo, togliendosi la giacca.
«Le nove» rispondo, cercando la sanità mentale che mi serve. Ma la cosa mi riesce alquanto difficile. Così mi alzo e comincio io a fare avanti e dietro per la stanza.
“Se non riesci a risolvere con loro, fatti amici i tuoi nemici.”
Si strofina gli occhi come se fosse un bimbo, poi li apre.
«Vorrei sapere cosa diamine stanno facendo a mia figlia. Sono ore che la tengono lì dentro, non sono nessuno per sapere le sue condizioni?» ringhia.
«Jamie, andrà bene, keep faith» sospira Cora, guardandolo dolcemente.
Lui sembra irremovibile, ma annuisce. «Avete sete o fame? Vado a prendervi qualcosa, se volete» continua.
«No, grazie, io non voglio niente» rispondo.
Ho paura di essere scortese con lei, ma il mio stomaco è chiuso e non riuscirei a mangiare nulla ora come ora. Jamie da la mia stessa risposta, Dakota anche.
«Come non detto» sussurra Cora, sorridendo.
Lei è sempre carina con noi, si comporta come farebbe una madre. Chissà se avrà dei figli, porta l’anello al dito quindi presumo sia sposata. Ma come fa, se vive in casa con noi? Sarà vedova? Mi rendo conto che conviviamo da una settimana e ancora non so niente di lei. Come, d’altronde, non so niente di Jamie. Lui sta sempre un po’ sulla difensiva, non riesco a capire perché si tiene sempre tutto dentro. Mi chiedo se con Dakota parli, chissà se le racconta cosa gli succede quando lei glie lo chiede.
“Adele e le sue paranoie: parte I.”
Oh, basta. Devo farlo, non può non averne bisogno. Mi giro di scatto e lo abbraccio forte, appoggiando la mia testa sulla sua spalla. Lui infila una mano tra i miei capelli, lo sento respirare, il suo petto si abbassa e alza ritmicamente.
«E questo cos’è?» sussurra al mio orecchio, divertito.
Sta ghignazzando, quindi non è proprio dispiaciuto, no? Devo dedurre questo? Oh, ma cosa me ne importa! A me è piaciuto e lo farei altre mille volte.
«Un abbraccio» faccio spallucce, staccandomi da lui. «Tutti ne hanno bisogno.»
Mi guarda, cerca di capirmi, forse? Ha detto che mi trova strana, sarà per questo.
«Certo, certo…» e si rimette nella posizione di prima.
Un po’ del suo profumo è rimasto sulla mia maglia, e festeggerei se non ci fossero loro vicino a me. Non perché m’interessi Jamie, solo che… Non so, mi trasmette sicurezza. Mi sento protetta con lui, anche se fondamentalmente non siamo niente. Ma sa sempre cosa dire, sa quand’è il momento di tacere, sa e basta. È appropriato, di qualsiasi circostanza si parli.
 
La porta in cui riposa Beth viene aperta da un signore alto, snello e con capelli e baffetti bianchi. Esce e si dirige verso di noi, infilando i suoi occhiali nel taschino laterale del grembiule.
«Lei è il signor Dornan, immagino» parla.
Ha una voce roca, fastidiosa, per certi versi. Incrocia le braccia al petto, mentre Jamie lo fronteggia. Io, Dakota e Cora rimaniamo sedute, ma allunghiamo i nostri colli, curiose di sapere come sta la piccola.
«Beh, direi di sì» risponde Jamie, con aria fredda.
Se non lo sapessi già, penserei che è arrabbiato sul serio.
«Io sono il dottor Stewart. La bambina non ha assolutamente niente» fa spallucce, sorridendo.
“Cosa?”
Noi tre ci guardiamo a vicenda, poi il signor Dornan si volta verso di me.
«In-in che senso?» chiedo, avvicinandomi a lui.
Gli poggio una mano sulla spalla e lui riporta l’attenzione sul dottore Stewart.
«Nel senso che quel sangue è dovuto ad un semplice graffio che sta più in alto della nuca» osserva le nostre facce spaesate e sospira. «Beth, cadendo, ha sbattuto la testa. È come se si fosse sbucciata un ginocchio. È un graffio che ha procurato del sangue, come tutte le ferite. Non si sa parlando di nessun trauma cranico, a volte si rischia. Ma non è questo il caso.»
Jamie emette un sospiro di sollievo e si passa una mano tra i capelli.
“Oh, menomale!”
«Scusi la domanda, Mr. Stewart, ma come mai avete impiegato quasi mezza giornata per arrivare ad una conclusione così… Come dire, semplice?» gesticola Jamie.
«Vede, signor Dornan, le abbiamo fatto tutti i controlli del caso per constatate se la nostra ipotesi fosse davvero giusta. Abbiamo impiegato un po’ troppo tempo, forse, ma adesso la sua bambina sta bene» sorride, rassicurandoci. «Lei è sua moglie?»
“Cosa? No!”
Per un attimo mi manca il fiato, sgrano gli occhi e spalanco la bocca.
«La madre della bambina, intendo» continua il dottor Stewart.
«No» rido, nervosa. «Non sono niente di tutto ciò. Io sono la sua baby sitter.»
«Beh, se l’è scelta bene!» fa l’occhiolino a Jamie.
“Sta diventando imbarazzante.”
«Grazie, ho gusto, effettivamente» ride il signor Dornan. «Possiamo entrare? Vorrei veder mia figlia.»
«Oh, certo!» si sposta, il simpaticone baffuto. «Prego!»
“Grazie.”
Riprendo a respirare, mentre sento Dakota e Cora ridacchiare di me. Che situazione imbarazzante! Ci mancava solo che il dottore mi scambiasse per sua moglie. Non avevo fatto ancora nessuna figuraccia, ma abbiamo provveduto anche a questo.
«Dovrei chiamarti Mrs. Dornan, suppongo» scherza Jamie, passandosi il pollice sul labbro inferiore.
“Come se non bastasse.”
«Per favore, è già stato imbarazzante di suo…» dico, arrossendo.
“Odio arrossire.”
«Non lo è stato, capita a tutti di sbagliare» fa spallucce.
Percorriamo il corridoio con una certa fretta, sto per replicare, ma mi blocco. Meglio non approfondire questo argomento, non vorrei rendermi ridicola.
Entriamo nella stanza e «Papà! Adele!» grida Beth, tirandosi su con la schiena. Allunga le braccia verso di noi ed io scoppio a piangere di nuovo.
“Sarà il nervosismo accumulato?”
«Amore mio» sussurra Jamie, stringendola tra le sue braccia.
La piccola ha i capelli legati in una perfetta coda, sembra che non abbia avuto nulla. Ed effettivamente così è stato, ma mi aspettavo di vedere dei cerotti forse?
«Piccina» la stringo anche io, mentre lei mi tocca i capelli.
«Perché piangi?» chiede ingenuamente.
«Ho avuto tanta paura, Beth.»
«Ah, quindi anche i grandi hanno paura…» sussurra.
Sento Jamie gelare affianco a me. Lo guardo per una manciata di secondi, poi mi concentro di nuovo sulla piccola.
«Suppongo di sì, siamo anche noi esseri umani» faccio spallucce.
«Beth, è meglio che tu riposi ora» svia il discorso, il signor Dornan.
“Ma perché, esattamente?”
Rimango a guardarlo, lui mi fa segno di aspettarlo fuori.
Bacio la piccola e le auguro una buona notte, percorro il corridoio dell’ospedale, ripenso agli occhi di Jamie difronte alla parola: “paura”. Un grigio gelido, freddo e distaccato. Mi strofino le braccia con entrambe le mani e raggiungo le due donne che aspettano di vedere Beth.
«Allora?» mi chiede Dakota, sorridendo.
«Sta benone, ha ripreso a far domande come suo solito.»
«Possiamo vederla?» riprende Cora, congiungendo le mani.
Jamie comprare e «Sì, puoi andare» risponde direttamente lui. Si siede affianco a me, quando le due donne vanno verso la stanza di Beth.
«Cos’era quello?» gli chiedo. «Voglio dire, ha cambiato umore, si è quasi pietrificato sul posto, mi sono preoccupata.»
«Anche i grandi hanno paura, no?» sorride, abbassando il capo.
«Certo, non le darò torto.»
«La bambina è più bella di prima!» commenta Dakota, tornando insieme a Cora. «Stiamo andando a prendere qualcosa da mettere sotto i denti, volete qualcosa?»
«Un frappè alla nocciola, per favore» sussurro, ringraziandole.
«Stessa cosa per me, grazie» mi fa eco, Jamie.
 
«Allora, vuoi che ti racconti?» si avvicina a me, ancora una volta.
Sistema la coperta sui nostri corpi e si mette comodo sulla sedia.
Le due donne stanno dormendo già da un po’, ma sono le undici di sera, cosa pretendiamo? Qui in ospedale non c’è molta gente, a parte i pazienti e qualche infermiere, ovviamente.
«Se vuole lei, io l’ascolto con piacere.»
Prende un respiro profondo e «Immagino che sfogarmi con qualcuno mi farà bene, perciò… Va bene, ti racconterò la mia storia» risponde.
 

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La devo ricontrollare, scusate nel caso ci fossero eventuali errori.
Grazie ancora per le recensioni/messaggi privati, siete dolcissime!

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Capitolo 5
*** 4 - Interview ***


4 – Interview
 
 
«La mia è una storia un po’ complicata. Sai, è una di quelle che non vorresti mai ascoltare» sorride amaramente, tirando la coperta un po’ più su. Prima ha rimesso la giacca, e un po’ ne sono felice. Devo ammettere che è difficile stargli accanto quando indossa le camicie, perché non allaccia mai tutti i bottoni, lascia sempre i primi tre sbottonati ed è una vera e propria sofferenza. Quando lo diceva mia sorella non ci credevo, le rispondevo sempre: «E’ un ragazzo normale, perciò calma gli ormoni e fa sì che le tue ovaie si reggano nelle mutande». Ma solo ora capisco quanto questo sia impossibile in sua presenza. Tralasciando il lato estetico che sì, c’è tutto, lui è una persona bella da far schifo. È così umile! Lui vive per sua figlia, concentra intere giornate su di lei, anche se ovviamente il lavoro gli porta via un bel po’ di tempo e spazio, soprattutto. È premuroso, dolce, le caratteristiche per essere un uomo fantastico le ha tutte. E non mi meraviglia il fatto che troppe donne gli stiano intorno. Voglio dire, è perfetto! Credo che la cosa che mi ha colpita di più di lui, siano stati i suoi occhi. Grigi, metallici, che sfiorano di poco il blu cobalto. Sono fantastici. Rimango incantata a guardarli come se fossi una quindicenne. Non che le quindicenni fissino le persone come Jamie Dornan, però… Sì dai, alcune di loro sono in piena fase ormonale! Io dovrei aver superato questo punto della mia vita. Ma, a quanto pare, no. Guardo ogni movimento delle mani che compie, è tutto molto rilassante con lui. «Sono stato un ragazzo sempre molto fortunato, questo fino all’età di sedici anni. Mio padre è un ginecologo affermato e mi madre…» il suo cellulare comincia a squillare. «Scusami» continua.
“E sua madre?”
«Dakota, dimmi…» sussurra, tirandosi su con la schiena. «Cosa? Non può accadere una cosa simile, no! Io non voglio che mia figlia esca su tutti giornali!» quasi grida.
Quando ha deciso di cominciare a raccontarmi la sua storia, inutile negarlo, tremava. Non vorrei che fosse una forzatura, perciò non credo che glie lo chiederò di nuovo. Se vorrà, un giorno me ne parlerà di sua spontanea volontà.
La sua voce mi piace da impazzire, l’ho scoperto proprio oggi. Mi tranquillizza, è acuta e profonda allo stesso tempo. E poi ho notato che quando cammina ci pensa un po’ prima di farlo. È insicuro, sembra che ogni volta voglia correggersi.
«Non verrò, non parteciperò a quell’intervista. Mi dispiace metterti nei guai, Dakota, ma non posso. La bambina…»
«Posso stare io con lei. Non ha di che preoccuparsi, signor Dornan, lei sta benissimo. Infondo quello che ha in testa è solo un graffietto» faccio spallucce.
Lui sembra pensarci su, si passa una mano tra i capelli e «Va bene, dai pure la conferma a quel vecchio pazzo di Parker» alza gli occhi al cielo, riagganciando.
“Quanti complimenti!”
«Grazie, Adele. Non so come farei senza di te» ghigna, ricomponendosi.
«Non a caso sono la sua baby sitter». Penso un attimo a ciò che ho detto, meglio rettificare: «La sua di Beth, ovviamente» mi correggo.
Lui ci pensa su, poi scoppia a ridere. Io mi coloro di rosso in viso, sono imbarazzatissima. Fisso il vuoto avanti a me, mentre lui si piega in avanti tenendosi la “pancia” con le mani.
“Faceva così ridere la cosa?”
«Scusami, ma non son…» e scoppia a ridere di nuovo.
Vorrei chiedergli se soffre di qualcosa, ma non credo! Insomma, si vedrebbe se fosse malato. Mi giro a guardarlo. Lui. Lui e il suo maledetto profilo perfetto per chiunque.
«Okay, mi riprendo, giuro» sussurra. Si asciuga le lacrime per il troppo ridere e sospira, portandosi una mano sul petto. «Davvero, scusami se ho riso della tua precisazione, ma ci manca solo che io abbia bisogno di una baby sitter. Probabilmente il prossimo passo sarà questo, ma non è ora ancora» e ride di nuovo, scuotendo la testa. Sorrido. «Ti ci vedo a cambiarmi i pannolini» continua.
“C-cosa? Adele, calmati! Ne uscirai indenne da questa conversazione.”
Arrossisco e «Beh, non si sa mai. Raggiunge una certa età, signor Dornan» ironizzo.
Lui si gira verso di me e alza le sopracciglia. «Ti sembro vecchio, gioia
Scoppio a ridere io, stavolta. Si indica con il pollice, si protende ancor di più verso di me per guardarmi meglio.
«Beh, scusi se mi permetto, ma non compie vent’anni domani» faccio spallucce.
Jamie spalanca la bocca e ride sotto i baffi, mentre io non riesco proprio a contenermi. La sua faccia è epica, dovrebbe vederla!
«Non ti licenzio solo perché non ho tempo materiale, gioia. E poi, non ne compio venti, ma neanche ottanta. Non ti allargare troppo coi complimenti!» sorride.
«Okay, scusi» alzo le mani in segno di resa.
Annuisce e «Per stavolta ti perdono, alla prossima: stanza delle torture.»
«Non vorrei essere nei panni di Anastasia Steele, effettivamente.»
«Neanche io vorrei starci. E nemmeno in quella di Christian Grey, ma ho dovuto» fa spallucce.
«Capisco, immagino non sia facile interpretare personaggi così particolari…»
«Immagini bene. Non ho mai dovuto interpretare la parte di un uomo così tormentato come Christian».
Annuisco concordando con lui. Cala il silenzio, e per qualche secondo ripenso a lui che, fino a poco fa, scherzava con me come se mi conoscesse da sempre. Non che mi interessi Jamie, solo che… Non so, mi piace l’idea di lui che mi vede come un’amica. Credo. O almeno che non mi vede come una completa estranea.
«Ma aspetta» irrompe, voltandosi di nuovo. «Tu hai letto la trilogia di “Cinquanta sfumature”, non è così?» il suo sorriso ora è malizioso.
“Che grandissima figura di merda! Chissà cosa penserà, adesso. Mi vedrà come una ninfomane, mi licenzierà ed io morirò di stenti in una baracca di Mosca.”
«Io? Ehm… non-»
«Sì, sì che l’hai letta!» scoppia a ridere di nuovo. E, sempre di nuovo, io arrossisco.
“Smettila, dannato uomo!”
«Non l’ho letta» cerco di non ridere. «Me l’hanno raccontata!»
Jamie a questo punto non riesce a darsi un controllo, perché esplode in una risata che fa girare quasi mezzo reparto. Si curva in avanti come prima e sbatte i pugni sulla sedia accanto alla sua.
«Non posso farcela» sbiascica. «E immagino che ti racconteranno anche il film, non è così?»
«Certo!»
“Pensa che andrò a vedere il suo film erotico? Neanche per idea! Nel caso lo facessi, sarebbe solo per accontentare mia sorella. Solo ed esclusivamente per quello. Figurarsi se m’interessa vederlo nudo……”
«Sei esilarante, Adele. Posso dirtelo?» si asciuga di nuovo le lacrime.
«Me l’ha già detto, quindi presumo di si» ridacchio.
«Che ore sono?» mi chiede.
«Poi mi spiega perché, se ha l’orologio al polso, chiede l’ora a me. Comunque sono le tre di notte, dovremmo dormire.»
«Te lo chiedo perché mi piace la tua voce, suppongo.»
“Ah, bene…”
«E perché m’incuriosisci. Voglio conoscerti, e l’unico modo per farlo è quello di parlare con te, immagino.»
“Stupendo, davvero. Stai bene, Adele? Certo che stai bene, sicuramente.”
«Immagino che lei abbia ragione, signor Dornan. Ma non sono poi così piena di risorse, sa? Sono come mi vede, non so cosa la incuriosisca di me.»
«Non te ne accorgi, ma hai quel tratto misterioso che mi piace» sorride. «Pensi che le ragazze abbiano gradito la pizza e la Coca Cola che ho mandato a comprare per loro?» chiede, abbassando lo sguardo.
«Pizza e Coca Cola non si rifiutano mai, avranno sicuramente gradito» sorrido.
«Lo spero davvero. A volte sento di non meritare ciò che fanno per me. Voglio dire, sono un attore, non un supereroe o il Papa, non faccio miracoli» si schiarisce la voce.
“C’è qualche doppio senso in questa frase? Perché si è schiarito la voce? Sono paranoica io?”
«Oh beh, non significa niente. Recitando trasmette emozioni che, probabilmente, se fosse supereroe non trasmetterebbe. A volte non occorrono imprese impossibili, bastano le piccole cose. E, a giudicare dalla folla qui sotto, credo che lei significhi molto per molte.»
Jamie mi guarda con l’aria attenta di sempre, sembra ogni volta che voglia trapassarmi. Abbasso istintivamente lo sguardo, arrossendo per la miliardesima volta oggi. Gioco con le mie stesse dita, intrecciandole e poi sciogliendole. Mi gratto i palmi, poi i dorsi. Tutto questo, con una velocità da record.
«Avevo bisogno di queste parole. Puoi tipo… Ehm, come dire» gesticola. «Sì beh, puoi abbracciarmi come hai fatto ieri? Se v-vuoi… Ehm, non voglio forz…»
Non lo faccio finire di parlare perché, sorridendo, lo stringo forte allacciando le mie braccia attorno al suo collo. Lui poggia il mento sulla mia spalla e sospira. «Mi rilassa abbracciarti, suppongo» sbiascica.
“Il mio povero cuore…”
«Glie l’ho detto, signore. Un abbraccio serve sempre.»
Ci stacchiamo e lui annuisce. «Mi sa che hai ragione. Io provo a dormire, tra qualche ora dovremo svegliarci. Piangerei, se potessi.»
Rido e «La capisco» rispondo.
«Credo proprio di sì. Allora buonanotte, Adele» sussurra, accucciandosi.
“E chi riesce a dormire più!”
 
Forse non se n’è reso conto - anzi, ne sono sicura - ma ha dormito con la testa sulla mia spalla per tutta la notte. Io non sono riuscita a chiudere occhio, ho pensato a troppe cose e mi sono ritrovata a sorridere e piangere come una completa deficiente. Sarà che mi manca la mia famiglia, saranno state le parole di Jamie e quel nostro ridere assieme, ma mi sento strana. È come se tutto ciò che avessi programmato, si stesse perdendo nell’aria. Non so come spiegarmi, dico solo che il lavorare per lui mi ha stravolta un po’. Adesso conosco Dakota Johnson, prima non sapevo nemmeno che esistesse! E mi ritrovo fans ovunque, mi fermano per strada come se fossi io la star, per chiedermi di lui. È tutta un’altra dimensione, non credevo di potercela fare, ma pare che me la stia cavando piuttosto bene. Solo che è difficile, tutto questo può diventare stressante.
«Jamie Dornan, vero?» chiede Mr. Stewart, porgendogli una mano.
«Beh, sono sempre io, sì. Ancora non ho cambiato nome» ironizza lui.
«La bambina la sta aspettando, ma non è ancora vestita. La nostra infermiera lo stava per fare, ma Beth ha chiamato una certa Adele, che presumo sia lei» mi indica. «Ha detto che vuole che lei la vesta, perciò…» fa spallucce.
«Vado subito» dico, superandoli entrambi.
Percorro il corridoio freddo e troppo bianco dell’ospedale, arrivando ben presto da Beth. Mi rende felice il fatto che la piccola ha chiamato proprio me, quando avrebbe potuto farlo con Cora. O addirittura con suo padre. Ma no, lei vuole me, adesso. Sento quasi di aver fatto centro con lei, e non desidererei altro ora come ora. Apro la porta della sua stanza e la vedo ciondolare con la testa dal letto. Ha questo bruttissimo vizio, dovrò dirle di non farlo più per la centesima volta.
«Beth, ricomponiti!» le dico, entrando.
Lei scatta e si siede sul letto, battendo le mani. «Finalmente sei qui» urla, aprendo le braccia. Io mi avvicino e la stringo fortissimo, sorridendo.
«Cosa vuoi indossare?» le chiedo, staccandomi.
Le accarezzo i capelli, lei si copre la bocca con entrambe le sue piccole manine e «Il vestito» sbiascica. «Ma papà è geloso…»
«Ci credo, sei così bella! A papà però non dispiacerà, ne sono sicura» le faccio l’occhiolino.
Prendo il vestito e lo alzo: è blu, ha le balze e sbrilluccica un po’. Da vera principessa!
Sorrido pensando a Jamie geloso di sua figlia. Questo cosino mostrerà troppo le sue cosce? Non credo, dai.
«Vieni, infilalo dalla testa» le consiglio, allargandolo per facilitarle le cose.
Lei con molta maestria ci riesce, poi sorride soddisfatta guardandosi allo specchio.
«Mi fai una coda alta e stretta?» mi chiede.
Prendo un pettine e raccolgo tutti i suoi capelli.
«Papà è fuori?» continua.
“Di testa? Probabile, mi ha chiamata persino gioia.”
«Certo, e ci sta aspettando» le sorrido, legando i suoi capelli color del rame. Li stringo un po’, ho paura di farle male, ma lei mi ha detto di non preoccuparmi!
«Andiamo da lui?»
«Chiaro che sì» rispondo, prendendo con una mano la sua piccola valigia e con l’altra la sua mano.
Attraversiamo il corridoio e lei sembra essere la bambina più felice del mondo. Si guarda intorno come se non avesse mai visto questo posto prima d’ora e quasi saltella mentre cammina. Mi piace vederla così, vedere che comunque sta bene, anche se ci ha fatti preoccupare molto. Cora ci aspetta giù, credo proprio che abbia guidato lei la macchina del signor Dornan. Questa mattina ci ha chiamati all’alba chiedendoci di Beth, era preoccupata, ci ha detto che Dakota le ha fatto compagnia in casa, ha dormito sul divano. Carina, quella tipa. È in gamba.
«Papà!» urla la piccola, subito dopo aver superato il corridoio che a volte sembra interminabile. Tutto questo bianco rende il posto freddo, scostante e immenso.
Jamie appena la vede, s’illumina. Si piega sulle ginocchia e spalanca le braccia, sorridendo come mai ha fatto fino ad ora.
«Amore mio» le risponde, mentre lei gli corre incontro. Vederli così innamorati l’uno dell’altro mi fa commuovere, è bellissimo, non potrebbe esserci rapporto più bello di questo. Continuo a chiedermi Claire che fine abbia fatto. Non si è presentata, non ha chiamato. Come fa a vivere in questo modo? Io mi sentirei una vera e propria merda.
Comunque, Jamie stringe sua figlia e lei gli ripete quanto lo ama, gli dice che gli siamo mancati e lui quasi si scioglie. Sono sicura che le sue gambe saranno due gelatine a quest’ora.
«Andiamo a casa, dai» la abbraccia ancora.
 
Stasera accompagnerò il signor Dornan a fare la famosa intervista di cui parlava Dakota al telefono. Questo “Cinquanta sfumature” lo impegna parecchio, a quanto pare. Ma come stupirsi, è il film dell’anno!
“Chissà perché…”
Io ho deciso di indossare un vestito molto sobrio, non sono abituata ad “esagerare”. È lungo fino alle cosce, color lavanda, a tubino. Niente di particolare, tanto dovrò rimanere dietro le quinte. Sarei dovuta restare a casa con Cora e la piccola, ma Jamie ha detto che sarebbe stato carino che anche Beth fosse venuta. Perciò, eccomi qua, pronta per una serata diversa dalle altre.
«Pronta, Adele?» mi chiede il signor Dornan, guardandosi allo specchio per l’ennesima volta.
«Io sì, ma non si può dire la stessa cosa di lei, a quanto pare.»
Mi guarda e ghigna. «Non cederò alle tue provocazioni.»
“Provocazioni? È un’ora che sta davanti allo specchio!”
«Ho un immagine da mantenere» continua, come se mi avesse letto nel pensiero.
«Touché» alzo le mani a mo’ di resa e sorrido.
«Papà sono pronta anche io» scende dalle scale la piccola Beth, con un jeans che lei definisce estremamente sexy. Ma in realtà non ha niente di particolare, se non che è a sigaretta. La camicia che c’ha infilato dentro le sta benissimo, anche se la forma del seno, ovvio, ancora non ce l’ha. E la borsetta fucsia che porta con sé è tutto dire, Ula compresa. Stavolta ha evitato di truccarla, almeno un po’ di buonsenso lo ha avuto.
«Non saremo troppo belle, mh?» la bacia, passandole una mano tra i capelli. «Cora, Madaline è arrivata?»
Madaline è la sorella di Cora, l’aiuterà a preparare il pranzo per domani. Jamie ha deciso di invitare a casa i suoi amici del cast per discutere del film, organizzarsi eccetera. Sono curiosissima di conoscerli!
«Sì, si sta cambiando, è in camera mia. Andate ora, prima che si faccia tardi» cerca di fare la dura, indicandoci la porta.
Jamie ride e «Ci stai cacciando spudoratamente» dice, uscendo di casa. Io lo seguo, sento Cora ridere e Beth chiedere di essere presa in braccio.
 
«Jamie, ti faccio una domanda che sicuramente già ti avranno posto» comincia la conduttrice, guardandolo con aria maliziosa. «A cosa devi il tuo successo?»
“Quanta fantasia!”
Io e Beth siamo rimaste dietro le quinte, seguiamo l’intervista grazie ad un mini televisore appeso al muro. La bambina, essendo minorenne, non può comparire in tv dopo la mezzanotte. E si da il caso che sia mezzanotte e mezza, ormai. Prima è stata intervistata Dakota, ancor prima di lei, Eloise Mumford, che nel film interpreta Katherine Kanavagh, la migliore amica di Anastasia Steele nonché coinquilina nonché giornalista di successo. Il prossimo sarà Luke Grimes, lui fa la parte del fratello di Jamie, Elliot Grey, lo sfaticato di turno. Lo vedo affacciato alla finestra, infondo al corridoio. Sta fumando una sigaretta, la butta subito però. Mi chiedo cosa l’abbia accesa a fare…
È bello, qui sono tutti belli, è un cast di belli! Ma cosa pretendo, mica possono fare le audizioni ai primi degli “ultimi”. Mi sorride e si avvicina, sembra dolce, non mette a disagio, anzi! Gli sorrido anche io, abbassando subito lo sguardo. Mi imbarazza la gente che non smette di fissarmi, non so mai come comportarmi in situazioni del genere.
«Facciamo le ore piccole, signorinella, eh?» da un pizzicotto al naso di Beth e questa lo arriccia, grattandoselo. «Piacere, io sono Luke» mi porge la mano.
«Io sono Adele, piacere mio» la stringo subito, guardandolo sedersi affianco alla sottoscritta.
«Non pensavo che Jamie avesse un’altra donna affianco, Claire non era una simpaticona, però…»
«Oh no, no. Io sono solo la baby sitter di Beth, non sono la sua donna» arrossisco.
«Ah, bene. Allora posso provarci senza aver paura che qualcuno mi picchi» ride, passandosi una mano tra i capelli.
“Ah, però!”
Ha un ciuffo che gli ricade sulla fronte, l’odore del fumo si mescola a quello della menta che ha sui vestiti. Una combinazione assurda, ma che funziona!
«Immagino di sì» faccio spallucce.
«Non sei di qua, vero?» mi chiede, schiarendosi la voce. «Non hai un accento americano.»
«In realtà sono russa, ma abito in America da un bel po’ di tempo.»
«Wow, stupenda! Ci sono stato tantissime volte. Credo che la mia città preferita sia Lesnoj, si trova verso la parte siberiana della Russia e l’ho letteralmente amata» sorride, mostrando una dentatura che perfetta è dire poco.
“Sì, so dove si trova Lesnoj.”
«Sei mai stato a Vichorevka? È una cittadina, è piccola, ma è niente male. Sta sempre verso la parte della Siberia, ma quella sudorientale.»
«No, sinceramente no. Ma dovrò tornarci, magari verrai con me» alza e abbassa velocemente le sopracciglia.
 
-
«E… Posso chiederle da dove viene?»
La sua voce è profonda, mette quasi i brividi.
«Sono Russa, ma abito in America da un bel po’ di anni ormai» mi porto una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«La Russia è molto bella…» risponde sbadatamente, concentrato a guardarmi in ogni minimo dettaglio.
«C’è mai stato?» gli domando.
«No, magari mi ci accompagnerà lei un giorno, signorina» sorride, cambiando posizione e smettendo di guardarmi come se fossi la cosa più strana di questo mondo.
-
 
“Eccone un altro…”
Rido, mentre porto la mia attenzione su Jamie.
«Qui con te c’è tua figlia, non è vero?» chiede la conduttrice, sorridendogli.
«La porto ovunque, quando posso, mi piace averla con me» fa spallucce, mentre tutti applaudono, toccati.
«Sei un bravo papà, non c’è che dire.»
«Faccio del mio meglio per non farle mancare niente, nonostante il tempo per viverla sia davvero pochissimo.»
«Immagino che sia brutto per te.»
«Beh, direi proprio di sì» ride, nervoso.
«Cambiamo argomento, Jamie. Qual è stata la parte del film che ti ha imbarazzato di più?» domanda lei.
“Saranno sicuramente le scene di nudo.”
«Io ho cominciato la mia carriera facendo il modello, quindi ero abituato a starmene mezzo nudo avanti ad un attrezzo come la telecamera. Però devo dire che sì, spogliarmi del tutto, distendermi su una donna che per giunta conosco da poco e fingere di fare l’amore con lei, simulando anche orgasmi non indifferenti, mi ha imbarazzato» dice, grattandosi una guancia.
«Ormai hai firmato per questa trilogia, ti tocca finirla. Però, se potessi tornare indietro, sceglieresti di recitare di nuovo la parte di Christian Grey, un uomo tormentato dal suo passato e così insicuro di sé stesso? Per quanto non sembri, un maniaco del controllo che poi maniaco non è, perché si lascia trasportare dall’amore…»
«Beh, se parliamo della storia d’amore che in pochi noteranno, sì. Rifarei tutto. È una storia d’amore molto importante, lei lo aiuta a superare parecchi ostacoli, in primis sé stesso. Grazie ad Anastasia, Christian riesce a cambiare, ad aprirsi e a fare a meno di certe pratiche sessuali singolari, diciamo così. Per quanto riguarda le scene di sesso… Se potessi scegliere, deciderei di non farle. E visto che ce ne sono fin troppe, se potessi tornare indietro, decisamente direi di no. Soprattutto per mia figlia. Sembra stupido, ma a volte penso a quando lei sarà grande e vedrà qualche mio film. Non credo sarà il massimo» ride.
“Che bella risposta!”
Sorrido, accarezzando i capelli della bimba.
«Dimostra ogni giorno di più la bella persona che è» sospira Luke, sorridendo allo schermo.
«Già, penso la stessa cosa.»
«Beth, vuoi una caramella? Guarda, è alla menta» Luke glie ne porge una. Lei gli da un bacio, lo ringrazia e la scarta, finendola in pochi secondi.
«Domani sarete nostri ospiti, non è vero?» gli chiedo.
«A quanto pare sì. Jamie è un perfezionista, lui vuole tutto organizzato» fa spallucce.
«E’ un maniaco del controllo» rido, pensando alla trilogia e al suo personaggio.
Lui sorride e annuisce. «Non come Christian Grey, ma…» gesticola.
«Avete già fatto conoscenza, a quanto pare» arriva Jamie e prende in braccio la piccola Beth. Questa si accuccia al suo petto.
«Hai sonno, piccina?» le chiede. Lei annuisce.
«Beh, Luke, a domani allora» gli dice, abbracciandolo per quanto può.
«Ciao, splendore» dice il ragazzo, rivolgendosi alla bambina. Lei gli da un bacio sulla guancia e si rimette nella posizione di prima.
Si avvicina a me e «Come si dice “ciao” in russo?» mi chiede.
«Sì dice zdravstvuyte» arrossisco.
«Tutta questa confusione per un semplice ciao? » ride Luke. «Okay, allora zdravstvuyte, Adele» mi bacia una guancia e va via, sorridendomi.
“Wow.”
 
La radio passa la canzone di Graham Candy, Holding up Balloons. Durante il ritornello Beth comincia a ballare e ridere. Sarà il troppo sonno, forse?
«Non aveva detto di avere sonno, prima?» la indica, Jamie.
Faccio spallucce e rido, guardandola dallo specchietto retrovisore. È bellissima. Sembra che qualcuno l’abbia fatta ubriacare.
«Allora, come ti pare Luke? Ti ha fatto una buona impressione?»
“Altroché!”
«Direi di sì, è simpatico e molto bello» sorrido.
Lui mi guarda, non risponde, piuttosto si concentra a guardare la strada avanti a noi.
There'll never be enough balloons to get me over you.
 
Jamie spalanca la porta di casa e si butta sul divano, la piccola Beth fa la stessa cosa.
Ho le gambe a pezzi, della schiena non parliamone proprio. Ho più dolori io di un’ottantenne sul filo del rasoio!
«Buonanotte, signor Dornan» dico, baciando la fronte di Beth.
«Ehi, come si dice “a domani” in russo?» si sporge dal divano, Jamie, per guardarmi meglio.
“Tutti fissati adesso, eh?”
«Sì dice uvidimsya zavtra, signor Dornan.»
«Bene, allora uvidimsya zavtra! Non imparerò mai questa lingua assurda. Puoi insegnarmi qualche parola, quando vuoi» sorride, come per convincermi.
“Oh, ma non ce n’è bisogno, Jamie.”
«Immagino di sì, perché no» sorrido, salendo su in camera.



-

No, rega, non è un sogno! Ce l'ho fatta ad aggiornare presto! ahah
Per le parole russe, scusate, ma lo sto studiando e mi piace davvero moltissimo, quindi ne troverete un bel po' in giro.
Ovviamente scriverò sempre il significato di tutto, non vi lascerei mai così. 

Grazie per tutti i bellissimi messaggi privati che ricevo, a chiunque recensisca. Sono qui per migliorarmi, perciò, se trovate un qualsiasi errore, fatemelo notate. Non mi offendo, anzi!
Spero vi piaccia questo capitolo, un bacio enorme a tutte!

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Capitolo 6
*** 5 - Oh, Mandy! ***


5 – Oh, Mandy!
 
 
Beth sistema i bicchieri, li mette in fila uno dopo l’altro. Ogni tanto conta se sono tutti, poi si occupa delle posate. È attenta a ciò che fa, ha il viso rilassato e sembra super concentrata. Sistema le forchette e, a queste, avvicina i coltelli. Conta anche quelli, con la massima precisione. E quando si accorge del magnifico lavoro che ha fatto, sorride, portando la sua completa attenzione su di me.
«Finito!» urla, alzando le braccia al cielo.
«Bravissima» le sorrido, adesso dobbiamo soltanto aspettare che gli ospiti arrivino.
Io ho l’ansia a mille. So che starò con loro solo per il pranzo, però ho paura di fare brutte figure. Sono attori di un certo livello, suppongo, e non vorrei rovinare tutto come sempre. Mi sono vestita elegante, oggi, come se dovessi andare ad un ricevimento assai importante. Ho praticamente uno smoking, capisco di essere più maschile di un ragazzo, ma a me piace troppo. Solo che, al posto di una cravatta, ho un papillon. I miei capelli sono sciolti, ricci, sfiorano quasi i miei fianchi. E un po’ di fondotinta, un po’ di rossetto e del mascara mi rendono più decente. Sembra che io sia stata davvero molto brava ad acconciarmi, spero che tutto vada come previsto.
Mi muovo inquieta per la sala, facendo avanti e dietro, mentre Beth gioca sul divano con la cassa di Barbie. Ogni tanto fa qualche rumore strano, ed io sorrido, torturandomi le mani.
«Tranquilla, cara. Sono sempre i soliti» sorride Cora.
Peccato che per me sia la prima volta.
«Già, hai ragione. Cora, sembro un essere umano o continuo a somigliare ad un dugongo spolmonato?» le chiedo arricciando il naso.
Lei scoppia a ridere e «Sei una scema» risponde. Ma non è Cora, prende la parola Jamie. «Stai benissimo, quei tacchi sono bellissimi e ti slanciano.»
“Cioè, fammi capire, tu hai visto solo i tacchi?”
«Inoltre» continua, scendendo lentamente le scale. «Credo che questo smoking ti stia magnificamente. Dovresti metterlo più spesso. Sei elegante, fine e sexy. Sì, sei sexy» si avvicina a Cora e lei gli sistema la camicia. «E credo anche che tu non debba più stirare i tuoi capelli. Guardali, ricci sono bellissimi» mi sorride adesso.
“Come posso reggere a tutti questi complimenti? Come farò ad affrontare un’intera giornata così?”
Lo guardo per secondi che sembrano secoli, ma a risvegliarmi ci pensa il campanello.
«Vai ad aprire?» aggiunge, indicandomi la porta.
«Certo, e grazie per… Beh sì, per i complimenti» sussurro.
«Lo penso davvero» bisbiglia, ghignando.
Apro la porta e mi trovo avanti il sorriso smagliante di Luke. Come sempre.
«E’ qui casa Dornan, vero?» ironizza, alzando e abbassando velocemente le sopracciglia.
Alzo gli occhi al cielo scherzosamente e «Così pare» rispondo, spalancando la porta.
Mi faccio da parte affinché ci sia abbastanza spazio per tutti, quando Luke poggia una mano sul mio fianco, mi attira al suo corpo e lascia un bacio su una mia guancia. Sento lo sguardo di Jamie su di me, ma non ci faccio troppo caso. Mi starà guardando perché gli sto davanti.
«Ciao, tesoro!» grida Dakota, allacciando le sue braccia attorno al mio collo e stringendomi forte. Sorrido, strofinandole una mano sulla schiena.
«Ciao, bella!» grido anche io, facendola ridere.
Entra, Dakota, e poi chi vedo? Una bellissima Rita Ora varcare la soglia della “nostra” casa. Il vestito bianco che indossa, risalta sulla sua pelle. Porta dei meravigliosi tacchi ai piedi e ha i capelli legati in uno chignon basso, che le sfiora la nuca.
«Buongiorno, io sono Rita» mi porge la mano, sorridente.
«Piacere, Adele» rispondo, stringendola.
«Jamie le sceglie bene, le baby sitter» mi fa l’occhiolino, entrando in casa.
“La prima che non mi fa domande stupide, lodevole!”
«Beh, con me deve aver toppato» rido, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Intanto Jamie accoglie tutti, invitandoli a sedersi sui divani, o a tavola. Beth si mette a parlare con Luke, sembra andarci molto d’accordo. Anche perché, diciamocelo, Luke sa essere molto dolce.
«Sono Eloise, ti ricordi di me?» sorride la biondina, poggiandomi una mano sulla spalla.
«Certo» annuisco. L’ho vista ieri sera, l’hanno intervistata prima di Dakota, suppongo.
«Di me non puoi ricordarti, perché non mi hai mai visto prima d’ora» ride. «Sono Victor. Hai presente José, l’amico di Anastasia?»
“Quello che Christian Grey non sopportava per ovvi motivi, certo!”
È molto carino, ha la pelle olivastra ed un sorriso mozzafiato. Profuma, profuma tanto. È quasi nauseante.
«Certo che sì! Piacere, io sono Adele» sorrido anche a lui, ricordandomi di sfoggiare la dolcezza che proprio non ho. Ultimamente sto migliorando tanto, devo dire. Non sembro quasi più io. «Ti ho visto, ma da lontano» gesticolo.
«Beh, ora hai il privilegio di vedermi da vicino» mi fa l’occhiolino e scoppia a ridere.
“Che onore!”
Mi si presenta avanti un biondo, non bello, ma affascinante. Per guardarlo tutto impiego minuti e minuti, è alto quanto Jamie, ma sembra che sia chilometrico.
«Anthony, o se vuoi  Paul Clayton.»
“Ah sì, Anastasia lavorava nel suo negozio! E ci provava con lei, ma Christian gli mozzò le gambe, a quanto pare.”
«Anthony andrà bene» sorrido. «Io sono Adele!»
«Mi sembra di averlo capito» ride, riferendosi al fatto che, prima di lui, l’ho ripetuto a due o tre persone almeno.
Gli ospiti si accomodano sull’enorme divano che giace nel salone di casa, mentre altri rimangono in piedi e bevono qualcosa. Beth si avvicina a me.
«Stai bene?» le sussurro, abbassandomi sulle ginocchia per raggiungere la sua altezza.
Lei scuote la testa; le passo una mano tra i capelli e le bacio una guancia. Ha la faccina arrossata, sicuramente avrà un po’ di febbre.
La prendo in braccio e cerco di attraversare la sala senza farmi notare da nessuno, visto che stanno parlando di lavoro e quindi di cose importanti. Ma come sempre non ci riesco, perché Jamie mi nota.
«Perché non rimanete qui, Adele? Stiamo solo provando, non…»
«Signor Dornan, sembra che Beth abbia la febbre. Saranno i sintomi delle medicine che il medico le ha prescritto, vado a misurarle la febbre.»
Lui si alza dal divano, si avvicina a noi e poggia la bocca sulla fronte della piccola.
«Effettivamente è molto calda» risponde. Ci riflette un attimo e poi continua. «Io e Dakota stiamo provando con Anthony, appena finiamo salgo e mi dici a quanto sta, nel caso ce l’abbia.»
«Possiamo anche provare più tardi» interviene Dakota. «Non abbiamo fretta!»
«Non preoccupatevi, il pranzo serve anche a questo, no? Saprò cavarmela, Mr. Grey.»
Lui scoppia a ridere e «Ne sono sicuro» sussurra.
«Con permesso…» sorrido, rivolgendomi a tutti, e comincio a salire le scale.
A volte le odio, sono faticosissime!
Raggiungo la cameretta di Beth in pochissimo tempo, poi adagio la piccola sul suo letto e prendo subito il termometro. «Hai sonno, Beth?» le chiedo.
Lei annuisce, strofinandosi gli occhi con entrambe le sue manine.
«Dormi pure, tesoro» la accarezzo, sedendomi affianco a lei. Le infilo il termometro in bocca e le aggiusto le coperte addosso. Sente freddo, ma sarebbe meglio se rimanesse scoperta.
«E’ alta?» sobbalzo, sentendo una voce all’improvviso dietro di me.
Mi porto una mano sul petto ed emetto un respiro di sollievo vedendo Luke poggiato con la spalla sullo stipite della porta.
«Scusami, non volevo spaventarti!» sorride.
“Eh, però lo hai fatto.”
«Tranquillo. Comunque no, non lo so, abbiamo cominciato adesso» faccio spallucce.
Si avvicina, sedendosi sul primo sgabello disponibile in cameretta.
«Dakota e Jamie stanno ancora provando, Anthony scoppia a ridere ogni tre per due, non finiranno mai» si passa una mano sui capelli. «Rita invece gioca con il Nintendo di Beth, Victor la aiuta. Eloise si fa dare alcune ricette da Cora. Che cast disastrato!»
Rido, coprendomi la bocca col palmo della mano. Effettivamente sono un cast particolare, immagino Jamie si stia snervando. Lui ama la precisione, da come ho potuto notare, e quando qualcosa non va sembra innervosirsi.
«Siete simpatici» annuisco.
«Sono simpatico, vorrai dire» mi fa la linguaccia e ride.
“Ha dei problemi! Però è simpatico sul serio.”
Rido ancora. Nel frattempo i cinque minuti sono passati, tolgo il termometro dalla bocca della bimba e «Trentasei, trentasei e basta!» dico.
«Sarà semplicemente stanca» fa spallucce, Luke.
«Può darsi, sì» mi giro verso Beth. «Tesoro, io vado dagli altri, ma voglio che premi quel campanello qualsiasi cosa ti serva. Okay?»
Lei annuisce, poi trova la sua posizione e chiude gli occhi. È così bella e dolce. La sua carnagione chiara risalta le guance rosse che ha, ed i suoi capelli si sparpagliano senza una regola precisa sul cuscino, mentre respira, la sua pancia si muove ritmicamente.
Le accarezzo una guancia e sorrido senza neanche rendermene conto. Mi sono affezionata a lei così presto, non pensavo che mi sarebbe successa una cosa simile in così poco tempo. Insieme disegniamo, aiutiamo Cora a cucinare e guardiamo la tv. Quando non c’è nessuno fuori, ci mettiamo anche a correre sul prato. Ci sdraiamo e guardiamo il cielo, dando una forma plausibile alle nuvole. Ci vogliamo bene, lei è buona proprio come sembra. Il suo viso angelico le rende giustizia.
 
«Allora, è molto alta la febbre?» mi chiede Jamie, mentre scendo le scale.
Luke è proprio dietro di me.
«Trentasei, non ce l’ha proprio. Ma è molto stanca, adesso sta riposando» faccio spallucce, avvicinandomi a loro. «Voi avete finito di provare la scena che provavate anche mezz’oretta fa?» rido, incrociando le braccia al petto.
«Se Anthony non ridesse, faremmo un passo avanti!» alza gli occhi al cielo, Dakota, divertita.
«Stai alzando gli occhi al cielo, Ana?» scherza Jamie, facendo il finto arrabbiato. Tutti scoppiano a ridere, me compresa, capendo a cosa si sta riferendo.
«Lo ammetto» alza la mano, Anthony. «Ma c’è da dire che le facce di Jamie sono impagabili, non riesco a trattenermi!»
«Certo, adesso è colpa mia» si indica, il signor Dornan.
«Da quanto lavori qui, tesoro?» mi chiede Rita, cedendo il Nintendo a Victor. Accavalla le gambe, appoggiandoci su il gomito.
“E’ davvero bellissima.”
«Un mese, quasi» sorrido.
«Vedo che la bambina si è affezionata molto a te, per questo te l’ho chiesto…»
«Credo che Adele sia una persona speciale, non lo ammette, ma è dolcissima» le fa eco Dakota.
“Io? Dolcissima? Diciamo che sono un po’ obbligata, forse?”
«Ti ringrazio» arrossisco. Comincio a torturarmi di nuovo le mani, mentre fisso i miei tacchi. Sento di colpo la mia camicia stringersi, odio queste situazioni. Quando mi fanno i complimenti non so mai cosa rispondere, e arrossisco, arrossisco parecchio. Mi sento osservata, detesto stare al centro dell’attenzione, mi toccherà spostare l’argomento altrove.
«Devo guardare una bambina, non potrei non esserlo» faccio spallucce.
«Oh, la motivazione non è solo questa» sbuffa, Dakota.
«Non sei americana, però» le fa eco Rita. E la ringrazio mentalmente per aver scelto un argomento diverso da quello precedente.
«No, sono russa ma abito in America da un bel po’ di tempo.»
«Ti capisco, io sono nata in Albania, so cosa intendi» mi fa l’occhiolino, sorridendo subito dopo.
«E’ difficile ambientarsi in un posto così grande» spalanco le braccia per rendere l’idea. «Per non parlare della lingua. Ancora faccio confusione» rido.
«Io all’inizio comprai un vocabolario tascabile. Devo dire che mi fu molto utile» annuisce.
Mi avvicino, sedendomi proprio accanto a lei.
«Ti manca l’Albania?» le chiedo. Una mano la poggio sulla sua gamba, mentre l’altra la strofino dietro la sua schiena, lentamente. Lei abbassa lo sguardo sulle sue scarpe e sorride amaramente. Sembra che intorno a noi non ci sia più nessuno, adesso esistiamo solo io e lei.
«Abbastanza, ma ora la mia vita è qui» alza lo sguardo, concentrandosi su di me.
«Capisco. E i tuoi genitori sono qui in America, immagino…»
«Sì, non potevo lasciarli lì, non ce l’avrei fatta» fa spallucce.
«Ovviamente» le sorrido. «Beh, quando vorrai andare in Albania, avrai qualcuno a cui chiedere di accompagnarti. Voglio dire, non l’ho mai vista, vorrei tanto riuscire a farlo.»
Lei mi abbraccia e «Con piacere» sussurra, staccandosi.
 
«Anche io voglio imparare il russo!» esclama Eloise, dimenandosi sulla sedia. Mi porto una ciocca di capelli dietro l’orecchio e «Non è così semplice come sembra, ci sono molti simboli da imparare ed è complicato» faccio spallucce, guardandoli tutti.
Beth è seduta comodamente sulle mie gambe, mentre gioca con suo padre, che siede proprio affianco a me.
«Che ingiustizia» si ammusa, Eloise, incrociando le braccia al petto. «Potresti insegnarmi solo qualcosa? Che ne so, come si dice ti amo
«Ti amo si dice ya lyublyu tebya, questo non è complicato» sorrido.
«Capito, Elliot?» scimmiotta, la bionda. «Ya lyublyu tebya! Sono bravissima» e si applaude da sola, facendo ridere Dakota e Victor.
«Adesso non la finirà più, lo ripeterà all’infinito» risponde Luke, alzando gli occhi al cielo.
Senza dire una parola, Beth mi prende la mano e mi trascina con sé. Sussurro un flebile “scusate”, mentre superiamo il tavolo. Jamie mi segue con lo sguardo, i suoi occhi sono più grigi del solito. Rimango ferma a guardarlo per un po’ e non ce la faccio, arrossisco come una bambina di due anni. Tutti si concentrano su noi due, poi Beth mi fa notare che dobbiamo andare e mi volto, seguendola ancora. Apre la porta, non arrivando alla maniglia si alza sulle punte. Non ho idea di cosa voglia fare, non mi sta facendo capire granché. Raggiungiamo il giardino e lascia la mia mano, avvicinandosi ad un Super Santos. Lo indica e «Giochi con me?» urla, battendosi le mani da sola. Rido, coprendomi la bocca col dorso della mano.
«Certo» rispondo, indietreggiando un po’. Lei lo prende, si da la carica e lo lancia. Riesco a prenderlo al volo, lei sorride e glielo passo di nuovo. Poi da un calcio alla palla, questa torna da me, poco dopo ce l’ha di nuovo in mano.
«Luke!» esclama, lanciando il Super Santos a lui. Questo lo prende al volo.
«Possiamo giocare anche noi?» dice Dakota, raggiungendo Beth.
«Non vedo dove sia il problema» faccio spallucce.
Luke si posiziona proprio affianco a me e tira la palla verso la piccola. Lei lo passa a Dakota e questa lo lancia a me. Cominciamo a giocare tutti e quattro senza fermarci un attimo, fino a quando non esce Jamie di casa.
«Adele, puoi raggiungermi un momento?» mi guarda fisso, e quasi fulmina con lo sguardo Luke. Forse perché mi tiene per la vita, tenendo poggiata la testa sulla mia spalla. Ridiamo entrambi, perché io stavo per cadere e lui mi ha presa al volo.
“Inciampo sui miei stessi passi, grandioso!”
«Arrivo» gli rispondo, staccandomi da Luke. Questo ragazzo mi sta troppo appiccicato, ed io ovviamente gli do retta, certo.
Quando siamo dentro, Jamie mi accompagna in cucina.
«Mi aiuti a prendere il dolce, per favore? Cora è impegnata in una chiamata, Madaline sistema il letto di Beth e non posso chiedere agli ospiti, sarebbe ineducato» sorride, dirigendosi verso di frigorifero.
“Oh, wow.”
«Sì, certo» faccio spallucce.
Jamie prende la torta, ne annusa l’odore e poi la poggia sul tavolino, proprio davanti ai miei occhi. La guarda sorridendo, sembra soddisfatto del lavoro compiuto da Cora. Ed effettivamente lei è molto brava, ha le mani d’oro.
«Cora ha detto di metterci la panna, quindi…» mi porge un attrezzo strano. Io lo fisso, non ho la minima idea di come si usi.
Lui scoppia a ridere, butta la testa indietro e la scuote un po’. «Sei una frana in questo, non è vero?»
«Diciamo che non sono una grande cuoca» non ho giustificazioni, lo so.
«Okay, adesso proverò io a fare qualcosa. Ma mi devi un favore!» esclama, pizzicandomi un fianco.
“Sì, speraci! Speriamo se ne dimentichi.”
Prende l’attrezzo misterioso tra le mani e lo strizza, facendo sì che dal beccuccio esca della panna super buona.
“Questa frase ha cinquanta sfumature di porno, ma non alludevo a quello. Sta davvero mettendo della panna da cucina sulla torta, giuro!”
Arrossisco al pensiero, voltandomi dalla parte opposta alla sua. Chiudo gli occhi per una manciata di secondi, riflettendo su ciò che stavo pensando. Cerco di non ridere, mi mordo le labbra pur di riuscirci, ma la situazione è troppo imbarazzante. E lui non è di aiuto.
«Ti burli di me?» ridacchia.
Mi giro a guardarlo: si morde le labbra e socchiude di occhi per trovare la concentrazione di cui ha bisogno.
«So che è imbarazzante questo affare, ma non è di certo colpa mia.»
«Assolutamente» alzo le mani. «Sta… Sta facendo del suo meglio».
Non è cosa da tutti i giorni strizzare aggeggi misteriosi, utilizzarli senza sapere neanche come fare. Anzi, è fin troppo bravo!
Lui però pensa che io lo stia prendendo in giro, perciò si blocca di colpo e si gira a guardarmi. Io lo guardo di conseguenza, non capendo cosa voglia fare o cosa stia pensando.
Si spruzza un po’ di panna sul dito: fa finta di volerla mangiare, invece la posa proprio sul mio naso. Per quanto io voglia evitarlo, mi vendico. Prendo un po’ di panna dalla torta e la spalmo su tutta la sua faccia. Scoppiamo entrambi a ridere: sembriamo due ragazzini!
«Mi stai dichiarando guerra, Adele?» alza le sopracciglia e, con quell’attrezzo, mi spruzza tutta la panna addosso. Cerco di coprirmi con le mani o con i coperchi, ma non ci riesco.
Vedo sul tavolo una pentola piena di cioccolata, non so cosa Cora voglia farne, ma adesso mi serve. Prendo il mestolo, lo riempio di cioccolata e gliela tiro addosso. La sua camicia bianca viene sporcata dalla sottoscritta in meno di tre secondi.
«Che schifo!» grida, allontanandosi. Non smette comunque di sporcarmi, quindi perché dovrei cedere io?
«Ha cominciato lei, e adesso finiamo» rido, continuando a lanciargli cioccolata.
Cerco di nascondermi, ma lui fa il giro della penisola e mi trova. Scivola sulla panna che occupa la maggior parte del pavimento ormai, cadendomi praticamente addosso.
Le risate ormai non riusciamo più a contenerle, lui si siede sul mio bacino e posiziona le gambe ai lati della mia vita.
Pensavo volesse finirla, invece prende la torta e la spappola sulla mia faccia con una classe a dir poco pazzesca.
“Bastardo!”
Io però faccio la stessa cosa con ciò che ne è rimasto.
«Questo gioco non mi sta piacendo» ride Jamie, pulendosi la faccia - per quanto può - con le mani.
Io tolgo la panna dai miei occhi. Per quanto possa sembrare strano, odio la cioccolata. E, l’idea di averla addosso, non so, mi fa venir voglia di vomitare.
«E’ carino però, tutto sporco di cioccolata» lo indico.
«Christian Grey, a questo punto, ti leccherebbe tutta» ghigna. «Dio, Adele, sembriamo due sfollati!» si passa una mano tra i capelli.
“Già. E chissà di chi sarà mai la colpa!”
Scoppio a ridere, coprendomi la pancia con le mani. Le sue facce sono buffe, perché cerca di leccarsi una guancia, ma non ci riesce.
«Anastasia a questo punto ti direbbe di sbatterla come se non ci fosse un domani, probabilmente» faccio spallucce.
«Probabilmente sì, sai, sono l’uomo più sexy d’America!» mi fa l’occhiolino.
Ridiamo di nuovo. Si sbilancia per prendere i fazzoletti sul tavolo, ma cade di nuovo su di me. Si tiene in tempo, poggiando le mani ai lati della mia testa.
«Mi sa che sto diventando un rammollito, non mi reggo più in piedi» sussurra.
Le sue labbra sono vicinissime alle mie, i nostri nasi si sfiorano. Mi guarda fisso, io sorrido.
«Mi sa che la badante serve prima di quanto lo si creda.»
«E continui a prendermi in giro?» urla quasi, cominciando a farmi solletico sulla pancia.
Mi contorco sotto di lui, cerco di fermarlo, ma come posso? Rido così tanto che lo stomaco comincia a farmi male, scuoto la testa e lui sorride orgoglioso di sé stesso.
“La pagherai!”
«Cosa sta accad-» Cora si blocca di colpo, e pure Jamie. «La mia torta!» urla, portandosi le mani ai lati della sua faccia.
“Avete presente L’Urlo di Munch? Uguale!”
Jamie si gira a guardarla. «Scusami, Cora» dice. «Ne prepareremo una nuova subito, non sarà mai buona come la tua, ma ci proveremo.»
Lei ci squadra, indicandoci. «E il mio coccolato!»
«Sì, scusami, è stata colpa mia» alzo la mano, abbassando subito lo sguardo. Mi sento troppo il colpa, ma come si dice? In amore e in guerra tutto è lecito!
La povera donna ci indica, poi scoppia a ridere anche lei. So che è divertente il modo in cui ci siamo ridotti: io ho panna e cioccolato sui miei capelli, la mia camicia da bianca è diventata color cagarella e i miei pantaloni sono di un bianco sporco incomprensibile; stessa cosa per Jamie. Sembriamo davvero due sfollati.
«Cos’avete nel cervello, moscerini? Come pulisco tutta questa roba?» ghigna, portandosi le mani sui fianchi. Si guarda intorno, notando il casino che abbiamo combinato. Nel frattempo ci raggiungono gli altri che, più o meno, appena ci vedono hanno la stessa reazione di Cora.
«Vi divertite con poco, a quanto pare» si morde le labbra, Dakota, avvicinandosi a me. «Posso?» mi chiede.
«Cosa?»
«Leccarti una guancia. Ci sono panna e cioccolata sopra» fa spallucce.
«Sì, ma ci sono anche bb cream e fondotinta sotto» ridacchio.
«Vorrà dire che correrò il rischio». Poggia le mani sulle mie spalle e lecca una mia guancia, io chiudo gli occhi e arriccio il naso: mi sta facendo solletico.
«Mh, sei buona» ride.
 
«Un classico: il puttaniere che s’innamora della pura verginella» sospira Jamie, sistemandosi sul divano.
«A me piace tanto questo film, sarà che ballo da una vita» faccio spallucce.
Abbiamo pulito la cucina da cima a fondo, mentre Cora si occupava di Beth e i ragazzi tornavano a casa. Ci siamo fatti anche una doccia, dovremmo dare il buon esempio e invece guardate cosa combiniamo! Adesso stiamo guardando Dirty Dancing, in tv c’è solo questo! Lui sbadiglia, girandosi a guardarmi.
«Balli da una vita?»
Annuisco.
«Cosa?» chiede, interessato.
«Latinoamericani, balli di coppia» sorrido, pensando a Johnny, il mio ballerino. Dovrei chiamarlo, adesso che ci penso, e ritornare da lui al più presto.
«Quindi, presumo ci sia un uomo che si strusci su di te» cambia espressione, riportando il suo sguardo sulla tv.
“Strusciare… Che parolone!”
«Più che strusciare, mi accompagna» dico.
«Sì, come vuoi» alza gli occhi al cielo.
«Beth sta dormendo, adesso vado anche io. Buonanotte, ragazzi!» ci sorride, Madaline, sparendo in pochi secondi.
«Buonanotte» diciamo all’unisono, anche se già non c’è più. Ma credo ci abbia sentiti.
Jamie fa zapping sfrenato, finché non trova un canale in cui trasmettono solo canzoni anni ’60/’80. A parer mio sono bellissime, amo quel genere di musica. Adesso, ad esempio, stanno passando “Mandy”, di Barry Manilow. Stupenda, è molto lenta, ma assolutamente stupenda.
Jamie sorride, passandosi un mano sul mento. Lo capisco, io sto facendo la stessa identica cosa. Stanno facendo vedere tutte le immagini di quel cantante, i video dei suoi concerti. Non dico niente, piuttosto mi godo la canzone. Chiudo gli occhi, azzerando il mio cervello.
Quando il ritornello è vicino, sento chiamarmi.
«Balli questo pezzo con me?» è in piedi, proprio difronte a me, e mi tende la mano.
La prendo, stringendola un po’. Avvinghio le mie braccia al collo di Jamie, mentre lui poggia le sue mani sui miei fianchi.
Oh Mandy, well, you came and you gave without taking. But I sent you away.
Poggia il mento sulla mia spalla e lo sento sospirare.
Non c’è più nessuno, ci siamo solo noi, scalzi, nel salone, a ballare un meraviglioso lento. La stanza non è illuminata, o meglio, fa luce solo un’abasciur bianca.
Oh, Mandy well, you kissed me and stopped me from shaking.
«Ti piace?» chiede, con voce rauca.
«Cosa?»
«La canzone» sorride.
“Idiota, Adele! Cos’altro dovrebbe piacerti, lui? Che ti tiene stretta manco fossero gli ultimi giorni?”
«Certo, a lei piace?»
«Quando la smetterai di darmi del lei? Non ti pare che dovresti darci un taglio?»
«Sì, credo, non lo so» faccio spallucce.
And I need you today. Oh, Mandy!
Si stacca da me e «Sì, suppongo di sì» sorride appena.
 
-
 
 
Mi piacciono le canzoni del 15-18, avete ragione!
Scusate per l’enorme ritardo, ma il mio computer ha deciso di rompersi dal giorno alla notte senza neanche preavviso. Quindi diciamo che ho perso tutto, perciò ho dovuto riscrivere l’intero capito che già avevo preparato. Spero vi piaccia, sarò velocissima a pubblicare l’altro, giuro.
Un bacione a tutte, e grazie ancora per le recensioni! Ah, scusate per gli eventuali errori. Ho pubblicato tutto molto frettolosamente, ricontrollerò presto.

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Capitolo 7
*** 6 - England ***


6 – England.
 
 
L’Inghilterra è bella, proprio come la immaginavo io. I vicoli di questa città sono stupendi, antichi e vissuti. E le casette che occupano i lati delle strade hanno un’aria familiare che probabilmente quelle americane possono solo sognare. Sono marroncine, fatte di mattoni, e i loro recinti mi ricordano molto quelli dei tempi dei The Beatles. Questo non tutte, ovviamente.
Stamattina, io e Beth, siamo uscite. Mi sono presa molto tempo per osservare con attenzione la città, anche se, devo essere sincera, ho visto poco e niente ancora. La cosa che ho notato è stata questa: le case non sono tutte semplici e marroncine come descritto sopra.
“La scoperta dell’acqua calda!”
Alcune sono colorate, nel vero senso della parola! Sono viola, gialle, verdi, fucsia... Ma sono dello stesso complesso! Sono attaccate tra di loro, ma hanno colori diversi, sgargianti, che attirano inevitabilmente l’attenzione di tutti. E trovo che sia stupendo! In America queste cose non le ho mai viste, ma è pur vero che io dell’America so poco. Fatto sta che è strepitoso il loro essere stravaganti, davvero. Altre, invece, sono completamente bianche, hanno delle colonne e dei portoni importanti. Proprio come nei film!
Ho sempre sognato di vivere in Inghilterra ed ora che ci sto, che ci abito davvero, devo ancora realizzare. La gente corre da una parte all’altra, tutti hanno un lavoro da compiere o qualche meta da raggiungere. C’è fermento, la città è così viva! Tutto ciò mi trasmette felicità nel vero senso della parola. Sorrido senza neanche accorgermene. Ogni tanto Beth mi indica qualche cagnolino che passeggia con il proprietario. Le ho chiesto se ne vorrebbe uno, mi ha risposto che suo padre sta decidendo quale. Ne vorrebbe uno piccolino, dice lei, uno di quelli che non crescono. Così non dovrà faticare per raggiungere la sua altezza. Io le ho spiegato che, come il cane, anche lei crescerà e inevitabilmente sarà più alta del cane. Ma a lei davvero non importa, a quanto pare. Ha detto che un Chihuahua potrebbe metterlo nella sua borsetta, un San Bernardo no. E come darle torto! La comodità prima di tutto!
«Hai sete, Beth? Prendiamo un po’ di acqua?» le chiedo, indicandole il primo locale che mi trovo avanti.
«Sì» esclama, annuendo con vigore.
L’insegna riporta una scritta che quasi è più grande di tutto il bar: Como Momo. Come se gli inglesi non ci vedessero abbastanza. Ci troviamo vicino alla stazione di Holborn, alla 64esima strada di Theobalds. Il posto è molto carino, piccolo e accogliente. Le mura sono di un marroncino chiaro (che novità!) e il parquet rende l’aria molto più… Casalinga? Diciamo così.
Ci avviciniamo al bancone e Beth si siede, facendo penzolare le sue gambe ritmicamente.
«Posso esserle utile?» si avvicina a noi una ragazza molto carina. Ha i capelli  rossi e la pelle chiarissima, sembra quasi una bambola di porcellana.
“No, guarda, sono solo venuta a provare se gli sgabelli sono comodi. Nessun disturbo. Neanche più nei negozi di abbigliamento si usa questa frase.”
«Beh sì» dico e lei ridacchia. «Una bottiglietta d’acqua, per favore. Naturale.»
«Certo, gliela porto subito» mi risponde, allontanandosi.
Questo bar passa buona musica, devo essere sincera. Sento la voce di Michael Jackson cantare una bellissima Who Is It? e sorrido, pensando a quanto vorrei poter assistere ad un suo concerto. Sono una sua fan da tempi ignoti e mi piacerebbe vederlo in live. Decisamente, la sua voce è migliore dal vivo. L’ho sempre classificato come l’uomo della mia vita. Forse perché riusciva ad essere un ottimo padre pur non essendo molto presente nelle vite dei suoi figli. Fare il cantante non è facile, poi ai suoi livelli diventa quasi impossibile, secondo me. Tutta la fama che aveva deve averlo reso felice, ma allo stesso tempo deve averlo stressato. Non è facile affrontare e superare ritmi del genere, lui era amato anche in Africa! E poi la sua dolcezza era infinita, trasmetteva così tanto amore che il solo pensarci mi fa venire i brividi. La sua voce così fina e delicata, sul serio, riusciva a toccarmi il cuore senza fare percorsi troppo lunghi. Più che idolo, io lo considero la colonna sonora della mia vita. Perché lo è, eh, se lo è.
«Ecco a lei» mi riporta alla realtà, la ragazza, porgendomi la bottiglietta d’acqua che le avevo chiesto poco fa.
Pago il conto, la ringrazio. Faccio per uscire, quando la sua voce mi obbliga a fare dietro-front.
«Lei è la baby sitter di casa Dornan, vero? E lei è la piccola, vero?»
“E se lo sai, santa donna, perché me lo chiedi?”
«Beh, io-»
«Lo immaginavo!»
“Ma se non ti ho neanche risposto!”
«Può dirgli da parte mia che è il mio idolo e non vedo l’ora di vedere il suo film al cinema?» batte le mani, saltellando con aria entusiasta.
“Poco fa era tranquilla, cosa le sarà accaduto?”
«C-certo» sorrido appena, prendendo in braccio Beth. «Glielo riferirò sicuramente.»
«Grazie, per me è importante.»
“E la Jamie Dornan Infection colpisce ancora” penso, uscendo velocemente dal locale, prima che qualche altro essere vivente mi fermi.
 
«Avete impiegato un’eternità per comprare una bottiglietta d’acqua?» ride Jamie, posando un bacio sulla fronte della bambina.
«No» gli faccio una linguaccia decisa. «Abbiamo girato la città e una ragazza mi ha fermata per strada, per questo c’abbiamo messo più del dovuto. Dice che ti ama e che non vede l’ora di vederti al cinema. Anche se, secondo me, non vede l’ora di vedere il tuo culo al cinema. Ma questi sono punti di vista» spiego. «E’ la ragazza del Coco Momo bar, quello con l’insegna per ciechi.»
Jamie scoppia a ridere e «Sei gelosa per caso, Adele?» chiede, infilandosi le mani in tasca.
“Ecco, lo sapevo che andava a parare lì.”
«No, Jamie» alzo gli occhi al cielo. «Come potrei? Solo che era molto fomentata, sembrava che stesse venendo al solo nominarti!»
«Ma dai, ti prego» ride ancora, buttando come al solito la testa all’indietro. Per fortuna la bambina sta parlando con Cora già da un po’ ergo non ha sentito nulla della nostra conversazione. Ci mancherebbe solo che venisse a chiedermi cosa significa venire.
«In cucina c’è Claire, oggi la bambina starà con lei, per quanto io non voglia» gesticola.
«Ah, no beh, lo capisco, è un suo diritto» annuisco.
«Già» fa spallucce.
«Ho interrotto qualcosa?» ecco la voce gracchiante di Claire.
«No, ma se non fossi entrata, sarebbe stato meglio» sorride falsamente Jamie.
Da quando tutto questo astio tra di loro?
«Oh, non preoccuparti, me ne sto andando» mi fulmina con lo sguardo e non le importa del fatto che ci sia anche Jamie con noi.
«Claire, voglio la bambina tra un’ora esatta. Non un minuto di più, non un minuto di meno, sia chiaro» le punta un dito contro.
La piccola corre verso di noi, prima bacia suo padre e poi me.
«Bethany è anche mia, vorrei ricordartelo» sputa, incrociando le braccia al petto. «Ha bisogno di sua mamma.»
«Certo! La stessa mamma che non è andata a trovarla quando stava in ospedale, non ha chiamato per sentire in che condizioni si trovava e la stessa che tutt’ora non è presente nella sua vita. O meglio, è presente solo quando deve andare a fare shopping o in vacanza, non è vero?» urla Jamie, gesticolando. «Potrei essere cattivo, Claire, vattene e riporta qua la bambina fra un’ora!»
«Immagino, invece, che la baby sitter sia più brava di me con lei. Giusto?» ridacchia, divertita da ciò che lei stessa ha detto.
«Non ci vuole molto per superare i tuoi livelli, Claire. E, ti ripeto, vai, prima che cambi idea» le indica la porta, Jamie, facendole cenno col capo di uscire.
Lei prende per mano la bambina, ci supera con fare altezzoso ed esce, sbattendo la porta alle sue spalle.
«Come mai l’ha chiamata Bethany? Non ricorda neanche più il suo nome?» chiedo con molta ingenuità. Mi è stata presentata come Beth, ed ora sua madre la chiama Bethany.
«No, Adele» sorride. «Si chiama così. Solo che io preferisco abbreviare. È troppo lungo il nome Bethany ed io devo risparmiare energie. Ti va un frappè?»
«Oh, capisco» annuisco convinta. «Alla nocciola? Ci sto!»
 
«Conosci l’Inghilterra?» mi chiede, guardandosi attorno. «Mi hai detto di no, vero?»
«No, in realtà no.»
«Beh, vieni. La visiteremo assieme» mi prende la mano e la stringe forte.
Ci dirigiamo verso la sua macchina, mentre io sento il mio cuore battere più del dovuto.
Mi sta stringendo la mano, per la prima volta. E sento di star volando, i miei piedi non toccheranno terra mai più nella vita. Sorrido come una spostata mentale, vorrei poter gridare ma no! No! È tutto sbagliato!
“Adele, ti sta prendendo la mano perché ti considera un’amica, perché ultimamente avete stretto di più i rapporti, non perché prova qualcosa per te! Come potrebbe, vi conoscete da poco e non è possibile, smettila e riporta i piedi a terra!”
«Sarò la tua guida» sospira con fare teatrale, portandosi una mano sul cuore e aprendomi la portiera della macchina.
«Sì, spirituale» lo prendo in giro, ridacchiando.
 
 
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Capitolo 8
*** 7 - Good life ***


7 – Good life
 
 
«Questo che vedi, è il famosissimo London Eye. Ne avrai sentito parlare, no?» Jamie lo indica, lanciandogli uno sguardo veloce.
Io, invece, rimango a fissarlo come se fosse la cosa più bella e preziosa del mondo. «E’ grandissimo!» esclamo senza neanche rendermene conto.
«Beh, sarà un 140 metri o qualcosa di meno» fa spallucce. «Ma calcola che lo hanno costruito una decina di persone! È stato un lavoro durissimo.»
«Beh, lo immagino» sussurro, mentre lui mi prende la mano.
«E questo che vedi, ovviamente, è il Tamigi. Ma credo che tu lo sappia» ridacchia, indicandolo. «Adesso non rende, dovremmo tornarci la sera. Accendono le luci del London Eye e devo dire che fa molto più effetto.»
«Di che colore sono?»
«A volte viola, altre blu. Non c’è un colore preciso, le alternano» fa spallucce. «Te l’avevo detto che gli occhiali avrebbero funzionato.»
Ah, sì, gli occhiali.
Beh, diciamo che, prima di uscire, abbiamo calcolato il fatto che ci avrebbero visti e, soprattutto, che lo avrebbero riconosciuto. Lo avrebbero fermato, avremmo perso tempo e non mi sarei goduta la gita in centro. Perciò Jamie ha preso le cosiddette precauzioni mettendosi un paio di occhiali e un Beanie che, a dirla tutta, non gli sta affatto male. Mi ha spiegato che non è solito indossarlo, ha detto che ormai è un padre di famiglia e questi aggeggi li mettono i ragazzini, ma per oggi avrebbe fatto uno sforzo. Secondo me sbaglia, dovrebbe metterli più spesso. Lui non si porta male gli anni che ha, si sottovaluta troppo e la cosa non va bene. Dovremmo approfondire di più questo argomento, ma tempo al tempo.
«Vuoi salire?» sorride, sapendo che io soffro di vertigini.
«Jamie, io-»
«Giuro che saliremo e non ti accorgerai di niente, ti starò affianco per tutto il tempo.»
“E come lasciarsi scappare l’occasione del secolo!”
«Va bene, ma… Dio, cosa sto facendo!» mi copro il volto con una mano, mentre lui ride, trascinandomi con sé.
 
Questo London Eye non mi piace più come prima. Ci stiamo alzando lentamente e sento sempre di più il vuoto sotto i miei piedi. Ho il cuore in gola, le gambe mi tremano e le mani mi sudano. E non importa del fatto che Jamie mi abbracci da dietro, io continuo a tremare come una foglia, per quanto la vista sia un vero e proprio spettacolo.
Mi prende in giro da stamattina, il signor Dornan, dice che sono una pappamolla. Ma vorrei proprio vedere lui, se soffrisse di vertigini, vorrei proprio vedere cosa farebbe.
Non parlo da quando siamo saliti, stringo semplicemente le sue mani e prego di scendere viva da questa macchina del male. Mi mordo le labbra, vorrei dirgli che mi piace tutto ciò che stiamo facendo, ma davvero non ce la faccio.
“Perché hai accettato, Adele, perché!”
Il fatto di averlo così vicino credo che mi abbia condizionata e non poco. Perché, parliamoci chiaro, quando mi ricapiterà più di averlo così stretto a me… Mai! E sì, viviamo assieme, ormai c’è confidenza, ma questa è tutt’altra storia!
«Hai paura?» mi sussurra all’orecchio, il che non mi aiuta affatto.
«Smettila» bisbiglio e lui ride, stringendomi ancora di più. «Parla quello che ha urlato per uno scarafaggio poco fa.»
«Ehi» si sporge per guardarmi. «Anche tu hai urlato!»
«Sì, tesoro, ma io sono una donna. Tu sei un uomo» trovo la forza per muovermi e mi giro. Adesso siamo faccia a faccia; incrocio le braccia al petto e lo guardo attentamente, cercando in tutti i modi di non ridere.
Ormai siamo quasi arrivati al punto più alto di questo maledetto London Eye. L’Inghilterra è bellissima, anche vista dall’alto.
«Sì, tesoro, ma questo non ti giustifica» incrocia le braccia anche lui, imitandomi.
«E’ qui che casca l’asino, perché mi giustifica eccome! Voglio dire, sei un uomo! Se hai paura di uno scarafaggio, come pretendi di potermi proteggere da un attacco nemico oppure-»
«Attacco nemico? Spiderman, ti ricordo che sei in Inghilterra, non in Guerre Stellari» alzo gli occhi al cielo. Che simpatico! «E poi, scusami, devo proteggerti?» continua, con un tono di voce più dolce.
Mi guarda come se aspettasse conferme, sembra che con quei maledettissimi occhi voglia trapassarmi. Mi sento così impotente, e non è per via dell’altezza! Quel problema credo proprio di averlo superato, almeno per adesso.
«Io non-» gesticolo, cercando parole giuste per giustificarmi. Guardo altrove: puntare ai suoi occhi mi sembra un grandissimo passo falso e non posso. Ora come ora complicherei solo le cose.
Lui sorride, avvicinandosi a me. Prende il mio viso con entrambe le mani e lascia che i nostri nasi si sfiorino. Per un attimo mi manca il respiro, sento il suo profumo annebbiare i miei sensi e…
«Sei bella, sai?» sorride. «In tutti i sensi possibili» precisa subito dopo.
Sta per poggiare le sue labbra sulle mie, quando ci accorgiamo di aver finito il giro.
«Ehm» tossicchia, allontanandosi di colpo. «Dobbiamo andare.»
“La mia vita stava per completarsi, dannazione!”
Mi prende la mano, ringrazia il macchinista e ci dirigiamo verso la sua macchina.
«Dove si va adesso?» mi gratto la nuca, cercando di rompere quel silenzio irritante che si viene a creare nei momenti meno opportuni.
«Tower Bridge, baby.»
 
«Un pescivendolo va a prendersi un caffè, indovina cosa dice?» chiede Jamie, raggiungendo la London SE1 2UP, ovvero la Tower Bridge Road.
Questa dev’essere una delle sue squallide battute, neanche Beth ormai ride più quando le sente. Riesce a capire ciò che è male e bene, la bambina.
«Cosa dice?»
«Tonno subito» e scoppia a ridere, battendosi le mani da solo.
Appunto, come immaginavo.
«L’hai capita? Tonno, pescivendolo, torno subito, tonno subito» e gesticola.
«Perché hai questi problemi, Jamie? Io non-»
«Dillo che ti è piaciuta, stai cercando di trattenerti dal-»
«Vomitare? Sì, infatti, hai ragione! Per favore, continua a fare l’attore, non t’improvvisare comico» ghigno, mentre lui mi guarda con fare deluso. «Jamie, accetta i tuoi limiti!»
«Non era così pessima!»
«Lo era, e spero che tu non dica queste cose davanti alla bambina. La traumatizzeresti» gli spiego. Jamie poggia una mano sulla sua pancia, lasciando che la t-shirt mostri parte dei suoi muscoli evidenti quanto basta.
Mi sforzo di non guardare, girando la mia testa dalla parte opposta.
«La simpatia degli inglesi devo comprenderla ancora…»
«Io teoricamente sarei irlandese.»
«Sì beh, è uguale! Che precisino!» alzo gli occhi al cielo.
«Non è ugual-»
«Siete strambi! Anche il cibo e gli abbinamenti che fate, lo sono» gesticolo. «Non riesco a capirvi.»
«Voi russi invece siete il popolo più semplice del mondo, vero?» ironizza? «Con tutti quei segni vi complicate solo la vita! Una semplice N la scrivete in stile geroglifico, se i poveri egizi potessero leggere ciò che siete capaci di cacciar fuori, impazzirebbero» sì, ironizza.
Incrocio le braccia al petto e «Per voi è difficile, per noi non lo è» rispondo, guardando avanti a me.
«Beh, avrei riso se fosse stato difficile anche per voi» ridacchia.
«Bla bla bla» borbotto, guardando fuori dal finestrino.
“Questo Jamie Dornan mi piace poco.”
 
Il ponte mobile di Londra s’innalza proprio avanti a me, bello, illuminato dal sole che oggi ha deciso di mostrarsi in tutto il suo splendore. Jamie mi ha spigato che il ponte ha una storia importante dietro: il Tower Bridge collega il distretto di Southwark e la Torre di Londra, antica costruzione in cui venivano rinchiusi i prigionieri che poi sarebbero dovuti essere giustiziati.
Se penso alla fine che hanno fatto quei disgraziati, rabbrividisco. Diciamo che non mi sarebbe piaciuto stare nei loro panni, né in quelli dei loro parenti; non dev’essere bello “vivere” sapendo il giorno e l’ora in cui morirai. Vivere tra virgolette, perché io - ad esempio - non riuscirei mai a continuare la mia vita sapendo che farò una fine del genere.
«Ti piace?» mi chiede Jamie, risvegliandomi dai miei assurdi pensieri.
«Ehm? Sì, il Tower Bridge è bellissimo, anche più del London Eye. Almeno ho i piedi piantati sul suolo!»
«No, hai capito male» ride. «Intendevo il gelato. Ti piace il gelato?» e lo indica.
Il gelato. Per farsi perdonare, il signor Dornan qui presente mi ha offerto il gelato in “una delle più buone gelaterie dei dintorni”, o almeno così ha detto. Non so se fidarmi o meno, ma non m’importa adesso, perché devo dire che è davvero molto buono.
«Sì, decente» non posso dargli soddisfazioni di questo tipo.
«Decente?» spalanca la bocca e sgrana gli occhi. «Lo abbiamo preso neanche dieci minuti fa e già lo hai finito!»
“Adele, devi imparare a dire meglio le bugie, mi sa.”
Vince sempre.
«Beh, anche tu» faccio spallucce.
«Hai ragione, ma io non lo classifico come “decente”» risponde, mimando le virgolette.
«Va bene, rettifico: è buonissimo» alzo gli occhi al cielo.
Lui sorride soddisfatto, ma «Non ti montare la testa» continuo, gesticolando.
«Non mi serve, tesoro» borbotta, prendendomi la mano e trascinandomi con lui.
 
Oh, this has gotta be the good life. This has gotta be the good life.
This could really be a good life, good life.

Say oh, got this feeling that you can't fight like this city is on fire tonight.
This could really be a good life. A good, good life.

Cantano gli One Republic in radio, mentre ci dirigiamo verso il famosissimo Big Ben. Questa credo che sarà proprio l’ultima tappa della giornata, ovviamente non ci vuole un giorno per visitare tutta l’Inghilterra ed io, checché se ne dica, sono davvero molto stanca. Non sembra, ma Jamie sa essere stressante quando vuole. Stare con lui è più complicato di quanto pensassi, ma io avrò la mia vendetta prima o poi.
«Ti piacciono gli One Republic?» mi chiede, svoltando in una stradina del centro.
«Sono okay, sì. Questa canzone poi mi rilassa» faccio spallucce. «Io li seguo dai tempi di Apologize, non so se la ricordi o qualcosa del genere. Fu il loro primo singolo.»
«Certo, remixata da Timbaland, certo che la ricordo» sorride. «Io conosco Ryan, il cantante. È un bravo ragazzo.»
“Cosa? E me lo dice così, come se nulla fosse? Conosce il più bello della band, praticamente.”
«Ryan Tedder?» sgrano gli occhi, girandomi a guardarlo. «E come!»
«Beh, sto girando “Cinquanta sfumature” in America. Lui è dell’Oklahoma, io non girerò lì le scene, ma c’ero e ho voluto visitare un po’ di America» sorride, grattandosi la barba che non ha.
«Ha un bimbo, vero?»
«Sì, ed è anche molto bello. Gli somiglia!»
«Beh, allora sarà bello sicuramente» e i miei occhi prendono la forma di due cuori grandi, immensi, che battono forte.
Lui si gira a guardarmi, poi riprende ad osservare la strada avanti a noi.
«Non stiamo parlando di Brad Pitt» alza gli occhi al cielo.
«Quindi? È bello uguale!» sussurro con aria sognante.
«Sì, come vuoi, la smetti adesso?»
«Ti da così tanto fastidio?» incrocio le braccia al petto, accavallando le gambe.
«No, ma mi distrai con chiacchiere inutili.»
“Sì, certo.”
 
«St. Margaret Street, dobbiamo percorrere questa via per arrivare al Big Ben» m’informa, facendomi strada.
Mi tiene la mano perché ha detto che ha paura di perdermi, essendo io non molto alta. Ma che carino! Sempre molto gentile, devo dire.
«Eccoti il Big Ben» lo indica, dopo dieci minuti di silenzio.
È un capolavoro, lo immaginavo proprio così, imponente. Lo guardo come una bambina guarda la bambola dei suoi sogni, praticamente.
«Quello è il Tamigi, sempre.»
«Sì, immaginavo» sospiro. «E si può entrare?»
«Nel Tamigi? Beh, puoi. Non si sa se ritorni, ma tentar non nuoce» fa spallucce.
“La colpa è mia, gli faccio domande troppo complicate.”
«Jamie, intendevo nel Big Ben» alzo gli occhi al cielo.
«Ah, allora è tutt’altra storia!» eh beh. «No, possono entrare solo gli inglesi.»
“Che idiozia è questa!”
«E’ ingiusto e stupido!»
«Come fai a dire che è stupido se non ne sai i motivi» ride. «La sera qui è tutto illuminato, poi ci ritorneremo. Fanno degli aperitivi niente male in quel corso lì» e lo indica. «Intanto un’ora è passata, se non di più. Che ne dici di tornare a casa?» infila le mani nelle tasche dei jeans.
«Ci sto» sorrido, mentre lui poggia un braccio sulle mie spalle.
When you're happy like a fool, let it take you over.
When everything is out you gotta take it in.

 
 
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Capitolo 9
*** 8 - You? ***


8 - You?
 
 «Sai cosa dice sempre Cora?» sussurra Beth, rigirandosi tra le mani quel telecomando che non ha proprio intenzione di mollare.
Se potesse parlare, probabilmente le chiederebbe pietà.
«Cora dice sempre tante cose, tesoro. Sii più chiara» le rispondo, sedendomi affianco a lei.
Oggi è felice perché suo padre le ha promesso che la porterà al parco più tardi. Cosa che non accade da qualche anno a causa del lavoro che lo tiene occupato parecchio tempo e della fama che non lo molla. Perché Jamie diventa sempre più bravo, è sempre più richiesto e sebbene sia un bene per lui, Bethany ne soffre molto. Vorrebbe stargli accanto, fare le cose che comunemente un padre ed una figlia fanno insieme. Ma lui di comune non ha proprio nulla, la normalità non sa proprio cosa sia. Jamie è sempre presente per lei, è un padre ottimo, la ascolta, però poi tirando le somme sente che manca qualcosa. Tipo le passeggiate al parco.
«Che papà in casa è poco affidabile perché combina guai» mi spiega, alzando lo sguardo verso di me, cercando smentite di qualsiasi tipo.
Okay che potrebbe muoversi meglio e con più delicatezza, ma per uno che in casa ci sta raramente, non è male. Però mi fa ridere, Beth. Ha un’idea tutta sua di suo padre, che ancora devo inquadrare, ma ci sto provando. Mi piace ascoltarla, capire i suoi punti di vista su parecchie cose. Perché, come si dice, i bambini vedono cose che i grandi neanche riescono ad immaginare. E i loro ragionamenti hanno sempre un senso, anche se a volte serve più tempo per capirlo.
«Tesoro» le accarezzo i capelli, avvicinandomi di più a lei. «Tuo padre è sempre molto coordinato con se stesso, riesce a fare più cose di quanto pensi e non devi avere quest’opinione ambigua di lui. Dopotutto siamo ancora vivi, non ha mai mandato a fuoco la casa, perciò possiamo ritenerci fortunati in qualche modo, non credi?»
Lei sorride e annuisce, suppongo che il mio discorso non sia molto soddisfacente e lei ci sta riflettendo su, lo capisco dal modo incerto con cui ha “risposto”.
«Mi sa che hai ragione».
Non faccio in tempo a difenderlo che dal corridoio si sente un esemplare maschio di Dornan imprecare. Cosa che succede di rado, in genere cerca di non farlo, soprattutto in presenza di Beth.
«Adele, diamine! Ho fatto un casino!»
“Ecco.”
Mi gratto la nuca, imbarazzata, mentre Beth si passa una mano sul viso.
«Menomale che non ci ha ancora bruciati!» dice.
“Continuando di questo passo lo farà presto, però.”
«Piccola, sono sicura che non è stata colpa sua, adesso vad-»
«Adele!!! Non griderei come un dannato se non fosse urgente! Vieni ad aiutarmi, per favore!»
«Arrivo!» rispondo, alzando gli occhi verso il cielo. «Dove sei?» gli chiedo.
«In bagno! E non fare battutine, perché non mi pare il caso!»
Alzo le mani in aria anche se non può vedermi, comunque non avevo alluso a nulla. Ricordo un fatto che accadde a David, l’amico di mia sorella, quand’era un adolescente ed era in bagno, e scoppio a ridere, immaginando Jamie in quelle determinate circostanze. Credo che se accadesse a lui qualcosa del genere, non riuscirei più a guardarlo in faccia.
Scendo le scale velocemente, svolto l’angolo e appena arrivo in bagno vedo un cumulo di bolle di sapone ricoprire ogni cosa: vasca, lavatrice, doccia, tazza, tutto! Guardo il casino che ha combinato e spalanco gli occhi, incredula. È impossibile che, un essere umano, dotato di un’intelligenza almeno nella media, in neanche cinque minuti abbia combinato questo dramma. È impossibile. Lui ha le braccia a penzoloni e si guarda attorno, non sa dove mettere mano, e neanche io se proprio devo essere sincera.
«Come hai fatto?»
«Non lo so, volevo solo lavare il bagno!» si giustifica.
Lo guardo interamente: ha la sua solita camicia mezza aperta, i pantaloni eleganti che ancora non ho capito perché li indossa anche in casa ed è in parte bagnato dall’acqua e dal sapone che ha usato in che modo non si sa.
È bellissimo, più di quanto lo si creda. È perfetto, non ha niente fuori posto. E anche i capelli arruffati sono meravigliosi, gli stanno bene, tutto gli calza a pennello. Sempre.
«Jamie, che sapone hai passato sui bordi della vasca, del lavandino e di tutto quanto il resto?»
Lui ci pensa un attimo, si guarda attorno e poi prende una boccetta di detersivo per panni. Lo guardo e i miei occhi si trasformano in due fessure strette, strettissime. Perché c’è scritto sopra, in grande, che è sapone per panni.
«Sei serio?»
«Senti, io non-»
«Jamie, la scritta è più grande del detersivo stesso! “Da utilizzare per panni di colore bianco”» recito come se fosse un copione. «C’è scritto ed è addirittura sottolineato!»
«Okay, sono stato un emerito coglione» gesticola.
«E su questo non ci piove.»
«Ma adesso come risolviamo? Ci sono bolle ovunque» si guarda attorno.
«Le scoppiamo! E poi asciughiamo tutto».
«Okay» bisbiglia, prendendo ciò che ci serve per sistemare la situazione drammatica in cui ci troviamo. «Senti, posso chiederti un favore?»
Mi lego i capelli in una coda alta e stretta, mentre lo guardo togliersi la camicia e appoggiarla alla maniglia della porta. Per un attimo, sono sincera, mi manca l’aria. Ma poi cerco di dare un senso a questa giornata e schiarendomi la voce riprendo il controllo di me stessa.
«C-cosa?» sospiro.
“Dovranno farmi Santa, prima o poi.”
«Sai, ci sta venendo a trovare-»
«Quando? Chi?»
«Sì, se mi fai parlare te lo dico» ride. «I miei zii, due rompi scatole assurdi.»
«Va beh, da qualcuno avrai pur preso, no?» mi guarda male, ma poi il broncio va via. «E cosa vengono a fare qui?»
«Vengono semplicemente a trovarci, Adele. Il problema ora è un altro…» mi guarda come se avesse paura di parlare. Lo incito a continuare il discorso, lui sorride e abbassa lo sguardo. Poi, in evidente difficoltà, si passa una mano sui capelli.
Mi avvicino a lui e gli poggio una mano sulla spalla quasi a consolarlo. «Jamie, non so cosa tu abbia intenzione di fare, ma se è un problema si risolve in qualche modo, ti aiuto con piacere».
«Non so come dirtelo, è… Strano!» alza di nuovo lo guardo, mentre si china per pulire.
«Allora dillo e basta!»
«E va bene, ma giura che non mi ucciderai» mi indica.
Alzo le mani e «Tranquillo, se non ti ho ucciso fino ad ora, vedrai che sarai libero a vita» rispondo.
Ride un po’, poi si ricompone. «Dovresti far finta di essere la mia compagna, fidanzata, insomma quella roba là».
“Ah, bene.”
«Sì, perché ho detto loro di aver trovato qualcuna con cui condividere gioie e dolori, sai, sono precisi e vorrebbero che Beth avesse un punto di riferimento che non sia Claire» gesticola e mi spiega queste cose come se mi avesse letto nella mente. Sapeva che gliele avrei chieste, mi sa.
Quindi, questa Claire sta antipatica un po’ a tutti, da come ho capito. Chissà perché.
Annuisco e, per quanto la cosa m’imbarazzi, non posso non aiutarlo. Tanto non cambierà molto, rimarranno solo un giorno, no?
«Capisco, o almeno ci provo» mi gratto la nuca. «E… Quanto si fermeranno?»
«Un venerdì, un sabato ed una domenica» risponde gesticolando.
“Cosa? No!”
«Ah, tre giorni, bene…»
«So che è difficile, Adele» sussurra, tenendomi strette le braccia. Io lo guardo intensamente negli occhi e lui fa lo stesso con me. In questo momento potrebbe passarmi un treno affianco, io non me ne accorgerei neanche. «Ma, ti prego, è l’ultimo favore che ti chiedo.»
«Non che tu me ne abbia chiesti altri» ridacchio.
Sorride e mi lascia andare, avrebbe potuto stringermi per sempre, volendo.
«Lo so, però faceva figo dirlo» fa spallucce.
 
«Fermo, Jamie, stai fermo, per carità di Dio!» grida Cora, correndo verso Jamie che sta cercando di accendere il caminetto. Lui la guarda sventolare le braccia in aria, prendere la legna che aveva in mano e sospirare. «Non vorrai mica darci fuoco! Hai già allagato casa, basta così!»
«Non essere esagerata, Cora» rido, avvicinandomi al signor Dornan. «Voleva solo aiutarmi» gli poggio una mano sulla spalla e lui poggia la sua mano sulla mia.
Un brivido mi percorre la schiena, cerco di non arrossire e faccio un respiro profondo. Questo stargli intorno mi rovinerà l’esistenza.
«Sì, giustificalo pure» alza gli occhi al cielo. «Non muovere un dito, Jamie. Devi uscire con Beth, vero? Ecco, allora escici!»
Jamie cerca di non ridere, la guarda perplesso, ma continua a provocarla. «In realtà avevamo deciso di cucinare qualcosa insieme, tipo una pasta al forn-»
«NO!» grida di nuovo Cora, girandosi di scatto a guardarlo. «Jamie, no. Stai fermo. Non muoverti. Siediti sul divano e guarda la televisione, respira, ma con moderazione ché fai vento e non farti venire altre strade idee in testa. Non so se, a questo punto, mi preoccupi più lei o te» continua indicandolo, dirigendosi verso la cucina.
«Non ti sembra esagerata?» ride Jamie, appena Cora va via.
Bello da mozzare il fiato, scuote la testa, quasi fa fatica a parlare.
«Un po’, forse?» rido anche io.
«Credo che le darò il tormento a vita, ho capito qual è il suo punto debole.»
Lo guardo, invitandolo a continuare la frase. O meglio, a specificare il soggetto barra la cosa di cui sta parlando. Lui fa spallucce e «Me! Hai visto che quando le sto intorno si protegge? Adesso riempirà casa di carta velina per non farmi avvicinare alle cose» risponde.
Annuisco. «Probabile, perché no!»
«Probabile? Sicuro!» ride ancora, ma meno di prima. «Mi farà terra bruciata intorno! Ha detto che faccio vento respirando!»
«Sei poco fiducioso…» e sono seria.
Jamie tende a nascondere i suoi pregi, come se non meritassero di essere messi in evidenza. E ne ha tanti, alcuni sono anche rari, ma forse bisognerebbe ricordarglielo più spesso. L’atteggiamento di Cora non lo sta aiutando, lui ci ride su, eppure questi occhi intensi, chiari, dolci gridano il contrario. Ovvero che si sente in colpa per uno sbaglio che può commettere chiunque, che non è grave e che non ha ucciso nessuno. E la frase “hai già allagato casa” non è proprio esatta, perché non lo ha fatto! Riempire il bagno di bolle non significa allagare casa.
Infatti abbassa lo sguardo e sospira. «Volevo solo aiutarti…» fa spallucce, comincia a giocare con i suoi stessi pollici.
«Lo so, Jamie, e l’ho apprezzato» gli sorrido.
Lui prende a guardarmi e sorride come un bambino orgoglioso di ciò che ha fatto. «Io direi di andare, Beth mi starà aspettando» gesticola. «Sai, il parco…»
«Oh, sì! Andate pure! Hai preso tutto, Jamie? Occhiali da sole? Cappello?»
Lui annuisce, tastandosi le tasche. «Sì, gli occhiali li ho. Il cappello…» si guarda intorno, poi prende il beanie blu che ha poggiato poco fa sul tavolo e lo infila, lasciando un ciuffo di capelli fuori. Si allaccia la camicia che indossa e stringe la cintura dei pantaloni. Tutto questo molto velocemente, visto che Beth compare di punto in bianco sulle scale e incita il padre a sbrigarsi. Indossa un vestito color magenta, richiama molto, e ha su disegnate delle margherite piccine, sono tante. E ha i sandalini ai piedi, non so fino a che punto siano comodi per stare in un parco, ma…
«Amore di papà, raggio di sole, dove vai vestita così? Non mi pare il caso, Adele, accompagnala a cambiarsi, per favore» mi indica con la testa la bambina.
«Papà!» sbatte i piedi a terra, Beth. «Io non voglio giocare!» incrocia le braccia al petto, imbronciata.
Jamie non capisce, mi guarda cercando spiegazioni, ma io ne so quanto lui. Faccio spallucce e lui si schiarisce la voce, piegandosi sulle ginocchia, raggiungendo presto la sua altezza.
«E allora cosa stiamo facendo, Bethany? Perché stiamo andando al parco?»
«Io voglio solo fare una passeggiata con te» tiene strette le braccia tra di loro, le sopracciglia sono inarcate e lo guarda fisso.
Jamie sorride imbarazzato, si gratta la nuca e annuisce. «D’accordo, allora. Mangiamo un gelato assieme, ti va?»
A Beth ritorna il sorriso. Salta in braccio a suo padre e «Sì!» esclama, mentre Jamie la porta fuori casa con sé.
 
«A me quell’Andy non piace, comunque» si toglie il beanie, Jamie, poggiandolo sull’appendi abiti.
«Papà è un mio amichetto» si giustifica lei, seguendolo.
«State troppo tempo insieme, se cominciamo ora dove finiremo tra qualche anno? No, Bethany, facciamo le cose nella giusta maniera e - soprattutto - nei tempi giusti. Da’ retta a papà, lo dice per il tuo bene, non è cattiveria!»
«Cosa succede?» mi permetto d’intromettermi, guardandoli dal divano.
Mi sono seduta qui, stavo leggendo il giornale prima che loro due tornassero a casa e prendessero a battibeccare. Sono usciti circa due orette fa, pensavo ci mettessero di meno. Anche perché il parco vicino la chiesa non è molto grande, per girarlo tutto ci vuole massimo un quarto d’ora!
«Bethany s’intrattiene con ragazzi più grandi di lei. E a me la cosa piace poco» mi spiega Jamie, sedendosi di fianco a me.
“No, è serio?”
«Ragazzi? S’intrattiene? Jamie, ha 6 anni!»
«Esatto! Questo è il problema!» si gira a guardarmi. «Cominciamo ora con le pomiciate, poi dove finiremo?»
“Pomiciate?”
«Non stavamo pomc-pomininci-pomicinando!» io e Jamie ridiamo sotto i baffi.
«Pomiciando, tesoro» la corregge.
«Mi ha regalato un fiore!» dice, arrabbiata.
«Vedi? È anche garbato» commento io.
Beth annuisce, mostrandomi la rosa che ha nascosto dietro la schiena per tutto questo tempo. Sorride felice, orgogliosa, e me la porge. Io la prendo, ne annuso l’odore e «E’ davvero bellissima, bambolina» rispondo, accarezzandole i capelli. «Com’è che si chiama questo giovane fanciullo?»
«Andy!» dice lei, prendendo il fiore.
«Non puoi frequentare un ragazzo che ha il nome del bambino di Toy Story! È assurdo!» esclama Jamie, facendola infuriare ancora di più.
«Frequentare?» rido. «A me pare che tu stia esagerando!»
Beth annuisce. Poi mi rivolgo a lei. «Bambolina, vai pure a cambiarti, ora salgo e ci facciamo una bella doccia rifocillante» sorrido.
Quando si è allontanata abbastanza, Jamie mi toglie il giornale dalle mani e lo posa altrove, sistema le mie gambe chiudendole nella giusta maniera, poi ci poggia la testa sopra e si stende. Le tocca come se fossero un cuscino, sospira e socchiude gli occhi.
«Non contraddirmi in sua presenza, se vede che i suoi genitori sono in disaccordo tra di loro prende lei in mano le redini della situazione e non mi pare il caso, non ti pare?»
“C-cosa ha detto? I suoi genitori…. Chi?”
«Beth ti considera come una madre, dovresti averlo appurato» mi legge nella mente come al solito, mi viene da sorridere per questo e per ciò che ha appena detto.
«Sì, ma non vorrei mai sostituirmi a lei.»
Mi prende una mano e comincia a giocare con le dita. «E dimmi, Adele, cosa sta facendo Claire per sua figlia? In cosa non vorresti sostituirla?» mi guarda, mentre lascia dei baci sulla punta delle mie dita.
Sento caldo, troppo caldo. È come se la casa mi si stesse stringendo attorno ed io non riuscissi a respirare. Non ho farfalle nello stomaco, ma pterodattili impazziti!
Cerco comunque di mantenere una certa lucidità, non posso essere così fottutamente debole.
«Beh, io non saprei…»
Lui sorride, si alza con la schiena e avvicina il suo volto al mio. «E allora convieni con me che è giusto che ti consideri sua madre?»
Gli fisso le labbra senza dire una parola. Sono belle, com’è bello il suo sguardo, come sono belli i suoi occhi e il suo modo di fare. Annuisco, cercando di formulare una frase di senso compiuto nella mia mente. «Sì, convengo con te che è giusto che mi consideri sua madre» rispondo.
Lui sorride, mi sfiora il viso con una mano e ci mette un’eternità a toccare il mio naso col suo, soffiando lievemente sulle mie labbra. Il mio cuore minaccia di smettere di battere, mentre le gambe sono diventate gelatina. Devo ricordare a me stessa di essere un’adulta, sembro una ragazzina alle prime armi col primo bacio.
«Finalmente riesco a baciarti…» sorride.
Poggia le sue labbra sulle mie, io apro la bocca per approfondire il tutto, quando suonano alla porta.
«Aprite!» urla qualcuno da fuori.
Jamie, disturbato, si morde le labbra per non imprecare. A me viene da ridere, ma non lo faccio, potrebbe licenziarmi in questo momento.
«Non è possibile una roba simile!» dice, alzandosi dal divano.
Io mi ricompongo, poi mi avvicino a lui e cerco di riprendere il mio colorito naturale.
“Quando mi stava per baciare ero rossa come un pomodoro.”
«Chi è?» chiede Jamie, aprendo di scatto la porta. Osserva chi ci si presenta davanti e rimane immobile nella sua posizione. «Voi?» inarca le sopracciglia ed io non riesco proprio a capire di chi si tratti, e la sua reazione.
 
 
-
 
Non so se, arrivati a questo punto, voi vi ricordiate di me. Ma giuro, io non vi ho dimenticate.
È successo che il mio pc, un anno fa ormai, è morto. Ho dovuto rimediarne uno sostitutivo e solo ora che lavoro sono riuscita a prenderlo. Scusatemi! Avevo già qualche capitolo scritto, ma ormai è tutto perso e dovrò ricominciare da capo #mainagioia #chevitadistentieprivazioni
Ma mentre pubblico questo, sto scrivendo il prossimo, ammesso che ancora vi interessi sapere il continuo di questa drammatica e ansiosa storia ahah
Un bacio grande, gioie.
Fatemi sapere come state, se vi è piaciuto o meno questo capitolo. L’ho scritto un po’ di corsa, appena posso correggo gli errori, promesso.
Un bacione a tutte, see ya later.
 
G.
 
 
Ps: sì, nel caso ve lo steste chiedendo, nel prossimo capitolo ci sarà il bacio e non solo………….

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Capitolo 10
*** 9 - Wedding ***


9 - Wedding
 
 
Jamie fissa i due signori che ci si presentano avanti senza dire una parola, è come se li stesse studiando, mentre io non ho idea di chi siano. Quindi guardo entrambe le parti: Jamie e loro, loro e Jamie.
«Posso sapere chi sono?» chiedo a bassa voce, ma sono sicura che mi abbiano sentito tutti.
La signora indossa una giacca lunga ed una sciarpa che le fa anche da coperta; un caschetto piuttosto giovanile le fascia la testa, un paio di occhiali che somigliano molto a quelli di Harry Potter, un rossetto a coprirle le labbra. Ha gli occhi chiari, però, quindi presumo che sia una parente di Jamie. «Piacere, Kate» mi porge la mano.
Io sorridendole la stringo e «Piacere mio, Adele» rispondo.
Poi si fa avanti il signore che l’ha accompagnata per tutto il viaggio, presumo. Anche lui è molto elegante, indossa un completo nero con tanto di cravatta. Tiene una valigia in mano, ma per stringermi la mano, educatamente la posa a terra. «Clark» sorride.
«Ed io sono Adele» annuisco. «Ma non riesco a capire chi siete, scusatemi» mi torturo le mani, aspettando che Jamie proferisca parola.
«Sono i miei zii, Adele, quelli di cui ti parlavo, ricordi?» si scioglie, schiarendosi subito dopo la voce. «Prego, entrate».
«Non pensavo che le belle ragazze ti facessero questo effetto disastroso» scherzò sua zia, varcando la soglia di casa. Si guardava attorno sorridendo, mentre suo marito prendeva posto affianco a lei facendo la stessa identica cosa.
«Zia, hai ragione. Scusami, non mi aspettavo di trovarvi qui proprio oggi!» i due signori inarcano le sopracciglia. «Voglio dire, pensavo veniste sabato come previsto…»
«Oh sì tesoro, hai ragione» ridacchia lei facendo un gesto con la mano. «Ma vedi, abbiamo pensato che ti facesse piacere vederci, perciò ci siamo detti: ‘perché non fermarci più tempo?’ anche per goderci Beth come vorremmo. Capisci cosa intendo?»
«Assolutamente» sorride, grattandosi la nuca. Io mi avvicino a lui e «Zia Kate, zio Clark, lei è la mia c-compagna, Adele» mi presenta, stringendomi sotto il suo braccio.
«Lo avevamo intuito» strizza l’occhio, suo zio. «E devo dire che i tuoi gusti sono ottimi, nipote, non come quella insignificante ragazza che ti portavi dietro fino a poco fa» indica con la testa la porta, credo si riferisca a Claire.
«Claire?» cerco conferme, non si sa mai.
Lo zio annuisce. «Proprio lei! Antipatica come poche!»
«Visto che ad Adele non piace sentire parlare di Claire, che ne dite se vi accompagnassimo nella vostra stanza e ve la mostrassimo?» svia Jamie, gli si legge in faccia che è imbarazzato.
«Certo, andiamo!»
 
Kate sistema i vestiti nell’armadio, mentre io - da dietro - glieli passo uno ad uno. Non somiglia molto a suo nipote, ma non mi aspettavo che avesse qualche suo particolare. È così precisa! Raggruppa maglie e pantaloni secondo i loro colori, mette saponette profumate tra i panni perché dice che così si disinfettano, ma io questa storia, in trent’anni d’età, non l’ho mai sentita. Effettivamente è una donna particolare, muove spesso la testa per far sì che il caschetto non si annodi si poggi bene sulle sue spalle. Poi non gesticola affatto, quando parla tiene le mani incrociate all’altezza dello stomaco. E ti osserva, come per studiarti, come se sapesse se stai dicendo la verità o meno.
Fino a poco fa mi ha raccontato il modo in cui lei e suo marito si sono conosciuti: in ospedale.
“Che felicità!”
Io non vorrei mai conoscere l’uomo della mia vita in ospedale. Non per qualcosa, ma preferirei conoscerlo in un locale, intrattenermi con lui, o in un parco. In un luogo di divertimento, non di ansia!
«Lui si era rotto una gamba, io un braccio» ride come se fosse una barzelletta, ripetendo i passi della loro conoscenza.
“Capirai, di due non ne facevano uno!”
«Dev’essere stato strano» gesticolo. «Voglio dire, non si va in ospedale per conoscere la propria metà».
«Ci mancherebbe, carina. Diciamo che è successo».
«Oh sì, questo lo credo bene» ridacchio.
Nel frattempo lei si preoccupa di “testare” il letto. Ha detto che non lo vorrebbe né troppo morbido, né troppo duro. Una via di mezzo. Perciò adesso ci saltella col sedere sopra, guardandosi intorno come se fosse in un museo d’arte.
“Questo pensiero è alquanto ambiguo…”
Io la osservo perché, a guardarla, mi ricorda la nonna di Sid nel film “L’era glaciale 4”. Non so se avete presente, ma è molto simile. Occhiali a parte.
«Le aggrada questo letto?» chiedo, poggiandomi con la spalla allo stipite della porta.
«Sì, non ti preoccupare» sorride.
Qualcosa di lei m’inquieta, non so esattamente cosa. I suoi occhi. Sono spettrali. Grigi, sembrano quasi vuoti.
«Adele, hai mostr- come non detto» mi sorride Jamie, entrando in stanza. Mi posa un bacio sulla guancia e appoggia il suo braccio sulle mie spalle, stringendomi a sé. «Allora zia, è comodo il letto?»
«Assolutamente».
Jamie annuisce sorridente. «Ne sono felice».
Ovviamente Kate non si accorge di quanto sia nervoso suo nipote per la bugia che sta dicendo; si alza dal letto e continua a guardarsi attorno come se si aspettasse chissà cosa da una semplice camera degli ospiti.
«Cosa mangeremo questa sera?» chiede, incrociando le braccia al petto, muovendosi in avanti. «Mi hai detto che Cora è un’ottima cuoca».
«Credo che ci siano cotolette, insalata e patate. Vi piacciono?»
«Ma certo!» spunta Clark all’improvviso, attirando l’attenzione di tutti. «Saranno secoli che non mangio delle patatine fritte».
«Certo» ribatte Kate. «Le patate sono fritte, il fritto fa male e bisogna mangiar sano».
«Ma ogni tanto si può trasgredire, no?» alza le spalle, Jamie, guardandola.
 
«Mi piace questo vestito» gira su se stessa, Beth, facendone dondolare la gonna ovunque. È turchese e le arriva fino alle ginocchia, riprende il colore del cerchietto che ha scelto per stasera. Mi aveva chiesto di essere truccata, ma io non l’avrei mai fatto, in più Jamie me l’ha vietato severamente.
«Ricorda che dobbiamo dormire assieme, stanotte. Se farai una cosa del genere mi vendicherò» ha detto.
Meglio non provocarlo, magari mi uccide nel sonno o qualcosa del genere.
I capelli di Beth sono cresciuti tanto, sono belli, lisci e lunghi. La guardo mentre si pavoneggia allo specchio, prende la gonna e la scuote, poi muove i fianchi agitando anche le braccia. E sorrido, vedendola sistemarsi i capelli nel modo in cui lei vuole.
«Andiamo?» mi chiede, porgendomi la sua piccola manina.
Io la stringo subito. «Andiamo!»
«Splendori, siete pron-» si blocca, Jamie, guardandomi interamente.
«Cosa succede?» gli chiedo, portandomi la mano libera sul cuore. «E, soprattutto, da dove sbuchi? Non ti ho visto arrivare!»
«Sei b-bellissima!» sorride e non risponde mica alla mia domanda.
Per l’occasione ho deciso di indossare un semplice abito nero, aderente e lungo. Ha le spalline, qualche ricamo sulla gonna, ma niente di particolare.
«Beh» lo guardo bene. «Anche tu lo sei!»
Lui mi porge una mano, ma prima che io la stringa, Jamie dice a Beth di mettersi tra di noi. Perciò io tengo una mano a Beth e lei ne tiene una a lui. Sembriamo una famiglia felice, peccato che non sia mia figlia. Questo credo sia un dettaglio inutile, anche se a volte rimango a pensarci.
Scendiamo le scale in questo modo, ogni tanto tiriamo su Beth come se avesse due anni e la piccola ride, stringendo gli occhi e spalancando la bocca. Mi si stringe il cuore a vederla così, merita tutta la spensieratezza che l’età le impone.
Ci sediamo a tavola, mentre gli zii di Jamie ci guardano sorridenti. Jamie si siede al mio fianco, poi prende la mia mano e la intreccia alla sua, poggiandola sul tavolo.
«Sapevi già che sarebbe stata una serata entusiasmante, per questo hai scelto un vestito nero, vero?» mi sussurra all’orecchio.
Io rido, dandogli una lieve spinta, dopodiché ride anche lui.
«Allora, ragazzi, raccontateci come vi siete conosciuti» si sistema il tovagliolo sulle gambe, sua zia, osservandoci entrambi.
«E’ una storia troppo lunga da raccontare, lasciamo perdere» arriccia il naso, Jamie, beccandosi un’occhiataccia da parte sua.
«Eravamo in ascensore» invento al momento una storia nella mia testa che potrebbe funzionare, sperando che se la bevano. «Si è bloccato mentre eravamo entrambi dentro, così siamo dovuti restare insieme per circa un’ora. Non potevamo non parlare e stabilire un qualsiasi rapporto, perciò abbiamo cominciato ed eccoci qui, ora» faccio spallucce, mentre Jamie annuisce convinto.
«Se io fossi rimasto chiuso in ascensore con tua zia per un’ora, credo che l’avrei soppressa» alza le sopracciglia, Clark, poggiando sul tavolo il bicchiere a cui sta bevendo. «Le donne sono particolari. Però voi due siete bellissimi, credo proprio che Adele sia adatta sia a te che a Beth».
Kate lo guarda male per l’affermazione di prima, mentre noi tutti ridiamo sotto i baffi. «Comunque» sbotta lei, sistemandosi sulla sedia. «Io direi di cominciare con i preparativi!»
“Un momento, credo di aver frainteso…”
Io e Jamie ci guardiamo a vicenda, poi entrambi ci giriamo verso Cora la quale fa spallucce.
«Q-quali zia?» chiede il signor Dornan qui presente, inarcando le sopracciglia.
Stringe più forte la mia mano, mentre io credo di star morendo lentamente, perché è una morsa più che una presa.
«Le nozze, no? È ovvio!» scatta, sorridendo felice.
«No che non lo è» sussurro.
«Come scusa, gioia?»
«No, intendevo dire che è presto ancora. Non crede?» gesticolo, cercando di mantenere la calma.
“Ci sta sfuggendo di mano la situazione.”
«No che non credo! Avete trent’anni a testa, io direi che è già troppo tardi!» ci spiega. «Siete giovani e proprio per questo dovete farlo ora, subito! A tal proposito…» da sotto il tavolo tira fuori una rivista, la quale spiega come organizzare un matrimonio da sogno.
Me la porge, io la prendo e, insieme a Jamie, comincio a sfogliarla.
«Questo ovviamente non è il momento adatto, domani ne riparleremo con più calma» afferma Kate, sistemandosi sulla sedia.
Io guardo la donna che mi siede avanti senza dire una parola, mentre Jamie poggia sulle sue gambe la rivista, imbarazzato come poche volte nella sua vita.
«Porto qui la cena, torno subito» salva la situazione, Cora, alzandosi da tavola e sviando questo discorso alquanto inappropriato.
«Cosa succede a Parigi da voi, zio?» chiede il signor Dornan, prendendomi la mano, incrociandola con la sua.
“Parigi?”
«Beh, l’azienda va alla grande, stiamo crescendo sempre di più anche se i lavoratori sono pochi» gesticola, bevendo un sorso di vino rosso.
Beth, in tutto questo, si alza e viene a sedersi sulle mie gambe. Io le tocco i capelli cullandola tra le mie braccia, le poso un bacio sulla fronte nel momento in cui poggia la testa sul mio petto.
«Cos’hai?» sussurro al suo orecchio.
«Ho sonno» sbiascica, strofinandosi l’occhio con una mano.
Sorrido e «Facciamo così: adesso mangiamo velocemente, poi andiamo subito a letto a riposarci. Ci stai?» le consiglio.
Lei annuisce.
«Brava, piccola. Ora va’ a sederti!» le scocco un altro bacio sulla fronte e lei scende, ma prima di andare, si gira verso di me e mi chiede il posto in cui io dormirò stanotte.
Fortunatamente nessuno la sente, sono tutti impegnati a parlare di affari, film e tempi che continuano a cambiare.
«Dormirò con te, va bene?»
Sorride, annuisce e scappa via.
 
«In genere tu dove dormi?» mi chiede Jamie, sbottonandosi la camicia. «Intendo, lato sinistro o destro?»
«In genere io dormo al centro» incrocio le braccia al petto.
Lui ghigna e «Già, lo credo bene, ma in questo caso sarai costretta a decidere se dormire al lato destro o sinistro del mio letto, Adele» si toglie la camicia, appendendola.
Quasi mi manca il respiro, osservando il suo corpo etereo. Sembra un Dio greco.
«Dai, lato destro» sorrido, sedendomi sul letto.
«Sei stata bene stasera?» cambia completamente discorso, abbassando i pantaloni.
Si sta cambiando in mia presenza, non so fino a che punto sia normale, ma lo sta facendo. Io mi giro dalla parte opposta alla sua, quindi comincio a fissare il televisore che tra l’altro è spento, non sono manco credibile.
«E’ interessante il programma?» ridacchia. «Cos’è, ti vergogni di avere un uomo in boxer avanti? Dovresti averla superata questa fase!»
«Smettila e vestiti, Jamie!»
«Eh, impossibile. Perché, vedi, io dormo in boxer.»
“Ditemi che si sta prendendo gioco di me, per favore…”
«Ti crea problemi la cosa?» mi chiede, sedendosi sul letto affianco a me.
«No, affatto» mi sistemo i capelli su una spalla, fingendomi forte e temeraria. Ma la verità è che, se potessi, in questo momento sverrei.
«Perfetto, allora» si alza e lo vedo scomparire dalla mia visuale, quando sento la zip del mio vestito scendere.
«Ci stiamo per sposare, ergo si presume che siamo fidanzati. Ergo si presume che certe cose possiamo farle, non credi?» mi sussurra all’orecchio, lasciandomi un bacio sulla spalla.
«Ma noi stiamo fingendo» ribatto. Non riesco a connettere bene, mi tremano le gambe e il cervello credo che abbia smesso di funzionare. Socchiudo gli occhi, mentre sento le spalline del vestito abbassarsi sotto il suo sotto tutt’altro che rude.
Prende a baciarmi il collo, mentre io butto la testa all’indietro, poggiandola sulla sua spalla. Mi beo del suo profumo, mi sfiora le braccia e mi trascina sul letto con lui.
Sale su di me, io attorciglio le braccia attorno al suo collo e lui riprende a baciarmi, accarezzandomi la gamba con una mano.
Ma, proprio in questo momento, un momento un po’ particolare sia per me che per lui, qualcuno decide bene di bussare alla porta.
«Ragazzi, state dormendo?»
“Cazzo.”
Io e Jamie ci guardiamo negli occhi, lui assottiglia i suoi e sospira rumorosamente.
«N-non proprio.»
«Ah, no perché mi chiedevo dove fosse il bagno» spiega sua zia. «Ma stai bene, caro? Sembri strano!»
Jamie alza gli occhi al cielo, lasciandomi un bacio sul collo. Prende un respiro profondo e «No, è che mi fanno male le gambe, ma Adele dorme, quindi dovrò mettermi la crema da solo. Comunque al piano di sotto trovi il bagno, zia. Ultima porta a destra».
Mi sussurra uno “shhh” all’orecchio, sghignazzando per l’assurdità che ha appena detto. Io sorrido, scuotendo la testa. Quando vuole, sa essere parecchio bugiardo. Dopotutto è un attore.
«Ah, capisco… Sicuro che puoi fare da solo?» continua lei.
“Sì, per l’amor di Dio, sì, ora vai via!”
«Certo» risponde, stringendo gli occhi.
«Okay allora, buonanotte tesoro» e sentiamo i suoi passi allontanarsi sempre di più.
Rimango a guardarlo, mentre si stropiccia con la mano un occhio. È così bello che quasi mi manca il fiato; strofina il suo naso sul mio collo, lentamente, soffiandoci sopra.
«Dov’eravamo rimasti?» sussurra con malizia. Poi si posiziona bene fra le mie gambe, ricominciando a baciarmi.
 
 
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Abbelle de casa!
Scusate se faccio pena a scrivere scene che dovrebbero essere quantomeno sensuali, ma ho paura di diventare volgare e cerco sempre di contenermi. Non so datare la mia fantasia, non so se avete notato ahah
Questo, comunque, è l’inizio di una lunga serie di effusioni, accadranno sempre più cose di questo tipo. Quindi non temete, gente ahah
Detto ciò, so che come capito fa un po’ schifo, ma mi serve per il prossimo. Poi capirete perché.
 
Un bacione, belle, ve se ama.
 
 
G. 

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