The hunt: la caccia è aperta

di Sly thefc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1- Il sussidio che punisce ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2- Il coraggio che illude ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3- La prova che zittisce ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4- L'orgoglio che uccide ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5- La colpa che ferisce ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6- L'amicizia che accende ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7- Sempre in moto, verso l'avanti ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8- Ogni giorno, crescendo più forti. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1- Il sussidio che punisce ***


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Capitolo 1- Il sussidio che punisce  
 
Siamo in un paese. Un paese lontano da tutto e tutti, sperduto oltre le montagne.
Il suo nome è Haus, parola che in una delle lingue ormai estinte significava qualcosa come “casa”.  Un nome appropriato, conoscendosi le genti tutte.
Comunque, non si tratta di un paese del comune immaginario. È più un villaggio di quelli molto antichi, dove agricoltura, caccia, estrazione mineraria e pesca sono alla base dell’economia.
Ci sono fattorie, fattorie, ancora fattorie e traghetti di scarsa fattura.
Haus ha sede in pieno mare, la pesca è fonte di ottimi guadagni, eppure la particolarità del villaggio è la continua sopravvivenza grazie alla caccia.
Magari si può pensare che in un villaggio esteso in mezzo al mare non si abbia bisogno di cacciare e rischiare la vita quando si può semplicemente praticare l’allevamento e le classiche cose.
Non è un pensiero sbagliato, ma nemmeno esatto.
Come detto in precedenza, la popolazione era dotata di traghetti, anche se scadenti.
Le genti si chiesero cosa ci fosse oltre la coltre di nubi e oltre le montagne che separavano quel paese in tranquillità dal resto del mondo.
Prodi coraggiosi furono mandati dai capi in esplorazione. Trovarono terre afose, terre deserte, terre gelate. I primi inviati non fecero ritorno, ma tramite i loro falconi addestrati mandarono dei messaggi di cosa trovarono.
Arrivarono lettere d’infiniti dettagli sui luoghi, ma soprattutto dei loro abitanti. Descritti a volte come alati, a volte come enormi, ma sempre come paurosi e possenti, queste creature governavano le terre sconosciute.
I capi si armarono di forza e buona volontà e istituirono delle scuole per cacciatori esperti.
I più bravi erano scelti e mandati insieme sul campo, in missioni pericolose di pura caccia, mentre i più deboli erano scartati e mandati sul campo solo in ricognizione.
La conquista dei nuovi territori ebbe inizio.
Sfruttando l’enorme quantità di materiali delle montagne, i fabbri costruivano armi per i cacciatori.
Alcuni di questi ultimi non tornavano, altri portavano i cadaveri dei compagni insieme a parti rilevanti del corpo della creatura uccisa, utili a fare armature sempre più avanzate.
In alcuni decenni, i libri dei mostri non erano ancora completi e nessun territorio conquistato.
Ma il livello d’abilità dei cacciatori aumentava sempre più e i figli erano sin da piccoli addestrati a questa disciplina, diventata la base dell’economia.
E i capi, nonostante le loro delusioni di conquista, si resero conto che quello dell’estensione territoriale non era poi un desiderio inarrivabile.
Tra i più abili cacciatori appariva sempre il nome di Laodra, figlio di semplici ricognitori, scartati agli esami di prova.
Non era muscoloso, non aveva particolarità, nemmeno era di troppo gradevole aspetto, eppure, fin dagli inizi alla scuola d’infanzia dimostrava eccellenti abilità intellettive e pratiche, superiori a quelle dei compagni.
Pareva non avere debolezze.

Fu mandato giovanissimo in missione di caccia insieme a quattro cacciatori più esperti nel campo. Come arma gli fu consegnata la katana, difficile da maneggiare e facile per tenere a bada i principianti.
Si recarono nelle terre del gelo, dove gli furono somministrate bevande adatte per la resistenza al calore.
La prima creatura che Laodra vide, fu una sorta drago d’incredibile velocità sulla terra e di goffaggine nell’aria. Era di colore bianco, con zanne incredibilmente affilate.
Il giovane rimase in disparte per non intralciare i propri compagni, ma il mostro stava mettendo in difficoltà i cacciatori.
La creatura caricò verso un cacciatore ferito a terra.
Alla base dei corsi di caccia c’era una regola: salvare se stessi prima degli altri.
Per il cacciatore non c’era scampo. I suoi compagni, per quei pochi attimi, lo guardarono impietositi.
Laodra però non poteva assistere alla morte di un compagno nella sua prima missione.
Con riflessi incredibilmente rapidi, lanciò la sua katana davanti al compagno ferito, che finì per conficcarsi nel terreno, stoppando la carica del mostro che indietreggiò.
Come gli esseri umani errano, così le creature fanno.
Nell’indietreggiare, questa si alzò nel suo volo goffo. Il giovane riprese la sua katana abilmente e la lanciò verso il drago in volo che cadde, colpito in pieno.
Non usò la katana nel modo convenzionale, eppure salvò la vita ad un cacciatore e permise l’uccisione del mostro non appena questo fu atterrato.
Aveva previsto ogni mossa e contromossa, come uno stratega di qualità.
Tornato al villaggio, fu acclamato come salvatore, ma fu punito, per aver trasgredito la prima regola, nonostante avesse ribattuto continuamente di non aver messo in pericolo la propria vita per salvare la sua, ma di aver aiutato soltanto.

Coltivare campi per un mese fu la sua punizione.
Come lui, c’era un altro ragazzo che aveva tardato l’arrivo alla missione, mandando quest’ultima a monte. Era un giovane poco più grande di Laodra, biondino, occhi chiari e robusto, spensierato, pieno di sé, ma molto determinato a tornare a cacciare. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2- Il coraggio che illude ***


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Capitolo 2- Il coraggio che illude

Laodra non era un tipo di troppe parole. A lui piacevano i fatti e amava la solitudine.
La sua punizione, inizialmente, non fece altro che aumentare questo suo desiderio d’isolamento.
Mancava solo una settimana e poteva tornare a fare esperienza sul campo di battaglia.
Il ragazzo biondino e pieno di sé non faceva altro che imprecare, destando l’attenzione dei lavoratori, persino quella di Laodra, che gli chiese cortesemente di evitare quegli insopportabili e continui lamenti.
A quel punto il giovane avvicinò il solitario e si presentò.
“Tu sei il primo ad avermi risposto. Finalmente qualcuno con un minimo di coraggio! Il mio nome è Keura e sono il cacciatore più giovane e abile di tutta Haus!”
Laodra rise leggermente, gli strinse la mano e disse il suo nome, poi tornò a lavorare.

Keura era il figlio di uno dei capi del villaggio. Era davvero incredibilmente abile con le armi, soprattutto con l’arco che suo padre gli aveva donato anni prima, ma aveva un difetto abbastanza rilevante: la presunzione.
Questa l’aveva portato vicino alla morte più volte eppure era sempre riuscito a sfuggirle.
Quel giorno era l’ultimo della sua punizione e poi sarebbe tornato nelle terre di nessuno a cercare di cacciare senza fare la stessa fine delle bestie sue vittime.
La sua era una posizione relativamente sicura. Infatti, col suo arco, era sempre dietro la linea degli spadaccini e infliggeva danni a distanza.
Prima di rientrare nel campo di battaglia, abbandonando il coltivare forzato, diede una pacca sulla spalla a Laodra e disse lui che sperava si sarebbero rivisti in missione.
Anche il giovane prodigio si stava stancando della situazione e non voleva altro che stare in prima linea nel prossimo incarico. Non volveva fare esperienza solo guardando, lui voleva agire, aiutare.

Quando alla sera tornava a casa dai suoi genitori ricognitori, essi gli raccontavano di aver visto quasi tutti i mostri e ogni sera parlavano di una creatura diversa.
Era anche grazie a loro se si sapevano punti deboli e caratteristiche di quelle bestie.
Laodra era davvero molto fiero del loro lavoro e li ammirava moltissimo nonostante non fossero cacciatori e queste loro “lezioni” aumentavano in lui la voglia di cacciare ogni giorno di più.

La punizione terminò e il giovane non vedeva l’ora di mettersi in gioco, ma quando andò da uno dei capi a chiedere di essere assegnato alla missione, quest’ultimo glielo vietò, rimandandolo all’accademia.
Inutile dire quanto fosse furioso l’aspirante cacciatore.
La scuola era ogni giorno più noiosa e Laodra non riusciva a vederne l’utilità.
Si chiedeva a cosa servisse studiare debolezze e fragilità dei mostri senza poterle mettere in pratica.
Era arrivato al limite della sopportazione e fece una pazzia. Si assicurò di non essere visto e, con tanto di armatura e katana, si tuffò in acqua, raggiungendo un traghetto in moto. Fu issato su da due cacciatori che, stupefatti ma anche molto arrabbiati, lo portarono dal comandante della missione.
Zuppo dalla testa ai piedi e anche infreddolito, fece conoscenza del capitano che, tolto l’elmo, si rivelò essere Keura.
Quest’ultimo, sempre più fiero del disobbedire da parte di Laodra, decise di arruolarlo, con il completo disappunto dell’equipaggio.
“Credo che ora il titolo di cacciatore più giovane di Haus spetti a te, ma scordati di avere quello del più abile. Quello rimango e rimarrò per sempre io.”

Approdarono in un posto mozzafiato, colline e mari erano le regine e i re del posto. Per Laodra era qualcosa di mai visto e di meravigliosamente inaspettato.
Ma il loro obiettivo non era quello di ammirare tutta quella bellezza, bensì era di cacciare il cosiddetto “segugio della vampa”, un enorme cane dotato di corna e con la capacità di alimentare fiamme distruttive dalla bocca.
Il suo punto debole, a detta dei ricognitori, dovevano essere le zampe.
Keura si posizionò dietro una roccia e prese dalla faretra delle frecce con la punta racchiudente acqua, che esplodevano al contatto.
Il cacciatore col martello ingaggiò la lotta, cogliendo di sorpresa il segugio, colpendolo diretto sulle zampe posteriori. Il cane esitò per un momento, ma non bastò a fermarlo, infatti, colpì con gli artigli l’armatura resistente dell’avventuriero.
Intervenne subito il compagno con lo spadone, approfittando dell’istante d’indugio del segugio. Un colpo potente non era sufficiente a fargli troppo male.
Laodra notò subito lo stile di combattimento. Era la “toccata e fuga” che aveva studiato giorni addietro. Consisteva nel colpire e scappare uno per volta e solo in un secondo momento intervenire tutti insieme, cogliendo impreparato il mostro.
Era una tattica diffusa specialmente quando in squadra c’era un tiratore con l’arco, che poteva attaccare incessantemente senza essere notato dalla creatura che doveva occuparsi degli spadaccini.
Era giunto il turno di Laodra che, dopo uno scatto fulmineo, sguainò la sua spada lunga e colpì ripetutamente la creatura, schivando i colpi della belva con grazia. Il segugio era affaticato e come ultima risorsa usò il fuoco, che uscì irrefrenabile dalla sua bocca.
Il giovane l’evitò con facilità e notò che le sue corna s’illuminavano leggermente al lanciare la fiamma, come se fossero loro ad alimentarla.
“Keura, devi colpire le corna!”
Urlò con tutto il fiato che aveva.
“Lao, è inutile!”
E aveva ragione, giacché le frecce dell’arciere rimbalzavano su di esse.
Era arrivato il momento di raggrupparsi e finire la bestia infernale. Laodra però voleva dimostrare il suo valore ed evitando ancora una mossa del cane, saltò con potenza e colpì in pieno entrambe le corna del segugio, che si spezzarono senza opporre resistenza.
A quel punto, la belva provò a sputare il fuoco, senza riuscirci. Il giovane aveva trovato il suo vero punto debole.
"Finalmente qualcuno con un minimo di coraggio!"
Gridò fiero Keura.

Tuttavia non era ancora finita. Mentre Laodra chiamava l’aiuto degli altri, fu colpito da una zampata del segugio, che lo stese. La sua armatura non era resistente come quella dei suoi compagni e cominciò a sanguinare dal petto.
I suoi colleghi corsero verso la bestia e la uccisero senza pietà.
In quel momento, Laodra si chiese come mai i suoi compagni non fossero intervenuti. Era davvero così importante la prima regola? Era davvero necessario aspettare che lui fosse colpito prima di attaccare?
Questi pensieri accompagnarono il cacciatore nella sua discesa verso il sonno. Un sonno che poteva anche essere eterno. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3- La prova che zittisce ***


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Capitolo 3- La prova che zittisce

“Io voglio quel pazzo nella mia squadra ufficiale!”
Esordì Keura a suo padre.
Eppure Laodra era stato eccessivamente pazzo. Aveva rischiato la vita solo per la sua voglia di dimostrare cosa fosse veramente in grado di fare.
Fortunatamente, i medici sapevano come comportarsi di fronte alle lacerazioni di quel genere.
Il capo lo definì come troppo imprevedibile e ingestibile, due aggettivi che non andavano d’accordo con la parola “cacciatore”.
Tuttavia, sapeva anche che non sarebbe stata una punizione ulteriore a fermare il suo spirito intrepido.
Così, concesse lui un’ultima possibilità. Decise di spingersi oltre i limiti e di sottoporre Laodra alla prova finale dell’accademia, con un anno di anticipo, sicuro che egli non l’avrebbe superata.
Questa prova consisteva in una missione di caccia di alto livello.
Aveva già incontrato due mostri e non era la sua prima battaglia sul campo, come sarebbe dovuta essere per tutti i normali aspiranti cacciatori. In questo senso, doveva essere avvantaggiato, ma era l’ultimo anno quello in cui si affrontavano le caratteristiche del complesso mostro in questione e lui ancora non c’era arrivato.
Non sapeva a cosa andava in contro.
Gli era proibito elemosinare informazioni dai precedenti esaminati e dai ricognitori. Se fosse stato scoperto, sarebbe stato espulso dal mondo che tanto l’appassionava.

Non appena fu rimesso in sesto completamente, chiese maggiori informazioni organizzative riguardo alla missione.
I ricognitori avevano l’obbligo di localizzare la creatura e fornirne eventuali caratteristiche speciali. Se tutto era nella norma, l’aspirante cacciatore doveva fare da capogruppo ad altri tre cacciatori, per poi partire alla volta delle terre sconosciute.
Subito dopo che i ricognitori ebbero identificato la creatura come regolare, Laodra scelse i suoi tre compagni e salpò.
Prese i colleghi dell’improvvisata missione precedente, compreso Keura.
L’entusiasmo di quest’ultimo investì tutto il traghetto in un istante. Pareva essere appena tornato dalla taverna, luogo di riunione dei veri cacciatori, dove vino e birra regnavano sovrani, e forse era proprio così.
“Lao, se passi l’esame, sarai un membro onorario della mia squadra, non si discute.”
“Ci penserò.”
Lo liquidò, Laodra.
Spiegò al suo gruppo di voler adottare la tattica dell’attacco a sorpresa.
Dovevano cogliere impreparato il mostro e attaccarlo insieme. Niente toccata e fuga, puro combattimento di squadra.

Approdarono in un territorio estremamente caldo. Il panorama era diviso tra lava ed enormi vulcani.
Fortunatamente erano forniti di bevande fresche, per aumentare la resistenza al calore.
Girarono per delle ore senza trovarlo, pensando ad un possibile errore dei ricognitori, ma poi la creatura apparve in tutta la sua maestosità.
Era una viverna di colore rosso, con ali delicate e con dei segni simili a quelli tribali.
Laodra ne fu anzitutto affascinato, non provò paura, né ansia. La guardava aspettando il momento giusto per attaccare.
Con una palla di fuoco uccise una sua preda e subito le saltò sopra per mangiarla. Quella era l’occasione giusta per entrare in azione.
Keura caricò la sua freccia più potente, mentre gli altri tre si dirigevano silenziosi verso la viverna.
“Colpite le ali”
Sussurrò il capitano.
La bestia non si accorse di nulla, finché la freccia dell’arciere scoccò e la potenza di katana, spadone e martello si riversarono contro le ali del mostro.
Queste si ruppero come cartapesta e il resto è storia. Non ci volle che qualche minuto e la creatura era stata sconfitta.
In qualche istante, Laodra aveva capito il punto debole necessario ad atterrarlo, e adottò anche la giusta tattica.
Quando tornarono al villaggio, il comandante della missione chiamò uno dei capi del villaggio e mostrò lui la testa della viverna sputafuoco.
Keura annuiva fiero alle sue spalle.
Il giovane prodigio aveva superato la prova e zittito ogni possibile dubbio nei suoi confronti.
Il capo gli tese la mano.
“Benvenuto tra i cacciatori di Haus, Laodra.”
Tutto il gruppo esultò, ma adesso era il momento di divertirsi.

Andarono insieme alla taverna ad ubriacarsi e a non pensare a nulla.
C’era ogni tipo di persona: dai pazzi veri e propri a quelli che giocavano a braccio di ferro e che bevevano come auto-ricompensa per la vittoria, o come auto-punizione per la sconfitta.
Era veramente un posto strano per svagarsi, ma aveva il suo fascino.
Purtroppo la giornata finì e quando il giovanotto tornò a casa barcollante, si addormentò in davvero pochissimo tempo.
Il gallo cantò il buon mattino e Laodra si svegliò come in una poesia, che terminò non appena uscì di casa e si accorse che il paese era nel panico.
Missione urgente, missione urgente!
Urlava il postino, sventolando un foglio in mano per le strade, che il prodigio non esitò a prendere.
“I primi quattro cacciatori della graduatoria sono invitati alla gilda per una missione tutt’altro che pacifica. È stato avvistato un nuovo mostro!”
Questo c’era scritto.
Tuttavia lui non era tra i primi quattro della graduatoria, anzi, era l’ultimo essendo appena entrato nel mondo della caccia.
La graduatoria consisteva in una classifica dei migliori risultati ottenuti a caccia. Più il mostro era difficile e meno morti si riportavano in battaglia, maggiori erano i punti.
Per curiosità, comunque, Laodra andò alla gilda a guardare la classifica. Al primo posto c’era una certa Marina, al secondo c’era Keura, al terzo un qualche Zang e al quarto un tale Gusch.
Arrivò davanti al bancone e li vide tutti e quattro.
Gusch si ritirò, sotto la rabbia e le imprecazioni dell’addetta alla Gilda mentre Marina, Keura e Zang accettarono senza troppi ripensamenti.
Quando Keura vide Laodra, gli s’illuminarono gli occhi.
“Signorina, abbiamo un sostituto più che valido. Le presento Laodra, l’ultimo della lista, ma il secondo più valido cacciatore di Haus!”
Marina intervenne e si presentò:
“Poveretto, non riesce ad accettare di essere stato surclassato da una donna. Piacere, Laodra, io sono Marina e al momento, qui, la numero uno sono io.”

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4- L'orgoglio che uccide ***


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Capitolo 4- L'orgoglio che uccide

L’addetta alla gilda fornì tutti i dettagli raccolti riguardanti la nuova creatura scoperta. Non aveva le ali, anzi, pareva essere un mostro prevalentemente marino. Di stazza media, aveva dei cristalli sul dorso che conducevano elettricità. La sua coda era tozza e muscolosa, sul muso allungato c’erano varie corna, anche loro elettriche. Si muoveva con agilità sia sulla terra ferma sia in acqua, da dove coglieva alla sprovvista le sue prede, tramite un getto d’acqua potentissimo. Quanto fossero potenti le sue scariche elettriche, non era dato a sapere.
Apparentemente, quella bestia non aveva punti deboli.
Prese le loro armi, Marina le doppie lame, Zang la lancia, Keura e Laodra i soliti arco e katana, aspettarono che il traghetto fosse pronto per salpare.
Nel frattempo, Marina confessò di aver seguito le imprese di Laodra da subito, non appena seppe che nella sua prima missione utilizzò la sua spada lunga per proteggere un compagno.
Poi gli fece una domanda.
“Lo sai perché fosti punito quella volta?”
Un quesito semplice all’apparenza, ma che nascondeva mille significati.
“Fui punito per aver violato la prima regola, anche se non propriamente.”
“Non propriamente? Ti sarà parso di aver previsto tutte le mosse del mostro, ma se ti fossi sbagliato? Se la creatura non avesse esitato, non solo avrebbe ucciso te e il tuo compagno, ma avrebbe anche potuto annientare i due rimasti con facilità, per via del numero. Non prendere sotto gamba la prima regola e cerca di pensare prima di agire. Soprattutto, non credere che la tua vita valga meno di quella degli altri, mai.”
Il giovane fu colto da un leggero sconforto. La critica aveva come scopo quello di aiutarlo, ma fa sempre un po’ male all’orgoglio sentirsi correggere, anche da chi ha più esperienza.
L’ultima frase fu quella che gli occupò più tempo nella riflessione. Non ci aveva mai pensato, ma forse quel giorno aveva agito proprio perché si sentiva inferiore e inutile, anzi si potrebbe proprio affermare come una certezza. Non a caso, gli capitò anche in seguito di avvicinarsi al rischio per dimostrare di che pasta fosse fatto.

La prima in classifica diede quindi all’ultimo, consigli e spunti di riflessioni e, mentre l’umile Laodra veleggiava nei meandri della sua mente, la campana che segnalava l’inizio di un viaggio per una missione urgente suonò.
Molte delle genti scesero in piazza a salutare i coraggiosi cacciatori, soprattutto perché almeno la metà della popolazione si aspettava di non vederli mai più.
I genitori del più giovane tentarono di dissuaderlo, invano, mentre il padre di Keura non fece altro che incoraggiarlo.
Scelsero la destinazione e il traghetto si mosse verso le terre sconosciute, più precisamente verso l’isola denominata “Seeland”. Era un’isola molto vasta, caratterizzata dalla presenza di un lago occupante un quarto della terra emersa, collegato direttamente col mare: il luogo ideale per una creatura adatta sia all’acqua sia alla terra.
Durante il tragitto, gli spadaccini approfittano del tempo perso per aumentare l’acutezza delle loro armi al massimo, in modo da ottenere risultati ottimali.

Laodra notò subito la particolarità delle doppie lame di Marina, sulle quali era incisa una frase ciascuna, da formare una sorta di poesia.
“Sempre in moto, verso l’avanti” diceva la spada destra;
“Ogni giorno, crescendo più forti” recitava la sinistra.
Era così curioso di sapere cosa significasse esattamente, ma soprattutto di conoscere da chi venissero quelle due frasi, che glielo si poteva leggere in faccia.
“Sai quante vittime ha mietuto la curiosità? Se fosse una cacciatrice concreta, sarebbe senza dubbio la prima in classifica, quindi fai bene a esitare.”
Marina lo lasciò di stucco e, quasi spaventato, Laodra decise di non porre nessun quesito, anche se, in realtà, quella sua affermazione non faceva altro che accrescere in lui colei che, se fosse possibile, sarebbe la prima nella graduatoria.
Il traghetto colpì la costa dell’isola e i cacciatori sussultarono.
Il momento era giunto.
Si muovevano con cautela cercando di non far rumore. Percorsero la parte interna, intorno al lago, ogni angolo dell’isola, senza trovare tracce della creatura. Stanchi, sollevati ma anche affranti, si addormentarono accanto a un falò e al loro risveglio percepirono un’aria elettrica.
Guardarono il mare e videro una misteriosa luce blu muoversi. Era ammaliante e interessante, ma quando dall’acqua saltò fuori il mostro tanto ricercato, per poi rituffarsi, i cacciatori dovettero mettersi in posizione.
Non potevano colpirlo in acqua se non con le frecce, e proprio queste dovevano attirarlo sulla terraferma. Ogni volta che si faceva vedere, due frecce lo colpivano, ma, dopo tre o quattro volte, la creatura si stancò.
I cacciatori persero di vista la bestia e rimasero appostati per ore, fin quando alle loro spalle, probabilmente approfittando del lago interno, quella si erse in tutta la sua maestosità.
Marina fu la prima ad attaccare, lanciandosi contro la belva, seguita a ruota da Zang e infine dal più pauroso Laodra. Keura si era riposizionato in seconda linea e, da lì, massacrava con le sue frecce.
Sembrava tutto andare per il meglio, quando i cristalli sulla schiena del mostro s’illuminarono e, dopo pochi secondi, liberarono la scarica elettrica generata. Con abilità, e anche con un po’ di fortuna, i quattro la evitarono.
Dopo questa scarica, la creatura era affannata, o così pareva, e Laodra ne approfittò per lanciarvisi addosso con tutta la sua forza.
Purtroppo la bestia era intelligente e meschina, stava fingendo.
Il trucco funzionò e attirò la spada lunga del più giovane, che fu schivata con estrema facilità. La katana di Laodra si conficcò nel terreno e non volle uscirne. Superato un breve istante di panico, il prodigio abbandonò l’arma ed evitò i morsi del mostro. Adesso praticamente erano in tre, contro un mostro che stentavano ad uccidere anche in quattro.

Marina ordinò a Keura di lanciare una delle due frecce esplosive verso il terreno dove la spada lunga era incastrata, ma Laodra glielo impedì ed ebbe un lampo di genio.
“Non sprecare quelle frecce per un mio errore! Mira ai cristalli sul dorso, Keura, quelli sono la sua forza e al contempo la sua debolezza!”
Il presuntuoso decise di ascoltare quella che lui considerava la voce della sapienza e colpì.
Un gemito seguito da un grido di rabbia mista a disperazione percorse tutta l’area dell’isola. Non capendo da dove venisse la freccia, essendo Keura nascosto dietro una roccia, la creatura si diresse rapida, troppo rapida, verso Marina, che evitò il raggio d’acqua, ma non poté fare nulla contro gli artigli del mostro che colpirono l’elmo, facendolo volare in un punto imprecisato.

Rivelò i suoi capelli rossi di media lunghezza, che mettevano in risalto i suoi occhi verdi. Era davvero bella nell’estetica, se non fosse per una lunga cicatrice che partiva dal sopracciglio e arrivava fin sopra alle narici. Ci fu un istante quasi eterno, in cui mostro e ragazza si guardarono negli occhi. Zang si tuffò sulla bestia, interrompendo quell’infinito momento. I riflessi del mostro gli permisero di girarsi e di dare un colpo di coda davvero potente al ragazzo, che subì un’ulteriore scontro con una roccia.
Aveva violato la prima regola.
A quel punto, cominciò una sorta di effetto domino. Marina, sentendosi una specie di protettrice nei confronti del più giovane, guardò Laodra che, sconvolto, si accasciò a terra, con le lacrime riganti il suo volto. Non badò al mostro che poteva ancora colpirla. Fortunatamente, per così dire, la colpì alla vita, dove l’armatura poteva attutire il colpo.

Keura continuava a lanciare frecce, ma smise non appena la creatura si accorse di lui.
Questa caricò il suo getto d’acqua, mentre l’arciere fece lo stesso con la sua freccia esplosiva.
Marina non riusciva a urlare, solo a gridare sottovoce al presuntuoso di spostarsi, mentre Laodra correva verso di lui piangendo, pregandolo di spostarsi. Non avrebbe mai sopportato l'idea di veder spegnere un'altra vita di fronte ai suoi occhi.
La ragazza si alzò e si mosse, imprecò contro la prima regola e cominciò a ferire il mostro con le sue doppie lame, incessante.
“Non serve a nulla!”
Urlò disperata e cominciò anche lei a rammaricarsi.
Tutto avvenne in un tempo veramente breve, anche se sembravano passare ore ad ogni passo, non importava di chi questo fosse.
Era una gara a chi aveva più puntualità e più precisione, qualità difficili da accostare a una personalità come quella di Keura, sempre in cerca del meglio.

Lui ancora preparava il colpo, quando il mostro sferrò il suo, caricato abbastanza da essere distruttivo per qualsiasi armatura, fisica e mentale.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5- La colpa che ferisce ***


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Capitolo 5- La colpa che ferisce

Laodra s’inginocchiò a terra, con le mani sul viso coperto dalle lacrime.
Marina non aveva smesso un instante con i suoi continui doppi colpi. Il suo carattere forte e la sua esperienza non le permettevano di fermarsi davanti a nulla, nemmeno davanti alla morte di un suo amico. Eppure era sola, consapevole che non ce l’avrebbe mai fatta, contro una creatura enorme, carica di rabbia.
“Laodra, ho bisogno della tua astuzia!”
Disse con un tono deciso e un pizzico di paura.

Il ragazzo era troppo scosso, troppo sconvolto da ciò che era appena successo per poter anche solo pensare.
“Lui era il mio unico vero amico.”
Sussurrò debole il più giovane, avvicinandosi al corpo morto del compagno. L’arco era a pezzi, così come la sua armatura, il volto coperto di sangue, gli occhi azzurri erano spaventosamente aperti e Laodra, inquietato, percepì lo sguardo, l’intesa. Keura era morto, ma il ragazzo non poteva, doveva e voleva fare la sua stessa fine. Si rialzò, asciugandosi le lacrime col polso, e cominciò una corsa verso la sua spada lunga, conficcata ancora nel terreno.
Intanto, Marina evitò un colpo della creatura, ma il suo corpo ne risentì e cedette al dolore.
A quel punto il mostro si voltò verso il principiante, che era posto davanti alla sua spada, e cominciò a caricare il suo getto d’acqua, lo stesso che aveva ucciso Keura.
La rossa, accartocciata nel dolore, gemeva e guardava, terrorizzata. Tuttavia Laodra, per quanto novello, era un maestro nel comprendere le psicologie e i dettagli, e aveva notato che la bestia e Keura si assomigliavano in quanto a difetti. Entrambi erano troppo presuntuosi e sicuri di loro stessi, quindi perché Keura doveva perire per il suo difetto e la creatura salvarsi?
Aveva in precedenza notato che il mostro, prima di avanzare il suo getto, indietreggiava, e adesso, aveva fatto scacco matto.
Vide il passo all’indietro della creatura e Laodra si spostò con riflessi felini. Il getto colpì il terreno sotto la katana di Laodra e questa fu spazzata via.
Il giovane riprese la sua arma e la bestia, indignata, intraprese un’andatura rapida verso di lui.
La creatura era più veloce e, non appena raggiunse il ragazzo, frenò e concluse con un morso, che Laodra evitò con un salto in alto. Impugnò la sua arma dal manico con la lama rivolta verso il basso.
Con enorme forza, la conficcò nello spazio tra le corna del mostro, attraversando il collo e fermandosi solo al terreno.
Il mostro era morto.
Marina era ancora distesa dolorante, ma era sorpresa a tal punto da voler sorridere a Laodra nonostante il dolore fisico e psicologico dovuto agli spargimenti di sangue.
Ma Laodra non riuscì a ricambiare quel gesto, o meglio, lo fece, ma con un pianto di sfogo interminabile.
Aiutò Marina ad alzarsi e a camminare verso il traghetto, senza mai guardare indietro. Scelse la destinazione e partirono verso il villaggio, lasciando i cadaveri e la sua katana al posto cui, secondo Laodra, appartenevano.
Inizialmente a bordo c’era il silenzio più calmo, ma poi il giovane decise di interromperlo.
“Come fai tu a fregartene?”
Marina stava troppo male per litigare e rispose pacata, anche se dentro esplodeva.
“Laodra, io me ne frego, solo che vado avanti e cresco facendo tesoro delle esperienze.”
Il ragazzo ricordò le scritte sulle lame della rossa.
“Giusto. Sempre in moto, verso l’avanti; ogni giorno crescendo più forti. È il tuo motto?”
“Non il mio. Era del mio fidanzato. L’ho fatto incidere su tutte le mie armi, poiché il suo ricordo non scompaia nemmeno in battaglia, perché mi guidi e mi protegga. Lui era davvero una bella persona. Si chiamava Roy, sicuramente l’hai sentita la sua storia.”
Laodra sospirò e dal suo non parlare si poteva dedurre che la conoscesse, anche se non nei dettagli.
Una volta esisteva una fazione di cacciatori, denominati “solitari”, che facevano missioni di livello medio-basso, da soli. Tornavano tutti. A volte feriti, a volte completamente sani, ma tornavano, di solito dopo due giorni. Tuttavia, un traghetto impiegò due mesi a tornare, e quando lo fece, al suo interno c’era solo la testa del cacciatore, Roy. Da quello spiacevole evento, i solitari si unirono a poco a poco in gruppi, e la loro fazione originaria sparì completamente.
“È per questo che tu cacci, per vendetta.”
“Quando troverò la creatura capace di fare quello scempio, smetterò di cacciare. L’ho promesso.”
Lei non credeva che una bestia di difficoltà medio-bassa potesse essere sadica e intelligente fino a quel punto e, in effetti, aveva ragione.
Non le importava quanto fossero difficili le missioni, quanto soffrisse, aveva fatto una promessa, mentre Laodra non aveva nulla da perdere dal lasciare il mondo della caccia, solo da guadagnare.
Durante il resto del tragitto, entrambi pensarono a cosa dire alle genti del villaggio, ma soprattutto il più giovane si chiedeva se fosse stato abbastanza per la situazione. Si chiedeva se avesse fatto tutto il possibile ai fini della missione e a tutte le sue domande, si rispondeva con un “no” secco e triste. La colpa era solo sua. Il suo orrore con la spada lunga aveva portato solo disfatta e se non fosse stato per lui, chissà, sarebbero tutti vivi.

Sentirono il traghetto toccare il molo e i due sopravvissuti si guardarono dritti negli occhi, passandosi mille pensieri segreti, preoccupazioni e anche sollievi.
Laodra aprì la porta e aiutò Marina ad uscire. La delusione si sparse nell’aria quando le genti capirono che erano solo loro due dei quattro partiti.
Il padre di Keura si fece spazio col sorriso, aspettando di abbracciare il proprio figlio.
Nessuno aveva mai visto uno dei capi piangere, e nemmeno quella volta fu così. Si avvicinò ai due superstiti, gli strinse la mano e chiese quale fosse la causa della morte del suo adorato piccolo cacciatore.
“La sua presunzione, signore” affermò Marina.
L’adulto si voltò e se ne andò, sempre a testa alta.
Zang non aveva né parenti né amici e, tristemente a nessuno sembrava importare di lui.

Laodra e Marina si salutarono. Il primo si diresse nella sua abitazione, mentre la seconda in un ospedale. Aveva due costole rotte, niente caccia e movimenti pesanti per due mesi o più.
Due giorni dopo il ritorno dei due sopravvissuti, questi tennero un discorso in onore dei caduti, nella piazza grande. I medici consigliarono alla rossa di evitare, ma lei non accettò i loro suggerimenti.
Prese lei per prima la parola.
“Zang e Keura erano due cacciatori, ma soprattutto erano due persone. Non mi sento di chiamare il primo come confidente, non lo conoscevo, ma il secondo lo era. C’era la guerra alla classifica nelle terre sconosciute, ma qui, nel nostro villaggio, lui era un amico. Non starò qui a dirvi quanto non meritassero questo destino, perché nessuno lo merita. Noi siamo cacciatori e siamo amanti del rischio. Conosciamo i pericoli e i nostri difetti, che ci uccidono. Zang ha cercato di proteggermi, violando la prima regola, mentre la presunzione ha avuto la meglio su Keura. Se io sono qui, lo devo a Laodra, che, con la sua astuzia, ha saputo sfruttare debolezze e punti di forza, suoi e della creatura.”

Intervenne Laodra, con un pizzico di tremore nella voce.
“Non è vero che i cacciatori amano il rischio. Non è vero che i nostri difetti ci uccidono. Non è vero nulla. Sono solo congetture. In missione ho fatto un errore grave, che ha portato alla morte dei nostri compagni, è colpa mia, ma se avessi continuato a rammaricarmi, né io né Marina saremmo tornati. Nella mia prima missione, ho violato io stesso la prima regola e ho portato alla vittoria e Marina stessa l’ha fatto nell’ultima. Io non amo il rischio, io lo temo. Ma non sono forse le paure che ci danno dei limiti? Noi possiamo fare di più, ma non ce ne rendiamo conto. Invece di vivere con la consapevolezza dei nostri difetti, cercando di evitarli, possiamo affinarli e renderli la nostra forza. Keura avrebbe potuto farlo, come Zang e come tutti. Keura non era il cacciatore più giovane e abile di tutta Haus, ma sono sicuro che con i giusti limiti, lo sarebbe stato.”

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6- L'amicizia che accende ***


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Capitolo 6- L'amicizia che accende

Laodra si ritirò dalla caccia e con lui svanirono tutti i suoi ideali. Andò spesso all’ospedale di Marina, ma non riuscì mai ad avere la forza di entrare nella sua stanza. Ogni volta era quasi al punto di bussare, ma non si lasciò mai andare e tornava a casa senza avere nulla da raccontare o da provare. Il trauma subito aveva lasciato in lui ferite inestinguibili, che andavano ben oltre quelle impresse con artigli o morsi.
Il suo spirito d’iniziativa era sparito e ciò che lo aveva sempre distinto andato.
Si ubriacava nella taverna, mangiava e ogni tanto faceva un salto ai campi per aiutare.
Sia lui che Marina furono classificati come cacciatori inattivi.

Passati i due mesi di riabilitazione della rossa, questa diede uno sguardo alla graduatoria e notò lo stato del compagno. Decise quindi di prendere in mano la situazione.
Chiese appuntamento col capo del villaggio, il padre di Keura, e gli espose il problema.
“Ha fatto la sua scelta” si limitò a dire il capo.
“Non considero la sua rassegnazione come una scelta, signore. Io credo che lui possa fare molto di più.”
“Molto di più e morire? Tutte queste spedizioni sono pura follia. Non possiamo fare nulla contro quelle creature. Sono anni che combattiamo, senza risultati. Sono stanco di vedere null’altro che la morte intorno a me. Mi spiace, non appoggerò i tuoi tentativi, Marina.”
“Quel giorno lei andò via a testa alta ed io l’ammirai molto. Pensai a quanto lei potesse essere forte. Lo è sempre stato ai miei occhi, e per questo, lasci che la risvegli, prima che me ne vada. Se Keura fosse qui, le avrebbe dato uno schiaffo.”
E uscì, ma quella volta fu lei ad alzare la testa e il superiore a doverla chinare.

Marina si diresse verso l’abitazione di Laodra e al suo bussare, nessuno le aprì. Passarono varie settimane, ma la ragazza non si arrendeva.
Capì che non avrebbe mai ricevuto risposta alla porta, quindi decise di mettersi nei suoi panni e di incontrarlo direttamente senza dover picchiare all’uscio. Si avviò verso la taverna e, dopo aver aspettato delle ore seduta al bancone, rifiutando drink offerti sia da uomini ubriachi sia da uomini in cerca d’amore, vide entrare dalla porta un ragazzo somigliante a colui che lei cercava. Aveva gli stessi lineamenti e caratteristiche, ma non aveva le scintille negli occhi, non aveva i caratteri che lei più ricordava di lui e per questo esitò, nascosta sotto un cappuccio. Dopo tanti anni percepì una sorta di paura. Non appena lo vide sedersi al bancone casualmente accanto a lei, cominciò a sudare freddo e a tremare. Per un momento pensò di aver fatto la scelta sbagliata, ma poi si tolse il cappuccio e lo chiamò, toccandogli due volte la spalla con un dito. Quando lui si girò e la vide, si alzò di scatto dalla sedia, indietreggiando, coprendosi gli occhi con le mani e sussurrandole di andare via. Eppure lei fece l’opposto, avvicinandolo fino a spingerlo a toccare il muro. A quel punto, Laodra s’inginocchiò e scoppiò in un pianto isterico, scusandosi tante, troppe volte per essere contate. Anche Marina si chinò e lo tirò su con le sue mani e, una volta in piedi, lo abbracciò. Dopo qualche minuto la ragazza, con un tono triste, gli propose di uscire dal quel posto orrido e lui accettò senza pensarci un secondo.

Tornati al villaggio, si sedettero su un pontile, con le gambe a penzoloni sul mare.
“Che ne hai fatto del vecchio Laodra?” ruppe il ghiaccio Marina.
Il giovane pensò un po’ e arrivò alla conclusione di essere diventato un vero codardo. Uno di quelli che lui odiava.
“Credo sia rimasto su quell’isola.”
Guardò in alto e Marina fece lo stesso, solo che lei notò uno strano pennuto volare vicino a loro, lo indicò e si alzò per vederlo meglio.
“Sembra un falcone di quelli che usavano anni fa per le missioni. Credevo fossero tutti fuggiti via in seguito a tutte le spedizioni consecutive con esito negativo. Non ne vedevo uno da tantissimo tempo” disse emozionato Laodra.
“Quelli sono i suoi… sono i suoi occhi. Veit occhi di Roy, sei veramente tu?” balbettò Marina.
Laodra rimase spiazzato da quell’affermazione, ma soprattutto dallo sguardo e dall’espressione della ragazza.
L’espressione “occhi di” seguita dal nome del cacciatore era utilizzata per identificare il falcone e il cacciatore cui quello apparteneva. A quel punto il giovane capì.
Il falcone bianco si posò lentamente sul braccio di Marina. Sulla pettorina aveva un foglio stropicciato, ma mantenuto in modo tale che se ne potesse leggere il contenuto. Era una lettera di svariati anni prima.
Sulla busta c’era scritto “da consegnare a: Marina Daora”.
Riconoscendo la calligrafia, l’intestataria si sbrigò ad aprirla e per prima cosa vide la firma di Roy Lirchet, il suo amato.
“Ciao tesoro mio, credo che per me sia giunta l’ora. Mi trovo al cospetto di quello che sembra essere il capo delle creature che noi uccidiamo per l’espansione. È interessante come conosca la nostra lingua. È grazie alla comunicazione che adesso sto scrivendoti. Me ne ha lasciata la possibilità. Lui vuole che cessiamo questo nostro gioco, come gli piace definirlo, e ha detto che manderà me come messaggio. Ma dato che mi sta lasciando scriverti, non ho idea di cosa voglia mandare di me, se il mio corpo vivo, morto o semplicemente la testa. Spero tu non intraprenderai mai la strada ch’io ho scelto per me e spero dissuaderai gli altri dal farlo, come tuo solito. Lo spero, ma non confido in questo. Fortunatamente per me ho avuto il piacere di conoscerti, ma sfortunatamente per te, so che questo ti porterà a occupare il mio posto come cacciatore. Mi auguro solo che questo sia quello che tu hai sempre voluto e nascosto per vergogna, perché altrimenti non ne varrebbe la pena. Io muoio per la mia passione, mentre tu moriresti per una vendetta che non ti porterà null’altro che odio in quel tuo cuore così gentile. Se devi morire per vendicarti di me, assicurati l’espansione. Finisci quel che ho cominciato io.
Sempre in moto verso l’avanti; ogni giorno crescendo più forti.
Roy Lirchet.”

Laodra si sentì più fuori posto che mai e decise di allontanarsi lentamente.
Mentre Marina leggeva, le tremavano le mani e si commosse, ma subito si asciugò le lacrime e mise la lettera in tasca.
“Ma dove credi di andare? Aspettami!”
Gridò la rossa correndo verso di lui, seguita da Veit e sorridendo come non faceva da molto.
Si diressero verso la piazza centrale, dove un individuo distribuiva volantini con scritto “Missione urgente! Il mostro di Seeland è stato avvistato!”
Marina prese il manifesto e lo mostrò a Laodra.
“Che ne pensi? Vuoi andare a riprendere te stesso?”

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Capitolo 7
*** Capitolo 7- Sempre in moto, verso l'avanti ***


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Capitolo 7- Sempre in moto, verso l'avanti

“Marina Daora; Laodra Kushala” appariva sul foglio delle iscrizioni.
Solo loro due e il falcone Veit partirono. Nessun altro ebbe il coraggio di affrontare quel terribile mostro. Non appena arrivarono, Marina mandò il suo falcone a perlustrare i cieli, ma il suo aiuto non fu necessario. Localizzarono il mostro immediatamente, ma aveva qualcosa di diverso. Non era in acqua, ma sulla terraferma, ed era di colore bianco argentato, non del vecchio azzurro. Al vederlo, doveva fare ancora più paura, ma il fatto che non fosse in acqua diede più sicurezza ai cacciatori, abituati al combattimento su terra. La creatura non accennò a voler entrare in acqua, nemmeno per sbaglio, ma nonostante ciò, i suoi colpi erano più potenti e devastanti rispetto alla volta scorsa. Più o meno i movimenti somigliavano a quelli del mostro precedente. Si trattava di una sottospecie, variazione spesso più pericolosa di un determinato mostro. Le sue scariche erano inaspettate e i suoi ruggiti più forti. I colpi di Laodra rimbalzavano sulla sua testa, dura come l’avorio. Distruggere i cristalli non fu facile, ma una volta fatto, la potenza e la frequenza delle scosse elettriche diminuì vertiginosamente.
Insieme diedero il colpo di grazia alla creatura, dritto sul ventre.
Solo in quel momento, parvero accorgersi della neve che cominciava a cadere dal cielo, dei laghi che d’improvviso si ghiacciarono e dei venti ululanti. Nemmeno ebbero il tempo di gioire, che dovettero richiamare il falcone ancora in perlustrazione e correre verso la loro imbarcazione.

A quel punto dovetti intervenire io.
Quei due avrebbero vinto un’altra volta senza ripercussioni. Scatenai i miei venti più potenti e la superficie del mare intorno all’isola si ghiacciò. Quel pennuto continuava a gridare l’allarme, ma Marina sembrava non capire. Laodra, invece, si mise subito in guardia, guardandosi intorno. Gli resi la vita più facile e mi posai lentamente davanti a loro.
“E questo da dove esce fuori?” gridò spazientita e, per la gioia delle mie orecchie, impaurita Marina.
“Ciao Marina, Laodra e anche te, Veit, da quanto tempo, vero?”
Marina mi guardò in cagnesco, quando il suo sguardo s’illuminò di un terrore nuovo e subito cominciò a scrivere su un foglietto di carta che mise tra le zampe del falcone, ordinando lui di portarlo al villaggio.
“Non mi pare che io ti abbia lasciato il permesso di scrivere.”
Lo ammetto. Ebbi paura per un istante. Quell’istante in cui l'angoscia nei suoi occhi si trasformò nel colore rosso rabbia più temibile e dalla sua bocca cominciarono ad uscire parole velenose.
“Mi stai confondendo con qualcun altro, bastardo.”
Sfoderò le sue doppie lame e me ne lanciò una mirando al mio muso, ma mi mancò, infilandosi in un tronco giusto dietro di me. La sfilai e lessi la frase che c’era scritta.
“Ma allora avevo visto e sentito bene! La parte seguente è scritta sull’altra lama suppongo.”
Il novellino mi si buttò addosso con la sua spada lunga, ma lo evitai con estrema facilità.
“Laodra, tu sei l’impavido cacciatore prodigio, no? Eppure sei così prevedibile che non riesco a capire come abbiano fatto le mie creature a soccombere alla tua spada. È forse la tua nobiltà d’animo?”
“Con la nobiltà non uccidi nemmeno un insetto indifeso.”
“Beh, Laodra, ma dati i tuoi precedenti, uccidi i tuoi compagni, no? Guarda. La lama è conficcata nel terreno, mi ricorda qualcosa.”
Non ebbi il tempo di vedere la sua reazione alla mia provocazione, che, a sorpresa, Marina mi colpì. Non ci credevo. Un colpo alle spalle da parte di una donzella così gentile come lei.
“Sai Marina, ci sono due cose che rendono deboli gli esseri umani: il rancore e la curiosità. Guarda te stessa. Una ragazza così buona, tanto da trasmettere felicità, diventata così grezza per un semplice lutto. E poi guarda un po’ la completa razza umana. Sterminati per la vostra spregevole voglia di conoscere sempre di più. L’hai detto tu stessa. Se la curiosità fosse una cacciatrice concreta, sarebbe senza dubbio la prima in classifica.”
Li sentivo che continuavano a cercare di colpirmi, come se potessero farmi qualcosa.
“Vi ho seguito, ascoltato e guardato a lungo, eravate un popolo interessante. Ho imparato la vostra lingua, i vostri difetti, le vostre abitudini. Ma i vostri desideri di espansione cominciarono a darmi sui nervi e così, mandai un avvertimento, che a quanto pare non fu recepito correttamente. Credi che io abbia mandato la testa di Roy come ricompensa? Voi umani non avete fatto altro che arrabbiarvi ancora di più, rovinandovi. Oggi non avevo intenzione di uccidere, sono un nobile come voi e sono venuto qui per discutere, ma un discorso fatto con la rabbia in corpo è un discorso senza senso e doloroso, per questo ho deciso che voglio liberarvi dalle vostre sofferenze.”
Diedi un colpo di coda a Laodra che finì a terra, svenuto.
“Smettete di opporvi. La mia forza è superiore alla vostra in maniera eccessiva. Lasciate che sia rapido.”
Marina cominciò a piangere a dirotto. La vidi in quello stato solo quando seppe di Roy.
“Non devono esserci più vittime” urlava “non più!”
“È per questo che hai inviato quel pennuto a chiedere aiuto? Per far sì che ne arrivino altri che io possa uccidere?”
“Mi credi così ipocrita? Hai passato gli ultimi decenni della tua vita a osservarmi e credi davvero che io sia così stupida? Io ti prometto che gli occhi di quel pennuto, come l’hai chiamato tu, saranno l’ultima cosa che vedrai.”
Che abbia avvertito il villaggio del mio arrivo e che stia prendendo tempo? No, impossibile. Come ha fatto a prevederlo? Sta fingendo e se c'è una cosa che mi disturba più della stupidità umana è la loro continua voglia di prendere in giro.

“Marina, io mi accingo a ucciderti, qui e ora.”
Smise di piangere e cominciò a ridere. Una risata malata e stanca che faceva quasi tenerezza.
“Ho atteso troppi anni per arrendermi alla tua superiorità. Sto solo aspettando che tu faccia la prima mossa.”

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Capitolo 8
*** Capitolo 8- Ogni giorno, crescendo più forti. ***


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Capitolo 8- Ogni giorno, crescendo più forti.

Non sapevo se Marina credesse davvero di potermi battere o se lo facesse come ultimo disperato tentativo. Si muoveva agile, veloce e le sue braccia e gambe sembravano così forti da poter oltrepassare i più difficili ostacoli. La misi alle strette, ma lo ammetto, di filo da torcere me ne aveva dato, e nemmeno poco.
Era al limite delle forze, quando mi lanciò le sue doppie lame. Ne schivai una, ma l’altra mi colpì in pieno volto, lasciandomi una ferita profonda. Liberai i miei venti, che sbatterono al muro lei e le sue armi. Il rumore di quello schianto fu fastidioso e quasi assordante. Diede una botta forte alla testa, che le cominciò a sanguinare.
“È finita, Marina.”
Cominciò a piangere delicatamente e dolcemente. La guardai per qualche istante, finché non prese una delle sue spade e se la conficcò violentemente nello stomaco.
“Io… Noi… abbiamo già vinto.”
E con quel sussurro flebile e malinconico, chiuse gli occhi per non riaprirli mai più. La sua morte, inaspettatamente, mi lasciò un amaro in bocca, un’insoddisfazione terrificante. Non saprei dire se fosse per il modo in cui si uccise o proprio perché non volessi vederla in quello stato. Un sapore che porto con me tuttora. Credo sia per entrambe le cose.

In quel momento provai un’emozione tutta nuova, che sembrava tristezza, ma era più incompiutezza, mi sentivo vuoto. Non riuscii a pensare a nulla, solo al mio dovere da compiere.
Dovevo dirigermi a Haus per annientare tutto il genere umano. Volai veloce cavalcando le mie stesse tempeste, ma quando arrivai, non trovai l’isoletta in mezzo alle montagne, ma una fortezza vera e propria, con armamenti di difesa distruttivi.
Rimasi sconvolto a primo impatto, ma subito dopo fui stupito. Mi sentii così inferiore a loro, che scesi alla piazza centrale e m’inchinai davanti al capo di quelle genti. Notai anche Veit occhi di Roy. Nessuno di loro si mosse. Mi guardai intorno e vidi gli esseri umani con una luce completamente diversa da quella con cui li conoscevo. Non c’era paura, né rabbia. C’era disgusto e potenza, forza interiore. Loro erano così luminosi ed io così spento. Il loro rappresentante prese un foglio tra le mani e lo lesse.
“Seeland. Freddo. Il loro capo. Difendetevi.
Kushala; Daora.”

Io sapevo che in uno scontro a fuoco avrei vinto io. Ma come potevo competere con la nobiltà d’animo di quei due giovani? Semplicemente, non potevo. Avevano previsto tutto davvero e avevano preso tempo per preparare il paese. Marina aveva ragione. Loro avevano vinto.
“Io sono venuto qui con l’intenzione di uccidervi tutti, per i vostri atti osceni contro le mie genti. Eppure ora mi sto inchinando alla vostra superiorità, o meglio, a quella di Laodra Kushala e soprattutto di Marina Daora.”
Dalla folla una voce si distinse, quella di una donna, che si fece spazio tra tutti e, senza paura alcuna, venne davanti al mio cospetto urlandomi dove fosse suo figlio, che cosa avessi fatto al suo splendido Laodra. Mi sentii male. In realtà, lui l’avevo lasciato svenuto, non sapevo che cose ne fosse stato veramente di lui.
Il capo scese dalla sua postazione e mi chiese di Marina.
“Marina è morta combattendo contro di me, mentre aspettava il tempo necessario per preparare le vostre difese. A Laodra non è accaduto qualcosa di differente. E grazie a loro se ora io mi sottometto a tutta Haus, proponendovi un accordo. Se questa battaglia fosse stata mai combattuta, avrei vinto io a mani basse, ma oggi ho perso una battaglia ben più importante, contro l’animo di Marina. Per questo, nessuna delle mie creature, me compreso, attaccherà o invaderà voi e i vostri territori, se nessuno di voi attaccherà o invaderà le mie creature, me compreso, e i miei territori.”
Fu incredibile quanto gli umani chiacchierarono tra loro. Loro avevano solo da guadagnare in termini materiali e per questo il capo accettò senza indugi. Mi rivolsi a lui.
“So qualcosa che lei vuole sicuramente sapere, ma in cambio, voglio portare i nomi dei due nobili con me.”
Mi guardò con occhi tranquilli e interrogativi.
“I loro nomi?”
“Mi chiamerà Kushala Daora, quando avrà bisogno di aiuto e io sarò qua. Questo solo se lei accettasse la mia proposta. Se dovesse rifiutare, di me, non vedrete l’ombra, finché l’accordo durerà.”
La madre di Laodra si arrabbiò a morte. Il nome della sua famiglia sarebbe stato accostato a me. Ma poi, la mia promessa di protezione e anche un po’ di pena nei confronti del suo superiore, la convinsero ad accettare, non prima di avermi dato un monito.
“Portare i loro nomi, non ti renderà nobile quanto loro. Tienilo a mente e promettimi di non scordare mai i loro volti, le loro parole, i loro sorrisi. Puoi utilizzare il nome della mia famiglia.”
“Allora dimmi, Kushala Daora, cos’è che voglio sapere?”
Appena sentii quel nome, posso giurarlo, mi vennero i brividi, come se un fantasma mi fosse passato accanto. Magari, chissà, era l’addio di Marina.
“Non so quanto io abbia il diritto di dirlo, qui e ora. Keura non ha sentito niente. Non ha sofferto, si metta l’anima in pace, non è stato lei ad ucciderlo.”
Rimase spiazzato e cadde a terra, piangendo. Non erano le lacrime che rigavano il volto dei cacciatori i cui compagni erano appena morti. Erano differenti, liberatorie. Dopo quel pianto, giuro di averlo percepito più leggero.

“Portami almeno dal suo corpo, se non è stato dilaniato dalle tue spade.”
Mi disse solenne il padre di Laodra. Scongelai il mare e col vento trainai un traghetto, trasportante la famiglia di Laodra e il rappresentante, verso Seeland. Non sapevo dove potesse essere il prodigio, quindi, li condussi dove doveva essere il corpo di Marina, ma questo non c’era. C’era il suo sangue sul muro e una lunga scia di questo. Il suo corpo era stato mosso. Sentii un ramo scricchiolare e mi voltai. Vidi un ragazzo coperto di sangue e non ci misi molto a capire chi egli fosse. I suoi genitori erano rimasti indietro, non li vide inizialmente e per questo mi corse incontro, senza armi, senza niente con cui difendersi addosso pregandomi in ginocchio di ucciderlo. Appena sentirono le sue urla, i suoi genitori si precipitarono da lui.
“Cosa ci fate qui? Scappate! Questa creatura è più pericolosa delle altre! Dovete correre via, io lo tengo occupato!”
Sua madre lo avvicinò e gli carezzò una guancia, dicendogli “è pace, Lao, come hai sempre voluto”.
“Pace?! Non può esistere pace! L’ha uccisa, li ha uccisi tutti!”
Arrivò anche il comandante, che subito chiese dove fosse Marina.
Laodra scoppiò a piangere, gridava, sbatteva i pugni per terra, impotente.
“Intendi il suo corpo forse. È morta! L’ha uccisa questo bastardo! E voi chiedete la pace!”
“Lo so bene, sì, intendevo il suo corpo.”
Intervenni.
“L’ho chiesta io la pace. Il tuo paese era pronto a difendersi, ma contro di me non ce l’avrebbe fatta. Ma dato che Marina aveva sacrificato se stessa per prendere tempo, ho deciso di sottomettermi al suo coraggio.”
“Ti sottometti perché non sarai mai come lei!”
Ed io come potevo dargli torto?

Il capo mise la mano sopra la spalla del giovane, cercando di calmarlo e chiedendogli di portarli da lei e il ragazzo ubbidì.
L’aveva cosparsa di fiori viola e bianchi, lasciando scoperti il viso sfregiato e le braccia. Vederla in quello stato così indifeso e puro allo stesso tempo distruggeva.
Non avrei mai potuto rovinare quella pace che sembrava circondarla, così decisi di fare per lei e per il suo popolo, un ultimo atto di gentilezza.
“Penso che lei debba rimanere qui. Seeland è vostra.”
Laodra si avvicinò a me affranto e disperato.
“Tutti questi atti caritatevoli nei nostri confronti non riporteranno indietro tutte le vittime del tuo ego! A quale scopo fai tutto questo?”
“Sto cercando di andare avanti, Laodra. Voglio crescere, ogni giorno, sempre più forte.”

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