L'età dell'Ambra

di Gavriel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ritorno ***
Capitolo 2: *** Compagni di Guerra ***
Capitolo 3: *** Armature ***
Capitolo 4: *** Il terzo Giorno ***
Capitolo 5: *** Il Doppio Taglio ***
Capitolo 6: *** Visite da Hoor ***
Capitolo 7: *** Marmocchio Raccomandato ***
Capitolo 8: *** Apollonius ***
Capitolo 9: *** Gemma del Ricordo ***
Capitolo 10: *** A mezz'aria ***
Capitolo 11: *** Capo Velato ***
Capitolo 12: *** Moscardini e Brodaglie ***
Capitolo 13: *** Armatura d'acciaio ed Edera d'argento ***
Capitolo 14: *** Cure Serali, ovvero: la natura di Markus ***



Capitolo 1
*** Il ritorno ***


Il ritorno

Il laboratorio degli armamenti si trovava nell’ampio portico sotto l’armeria, vicino al palazzo reale: alte arcate ad ogiva, supportate da pilastri in pietra bianca permettevano alla luce diurna di entrare e illuminare il lavoro degli artigiani. Tutto era un febbrile susseguirsi di rumori metallici, saldature e riflessi luminosi, in quella confusione nessuno dei mastri si accorse della presenza della principessa e tantomeno nessuno la riconobbe, li per li sulla soglia. D’altronde in dieci anni di formazione Celiane De Alisia non aveva fatto ritorno a casa nemmeno una volta; nel ritrovarsi lì, in un primo momento rimase stupita,  come fosse ancora una bambina, poi con passo svelto cominciò ad attraversare il portico. Man mano che la donna passava, il rumore dei martelli e degli affilatoi si trasformava in mormorio, i gesti degli artigiani in scossoni e gomitate: chi era quella? Poteva essere Lei? Celiane portava ancora gli abiti da viaggio: dei pantaloni marroni infilati negli stivali, una casacca bianca: il tutto di foggia estremamente semplice, ma di stoffa pregiata. I capelli erano cortissimi: dove era finita la chioma dorata della principessina, invidiata in tutta Alisia?
Per nulla turbata dal silenzio creatosi Celiane raggiunse il fondo del portico, alla parete del quale era addossata l’unico tavolo da lavoro ancora funzionante. La donna si fermò dietro il ragazzo che vi stava lavorando e restò ferma, sbirciando dalle sue spalle il meccanismo che stava mettendo a punto. Intorno a loro gli artigiani non osavano nemmeno respirare.
-Gen,  -disse lei appoggiando sul tavolo un involucro di stoffa grande quanto una  mela- ti ho portato i pezzi di cui avevi bisogno.
Il ragazzo guardò prima l’involucro e svoltolo riconobbe il contenuto, poi irrigidendosi di colpo riconobbe anche chi gliel’aveva dato:
-V-Vostra maestà…
-Tornate pure al vostro lavoro_ disse la principessa rivolta a tutti i presenti, poi quando il consueto sciabordio  venne ripristinato si rivolse di nuovo al giovane uomo davanti a lei_ è pronto?
Dieci anni in mezzo alle montagne blu di Hawhouse l’avevano resa forte e asciutta , ma non erano riusciti a sopprimere  l’entusiasmo dietro ai suoi occhi turchesi; sentendosi di colpo molto importante Gen Fudo annuì e guidò la sua principessa verso l’interno dell’armeria.
Passarono attraverso un pesante portone torchiato, che Celiane aiutò ad aprire ed entrarono in un androne buio , illuminato solo dalla luce proveniente dalla porta; al centro campeggiavano due grosse ombre piuttosto articolate.
-Mi sono basato sui disegni che mi hai mandato e su dei pezzi originali che mi sono procurato e ne ho costruiti  due per il momento-disse il giovane avanzando verso il centro- mancano solo le gemme.
Una volta vicino ad una di quelle grosse ombre, Gen estrasse dall’involucro un grosso cristallo luminescente, lo tenne all’altezza degli occhi per un attimo, cercando impurità, e lo inserì nella macchina davanti a lui. Gli occhi di celiane, appena abituati al buio vennero abbagliati dalla luce emessa dall’enorme veicolo: aveva un aspetto piuttosto grezzo, e non sembrava per niente stabile. La principessa si avvicinò fino a toccarlo, la sua espressione, illuminata dal bagliore emesso dalla macchina preoccupò il giovane:
-Ho fatto quello che ho potuto… è praticamente impossibile riprodurre la tecnologia angelica…
Celiane lo guardò,era commossa, e tratteneva un sorriso: la macchina, se  così poteva essere definita aveva le dimensioni di una grossa slitta  di metallo, ma senza pattini, le fiancate erano sagomate intorno alla cabina di pilotaggio e si allungavano verso il fondo per ospitare i reattori, che Celiane riconobbe come delle riproduzioni alla buona di uno dei rottami Cherubin che gli aveva spedito anni prima, mentre convergevano davanti a formare una facciata affusolata.
-Funziona?
Un lampo di complicità passò tra i due, ma prima che Gen riuscisse ad annuire, la ragazza era già salita a bordo:
-Come si avvia? Che nome gli hai dato?
-Celiane!-Gen divenne pallido quando si accorse della confidenza con cui le si era rivolto
-Non è un po’ da lecchini dargli il mio nome? Gen?
Il giovane si rincampò  appena alla voce di sua maestà, che nel frattempo aveva attivato la gemma e acceso la macchina, che si sollevò di mezzo metro.
-Visto dall’alto assomiglia ad una freccia!
Celiane gridò per sovrastare il rumore dei reattori, poi spense tutto fino a ritornare al tenue bagliore di prima
-Che ne dici di freccia, allora?
La principessa soppesò le parole di Gen e  annuì:
-Bisogna migliorarlo.
 
Atlandia
Non c’erano parole per descrivere l’albero della vita: un virgulto in piena sbocciatura, con foglie verde chiario e gemme rosee per ogni fiore. Il frutto di centinaia di anni di cura e amore. Toma si avvicinò ad una delle foglie sotto di esso e ne toccò la superficie: al tocco ne percepiva non solo la consistenza superficiale, ma anche la struttura interna, fatta di canali, ghiandole e di piccoli nuclei di energia, che confermavano la conversione del prana. Un piccolo brivido sul palmo, la foglia stava assorbendo anche il suo; il bellissimo angelo delle tenebre non ritrasse la mano.
-Stai crescendo, eh?
L’albero della vita, la testimonianza, l’essenza stessa della terra era forse il tesoro più prezioso di Atlandia, il fatto che le sue cure siano state affidate agli angeli dimostrava che essi erano la specie più evoluta e meritevole; inoltre l’Albero era affidato a lui, e ciò rendeva Toma stesso  specimen tra i suoi simili. Solo un altro angelo delle tenebre poteva elevarsi a suo pari , se non addirittura superarlo, e ricordava benissimo il giorno in cui lo conobbe. Le labbra dell’angelo si schiusero in un sorriso silenzioso, era vicino a suo padre Tamriel, vicino a quello stesso albero, che allora era ancora privo di gemme: col prana, la stessa fonte di nutrimento degli angeli, e la luce del sole l’albero avrebbe col tempo prodotto un nuovo frutto, che avrebbe dato vita ad un altro mondo. Lui, Toma aveva  il compito di portare l’albero alla fioritura.
-Ma non può essere un solo individuo a prendersi carico di tutto, hai bisogno di un compagno
Il capo piumato di Toma si inclinò verso l’alto, verso quello identico del padre:
-Ma non hai detto che io ero l’angelo più degno di atlandia?
-Di cosa ha bisogno l’albero della vita per prosperare?
-Di luce e prana
Rispose il figlio. Tamriel si chinò verso di lui, i suoi capelli erano delle piume grigio-azzurre, i suoi occhi celesti come quelli del figlio:
-Sebbene la luce e il prana prese singolarmente siano uniche e meravigliose, se non insieme non possono nutrire l’albero e credimi figlio,  per natura non siamo migliori o più completi dell’una o dell’altra e come il prana ha bisogno della luce tu hai bisogno di un compagno _il padre gli indicò un angelo delle tenebre_ Quel piccoletto la si chiama Apolloius, e sarà il tuo compagno.
Toma non lo vide subito: nascosto tra le gonne della madre, un bambino coi capelli rossi lo fissava guardingo, da bravo angelo delle tenebre, Toma lo raggiunse e si fermò ad un passo dalle gambe della madre del bambino, la salutò serio e poi salutò anche il suo futuro compagno:
-Toma di Tamriel
Il bambino, che ad occhio e croce, doveva essere più piccolo di trent’anni si fece avanti tenendo la gonna della madre con una mano:
-A… Apollonius
-Mi hai chiamato?
La voce dell’angelo più bello lo fece tornare alla realtà; Toma si voltò: Apollonius era dietro di lui, i palmi delle mani che accarezzavano il tronco dell’albero, l’ombra delle foglie che proiettava macchie scure sulla sua chioma.
-Ho solo rievocato il nostro primo incontro
Un sorriso antico comparve anche sulle labbra di Ali del Sole

Eccomi! Questa long fic è il frutto di prolungati film mentali e di qualche nottata. Spero vi sia piaciuta!
Lo so, in questo fandom era già presente una storia che trattava questo argomento, tuttavia penso che ci sia comunque molto da raccontare, anche perchè la storia è volutamente lasciata molto sfumata nell'opera originale.
Avvertimanto: la storia è narrata al netto degli OVA e di Aquarion Evol. Questo semplicemente per una scelta personale. ho lasciato stare Scorpius perchè non si inserisce bene nel mio programma di narrazione; mentre Gen Fudo è tornato ad essere semplicemente uno  dei tre piloti dell'Aquarion, come affermato da Sofia nella prima serie.(Questo implica che Apollo dopo sia effettivamente Apollonius e non il cagnetto )
Perchè ho fatto queste scelte? Perchè é una fanfiction, ecco perchè!
Se trovate qualcosa che non va, come obrobri grammaticali o altro o semplicemente trovate la storia noiosa e non l'avete letta tutta, per piacere ditemelo, anche con un messaggio personale.
Gavriel

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Capitolo 2
*** Compagni di Guerra ***


La principessa non aveva completato l’addestramento nelle montagne blu: appena sentito che la minaccia angelica stava incombendo anche su Alisia era tornata contro il volere del padre e come unica figlia ed erede al trono era venuta a vegliare e a proteggere il suo popolo. Tante, troppe cose cambiano in dieci anni: il padre si era ammalato e le sue condizioni erano molto più critiche di quanto non dessero a vedere le sue lettere; i due suoi fratelli maggiori erano morti combattendo gli angeli nelle nazioni alleate; inoltre l’invasione aveva superato da poco i limiti delle loro terre e presto sarebbe arrivata nella capitale, dove la densità di abitanti era più alta. Gen e Celiane continuarono a lavorare sui “velivoli di imitazione angelica a forma di freccia”, abbreviati in vector,  e nel giro di una settimana riuscirono a rendere perfetta una delle due macchine. Perfezione che era raggiunta grazie a nottate chini sui progetti e sui saldatori.
-I reattori originali di un velivolo angelico presentano troppi problemi di innesto energetico, se vogliamo anche questo sia pronto ho paura che dovremo ricostruirne due nuovi in acciaio, come quelli del vector Alfa
Fudo storse il naso:
-Ma il metallo angelico è in lega più leggera ed ha un punto di fusione tre volte maggiore
-Può essere leggero quanto vuoi-sbotto Celiane, strofinandosi uno staccio lurido sulla fronte- ma non vola con quei motori demoniaci, mentre l’Alfa si!
-Oh beh, un’autonomia di trenta minuti è un gran risultato!
-Sempre meglio che rimanere a terra! Domani facciamo ancora un tentativo, se non funziona allora comincio ad ordinare dell’acciaio alla fonderia. Va bene?
Gen  assentì, ma rimase  poco convinto: l’unico modo per tentare di sistemare il vector Beta era fondere i rottami angelici in lega e provare a temprare i pezzi che mancavano, ma non avevano abbastanza metallo, il punto di fusione era praticamente irraggiungibile e per di più le proporzioni dei metalli che formavano la lega era ancora sconosciuta. Celiane aveva ragione, per il momento.
I due si divisero e si diressero nelle reciproche stanze. Una volta salita nei suoi appartamenti situati nella torre est. Celiane si fece un bagno per lavare via l’unto e il sudore della giornata; i reattori dei vector non la lasciavano un attimo libera la mente: era anche vero che non sapeva praticamente nulla di meccanica, ma aveva imparato abbastanza in quelle settimane per rendersi conto che la tecnologia in guerra deve soprattutto essere efficiente e di sicuro il vector Alfa non aveva quella caratteristica.
Celiane si immerse completamente e rimase in apnea per lunghi momenti. Si dice che quando il corpo si sente vicino alla morte il cervello lavori al doppio della potenza. Passarono due minuti, le increspature dell’acqua sopra di lei sembravano durare in eterno. Tre minuti,i polmoni e tutto il corpo le bruciavano: era inferno. Verso il quarto minuto cominciarono le contrazioni addominali, doveva resistere, resis…
 
La terra era bellissima: come un giardino ordinato pieno di infiorescenze e frutti, frutti che andavano mietuti.
 
Il mattino dopo venne svegliata dalla sua ancella,  una vecchietta piuttosto energica; si vestì e attraversò il palazzo verso l’armeria, non senza prima fermarsi nelle cucine per prendere due grossi pezzi di pan dolce e delle mele gialle.
Arrivata, trovò il suo compagno che aveva già cominciato ad aprire le fiancate del vector beta e ad esaminare i reattori per l’ennesima volta, gli lanciò il pan dolce e la mela. Rimasero in silenzio per un po’, poi ricominciarono a lavorare: smontarono i cavi connettivi tra i reattori e i comandi e al convertitore energetico. Avevano disposto tutto sul banco da lavoro quando un garzone entrò nel laboratorio correndo:
-SONO GIÁ QUI! ATTACCANO DALLE COLLINE!
Non fu necessario più di uno sguardo ai due, che si diressero verso il deposito d’armi. Mentre Gen si metteva la cotta di maglia, Celiane, già in armatura completa aveva preso un arco, una balestra di osso e tre faretre di frecce di acciaio, poi memore della sera prima prese anche una corda:
-CI SEI?-
chiese mentre stava salendo sul vector Alfa. Il giovane la guardò come si guarda un serpente con la testa mozzata contorcersi, ma ubbidì: caricò il vector con una gemma dell’anima e lo avviò. I reattori lavorarono molto di più per alzare il vector di mezzo metro, Celiane guardò Gen con disapprovazione
-Volete che scenda?
-Sei troppo pesante, sono troppo pesante, Gen spogliati
-Ma…
La principessa si sganciò la placca metallica centrale e dorsale, quelle sulle gambe, si tolse l’elmo e lanciò tutto per terra, Il giovane la imitò,  ma lei gli ordinò di tenere la placca dorsale e l’elmo: dal momento che non sapeva tirare con l’arco avrebbe guidato il vector.
Quei trenta chili di armatura in meno furono sufficienti per far decollare la macchina e varcata la porta del laboratorio si ritrovarono nell’armeria: sottili colonne sulla destra. sottili colonne sulla sinistra:
-E come speri che possiamo uscire da qua incolumi?
Per tutta risposta Celiane gli tirò il comando dell’acceleratore.
Urtarono tutto colonnato sinistro e finalmente uscirono nel giardino interno e volarono verso le colline.
Celiane non aveva mai partecipato ad una battaglia vera, ma era sicura che uno scenario così non lo potevano immaginare nemmeno i veterani più disillusi: un frangente di angeli in formazione alata lungo quanto l’orizzonte, formavano una linea nera contro il cielo mattutino. Tra quegli esseri alati c’erano non più di trenta velivoli angelici: macchine cuneiformi rivestite di marmo candido e riportanti le insegne degli angeli: un albero. Sotto di loro erano schierate le ordinate fila dell’esercito di Alisia. La sotto, nella cavalleria c’erano anche dei suoi coetanei, amici d’infanzia e di addestramento. L’aria le fischiava intorno alle orecchie, le ghiacciava gli zigomi: mai si era sentita così viva.
L’esercito angelico si abbassò di quota, pronto alla mietitura:
-Celiane…
-Gen, al mio via dirigiamoci verso uno dei velivoli al centro
-Celiane…
La principessa lo guardò
-Celiane, non hanno armatura, nemmeno cavalleria, e quei velivoli sono solo dei porta-bandiera!
Questo era il lato spaventoso degli angeli: niente difese. Erano invincibili, invincibili e superbi.
- Nemmeno noi abbiamo l’armatura, compagno
Gen sorrise dietro la grata dell’elmo. L’armata angelica era ad un metro da terra, l’esercito di Alisia aveva cominciato a correre verso di loro, verso la morte. La principessa sapeva di avere a disposizione meno di venti minuti per raggiungere l’obiettivo, sussurrò al suo amico:
-Avvicinati più che puoi ad uno dei velivoli , ma rimani contro luce
Celiane cominciò ad incoccare delle frecce ed a scagliarle verso il velivolo angelico mirando alle prese d’aria e alle tubature esterne,  i piloti disorientati non tenevano il mezzo in linea con l’esercito; il giovane pilota non trattenne una risata di euforia quando comprese la strategia della sua principessa. Celiane caricò la balestra e annodò all’estremità del dardo la lunga corda, prese la mira e lanciò. Il dardo mancò la sottile fessura tra le lamine di marmo in basso e sbatté contro di esse. I piloti del velivolo angelico si accorsero della freccia cordata e intuirono la posizione del vector. Celiane tirò su il dardo e caricò di nuovo la balestra:
-AVVICINATI ANCORA!
 Le prime frecce angeliche colpivano la copertura metallica del vector quando Celiane scoccò il secondo colpo, che andò a segno. Fu allora che il fuoco nemico riuscì a penetrarvi, la macchina cominciò a fumare e a perdere quota. Celiane fissò la cima della corda allo chassis del vector, poi si rivolse a Gen:
-Sei un uomo prezioso e non vorrei che venissi a mancare quando hai ancora molto da dare , quindi promettimi, anzi, ti ordino di non immischiarti nella battaglia e non morire
Lo sguardo duro ed euforico della sua principessa  non ammetteva repliche: come faceva a dirle che anche lei avrebbe dovuto astenersi dal campo e che non doveva morire in guerra? Gen annuì e basta, poi spostò lo sguardo verso il velivolo a cui si erano attaccati: avevano spinto i motori al massimo per far riprendere quota, ma le prese d’aria e i suoi cavi erano stati sabotati dall’attacco di Celiane. Ora perdeva quota sempre più ripidamente, trascinato al suolo dal vector alfa, che essendo fatto d’acciaio era molto più pesante di quello angelico. Finche non furono atterrati Celiane continuò a mirare ai piloti del velivolo angelico: aveva solo il collo, le spalle e le braccia coperte, mentre in vita portava la cintura rinforzata lungo le cosce, Gen pensò che se anche con un dito un angelo l’avesse sfiorata sarebbe morta.
A circa un metro e mezzo da terra la donna balzò giù dal vector e si diresse in battaglia. Conosceva  indirettamente  la tecnica angelica di combattimento: ciò che cercavano era il contatto cutaneo, attraverso di quello assorbivano prana e prosciugavano le forze della vittima. Vittima. Cercò di non pensare di avere tutto l’addome e la schiena, nonché il viso scoperti, con la mano cercò l’elsa della spada, imprecò quando sentì solo la sua gamba, ne sfilò una da un corpo esanime: non c’era sangue, quei demoni ti carpiscono l’anima. Celiane cercò di non fissarlo per non impressionarsi: in addestramento non c’erano mai cadaveri. Si guardò intorno; la battaglia era in pieno svolgimento, gruppi di soldati si scagliavano sui singoli angeli cercando di trapassarli, ma non c’era niente da fare, pochi fendenti arrivavano a destinazione, e quei demoni sembravano fatti proprio di lega angelica. Non le ci volle molto per comprendere che quella era una strategia che aveva il solo scopo di rimandare il momento in cui gli angeli sarebbero entrati nelle mura, e che avere dei feriti superstiti alla fine della giornata sarebbe stato un miracolo. La sua attenzione si focalizzò su un essere alato, dai capelli piumati candidi come la luce e un abito blu ricamato di cielo, l’unico modo accertato per uccidere un angelo era coglierlo impreparato. Preparò la spada. L’angelo sembrava provare particolare piacere nel tenere per la gola un fante e a togliergli l’anima lentamente –Celiane scattò verso di lui- l’unico modo per uccidere un angelo è colpirlo alle spalle.
Delle scintille, un fuoco rosso, un secondo angelo deviò il colpo e la spada sfiorò soltanto la veste blu, la sua lama bloccata contro quella del pugnale angelico. L’essere guardò indietro, verso il suo simile, poi si rivoltò verso di lei:era terrificante. Celiane sapeva che sarebbe morta in pochi secondi ma l’impatto con il velivolo angelico in picchiata la colse di sorpresa.

 

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Capitolo 3
*** Armature ***


Armature
La luce del tardo pomeriggio entrava dalle finestre proiettandosi sul soffitto e illuminando la stanza e il letto di luce indiretta, in quel momento della giornata, la stanza di Toma era il luogo più bello del mondo: da li poteva ammirare non solo l’albero della vita ma anche, al di la di esso, anche la parte est della città, scavata sul versante del monte Leig’hun. Le sue attenzioni tuttavia erano rivolte verso ciò che rendeva quello il luogo più bello di tutta Atlandia. Con un po’ di fatica si alzò a sedere sul letto,  prese una ciocca color alba tra le dita e cominciò ad intrecciarla. Apollonius sedeva sul bordo del letto, con lo sguardo basso, gli avambracci appoggiati sulle cosce. Da quando avevano finito la raccolta, aveva quell’espressione tormentata e colpevole, che non l’aveva fatto riposare e Toma in cuor suo sospettava perché:
-Apollonius
Le membra dell’angelo mietitore si irrigidirono e poi si rilassarono:
-Non capiterà mai più _Toma appoggiò la fronte sulla sua spalla_ Non permetterò più che tu venga ferito da un… umano.
-Non è stata colpa tua, anzi è per merito tuo che ora posso stare qui con te e non al tempio per guarirmi e avrei sicuramente perso tutto il prana che avevamo raccolto.
Il volto di Apollonius si rasserenò, si risdraiò sul letto, dove poteva vedere bene il piccolo taglio sulla spalla del suo compagno e lo toccò col pollice, fornendo un flusso regolare di energia vitale.
-Apollonius?
Non sentendo alcuna risposta Toma si girò: Il suo angelo giaceva addormentato con un’espressione serena, il guardiano poi fece per toccarsi la ferita sulla spalla, ma non c’era più.
-Folle_ mormorò grato
 
Nello stesso momento Celiane aprì gli occhi: il soffitto era quello della sua stanza,  il volto dalla barba brizzolata era quello di suo padre, seduto a bordo del letto. Non appena vide sua figlia destarsi sorrise sollevato:
-Celiane!
Era strano vedere suo padre al suo capezzale, ma anche lei venne pervasa da una felicità leggera, anche se breve: il re non si era l’aveva mai cercata nemmeno da bambina e Celiane non si sarebbe mai immaginata di vederlo la,  a vegliare su di lei. La luce vermiglia del tramonto tingeva la stanza di fuoco. All’improvviso si rese conto che non era più sulle colline, erano passate diverse ore,  aveva abbandonato il campo di battaglia, aveva abbandonato Gen.
Suo padre sembrò intuire la sua agitazione:
-Non ci sono state grosse perdite, la battaglia è durata molto poco dopo che tu…
Celiane si accigliò interrogativa
-Dopo che tu hai abbattuto un angelo mietitore
Cercò di fare mente locale, ma l’unica cosa che riusciva a ricordare era quel colpo parato, niente ferite, anzi, lei stessa stava per essere prosciugata di tutta la sua energia; fece per spiegarlo a suo padre, ma lui la interruppe dicendo che l’indomani sarebbe comparsa davanti alle truppe per spronarle e istruirle alla battaglia.
-Riposati, figlia mia
Detto questo se ne andò lasciando sua figlia, che aveva spedito sulle montagne per dieci anni, che non aveva mai considerato più di tanto in quanto unica figlia femmina su tre possibili eredi al trono, e che non la aveva avvisata della sua malattia.
Celiane si mise a sedere sul letto, gesto che le costò non poco dolore: l’atterraggio brusco col vector, il breve combattimento e tutto ciò che non si ricordava, ma che era successo.
Troppo debole per allenarsi nella spada, passò tutta la serata nella sua camera a rileggere  tutti i manuali angelici che si era portata  a casa, troppo nervosa  e arrabbiata persino per rispondere con gentilezza alla povera cameriera che le aveva portato la cena.
Col passare delle ore c’era qualcosa che non le tornava: se gli angeli mietitori riescono ad assorbire il  l’energia vitale solo tramite contatto cutaneo diretto, perché i soldati venivano mandati in battaglia con armature di metallo, che lasciavano le giunture, gli arti, il collo e il viso scoperti?
Poi c’era quell’angelo mietitore dai capelli cangianti come il tramonto: non aveva l’aria di un mietitore comune: usava un’arma, inoltre era lui che aveva ucciso, a rigor di logica. Celiane provò il sordido desiderio di dissezionare il cadavere, se ce n’era uno.
Dormì poco e male, il suo sonno era stato nel corso della notte un campo di battaglia tra angeli e bestie e il suo viso la mattina ne riportava la devastazione: occhiaie e colorito spento.
Venne svegliata di buon’ora dalla servetta della sera prima, tutta tremante, Celiane si scusò e si fece aiutare nel bagno e a vestirsi. A quanto pare il giorno prima aveva collezionato una discreta quantità di lividi e graffi, ma nulla di grave. Si vestì con un sotto-armatura di cotone blu, formato da pantaloni aderenti, stivali borchiati, canottiera e giacca. Non prese ne spada ne pugnale e scese nelle cucine passando per vie traverse. Aveva un nodo in gola al pensiero di Gen, non voleva incontrare nessuno prima di assicurarsi che lui fosse vivo.
Quando dopo pochi minuti entrò nell’hangar attraverso la porta secondaria lo trovò vuoto. I suoi timori divennero certezza, non c’era nemmeno il vector beta. Che avessero già smantellato tutto?
Celiane lasciò che il vuoto si facesse strada nel suo cuore prima di voltarsi per andare alla porta principale, la aprì e venne inondata dalla luce mattutina.
Non poteva credere ai suoi occhi: dove prima c’era il portico-armeria, ora un’enorme officina che occupava non solo il portico, ma anche il cortile interno, normalmente lasciato sgombero, ma che ora, coperto da una tettoia in legno e tela di vela ospitava un vector angelico.
Non passò molto tempo prima che le circa trenta persone che stavano installando le grosse apparecchiature  si accorsero della sua presenza e cominciassero a salutarla festosi. Lei rispose con saluti e sorrisi a sua volta, cercando di orientarsi, fino a che una voce familiare la chiamò, veniva dal vector angelico.
La principessa faticò a trattenere le lacrime di gioia nel vedere il suo amico Gen sbucare tutto sporco dalle viscere metalliche del velivolo, poco ci mancò che gli corresse incontro. Gen Fudo scese agilmente camminò velocemente verso di lei, sorridendo raggiante. I suoi capelli corvini scarmigliati, la sua corporatura snella, non del tutto adulta sembravano sani e intatti; un’espressione di dolcezza si dipinse sul suo volto quando constatò che anche la sua principessa era illesa e senza pensarci troppo la abbracciò. Celiane ricambiò complice, prima di chiedergli spiegazioni
-Ci hanno visto tutti ieri_ disse lui indicando il velivolo sotto il capannone_ e visto che le armi convenzionali non funzionano con loro abbiamo deciso di ampliare la sezione vector a tutta l’armeria: in qualche settimana riusciremo a convertire i reattori e le tubature angelici e montarli  nel vector beta, e forse anche nell’alfa, per non parlare delle nuove macchine in costruzione!
- Ne sanno qualcosa nel dipartimento Guerra?_ non voleva smorzare l’entusiasmo di Gen, ma chissà perché aveva intuito che quella non poteva essere una delibera del vecchio Han._ Ne sa qualcosa mio padre?
- Non ancora, è un’iniziativa partita dal basso
-Gen_ disse a bassa voce_ ho bisogno di chiederti alcune cose, riguardo a ieri
Gli occhi di lui brillarono di intelligenza per un attimo:
-Hai visto i sistema di raffreddamento dei vettori angelici?
Il ragazzo si diresse verso una delle due carcasse metalliche, aprì due pannelli di marmo venato da crepe e vi si insinuò, a contatto con un sistema di tubature  e cavi; Celiane lo seguì. Aspettò che Gen cominciasse ad armeggiare a vuoto prima di cominciare a sussurrare:
-L’hai …visto?_Gen la guardò interrogativo, Celiane non sapeva come dirlo, non trovare le parole la irritava e la metteva a disagio. Porse all’amico un pane alle noci., meglio centrare il punto.
-L’ho io ucciso l’angelo?
Gen rimase immobile,guardando in basso, col pane in mano; sollevò lo sguardo verso Celiane.
-Il vettore. Non sei stata tu, ma il vettore angelico si è schiantato sui due angeli.
Gli occhi di Celiane si spalancarono, le sue labbra erano serrate
-All’impatto c’è stata un’esplosione. Quando il fumo si è diradato c’eri solo tu.
-Nessuno ha visto la carcassa di un angelo- obbiettò Celiane
-Nessuno ha mai visto un angelo morto,per quanto ne sappiamo loro magari non lasciano cadaveri, forse il loro essere anima li esenta dalla decomposizione.
Gen diede un morso al pane alle noci, Celiane non rispondeva. Il suo compagno sapeva essere molto convincente, ma la sua tesi non la persuadeva del tutto, cercando di ricordare vedeva solo immagini confuse e rossastre. Aveva bisogno di riflettere da sola, in un posto calmo. Guardò l’orologio: mancavano solo tre ore al suo debutto come cavaliere scelto e l’ultima cosa che voleva era  che si pensasse che quel ruolo fosse solo il frutto di una diceria.
 
Si congedò da Gen ed uscì dal portico, verso il palazzo, Salì fino all’ultimo piano, dove c’era l’osservatorio, una torretta coperta circondata da un piccolo portico e una terrazzina in pietra: il sole di mezzogiorno le scaldava piacevolmente il  viso e il petto, il rumore attutito dall’altezza era piacevole, il panorama dalla terrazza particolarmente nitido, poteva scorgere persino le montagne Blu a nord-est, dopo le colline, mentre a sud-ovest si poteva veder tutta la città di Alicia, costruita su un intreccio intricato di vie curve, i tetti erano rossi come il sangue. Celiane distolse lo guardo, ma anche il cielo appariva scarlatto, il sole era bianco come la neve; la principessa sbattè le palpebre e il mondo tornò a colorarsi. Nella sua mente balenò fugace il volto dell’angelo armato. Era Morto?
 
 
Il rintocco dell’orologio le ricordò che doveva prepararsi alla sua prima visita con le truppe, strascicando i passi la principessa de Alisia si diresse verso le sue stanze, pronta alla vestizione.
Non era completamente ingrata a quell’incombenza: sperava che avere qualcosa da fare le avrebbe tenuto la mente occupata.
Non poteva fare previsione più sbagliata: poco dopo era nella sua  vasca da bagno, intagliata nell’alabastro, a rimuginare sul giorno prima, o meglio, su cosa si ricordava del giorno prima. Checché le dicessero non era completamente convinta di aver ucciso un angelo mietitore, anzi, era certa di non averlo fatto: al massimo era stato il vettore. Però lei era rimasta illesa  e Gen le aveva detto che c’era stata un’esplosione: se lei si era salvata, come sarebbe potuta essere fatale per un angelo?
Celiane si immerse nell’acqua caldissima, il soffitto si muoveva seguendo le piccole increspature dell’acqua, per un attimo ritornò tutto rosso. Insofferente riemerse e uscì dalla vasca.  Uccidere un angelo significava avere la possibilità di non essere delle semplici prede, delle vittime, ma di combattere ad armi pari.
Celiane scelse i vestiti del giorno prima, indumenti da sotto-armatura e protezioni alle spalle, alle gambe e al collo. A questo punto, anche solo l’idea di poter sconfiggere quei demoni era preziosissima per la loro sopravvivenza, e poi con i nuovi vector in costruzione questa appariva già un’eventualità concreta. Celiane si affacciò alla finestra che dava sul porticato interno, sul muro di fronte una meridiana segnava che era passato mezzogiorno, era ora di andare. Fece per uscire dalla sua stanza quando bussò qualcuno; La principessa diede il permesso di entrare e sulla soglia comparve un uomo sulla quarantina, con il viso bianco e una bella barba brizzolata. Se non si ricordava male era uno degli uomini del consiglio, Helender. L’uomo la salutò cerimonioso, lei gli disse che stava uscendo, m poteva accompagnarla, se desiderava parlarle.
-Allora vi presenterete ufficialmente alle truppe tra poco
La sua voce era calma e bassa, educata.
- Sembra che verrò eletta come cavaliere scelto.
- Penso che per aver ucciso un angelo vi meritiate come minimo il titolo di Paladino
Imboccarono il corridoio ovest, che portava alle caserme e alle scuderie. Le pareti erano decorate da arazzi ricamati con seta e pietre, che narravano della fondatrice della casata de Alisia, una regina-maga dai poteri taumaturgici. Conversarono ancora per qualche passo, poi Helender  arrivò al punto:
-So che voi cercate risposta per gli avvenimenti di ieri, io ero la, a presiedere lo schieramento destro.
La principessa de Alisia non rispose, ma l’irrigidirsi del suo corpo tradì la sua curiosità.
-Io stesso non sono riuscito a capire molto e dopo aver interrogato tutti quei pochi testimoni oculari ho concluso che non si è visto nessuno scappare dopo l’esplosione
- Ma non è stata pervenuta nessuna carcassa
-Nemmeno ad un raggio di quattro chilometri dal luogo dell’esplosione_ completò Helender_  non ci sono mai state testimonianze di un cadavere angelico…
-altrimenti avremmo qualcosa di più che scarse nozioni sulla loro natura…
-Può sempre dire che il demonio si è fatto saltare in aria non trovando vie di scampo
Per un attimo il campo visivo di Celiane venne di nuovo occupato dalla visione scarlatta, si fermò. E allora perché lei era viva? Guardò il suo interlocutore: possibile che fosse così ingenuo? Davanti a lei anche il consigliere Stratega Helender  si era fermato, sembrava volesse fingere indifferenza, ma in realtà la stava studiando. Ed è li che capì: che idiota, stupida, che era: ecco l’effetto di aver passato dieci anni chiusa in un eremo protetto. Helender aspettava una sua risposta, alzò il sopracciglio. I suoi occhi svegli lo rendevano simile ad un felino: aveva capito che aveva capito.
-Lungi da me creare false speranze nella popolazione _Celiane  ricambiò lo sguardo_ e lungi da me, è ingannare il popolo su cui mio padre regge il trono
La principessa non aspettò gli ossequi ed entrò  nell’atrio della caserma.
Helender la seguì,  e finchè non salì le scale lo sentì dietro di lei, perforarle le scapole con i suoi occhi lampeggianti. Arrivò il generale maggiore nella sua armatura argentea, Hanilej, e la guidò fino al rialzo da dove avrebbe parlato alle truppe. Come entrò nella sala un fragore di applausi, asce sugli scudi e urla di uomini la investì e Celiane si sforzò di non indietreggiare, il capitano Hanilej alzò le braccia in segno di silenzio e la folla si placò.

-Se mai c’è stato un giorno vittorioso nella Guerra contro gli angeli  _cominciò Hanilej facendo risuonare la sua voce per le arcate_  non era luminoso come questo, quando la nostra Principessa, Celiane de Alisia, ha annientato un Angelo Caduto!
La folla ruggì ancora. Celiane fece un passo avanti, incerta se confermare o no l’accaduto; allargò le braccia per accogliere gli ultimi istanti dell’ovazione, forse non era malvagio rassicurare le guardie…
-L-le  armature
Silenzio. Giusto per metabolizzare l’enorme sciocchezza che aveva detto; poi un brusio rumoroso. Celiane deglutì:
-Non sono efficaci: gli Angeli Mietitori non combattono, si limitano ad assorbere la nostra energia vitale attraverso la pelle. _la stavano ascoltando ancora, prese coraggio_ Uno scudo d’acciaio non serve a nulla se il vostro volto è scoperto!
Le venne in mente anche della strategia sui velivoli angelici, ma la sua prima sillaba venne coperta dal suono baritonale dell’allarme antiangelo, che le fece vibrare la cassa toracica.

Grazie per essere passati sopra errori di ortografia e incoerenze sintattiche ed essere arrivati a leggere fino a questo punto. Alcuni, anzi tutti lo avranno notato: ci sto andando piano, troppo piano coi due piccioncini. Il punto è che se da una parte non voglio bruciarmi subito tutte le parti, dall'altra mi interessano i percorsi che i due personaggi percorrono prima di abbandonarsi l'uni nelle braccia dell'altra. Inoltre mi piace troppo descrivere combattimenti e battaglie, anche se non ne so nulla di munizioni, strategie belliche,logistica militare e tutte le altre robe mimentiche che gravitano intorno al mondo militare. Non disperate, fan del melenso! qua ci vogliono solo un po'di capitoli.
Ah, potete dirmi se Celiane e Apollonnìius sono credibili? Passo la metà del tempo a mazziare Celiane e a farla fallire, ma non riesco a capire se sia efficace o meno, magari è una Mary Sue colossale...
Gavriel

 

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Capitolo 4
*** Il terzo Giorno ***


Il terzo giorno
Celiane si mise l’elmo addosso: non erano passati nemmeno due giorni e  si trovava a volare ancora. A bordo Gen faceva partire  la macchina con una grossa pietra dell’anima; non appena fu inserita il consueto bagliore azzurro si diramò dalle congiunzioni di lamiera, e il vector si alzò di circa mezzo metro. Nonostante fosse passato poco tempo dal suo schianto, Gen aveva aggiunto dei componenti presi dalla navicella angelica e in affetti ora il Beta sembrava aver acquistato più stabilità. Il ragazzo prese le ultime faretre dalle mani di Celiane e l’aiutò a salire.
Davanti a loro c’era ancora il portico, tutte le colonne sulla sinistra erano scavate. Gen accellerò, questa volta urtando  solo l’ultima colonna destra e si involarono verso le colline.
 
Attaccavano da sud, l’esercito angelico era disposto esattamente come l’ultima volta: uno schieramento affilato, che procedeva a ‘v’ ad una ventina di metri da terra. Gen alzò la quota portando il vector sull’asse tra la formazione angelica e il sole, rendendoli praticamente invisibili. Celiane aveva individuato sei candidi velivoli angelici, posti al vertice della formazione:
-Cerca di avvicinarti
Gen tolse potere ai reattori e si avvicinò tenendosi sempre controluce, man mano che si avvicinavano scorsero delle differenze nelle navi angeliche, la dimensione del corpo centrale non era più alta è stretta , ma aveva l’aspetto simile a quello dei vector, piatto e affusolato. Celiane rimase a contemplare la loro eleganza; non erano più dei portatori di insegne, quelle macchine erano fate per volare, inseguire, attaccare.
Celiane incoccò una freccia arpionante e prese la mira.
-Cerca di non danneggiarli troppo, principessa, quelle fusoliere potrebbero esserci molto utili
Come se li avessimo già abbattuti, pensò la ragazza, e scoccò la freccia, che si infilò proprio in una fessura tra due lamine di marmo sulla punta della navicella più a destra. Prese dalla faretra un’altra freccia arpionante e la incoccò, questa volta mirando al velivolo angelico che stava sulla sinistra.  Il primo colpo non andò a segno e Celiane dovette riavvolgere tutta la corda a bordo prima di ritentare. Riprese la mira e solo allora si accorsa dell’instabilità del Beta: dietro di lei Gen era concentrato a mantenere l’assetto stabile.
-Autonomia?
Il ragazzo rispose senza smettere di maneggiare il pannello dei comandi:
-Dieci minuti: i componenti angelici non combaciano perfettamente con i nostri, sprechiamo tropp…
Un sobbalzo e si trovarono a precipitare per diversi metri
-Facciamo cinque! Mi avvicino al velivolo a sinistra!
Il vector si avvicinò in avanti, cercando di tenere l’allineamento col sole, Celiane tentò un altro colpo che si conficcò nella prua della nave angelica di sinistra
-Procedi dritto! A MASSIMA VELOCITÁ
Si guardarono per un secondo, giusto il tempo che ci mise il ragazzo per comprendere le intenzioni della Principessa, per ricambiare la sua espressione feroce. Tolse potenza ai propulsori verticali e spinse in avanti li vector, contro lo schieramento nemico.
 
E li lo vide ancora, come un arciere su una biga, in piedi sulla nave centrale. Non era morto? I loro sguardi si incrociarono mentre il Vector Beta passava a traverso ai velivoli angelici, ignari della trappola.
 
Le corde si tesero; la punta lei due velivoli esterni, tirata all’interno dal Beta, li fece convergere verso il vertice della formazione. Gen aumentò ancora la velocità, Il velivolo di destra accellerò per correggere la rotta, ma la manovra servì solo ad infilzare più forte la navicella al suo interno. Celiane e Gen si tennero forte durante i sobbalzi, quando risollevarono lo sguardo videro che le due navicelle a destra stavano precipitando, come quella a sinistra, che stava collidendo goffamente don le due all’interno, in una sorta di effetto domino. Erano a pochi metri da terra quando il modo divenne ancora rosso.
Celiane rotolò diverse volte dopo essere stata sbalzata fuori dal Beta, si accorse dov’era solo dopo aver sbattuto contro un tronco. Cercò il vector  con lo sguardo, era a diversi metri da lei, ancora in volo. Si alzò a fatica e si trovò in mezzo alla battaglia: sopra di a lei il guerriero rosso si stava avvicinando, il suo corpo nato per la guerra, il suo sguardo non prometteva salvezza. La donna cercò la sua spada, ma al suo posto si trovò in mano un pugnale. Parò il primo fendente, tremava sotto la potenza di quell’essere; d’un tratto la sola idea di averlo ucciso le sembrò ingenua, bambinesca, l’angelo menò un altro colpo, questa volta la mancò, la lama si conficcò nel legno dell’albero dietro di lei, Celiane fu abbastanza veloce da togliersi da quella posizione sfavorevole e a ripararsi dietro l’albero, troppo poco, troppo tardi: con l’espressione incredula  e furiosa la sorprese da dietro, ma inspiegabilmente Celiane parò anche quel colpo. Le loro lame si incrociarono e si trovarono come il giorno prima, separati solo dalle scintille liberate dalle loro armi: la donna sentiva il suo respiro affannato mescolarsi con l’assenza di sforzo del suo nemico. Da dietro un cavaliere levò in alto la spada per colpirlo alle spalle, ma l’angelo mietitore senza battere ciglio gli prese il volto nella mano ghermendo la sua anima in un istante. Osservò l’orrore comparire sul viso di Celiane, ma per poco: si voltò all’indietro in un turbinio di fuoco per finirne un altro. Celiane questa volta reagì ed attaccò; il suo colpo venne parato dall’avambraccio dell’angelo massacratore, che si voltò accigliato verso di lei, poi quando si accorse del rigolo di sangue che gli colava dal braccio, le rivolse uno sguardo irato e volò in alto. Dietro di lui rimasero i corpi inerti dei due  cavalieri che aveva ucciso prima, che si afflosciarono ai piedi di Celiane. Presa dalla nausea  la principessa corse via, ma si accorse troppo tardi di un altro angelo violaceo che le bloccava il cammino. Allungò la mano verso la sua faccia, poi chiamato si voltò e si involò assieme agli altri.
 
Questa volta, quando si svegliò era ancora distesa per terra, sul campo di battaglia. Un viso familiare apriva e chiudeva la bocca…
-Gen?
-Oh, Celiane!
Le scostò i capelli dalla fronte, vi appoggiò sopra la sua.

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Capitolo 5
*** Il Doppio Taglio ***


 
Il Doppio Taglio
Non si era ancora rimarginato. Quel taglio sul suo avambraccio stava diventando una piaga: non era bastato il suo prana, ne quello del villaggio che aveva predato lungo la strada. Maledetta umana! Quel solco nella sua carne era il marchio di un’onta che non era mai stato costretto a sopportare. Si ritrovò sotto l’Albero, aveva fatto attenzione a non farsi vedere da nessuno e si era rifugiato tra le sue fronde come faceva da quando riusciva a ricordarsi. Apollonius si leccò la ferita; il contatto cutaneo della sua schiena contro la corteccia dell’albero lo rendeva consapevole della febbrile attività vitale all’interno di esso. Contemplò la sua mano, la pelle sui polpastrelli, piena di recettori di prana e per un attimo accarezzò l’idea di sottrarre dell’energia sacra dall’albero, ma non l’avrebbe mai fatto.
Vide sotto di lui il suo compagno, ma non lo chiamò.
 
 
 
Il giorno dopo Celiane si era dimessa quasi del tutto: a parte un dolore diffuso su tutto il corpo, probabilmente a causa dell’intensità degli sforzi, stava benone. Anzi, secondo il medico del campo doveva ritenersi fortunata. Quella mattina la dedicò alle celebrazioni funebri degli uomini del  capitano Hanilej, mentre il pomeriggio restò nel laboratorio ad osservare Gen che smontava i due velivoli angelici da guerra che avevano abbattuto il giorno prima. Non parlarono, a parte qualche scambio di battute sul fatto che era molto più facile prendere una navicella che non un essere alato: nella mente della donna c’erano ancora le scene del combattimento con quel diavolo rosso. Che sconfigge senza voltarsi un soldato addestrato, che ingaggia un combattimento con lei, senza riuscire a sconfiggerla.
Il secondo duello, poi sembrava aver conferito a Celiane ancora più popolarità: nessuno sembrava fare caso al fatto che non solo non aveva ucciso nessun angelo ma ritornato, lui aveva giocato con lei come un’orca assassina gioca col cadavere di una foca prima di mangiarlo. Inoltre la cerimonia funebre del mattino era stata straziante: vi aveva partecipato come principessa De Alisia, a fianco di suo padre e a suo fratello minore, circondata dai ministri. Nessuno di loro aveva avuto perdite tra le ottantaquattro vittime del giorno precedente, nessuno mostrava l’attenzione dovuta alle anime di coloro che li avevano salvati. Hanilej  aveva tenuto un discorso, ma non lo aveva ascoltato: nella sua mente erano ancora vive le immagini dei due cavalieri morti davanti a lei, immagini che rivivevano nei volti di tutti  bambini che stavano accompagnando le salme dei loro padri al cimitero.
-Vuoi un pezzo?
Gen le stava porgendo un pezzetto di pandolce, lo aveva visto quella mattina al corteo, era morto un suo compagno di addestramento. Celiane accettò il cibo e fece posto al ragazzo, si rese conto che dopo dieci anni passati fuori casa un sacco di cose erano accadute senza di lei, e che forse la persona che stava sbocconcellando il pandolce vicino a lei era completamente diversa dal bambino che aveva lasciato tempo addietro: i suoi capelli corvini, i lineamenti decisi e tesi in un’espressione grave che non gli aveva mai visto addosso.
-Dobbiamo raffinare la nostra tecnologia
Era l’unica cosa che gli era uscita da un’ora a quella parte.
-Per proteggere coloro che amiamo
Gen sollevò lo sguardo su di lei, si mise in bocca l’ultimo pezzo di pandolce e saltato giù tornò al lavoro. Celiane lo seguì con lo sguardo: ogni istante in cui l’angelo massacratore avesse speso giocando con lei sarebbe stata una vita i più per le persone che Gen amava, per il suo popolo.
 
E così fu. Tornarono ancora, ogni pochi giorni, come se aspettassero che gli abitanti di Alisia si rimettessero un po’in sesto. La strategia angelica rimaneva pressoché invariata col protrarsi delle settimane, il che anche se favoriva Gen e Celiane nelle manovre di abbattimento velivoli, non faceva nessuna differenza per gli sforzi che facevano le truppe davanti alla terribile infallibilità angelica. Lui era lì, in ogni benedetta battaglia: a volte compariva davanti al sole, con le ali possenti come ad abbracciare l’astro, e discendeva terribile sul campo; altre volte era al comando dello schieramento , e ordinava l’assalto con le sue vesti cangianti, coi i capelli in un turbine di fuoco. E Celiane lo  cercava ogni volta, quasi con disperazione: ogni secondo poteva fare la differenza per uno dei soldati . Lui d’altra parte faceva sempre in modo di trovarsi nelle vicinanze dell’umana che lo aveva ferito, col feroce desiderio di una vendetta: appena scendeva sulla terra localizzava la navicella degli umani e aspettava il suo attacco.
 Come si trovavano incrociavano le lame, menavano fendenti, nei momenti di stallo si scambiavano occhiate ansanti; Celiane cercava di evitare i colpi più letali: il suo corpo era spinto fino al limite per lo sforzo continuo si muoveva cercando di tenere il ritmo con un avversario instancabile, fino a che di punto in bianco, come se richiamato da un segnale invisibile di ritirata, si dileguava verso la volta celeste assieme ai suoi.
Il campo di battaglia rimaneva deserto, eppure pieno di corpi. Ogni volta le madri e le mogli che non avevano visto i loro cari rientrare ritornavano a cercarli, a controllare ogni salma, a piangere. La principessa, quando non troppo stanca aiutava a caricare i corpi, controllava che ci fosse qualche ferito, ma niente, gli angeli non lasciano mai niente a metà.

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Capitolo 6
*** Visite da Hoor ***


Visite da Hoor
-Ma è proprio necessario?
Non c’erano molte cose che mettevano Apollonius a disagio, a parte dover fare i conti con Toma quando lasciava le sue armi in giro per tutta la loro stanza, e i ricevimenti erano una di queste: gli abiti da cerimonia stretti e soffocanti erano un supplizio dal momento in cui glieli cucivano addosso fino a quando non  se li strappava via (o chi per lui...).
Apollonius avanzò verso il centro della camera, con il tacere dei servetti, che gli stavano mettendo a posto l’abito: appariva avvolto in una veste blu notte con dei ricami cangianti, che facevano apparire e scomparire fiammate a seconda dell’angolo della luce.
-Toma!
L’angelo dai capelli piumati comparve sulla soglia, sorridendo alla disperazione del suo compagno. Aveva un abito lungo turchese con sfumature verdi, sembrava fatto di ali di libellula aderenti al suo corpo. Appena vide Apollonius si compiacque della scelta del vestito: le piccole dita dei servetti-.sarti alati avevano fatto aderire il tessuto ricamato al suo corpo, risaltandone e definendone ogni particolare. Toma sfiorò l’addome di Apollonius con le dita e risalì verso i pettorali e poi verso l’attaccatura del collo, dove stavano ancora lavorando i servetti-sarti, che stavano finendo di intrecciare alcune ciocche di capelli nell’abito, che risplendevano più dei ricami. Si morse il labbro pregustandosi la scena che sarebbe avvenuta di li a poche ore in quella stessa stanza. Gli occhi di Apollonius brillarono, gli mise un braccio dietro la vita, stringendolo a sé; a Toma l’essere separati solo da poche fibre di tessuto costò enormi sforzi  di autocontrollo, poi con voce spezzata riuscì convincerlo ad aspettare qualche ora.
 
Ma era proprio necessario? Celiane guardava con aria contrita i diversi abiti che le avevano preparato sul letto: non poteva fare la preziosa, non con Clodia,  regina di Hoor, moglie e vedova di uno dei suoi fratelli maggiori. Era tardo pomeriggio, lei aveva finito di fare il bagno da un pezzo, e doveva prepararsi in fretta per la cena. La principessa si lasciò cadere sul letto: non aveva voglia di mettersi un abito formale e scomodo per dare piacere agli ospiti di suo padre, per fare qualcosa di inutile alla difesa della città. Voleva vedere Gen, parlargli dei vector, di come stava andando all’officina, di come stava dopo la morte di due suoi compagni e  poi, perché no, chiedergli quale abito poteva andare meglio. Ma mandarlo a chiamare per una ragione così futile le sembrava un capriccio degno di una principessina piagnucolona, cosa che lei non era assolutamente. Se solo non fosse stata così sola! Tutte le sua amiche di infanzia erano sposate e lei stessa poteva dedicare poco tempo alle relazioni interpersonali, non da ultimo, il suo migliore amico non aveva più tempo per fermarsi a parlare; Celiane desiderò con tutto il cuore che gli angeli massacratori non esistessero, e di avere una vita serena, se non felice, senza dover vedere tanti morti ogni giorno. Si girò nel letto ancora per un po’ poi si decise a vestirsi. Prese il primo abito che le capitò sottomano, un vestito azzurro-grigio, che le ricordava un po’ l’armatura che indossava di giorno, solo che questo aveva dei ricami cangianti, che vibravano di blu e magenta.
Celiane fece entrare una delle ancelle affinché la pettinasse e le togliesse un po’ di stanchezza dal viso e scese nella sala principale.
 
La sala centrale era situata nel cuore del palazzo di giada, separata dal resto della struttura da sottili colonne verdi, che diramandosi in alto ed in basso. Non era la stanza ad essere sospesa al centro della costruzione, piuttosto il palazzo stesso ad essere costituito intorno ad essa; assieme all’albero ,che si sviluppava a partire dal terreno e al cielo, che coronava il creato era uno dei tre poli sacri della città di Atlandia, nonché della terra stessa.
Toma ed Apollonius entrarono per ultimi, tutta l’aristocrazia angelica si voltò nel vedere i loro custodi avanzare verso l’altare; si vedeva che nonostante tutte le cerimonie a cui era stato portato Apollonius non era ancora abituato –o rassegnato- agli incontri ufficiali. Ogni tanto Toma gli lanciava un’occhiatina, per vedere come reagiva: era abbagliante, terribile persino tra i suoi simili. Il portamento rigido sembrava dovuto all’indole da guerriero, ma Toma sapeva che in realtà non si trovava bene in mezzo ad altri angeli, era più un tipo da spazi aperti, da cielo.
Arrivati al centro, si inchinarono al cospetto del fondatore di Atlandia, Iohannes, che li accolse con un abbraccio cordiale. Al contatto con la sua epidermide sentì il piacevole brivido caldo, segnale della trasfusione di prana; il divino Ioannes si presentava come un angelo longilineo, con le grosse ali candide che vibravano di luce; all’aspetto non era molto dissimile dagli angeli antropomorfi come Toma o Apollonius, la differenza era nel respiro: tutti gli angeli avevano la capacità di assorbire prana e riceverlo, ma il loro capostipite era l’unico capace di produrne, e trasferiva l’esubero di energia vitale nei corpi che toccava.
Apollonius si staccò dolcemente, Toma scorse sul suo volto un sorriso, il prana del Divino gli aveva conferito una serenità che non provava da settimane. Una serenità, pensò con una punta di amarezza, che lui non sarebbe riuscito mai a donargli. Poi l’angelo più bello gli rivolse lo sguardo, donando anche a lui lo stesso sorriso, e la piccola pietra di gelosia si sciolse nello splendere del suo viso.
 
-Quindi da voi la… raccolta si è interrotta per tre mesi?
Clodia posò il calice che teneva con le sue mani lunghe
-Esatto: poche settimane dopo la morte di Alester hanno smesso di attaccarci, e se non sono andati come erano venuti, senza un criterio apparente
Celiane si lisciò il tovagliolo che aveva sulle cosce; la tavola era apparecchiata per cinque persone, ma due sedie erano vuote: suo padre e il fratello di Clodia.
-Ma sono ritornati, otto giorni fa. Giusto?
-Si, e ne hanno presi centotrenta, in quaranta minuti.
Celiane bevve un po’ di vino, centotrenta morti in quaranta minuti significava un morto ogni otto  secondi:
-Quanti erano gli angeli massacratori?
-Non lo sappiamo per certo, penso non più di una ventina.
Davanti agli occhi di Celiane balenò la figura dell’angelo rosso. La Regina Coldia continuò:
-Uno in particolare, ali del Sole, il più terrificante e spietato che abbiano mai visto _Celiane vide i suoi occhi terribili, i suoi capelli turbinare, la sua bocca aprirsi in un ringhio_  Lui… è l’unico che uccide. Passa a fil di spada ogni umano che si trova davanti, quando si avvicina le sue ali sono talmente grandi che sembrano incoronare il disco solare.
Celiane conosceva bene quelle immagini, ma ne rimaneva comunque rapita. Chiese altre informazioni sulla natura dell’invasione, anche se si trattava di una prassi, quella angelica, che lei ben conosceva, e le sembrò di intuire anche il motivo per cui lei era venuta di persona: la gravità della situazione avrebbe potuto benissimo giustificare un messaggero, che avrebbe portatola notizia del massacro molto più velocemente. Ciò che Clodia, sua cognata, voleva era un aiuto immediato in ciò che cominciava ad essere più che famoso tra i vari regni: Clodia voleva dei vector, quelli di Alisia.
-E Markus?
A parlare era stato il fratello piccolo di Celiane, Ion. Si riferiva alla sedia lasciata tra Celiane e quella di suo padre.
-Il mio caro fratello ha risentito della lunghezza del viaggio, ha chiesto di ritirarsi per stasera, comunque ci tiene a salutare sia te che tua sorella.
L’ultima volta che aveva visto Markus era stato quasi dieci anni prima, alla cerimonia di fidanzamento di suo fratello Alester e di Clodia: di quel bambino non le era rimasto nulla in mente, se non l’eco di una risata d’argento e gli occhi neri come l’ossidiana, comuni a quelli della sorella. Celiane sapeva della malattia che andava indebolendo Markus più per sentito dire che non per testimonianza diretta: a differenza di lei e dei suoi fratelli e dei figli delle Famiglie dell’Alleanza Markus non aveva passato al centro addestramenti tra le Montagne blu nemmeno una luna, probabilmente era debole già da allora.
-Ma perché costringerlo ad un viaggio lungo?
le parole non erano uscite dalla bocca innocente di Ion, Celiane sentì la sua stessa voce pronunciarle e se ne pentì immediatamente
-Per conoscervi meglio, principessa
 
 
Celiane si appoggiò alla balaustra di sostegno e sospirò: le ultime ore in compagnia della regina l’avevano provata: senza nessun preavviso si trovava a gestire enormi affari diplomatici di cui nemmeno capiva completamente le dinamiche: Clodia voleva protezione per il suo popolo, e l’unica cosa che sembrava arginare la furia massacratrice degli angeli sembrano i vector, costruiti con pezzi di scarto di velivoli angelici e rattoppamenti di fortuna, e che tra l’altro consumavano una quantità esagerata di gemme dell’anima. Dal momento che suo fratello Alester era morto senza lasciare eredi perlomeno nessuno legittimo –Celiane si concesse un sorrisetto- non c’era più nessun vincolo di sangue tra le due famiglie e quindi nemmeno qualche valido motivo per privarsi delle navicelle e darle a loro, a meno che… Celiane volse lo sguardo a terra piegando il corpo, con le mani appoggiate alla  balaustra , come se la aiutasse nel vedere la verità: un matrimonio che leghi ancora i due regni, con l’unico fratello della regina, Markus.
-Deve essere dura, combattere contro un angelo massacratore
Celiane sussultò: sotto di lei c’era un ragazzo dalla chioma argentea che passeggiava nel suo cortile privato
-Mai come sopportare una cena diplomatica
Una risata argentea si sprigionò dalla bocca dell’intruso, ma si spense quasi subito.
-Tu sei Markus
Lei si sporse dal parapetto per vederlo meglio. Markus alzò la testa: i suoi capelli riflettevano la luce della luna, come la sua pelle.
-Non ci vedevamo da dieci anni
-Non sei venuto alle Montagne Blu _lo rimproverò, quasi ci stesse male per il fatto che lui potesse risparmiarsi i dieci anni che Celiane aveva passato lontana dalla sua famiglia_ ecco perché.
-Sarebbe stato bello _Markus volse lo sguardo al cielo, il suo tono di voce era diventato amareggiato_ mi sarei reso utile in qualche modo.
Quell’atteggiamento malinconico e disfattista le fece partire i nervi:
-Beh, almeno non ti sei perso la morte di tua madre, né quella dei tuoi fratelli!
Detto questo Celiane se ne andò a passo teso.
 
 
-Si può sapere che cosa ti prende?
Apollonius era irrequieto. Possibile che nemmeno il tocco del divino Ioannes sia riuscito a rasserenarlo? Toma cercò di seguirlo, mentre lui misurava a grandi passi il cortile dell’Albero; all’improvviso il suo compagno si voltò:
-Qual è il nostro compito, Toma?
-Vegliare sull’albero della Vita e portarlo all’impollinazione
Apollonius si fermò inspirando di colpo, come se la sua risposta priva si esitazioni lo avesse turbato. Toma riuscì solo a sfiorare l’abito ricamato dell’angelo prima che si involasse sparendo da Atlandia.

Ho introdotto un nuovo personaggio, anche se in aquarion nessuno è mai completamente nuovo... penso che chi è Markus sia abbastanza chiaro, o per lo meno, lo sarà a brevissimo.
grazie a tutti coloro che sono arrivati a leggere fino a questo punto!
Gavriel

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Capitolo 7
*** Marmocchio Raccomandato ***


Il marmocchio raccomandato
Clodia se ne andò due giorni dopo, non prima di aver sistemato gli accordi politici con il Re di Alisia. A quanto sembrava quegli accordi comprendevano una nuova unione tra le due casate: una cosa di cui Celiane si sorprese fu proprio il fatto che non fosse minimamente turbata o eccitata all’idea di passare il resto della vita assieme ad uno sconosciuto; la strategica partenza ritardata di Markus dovuta alla sua cagionevolezza era un modo come un altro per permettere loro di conoscersi, e di certo non il migliore visto che lui passava tutto il suo tempo a girare per i cortili come una bambinetta, mentre lei si occupava dei vector, per lo meno all’inizio. Infatti l’espansione della fama dei velivoli non si era limitata alle sfere di potere, ma era passata anche alla popolazione: intere squadre di fabbri, meccanici ed artigiani erano giunte al cortile della caserma, per aiutare ed apprendere. Gen venne preso ad esempio e si trovò nel giro di pochi giorni capomastro.
Sulle prime Celiane ne era estasiata, ma col passare del tempo il suo entusiasmo si trasformò in risentimento: le andava bene che i vector si evolvessero a ritmi più sostenuti, ma il prezzo per quelle migliorie tecnologiche –il tempo che soleva passare con Gen- era troppo alto e spesso si ritrovava ad essere inutile, appoggiata allo stipite dell’hangar, a guardare assente l’attività frenetica dei meccanici.
-Almeno tu capisci cosa stanno facendo
Alla sua destra era comparso l’ospite: la sorpassava in altezza, ma probabilmente non in peso: Markus aveva l’aria di uno che non ha mai sollevato qualcosa di più pesante di un rotolo di pergamena. Celiane gli sbirciò le mani, sporche di inchiostro.
-non dirmi che l’erede al trono della Città del Ferro non ha mai preso in mano un attrezzo da meccanico
-Beh, signorina de Alisia, sono sicuro che lei sia perfettamente in grado fondere e lavorare il vetro sino a tirarne fuori un rosone di cristallo Alisiano, visto che siamo nella terra del vetro; senza contare che con tutta probabilità non sarò Re nemmeno quando Mia sorella morirà.
-Perché sei così ottimista, Caro il mio principino?
-Pare che tra poco sarò completamente cieco e poi morirò
Celiane aprì e chiuse la bocca diverse volte, sconvolta dalla leggerezza con cui aveva parlato della sua morte.
Markus continuò con un sorriso amaro:
-All’età di dieci anni cominciai a non percepire più alcune cose, come il suono di determinate voci o la vista di alcune parole, i miei genitori fecero venire ogni specie di dottore, ogni volta con una diagnosi e una cura differente. – Markus appoggiò la testa sulla parete- Alcune di quelle cure, per la verità, non le imporrei nemmeno ad un angelo massacratore. Puoi ben immaginare perché non mi abbiano permesso di venire alle Montagne Blu.
Rimasero in silenzio per un po’, guardando il procedere dei lavori, anche se entrambi non vi prestavano più attenzione.
-Un giorno si accorsero che non riuscivo più a vedere mio padre: mi fecero portare dalle sacerdotesse di Mara, che mi dissero che ero affetto da una sorta di cecità selettiva ma che non era chiaro il criterio secondo cui scegliessi chi vedere o udire. Finchè non morì mio padre, pochi giorni dopo la diagnosi.
La principessa rimase in silenzio, poi abbassando lo sguardo sul terreno gli chiese:
-Hai smesso di vedere anche…
-Alester? Le sue visite erano i momenti più gioiosi della mia esistenza: siamo anche andati a caccia a cavallo! Tuttavia Clodia non considerava… –Markus deglutì- proficuo il nostro rapporto, quindi ci ha tenuti separati sin dall’inizio per quanto ha potuto; però ci scambiavamo delle lettere… ne ho una scatola piena a casa.
Una scatola piena! Celiane provò una fitta di gelosia nel pensare che suo fratello preferisse scrivere a lui piuttosto che a lei. Ma durò pochi istanti, fino ad accorgersi che un giovane Markus potesse soffrire molto di più la solitudine e l’amarezza di quanto una piccola Celiane fosse mai stata costretta a fare in mezzo a tanti coetanei, alle montagne blu.
-mi chiedi se l’ho visto? Appena sposata Clodia mi ha fatto promettere di andare a vivere nei possedimenti ad ovest, in mezzo alle campagne, dove non avrei potuto avere contatti con nessuno. Col tempo poi non è servito a molto: è come se vedessi le persone con l’anticipo di qualche giorno: se una persona sta per morire, non la vedo e non la sento.
Nella mente di Celiane si addensarono nugoli di domande e pensieri:
-E se un giorno non riuscissi a vedere la tua immagine riflessa?
-E quello che mi chiedo da quando è morto mio padre
-Loro?-La principessa indicò il cortile, dove stavano lavorando le squadre di meccanici- quanti ne vedi?
-non preoccuparti: lui c’è.
Punta nel vivo Celiane non cercò di fermare il suo ospite, che se ne stava andando. Guardò il suo compagno discutere animatamente con un meccanico e sperò che Markus non le avesse mentito.
 
Le settimane seguenti passarono allo stesso modo: celiane aveva chiesto al padre di istituire un flusso continuo di messaggeri tra Alisia e la Città del Ferro; i messaggeri a cavallo portavano notizie sul numero di mirti in ogni battaglia da Celiane, e lei rispondeva segnando i progressi coi vector. A parte questa breve incombenza la principessa non aveva altri contatti con il laboratorio e con Gen: non le andava di passare all’hangar più tempo dello stretto necessario, di certo non mancava a lui, inoltre non voleva togliergli tempo prezioso, sia che lo passasse tra i ferri che tra le braccia di qualche nuova fiamma.
Non che avesse tempo libero, oltre ad allenarsi da sola, ascoltare le riunioni dei consiglieri o rileggere quei quattro libri su gli angeli massacratori che ormai sapeva a memoria.
-Ormai potrei scriverne uno anche io, non credi Markus?
Disse a lui , che stava leggendo seduto non molto lontano. Non giunse però nessuna risposta, eppure era a distanza d’orecchio…
-Markus, hai sentito?
Ancora niente, rimaneva concentrato su una pergamena, che stava compilando con concentrazione.Celiane si alzò e si avvicinò al giovane, frapponendosi tra lui e le carte, nulla. L’abisso si aprì dentro di lei non appena realizzò che non era sentita ne vista da Markus, si mise a camminare intorno al tavolo con le viscere in subbuglio; si sedette sulla sua poltroncina, con le mani nei capelli. Davanti agli occhi aveva solo l’immagine del suo carnefice rosso.
Passò diversi minuti in questo modo, scoccando di tanto in tanto occhiate al suo ex futuro sposo, nella vana speranza che si fosse sbagliato, ma niente. Dopo un po’ subentrò tuttavia un tetro senso di consapevolezza e compiacimento tragico, sarebbe morta a breve, come un’eroina. Visto che c’era poteva godersi le sue ultime ore di vita. Si alzò e si diresse verso la postazione di Markus, si avvicinò per  vedere cosa avesse di tanto importante da scrivere quando si accorse che ciò che stava tracciando sulla pergamena erano per lo più disegni astratti, quasi degli schemi. Il ragazzo intinse la penna nel calamaio e questo diede l’idea: aspettò che l’inchiostro sulla penna si esaurisse per spostare il calamaio quando lui doveva intingere, ma non aveva pazienza, in fondo, chi ne ha quando ha i giorni contati? Con un gesto deciso fece per rovesciare il calamaio ma una mano le fermò il colpo
-Pensi che sia un idiota, Celiane De Alisia?
-Un idiota che vuole morire presto - Sbottò Celiane, tanto non poteva sentirla
-Guarda che ti ho sentito,
-Davvero? DAVVERO? Prova a sentire questo!
Celiane prese un grosso codice e picchiò il dorso sulla testa di Markus
-AHIA! Ma che vuoi, ti ho appena allungato la vita di cinquant’anni!
-Dopo avermela accorciata di sessanta, idiota!
-Non preoccuparti, vedo la tua brutta faccia fin troppo nitida, tanto vivrai una lunga e noiosa esistenza,
-Noiosa di certo, se dobbiamo passarla fianco a fianco…
Markus alzò lo sguardo su di lei, senza smettere di sorridere
Celiane gli sorrise di rimando, poi sedendosi vicino a lui gli si rivolse a bassa voce:
-Posso chiederti una cosa?
-Me ne hai già chiesta una
La donna alzò gli occhi al cielo
-Perché queste nozze?, insomma l’alleanza non è già abbastanza salda grazie a quello di Alester e Clodia? E poi, francamente parlando, la fuori è pieno di principesse regni molto più potenti come dote…
- e soprattutto io diventerei Re della Citta del Ferro, in quanto maschio, non credi?
-Lei rimarrebbe fuori anche da casa sua…
-Perché tu hai il tuo fratello minore che può prendere il posto di Alender sul trono di Alisia
-No... è deciso da quando aveva tre mesi che si sarebbe sposato con Luna Caellender
-Forse –Markus abbassò ancora la voce- ha fatto una scommessa…
Celiane Aggrottò le sopracciglia
-Si aspetta che noi due moriamo per avere i due regni, Città del ferro in quanto mia sorella e Alisia in quanto vedova di Alender, e poi vuole i vector.
Lei si allontanò col busto con gli occhi spalancati
-Beh, non ha tutti i torti… io combatto angeli massacratori a bordo di una bomba volante, mentre tu…
-Che vorresti dire? -Markus alzò un sopracciglio- guarda che non sono così gracilino come sembro
-non ne dubito, mi stupisco di come non riesca a vederti attravers… hey! L’inchiostro non va via!

Inanzitutto ringrazio Pizeta per il sostegno e per i giudizi che mi ha dato, cose che per un autore alle prime armi sono importantissime.
Ringrazio anche i lettori silenziosi che sono arrivati fino a qui.


 

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Capitolo 8
*** Apollonius ***


Apollonius
Uno stormo di anatre bianche voleva tenere il passo col vector, a pilotare la navicella Celiane cercava di tenerlo in rotta lottando contro le correnti di alta quota. Quel giorno non era stato il consueto messaggero della città del ferro, ma Gen, che l’aveva svegliata all’alba entrando nelle sue camere.
 
Qualche ora prima:
In mezzo alla stanza vibrava la luce bianca del primo mattino, Celiane vide un’ombra avvicinarsi, d’istinto cercò la piccola daga che teneva sotto il letto, poi aveva messo a fuoco, un ragazzo alto, con delle spalle che il lavoro da meccanico aveva cominciato a scolpire, coi capelli arruffati  e gli occhi cerchiati: Gen Fudo. Lei Spostò lo sguardo sulla finestra spalancata e vide la cima di una scala spuntare dal parapetto.
-Che vuoi?
-Buon giorno anche a te principessa
Celiane ancora a letto si coprì con le lenzuola
-La porta era chiusa a chiave… -disse lui a mo’ di scusa
-Beh, c’era un buon motivo se lo era
Gen si sedette sul ciglio del letto e la guardò, lei percepì l’inquietudine nei suoi occhi e si tirò su, seduta a gambe incrociate.
-abbiamo finito le Gemme dell’Anima
Ci volle un po’ a Celiane per metabolizzare la frase, Gen non aveva mai fatto giri di parole
-Dobbiamo farne arrivare altra
-Non c’è tempo  per farne arrivare altra… il carico che avevamo commissionato è stato disperso.
In un turbinare di lenzuola Celiane saltò giù dal letto e cominciò a cambiarsi dietro al paravento:
-Quanta ne abbiamo?
-Una sola, tre ore scarse di volo sul vector Beta, due se la attiviamo sull’Alfa, sessanta minuti sul prototipo Gamma.
Il volto della donna sbucò da dietro il paravento intagliato:
-Qual è la velocità del Beta?
Gen si era voltato e guardava fuori dalla finestra:
-cinquanta nodi, ma la velocità dell’alfa è doppia
Per un attimo il pensiero di entrambi andò al prototipo gamma, ma per Gen era troppo instabile, mentre per Celiane non era abbastanza veloce.
Celiane riemerse dal paravento con addosso i soliti abiti da mettere sotto l’armatura: pantaloni scuri e stretti, canotta che impediva di esporre la pelle delle spalle e dei fianchi al metallo dell’armatura.
-Vada per il Vector Alfa, ci vediamo all’hangar
Gen la guardò interrogativo e fece per uscire insieme a lei  dalla porta della camera, Celiane lo fulminò con lo sguardo e sibilò:
-Già sei entrato nella camera senza permesso, entra da dove sei venuto se vuoi evitare uno scandalo di corte.
 
Le Gemme dell’anima non erano estratte, come era facile pensare, in oscure caverne, racchiuse in sfere di pietra calcarea, al contrario, esse si generavano alla luce del sole e si trovavano solo in una piccola pianura a nord ovest di Alisia. Era facile trovarle, e raccoglierle, ma non arrivare alla valle ed uscirci vivo e con le gemme, ma a bordo di un verctor cambiava tutto.
Per non aggiungere peso inutile aveva lasciato a casa tutta l’armatura e le armi, aveva preso una spessa borsa di pelle, l’involto con gli arnesi da estrazione, un po’di corda e si era involata verso nord ovest. Col vento a favore riuscì a vedere i primi barlumi violacei della valle, poi si dipanò sotto di lei un paesaggio lunare sterminato fatto da cristalli di ogni dimensione. Ben presto Celiane si trovò sospesa su un mare luminoso: le gemme ricevevano la luce mattutina e la riflettevano in alto, dando l’impressione che sotto di lei non ci fosse roccia ma un altro sole. Celiane cercò di non sconcentrarsi  e si diresse verso il centro della valle, dove erano più grosse e potenti. Una volta trovato un posto che le sembrava buono scese di quota fino ad arrivare a due metri scarsi sopra la distesa e cominciò ad estrarre gli strumenti di estrazione dalla borsa: una piccola carica esplosiva, un contenitore attaccato ad una corda e un lungo bastone di legno.
Innescò la carica, che era poco più grossa di una mela e la lasciò cadere,  la piccola esplosione ondeggiare il vector. Poi calò il contenitore e col bastone si aiutò a farceli entrare. Nel giro di un ora aveva raccolto diversi chili di gemme, abbastanza per un mese di volo ininterrotto.
Abbastanza soddisfatta Celiane riprese quota per tornare verso casa, ma qualcosa stava andando storto:folate improvvise di vento creavano vuoti d’aria che facevano precipitare verticalmente il vector per diversi metri, non riusciva a mantenerne più il controllo. Mentre cercava di riassettare il velivolo la principessa non si era accorta delle nubi nere che avevano oscurato il cielo e non si accorse nemmeno del fulmine che colpì il verctor con lei sopra.
Riuscì a non cadere in picchiata, ma l’impatto sulla superficie cristallina fu piuttosto duro.
Celiane strisciò fuori dall’abitacolo, si accorse con orrore che un pezzo di metallo le si era conficcato nella coscia; le mani le tremavano, riuscì a stento a farsi un laccio emostatico con la corda per le gemme, si guardò intorno: i cristalli crescendo in tutte le direzioni impedivano di fatto di camminare, figurarsi  strisciare. Si lasciò andare su un grosso cristallo, sopra di lei cominciò a scrosciare la pioggia, prima di perdere conoscenza pensò all’ironia della situazione, in mezzo a quell’oceano di carburante non sarebbe comunque riuscita a tornare a casa con il vector.
Raccolse un piccolo cristallo, non più grande di una conchiglia, magari, le gemme dell’anima potevano fornire enegia anche alle persone…
La vista le si appannava, intorno a lei quella agghiacciante foresta di pietre assumeva i colori della pioggia, grigio, blu, nero… blu… grigio… rosso… blu… nero……. rosso.
Una sagoma scarlatta le si delineava davanti, prima che potesse mettere a fuoco l’angelo massacratore si era avvicinato a lei, inspiegabilmente le aveva teso la mano.
E inspiegabilmente lei l’aveva accettata.
Inaspettatamente non morì al contatto, anzi fu come far defluire tutto il dolore attraverso quella piccola superficie ; davanti a lei vide l’angelo trasalire, poi lo sentì rafforzare la presa, aiutarla ad alzarsi, fino ad arrivare viso a viso.
La pioggia batteva sul suo volto, infradiciandogli i capelli, il vento muoveva le sue vesti, tuttavia qualcosa, nel suo aspetto trascendeva la dimensione fisica, un bagliore tenue, continuo, come quello di una candela. Una piccola e remota  parte del suo essere gridava allarmata, ma anche se Celiane l’avesse udita non le avrebbe dato retta; tutte le teorie sugli angeli massacratori, tutta la sua educazione riguardo ad essi, gli anni di addestramento sembravano scivolare via spazzati dalla pioggia. Davanti a lei lo vide socchiudere la bocca, poi i suoi occhi, imperlati d’acqua, sorrisero; nel cuore di Celiane sbocciò un tepore indicibile, che traboccò nell’unica parola che riuscì a pronunciare:
-Apollonius
Vide il suo sorriso estendersi alle labbra e scoprire i suoi denti:
-Celiane
Lo aveva sussurrato dolcemente, con una voce baritonale, che vibrava nell’aria.
Poi la terra cominciò a ruotare intorno a Celiane. Prima di svenire notò la pozza di sangue intorno alla sua gamba.



 

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Capitolo 9
*** Gemma del Ricordo ***


Lo dico all'inizio, a scanso di equivoci, questo papiro è il capitolo più trash che abbia mai scritto, non ho potuto eliminarlo per il semplice motivo che mi sono accorta troppo tardi degli altissimi livelli di melodrammaticità spicciola e i prossimi capitoli poggiano troppo su questo. Perdonatem
Gemma del ricordo
Le fronde dell’albero della Vita agitate dalla brezza proiettavano immagini mutevoli su Apollonius, che sdraiato su un ramo  si stava godendo un po’ di solitudine. Era troppo inquieto, non voleva mostrarsi a nessuno nelle sue condizioni, non finché non si fosse calmato. Era difficile nascondere i propri pensieri ai suoi simili, se avessero scoperto che lui aveva lasciato andare  un umano dopo averlo colto in fragrante al confine con Atlandia, avrebbe perso la fiducia di Ioannes e sarebbe stato esiliato.
Si guardò la mano destra, poteva ancora sentire il formicolio che toccare quella umana le aveva causato: normalmente muoiono prima di accorgersi di cosa sta succedendo loro, ma quella… l’aveva riconosciuta subito, prima grazie al Morokai schiantato, poi grazie al suo odore, frenato dalla pioggia battente. Avrebbe potuto ucciderla con un colpo di spada, o lasciarla li a morire, tanto il suo prana sarebbe comunque arrivato all’albero… ma quei pensieri erano affiorati in lui quando ormai le aveva teso la mano, e quando sentì la scarica di energia provenire dal loro contatto, essi erano svaniti.
Avrebbe dovuto ucciderla quando poteva, prima che il suo nome risuonasse dentro di lui; Apollonius lo assaporò sulle labbra , senza emettere alcun suono. Avrebbe dovuto vendicare Toma per il taglio, vendicare il suo orgoglio quando lei aveva osato colpirlo, ma non ne era stato capace. Con un sospiro si rese conto che non ne sarebbe mai stato capace: non appena Celia…quella si era accasciata a terra esanime l’aveva addirittura guarita!
Apollonius si mise a pancia in giù, disteso sul ramo; sotto di lui, oltre le fronde  poteva vedere la vita fatata del sottobosco. Si guardò la mano, nessun segno visibile. Era come se lei gli avesse lasciato una scottatura, anche quando aveva provocato il flusso di prana per smettere l’emorragia alla sua gamba la stessa scarica energetica lo aveva colpito: in genere il guarire era l’attività più dispendiosa, ma con lei, con …Celiane, era stato come sfiorare con le dita un torrente montano, come se invece di guarirla, in realtà fosse stato lui stesso curato.
All’improvviso realizzò che voleva toccarla di nuovo.
                       
Quando risvegliò era buio. Celiane si trovava nella sua stanza, illuminata solo da delle braci, che rosseggiavano nel camino. Prima di mettersi a sedere  si accorse della sua mano, calda tra quelle di suo padre, che dormiva su una sedia, con il busto e la testa abbandonati sul suo letto. Presa  dalla tenerezza, con la mano libera si liberò di una delle sue coperte e la mise sulle spalle del Re. La giovane si risdraiò, fuori la pioggia scrosciava ancora; Celiane si mise su un gomito, strinse la mano del padre, lui si svegliò.
-Padre, sto bene, andate a riposare
La sua voce era dolce, sommessa. L’uomo sobbalzò leggermente, poi comprese che lei era sveglia, sorrise piano, si alzò cautamente –quelle ore di sonno scomodo si facevano sentire fin troppo- e si diresse verso le sue camere.
Fuori dalla porta, disteso per metà su una panca si era assopito un giovane dai capelli argentei; sembrò non accorgersi dei passi strascicati di Galahad De Alisia.
 
Il mattino dopo le ci volle un po’ per realizzare di essere a casa sua, al caldo tra le coperte. Si mise a sedere e si guardò intorno: la stanza era vuota, dalla finestra baluginava la luce biancastra del mattino presto, dovevano essere tutti occupati, pensò. Sopra di lei pendeva un piccolo pendaglio di cristallo, che rifrangeva la luce solare sul soffitto, sotto forma di arcobaleno. Le gemme dell’anima: gli avvenimenti del giorno prima le piombarono addosso come una secchiata d’acqua gelata, si toccò la coscia,  dove sarebbe dovuto esserci dolore e ferita trovò solo la sua pelle liscia, il muscolo sottostante intatto.
Come si trovava li? Era venuto Gen a soccorrerla? Infondo lui era l’unico a conoscenza della missione… inoltre doveva aver usato il poco potere residuo di uno dei vector, visto che la distesa di gemme era inaccessibile ai mezzi di terra…
Scese velocemente dal letto, si vestì a casaccio e scese nell’hangar, doveva scusarsi per aver distrutto un vector, e per non aver recuperato nemmeno una gemma e per aver fatto sprecare  dell’inestimabile energia.
Di tutto si aspettava tranne che una standing ovation, quando varcò la soglia dell’officina all’aperto, come se avesse ucciso un Massacratore. Delle braccia la sollevarono e la alzarono in alto festanti, la stavano trasportando verso la pedana centrale, dove a mezz’aria fluttuava il vector Alfa, con cui era andata in missione. Celiane non toccò terra finchè non fu sulla pedana, dove Gen la stava aspettando, coi suoi soliti capelli scuri e arruffati. Appoggiato sulle assi di legno c’era un grosso sacco di tela, ricolmo di bagliori iridescenti, saranno stati trenta chili di gemme; il loro riflesso si proiettava anche su Gen, che appariva circonfuso di luce.
La sua bocca si muoveva, ma Celiane non sentiva altro che rumori ovattati, vedeva la folla esultante intorno a loro, ma le sembrava di essere lontano da essa, come se fosse su un vector… Lui le stava porgendo una catenella dorata con appeso un ciondolo, non più grande di una conchiglia;  lei chinò il capo, il ciondolo, una gemma dell’anima, le brillò familiare sul collo, sorrise, la prese tra le dita. Un’esplosione rossa la investì. Vide lo schianto, la pioggia. E Apollonius, davanti a lei. La sua mano che si tendeva, i capelli che contrastavano col cielo color acciaio, le sue labbra che pronunciavano il suo nome; Risentì il calore sgorgare dentro di lei, ma questa volta, invece di chiamarlo, gli mise una mano dietro la nuca e lo baciò.
Nell’attimo in cui il bacio venne corrisposto la principessa aprì gli occhi: chioma scura, carnagione bronzea, era Gen.  Si staccò subito, un misto di vergogna ed orrore le si levò dal diaframma: non solo aveva baciato Gen in pubblico, ma lo aveva fatto pensando ad un massacratore! Davanti a lei il ragazzo passò da un sorriso confuso ad un profondo imbarazzo, mentre Celiane si rivolgeva alla folla, senza avere alcuna idea su come spiegare l’accaduto:
-Io…  Ringrazio Gen e la squadra che mi ha recuperato alla valle. Bacerei ognuno di voi ma penso che Gen sarà felice di farlo per me
Un misto di risate e fischi d’approvazione si levò davanti a lei. Si rivolse a bassa voce verso Gen:
-Grazie
Fece per andare ma si accorse di avere la mano stretta nella sua. Alzò gli occhi verso di lui, chissà perché le stava venendo da piangere:
-Scusa.
Detto questo si congedò da Gen e da tutti, passando per il retro.
 
///
 
Celiane si chiuse  a chiave nella sua stanza, l’ultima cosa che voleva era vedere qualcuno: con la schiena appoggiata contro la porta  si lasciò cadere sul pavimento di legno. La Gemma dell’Anima dondolò pesante al suo collo, la prese tra le dita: ammirò il lavoro di oreficeria che permetteva alla pietra di ricevere i raggi della luce praticamente da ogni direzione, grazie ad una minutissima imbracatura di filigrana che la incorniciava lungo il lato più lungo e dalla quale partivano, senza soluzione di continuità, le estremità intrecciate della catenella. Come tutte le  Gemme sembrava pulsare di luce, solo che in quel momento sembrava brillare meno rispetto a quando gliela avevano messa al collo. Se la portò davanti agli occhi, come se dovesse vederci attraverso. Brillava meno, come se rispondesse alle leggi dell’ottica di una camera in penombra, come se si fosse consumata.
Rimase per diversi minuti a fissare assente la luce rifrangersi sulla pietra; gli avvenimenti della Pianura sembravano accaduti anni e anni prima, ma alcuni particolari rimanevano vividi dietro ai suoi occhi, la pioggia che fluiva dalla sua mano mentre gliela tendeva, lo stesso sussulto che avevano avuto quando si erano toccati, il lavoro dei tendini e dei muscoli sotto la pelle del suo corpo mentre l’aiutava ad alzarsi.
Celiane si sdraiò sul pavimento. Era combattuta: razionalmente sapeva che era un piano angelico per debellare la loro difese, di sicuro stava meditando un modo divertente per raccogliere il suo prana, come trovava divertente giocare con lei mentre altre persone perdevano la vita.
–Apollonius
Lo aveva pronunciato come se fosse la prima parola dopo mille anni di silenzio, come se tutte le altre parole del mondo fossero vuoti susseguirsi di suoni. Ricacciò indietro il nodo in gola che le si era formato: la vergogna per essere vulnerabile alle manovre dei suoi nemici, per non rispettare e onorare i suoi amici, per essere così facile da distruggere. Il suo petto cominciò ad esser scosso dai singhiozzi, voleva urlare, piangere come fanno i bambini, senza doversi trattenere.
Qualcuno bussò alla porta, Celiane non rispose, magari nessuno sapeva che fosse in camera sua; ridusse i singhiozzi a dei sussulti ascoltando i passi dall’altra parte, ma non sentì nessuno andarsene. La porta venne socchiusa, spuntò una testa bionda: Markus.
Guardò  prima il letto, poi abbassò lo sguardo e la vide per terra.
-Ah, allora è questo che vi insegnano alle Montagne Blu in fatto di gestione dello stress
-Sta zitto
Lei lo fulminò con un’occhiata se-entri-ti-uccido, ma non doveva sembrare molto convincente, visto che il ragazzo era entrato e adesso si era seduto sul letto rimbalzando un po’ e saggiandone la comodità.
Celiane si mise seduta, reprimendo i singhiozzi, era determinata a non dire una parola finchè non l’avesse lasciata sola. Con sua grande sorpresa Markus si tolse gli stivali, si sfilò la casacca di lana bordeaux e si mise sotto le coperte.
Lei aprì e chiuse la bocca più volte, con gli occhi spalancati: come si permetteva? Dormire nel suo letto! Non si vergognava? Stupida gente della Città del Ferro, buona solo a rompere le scatole e a combinare…
-Puoi smetterla di brontolare? Anche se pensi e basta mi sembra di sentire una pentola di fagioli
Celiane ruppe il silenzio:
-Allora, dimmi cosa non ti piace del tuo letto? Non puoi andartene la a fare il tuo riposino di bellezza?
La risposta si levò dal fagotto nel suo letto
-Questa notte non ho chiuso occhio e i  miei precettori vogliono che non rimanga indietro, perciò continuano a propormi problemi da risolvere. Nessuno penserà che l’integerrimo Markus Schiregaard giaccia nel letto dell’unica e amatissima figlia di Re Galahad de Alisia.
-Sono impressionata. La vostra sagacia è pari solo alla vostra prestana fisica Markus Von Schieregaard
Ma dal fagotto sul letto non provenne  alcun rumore. Celiane strizzò gli occhi, ancora umidi di lacrime, per vedere meglio e notò che il fagotto si muoveva seguendo i lunghi respiri del suo occupante. Perfetto, perché non c’era mai nessuno ad ascoltare le sue brillantissime battute? Rimase seduta per terra ancora per un po’ finchè non le si congelò il sedere, poi decise che era il momento per uscire e tornare al ginnasio, dove si sarebbe dovuta allenare dal sola.
 
Si alzò, socchiuse la porta per sbirciare e vide che il corridoio era occupato da diverse sagome con lunghi abiti, tra quelle riconobbe Hanilej e un vecchio grassoccio, che lei riconobbe come uno dei precettori di Markus. All’improvviso tutta l’energia che aveva fino a pochi secondi prima le scivolò via dalle membra e non ebbe più la certezza di voler passare attraverso quel muro di persone per arrivare al ginnasio. Richiuse la porta e si voltò verso il suo letto, dove quel lavativo si era messo a dormire:Ma come si fa ad avere precettori a vent’anni? Poi si ricordò che nemmeno lei aveva ancora completato l’addestramento sulle montagne, quindi lasciò perdere e andò a prendersi un libro da leggere davanti al camino.
Dopo qualche Celiane chiuse il secondo volume di Massacratori Alati. Fuori era cominciato a piovere. Non era successo molto: l’intruso dormiva ancora e,cosà più sconcertante, nessuno era venuto né a cercare lei, ne Markus, il che aveva destato un po’ di disappunto, soprattutto nella parte principessinesca del suo carattere. Il volume di pergamena posava ancora sulle sue gambe incrociate e la miniatura sulla copertina –uno spaventoso demone alato- la fissava con occhi dorati. Distolse lo sguardo, come se lui l’avesse sorpresa a fissarlo, anche se non aveva ali membranose, ma coperte di piume e l’oro dei suoi occhi non fosse solo un sinistro bagliore metallico ma un’alba vibrante. Non aveva ancora idea di cosa fosse accaduto il giorno prima… o non voleva averla? In fondo quante persone, a parte lei  e l’autore di Massacratori Alati, avevano visto da vicino un angelo delle tenebre ed erano sopravvissuti? Aveva quasi l’impressione di vivere solo durante gli scontri e le fasi di pace fossero uno sfocato dormiveglia in cui aveva a malapena la lucidità per orientarsi.
Il suo sguardo cadde di nuovo sul suo letto e sul suo occupante; c’era una zona ancora libera, dove poteva stare comoda anche lei. avrebbe potuto benissimo dormire sul tappeto davanti al camino, come un piccolo animale, ma stava rabbrividendo dal freddo  e le coperte sul letto erano una promessa di tepore troppo invitante…
Si alzò e un dolore urticante alle gambe le fece perdere l’equilibrio. Si aggrappò con le mani ad una delle colonne del baldacchino, imprecando tra sè e sé: le si erano addormentate le gambe! Ore e ore seduta nella stessa posizione e adesso aveva dei pesi morti attaccati alle anche; staccò una mano dalla colonna e si diede un pizzicotto: niente di niente, forse stava sognando, o forse aveva perduto l’uso delle gambe per sempre…
Cercò di mettere un piede davanti all’altro senza perdere l’equilibrio e si lasciò cadere di pancia sul materasso invece di scivolare sotto le coperte come un silenzioso gatto.
Di fianco a lei sentì un rivoltarsi finchè non comparve un viso dall’involto di coperte. La ragazza non potè fare a meno di pensare ad un cannolo ripieno o ad una lumaca, non riuscì ad essere totalmente seria quando vide la sua espressione corrucciata.
Si preparò anche per rispondergli a tono , ma  lui si ritirò dentro le coperte senza dire nulla. E Celiane si ritrovò di nuovo alle prese col formicolio nelle gambe, che al momento sembrava molto peggio della ferita del giorno prima.
Con la coda dell’occhio guardò verso il suo compagno per vedere se era sveglio, ma c’era solo un groviglio di capelli dove prima aveva visto i suoi occhi. Si girò verso di lui:
-Pssst
Si levò un mugugnio
-Posso chiederti una cosa?
-Me ne hai appena chiesta una
-Idiota
Celiane incrociò le braccia e si mise supina, ma non vi rimase per molto; si rivoltò verso di lui e si mise a fissarlo finché poco dopo non emerse  il suo viso: era sveglio, i suoi occhi brillavano come quelli di Gen quando parlava di meccanica.
-Beh? Che vuoi?
Presa così in contropiede lei non seppe subito rispondergli: in verità non sapeva bene in che modo potesse essere utile confidarsi con Markus, nemmeno come avrebbe preso quelle confidenze. All’improvviso provava una vergogna profonda. Si era fatta ammaliare dal fascino angelico, come un insetto attratto dal profumo emanato da una pianta carnivora.
-Ieri, io come sono arrivata al Palazzo?
Markus si girò a guardare il soffitto e cominciò a raccontare con voce tranquilla.
- In barella: eri atterrata poco fuori le mura, è stato un colpo: non ti eri fatta viva per tutta la mattinata e all’improvviso sei precipitata con un Vector. Tuo fratello Ion era preoccupato, tuo padre ha avuto una ricaduta. Gen era l’unico che sapeva della tua assenza e aveva formato una squadra di ricerca che sarebbe dovuta venire a prenderti alla distesa di cristallina; avevano appena sorpassato le mura quando ti hanno vista cadere.
Celiane si sentì stringere dentro: non  immaginava che una partenza avventata e nascosta avrebbe generato un tale numero di danni, soprattutto ai suoi familiari. In silenzio si attribuì qualità che nessuna signorina dovrebbe nemmeno concepire. Avrebbe dovuto chidere scusa in ginocchio.
-Quando ti hanno tirato fuori avevi perso i sensi, eri piena di sangue ma sembrava che non avessi subito traumi. Ti hanno portato qui e il resto lo sai
Celiane si ritrovò ancora a reprimere le lacrime. Fece aspettare qualche lungo attimo prima di prendere coraggio e parlare:
-Alla Distesa, ho incontrato un Massacratore
Markus si voltò verso di lei, interessato, ma rimase impassibile mentre lei gli raccontava dell’incontro, del calore, dei ricordi che sembravano provenire dalla pietra e della guarigione. Ciò che loro cercano, il Prana, lo aveva provato sulla pelle, aveva avuto un assaggio di ciò che gli angeli bramano sopra ogni altra cosa.
-Magari con un po’ di Prana potresti guarire e tornare a vedere tutti,  avere più energia, vivere più a lungo
Markus era perplesso, aveva ascoltato la storia in silenzio fino a quel punto e Celiane non aveva più nulla da dirgli, perciò rimasero zitti per qualche tempo.
-Ti vuole viva. Un Massacratore ti ha curato._ Silenzio_ Ti ha curato usando ciò per cui è disposto eliminare degli esseri umani.
Esitò un attimo, come se si stesse trattenendo. Celiane non si era mai resa conto di questo aspetto, rimaneva impietrita a guardare le labbra di Markus mentre si muovevano ancora.
-Di chi era l’energia che aveva usato?
Celiane non riusciva a respirare, l’aria sopra di lei pesava più del piombo.
-Forse è una tortura, vuole che io assista a tutto
Non poteva essere vero; nel momento in cui lo diceva, cercava di convincersi della verità nelle sue parole, ma davanti a sè vedeva il suo viso mentre pronunciava il suo nome. Si vergognava di essersi fatta ingannare dal nemico, si vergognava del calore che stava provando in quel preciso momento e ogni volta che lo vedeva dietro le palpebre.
-Forse non ha mai desiderato farti del male, in fondo ti ha guarita
Celiane non riusciva a capire come lui potesse stare calmo, come se gli avvenimenti che la turbavano così profondamente fossero per lui come i litigi tra bambini. Si  alzò a sedere con un colpo di reni:
- E allora perché io? Non sono il guerriero più pericoloso, è pieno di Campioni, la fuori, è pieno di Re e Cavalieri che…
-CHE COSA CELIANE? –sbottò Markus, alzandosi- CHE  NON  VEDONO L’ORA DI MORIRE?
-Io non intendevo…
-IO NON LI VEDO PIÙ CELIANE, NON VEDO NESSUNO! Markus ansimava per la rabbia e per la frustrazione- ALL’HANGAR, QUANDO MI CHIESI  CHI VEDESSI, C’ERA IL DESERTO DAVANTI A ME!
Rimase per qualche secondo stringendo le coperte tra i pugni, tentando di calmarsi. Celiane rimase senza parole, i suoi erano veramente i crucci di un bambino piccolo, e come un bambino si preoccupava solo per sé stessa. Era Markus quello che moriva ogni giorno. Inaspettatamente  gli mise le braccia attorno al corpo e unì la sua fronte a quella del giovane; l’ultima persona a cui l’aveva visto fare era sua madre, probabilmente, pensò, era lo stesso anche per lui.
-Sai cosa? –la sua voce era incrinata per il groppo in gola- I preparativi per la partenza sono fatti, mancavano solo le gemme dell’anima per trasportare i vector, ma ora li abbiamo. Se vuoi possiamo partire domani.
Markus sollevò il viso; annuì guardandola dritto negli occhi. Erano rossi, ma non aveva pianto. 

Se qualcosa non vi convince, recensite. grazie a tutti quelli che hanno recensito, a quelli che hanno inserito la storia nelle seguite e a  tutti i lettori silenziosi.
Gavriel

 

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Capitolo 10
*** A mezz'aria ***


A mezz'aria
-Sei sicura che i suoi dot… hem.. precettori…
-Chissene frega dei dottori, col tuo permesso Fudo Gen, penso di avere abbastanza anni per disporre autonomamente della mia salute
Celiane non poteva fare a meno di ridacchiare sotto i baffi: davanti a lei due giovani, uno ben piazzato e abbronzato, coi capelli scuri tagliati di fresco e uno più alto, ma dall’aspetto molto più fragile stavano amabilmente battibeccando; quello più massiccio la guardava come un bambino guarda un adulto quando aspettandosi che lo aiuti con un un suo compagno, ma Celiane quella volta doveva dare ragione a Markus, se non altro perché si sarebbe risparmiato uno scomodo viaggio a cavallo.
Infatti il giorno seguente alla discussione con Markus e all’episodio imbarazzante – e accidentale!- con Gen, Celiane aveva predisposto la partenza per la Città de Ferro. I carri coi pezzi di ricambio e gli strumenti più rari erano partiti quella notte verso ovest; dentro uno di quei carri erano presenti vari componenti di un nuovo vector, che sarebbe stato completato utilizzando i pezzi che Gen e la sua squadra avevano commissionato alle più attrezzate fonderie della Città del Ferro. I due vector rimanenti erano per Markus, Gen e Celiane, che avrebbero sfruttato la nuova potenza e velocità per arrivare in poche ore a destinazione. Il punto era che al momento della partenza Gen aveva scoperto che Markus sarebbe salito a bordo e sembrava non volere che salisse sul Beta assieme a Celiane.
L’atteggiamento del moro la compiaceva e la irritava allo stesso tempo: era lui che se la faceva con tutte le meccaniche di Alisia e dintorni; lei quindi aveva tutto il diritto di stare con chi volesse.
-Markus Von Schieregaard, principe della città del ferro ha piena libertà di decisione in merito alla modalità di viaggio
Disse lei malcelando un sorrisetto; davanti a lei Gen se ne andò mettendosi le mani in testa
-Ma quanto odio quando parli forbito! Mi becco io il gamma, mammolette
-Gen! Lo sai che l’alfa lo lasciamo qua! È troppo scassato
-Fa’ un po’ quello che vuoi cara principessina
Urlò lui senza voltarsi Markus stava ancora sorridendo quando rivolse lo sguardo verso Celiane, che ne venne contagiata.
 
Dentro gli umani scorre il sangue, come negli angeli. Questo Apollonius lo sapeva non perché sentiva il pulsare affievolirsi quando ne prendeva uno per la gola, ma perché lo aveva visto, quel liquido rosso e nero che diventava subito solido; lo aveva toccato quando faceva a brani un soldato; lo aveva assaporato quando aveva provato a vedere se il prana degli umani scorresse nel sangue assieme alla vita. Non era molto diverso dal suo, con la differenza che si coagulava in tempi più lunghi e non aveva quel sapore pieno che qualche rara volta aveva provato leccandosi un graffio.
Quella volta tuttavia invece di usare una spada in una mietitura, aveva deciso di tornare alle vecchie abitudini, e come Toma si era lanciato sulla terra con solo la tunica scarlatta, simbolo del suo status. Mentre scendevano in formazione gli teneva una mano, voleva tornare a poco prima di quel periodo, alla complicità assoluta che condividevano, alla pace contemplativa, a quando non si faceva scrupoli nel mietere un po’ di prana.
Di fianco a lui brillava come una luna piena; Apollonius sorrise piano nel ricordare quanto lui sfavillasse quando era particolarmente euforico.  Toma si voltò dentro di lui, nel suo volto brillava un’allegria sommessa, quasi si vergognasse davanti agli altri angeli della gioia autentica che stava provando. L’angelo scarlatto non poteva non esserne travolto; strinse la mano nella sua e continuarono a precipitare.
 

-Davvero non vuoi guidare un vector?
Celiane stava inserendo un grossa gemma dell’anima nel veicolo, che si illuminò all’istante di un bagliore rosaceo. Già a bordo, Markus si teneva stretto per non cadere; era abituato ai lunghi viaggi, ma le altezze, specie quando era lui quello in alto non gli erano andate mai a genio.
-Sicura che non siamo troppo pesanti?
Per tutta risposta la ragazza gli lanciò un balestra di osso, che lo fece sbilanciare all’indietro.
-Con tutto il lavoro che la squadra ingenieri mette dietro ogni macchina, i vector migliorano di settimana in settimana.
Celiane afferrò una sporgenza e si issò a bordo con un colpo di reni, prese i comandi e volò piano sotto il portico. Una fila di sottili colonne a sinistra, una fila di colonne sottili a destra. Celiane sogghignò al pensiero del suo primo volo, Markus aggrottò le sopraccigli perplesso, ma prima che potesse fare qualcosa erano già partiti.

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Capitolo 11
*** Capo Velato ***


Nota: in questo capitolo non succede niente di importante ai fini della trama, potete tranquillamente saltarlo se non vi va. Beh, a parte il primo paragrafo, quello mi piace abbastanza, ma per il resto potete aspettare il prossimo, nel quale pubblicherò un breve ecco-cosa-vi-siete-persi.
Grazie a tutti coloro che hanno lasciato una recensione, in particolare CoolIrresistible1D e Pizeta, nonchè ai lettori silenziosi. Buona lettura!
Capo Velato
Se gli umani potevano dare qualche seccatura, in genere era per il loro frivolo attaccamento alla vita; certo se non fosse stato per la loro capacità di sopravvivenza e per la loro attività, ben presto Atlandia sarebbe rimasta a corto di prana, uttavia ad Apollonius ciò non dispiaceva: combattere con gli umani era divertente, vedere le loro espressioni mentre realizzano che non esisteranno più nel giro di secondi, quel lampo di supplicità in alcuni o di piccolo orgoglio in altri.
Quel giorno tuttavia, al loro atterraggio quello che trovarono non fu il solito schieramento di prede in tenuta da battaglia, ma delle file di esemplari curvi, piccoli, dall’aspetto malato. Si avvicinò a loro, al fianco di Toma, e quando atterrarono sul suolo sabbioso venne loro incontro uno di loro a cavallo. Era vestito riccamente, con un alto pennacchio e il volto completamente coperto; prima di rivolgersi a loro dovette calmare il suo cavallo, evidentemente innervosito.
-Questi sono sacrifici per i nostri nuovi Dei.
Apollonius allungò lo sguardo alle mura della città fortificata dietro il ricco messaggero  e gli uomini: non erano molto nitidi, per via delle increspature d’aria calda, ma poteva distinguere numerose sagome accalcarsi e cercare di osservarli.
Intanto Toma si era avvicinato all’uomo a cavallo, quello conosceva i meccanismi di drenaggio del prana, poiché si era coperto completamente. Toma accarezzò il muso del cavallo, che  di colpo divenne mansueto; Apollonius e i suoi compagni non trattennero un sorriso sghembo quando videro il loro capo dai capelli alati svelare il volto dell’uomo senza toccargli la cute. Si godettero lo spettacolo del suo viso, mentre si rendeva conto che stava morendo lentamente senza però capire come. Ali del Sole riconobbe quel familiare spasmo alle ginocchia che il suo compagno aveva ogni volta che assorbiva grandi quantità di prana; anche lui l’aveva provato, una sola volta poco tempo prima.
Toma si disinteressò del cavallo, che si imbizzarrì e scappò con addosso il cadavere non appena gli staccò la mano dal muso, si avvicinò agli altri umani, che si erano stretti tra loro, contorcendosi come larve. Non erano soldati, c’erano dei vecchi, delle piccole bambine, qualche uomo mutilato. Apollonius notò che non avevano tentato di scappare, infatti sembravano storditi, anche troppo per essere degli umani. Toma ne liberò uno con la schiena ricurva e i capelli canuti
-Va’ a dire ai tuoi simili che la prossima volta ne voglio il doppio, umano, o entriamo nelle mura.
Dopodichè diede il via alla mietitura.
 
Per arrivare al regno di Hoor, e più precisamente alla capitale, la Città del Ferro bisognava attraversare buona parte della regione collinosa del Parcher per risalire verso le Montagne Rosse, da cui si ricavava il ferro. Non poteva capitare tempo migliore, pensò Celiane mentre faceva vagare lo sguardo lungo l’orizzonte davanti a lei.
Markus aveva avuto un mezzo tracollo per un paio d’ore all’inizio, poi si  era abituato alle correnti ascensionali, ai venti che soffiavano di traverso e a qualche uccello disorientato che gli era volato in faccia. Adesso il principino se ne stava seduto dietro di lei a guardare il paesaggio scorrere lentamente sotto di loro.
-Ti sono grato per avermi lasciato venire, Celiane, Clodia non me lo avrebbe mai permesso
-Neanche io te lo avrei mai permesso, ma siccome il beta tende a sbilanciarsi in avanti mi serviva un contrappeso…
-Ma sentila, un sacco di patate ti sarebbe stato più utile
-In effetti un sacco di patate non avrebbe vomitato sulla fusoliera del vector…
-Un sacco di patate ti avrebbe mai recitato tutta la saga di Buleegard?
Detto questo il giovane attaccò con un lamento a metà tra una cascata di chiodi e un gatto allupato. Celiane provò a ignorarlo facendo la sostenuta, ma siccome la saga di Buleegard minacciava di essere più lunga che una ballata piantò un’accellerata seguita da un pauroso avvitamento.
Terminata la manovra ci furono alcuni secondi di silenzio, poi una voce debole e strozzata:
-Celiane…
-Si?
 Disse lei ancora un po’ stordita
-Ti odio a morte, guarda che ti ritinteggio anche l’altra fiancata
Ci sarebbero state quattordici battute diverse per rispondere alla sua, ma lei si limitò a fargli notare che stavano per entrare in una nuvola. Lo sapeva di cosa erano fatte le nuvole, ma mai si sarebbe sognato che fossero così dannatamente bagnate.
 
Il mattino dopo Celiane si svegliò con uno starnuto. Aveva il naso e le orecchie tappate; spendido, così imparava a viaggiare senza coprirsi.  Scese dal letto e si vestì con il ricambio che si era portata sul vector e si affacciò alla finestra della sua camera: davanti a lei non si estendeva il placiso paesaggio collinare che con delle scogliere arrivava al mare, ma delle imponenti pareti di roccia, rese azzurre dall’alba pallida di Hoor.
Qualcuno bussò alla porta, dopo il permesso di Celiane entrò una giovane donna dai capelli scuri:
Tra un’ora sei attesa per la presentazione alla corte, principessa de Alisia. Sua maestà Clodia ci tiene a ricordarvi che non è una cerimonia militare.
-Allora dovrà aspettare fino a domani pomeriggio, perché i miei bagagli viaggiano su carro
Rispose lei con un sorrisino, ma la servetta non parve notarlo e continuò concitata:
-La regina se lo aspettava, e ha provveduto affinché vi possiate vestire come meglio si confà ad una futura regina _  le porse un voluminoso involucro di carta velina_  Ha detto anche che è un vestito speciale, appartenuto a vostra madre. Se volete posso aiutarvi ad indossarlo.
Celiane tirò su col naso, un po’ emozionata. Non aveva mai avuto niente che fosse di sua mamma, oltretutto non aveva nessun ricordo nitido del suo volto, se non per via della vetrata della biblioteca, in casa sua.
Dimenticandosi della piccola presenza appoggiò l’involucro sul letto e lo svolse piano. Quello che ne emerse era un abito di seta pesante, riccamente ricamato; lo svolse e lo tese sul letto. La prima cosa che notò fu che non era di taglio alisiano, ma molto più simile a quelli che aveva visto Clodia indossare: Scollo a barca, ampie maniche, una gonna lunga che scendeva dritta. Emozionata chiamò la servetta dai capelli castani e si fece aiutare a metterlo.
 
Se Alisia era costruita con la pietra e col vetro, Il Palazzo della Città del Ferro sembrava intagliata nella roccia: Gli alti soffitti alisiani non si addicevano al clima freddo di Hoor, quindi il corridoio che Celiane aveva percorso e la sala in cui stava entrando davano l’impressione di una calda accoglienza, sebbene un po’ spettrale, viste le piccole finestre.
Avvolta nell’abito non dava dell’occhio più di una qualsiasi cortigiana, quindi ebbe modo di arrivare fino al centro della sala praticamente indisturbata. Davanti a lei c’erano due troni uguali, uno dei quali occupato da Clodia, che stava ricevendo gli omaggi da alcuni delegati stranieri. Intorno a lei e lungo i lati dell’enorme salone c’erano altri uomini di corte: funzionari, capi militari avvolti nelle loro uniformi d’onore, damigelle e degli individui piuttosto eccentrici, che lei riconobbe come gli Estrattori. Con lo sguardo cercava altri volti familiari, come Gen, che era arrivato nel tardo pomeriggio del giorni prima, o Markus, che non vedeva da quando si erano separati nell’atrio appena arrivati.
Stava facendo vagare lo sguardo lungo le persone quando si accorse che un uomo in un abito blu notte le si avvicinò allegro. Celiane lo riconobbe dai capelli chiarissimi , ma quando fu vicino scorse anche il naso arrossato e gli occhi umidi.
-Markus?
-Anche tu sei raffreddata? Beh, per fortuna almeno non sono solo io quello così cagionevole.
In quell’istante tutto il salone si accorse della loro presenza con dei commenti sorpresi; Clodia, ammantata in un abito turchese con  profili di ermellino bianco li invitò al suo cospetto. Celiane non prestò molata attenzione al discorso di benvenuto, ma sapeva che più o meno parlava di una nuova alleanza di sangue e di nuove tecnologie contro gli angeli Massacratori, lei ringraziò e rispose più o meno con pertinenza e venne invitata formalmente a rimanere per quanto tempo ritenesse necessario.
Clodia le fece anche sapere che quella sera ci sarebbe stato un ricevimento di benvenuto in suo onore. Senza apparente motivo si sentì imbarazzata: non aveva mai avuto nessuna festa in suo onore, tra l’altro per via dell’addestramento non era mai andata a niente del genere. Contro ogni sua indole chiese di essere congedata per riprendersi dal “lungo viaggio” e ritornò alle sue camere

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Capitolo 12
*** Moscardini e Brodaglie ***


Moscardini e Bodaglie

Un Altro capitolo di Slice of Life. Non che mi sispiaccia, però adesso mi sto impegnando a scrivere scene di guerra e mi risulta abbastanza snervante la pèresenza di questo capitolo. Essenzialmente contiene informazioni che ampliano i retroterra dei personaggi- e anche nozioni di metallurgia!- e che descrivono l'ambiente e gli usi. Potete anche non leggerlo, nel prossimo capitolo metterò un breve riassunto di questo.

Non aveva fatto in tempo ad entrare che qualcuno bussò di nuovo alla porta. Questa volta non entrò nessuno, ma spuntò un pezzo di carta giallastra da sotto la porta. Celiane lo voltò: il retro era scritto con una grafia spigolosa e affrettata:
Tra mezz’ora alle cucine, non farti notare
Riconobbe la grafia. Un brivido d’eccitazione corse lungo la spina dorsale, la presunta stanchezza le scivolò via. Si soffiò il naso, si mise i suoi vestiti e uscì dalla porta.
Appena uscita dalla stanza però, si rese conto che non sarebbe stato così semplice; imprecò sotto voce. Dove stavano le cucine?
Chiedere a qualcuno non era contemplabile, seguire il profumo di manicaretti nemmeno, andare a casaccio avrebbe solo portato a delle complicazioni. Rientrò svelta nella sua stanza e si buttò sul letto. Davanti a lei c’era una campanella di ottone legata ad una corda rossa. Forse c’era un modo.
La cameriera bruna entrò dopo qualche minuto.
-Avete chiamato signorina?
Da sotto le coperte Uscì una voce tombale
-Non mi sento troppo bene, potete per piacere far arrivare un po’ di……  un po’ di brodo dalle cucine?
- Volete che vi chiami anche un medico?
-NO!, cioè no, ho solo bisogno di qualcosa di caldo, non è nulla di grave…
Appena se ne andò Celiane saltò giù dal letto e socchiuse la porta per vedere dove andasse, ma sirene subito conto che sparire in quel momento avrebbe fatto insospettire la cameriera, che rientrando col brodo non l’avrebbe trovata.
Camminò in su e in giù per la stanza prestando ascolto  di tanto in tanto finché non sentì dei passi lenti avvicinarsi. Si fiondò tra le coperte appena in tempo prima che compartisse la piccola serva con un vassoio.
-Dove lo posso appoggiare?
-Appoggialo qua
 Disse lei indicando il comodino. La servetta mora poggiò a canto a lei il vassoio, che conteneva una tazza di porcellana, piena di un liquido chiaro e fumante. Avendo cura di non far vedere i vestiti sotto prese la tazza con due mani e bevve avidamente davanti alla mora. Il sapore non era male, ma la lingua e la sua trachea stavano andando a fuoco. Con le lacrime agli occhi consegnò il piato vuoto alla serva, che la guardava impressionata.
-Molto buono, davvero- disse tossicchiando- grazie mille. Per oggi posso chiedere di non essere disturbata?
-Certo
Non appena si congedò fuori dalla porta, Celiane cominciò a seguirla da lontano. Il che richiedeva una certa dose di abilità, soprattutto all’inizio, poiché doveva evitare non solo la serva, ma anche tutte le guardie; però, man mano che scendevano verso i piani della servitù i corridoi diventavano sempre più angusti e affollati, e nessuno faceva caso a lei. Ogni tanto si era dovuta fermare, perché la servetta bruna, che aveva scoperto si chiamava Summer, si fermava a chiacchierare con qualche sua collega e aveva raccontato anche della faccenda del brodo a qualcuna di loro.
Dopo quello che parve un secolo e dopo diverse miglia di corridoi finalmente si aprirono le porte delle cucine. Subito un odore di selvaggina arrivò alle narici dei Celiane, che nel vapore dell’ambiente  perse di vista Summer. La trovò pochi secondi dopo avvinghiata ad un giovane che stava appoggiando su un vassoio un piatto vuoto . Brava la nostra Summer, pensò notando il profilo del suo uomo. Poi dietro di lui riconobbe un viso familiare: Markus, vestito da paesano. Celiane si fece largo fino a lui
-La prossima volta allega una mappa, non sai che cosa mi sono dovuta inventare per arrivare fino a qui di nascosto
-Penso di saperlo bene, visto non conosco questo posto meglio di te. Non è bello ingurgitare un moscardino intero davanti ad uno sconosciuto 
disse accennando il moroso di Summer. Celiane sorrise:
-Beh, la prossima volta prendi tu il brodo bollente. Va bene?
Riuscì a strappare a Markus un’altra risata si incamminarono fuori. La città del ferro non era come Alisia. Alla luce del mattino le strade erano lastricate in basalto grigio così come gli edifici più imponenti. Markus le porse una palandrana di lana marrone:
-Non penso ti sia mai uscita al mercato
Celiane lo prese e ci mise un po’ a capire come si mettesse, ma non appena lo allacciò cominciò a sentire il calore crearsi tra gli strati dei vestiti. Gli sorrise grata; lui ne indossava una uguale, che gli copriva gran parte del corpo e lo faceva sembrare più grosso
-Invece sembra che tu sia un assiduo frequentatore
-Quando non sono in biblioteca… ho una sorpresa seguimi.
Cominciarono a camminare per le strade acciottolate; tutto sembrava più acuto e affilato alla città del ferro: le persone, avvolte nei loro mantelli, le case di pietra ai primi piani e di legno ai successivi tre-quattro. Davanti a lei la sua guida gli indicava quali case fossero infestate, i posti migliori per dei dolci di mele, o quali fossero le famiglie della compagnia del ferro –tra le quali la più potente era appunto quella Schieregaard- A volte gli prestava attenzione, altre invece si perdeva a guardarsi intorno, o dietro la sua sagoma scura; tanto chè quando lui si fermò le gli sbattè contro.
-Siamo arrivati
Quello che Celiane vedeva era un’insegna di metallo battuto, dove le lettere si intrecciavano tra loro. Entrarono in un locale angusto, illuminato da un bagliore rossastro che proveniva da una camera dietro il bancone. Appese alle pareti, come spettri armature brillavano ammiccanti. Dietro al bancone una giovane donna, probabilmente coetanea ai due stava sistemando delle frecce; la poca luce della stanza le metteva in luce i capelli castani, il corpo asciutto e formoso, il viso rotondo.  corse loro incontro e buttò le braccia al collo del biondo. Celiane sgranò gli occhi, come potesse lui, un raccomandatissimo topo di biblioteca conoscere –ed essere in confidenza!- con una civile così carina, per giunta non appartenente all’elite della gabbia d’oro in cui aveva detto di essere cresciuto. Poteva giurare di aver sentito la seconda fitta di gelosia della sua vita, dopo aver visto Gen con una sventolona mora, ma si rifiutava di essere gelosa di… di…
-Gwen, questa è Celiane
La radiosa ragazza le porse la mano, a contatto la sentì callosa, ma non erano gli stessi suoi calli. Celiane si sforzò di apparire cordiale, in fondo non le aveva fatto niente di male
-Allora è lei quella di cui mi hai scritto in continuazione! Felice di conoscerti. Mi chiamo Gwenviere, sono la figlia apprendista di questa bottega d’armi. Venite pure nel retro, l’ho appena completata.
I due la seguirono verso la porta dietro al bancone. Celiane stava pensando al fatto che nessuno le mandava mai lettere quando rimase abbagliata dalla fornace in funzione: quando vi passarono davanti colò in un crogiolo quello che sembrava un piccolo sole liquido
-La mattina trattiamo l’acciaio, il pomeriggio lo battiamo
Spiegò Gwen
-Acciaio?
-E’ una lega di ferro e carbone, la otteniamo con queste fornaci, che permettono di trattare volumi maggiori a temperature più alte. E’ più resistente del ferro, ma meno flessibile.
Markus guardò Gwen complice, poi posò lo sguardo su Celiane, erano entrambi euforici. Gwen fece gadere un grosso drappo, che rivelò l’armatura più bella che Celiane avesse mai visto: Era costruita a scaglie, con varie placche sovrapposte progettate per accompagnare i movimenti; era come quella che aveva sul vector, senza placche addominali e dorsali, ma era molto più sofisticata.
-Non sai che fatica cercare di prenderti la taglia
-Markus mi ha spedito degli schemi della tua attuale armatura chiedendomi di migliorarla, i suoi disegni sono stati decisivi
Il biondo gongolò:
-Beh, nelle mani del miglior armaiolo della città del ferro anche uno scarabocchio può diventare un capolavoro
Celiane aveva gli occhi umidi, li abbracciò entrambi.
-Vedi quelle venature_ continuò Gwen indicandole le minuscole linee che ricoprivano tutti i pezzi_ sono acciaio temprato, che riveste un anima di acciaio flessibile: in parole povere non viene scalfita e non viene spaccata
-Posso provarla?
-Devi! Tu signorino esci fuori dal laboratorio
Markus se ne andò brontolando qualcosa sul fatto che quella era un’armatura e non una cintura di castità e sparì verso il bancone del negozio.
Celiane si tolse la palandrana e gli strati più pesanti di stoffa, mentre Gwen prendeva le placche femorali dal piedistallo. Mentre la aiutava a sistemarle non riuscì a trattenersi:
-Come vi siete conosciuti voi due?
-Io e Markus? Siamo cugini di secondo grado, ci siamo fatti insieme un sacco di ricevimenti, cerimonie, funerali… i nostri due padri sono cugini
Non sapeva se quella era una sensazione di sollievo o doveva essere ancora più preoccupata; per cosa poi?
-Non sapevo che…
Gwen le passò i coprispalla, erano leggerissimi.
-Che Markus fosse un mezzosangue? Cierca trent’anni fa una guerra aveva messo in grave pericolo la stabilità degli Schieregaard, la dinastia più longeva di Hoor. Per vincerla  avevano bisogno di armi, quindi di metallo, e guarda caso, i migliori armaioli, noncheè esponenti della compagnia del ferro erano gli Uther. Sua madre quindi sposò mio zio. Benchè programmato è stato un matrimonio felice. Anche perché grazie al prestigio riflesso dagli Schieregaard abbiamo potuto viaggiare e apprendere a sud le nuove tecniche di forgiatura.
-Per fortuna che esistono queste unioni fortunate
Gwen la aiutò ad allacciarsi i guanti e le maniche, che sembravano tessute di mercurio.
-Beh, di sicuro lo sarà anche la vostra
Celiane trasalì impercettibilmente. Lo sapeva?
-Noi insieme?
Gwen le girò intorno arrivando a parlarle faccia a faccia:
-Non hai visto come ti ha guardato quando hai scoperto dell’armatura?_ il suo tono si era fatto più basso e gutturale_ Ci ha lavorato per quasi un mese, durante il quale ha continuato a scrivermi di Alisia, di Massacratori e di te. Perciò, stangona fallo soffrire e ti vengo a cercare. Intesi?
-Gwen, lo zio ti vuole alla mola…
Celiane aveva fatto appena in tempo ad annuire quando Markus era entrato nella stanza sovvrapensiero; si bloccò non appena si accorse di Celiane, che arrossì violentemente al pensiero di avere tutta la pancia allo scoperto
-Celiane mi stava chiedendo se era possibile far arrivare l’armatura nelle sue stanze per la sera. Vero?
-Sì
 Rispose lei un po’ troppo in fretta
-Ti sta alla perfezione, dovrei farne fare un’altra per Gen, l’altro pilota
-Potremmo mandarlo qui quando arriva…
-O accompagnarlo, non credi? Prepara i tuoi ligotti migliori, Gwen; Celiane, io ti aspetto fuori.
Appena lui uscì dalla stanza Celiane ricominciò a respirare, si tolse in silenzio l’armatura e andò  assieme a Gwenviere  al bancone.
-Aspetta ho un’altra cosa
Tirò fuori da sotto il bancone un involucro di stoffa, che appoggiò sul piano vendita. Aprì l’involucro e apparve una lama di acciaio temprato affilata da due parti.
-Non ha ancora ne guardi ne niente, ma questo è il mio personale regalo per voi
-Per noi?
Domandò Markus indicando se stesso e Celiane
-Tra qualche mese avrete capito tutto, per il momento _fece sparire tutto sotto il bancone_ questa resta qui
Gwen  fece un sorrisino malizioso, che lasciò entrambi perplessi.
 
-E’ un po’ inquietante, ma è la migliore armaiola in circolazione: lei le armature, mio zio le lame.
Celiane rispose entusiasta, le veniva da saltellare per la felicità. Poteva sembrare inusuale, ma non aveva mai ricevuto un regalo da donna adulta, e sebbene quel giorno avesse ricevuto anche il vestito della madre, l’armatura d’acciaio era stata pensata e fatta apposta per lei.
Passarono la giornata insieme, passeggiando lungo il fiume e addentrandosi nelle stradine su per le colline. I pesanti cappotti li proteggevano dagli sguardi e dal freddo. Per la prima volta Celiane provò sulla sua pelle l’anonimato, l’idea che le sue azioni non venissero scrutate dai ministri, da suo padre o da chiunque altro, le lasciava il cuore leggero. Markus vicino a lei sembrava pervaso da una strana luminosità, come  se quelle ore di libertà fossero realmente le prime della sua vita. Prestava attenzione a tutto, ad una colonna di legno intagliato, a un passero che si proteggeva dal freddo, alle anatre che nuotavano controcorrente sul fiume; era come se vedesse tutto per la prima volta.
Quando ritornarono all’entrata delle cucine rimasero a lungo a indugiare sulla porta, consapevoli che vagliata la soglia sarebbero tornati alla formalità.
 
Un paio d’ore dopo Celiane stava sperimentando sulla propria pelle un ricevimento in pieno stile Hoor, c’era gente da tutta la città del ferro e fu presentata da
Clodia a tutti gli esponenti più insigni della città. Conobbe alcuni esponenti della compagnia del ferro con cui scambiò qualche parola sui vector e sui pezzi che avevano preparato per la sua squadra di meccanici; riconobbe alcuni dei suoi compagni di addestramento, che adesso erano diventati cavalieri, ma nessuno della sua vecchia classe, non dovevano ancora aver finito; una donna alta, dall’aspetto austero e i capelli ingrigiti le si presentò come una delle sacerdotesse di Mara e si offrì di benedire i nuovi vector, sia come ultimo baluardo contro gli angeli, sia come simbolo dell’imminente unione tra le nobili e antiche casate degli Schieregaard e degli Alisia. Celiane mancò un battito: unione? Ma non erano già unite dal matrimonio di Clodia  e Alester? Cercò di aggrapparsi alla regina con lo sguardo, ma lei non negò nulla, anzi rispose con cortesia e con garbo alla sacerdotessa maggiore.
Se non piantò li una scenata era perché sapeva che in gioco c’erano parecchie tonnellate di metallo miracoloso e la vita di due regni, ma da quel momento tutto parve scivolare intorno a lei, come la pioggia quando era ferità alla distesa delle gemme. Anche se era sobria non metteva a fuoco le cose, non memorizzava nomi. Si chiese perché la prendesse tanto male: tutte le donne con un certo status non hanno voce in capitolo in ambito matrimoniale, per di più lei non aveva nessuna storia d’amore che potesse contrastare con il fidanzamento programmato ed era sicura che molte delle sue coetanee l’avevano avuta. Tuttavia non poteva pensare di non essere stata avvisata, fatta partecipe della decisione, e venirlo a sapere da una sconosciuta.
La cerimonia di fidanzamento vera e propria si tenne prima di cena: i lampadari principali vennero spenti e la sala era illuminata solo dalla luce lunare e da sparute candele. L’atmosfera festosa e informale di poco prima era scomparsa, la stanza adesso era un tempio consacrato, dove le figure erano ridotte ad ombre spettrali. Venne chiamata da una voce che ricordò esser quella della sacerdotessa, si avvicinò al suo viso fiocamente illuminato. Venne nominato anche Markus, che comparve silenzioso dal buio, la luna si rifletteva sui suoi capelli e sul viso, la guardava fisso. Per un istante credette di vedere un angelo massacratore nei suoi lineamenti, ma poi si riscosse.
Poi senza che nessuno dicesse niente si inchinò e  con entrambe le mani le porse quello che sembrava un medaglione d’oro un tondo esteso circa quanto il duo palmo e spesso quanto un suo dito, decorato con una filigrana geometrica.
Non riuscì subito a riceverlo, era come sporgersi da un baratro, ma tese le mani e lo prese, era pesante. Davanti a lei Markus si alzò meccanico, tenendo le mani della neofidanzata. In quel momento le luci si riaccesero e cominciò la festa.
Nonostante l’abbondanza di pietanze, riuscì solo a prendere qualche boccone di pane e un po’ di acqua. Tra gli invitati cercava l’altra parte dell’accordo, Markus stava sorridendo dall’altra parte del tavolo mentre raccontava a degli invitato qualcosa di apparentemente avvincente, si trovò ad invidiare la sua serenità, il suo sangue freddo. Incrociarono per un attimo gli sguardi, nel vederla gli si congelò un attimo il viso, come se si dispiacesse, lei non ebbe il coraggio di sostenerlo e cominciò ad ascoltare una conversazione sulle migliori sartorie di Hoor.
Questa volta si sforzò di rimanere al ricevimento, anche quando dovette aprire le danze assieme al suo futuro sposo. Per fortuna, pensò, che Clodia aveva fatto suonare una danza classica e lenta, che anche una come lei potesse conoscere; mentre si concentrava sui passi e sugli scambi di cavaliere teneva lo sguardo basso. Non voleva che nessuno leggesse il suo stato d’animo, nemmeno…
-Celiane
Levò lo sguardo in direzione dell’angelo dai capelli scarlatti, ma era Markus. Si irrigidì involontariamente, lui lo sentì attraverso il palmo della mano attorno a cui stavano girando lentamente.
Non ebbe il tempo di dire altro che il ritmo cambiò, così come i loro compagni, e si ritrovarono separati, per il sollievo di Celiane.
Dopo il minimo sindacabile, due balli, ritenne infatti il suo dovere compiuto, almeno per quella giornata. Sgusciò via verso l’uscita senza che nessuno se ne accorgesse e si avviò per i corridoi. Non voleva andare nella sua camera, ma nemmeno restare sotto gli occhi di qualche guardia, o peggio di qualche invitato; voleva tornare a casa.
Da una finestra vide il cortile a est, dove c’era una struttura  di vetro e acciaio, dove facevano crescere i frutti anche d’inverno, d’istinto svoltò a destra imboccando il corridoio che doveva condurre all’uscita. Fortunatamente era quello giusto:  guidata dall’aria fredda sbucò nel giardino est. A differenza del suo gemello sul lato sud, quello era considerato un posto di servizio, in cui venivano coltivati alberi da frutto destinati alle cucine, anche se per lo più veniva lasciato incolto. Celiane vi si addentrò di qualche metro, per quanto l’abito da cerimonia lo permettesse e cercò un angolo buio dove stare in pace.
Era li già da un po’ quando la nuvola che stava oscurando la luna si dileguò, lasciando che nuovi particolari venissero rivelati, in particolare una sagoma familiare che era troppo vicina per i suoi gusti; come quella sera a casa sua, i suoi capelli apparivano bianchi, la sua pelle era tesa in una maschera color avorio. Se non lo avesse visto mettersi una mano tra i capelli lo avrebbe tranquillamente preso per una statua di alabastro. Ritraendosi nel fogliame rimase a guardarlo: non la stava cercando, non stava nemmeno nascondendosi, semplicemente rimaneva in piedi, con gli occhi puntati sulla volta celeste; quasi come un prigioniero guarda i passi degli uomini liberi dalla feritoia della sua cella, il suo petto si alzava e si abbassava in sospiri profondi. Celiane sentì l’impulso di farsi avanti, ed essere il tipo di donna che costruisce, invece di lamentarsi e  subire; voleva alleviare il suo malessere, essere per lui ciò che lui stesso era stato per lei negli ultimi giorni, di condividere il carico della sua maledizione; ma tutto ciò che riuscì a fare fu quello di inciampare in una radice e spezzare un ramo con l’altro piede. Due occhi scintillarono verso di lei, come quelli di una lince, poi la vide camminare in avanti e si tranquillizzò, senza cambiare espressione.
Celiane dosava la lunghezza dei passi per trovare delle parole da dirgli, ma quando arrivò li non seppe fare altro che stare in silenzio. E ringraziarlo per il medaglione.
-Ogni famiglia di Hoor ne ha uno, sono dei pegni che il primogenito riceve dalla madre e che dona alla donna di cui desidera essere lo sposo
Rispose lui a voce bassa.
-Sai, a casa ci scambiamo delle corone di edera
Il fantasma di un sorriso comparve sul volto spigoloso del giovane:
-me le ricordo… a me sembravano così buffe al matrimonio di mia sorella, ne volevo un anche io e Alester me ne ha intrecciata una tutta per me, usando un ramo della sua. È il simbolo dell’inetrdipendenza, vero?
- e della vita eterna, l’edera non muore mai _continuò lei a bassa voce_ se ti va, allle nostre nozze _esitò un attimo_ potremmo farle anche noi. Infondo anche se non abbiamo deciso noi non è detto che tutto debba andare male, insomma…
Il bacio arrivò inaspettato. Non fu come quello di Gen o dei tanti che aveva scambiato, annebbiati dalla confusione o dall’alcool: quello lo sentiva come vero, suo. Come se la persona che lui volesse veramente fosse lei, lei e nessun’altro.  Sentiva le sue dita tirarle su il mento, l’altra sua mano indugiare sulla sua nuca, non per guidarla, ma per accompagnarla. Non durò molto, anche perché entrambi dovettero fermarsi per respirare, visto che erano raffreddati. Davanti a lei lo vide con il naso e le guance rosse, mentre il suo respiro si condensava in piccole nuvolette, vide il suo sorriso familiare, e non potè fare a meno di ricambiare.

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Capitolo 13
*** Armatura d'acciaio ed Edera d'argento ***


Riassunto delle puntate precedenti: Celiane, Gen Fudo e i vector sono diretti alla Città del ferro Hoor, dove in cambio del loro servizio riceveranno due cose:
1) acciaio a sufficenza per i componenti Vector
2) la Mano di Markus, il fratello minore della regina, dal corpo fragile, ma dall'animo risoluto e acuto. Che sembra essersi preso una bella cottarella per Celiane (come tutti i personaggi della storia del resto )


 
Armatura d'acciaio ed Edera d'argento
Non aveva fatto in tempo ad entrare che qualcuno bussò di nuovo alla porta. Questa volta non entrò nessuno, ma spuntò un pezzo di carta giallastra da sotto la porta. Celiane lo voltò: il retro era scritto con una grafia spigolosa e affrettata:

Tra mezz’ora alle cucine, non farti notare
 
Riconobbe la grafia. Un brivido d’eccitazione corse lungo la spina dorsale, la presunta stanchezza le scivolò via. Si soffiò il naso, si mise i suoi vestiti e uscì dalla porta.
Appena uscita dalla stanza però, si rese conto che non sarebbe stato così semplice; imprecò sotto voce. Dove stavano le cucine?
Chiedere a qualcuno non era contemplabile, seguire il profumo di manicaretti nemmeno, andare a casaccio avrebbe solo portato a delle complicazioni. Rientrò svelta nella sua stanza e si buttò sul letto. Davanti a lei c’era una campanella di ottone legata ad una corda rossa. Forse c’era un modo.
La cameriera bruna entrò dopo qualche minuto.
-Avete chiamato signorina?
Da sotto le coperte Uscì una voce tombale
-Non mi sento troppo bene, potete per piacere far arrivare un po’ di……  un po’ di brodo dalle cucine?
- Volete che vi chiami anche un medico?
-NO!, cioè no, ho solo bisogno di qualcosa di caldo, non è nulla di grave…
Appena se ne andò Celiane saltò giù dal letto e socchiuse la porta per vedere dove andasse, ma sirene subito conto che sparire in quel momento avrebbe fatto insospettire la cameriera, che rientrando col brodo non l’avrebbe trovata.
Camminò in su e in giù per la stanza prestando ascolto  di tanto in tanto finché non sentì dei passi lenti avvicinarsi. Si fiondò tra le coperte appena in tempo prima che compartisse la piccola serva con un vassoio.
-Dove lo posso appoggiare?
-Appoggialo qua
 Disse lei indicando il comodino. La servetta mora poggiò a canto a lei il vassoio, che conteneva una tazza di porcellana, piena di un liquido chiaro e fumante. Avendo cura di non far vedere i vestiti sotto prese la tazza con due mani e bevve avidamente davanti alla mora. Il sapore non era male, ma la lingua e la sua trachea stavano andando a fuoco. Con le lacrime agli occhi consegnò il piato vuoto alla serva, che la guardava impressionata.
-Molto buono, davvero- disse tossicchiando- grazie mille. Per oggi posso chiedere di non essere disturbata?
-Certo
Non appena si congedò fuori dalla porta, Celiane cominciò a seguirla da lontano. Il che richiedeva una certa dose di abilità, soprattutto all’inizio, poiché doveva evitare non solo la serva, ma anche tutte le guardie; però, man mano che scendevano verso i piani della servitù i corridoi diventavano sempre più angusti e affollati, e nessuno faceva caso a lei. Ogni tanto si era dovuta fermare, perché la servetta bruna, che aveva scoperto si chiamava Summer, si fermava a chiacchierare con qualche sua collega e aveva raccontato anche della faccenda del brodo a qualcuna di loro.
Dopo quello che parve un secolo e dopo diverse miglia di corridoi finalmente si aprirono le porte delle cucine. Subito un odore di selvaggina arrivò alle narici dei Celiane, che nel vapore dell’ambiente  perse di vista Summer. La trovò pochi secondi dopo avvinghiata ad un giovane che stava appoggiando su un vassoio un piatto vuoto . Brava la nostra Summer, pensò notando il profilo del suo uomo. Poi dietro di lui riconobbe un viso familiare: Markus, vestito da paesano. Celiane si fece largo fino a lui
-La prossima volta allega una mappa, non sai che cosa mi sono dovuta inventare per arrivare fino a qui di nascosto
-Penso di saperlo bene, visto non conosco questo posto meglio di te. Non è bello ingurgitare un moscardino intero davanti ad uno sconosciuto 
disse accennando il moroso di Summer. Celiane sorrise:
-Beh, la prossima volta prendi tu il brodo bollente. Va bene?
Riuscì a strappare a Markus un’altra risata si incamminarono fuori. La città del ferro non era come Alisia. Alla luce del mattino le strade erano lastricate in basalto grigio così come gli edifici più imponenti. Markus le porse una palandrana di lana marrone:
-Non penso ti sia mai uscita al mercato
Celiane lo prese e ci mise un po’ a capire come si mettesse, ma non appena lo allacciò cominciò a sentire il calore crearsi tra gli strati dei vestiti. Gli sorrise grata; lui ne indossava una uguale, che gli copriva gran parte del corpo e lo faceva sembrare più grosso
-Invece sembra che tu sia un assiduo frequentatore
-Quando non sono in biblioteca… ho una sorpresa seguimi.
Cominciarono a camminare per le strade acciottolate; tutto sembrava più acuto e affilato alla città del ferro: le persone, avvolte nei loro mantelli, le case di pietra ai primi piani e di legno ai successivi tre-quattro. Davanti a lei la sua guida gli indicava quali case fossero infestate, i posti migliori per dei dolci di mele, o quali fossero le famiglie della compagnia del ferro –tra le quali la più potente era appunto quella Schieregaard- A volte gli prestava attenzione, altre invece si perdeva a guardarsi intorno, o dietro la sua sagoma scura; tanto chè quando lui si fermò le gli sbattè contro.
-Siamo arrivati
Quello che Celiane vedeva era un’insegna di metallo battuto, dove le lettere si intrecciavano tra loro. Entrarono in un locale angusto, illuminato da un bagliore rossastro che proveniva da una camera dietro il bancone. Appese alle pareti, come spettri armature brillavano ammiccanti. Dietro al bancone una giovane donna, probabilmente coetanea ai due stava sistemando delle frecce; la poca luce della stanza le metteva in luce i capelli castani, il corpo asciutto e formoso, il viso rotondo.  corse loro incontro e buttò le braccia al collo del biondo. Celiane sgranò gli occhi, come potesse lui, un raccomandatissimo topo di biblioteca conoscere –ed essere in confidenza!- con una civile così carina, per giunta non appartenente all’elite della gabbia d’oro in cui aveva detto di essere cresciuto. Poteva giurare di aver sentito la seconda fitta di gelosia della sua vita, dopo aver visto Gen con una sventolona mora, ma si rifiutava di essere gelosa di… di…
-Gwen, questa è Celiane
La radiosa ragazza le porse la mano, a contatto la sentì callosa, ma non erano gli stessi suoi calli. Celiane si sforzò di apparire cordiale, in fondo non le aveva fatto niente di male
-Allora è lei quella di cui mi hai scritto in continuazione! Felice di conoscerti. Mi chiamo Gwenviere, sono la figlia apprendista di questa bottega d’armi. Venite pure nel retro, l’ho appena completata.
I due la seguirono verso la porta dietro al bancone. Celiane stava pensando al fatto che nessuno le mandava mai lettere quando rimase abbagliata dalla fornace in funzione: quando vi passarono davanti colò in un crogiolo quello che sembrava un piccolo sole liquido
-La mattina trattiamo l’acciaio, il pomeriggio lo battiamo
Spiegò Gwen
-Acciaio?
-E’ una lega di ferro e carbone, la otteniamo con queste fornaci, che permettono di trattare volumi maggiori a temperature più alte. E’ più resistente del ferro, ma meno flessibile.
Markus guardò Gwen complice, poi posò lo sguardo su Celiane, erano entrambi euforici. Gwen fece gadere un grosso drappo, che rivelò l’armatura più bella che Celiane avesse mai visto: Era costruita a scaglie, con varie placche sovrapposte progettate per accompagnare i movimenti; era come quella che aveva sul vector, senza placche addominali e dorsali, ma era molto più sofisticata.
-Non sai che fatica cercare di prenderti la taglia
-Markus mi ha spedito degli schemi della tua attuale armatura chiedendomi di migliorarla, i suoi disegni sono stati decisivi
Il biondo gongolò:
-Beh, nelle mani del miglior armaiolo della città del ferro anche uno scarabocchio può diventare un capolavoro
Celiane aveva gli occhi umidi, li abbracciò entrambi.
-Vedi quelle venature_ continuò Gwen indicandole le minuscole linee che ricoprivano tutti i pezzi_ sono acciaio temprato, che riveste un anima di acciaio flessibile: in parole povere non viene scalfita e non viene spaccata
-Posso provarla?
-Devi! Tu signorino esci fuori dal laboratorio
Markus se ne andò brontolando qualcosa sul fatto che quella era un’armatura e non una cintura di castità e sparì verso il bancone del negozio.
Celiane si tolse la palandrana e gli strati più pesanti di stoffa, mentre Gwen prendeva le placche femorali dal piedistallo. Mentre la aiutava a sistemarle non riuscì a trattenersi:
-Come vi siete conosciuti voi due?
-Io e Markus? Siamo cugini di secondo grado, ci siamo fatti insieme un sacco di ricevimenti, cerimonie, funerali… i nostri due padri sono cugini
Non sapeva se quella era una sensazione di sollievo o doveva essere ancora più preoccupata; per cosa poi?
-Non sapevo che…
Gwen le passò i coprispalla, erano leggerissimi.
-Che Markus fosse un mezzosangue? Cierca trent’anni fa una guerra aveva messo in grave pericolo la stabilità degli Schieregaard, la dinastia più longeva di Hoor. Per vincerla  avevano bisogno di armi, quindi di metallo, e guarda caso, i migliori armaioli, noncheè esponenti della compagnia del ferro erano gli Uther. Sua madre quindi sposò mio zio. Benchè programmato è stato un matrimonio felice. Anche perché grazie al prestigio riflesso dagli Schieregaard abbiamo potuto viaggiare e apprendere a sud le nuove tecniche di forgiatura.
-Per fortuna che esistono queste unioni fortunate
Gwen la aiutò ad allacciarsi i guanti e le maniche, che sembravano tessute di mercurio.
-Beh, di sicuro lo sarà anche la vostra
Celiane trasalì impercettibilmente. Lo sapeva?
-Noi insieme?
Gwen le girò intorno arrivando a parlarle faccia a faccia:
-Non hai visto come ti ha guardato quando hai scoperto dell’armatura?_ il suo tono si era fatto più basso e gutturale_ Ci ha lavorato per quasi un mese, durante il quale ha continuato a scrivermi di Alisia, di Massacratori e di te. Perciò, stangona fallo soffrire e ti vengo a cercare. Intesi?
-Gwen, lo zio ti vuole alla mola…
Celiane aveva fatto appena in tempo ad annuire quando Markus era entrato nella stanza sovvrapensiero; si bloccò non appena si accorse di Celiane, che arrossì violentemente al pensiero di avere tutta la pancia allo scoperto
-Celiane mi stava chiedendo se era possibile far arrivare l’armatura nelle sue stanze per la sera. Vero?
-Sì
 Rispose lei un po’ troppo in fretta
-Ti sta alla perfezione, dovrei farne fare un’altra per Gen, l’altro pilota
-Potremmo mandarlo qui quando arriva…
-O accompagnarlo, non credi? Prepara i tuoi ligotti migliori, Gwen; Celiane, io ti aspetto fuori.
Appena lui uscì dalla stanza Celiane ricominciò a respirare, si tolse in silenzio l’armatura e andò  assieme a Gwenviere  al bancone.
-Aspetta ho un’altra cosa
Tirò fuori da sotto il bancone un involucro di stoffa, che appoggiò sul piano vendita. Aprì l’involucro e apparve una lama di acciaio temprato affilata da due parti.
-Non ha ancora ne guardi ne niente, ma questo è il mio personale regalo per voi
-Per noi?
Domandò Markus indicando se stesso e Celiane
-Tra qualche mese avrete capito tutto, per il momento _fece sparire tutto sotto il bancone_ questa resta qui
Gwen  fece un sorrisino malizioso, che lasciò entrambi perplessi.
 
-E’ un po’ inquietante, ma è la migliore armaiola in circolazione: lei le armature, mio zio le lame.
Celiane rispose entusiasta, le veniva da saltellare per la felicità. Poteva sembrare inusuale, ma non aveva mai ricevuto un regalo da donna adulta, e sebbene quel giorno avesse ricevuto anche il vestito della madre, l’armatura d’acciaio era stata pensata e fatta apposta per lei.
Passarono la giornata insieme, passeggiando lungo il fiume e addentrandosi nelle stradine su per le colline. I pesanti cappotti li proteggevano dagli sguardi e dal freddo. Per la prima volta Celiane provò sulla sua pelle l’anonimato, l’idea che le sue azioni non venissero scrutate dai ministri, da suo padre o da chiunque altro, le lasciava il cuore leggero. Markus vicino a lei sembrava pervaso da una strana luminosità, come  se quelle ore di libertà fossero realmente le prime della sua vita. Prestava attenzione a tutto, ad una colonna di legno intagliato, a un passero che si proteggeva dal freddo, alle anatre che nuotavano controcorrente sul fiume; era come se vedesse tutto per la prima volta.
Quando ritornarono all’entrata delle cucine rimasero a lungo a indugiare sulla porta, consapevoli che vagliata la soglia sarebbero tornati alla formalità.
 
Un paio d’ore dopo Celiane stava sperimentando sulla propria pelle un ricevimento in pieno stile Hoor, c’era gente da tutta la città del ferro e fu presentata da
Clodia a tutti gli esponenti più insigni della città. Conobbe alcuni esponenti della compagnia del ferro con cui scambiò qualche parola sui vector e sui pezzi che avevano preparato per la sua squadra di meccanici; riconobbe alcuni dei suoi compagni di addestramento, che adesso erano diventati cavalieri, ma nessuno della sua vecchia classe, non dovevano ancora aver finito; una donna alta, dall’aspetto austero e i capelli ingrigiti le si presentò come una delle sacerdotesse di Mara e si offrì di benedire i nuovi vector, sia come ultimo baluardo contro gli angeli, sia come simbolo dell’imminente unione tra le nobili e antiche casate degli Schieregaard e degli Alisia. Celiane mancò un battito: unione? Ma non erano già unite dal matrimonio di Clodia  e Alester? Cercò di aggrapparsi alla regina con lo sguardo, ma lei non negò nulla, anzi rispose con cortesia e con garbo alla sacerdotessa maggiore.
Se non piantò li una scenata era perché sapeva che in gioco c’erano parecchie tonnellate di metallo miracoloso e la vita di due regni, ma da quel momento tutto parve scivolare intorno a lei, come la pioggia quando era ferità alla distesa delle gemme. Anche se era sobria non metteva a fuoco le cose, non memorizzava nomi. Si chiese perché la prendesse tanto male: tutte le donne con un certo status non hanno voce in capitolo in ambito matrimoniale, per di più lei non aveva nessuna storia d’amore che potesse contrastare con il fidanzamento programmato ed era sicura che molte delle sue coetanee l’avevano avuta. Tuttavia non poteva pensare di non essere stata avvisata, fatta partecipe della decisione, e venirlo a sapere da una sconosciuta.
La cerimonia di fidanzamento vera e propria si tenne prima di cena: i lampadari principali vennero spenti e la sala era illuminata solo dalla luce lunare e da sparute candele. L’atmosfera festosa e informale di poco prima era scomparsa, la stanza adesso era un tempio consacrato, dove le figure erano ridotte ad ombre spettrali. Venne chiamata da una voce che ricordò esser quella della sacerdotessa, si avvicinò al suo viso fiocamente illuminato. Venne nominato anche Markus, che comparve silenzioso dal buio, la luna si rifletteva sui suoi capelli e sul viso, la guardava fisso. Per un istante credette di vedere un angelo massacratore nei suoi lineamenti, ma poi si riscosse.
Poi senza che nessuno dicesse niente si inchinò e  con entrambe le mani le porse quello che sembrava un medaglione d’oro un tondo esteso circa quanto il duo palmo e spesso quanto un suo dito, decorato con una filigrana geometrica.
Non riuscì subito a riceverlo, era come sporgersi da un baratro, ma tese le mani e lo prese, era pesante. Davanti a lei Markus si alzò meccanico, tenendo le mani della neofidanzata. In quel momento le luci si riaccesero e cominciò la festa.
Nonostante l’abbondanza di pietanze, riuscì solo a prendere qualche boccone di pane e un po’ di acqua. Tra gli invitati cercava l’altra parte dell’accordo, Markus stava sorridendo dall’altra parte del tavolo mentre raccontava a degli invitato qualcosa di apparentemente avvincente, si trovò ad invidiare la sua serenità, il suo sangue freddo. Incrociarono per un attimo gli sguardi, nel vederla gli si congelò un attimo il viso, come se si dispiacesse, lei non ebbe il coraggio di sostenerlo e cominciò ad ascoltare una conversazione sulle migliori sartorie di Hoor.
Questa volta si sforzò di rimanere al ricevimento, anche quando dovette aprire le danze assieme al suo futuro sposo. Per fortuna, pensò, che Clodia aveva fatto suonare una danza classica e lenta, che anche una come lei potesse conoscere; mentre si concentrava sui passi e sugli scambi di cavaliere teneva lo sguardo basso. Non voleva che nessuno leggesse il suo stato d’animo, nemmeno…
-Celiane
Levò lo sguardo in direzione dell’angelo dai capelli scarlatti, ma era Markus. Si irrigidì involontariamente, lui lo sentì attraverso il palmo della mano attorno a cui stavano girando lentamente.
Non ebbe il tempo di dire altro che il ritmo cambiò, così come i loro compagni, e si ritrovarono separati, per il sollievo di Celiane.
Dopo il minimo sindacabile, due balli, ritenne infatti il suo dovere compiuto, almeno per quella giornata. Sgusciò via verso l’uscita senza che nessuno se ne accorgesse e si avviò per i corridoi. Non voleva andare nella sua camera, ma nemmeno restare sotto gli occhi di qualche guardia, o peggio di qualche invitato; voleva tornare a casa.
Da una finestra vide il cortile a est, dove c’era una struttura  di vetro e acciaio, dove facevano crescere i frutti anche d’inverno, d’istinto svoltò a destra imboccando il corridoio che doveva condurre all’uscita. Fortunatamente era quello giusto:  guidata dall’aria fredda sbucò nel giardino est. A differenza del suo gemello sul lato sud, quello era considerato un posto di servizio, in cui venivano coltivati alberi da frutto destinati alle cucine, anche se per lo più veniva lasciato incolto. Celiane vi si addentrò di qualche metro, per quanto l’abito da cerimonia lo permettesse e cercò un angolo buio dove stare in pace.
Era li già da un po’ quando la nuvola che stava oscurando la luna si dileguò, lasciando che nuovi particolari venissero rivelati, in particolare una sagoma familiare che era troppo vicina per i suoi gusti; come quella sera a casa sua, i suoi capelli apparivano bianchi, la sua pelle era tesa in una maschera color avorio. Se non lo avesse visto mettersi una mano tra i capelli lo avrebbe tranquillamente preso per una statua di alabastro. Ritraendosi nel fogliame rimase a guardarlo: non la stava cercando, non stava nemmeno nascondendosi, semplicemente rimaneva in piedi, con gli occhi puntati sulla volta celeste; quasi come un prigioniero guarda i passi degli uomini liberi dalla feritoia della sua cella, il suo petto si alzava e si abbassava in sospiri profondi. Celiane sentì l’impulso di farsi avanti, ed essere il tipo di donna che costruisce, invece di lamentarsi e  subire; voleva alleviare il suo malessere, essere per lui ciò che lui stesso era stato per lei negli ultimi giorni, di condividere il carico della sua maledizione; ma tutto ciò che riuscì a fare fu quello di inciampare in una radice e spezzare un ramo con l’altro piede. Due occhi scintillarono verso di lei, come quelli di una lince, poi la vide camminare in avanti e si tranquillizzò, senza cambiare espressione.
Celiane dosava la lunghezza dei passi per trovare delle parole da dirgli, ma quando arrivò li non seppe fare altro che stare in silenzio. E ringraziarlo per il medaglione.
-Ogni famiglia di Hoor ne ha uno, sono dei pegni che il primogenito riceve dalla madre e che dona alla donna di cui desidera essere lo sposo
Rispose lui a voce bassa.
-Sai, a casa ci scambiamo delle corone di edera
Il fantasma di un sorriso comparve sul volto spigoloso del giovane:
-me le ricordo… a me sembravano così buffe al matrimonio di mia sorella, ne volevo un anche io e Alester me ne ha intrecciata una tutta per me, usando un ramo della sua. È il simbolo dell’inetrdipendenza, vero?
- e della vita eterna, l’edera non muore mai _continuò lei a bassa voce_ se ti va, alle nostre nozze _esitò un attimo_ potremmo farle anche noi. Infondo anche se non abbiamo deciso noi non è detto che tutto debba andare male, insomma…
Il bacio arrivò inaspettato. Non fu come quello di Gen o dei tanti che aveva scambiato, annebbiati dalla confusione o dall’alcool: quello lo sentiva come vero, suo. Come se la persona che lui volesse veramente fosse lei, lei e nessun’altro.  Sentiva le sue dita tirarle su il mento, l’altra sua mano indugiare sulla sua nuca, non per guidarla, ma per accompagnarla. Non durò molto, anche perché entrambi dovettero fermarsi per respirare, visto che erano raffreddati. Davanti a lei lo vide con il naso e le guance rosse, mentre il suo respiro si condensava in piccole nuvolette, vide il suo sorriso familiare, e non potè fare a meno di ricambiare.

Il mattino successivo Celiane si svegliò di buon ora e si  vestì con i comodi abiti da viaggio. Non c’era stato niente di cui vergognarsi, si ripeteva, era perfettamente normale desiderare il proprio futuro sposo, e lei lo voleva ancora, quindi lei era perfettamente normale. Perfettamente normale. La notte prima, quando era ritornata nel suo letto aveva scoperto di volerne ancora e si era rallegrata: quel bel viso spigoloso, gli occhi taglienti, il cipiglio deciso, i suoi capelli color dell’alba, non l’avrebbero più tormentata, ed era contenta che le avessero combinato il matrimonio con Markus, almeno era qualcuno a cui era legata, in qualche modo.
Chiese ad una guardia dove fossero i laboratori e con passo risoluto si diresse verso l’ala est. Quando passò dal loggiato che dava sul giardino est non potè fare a meno di dare una sbirciatina, ma tirò dritto quasi subito.
Il laboratorio di Hoor occupava praticamente i due primi piani dell’ala est, più tutto il piano terra. Visto dal basso era spaventoso: il soffitto al centro doveva essere alto non meno di cinque metri, mentre lungo le pareti esterne  correvano loggiati e portici, da dove si lavoravano i pezzi più piccoli. al centro svettava una grossa macchina, che assomigliava ad una carcassa sventrata. Sopra di lei pendevano le funi che servivano a trasportare i pezzo troppo pesanti da sollevare a mano; era come se il cortile col portico si fosse trasferito in quel luogo chiuso e si fosse anche ingrandito, mai aveva visto un’officina così imponente. Quando entrò fu molto simile alla prima volta che  era ritornata a casa: rumori sferraglianti, colpi di martello, lo sfregare delle mole in quello che  era il più grande laboratorio che avesse mai visto. Non appena entrò venne accolta con calore; alcuni di loro li conosceva, erano parte della squadra di Alisia, altri invece avevano le sembianze e i vestiti di gente di Hoor. Celiane salutò tutti e si diresse verso il centro con grandi falcate e quando arrivò alla familiare sagoma di Gen lo trovò chinato, come sempre.
-Ti stavo aspettando
Fece lui vanificando qualsiasi tentativo di lei di prenderlo di soprassalto.
-Quando sei arrivato?
Il ragazzo si voltò, mostrando il viso stanco e sporco di grasso, su cui campeggiavano i suoi occhi neri, cerchiati di scuro.
-Sono arrivato il tuo stesso giorno, ma sono tornato indietro per recuperare dei ricambi che avevo ordinato.
Non c’era nessun rimprovero nel suo tono di voce, ma Celiane sprofondò lo stesso nel senso di colpa; lei se ne andava in giro per la città del ferro a ricevere doni e a presenziare a cerimonie, mentre lui stava contribuendo alla loro unica difesa. Ma non ebbe tempo di cordogliarsi perché Gen le stava illustrando tutte le nuove modifiche del vector: un nuovo telaio in lega di acciaio, che montava dei nuovi convertitori più efficienti e una nuova cabina di pilotaggio; mentre parlava di quelle migliorie tecniche gli brillavano gli occhi di entusiasmo, gesticolava spiegando tutte le tecniche che avevano usato per ottenere questo o quel pezzo, di come i fabbri di Hoor avessero contribuito con l’acciaio.
-Ti rendi conto? Bastava aggiungere del carbone nei loro alti forni per ottenere un ferro migliore! Questo è il nuovo Alfa, ed è quasi finito, nell’hangar ce n’è un altro si cui stanno lavorando i nostri meccanici.
-Anche io ho qualcosa da mostrarti _disse lei emozionata_ ma devi prenderti un giorno libero, ci vorrà un po’
-Ma devo finire gli ultimi collaudi…
-Gen, sono tre giorni che non dormi, e hai sotto di te i migliori ingegneri che la città del Ferro e Alisia possano offrire, non pensi di considerarti un po’ troppo importante?
Lui tirò un sospiro, ma sembrava più sollevato:
-Ma come fai ad essere così persuasiva?
Per tutta risposta se ne andò dicendo ad alta voce il posto e l’ora.
 
Due ore dopo, tra i fumi della cucina riconobbe un tossicchiante ragazzo bruno immerso in una conversazione con una minuta servetta,  Summer; non appena notò Celiane si rivolse a lei, mentre Summer si ritraeva cerimoniosa. Gli occhi di Gen lacrimavano, il suo naso e le sue gote erano arrossati.
-Cos’hai ordinato?
-Non lo so di preciso, ma qualcosa di molto piccante e caldo,  per un attimo temevo di svenire… per fortuna c’era qui Summer, che mi ha aiutato con una brocca…
La ragazzina gongolò arrossendo, Celiane scoccò un’occhiata a Gen, che le rispose con un’espressione come a dire “ma-che-vuoi?”
Celiane roteò gli occhi esasperata, poi si rivolse al giovane uomo affianco a lei:
-Possiamo andare
Gen si voltò verso di lui:
-Markus?
La mezzaluna bianca del suo sorriso comparve tra i fumi della cucina, Celiane non fu sicura, ma le sembrò di scorgere Gen alzare gli occhi al cielo, mentre prendeva la palandrana che il biondo gli porgeva e sia avviava con loro verso il laboratorio della famiglia di Guenviere.
 
-Quindi mi stai dicendo di spogliarmi?
-Solo se vuoi che ti prenda le misure
Gen Fudo aveva un sopracciglio alzato e le mani già sotto la sua casacca, pronto  a togliersela, Celiane alzò gli occhi al cielo e lanciò uno sguardo complice a Markus, che stava osservando la scena con un misto di divertimento ed imbarazzo.
Mentre vedeva la giovane armaiola misurare il suo compagno provò la stessa lieve invidia del giorno prima, per non sapersi comportare in modo così naturale con gli uomini, unita – ma questo non l’avrebbe mai ammesso- al fatto che lei fosse già così in confidenza con i due maschi  a lei più vicini.
-Visto che non è il primo prototipo credo che mi ci vorrà la metà del tempo, ma per quanto riguarda il metallo… non posso farvi nessuno sconto
Le parole di Gwen la riportarono alla realtà:
-Non badare a spese, la vita del nostro migliore pilota è inestimabile
Rispose lei, mentre l’altra guardava l’ultimo lembo del torso di Gen scomparire sotto la sua casacca.
In quel momento sentirono delle urla dalla strada, un uomo entrò nel laboratorio e urlò loro di prendere le armi: attacco angelico.
Gen e Celiane si fondarono fuori e corsero verso l’hangar del palazzo reale, trovarono un cavallo legato, lo sciolsero con un colpo di spada e cavalcarono fin dentro all’ala Est.
-Non dovevano attaccare prima di una settimana!
Celiane era andata a prendere la sua armatura all’armeria e la stava indossando in fretta e furia, Gen era già equipaggiato con la sua vecchia e teneva in mano un paio di balestre, diversi coltelli e armi da taglio e due funi arrotolate e li stava caricando sul vector. Celiane entrò in cabina e rimase interdetta nel vedere che la plancia di comando era stata sostituita da una sorta di poltrona.
-Guido io! È il nuovo sistema
Le lanciò una pietra dell’anima che lei inserì vicino ai convertitori, appena la attivò il vector si silluminò di luce bluastra e si sollevò rapido. Gen prese posto sulla poltrona e appoggiò mani e piedi su dei sostegni.
-Tieniti forte!
Celiane si aggrappò al bordo su cui erano fissate le corde, vide Gen muovere braccia e gambe, quelli che lei aveva creduto essere i braccioli della poltrona si mossero con lui, e partirono a tutta velocità.


INSOMMA, qui ci scappa la nuova serie. E bisogna celebrarla, nella speranza che sia un bel prequelone, di quelli che piacciono tanto ad Holliwood. Sperando nella clemenza di Kawamori posto questa, che ormai ha preso una piega tutta sua. 
Markus è la figura ancestrale di Rina, per chi fosse interessato alla storia delle reincarnazioni, tra l'altro siccome si sposa benissimo nella storia verrà fatto fuori presto. Peccato
Gavriel

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Capitolo 14
*** Cure Serali, ovvero: la natura di Markus ***


Cure Serali

L
a prima cosa che notò era la potenza della macchina. Non stavano volando più su un grosso barcone rattoppato, piuttosto una biga trainata da cavalli fin troppo esuberanti: con la velocità e le manovre che Gen stava provando sarebbe stato praticamente impossibile scoccare con precisione. La seconda cosa che notò, dopo essersi assestata fu la sua assenza. Prima di attaccare aveva fatto fare a Gen una perlustrazione su tutte le truppe nemiche –questa volta qualche decina di individui e tre velivoli-  che probabilmente  era costata qualche vita umana.
Col loro metodo ben collaudato riuscirono a legare e a far collidere i due velivoli angelici in poco tempo facendoli cozzare tra di loro, dopo averli assicurato al Vector Alfa, che essendo più pesante aveva fatto loro da perno su cui ruotare. Celiane lo cercava ancora con lo sguardo quando un massacratore piombò loro addosso. Gen riuscì sterzare appena in tempo per evitarlo e rimise in assetto il beta con un avvitamento, Celiane venne sbalzata fuori, rimanendo aggrappata solo con la forza delle braccia. Lui se ne accorse e con un altro avvitamento la fece ricadere dentro l’abitacolo.
-MA TI SEMBRA IL MODO?
-E come faccio, se sono agganciato alla plancia?
Gen tese i comandi per trovare un assetto più stabile e cominciò a planare verso il campo di battaglia, che adesso si era spostato a ridosso delle mura: una formazione angelica stava addossando una cinquantina di uomini contro le fortificazioni. Celiane aveva appena incoccato l’arco quando un forte scossone dirottò il vector di lato
-Atterra!_ disse lei rialzandosi_ e la prossima volta ci mettiamo un vetro qua intorno!
Atterarono per combattere nel corpo a corpo, ma non ebbero il tempo nemmeno di raggiungere un massacratore che, come di consueto, essi si innalzarono verso il cielo chiamati da canti invisibili. Dietro di loro salme e guerrieri ansimanti, compresi Celiane e Gen.
 
 
Celiane aveva passato tutto il pomeriggio ad aiutare a riportare i corpi dentro le mura, aveva anche assistito alle esequie: una pira che saliva in cielo crepuscolare come una colonna rossa. Anche Markus aveva partecipato ai funerali, con la faccia grave di chi non si abitua facilmente; evitava di girare troppo per le caserme, ma non gli bastava voltare lo sguardo per risparmiarsi il dolore e la consapevolezza della propria impotenza. Celiane aveva la sensazione che il lavoro che loro stessero facendo coi vector fosse in gran parte una montatura, una bolla allo scoppio della quale non sarebbero rimasti che dei rottami. Guardò ipnotizzata le volute scatenate dalla pira, le masse scure avvolte in essa andavano consumandosi; le sembrò di vedere il profilo di una mascella staccarsi dalla mandibola.
In alto,  le scintille salivano come brevi stelle contro il cielo color cobalto e si spegnevano nel fumo grigio generato poco sotto. Un po’ d’aria bruciata arrivò alle sue narici, si rese conto che non aveva importanza cosa stesse respirando, ma chi: per un attimo si sentì prendere dall’orrore, poi si rese conto che quella cenere, quel fumo, erano l’ultima volontà di coloro che erano morti per permettere a lei e a tutta Hoor e Alisia di andare avanti,  che avevano accorciato le loro vite per allungare la sua, e quella di Markus, di Gen e di tutti gli abitanti dei due regni. Un senso di gratitudine le si allargò nel petto, mentre ispirava l’aria pungente della pira per far entrare dentro di lei la forza dei morti, e il loro coraggio. Si trovò  commossa, in un misto di amore, gratitudine e dolore; represse un singhiozzo e partecipò alla fine della cerimonia con uno spirito nuovo.
 
Riportarono il vector nell’hangar. Il che era abbastanza positivo, visto che era una delle prime volte che non veniva distrutto nello scontro.
Finché potè rimase con gli operai a sistemare il beta e a cominciare a smantellare i due velivoli angelici ,però dovette andarsene quando Gen, ormai l’unico rimasto, aveva fatto pressione perché riposasse almeno per qualche ora.
Qualche minuto dopo era davanti alla porta delle stanze di Markus. Accostò l’orecchio alla porta scura, e sentendo delle voci parlare decise di bussare. Ad aprirle però era il grosso faccione di uno dei precettori; lei chiamò Markus, il vecchio fece per richiudere quando una voce comandò di  lasciarla entrare, varcata la soglia vide una figura ripiegata su una sedia, attorniata da due persone dai visi familiari, i suoi maestri. Realizzò che quelli non erano affatto precettori.
Erano medici.
Il giovane alzò lo sguardo e le rivolse un sorriso stanco
-Per fortuna posso ancora sentirti, benvenuta alle mie cure serali
Celiane avanzò di qualche passo verso il centro della stanza, sorpassò un piccolo carrello portavivande ricoperto di bottiglie e ampolle e si portò vicino al tavolo dove anche lui era seduto. La sua pelle sembrava grigia a confronto con la sua casacca bianca, profondi solchi scuri gli segnavano gli zigomi, Celiane non lo aveva mai visto così male, contando che poche ore prima aveva presenziato alla cerimonia in buono stato… Incrociò e sostenne il suo sguardo preoccupato, i suoi occhi, che normalmente avevano il colore della notte adesso apparivano fangosi, illuminati dai riflessi rossi del fuoco.
-Ogni sera è così?
Il medico più smilzo, vestito con una tunica color ocra gli stappò e porse una grossa bottiglia di liquido scuro e denso. Lui la prese con tutte e due le mani e la appoggiò sul tavolo senza mollarla, come se ci si aggrappasse. Per qualche secondo rimase a fissare la bottiglia, poi con quello che sembrava un enorme sforzo di volontà si decise a bere il liquido nerastro. Era evidente che fosse disgustoso, ma continuò finché non ebbe vuotato la bottiglia.  La posò sul tavolo facendo rumore, fece un cenno affermativo al vecchio medico che gliene porse una seconda, identica. La bevve, questa volta più velocemente, come se ne avesse sete; mise anche quella sul tavolo, accanto alla prima, nella quale il liquido viscoso si era già depositato sul fondo, formando uno strato limaccioso e scuro.
-Si, devo prenderle quasi ogni sera
Fece lui pulendosi la bocca con il dorso della mano e raccogliendo da quella gli ultimi residui di medicina, che a quanto pare cominciava a manifestare il suo effetto: la sua voce stava ritornando normale, il suo colorito sembrava quello di qualcuno ancora in vita, i suoi occhi avevano riacquistato il loro usuale nero liquido.
Con poche parole gentili si liberò dei due medici, poi si rivolse di nuovo a lei e si preparò alla valanga di domande che sarebbero uscite dalla sua bocca.
Solo che non arrivarono, non subito per lo meno. I riflessi tremuli e aranciati dal camino non proiettavano più ombre scure su di lui, anzi, lo rendevano più nitido, chiaro, come se fosse un massacratore.
-Perché mi hai mostrato questo?
-Pensavo che sarebbe stato_ Markus si piegò un po’ di lato mentre pensava ad una parola calzante_ corretto mostrarti come sono.
Per un istante lei desiderò non averlo saputo.
-Cosa c’era dentro?
Chiese lei prendendo in mano una bottiglia vuota e contemplandola controluce
-Non lo so di preciso _ con il pollice Markus tirò via un po’ di liquido residuo dal collo della bottiglia e si leccò il dito_  ma è da un po’ che mi nutro solo di questo.
La principessa non aggiunse altro: non era nemmeno sicura di voler entrare nel merito della malattia di Markus; sobbalzò quando lui le prese le mani.
-Celiane _La sua espressione era seria, limpida e risoluta_ portami sul campo la prossima volta.
 
 

 
Aveva appena finito di allenarsi quando l’allarme suonò di nuovo, quattro giorni più tardi. Celiane corse via dallo spogliatoio verso l’ala est del palazzo, dove era stato allestito il nuovo hangar. Al suo arrivo Markus la stava aspettando fuori dalla porta. Si chiese se quel ragazzo avesse il dono dell’ubiquità: l’aveva lasciato pochi minuti prima fuori dalle mura ed ora era li, bello fresco, mentre lei ansimava per la corsa.
All’interno Gen e la sua squadra stavano approntando due Vector, Celiane fece per mandare Markus ad armarsi, ma si rese conto che aveva già addosso un’armatura di cuoio e degli indumenti che gli coprissero mani e viso.
-Com’è facciamo entrare anche le mummie?
La voce aspra di Gen rimbombava dal vector che stava avviando
-Sai com’è, visto che anche un troll è capace di governare un velivolo…
-Smettetela!
Li interruppe Celiane prendendo posto sulla plancia di comando e avviando una gemma dell’anima. Markus si legò ad una cima fissata allo chassis dietro di lei.
Partirono involandosi verso il cielo plumbeo; era tardo pomeriggio e il sole era appena tramontato dietro i crinali rocciosi, che apparivano neri, contro un cielo di velluto grigio. Celiane e Gen fecero un giro di ricognizione per trovare ed analizzare lo schieramento, ma sembrava che non ci fosse nessuno.
-CHE SIA UN FALSO ALLARME?
Gen si stava sgolando dall’abitacolo del vector
A qualche metro di distanza Celiane era salita in piedi sulla poltrona di comando. Bisognava trovare un metodo più comodo per comunicare.
-TORNIAMO ALLA BASE
E in quel momento piombarono su di loro. Celiane sentì l’impatto sulla fiancata destra diassarle il vector: la sagoma orrenda di un Massacratore incombeva sull’abitacolo. Questa volta gli obbiettivi non erano i fanti, ma i velivoli stessi.
-Hanno assaltato Gen!
La voce di Markus la riscosse . Con un precipitoso avvitamento si liberò dell’angelo e si diresse verso il vector di Gen, coperto da due Massacratori. Puntò dritto contro di loro a massima velocità, i pannelli fischiavano per l’attrito contro l’aria. Appena i due si accorsero del pericolo si scansarono liberando Gen, che riuscì ad evitare l’impatto con la sua compagna  per un soffio. Riuscirono a salire di quota quel tanto che bastava per avere una visione d’insieme: due schieramenti angelici stavano operando in squadra; uno si occupava di non far disperdere gli umani, l’altro invece era preposto alla mietitura vera e propria. Non servì nemmeno un cenno affinché Gen e Celiane si capissero. Puntarono entrambi verso il punto in cui il primo schieramento si chiudeva dietro ai combattenti umani e li dispersero come un banco di pesci, garantendo una via di fuga agli uomini.
Ma si erano dimenticati dei Massacratori dietro di loro; l’impatto controllato di due angeli fece perdere completamente l’assetto al vector di Celiane, che rovinò a terra senza avere il tempo per una manovra di salvataggio. Niente rotolamenti ad attutire la velocità d’urto, niente superfici comprimibili dove poter rimbalzare; l’impatto col suolo fu devastante. Celiane Riprese i sensi e si accorse di essere sottosopra, si slacciò la cintura e cadde sul soffitto boccheggiando. Dall’atra parte dell’abitacolo Markus era incosciente, con il viso insanguinato, il braccio piegato male. Uno stridio di unghie, un massacratore dalla pelle squamata piegò il vetro come se fosse stato del caramello non troppo solido. Il suo corpo era più simile a quello di un rettile che a quello di uomo: le  membra erano oblunghe e piegate al contrario; una di quelle prese Celiane e la gettò fuori dall’abitacolo.
La donna si rialzò arrancando; davanti a lei il mostro era di spalle, si stava ancora accanendo sulla carcassa del vector, un lampo di angoscia la attraversò appena si rese conto che si stava accanendo su  Markus e non sul velivolo. Senza ragionare partì alla carica, il mostro fece appena in tempo a reagire e lei riuscì a ferirlo di striscio.
Male, malissimo, il mostro riportò ancora su di lei l’attenzione, avanzando lentamente. Non si ha fretta di schiacciare una formica, non si ha fretta di strizzare una lumaca.
Celiane alzò la guardia, si trattava di resistere solo fino a quando non venivano richiamati indietro.  Era quasi buio, l’ultimo spiraglio di luce si rifletteva liquido sulla sua armatura argentea, poi ad un tratto scorse dietro di lui il biondo calarsi fuori dall’abitacolo con le due balestre sulle spalle; si concentrò ancora sul mostro pronta ad un assalto disperato quando un rumore agghiacciante la paralizzò, come mille urla insieme. La creatura si stava contorcendo dal dolore, Celiane notò la freccia che spuntava dietro il suo collo e vide una sagoma familiare correre scomposta verso di lei.
Markus muoveva le labbra, ma lei non riusciva a distinguere la sua voce; la aiutò ad alzarsi e le mise in mano una delle sue balestre. Con gesti febbrili la caricò e mirò alla testa del mostro, che ormai si stava rialzando.
-Va dietro quella roccia!
Ordinò a Markus mentre tentava di prendere la mira. Ma era troppo tardi: con un solo, potente balzo, il massacratore stava già piombando su di lei prima che potesse correggere il tiro.
Vide il massacratore sbattere e rimbalzare indietro, tra lei e lui c’era Markus, con gli avambracci incrociati, in piedi con le gambe allargate. Prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa il quello tornò all’attacco, questa volta correndo basso, ma ancora, sembrava che ci fosse un muro tra lui e loro, e con un bagliore nitido Markus sbalzò indietro il nemico.
Non era possibile, un umano capace da solo di contrastare un angelo. Come se ne avesse preso consapevolezza il giovane si raddrizzò e avanzò verso il massacratore, che –già in piedi- stava preparando un nuovo attacco.
Markus raccolse la sua balestra e la imbracciò, mirando al massacratore, Celiane al suo fianco faceva lo stesso. La bestia caricò, markus fece per parare ma un altro essere si era frapposto tra loro in un turbinare rosso e oro, che fermò il grosso rettile con un colpo nell’addome:
-La raccolta è finita , Vaezara
Il suo volto era una maschera di dolore, stupore e rabbia; poi la sua espressione divenne vacua e il massacratore si accasciò contro il suo compagno.
-Apollonius
Voltò il capo per incrociare lo sguardo di Celiane; lo aveva riconosciuto immediatamente: era sempre circondato dallo stesso bagliore, solo che al buio risultava più intenso. Il suo petto si alzò e si riabbassò: Celiane.
Poi lo vide involarsi verso l’alto.
Celiane cadde in ginocchio, con gli occhi persi verso l’alto, vicino a lei Markus era piegato, stava vomitando bile. Aiutandosi con un grosso sasso si alzò ed andò a sorreggerlo, per fortuna stava bene.
 
 
Era li, ad un passo, in difficoltà, finita. Aveva avuto innumerevoli occasioni per ucciderla e l’aveva lasciata vivere. Fino a quel momento poteva sembrare che fosse una sua personale scelta, di tenersi un giocattolo umano con cui sfogarsi ogni tanto.
Tra l’altro quando Toma gli aveva proposto di arruolare un paio di Angeli esclusivamente per quel loro Morokai si era mostrato entusiasta, almeno qualcuno al posto suo avrebbe messo fine alle sue torture.
Mai aveva fatto previsione più sbagliata: non solo non era riuscito ad accogliere in sè lo Spirito della guerra quel giorno, ma non aveva avuto un pensiero che non fosse per quella disgraziata umana. E  si era appostato, non a studiarla, non ad assicurarsi che venisse eliminata, ma per vegliare su di lei: aveva tremato quando il Morokai si era schiantato,  e si era ritrovato a sospirare di sollievo quando l’aveva vista uscire dall’abitacolo.
Ma lui la voleva morta, voleva liberarsi di quell’inquietudine di cui era preda ogni volta che assorbiva il prana di un umano, voleva liberarsi delle scariche di elettricità che sentiva in lui quando la pensava. Per questo non aveva fatto nulla quando Vaezara era partito all’attacco.
Poi era arrivato il mezzosangue; non l’aveva mai visto, ma sapeva che in mezzo agli umani esistevano esseri con capacità affini a quelle angeliche. Aveva respinto gli affondi di Vaezara per due volte, ma alla terza lui attaccava per uccidere, non avrebbero resistito. Bene, bravo Vaezara. Vide la scena dietro le sue retine, la familiare scena del suo corpo morente in preda alle convulsioni diventava un’isopportabile, terribile possibilità.
Forse era per questo che era intervenuto; senza accorgersene era già tra Vaezara e i due umani, il suo simile non si era nemmeno accorto della sua presenza, il colpo allo stomaco lo aveva colto impreparato.
Se ne stava andando quando lei chiamò il suo nome; un guizzo di gioia sconosciuta si impadronì del suo cuore, non potè fare a meno di voltarsi, bearsi della sua immagine ancora una volta, la sua bellezza effimera brillava sempre di più. Sentì uno spasmo provenire dal corpo che stava sorreggendo, meglio andarsene.

Questi sono i capitoli che mi piace scrivere, pieni di guerra e pieni di Apollonius *w*

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