E te lo giuro, sei la mia unica cosa bella.

di Madam Morgana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Friends will be friends. ***
Capitolo 2: *** Come vivere. ***
Capitolo 3: *** Ridammi la mia vita. ***
Capitolo 4: *** Aspettami. ***
Capitolo 5: *** Heaven Bar. ***
Capitolo 6: *** Di chi ti ricordi per sorridere? ***
Capitolo 7: *** Fratelli. ***
Capitolo 8: *** La nuova casa e lo scontro. ***
Capitolo 9: *** Il ragazzo dai capelli ricci. ***
Capitolo 10: *** Ashton. ***
Capitolo 11: *** Solo una serata felice. ***
Capitolo 12: *** Non credo alle promesse, ma tu torna. ***
Capitolo 13: *** Tutti tornano. ***
Capitolo 14: *** Final Masquerade. ***
Capitolo 15: *** Gelosia. ***
Capitolo 16: *** In frantumi. ***
Capitolo 17: *** Potrebbe crollare il mondo, ma noi no. ***
Capitolo 18: *** Discoparade. ***
Capitolo 19: *** Decisioni e Paure. ***



Capitolo 1
*** Friends will be friends. ***


 

1.






 

A Lucy ed alla sua voglia di aiutare le persone piene di problemi. A mia madre,
che è sempre piena di allegria e positività. A mio padre, il mio grande eroe
che sa sempre capirmi. A Joseph ch'è partito senza salutarmi, ma che comunque

gli voglio un gran bene nonostante tutto. Alla speranza che continua ad alimentare
il mio cuore, perché un giorno riuscirò a realizzare il mio sogno.
Ai sogni, che continuano a vivere dentro di noi.

 

 








 

Una vecchia canzone dei Queen s'intitolava “friends well be friends” e mi piaceva ascoltarla con Joseph, il mio migliore amico.
Perché non aveva poi così tanta importanza se le mie cuffiette, comperate ad un negozietto cinese, si sentissero male. L'unica cosa che aveva realmente senso era stare a stretto contatto con lui utilizzando la scusa della musica. Perché la musica era sia la scusa per eccellenza che la salvezza totale. Ma Joseph era troppo sciocco per capire ch'ero innamorata di lui, sin dal primo anno di liceo insieme. E poi nell'estate del duemilaundici eravamo migliori amici, tutto accaduto molto velocemente. Con me che continuavo ad amarlo in segreto e lui che mi vedeva come una sorella. La sorella migliore che potesse avere, diceva.
Ora comunque è tutto diverso, questo è solo il passato e deve rimanere tale. Tra me e Joseph c'è un oceano che ci divide e fa male; un po' come quando ti scotti al palato nonostante tu stia mangiando il tuo piatto preferito, sei scioccato a causa del dolore ed il piacere nemmeno lo senti più.

E mi rendo conto che gli anni trascorsi con la compagnia di Joseph sono volati troppo velocemente, non ho fatto in tempo a godermeli che ormai il suo nome è diventato un ricordo così come il suo viso. La scuola ci ha uniti e la scuola ci ha separati.
Si è trasferito in Russia, credo, ed io sono rimasta a Stratford, in Inghilterra. E la vita non è mai stata così monotona, ogni giorno sembra uguale. Con mia madre che continua a giudicarmi sul mio modo di vestire, con mio padre che lavora tutto il giorno tornando solo la sera tardi a casa e con mia sorella Lucy che studia per diventare psicologa. Lei vuole salvare la mente delle persone, perché nessuno ha salvato la sua, dice.
Io invece penso che ognuno si salva da sé prima o poi, imparando a sue spese quello che lo indebolisce e quello che lo fortifica. Però Lucy è ancora troppo piccola per capirlo, ed io non le infrangerò i suoi sogni, perché nessuno dovrebbe spezzare le ali della speranza mentre, per quanto mi riguarda, le mie sono state staccate da tanto tempo ormai, nemmeno ricordo più quali sono stati effettivamente i miei sogni.
E' solo che a vent'anni ti rendi conto che la vita cambia, diventi adulto contro il tuo volere rimpiangendo gli anni trascorsi ad acclamare la tanto attesa maggiore età. Che stupidi che sono, gli adolescenti, che della vita non capiscono granché. Per quanto mi riguarda tornerei nuovamente indietro a godermi quello ch'è passato troppo in fretta, perché mi manca Joseph, la scuola, ed anche la professoressa di diritto che si cimentava con barzellette prive di umorismo; pagherei oro per sentirle di nuovo, le stesse che continuano a non farmi ridere. Nemmeno adesso che le penso a distanza di anni.
Sono sempre stata una tipa stramba, che ama perdersi nei ricordi e rimpiangerli, forse sono leggermente masochista, ma non ne sono poi così sicura. Non ho una vasta cerchia di amici, gli unici che reputo tali sono un branco di cani abbandonati al canile, dove mi reco ogni giorno.
Il signor Coleman mi da il consenso di accudirli, nutrirli e sfamarli, ed un po' lo ringrazio. E' un brav'uomo nonostante i suoi acciacchi e gli arteriosclerosi lo rendono una persona altamente irascibile.

« Alice? Sei qui? »
Mia madre da due colpetti alla porta in legno, ed io mi metto composta sul letto. Chi conosce mia madre non fa altro che dire che è una brava donna, e non lo nego è sicuramente così. Ma è tremendamente fastidiosa, alle volte. E' troppo maniaca della pulizia e finisce per essere stressante, che proprio vorresti strangolarla con lo straccio. Ma le voglio bene, è stata l'unica a consolarmi quando Joseph è partito.
« Certo mamma, vieni pure. »
La porta si spalanca rivelandola in tutto il suo splendore. Mia madre è una donna sulla quarantina d'anni, ma, nonostante questo, veste molto giovanile. Indossa una maglia rossa con scollatura a V ed uno skinny nero; mi ricorda un po' il fare di una liceale. Mi dice sempre che alla mia età lei era vispa e arzilla, e non come me che sembro avere sessant'anni nonostante i miei appena vent'anni. Ma vorrei farle capire che i vent'anni di ora non sono come quelli di una volta, che prima i sogni non venivano infranti tanto facilmente ed i cuori non si spezzavano spesso. L'epoca di mia madre, così come quella di mio padre, era costituita dalla felicità nelle piccole cose, ed un po' l'invidio perché bastava poco per essere felici. Adesso è tutto diverso, con le paranoie degli adolescenti e le paure che persistono senza trovare una tangibile realtà. Sono solo angosce infondate, nate dalla mancanza di qualcosa, ma il problema è che, il più delle volte, non sappiamo cosa sia a scaturire tutto ciò. E vorrei essere nata nell'epoca di mia madre, perché erano più numerosi i ginocchi sbucciati che i cuori infranti e sono sicura facessero meno male.
« Cosa stavi facendo? Oggi è una bella giornata, non sei ancora uscita: è strano da parte tua. » Dice, poggiando un vassoio colmo di schifezze. Che poi a me le schifezze piacciono pure, ma proprio non ne ho voglia adesso, perché penso ancora a Joseph, l'amico che non mi ha salutato prima di partire: il mio migliore amico. Non sono riuscita a digerire la cosa, è così schifosamente doloroso perdere qualcuno di così importante, quando sono certa che l'unica a cui importava davvero ero io, e mia madre lo sa quanto ho sofferto, lo sa bene.
« Non mi va. » Afferro un donuts al cioccolato dal vassoio, gli do un piccolo morso e poi lo ripongo nel piatto di portata; mia madre scosta dal mio viso alcune ciocche, riponendole dietro l'orecchio destro e poi sorride. Le ho sempre invidiato quel sorriso, uno di quelli veri, uno di quelli che io non ho mai avuto.
« Oggi al cinema producono un film d'azione, so che è il tuo genere preferito perché non – »
« Mamma, davvero, sto bene. »
Gli occhi di mia madre s'accendono, mentre fanno una piccola radiografia dei miei. Cerca, invano, di scoprire cosa c'è che non va e, sebbene sia a conoscenza della mia unica debolezza, non mi domanda di lui. Sospira e, prendendo il vassoio precedentemente posato sul mio letto, annuisce richiudendosi la porta alle spalle, abbandonandomi al mio solito ozio.
Guardo le pareti della mia stanza, sono di un bianco sporco, ed alcune impronte di scarpe giacciono vicino al battiscopa; le riconoscerei tra mille, quelle impronte. Sono le Converse di Joseph. Una volta abbiamo fatto la lotta coi cuscini, poi lui ha perso ed è caduto poggiando i piedi sul muro, l'ho coperto dicendo a mia madre ch'ero stata io a tamponare le pareti, e poi lui mi ha ringraziato sorridendo, e quel sorriso, giuro, è stato in grado di farmi innamorare.
« Alice? Alice?! »
La ragazzina dietro la porta, adesso, non è affatto mia madre. La sua voce la riconoscerei tra mille, è quella di Lucy.
Lucy ha quindici anni, ad Aprile ne compirà sedici, ricordo ancora quando la stringevo tra le braccia, era così piccola ed innocente con i suoi occhioni che mi squadravano da cima a fondo.
Mi alzo dal letto, abbandonando i miei pensieri in esso, mi dirigo alla porta e subito dopo la apro, ritrovandomela dinanzi.
Lucy ha quindici anni, ma è bella, bella davvero. Alla sua età io ero ricoperta di brufoli dalla testa ai piedi, lei invece è perfetta, con la sua carnagione leggermente olivastra, i suoi capelli corvini, gli occhi grandi e scuri. Ma lei si crede brutta, imperfetta, piena di difetti, quando non sa nemmeno cosa sono i difetti. A Lucy manca qualcuno che le dica “non preoccuparti se non piaci a tutti, neanche la Nutella piace a tutti ma è perfetta. ” Vorrei dirglielo io, ma non è la stessa cosa. Entrambe ci salviamo a vicenda ogni giorno, ma sappiamo che a salvarci davvero può essere la presenza di un terzo che ci sconvolga il cuore.
« Ehi Lucy, cosa c'è? »
« Alice finalmente ha aperto il negozio di dischi in centro, dobbiamo per forza andarci. Sono sicura che troverò i nuovi arrivi dei 1975. Mi accompagni vero? »
« Cosa cambia se ti dicessi di no? »
« Nulla, dunque tra un quarto d'ora fatti trovare pronta. »
E se ne va così, senza nemmeno ascoltare la mia risposta. Fa tutto da sola, Lucy, che ha sempre avuto questa innata voglia di sconvolgere e rivoluzionare. Lei di sorrisi ne fa tanti ma nemmeno uno di quelli è vero; sono tutti falsi come le maschere che indossa ogni mattino.


Dopo una manciata di minuti, sono finalmente pronta. Indosso il mio solito zainetto nero con toppe di band rock ed infine calzo le mie Vans; scendo al piano sottostante ed attendo mia sorella, che con quel cerone di fondotinta impiega almeno quindici minuti buoni ad ultimare il suo make-up, eppure non ne avrebbe minimamente bisogno, è bella anche senza, soprattutto senza.
Alla fine la vedo arrivare, con la sua tracolla dei Beatles cucita ai bordi degli anelli sorreggenti in ferro.
« Sei pronta Alice? »
« Non sono io quella che si spalma tre chili di fondotinta. »
« Mamma! Alice mi prende in giro! »
Lucy aggrotta le sopracciglia ed incrocia le braccia al petto, sbattendo l'anfibio destro. Mia madre, che ormai è abituata ai nostri litigi, mi ricorda che almeno lei è femminile ed ama curarsi, mentre io mi trascuro da far schifo.
Sbuffo sonoramente, prendo da un polso mia sorella, che per la cronaca è vittoriosa dello schieramento di mia madre, e poi ci catapultiamo fuori, nella tranquilla Stratford.
Il negozio di dischi in cui devo accompagnare la peste è almeno a tre isolati dopo casa mia, ma non dispongo né di patene né di auto, e mia madre di prestarmi la sua proprio non ha voglia; pertanto cammineremo a piedi, che forse è la cosa migliore.
« Sei sicura che il negozio aprirà alle quattro? »
Lucy annuisce battendo le mani e saltellando come una scema, ultimamente ascolta molto i 1975 e veste in stile grunge, è cambiata abbastanza da quando frequenta il liceo, ed io non so se sia a causa dei compagni o della fase adolescenziale.
Arrivati a destinazione, il suo amato negozio è effettivamente aperto.
Musically” ha un'insegna a neon fluo sul blu, ed io mi rendo conto che nome più stupido non potevano dare, ad un negozio di musica.
Tuttavia l'interno non delude, enormi scaffali pieni di dischi, sezione vinili e poster che tappezzano le mura è tutto ciò che riesco a vedere. Lucy si perde ad osservare tutto con foga, mentre già la vedo scorrazzare in ogni angolo alla ricerca dei suoi beniamini.
« Lucy, vedi di non perderti! » Anche se so che non lo farà, non è così stupida, almeno penso. E poi, francamente parlando, nonostante il negozio sia immenso non riuscirei a perderla, nemmeno se volessi.
« Tranquilla, non si perderà. »
Una voce dietro me, tende a rassicurarmi. Intimorita mi volto, ritrovandomi davanti ad un ragazzo alto, dai capelli scuri come quelli di Lucy e dalla carnagione olivastra. Mi sorride cordialmente riducendo gli occhi a due piccole fessure.
E' un sorriso molto simile a quello di mia madre, uno di quelli veri di cui sono ossessionata. « Oh, ehm... speriamo. » Riesco a malapena a rispondergli, per poi chinare il capo alla ricerca di qualche disco preferito, che sicuramente non troverò nella sezione pop rock.
« Posso aiutarti? Cosa stavi cercando? » Ma lui continua, quasi con prepotenza e probabilmente mi sono imbattuta nel proprietario del negozio. Sfigata come sempre, del resto.
« No ecco, io stavo solo dando un'occhiata. Sono venuta per mia sorella. »
« La ragazzina che sta distruggendo i miei scaffali mettendoli in disordine, dici? » Un ghigno divertito lascia curvare all'insù le sue labbra carnose ed io desidererei solo sprofondare. Lucy è sempre la solita, accidenti, capace di farmi fare figuracce che gradirei evitare. Soprattutto in posti non troppo affollati, e quando i proprietari sono dei ragazzi... carini. « Oddio, adesso vado a recuperarla, mi dispiace da morire. »
« Ehi, non preoccuparti, tanto il mio amico poi mi da una mano. Come ti chiami? » Mi chiede, sistemando alcuni dischi. Il suo sorriso si smorza leggermente, ansioso della mia risposta.
« Mi chiamo Alice. »
« Io sono Calum, piacere. »
Posando i cd, mi porge la mano in una stretta gentile. Ha il palmo caldo, e le dita nodose ma esili, la mia mano sembra così piccola e tremendamente fredda che quasi mi mortifico ad avergliela data.
« E' tuo il negozio? »
Cerco di temperare l'atmosfera fastidiosa e scottante che si è andata a creare, con una comunissima frase sciocca. Calum allenta la presa, ritraendo la mano, infilandosela poi nella tasca anteriore degli skinny, scrolla le spalle e poi sorride, mostrando la dentatura perfetta.
« In pratica no, teoricamente sì. Lo gestisce mio padre, io sono qui solo a dargli una mano, ma non per molto. »
« E' molto bello, so che avete aperto da poco. » Calum porta la mano destra sul capo, grattandosi la nuca, sembra leggermente a disagio, ed è tutta colpa mia che non freno mai la lingua. Eppure quella sua espressione da cucciolo è così carina...
« Diciamo di sì. Il Musically non è mai stato un negozio stabile, ma cammina da paese in paese. Non rimaniamo mai nella stessa città per troppo tempo. »
« Oh, capisco! Beh sembra divertente, un negozio mobile. » Risposta più idiota, poi, non potevo dare. Ma l'affermazione fa ridere Calum, il che compensa tutto.
« Sì, hai ragione, è un negozio mobile. Che genere di musica ti piace, Alice? »
« Uhm, non ho un genere preferito ma prediligo il rock, metal, hardcore ed anche il jazz. »
Gli occhi del moro s'accendono di luce propria, come due fari pronti ad illuminare un porto precedentemente cupo e buio, mi afferra dal polso destro e poi mi trascina con se, nonostante io non sappia dove mi stia portando.
« Vieni, devo farti vedere una cosa. »
Percorriamo un piccolo corridoio, lasciando Lucy intenta a sbavare sulla vetrina targata anni '60, e poi mi fermo non appena Calum smette di camminare.
Davanti ai miei occhi c'è una pila insormontabile di dischi e poster, riesco a riconoscere Led Zeppelin, Metallica, Iron Maiden, Queen, Slipknot, Green Day, Nirvana, Black Sabbath, ACDC, Mothoread e Ramones, ma sono troppi per contarli, finirei per perdere il conto. « Credo che ti piacerà qui. » Dicendo così mi lascia il polso, incrociando le braccia al petto, ed io mi perdo ad osservare quanti dischi contiene questa stanza.
I miei occhi si posano proprio lì, su di uno scomparto non troppo alto giace il singolo dei Queen: Friends Will Be Friends.
Rimango a fissarlo per minuti che sembrano diventare ore, Calum non parla ma riesco a sentire i suoi occhi puntati addosso, il suo respiro disperdersi nelle mura del posto. E mi manca l'aria, il terreno, la forza di urlare e di dire a me stessa che quella stramaledetta canzone deve smetterla di apparirmi davanti, dentro la mente, nelle orecchie ed in qualsiasi posto che possa anche solo immaginare.
« Ti piacciono i Queen, allora. Ho trovato il tuo punto debole. »
Il moro sorride, ancora, quel sorriso che spazza le mie paure, si avvicina allo scomparto prendendo il singolo e porgendomelo. « Stavi guardando questo, vero? »
« Sì ecco io, diciamo che conosco la canzone. »
« La conosco anch'io, come singolo mi piace, ma la preferisco dentro l'album di “A Kind of Magic ” penso che anche una canzone ha bisogno di compagnia. Ascoltandola in riproduzione alle altre è meglio, non ti rimane quell'amaro in bocca, non credi? »
« Sì... io – sì, hai ragione. » E sono decisa a comprarlo, questo stramaledetto singolo, perché forse così non sarò più ossessionata da Joseph, da questa stramaledetta canzone e da ogni singola emozione che lascia scaturire anche solo una parola del brano. Ma quando comincio a frugare dentro la mia tracolla dei Maiden, mi rendo conto che mia madre ha finanziato solo il disco per mia sorella, come al solito io non ho uno spicciolo a causa delle mie continue ossessioni verso i poster.
« Ecco puoi mettermelo da parte? Domani passo a comprarlo adesso non – »
« Prendilo, te lo regalo. »
« Cosa? No, no non posso accettare. La roba dei Queen è un fottio di soldi! »
« Insisto, Alice. »
E nonostante io abbia perseverato più volte rispetto a lui, alla fine il singolo tanto agognato è dentro la mia tracolla. Ne avrò cura, come se fosse l'unica cosa che adesso ha importanza per me.
Quando usciamo dalla stanza, ripercorrendo lo stesso corridoio, Lucy ha finalmente scelto il disco che alla fine si rivela essere The 1975, album d'esordio dell'omonima band britannica.
« Alice eccolo! L'ho trovato! » Annuncia vittoriosa, mentre sventola il suo tanto agognato traguardo, che poi lei li ha sempre seguiti sperando sempre di stringere tra le mani qualcosa un giorno, ed ora ha coronato il suo sogno.
I suoi occhi neri si posano sulla figura di Calum, ed un ghigno divertito abbandona le sue labbra, seguito da qualche frase sciocca e vuota, come la sua testa.
« Uhuh Alice, hai già fatto colpo? »
Calum ride divertito, ed io vorrei sprofondare, ancora una volta. « Smettila Lucy, non fare la scema. »
« A quando le nozze, sorellona? »
« Lucy, ti prego! » Riesco ad afferrarla da un polso, mentre cerca di svincolare la mia presa. Finalmente arriviamo alla casa, dove ad attenderci c'è lo stesso Calum che mi ha regalato il singolo.
« Sono diciotto dollari e novantacinque penny. »
Mentre Lucy è intenta a smanettare per trovare le monete mancanti, i miei occhi si posano su quelli del moro che aveva ben deciso di anticipare le mie mosse, posando le sue iridi scure sulle mie. Quando un timido rosso comincia a far capolino sulle mie gote, Lucy finalmente ha trovato i suoi novantacinque penny mancanti, li poggia sul bancone e Calum ripone in una bustina color arancio il disco di mia sorella.
« Spero torniate presto a trovarmi. » Annuncia, e Lucy ammicca posando i gomiti sul bancone.
« Puoi starne certo, mia sorella non ti toglie gli occhi di doss – »
« Lucy si è fatto tardi, vieni andiamo, grazie ancora Calum, ciao! »
In fretta e furia sono riuscita a portare fuori dal Musically mia sorella, ritrovandoci nuovamente in una Stratford ora prospettata verso l'imbrunire.
Ci inoltriamo nella via del ritorno, mentre Lucy sventola la sua busta arancio, felice dell'affare, perché per lei, che i soldi non li lavora, diciotto dollari e novantacinque penny sono pochi.
« Potevi evitarla quella figura con Calum, Lù. »
« Perché? Ho visto come lo guardavi sai? Lo stavi letteralmente mangiando con gli occhi! »
« Ma non è vero! »
« Invece sì, è vero! »
« No che non è vero! »
Ed arriviamo così, a casa, continuando a lottare su chi ha ragione e chi, invece, mente. Perché Lù odia perdere, ed io sono orgogliosa da far schifo per ammettere la verità.
Quando arriviamo alla meta, Lucy spalanca la porta dopo averla aperta grazie all'ausilio delle chiavi, ed un tanfo di broccoli al vapore invade le nostre narici.
« Oddio che puzza mamma, ma cos'è questa roba?! »
« Broccoli al vapore, Lù, la vostra cena. » Annuncia mia madre, felice come se avesse preparato un piatto degno di un ristorante costosissimo.
« Fantastico... » Il sorriso di Lù si spegne, e non basteranno i suoi amati 1975 a farglielo tornare, i broccoli sono pur sempre i broccoli.

 

« Lo sai che Alice ha rimorchiato qualcuno, mamma? »
Ad un tratto i broccoli finiscono nella traiettoria sbagliata, tossisco più e più volte nella speranza di non morire all'istante, ingurgito una giusta dose d'acqua che, però, non mi aiuta a stabilizzarmi ed invano cerco di fulminare mia sorella con lo sguardo, che per la cronaca sta mangiando i disgustosi broccoli.
Mia madre smette di mangiare, guardandomi incredula, perché infondo io un ragazzo non l'ho mai avuto.
« Cosa? Davvero? E quando? » Ne parte il solito terzo grado di ogni genitore, mia madre non fa eccezione.
« Ma no mamma, non è vero! »
« , Alice mente, se lo stava mangiando con gli occhi quel ragazzo del negozio di dischi, oggi. »
Mia madre inarca un sopracciglio, arrotola pezzi di mollica tra le dita ed attende la mia risposta. Lucy proprio non la sopporto.
« E chi sarebbe il tizio in questione? »
« Si chiama Calum, lavora al Musically, il nuovo negozio di musica. »
La fame improvvisa che fino a dieci minuti prima alimentava lo stomaco della mia genitrice, sembra cessare. La sua forchetta cade sul tavolo, emettendo un tintinnio fastidioso, e non dice più nulla. Il suo terzo grado cessa nel momento in cui sente le ultime parole di mia sorella.
« Bimbe si è fatto tardi, qui sistemo io, perché non andate a dormire? »
Solitamente la cena non finisce quasi mai così, perché siamo io e Lù a sparecchiare, chiedendo poi qualche minimo compenso a mia madre, che sbuffando esaudisce le nostre richieste. Ora invece è diverso, ci manda a letto senza brontolare sul cibo non consumato del tutto, e non mi guarda negli occhi.
Quando finalmente mi stendo sul mio letto, osservo quelle impronte che mai mi appresterò a pulire, ed alla fine i miei occhi diventano sempre più pensanti.
Friends will be friends è l'unica frase che riesco a ricordare, prima che il sonno predomini in me, facendomi sprofondare nell'abisso dei sogni e delle speranze perdute.











Nda: Lo so, non sono molto normale, ho già due fanfiction in corso e questa sarebbe la terza,
ma voi non potete capire quanto tempo mi sta rubando questa bimba, dunque ho deciso di pubblicarla.
Come ogni volta che pubblico qualcosa,
finisco con il dire che tengo alle mie ff ecc ecc.
Ma questa è diversa, qui dentro c'è un pezzetto di me che forse in tutte le altre non ho messo.
Questa storia è troppo importante, molto, schifosamente troppo, e dunque mi piacerebbe condividerla con voi.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, della storia, di Alice, delle sue paure e della sua voglia di cambiare le cose.
Ci tengo nei vostri pareri preziosi, perché alimentano la mia forza di volontà. Spero vivamente in un vostro commento.
Davvero, ci tengo.
Detto questo evaporo, ed alla prossima!
(giuro che mi fermo fino a quando almeno una storia non si conclude, parola di scout, hahaha!)

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Capitolo 2
*** Come vivere. ***



2.












 

Adolescenza: o la ami o la odi.
In questo preciso istante la amo talmente tanto da desiderare una macchina del tempo per tornare indietro, un po' come i protagonisti di “Ritorno al futuro” balzavano da epoche in epoche con facilità disumana, che invidia!

Io invece rimango ancorata in una realtà che non mi piace, e sono certa che non piaccia a nessuno visto come stanno le cose.
Guardo il display del mio cellulare accanto al mio letto, sono le tre del pomeriggio di una Domenica qualsiasi, nulla di anomalo o stupefacente. L'altra cosa che non cambia mai è la mia solitudine, ormai vista come una migliore amica.
E penso che sarebbe bello trovare qualcuno che ti guarda come se fossi tutto ciò che ha sempre cercato, qualcuno che ti faccia capire cosa sei realmente, che gli manca l'aria al sol pensiero di perderti, come manca a me ogni giorno quando rafforzo la mia consapevolezza di non vedere più determinate persone.
I miei professori, i miei vecchi amici, Joseph...
Lui c'è sempre, nei miei pensieri, così come nei miei incubi. E' sempre lì, con quel sorriso perfetto e quei occhi scuri che fregano sempre. Ci facevo l'amore solo a guardarli, quando eravamo vicini.

Ultimamente collego molte cose a Joseph come la canzone che sto ascoltando in questo preciso istante dei Maroon 5; s'intitola Maps, ed in un pezzetto dice “Ero lì per te nelle tue notti più buie.
Ma mi domando dov’eri tu quando ero al peggio in ginocchio e dicevi che saresti stato alle mie spalle.”

E mi rendo conto che alcune canzoni, forse le più belle, si basano su principi tristi come cuori infranti, amori mai nati e rifiuti non meritati.
Ne avrei tante da dedicare a quello che si identificava come mio migliore amico, talmente tante che potrei fare un intero disco ed inviarglielo con una raccomandata di calci in culo, ma nonostante cerchi di odiarlo, non ci riesco. I momenti felici che abbiamo trascorso insieme, le cose belle che abbiamo fatto nel nostro periodo dell'adolescenza sono superiori alla rabbia che ho nei suoi confronti, e sono fottuta ancora una volta dai miei pensieri.

Abbandono il letto, alzandomi svogliatamente, affacciandomi alla finestra. Un dolce vento gentile sfiora le mie ciocche corvine meshate – ultimamente sono parecchio ossessionata dalle ciocche colorate, adesso le ho rosse, ad esempio – mentre riesco a scorgere in lontananza, un timido sole che si spegne dietro le colline. Il paesaggio visto dalla mia stanza non è male, se non fosse per il pattume stracolmo di rifiuti distante dieci metri circa dalla mia finestra. Ma del resto non mi lamento nemmeno, la città non è curata a dovere, le tasse non vengono pagate quasi da nessuno, non posso di certo lamentarmi quando la prima a non pagare è mia madre.
Le pagherei io, se disponessi di un lavoro, ma come ogni ragazza della mia età completamente inesperta su tutti i campi, non ho via di scampo.
Mi ritrovo a pensare che probabilmente morirò etichettata ancora come “apprendista in tutto e specializzata in niente” e quasi mi fa ridere l'idea.
Smetto di ridere dei miei assurdi pensieri e successivamente scendo al piano terra incontrando Lucy, intenta ad ultimare qualche saggio da consegnare entro pochissime ore.
E' sempre parecchio stressata a causa dello studio, i professori non la mollano nemmeno per un istante, alle volte si lamenta pure del ramo che ha deciso di prendere e più volte le ho ripetuto che nessuno le ha puntato la pistola al petto, deve capire che i sacrifici sono alla base di tutto. Per diventare qualcuno si dev'essere disposti anche a privarsi di molte cose come del tempo libero, ad esempio.
« Ehi Lù! » Mi siedo a capotavola, dall'altra estremità del tavolo. Lei non mi degna di uno sguardo, rimane con gli occhi incollati al foglio mentre tra i denti stringe una matita già vecchia e mangiucchiata da chissà quanto tempo, è uno dei suoi vizi più grandi: per concentrarsi ha bisogno di sgranocchiare matite e penne, bleah!
« Ciao Alice. » Dice alla fine, alzando una mano in segno di saluto. Io rido nel vederla così intenta a concentrarsi ed un po' mi fa tenerezza, se ne capissi qualcosa delle sue strane materie sicuramente le darei una mano.
Stranamente mia madre non è in casa, ed è bizzarro considerando la sua costante permanenza in essa a causa della sua ossessione sui servizi e sull'eliminare germi e batteri.
Lucy a proposito di ciò non dice nulla, scribacchia sul suo foglio e picchietta l'indice della mano sinistra sul tavolo.
Io mi guardo intorno gustandomi quel silenzio che poche volte si può udire in casa mia, ma ben presto comincio a non sopportarlo più. Ultimamente mi vedo come una tipa abbastanza logorroica, parlo e penso a macchinetta senza mai stancarmi.
« Dov'è mamma? »
« E' andata in centro, dice che doveva vedere qualcuno. »
« Qualcuno? »
« Sì, qualcuno. »
« Non ti ha detto nient'altro? »
« Alice io starei studiando, eh! »
Lucy mi lancia un'occhiataccia ed io capisco di dovermene stare nel più assiduo silenzio. Percorro nuovamente le scale, ritrovandomi nella mia stanza; apro il mio armadio e cerco qualche outfit che non mi faccia sembrare una pazza uscita dal manicomio, ed infine opto per una t-shirt completamente nera e la mia camicia a quadri blu e rossa, gli shorts e le Vans, poi ripercorro a velocità supersonica le scale e do un bacio a mia sorella, che per fortuna non mia chiesto nulla sulla mia fretta nell'uscire.
La Stratford della Domenica pomeriggio è differente da quella dei giorni lavorativi, le strade sono piene di gente che si accalca l'uno sull'altro pur di osservare le solite vetrine che potrebbero vedere tutti i giorni, bimbi in carrozzine spinte dai genitori, vecchi intenti a leggere il giornale e cose comuni che non stupiscono più del dovuto. Tecnicamente la Domenica pomeriggio anche io e la mia famiglia facciamo tutte queste cose, ma oggi papà aveva un lavoro extra, mamma a quanto pare è uscita e Lucy studia, come se fosse l'unica cosa che le importa in questa vita.
E dunque mi chiedo: cosa sta succedendo? Anzi, che cosa ci sta succedendo? Tutti a rincorrere i propri problemi senza pensare agli altri. Persi sulla propria strada. Tutti con voglia di trasgredire, ma non fare niente. E allora non lamentiamoci della monotonia quando siamo noi a cercarla. Che poi la gente si abitua a tutto e quando ci si fa l'abitudine per ogni cosa, poi tutto diventa monotono.

Sono nuovamente sola, come ormai accade ogni singolo giorno, non è un male rimanere con se stessi, ma poi diventa scocciante e desidererei davvero un amico. Ma al sol pensiero di essere nuovamente abbandonata la cosa mi spaventa e depenno l'idea dell'amicizia convincendomi che vado bene così, che a vent'anni devo pur aver imparato qualcosa dalla mia vita, anche se non sono così sicura di aver imparato le cose che mi servono realmente.
I miei passi mi conducono al Musically, e non ci faccio nemmeno tanto caso perché sono sempre con la testa tra le nuvole. Mia madre mi rimprovera spesso dicendomi “Alice quando ti deciderai a scendere dalle nuvole? Le nuvole vanno osservate e non calpestate!”
Ma vorrei tanto risponderle che a me piace vivere in un mondo fatto di sogni e speranze, le stesse utopie che mi sono state portate via tanto tempo fa, perché mi piace sperare, perché mi piace credere in qualcosa che non accadrà, perché ad Alice piace vivere, mamma.
Ma alla mia età sarei presa come una stupida, sicuramente.
« Alice! »
Calum è fuori dal negozio, sta sistemando alcune piante cadute da un ipotetico vento mattutino, mi ritrovo a pensare che, dunque, faccia solo mezza giornata il Musically. Francamente se fossi in Calum e potrei scegliere, preferirei lavorare al mattino per godermi un pomeriggio di puro e sano relax, ma ognuno ha le sue priorità, ovviamente.
S'avvicina a me, non prima di aver afferrato le chiavi precedentemente incastrate dentro la serratura, le nasconde dentro la tasca sinistra degli skinny ed infine me lo ritrovo a pochi centimetri di distanza da me.
« Ehi, ciao. »
« Che fai di bello? »
« Tecnicamente passeggio per le strade. »
Calum sembra un tipo apposto, ha un certo fascino che lo mescola alla perfezione con la strafottenza, sembra dinamico e parecchio sicuro di se, tutte cose che a me mancano, del resto. E' risaputo che ho poca autostima, ma credo che tutte le ragazze ne abbiano almeno un pizzico. Poi penso a Lucy e lei ne ha più di tutti, ecco perché nasconde sempre il suo corpo da maglioni grandi almeno tre taglie in più e copre il viso con un cerone orribile.
Invidio Calum, invidio i maschi in generale, che di complessi simili non ne hanno mai avuti.
« Beh, ti va di entrare? Stavo sistemando delle cose. »
« Certo. »
Quando entriamo dentro il negozio, ancora è sprovvisto di luce, Calum si appresta ad illuminarlo con una serie di pulsanti ed immediatamente scorgo i dischi ed i poster visti il giorno precedente. Il Musically è davvero un bel negozio e lui sembra prendersene maledettamente cura, per quanto riguarda suo padre, il titolare, non l'ho ancora visto nonostante l'attività sia sua.
« Come mai giravi tutta sola? » Il tono del moro sembra leggermente curioso misto ad un pizzico di sgomento, ed un po' ricorda mia madre che, nonostante i miei vent'anni, mi tratta ancora da bambina.
« A casa mi annoiavo, Lucy stava studiando. »
« Oh, la ragazzina di ieri? E' felice del suo acquisto? » Mi chiede, con quel sorriso che fa invidia ai raggi del sole. Tanto è lucente il suo viso che persino palla dorata si mortificherebbe al suo cospetto.
« Sì, è felice. »
« Senti io per le sette dovrei chiudere, ti va di andarci a prendere una cioccolata in qualche bar qui vicino? Ovviamente ho la macchina, poi ti riporto a casa. »
Ed accade tutto così in fretta che non faccio in tempo a metabolizzare la frase, Calum la getta così, sul posto con quella sicurezza che mi fa rodere l'animo.
« I – io, ecco... »
« Se non puoi non importa eh, magari un'altra volt – »
« No! – la mia voce emette un suono acuto, facendomi sembrare più svitata di quanto già non lo sia, mi schiarisco la voce nella speranza di sistemare tutto – cioè volevo dire, no, va benissimo. Ci vediamo alle sette allora?! »
Calum annuisce, dandomi una piccola pacca sulla spalla seguita da un bacio leggero sulla guancia. E divento paonazza, quel rossore che assumono le quindicenni, che cretina!
Mi accompagna alla porta, con quel sorriso che non abbandona mai le sue labbra carnose, e poi mi segue con lo sguardo quando, io, varco la soglia. Attende cautamente la mia scomparsa dietro una via, mentre poi si richiude la porta del negozio alle spalle, tornando sicuramente al suo lavoro.


Quando torno a casa, Lucy è nella stessa posizione in cui l'ho lasciata. Gli occhi incatenati al foglio, una catasta di scartoffie accanto a lei e qualche libro da cui prendere spunto, la matita ancorata tra i denti e lo sguardo che non si stacca dai suoi compiti; l'unica cosa diversa rispetto a prima è la presenza di mia madre, rincasata sicuramente da poco.
« Dove sei stata Alice? » Mi chiede, che dei terzi gradi lei è la sovrana. Si toglie il foulard dal collo e lo ripone nell'attaccapanni seguito dal cappotto scamosciato.
« In centro. Mamma questa sera esco, puoi anticiparmi la paghetta? »
Lei inarca un sopracciglio, si rolla le maniche del maglione e poi sparisce lasciandosi dietro la porta, rifugiandosi in cucina per cucinare qualcosa. « Con chi esci? »
Ovviamente questa domanda non poteva mancare. Lucy lascia cadere la matita sul foglio, le orecchie vispe che attendono la risposta ed i suoi occhi nero pece incatenati sulla mia persona. E' sempre stata pettegola, Lucy, nonostante non voglia essere lei quella al centro dei pettegolezzi.
« Con Calum, è un bravo ragazzo beviamo una cioccolat – »
« Ah, è il tizio del Musically, mamma! »
Lucy la spia delucida ulteriormente il mio appuntamento con Calum; sento qualcosa cadere dalla cucina e subito mi precipito in essa per vedere cos'è accaduto.
Un bicchiere in vetro o meglio i resti di esso giacciono per terra mentre mia madre si china per cogliere i cocci. « Non puoi uscire con quel ragazzo, Alice. »
« Cosa? »
« Non puoi, non mi piace. »
« Ma se nemmeno lo conosci, mamma! »
« Non si discute. »
« Invece si discute, io ho vent'anni e faccio quello che mi pare, chiaro? Mi tratti ancora come una bambina! »
I miei occhi si colmano di lacrime, mentre getto nel pattume i pezzetti di vetro, e poi l'abbandono così quella che si fa chiamare madre, che di me forse non capisce un'accidente alle volte. Predilige vedermi da sola che farmi socializzare.
Percorro le scale in fretta e furia arrivando alla mia stanza, chiudo la porta dietro di me e mi lascio cadere nel letto, sprofondando in un pianto liberatorio.
L'ho sempre vista come una donna che si prende cura dei figli, lei, ma adesso non capisco cosa c'è che non va nell'uscire con un ragazzo che mi sta anche simpatico.
E mentre penso che tutto questo è sbagliato – bagnando il cuscino che mi ha sempre visto piangere, ridere e sprofondare dalla vergogna durante le chiamate con il mio migliore amico – lentamente sento la maniglia della porta cigolare ed abbassarsi: è Lucy.
« Alice? »
« Cosa vuoi ora? Sarai contenta spero! » Le urlo, nella speranza di vederla andar via. Ora come non mai mi piacerebbe rimanere da sola; sola con me stessa.
Lei mi carezza il capo, sistemandomi i capelli e racchiudendoli in una coda. « No, non volevo questo Alice, mi dispiace sul serio. »
« Mamma non la capisco proprio. Che le è preso tutto d'un colpo? »
Lucy si morde il labbro chinando il capo, mentre sospira amaramente, s'alza ed indietreggia per andar via, non prima di avermi sussurrato un « lo fa per il tuo bene, sorellona. »
Che di bene poi, non ne capisce granché mia madre, allora. Vedere piangere una figlia non alimenta il bene che si prova, nonostante sappia che alle volte è meglio piangere piuttosto di rimpiangere cose sbagliate che non andavano fatte.
Tuttavia sono decisa a non mollare, non mi sono mai arresa nella mia vita perché credo che lottare metta a dura prova le persone che siamo davvero. Rifilo una maglia pulita, mi pulisco il viso con le salviette di Lucy ed infine sistemo i capelli approssimativamente.
Sono sempre stata una ragazza “senza tutù”, non la solita principessa che odia sporcarsi, dunque scavalco dalla finestra e con un balzo mi ritrovo per terra, con le mani sporche.
Mi alzo cercando di rimuovere l'eccesso e poi corro via, lontano dal bene di mia madre.

Sono ancora le sei, quando sblocco il mio cellulare per vedere l'orario e manca un'ora esatta all'appuntamento.
Avrei potuto lustrarmi a dovere per rendermi quantomeno accettabile, ma mi confondo alla perfezione con qualche barbone sparso qua e là che mi chiede d'accendere.
Che poi a vent'anni non ho nemmeno provato una sigaretta, mai. Che sfigata!
Conduco la strada del parco, sedendomi sulla prima panchina libera ed osservo come il tempo continua a scorrere nonostante tutto. Il mondo continua a girare anche se sono ferma, anche se abbiamo perso qualcosa, nel vano tentativo di ritrovarla lui corre più veloce trascinandosela con se, e tu sei stanca di correre per inseguire una cosa irraggiungibile, perché lui corre troppo veloce, instancabile, e tu resti indietro osservando il riflesso delle nuvole.
Ho corso tanto, nella mia giovane vita, ho cercato in tutti i modi di riprendermi le cose che mi sono state strappate ma non ho mai stretto nulla tra le mani se non una manciata d'aria che si mischia con l'altra anidride carbonica. E prima o poi tutti i desideri non esauditi diventano brezza che si libra e disperde con altra aria. E se non altro l'aria è un ammasso di desideri della gente, i desideri che non si sono mai avverati e noi li respiriamo ricordandoci quanto fa male la realtà.

Per la prima volta in tutta la mia esistenza, riesco ad arrivare puntuale al negozio di Calum, sono le sette in punto quando mi fermo dinanzi la sua porta. Lui esce subito dopo, richiudendosela a chiave e rimane sorpreso nel vedermi già lì, pronta ad attenderlo.
« Ehi, sei già qui?! Spero tu non abbia aspettato molto. »
« No, no, assolutamente, sono appena arrivata. » Mento, consapevole che l'aspetto dalle sei del pomeriggio, ma lui non conosce mia madre e forse è meglio così.
Mi prende per mano, la stessa che ha stretto i miei polsi, la stessa mano calda e grande che racchiude perfettamente la mia, come due tasselli di un puzzle appena ricongiunti.
Percorriamo un tratto di strada a piedi, poi ci fermiamo non appena Calum mi mostra la sua auto nera sfavillante, toglie l'allarme e mi apre lo sportello per farmi entrare, seguito da un inchino formale, ed io credo che ragazzi come Calum, ormai, si siano estinti dalla faccia della terra.
L'interno è favoloso, mi sembra di essere in un aereo privato, i sedili sono in pelle color caffè, è anche profumata la vettura. Il profumo è di vaniglia o forse di fragola, o magari di entrambi considerando la mia solita pecca nel riconoscere gli odori.
« Andiamo? » Mi dice, accendendo quel sorriso meccanico che sono certa sforna con tutti.
Annuisco provando a mimare quell'incurvatura all'insù, sicuramente con scarsi risultati.
Durante il tragitto parliamo del più e del meno, lui mi racconta di come i suoi genitori benestanti l'abbiano scritto ad un corso di musica imparando a suonare il basso, perché vuole diventare come Mike Dirnt, bassista dei Green Day, dice. Ed io sono certa che con perseveranza, sforzo e soldi a sufficienza, possa realizzare il suo sogno. Perché chi ha denaro riesce sempre a realizzare tutto ciò che vuole.
Le sue parole scorrono velocemente, e mi rendo conto di aver trovato un altro logorroico come me, ben presto mi convinco che io e Calum abbiamo molte cose in comune, come la passione per la musica targata anni '80, la voglia malsana di mangiare fino a scoppiare, sbalzi d'umore ed anche una dose innata nel perdere le cose.
Calum mi somiglia molto, ed è bello averlo conosciuto, come se per tutto questo tempo io stessi aspettando qualcuno come lui in grado di capirmi.
Quando arriviamo alla meta, l'imbarazzo ed il disagio che c'era all'inizio sembra essere sparito, entrambi ridiamo e ci avviamo al bar che si rivela essere caldo ed accogliente.
C'è una sfilza di tavolini e di persone pronte ad occuparli, ne riesco a scorgere uno ancora vuoto, vicino alla finestra e lo vado ad occupare mentre Calum va ad ordinare qualcosa.
« Ti ho preso anche qualcosa da mangiare, Alice. » Poggia la sua camicia sulla sedia, mostrando due bicipiti abbastanza muscolosi adornati da dei tatuaggi.
« Sono belli.» Dico, indicandoli mentre lui li osserva con i suoi grandi occhi scuri.
« Piacciono anche a me, all'inizio ho dovuto lottare con mia madre, non era d'accordo poi ho vinto io. Alla fine ho diciannove anni posso fare quello che mi pare. »
Rido un po', perché anche lui pensa le mie stesse cose, Calum deve combattere contro una madre sicuramente stressante tanto quanto la mia, che sicuramente mi frantumerebbe padelle in testa se solo osassi parlare di tatuaggi e segni che comprometterebbero la mia purezza della pelle.
« Anche mia madre è parecchio stressante, non voleva farmi uscire. »
« Come mai?»
« Non lo so, ha detto che è per il mio bene. »
Calum aggrotta le sopracciglia, prendendo dal vassoio in acciaio appena arrivato, il suo caffè. Io stringo tra le mani la tazza di cioccolata, mentre divido in due il croissant per darne una buona parte al moro, che dopo aver rifiutato almeno dieci volte si rassegna alla mia insistenza.
« Le madri sono tutte così, Alice. »
« Sì, posso immaginarlo. »
« I tuoi occhi somigliano molto ai miei, non pensavo che qualcuno qui a Stratford potesse avere queste iridi. » Annuncia, mentre fissa le mie pupille, sorseggiando il suo caffè.
« Oh, mamma dice che ne ho preso da nonno. »
« Capisco. »
E mi rendo conto che il discorso sta degenerando quando cominciamo a parlare di pupille, cosa che ad un primo appuntamento tecnicamente non dovrebbe nemmeno esistere.
Alla fine Calum paga, poggiando più banconote lasciando una lauda mancia, e poi usciamo dal bar tornando in auto.

 

« Sono stato bene.»
Mi sussurra, mentre guarda le prime stelle nascere. Io copio i suoi gesti osservando quella luna che ci ha seguiti da lassù, poi sorrido e schiocco un sonoro bacio sulla guancia del moro, non prima di averlo abbracciato. Lui lascia scivolare dentro la mia giacca il suo numero di cellulare scritto su di un foglietto. « Grazie mille Calum. »
Apro la portiera e poi vado via, Calum mi guarda fino a quando non apro la porta, poi sfreccia via insieme alla sua auto.
« Dove diavolo sei stata, ragazzina! »
Mia madre, come un dobermann, era proprio dietro la porta ad attendermi e sono certa sappia della mia trasgressione.
« Ho vent'anni mamma, non trattarmi come una che ne ha dodici. »
La sua espressione perennemente arrabbiata scruta i miei occhi, mi abbandona sull'uscio non prima di avermi detto « tu ancora non riesci a capire » e poi non la vedo più, volatilizzata nella cucina.

Tutto sommato mi aspettavo di peggio, salgo le scale ritrovandomi nella stanza che ama accogliermi, mi stendo sul letto ed un sorriso sornione contorna le mie labbra, uno di quelli che non ho mai fatto, uno vero.
Lucy varca la soglia della mia camera, si stende accanto a me e poi fissa l'umidità agli angoli del soffitto.
« Com'è stato? » Chiede.
« Come vivere. »
Lei non capisce, inarca un sopracciglio. « Eh?! »
« Come vivere Lucy, mi sono sentita viva per la prima volta, dopo tanto tempo. »
Eppure mia sorella continua a non capire, scuote il capo dandomi della strana, ma un giorno capirà anche lei la differenza tra vivere ed il sopravvivere, perché io ho sempre sopravvissuto ma non mi è mai bastato, ora adesso comincio a vivere.






 

Nda: Non pensavo di aggiornare così velocemente, in realtà, eppure eccomi qui.
Tadààààn! Indovinate un po' chi è tornata alla riscossa? Ma sì, sono sempre io, Morgana.
La vostra rompiscatole per eccellenza. Allora, cosa ne pensate della storia?
Vi sta piacendo? Io mi auguro di sì, è la prima volta che mi spingo oltre un capitolo con una
storia het, e per me è già un traguardo. Però sì, che dire, la storia mi prende e allora vado avanti.
Spero vivamente in un vostro commento. Cosa pensate stia succedendo nella vita di Alice?
E perché sua madre continua ad insistere sul non poter vedere Cal? Qual è il vostro personaggio preferito?
Fatemelo sapere, scambiamo quattro chiacchiere, non fate i timidoni, anche perché tengo troppo ai vostri pareri.
Okay ho parlato tantissimo. Evaporo.
Al prossimo capitolo, bacioni!

Vi lascio in compagnia di Joseph, interpretato dal nostro amatissimo Thomas Brodie Sangster. :D

 

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Capitolo 3
*** Ridammi la mia vita. ***



3.





 

La sfiga voleva giocare con me ed io sono troppo buona per dirle di no, dunque guardo incessantemente il messaggio appena arrivato e tutta la sensazione dell'essere viva di ieri sera si tramuta in una percezione di sconforto, avvilimento e voglia di piangere, gli stessi sintomi che provo quando penso alla mia adolescenza.
Il messaggio è di Calum, e una giornata peggiore di così non poteva cominciare.

Alice, ero indeciso nel lasciarti questo SMS o no, ma visto le circostanze dovevo. L'ho riscritto più volte nella speranza di non fartelo pesare, ma... devo partire, quando leggerai questo messaggio sicuramente io sarò già sul primo volo verso... beh, altrove. Non so come dirtelo che mi dispiace perché sicuramente non mi crederai. Ma, Alice non dimenticartelo, a tutto c'è una spiegazione.
Mi dispiace da morire, dico davvero.
Sei fantastica Alice, non permettere a nessuno di spegnere quel sorriso bello che hai, perché credimi è il migliore che io abbia mai visto. Non è un addio, ma più un arrivederci, perché so che ci rivedremo un giorno.
Credimi Alice, te lo giuro.
Ti voglio bene.
L'ho riletto più volte, nella speranza di non vederlo come un messaggio pesante, ma piango incessantemente da venti minuti buoni, con Lucy accanto che se ne sta nel più totale silenzio, mentre mi porge dei fazzoletti profumati alla pesca.
E' silenziosa come non mai, sistema i miei capelli appiccicati al viso a causa delle lacrime e mi ripete che quando piango non ho un bell'aspetto, ma sono conscia di non essere mai stata una bella ragazza.
A tutto c'è una spiegazione, dice Calum che ormai sarà già bello che andato e che di me non ricorderà nemmeno il nome tra due giorni. Sono nuovamente da sola, con la mia solita frustrazione dell'essere perennemente abbandonata e con Lucy che si cimenta a conoscere la mia mente, nonostante io innalzi barriere per non far passare nessuno.
« Alice non piangere, non fare così. » Riesco ad udire tra un singhiozzo e l'altro, mentre sospira amaramente mia sorella, che di vedermi così giù a causa dei ragazzi si sarà anche stancata.
« Non doveva andare così Lù, non doveva! »
Le gocce cristalline percorrono il mio viso, trovando appoggio sul cuscino che le accoglie, prontamente asciugo quelle nuove ma ne scorrono altre subito dopo, ed è un pianto senza interruzione, il mio.
E' un Lunedì mattina e la settimana comincia così, con un pianto che inaugura il mattino.
« Alice... ti prego riprenditi, i ragazzi sono così non puoi farci nulla, io adesso devo andare a scuola, ti prego non farmi preoccupare. »
« Ti accompagno! »
« Ne sei sicura?»
« Sì, non voglio rimanere da sola. »
Non di nuovo, almeno e non in così poco tempo quando stavo cominciando ad abituarmi alla felicità ed alla presenza di un nuovo amico.
Mia sorella annuisce alzandosi dal letto, mi lascia un bacio sul capo e poi sparisce oltre la porta.
Sfilo il pigiama frugando nell'armadio mentre afferro con rabbia una felpa, e la indosso subito dopo, infilo gli skinny ed allaccio i capelli in una coda sfilacciata.
Hai un aspetto orribile Alice, mi griderebbe lo specchio se solo potesse, ma ringrazio il cielo per aver fatto gli oggetti muti.
Quando arrivo in cucina mia madre è troppo occupata a lavare i piatti, nemmeno si è accorta dei miei occhi rossi e gonfi.
« Accompagno Lucy a scuola. » Annuncio, lei risponde solo con un “ah-ah” e poi torna a lavare, che di prestare tempo ad una figlia in lacrime proprio non ne ha voglia.
Attendo Lucy sul divano, mentre guardo la replica di uno sciocco reality, ed alle sette e venticinque fa capolino in cucina, con la sua divisa da liceo.
Saluta mia madre e poi mi trascina fuori, perché sa bene che riuscirei a sbraitare contro tutto e tutti in questo momento.
E mi manca Calum, così come mi manca Joseph, entrambi hanno lasciato un buco che non si colma in nessun modo, nemmeno con il cemento.
« Sapevi si sarebbe spostato, Alice. »
« Lo so, ma non così in fretta e senza nemmeno dirmelo a voce. »
E trovo così cattiva la sorte, che non mi lascia parlare un'ultima volta con persone che reputo importanti. « E' accaduto tutto così in fretta, non credi? Quasi come se Calum avesse premura nell'andarsene. »
Ancora una volta mia sorella si morde il labbro, sospirando e rimanendo in silenzio. Il tragitto si rivela più lungo oggi, che di parole tra me e Lucy non ce ne sono ma solo un groviglio di silenzi che ci rende vuote, lo stesso vuoto che sento all'altezza del petto.


« Sono a casa. » Annuncio, nella speranza di ritrovarmi qualcuno, anche uno scarafaggio andrebbe bene considerando che di rimanere sola oggi proprio non mi va.
Mia madre sbuca dalla cucina, asciugandosi le mani in uno strofinaccio, lo ripone sul tavolo e si siede subito dopo, tirando lunghi sospiri. « Alice, siediti un minuto. » Dice, mentre i suoi occhi mi scrutano con frustrazione.
« Tutto bene mamma? »
Sembra preoccupata lei, che di silenzi non ne ha mai imposti. Mi guarda mordendosi il labbro mentre aggroviglia le dita in una maniera che non aveva mai fatto. Io copio i suoi gesti andandomi a sedere dall'altra parte del tavolo, entrambe siamo distanti ma capaci di scrutare attentamente ogni minimo dettaglio.
Il silenzio si allunga maggiormente, mentre scendono minuti interminabili di attese.
« Dobbiamo parlare, Alice. »
« Va bene, ti ascolto. »
Ancora una volta un silenzio interminabile cala tra di noi, l'unica cosa udibile è il ticchettio dell'orologio posto sulla parete di fronte a me, quello stupido orologio a cucù che ha portato lo zio dalla Germania. Mia madre tira ancora qualche sospiro, sistema il suo chignon e poi schiude le labbra, in maniera lenta.
So che dietro i suoi gesti si nasconde l'agitazione più totale, è una cosa che ho imparato grazie a Lucy e le sue lezioni sul conoscersi meglio.
« Tesoro, tu sai che io e tuo padre ti amiamo davvero tanto, in una maniera che forse non riesci nemmeno a capire... » Comincia così il suo discorso, ricordandomi che mi ama e quando ci sono questi preamboli stravaganti ne sussegue sempre un cataclisma, l'ho imparato dai telefilm.
« E? »
« Però ci sono delle cose che ti abbiamo sempre tenuto nascosto, non per farti sentire inferiore ma per... proteggerti.
I figli sono la cosa più bella del mondo, Alice, e lo capirai quando da grande, sposata, avrai anche tu dei bambini da accudire. Sono la cosa migliore che la vita può donare. Tu e Lucy siete la fonte della nostra felicità, siete sempre state l'amore della nostra vita, vi abbiamo sempre protetto da ogni cosa, tenendovi sotto una campana di vetro. »
Il discorso di mia madre si fa più intenso senza mai abbandonare l'argomento “amore” e purtroppo io continuo a non capire. « Mamma, mi ha fatto sedere per dirmi che mi ami?»
« No ecco io... Alice tu non sei mia figlia, ti abbiamo adottata quando ancora eri troppo piccola per ricordare. »
Ed il mio mondo crolla, lo sento sgretolarsi sotto di me. Le mie gambe divengono pasta-frolla che prontamente si sfracella rendendomi impossibile il potermi sollevare dalla sedia. Sono bloccata, paralizzata da un dolore anestetizzante che mi lascia morire lentamente in un abisso in cui sprofondo.
I miei occhi si riempiono di lacrime, 'ché oggi forse non ho pianto abbastanza, la vista si appanna. Le mie guance scottano ancor prima di dare il consenso alle gocce di solcare i miei occhi ed infine piango, un pianto che fa male, un pianto che mi vede reduce nel frenare qualche crisi isterica.

Mia madre cerca di avvicinarsi per stringermi, ma trovo la forza per alzarmi e scacciarla via, rifuggiandomi nella mia stanza e chiudendomi a chiave.
Per anni sono cresciuta con la consapevolezza di vivere in una famiglia che mi ama, ed ora tutte le mie sicurezze, le uniche che avevo, crollano con una semplice frase.
E sono stanca di ogni cosa, stanca dell'essere continuamente ferita, di piangere incessantemente 'ché forse non ho nemmeno più lacrime da versare.
Sono così stanca di dovermi sentire sbagliata, imperfetta. A vent'anni si dovrebbe vivere, mentre io ormai sono solo stanca di farlo.
E la vedo sparire, la mia adolescenza di cose belle e sensazioni da bambina, vedo sbiadire quelle immagini nitide nella mente che mi raffiguravano al campo scuola, oppure in parchi giochi con i miei genitori, o alle feste estive, ai barbecue con i nonni e qualsiasi cosa che reputassi mia, ricordi che mi appartenevano. Ma non è così, ho vissuto la vita a metà con genitori che non sono miei, nonostante tutto l'amore del mondo che mi hanno dato in passato, e che continuano a darmi.
Incessantemente passano i secondi, minuti ed infine le ore ma di piangere non sono ancora stanca, ed infine la sento dietro la porta. La donna che ho chiamato “mamma” così tante volte, è lì, a picchiettare la sua mano, che mi ha asciugato pianti e carezzato nelle notti buie, sul duro legno della porta che mai ho deciso di riverniciare.
« Tesoro, posso entrare? »
« Vieni. »
Apre la porta lentamente, come se avesse paura adesso, mentre io continuo a far vagare lo sguardo su tutto tranne su di lei, 'ché guardarla adesso e non sentirla più mia, fa davvero un fottuto male.
« Alice... »
« Perché me lo hai tenuto nascosto per così tanto tempo? Perché? » Lei ci pensa, mentre il suo capo si china. I miei occhi la guardano, questa donna ora pentita dei suoi gesti.
« Non sapevo come affrontare l'argomento amore mio... ma che importanza ha? Io e tuo padre ti amiamo come se tu fossi davvero nostra figlia, non ti abbiamo mai – »
« Lo so, ma non è lo stesso capisci? Non è lo stesso! »
Le urlo, nel vano tentativo di farle capire che una madre è la cosa più importante del mondo, è l'unica donna che non tradisce, in grado di ascoltare gli sproloqui delle adolescenti, è qualcosa che ti segna nel profondo, e tu cresci ossessionata dalla voglia di diventare come una mamma, un giorno, mentre io adesso non voglio diventare nessuno da grande, che poi grande già lo sono.
« Mi dispiace Alice, ma l'amore che ti do, l'amore che continueremo a darti sarà più forte di un amore che un uomo può donarti. Sarai sempre la nostra bambina. »
« Cosa sai dei miei veri genitori? Posso vederli? Dove si trovano? »
« Io... »
« Devi dirmelo, io devo sapere chi sono. »
Mia madre sospira scuotendo il capo nel vano tentativo di farmi cambiare idea, ma la cosa non accadrà. Perché quando cose di questo genere vengono a galla, quando tutte le tue fondamenta crollano con poche e semplici parole sei costretta a sapere tutta la verità, ed io non faccio eccezione.
« Calum Hood è tuo fratello, Alice, il ragazzo del negozio di dischi, ecco perché ho cercato di allontanarlo. Non volevo compromettere la tua stabilità, ma poi ho visto che siete diventati amici, o almeno cominciavate ad esserlo e sono stata costretta ad allontanarlo. Gli ho detto di ritornarsene in – »
« Che cosa? Che cosa cazzo stai dicendo? Mamma ma tu sei impazzita?! »
Mi alzo dal letto, sconcertata, confusa, incazzata, avvilita e tantissime altre cose che ancora non sono stato in grado di focalizzare.
Le parole di questa donna mi confondono tanto da non ricordarmi persino il mio nome. Ancora una volta le mie certezze crollano, non appena il nome Calum sbuca fuori così di punto in bianco.
L'unico ragazzo che poteva capirmi, farmi sentire meglio e soprattutto rendermi felice è andato via, perché questa donna pensa al mio bene, un bene che forse non mi appartiene.
Da qualche parte ho letto che la verità fa male a chi è abituato a vivere nella menzogna, e prima ignoravo il significato di questa frase perché sono sempre cresciuta con la consapevolezza di vivere in una famiglia stabile, che non naviga nell'oro – certo – ma che comunque ha tutto ciò che può desiderare.
E penso a Lucy, ed al bene che le voglio, che nonostante tutto io la guarderò sempre con gli occhi di una sorella maggiore, il mio affetto per lei non cambierà mai.
Sento la voce di mia madre chiamarmi, sta blaterando qualcosa ma non riesco a capire. E mi rendo conto che le bugie, quando scoperte, annebbiano la vista, ovattano i suoni ed indeboliscono.
Siamo una generazione fatta di insicurezze e bugie. « Dov'è adesso? »
Mia madre abbandona il letto, si avvicina cercando di sfiorarmi ma io la schivo, 'ché di contatti falsi ormai non ne voglio più. « Alice ragiona, ti prego! »
« Dove cazzo è adesso Calum, dove mamma?! »
« Alice! »
« Mamma! Dove? Dove lo hai spedito?! MAMMA! » L'ennesima crisi non tarda ad arrivare e mi vedo pronta a cadere sul pavimento, così freddo e levigato.
Non può nascondermelo, non può nascondermi così a lungo delle cose e pensare che io non voglia scoprire tutte le altre, Calum è parte di me adesso e sono determinata nel ritrovarlo.
Ed alla fine lo dice, tra un sussurro ed una lacrima falsa che le riga il viso. « In Australia... ma Alice non fare mosse affrettate, è questa la tua casa adesso. »
« Non più. Ho visto morire tutto quello in cui credevo. Andrò a riprendermi la vita che mi è stata rubata, gli anni che mi sono stati tolti, la felicità che non ho mai trovato. E se è Calum la mia felicità, io andrò fino in Australia a riprendermela, e tu non mi fermerai. »
Varca la soglia della porta, sospirando amaramente mia madre, forse ha capito che a vent'anni ognuno è artefice del proprio destino.
E sono decisa a riprendermi quello che mi appartiene, e lo faccio solo per me questa volta. Nessuna carità, nessuna solidarietà. Ho sempre dato molto alla gente, che di favoritismi non mi ha mai compensato e per la prima volta penso a me stessa ed al male che ho ricevuto, alle cose che mi sono state imposte o vietate, alle bugie raccontate per il mio bene. Un bene anch'esso falso.
E se Calum Hood è davvero mio fratello, andrò a riprendermelo perché mi appartiene anche quando si trovasse in un posto dimenticato da tutti.







Nda: Amori miei, biscottini adorati (ultimamente Morgana sta poco in fissa con i biscotti, mi dicono)
come ve la spassate? Io spero bene, ed eccomi tornata con un nuovo capitolo scottante.
Diciamo che la patata bollente la mamma di Alice l'ha tirata, diciamo che, forse, è troppo bollente.
Alice ha dato di matto, urlando a sua madre, ma del resto mi pare pure normale, visto le circostanse.
Comunque! Spero vivamente che la storia vi stia piacendo, anche perché il bello deve ancora venire.
Mi auguro di leggere i vostri più dolci pareri perché a Morgana piace parlare con i suoi lettori
dunque non siate timidi, venite tutti, anche quelli fantasma, vi prego! ç___ç
Io vi lascio un grossissimo bacio e cercherò di aggiornare presto.
Oggi vi lascio in compagnia di Alice e di Calum. :)




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Capitolo 4
*** Aspettami. ***



 
4.


 
Gli amici restano amici, quando hai bisogno di amore loro ti danno cure ed attenzioni. Gli amici restano amici, quando hai chiuso con la vita e ogni speranza è perduta tieni loro la mano, perché gli amici saranno amici per sempre.
Ho sempre trovato così bello e toccante il ritornello di friends will be friends, a tal punto da fissarmici; ed è rimasto lì, irremovibile. Ogni qualvolta ascolto la canzone mille riflessioni pervadono la mia mente focalizzando al centro dei miei pensieri il viso di Joseph, con quel suo sorriso che dava senso a tutto il resto.
Ora invece è diverso, perché non c'è più solo lui nella mia testa, ma un altro viso e mille altri pensieri. Come ad esempio la mia famiglia, che non è una vera famiglia, come Calum Hood che non è semplicemente il commesso del Musically, ma mio fratello.
Durante queste ore trascorse a riflettere sulla mia vita mi sono soffermata a pensare in quante menzogne sono cresciuta, con quante bugie ho trascorso la mia adolescenza, la stessa che odiavo nonostante fossi all'oscuro di cose così grosse. Ed ora, a vent'anni, mi rendo conto che i ragazzi si lamentano quando, invece, hanno tutto e stanno bene. E vorrei lamentarmi anch'io adesso, su qualcosa di stupido e non sull'essere sola e senza famiglia, con un fratello lontano anni luce da me.
E penso a Lucy, ed a tutte le volte che abbiamo riso e scherzato insieme, a tutte quelle giornate trascorse a leggere libri di psicologia con lei che cercava di rassicurarmi nei miei momenti bui e con me che la consolavo quando prendeva un brutto voto a scuola.
Non ci sarà più nulla di tutto questo, da ora in poi, perché non resterò qui a rovinare ulteriormente la vita, devo riprendermi quella che mi è stata rubata, e sono sicura che troverò quella felicità capace di farmi sorridere. Un sorriso bello, come quelli di Calum, come quelli di mia madre, come quelli delle persone felici.
E mentre penso a come racimolare abbastanza soldi per pagarmi un volo verso l'Australia, mia sorella è appena approdata in camera mia, gettando la sua tracolla per terra, distogliendo la mia attenzione dal mondo dei sogni.


« Alice.» Ha gli occhi di chi ha smesso di crederci, ma continua a sperarci. Sperare che io resti qui, con lei, ma sa che non lo farò.
« Lù... »
« La mamma mi ha detto tutto. »
Ed io so che Lucy sapeva tutto, l'ha sempre saputo ma è rimasta in silenzio, anche lei, pensando che tutto ciò potesse alimentare il mio bene, o forse il bene secondo mia madre.
Si siede ai bordi del mio letto, mentre io non distolgo l'attenzione dal soffitto umido e grigio ai bordi, il mio respiro regolare confonde l'atmosfera. Mi fingo tranquilla, ma dentro di me ho una tempesta. « Cos'hai intenzione di fare, Alice? »
« Devo andare a riprendermi quello che è mio, Lucy, non ascolterò nessuno questa volta. Solo me stessa. »
E Lucy sembra pronta a lasciar colare lacrime amare dal suo viso, ma esse non comprometteranno la mia scelta. « So che mi capisci Lù. »
« Alice non andare. »
« Guarda che non è un addio, il mio numero lo hai. »
« Come se fosse la stessa cosa, poi. Non voglio perderti, sorellona. »
« Vedrai che andrà bene. »
E Lucy finge un sorriso, uno di quelli che ingaggia ogni mattino per recarsi a scuola e combattere contro professori e compagni. Le sue labbra tremano, come se non disponesse di abbastanza forza per trattenerlo ulteriormente, ed io penso che non dovrebbe fingere così tanto, perché un giorno con tutte le sue bugie non saprà nemmeno chi è lei.
« La mamma non ti lascerà partire Alice, e tu non hai mai avuto un lavoro, lascia che ti aiuti a ritrovare la felicità, visto che qui tu non sembra trovarla. »
Lucy estrae dalla tasca laterale della tracolla il suo portamonete. All'interno ci sono 4o dollari, con mio sommo stupore. E mi chiedo quando ha racimolato così tanti soldi, che io in vita mia l'ho sempre vista una ragazzina dalle mani bucate.
« Ma questi sono i tuoi risparmi, Lù. »
« Li conservavo per qualcosa d'importante, ora la cosa fondamentale è ritrovare la vera te stessa. »
Poggia le banconote stropicciate sul letto, mentre io le osservo. Hanno l'aria di essere state custodite con avidità e segretezza. E mentre Lucy li nascondeva dalla società divoratrice di denaro, io li spenderò in un batter di ciglia per rincorrere la mia vita.
L'intasco, accennando un lieve sorriso sincero, mentre schiocco un sonoro bacio alla fronte calda di mia sorella, e poi l'abbraccio. Quelli abbracci che ti fanno sentire a casa.
« E' meglio che io prepari la valigia, non avrò granché da metterci ma non voglio dimenticare nulla. »
« Posso aiutarti? »
« Certo. »
Durante la preparazione della valigia, Lucy mi ha confidato del perché è assalita costantemente dalle sue paranoie. Mi ha raccontato di non sentirsi abbastanza all'altezza in quella classe principalmente abitata da ragazze snob, di come vorrebbe più libertà per se stessa e conoscere il mondo, che preferirebbe spendere più tempo sulla sua vocazione da psicoterapeuta, o quel che sia, mentre viene ritenuta una stupida dai sogni irraggiungibili.
Ed io ho detto a Lucy che nessun sogno è irraggiungibile, diventano tali solo quando non ci speriamo più, e lei ha sorriso, per la prima volta un sorriso vero.
Quando ormai abbiamo finito, faccio scorrere la cerniera lungo tutto il perimetro della valigia, mentre mia sorella accenna un sorriso che non dimenticherò, nemmeno nei prossimi vent'anni.
Percorro le scale seguita da lei, mentre stringo tra le dita la maniglia in plastica nera del bagaglio.
Mi fermo in salotto, ascoltando lo scroscio dell'acqua che proviene dal lavandino della cucina, mia madre non smetterà mai di essere così maniaca della pulizia.
Percorro lo stretto corridoio, arrivando nella stanza in cui mamma si trova, e la vedo. Vedo le sue spalle travagliate, il grembiule posto ai fianchi ed i suoi capelli raccolti nel solito chignon.
« Mamma? » Lei interrompe il suo lavoro, si volta e sbarra gli occhi.
« Che stai facendo Alice? » Asciuga le sue mani in una stuoia pulita, mentre si avvicina a me completamente sbigottita. Lucy resta vicino la porta, senza però entrare, osserva la scena nel più totale silenzio.
« Lo sai cosa sto facendo, mamma. »
« No, io non te lo permetto. Hai solo vent'anni! Dove li prendi i soldi per il viaggio? Eh? Se ti sentissi male durante il tragitto? Dove alloggerai? Cosa farai da qui fino ad arrivare in Australia? Non se ne parla Alice, non metterai un piede fuori da questa casa. »
Lucy avanza, forse stanca dei continui battibecchi di me e mia madre, stringe i pugni e manda giù un nodo formatosi all'altezza della trachea. « No mamma! Lasciala andare! Tu non capisci, non puoi capire come debba sentirsi Alice! Ha vissuto una vita a metà, senza mai sapere chi è e chi sono i suoi veri genitori, la sua vera famiglia, ha tutto il diritto di sapere e tu non puoi fermarla, non è giusto, devi lasciarla andare. »
« Vi siete messe d'accordo, vero? » Le dice mia madre.
« Lasciala partire mamma, Alice ha bisogno della vita. »
Lucy poggia la sua piccola mano sulla mia spalla, mentre mia madre si morde un labbro e ci stringe entrambi in un suo abbraccio grande, la sento piangere, ed in cuor mio so che sta lottando con se' stessa per essere forte. Ma la vita c'insegna anche questo, ad essere forti nonostante ci sono momenti in cui la forza non sembra esserci. Ed io, che sono sempre cresciuta con la forza dei miei genitori, mi ritrovo a dover trovare la mia per affrontare questo nuovo cammino.
« Va bene, lascia almeno che io ti possa accompagnare all'aeroporto. » Dice, mentre rassegnata finisce i suoi servizi.


Ho sentito mio padre, prima di partire, è l'unico felice della mia decisione. Dice che adesso sono matura abbastanza per scoprire il mondo, mi ha detto che la bolla in cui sono stata custodita per tutto questo tempo l'avrei dovuta spezzare prima o poi, ed è contento che il tempo sia giunto. Perché secondo lui per diventare adulti si devono affrontare delle cose, ed io sto affrontando un cammino per crescere, per diventare grande e maturare, ed un giorno, giuro, sarò come mio padre.
Perché lui rimarrà sempre il papà migliore del mondo, a prescindere dal legame che ci unisce.
Tuttavia adesso sono in auto con mamma e Lucy, alla radio stanno passando Secrets degli One Republic, e penso sia una bella canzone, rispecchia moltissimo la mia situazione in questo momento.
I segreti che mi sono stati raccontati mi hanno regalato una piccola parte della vita, ma adesso devo trovare la vera me, e sono certa che è la fuori, nell'attesa che io la trovi.
Quando arriviamo a destinazione, fisso le imponenti tabelle con le partenze e gli arrivi. Fingendo un urgenza, sono stata in grado di rifilarmi un volo per le sei, e considerando che sono le cinque manca solo un'ora alla mia nuova svolta.
Mamma e Lucy si guardano intorno, noi non siamo mai stati dei tipi che viaggiano, siamo sempre rimasti a Stratford, la nostra città, perché mia madre ha paura degli aerei e mio padre ci ha sempre ripetuto che non abbiamo abbastanza soldi per concederci una vacanza. Molte volte ho dovuto rifiutare gite ed inviti fuori da Stratford fingendomi disinteressata, mentre dentro di me gridavo la mia ribellione, la mia voglia di partire e conoscere il mondo. Eppure sono sempre stata capace di trattenere gli impulsi, che di rendere i miei genitori tristi non ne avevo mai voglia.
Ora invece, dentro la tasca della felpa nera, stringo le banconote che mia sorella mi ha dato per pagarmi il viaggio. Un viaggio che non ho scelto ma che comunque sono costretta a fare, per conoscermi, per riprendermi l'unica persona che posso sentire realmente parte di me.
La persona che posso guardare in viso e chiamarla fratello, senza nessun segno di bugia o finzione.


Scorrono in fretta i minuti, talmente tanto che mi ritrovo a pensare di essere fuori posto. Ho visto gente arrivare, correre per abbracciare qualcuno che non rivedevano da tantissimo tempo, ma ho visto anche persone pronte a partire, con occhi colmi di lacrime, mentre i portelli degli aerei venivano chiusi.
Ed ora ci sono io, in fila, pronta a dare il biglietto e varcare la soglia di un aereo completamente bianco.
Mia madre afferra il mio braccio, stringendomi a se, e Lucy fa la stessa cosa, mentre calde lacrime sfiorano le sue guance pallide.
« Non dimenticarti di farmi sapere quando arrivi, signorina. » L'abbraccio di lei cessa. Mia madre finge un tono autoritario che le muore in gola, a causa di un nodo alla trachea che tradisce il suo senso autoritario.
Lucy è rimasta incollata a me, invece, tra un singhiozzo e l'altro mi ripete che mi vuole bene, ed io non devo dimenticarla. Come se potessi dimenticarla poi, questa piccola peste.
Una voce metallica seguita da un suono simile ad un campanello ci avverte che tra dieci minuti il mio aereo partirà.
« Alice, non tornare qui senza prima aver trovato la tua felicità. » Mi dice Lucy, asciugando quelle piccole gemme.
« Quando tornerò, promettimi che sarai diventata ciò che volevi, i sogni non sono per principianti Lucy, ma per quelli che sperano di cambiare il mondo. »
Le schiocco un bacio sulla fronte, poi uno a mia madre, mi volto un'ultima volta per vedere l'una stretta all'altra mentre mi fissano salire.
Ed alla fine il portello si chiude, e nonostante stiano parlando io ormai non riesco più a sentirle.
E per la prima volta sono sola, con me stessa e con la vita che sto andando a riprendermi.





Nda.
Pasticcini miei adorati, come state? Spero bene.
Ed eccoci con un nuovo capitolo della storia, allora?
Siete contenti della decisione di Alice? E della dolce Lucy?
Fatemi sapere cosa ne pensate, vi prego! Io vi auguro un dolce fine settimana!
Ci sentiremo presto, bacioni.

Oggi vi lascio con Lucy e Joseph.




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Capitolo 5
*** Heaven Bar. ***


 

5.

 


Una voce metallica disturba il mio sonno, quando finalmente apro gli occhi l'aereo è fermo all'aeroporto di Sydney.
Le porte vengono aperte ed i passeggeri si apprestano a scendere, io copio i loro gesti ritrovandomi all'aeroporto della grande capitale australiana.

Mi guardo intorno, e nonostante non si noti la differenza grazie alla stessa lingua, sono abbastanza conscia da sapere che qui nulla sarà come prima.
Non ho un alloggio, non ho un lavoro e per la prima volta mi sento scoraggiata, demotivata, mentre le parole di mia madre tornano alla mente come picchiettii martellanti.
Alice dovevi rimanere qui, almeno avevi un posto dove stare” mi direbbe mia mamma, che di vedermi come barbona proprio non aveva voglia. E sono felice di avercela lontano, perché da oggi vivrò a modo mio, con i miei sbagli, le mie decisioni ed i miei eventuali ripensamenti.
A Sydney scoprirò la vera me, la mia vera vita, il mio vero fratello.

 

Saranno circa due ore che cammino senza sosta alla ricerca di un lavoro, considerando le mie tasche vuote. Fino ad ora non ho trovato nulla che potesse fare al caso mio perché qui non sembrano essere disponibili abbastanza da prendere una emigrante, e suona così strano definirmi tale...
I miei passi si fermano davanti un piccolo bar, forse non troppo noto ma comunque tenuto a dovere, l'insegna richiama il nome di “Heaven Bar” ed io mi chiedo se qui dentro facciano davvero delle cose talmente buone da paragonarle al Paradiso.
La gente è così sofisticata con i nomi, non attenendosi agli appellativi però.
Spazzo via i miei pensieri, stringo la maniglia tra le mani e poi l'abbasso facendo scattare il campanellino metallico riposto sopra la porta.
Un uomo di mezza età drizza le orecchie e mette a fuoco la vista, adotta un sorriso acceso un po' coperto dalla barba brizzolata e poi china il capo in segno di saluto.
« Benvenuta all'Heaven Bar signorina, in cosa posso esserle utile? » Dice, mentre pulisce accuratamente alcuni bicchieri in vetro, infilando loro un panno bianco.
« In realtà volevo chiederle se le servisse personale, io ecco – cerco lavoro. »
Il sorriso dell'uomo si spegne, rotea gli occhi e poi sbuffa forse per l'ennesima scocciatura. Poggia il bicchiere al bancone, lanciando il panno che va a finire dentro un lavabo sporco, il tutto con una tattica che sicuramente avrà calcolato nel corso del tempo.
« Stiamo bene così, signorina, non ci serve nessuno. »
« La prego, mi assuma come cameriera! La supplico, anche per un po' di soldi, o magari lavorare a nero, ma la prego! Non so dove andare e non ho abbastanza denaro. »
Tecnicamente non mi è mai piaciuto assumere l'aria da povera ragazza smarrita in un mondo parallelo, aggiungiamo l'assenza di soldi e mi ritrovo a pensare che tra me ed un nomade non ci sia poi così tanta differenza, è solo che sono stanca di vagare in una città che conosco solo di nome e di chiedere altrove proprio non mi va. Sono stanca.
L'uomo sospira, rassegnato, stacca un foglio ingiallito dal tempo e lo ripone al bancone, scribacchiandoci sopra.
« Va bene, non ti assicuro una paga prosperosa, intesi? Accontentati della metà. Il locale apre alle otto del mattino e chiude alle dieci di sera, inoltre hai un giorno libero, il Giovedì. Questo è il recapito telefonico di mia moglie, lei è la titolare. E visto che sei senza un alloggio puoi dormire nel ripostiglio del bar, abbiamo una camera, considerando che prima questo bar era un abitazione. Sono stato abbastanza chiaro? »
E per me un mondo nuovo viene letteralmente aperto, l'uomo si presenta come Signor Flinth, bazzico che possa avere l'età della cinquantina.
Per tutta la giornata rimango a guardare come prepara i caffè, i cappuccini, serve in maniera dettagliata i clienti, ripulisce i tavoli, aziona la lavastoviglie e tantissime altre cose che cerco di immagazzinare nei meandri della mia mente.
A metà giornata, quando ormai la lancetta dell'orologio segna le due del pomeriggio, Flinth volta il tagliando posto sulla porta.
Chiuso.”
« Come hai detto di chiamarti, ragazzina? » Si accomoda su di uno sgabello logoro e sudicio, accende un sigaro e lo porta alle labbra, mentre il cattivo odore del fumo aleggia nella stanza, ed io penso che, in un locale il quale la scritta richiama qualcosa di divino, non dovrebbe nemmeno esserci questa puzza di fumo, ma Flinth, il Signor Flinth, sembra un tipo parecchio arrogante, e non parlerò a proposito perché non posso litigare con l'uomo che mi garantirà soldi e alloggio, non prima di aver trovato di meglio, insomma.
« Mi chiamo Alice, Alice Parker. »
« Alice Parker, eh? Non ti ho mai visto da queste parti. »
Flinth picchietta le mani grasse sul bancone, mentre io mi soffermo a pensare che, probabilmente, dovrei cominciare ad adottare il mio nuovo cognome. Perché io non sono mai stata una Parker, mai. E mi chiedo se rispecchio a dovere il cognome della famiglia Hood, con i loro caratteri e modi di fare, con le loro usanze e tradizioni, perché io non mi ci sono mai rispecchiata in una Parker.
« Sono di Stratford, in realtà. »
« E che ci fai qui, allora? »
« Io … per lavoro, sì. »
Flinth corruccia lo sguardo, mi sputa un po' di fumo addosso e poi scuote il capo, mentre ripone il sigaro in un posacenere. Riesco quasi ad intuire che non si sia bevuta la mia stronzata, considerando il suo sguardo, ma poi boccio l'idea consapevole che la sua espressione sembra perennemente arrabbiata con il mondo, nonostante non lo conosca abbastanza per etichettarlo così.
« Beh, adesso lo hai trovato, no? »
Annuisco alla sua domanda, sebbene non avrei minimamente pensato di ridurmi a fare la sguattera per un po' di soldi, e sembra tutto così difficile lontano da casa, lontano da tutti, lontano dall'amore di una famiglia.
E penso a Lucy ed ai suoi occhi nero pece, che sicuramente staranno piangendo, ed io non sono lì a consolarla; penso a mia madre ed alla sua smania verso le pulizie, a tutte le volte che litigavamo per il mio abbigliamento.
Alice hai vent'anni, dovresti vestirti da signorina e non da stupida” diceva sempre, perché a lei non piaceva una figlia rivoluzionaria ed anticonformista, una punkettona in famiglia non l'accettava proprio. E mio padre rideva, con quel suo sorriso sghembo che però adoravo, con la sua sigaretta tra le dita che non abbandonava mai, e con la sua passione smisurata per il rock'n'roll. Era l'unico, oltre me e Lucy, ad avere un amore smisurato verso questo genere musicale.
E crebbi ogni giorno ascoltando la musica di mio padre, rafforzandomi nel carattere, perché se avessi ascoltato mia madre, con i suoi modi da principessa delle favole, a quest'ora il mio castello sarebbe sovrastato da uno tsunami creato dalle mie lacrime. Lei ha sempre visto la vita degli adolescenti una vita spensierata, senza nessun problema, eppure credo che i ragazzi abbiano tanti problemi quanto quelli degli adulti, che combattono contro tasse e cose futili della vita.
E mi chiedo anche se Joseph mi pensa ogni tanto, ovunque lui si trovi adesso, se ricorda alla perfezione ogni momento trascorso insieme a vivere la vita e gustarla in ogni secondo che avanzava, che di cose belle insieme ne abbiamo fatto tante ed io le ricordo tutto come se fossero state fatte da poco. Ho una memoria di ferro, ed è l'unico mio difetto purtroppo, ricordare a volte è doloroso, tanto.
« Considerando la tua presenza qui, io andrei a riposare. Mi prendo un po' di tempo libero, apri tu il locale, per le tre del pomeriggio. Intesi? Questa sera ti darò la prima paga e poi potrai riposare sul retro. »

Flinth schiaccia il suo sigaro non del tutto finito sul posacenere, s'alza dallo sgabello e si dirige verso la porta. Io rimango da sola, mentre l'osservo andar via. E mi piacerebbe tanto scacciare i miei pensieri, lasciarli oltre la porta dell'Heaven Bar, proprio dove si trova Flinth adesso, dietro la porta di vetro.


Guardo il display del cellulare; l'orologio segna le nove e trenta e, finalmente, tra mezz'ora potrò chiudere baracca e riposare.
Per essere il primo giorno devo dire che non è andata male, sono stata in grado di affrontare clienti cinici e pieni di pretese, gente normalissima intenta a prendere un caffè ed anche ragazzi più e meno grandi di me.
Ma nonostante questo, nonostante la mia perseveranza nel fare le cose bene, mi sento incredibilmente sola. E penso che potrei chiamare Calum e dirgli tutto, dirgli come stanno realmente le cose; che sono qui, a Sydney, a pulire bicchieri e lucidare pavimenti solo per vederlo e gridargli che lui è mio fratello, quel fratello che non ho mai avuto. Eppure il mio istinto mi blocca, mi grida “Alice le cose non vanno fatte così” e forse è vero, perché probabilmente nemmeno Calum sa di avere una sorella o me l'avrebbe gridato quel giorno, quando, come una stupida, ho accompagnato Lucy al suo negozio. E penso che la vita è strana, riserva sorprese che non sono poi delle vere e proprie sorprese, sono più degli accorgimenti che ti sfaldano i castelli di sabbia, ti rendono impossibile proseguire ed a vent'anni ancora non sono riuscita a superare questa cosa, ad essere forte per conto mio a non scoraggiarmi ed a saper andare avanti, e mi chiedo se, invece, Calum sia il mio opposto. Con quel suo sorriso che rallegra le giornate nere. Calum è come un uragano, ed io lo capisco solo adesso che sono lontano da lui, che in quei pochi giorni trascorsi insieme mi sono sentita più viva di tutti gli altri istanti della mia vita.
Continuo a lavare gli ultimi bicchieri quando, ad un tratto, la porta si spalanca annunciando l'arrivo del signor Flinth e di sua moglie. E' una donna bassa dalla zazzera castana, ed un po' ricorda mia madre. La donna che mi ha cresciuto e mentito per tutto questo tempo.
« Vedi cara, questa è la ragazza che ho assunto oggi. » La donna mi guarda, scrutando attentamente ogni mio gesto, poi si accomoda in un sgabello, e picchietta le dita sul bancone.
Mi fermo a guardare le sue unghie smaltate di rosso e probabilmente a sessant'anni o forse più, questa donna si cura più di me.
« Come ti chiami, tesoro? »
« Mi chiamo Alice, signora. »
« Io sono Gwendaline, ma gli amici mi chiamano Gwen. Sono la moglie del signor Flinth, nonché titolare del posto. » Annuncia, accennando un sorriso che le storpia quel suo rossetto rosso sbavato.
« E' un piacere per me, la ringrazio infinitamente per l'opportunità datomi. »
« Ceni con noi, mia cara? »
« Ma Gwendaline, ho detto alla ragazza di – »
« Non vorrai essere scortese, Edmond! Andiamo mia cara. »
Seguo la signora Gwendaline, che mi fa uscire dal retro, tutti e tre abbandoniamo il bar, mentre Flinth si appresta a chiuderlo segretamente, e poi saliamo in un Jeep nera, un po' trasandata.
Percorriamo un tratto di strada a me ignoto, mentre la signora Gwendaline parla con Flinth io rimango in silenzio ad ascoltare i loro sproloqui. Sono una coppia bizzarra ma divertente, non nascondo che questa mattina il signor Flinth mi abbia messo un po' di soggezione eppure adesso, guardandolo mentre parla con la moglie, posso capire che l'apparenza inganna e dovevo dare ascolto a Lucy, che nessun libro si giudica mai dalla copertina, prima va letto e compreso, diceva sempre.
Quando il motore della vettura si spegne, così come i fari, finalmente siamo arrivati. E' una piccola casetta di montagna, recintata da una staccionata in legno.
A causa del buio non si riesce a distinguere vari particolari ma sono certa che sia una gran bella casa.
Entriamo in essa, mentre Flinth mette l'allarme all'auto e poi ci segue, chiudendo, infine, la porta dietro di noi.
« Fai pure come se fossi a casa tua. » Esprime Gwen.
E dunque mi tolgo la felpa, l'adagio in un divano ove riposano tre cani neri che ipotizzo siano pitbull, ed infine seguo la signora. Un po' per non rimanere da sola ed un po' perché, forse, voglio continuare a rendermi utile.
Che io di sentirmi vuota ed inutile sarei anche stanca. Ma non posso dirlo a Gwendaline, mi vede come una ragazza tutto fare e perennemente allegra.
Alla fine prepariamo la cena, mentre Flinth è alla TV.
Quando portiamo le pietanze a tavola, l'uomo seduto a capotavola mi ricorda tanto il nonno burbero di Heidi, ma come lui anche questo è gentile, e ci sorride teneramente.


« Alice, puoi rimanere a dormire qui se vuoi, abbiamo una stanza in più. » Afferma la signora, mentre stacca dal tacchino una coscia succulenta, riponendola nel piatto del marito. Questi alza gli occhi per guardarmi, annuendo alla proposta della moglie.
« Non vorrei recare ulteriore disturbo, signori, voi siete così gentili con me. »
« Ma no Alice, sei così graziosa. Resta pure. Siamo sempre stati soli noi. »
« Va bene, allora, se per voi non è un problema... »
La cena continua in maniera pacata, e stranamente senza alcun segno d'imbarazzo. Il signor Flinth fa una pausa tra un cibo e l'altro, mentre racconta qualche suo aneddoto inerente ai sette mari solcati, era un marinaio, ha raccontato.
Che di mari ne ha visti tanti, e di albe innumerevoli, ha ascoltato anche i canti delle sirene, nonostante io continui a pensare che non esistano.
Gwen, invece, è una donna travagliata ma buona. La sua unica pecca, secondo me, è l'essere troppo gentile con la gente e questo suo difetto la porterà a soffrire, eppure non gliel'ho detto ne soffrirebbe molto.
E' un po' come Lucy, ma senza la voglia di diventare psicoqualcosa.
« Perché non ci parli di te, Alice, dicci qualcosa. » Esprime la donna, riempiendosi il bicchiere d'acqua.
Ed io penso che forse la mia storia, prima o poi, verrà a galla e raccontarla ai signori Flinth non farà male, potrei sfogarmi come non ho mai fatto. « Ho scoperto che sono stata adottata, l'unica cosa che so è che mio fratello vive qui, in Australia, e posso cominciare a cercarlo partendo dalla capitale. Il mio vero cognome è Hood, a quanto pare, e non Parker. Sono nata e cresciuta con la consapevolezza di essere una Parker, ma adesso non so nemmeno chi sono, da dove vengo e perché mi è stato nascosto tutto questo. »
« Oh, povera bimba mia... »
Gli occhi di Gwen si fanno pieni di lacrime, mentre mi stringe una mano, ed io la guardo come se dinanzi avessi una nonna, una di quelle che farebbero di tutto per i nipoti, un po' come la mia unica nonna materna. « Sono sicura che tutto si risolverà mia cara, devi solo avere fiducia. » Continua, forse per indursi forza e coraggio, considerando la sua debolezza. Ed io penso di essere come lei, nonostante Gwen abbia un marito pronta a sorreggerla mentre io sia sola, in un posto che non mi appartiene.
« Puoi restare qui fino a quando non troverai quello che cerchi, Alice Hood. » Dice Flinth, con quel suo sorriso nascosto dalla barba brizzolata e quel sigaro che nuovamente accompagna le sue mezzelune.


A fine cena Gwen mi accompagna in una piccola camera con una brandina al centro. La stanza è vuota e priva di vita, un po' come mi sento io adesso: privata di tante cose.
« Dormi bene bimba mia. Ecco, prendi questa coperta in più, starai al caldo. »
« La ringrazio signora Gwen. » Lei mi schiocca un bacio sulla fronte, un po' come faceva mia madre quando mi leggeva le storie da bambina, prima di mettermi a letto. E quando la porta viene chiusa, sono nuovamente sola insieme ai miei mostri ed alle mie paure. Che di fingermi forte sono stanca, sto fingendo già da un giorno e sono esausta. Il letto è scomodo ma la coperta mi scalda a sufficienza, e prego il buon Dio di farmi ritrovare Calum, perché lo voglio qui con me, voglio stringerlo nel buio della notte.
Non voglio più sentirmi da sola.






Nda: miei piccoli passerotti come state? Spero bene!
Qui piove a dirotto e fa un freddo cane, (e chi se ne frega Morgana?)
Comunque cosa ne pensate del capitolo? Vi soddisfa? Sapete che il parere dei lettori per me
è indispensabile.
Siete contenti della partenza di Alice? E del suo nuovo lavoro? E della famiglia Flinth?
Io li trovo dei graziosi signori, boh. ç__ç
Dunque attendo i vostri pareri.
Ed anche a voi, lettori fantasma, uscite allo scoperto che mi piacerebbe tantissimo scambiare
quattro chiacchiere con voi, il vostro parere mi è prezioso, molto!
Oggi vi lascio con Alice e la graziosa casetta dei signori Flinth!








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Capitolo 6
*** Di chi ti ricordi per sorridere? ***


 

6.


 

Quando ho aperto gli occhi, questa mattina, non ero nel mio letto. La branda che mi ha ospitato era parecchio scomoda ed ora mi ritrovo a dover fronteggiare con un orribile mal di schiena, che tecnicamente non saprò come sopportare visto il mio nuovo lavoro.
Ma la coperta mi ha scaldato, ricordandomi un po' l'abbraccio di mia madre, che non era poi la mia vera madre.

E' che ancora non riesco a capacitarmi di come ho potuto vivere una vita nella più totale falsità, alimentata da un bene che non mi apparteneva.
Ora mi trovo in una casa estranea, di una coppia che vive a Sydney, sono simpatici nonostante la loro avanzata età.
Varco la soglia, addentrandomi in uno stretto corridoio, arrivando in cucina dove la signora Gwendaline è alle prese con i fornelli.
« Buongiorno signora Gwen. » Lei si gira mostrando un sorriso splendente, con quei denti perfetti e bianchissimi. Volta in una padella delle uova fritte, mentre Flinth siede a capotavola con il giornale tra le mani. « Signor Flinth. »
« Ciao Alice, dormito bene? » Borbotta, e già alle sette del mattino tiene tra i denti quella stecca marroncina, mentre un alone di fumo si disperde nell'aria.
« Sì, grazie mille per l'ospitalità. »
« Alice, oggi proprio non posso venire all'Heaven, potresti occuparti tu? Io e mia moglie abbiamo delle cose da sbrigare. »
« Oh, ma certo non si preoccupi, è in buone mani. » Rispondo, mentre Gwen lascia scivolare due occhi di bue nel piatto, accompagnati da una giusta dose di sale e pepe, che poi a me il pepe non piace nemmeno ma proprio non mi va di dirlo alla signora, è troppo buona.
« Mio caro, ma Alice deve ancora ambientars – »
« Andrà bene signora, il posto è in buone mani. »
E lei mi guada, mentre tagliuzza alcune fette di pane caldo riponendole in una cesta di vimini un po' vecchia.
Flinth prende una fetta di pane, la spezzetta e l'accompagna con l'uovo ancora fumante, io copio i loro gesti mentre l'atmosfera si riempie di chiacchiere piacevoli.
Forse, in casa mia mancava tutto questo chiacchiericcio mattutino, la mia vita è sempre stata un via vai di gente sopraffatte dalla premura nel fare le cose. E Lucy non si è mai fermata con me a consumare latte e cereali, mamma era sempre sfaccendata e mio padre andava a lavoro già alle sei del mattino, quando ancora il sole dormiva dietro le colline.
Ed io ero sola, come il più delle volte.
Ora invece è diverso. I signori Flinth chiacchierano come se fosse una cosa da routine, mentre io ascolto il loro blaterare. Ed è piacevole; che di chiacchiere così intense e numerose io non ne avevo mai sentite.

Quando ormai la colazione giunge al termine, aiuto la donna a lavare i piatti per poi pulirli, e dopo aver visto Flinth preparato a dovere quest'ultimo mi informa che mi darà uno strappo per arrivare a lavoro. Abbraccio Gwen ed in fine esco di casa, salendo sulla Jeep dell'uomo.

« Sicura che andrà bene? Insomma il mio numero lo hai se dovess – »
« Andrà bene. » Gli ripeto, perché forse non c'è nulla da temere considerando la semplicità del lavoro. Servire caffè ed accontentare i clienti non è il massimo della difficoltà.
E dopo un breve tragitto siamo arrivati a destinazione; slaccio la cintura di sicurezza e ringrazio Flinth, mentre l'osservo andar via per le sue faccende.
Estraggo dalla tasca la chiave, ed infine apro il locale completamente vuoto.
Alice rimbocchiamoci le maniche” sussurra la mia coscienza, che forse non vuole farmi pensare alla solitudine che attanaglia il mio petto. Perché forse sto perdendo tempo, perché forse così non troverò Calum, che sicuramente è ad un passo da me.
Ed io provo ad afferrarlo, ma lui mi sfugge come acqua tra le mani, come sabbia tra le dita, come l'aria che cercavo di afferrare da bambina, fingendo di chiuderla dentro un barattolo e constatando che al suo interno, però, non c'era nulla.
E provo a chiudere Calum dentro il barattolo, ma questo è vuoto perché sto solo provando a prendere Calum, lui è troppo lontano da me.


Come ipotizzavo, la giornata non sta andando tanto male, sono arrivati dei clienti che hanno ordinato semplici caffè latte oppure dei drink abbastanza leggeri, ed io li servo accennando un sorriso forzato, che di quelli veri non ne ho mai fatto.
E sono contenta, però, che sto trovando la forza di reagire, di badare a me stessa e diventare autonoma, di avere un po' di soldi da parte e di vivere la vita come più mi pare. E non dovrò più chiedere paghette scarne, non dovrò più fingere e star male per le cose che mi venivano vietate, e quando un giorno avrò abbastanza soldi porterò Lucy via con me, e le farò assistere a qualche concerto della sua strampalata band preferita perché mia madre ce li ha sempre vietati, come fossero il male più assoluto. E' che di vederci in quella folla ad acclamare qualcuno che respira come noi, proprio non le va, è uno sperpero di soldi, diceva, ed avrei voluto tanto dirle che per me, quella gente, in quel palco, mi fa stare bene.
Ritorno in me quando, ad un tratto, un gruppo di ragazzi fa capolino all'interno del bar, sedendosi successivamente vicino al tavolo migliore, quello accanto all'enorme vetrata.
Mi preparo a prendere il taccuino, la penna e poi mi avvio, abbandonando i miei sogni e le mie illusioni dietro al bancone, perché non posso trascinarli con me quando lavoro.
Ma quando giungo vicino a loro, avverto un enorme tuffo al cuore, e mi sento vuota, di nuovo.
E poi ti ritrovi con quella sensazione di vuoto.
Le persone attorno a te sembrano non esistere.
Non sai neanche più dove ti trovi.
Non sai più chi sei.
Il vuoto.

E' un vuoto che fa rumore, il mio.
E mi salgono le lacrime agli occhi, perché lui è qui, davanti a me, con quelle sue iridi nero pece, la sua pelle color avorio, quell'espressione tranquilla che gli ho sempre invidiato, quei tatuaggi che avvolgono il suo braccio, e quelle labbra sempre curvate all'insù. Calum è vicino a me, respira la mia stessa aria, solo che lui l'avverte in maniera più normale, mentre la mia perfora il cuore, e vorrei solo sparire in un universo parallelo dove la felicità è qualcosa che mi appartiene.
« C – Cosa posso servirvi? » Chino il capo, mentre fisso il taccuino che stringo tra le mie mani tremanti, ed aspetto le ordinazioni. Aspetto qualsiasi cosa che non sia la voce di Calum, perché lui ha l'aria felice, mentre io nascondo un grande segreto che lo riguarda.
« Quattro birre, grazie. » Uno dei ragazzi ha deciso le ordinazioni per tutti, e sto quasi per abbandonare il tavolo quando mi sento afferrare da un polso. Costretta, mi volto e lui è qui, ancora, con i suoi occhi profondi e neri, come la notte.
« Alice?! Sei tu? »
« Calum... »
« Ma che ci fai qui, voglio dire, sei a Sydney. » E' incredulo nel vedermi, magari si starà chiedendo cosa mi è saltato in mente, e vorrei solo dirgli che per tutto questo tempo abbiamo vissuto una realtà diversa, che non era la nostra. E lo grida la mia coscienza, che di vedermi stanca e sofferente deve essersi stancata. “Alice reagisci” la sento urlare dentro di me, quella voce che consiglia di sputargliela sul posto, la verità.
« I – io... »
« Senti dolcezza arrivano queste birre o no? » Un ragazzo dai capelli blu, interrompe i miei monologhi interiori e le ipotetiche bugie che avrei raccontato a Calum, riportandomi alla vera ragione per cui mi trovo vicino a loro.
Annuisco, come sempre io e le figure di merda camminiamo a braccetto, e poi sfreccio via per preparare il tutto.
E sento gli occhi di Calum addosso, che da quando sono tornata al bancone non ha fatto altro che fissarmi, mentre i suoi amici ridono e parlottano di cose che non riesco a sentire.
Lui non smette di guardarmi, forse delle birre non gliene importa granché. Ma di un Alice dispersa in una Sydney che non conosce, e cameriera di un bar, proprio non se l'aspettava.

« Ecco le vostre birre. Scusate per l'inconveniente. »
« Nah, tranquilla, grazie per la gentilezza. » Esprime un altro ragazzo, che però ha la chioma biondiccia raccolta in una cresta con del gel. Mi guarda mentre accenna un sorriso, uno di quelli veri, ed io penso che tutti gli amici di Calum facciano sorrisi eccezionali forse, come del resto li fa anche lui.
Chino il capo, mentre li ringrazio per aver scelto l'Heaven Bar, ma, come un'ombra Calum mi segue, giungendo al bancone. « Alice, che ci fai qui? »
« Non vuoi saperlo sul serio, Calum. » Dico, senza però fissarlo, che forse è meglio perdere tempo a lavare bicchieri sporchi e pulire un bancone piuttosto di affrontare la realtà, e probabilmente aveva ragione mia madre. Vivere con delle bugie non è male.
« Alice fermati un minuto. »
Ma non gli do ascolto, continuo il mio lavoro nella speranza che i suoi amici lo chiamino per consumare la sua birra, considerando che il ragazzo dai capelli blu ha già scolato la sua e si è accaparrato il boccale di Calum. Che cafone! « Alice! » Mi richiama, ed io vorrei solo avere due tappi per non sentire quella voce, la sua voce.
« Alice! Dannazione! Fermati. » Mi afferra un polso, stringendolo tra le sue dita nodose, mentre sento una leggera pressione che m'indolenzisce leggermente.
Poso lo strofinaccio sul legno, alzo lo sguardo e mi perdo nei suoi occhi, lui fa lo stesso mentre sul viso lascia spazio ad un'espressione preoccupata.
E penso che Calum non dovrebbe mai avere quell'espressione, perché è più bello quando sorride. Fa sorridere anche me, di un sorriso vero, come ho fatto solo con lui da quando lo conosco.
E la mia coscienza urla “Alice, di chi ti ricordi per sorridere?” e questa volta la risposta la so, la conosco bene.
« Bene, non vuoi dirmelo? Non mi muovo da qui, vorrà dire che me ne starò tutto il giorno in tua compagnia ad attendere la risposta. Perché non me ne vado di qui Alice, non prima di averti sentito dire qualcosa. »
« Mi sono solo resa conto che a vent'anni devo pur mantenermi, mia madre non può farlo per sempre, no? »
« Tua madre non voleva farti uscire nemmeno con me, figuriamoci spedirti proprio in Australia. Non mentire Alice. »
Lo guardo, lui mi guarda ed entrambi ci fissiamo per minuti che sembrano interminabili, siamo quel nulla che dura per sempre. E la vedo, adesso, la mia vita tra le braccia di Calum, solo tra le sue braccia. E' la vita che stavo cercando, quella che volevo, quella che rimpiango da tanto, che la rincorrevo dalla mia giovinezza. La vedo lì, nel suo petto ampio, tra quella camicia sgualcita a quadretti, in quel ciuffo ossigenato, in quei tatuaggi che lo rendono un uomo, in quell'espressione preoccupata.
La vedo la mia vita, sorridermi teneramente, e vedo il mio traguardo dentro quelle iridi meravigliose. E non m'importa di nulla, non m'importa di tutto il resto, di come farò per vivere tra qui ad altri trent'anni, delle mille pazzie che ho fatto e che farò ancora, che forse non sono cresciuta abbastanza per reputarmi una vera e propria adulta.
Passo sul retro, abbandonando la mia postazione ed alla fine abbraccio quel corpo che ho bramato da così tanto tempo. Lo stringo a me, Calum, perché non voglio più vederlo irraggiungibile.
E vorrei tanto raccontargli della mia esistenza, di come ho passato gli anni a scuola e di come venivo estraniata dai compagni perché non ero abbastanza in.
Ho stretto il suo corpo, e dentro ci ho lasciato il mio.
« Ehi ...cosa c'è? »
« Sono così felice di vederti, Cal. »
« Alice io sapevo che ci saremmo incontrati di nuovo. Te l'ho giurato. Lo ricordi? » Sussurra, sistemandomi alcune ciocche dietro l'orecchio destro. Io annuisco mentre alcune lacrime solcano i miei occhi, andando a rigare la guancia per poi posarsi sulla camicia sgualcita di Calum. « Io mantengo le promesse, Alice. »
Sorrido tra me e me, alzando poi il capo per perdermi negli occhi suoi che finalmente posso guardare senza più aver paura di non poterli rivedere.
« Allora promettimi che resterai. »
« Promesso. »
E lui torna dai suoi amici, mentre mi regala un ultimo sorriso. Osservo la chiazza scura che si è andata a formare sulla sua camicia, ed ora Calum ha le mie lacrime addosso e nonostante la stoffa col tempo si asciugherà, avrà comunque una parte di me, perché l'emozioni rimangono impresse, intrise dentro il cuore. E le emozioni non si asciugano mai.
Ha mantenuto la promessa, però, perché è rimasto con me. Non è andato via, mentre i suoi amici sono tornati a casa.
Calum è un ragazzo dalle promesse vere, sono ancore salde che non vengono smosse nemmeno con il mare in tempesta.
Sono le due, quando volto il cartellino: “chiuso”.
Lui mi aiuta a sistemare gli sgabelli, mentre fischietta smell like teen spirit dei Nirvana.
« Alice adesso puoi dirmelo, che hai? » Dice, mentre ripone nella stoviglie alcuni bicchieri in vetro.
« Nulla, perché? »
« Prima hai pianto, Alice chi sta bene non piange. »
Ed ha ragione, lui, che non mi ha mai visto piangere a parte oggi.
« Ero solo felice di vederti. » Mento.
« Alice il tuo mondo crolla a pezzi, perché non vuoi confidarti?
Se il tuo mondo crolla, io posso aggiustarlo, te lo giuro. »

« Calum io... »
« Alice dimmelo. »
Scuoto il capo, consapevole che dirlo così, su due piedi, non è l'ideale.
Afferro la mia felpa nera un po' vecchia e me la infilo, intanto che Calum mi viene dietro e poi usciamo, mentre un tiepido vento investe i nostri volti.
Saliamo sulla sua auto, nel più totale silenzio, quei silenzi che non ci sono stati mai tra di noi, nonostante ci conosciamo da poco.
Ed io guardo lo scorrere indisturbato dei paesaggi, che cercano di seguirci ma noi andiamo troppo veloce per loro.
Calum non parla, fissa la strada davanti a se, mentre tiene le mani salde sul manubrio. Di sottecchi riesco a scorgere la mascella serrata, sta digrignando i denti probabilmente.
« Sai perché sono venuto qui, in Australia? » Dice, interrompendo il silenzio.
Io faccio finta di non sapere, continuo a fissare il paesaggio trovandolo abbastanza interessante. « No. »
Ed è allora che Calum frena, nel bel mezzo della strada, mentre le macchine dietro noi suonano all'impazzata. Lui mi guarda, fregandosene della gente, ed io credo che Calum sia pazzo, ma in senso buono. « Calum ma cosa stai facendo? Dietro noi c'è una fila pazzesca! »
« Alice smettila di far finta, smettila di fingere, cazzo!»
Le auto continuano a suonare, ma io riesco a sentirle come suoni ovattati. L'urlo esasperato di Calum è come una corda del cuore che viene pizzicata, facendola vibrare. I nostri occhi si scrutano, ma i suoi, questa volta, sono pieni di rabbia.
« Andiamo via da qui, e ti giuro che potremo affrontare l'argomento. »
Lui riparte, senza più dire nulla. Le auto hanno smesso di suonare, sfrecciano velocemente superandoci, riempendo d'insulti Calum che sembra non curarsene.
Ed io guardo quel paesaggio che, fuori dal finestrino, ci sta rincorrendo.

 

 

Nda: Miei piccoli boccioli di rosa, qui è Morgana! Spero voi stiate bene!
Allora, cosa ve ne pare del capitolo? Finalmente Alice ha incontrato nuovamente Calum
anche se questa volta è in compagnia di qualcuno. ;)
Comunque, fatemi sapere, come sempre, cosa ne pensate. Sapete bene che confido in voi
e che i pareri dei lettori per me è molto improtante.
Un bacione ed alla prossima.
Oggi vi lascio con la ragione del sorriso di Alice: Calum.

 

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Capitolo 7
*** Fratelli. ***



7.




« Poggia pure la giacca dove vuoi, qui l'ordine non è di casa. »
Mi guardo intorno, la casa in cui mi ha portato Calum sembra parecchio trasandata, trascurata in ogni angolo, ed è un vero peccato considerando gli arredamenti parecchio sofisticati.

Poggio la felpa in un appendiabiti già pieno e poi lo seguo, nel più totale silenzio.
Calum sembra non voler parlare, apre il frigo che gli è davanti ed estrae una bottiglia di birra, stappandola e cominciandola a sorseggiare. I suoi occhi mi fissano, perché forse non si è dimenticato della promessa che gli ho fatto quando eravamo in macchina. E Calum è uno che le mantiene, le promesse, ma non dimentica quelle che gli sono state fatte. Rimane appoggiato al frigo, mentre attende la mia voce.
« Alice, parla. »
« Mi dispiace così tanto Calum, io – »
Esausto, poggia la birra sul tavolo, fa un balzo e poi si siede sulla penisola della cucina, serrando la mascella e trattenendo chissà quale attacco d'ira. Ed io non volevo renderlo nervoso, il mio vero scopo è solo di dirgli la verità, ma quest'ultima si sta rivelando troppo complicata da dire.
« Bene, non vuoi parlare tu? Parlo io. Sai perché me ne sono tornato in Australia, Alice? Perché tua madre non voleva compromettere la tua stabilità mentale. Mi ha imposto di tornarmene al mio paese per non vederti, perché tu stavi bene a Stratford con loro, diceva. Ed ora guardati Alice, sei in una città che non conosci, stai prestando lavoro ad un bar così squallido e trasandato e scommetto che nemmeno ti pagano egregiamente. Perché? Perché tutto questo? Non venirmi a raccontare la palla dell'indipendenza perché non ti credo, assolutamente.
Non hai mai avuto la forza di lottare Alice, ti sei sempre ancorata ai tuoi genitori e di punto in bianco diventi l'eroina della situazione? Smettila, diavolo. »
E mai, mai avrei creduto che a farmi piangere sarebbe stato Calum. Mai. Perché l'ho sempre visto un motivo per sorridere e non per versare lacrime, ma incessantemente esse scorrono lungo il mio viso, rigandomelo mentre sento il mondo crollarmi addosso, il terreno sgretolarsi ed il cuore andare all'impazzata.
Annaspo nella speranza di riprendermi ma il risultato è una me completamente stupita ed inerme davanti ad una verità così cruda. « Ehi, non volevo farti piangere... » Dice infine, avvicinandosi a me e facendomi sprofondare in uno di quei abbracci che ho sempre desiderato.
Da qualche parte ho letto che gli abbracci ti salvano. Mettono a posto ogni cosa, ogni problema, ogni conflitto. Possono sconfiggere l’odio, il male, la distanza.
E lui sta cercando di rimettere a posto ogni pezzetto della mia vita, ma mai, mai saprà davvero che lui è la mia unica cosa bella.
Sento il suo respiro infrangersi su di me, mentre continua a stringermi ed a carezzare la mia cute morbida.
« So che lo sai anche tu, Alice. Perché a quest'ora non saresti qui. Non ti saresti spinta fino a tanto. So che lo sai, Alice, so che lo sai che io e te siamo fratelli. »
E Calum lo sapeva, forse l'ha sempre saputo ma aspettava solo me, attendeva solo la mia forza, quella che mi è mancata per tutto questo tempo ma che ho appena trovato. Quella forza nel parlare, la forza nel dire la verità, quella che adesso Calum ha sputato così, con parecchia semplicità e senza giri di parole.
« Perché allora non me lo hai detto, quando ci siamo visti al tuo negozio? » Chiedo, senza però abbandonare la stretta.
Rimaniamo incollati l'uno al corpo dell'altro, come se fosse un comunissimo abbraccio a tenerci in vita. La mia voce viene fuori in maniera ovattata, ma Calum sorride, lui sorride sempre.

« Non lo sapevo quando ci siamo visti la prima volta, né la seconda. Un giorno tua madre è venuta al negozio e mi ha detto molto gentilmente di sparire, andarmene via perché tu eri mia sorella e non voleva che tu stessi male nel saperlo. Ed allora io chi ero, per farti crollare l'intero cosmo addosso? I fratelli vogliono sempre il meglio, e nonostante io e te non abbiamo mai vissuto insieme, bensì come perfetti estranei, ho fatto la cosa più giusta da fare.
Perché nonostante tutto, ho voluto il tuo meglio. »

« La odio! » Urlo, mentre do piccoli pugni al petto di Calum, che invece di allontanarmi mi stringe ulteriormente a se, cercando di calmarmi.
« Non odiarla, Alice. Ti voleva bene, ogni essere umano, quando si affeziona, tende ad impossessarsi delle cose, diventa geloso in una maniera morbosa e non vorrebbe mai separarsene. Tua madre ti vuole bene, e vederti andar via dev'essere stato un duro colpo. Amala per ciò che ha fatto, per come ti ha cresciuto, e non odiarla per il male che ha cercato di portarti via. »
Alzo lo sguardo per perdermi negli occhi di Calum, questa volta sorridono così come sta facendo lui.
Osservo ogni lineamento perfetto del volto, mi piacerebbe aver trascorso la mia infanzia con lui, aver giocato insieme a lui, aver riso, pianto, gioito e sperato insieme a lui. E mi rendo conto di aver perso tanto di quel tempo che al sol pensarci mi viene un nodo in gola, ma mi rincuoro consapevole che ne ho altrettanto per trascorrerlo al suo fianco. Per fare insieme tutte quelle cose che ancora non abbiamo fatto, per fare insieme le cose che i fratelli fanno. « Sei bellissima Alice. » Sussurra, prima di posare un tenero bacio sulla mia fronte, ed io non voglio sentirmi dire nient'altro, perché l'eco delle parole appena dette da Calum rimbombano nella mia testa, e lasciano vibrare le corde del mio cuore.


« Cal, abbiamo fatto scorta di schifezz – » Il nostro momento fraterno viene interrotto da un ragazzo.
Ha appena varcato la soglia di casa, scaraventando le chiavi in un piccolo piattino argenteo, lasciato le scarpe puzzolenti sull'uscio e la sua giacca di pelle nel divanetto già pieno di vestiti.
Inarca un sopracciglio incrociando le braccia al petto, e poi accenna un ghigno famelico mentre ci fissa. « Cal, avvisa la prossima volta. Ti avremmo lasciato casa libera. »
« Smettila Mikey. »
Ed il nostro abbraccio cessa nel momento in cui Calum ha un'irrefrenabile voglia di scoprire quale sono le schifezze che il fantomatico Mikey ha appena comprato. Fruga nella borsa come fosse un bambino, e sarei proprio curiosa di sapere se anche da piccolo faceva così.
Tuttavia, in casa entrano altri due ragazzi, mentre parlottano tra di loro. Riesco a riconoscere quello che mi aveva scusata per il ritardo delle birre. Mi sorride nel vedermi, e magari si ricorda di me.
L'altro lo fissa, invece, e poi sposta lo sguardo su di me, per scoprire cos'ha fatto ridere l'amico.
E non va bene, ho troppi occhi puntati addosso. Ed io non sono mai stata osservata, venivo solo guardata. E credo sia diverso.
« Alice guarda, i donuts! »
Calum mi riporta alla realtà, uscendo da una delle tante buste un piccolo pacchetto bianco contenente i donuts.
«Io – Io devo andare. »
Perché non posso trattenermi a lungo, perché ho un lavoro da svolgere e probabilmente non verrò pagata se non lo porto a termine.
Afferro la felpa posta sull'appendiabiti, la infilo e Calum mi viene dietro, stringendo ancora tra le mani il suo adorato sacchetto. « Che cosa? E dove? »
« Calum ho un lavoro adesso. » Gli ricordo.
« Non andare Alice, non siamo ancora stati insieme abbastanza. »
« Non posso rimanere, sul serio mi piacerebbe ma non posso. »
« A che ora esci da lavoro? » Chiede.
« Alle dieci dovrei staccare. »
« Allora ci vediamo alle dieci, passo a prenderti. » Conclude, mentre mi accompagna alla porta.
Ci diamo un ultimo sguardo, e poi vado via, riconoscendo che è seriamente tardi per me.

 

« Due cocktail al tavolo quattro! » Urla Derek, un amico del signor Flinth.
L'ha mandato per darmi una mano, dice, ma io so che l'ha mandato per controllarmi. Flinth è una persona parecchio gentile, e assai altruista ma anche abbastanza scettica e non si fida tanto facilmente. Pertanto mi ha rifilato quest'omone alto almeno un metro e novanta, capelli neri, occhi azzurri più del mare e svariati tattoo in tutto il corpo, sono certa che la sua pelle è abbastanza scarabocchiata da non riuscire a vederne più il suo vero incarnato.
E' senza ombra di dubbio un bel ragazzo, certo, ma mi rende parecchio nervosa, considerando che non mi stacca gli occhi di dosso.
E non so se, quando finiremo, dirà il mio andazzo a Flinth. Spero vivamente di star facendo tutto come da copione, perché di perdere il lavoro proprio non ho voglia.
Entrambi ci dividiamo le mansioni, con lui che mi guarda di sottecchi ed io che cerco di evitare i suoi occhi celesti.
A fine giornata, quando abbiamo terminato il tutto, Derek ripone gli sgabelli sul retro, mentre io mi appresto a lavare il pavimento.
« Hai fatto un buon lavoro. » Dice, accendendo una sigaretta portandosela alle labbra.
« Grazie. » Sussurro continuando le mie ultime faccende. Perché voglio che domani, quando Flinth tornerà, possa vedere i miei sforzi.
Derek continua a fumare, disperdendo nell'aria un alone grigio che mi lascia tossicchiare. Ed io ho sempre odiato i fumatori.
Alla fine usciamo, con l'aiutante di Flinth che chiude a chiave il negozio ed io che attendo qualcuno.
« Ti offro da bere. » La voce di Derek distrugge i miei pensieri sulle ipotetiche sciagure che stanno facendo ritardare Calum. Mi volto, e lui è ancora con quella stramaledetta stecca tra le labbra.
« Oh, no grazie. Io sto aspettando qualcuno. » Dico, nella speranza di essere lasciata in pace. Derek comincia ad infastidirmi parecchio, anche solo il suo sguardo addosso ventiquattrore su ventiquattro mi rende nervosa.
« Non m'interessa, andiamo ugualmente a bere qualcosa. »
« No. Io resto qui, facciamo un altro giorno. »
E non sembra gradire la mia risposta; la sua mano destra afferra il mio polso, stringendolo tra le dita esili ed ossute. I suoi occhi celesti sprizzano odio così come la sua espressione.
Mi stringe al suo corpo magro, alzandomi il viso con l'ausilio delle dita sul mio mento e mi fissa. Ed io vorrei solo fuggire, ma mi rendo conto che non posso. Sono intrappolata in una situazione che non avevo valutato.
« Tu non vai da nessuna parte adesso, bambola. »
« Lasciami stare, non voglio andare a bere nulla! » Urlo, cercando di svincolarmi da quella presa che continua ad essere sempre più forte, mi trascina via con se, dirigendosi verso la sua moto scura posteggiata qualche metro più avanti.
« Sta zitta stronzetta, vedrai che ti piacerà. »
« No, no! Lasciami Derek! » E lui sembra non sentire la mia disapprovazione.
« Non hai sentito cos'ha detto la signorina? » Derek si volta, ed io faccio lo stesso.
Un ragazzo dai capelli biondo ramato è davanti a noi, mentre i suoi occhi s'accendono. Avanza, per poi sferrare un pugno al muso di Derek, che allenta la presa lasciandomi andare.
« Ma che diavolo vuoi tu? » Dice, quello che reputavo un ragazzo onesto e lavoratore.
« Che la lasci in pace, ti ha detto che non è interessata no? Trovati una puttanella per sfogare il tuo sesso represso del cazzo. »
« Ti prego andiamo via. » Dico al ragazzo, trascinandolo via prima che la situazione si accenda ulteriormente.
Derek sale sulla sua moto, pulendosi con il palmo della mano i rivoli di sangue che hanno sporcato le sue labbra, mentre io ed il ragazzo entriamo in un auto.

« Grazie per avermi aiutata. » Fisso il paesaggio che scorre dietro di me, mentre faccio fatica a trattenere le lacrime. E' che io, tutta questa situazione non l'avevo valutata. E vorrei tanto tornare a casa adesso, portandomi Calum con me però. Perché ora che l'ho ritrovato, non voglio più lasciarlo. Mi appartiene.
« In che diavolo di bar lavori? Hai idea cosa ti sarebbe successo se io non fossi arrivato in tempo? »
Cerco di sviare l'argomento e di non pensare alla sua domanda. Perché ho paura anche solo ad immaginare quello che sarebbe accaduto. « Dov'è Calum? »
« Tuo fratello non è potuto venire, ed allora ha mandato me. » Dice, continuando in maniera cauta. L'ira riesce a trattenerla in maniera lodevole, ma io la vedo. Vedo la sua mascella serrata, le mandibole che si muovono, e quasi riesco ad avvertire le meningi che pulsano.
Non so nulla sul suo conto, nemmeno il nome, ma il modo in cui mi ha salvata mi lascia capire che mi posso fidare.
Lo guardo, ma lui non mi nota. Siamo fermi ad un semaforo che annuncia il rosso.
« Non so nemmeno il tuo nome. » Dico. Ma lui tace, senza rispondermi.
E probabilmente è ancora arrabbiato, 'ché forse non ama ricevere domande.
Quando il semaforo scatta, lui riparte senza più guardarmi né rispondermi.


« Sono a casa! »
« Alice! » Calum viene verso me stringendomi al petto.
Il suo profumo buono mi inebria i sensi, mi avvolge completamente e mi fa sentire a casa, nonostante questo non sia il mio posto.
L'altro si chiude la porta alle spalle, e con quell'aria perennemente incazzata s'avvicina a Calum, portandoselo dietro.
Li sento parlottare, mentre mi lanciano sguardi ed occhiatine poco divertenti, ed anche mio fratello adesso ha assunto l'espressione del riccio.
Quando torna da me, cerca di trattenere l'impulso di urlarmi contro ed io capisco a pieno che gli è stato rivelato tutto.
« Domani andiamo dal tuo titolare, non lavorerai più all'Heaven. » Dice secco, senza darmi il consenso di replicare. Non è una domanda, è più un'imposizione.
« Cosa? No, no e poi no! Calum non posso, quel lavoro mi serve! »
« Tu sei fuori Alice, quel ragazzo chissà quale malsana idea aveva in testa e tu vuoi tornare a lavoro domani? Sei matta! »
« No, mi dispiace ma io tornerò a lavoro domani! »
« Tu non vai da nessuna parte, non costringermi a diventare cattivo, Alice. »I miei occhi si riempiono di lacrime, mentre lo guardo indignata. Non avevo mai pensato che Calum mi potesse far piangere, eppure è la seconda volta che accade a causa sua.
« Tu non capisci, ho sudato tanto per trovarmi un lavoro, per venire a cercarti ed ora dovrei abbandonare tutto? »
« Torna a Stratford, Alice. »
Ed il mio mondo crolla, perché ho sempre pensato che tornare alle origini, conoscere mio fratello mi avrebbe fatta stare bene, quel bene che ho sempre cercato. Ora invece le parole fanno male, e non basterà un suo abbraccio o sorriso per rimettere a posto i miei pezzi di vita che si sgretolano.
« Io non ci torno a Stratford! »
« Alice, lì hai tutto ciò che puoi desiderare, ragiona! Una casa, una famiglia, dei soldi, cos'hai qui? Nulla. »
« Sei tu la mia famiglia, sei tu la mia casa adesso! » Gli rispondo, mentre le lacrime scendono indisturbate sul mio viso.
E mi ricordo di Lucy, quando spesso mi diceva che le lacrime non mi rendessero bella.
Calum invece non fa nulla per fermare il mio pianto, mi guarda sbigottito e con l'espressione un po' corrucciata, mentre si morde il labbro nervosamente.
« Vai a dormire adesso, Alice. Domani troveremo una sistemazione. »
E sparisce così, dirigendosi verso un'altra stanza, mentre rimango sola, di nuovo.
E mi rendo conto che non mi libererò tanto facilmente né della solitudine, né delle lacrime che scendono troppo velocemente dal mio viso.





Nda: Biscottini miei adorati, come state?
Spero bene. Vi siete ingozzati bene in questi giorni? hahahaha.
Comunque, cosa ne pensate? Abbiamo una piccola Alice
che finalmente stringe a se il suo caro fratello, un lavoro che la prota a
dover fronteggiare con un pazzo psicopatico ed un ragazzo misterioso che
la salva. Secondo voi chi sarà? ;)
Fatemi sapere cosa ne pensate, come sempre conto molto su di voi
siete la fiamma che alimenta il fuoco della mia ragione nel pubblicare.
Un bacione grande.
Oggi vi lascio con l'abbraccio di Calum ed Alice.
Perché l'amore fraterno non eguaglia nessun tipo di amore.


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Capitolo 8
*** La nuova casa e lo scontro. ***




8.




Quando apro gli occhi la stanza è nuovamente diversa. Ormai comincio a non ricordare più il colore del soffitto della mia casa, l'unica cosa certa è che era pieno di chiazze umide lungo tutto il perimetro.
Ora invece questa stanza profuma di vernice fresca, devono averla verniciata da un po' e lo capisco dal colore ancora acceso.

Ad un tratto sento la maniglia della porta abbassarsi, mi metto seduta sul letto e la osservo, quest'ultima non tarda ad aprirsi.
« Ciao. » Un ragazzo dai capelli biondi è fermo sull'uscio; con un sorriso splendente, forse più delle stelle, un anellino nero di metallo avvolge il suo labbro inferiore, e la dentatura perfetta luccica.
Ha un vestiario sbarazzino, semplice, e mi piace. Perché anche lui ama i Nirvana a quanto pare, considerando la stampa della maglietta.
« Uhm, ciao. » Rispondo, mentre l'osservo sedersi ai bordi del mio letto.
« Tu devi essere Alice, vero? »
« E tu saresti? »
« Luke, mi chiamo Luke. » Risponde, mentre poggia un piatto di ceramica bianco che contiene qualche donuts e un bicchiere di latte.
Afferro la ciambella, addentandola per due volte. E' buona, ma stranamente oggi non mi accattiva più di tanto, ed è strano considerando il mio amore smisurato per i dolci.
Luke mi osserva mentre mangio, senza però parlare perché forse conosce la mia situazione, conosce il mare in cui sto annegando, e forse sa anche che non so nuotare. Morirò in un mare che mi è sempre piaciuto, in un mare azzurro come i suoi occhi, come gli occhi di Derek che ancora mi procurano una strana morsa al petto per poi farmi riempire le iridi.
E' che, sostanzialmente, non sono mai stata forte, mi è sempre mancata quella dose di coraggio che ho invidiato a Lucy, a mia madre, a Calum che se n'è andato, a Joseph ch'è partito senza però salutarmi, a tutte le persone che stanno bene senza di me.
Le lacrime cominciano a scendere, ed io non riesco a trattenerle, mi piacerebbe tanto non sembrare così debole e bisognosa di attenzioni, perché questa non sono io. Questa non è la vera me.
« Perché stai piangendo, Alice? » Mi chiede, mentre mette al proprio posto alcune ciocche castane che contornano il mio viso.
Io alzo gli occhi e lo guardo, ed affogo in un Oceano cristallino, in due iridi celesti che rispecchiano la tranquillità e la pace, tutte cose che ancora non riesco a trovare.
« Non voglio andare via, non voglio tornare a Stratford, questa è la mia casa adesso. »
« Potresti restare qui con noi, ci farebbe piacere la presenza di una figura femminile. »
« Ma Calum vuole riportarmi a casa. » Chino il capo, mentre osservo il bicchiere colmo di latte. E' stato gentile da parte sua portarmi la colazione, che io non ho mai preparato per me, sono sempre stata troppo indaffarata a perdermi nei miei pensieri per prepararmi da mangiare.
« Vedremo di farlo ragionare. »
Luke si avvicina alla finestra, dopo essersi alzato dal letto, si poggia al davanzale ed osserva il nuovo giorno ch'è venuto a nascere. « Non piangere. »
« Non sono io che decido di piangere! »
« Sei tu a decidere di smettere, Alice. » Dice voltandosi per regalarmi un sorriso; poi torna a guardare l'aurora, e credo che Luke abbia ragione.
Devo mettere un freno a queste lacrime, alla me che non sa combattere.

Mi alzo dal letto, poggiando il piatto nel comodino, poi osservo l'alba nascere ma di nascosto osservo lui, che sembra sorridere felice. Ed io penso che il sorriso di Luke sia un po' come l'alba, non importa quante volte si guarda, sarà sempre meravigliosa da vedere. Un po' come il suo sorriso che lascia formare due fossette agli angoli delle labbra.
Ma che ti prende Alice?” la sento nuovamente, la mia coscienza, che mi riprende dai discorsi smielati. Sta cercando di mettermi all'erta, e che – forse – a vent'anni dovrei averla imparata la lezione sulle eventuali cotte.
“Smettila di cercarlo tra la gente Alice, lui ormai non è più qui” tante volte, la stessa coscienza che ora mi ha posto questa domanda, mi ha parato davanti la cruda verità. I miei occhi hanno sempre cercato Joseph tra i passanti, tra i sorrisi della gente, nella voce delle persone, ma non l'ho più ritrovato. E' che speravo di poterlo rivedere, nonostante ci fossero nazioni a dividerci, è solo che l'amore, quando è vero amore, non valuta le distanze, e si finisce col soffrire.

E pian piano ci si abitua, a tutto. All'amore non ricambiato, alla friednzone, a qualsiasi cosa.
Io, ad esempio, mi sono abituata talmente tanto che, pian piano, vedo il ricordo di Joseph svanire: sbiadire lentamente come una polaroid ingiallita dal tempo.
E non voglio che Joseph diventi come una polaroid, perché nel profondo so che non riuscirò mai a dimenticarlo.
« Credo sia così. » Dico, spazzando via le mie solite fantasie insensate. 'Ché se solo potessero vedere all'interno della mia testa mi farebbero vincere l'Oscar come miglior regista.
« Vieni, scendiamo giù. »
Io e Luke percorriamo le scale, abbandonando la stanza in cui ho dormito. Al piano inferiore, Calum è teneramente avvolto in delle calde coperte, sul divano, mentre Mikey sta consumando la sua colazione.
Lentamente mi avvicino al sofà, sedendomi in un piccolo spazio. L'osservo dormire, ha l'espressione tranquilla, i muscoli rilassati ed il suo petto s'alza ed abbassa a ritmo dei respiri. Sfioro il suo volto, mentre lo vedo storcere le labbra in un'espressione carinissima. E Calum è sempre carino, tanto.
Poi si sveglia, ma non apre gli occhi. Li tiene chiusi, afferra la mia mano e la poggia sulle sue labbra, baciandola. « Già sveglia Alice? »
« Sì, io ecco – »


« Sono passato a noleggiare qualche film. » Non finisco nemmeno la frase che la porta viene spalancata, rivelando il ragazzo dai capelli ricci che, ieri, mi ha salvata. Ha l'espressione continuamente corrucciata, nella mano stringe un busta blu. La poggia sulla mobiletto in marmo e poi mi guarda, mentre ripone il giubbotto nell'attaccapanni.
Ed io credo di non piacergli, minimamente, nonostante non abbia fatto nulla per intaccare la sua antipatia nei miei riguardi.
Accenno un sorriso lieve, nella speranza che lui ricambi, ma ciò non avviene. Vorrei solo poterlo ringraziare come si deve, ma non ci riuscirò visto le circostanze.
Sembra schivo, ed io non sono mai andata d'accordo con le persone schive, sono troppo timida per andarci d'accordo.
Calum richiama la mia attenzione quando, gentilmente, mi lascia un morso sul dorso della mano.
« Ahia! » Ringhio, lanciandogli un'occhiata. Lui ride ed io faccio altrettanto, non riuscirei mai ad avercela con lui.
« Beh, ti eri incantata, dunque dovevo pur portarti nel mondo dei vivi in qualche modo, no? »
« Mh-mh... » Eppure, in quei occhi smeraldo frastagliati da filamenti castani c'è qualcosa che proprio non mi da pace.
L'espressione di quel ragazzo è così malinconica, demotivata, che quasi vorrei dirgli che lo capisco, non so effettivamente per cosa, ma capisco come si sente. Forse perché anch'io ho questi continui alti e bassi o magari perché semplicemente al mondo tutti hanno questi momenti.

« Alice? Cosa stai guardando? »
« Eh? Oh, niente, niente! » Ma Calum non se la beve, s'alza dal divano scostando la coperta e poi sbuffa, avvicinandosi al frigo.
Ne estrae la bottiglietta di latte e poi si siede, stappandola e bevendola in maniera così rude che quasi mi piacerebbe prenderlo a pugni.
« Senti, riguardo a quello che ti ho detto ieri. » Deglutisco, cerco di trattenermi dall'ennesimo pianto mentre stringo i pugni. “Puoi farcela Alice, puoi farcela.”
« Sì? »
« Sono stato troppo crudo con te, mi dispiace. Non ti manderò nuovamente a Stratford, capisco il tuo enorme sacrificio per poter venire qui, la tua tenacia nel trovare un lavoro e quant'altro. Dunque resterai qui, magari per un po', va bene? »
« Oddio Cal, quanto sono felice, grazie, grazie! » Dico, mentre gli allaccio le braccia al collo, schiocco ripetutamente dei baci sulla sua guancia mentre lo sento invocare pietà per quelle smancerie.
Alla fine riesce a farmi staccare solo con il solletico ai fianchi.
« Comunque, Alice, devi sapere che noi suoniamo in dei locali, non saremo spesso a casa dunque puoi occupartene tu? »
« Certo! » Rispondo.
« Perfetto, magari se ti va più tardi possiamo fare una passeggiata in centro, ti faccio vedere Sydney. »
« Io... prima mi piacerebbe passare dai signori Flinth, devono sapere come stanno le cose. » 'Ché non ho dimenticato come mi hanno trattata. Sono stati pronti ad accogliermi, quella coppia, gli unici che mi hanno saputo apprezzare, comprendere, aiutare.
Devo loro molto. Calum annuisce, riconoscendo la mia gratitudine. Mi scompiglia i capelli e poi si allontana, andandosi a vestire nella sua stanza.


« Allora andiamo? »
« Sì! »
Calum ed io abbandoniamo casa, salendo in macchina per dirigerci all'Heaven Bar.
Sblocco lo schermo del cellulare, ed ho tre chiamate perse dal signor Flinth, che forse – non vedendomi al bar – si starà chiedendo che fine abbia fatto.

E non so come dirgli che, quasi, Derek stava per violentarmi.
« A cosa pensi? » Mi chiede Cal, con quell'espressione tranquilla di chi non teme nulla.
« Mi crederanno? Intendo, mi crederà il signor Flinth quando gli dirò dell'accaduto di ieri? »
« Alice non m'importa se ti crederà o meno, tu lì non metterai più piede. Sei troppo preziosa per me, siamo stati lontani per così tanto tempo, ed ora che siamo insieme ti proteggerò, non permetterò a delle mani luride di toccarti. » Il mio cuore comincia a palpitare velocemente, mentre le mie gote assumono un lieve rossore, lui sorride mentre mi schiocca un tenero bacio sulla guancia. Ed io penso che Calum non sappia l'effetto che provoca in me.
« Comunque non voglio fare la scansafatiche, devo trovarmi qualcosa da fare. »
« Vedremo. » Risponde. Spegne il motore dell'auto e poi scendiamo.
Fisso il bar davanti a me, quello in cui ho lavorato per pochi giorni.
All'interno si possono intravedere i primi consumatori, riesco a scorgere il volto di Derek da dietro il bancone, grazie alla porta in vetro.
Quando entriamo, una sensazione di sgomento attanaglia il mio corpo. Stringo involontariamente il polso di Calum e mi giuro mentalmente di non allontanarmi da lui, la solita paura sembra non volermi mollare, nemmeno all'età di vent'anni.
« Vorrei parlare con il proprietario. »
Sentenzia mio fratello, mentre si appoggia al bancone.
Derek alza lo sguardo, continuando a pulire un bicchiere di vetro con un panno bianco, inarca un sopracciglio nel rivedermi e so bene che vorrebbe sferrarmi un pugno in faccia. Lo capisco dal modo in cui mi guarda, lo stesso sguardo che ieri mi ha pietrificata.

« Al momento non c'è. » Risponde, serrando subito dopo la mascella e pulendo un altro bicchiere un po' più lungo.
« Cal, andiamo, magari torniamo più tardi. »
« No, no, aspettiamo qui. » Calum si accomoda in uno sgabello vicino al bancone, senza distogliere lo sguardo da Derek che fa altrettanto.
Tra i due sembra esserci un'aspra contesa, una lotta di sguardi che so bene non cesserà. Perché Calum sembra orgoglioso, quell'orgoglio che fotte e non lascia alcun tipo di perdono, e Derek è della sua stessa pasta.
« Se non siete intenzionati a bere, andate altrove, non ho tempo da perdere qui. »
« Tu sei il maniaco sessuale represso che voleva far del male a mia sorella, non è così?»
Derek alza lo sguardo, infastidito, mentre poggia il bicchiere appena pulito sul bancone lurido.
« Non so di che cosa stai parlando. »
« Lurido cafone che non sei altro! »
Ed è un attimo, Calum afferra il colletto della camicia di Derek, l'avvicina quanto basta per sputargli addosso e sferrargli un pugno. Dal canto dell'altro, invece, decide di optare per i capelli, tirandoglieli copiando poi i gesti di Calum.
Ed ancora, questa situazione non l'avevo valutata. Non valuto mai nulla io, che ho sempre progettato la mia vita di false pianificazioni.
Cerco di separare Calum da Derek, allontanandolo, ma la mia forza non è sufficiente.
« Calum, ti prego smettila! » Questi continua, difendendosi dai pugni di Derek.
« Tua sorella è solo una stronza che non ha voluto darmela. »
« Non l'avrebbe mai data ad un cesso come te! »
« Basta Calum! Ti prego! »
E finalmente la porta si spalanca, rivelando un Flinth dall'aria burbera. Prende dal colletto Derek, strattonandolo al muro, mentre spinge Calum che cade sullo sgabello.
Il suo labbro è spaccato, mentre il sopracciglio di Derek sanguina.
« Che sta succedendo qui, eh? » Ringhia il proprietario, che forse non si aspettava un ritorno così acceso.
Cerco di pulire i rivoli di sangue dalle labbra di Calum, ma questo scansa la mia mano, non desiderando alcun contatto.
« Il suo sguattero ieri ha perso il controllo. Stava per fare del male a mia sorella, e se non l'avesse aiutata un mio amico a quest'ora avrebbe perso una cosa abbastanza preziosa. » Calum sputa sul bancone, mentre un grumolo di sangue scende dalle sue labbra lacerate. « Capirà che non permetterò ad Alice di tornare in questo merda di posto a fargli da sguattera. » Flinth guarda Derek, sbigottito, poi guarda Calum, apre la cassa e cerca di contrattare con lui, pagandolo per il silenzio. « Non voglio i suoi soldi, ma porto via mia sorella, qui non metterà più piede. » Dice, mentre mi afferra da un polso trascinandomi all'uscita del locale, poi saliamo in auto.
Guardo l'Heaven mentre cominciamo ad allontanarci, lo guardo per dimenticare e spero che questa faccenda rimanga lì, non oltre le mura di quel locale.
« Ehi.. ti sanguina il labbro. » Calum non è ancora partito, stringe il manubrio tra le dita, mentre vedo le sue nocche sbiancare.
E non è più il Calum felice che ho conosciuto al Musically, quell'insulso negozio di musica dall'insegna blu fluo. E' più un Calum pieno d'ira, di tristezza di delusione, e sono io a rendergli la vita uno schifo, forse non dovevo nemmeno apparire. Gli ho rovinato tutto.
Estraggo dalla tasca degli skinny un fazzoletto, tamponando quel sangue che di stagnarsi non ha voglia.
« Alice guardarmi. » Poggia le mani sul mio viso, afferrandolo. I suoi occhi si posano nei miei, e gli occhi di Calum sono neri come la notte, come i pensieri più proibiti. « Giuramelo, Alice, giurami che non tornerai mai più in quel posto. Perché io di vederti tra le braccia di un uomo proprio non ci riesco. Alice non posso permetterti di fare sesso con un tipo come Derek. »
I miei occhi brillano, mentre tremo ad ogni parola che lascia la sua bocca, sento il corpo divampare sotto le sue mani, il suo sguardo, la sua preoccupazione. Ed è una sensazione bellissima. « Te lo giuro. »


Abbiamo fatto una piccola sosta, Calum ha fermato la macchina al Wallem National Park. Contiene la più grande area boschiva dell'Australia, ha detto.
Ed ora mi ritrovo a pensare che ogni parola è vera. Osservo gli alberi, i prati in fiore, ed ogni cosa piena di vita che mi ritrovo davanti.
Lui mi stringe la mano, mentre avanziamo seguiti da una guida turistica, perché abbiamo deciso di affiancarci ai turisti.
Tu sei una turista, mi ha detto.
« Ti piace tutto questo? » Mi chiede, senza mai lasciare la mia mano. Le nostre dita sono intrecciate.
« Sì, ma tu dovresti tornare a casa, il tuo labbro continua a sanguinare. » Dico, scuotendo il capo ed accennando un flebile sorriso.
« Alice, a volte vale la pena sanguinare. » Risponde, stringendo ulteriormente la mia mano, mi regala un ultimo sguardo e poi incalza il silenzio.
Seguiamo la guida, mentre distogliamo lo sguardo tra siepi, alberi e prati, ogni cosa è bella, ogni cosa è giusta, l'unica cosa che conta e non guardarci.
Perché Calum ha qualcosa negli occhi, quel qualcosa che ti fa sorridere.




Nda: Hola miei boccioli di rosa! Come state?
Spero bene! Qui è Morgana che torna all'attacco!
Ovviamente devo rompere pure di domenica, lo
so ç__ç
Che ne pensate del nuovo banner? Vi piace?
Spero di sì, ho lavorato tanto per farlo...
Comunque a parte le mie solite ciarle, allora
finalmente per Alice e Calum c'è un po' di
pace interiore, e suo fratello sta ragionando
almeno un poco. L'eroe che ha salvato Alice
è ancora anonimato, ma voi avete già capito
di chi si tratta? ;) Inoltre appare anche Luke
che è così carino.
Fatemi sapere cosa ne pensate, sapete bene
che per me i vostri pareri sono importantissimi.
Ci tengo davvero molto. E senza di voi il mio
lavoro sarebbe vano ç___ç
Un bacione ed alla prossima!

Oggi vi lascio con Derek, Calum e Luke.

Madam Morgana.



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Capitolo 9
*** Il ragazzo dai capelli ricci. ***




9.




« Alice, mi hai dimenticato per caso? Io e te siamo destinati ad incontrarci ancora, non puoi lasciarmi così. Non lascerò mai i tuoi pensieri Alice, e tu non lascerai mai i miei. » Le mani di Joseph si poggiano sui miei fianchi, mentre io mi guardo intorno.
Devo essermi sicuramente confusa, o probabilmente il posto è uguale ma sono certa che questa radura si trovi solo in un boschetto di Stratford, ed è strano perché giuro, giuro di trovarmi a Sydney.
Gli occhi nero pece di Joseph si posano sulla mia figura, e poi sorride. Il suo sorriso mi lacera il petto, mi indebolisce, sento il terreno mancarmi e la voglia di scappare è tanta, ma la mia dose di masochismo mi frena, consapevole che forse non voglio davvero fuggire.
« Tu mi hai lasciato da sola, Jò non mi hai nemmeno salutata prima di partire. » Dico, che forse non potrò mai perdonare quello che ha fatto. Lui si morde il labbro senza più dir nulla. « Credevo di essere la tua migliore amica. »
« E lo sei, tutt'ora. Ma sono dovuto andar via, non avevo tempo per salutarti. E c'è un'altra cosa di cui vorrei parlarti. » Strabuzzo gli occhi, inarco un sopracciglio « Cosa? »
Joseph scoppia in una fragorosa risata, mentre lascia la stretta che prima lo univa al mio corpo. « Povera illusa, ma davvero pensavi che io potessi innamorarmi di te? Idiota.
E sai cosa? Prima o poi anche Calum ti lascerà andare, perché sei solo una sciocca ragazzina Alice, sei una stupida che non vale nulla. »


Quando apro gli occhi mi guardo intorno, la mia fronte è completamente imperlata da gocce fredde, e qualcuno sta picchiando alla porta.
« Apri questa porta, Alice. » Sento, la voce non mi è famigliare. Mi alzo dal letto, poi apro la porta ritrovandomi il ragazzo dai capelli ricci che mi guarda con una strana espressione sul viso. « Hai urlato – dice, entrando e guardandosi intorno – hai forse visto un insetto? »
« N – No, io... credo di aver fatto un incubo. »
A quel punto lui sorride, io torno a sedermi sul letto e cerco di regolarizzare il respiro ancora affannato a causa del sogno angosciante.
Lui copia i miei gesti, andandosi a sedere ai bordi della branda. I suoi occhi verdastri scrutano in ogni minimo particolare la stanza, mentre sento il suo respiro abbandonargli le labbra. E' muscoloso, ma non esageratamente, indossa una canotta degli Slipknot, gli skinny neri ed una bandana blu che accerchia il suo capo, mentre alcuni ricci gli ricadono sulla fronte.
Lui non parla molto, osserva e basta. E' quel genere di persona che preferisce studiare nel silenzio, senza chiedere nulla. Ma io, che sono sempre stata logorroica, vorrei tanto parlargli.
« Okay, allora vado. » Sta per abbandonare il letto quando, con minima forza stringo tra le dita un lembo della sua canotta nera.
« Aspetta. Io non – non so nemmeno il tuo nome.»
« Ashton. »
« Oh, io ecco – »
« Devo andare, ho da fare adesso. » Dice, senza più degnarmi di uno sguardo.
E' un tipo strano, Ashton, è che non trovo la stranezza nei suoi capelli boccolosi, o per il modo di vestire. Lui la diversità ce l'ha dentro. I suoi occhi sono come zaffiri ma malinconici come qualcuno che ha perso qualcosa, osserva la vita consapevole della realtà. Lui stesso lo sa cosa riservano i giorni che scorrono, e che nulla – visto con gli occhi della sincerità – sia così semplice come ci si aspetta.
E Ashton lo sa, che la vita è amara. Perché... lui si che ha gli occhi di chi ha visto l'Inferno ma che si è salvato comunque.
Abbandona la mia stanza richiudendosi dietro la porta, ed io rimango sola con me stessa a rimuginare su quanto sia stupida, che ancora a vent'anni sento le gambe molli se un ragazzo mi degna di uno sguardo.

Lucy lampeggia sul display. Come una perfetta idiota sorrido. Non la sento da tanto, quella che continuo a considerare una vera sorella. Mi mancano le sue chiacchiere, il suo costante pensiero verso la scuola e quelle sue maledette paranoie sul non essere bella. Ed allora capisco che ci sono mancanze che non passeranno mai, nemmeno a distanza di giorni, mesi, anni, ere. Un po' come la mancanza che continuo a provare per Joseph.
Distrattamente sblocco lo schermo ritrovandomi un nuovo messaggio.
Da Lucy: Stronza, non ti sarai dimenticata di me, spero! Lo sai che mi manchi? Come sta andando il soggiorno nella nuova città? Rispondimi!”
Lucy è così piena di vita, che anche se crolla a pezzi non lo da a vedere. Riprende subito i cocci caduti della sua anima e cerca di rimetterli al proprio posto, ed io mi chiedo come faccia considerando la sua giovane età.
Da Alice: Ehi, signorina, ma queste parole? Comunque sta andando bene, finalmente ho trovato Calum, vivo con lui ed i suoi amici adesso.”
E la immagino qui, adesso, mia sorella. Con quei occhi vispi pronti a squadrarmi, le orecchie arzille e la postura perfetta. Infatti il messaggio non tarda ad arrivare, ed io la conosco bene Lucy, che continua ad essere la pettegola per eccellenza.
Da Lucy: Ohoh, Alice hai già rimorchiato? Che tipi sono? Non fartene scappare nemmeno mezzo! Arraffali tutti.”
Da Alice: Sei sempre così stupida Lucy! Hahaha. E poi non sono venuta per rimorchiare, ehi! Lo ricordi? Sono qui per Cal!”
Da Lucy: Alice trovati un ragazzo, che un cuore a metà non può battere. E visto che la tua metà continua ad essere nelle mani sbagliate sappi trovarne un'altra, di metà, una che resti però. Alice ricordi? Non tornare senza aver trovato la felicità.”
E rimango immobile, leggendo più e più volte il messaggio di mia sorella.
E' che un cuore a metà non batte, ed io lo so bene. Faccio fatica a respirare, a volte, perché un cuore a metà sente la mancanza dell'altro pezzo, e cerca sempre di ricongiungersi. Prima di partire mi sono convinta che, la mia metà, sarebbe stata Calum, ritrovarlo e passare del tempo con lui, e sebbene io abbia trovato un pezzetto di felicità i ricordi di Joseph sembrano pedinarmi, seguirmi da città in città e non andranno via tanto facilmente.
E Lucy ha ragione. Un cuore a metà non può più battere.


« Alice, buongiorno! » Calum è ai fornelli, lo vedo intento a cucinare qualcosa che all'apparenza sembra un uovo. Non ha un bell'aspetto e credo che non abbia mai provato a cucinare, mio fratello.
Sul divano c'è Ashton, intento a smanettare con il cellulare, lui ancora una volta non mi degna di un saluto. E' che Ashton non saluta nessuno, principalmente. L'ho capito da come si comporta con i suoi amici, è sempre così distaccato e non si lascia scalfire.
Luke si siede accanto a lui, porgendogli la bottiglia del latte ma questi rifiuta senza alzare lo sguardo.
E' tutto così strano qui, non regna l'ordine ed il senso del tempo. Ho sempre immaginato la colazione come un inizio di giornata perfetto, seduti tutti al grande tavolo per consumare quante più cose richiede il nostro stomaco, qui invece ognuno pensa per se ed avrei dovuto immaginarlo, in fondo sono tutti maschi.
« Ciao Alice! » Ripete Luke, con le labbra sporche di latte. Io sorrido e ricambio il saluto, andando, poi, a dare una mano a mio fratello.
« Cal? Cosa stai facendo? » Osservo l'uovo ormai bruciacchiato, eppure lui è convinto che non sia ancora abbastanza cotto.
« Ti preparo la colazione, Alice. »
« Se quella cosa è una colazione io sono milionario, Cal. » Mike scoppia a ridere, mentre scende le scale grattandosi amorevolmente il deretano e graziandoci di un sonoro sbadiglio.
« Beh, in effetti è un po' bruciacchiato, fratellone. »
« Oh beh, allora sarà meglio comprare qualcosa da mangiare, no? Qui vicino c'è un piccolo minimarket, potreste andare tu e Luke a prendere qualcosa. » Questi scatta in piedi abbandonando la postazione dal divano e si aggrappa a me a mo' di koala, che forse rimanere insieme ad Ashton non era una buona idea, per lui.
« Io ci sto, il tempo di mettere una maglia pulita ed arrivo, Alice. »
« Va bene, mi cambio anch'io! »
Dicendo così, ripercorro a velocità supersonica le scale, frugo nella valigia ed in fine afferro la prima cosa che mi capita. Non presto attenzione ai vestiti, io.
Con stupore noto che sono la prima ad aver finito, dieci minuti dopo Luke è fresco e profumato mentre scende dalle scale.
« Andiamo? » Mi chiede.
« Sì. » Gli rispondo, avviandomi verso la porta.

Le giornate a Sydney sono caratterizzate da un forte sole cocente che picchia imperterrito sopra le teste. Ed io, che odio le belle giornate, mi ritrovo a dover coprire il capo con le mani. Giuro di poterci cuocere un uovo sulla mia testa!
Luke, invece, se la ride, mentre percorriamo un tratto di strada a piedi. Il minimarket è vicino alla pasticceria, dice.
« Scommetto che a Stratford il tempo è sempre nuvolo. »
« Beh, no, ma il sole non picchia così forte. »
« Sydney è una città calda, Alice, qui l'inverno è quasi sempre assente. » Mi comunica prendendomi per mano ed attraversando la strada.
Osservo le vetrine addobbate, gli allestimenti sono fatti a dovere. Grandi palme adornano la strada, rendendo parte del marciapiede ombroso, ed è un bene. Perché forse hanno pensato che, a Sydney, possa esserci una sfigata come me che preferisce il tempo nuvolo.
« Oh, ecco il supermarket che diceva Cal!»
Mantenendo la stretta sul mio polso, decide di correre come un bambino ed io prego il buon Gesù che nessuno ci stia osservando. Correre in mezzo alla strada quasi come se fossimo inseguiti non è il massimo, soprattutto se a farlo sono due persone che hanno abbandonato da tempo l'adolescenza, almeno io sicuro.
Ma a lui non sembra importare, e forse un po' lo invidio perché è bello rimanere bambini almeno un po', non curandosi dei pregiudizi della gente e di quello che potrebbe pensare. A Luke non importa, semplicemente vive e sorride, e forse è la cosa migliore da fare.
L'interno del magazzino è areato, sicuramente climatizzato da milioni di aggeggi, un po' per non far andare in rovina le cose surgelate ed un po' perché davvero, in questa città fa troppo caldo.
Luke fruga tra gli scaffali, inoltrandosi nei diversi reparti come farebbe Thomas in The Maze Runner, quasi mi perdo, io, tra scaffali e reparti. E mi chiedo come farò ad ambientarmi in una città non mia, tutta caotica e piena di strade a me ignote, quando anche in un semplice supermercato ho bisogno della guida turistica. Che casino!
Appena lo ritrovo, disperso nel reparto schifezze lo vedo afferrare tutto ciò che più gli piace e ben presto si ritrova a dovermi chiedere aiuto, che proprio le sue braccia non reggono tutta quella roba.
E' proprio come un bambino, Luke, più lo guardo più non faccio che pensare ad altro. E' così pieno di vita e di belle cose, probabilmente nemmeno se ne rende conto. E lo invidio immensamente. Perché per lui bastano calorie e cioccolata per sorridere, per essere felice:un po' come i bambini che aspettano i regali di Natale. Invece per me, ormai, nulla potrà donarmi il sorriso e la felicità di quanto ero bambina, nemmeno il Natale stesso.
« Non credi di aver preso troppe cose? » Chiedo, ricordandomi che alla fine era solo per la colazione, e visto la tarda ora ormai ne consumeremo solo una piccola parte, riciclandoli per la merenda, magari.
« Nah, devi ancora conoscerci. Siamo delle fogne. » Ed è quasi orgoglioso, Luke, di delucidarmi la cosa.
Io rido avviandomi verso la cassa, poggiando tutto sul nastro scorrevole mentre la signorina batte i prodotti ed un uomo si appresta a sistemarli nelle buste. Una volta pagato siamo fuori, nuovamente, nella caotica Sydney.
Percorriamo il vialetto, mentre io mi perdo ad osservare milioni di bancarelle che adornano i marciapiedi. Venditori ambulanti ad ogni dove in procinto di vendere la merce, e non è poi così diverso da Stratford, ognuno pensa al denaro, ognuno pensa ai soldi.
Sempre ancorati a cose futili della vita, le persone, aggrappandosi al denaro come fosse l'unica cosa a poter dare la felicità.
Tuttavia la mia attenzione viene catturata da una comune bancarella, non ha nulla di diverso se non una cosa.
Una cosa che ho già visto, una cosa che ultimamente mi ritrovo a vedere spesso.
Però, dirlo a Luke, che voglio proprio comprarla, lo farebbe insospettire. 'Ché forse è quello che si preoccupa di più, nella comitiva di mio fratello, ed io non voglio destare sospetti.
« Luke mi compreresti dei donuts? » Gli occhioni a calamita Alice, gli occhioni a calamita non falliscono mai.
Lui mi fissa incredulo, inclina il capo e poi gracchia un « Ma abbiamo preso tanta roba al supermercato! »
« Ecco però... davvero, puoi comprarmene almeno uno? Mi piacerebbe molto. » Insisto, perché so che il biondino è dolce, ha un cuore buono come i donuts che sto insistendo ad avere, e che probabilmente non mangerò.
« Beh, okay, andiamo? »
« No, beh ecco io aspetto qui. » Annuncio, e Luke scrolla le spalle annuendo, svanendo poi dietro la grande porta in vetro della pasticceria.
Lo guardo fino a quando non volta le spalle, poi mi volto verso il venditore ambulante.
« Vorrei acquistare questa! » Dico, afferrando l'oggetto tra le mani.
« Sono tre dollari. » Annuncia lui, prendendolo e riponendolo dentro una bustina.
Mi appresto a dare i soldi all'uomo e poi mi allontano stringendo nella mano destra la piccola bustina rosa.
Alice smettila, finirai per scottarti” mi urla la coscienza, la stessa che mi ha vista piangere, ridere, sospirare e crederci. Credere in cose futili, speranze inutili e bambinesche. Cerca sempre di tirarmi da situazioni che non sarei in grado di gestire, ma finisco per non ascoltarla, bruciandomi completamente.
E mi sento soffocare, perché ancora non ho imparato la lezione, “Alice non sei stanca di scottarti? Nessuno resta per leccare le tue ferite, nessuno ti offre dell'acqua per alleviare il tuo bruciore” e io penso che nessuno resta, a prescindere dalle ferite. Semplicemente nessuno resta.
Ed imparerò la lezione solo quando sarò in grado di guardare in faccia chi mi ha distrutto e non sentirò più alcuno dolore.
E sarò vittoriosa, avrò vinto contro me stessa.

« Ecco qui! » Luke esce dalla pasticceria, stringendo tra le mani un sacchetto bianco.
Sorrido, perché Luke è gentile, nonostante io e lui ci conosciamo da troppo poco. « Ti piacciono alla fragola? Ne ho presi due. »
« Sì, grazie, sono perfetti. » Gli schiocco un tenero bacio per ringraziarlo, mentre lui borbotta qualcosa d'incomprensibile, le sue guance che si colorano di un graziosissimo rosa tenue. E' così carino. Sono certa che lui, Luke, è l'amico che resta. Ma soprattutto che saluta, prima di andar via.






Nda: Miei piccoli boccioli di fiori di campo, salve! ç__ç
Mi siete mancati tantissimo, giuro! Come state?
Spero bene, qui il sole picchia forte, eheheh!
Allora, cosa ve ne pare di questo capitolo?
Lo so, è abbastanza corto e personalmente
noioso, dovete scusarmi, ma ci voleva, perché
soprattutto l'ultima parte è abbastanza importante!
Eheheh, lo avevate capito che era Ash, il salvatore
misterioso? ;) Mi sa di sì, ed anche abbastanza
bene. Secondo voi cos'ha comprato la nostra
graziosa Alice? Sono aperte le scommesse!
E cosa ne pensate di Luke? Non è un pasticcino?
E del sogno di Alice? Joseph la tormenta anche in sogno...
Oggi vi lascio con Luke ed il suo meraviglioso sorriso!

Madam Morgana.

 

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Capitolo 10
*** Ashton. ***


 
10.



 
« Ce ne avete messo di tempo! » Esclama Calum, mentre lo vedo fare zapping con il telecomando.
Ed io penso che, alla sua età, non può perdere tempo prezioso così, a non far nulla. Calum ha tutta la vita davanti, ed un sogno da coronare. Il tempo scorre così in fretta, credo, che nemmeno ci rendiamo conto di cosa stia accadendo nella nostra vita. Non c'è tempo per i pigri, né spazio per i nullafacenti. Calum è bloccato nella seconda fascia, ed io devo scrollarlo. Non era questa la vita che sognavo con lui, assolutamente.
« C'era una fila pazzesca alle casse. » Mente Luke, richiudendosi la porta alle spalle e posando le buste della spesa sul tavolo.
« Siamo sicuri che c'era una fila pazzesca, o voi avete comprato tutto il supermercato? » Urla Michael dal corridoio, disperso in chissà quale stanza.
Luke arrossisce gonfiando le guance, regalandoci un'altra espressione carina che solo lui sa fare; Calum ed io scoppiamo a ridere mentre mio fratello lo rassicura con un « tranquillo, avevamo bisogno di qualcosa per riempire il frigo. »
Ed il mio sorriso si smorza quando, dalle scale, silenziosamente, scende Ashton. Non parla, se ne sta in silenzio mentre osserva distrattamente Calum, poi me, ed infine Luke.
Rovista tra le buste afferrando un sacchetto di patatine e qualche birra, infila tutto nello zainetto nero e poi prende dal piattino in argento le chiavi.
« Sto uscendo. » Dice, senza curarsi della risposta degli altri. S'infila le cuffiette nelle orecchie e lascia partire la musica dal suo iPod.
« Torni per pranzo? » Ma Calum non ha risposta, l'unica cosa udibile è la porta che viene chiusa con un sonoro tonfo.
« Perché fa così? » Chiedo. Gli occhi di mio fratello s'accendono, sospira e scuote il capo.
« E' così e basta. »
Ed io non gli credo, perché nessuno è così e basta. C'è sempre una spiegazione, a tutto.
Ma Calum sembra non volermela dare, assume un religioso silenzio che viene copiato da Luke, il che mi fa pensare che di Ashton non si discuta molto. Eppure sembro l'unica a volerne sapere qualcosa, sul suo conto.
Dove va, cosa fa nella vita, perché osserva e sta in silenzio, e tantissime altre cose che continuano a non essermi chiare.
Ashton nasconde qualcosa, ed è qualcosa che fa male, ma preferisce non parlarne e tenersi tutto dentro.
Ed io penso che non sia un bene, perché tenersi le cose dentro è doloroso, come un macigno sul petto, ogni giorno si sente sempre maggiore pressione, e prima o poi il peso ci schiaccerà, completamente.
Non voglio che Ashton venga schiacciato dal suo macigno, ha solo bisogno di capire che nella vita i macigni si possono sollevare, con l'ausilio di altre braccia, e scaraventarli via. Un po' come faceva Hulk nei film.
Ed Ashton da solo non potrà mai essere Hulk, ma insieme ai suoi amici, insieme ad altre persone che gli vogliono bene, può farcela. Perché nessuno può star male per sempre, prima o poi la felicità arriva. Magari tarda, magari a volte si perde e deve trovare la via giusta, ma io so che la felicità arriva. Basta aspettarla, che prima o poi arriva per tutti.
« Non avete mai provato a – »
« Alice, stop. » Ed è Luke a bloccarmi, guardandomi con i suoi occhi celesti immensi.
Per un attimo mi sento piccola sotto il suo sguardo, un po' come se mi stesse osservando il cielo, ed io, sotto di esso, sono realmente minuscola.
Annuisco, perché forse non è giusto replicare, perché forse il dolore di Ashton deve rimanere tra loro, sempre se lo sappiano.
E poi io cosa c'entro nella sua vita? Nulla, sono solo una perfetta estranea ch'è approdata a casa sua per puro sbaglio.
« E' meglio che non pensi a lui, Alice. »
Calum accenna un lieve sorriso, ma riesco ad avvertire una strana espressione angosciata, triste, malinconica, di quelle che ti restano impresse e che non vanno via. E ti chiedi cosa sia successo in una vita di un ragazzo così bello, che potrebbe aver tutto ma che sicuramente gli manca, quel tutto.
« Ehi, ragazzi, perché non diamo una festa in onore di Alice? In fondo sei qui da pochi giorni ed ancora non abbiamo festeggiato insieme, allora? » Luke non sa cosa provo io a stare al centro dell'attenzione.
E ricordo i miei diciotto anni, quando ogni luce mi veniva puntata addosso. Quando ho ballato al centro della pista e di come i miei familiari non facevano altro che osservarmi. E ricordo anche di quella volta che spensi le candele il giorno del mio ventesimo compleanno, che ormai ero ufficialmente un'adulta a detta di mio padre.
« Oh, no io ecco – »
« Luke, hai avuto una brillante idea! » E vorrei linciarlo, adesso, Calum, con quel sorriso da bastardo e la convinzione più sbagliata che possa piacermi. « Ovviamente festeggiamo questa sera, con pizza e birra fino al vomito. »
« Io ci sto! » Michael sbuca con un rasoio in mano e la schiuma da barba sul mento. E' un tipo strano lui, ma è comunque simpatico.
Luke ride. « Lo sapevamo che ci saresti stato, pizza e birra è il tuo cibo preferito! » Esclama infine.
« Beh allora? Potevo avere anche impegni no? Ma per la nostra piccola Alice questo ed altro. » Ma io so che non è così, che non è per me ma per la sua amata bevanda e l'adorata pizza.
« Non ho altra scelta, vero? »
Ne segue un “no” detto in coro dai tre, ed un espressione corrucciata del mio volto.
Ognuno si divide i lavori, con Luke che prepara il pranzo, Calum che sistema la casa e Michael che cerca di svignarsela in bagno per ultimare la sua barba.
Ed alla fine è divertente vivere qui, perché forse è davvero questa la mia famiglia.

All'ora di pranzo, grazie a Luke Il Cuoco, abbiamo mangiato degli spaghetti con polpettine. Una vera merda visto la scarsa cottura.
Aiuto Calum a sparecchiare, mentre di Ashton nemmeno l'ombra. E non nascondo la mia preoccupazione, mentre per gli altri la cosa sembra abbastanza normale.
« Ashton non è tornato per pranzo. » Dico, posando una pila di piatti sul lavabo, mentre mio fratello ne sciacqua altri.
« Avrà mangiato qualcosa fuori. »
« Dovevamo lasciargli qualcosa da mangia – »
« Alice, ascolta. Lascialo perdere, ti prego. Di tutti i ragazzi che possono esserci su questa cazzo di Terra ti sei scelta quello sbagliato. »
I miei occhi si perdono nei suoi, così neri ed adirati, ed a Calum non va bene il mio strano interesse mischiato a curiosità riguardo la vita di Ashton. Ma così, di certo, non metterà a bada la mia voglia di sapere.
« Tu sei suo amico, e lo tratti con tranquillità, come se non avesse nulla! E non fai niente per aiutarlo! »
« E tu credi che non ci abbiamo provato? Non abbiamo provato ad aiutarlo secondo te? Signorina ti ricordo che lo conosciamo da più tempo, per quel che mi riguarda. Sei arrivata da pochi giorni e già ti credi la paladina della giustizia? »
Sgrano gli occhi, perché forse ha ragione o perché magari queste parole fanno male, come lame taglienti arrivano fino al petto, scavando in profondità, rigirando il ferro nella ferita.
E' solo che non voglio ammettere a me stessa tante cose, come ad esempio che alcuni preferiscono cavarsela da soli, senza l'aiuto di nessuno.
« Che succede qui? » Michael arriva in cucina, ora con un viso fresco e pulito.
« Nulla. » Dice Calum, nascondendo la verità.
« Alice, ti va di fare quattro passi? Qui continua Luke. »
Annuisco seguendolo, mentre mio fratello smette di guardarmi per tornare al suo lavoro domestico, rifilo la tracolla e poi vado via, mentre il mio polso destro viene stretto dalla mano pallida di Michael.

Il cielo lascia spazio all'imbrunire, mentre i primi lampioni cominciano ad illuminare la città. Michael esce dalla tasca posteriore degli skinny un accendino ed un pacchetto di Marlboro rosse, ne estrae una e la porta sulle labbra accendendola subito dopo.
Io guardo i passanti, mentre mi perdo ad ascoltare il rumore delle macchine e di qualche musica riprodotta all'interno di alcuni locali.
« Cosa c'è Alice? » Michael si accorge del mio umore, nero come l'asfalto. Accenno un sorriso scuotendo il capo, cercando di rassicurarlo, ma lui continua. « Ho sentito te e tuo fratello discutere, prima. »
« Non è nulla. » Continuo.
« Certo, è anche probabile, allora scusa l'insistenza. » Dice, continuando a fumare la sua sigaretta, disperdendo nell'aria piccole scie di fumo grigio.
E Michael non insiste, ed il mio cuore invece mi incita a chiedere. 'Ché forse è l'unico in grado di darmi risposte.
« Parlami di Ashton. » Lui inarca un sopracciglio, smette di fumare gettando la stecca per terra e calpestandola.
Sospira, mentre i residui del fumo abbandonano le sue labbra.
« Cosa vuoi sapere. » Non è una domanda, quella di Michael.
« Non lo so, qualcosa, qualsiasi cosa. Perché se ne sta così in silenzio? Perché non interagisce con noi? E' forse a causa della mia presenza? » Le domande che affiorano la mia testa abbandonano il silenzio, diventando reali nel momento in cui le realizzo, escono facilmente dalle labbra.
« No, tu non c'entri. » Mi spiega, poi si ammutolisce, e forse mi rendo conto che le parole dovrò cavargliele di bocca. E' più difficile del previsto.
« Allora? »
« Forse non è nemmeno giusto che io te lo dica. »
« Ma io so mantenerli, i segreti Mike! » E lui sorride, dandomi una lieve pacca sulle spalle.
« Ne sono certo, piccoletta. » Alice, dovresti dirglielo che tu sei più grande di lui, mi avvisa la coscienza, eppure questa volta non l'ascolterò, non mi va affatto di fargli perdere quella convinzione, e poi, di fingermi minore, mi piace pure.
« Perché non dirmelo, allora? »
« Credo che siano cose un po' private. » Ribatte, guardandosi intorno.
« Ma io voglio sapere! »
« Te lo hanno mai detto che sei insistente? »
« Solo a volte. » Calcio un piccolo sassolino che intralcia la mia strada, e non smetterò di attendere la voce di Michael, perché io non mollo: mai.
« All'età di dieci anni Ashton rimase orfano di entrambi i genitori, crebbe con la sorella di suo padre, una certa Clarisse.
Era tranquilla la sua vita, nonostante la baraonda che si era andata a formare anni prima. E' solo che poi sua zia cominciò ad ammalarsi, gravemente, e morì all'età di quarantacinque anni. Per Ash fu un colpo, perché era rimasto nuovamente solo. Ma non si perse d'animo.
Decise di frequentare una piccola scuola di musica, per imparare le percussioni, e s'innamorò di una sua compagna di corso. Nell'estate scorsa i due si fidanzarono, Ash sembrava nuovamente felice. Poi, però, si accorse del tradimento di lei.
E' che non è andato mai nulla a buon fine, nella sua vita, ecco perché sta sempre nel suo. Ecco perché non parla, né socializza, ha semplicemente – »
« Paura. » Lo interrompo.
Gli occhi pieni di lacrime che scendono ininterrottamente dal mio viso mi offuscano la vista. E' che io, una vita così non la saprei immaginare. Mi sono sempre lamentata della mia, trovandola per certi versi noiosa, alle volte, ma sono certa che Ashton pagherebbe per avere una vita come la mia, alimentata da una dolce monotonia.
E comprendo i suoi silenzi, adesso, quelli che fanno rumore.
E comprendo anche i suoi sguardi furtivi, quasi come se non volesse osservare nessuno.
E capisco il suo sparire improvviso, che forse starsene da solo lo aiuta a riflettere.
« Già. »
Michael fissa l'orizzonte, sospirando. « E' meglio tornare a casa. » Dice infine.
Io annuisco, ed insieme ci inoltriamo nella via del ritorno.

« Bentornata Alice! » Calum e Luke hanno addobbato la stanza con qualche ghirigoro riciclato, delle pizze ancora avvolte dall'involucro in cartone giacciono sul tavolo, seguite da cinque birre, alcune già aperte.
Sorrido, forse è la prima volta che mi viene festeggiata qualcosa con amore e senza alcun scopo. E Calum sa che siamo stati lontani troppo tempo, che questa non è solo la mia festa, ma la nostra festa. Per festeggiare il nostro ritorno insieme, per festeggiare tutte le cose belle che accadranno da ora in poi, questa è la nostra festa. La festa della mia famiglia.
Mi fiondo tra le sue braccia, tiracchiando Luke che ci avvolge in un caloroso abbraccio, e poi arriva Michael, che ci ricorda quanto siamo femminucce a stringerci così, perché secondo lui solo le donne si abbracciano.
Ed io credo che, invece, Michael adora gli abbracci. Perché lui sa abbracciare.
Ed è una felicità che cercavo da tanto tempo, questa di adesso, che nemmeno ricordo più le cose tristi del passato.
Ho scordato la tristezza, le avversità e tutti i pensieri negativi che mi popolavano la mente, una volta, forse riuscirò a dimenticare anche Joseph, un giorno non molto lontano. Ed il mio cuore lo spera, almeno quella metà che mi è rimasta.
Perché secondo Lucy, un cuore a metà non batte, ma il mio ci sta provando. Che forse non ho bisogno di nessuno per star bene, o magari sono loro l'altra metà del mio cuore.
L'abbraccio cessa nel momento in cui odo alcuni stomaci brontolare, ipotizzo sia quello di Michael, ma con sommo stupore scopro che è il mio, quello a fare più rumore. E tra un sorriso e l'altro ci accomodiamo, consumando la cena.
Ognuno apre il cartone, afferrando tranci di pizza che vengono divorati molto velocemente, la birra termina ancor prima di finire il cibo e, dunque, sono costretti a prenderne alcune a temperatura ambiente.
Calum, invece, prende la mia, che proprio non mi è mai piaciuta la birra. Preferisco di gran lunga l'acqua, per me rimarrà sempre la miglior bevanda.
« Sei l'unica a cui non piace la birra. » Si affretta a ricordarmi, con la bocca piena. Se ci fosse mia madre, qui, lo prenderebbe a scappellotti in testa. Nessuno poteva parlare a bocca piena, in casa mia. Ricordo ancora quando Lucy bofonchiava raccontandoci le sue vicende a scuola e di come mia madre finiva per rimproverarla sempre, dandole della maleducata.
« Beh, diciamo che mi differenzio. » Dico, andando sulla difensiva.
« Ha ragione! » Esclama Luke.
« Buonasera. » La porta viene spalancata rivelando un Ashton con il labbro inferiore spaccato e sanguinante.
Istintivamente mi alzo dalla sedia, scattando come una molla, mentre gli altri tre mi guardano.
Ashton inarca un sopracciglio inclinando la testa, guardandomi sbigottito.
La scarica d'adrenalina che percorre il mio corpo è dovuta all'ira che provo verso Mike, Luke e Cal, che non hanno domandato nulla riguardo allo stato pietoso di Ashton, senza escludere che, da stamane, è tornato solo adesso.
« Dove sei stato? » Chiedo. Lui sbuffa e sfila il cappotto.
« A fare un giro. »
« Un giro durato tutta la giornata? »
« Non sei mia madre, non devo darti spiegazioni. » Conclude, pulendo con il palmo alcuni rivoli di sangue, percorre poi le scale tornando al suo silenzio.
E nessuno gli ha chiesto nulla; tornano a mangiare tranquillamente senza però alcun sorriso, che sembra essere morto nel momento in cui Ashton è rientrato.
Osservo la pizza che doveva essere per lui, è ancora avvolta nel cartone, e la sua birra non c'è più; è stata consumata da Michael.
« Non ho più appetito. » Dico, perché sul serio mi è passata la fame. Non riuscirei a mandar giù nessun'altro boccone di pizza.
« Alice c'è ancora il dolce! » Mi avvisa Michael.
« Mangiatelo voi, io non ho più fame. »
Afferro la pizza intatta, salendo le scale arrivando al piano superiore dove ci sono le stanze.
La porta di Ashton è chiusa, come il suo cuore: chiuso, protetto da barriere e lucchetti.
Poggio la mano sul legno verniciato, per poi sedermi appoggiando le spalle su di esso. Il tepore della pizza scalda le mie cosce, ma non scalderà il cuore di Ashton, congelato ormai da tempo immemore.
« Ash? » Sussurro, ma nessuno risponde, « Non hai mangiato la pizza. »
« Vattene via, Alice. » Dice, con voce di chi, sul serio, non vuole essere infastidito. Non da una come me, poi.
« No. »
« Non essere appiccicosa! » La sua voce comincia ad alterarsi, ma essa non comprometterà la mia voglia di rimanere appoggiata al legno della sua porta.
« Ti ho portato la pizza. »
« Mangiala tu. »
« Io l'ho già fatto, questa è la tua. »
« Alice, sparisci. » Continua.
« No! Non andrò via, rimarrò qui fino a quando non aprirai quella cacchio di porta, non puoi rimanere lì per sempre. » Silenzio.
Sento la maniglia cigolare, mi sposto, poi Ashton apre la porta ed io sono lì, per terra, con il cartone tra le mani. E mi sento una stupida, adesso, sotto i suoi occhi grandi e verdi.
« Non costringermi a cacciarti. Torna nella tua stanza. » Dice. Ed io mi alzo.
« Cacciami. » Lo guardo, e lui ricambia. I nostri occhi si osservano, e giuro, lo guardo come si guarda il mare alla fine dell'estate.
Si morde le labbra, lui, che ancora non ha avuto il coraggio di cacciarmi, e penso sia una parola semplice per gente che non ha cuore. Ma Ashton un cuore ce l'ha e credo sia più grande del mio, che ormai è solo a metà.
« Perché non sei come tutti gli altri? Perché non ti fai gli affari tuoi? »
« Io non sono gli altri. Gli altri non sono come noi. »
E la mia coscienza urla che sono vicino al fuoco, ed io non sono acqua, non potrò spegnerlo. E' un fuoco strano, o forse sono io ad essere strana e masochista, sono conscia della possibile scottatura, eppure non vado via.
Osservo i suoi grandi occhi verdi, i suoi zigomi, poi le sue labbra sottili ora pulite ed un filo quasi invisibile di barba, e penso che Ashton sia bello, bello davvero, quel bello che mozza il fiato. E li riconoscerei tra mille, i suoi occhi. Li troverei nel bel mezzo di una folla popolata da mille occhi verdi, che non sono come i suoi. Perché i suoi brillano, ma lui questo non lo sa.
Sospira, afferrandomi la pizza dalle mani ed io torno nel mondo dei vivi, che di castelli in aria già ne ho fatti abbastanza. « Grazie per la pizza. » Conclude, chiudendomi la porta in faccia, ed io sono nuovamente sola, con me stessa e con il pensiero di quei grandi occhi verdi che mi osservano.
Estraggo dalla tasca l'oggetto comprato precedentemente, lasciandolo scivolare sotto la fessura della porta, che proprio non ho il coraggio di darglielo.
E so, che quando Ashton lo vedrà, capirà che io, davvero, non sono come gli altri.






Nda: Amori miei belli, eccomi alla carica!
Buon mercoledì, o quello che vi pare, hahaha.
Allora, come vi è sembrato il capitolo? Spero
vi sia piaciuto anche perché da qui in poi le cose
si faranno molto più movimentate, ehehehe.
A quanto pare Alice ha conosciuto il segreto
di Ashton, non di certo grazie a lui, però
c'è un valido motivo, per cui il ricciolino si comporta così.
Ed ha fatto intenerire, Alice.
Secondo voi cosa succederà?
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate e se la storia vi
stia piacendo. Ci tengo molto ai vostri pareri, e ringrazio chi
mi sta accompagnando in quest'avventura. Davvero siete
importantissimi per me. ç__ç
Oggi vi lascio con Ashton!


 

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Capitolo 11
*** Solo una serata felice. ***


 
11.



« Apri questa porta, Alice. » La sento lontana, questa voce.
Riesco a malapena ad aprire gli occhi, fissando la sveglia posta vicino alla mia branda, per terra, segna le otto del mattino. Ed io mi chiedo chi, a quest'ora, faccia già così casino.
Sospiro, alzandomi controvoglia, dirigendomi verso la porta. E quasi non mi viene un infarto quando dinanzi all'uscio c'è proprio lui: la ragione del mio attuale male.
Ashton è fresco, pulito e profumato. Indossa una maglia nera, bucherellata sul petto, dei Green Day, uno skinny nero ed una bandana rossa che avvolge la fronte.
L'aria perennemente arrabbiata... o forse sorpresa? Oggi proprio non saprei dirlo.
Benché stia cercando di dare una sistemata ai miei capelli che oggi mi fanno apparire una leonessa, loro proprio non demordono, continuano a rimanere spelacchiati come il pelo di un gatto dopo il bagno.
« Ehi, uhm – ciao. » Lui estrae dalla tasca qualcosa, poi me lo piazza davanti.
Ed è l'oggetto che avevo preso per lui, la bandana comperata in una bancarella ambulante.
« Questa è opera tua. » Mi rimbrotta, con cipiglio severo.
Sembra non averla gradita, però, considerando il modo in cui mi guarda. Mi guarda con fare corrucciato.
« Mi è piaciuta, l'ho vista ed ho pensato che forse ti poteva piacere. Insomma è nera, puoi abbinarla a... »
« Riprendila. » Gli occhi verdastri che si riducono a due minuscole fessure. La mascella serrata di chi trattiene qualche attacco d'ira.
« No, è per te. »
« Non voglio regali. »
E sono stanca, del suo modo di esporsi con me, che forse mi crede ancora bambina. Qualsiasi cosa io faccia per avvicinarmi a lui non fa altro che portarmi ad altri metri distanti. Mi poggia la bandana tra le mani, mentre sta per andarsene.
« Aspetta! » Riesco ad afferrarlo da un polso, ancor prima di vederlo troppo lontano da me.
« Cosa. » Mi rimbrotta, voltandosi di scatto.
« Non mi sopporti proprio, eh? » Dico, con un filo di amarezza. Perché so che probabilmente non sono la persona più adatta a socializzare, magari ogni mio gesto lo porta ad odiarmi ancor di più.
« Non è questo. »
« Voglio solo esserti amica. » Rispondo, perché credo che ogni essere abbia bisogno di un amico. So che Calum, Luke e Michael sono amici suoi. Ma se non bastasse? Se la loro amicizia non lo stesse aiutando? Del resto ho visto come si preoccupano per lui.
« Io non ho bisogno di amici. » Sputa, con sicurezza.
« Non è vero, tutti ne hanno bisogno. »
« Ma io non sono tutti. »
E quando va via, completamente, richiudendosi la porta della mia stanza alle spalle, assodo che a me, di Ashton, importa. M'importa davvero, maledettamente.
Forse questa volta la mia coscienza aveva ragione, dovevo saperlo che mi sarei nuovamente scottata, nonostante i miei vent'anni.
E che Joseph comincio a non pensarlo più, ed il merito è tutto di Ashton, nonostante lui non lo sappia.
Ormai il sonno è svanito, perché, davvero... come riuscirei a riaddormentarmi quando in testa ho due occhi verdi che mi osservano?
Sono grandi, immensi, come la malinconia che li attanaglia, ed io mi sento insignificante 'ché quanto provi a far star bene una persona questa non si smuove, concentra tutto il suo male in un unico posto del cuore formando una barriera e trovando qualsiasi cosa futile, priva di senso.
E so che l'amicizia, per certi versi, è inutile. Che un amico non può davvero sanare quello che l'amore ha rotto. Tutte quelle stronzate sull'amicizia più forte dell'amore sono solo fandonie che scrivono ragazzine inferiori ai sedici anni su Tumblr, un po' per farsi le fighette.
E' una lotta, la vita, continui alti e bassi che avanzano e dobbiamo solo aggrapparci ad una fune per non cadere, noi.
Quando arrivo al piano terra Michael sta dormendo sul divano seguito da Luke, ed io penso che un divano da dividere non dev'essere abbastanza comodo, però è un'ottima scusa per stare vicini. Un po' come la scusa della musica che univa me e Joseph, che ancora non sono riuscita a dimenticarlo completamente; forse i veri amori non si dimenticano, o magari non vanno proprio via: fanno un capitombolo e poi tornano.
Di Calum, invece, nemmeno l'ombra; decido dunque di rendermi utile: preparare la colazione per tutti, che forse mio fratello deve stare lontano dai fornelli. E' meglio.
« Ciao. »
Una voce interrompe i miei pensieri logorroici, che ultimamente sembrano essere più numerosi. Mi volto di scatto ed è sempre lui, Ashton, con la sua aria trasandata e malconcia, nonostante il vestiario pulito.
Una lieve crosta marroncina si è formata sul suo labbro inferiore, ed io mi chiedo cosa sia accaduto precedentemente, nonostante non voglia parlarne.
« Ciao. » Rispondo, aprendo il frigo. La mia coscienza mi suggerisce di improvvisarmi tosta, severa. Risultare troppo apprensiva e disponibile farebbe di me una ficcanaso ingenua, ed io non voglio più esserlo, ci sono cascata già una volta nel baratro della friendzone.
Torno dunque ad improvvisare una colazione degna di essere gustata, senza fare affidamento sulle porcherie che ieri io e Luke abbiamo comprato.
Lo sento accomodarsi sulla sedia, lasciando cadere dentro la tazza una giusta dose di latte freddo, mi perdo ad osservarlo di sottecchi e finisco per ustionarmi con il fornello, da brava idiota, giustamente. « Ahia! » Ringhio, evitando le imprecazioni.
Lo vedo ridere, Ashton, forse per la prima volta. E giuro, mi scotterei altre miliardi di volte se potessi nuovamente vedere quel sorriso così bello che curva all'insù le sue labbra sottili.
E ti prego Ashton, sorridi, fallo ancora. Sorridi a chi non ha capito realmente chi sei e quanto vali, sorridi ai tuoi genitori che ti guardano da lassù, a quella stronza che non ha saputo apprezzarti. E ti prego sorridi, perché mentre tu scoppi a ridere io scoppio a vivere.
« Ti sei fatta male? »
« No, io... adesso sistemo tutto. »
Lui si alza, viene verso me ed abbassa il gas. Forse cucinare non è una mia dote, d'altronde sono la sorella di Calum, il che spiegherebbe tante cose.
« Ti do una mano. » Comincio a conoscerlo, Ashton, che non fa mai domande ma che impone frasi e teorie, ed io non replico perché forse questa è la scusa giusta per avercelo vicino e sentire il suo forte profumo maschile, ed io prego il buon Dio che Calum non torni, che di vedermi con un ragazzo proprio non ha voglia, dice che sono ancora troppo piccola per perdermi nell'oblio dell'amore. Ed io vorrei dirgli che già ci sono caduta più volte e mi sono sempre rialzata: da sola, con le mie forze, con le mie lacrime, con i miei pianti, con le mie cicatrici, con un cuore a metà, ma mi sono sempre rialzata.
« Grazie. »
Abilmente riesce a preparare due uova ad occhio di bue, li lascia scivolare sul piatto e poi li poggia in tavola, mentre lui è pronto a sparire nuovamente chissà dove.
« Non fai colazione con me? » Chiedo, perché un po' mi auguro risponda diversamente da ciò che penso.
« Sto uscendo. » Ancora.
« Dove vai? »
« Un giro. » Il solito giro che durerà tutto il giorno, ovviamente.
« Ash! »
« Mh? »
« Non andare. »
« Luke e Michael dovrebbero svegliarsi a momenti, tranquilla che sola non rimani. »
Ma come glielo dico che non è la stessa cosa? Che Luke e Michael, nonostante siano delle persone d'oro, non sono lui?
Vorrei tanto supplicarlo e dirgli di non andare, come continuano a fare tutti.
E vorrei anche dirgli che, ogni qualvolta apre quella dannata porta per andar via, si porta piccoli pezzi della mia ultima metà di cuore, e fa male... forse più di quanto pensassi.
Che forse davvero i ginocchi sbucciati di mia madre negli anni '80 facevano meno male dei cuori a metà o completamente infranti del 2000.
Però questo lei non lo sa, non può capirlo, non può nemmeno immaginarlo ora che siamo lontane, troppo lontane.
Ed i miei occhi invocano pietà, perché so che mai sarò forte abbastanza per trattenere qualcuno, e sarà sempre questa mia mancanza di coraggio a farmi rimanere sola per sempre.
« Torna. » E' l'unica cosa che dico senza, però, guardarlo.
Sento la porta chiudersi e quando ormai alzo lo sguardo lui è già bello che andato chissà dove.
« Non dovresti stargli così addosso. »
Michael, che probabilmente era già sveglio da un pezzo, ha il gomito poggiato sul bracciolo del divano, tra le dita tiene una sigaretta mentre con l'altra mano cerca d'accendere.
« Ma tu non stavi... »
« Dormendo? Beh, sì fino a quando il tonfo della porta non mi ha svegliato. »
« Oh, beh ecco io – » Farfuglio, incapace nel formulare qualche frase di senso compiuto.
« Alice, sul serio? Ti sei presa una cotta per Ash? »
Sgrano gli occhi a quelle parole, abbassando il capo per osservare l'uovo che aveva preparato Ashton e che ancora giace, completamente intatto, nel piatto. Non riesco a mangiarlo, forse per la frase di Michael o magari perché comincio a sentire la mancanza del riccio.
« Non ho nessuna cotta. » “Non mentire Alice.”
« Già, immagino. » Sbotta lui, che forse non mi crede.
« Dov'è Cal? »
« E' andato in centro, se tutto va bene questa sera suoneremo in un piccolo pub. Sarà la prima volta, dunque siamo un po' agitati. »
E nessuno mi aveva parlato di questa cosa. Comprendo, dunque, che Michael è l'unico a sputare le cose non dette senza alcun timore.
« Perché nessuno me lo ha detto? » Chiedo, con un velo di rabbia.
« Te lo avrebbe detto Cal, proprio quando stavate discutendo amorevolmente su Ashton e la sua riservatezza, ma poi ti ho portato via visto che stava degenerando la cosa. »
« Tsk, Calum... »
« Che ne pensi, verrai a supportarci? »
Sospiro, roteando gli occhi. E' che proprio non riesco ad avercela con i ragazzi, in un certo senso li vedo più come una famiglia che affronta litigi ed incomprensioni ma poi si finisce con il far pace, sempre, perché è questo che fa una famiglia.
Annuisco accennando un sorriso mentre già penso a cosa potrei indossare. Da quando sono qui non ho mai sentito i ragazzi suonare perché forse hanno preferito farmi da balia, il che mi fa sentire ulteriormente una stupida.
« Buongiorno Alice. » Dice Luke appena sveglio, con i capelli spelacchiati e la cresta smorta.
«Ciao Luke. »
« Davvero questa sera verrai? » Chiede, curioso come Michael.
« Verrò. »
E poi penso ad Ashton, ancora, e mi chiedo se lui verrà questa sera, se potrò vederlo suonare, o se semplicemente potrò vederlo. Semplicemente questo.


Quando Calum torna a casa sono le tre del pomeriggio ed un sorriso sornione contorna le sue labbra carnose.
Michael io e Luke ce ne siamo stati tutto il giorno a sperare di vederlo tornare con risposte positive, ed ora che è qui, stranamente, ce ne stiamo muti come pesci ad attendere una dannata risposta.
« Allora?» Luke è agitato, le sue mani completamente sudate che si contorcono in strani movimenti.
A Calum, però, questa situazione piace. Sembra ridere di noi, e poi incrocia le braccia al petto.
« Diamine Cal, non farci stare sulle spine! »
« E' andata! Questa sera siamo nel pub al centro città, al Luxury. E' fatta ragazzi! »
La vedo ridere, adesso, la mia famiglia e penso che nulla potrebbe andar meglio di così, perché sono le piccole cose inaspettate a migliorare la giornata o – addirittura – la vita stessa.
Ed è bello sapere che il sogno di Calum potrà avverarsi un giorno, perché lui ci crede davvero e perché io prego che ciò avvenga, che non resti solo un sogno ma diventi reale come la vita che stiamo vivendo.
« Sono così felice, Cal! » Esclamo, balzando dal divano e stringendolo al petto. Lui ricambia la stretta e mi schiocca un tenero bacio sulla nuca, di quei baci dolci e pieni di gratitudine.
E comprendo che la felicità, quella vera, posso viverla anch'io. Un piccolo raggio di Sole che finalmente mi bacia il volto. Bacia il volto di tutta la mai vera famiglia.


« Diamine, diamine diamine! Cosa devo mettermi? »
Sostanzialmente non sono mai andata ad un concerto, e nonostante non ci andrò nemmeno questa sera, conosco i sentimenti e le emozioni di mio fratello, riesco a percepire quanto lui ci tenga a questa cosa.
Inoltre dal vestiario dei ragazzi deduco che il genere rock predilige su tutto, lo stesso che ascoltavo con mio padre, quello non vero, quello che mi ha cresciuto come una figlia e quello che vorrei vedere di nuovo. Anche solo per ringraziarlo per avermi tirato su fino a vent'anni.
« Alice, dai o faremo tardi, va bene qualsiasi cosa! » Esclama Luke da sotto, che loro sono già pronti ed io – come sempre – ho le paranoie che mi martellano il cervello.
« Okay, okay ho fatto. »
Alla fine optò per un vestito corto fino alle ginocchia, rosso con il merletto nero. So che non è da me indossare vestiti, per di più in stile leggermente gotico.
Quando finalmente ho ultimato il make-up, che comprende una piccola riga di eyeliner e un po' di rossetto per non far sembrare le labbra cadaveriche, scendo, trovandomi davanti ai ragazzi che mi guardano sbigottiti.
« Alice, sei bellissima! »
Michael borbotta qualcosa, mentre diventa paonazzo e si volta verso Luke che, invece, mi guarda sorridendo. E' felice.
« Okay smettetela di segarvi su mia sorella. Andiamo, Alice. »
Una volta arrivati in auto, a guidare è Calum. Visibilmente nervoso. Michael e Luke accordano le chitarre mentre si esercitano canticchiando qualcosa dei Blink 182. Ovviamente Ashton non è con noi.
« Sei nervoso? » Chiedo, anche se la domanda è un po' insolita. Chiunque riuscirebbe a tagliare a fette la tensione che aleggia in macchina, tanto è spessa e forte.
« Non lo nascondo. » Risponde, senza distogliere lo sguardo dalla strada.
« Ashton verrà? »
« Non lo so, Alice. » Continua, senza distogliere lo sguardo sulla strada davanti a lui.
« Come farete se – »
« Ce la faremo comunque. Con lui o senza di lui. »
E mi rendo conto che, forse, è meglio tacere perché i nervi di Calum sono a fior di capello, ed io non voglio fare la mia parte.
Vorrei solo che Ashton fosse qui...

Il Luxury è uno dei peggior locali del posto.
La puzza di alcool è intinta persino nelle pareti scure, mentre delle luci rosse lampeggiano in tutta la minuscola stanza, le persone si accalcano sul piccolo palchetto per vedere meglio chi salirà, ed io, che sono in prima fila, sento tutto il peso della gente alle mie spalle.
Calum Luke e Michael stanno sistemando le ultime cose, accordando bassi e chitarre, poi guardo la batteria e non c'è nessuno a sistemarla.
Ashton non si è ancora presentato ed i ragazzi cominceranno fra poco, ad esibirsi.
Mancano solo dieci minuti esatti; sento il cuore palpitare forte – forse ho più agitazione di loro.
Luke avanza verso il microfono dandogli due colpetti con l'indice così da richiamare l'attenzione di tutti, « Salve, benvenuti al Luxury, siamo i 5 Seconds of Summer e vi auguriamo un buon proseguimento di serata. » ed il biondo mi guarda accennando un lieve sorriso, mentre sento le guance andare in fiamme.
Calum è Michael stanno ai suoi lati, come due scagnozzi accanto al boss, tuttavia si danno un'ultima occhiata e quando ormai la folla comincia ad acclamarli si ritrovano a dover cominciare... senza Ashton.
Ed è proprio quando parte il primo riff di Michael che Ashton sale sul palco con l'affanno di chi ha cercato in tutti i modi di arrivare puntuale. I miei occhi s'accendono, mentre osservo con quanta attenzione va a sedersi dietro la batteria. Allaccia meglio la sua bandana rossa e poi mi guarda, con quei grandi occhi verdi e vacui.
E riesco a sentire la tranquillità dei ragazzi, adesso, che suonano la canzone prestabilita mentre le persone muovono le mani a ritmo della musica, io copio i loro gesti sperando di mischiarmi alla folla. Ma giuro, vorrei davvero urlare che sì, quel ragazzo è mio fratello!
Suonano, instancabili, esaudendo il bis di almeno metà gente ed infine scendono dal palco, completamente stanchi e sudati.
Il barman offre loro da bere, ed infine alzano i boccali al cielo, brindando alla loro serata.
« E' stato una forza! » Dice Calum.
« Dov'è Ashton? » Gli chiedo. Lui mi guarda posando il boccale sul bancone, inarca un sopracciglio ed infine scrolla le spalle.
« E' andato a darsi una sciacquata al viso. » M'informa Michael.
Prendo il boccale che doveva essere per lui, lasciando i ragazzi alle loro birre, cerco di farmi largo tra la folla arrivando ai bagni maschili.
Ed è un vero scempio dover fronteggiare con coppiette intente a slinguazzarsi. Busso in tutti i bagni che sembrano essere occupati.
Uno, però, è semi aperto, tintinnante picchio le nocche sulla porta ma nessuno risponde.
« Ash, sei qui? » Dico, aprendo lentamente.
E sgrano gli occhi quando, per terra lo vedo: svenuto.
La bandana giace sulle piastrelle grige ed il rubinetto dell'acqua è aperto; mi chino chiamando il suo nome ma lui non risponde. E' come morto, privo di sensi.
E non è completamente giusto perché questa, per lui, doveva essere solo una serata felice.





Nda: Hola bimbi! Che poi non siete bimbi ma a Morgana piace chiamarvi così u.u
Spero che ve la stiate spassando, ehehehe.
Allora cosa ne pensate del capitolo? Diciamo che è abbastanza movimentato, a partire
dalla lite ad inizio capitolo con Alice ed Ashton, per poi andare al Luxury. Dov'è successo
quello che è successo.
Inoltre a me Ash fa tenerezza, non prendetelo come uno stronzo, povero cucciolo ç__ç
Per di più avete scoperto che i nostri ragazzi suonano, ehehe ed è una cosa da non
dimenticare perché prima o poi salterà dell'altro, fuori. Tipo un sequel, coff.
FATE FINTA CHE NON HO DETTO NULLA, OKAY? Doveva essere una sorpresa, mannaggia.
Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate, perché per me è importante il vostro parere.
Senza contare che siete voi la ragione per cui io continuo a pubblicare storie.
Un bacione amori miei, grazie di essere arrivati sin qui.
Oggi vi lascio con Michael e Calum
.



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Capitolo 12
*** Non credo alle promesse, ma tu torna. ***




12.



 
« Come ti senti? »
« Dove cazzo mi trovo?! »
Guardo Ashton adesso, o forse l'ho osservato per tutta la notte, rimboccandogli le coperte e sistemando meglio il cuscino. Dovrebbe essermi grato ma tutto questo rimarrà un mio segreto, 'ché forse non ho abbastanza coraggio per dirgli dove ho passato queste ore.
E' steso in una branda, le coperte sono bianche così come la fodera del cuscino e varie flebo sono attaccate in entrambe le sue braccia.
Siamo in un ospedale; il più vicino al locale dove si sono esibiti ieri, al Luxury.
Sebbene i ragazzi abbiano insistito tanto nel farmi tornare a casa, per una strana ragione a me del tutto oscura, mi ritrovo qui: con questo scorbutico ragazzo dai capelli ricci.
« Dovresti riposare, sei ancora molto debole. » Gli rammento, malgrado lui non lo sappia ancora.
I suoi occhi verdi e vacui osservano le flebo, poi vagano indisturbati lungo tutto il perimetro del soffitto; di seguito torna a guardarmi, serrando la mascella. Anche in queste circostanze Ashton è taciturno.
« Prima di riposare dimmi dove mi trovo. » Ringhia. Riesco a notare le mani strette in due pugni talmente forti da farsi sbiancare le nocche.
« In ospedale, quando avete finito l'esibizione al pub sei andato via. Ti ho cercato, ma non riuscivo a trovarti, e quando ho deciso di guardare in bagno, tu eri steso sul pavimento... privo di sensi. »
« Torna a casa, Alice. » Decide di cambiare argomento come fosse nulla.
Ed è questo quello che riesce a dire, dopo tutte le mie fatiche, dopo tutta la notte rimasta ad osservarlo ed a prendermi cura di lui, in questa dannata seggiola scomoda.
Ho atteso il suo risveglio per poi sentirmi dire di andar via, ma d'altronde dovevo immaginarla la risposta. Comincio a pensare che nel mondo di Ashton non entrerà mai nessuno. Innalza barriere intorno a se, situando soldati con armi e non appena qualcuno avanza rischia di venire ferito.
« Che cosa? »
« Va' via! » Sbotta, cercando di voltarsi trovando però intoppo nei fili che lo tengono ancorato nella stessa posizione.
Eppure, per quanto possa essere irascibile ed indomabile, proprio non riesco a stargli lontano.
« Smettila di muoverti, altrimenti i fili si staccheranno... » Lo informo, anche se presumo non gli importi poi così tanto quello che io dico.
« Non importa. » Appunto.
Sospiro, sistemandogli le coperte dapprima scivolate sul pavimento. « Non vuoi sapere perché ti trovi qui? » Gli chiedo, ma lui non risponde.
Ne ho sentiti tanti, di silenzi, nella mia vita. Silenzi fastidiosi, imposti, voluti, insignificanti.
Ma questo, il silenzio di Ashton, scaturisce in me una strana reazione. E vorrei solo piangere, lontano da tutti, lontano dalla mia nuova me. Una me che non voglio, una me che vuole aiutare chi non ha bisogno.
Rassegnati Alice, di te a lui non importa nulla” e mi chiedo a chi importa di me, sul serio, nella vita. Oltre Calum, oltre Lucy, oltre il bene di mia madre che ha fatto la bugiarda per vent'anni, oltre l'amore mai nato tra me e Joseph, oltre mille cose che, adesso, trovo lontane.
A capo chino e con il cuore infranto mi alzo, 'ché non è giusto rimanere se a lui non importa.
« Aspetta Alice... » Mi volto, cacciando dentro le lacrime che ormai hanno trovato radici nelle mie guance da così tanto tempo.
E non riesco a capire se sia Ashton a provocarmi queste morse al cuore capaci di rendermi fragile o sia io, che forte non lo sono mai stata.
« C – Cosa?» Cerco di sembrare più lucida possibile, ma l'assurdo balbettio tradisce le mie aspettative. Merda.
« Resta ancora un po'. »
« Ma tu hai detto – »
« Sono solo un coglione Alice, resta. »
Mi siedo nella seggiola scomoda, dove ho passato tutta la notte. Timidamente abbozzo un sorriso cercando di non sembrare ridicola; perché io non sono Calum, con le sue grandi labbra carnose sempre perfette curvate all'insù, perché io non sono mia madre, con quell'allegria che fa solo invidia, perché io non sono Lucy, che sa fingere un sorriso anche quando muore dentro. Io sono solo me stessa, che non sa fingere, che non sa mentire, che non sa essere diversa, ma solo me stessa, con le mie paranoie e i miei sensi di colpa per cose mai fatte e con rimpianti per parole mai dette.
« I medici hanno detto che ti terranno qui per due giorni, devono farti alcune analisi per vedere se è tutto apposto. » Cerco di smorzare la tensione con una frase che ho sentito dai paramedici, ma deduco che ad Ashton la cosa non piaccia nel momento in cui sbarra gli occhi, incredulo e, sì, anche infastidito.
« Cazzo, due giorni? »
« Hanno trovato dei valori alterati nel sangue, Ash... hai provato qualche sostanza particolare al pub? »
Gli occhi chiari di Ashton si riducono a due piccole fessure, sospira impazientito e poi sbuffa distogliendo lo sguardo. « Che importanza ha? Sono vivo, no? »
« Ha importanza, invece. »
« Ma ti prego! » Sorride nervosamente roteando gli occhi. Proprio non sopporta il mio altruismo Ashton, che forse nessuno è mai stato altruista con lui. E io la noto invece, la sua tristezza. Nonostante sorrida, nonostante finga a se stesso, a me, a tutti quanti.
« A me importa! »
« Non mi conosci nemmeno. » Mi rimbrotta, facendo guizzare gli occhi da una parte all'altra della stanza.
« Allora fatti conoscere. »
« Ho smesso. » Delucida, continuando a guardare ogni cosa tranne me. Quasi come se stese studiando il luogo in cui sarà costretto a stare per due giorni di seguito.
« Ma io non voglio deluderti. » Perché è vero, non ho nessuna intenzione di deluderlo. So come ci si sente ad essere delusi, e non è una bella sensazione.
La delusione è forse una di quelle armi che fanno più male di lame e coltelli, un'arma che solo i bastardi usano. Ed allora mi chiedo perché io non riesca ad odiare Joseph, pur sapendo che lui mi abbia deluso in maniera che, no, non riuscirei mai a dimenticare.
« La gente delude comunque, Alice. Nemmeno se ne accorge. »
« Non è vero Ash... te lo giuro. » E le sento, le lacrime che tra poco abbandoneranno i miei occhi.
« Torna a casa, e cerca di riposarti un po'. » Mi dice, con freddezza di chi non vuole nessuno vicino.
« Posso riposarmi anche qui. »
« Signorina, dovremmo fare delle analisi al paziente, potrebbe lasciarci soli un minuto? » Un'infermiera dall'aria apparentemente severa entra nella stanza, interrompendo il discorso tra me ed Ashton.
E lo guardo per un ultima volta, mi chiedo se sia giusto dover rientrare quando la donna uscirà, ma non so darmi risposta perché lui non dice nulla a riguardo.
Quando la porta si richiude sono sola, mentre vado ad accomodarmi in una sedia della sala d'attesa, osservando l'orologio.
Sono le dieci del mattino, ed il sonno comincia a farsi sentire.
Poggio il capo sul muro sporco del corridoio, e proprio quando gli occhi stanno per chiudersi definitivamente sento una voce.
« Alice! » Strabuzzo gli occhi, mettendomi composta. E' Calum, insieme agli altri.
« Cal! » Sono così felice di vederlo, adesso. Perché ho sempre pensato che a loro, di Ash, importi ben poco. Ma invece mi sbagliavo, perché lo amano nonostante tutto, nonostante il suo carattere difficile.
« Un'infermiera sta facendo delle analisi, dunque io sono qui. » Dico, cercando di spiegare la situazione ai ragazzi, che sono appena arrivati.
« Perché non torni a casa? Restiamo noi qui. »
Michael e Luke annuiscono, mentre Cal poggia una mano sulla mia spalla, massaggiandola piano come per darmi conforto e pace. Perché lo so cosa frulla nella mente di mio fratello, lo so bene.
« Tornerò a casa dopo averlo salutato, promesso. »
Calum annuisce rassegnato, 'ché forse ha cominciato a conoscermi sul serio, ed io non demordo: mai.
Quando l'infermiera abbandona la stanza di Ashton, timidamente entro senza far alcun rumore.
« Ash... io sto andando via. » Sussurro, senza incrociare il suo sguardo.
« Ciao, Alice. »
Accenno un lieve sorriso, uno di quelli non veri, uno di quelli che facevo sempre a casa, sfornandoli per la mia famiglia. E mi rendo conto che forse non sta cambiando nulla, che sono sempre la stessa. Catapultata in un'altra città, certo, ma resto ugualmente la stessa persona.
Ho il cuore infranto e non so perché.
Forse per Ashton. Forse per la me che continua ad essere triste e stanca, e vorrei tanto dire a Lucy, adesso, che forse non troverò mai la felicità. Perché magari non mi appartiene.
« Aspetta, Alice! »
La sua voce così cruda e dura, fa capolino nella stanza rimbombando tra le pareti così come nella mia testa. Mi volto e lui mi guarda, con quei occhi che parlano da soli.
« Sì? »
« Torna. »
« Lo farò, te lo prometto. »
« Non credo alle promesse, ma tu torna comunque. » Perché Ashton ha gli occhi belli ma fragili. Di chi ha lottato una battaglia ma che l'ha persa.
E quando mi richiudo la porta alle spalle la mia unica certezza è tornare. Tornare per lui, per me stessa, per noi.
« Alice, stai tornando a casa? » Chiede Calum, avvicinandosi a me.
« Sì, vado un po' a riposare. Credo di tornare domani, o magari se non sono troppo stanca potrei fare uno strappo e venire anche questa sera. »
« Vedi di non stressarti troppo, non sei wonder woman. »
« Hai ragione. Ciao fratellino. »
Schiocco un bacio alla fronte di Calum, poi abbraccio Luke e Michael, che per me ormai sono come altri due fratelli ed infine vado via, uscendo dall'ospedale.

La Sydney di oggi è calda, tanto. Le strade sono affollate da un continuo via via e la cosa non dovrebbe stupirmi considerando l'importanza della capitale. Bimbi in carrozzina, anziani intenti a leggere il giornale, avvocati in cravatta ed imprenditori calpestano l'asfalto, come sempre.
Ed io penso che ogni persona di questa Terra sia troppo indaffarata a pensare ai propri affari, non pensa alla vita, al respiro che esala ogni giorno e di quanto possa essere fortunata ad avere una famiglia, una casa con moglie figli e mariti, tutte cose normali, insomma.
L'avevo anch'io tutte queste cose, fino a quando non mi sono resa conto che non mi appartenessero sul serio, non erano mie. Ma comunque mi amavano e continuano a farlo, quelli che per me resteranno sempre i migliori genitori del mondo. E mi chiedo dove siano quelli veri, quelli miei e di Calum. Non li ho mai visti.
Ed ancora, i miei pensieri si disperdono nell'aria, annullandosi a contatto con quelli della gente.
E' così affollata la Sydney di oggi, intorno a me c'è tanta gente, eppure mi sento sola.
Senza Calum.
Senza Michael.
Senza Luke.
Senza Ashton, soprattutto senza Ashton.
Che forse non ho fatto i conti con l'amore, quello ossessivo, quello improvviso, quello che ti prende e ti riduce a brandelli perché sai che finirà male.
Quando torno a casa essa è vuota, un po' come me.
Mi stendo sul divano, prendendo quella bandana che avevo deciso di regalare ad Ashton.
L'ho lasciata lì, sul tavolo della cucina, nella speranza che Ashton la portasse con se, il giorno del concerto, ma non l'ha fatto.
Adesso è nuovamente tra le mie mani, e prego Dio che un giorno lui possa avvolgerla alla sua fronte ed avere un pezzetto di me in lui. Perché io, un pezzetto di lui, lo porto con me. I suoi occhi hanno perforato l'unica metà rimasta del mio cuore.
E sono sciocca, lo so.
Ma le persone che si prendono le cotte diventano sempre sciocche prima o poi.






Nda: Hola bimbi miei belli!
Come state? Spero bene!
Allora sono consapevole che nel capitolo non succeda
assolutamente niente di toccante o che sia degno di
colpi di scena, ma diciamo che l'ho voluto rendere
soft perché, in fondo, già basta Ashton in ospedale.
Poi la scena in cui Alice e lui parlano l'ho
trovata così carina ç___ç
Senza contare che Alice comincia a capire qualcosa, per
quanto la riguarda. Che si sia presa una cotta? ;)
Voi che ne pensate? Spero sia stato di vostro gradimento,
fatemelo sapere, come sempre il vostro parere è troppo
importante per me.
Un bacione ed alla prossima!
Oggi vi lascio con Alice!



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Capitolo 13
*** Tutti tornano. ***


 
13.


 
Lucy lampeggia sul display, alle tre del pomeriggio.
Ho dormito tutto il giorno, tutta la notte, e tra le mani stringo la bandana di Ashton, quella che ha deciso di rifiutare, quella comperata in una bancarella ambulante da un venditore, per pochi spiccioli, quella che sicuramente non è costosa come le sue, così belle e ricamate a dovere. Eppure la tengo con me, perché forse è più preziosa di tutte le altre, più preziosa dei soldi stessi.
Da Lucy: Alice ma che fine hai fatto? Non ti sento da tantissimo! Chiamami, oggi ho marinato la scuola sai? E' stata la prima volta, che figata! :-) voglio sentirti!” Che trasgressiva la piccola Lucy, che ormai si avvicina ai sedici anni.
Digito frettolosamente il suo numero, abbozzando un sorriso, cacciando poi un sonoro sbadiglio che, però, viene udito da mia sorella nel momento in cui prende il cellulare.
« Buongiorno dormigliona! » La sento gracchiare oltre la cornetta, sicuramente mi starà maledicendo per la bella vita che adesso conduco, e vorrei dirle che anche lei conduce una vita perfetta. Basta solo saper apprezzare le piccole cose, sono quelle a cambiare la concezione della vita. Lucy ha tante cose belle, che ancora non sa di avere.
Mi sistemo meglio sul divano mentre sfioro delicatamente la stoffa della bandana che stringo tra le mani.
« Ciao Lucy! »
E Lucy la sente la mia voce, ancora impastocchiata dal sonno. « A quanto pare non sei tipo da feste, eh Alice? Non mi dirai che stai passando tutto il tempo a dormire! » Sbuffa, oltre la cornetta.
« No, in realtà sono stata in ospedale perché un amico dei miei amici si è sentito poco bene. »
« Cosa? Davvero? E adesso come sta? » Chiede mia sorella, veterana dei pettegolezzi.
« Sta bene, credo che abbia solo bevuto un po' troppo o magari ha provato qualche sostanza particolare, era steso sul pavimento del bagno quando l'ho trovato, mi è preso un colpo! »
« Beh, l'importante è che ora sta bene, no? »
« Sì, credo di sì... »
« Alice? Cos'hai? Ti sento diversa, strana. » Ed io, che credevo di poter sfuggire al terzo grado di mia sorella, ormai lontana, mi rendo conto che non potrò nascondere una cosa così grossa. Perché forse i miei sentimenti crescono ogni giorno che passa, così come la voglia di gridare ad Ashton che a me, di lui, m'importa. M'importa davvero.
« Non sono strana! » Mento, ma Lucy insiste.
« Alice cosa nascondi? Lo sai che con me puoi parlare... Perché non ti confidi più con me, Alice? » Sento un velo d'amarezza tra le parole di mia sorella « Ci siamo sempre dette tutto. »
« Lucy, credo di essermi presa una cotta per questo ragazzo... si chiama Ashton eh, non lo so, sono già stata male una volta per Joseph, non voglio stare male di nuovo. Ho paura Lucy. »
« Alice non devi avere paura! »
« E cosa dovrei provare? Contentezza? Gioia? La paura è l'unico sentimento che riesco a provare da quando ho constatato quanto fa male soffrire, io non voglio più farlo Lucy. Non più. » Le lacrime cominciano a scendere, ed i singhiozzi interferiscono con la chiamata di Lucy.
« Ti prego, non piangere, siamo lontane e non posso nemmeno consolarti. Magari Ashton è quello giusto. » Ma Lucy non sa che tipo è Ashton, quanto è scontroso, riservato ed arrogante. Come può essere quello giusto quando non gli importa nulla di me? Come può, un ragazzo così, essere quello giusto per una sognatrice come me?
« Non è quello giusto Lucy, perdo la testa sempre per i soliti stronzi, non saranno mai quelli giusti! »
« Alice, anche gli stronzi hanno provato l'amore. Sono diventati stronzi perché qualcuno gli ha portato via qualcosa di caro... »
« Allora perché io non divento stronza? Perché io non posso cambiare facendo soffrire la gente? Perché sono l'unica che continua a rimanere fragile ogni qualvolta viene ferita? Perché io? »
« Un giorno troverai la forza per cambiare, Alice, e quando ciò accadrà sarai la donna più forte del mondo. »
« Non accadrà mai, lo sai. »
« L'unica cosa che so è che ti voglio bene, e non smetterò mai di farlo. Alice non tornare senza prima aver trovato la tua felicità. Adesso devo andare, a presto sorellona. »
Sento un vuoto, dentro me, maggiore di quello precedente. Ed ho paura, tanta. Paura che questo vuoto diventi una voragine in grado di risucchiarmi, di farmi cadere in un baratro oscuro e che nessuno possa sentire le mie urla.
Ho paura di precipitare e di non trovare nessuna mano tesa pronta ad aggrapparmi. Ho paura, ora più che mai.
E piango, lo faccio sempre, ogni singolo istante passato da sola, piango per me, per Calum, per Ashton, per Joseph, che mi manca da far schifo.
Mi mancano i giorni trascorsi insieme, la felicità nel rincorrere le cose futili ma che, per noi, avevano un gran valore. Mi mancano i suoi sorrisi, i suoi occhi grandi e scuri, mi manca respirare la sua stessa aria, stesi nel prato del parco di Stratford. Mi mancano i nostri sguardi fugaci, le nostre occhiate intense, il modo in cui facevamo l'amore senza sfiorarci, con solo lo sguardo. Mi mancano le sue carezze e le sue rassicurazioni che io, da sola, potevo vincere contro tutti, contro il mondo, contro le cose amare della vita.
Ho perso il conto, ormai, di quante cose mi mancano. Avidamente cerco di riprendermi ciò che mi appartiene, ma lui, Joseph, non riuscirò mai più a riprendermelo. Perché ha deciso di partire senza salutarmi. Ha deciso di troncare così, senza spiegazioni; senza addii, senza abbracci ridicoli dati alla stazione.
E come se non bastasse, adesso, ci si mette in mezzo un altro ragazzo, che forse soffrire solo per Joseph non era abbastanza.
E mi chiedo quante lacrime io abbia a disposizione, ancora. Mi chiedo se basteranno per entrambi. Per Joseph, per Ashton e un po' per me, che sono sempre così malinconica.
E se finissero le lacrime, riuscirei a trovare la felicità? Me lo sono sempre chiesta, ma ancora ne ho troppe da versare, ancora non sono terminate.
Non voglio più piangere, non voglio più star male.  Sono stanca, basta.

« Alice! Sono a casa. » I miei pensieri vengono interrotti da Calum, appena rientrato. E non avevo valutato la sua venuta.
Cerco di pulirmi grossolanamente le lacrime, nonostante le guance scottano ancora e gli occhi continuano ad essere rossi e gonfi.
Mi dirigo all'entrata, nascondendo la bandana sotto un cuscino, ed accenno un sorriso. Uno dei miei, uno falso.
« Cal!»
Lui inarca un sopracciglio, venendo verso di me e posando le sue grandi mani sulle mie spalle. « Alice, che succede? Non ti senti bene? »
« Eh? No, no, sto bene. » Mento, ancora una volta.
L'unica cosa che fa, dal canto suo, è stringermi al suo petto. Ed ecco che tornano, le lacrime. Di quelle silenziose, quelle che vengono soffocate contro una maglia e che cerchi di non far cadere per paura di sporcare il tessuto.
Singhiozzi che muoiono contro il petto di Calum, brividi di freddo, brividi di un amore sbagliato, brividi di paura. Solo brividi. Ma lui non chiede nulla, mi stringe e basta. Ed è così che vorrei rimanere, adesso e per sempre. Tra le sue braccia.
« Devo andare, Cal... » Abbandono quella stretta gentile che mi ha consolato senza usare parole. Asciugo le ultime lacrime e poi guardo la figura sfocata di mio fratello.
Con i pollici cerca di scacciare via le lacrime sulle mie guance, ma prontamente ne scendono altre che bagnano il mio viso, ed è un pianto interminabile il mio.
Il pianto di un cuore innamorato, un cuore a metà innamorato.
« Ti accompagno, non vai nessuna parte in questo stato! »
« No, resta qui. Sei appena rientrato. Non preoccuparti prendo la metro. »
Sono riuscita a convincere Calum, abbandonandolo a casa mentre adesso vago per le strade di Sydney, indirizzandomi alla fermata.
La fortuna di vivere a Sydney è avere a disposizione miliardi di metro che passano tra intervalli di quindici minuti massimo e, finalmente, dopo i miei quindici minuti d'attesa che si sono rivelati immensamente lunghi, salgo sulla vettura.
E' piena, ed io mi sento come una sardina in scatoletta.
Il tragitto in essa è fastidioso, considerando la puzza di sudore di cui le pareti sono impregnate, ma cerco di resistere, perché l'ospedale non è poi così lontano.

« Il signor Irwin non vuole ricevere visite oggi. » M'informa l'infermiera.
E' strana, per essere una infermiera. I suoi capelli biondi sono raccolti in una crocchia pressoché spettinata, le labbra di un rosso fiammeggiante, trucco pesante ed un aura da sgualdrinella. Magari mi sbaglio, ma non mi fido delle sue deduzioni, nonostante Ashton sia un tipo solitario e riservato.
« Ci metto poco, il tempo di dargli una cosa e vado via. » Questa, rassegnata alla mia testardaggine, annuisce sbuffando annotando nella cartellina qualcosa e poi svanisce, oltre il corridoio.
La stanza di Ashton è la seicentonove.
Quando apro la porta lui è lì, in quella stanza che ormai lo sta ospitando da due giorni, e penso che, finalmente, oggi potrà tornare a casa.
Sta ancora riposando, con i suoi occhi semichiusi e le labbra sottili schiuse, ed è così bello lui, che si nasconde dietro quella corazza che proprio non gli si addice granché.
Mi siedo sulla seggiola, la stessa che sta lì, ferma, vicino al suo letto. Non lo sveglierò, sta riposando e somiglia molto ad un angelo. Ho imparato a mie spese che nei sogni si può essere felici, sempre. Sono piccoli desideri che si realizzano nella nostra mente. Un piccolo angolo di Paradiso tutto nostro.
L'osservo e basta, e veglio su di lui, fino a quando non aprirà gli occhi.
« Alice, sei tu? » Probabilmente non stava dormendo.
« Non volevo svegliarti. » Dico, visibilmente imbarazzata.
« Non stavo dormendo. »
« L'infermiera mi ha detto che non volevi vedere nessuno, dunque rimango un po' e poi vado via, se per te non è un problema altrimenti vado anche adess – »
« Ma chi, Jenny? Stava cercando, invano, di provarci con me. Le ho detto schiettamente che non sono interessato ai suoi servizi e l'ho bidonata. Deve averti risposto così per quello.» Dice, mentre un sorriso sghembo contorna le sue labbra sottili.
Ashton non ha più le flebo che lo intrappolano ad una postura perenne, e finalmente adesso può sedersi comodamente nella branda.
« Oh, dev'esserci rimasta male, deduco.» Anche io, come Jenny, mi sarei sentita così. Eppure, per qualche arcano motivo, sono felice della risposta che il riccio mi ha dato.
Ed eccola di nuovo, la mia coscienza, pronta a parlarmi ed a ricordarmi, “Sei felice perché così puoi ancora averlo tutto per te, Alice, eh?” stupida, stupida coscienza.
« Non che m'importi più di tanto come si sente. Ho smesso di accollarmi i problemi della gente. »
« Ti ho portato una cosa. »
« Mh?»
Dalla tracolla dei Maiden estraggo nuovamente quello che doveva essere un regalo, qualche giorno fa. La poggio sulla branda di Ashton, la bandana, nella speranza che metta da parte l'orgoglio e che accetti il dono in segno di una futura amicizia. « No Alice, non posso accettarla. » Come immaginavo.
« Ma perché no? » Che proprio non riesco a capirlo, il suo orgoglio, io, che ho una dose smisurata di tracotanza tanto quanto la sua.
« Torna a casa, credo sia tardi adesso. » E' la solita frase che dice per liquidare la gente, ho imparato a conoscerlo, più o meno, Ashton che non vuole mai affrontare le cose.
Cerca sempre di scappare, d'imporre muri e barriere indistruttibili, pone spine e cespugli di rovi intorno al suo giardino ed io, nonostante continui a voler passare, finisco per ferirmi, pungermi e sanguinare.
I miei occhi lo guardano, ancora una volta, nonostante in questo periodo non facciano altro che questo, e lo sogno la notte, lo immagino di giorno, comincia ad essere un ossessione bella e buona, Ashton.
Stringo i pugni mentre sento le lacrime solcare le mie guance, per l'ennesima volta. Ed ora capisco che, invece di essere forte e trovare il coraggio e la determinazione, in questo soggiorni in Australia, mi sto rivelando una vera codarda che sa solo piangere, nient'altro che questo.
« Non capisco cosa tu abbia in testa Ashton! Mi faccio mezz'ora di metro per venire a trovarti, trovo una stupida puttanella alla porta dalle voglie represse ed insoddisfatte, entro e trovo un marmo al posto di una persona. Le tue risposte fanno schifo Ashton, fanno schifo e basta, sei uno stronzo che non sa apprezzare le cose. Scusa se non sarà una bandana costosissima comperata in qualche negozio all'ultima moda, scusa se posso permettermi una bancarella! Ma tu continua a fare lo schizzinoso, io ci provo ad esserti amica, e tu mi tratti con aria superiore.
Sei uno stronzo Ashton, vaffanculo! »
E forse è uno sfogo, il mio. Uno di quelli che dovevo fare da tempo, perché a volte le lacrime non riescono a sfogare del tutto. Tolgono un sasso dal petto, certo, ma non è nulla in confronto al macigno che pressa sul nostro sterno. Ed è fastidioso il dolore, più di ogni altra cosa.
Urlare tutto questo, urlare contro Ashton mi ha liberato dal macigno che mi tenevo addosso da tanto tempo.
Getto la stupida bandana nel pattume vicino la porta, mentre mi avvio per uscire.
Non tornerò a trovarlo, non verrò ad aiutarlo, pomeriggio, per tornare a casa.
« Alice!»
Lui afferra il mio polso, abbandonando la sua sedentarietà su di una branda scomoda, mi volta ed incatena il suo sguardo al mio, mentre lo fisso con odio e disprezzo.
« Cosa vuoi ancora? » Grido. Spero solo non venga nessuno a prendermi per mandarmi in reparto psichiatria.
« Non ha importanza dove hai comprato la bandana. » Slaccia la presa dal mio polso, andando a frugare nel pattume che contiene solo carte e scartoffie. « Non ricevevo un regalo da tempo. »
« E tu tratti così le persone che ti fanno regali? » La sento la disperazione che sale, ad ogni parola che pronuncio. Il respiro che mi muore in gola.
« Grazie Alice. »
E' la prima volta che ricevo un grazie da parte sua; da parte di Ashton il burbero, lo schivo, il principe di ghiaccio.
Ma la cosa che mi fa rimanere a bocca aperta non è tanto il grazie sussurrato, quanto il bacio che mi ha posato sulla guancia.
Uno di quelli gentili, lievi, dati con paura e timidezza.
Ed è una continua scoperta, Ashton, con la poca disinvoltura nel baciare una persona ma con la crudeltà di un uomo vissuto.
Ecco perché ne sono affascinata, ecco perché è entrato nella mia vita senza nemmeno chiedermi il permesso, senza nemmeno avvisarmi.
E quando vado via, il suo sorriso mi rimane in mente, il suo bacio pulsa nella mia guancia come uno marchio indelebile.
Alice che ti prende?” sussurra la mia voce interiore. Ed io lo so. Questa volta lo so cosa mi prende. Conosco la risposta, ed a malincuore mi rendo conto che sì, ho perso la testa per quello stronzetto.

Alice, io Michael e Luke siamo andati ad una partita di baseball!
Scusami se non ti abbiamo avvisato prima, ma è successo tutto molto improvvisamente. Il fratello di Luke ci ha dato tre biglietti ed allora... comunque per le otto dovremmo tornare, magari insieme andiamo a prendere Ashton in ospedale, sempre se non torna lui con i suoi piedi.

Beh, a più tardi.
Se hai fame nello sportello in alto del mobile, in cucina, dovrebbero esserci dei biscotti. Sempre se Michael non li ha finiti.
Cerca di sopravvivere!
Un bacio.
Cal xx


A me, il baseball non è mai piaciuto. Lo trovo inutile come sport, o magari sono io a non saperlo valorizzare del tutto. In realtà odio tutti gli sport che ruotano intorno ad una palla, non so perché ma la cosa non mi entusiasma.
Comunque, Calum ed i ragazzi hanno fatto bene a svagarsi, ultimamente non fanno altro che consolarmi e sbattersi per la band, in giro per i locali. Perché loro vogliono diventare famosi, un giorno.
Sarebbe cool, ha detto Michael, una volta. E mi auguro che i loro sogni si realizzino, prima o poi, che prendano forma e non restino sospesi, a vagare nell'aria che respira la gente.
Perché tutti hanno diritto ad un'occasione, tutti hanno diritto di credere in qualcosa e sperarci fino a quando il desiderio stesso non prende forma.
E l'ho detto anche a Lucy, che lei continua a voler salvare la mente delle persone, quelle che non riescono a salvarsi da sole, quelle che non ce la fanno proprio senza l'aiuto di qualcuno. E lo so, so che prima o poi il sogno di Lucy si realizzerà. La vedrò laurearsi in psicoqualcosa, e vedrò la sua laurea rilasciata con il massimo dei voti. Vedrò il suo sorriso vero, vittorioso e trionfante. Vedrò il suo lavoro finalmente portato a termine, i suoi sacrifici saranno valsi a qualcosa e finalmente si renderà conto quanto, realmente, è importante.
Perché ancora Lucy non lo sa, quanto vale la sua vita. Ma un giorno lo capirà, un giorno la gente la ringrazierà per l'aiuto che continua a dare. E quel giorno, non è poi così tanto lontano.

Accendo la TV, nella speranza di non fare zapping come, solitamente, mio fratello fa.
La TV è un'altra cosa abbastanza inutile, perché non trasmettono mai cose interessanti, ed alla fine ti ritrovi a guardare pile di DVD già visti e rivisti chissà quante volte.
Proprio mentre mi decido a vedere nuovamente Percy Jackson, bussano alla porta.
Eppure credevo che le partite durassero di più, tecnicamente.
« Arrivo, arrivo! » Ma tu guarda se devono separare me ed il mio amore incondizionato per Logan Lerman.
Quando apro alla porta, una miriade di sensazioni invadono la mia mente.
Francamente non so descriverle; non saprei dire se sono belle o brutte. O magari entrambe, o forse sono solo sorpresa.
E non può essere, non può essere vero.
Perché non può farlo, non può accadere sul serio.
Ed è come quando si desidera tanto una cosa, si pensa così tanto a quella cosa che nel momento in cui la ottieni dimentichi quanto tempo l'hai attesa.
Non credo sia giusto, perché io mi stavo abituando. A questa vita, alle mie mancanze.
E non può apparire così, non di nuovo, non dopo tanto tempo, perché me ne stavo facendo una ragione, ed ora, invece, ricompare.
« Ciao Alice. » La sua voce non è cambiata, è sempre la stessa. Riesco a sentirla dentro la mia mente, invade e si fa spazio nei miei organi.
Lo guardo negli occhi, quelle due pozze scure di sempre, quei capelli chiari sbarazzini e disordinati, il vestiario sempre fresco e pulito.
E non è giusto, perché io, senza lui, stavo provando a vivere. Ma adesso è di fronte a me, un incubo o un sogno che si avvera.
Joseph.






Nda: Bimbi miei adorati! ç__ç
Hola tesorini, come state? Spero bene!
E spero anche che il capitolo vi sia piaciuto.
Ebbene si, dopo ben tredici capitoli entra in scena Joseph.
Il vostro peggiore incubo, cosa pensate che succeda da ora in poi?
Vi è piaciuto questo colpo di scena? Fatemelo sapere perché ci tengo
tantissimo, senza contare che la storia non sarebbe andata avanti senza di voi.
Mannaggia, Morgana oggi è di fretta ç__ç
Un bacione grande!
Oggi vi lascio con Joseph!

 

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Capitolo 14
*** Final Masquerade. ***


 
14.
 
 
Entrambi continuamo ad aspettare,
per qualcosa che non troveremo.
Abbiamo detto che sarebbe stato
per sempre,ma poi è scivolato via.





 
E mi sento paralizzata adesso, non riesco più a vivere.
Io, che ho sempre amato la vita, nonostante le cose accadute, nonostante la mia adolescenza vissuta nella menzogna e falsità, nonostante i finti sorrisi, gli sproloqui di Lucy che proprio non riusciva a studiare senza sbraitare contro i libri. Nonostante mia madre ed il suo bene apparente, mio padre sempre assente. Nonostante tante cose, che mi hanno reso strana in questi anni.
Ed ho sempre amato la vita, io, mi bastava respirare per avere la consapevolezza che vivere, svegliarsi al mattino, era una benedizione.
A me questo, bastava.
Poi tutto cambia, a causa di due occhi scuri, capelli biondicci e spettinati ed un sorriso sghembo.
Tutto cambia, e credo che tutto continuerà a cambiare fino a quando Joseph mi ruoterà intorno. Che sia nei miei pensieri, davanti ai miei occhi, in una canzone o in un testo scritto; lui, ch'è sempre stato l'artefice del mio male così come della mia cura, adesso è davanti a me, pronto a stravolgermi nuovamente l'equilibrio.
Si guarda intorno, spaesato, con quei grandi occhi neri.
« Che ci fai qui? » E lui si volta, inarcando un sopracciglio ed incrociando le braccia al petto. Che forse non si aspettava questa risposta, Joseph. Sono sempre stata molto dolce con lui.
« Ehi, Alice, che modi sono? Così tratti una vecchia conoscenza? » Borbotta, fingendosi irritato.
« Come hai fatto a trovarmi?» Perché, sul serio, non riesco a capacitarmene.
« Non puoi rispondere ad una domanda con un'altra domanda. Comunque sono tornato a Stratford, per una piccola vacanza. In Russia ho un lavoro che mi permette un prosperoso stipendio, ed allora ho fatto un viaggetto fino a Stratford per vederti. Ad avvisarmi della tua partenza è stata tua madre. Mi ha detto che ti avrei trovato a Sydney, da un certo Calum Hood. » Mia madre, sempre a combinare casini.
Con quel fare strafottente di sempre, Joseph si accomoda nel divano, stravaccandosi con grazia ed eleganza che potrebbe invidiare solo un rinoceronte.
« Dovresti tornare a Stratford, allora. »
E forse non sono ancora riuscita a perdonarlo Joseph. Ch'è partito senza salutarmi, andandosene via in un remoto paesino della Russia.
Ora la sua vita è cambiata, nonostante l'aspetto che porta tradisce il suo salario prosperoso. Rimane comunque un ragazzo poco più dei diciotto anni dall'aspetto, per me, nonostante abbia vent'anni suonati, adesso.
« Pensavo saresti stata felice nel rivedermi, Alice. » Ma come posso dirglielo? Che ho sofferto tanto, in questi anni?
Che non c'è stato giorno in cui la mia povera mente non l'abbia pensato?
E solo Lucy sa quanto sono stata male, e quante lacrime ho versato in quel cuscino completamente zuppo. Non riusciva mai ad asciugarsi del tutto.
Ed ho passato la mia adolescenza con lui, ma all'inizio di una nuova vita nel mondo dei grandi ha preferito darsela a gambe. Dare una svolta, semplicemente andarsene senza nemmeno salutarmi, dimenticando tutti gli attimi trascorsi insieme, i sorrisi, i pianti, e le angosce per delle stupide ore scolastiche.
Joseph, ch'era sempre pieno di vita, ha deciso di portarsi via la mia, senza dirmelo.
« Non riuscirò mai a – »
« Sei diventata bellissima, Alice. » Interrompe il mio discorso, che forse volevo davvero dirglielo il male che ho vissuto. Poggia le sue mani ossute sul mio volto, carezzando entrambe le guance, mentre io la sento nuovamente, quella differenza di temperatura.
Joseph è sempre stato caldo, anche nel mese invernale di Dicembre, ed io, invece, ho sempre avuto freddo anche nel caldo periodo d'Agosto.
Siamo sempre stati due poli opposti, ma come quest'ultimi continuavamo ad avvicinarci.
E non ci siamo mai detti nulla, mai, dei nostri occhi che si ostinavano ad incontrarsi, e perdersi, dei nostri sorrisi insensati, immotivati.
Di come abbiamo frenato il batticuore senza, però, alcun risultato.
Non siamo mai stati una coppia, io e lui, per paura di perdere l'amicizia, 'ché continuava a ripetermi quanto fossi indispensabile per lui. La sorella migliore che potesse avere, diceva sempre.
Ed è stato un grande amore anche quando non eravamo insieme, nonostante non sia mai nato.
Ma giuro, potevamo vincere il mondo.
E ci guardavamo con la consapevolezza che nessuno poteva sostituirci.
Poi tutto è cambiato, con lui ch'è partito andandosene in Russa e con me che sono rimasta nella solitaria Stratford. Nonostante la popolazione massiccia, per me era come vivere su di un'isola deserta. Con me e la mia malinconia.
Ed ora, dirmi che sono diventata bella, non cambierà le cose. Nonostante una buona fetta di dolore sembra già essere sparita.
I miei occhi brillano, mentre finalmente s'incastrano con i suoi, di nuovo, dopo tutto questo tempo.
« Ti ho pensato molto, sai? » Ed il mio cuore perde un battito, perché basta una semplice frase, forse anche inventata, per farmi diventare un'emerita cogliona.
Alice, non dovresti essere cosi sensibile, rischierai di farti troppo male, e lo sai” mi avvisa la coscienza, ma io la metto a tacere quando, finalmente, cado tra le sue braccia.
Lo stringo forte, Joseph, perché ho paura di aprire gli occhi e non avercelo più vicino. E' già successo, potrebbe accadere ancora ed ancora.
E mi rendo conto che magari sto stringendo un sogno, uno di quelli che ho sempre rincorso ma che si disperdeva con l'altra aria del cielo.
« Allora perché non mi hai chiamato?»
Sento il suo respiro infrangersi sulla mia chioma variopinta, mentre il silenzio incombe su di noi.
E non ce ne sono mai stati, silenzi, tra me e Joseph, ma solo grasse risate per cose inutili, chiacchiere insignificanti nelle ore di scuola, enormi discorsi sul futuro trascorso insieme, magari trovando un lavoro che poteva permetterci di rimanere uniti, anche dopo gli studi, e tanti desideri che, a distanza di anni, sono morti.
Non ci sono mai stati silenzi, tra me e Joseph, ed ora, invece, ne incombe uno. Abbattendo tutto quello che abbiamo vissuto sulla nostra pelle. Ed è strano, perché giuro che questo, questo ragazzo, non sembra più il mio Joseph.
Riesce solo a dire, « Non potevo... » e sento le sue braccia stringermi ulteriormente. Forse sta pensando la stessa cosa anche lui. Ma a differenza sua, io non sono mai fuggita. Non l'avrei mai lasciato, perché non ci riuscivo.
E l'ho odiato tanto, Joseph, perché lo amavo e non riuscivo ad averlo. Ora, invece, non so più nemmeno io cosa mi tartassa la mente, nonostante le infinità di quesiti che popolano il mio cervello.
« Credimi Alice, te lo giuro. Non ho mai smesso di pensarti. Nemmeno un'istante. »
« Nemmeno io, Jo'

Il tempo scorre velocemente.
Joseph mi ha raccontato la vita trascorsa nella grande Mosca, capitale della Russia.
Dice che lì fa molto freddo, e la gente cammina per strada con ampi maglioni di flanella anche nel mese caldo d'Agosto.
Lavora come socio di un'azienda, Joseph, adesso. Azienda vinicola, si occupa di decantare i vini più pregiati, deduco, dunque, ch'è salito di categoria.
Hai del potenziale Joseph, un giorno farai grandi cose, diceva sempre la nostra professoressa di chimica, e mi chiedo se le grandi cose che aveva in serbo il futuro per lui non fossero il decantare continuo dei vini.
Ma i nostri occhi sono rimasti incollati tra di loro, come se ci fosse una super colla a tenerli vincolati.
E lui ha sorriso, ed io sono sprofondata nell'abisso più oscuro, aggrappandomi ai ricordi come fossero rami sporgenti.
Il parlottare della TV è un suono lontano, per me, non faccio altro che ascoltare la sua voce. Mi è mancata così tanto, ed ora che posso finalmente udirla di nuovo non darò ascolto a delle stupide persone intrappolate in una scatola nera.
« Sei bellissima Alice. » Mi ripete, osservando il mio sorriso causato dai racconti inerenti alle sue fantabolanti peripezie accadute nella sua nuova casa.
Ed allora io mi blocco, perché Joseph adesso è tanto vicino.
Le sue mani grandi ed ossute sfiorano le mie guance, di nuovo, e piccoli brividi invadono la mia schiena, salendo lungo tutta la lunghezza della colonna vertebrale.
Avverto il pavimento sgretolarsi, sotto di me, e non so se sia frutto della mia immaginazione o realtà. Io, che non ho mai visto i tratti somatici di Joseph così da vicino, adesso me lo ritrovo ad un millimetro da me. Noto alcune cicatrici sullo zigomo sinistro e sul sopracciglio che mai, prima d'ora, ero riuscita a vedere.
Riesco a sentire il suo respiro che, solerte, s'infrange sulla mia bocca rosata, le gote imporporate di un rosso tenue e la consapevolezza che forse c'è qualcosa di sbagliato, in quello che sta accadendo.
Dalle sue palpebre chiuse riesco a notare piccole venature violacee e verdi che contornano tutta la parte mobile dell'occhio, non le avevo mai viste. Lo rendono bello, più di quanto già non lo sia.
Perché Joseph è un insieme di cose belle, ma non gliel'ho mai detto.
I nostri nasi si sfiorano, ed il mio respiro s'accorcia.
Poi qualcosa ci blocca, o meglio... qualcuno.
« Alice, siamo qui!» Michael spalanca la porta simulando un balletto pessimo.
Preferisco di gran lunga vederlo suonare che ballare, diciamo che non ha la pasta per fare il ballerino, minimamente.
E' un tipo abbastanza strano Michael, che fa solo sorrisi sinceri e che dice sempre la verità. Aspiro a diventare come lui, perché qualsiasi cosa gli accada prende tutto con leggerezza e naturalità. E' un tipo pieno di vita, lui.
Calum e Luke si schiaffeggiano la fronte, ed in coro gli danno dell'idiota, manco fossero sincronizzati.
E poi Michael cessa di fare il coglione quando, terminato il suo clamoroso balletto, scorge la figura di Joseph seduta sul divano, mentre cerca di reprimere l'istinto di ridere.
Calum avanza, inarcando un sopracciglio. « Hai portato amici, Alice? »
« Joseph, onorato. » Joseph s'alza dal comfort, tende una mano verso Calum ed accenna un sorriso cordiale.
E' sempre stato così formale, lui.
« Calum. » Mio fratello, però, l'avverte quella lama tagliente che spezza l'aria tranquilla della nostra comune quotidianità.
Tra i loro occhi riesco a notare alcune saette che guizzano, quasi come se stessero lottando. Ed io lo so che Calum è geloso da far schifo, ma altrettanto so che Joseph non si lascia scalfire facilmente.
« Somigli molto ad Al – » Cerca di dire, quando Calum ha la brillante idea di bloccarlo.
« Sono suo fratello. » Sentenzia, crudo.
« Beh, onorato il doppio allora. Sono passato a trovare Alice, perché non ci vedevamo da un po'. Adesso è meglio che vada, si è fatto tardi. Alice mi accompagni alla porta? »
Mio fratello annuisce, dandomi una veloce occhiata, ed io faccio ciò che ha detto Joseph, indirizzandolo alla porta.
« Quando possiamo rivederci? » Chiede, accennando un lieve sorriso che contorna le sue labbra sottili.
« Io, beh – ecco non... »
« Alice, sei sempre stata così insicura. » Joseph sorride di nuovo, con quei denti bianchi che splendono di luce propria.
Uno squarcio di luce cicatrizza parte del mio cuore, o meglio, la metà che mi rimane. Come un laser.
Ma so che non basteranno i suoi complimenti a farmi stare nuovamente bene. Perché a volte il dolore è più forte, tende a tagliare e spezzare cose importanti che difficilmente si rimarginano.
Ed allora penso a mia madre. Quella non vera, quella che ha represso la malsana voglia di ancorarmi a Stratford, vivendo una vita con lei, lasciandomi andare via per ritrovare la mia vita. Anche il suo cuore, allora, si è squarciato in due?
E penso alle sue ginocchia sbucciate negli anni '80 che sicuramente facevano meno male dei cuori infranti del 2000.
Penso al mio, di cuore, ed alle sue ginocchia, e nonostante sia nata in un'epoca piena di cose belle e confortevoli, pagherei fior di quattrini per essere stata concepita nella sua epoca. Dove mancava tutto, e la vita era difficile, ma almeno non si soffriva per amore. Non così.
Scaccio via i miei pensieri quando Joseph immortala uno schiocco sulla mia guancia, sparendo oltre la porta, catapultandosi nella rumorosa Sydney serale.
Quando torno in stanza, Michael sta guardando la replica di Teen Wolf, dove un Dylan O'Brien Nogitsune sembra dare filo da torcere ai suoi amici.
Ed io credo ci sia un Nogitsune anche in Joseph, che continua ad incombere su di me, rendendo la mia vita letteralmente frustrante. Anche senza volerlo.
« Non mi hai mai parlato di questo tuo amico. » Calum appare magicamente dalla porta, tenendo alcune cose – quali cuffie, cellulare e tracolla – tra le mani.
«Non credevo ce ne fosse bisogno visto che – »
« Alice, sei mia sorella, devo sapere tutto di te. Non farmi apparire come un perfetto idiota che non sa niente. Per piacere. » Esprime semplicemente, ed io mi faccio piccola piccola, mentre vorrei essere inghiottita dal divano.
« Mi dispiace, sul serio Cal. Posso sempre raccontartelo adesso, chi è!» Dico, cercando di rimediare allo sbaglio fatto.
« Lo farai, certo, ma quando saremo in macchina. Dobbiamo andare a prendere Ash, ricordi? O il tuo bell'amichetto si è portato via quel briciolo di sanità mentale che ti ritrovi?» Le sue parole taglienti mi riportano alla realtà, quasi me l'ero dimenticato, Ashton!
Maledetto Joseph.
« Andiamo! » dice infine, afferrandomi da un polso.
Michael ride scuotendo il capo, mentre Luke ci guarda sbigottiti. E' sempre così perso nelle nuvole, lui, che non interferisce mai tra i litigi della gente.

Vedo muovere la mascella di Calum, sono certa che sta digrignando i denti.
I suoi occhi color cioccolato sono fermi sulla strada che abbiamo davanti, ed un silenzio tombale scende tra di noi.
Stringe tra le dita il manubrio, mentre le sue nocche sbiancano ogni minuti che passa.
Forse è a causa del mio raccontare, magari è colpa di Joseph e del male che mi ha fatto, 'ché adesso anche Calum conosce la verità.
E' rimasto in silenzio, senza mai interrompere la mia voce e finalmente mi sono sfogata. Ho lasciato scorrere tutta la mia adolescenza riassunta in dieci o quindici minuti, di come ho avuto la mia prima cotta che, ancora, a vent'anni non riesco a dimenticare. E di come questo amore sia finito quando Joseph è partito senza salutarmi.
Ho raccontato di Lucy, mia sorella carnale, e di quanto mi sia stata d'aiuto. Quante lacrime ha spazzato via dal mio viso e quante volte le sue esili braccia hanno stretto il mio corpo nella speranza di consolarmi.
Di tutte quei giorni che mia madre ha sprecato nell'illusione di farmi sentire diversa, bene, volendo scacciare quel macigno che il mio migliore amico aveva posato sul mio petto.
Ma è sempre stato molto vano, il tentativo di poterlo dimenticare, sia da parte di Lucy che di mia madre.
Ho sempre sofferto, io, che proprio non riesco a non dimenticare.
E Calum, finalmente, conosce tutta la verità.
«Cal?»
«E con quale cazzo di faccia tosta questo tizio si ripresenta? Soprattutto in casa mia, merda! » Mi rimbrotta, quasi come se fosse tutta colpa mia, il ritorno inaspettato di Joseph.
«Cal, non dire così.»
« Non dovrei dire così? Dopo che ti ha fatto soffrire come una cazzo di cagna? Alice tu sei fuori, porca miseria! »
« Smettila, Calum! » E lo so che tra un po' le lacrime abbandoneranno nuovamente i miei occhi, che sia per l'imprecare continuo di Calum o per il vuoto lasciato da Joseph, o per Ashton che mi manca, questo però non riesco a saperlo.
Stringo i pugni, conficcandomi le unghie nei palmi eppure non sento alcun dolore. Forse sono abituata a tutto questo.
Poi Calum ferma l'auto, posteggiando nel parcheggio dell'ospedale.
« Guardami in faccia quando ti parlo, Alice. » Furibondo, mi volta di scatto il viso, posizionando due dita sotto il mio mento.
Sono costretta a sollevare il capo; i suoi occhi sono colmi d'ira, mentre i miei lasciano sgorgare lacrime amare.
Ed un po' ho paura, per la prima volta, di Calum e della sua rabbia. Avercelo così vicino, con il suo respiro che s'infrange sulle mie labbra, non mi era mai capitato. « Sei felice di come ti ha trattato?» Sentenzia infine.
« No, ma io non – »
« Nessuno amerebbe essere trattato così, Alice tu sei umana non sei mica una bambola. Smettila di farti trattare come una marionetta, smettila!
Alice reagisci! »
« Ti giuro, io non pensavo che sarebbe venuto fin qui per vedermi! Credevo si fosse scordato di me. »
« Eppure non lo ha fatto, a quanto pare. Vorrei che tu non lo vedessi più Alice, davvero.»
E mi ricordo di mia madre, adesso e delle sue strane imposizioni. Calum sta parlando come lei, ora. Ed io non voglio più prendere ordini, « Non puoi farmi questo Calum, non puoi! »
« Va bene, Alice, ma sia chiaro. Non deve mettere piede in casa mia o lo riduco a brandelli, intesi? » Annuisco cacciando via le lacrime con entrambi i palmi, « Andiamo adesso. »

Quando arriviamo alla stanza di Ashton, seguiti dalla gentilissima Jenny, lui è già pronto.
Per la prima volta lo vedo sorridere timidamente, mentre Calum si fionda tra le sue braccia stringendolo, dandogli lievi pacche sulle spalle, « Ti portiamo a casa, amico!» ripete mio fratello, ed Ashton annuisce vittorioso.
Forse avrà imparato la lezione, e magari non farà più bravate simili che lo vincolano ad una branda d'ospedale, nonostante non ci abbia detto granché di quella sera e di cosa aveva ingerito. Non credo lo farà mai, vista la sua riservatezza.
E poi mi nota, posando i suoi grandi occhi verdi sulla mia figura trasandata e brutta. E certi sguardi mi piacerebbe non incrociarli, per il semplice fatto che ti uccidono lentamente, scavano in profondità.
« Ciao Alice. » La sua voce è sempre ferma, autoritaria, ed in breve tempo abbandona quel leggerissimo sorriso che aveva stirato per pochi istanti le sue labbra.
« C – Ciao, Ash. » Alice, smettila di balbettare, mi grida quella stramaledetta voce interiore.
« Bene, splendori, vogliamo rimanere qui o preferiamo avviarci? » Calum riesce a salvarmi ancora una volta, da quella situazione strana.
In un attimo riesco a dimenticare Joseph, al pomeriggio trascorso insieme e mi rendo conto che, se avessi conosciuto Ashton prima, probabilmente non avrei sofferto in questo modo. Che forse potevo salvarmi, nonostante tutto, che forse lui poteva salvarmi.
Calum aiuta Ashton con il borsone, sorpassandoci, mentre io ed il riccio camminiamo sulla stessa traiettoria.
I nostri sguardi s'incrociano un paio di volte, ma le nostre bocche rimangono serrate.
Lui non accenna nulla riguardo alle mie guance paonazze e gli occhi rossi e gonfi, perché so che ad Ash non importa granché di me.
Semplicemente non gli importa di nessuno, credo, l'ho imparato a mie spese.
Anche il tragitto in macchine è silenzioso. Voglio solo tornare a casa, al più presto.

« Ah! Che bello vederti Ash!» Luke non è mai stato il tipico stronzo dal cuore di ghiaccio.
Quando sono arrivata qui, da Stratford, ha saputo accogliermi.
E non mi ha mai fatto pesare quella dannata ordinazione delle birre arrivate in ritardo.
Da qualche parte ho letto che gli amici sono quelli che non tagliano la corda quando sei appeso a un filo, e prima questa frase la collegavo a Joseph. Perché lui c'era sempre stato, ora invece è tutto diverso.
E forse l'unico che posso definire amico, qui, e Luke. Con il suo fare da bambino, ha l'animo dal semplice perdono ed un sorriso contagioso.
E' buono Luke, come il pane caldo appena sfornato al mattino.
« Anche per me, Luke. » La risposta fredda di Ashton non lo intimorisce, però, mentre se ne sta tra le sue braccia a perdersi in un abbraccio poco ricambiato.
Infine gli schiocca un bacio, mentre il riccio accenna una smorfia.
« Alice, che ne dici se ci mostri le tue doti culinarie? » Michael interrompe i miei pensieri.
Calum annuisce a sua volta mentre il piccolo Luke accenna un sorriso slacciando le braccia intorno al collo di Ashton.
Mi ritrovo sei occhi puntati addosso, quasi riesco a sentirlo il peso sulle spalle.
Io non sono mai stata brava a cucinare, considerando la smania di mia madre. Ed ora che farò?
« Io, beh – ecco non... » Ma vengo bloccata, 'ché in questa casa si riesce ben poco a parlare, a dire una frase completa.
« Michael ha ragione, Alice! Noi apparecchiamo la tavola! » Mi canzona velocemente, Luke.
Due attimi dopo sono proiettata in cucina, mentre i ragazzi armeggiano con l'argenteria. Che vita qui a Sydney!

« Perché stavi piangendo, prima? » Allora mi ha notata.
Ashton interrompe la mia dote culinaria, facendomi sussultare.
Si avvicina ai fornelli, tagliuzzando alcune cipolle che dovrebbero servirmi per un ipotetico stufato.
« Non so di cosa tu stia parlando. » Perché forse anch'io devo mantenere una certa aura, 'ché a lui non gli importa di me. A quale scopo quella stupida frase, se la risposta non susciterà in lui alcun interesse?
Apprezzo lo sforzo nel parlarmi, certo, ma questa volta lascio prevalere la mia coscienza.
« Se non vuoi parlarne è un altro discorso, ti lascio cucinare. »
Alice, perché sei così stupida? Perché non apprezzi il suo sforzo? Quando la smetterai di fare sempre le cose sbagliate? Lo sappiamo entrambi che non vedevi l'ora di parlargli, ed ora te lo lasci scappare via così?”
A che gioco sta giocando la mia voce interiore?
Scossa dall'impulso riesco ad afferrargli un polso, bloccandolo.
« Aspetta! » Ma quasi non sono sicura di aver fatto la cosa giusta, quando incrocio il suo sguardo.
« Mh?»
« Non pensavo tu mi avessi notata, onestamente. » Ammetto, tanto è inutile. Non riuscirò mai a mantenere la sua stessa aura.
« Anche se non faccio il ficcanaso non significa che non ti noti. » Sospira, scuotendo il capo, dandomi una risposta che, per la prima volta, mi fa gelare il sangue.
Però in senso positivo, questa volta.
E forse mi sbagliavo. A pensare che Ashton non mi abbia mai notata, che non abbia mai notato i miei gesti, le mie attenzioni, la mia voglia di combattere per sbloccarlo, per essere amici, quella costanza che ho sempre avuto.
E forse lo sa, che ci ho provato con tutta me stessa, ma sono sempre stato un totale fallimento. Io non riesco a cambiare le persone.
Non sono mai stata il motivo che ha spinto Joseph a rimanere, e non sarò mai il motivo che spingerà Ashton a sbloccarsi.
Sento pizzicarmi gli occhi, di nuovo.
Alice sei così stupida.”
« Mi dispiace... » Confesso, senza alcun timore della risposta che l'altro potrebbe darmi.
« Per cosa?»
« Perché ti ho urlato contro, in ospedale. »
Ashton ride, e poi mi porge un fazzoletto, « Scema. »
Quando finalmente mi decido a guardarlo, i suoi occhi sono sempre stati lì, forse, a perdersi sulla mia figura maldestra e goffa.
Sento il suo sguardo che scorre dentro e fuori il mio corpo, esplorandomi ed indagando con semplicità, come se fossi un libro aperto.
Le sue mani ampie si poggiano sui miei fianchi, permettendogli di avvicinarmi ulteriormente.
Non siamo mai stati così vicini, io ed Ashton.
Lui ha sempre desiderato starmi lontano, ed io ero l'unica stupida che gli andava dietro vivendo di speranze ed utopie.
E credo di aver lasciato il mio cuore, quell'ultima metà, nei suoi sorrisi. Quelli che poche volte fa, quelli che mi piacciono da impazzire e disinfettano le mie ferite.
Ne ho tante, troppe, e i suoi sorrisi sono pochi.
Riesco a sentire il suo profumo mascolino, di quelli forti che inebriano il respiro ed infettano l'aria, ma è piacevole e so che nemmeno a distanza di giorni riuscirò a dimenticarlo. Perché il mio male è il non riuscire a dimenticare.
I nostri respiri s'intrecciano come corde spesse di un vascello, e poi lui chiude gli occhi, mentre io copio i suoi gesti.
E' un attimo. Un attimo che mi cambia la vita, ne sono certa.
Oh, Shakespeare che misero è stato il tuo amore, il tuo batticuore, in confronto a quello che sto provando.
Le labbra sottili di Ashton catturano le mie, le sue mani affondano nei miei capelli, intrecciando tra le dita nodose alcune ciocche.
Ed io, che sono miseramente bassa, mi ritrovo ad essere in punta di piedi, con le gambe tremanti, con il cuore tremante.
Trema tutto.
Trema la terra sotto di me.
Trema il respiro che muore in gola.
Trema la vita.
Tremiamo noi, avvolti da un abbraccio bisognoso. Come due malati cerchiamo di aggrapparci alla vita, stringendoci forte, invocando pietà, ci nutriamo di respiri che sembrano non bastare.
E chiediamo aiuto, per la prima volta desideriamo salvarci con l'aiuto di qualcun altro.
Perché noi non siamo riusciti a salvarci; e vorrei dire a Lucy che adesso so la risposta ai suoi quesiti.
Conosco chi può riuscire a salvarci davvero.
E so che Lucy capirà, quando in lacrime le racconterò del mio primo bacio dato a vent'anni.
Ansanti, siamo costretti ad azzerare il bacio.
Sento la fronte di Ashton posata sulla mia, i nostri respiri affannati che chiedono pietà; gli occhi socchiusi di due amanti complici, e la nostra vita che prende nuovamente a ruotare nel verso giusto.
« Ash? » Sussurrò, per paura di rovinare il momento.
Lui fa altrettanto, senza mai aprire gli occhi. « Mh?»
« Bentornato a casa. »





Nda: Hola bimbi miei!
A Morgana siete mancati tantissimo.
Come state? Spero bene.
Ed inoltre mi auguro che questo capitolo vi sia
piaciuto. EEEHHHH il primo bacio di Alice ed Ashton ç__ç
Cosa ne pensate? Ve lo aspettavate? E cosa ne pensate di
Joseph? E della sua apparizione improvvisa? Voi cosa avreste
fatto al posto di Alice? Come avreste reagito?
C'è che a Calum, però, non piace per niente Joseph.

Questo capitolo prende il nome da una delle canzoni
dei Linkin Park che capita a fagiolo per la situazione
di Alice, ed un po' a tutti quelli che, come lei, hanno
o stanno passando la stessa situazione.
Oggi vi lascio con Ashton, che vi da un bacino a tutti !


 

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Capitolo 15
*** Gelosia. ***


 
15.



 
A svegliarmi non sono i raggi solari che trapelano dalla tapparella della mia stanza, bensì il cellulare.
Un numero a me sconosciuto lampeggia nel display.
Una chiamata.
« Pronto? »
« Non pensavo dormissi ancora, Alice, scusami. »
E come potrei dimenticarla quella voce? La sua voce. Quella che ho sentito ridere tante volte, schiamazzare alle dieci di sera mentre, insieme, scorrazzavamo per le vie della città troppo impauriti dalla possibile secchiata d'acqua gelida in testa che le anziane donne potevano lanciarci, dopo aver pigiato le dita su tutti i citofoni affissi nei muri.
Io e Joseph lo facevamo sempre, e non c'importava di essere puniti, bagnati fradici o rincorsi da un possibile cane furioso.
A noi andava bene, tutto, l'importante era rimanere uniti e non perdersi di vista. Perché le cose potevano sempre migliorare, potevamo vedere il mondo da una prospettiva diversa se solo fossimo rimasti uniti.
Era tutto così bello, a diciotto anni.
Avvolgo ulteriormente le coperte sul mio corpo, somigliando ad uno stupido baco da seta. Quasi come se mi stessi proteggendo da Joseph e dalla sua voce tagliente, roca, quella che ho amato e poi odiato alla stessa maniera.
E le sento riaprirsi, le ferite, una ad una, scavano in profondità cercando appendici da cui aggrapparsi, tirarle e farle risalire a galla.
Come artigli graffiano la pelle, e non basteranno i cerotti a tamponare tutto questo dolore.
Mi aggrappo al pensiero di Ashton, al nostro primo bacio, ma so che un minuto di felicità non può azzerare tutto il male che ho passato.
Dall'altra parte della cornetta, il respiro di Joseph s'infrange come onde del mare sugli scogli.
« Perché mi hai chiamato, Jo'? »
Lo sento soffermarsi, fare una paura, «Avevo bisogno di sentirti, Alice.»
Ed allora mi chiedo per tutto questo tempo? Non ha avuto bisogno di sentirmi? Solo io sono stata così stupida da aggrapparmi ad illusioni, pensieri, ricordi ed attimi trascorsi insieme? Perché Joseph? Perché sei apparso ora? Perché proprio adesso, quando la mia vita stava finalmente prendendo il verso giusto?
« Non mi hai mai cercata da quando te ne sei andato in quella stracavolo di Russia, ed ora senti il bisogno impellente di venirmi a chiamare alle sette del mattino?»
L'ennesima pausa di Joseph, l'ennesima mia voglia di prenderlo a pugni e la consapevolezza che non lo farò perché io, a lui, ci tengo davvero.
Non ho mai smesso di volergli bene nonostante chilometri e paesi ci abbiano diviso.
« Alice smettila, ti ho già detto che mi dispiace, perdonami. »
Ma non sarà facile perdonarlo, affatto.
Per lui sembra tutto così semplice, che forse nemmeno ha sofferto. E' bastato volare a Sydney, sparare quattro stronzate smielate e sperare che io cadessi ai suoi piedi.
Perché lui non ha mai valutato l'idea che io lo amassi, all'epoca. Ero solo una stramaledetta migliore amica, una cazzo di sorella che non aveva mai avuto.
Maledizione!
Mi mordo il labbro, frenando l'impulso di piangere perché non voglio farmi vedere fragile davanti a lui.
Stringo le coperte ed osservo come le mie nocche comincino a sbiancarsi, « Sei sveglio da tanto?»
« Diciamo di sì, sono andato a vedere un'azienda vinicola di Sydney, hanno del buon vino e forse potrebbero diventare affiliati della nostra, in Russia. » Quasi come se m'importasse qualcosa della sua maledetta azienda.
« Capisco. »
« Alice, ascolta, ti va se magari uscissimo insieme questa sera? T'invito a mangiare qualcosa, ci stai? Giusto per farmi perdonare. »
E vorrei urlarglielo, vorrei urlargli che una cena di qualche ora non potrà tappare i buchi di un'assenza durata anni, « Mh, va bene. »
« Passo a prenderti alle nove, okay?»
« Okay», poi mi ricordo di Calum e dell'odio che prova nei suoi riguardi, « a mio fratello non stai simpatico Jo'
« Non ho mica detto che verrò a prenderti suonandoti alla porta.
Quando sentirai il clacson scendi, evitiamo mister muscolo pompato ed il gioco e fatto. »
Rido all'appellativo e poi chiudo la chiamato congedandomi.


Quando scendo al piano di sotto una calma apparente sovrasta la casa.
I piatti sono già puliti, la cucina splendente. Nessuno sembra esserci, forse.
Poi Ashton, invece, sbuca dalla porta del bagno, silenzioso si avvicina a me appoggiandomi una mano sulla spalla. Spaventata mi volto, ed il suo sorriso m'illumina.
M'illumina la vita, l'amore, la voglia di vivere.
E sento il terreno mancarmi mentre osservo quei due smeraldi.
Lui poggia le mani sui miei fianchi, attirandomi a se, e magicamente le sue labbra si posano sulle mie.
Sembra diverso dall'Ashton che ho conosciuto prima, quello spigoloso che non si lasciava toccare, parlare, ascoltare.
Era sempre così assente, spinoso, schivo. Ora invece è tutto diverso, mentre le sue labbra assaporano le mie in un bacio bisognoso, voglioso e pieno di sentimento.
Affondo le mani nei suoi capelli sfatti, che forse non li ha ancora pettinati, mentre mi metto in punta di piedi per arrivare a lui, maledetta differenza d'altezza!
Le nostre lingue danzano lentamente, studiando ogni minimo particolare che, prima di allora, non ci sognavamo di conoscere.
Quando percepisco il respiro morirmi in gola, sono costretta ad azzerare il bacio, Ashton rimane ad occhi chiusi mentre poggia la sua fronte alla mia, carezzandomi le guance con i pollici.
« Alice. »
Accenno un sorriso, anche se lui non può vederlo. « Ash... pensavo non ci fosse nessuno in casa. »
Allora lui apre gli occhi, mi sorride, « Sono andati a comprare delle cose, si sono divisi i lavori. Luke e Michael sono passati al supermarket mentre Calum sta lottando contro un locale. Sai, vorremmo salire di categoria, almeno in parte. Sentiamo che possiamo farcela, basta solo crederci no? » Sento della positività nelle parole di Ashton, che prima non aveva mai accennato.
« Certo che potete farcela, io credo in voi. » Sussurro a fior di labbra, e lui le cattura di nuovo, le mie tra le sue ad incollarsi e completarsi.
Come cocci che vengono nuovamente incollati ad un vaso.
Come due tasselli del puzzle che si assemblano nuovamente.
Ed Ashton è la notte, io il giorno, lui è il vento impetuoso che sbatte ripetutamente sulle finestre, ma io sono l'aria fresca del mattino che cerca di placarlo.
E lui è il freddo, io sono il caldo e prima o poi ogni gelo, ogni stalattite, ogni singolo blocco di ghiaccio si scioglie, ed io mi auguro che sia io la ragione del suo calore nel cuore.
Perché finalmente, forse, ho trovato quello che cercavo.
« Sei dolcissima Alice, grazie. »
« Ma non ho fatto nulla per essere dolce. » Lo rimbecco, perché in fondo non credo di aver fatto granché. Non quello che volevo, non tutto almeno. Francamente sarei stata disposta a fare molto di più.
« Hai fatto più di quanto pensi. » Ed io, sul serio, non capisco a cosa si riferisca Ashton.
Sono sempre la solita Alice, quella codarda che ama perdersi nei ricordi, quella che non riesce ad esternare i sentimenti, la stessa che piange se viene abbandonata, dimenticata e sostituita.
Sono solo io, Alice. Solo me stessa.
« Oh, ma davvero? » Chiedo. Le labbra di Ash si stirano in un sorriso dolce e mentre lui mi sorride, a me sorride il cuore.
Gli sistemo alcune ciocche ribelli dietro l'orecchio; il mondo intorno a me sembra essersi fermato.
E più lo guardo più non riesco a capacitarmi da quale pianeta provenga. Ashton è bello, di una bellezza disumana. E vorrei dirglielo che io, di lui, vedo belli anche i difetti.
Le nostre labbra stanno per catturarsi di nuovo, quando Calum spalanca la porta.
« Ho interrotto qualcosa? » Ha lo sguardo sorpreso, l'espressione corrucciata di chi non approva.
« Stavo spiegando ad Alice – »
« Cosa Ashton? Cosa stavi spiegando? Da che verso mettere la lingua quando si bacia? » Calum la spara così, questa cattiveria, mentre riesco ad intravedere delle saette che guizzano dagli occhi di mio fratello, arrivando allo sguardo di Ashton.
« Cal, per piacere! » Cerco di difenderlo, senza però alcun risultato.
« Cosa Alice? Non ti ci mettere pure tu, per cortesia. » Non mi ci vuole molto a capire che oggi, per mio fratello, non è giornata.
Mimo un “mi dispiace” ad Ash, a fior di labbra, e poi lo seguo in cucina.
« Mi spieghi cosa ti prende?» Dico, aprendo una delle tante buste che ha portato.
Vedo le nocche di mio fratello sbiancare, la mandibola si muove piano, lo sguardo assente. Di scatto si volta, afferrandomi il viso, incastrandomelo tra le sue mani bollenti. « Alice dimmelo, dimmi che non vi siete baciati. » I suoi occhi sono pieni d'odio. Il fuoco arde tra le sue pupille scure e per un attimo avverto uno strano senso d'angoscia e paura.
« Calum, smettila. Ti prego. »
« Dimmelo Alice, cazzo. Dimmi che non vi siete baciati! »
« Per piacere, lasciami Calum mi stai facendo male. » Le sue mani sembrano stringere ulteriormente il mio viso. Non è una stretta amorevole, la sua, ma più qualcosa di violento, fastidioso, burrascoso.
« Cazzo Alice, quanto ti ci vuole a parlare eh? Merda! »
« Adesso credo tu stia esagerando, Calum. » Le mie lacrime cominciano a bagnare le dita di Calum, quando Ashton irrompe in cucina.
Il suo sguardo è duro, mentre si avvicina a noi scostandomi Calum di dosso.
Mio fratello ricambia lo sguardo con altrettanto odio, ed io non riesco a capirli. Mi sembravano tanto amici, soprattutto quando siamo andati a prendere il maggiore in ospedale.
Ora tutto è diverso, con le strane domande di mio fratello e l'altrettanta strana presa che aveva vincolato il mio viso alle sue mani.
« Tu dovresti solo tacere, Ashton. » Lo rimbecca.
« Oh, ma davvero? Allora dovrei permetterti di trattare così tua sorella?! » Ashton mi stringe il polso, racchiudendolo nella sua grande mano. Benché la presa sia abbastanza forte, questa non fa male. E' rassicurante.
« Da quando t'importa di mia sorella? Prima la trattavi come uno straccio, brutto figlio di – »
« Basta! Basta, adesso! Ma dico, siete impazziti? Smettetela! » La mia voce trema e dubito di sembrare autoritaria, il che non m'importa. L'unica cosa che voglio realmente è che Calum smetta di litigare con Ashton.
Perché non se lo merita, non lui che adesso riesce ad apprezzarmi, a volermi bene, quantomeno prova ad accettarmi per quella che sono.
Lascio la camera, dirigendomi verso la mia stanza, e lì resto, soffocando il viso nel cuscino.
Le lacrime arrivano, e ben presto sfogo la mia ira.
E sono diversa io, che preferisco sfogarmi piangendo. Sono così diversa da mio fratello, che sembra essersi impossessato di una rabbia che non gli appartiene.
Ho sempre visto Calum come una persona amorevole, ed ora, invece, non lo riconosco più.




Apro gli occhi; i miei capelli appiccicati alla fronte, le guance ancora scottanti.
Mi guardo intorno, e tutto finalmente tace.
Devo essermi appisolata un po'; sblocco il cellulare e, con sommo stupore, noto si siano fatte le sette di sera.
Ed alla mente torna lui, Joseph, con quel suo sorriso che mi rassicurava sempre, nelle mie giornate monotone da diciottenne, con le sue parole che mi fregavano, illudendomi.
Era tutto così semplice prima, bastava poco per essere felici.
Questa, per me, sarebbe dovuta essere una serata importante, commemorativa, eppure ho paura.
Non so di cosa, ma ho paura.
Raccatto gli abiti che credo siano più indicati alla serata, sgattaiolo via verso il bagno ed infine mi faccio una doccia, lasciando scivolare il getto d'acqua bollente sulla mia pelle.
Mi lascio avvolgere dal tepore, nella speranza che l'acqua mandi via le mie angosce, paure, sensi di colpa e tantissime altre cose.


« Dove stai andando Alice? » Luke è seduto sul divano, quando scendo al piano inferiore. Sta giocando alla play.
Benché sia il più piccolo dei ragazzi, lo trovo comunque quello più maturo. Non s'impiccia in affari che non lo riguardano e sembra accettare tutto, purché sia nei limiti.
Calum, esce dal ripostiglio, tra le labbra stringe una sigaretta, ed io mi chiedo quando abbia cominciato a farlo, « Da quando fumi? »
« Dove stai andando, Alice? » la stessa domanda che mi ha posto Luke, ma in un tono differente.
« Sto uscendo. » Lo informo, ed a lui non sembra piacere la cosa. Come se gli piacesse qualcosa, oggi, poi.
« Alle otto di sera? Non mi pare sia il caso, no? »
« Che ti piaccia o no io esco, intesi? » Perché è forse giuso fargli capire come stanno le cose, che io a vent'anni posso fare quello che mi pare. Senza contare che, con l'aria che tira in casa non mi va proprio di rimanerci.
« Tu non vai da nessuna parte, Alice! »
« Ho vent'anni Calum, non dirmi cosa posso e non posso fare! » Sento le lacrime pronte a scendere, cerco di frenarle grossolanamente, mentre fisso gli occhi furenti di Calum.
« Si dia il caso che io sia tuo fratello. »
« Non m'importa! »
Benché siano solo le otto, afferro la mia borsetta e mi precipito fuori, sbattendo la pronta.
Riesco solo a sentire le urla di mio fratello, ma ormai sto correndo, seminando casa sua.
Mi fermo solo quando sono consapevole di essere abbastanza lontana da non poter essere vista.
Fisso la luna, quella che mi ha sempre vista piangere, ridere, sperare, gioire, pregare che accada qualcosa in grado di cambiarla, la mia vita.
E mi chiedo se sia questo, il mio destino, con un fratello che richiama tanto la figura della mia finta madre.
Sembra comportarsi come lei, adesso, ed io non voglio.
A vent'anni devo pur godermela, la vita.
Il vento scompiglia i miei capelli, che per la cronaca sono ancora umidi a causa della doccia.
E penso che, forse, non sia stata una mega idea indossare il vestitino rosso, lo stesso di quando i ragazzi si sono esibiti al Luxury.
Ed è lì che ho visto Ashton per terra, privo di sensi.
Ed è lì che ho capito che a me, di Ashton, importa davvero.
La brezza mi sfiora le gambe nude, così come le braccia, ed ho freddo, perché sono una maledetta stupida e perché non mi sono mai curata di me stessa.
Decido, dunque, di chiamare Joseph, per anticipare la nostra uscita.
« Pronto? » La sua voce sempre così calma, di chi non viene smosso minimamente.
E l'ho sempre invidiato, Joseph, ch'è riuscito ad abbandonarmi così, semplicemente, senza darci un vero peso a quello che abbiamo vissuto. E penso che, forse, se solo fosse rimasto, io non mi sarei dovuta fronteggiare con un futuro come questo.
Che forse la nostra storia d'amore sarebbe potuta nascere, e finalmente avremmo vissuto quello per cui eravamo destinati.
Lo comprendo solo adesso, quando le lacrime decidono di solcare i miei occhi, ricadendo sulle mie guance. E chi se ne frega del trucco, di apparir bella, quando bella non lo sono mai stata, «J – Jo'?»
« Alice? Cos'hai? Stai piangendo? »
«N – No, ecco io... »
« Alice, che sta succedendo? Dimmi dove sei, per piacere. »
« Sto andando al parco, puoi venire a prendermi lì? »
« Arrivo. »
Joseph sembra preoccupato, o forse lo è. In realtà non ho mai capito il motivo di ripresentarsi, a distanza di tempo immemore, e dirmi tutte quelle cose carine.
Non so perché mi abbia invitato a cena o del perché sembra importargli del mio pianto.
E non ho mai capito tante cose di Joseph, il mio migliore amico.
Passano pochi minuti quando, finalmente, intravedo un'auto nera posteggiare davanti all'entrata del parco, dubito sia lui considerando la vettura.
Sembra costar parecchio, e nonostante io non me ne intenda, credo proprio sia un Audi. Quando lo sportello si apre, però, la figura la riconoscerei tra mille; è Joseph.
Ed è strano il suo vestiario, adesso, a vent'anni.
Mi ricordo gli assurdi pantaloni che indossava, o le maglie poco sobrie. Adesso porta uno splendido vestito nero, così perfettamente elegante e formale.
Sbatte lo sportello, non curandosi di nulla, inoltrandosi all'entrata del parco. Io gli vado in contro, 'ché forse ne ho davvero bisogno, questa volta.
Ho bisogno di lui, delle sue parole, di quello che eravamo, di quello che ormai non siamo.
« Jo'! » E mi faccio piccola, in quelle braccia che mi hanno accolto così tante volte. Ha un buon profumo.
« Si può sapere che diavolo sta succedendo? Alice che hai? » Alzo il capo, incontrando il suo sguardo. I suoi occhi neri pieni di preoccupazione, l'espressione sgomentata, la voglia di sapere e la mia incapacità di parlare, sommersa dai singhiozzi.
Ed è un pianto senza ragione, il mio.
« Sono felice di vederti, Jo'. » Sussurrò, tornando a stringerlo.
« Anch'io Alice, però non piangere ti prego. Non sopporto vederti così, e dubito tu stia piangendo per questo. Vuoi parlarne? »
Ma io scuoto il capo, e lui non fa più domande, annuendo semplicemente.
Ho sempre apprezzato questa dote di Joseph, l'accettare il tutto senza essere sfrontato.
Le nostre dita s'intrecciano, mentre ormai le mie lacrime hanno smesso di scendere, poi saliamo sulla sua Audi, mette in moto ed andiamo via.
« Qualsiasi cosa sia successa, mi auguro che con questa cena tu possa dimenticarla. »
« Lo farò, promesso! »
Lui sorride, fissandomi per un secondo, poi torna a guardare la strada.
Dopo venti minuti posteggia in una zona a me ignota, un damerino in ghingheri gli si avvicina. « Signor Reimond, bentornato, da quanto tempo. » Sembrano conoscersi.
Joseph poggia le chiavi e delle banconote sulle mani del tizio, « Sono in compagnia, questa sera Winston. Vedi di tenermi l'auto al sicuro, dubito esca di qui prima delle undici. »
« E' una bella signor – »
«Buona serata, Winston. Vieni Alice. »
Nessuno ha mai chiamato Joseph per cognome. Nemmeno i professori, perché lo trovavano un bambino indisciplinato.
Ed è cambiato tanto, da allora.
Joseph ora è diverso, un uomo d'affari che può permettersi il posteggio riservato ed un tizio che gli tiene addirittura le chiavi.
Le nostre mani sono nuovamente intrecciate, ed insieme ci avviamo al ristorante “La Table du Lancaster” ha un'insegna a neon rosa fluo.
Non pensavo puntasse così in alto, Joseph. Sinceramente mi sarebbe piaciuta qualcosa più economica, perché io, in posti così costosi, non avevo mai cenato.
« Prego signori, accomodatevi! » Una signora in gonna e giacca ci accompagna in un tavolo, mentre Joseph sembra non degnarla di uno sguardo.
Prendiamo posto vicino al grande tavolo che sporge nella vetrata.
Al centro della sala giace un piccolo palchetto con degli strumenti, deduco che, probabilmente, per l'ora di cena, qualcuno suonerà qualcosa.
Tutto intorno è molto accogliente, nonostante si noti l'eleganza del posto.
Joseph versa in entrambi i bicchieri un po' d'acqua.
«Ti piace qui, Alice? »
« E' molto bello. » E lo penso davvero.
« Sono contento. »
La donna di prima, quella che ci ha accompagnati a prendere posto, torna con un vassoio in cui vi è posato il menù ed una brocca di vino.
« Per me porta pure la Bouillabaisse. Come secondo piatto puoi farmi avere del Carré alla Provenzale? Ed anche una coscia d'Anatra all'arancia. Porta un contorno di Gratin Dauphinois, ricopri il Carré alla Provenzale con della Bechamél, e credo possa bastare. Tu Alice? Cosa prendi?»
Lo guardo sbigottita.
Joseph è sempre stato una buona forchetta, mi sono sempre chiesta dove lo nasconda, tutto il cibo che ingurgita, tecnicamente dovrebbe somigliare più ad un involtino che rotola, mentre invece è uno scheletro che cammina. Ancora una volta mi ritrovo ad invidiarlo, perché io, al contrario suo, ingrasso facilmente.
« Io... io – quello che ha detto lui! »
Joseph soffoca una risata, scuotendo il capo. La signorina torna a parlare, « Quale vino vi port – »
« Il migliore, grazie. »
Povera donna, dovrà fronteggiare con un critico di vini. Considerando l'azienda vinicola, Joseph non bada a spese per il vino. Il suo palato ormai è fine.
Infine sussurra qualcosa alla donna, questa annuisce e poi svanisce.
« Hai ordinato troppe cose, non credo riusciremo a mangiare tutto! »
« Non importa. Tu invece non sembri molto convinta del menù. Hai mai assaggiato la cucina francese? »
« Uhm, no. »
« Ho fatto molti viaggi, grazie al mio lavoro. Nel mio soggiorno in Francia ho potuto amare la cucina francese, è davvero ottima. Sono contento tu non l'abbia provata, almeno sarò io il primo a fartela provare. »
Il mio volto va in escandescenza nel momento in cui gli occhi nero pece di Joseph guardano i miei.
Tuttavia vengo distratta da un uomo che, adesso, avanza verso noi.
Tiene un enorme mazzo di rose rosse.
Si avvicina a me e, dopo un inchino formale, me le porge. « Per lei, Madmoiselle. »
Guardo Joseph, che sorride mentre sorseggia il vino che è appena stato portato da un'altra cameriera.
Ringrazio l'uomo delle rose e poi lo vedo sparire, non prima di essersi inchinato davanti a me, e poi a Joseph.
Ed io so che l'artefice di tutto questo lusso continua ad essere lui.
« Sono bellissime... »
« Non potranno mai arrivare alla tua bellezza, Alice.» Sento la mano di Joseph sfiorare la mia, allungandosi di poco.
Ancora una volta ci guardiamo, 'ché forse non lo abbiamo fatto per così tanto tempo, e ben presto le mie guance si appropriano del colore delle rose. Rosso incandescente.
« Non dovevi scomodarti Jo', io... ti sto costando un patrimonio. »
« Non dirlo nemmeno per scherzo Alice, è il minimo.»
E ci fissiamo per minuti che sembrano interminabili, attimi in cui torniamo a conoscerci.
« Ecco la vostra cena, signori.» Una cameriera poggia i piatti sul tavolo, congedandosi dopo l'ennesimo inchino.
« Beh, buon appetito Alice. »


« Era tutto ottimo! » E lo penso davvero, tutto immensamente ottimo. Dovrò rivalutare la cucina francese. Ho amato la coscia d'anatra, era squisita! Che poi io, mi sono sempre schifata di certe cose.
« Lieto che la cena ti sia piaciuta. »
Ad un tratto le luci si fanno più soffuse, Joseph sorride e poi mi indica il palchetto. Come immaginavo è allestito, e ben presto qualcuno si esibirà.
Joseph è intento a riempire i calici di vino, mentre io osservò il palchetto.
E mi sento morire quando a salirci e proprio Luke.
« Buona sera, siamo i 5 Seconds of Summer, vi auguriamo una buona serata!» Faccio per prendere il mio giubbino, quando Joseph mi ferma.
« Ehi, dove stai andando? »
« Che ne dici di una passeggiata?»
« E dai Alice, restiamo ancora. Guardiamo un po'! Ehi... ma quello non è tuo fratello?»
Joseph riconosce Calum.
Si mette comodo, tornando a bere.
I ragazzi cominciano a suonare, e tutto sembra stranamente tranquillo. Probabilmente non si sono accorti di me e Joseph, che stiamo sorseggiando del vino rosso. Comincia a girarmi la testa con tutto questo vino, eppure non lo dico, perché a Jo' dispiacerebbe. Lui, poi, ch'è cresciuto bevendo vino.
Tra una canzone e l'altra sorridiamo, raccontandoci vecchi aneddoti. E tutto questo mi è mancato terribilmente. Per una frazione di tempo ch'è parsa breve ho dimenticato tutto il male che mi ha fatto.
Poi qualcosa mi riporta alla realtà, o meglio qualcuno.
Una nota errata, una virgola messa al posto sbagliato nel bel mezzo di un testo.
Mi volto verso i ragazzi che, adesso, stanno fissando Ashton.
E lui si alza in piedi, così, senza dar peso alla gente che ora lo guarda, getta le bacchette per terra ed abbandona la sala non curandosi di nulla.
Ed io, allora, comprendo tutto.
Lui ci stava fissando, me e Joseph, e sono consapevole che, adesso, nulla sarà come prima.







Nda: Bimbiii ç___ç
Come state? Spero bene! Allora, che ve ne pare del capitolo?
Abbiamo un Calum schifosamente geloso, ma è normale, credo.
Forse. Cioè Morgana pensa sia così per un fratello che ha una sorella.
Comunque, poco importa quelo che penso. u.u Abbiamo ugualmente
un Calum geloso ed un Joseph che si porta Alice in un ristorante
lussuosissimo.
C'è che lui vuole viziarla perché un po' ci spera che tutto torni come prima.
C'è anche, però, che ad Ashton non piace Joseph. E vedere Alice con
quell fantoccio imbalsamato gli ha provocato qualcosa al petto. Che sia
gelosia?
Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate, perché Morgana ci tiene tantissimo
ai vostri pareri ç__ç
Un bacione grande, e ci sentiamo presto!
Oggi vi lascio con Joseph!

 

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Capitolo 16
*** In frantumi. ***


 
16.

E' assurdo come la vita possa cambiare da un momento all'altro.
Un giorno ti svegli, incontri nuovamente due occhi nero pece, gli stessi che ti hanno procurato brividi immensi, piaceri indiscussi. Occhi che hanno segnato gran parte dell'adolescenza.
Occhi che ti hanno abbandonato, che non ti hanno più guardato per così tanto tempo, occhi che avresti voluto rivedere, pregando il cielo di acconsentire la tua preghiera.
E poi, dopo tanto tempo, finalmente li rivedi. Ed è facile riconoscerli, perché non brillano come quelli della gente, hanno un bagliore particolare.
E' questo quello che è accaduto con me e Joseph. Quei occhi che non ero riuscita a dimenticare, sognandomeli la notte, li ho rivisti dopo tanto tempo.
E giuro, per un arco di tempo breve ho pensato che la mia vita fosse tornata a girare per il verso giusto.
Poi qualcosa è cambiato.
Perché lui era lì, con i suoi occhi verde smeraldo, a fissarmi incessantemente. E la mia pelle bruciava, il mio cuore tornava a rompersi e la consapevolezza di aver sbagliato di nuovo incalzava in me.
Sono sempre stata sbagliata, io, che cerco invano di sistemare e comporre nuovamente puzzle e vasi incastrando tasselli, incollando cocci. Ma non ho una colla abbastanza forte da poter attaccare tutto con precisione.
E non riesco ad attaccare nuovamente Joseph a me, né Ashton che sicuramente sarà nuovamente lo stronzo di prima.

Sono le otto del mattino, quando mi rendo conto che sono un totale disastro.
La porta richiama la mia attenzione, una mano sbatte delicatamente sul legno color mogano, « Alice? Sono Luke. »
Luke.
Luke è il classico ragazzo che riesce a mettere tutto al suo posto, nonostante ci sia ben poco da fare. Lo invidio, perché da piccola aspiravo a diventare come lui. E non sono mai riuscita a sistemare i miei problemi, le mie angosce ed i miei tormenti, figuriamoci quelli degli altri.
Forse, in realtà, mi sono sempre preoccupata della gente senza, però, mettermi in primo piano.
«Vieni, Luke. » Delicatamente sento la maniglia cigolare e poi abbassarsi. La porta si apre rivelando Luke nella perfezione più assoluta.
Porta una maglia nera dei Nirvana, e gli skinny del medesimo colore.
La sua cresta perfettamente in ordine ed il viso fresco, pulito.
Avanza piano, sedendosi poi ai bordi del letto.
« Alice? » E la sento, la sua voce, così calma e pacata. Una voce di chi vuole riparare qualcosa ch'è andata a frantumarsi, nonostante non sia stato lui a romperla.
« Mh?»
« Cosa è successo? » Chiede, con interesse che forse non avevo mai visto a nessuno.
« Sono una stupida, Luke. Ho rovinato tutto. » I miei occhi cominciano a pizzicare, ma – temeraria – cerco di cacciare indietro le lacrime. Che proprio di mostrarmi fragile, non ho voglia.
Luke sospira, si stende accanto a me ed entrambi guardiamo il soffitto.
Ed è buffo.
Perché, quando vivevo con mia madre, quella non vera, nella mia stanza c'era della muffa, come in questa.
Ovunque io vada, qualsiasi stanza io occupi, un grigio alone di muffa adorna gli angoli delle pareti, quasi come se mi seguisse.
Quasi come se, quel grigio, fosse scaturito dai miei pensieri, dalle mie paure, dai miei momenti malinconici.
« E' per Ashton, vero? »
Annuisco senza distogliere lo sguardo dalle pareti, sarebbe tragico guardare Luke. So che piangerei con altrettanta facilità.
E non riesco ad essere forte, io, che ho lasciato la mia forza tra le braccia di mia madre quando, pronta a partire, l'ho stretta per un'ultima volta.
Deglutisco. Cerco di mandar giù un enorme groppone formatisi all'altezza della trachea, mentre sento il cuore palpitare forte.
Perché il nome, il suo nome, mi fa andare in pappa il cervello.
Alice, sai perché ti senti così?”
La urla forte, questa frase, la mia coscienza. Forse suona più come un rimprovero, perché molte volte mi ha messo in guardia.
E mi aveva messo in guardia su Joseph, all'inizio della nostra amicizia, su Calum, su Ashton stesso, su tantissime cose che non ho mai ascoltato.
Ed ora, vittoriosa, torna con l'ennesima domanda.
Alice, sai perché ti senti così?
Ed io lo so, so perché il mio cuore prende a pompare velocemente. So perché mi tremano le mani, gambe, mi trema il cuore, la ragione, la voglia di vivere, la felicità. Trema tutto intorno a me, quando sono con lui, quando ci guardiamo cercandoci, desiderando di conoscerci meglio.
E so perché mi sento viva, come non lo sono mai stata. Ed io lo so. So perché tutto sembra non avere più senso.
La Terra che gira, il cielo chiaro, gli alberi che si muovono, gli uccelli che migrano, per me non hanno più senso.
Né i passanti che si accalcano per vedere le vetrine, o le bimbe in carrozzina; nemmeno i nonnetti che leggono il giornale seduti su di una panchina, aspettando la pace interiore.
E non hanno più senso, i lunghi monologhi interiori che spesso mi imponevo di fare, per sentirmi grande, per indugiarmi a crescere, per darmi forza. Non ha più senso la voglia di lottare per qualcosa, per me, per Joseph, per mia madre, per Lucy stessa.
Ogni cosa ha perso valore, per me.
Ed io conosco il vero motivo.
E lo so, perché mi sento così.
Alice perché ti senti così?”
E glielo urlo, ora, alla mia coscienza. Lo urlo dentro me, tanto che i timpani si otturano.
Ed io lo so perché, adesso, tutto intorno a me non ha più senso.
Il vero senso, ormai, è Ashton.
I suoi occhi, i suoi baci, le sue braccia in cui desidererei annegare per sempre, il suo profumo buono che sa di casa, i suoi sorrisi timidi e rari.
Ed io lo so perché ora sono così.
Perché io, di Ashton Irwin, mi sono fottutamente innamorata.

« Alice?»
Luke interrompe i miei pensieri con l'ennesima domanda. Ed io penso che parli troppo, a volte le parole non servono. Sono frastuoni che sfidano la dolce melodia della pace.
E forse ha parlato tanto, Luke, mentre attendeva la mia risposta.
« Scusami, non ti avevo sentito. »
« Ho notato – sospira, scuotendo il capo, tornando a guardare il soffitto – ma almeno a me puoi dirlo. E' per Ash che stai male, vero? »
« Ho rovinato tutto, Lukey. »
« Perché dici così, adesso? »
« Dov'è andato Ashton, poi, quando è uscito dal locale?»
Luke sospira, smette di parlottare e di fare domande fastidiose, si volta per guardarmi ed io mi perdo nei suoi occhi celesti.
Immagino quante ragazze abbia ai piedi, lui, che di bellezza ne ha tanta ed indiscussa.
« Non lo so, Alice, purtroppo Ashton è abbastanza riservato. »
« Forse dovrei parlargli. » Mi alzo dal letto, ma Luke mi blocca afferrandomi un polso, stringendolo tra le sue dita esili.
« Non è una buona idea, Alice, non adesso almeno. »
« Devo, Luke. Sono stata io a rovinare tutto e sarò io a sistemare. » Almeno questa volta.
Ed allora, rassegnato, Luke annuisce. Gli sorrido dolcemente e poi vado via, richiudendomi la porta alle spalle.
La mia stanza con quella di Ash non è lontana, ci separa solo un piccolo corridoio di pochi metri, ma per me sono i metri più lunghi di una vita intera.
Non appena sono dinanzi la porta, mi schiarisco la gola, e picchietto su di essa.
« Chi è? »
E la voce di Ashton è tornata quella di sempre. Distaccata, gelida, priva di sentimento. Quella che odiavo e che cercavo di scaldare, senza però esserci riuscita.
« Ash, sono io, Al – »
« Vattene. » Tuona minaccioso, senza nemmeno farmi continuare.
E mi chiedo come farò, adesso, a riprendermi quello che c'è stato.
Quello che siamo stati.
I baci che ci hanno sanato, sostenuto.
Ed allora come farò, adesso, senza i suoi occhi su di me? Che per un attimo ho toccato il Paradiso, insieme a lui, e mi sono sentita bene.
« Ti prego, io ho bisogno di spiegar – »
« Forse non sono stato abbastanza chiaro, Alice, vattene. Non voglio vederti. »
« Ti prego... »
Ed è finita ancor prima di cominciare, tra me ed Ashton. Ho sempre creduto di meritarmi un'amore da favola, capace di scaldarmi il cuore e sanare quelle ferite che l'amicizia mi aveva procurato.
Ho sempre desiderato un ragazzo capace di amarmi, sebbene non abbia mai chiesto un principe, e per un solo istante, nel momento in cui ho sfiorato le sue labbra, osservato quei occhi, assaporato il suo sorriso, ho pensato che lui fosse quello giusto.
Perché i principi li lascio alle favole io, che non ho mai creduto a racconti e leggende.
E mentre ormai perdo tutte le speranze, le uniche rimaste, la porta si apre piano. Ashton è al centro di essa, con lo sguardo di chi non vuole saper più nulla ma che desidera miliardi di risposte.
Risposte che io dovrò dargli, risposte che io non so di avere.
« Ash... »
« Ho da fare, solo cinque minuti. »
Annuisco, oltrepassandolo ritrovandomi nella sua stanza.
E' parecchio disordinata, con il letto ancora sfatto e con varie pigne di libri sparsi ovunque. Se solo potessi, pagherei oro per svegliarmi nel letto che sa di lui, guardare le sue stesse pareti, leggere gli stessi libri.
E quanto sarei felice, se solo potessi vivere con lui. Che sia gioia, paura, dolore, angosce, emozioni, quanto vorrei poterle condividere insieme, se solo non fosse così difficile.
E mi ricordo di quando mio nonno mi diceva che, se un sogno ha così tanti ostacoli, vuol dire che è quello giusto.
«Forza, cosa vuoi Alice? » Ashton s'accomoda nel letto sfatto, i suoi occhi accesi che sprizzano odio. Un odio scaturito da me, da qualcosa che ho fatto.
« Posso sedermi vicino a te ? » Invano, cerco di instaurare un contatto.
« No. »
« Perché sei sparito l'altra sera? Al ristorante, intendo. Io ti ho vist – »
« Lo so che mi hai visto, Alice, cazzo! Lo so che mi hai visto. E ti ho visto anch'io, ridere con quello stupido. Ti ho visto felice, e non sono stato io a donarti quella felicità. E tu sembravi tranquilla, spensierata, quella pace che cerchi da tanto ma che, ancora, non avevi trovato. Ed allora dimmelo, Alice, dimmi che io non sarò all'altezza di quel pinguino in giacca e cravatta e ti giuro che smetterò di tenerti il muso. »
Il mio mondo crolla.
Sento il pavimento sotto di me che cerca di sgretolarsi. E giuro, potrebbe crollare il mondo intero in questo preciso istante ma non sarebbe così doloroso a confronto.
Perché il rumore del mio cuore che torna a spezzarsi è qualcosa di sleale, come fiele, come la cosa più crudele.
Gli occhi prendono a pizzicare, ma questa volta non riesco ad obbiettare. Lascio scendere le lacrime, e l'immagine di Ashton davanti a me comincia a sfocarsi. Non so cosa mi faccia nascere il desiderio di piangere, ma l'unica cosa di cui sono certa è che io lo amo.
Amo Ashton, lo amo per quello che è.
Per le stupide paranoie che s'impone, i complessi d'inferiorità, la voglia malsana di spaccare il muso a qualcuno come Derek senza però farlo.
E lo amo, perché potrei trovare quello giusto, magari un giorno, qualcuno che mi dia famiglia e figli; ma giuro, non potrebbe arrivare a lui. Che forse quello giusto, io, nemmeno lo voglio.
E' lui il mio giusto, è lui il mio meglio. E' lui la mia vita, adesso e per sempre.
E lo amo, per quel muso lungo che mai sparirà dal suo viso, lo amo per i suoi occhi verde smeraldo che richiamano il Paradiso, lo amo per la sua voce, calda e roca. Ed io lo amo, Ashton, che mi somiglia più di ogni altra cosa.
E l'amore resiste a qualsiasi tempesta o burrasca. E l'ho letto da qualche parte che l’amore è un po’ come i bicchieri.
Cadono, vanno in frantumi.
Ti rompi anche le palle di buttare via i residui e a volte facendolo ti tagli.
Ma hai smesso mai di bere per un bicchiere rotto?
Non si smette d’amare per un amore andato a male.

Ed ho sempre amato io, che sia andata bene o male. Ho amato Joseph, ho amato anche prima di lui, ma non è stato così.
Ora tutto è diverso. Perché l'amore, quello che provo per Ashton, è un'amore grande: è l'Amore.
« Ashton... »
« Lo so che è sbagliato il mio ragionamento. So che dovrei starmene al posto mio perché non è giusto. Chi sono io per farti star male? Nessuno.
Ma non sopporto tutto questo. Non sopporto i nostri baci, i nostri occhi fugaci che si guardavano, non sopporto Calum e la sua voglia di tenerci lontani. Alice io non posso sopportare, non dopo quello che ho passato. Per piacere esci dalla mia stanza. »
« Per favore Ashton, fammi parlare! »
« Senti, sono stato il più gentile possibile – per la prima volta vedo gli occhi di Ashton luccicare, e non è felicità la sua. E' più un residuo di tristezza che si è incastonato nelle sue iridi smeraldine – ma adesso ti prego di rispettare la mia idea. Alice ho bisogno di rimanere da solo, lo capisci? »
« Tu stai fraintendendo tutto Ashton, diamine lasciami parlare! » Le lacrime continuano a rigarmi il viso.
E lui, frettolosamente, si alza. Mi prende da un polso e mi porta fuori, non curandosi del dolore che potrebbe infliggermi.
« No, te ne devi andare Alice. Vattene! » E quando chiude la porta, con un sonoro tonfo, mi accascio a terra liberandomi con un pianto che fa male.
Credo che non sia giusto piangere, credo sia scorretto mostrarsi così debole. Questa non sono io, non è l'Alice che era partita per trovare la sua vita, per trovare la persona che aveva perso.
E mi rendo conto di esser cambiata, di essermi rammollita con il tempo, di aver provato ad amare, di nuovo, ma di aver fallito miseramente.
Il pianto dell'amore è quello più doloroso, lo capisco da come bruciano gli occhi. E sono consapevole che non riuscirò a smettere, perché, davvero, di Ashton mi sono fottutamente innamorata.
E forse potrei dimenticarlo per sempre, Joseph, quella persona ch'è partita senza salutarmi. Quella che ho amato così tanto fino a star male, ma il dolore che sto provando adesso lo supera il doppio. Ed io mi chiedo quanto sia grande il mio amore per Ashton, allora, 'ché vedo la mia vita andare in frantumi ancora una volta ed ora è lui l'artefice del mio male.

« Alice? Ehi, ma che ci fai qui? »
Quando apro gli occhi Michael è davanti a me.
Mi guardo intorno, e non ho fatto un passo: mi trovo ancora accasciata per terra, la testa poggiata sulla porta di Ashton, le ginocchia strette tra le mie braccia.
« Michael... »
« Non hai una bella cera, ma ti sei addormentata per terra? »
« Io non – »
« Vieni, dai, andiamo a berci qualcosa di caldo. »
Annuisco. Michael mi aiuta a sollevarmi, poi andiamo via, non prima di essermi voltata per guardare nuovamente la porta della camera di Ashton.
Quella porta che, forse come il suo cuore, non si aprirà più per me.





Nda: Hola bimbi miei belli! ç___ç Come ve la spassate? Spero bene!
Allora, diciamo che qualcosa si è rotta, tra Ashton ed Alice, quel filo che
li univa sembra essersi spezzato. Però, del resto, come dargli torto al
bel batterista? D'altro canto, però, nemmeno Alice ha colpe! Insomma
la colpa è solo di uno: Joseph! Voi, invece, cosa ne pensate? Qualcuno
ha colpa oppure è solo così, che devono andare le cose? Senza contare che,
la presenza di Michael, a fine capitolo, forse ha un po' smosso Alice. Magari
ha bisogno di sfogarsi, voi che dite?
Ritaglio un altro piccolo pezzetto di note autore per dirvi che ho pensato a lungo
su cosa fare di questa storia. Sarò onesta, la storia l'ho finita da tempo ed ho letto
il finale per ben dieci volte, e più lo leggo più mi ricredo che, sì, va bene così. Dunque
credo che non ci sarà il sequel, so di averlo accennato, ma capirete da voi perché non lo
farò. Senza contare che ho tante storie su cui lavorare.
Insomma, l'ultima bomba che sgancio è che al ventesimo capitolo, la storia giungerà al termine.
Siamo al sedicesimo, purtroppo, si comincia il conto alla rovescia, e spero sempre di non
deludervi mai. ç__ç
Come sempre confido nelle vostre più fidate recensioni, per me sono troppo fondamentali.
Oggi vi lascio con Alice, che purtroppo non se la passa tanto bene.
Un bacione grande, ed alla prossima!

 

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Capitolo 17
*** Potrebbe crollare il mondo, ma noi no. ***


 
17.
 

« E dunque ci hai litigato solo per quel damerino imbalsamato?» Michael mi guarda sbigottito, le braccia incrociate al suo petto magro. Le sue parole nascondono un velo d'ira che non avevo valutato. Perché forse Michael è quel tipo di persona che ci spera, nell'amore, nonostante giubbini di pelle ed anfibi compromettano questo suo lato romantico.
« Credo si sia arrabbiato parecchio. Mi ha cacciato dalla sua stanza...» Sussurro a capo chino, calpestando qualche sasso che intralcia il mio cammino. Effettivamente non so dove io e Michael ci stiamo dirigendo, ma qualsiasi posto andrà bene. L'importante è stare lontana da Ashton, almeno fino a questa sera.
« E ci credo, diavolo! Alice non lo capisci che è geloso marcio? »
« Geloso marcio? »
« Sì, sai... quando a qualcuno piace una persona così tanto da – »
« So cosa vuol dire essere geloso marcio, Mikey, ma non credo che Ashton lo sia... e poi di me? Magari era solo frustrato, stressato o... » E lui mi interrompe, perché sa che io di fesserie ne dico tante. Nego l'evidenza nonostante sia consapevole che l'unica spiegazione plausibile per il comportamento assunto da Ashton sia, appunto, la gelosia.
E' che proprio non saprei vedermelo, geloso di me. Non sono mai stata una ragazza bella né degna di invidia. Insomma sono solo io, con le mie paure, incertezze e frustrazioni. Se solo volesse, Ashton potrebbe avercene di migliori, basterebbe solo un comunissimo schiocco di dita e tutte cadrebbero ai suoi piedi. Un po' come ho fatto io. Che allocca!
« Alice, devi ancora imparare tante cose, mi sa. »
« Ehi, non parlarmi così! Io sono più grande di te!»
Michael mi tratta come una ragazzina, forse più una bambina alle prime armi e la cosa mi infastidisce; ma nonostante questo sono conscia del fatto di non sapere tantissime cose.
Come i ragionamenti maschili, ad esempio. Seppur ne stia parlando con un ragazzo, la cosa non aiuta.
Ogni cervello è un tribunale, diceva sempre mia nonna. Non avevo mai capito questo assurdo proverbio antico, ora – invece – lo comprendo appieno.
« Già, ma non sai niente. »
Ed io non rispondo, perché è vero. Non so tantissime cose, né di Ashton né di qualcun altro. Sono sempre stata avvolta nel mio mondo, e come una gran bella egoista non mi sono mai curata degli altri.
Solo di Joseph che, adesso, è tornato. Ed insieme a lui sono tornati i guai, presumo.
Io e Michael ci fermiamo davanti ad un bar.
Con dolcezza lui spinge la porta in vetro, facendomi entrare. Mi guardo intorno, ed un po' provo nostalgia considerando che, per poco tempo, ho lavorato anch'io in un bar simile.
Seppur non sia andata come previsto, mi ero comunque affezionata ai proprietari. E mi manca la signora Gewndaline, che sicuramente sarà ancora preoccupata per me e per il ritrovamento di mio fratello, sperduto in chissà quale angolo di Sydney. Per i suoi figli, che lavorano all'estero, e per i polmoni del signor Flinth – perché fuma davvero tanto.
E mi chiedo se abbia accettato qualche nuova apprendista, quest'ultimo, così scettico ed autoritario. Nasconde la dolcezza e la gentilezza dietro la sua folta barba brizzolata. Gli devo molto, nonostante non potrò più dirglielo.
« Sediamoci pure in quel tavolo, io ordino qualcosa da bere. »
Mi avvio verso il tavolo indicato da Michael, mentre mi guardo intorno. C'è un piacevole sottofondo causato dalle chiacchiere, ed è meraviglioso perdersi in esse. Lasciare i pensieri e le cose brutte fuori dal posto, mentre un dolce tepore ti avvolge.
Quando mi accomodo sulla sedia, fisso i negozi che si vedono fuori dalla finestra: poi arriva Michael.
Si accomoda di fronte a me, poggiando un vassoio con le cose prese, mentre sbuffa.
« Avevano finito le ciambelle alla crema. Comunque ho preso quelle alla marmellata.»
« Grazie, Mikey. » Abbozza un sorriso, lui, che invano sta cercando di sollevarmi il morale. E' strano che a farlo sia Michael e non Calum, ch'è pur sempre mio fratello. Dovrebbe pensarci lui, a me, ed invece alimenta il mio male vietandomi Ashton. Come se fosse la cosa più scorretta e cancerogena del mondo. E non so perché si comporta così, se sia gelosia fraterna o ci sia qualcosa che ancora non conosco.
« Figurati, vedi di riprenderti Alice. » E' un buon amico, Michael, nonostante all'inizio l'avevo visto più come un tizio che si dava arie e trafugava birra altrui.
Ma alla fine nessun libro si deve giudicare dalla copertina, questo l'ho imparato a mie spese, un po' grazie a Lucy ed un po' grazie ad Ashton, che nonostante tutto ho conosciuto una parte di lui meravigliosa, di cui ne vado orgogliosa.
Il display interrompe i miei pensieri, lampeggiando più volte, Michael inarca un sopracciglio sorseggiando la bevanda che ha preso insieme alle ciambelle.
« Chi è? » Mi chiede.
« Oh, nessuno... » Ma lui non se la beve, lo capisco dal modo in cui scuote il capo roteando gli occhi. E' un classico, più voglio che il telefono smetta di vibrare più, invece, continua a farlo. Che nervi!
« Puoi prenderla la chiamata, Alice! Non accade nulla se aspetto due minuti.»
Sospiro alzandomi da tavola, annuisce e mi dirigo verso l'uscita, prendendo poi la chiamata.
«Alice, stavo per riattaccare.» La voce di Joseph invade la mia mente. Perché proprio lui? Perché proprio lui, adesso?
Che per tanto tempo è stato bene, senza di me, conducendo una vita normale di chi non ha lasciato rimorsi e ripensamenti, nella sua città natale. E' partito così, un giorno qualsiasi, dimenticando tutto il rapporto che c'era stato tra di noi, poi viene a cercarmi a Sydney e tenta nuovamente di distruggermi, come se tutto quello che avesse fatto in passato non sia stato sufficiente.
« Jo'...»
« Ehi piccola, mi mancavi molto ed allora ti ho chiamato.» Se solo fossi stata ancora a Stratford, tutte queste moine mi sarebbero piaciute da impazzire. Ma adesso è diverso, nessuno può rincuorarmi se non Ashton solamente.
« Oh, davvero?»
« Sì, cosa fai di bello? »
« Ero in un bar con un mio amico.» Sento il respiro di Joseph infrangersi contro la cornetta, potrei giurare che la risposta non gli sia piaciuta granché.
« Alice, sarò sincero. Non mi piacciono i tuoi amici, né tuo fratello. A parte i modi burberi che ha usato quando sono stato a casa tua.» Non nego che Calum sia stato poco carino con lui, ma è pur sempre mio fratello. E non dimentico quando tutta l'arroganza e l'essere burbero, l'aveva Joseph. A diciotto anni.
« Lo so, ma non è cattivo Jo'. » Intanto Michael si avvicina a me, deduco abbia pagato lasciando il cibo dentro il bar. Che spreco.
Si affianca a me, accende una sigaretta e comincia a fumare, perdendosi ad osservare le macchine che scorrono veloci sulla strada.
« Chi lo sa, comunque non mi piacciono. E non fanno per te, Alice, tu sei una ragazzina tanto garbata. Nemmeno tua madre sarebbe felice di – » Ma lo freno, forse infastidita di tutta la sua tiritera. E' che Joseph non conosce tante cose, come la voglia che ho avuto di sprofondare, cadendo negli abissi più assoluti, e la colpa è stata anche sua. Calum ed i ragazzi mi hanno aiutato in un momento in cui non c'è stato nessuno, nemmeno lui.
«Non dovresti parlare così di loro, sono miei amici! » Rispondo, alzando il tono di un'ottava. Al che Michael getta la sigaretta per terra, calpestandola con l'anfibio. Mi poggia una mano sul braccio e poi mi guarda con aria preoccupata.
Sussurra un “che succede?” ma io scuoto il capo, che di farlo preoccupare per questioni inutili proprio non ho voglia.
« Sono solo preoccupato per te, non mi piacciono. Sono dei tipi strani. Comunque mi piacerebbe vederti, almeno prima che io parta. Ti pregherei di accettare. » E sono confusa, adesso, perché una parte di me grida “no” mentre l'altro lato della coscienza vuole dargli una seconda possibilità.
A lui, l'amico che nonostante tutto è stato un buon motivo per non sentirmi persa e vuota. Ma nonostante questo penso ad Ashton, e so che la cosa peggiorerebbe troppo, considerando l'odio viscerale che riserva verso Joseph, basti pensare come ha abbandonato il ristorante qualche giorno fa.
« Ci devo pensare... » Sussurro, perché – davvero – una risposta così su due piedi non saprei darla.
Lo sento sospirare dall'altra parte della cornetta « Va bene, mandami un messaggio appena hai deciso. Non dimenticarlo Alice, dobbiamo recuperare il tempo perso.»
E non lo dico, ma ormai è troppo tardi. Per lui, per me, per quel noi che mai ci sarà. Perché il noi, adesso, lo voglio con una persona che non è di certo lui. Nonostante una parte di me è pur sempre legata a Joseph.

« Alice, dobbiamo parlare.»
Sono rientrata da poco a casa, con Michael che sistema la giacca sull'appendiabiti sempre pieno, Luke sta giocando alla play station. Mi guardo intorno, alla ricerca di Ashton ma lui non c'è. E mi chiedo dove sia finito, che avercelo tra i piedi – seppur non mi parli – mi piace da impazzire.
Ho paura che combini qualcosa, come quando si è ubriacato sbarra preso stupefacenti fino a svenire. La paura di perderlo è troppa, perché finalmente ho capito con chi potrei essere felice. Se solo non fosse così testardo già lo saprebbe, ma l'orgoglio maschile non si può combattere, l'ho imparato a mie spese.
Guardo Michael, che però scrolla le spalle. Probabilmente lui non conosce il discorso che io e Calum dobbiamo intraprendere. Tuttavia fa segno a Luke di seguirlo, sparendo da tutt'altra parte.
Io e mio fratello, adesso, siamo l'uno di fronte all'altro. Con me che attorciglio le dita nervosamente, e lui che sembra mantenere qualche attacco d'ira.
« Siediti. » Dice, ed un po' mi ricorda mia madre quando ha dovuto sputarmi la verità. Il cuore prende a palpitare forte, ma faccio ciò che mi è stato richiesto.
Lui fa altrettanto, e poi mi fissa con occhi di chi deve affrontare un discorso delicato.
« Alice, ascolta. Non pensare che io sia stronzo o chissà cosa. »
« Ma io questo non – »
« Fammi finire. Alice, non è che a me Ashton non piaccia. E' solo che conosco la sua vita, come la conduceva prima e come la conduceva adesso. So che ha passato momenti difficili, ch'è stato distrutto tante volte e che si è rialzato. Da solo, ammaccato, spezzato, rotto, privo di vita, senza sorrisi, senza famiglia, con la mancanza di lottare, ma si è rialzato. Certo, è lodevole da parte sua, ma quando qualcosa si rompe o spezza capirai che non è più come prima. » Deglutisco, gli occhi che si riempiono di lacrime che però non scendono, il respiro che mi muore in gola e la consapevolezza che dovrò affrontare qualcosa molto più grande di me.
Calum scuote il capo, mordendosi le labbra, mentre io attendo il seguito.
« Ashton è mio amico, gli voglio un bene dell'anima. Ma è impulsivo, facilmente irascibile, capriccioso, orgoglioso, schivo. E tantissime altre cose che nemmeno ricordo. Ho imparato a conoscerlo, a volergli bene comunque perché è così che fanno gli amici. Ma tu, Alice?
Tu di che pasta sei fatta? Saresti in grado di amare un cuore che ti chiude le porte non appena litigate? Che barrica il sentiero per non farsi conoscere? Un cuore di pietra che difficilmente si può levigare? Alice tu ce la faresti? Ad un amore così difficile? Tu che hai bisogno di qualcuno più... per te. Più dolce, come te. Non sto dicendo che Ashton non sia un buon partito, ma è quello meno adatto. »
Apprezzo lo sforzo di mio fratello, che nonostante tutto l'odio che ha dimostrato quel giorno, con me ed Ashton, stava solo cercando di proteggermi.
Sfioro il suo braccio, passando l'indice e solleticandogli la pelle. Lui accenna un lieve sorriso, prendendo poi la mia mano per lasciare un dolce bacio di chi vuole farsi perdonare. E vorrei dirgli che non serve, perché non ha nulla da scusarsi. Apprezzo il suo amore per me.
E glielo sto quasi per dire, quando in cucina irrompe Ashton. L'aria perennemente incazzata, l'asciugamano sulla spalla ed il viso imperlato di sudore.
Mi alzo di botto, quasi come se avessi una molla pronta a farmi scattare e mi volto verso lui.
« Tua sorella è grande abbastanza da decidere con chi stare, sono stato chiaro?» Ha sentito tutto, allora.
Calum è leggermente sconvolto, perché probabilmente non aveva valutato la presenza di Ashton in casa, cosa che nemmeno io avevo fatto. Ma non mi meraviglia tutto ciò; lo conosco. So quanto sia taciturno; 'ché se è in casa oppure no, la differenza non si nota.
« Perché non me lo dici in faccia quello che hai detto a lei, ah? Cos'è te la fai nei pantaloni?» Ringhia, avvicinandosi al viso di mio fratello. E le cose stanno nuovamente degenerando, che se prima – forse – erano amici, adesso sembrano due rivali in perenne lotta.
Afferro da un polso Ashton « Ti prego, smettila. »
« Tu non dici nulla, Alice? Te ne stai zitta?» I suoi occhi pieni di odio che bruciano la mia figura.
« Possiamo parlarne con calma? Per favore, ti prego Ash! » ma non ricevo risposta, afferra una bottiglia d'acqua dal frigo e percorre nuovamente le scale, tornando al suo silenzio che fa male.
Guardo Calum, che ormai ha scelto il mutismo come argomento, e poi seguo l'altro per le scale.
La porta ormai non è più aperta, so che faticherò per entrarci.
« Ashton... apri per piacere.»
Stranamente lui accoglie la mia richiesta, fa scattare la chiave ed io mi ritrovo ad abbassare la maniglia, entrando nella sua stanza.
Lui poggia i pesi per terra, cacciando via il sudore con l'ausilio della stuoia pulita.
« Che vuoi, Alice? »
« Calum stava cercando di – »
« Non m'interessa cosa stava cercando di fare, non sono nemmeno convinto di volerti più vedere, ad essere onesto. » Alla sua affermazione il mondo comincia a ruotare vorticosamente, il pavimento che torna a sgretolarsi e la voglia di piangere imminente. Le mie viscere vengono sbatacchiate con la stessa frequenza di chi sbatte un uovo in padella. Le mie gambe si fanno molli, come pasta frolla.
« Cosa? »
« Guada in faccia la realtà Alice, siamo troppo diversi. » Ma ho sempre letto che la diversità è bella, che due persone si amano perché non sono uguali. E non potrò resistere. Come farò adesso? Come farò, adesso che sono nuovamente innamorata?
Perché non è possibile che stia succedendo di nuovo, con l'ultima metà del mio cuore che ama e con quella dell'altro che cerca di allontanarmi.
Mi sento morire, mi sento un vero schifo, di nuovo.
« No! No, ti prego tu non puoi dire questo! »
« Senti non pensare che a me piaccia dire queste cose, intesi?» Dal canto suo non si alza dal letto, rimane seduto mentre guarda il pavimento passandosi l'asciugamano tra le mani.
« Allora dimmelo! Dimmelo mentre mi guardi in faccia! » Il mio tono che si altera, la voce che sale di un'ottava e la consapevolezza di sembrare una pazza isterica. Stringo i pugni, mentre annaspo aria. I singhiozzi che echeggiano nella stanza distruggono il silenzio.
Ashton alza il capo, guardandomi, lo vedo deglutire e subito dopo sospirare. Poi getta l'asciugamano per terra, si alza furiosamente e mi sbatte contro la porta. La sua bocca sulla mia in un gesto morbosamente bisognoso, che probabilmente non avrebbe nemmeno chiesto. Perché comincio a conoscerlo ed a prevedere le sue mosse.
E mi chiedo quanto possa piacergli un bacio interrotto dai singhiozzi, impastato da lacrime amare, salate.
Mi chiedo quanto possa interessargli un Alice così, brutta e spelacchiata, con i capelli arruffati di chi non ce la fa più a lottare contro cause perse.
Il mio cuore, l'ultima parte di esso, l'ho dato a lui ed a me non resta più nulla. Cosa ne rimane di me, ora che sono vuota del tutto? A chi mi aggrappo se l'ultimo appiglio sta scivolando?
Ho così tante domande che muoiono tra le labbra di Ashton, mentre le nostre lingue si carezzano e le mani si cercano.
Le mie vanno a posarsi sul suo viso, carezzandogli le guance, scendendo poi lungo il mento per sfiorare il filo invisibile di barba che mi solletica le dita. Le sue, invece, si aggrappano al mio bacino, per unirmi meglio.
Ed i nostri corpi si uniscono di nuovo, come tasselli di un puzzle che viene risolto.
E noi siamo quel puzzle che mai si completerà, consapevoli – però – di essere due pezzi fondamentali per chiudere l'immagine.
Ashton indietreggia, portandomi con se, poi mi fa stendere sul letto ed infine sbottona la mia camicetta rossa.
Ben presto ci ritroviamo ad essere privi di ogni indumento, ed è forse giusto così. Perché entrambi siamo vittime di un mondo troppo amaro, sbagliato, ingiusto. L'amore sarà l'unica cosa in grado di salvarci.

« Ehi, ti ho fatto male? » Ashton copre il mio corpo, spostando meglio la coperta su di me. Poggia poi il capo sul mio petto, ed io affondo le dita nelle sue ciocche ricce.
E' meravigliosamente bello questo momento, se solo potessi fermerei il tempo per godermelo a pieno. Non l'ho mai visto così tranquillo, solo poche volte, e se fare l'amore lo rasserena, giuro, potrei farlo miliardi di volte.
« No.» Sussurro, posandogli le labbra sulla fronte. Schiocco un tenero bacio e poi torno a carezzarlo, senza mai distogliere gli occhi dai suoi.
« Non volevo ferirti, Alice. »
« Non è colpa tua, sei sempre sotto stress. » Vorrei tanto dirgli che in questo momento sto così bene da essermi dimenticata tutto il dolore che ha avvolto la mia vita fino a questo momento.
Perché ho sempre sofferto. La mia intera adolescenza è stato un via vai di gente, da quelle più importanti a quelle che contavano di meno. Ho sempre pianto lacrime amare, consapevole che le cose non si sarebbero risolte comunque, ma in un certo senso era uno sfogo, l'unica cosa che potessi fare.
Ora, invece, avvolta in queste coperte, con l'uomo che amo, mi rendo conto che fare l'amore è l'unica soluzione. Essere amata, voluta, desiderata, è la cosa più bella in un mondo pieno di sbagli e distrazioni.
E lo capisco solo adesso, guardando quanto possa essere indifeso Ashton tra le mie braccia, non è lo stesso che ho conosciuto. Ho capito che la vita cambia la gente, che sia in bene o in male, e noi siamo stati solo marionette nelle mani di essa per troppo tempo.
Adesso tocca a noi scegliere di vivere, di star bene, di prendere la strada che possa farci sorridere.
« Sono contenta che tu sia stato il primo, sai? » Sussurrò, accoccolandomi meglio tra le sue braccia. Lui sorride, affondando il viso nell'incavo del mio collo.
« Anche io lo sono. E' stato meraviglioso. »
« Davvero non vuoi più vedermi?»
« Alice, abbiamo appena finito di amarci, credi forse che nelle mie parole c'era un briciolo di verità? Non saremmo nudi sotto le coperte, altrimenti. » Il suo respiro mi solletica la pelle, caldo e delicato è simile ad una carezza gentile.
Le sue mani che vagano sul mio bacino, forse per solleticarmi un po' o magari per avvicinarmi ulteriormente a sé, e, diavolo quanto lo amo!
« Alice, ascolta... la mia vita è sempre stata un vero schifo dico davvero – » Ma lo interrompo, perché già è bastato Michael a raccontarmi le sue sciagurate disavventure. Mi rendo conto che la vita non è gentile con tutti.
« Ehi, non devi dirmi nulla. » Ma lui scuote il capo, mi poggia un dito sulle labbra e poi sorride.
« Lasciami finire. La mia vita è sempre stata tormentata, ho perso i genitori, mia zia, la mia ex mi ha tradito. Insomma guardami, sono un totale disastro. Francamente non avevo granché per essere felice, ecco perché ho sempre allontanato la gente. Tutte le volte che mi affezionavo rischiavo di scottarmi. Ma era diverso dalla semplice scottatura degli adolescenti, la mia era più terribile perché... o morivano, o mi tradivano.» E lo dice così, tra un sussurro e l'altro, mentre i suoi occhi fissano di tutto all'infuori di me. Che forse guardarmi proprio adesso, in un momento così delicato, deve fare abbastanza male.
Ma io rimango in silenzio, accettando le sue scelte, le sue parole, le sue spiegazioni.
Avvolgo le braccia intorno al suo collo, avvicinandolo ulteriormente per non farlo sentire... solo.
« Non è che ti odiavo, quando cercavi di avvicinarti – continua, sorridendomi. Poi sospira e mi sistema meglio alcune ciocche incollate alle guance – sei sempre stata così carina e gentile con me. Ho apprezzato la bandana della bancarella, le tue premure, attenzioni, quando sei salita a portarmi la pizza, quando hai dormito in ospedale vegliando su di me – strabuzzo gli occhi, consapevole che, forse, mi aveva vista – e tantissime altre cose. Sei sempre stata una piccola guerriera. Non ti sei stancata, hai lottato anche solo per conoscermi e ti sono grato. Ma ti prego Alice...» S'interrompe.
Silenzi.
Paura.
Angosce.
Alice e se ti stesse liquidando?” la mia coscienza, di certo, non aiuta. Comincio a tremare sotto ogni suo sguardo, ogni sua parola, mentre sento la gola secca.
« ...non abbandonarmi anche tu.»
E mi sento morire, perché mai, mai, avrei pensato che dalle labbra di Ashton sarebbero state in grado di venir fuori queste parole. Lui, così forte e scontroso, così sicuro di se e pieno di certezze, a supplicarmi di non abbandonarlo. A chiedermi di non andare via, di restare insieme a lui.
«Non potrei farlo.» Gli sussurro, accennando un lieve sorriso. Cerco di trattenere lo strano istinto di piangere, perché al momento non è la cosa più saggia da fare.
Lui mi guarda, aggrottando le sopracciglia. « E perché?»
«Perché io ti – » E la frase rimane così, morta in aria, non appena la porta di Ashton richiama attenzioni.
Strabuzzo gli occhi, mentre mi metto seduta sul letto, coprendomi. Ashton che si alza di fretta e furia raccattando i boxer.
«Cazzo Alice, nasconditi!»
«Ash? Amico, sono Calum.» Tombola. Probabilmente Calum vorrà scusarsi con Ashton, se solo scoprisse che, forse, il suo amico nemmeno ci pensa all'argomento di prima.
Mi alzo dal letto, alla ricerca dell'intimo, poi mi nascondo dietro ad una tenda non troppo scura, mentre prego il Cielo che mio fratello non se ne accorga.
Ashton, dal canto suo, è andato ad aprire, mentre si finge affannato per il troppo allenamento.
E che allenamento, aggiungerei.
«Posso entrare?» Da quel che riesco a vedere, Calum sembra essersi pentito delle cose dette.
L'altro annuisce, sedendosi sul letto sfatto, mentre calcia i miei vestiti sotto il letto. «Cosa c'è, Calum?»
« Mi dispiace per quello che ho detto ad Alice, dico sul serio. Ti voglio bene amico mio, è solo che ho paura lei rimanga...ferita per certi versi.» Deglutisce a fatica, lo sento, probabilmente è la prima volta che lo vedo così pentito di qualcosa, così deciso a scusarsi.
Ed Ashton lo nota pure, scuotendo il capo e sospirando. « E' normale, sei stato sempre lontano da Alice, e capisco la tua preoccupazione. Ma ti prego Calum, ti prego di pensare anche un po' a me.»
« Non dico che non lo sto facendo ma – »
« Calum, a me interessa Alice.»
Non so se Ashton ricorda che io sono dietro la tenda, e che sto ascoltando tutto. Ma la sua frase invade il mio corpo, scava dentro me come alla ricerca di qualcosa. Lame infuocate che strappano e straziano qualsiasi cosa, poi il cuore comincia a palpitare forte.
E giuro che, forse, finalmente ho trovato la parte mancante del mio cuore.




Nda: Hola miei piccoli boccioli di rosa!
Come state? Spero bene! Morgana a rapporto!
Allora, che ne dite di questo capitolo? Finalmente
Ashton tira fuori le palle e fa capire a Calum che, sì,
a lui, di Alice, importa terribilmente. C'è anche un momento
fluffosissimo tra Al ed Ash, pronti a condividere il loro amore
a lasciar perdere il mondo, le paure, le paranoie, per un solo
istante ed amarsi come fosse l'unica cosa in grado di tenerli in vita.
C'è che Calum, però, rimane comunque poco convinto di tutto ciò.
Che si voglia ancora mettere in mezzo? Che voglia ancora mettergli i
bastoni tra le ruote?
Oggi vi lascio con Ashton ed Alice, che sono l'amore proprio ç__ç

 

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Capitolo 18
*** Discoparade. ***


 
18.
 
 
Mi sono sempre reputata una tipa abbastanza sfortuna, ma in tutto in realtà. Che fosse scuola, vita sociale o semplicemente me stessa. Sono sempre stata consapevole di essere sfigata, catalogata come tale da altri, mi sono autoproclamata nerd, perché alla fine quello ero e quello continuavo ad essere.
Alle superiori nessuno mi ha calcolata più del dovuto, poi è arrivato Joseph, e la nostra storia ormai è risaputa fino alla nausea.
Francamente, però, se devo essere onesta, non mi sarei mai aspettata di piacere a qualcuno, perché sono sempre stata distratta, non mi sono mai curata, con il trucco quasi del tutto inesistente, atteggiamenti poco femminili e vestiario rivoluzionario, proprio quello che mia madre non voleva affatto.
Comunque alla fine sono venuta su così, e non mi sono mai curata della gente, dei loro continui pregiudizi o degli eventuali diti puntati su di me.
Ho vissuto, semplicemente questo.
Con me stessa: i miei sbagli, angosce, paure, disperazioni, fasi adolescenziali in grado di sbalzare l'umore, rotta, spezzata, distrutta, ammaccata. Ma ho vissuto, da sola, ma l'ho fatto.
Ed ora, tremante dietro questa tenda, mi rendo conto che qualcuno mi ha notata. Non uno qualunque, ma Ashton. Quello stupido prepotente che mai mi sarei immaginata di poter amare. Non lui, che a detta di Calum è diverso, ma secondo me siamo più uguali di quanto crede.
Il suono delle parole viene ovattato dai miei pensieri che urlano dentro me, l'unica cosa che riesco a capire è che io, ad Ashton, gli piaccio davvero.
Però davvero davvero. Ed è meraviglioso come il mio cuore pulsa di vita propria. Lo sento vivo, lo sento battere, lo sento rinascere ad ogni secondo che passa, perché oltre questa tenda l'uomo che amo si batte per me, per quel noi che forse la vita vuole darci.
« Cosa aspettavi a dirmelo?» Vedo Calum accigliarsi, incrociare le braccia al petto e fissare Ashton.
« Me ne hai dato forse tempo? Non direi.»
« Ash, non voglio che lei soffra, dico sul serio. Potete rimanere amici magari, forse è – » Ashton stringe i pugni, serra la mascella e deglutisce rumorosamente.
Vorrei poter uscire per calmarlo, ma so che peggiorerei le cose.
« Calum non puoi decidere né per me né per tua sorella, devi solo avere fiducia. Non potrei mai farle del male, lo capisci? »
E Calum annuisce, forse rassegnato o magari il suo cervello è tornato a ragionare. Che di allontanarmi da Ashton, io, francamente non ho voglia. Poco m'importa del suo consenso o di un'eventuale benedizione. Che gli piaccia o no, io continuerò a vedere Ashton, a toccarlo, baciarlo, amarci sotto le coperte. E lui non potrà fare molto a riguardo. Ho imparato a ribellarmi e godermi la vita, che sicuramente sono stata troppo ai comandi degli altri non pensando a me. « Lo so, sappi solo che se la dovessi veder piangere a causa tua, non la passerai liscia. » Poi se ne va così, sbattendo la porta che emette un sonoro tonfo, lasciando cadere un piccolo quadro riposto vicino all'orologio a sinistra, appeso al muro.
Esco dal nascondiglio, alla ricerca della maglietta, scaraventata chissà dove.
« A tuo fratello non piace l'idea di me e te.» Sospiro, ne sono consapevole già da me. Mi stendo nuovamente, e poi guardo il soffitto. Ormai è d'abitudine. Quando i miei pensieri si moltiplicano finisco per perdermi ad osservare qualcosa, che sia il soffitto o il cielo non ha poi così tanta importanza.
« Non m'importa, è con te che voglio vivere. » Ashton si stende accanto a me, osservando anche lui il soffitto. E mi chiedo se, come me, abbia le mie stesse abitudini: guardare qualcosa di grande e vasto per distrarsi.
Non dice nulla, non parla. Se ne sta in silenzio a contemplare il perimetro bianco delle pareti, poi però sorride.
Ed è bello vederlo sorridere, che da quando sono qui l'ho visto solo poche volte allegro. Ha sempre avuto quel musone perennemente imbronciato.
Mi basta averlo accanto, adesso, con i suoi riccioli sparsi sul lenzuolo bianco, gli occhi che vagano sopra di lui, e la consapevolezza che probabilmente è nel posto giusto al momento giusto. Qui, insieme a me.
« Potresti dirlo di nuovo?» Sorreggendosi dai gomiti, si sporge in avanti per guardarmi. Il suo sorriso che, finalmente, non si spegne.
« E cosa dovrei dirti?»
« Che vuoi vivere con me, Alice.»
« Voglio vivere con te, Ashton.» Ed il mio cuore palpita troppo velocemente, giuro di poter schiattare da un momento all'altro ma non ha importanza. L'unica cosa che conta è avere Ashton vicino, vederlo felice, sorridente e soprattutto interessato a me. Finalmente a vent'anni ho trovato qualcuno a cui importa sul serio della me stessa che sono, piena di insicurezze e priva di perfezioni.
« Ancora. » Sussurra, avvicinandosi ulteriormente. Sento il suo respiro infrangersi sulla mia pelle pallida, i suoi occhi puntati addosso.
« Voglio vivere con te, Ashton! » E lo dico più convinta, sicura delle parole che escono dalle mie labbra. Intreccio le braccia intorno al suo collo e poi lo faccio stendere su di me.
Le nostre mezze lune che si sfiorano dolcemente, senza nulla di malizioso, e la vita che intorno a noi comincia a nascere.
E quando siamo troppo stanchi e bisognosi di respiro, azzeriamo il bacio ma nessuno si separa dall'altro, 'ché probabilmente anche Ashton si è ritrovato a vivere con un cuore a metà, andando alla ricerca dell'altra parte. Ed ora è dentro me, che batte. Insieme torneremo a vivere, ed i nostri cuori saranno sanati.

«Alice! Mi manchi tantissimo, oddio, finalmente possiamo sentirci!» La voce squillante di Lucy passa oltre la cornetta, rimbombando nel mio orecchio. E' sempre stata così arzilla, lei che non si è mai fatta abbattere dalla vita. Lottatrice in tutto, speranzosa in molte cose, e conscia di tante altre.
E' bello sentirla, dopo tanto tempo, quella ch'è sempre stata una sorella per me che fosse di sangue o non. Lei che mi ha sorretto, sostenuto, aiutato in tutti i momenti grigi dei miei giorni, dove i colori sbiadivano sempre più.
E mi rendo conto che io per Lucy conto molto, che mi tempesta sempre di messaggi e chiamate, ovviamente appena può.
Mi affaccio alla finestra, guardando il meraviglioso tramonto che fa da cornice perfetta alla mia nuova vita.
« Anche tu mi manchi molto, Lu', come sta andando a Stratford?»
« Solita vita, solite cose, solita scuola e soliti genitori. Perché non mi racconti di te, invece? Ne avrai di cose entusiasmanti da dire!» Sorrido, mordendomi il labbro inferiore, perché in effetti adesso ho qualcosa da raccontare.
« In realtà qualcosa c'è... – mi soffermo giusto per pensare che, in realtà, non è più di qualcosa, quello che c'è tra me ed Ashton, effettivamente non so nemmeno cosa siamo – Ashton, te lo ricordi? Ti avevo parlato di lui, beh siamo diventati molto... intimi» E Lucy emette un gridolino, dall'altra parte della cornette, sono certa stia esultando dimenandosi come una pazza sul letto: tipico di lei fare così.
« Oddio, ma state insieme?» Chiede, con quel velo di curiosità che mai l'abbandona.
« No, io ecco – non lo so, credo di no.»
« Ahhh! Ma Alice perché sei sempre così bigotta? Hai vent'anni saltagli addosso!» Rido, perché Lucy non si tiene mai nulla, le cose le sputa così che siano benevole o malevole.
« Ehi, non sono affatto bigotta! E non voglio stargli alle calcagna, magari vuole del tempo!» Perché forse è così, mi sposto dalla finestra, sedendomi sulla branda della mia camera, e poi mi stendo.
« Se siete intimi non credo che tu gli stia alle calcagna, sfrutta l'occasione per saperne qualcosa in più!»Enuncia, più convinta che mai.
Poi qualcuno bussa alla porta, congedo mia sorella ed alla fine vado ad aprire, dandomi una sistemata ai capelli.
Davanti all'uscio c'è Calum, con braccia incrociate e cipiglio fermo. Quasi certamente vorrà delle spiegazioni.
« Ehi. » Sussurro, forse un po' colpevole visto le circostanze. Mi sposto verso destra per lasciarlo entrare, e poi chiudo la porta dietro di me.
« Credo tu debba dirmi qualcosa, Alice. »
Tossisco, le mie mani cominciano a sudare, il battito cardiaco che si altera e la consapevolezza che affronteremo l'argomento di me ed Ashton. Del... noi. « Cosa vuoi sapere?»
« Di te ed Ashton, ad esempio. Di quello che non mi dici ma che, comunque, dovrei sapere. Del fatto che magari dovresti starmi a sentire quando ti dico che secondo me non siete fatti per stare insieme, perché lui è diverso e tu troppo fragile. Alice le cose rotte difficilmente si sanano, te ne rendi conto sì o no? Vuoi romperti anche tu, per caso? Chi ti salverà?» Il respiro sembra morirmi in gola, stringo i pugni conficcandomi le unghie nei palmi ed indietreggio.
Questo non è il Calum che ho conosciuto al mio arrivo. Non sorride più come prima, non è affatto apprensivo e, sebbene continui a ripetermi che lo fa per il mio bene, dubito sia così.
Indietreggio, sbattendo contro il letto ed imprecando mentalmente.
« Perché continui a dirmi tutto questo? Perché non accetti il fatto che io stia provando a star bene, a vivere felice con un uomo realmente interessato a me? Perché Calum? Perché?» Inevitabilmente i miei occhi si colmano di lacrime, che prontamente scendono sulle guance fino a bagnarmele del tutto.
Il cipiglio cattivo di Calum che non si ammorbidisce, e la sua autorità che continua a stancarmi, fratello o non che sia.
« Perché non siete fatti per stare insieme, cazzo!» Ringhia, indispettito.
« E chi lo dice? Dov'è scritto? Tu non sai un bel niente, un bel niente! » Urlo, in preda al panico di perdere qualcuno di così importante. E per la prima volta Calum mi da uno schiaffo, arrossandomi la guancia sinistra.
Poi sgrana gli occhi, forse incredulo di se stesso e del gesto che ha appena fatto, « Alice io – » boccheggia, non sapendo che dire.
Per come la vedo io non è tanto il dolore del ceffone a far male, ma il fatto che a farlo sia stato proprio Calum.
Lo guardo, con odio e smarrimento, perché quello non è più il fratello che ho conosciuto.
« Vattene... » Voglio solo stare sola, adesso, sola con me stessa e con nessun altro.
« Alice, ti prego, non so cosa mi sia preso, io – »
« Vattene! » Urlo, e questa volta la mia voce basta a far capire tutto. Calum lascia la stanza richiudendosi la porta, ed io affogo l'ennesimo pianto sul cuscino.
Perché ormai non è più Ashton o Joseph, a rovinarmi la vita, oramai è Calum a rendermela impossibile. Solo lui ed il suo bene.

Quando scendo al piano di sotto, Luke sta strimpellando la chitarra, seduto sul divano.
Mi guardo intorno, sembra regnare la pace come poche volte da quando sono qui.
Non appena sente i miei passi, smette di suonare e si volta verso le scale.
« Ehi, Alice!» Mi regala uno dei suoi sorrisi che tanto invidio, e poi poggia la chitarra sul sofà.
Mi siedo accanto a lui, non curandomi di avere il trucco sfatto o di apparire orrenda, tanto ormai sono consapevole di essere una discendente di Frankestein.
« Luke...» Lui mi guarda, aggrotta le sopracciglia e si sporge in avanti per osservarmi meglio. Ma questa volta non nasconderò nulla, ed in preda ad un pianto finisco tra le sue braccia, cercando di sfogarmi il più possibile, perché mi serve solo questo.
« Ehi, cos'è successo?» Chiede preoccupato, la sua mano destra che carezza la mia schiena in continuo sussulto a causa dei miei singhiozzi.
« Ho... litigato con – Calum. » Riesco a dire, conscia del fatto che mi ci vogliono secoli per spiaccicare una parola nel bel mezzo del pianto.
Lo sento sospirare contro i miei capelli, e stringermi più forte, e Luke è sempre stato l'amico perfetto, quello ideale che capisce ma chiede poco.
« Immaginavo, l'ho visto andar via parecchio infuriato. Cosa è successo?»
Abbandono l'abbraccio, con entrambi i palmi cerco di scrostare i residui di lacrime che hanno solcato le mie guance, per l'ennesima volta mi guardo intorno e poi sbuffo « Voleva sapere di me ed Ashton, perché lui dice che io nemmeno dovrei provarci con lui. Ma Luke come glielo dico? Che finalmente ho trovato qualcuno in grado di capirmi ed amarmi per quel che sono? Che mi accetta così, con le mie sfaccettature e mille difetti?! Come glielo faccio capire che non penso più al male passato, alla mia adolescenza gettata in un bidone del pattume dal mio migliore amico? Come? Che tutti i mali sono sempre stati alimentati dagli altri, ma che ora invece è lui ad alimentarlo? Come?» E Luke si morde le labbra, noto gli occhi suoi farsi liquidi.
« Tuo fratello è una testa di cazzo, Alice. » Come se non ci fossi arrivata da me, poi.
« Lo so, ma non voglio litigare con lui. Voglio far pace.» Ed ancora, osservo la stanza alla ricerca del moro, perché nonostante lo schiaffo, le urla e qualsiasi altra cosa, sarò io a fare la prima mossa, cercando di farlo ragionare.
Mi alzo dal divano, mentre Luke mi osserva inarcando un sopracciglio « Alice che vuoi fare?»
« Credo che andrò da lui, puoi dirmi dov'è?»
« Alice non credo sia il caso, quando Calum è incazzato va solo in un posto e le ragazze come te non devono affatto andarci, ti prego resta qui, ne parlate domani, intesi?» Inutile dire che le sue parole mi abbiano motivato ulteriormente ad uscire di casa.
Mi dirigo all'entrata, prendendo la mia giacca posta sull'attaccapanni « Dove posso trovarlo?»
« Alice, davvero, non è il caso di – »
« Dove, Luke?» Che tanto non mi fermerà, né lui né nessun altro. Rassegnato mi indica il posto, ed infine vado via, perché non posso permettere a mio fratello di rovinarsi la vita. E' giusto che a salvarci siamo entrambi, in modo strano, rude, inammissibile, sbagliato o giusto che sia, ma l'importante è salvarci.
Corro tra le strade di Sydney che, ormai, viene illuminata dai lampioni alla ricerca del locale che in cui lo troverò.
Mi faccio largo tra la gente, che ancora a vent'anni sono sprovvista di patente e macchina, ed è una vera scocciatura.
Sono pure costretta a prendere un bus, per fare più in fretta, perché di perdere tempo proprio non ho voglia. Ogni attimo è prezioso.
Poi finalmente arrivo, e mai avrei immaginato che per distrarsi avesse bisogno di recarsi proprio in una discoteca.
Sgrano gli occhi, osservo l'insegna fluo rosa targata Discoparade e mi faccio largo tra la folla, peccato che, una volta arrivata davanti a due body-guard questi mi bloccano. Non riesco a vedere i loro occhi, coperti da delle lenti scure incastonate in una spessa montatura.
« Biglietto, prego. » Biglietto? Devo avere un cazzo di biglietto? Perché Luke non me l'ha detto? E che diavolo faccio adesso?
Mi guardo intorno, mentre la folla comincia a borbottare tra loro, sono consapevole che stia intralciando il passaggio di tantissimi altri ragazzi che il biglietto lo hanno già.
« Biglietto?» Chiedo, con fare preoccupato.
« Senti pupetta, se non hai il biglietto non entri, chiaro? Ed ora spostati che c'è gente che deve entrare, stai solo intralciando la fila. » Mi comunica uno dei due, ed in effetti ha ragione. Ma io devo entrare, mio fratello è lì dentro e di certo non lo lascerò a distruggersi per uno stupido litigio.
Comunque sia tra i vari spintoni della folla, esco dalla coda, mentre osservo la porta che si chiude e riapre ogni qualvolta deve entrare qualcuno.
Alice, quanto sei stupida, prova sul retro, dove scaricano i rifiuti mi suggerisce la coscienza, la stessa che tante volte non ho ascoltato ma che, questa volta, mi sta tornando utile. A grandi falcate percorro il retro del locale, mentre odo una musica assordante che rimbomba tra le pareti, così come nella mia mente.
E mi chiedo perché la gente ami accalcarsi, incollarsi tra loro con sudore e saliva. E' davvero nauseabondo anche il solo pensarci.
Apro la porta, mentre un'ondata di fumo invade le mie narici, la richiudo subito dopo ritrovandomi dentro il locale.
Ed ora anche io ho i corpi ammassati della gente, addosso, mentre tra spintoni vari avanzo alla ricerca di mio fratello, inutile dire che le mani pronte a toccarmi il sedere sono tante quando le ventose nelle branchie di un polpo. Assurdo!
E sto perdendo le speranze, perché Calum non riesco proprio a trovarlo, c'è troppa gente e mi è impossibile notarlo.
Ma continuo imperterrita, perché non me ne andrò da qui senza di lui, sono decisa a ritrovarlo.
Quando, ormai, sono quasi del tutto arrivata dall'altra parte della sala, lo noto seduto ad un bancone, a limonare con una che – francamente – non avevo mai visto.
Avanzo verso di lui, facendomi largo tra l'orda di gente appiccicaticcia, « Calum! » stringo i pugni nella speranza di reprimere l'ira.
Mio fratello azzera i contatti con la marpiona, mentre i suoi occhi scuri mi fissano sbigottito. La ragazza, invece, è incollata al suo corpo come fosse una sanguisuga, deduco sia una troietta pagata per pochi spiccioli a giudicare dall'abbigliamento che indossa.
« Alice? » Mi guarda. Scosta le mani della sua amica dal suo petto, e poi si alza dallo sgabello, barcollando. A stento si regge in piedi.
« Strano ma vero, sono proprio io. Facciamo che ce ne torniamo subito a casa ed usciamo da questo posto squallido? » Chiedo, comportandomi in maniera esemplare. Mi stupisco di me stessa, sto davvero trattenendo abbastanza bene l'ira.
Tuttavia, la ragazza incollata a lui gli si fionda nuovamente addosso, le braccia pronte ad aggrovigliarsi dietro il suo collo, come fosse cordame di nave. Gli sussurra qualcosa all'orecchio, mentre Calum accenna un flebile sorriso, andandosi a mordicchiare il labbro inferiore subito dopo « Magari dopo Alice, ho da fare adesso, vattene a casa.»
« Io non me ne vado da nessuna parte, dobbiamo tornare a casa. Insieme. E chi è questa? Calum da quando paghi le troie per assurdi servizietti? Perché non ti trovi una cazzo di ragazza, invece che una puttanella? » E non mi rendo nemmeno conto, ma la mia voce si alza di un'ottava. La ragazza addosso a Calum si alza, avanza verso me e solleva il braccio pronta a darmi uno schiaffo, chiudo gli occhi per attendere la mia punizione, ma non arriva nulla.
Quando apro gli occhi, Calum sta stringendo il polso della ragazza – tra le sue dita snelle – così tanto forte che riesco a notare come i suoi polpastrelli siano sbiancati.
E non dice più nulla, poggia una lauda mancia sul bancone e poi prende me, per un polso, mentre lascia quello della giovane, ed insieme ci dirigiamo fuori.
Una volta all'aria aperta, inspiro a pieni polmoni il buon profumo della brezza naturale. Calum a stento si regge in piedi, è ubriaco fradicio « Cal... perché?»
Lui scuote il capo, mordendosi il labbro inferiore, mentre cerchiamo di avanzare per allontanarci dal Discoparade.
« Perdonami, se puoi, Alice.»
« Ma certo che ti perdono, stupido, sei mio fratello. » E lo noto, adesso, il suo sorriso accennato. La voglia di stringerlo è tanta, ma ho quasi paura di fargli male. In questo preciso momento sembra essere così fragile.
« Alice – aspetta...» Mi volto, e lui fa segno di guardare in un'altra direzione, ma non lo sto ad ascoltare.
Lo noto girarsi, per poi chinarsi su se stesso ed infine rigettare tutto l'alcool assunto nelle ore precedenti.
Mi avvicino a lui, e dolcemente gli scosto i capelli dal volto, poggiando poi la mano sulla sua fronte, e ce ne stiamo così, fino a quando Calum non smette con i suoi conati di vomito. Poi si accascia a terra, tremante, mentre io mi siedo accanto a lui, su di un marciapiedi.
« Non andare mai più in quel postaccio, intesi?» E spero davvero lui non lo faccia di nuovo, perché lo strangolerei con le mie stesse mani, questa volta.
« Promesso, capo. » Dice, tra un sussurro e l'altro. Ha gli occhi socchiusi, e sta cercando di regolarizzare il respiro. Ed io mi auguro che ci riesca, perché è tanto sconvolto forse per lo schiaffo o per il posto assurdo in cui si era andato a ficcare.
« Chiamo Ashton, così viene a prenderci.»
Digito frettolosamente il numero di Ash, il suo cellulare squilla ma non lo prende.
« Alice, sicuramente starà dormendo, è già tardi. Pian piano arriveremo a casa con i nostri piedi. » Non so quanto possiamo andare lontani, con lui conciato in questo stato, ma annuisco rassegnata.
L'aiuto a sollevarsi, scosso dal senso di nausea riesce a tirarsi in piedi. Poggio la mano dietro la sua schiena, e riprendiamo a camminare.
Ma mentre continuiamo a dirigerci nella via del ritorno, una macchina nera, lussuosa, si accosta a noi.
Dubito ci conosca, perché Calum non ha amici con auto così. Quando il finestrino automatico viene abbassato, quasi non mi strozzo con la mia stessa saliva, non può essere.
« Alice, dai salite. » Joseph, abbozza un sorriso, mentre mi apre la portiera. Calum, sebbene non gli sia mai andato a genio Jo', sembra non obbiettare. Probabilmente è troppo scosso.
Mi fa segno di farlo stendere dietro, sui sedili posteriori.
Una volta seduta al lato passeggerò, partiamo a gran velocità, mentre Joseph guarda la strada che gli sta davanti.
« Che ci fai in giro per Sydney a quest'ora, Alice?» Mi chiede. Ed io stringo i pugni, poggiandoli sulle cosce, ingoio un groppone formatosi all'altezza della trachea e poi distolgo lo sguardo, fissando lo scorrere del paesaggio fuori dal finestrino.
« Va bene, non serve dirlo. Ci arrivo da solo, tuo fratello si è cacciato nei casini, mi pare pure ovvio. » Ma io continui a non parlare, perché Joseph ci ha azzeccato in pieno.
Sospiro, mentre noto come i lampioni illuminino piacevolmente le strade di Sydney, ora prospettata più sulla tranquillità della notte.
« Non mi hai più chiamato, poi, dovevamo cenare insieme. » Ed io che pensavo lo avesse dimenticato. Mi volto per guardarlo, ma lui non ricambia. Continua a tenere gli occhi fissi sulla strada.
« Sono stata parecchio impegnata, a dire il vero. Ho – »
« Hai dovuto fare da balia? Tenere la fronte a tuo fratello per quante volte ha rigettato l'anima? O magari fare le faccende domestiche? » Joseph accosta, ormai arrivati nel vialetto di casa mia.
« No, ho avuto semplicemente da fare. » Delucido, perché è vero. Ed a differenza di quello che crede lui, io sto bene con i ragazzi.
« Alice non dire stronzate, a me non piace l'andamento di questi quattro cafoni, perché sono solo dei cafoni. Che futuro puoi avere tu, con questi stupidi fantocci?» Dice, con cipiglio severo. Lo vorrei quasi prendere a pugni, ma mi blocco consapevole che non ci riuscirei. Non a lui.
« Mi parli tu di futuro? Quando te ne sei andato senza degnarmi di un saluto? Senza venire da me per parlarne? Tu mi parli di futuro quando sei stato tu a cambiarmelo? Facendomi diventare quella che sono adesso, piena di paure e paranoie? Non ti sembra una carognata parlarmi di futuro, Joseph? » E lui stringe i pugni, da una rapida occhiata ai sedili posteriori, dove un Calum completamente rilassato sta finalmente dormendo.
Poi torna a guardarmi, e di scatto si avvicina a me.
Io sgrano gli occhi, incredula « Joseph, che stai facendo?» perché davvero non lo capisco. Lo scosto, prima che possa fare una stronzata colossale.
« Sto facendo quello che avrei dovuto fare molto prima, ma che non sono stato in grado di fare. » Continua, senza mai allontanarsi, anzi si avvicina ulteriormente. Riesco a sentire il suo buon profumo mascolino, mentre la vicinanza si fa sempre più evidente.
« Joseph, ti prego...»
« Sappiamo entrambi che siamo fatti per stare insieme, Alice, non negarlo. » La sua voce sembra così sicura, così decisa, quasi come se stessi sognando ritrovandomi il Joseph perfido di qualche settimana fa, apparso in sogno.
Apro la portiera della macchina, facendo la stessa cosa con quella posteriore, una volta scesa.
E quando finalmente mio fratello si sveglia, guardandosi intorno ed uscendo dall'auto barcollando, guardo Joseph, che mi fissa imperterrito, con i suoi grandi occhi nero pece.
« Buonanotte, Alice. » Dice, mentre solleva i finestrini, riesco solo a vedere la macchina partire con gran velocità, mentre finalmente io e Calum entriamo a casa.


Nda: Hola bimbi! ç_____ç
Come state? Spero bene! Caldo ne sentite? Io
personalmente avrò già bevuto due litri d'acqua, manco fossi un cammello!
Comunque, bando alle ciance, in questo capitolo succedono tantissime cose
C'è che Calum mosso dall'impulso da uno schiaffo ad Alice, però poi se ne pente.
La ragazza ci rimane molto male, ma credo sia evidente visto quanto tenga a Calum.
Ad ogni modo, poi lo ripesca in un locale da quattro spicci, incollato ad una piovra succhia sangue
ed allora mossa dall'irrefrenabile voglia di dimenticare quella vicenda, Alice lo riporta a casa.
E in chi si imbatte? Proprio in Joseph. Che sia sfortuna o fortuna? Voi che ne dite?
C'è da dire che Joseph stava per baciarla, secondo voi cosa succederà ora?
Come sempre vi ringrazio per essere arrivati sin qui, la storia sta giungendo al termine, omg solo altri
due capitoli ç___ç
Spero di non deludervi.
Un bacione grande.

Oggi vi lascio con Calum e Joseph!

Madam Morgana.


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Capitolo 19
*** Decisioni e Paure. ***


                                                  



19.

« Alice, se non gli dirai nulla s'incazzerà. » M'informa Calum, mentre stropiccia i suoi occhi. Si è svegliato da poco, ed io gli ho portato la colazione. Pensavo non avesse visto chi ci aveva riportato a casa, ma invece mi sbagliavo. Era semplicemente troppo sbronzo per replicare, aveva bisogno di aiuto.
Calum sa bene chi ci ha riportato a casa, sa di Joseph e del suo gesto.

Abbiamo discusso sull'accaduto, e mi ha ripromesso di non fare più sciocchezze simili. Sono felice di ciò, ma una cosa mi logora l'anima. Il gesto di Joseph e di quello che sono stata in grado di fermare.
Joseph ha provato a baciarmi, così, di punto in bianco, come fosse una cosa naturale. Come se io continuassi a volere lui mentre invece non è più così. Vorrei tenerlo nascosto ad Ashton, per il semplice fatto che conosco il suo carattere e non la prenderà bene. Ma Calum non la pensa così.
« E come glielo dico? Non è semplice, sai? » Sbuffo, guardandomi intorno. Sono le otto del mattino e tutti ancora dormono. Gli unici ad essere svegli, in casa, siamo io e Calum... e Luke che canta sotto la doccia.
« Posso immaginare, ma se Ashton dovesse notare che tu gli tieni nascoste le cose, s'incazzerà a morte. E visto che non posso dividervi, almeno lasciati consigliare. » In un certo senso credo che l'episodio di ieri non sia stato così tragico, almeno adesso mio fratello ha capito realmente le mie intenzioni, le mie idee non cambieranno riguardo Ashton, che forse è l'unico in grado di rendermi felice.
Ed allora lo stringo, Calum, nonostante i miei abbracci non possono essere paragonati ai suoi così belli e pieni di sentimento.
Ma ci provo, 'ché voglio fargli capire quanto lui conti per me. Quanto ha fatto, in questi giorni, quanto mi ha aiutato, sollevato, sostenuto. E nonostante tutto sono cresciuta, ancora, grazie a lui, a loro. Alla mia nuova famiglia.
E sono maturata, consapevole che l'amore o lo vivi o lo rimpiangi. Ed io sono stanca di rimpiangere le cose, che siano persone o sentimenti. Adesso voglio vivere il mio amore con Ashton, e voglio farlo nel pieno dei miei anni, con la consapevolezza che tutto può essere meraviglioso a vent'anni.
« Perfetto, allora lo faccio. Io – vado in camera sua. » Le mani cominciano a sudarmi leggermente e sebbene io le abbia pulite sul pantalone, queste tornano ad inumidirsi.
Mi alzo dal sofà, guardo Calum che scrolla le spalle e poi mi precipito di sopra, salendo le scale.
La stanza di Ashton ancora è chiusa, simbolo ch'è assorto ancora nel mondo dei sogni.
Tintinnante picchietto le nocche sul legno color cioccolato, ed aspetto la sua apertura. Se Ashton dovesse non aprirmi, non busserò ulteriormente. Magari è destino che io mi tenga tutto dentro, chi lo sa.

Attendo.
Ed i minuti non mi sono mai sembrati così lunghi. Mi guardo intorno, poi fisso il parquet, poi le pareti infine il soffitto. Quando quasi sto per andar via, la porta si apre rivelando un Ashton con il volto ancora impastocchiato dal sonno ed i riccioli cotonati.
Oddio che tenero, dorme in tutta!

Calma, Alice, calma.
« Alice, ma chi ti ha buttato dal letto? Sono solo le otto, bambolina.» Non ci voleva. Quel nomignolo non ci voleva proprio.
Sento le guance andare in fiamme, contorco le mani in gesti convulsi e poi borbotto qualcosa che lo fa ridere. Nemmeno io so cosa ho effettivamente detto.
« Io, uhm, posso entrare?» chiedo, e lui annuisce abbozzando un sorriso. Probabilmente si è svegliato di buon umore, ed io quasi certamente glielo distruggerò, dannazione.
Avanzo, entrando nella sua camera dove regna un disordine disumano. Poi mi siedo sul suo letto, mentre lui fa altrettanto.
« Non mi sarei potuto svegliare in maniera migliore. » Sussurra.
Dolcemente si avvicina a me, e poggia le labbra sulle mie.
E giuro, potrebbe finire il mondo ma noi no.
Potrei smettere di respirare ma lui sarebbe l'aria che mi manca.
E potrei smettere di vivere, ma mai di amarlo.
Perché Ashton ha cambiato la mia vita, giorno dopo giorno, lentamente. In maniera graduale si è impossessato della mia unica metà di cuore, e poi l'ha preso con se, incollandolo alla sua metà. Ed ora, finalmente, torniamo a vivere. In simbiosi, con un cuore solo, ma viviamo.
Le nostre lingue danzano indisturbate, ci studiamo per minuti che sembrano farsi ore, poi ci allontaniamo quando – stanchi – andiamo alla ricerca d'aria.
«Alice, sei bellissima. » Ed io lo stringo, perché potrebbero portarmi via tutto ma non Ashton. Non lui che mi ha insegnato a lottare, vivere, sperare e credere che tutto sia possibile.
Lo stringo forte, per paura di perderlo. Per paura di vederlo sparire, svanire come fumo in balia del vento.
« Ash? » Sussurro, quasi come se non volessi interrompere il momento. So ch'è inappropriato, ma proprio devo dirglielo.
« Mh?» Mugugna lui, probabilmente avvolto nel dolce tepore dell'amore.
« Dobbiamo parlare. » Ed a quelle parole lui si allontana. I suoi occhi s'accendono, impaurito mi fissa. Aggrotta le sopracciglia e deglutisce.
« C'è qualcosa che non va, Alice? » Mi chiede, ed io vorrei dirgli che non è lui il problema. Che il vero problema, alla base di tutto, è sempre stato Joseph. Me lo trascino dall'adolescenza questo cazzo di problema.
« No, ecco – io, cioè... tu non - »
« Alice, dimmi semplicemente dove ho sbagliato. » Scuoto freneticamente la testa, perché non voglio che pensi sia lui il problema.
Come può essere il problema quando, invece, lui è il rimedio?

« Non sei tu il problema, Ash. »
« Allora dimmi cosa c'è che non va!» la sua voce si alza di un'ottava, e comprendo a pieno che ben presto ci ritroveremo a discutere.
Deglutisco, sento il cuore salirmi in gola. Giuro, potrei vomitarlo da un momento all'altro. Gli occhi prendono a pizzicare e le mani si stringono a pugno.
« L'altra sera io e Calum abbiamo litigato, comunque poi lui è andato via. Luke mi ha detto che avrei potuto trovarlo al Discoparade ed allora ci sono andata. Comunque quando l'ho pescato era ubriaco fradicio, allora quando siamo usciti dal locale ci stavamo avviando per tornare a casa, ma eravamo a piedi. Joseph mi ha riaccompagnato a casa... » Ashton tira un sospiro di sollievo, quasi come se la cosa non fosse stata una tragedia, quello che non sa è che, il peggio, deve ancora venire.
«Ehi, guarda che non sono un tiranno, mi fa piacere ti abbia aiutata. » Dice, forse trattenendo l'ira. Perché tanto lo so che non sopporta Joseph tanto quanto Calum.
« Non è solo questo, Ash. » Sussurro, trattenendo le lacrime.
« Cos'altro c'è, allora? »
« Joseph ha provato a... baciarmi. » La frase basta per far scattare Ashton dal letto.
Nervosamente si passa le mani tra i capelli sfatti, guardandosi intorno alla ricerca di tutto e niente. « L'ha fatto? » Ringhia.
Le lacrime cominciano a scendere dal volto, indisturbate, 'ché se anche desiderassi cacciarle indietro proprio non ci riuscirei. Sento il respiro morirmi in gola, così come le parole che non riesco a far uscire dalle mie labbra.
Ashton, allora, mi scrolla le spalle. L'ira è incastrata nei suoi occhi di smeraldo « Alice ti ha baciata? Sì o no? Cazzo!»
« No! No, non l'ha fatto! Io l'ho respinto! Però ti prego non fare così! »
Ashton scuote il capo, si passa nuovamente le mani tra i capelli e torna a far guizzare gli occhi iniettati di sangue da una parte all'altra della stanza.
« Dammi il tuo cellulare. » Non è una domanda, la sua, suona più come un'ordine. Sgrano gli occhi, incapace di capire le sue idee o i suoi pensieri.
« Che vuoi fare? » Chiedo.
« Alice dammi 'sto cazzo di telefono! » Grida, tant'è che Michael – sentendo le urla dalla sua stanza, probabilmente – si è svegliato. Aprendo la porta di Ash, lo nota adirato.
Mi fissa e sospira, massaggiandosi le tempie.
« Ragazzi, sono solo le otto e mezza del mattino, che ne dite se ci diamo tutti una calmata, eh? » Dice, lasciandosi sfuggire un sonoro sbadiglio.
Il maggiore, allora, lo addita mentre riprende ad urlare. « L'amico di Alice ha provato a baciarla e tu mi dici di stare calmo? Sei pazzo spero! »
Michael sgrana gli occhi, confuso e, sì, anche sorpreso. «Cosa? Davvero Alice? »
Annuisco, mentre ormai le lacrime vagano indisturbate sul mio volto. E mi chiedo perché Joseph debba continuamente rovinarmela, questa vita. Che sia lontano, vicino, o anche un semplice suo sorriso, non mi ha mai migliorato l'esistenza. Ha distrutto sogni, interi palazzi di speranze, ambizioni e passioni. Ha sempre fatto crollare il mio mondo, lasciandomi in miseria. Ed ora che avevo trovato la mia roccia, sta provando a martellarla per poterla sgretolare.
« Bene, non mi dai il cellulare? Me lo vado a prendere da solo. » Ed allora torno in me, i pensieri cessano nel momento in cui Ashton esce dalla stanza, spostandosi Michael.
« Alice, che sta succedendo? » La testa di Luke fa capolino dalla sua porta, il gran trambusto ha svegliato tutti, che casino!
Seguo Ashton, che ormai sarà già nella mia stanza.

Infatti lo trovo a rovistare nella mia tracolla, alla ricerca del cellulare. Sebbene stia provando a fargli togliere le manacce dalla mia borsa, non ci riesco. La mia forza è inferiore alla sua.
« Ashton, ti prego. Ragiona! Non sono stata io, non è stata colpa mia non – »
« Alice, forse non hai capito che non me ne frega un cazzo di chi è la colpa. Quel verme nemmeno doveva provarci. » Sbotta. Infine trova il cellulare – dapprima riposto nella taschina esterna della borsa – sblocca lo schermo ed apre la rubrica.
Ashton sgrana gli occhi nel momento in cui, un nuovo messaggio ancora non letto, appare nella schermata del dispositivo.

 Perfetto, ti manda anche i messaggi adesso. » Ringhia, lanciando il cellulare sul letto.
L'afferro da entrambe le spalle, cerco di scrollarlo con tutta la forza possibile.
I miei occhi bagnati vanno alla ricerca dei suoi, che non mi guardano più come facevano qualche minuto prima.
« Qualsiasi cosa ci sia scritta in quel messaggio a me non importa. Ashton io è te che voglio, è con te che voglio stare, vivere, gioire ed anche piangere. Di Joseph non me ne frega più niente! » La mia voce si alza di un'ottava, perché comincio ad essere stanca di tutto. Di me, di Joseph, della mia vita che prima mi sorride e poi mi da pugni in faccia.
Dal canto suo, non vedo nessun miglioramento. Scrolla le mie mani dalle sue spalle e poi va' via, con quei occhi pieni d'odio che mi pugnalano il cuore.
E mi chiedo cosa ci fosse scritto in quello stupido messaggio.
Incuriosita sblocco lo schermo e...

« Alice, dove stai andando? » Calum smette di giocare alla playstation, si alza e mi fissa.
I suoi occhi color cioccolato sembrano amareggiati, simbolo che, sì, si è pentito di ciò che ha fatto precedentemente. Spero che lui non si presenti più in locali come il Discoparade.
Tuttavia non ho tempo per discutere, né rimanere a farci quattro coccole fraterne.
Afferro la giacca dall'appendiabiti, mi sistemo i capelli e mi avvicino alla porta. Sto per uscire, quando lui mi blocca. Costretta a voltarmi, noto uno sguardo impaurito, sgomentato.

« Alice? »
« Non posso rimanere Calum, ho fretta. Ti prego fammi andare o quei due si picchieranno. » Calum sgrana gli occhi, forse incredulo o magari sorpreso.
« Che succede? » Chiede, perché so che tutta questa situazione comincia ad essere insostenibile anche per lui. Sarebbe troppo per ogni essere umano.
« Potresti accompagnarmi nel bar al centro? Per piacere Calum, è importante!» Cerco di trattenere i singhiozzi, ma essi vengono fuori con arroganza e prepotenza. Ricordandomi che, ormai, sono gli unici veri amici che ho.
Ed allora Calum non chiede nient'altro. Sospira, afferra le chiavi dell'auto poste sul piattino in ceramica del mobiletto ed andiamo via.
Il tragitto è silenzioso, l'unica cosa che lo spezza è il mio singhiozzare perenne.
« Non sopporto vederti così, Alice.» Dice mio fratello, mentre continua a tenere gli occhi puntati sulla strada.
« Non doveva tornare Joseph, è tutta colpa sua. Ed io non voglio perdere Ashton. Ho paura Calum, cazzo! »
« Non perderai Ashton, cerca di stare tranquilla. E stiamo arrivando, intesi? Posso sapere, almeno cosa c'è che non va? »
Caccio via le lacrime con entrambi i palmi, mentre tiro su col naso « Ho ricevuto un messaggio da Joseph, poco fa. Diceva di dovermi parlare urgentemente. Sembrava una cosa importante. Ashton credo si stia presentando al posto mio. Lo conosco, ormai, so che picchierà Joseph! Non può farlo Calum, non può! » Calum scuote il capo, mentre si mordicchia le labbra nervosamente.
« Alice è passato tanto tempo da quello che eravate. Adesso ti frequenti con Ash, non credo sia giusto preoccuparsi per un verme come quello. »
« Ma non capisci? Non me ne frega nulla di Joseph, ho solo paura per Ashton. Solo per lui! Sono stanca Cal, sono così stanca... »
E lui non risponde più, accosta l'auto – una volta arrivati – e mi fa scendere.
Percorro a grandi falcate la strada, infischiandomene dei semafori rossi. All'altro angolo, il Bar Sweetness lampeggia con un insegna rosa fluo. All'interno sembrano esserci una moltitudine di gente, mi auguro solo che stiano parlando civilmente se dovessero essere insieme.
Quando apro la porta, un calore piacevole mi avvolge, e se solo non fossi in questa situazione probabilmente mi fermerei anche a prendere qualcosa.

Ma poi li vedo, appartati in un angolo del bancone.
Joseph ed Ashotn stanno intraprendendo una conversazione, che tutto è tranne calma e pacifica.

Corro verso di loro, ed in tempo riesco a fermare Ashton pronto a colpire Joseph in pieno volto.
« Ashotn, no! » Lui si volta, i suoi occhi iniettati di sangue mi fissano quasi con disgusto.
Le labbra di Joseph s'incurvano in un sorriso sghembo, maligno, che di piacevole non ha nemmeno il nome. Si sistema il colletto della camicia e poi torna a picchiettare le dita sul bancone color noce del bar.
« L'ho sempre detto che vivi con animali, Alice. » Continua lui, al che Ashton, indispettito, glielo sferra un bel pugno. Ed io non l'ho fermato, perché, sì, se lo meritava.
Con tranquillità snervante, si pulisce le labbra sporche di sangue, Joseph, poi torna a guardarmi con quei grandi occhi scuri che hanno lo stesso bagliore di una volta.
« Smettila di parlare così. Tu non li conosci! Ed ora voglio sapere cosa dovevi dirmi. »
Ashton si morde il labbro inferiore, mentre noto le vene del collo gonfiarsi. Probabilmente Joseph gliene avrà già parlato, dubito sia qualcosa che al riccio piace.
« Alice, non starlo a sentire, ti prego!» Il grido di preghiera che Ashton invoca mi lascia intuire sia una cosa triste.
Lo guardo, mentre poggio le mani sul suo braccio; un po' per rassicurarlo ed un po' perché mi mancava stargli vicino. In entrambi i casi sa che non lo abbandonerò, gliel'ho promesso.

« Ehi, stai calmo va bene? »
« Odio interrompere le vostre smancerie, ma avrei un po' di fretta, » sbotta, Joseph, mentre sorseggia il suo caffè che – potrei giurarlo – quasi certamente è senza zucchero « quello che dovevo dirti è questo. Alice vieni via con me, ti porto in Russia. Possiamo vivere la vita insieme. Potrei darti quello che non sono mai riuscito a farti avere. Potrei anche darti un futuro, perché so che entrambi lo volevamo. Alice vieni via con me, viviamo la vita che c'è passata davanti troppo presto. E so che non siamo più adolescenti, ma fingiamo di esserlo. Vieni via con me, Alice. Domani mattina partirò alle dieci, per tornarmene a Mosca. Vieni con me, ti farò avere tutto ciò che desideri. Alice viviamo la vita in una casa che sognavamo, miglioriamo il nostro futuro. E giuro... potrei anche sposarti. Perché l'ho capito solo adesso Alice, e mi dispiace. Ho capito solo ora, che ti ho rivista dopo tanto tempo, che i miei giorni devo trascorrerli con te. Alice andiamo via, e potremo vivere quella vita che hai sempre voluto. Insieme. »
Ed allora il mio mondo crolla. Il cuore comincia a palpitare velocemente, e la vista si annebbia. Ashton rimane in silenzio, probabilmente ansioso della mia risposta ed io invece sono bloccata. Con l'aria che viene bloccata da una strana parete di sentimenti.
Vedo i pugni del riccio contrarsi, poi stringersi ed infine affonda le unghie nei palmi.
« Forza, rispondigli. » Sussurra solo questo, il maggiore, 'ché quasi certamente sta morendo ogni attimo che passa.

« Non dargli fretta, ha tempo di dirmelo entro domani prima delle dieci. Dopo partirò, con o senza di lei. Alice ti prego di pensarci, siamo della stessa pasta. Il tuo amore non è potuto morire così in fretta. Pensaci, pensa a quello che eravamo, ti prego pens – »
« Ha capito a quello che deve pensare, ora lasciala andare! » E ce ne andiamo così, con Ashton che mi tira verso l'uscita, afferrandomi da un polso, e con Joseph che torna a sorseggiare il suo caffè dalla tazzina bianca in ceramica.
In auto torna il silenzio, un po' come quello tra me e Calum. Quei silenzi fastidiosi che difficilmente si riescono a domare.
Gli occhi del riccio sono puntati sulla strada. Non dice nulla, non mi guarda nemmeno. E' tutto così doloroso.
« Cosa farai? » Dice infine, distraendo i miei pensieri.
« Cosa?»
« Sei sorda? Ti ho chiesto cosa farai. » Chino il capo, stringo i pugni e digrigno i denti.
Non avevo mai pensato ad una cosa simile. Non avevo mai valutato l'idea che, in un futuro non molto lontano, Joseph avrebbe potuto interessarsi a me. Peccato sia stato in un momento sbagliato, perché adesso la mia vita non è più come quella di prima. E' leggermente cambiata.

« Non rispondermi, non voglio saperlo. » E lui ha frainteso il mio silenzio. Ma quando provo a farglielo capire, lui accende la radio lasciandola in una stazione qualsiasi. E comprendo appieno che non vuole sentirmi parlare.
Non vuole sentire e basta.
E ce ne stiamo così, avvolti nel silenzio, mentre nella mia mente le frasi di Joseph rimbombano violentemente, superando di gran lunga il volume della musica.

 


Nda: Forse è passato troppo tempo dall'ultima volta che ho aggiornato una storia.
Non so se qualcuno leggerà più quest'opera di Morgana o se ancora ci sia gente che
si ricorda di essa. Ma se così fosse Morgana è tornata per restare, sta già cercando un modo
per aggiornare tutto di nuovo e per rimettersi in carreggiata, nonostante sia arruginita.
Vi comunico che la storia l'ho già finita l'anno scorso ma avevo deciso di non pubblicarla perché forse troppo personale la questione di Joseph o perché magari avevo perso l'entusiasmo. Ma ora mi sono decisa a pubblicarla e come tale mi auguro che sia ancora ben vista.
Fatemi sapere cosa ne pensate di Alice, se vi è mancata almeno un po' e magari anche Joseph, che comunque rimane sempre uno stronzo ç___ç
Povero Ash che tenerezza mi fa.
Spero di aggiornare presto, confido nei vostri pareri che mi mancano tanto.
Un bacione grande grande.

Madam Morgana.

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