The only one

di FrancescaPotter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci. ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici. ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici. ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici. ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordici. ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici. ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici. ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciassette. ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciotto. ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciannove. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


STORIA IN REVISIONE.

Strana cosa il destino, non trovate?
Emma non sapeva se credeva in Dio, o nel fato, o nella fortuna, ma in quel momento aveva la strana impressione che tutte quelle forze sovrannaturali che governano la natura e le azioni umane -ammesso, appunto, che esistessero- si stessero prendendo gioco di lei. Riusciva quasi a sentire le risate di scherno che le stavano rivolgendo mentre ritornava all'Istituto dopo un pomeriggio passato tra le onde del mare. Se li immaginò tutti seduti davanti ad un maxi schermo, intenti a guardare il casino in cui era finita e a deriderla, come un gruppo di vecchi amici che si ritrovano per una rimpatriata e che sfottono in modo poco carino il compagno sfigato del liceo. Ecco, lei era quel compagno sfigato.
Ad un certo punto, la situazione le sembrò talmente assurda che si bloccò, lasciò cadere la tavola da surf e, rivolgendosi al cielo striato dal rosso del sole prossimo al tramonto, urlò:«SERIAMENTE? Con tutti i ragazzi che esistono sulla faccia della terra, proprio lui? Vi ringrazio, davvero!» Per un terribile istante temette di venire arrostita da un fulmine e perciò si spostò di lato velocemente. Grazie a Raziel, non successe niente del genere.
Riprese allora la sua tavola e si girò ad osservare l'orizzonte un'ultima volta. Il mare era dove si rifugiava quando voleva restare da sola a pensare, e quel giorno ne aveva avuto proprio bisogno.
Per l'Angelo! Ancora stentava a credere a quanto fosse sfigata: c'era una persona della quale la legge le impediva di innamorarsi. Una sola persona sulla faccia della terra e, ovviamente, Emma Carstairs si era innamorata proprio di quella persona. Si trattava del suo migliore amico, Julian Blackthorn.
Di solito é sconveniente prendersi una cotta per il proprio migliore amico per una serie di motivazioni a tutti note, ma quello non era il caso di Emma dato che c'era una specifica legge che le proibiva di legarsi a lui sentimentalmente, ed Emma non amava infrangere le regole.
Era sempre stata una ragazza diligente, si allenava con devozione ed impegno per poter essere un giorno in grado di farla pagare a coloro che avevano ucciso i suoi genitori quando aveva solo 12 anni. Una ragazza che non aveva mai dato alcun problema al Conclave, abbastanza ordinaria, ma con uno spiccato senso del dovere e con notevoli capacità in combattimento.
Non seppe neanche lei quando le cose cambiarono; non aveva idea né di come, né di quando successe. Tutto quello di cui era certa é che un giorno si era svegliata, aveva visto Julian e aveva iniziato a sentire uno strano formicolio alle mani ogni volta che incrociava il suo sguardo, a sentire qualcosa smuoversi nello stomaco quando la toccava e, cosa più sorprendente, a preoccuparsi di avere i capelli in ordine quando erano insieme -ovvero i tre quarti della giornata. I suoi sentimenti non erano venuti a galla tutti insieme; Emma ci aveva impiegato parecchio tempo per accorgersi che ciò che provava per Julian andava ben oltre l'amicizia, e ci aveva impiegato altrettanto tempo per ammetterlo a se stessa. Ora la consapevolezza di ciò che provava l'aveva travolta come un'onda anomala lasciandola disorientata e senza fiato. Cosa avrebbe fatto? Perché proprio lui?
I due ragazzi si conoscevano da quando Emma aveva memoria. Non riusciva a ricordare la sua vita senza Julian: avevano imparato a nuotare e ad andare in bicicletta insieme e si allenavano fianco a fianco da anni. Non c'era al mondo persona che la conoscesse meglio di Julian Blackthorn e non c'era persona a cui avesse osato dare così tanto di se stessa. Erano come due facce della stessa medaglia: tanto diversi, ma eternamente legati.
Perché é così strano e che male c'é, vi starete chiedendo. Be' non ci sarebbe stato niente di male se Emma e Julian fossero stati due normali adolescenti Shadowhunters, ma non lo erano. Erano Parabatai, e già essere una diciassettenne completamente cotta del tuo migliore amico era un problema, ma essere una diciassettenne Shadowhunter innamorata del tuo Parabatai, be'... quello sì che era un gran casino.

 

 

NOTE DELL'AUTRICE: lo so, lo so. Dovrei continuare l'altra long sui malandrini, i know. Sono una brutta persona, ma... questo capitolo si è praticamente scritto da solo. Cassie continua a parlare e a twittare di questa nuova saga con Emma, Julian e i Blackthon che io... io boh, li shippo tantissimo già da adesso. Penso che l'idea di due parabatai innamorati sia qualcosa di geniale e penso che ne verrà fuori un'altra saga fantastica. Dato che non vedo l'ora di leggerla, ho pensato di scrivere una breve fanfiction riguardo questi due personaggi. Vediamo un po' cosa ne esce fuori.

Be', vi ringrazio molto se avete letto questo primo capitolo, fatemi sapere che ne pensate.

Vi abbraccio,

Francesca

 

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


NOTE DELL'AUTRICE:

avevo iniziato questa fanfiction qualche mese fa, poi, causa scuola e problemi vari, l'avevo abbandonata solamente al primo capitolo. Ora però l'ispirazione è tornata e cos' anche io. Ho bene in mente la piega che voglio dare agli eventi, quindi... I'm back. Vi avverto che è meglio che abbiate già letto Cit of Heavenly Fire... non ci sono spoiler. Ad esempio, la storia del ballo annuale me la sono inventata di sana pianta, però potrebbero esserci dei leggeri riferimenti al finale di TMI, quindi se non volete rovinarvi assolutamente niente, è meglio che prima leggiate il libro.

Detto questo: uomo avvisato, mezzo salvato.

Spero vi piaccia, fatemi sapere che ne pensate nelle recensioni che apprezzo tantissimo e, se amate Harry Potter (in particolare di Malandrini) potete dare un occhio alla mia altra long su James e Lily “I will be your hope”

Grazie a tutti,

a presto,

Francesca

 

Una folata di vento riscosse Emma dai suoi pensieri.

La ragazza si rese conto di essere ancora in spiaggia ad osservare l'orizzonte, dove il sole era appena tramontato.

«Emma! Ecco dov'eri, ti ho cercata dappertutto.»

Alla fine l'aveva trovata. Non poteva nascondersi per troppo tempo da lui, perché Julian in un modo o nell'altro l'avrebbe trovata. Di sicuro l'essere Parabatai aiutava molto, ma c'era qualcosa di più. Lui era speciale: riusciva a capirla anche con un semplice sguardo, con un semplice gesto o movimento del corpo; era come se fosse dentro di lei, come se fossero una cosa sola e nessuno avrebbe mai potuto prendere il posto di Julian nel suo cuore.

«Ciao.» Lo salutò con il sorriso che le si disegnava spontaneamente sul viso ogni volta che lo vedeva. Nella luce rossastra i suoi capelli avevano assunto una tonalità più chiara e Emma avrebbe voluto scostarglieli di lato, ma si trattenne. Era senza maglietta e indossava un paio di larghi pantaloni neri da allenamento, e Emma si prese un momento per osservare la linea che saliva dalla sua vita disegnando gli addominali scolpiti. Nonostante vivesse a Los Angeles, Julian non era il tipico ragazzo californiano che le ragazze sperano di incontrare durante le vacanze di primavera. Aveva la pelle chiara e capelli ricci color cioccolato che gli ricadevano sugli occhi; certo, amava il surf, ma la sua grande passione era la pittura. Passava intere giornate a dipingere con acquerelli, tempere, pastelli a cera o anche solamente con una matita. A volte le mostrava le sue opere e le chiedeva dei pareri, altre, invece, non le permetteva di vederle. Emma si chiedeva spesso il perché, ma lui le rispondeva che erano troppo “personali” e che, se mai gliele avesse mostrate, poi avrebbe dovuto ucciderla.

«Che fine hai fatto? Mi sono dovuto allenare con Tiberius che non la smetteva di lanciarmi coltelli addosso, Livvy che lo difendeva ogni volta, e Dru che piangeva perché non le prestavo attenzione. Raziel, non vedo l'ora che Jem e Tessa ritornino da Idris.»

Da quando la loro precedente allenatrice era morta durante la presa dell'Istituto da parte di Sebastian e dei suoi Shadowhunters oscuri, era stato Jem Carstairs ad occuparsi del loro allenamento, che ora però si trovava a Idris per una riunione del Conclave, quindi erano stati Emma e Julian a prendersi la responsabilità di allenare i più piccoli.

«Hai ragione, scusami. Avevo bisogno di tempo per pensare.» Emma si era completamente dimenticata dell'allenamento, ed era profondamente dispiaciuta di averlo lasciato solo a gestire tre ragazzini vivaci come i suoi fratelli minori.

«Pensare a cosa?» Chiese tranquillamente lui sedendosi sulla sabbia, mentre le tirava piano la mano per invitarla a raggiungerlo per terra. Emma si lasciò trascinare sul suolo e raccolse le gambe stringendole al petto. Il suo braccio destro sfiorava quello di Julian, e nei punti in cui la loro pelle era a contatto, la ragazza riusciva a sentire il calore rassicurante del corpo del suo parabatai.

«Niente in particolare.» Mentì prontamente evitando il suo sguardo. «Guardami.» Le disse, ma lei continuò a mantenere gli occhi puntati contro il mare che aveva assunto una bellissima sfumatura rosso chiaro.

«Emma.» La chiamò con tono divertito. «Emma, guardami.»

Ubbidì, e quando immerse gli occhi nei suoi il suo cuore mancò un battito per poi accelerare improvvisamente. Aveva sempre amato quella sfumatura di verde-azzurro che caratterizzava gli occhi dei Blackthorn, e aveva sempre desiderato che anche i suoi occhi fossero di quel colore, ma in quel momento, mentre Julian la fissava così intensamente da togliere il fiato, iniziò ad odiarli. Sì, li odiava. Profondamente.

Era terribile essere innamorata dell'unica persona che sapeva non avrebbe mai potuto ricambiare i suoi sentimenti, e, da quando lo aveva ammesso a se stessa, la situazione era peggiorata drasticamente, perché ora Emma sapeva dare un nome alle strane sensazioni che provava.

Continuava a ripetersi che probabilmente quello non era amore, e che era solamente un grandissimo affetto verso il suo migliore amico, nonché Parabatai. Perché non poteva essere innamorata di lui. La legge lo proibiva, quindi doveva farselo passare, autoconvincendosi che prima o poi si sarebbe innamorata di qualcun altro e che quello che provava per Julian era paragonabile all'affetto che si ha per un fratello. Dopotutto lei era figlia unica, quindi non poteva saperlo...

«Lo stai rifacendo...»

«Cosa?» Chiese stupita.

«C'è qualcosa che ti turba, lo sento... qui dentro.» E si toccò la runa che lei stessa gli aveva disegnato sulla clavicola.

Sorrise a quel ricordo e cercò di rassicurarlo. «Non preoccuparti, va tutto bene. Sono solo un po' stanca.»

«Okay.»

Ecco un'altra cosa che amava di lui: non invadeva i suoi spazi, mai.

«Che ne dici di ritornare all'Istituto?» Propose. «Muoio di fame, e si mangia l'arrosto stasera.»

«Tu odi l'arrosto.» Gli ricordò lei.

«Oh...» Sì bloccò lui mentre si alzava. «Hai ragione, ma credo che lo mangerò comunque. Sai come si dice, o mangi la minestra...» Le pose una mano per aiutarla a tirarsi in piedi e lei la accettò volentieri. Julian era l'unica persona dalla quale accettasse qualsiasi tipo di aiuto.

«O salti dalla finestra?» Concluse il proverbio.

«Esatto.»

«Andiamo, allora.» Rise lei. Il suo Julian la metteva sempre di buon umore, e anche quella sera non fu diverso.

Giunti all'Istituto, i due ragazzi andarono a fare una doccia calda e a cena Emma riusciva a sentire la tensione tra Tiberius e Julian. Il primo teneva il muso al fratello maggiore, e lei percepiva quanto a Julian dispiacesse che il fratellino lo trattasse così. Gli mise una mano sulla gamba e gli scrisse con il dito “Stai bene?”. Lui le rispose disegnando sul palmo della sua mano un “Non preoccuparti.”

Quando erano bambini, questo era il loro modo di comunicare segretamente per non farsi sentire dai genitori e, con il passare del tempo, lo avevano mantenuto anche per parlare normalmente.

«Quando ritorneranno Jem e Tessa?» Chiese Dru a zio Arthur.

«Domani, tesoro.»

La bambina sentiva molto la mancanza di Tessa, che per lei era quasi come una mamma, e sorrise felice alla notizia del suo imminente ritorno. Anche Emma era molto affezionata ai due: Jem era il parente più vicino che le fosse rimasto e, con il tempo, aveva iniziato a chiamarlo 'zio Jem'.

«Arriveranno anche i Whitelaw con i due figli.»

«Cloe e Joshua? Per l'Angelo, odio quei due.»

«Tiberius, per favore. Comportati in modo educato.»

«Chi sono?» Chiese Emma non ricordandoli.

«Sono i gemelli figli di Bernadette e Andrew Wihitelaw. Hanno diciotto anni e una volta mi sono azzuffato con Joshua.» Disse tranquillamente Tiberius come se fosse la cosa più normale dell'universo essersi azzuffato con un ragazzo molto più grande di lui.

«Aspetta, ti sei azzuffato con Joshua?» Chiese Julian a bocca aperta. «Perché?»

«Perché sua sorella aveva insultato il vestito di Livvy.»

«E perché non hai picchiato lei, allora?» Chiese Emma ragionevolmente.

«Perché non si picchiano le ragazze.» Disse semplicemente lui.

«Ma se sono Shadowhunters puoi picchiarle eccome, Tiberius!» Si agitò lei. «Scommetto che Cloe -è così che si chiama, vero?- sarebbe stata in grado di difendersi tanto quanto il fratello, se non meglio!»

Calma” le scrisse sulla gamba Julian.

Tiberius, dal canto suo, scrollò le spalle e tornò a mangiare le sue carote con estrema concentrazione.

«Come mai non ricordo nessun Whitelaw?» Chiese Emma confusa. Anche quando i suoi genitori erano ancora in vita, passavano sempre il tempo con i Blackthorn, quindi non capiva come fosse possibile che non li conoscesse.

«Eri alle Hawaii con Jem e Tessa. I Withelaw sono venuti qui per il ballo annuale e si sono fermati per una settimana perché l'Istituto di Mosca aveva dei problemi a causa della neve.» Le spiegò il suo parabatai.

«Ah, è vero, quell'anno me lo sono persa. Gestiscono l'Istituto di Mosca, quindi...»

«Già...»

«E cosa pensi di loro?» Gli chiese abbassando il tono di voce.

Sono okay.” La risposta arrivò sul suo avambraccio. Sono okay significava che non gli piacevano poi così tanto, Emma ormai lo conosceva. Julian era sempre gentile e fantastico con tutti, il suo opposto, in pratica. Se una persona non gli stava a genio, la evitava educatamente, invece di infastidirla con sarcasmo o batterla spudoratamente in una sessione di combattimento come faceva invece Emma.

«Come mai vengono qui?» Domandò preoccupata Livvy. «Per quanto tempo si fermeranno? Oh no, non mi piacciono per niente.»

«Livvy, non preoccuparti.» La rassicurò suo fratello gemello. «Se ti infastidiranno in qualsiasi modo, tu vienimelo a dire, che li sistemo io.»

«Basta, voi due. Mi aspetto che vi comportiate tutti in modo educato e che accogliate i nostri ospiti con il calore che si meritano. Sono passati anni da quell'episodio, e sono sicuro che Cloe e Joshua siano cresciuti, così come voi, ragazzi.» Li apostrofò zio Arthur. «Comunque, verranno qui perché ultimamente è stata registrata un'intensissima attività demoniaca nella zona e abbiamo bisogno di tutto l'aiuto necessario. Inoltre i Whitelaw erano stufi marci del freddo perenne di Mosca. Si fermeranno fino a data da determinare.»

«Oh, no...» Borbottò triste Livvy affondando il viso nel bicchiere d'acqua. «Spero solo che non prenderanno ancora in giro il mio vestito al ballo di quest'anno.»

«No, Livvy tesoro,» replicò paziente lo zio. «Sono sicuro che non dirà niente nessuno.»

Dalla guerra combattuta contro Sebastian Morgenstern, il 22 di Dicembre, si organizzava una grande festa in uno degli Istituti più prestigiosi. Lo scorso anno era toccato a Londra, quell'anno sarebbe stato il turno di Los Angeles.

Emma odiava quel ballo; odiava doversi mettere un vestito, scarpe scomode e doversi sistemare i capelli, e, per di più, odiava dover sorridere ed essere affabile con tutti gli Shadowhunters che andavano da lei o per presentarsi o per scambiare qualche parola sulla tragica morte dei suoi genitori. Odiava l'alta società, ecco. Julian, invece, sembrava nel suo elemento. Distribuiva sorrisi e risposte pertinenti a tutti e sembrava perfettamente a suo agio. Emma, però, sapeva che non sopportava quella festa tanto quanto lei, l'unica differenza era che lui sapeva nasconderlo molto bene.

Notando il suo nervosismo, Julian le sussurrò «Non ci pensare adesso, mancano ancora due mesi al ballo.»

Aveva ragione, non aveva senso preoccuparsi in quel momento, a Dicembre ci avrebbe pensato.

 

 

Quella sera non riusciva a dormire.

Era andata a letto con una strana sensazione all'altezza del petto e con il pensiero fisso di Julian. Seriamente, doveva darci un taglio.

Tirò indietro le coperte e si alzò stizzita e per incamminarsi verso la grande terrazza all'ultimo piano che dava sull'Oceano. Li c'era una veranda per proteggersi dal sole durante le ore più calde e alcune sdraio e poltroncine di pelle bianca. Emma si svaccò su una di esse e, scossa da una brivido di freddo, rimpianse di non aver portato una felpa con sé.

Era Ottobre inoltrato ormai, e nonostante di giorno il clima fosse ancora abbastanza caldo, con il calar della sera si abbassavano notevolmente le temperature.

«Brutti sogni?» Chiese una voce familiare alle sue spalle.

«Niente di particolare.» Rispose senza nemmeno voltarsi. «Non riuscivo semplicemente a dormire.»

Julian prese una sdraio e la avvicinò alla poltrona sulla quale Emma era rannicchiata e vi si lasciò cadere sopra con un tonfo. «Lo sai che puoi dirmi ogni cosa, vero?»

Era quello che aveva sempre creduto anche lei, ma ciò che la tormentava... no, quello non poteva dirglielo e basta. Non poteva opprimerlo con quel terribile fardello, perché sicuramente lui non avrebbe ricambiato i suoi sentimenti e probabilmente avrebbe provato pena per lei, e Emma non voleva che Julian si sentisse in colpa per essere così dannatamente fantastico. Meritava di essere sereno e felice, e se per assicurarsi che lo fosse, Emma avesse dovuto tenersi dentro quei sentimenti per il resto della sua vita, lo avrebbe fatto.

«Lo so.» Gli rispose con un sorriso forzato. «Ti preoccupi troppo, Julian.» Continuò, dandogli una pacca sul braccio.

«Emma.» L'intensità con la quale pronunciò il suo nome la stupì parecchio. «Quando vorrai parlarne, io sarò qui. Solo... credo di sapere cosa c'é che non va.»

Che cosa? Lo sapeva? Lo intuiva? Non era possibile. Si era impegnata così tanto per celare quello che provava, e lui lo aveva capito comunque... incredibile! E ora cosa avrebbe fatto? Sicuramente lui non avrebbe più voluto avere niente a che fare con lei, il loro rapporto sarebbe cambiato e non poteva permetterlo.

«Julian, mi dispiace così tanto. Non l'ho deciso io, é solo che... »

«Ehi, é normale. So che é presto per pensarci, ma penso che il dolore non passerà mai. Anche io ci penso sempre.»

«Ehm... cosa?» Chiese Emma stupita.

«Parlo della morte dei tuoi genitori. Tra qualche mese cadrà l'anniversario, e anche il ballo, e so che odi particolarmente quel periodo dell'anno... quindi ho pensato che fosse quello che ti turba in questi giorni.»

Oh, Raziel, ti ringrazio! Pensò Emma.

«Sí, hai ragione. É quello. Inoltre non sto facendo progressi nel trovare i loro assassini.» Cercò di cambiare discorso. «Sembrava che quella pista dataci dai lupi mannari fosse buona, e invece si è rivelato un malinteso.»

«Non demordere. Ce la faremo, te lo prometto. Non importa se siamo solo io e te, io e te é abbastanza.» Allungò una mano verso la sua e la strinse forte. Emma non riusciva ad esprimere quanto si sentisse fortunata ad averlo al suo fianco. Se lo avesse perso, non sapeva cosa ne sarebbe stato di lei.

«Hai ragione, io e te va benissimo, ma a volte un po' di aiuto da parte del Conclave non farebbe male.»

Quando i genitori di Emma erano morti il Conclave non aveva voluto condurre indagini approfondite riguardo il loro assassinio. Diedero tutti per scontato che fossero stati uccisi dai seguaci di Sebastian, ma Emma sapeva che non era vero. Ai tempi si era ripromessa che si sarebbe allenata con zelo fino a quando non fosse stata pronta per andare a cercarli, coloro che le avevano portato via i genitori, e avere cosí la sua vendetta. L'anno precedente, quando aveva iniziato le ricerche, il Conclave si era rifiutato di darle qualsiasi tipo di aiuto, avendo da tempo archiviato il caso. L'unico disposto ad darle una mano era stato Julian.

«Guarda il lato positivo: meno siamo, meno attiriamo l'attenzione.» L'umore di Emma era ben lontano dal migliorare, ma comunque apprezzò il tentativo.

«Ehi, ma hai le mani congelate.» Sembrò rendersi conto improvvisamente. Le avvolse piano tra le sue e ci soffiò sopra per riscaldarle.

«Tieni, prendi, o diventerai un ghiacciolo.» Le disse porgendole la sua felpa con un sorriso.

«Cosí tu diventerai un ghiacciolo però.» Gli fece notare lei.

Julian ci pensò su un po', poi decise di tenere la felpa. «Facciamo così, allora. Alzati.»

Emma ubbidì con una scrollata di spalle senza fare troppe domande. Julian si sedette sulla poltrona e poi la prese in braccio, circondandola con le sue braccia per scaldarla.

«Cosí va bene?» Le sussurrò all'orecchio.

Emma si rilassò e si accoccolò meglio su di lui, appoggiandosi al suo petto.

«Cosí va benissimo.»

E si addormentò.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***


NOTE DELL'AUTRICE:

Ecco qua il terzo capitolo. Non succede niente di particolare, ma nel

prossimo inizierà la storia vera e propria. Come

vi ricordo che ci sono leggeri SPOILERS da CoHF.

 

Baci,

Francesca

 

 

Emma aprì gli occhi di scatto, accecata dai primi raggi del sole.

Si beò di quella sensazione di calore per qualche istante, prima di rendersi conto di dove si trovava: sulla terrazza all'ultimo piano e, per di più, tra le braccia di Julian.

Cercò di non fare nessun movimento brusco per evitare di svegliare il ragazzo ma, ovviamente, non ci riuscì.

«Buongiorno.» Le sussurrò all'orecchio.

«Ehi.» Gli rispose lei ridendo e cercando di liberarsi dalla sua presa.

«Dormito bene alla fine?» Chiese il ragazzo sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Sì, ho dormito da quando sei arrivato tu ad ora. Quindi direi che non è male.»

«Bene.»

«Bene.»

Emma si alzò in piedi e Julian la imitò, per poi stiracchiarsi alla luce del sole.

La ragazza si imbambolò per qualche secondo a fissare la striscia di pelle chiara rimasta scoperta tra i pantaloni e la maglietta.

«Ti senti meglio oggi?»

«Mhmh...» Fu tutto ciò che si sentì di dire. «Tu come stai?»

«Oh, tutto bene.» Il suo tono di voce, però, non l'aveva convinta.

«Sei nervoso per l'arrivo dei Whitelaw?» Gli chiese mentre scendevano le scale diretti in cucina per mangiare qualcosa.

«Sinceramente?» Disse guardandola con un sorriso.

«Sinceramente.»

«Un po' sì. C'è stato un... episodio con Cloe.»

«Definisci episodio.» Scandì piano Emma, il cuore che accelerava.

«Diciamo che ci ha provato con me.»

Emma dovette fare un bel respiro per calmarsi prima di rispondere. «Ah, wow.» Cercò di mantenere un tono casuale e scherzoso. «E... ?»

«E niente.»

«Niente?»

«Niente.» Affermò lui sicuro passandosi una mano sul viso, mentre attraversavano il lungo corridoio al primo piano.«E' per questo che sono preoccupato; non ci siamo lasciati nel migliore dei modi l'ultima volta.»

«Ma cos'è successo esattamente?» Gli chiese Emma avida di informazioni. Se tra di loro era successo qualcosa lei doveva saperlo.

«Mi è stata appiccicata tutta sera e, dopo essersi scolata qualche bicchierino di troppo, ha tentato in tutti i modi di venire a letto con me. Peccato che io fossi perfettamente sobrio e per nulla interessato.»

«E poi che é successo?» lo spronò Emma. Il solo pensiero di Julian che toccava, baciava o anche solo guardava con amore qualcun'altra le fece passare la fame.

«L'ho respinta e non l'ha presa bene... mi ha tenuto il muso tre giorni per poi tornare a comportarsi come se niente fosse.» Concluse con una scrollata di spalle. «Sono passati due anni comunque, quindi non ci dovrebbero essere problemi.»

Emma si auto insultò da sola. Cosa si aspettava? Che Julian rimanesse scapolo per il resto della sua vita? Non era il tipo, e non lo meritava. Meritava una ragazza dolce e amorevole che lo rendesse felice. Ma lei, Emma, ce l'avrebbe fatta a sopportarlo? Sarebbe riuscita a guardare il suo Julian mentre apriva il cuore ad un'altra, mentre si sposava e metteva su famiglia? Come poteva farsi da parte e sotterrare la gelosia e la disperazione che le attanagliavano le viscere?

Non importa ciò che voglio, si disse. Devo farcela. Mi passerà prima o poi.

Dopotutto, se aveva superato la morte dei suoi genitori, sarebbe uscita viva anche da questa situazione. Come la sua spada Cortana, era stata temprata col fuoco ed era destinata ad essere forte. Alzò la testa e raddrizzò le spalle, Emma Carstairs non si sarebbe certamente fatta buttare a terra da un ragazzo, anche se questo era letteralmente la persona più importante della sua vita.

 

 

Emma e Julian erano finalmente arrivati in cucina e, dato che era molto presto e che tutti stavano ancora dormendo, decisero di mangiare qualcosa velocemente così poi avrebbero potuto surfare per qualche ora prima dell'allenamento.

A Emma la fame non era tornata completamente, ma il cambio di discorso aveva aiutato molto.

«Sai cosa me lo fa odiare ancora di più?» Stava dicendo Julian mettendosi in bocca una gran quantità di puncakes.

«Che é il momento dell'anno in cui si riuniscono tutte le teste più ottuse e antiquate del Conclave in un solo luogo? E che per non essere etichettato come un ribelle spocchioso, devi indossare un vestito elegante e parlare così.» Emma alterò il tono di voce e fece una faccia buffa.

«No,» rise Julian. «O meglio, ci sono anche persone piacevoli, tipo i Lightwood, gli Herondale o i Penhallow.»

«Odio Robert Lightwood.» Borbottò la ragazza dopo essersi ficcata in bocca una cucchiaiata di cereali al cioccolato.

«Si, hai ragione, però i figli sembrano a posto. Comunque questo non era il punto. Il punto era che é un evento che non significa nulla. Dovremmo celebrare le morti della battaglia, ma alla fine cosa facciamo? Ci ubriachiamo, mangiamo fino a scoppiare e siamo pronti a criticare il prossimo alla prima occasione. É terribile.» Le rivolse uno sguardo desolato da sopra il piatto, prese il latte e iniziò a berlo direttamente dal cartone.

Emma sapeva che aveva ancora gli incubi riguardo a suo padre. Ricordò le parole che gli aveva detto cercando di calmare i suoi singhiozzi mentre lo stringeva forte «Hai fatto quello che dovevi fare, Julian. A te non sembra così ma ricordati ciò che ti dico: hai fatto quello che dovevi. Non era più lui, mi hai sentito? Non lo hai ucciso tu, é stato Sebastian, non tu.»

«Lo so.» Le aveva risposto in un soffio. «Ma non ce la faccio, Emma. Che succede se starò così per sempre? Temo che questo dolore non passerà mai.»

«Ti farà male ogni volta che ci penserai, ma alla fine il dolore si affievolirà e ci ripenserai e farà male solo un po'.» La sua premonizione si era rivelata corretta: il suo Parabatai continuava ad essere tormentato da quell'esperienza, certo, ma almeno riusciva a dormire la notte ora.

«Be' puoi sempre tenere il muso come me quest'anno. Sei il benvenuto nel club dei musoni-depressi.» Cercò di tirargli su il morale. «Siamo una piccola comunità e ci incontriamo due volte al mese per insultare tutte le persone che ci infastidiscono.

«Con piacere.»

Emma era ruscita a farlo ridere.

«Non devi essere sempre gentile con tutti, lo sai vero? Sei umano e anche tu hai il diritto di arrabbiati a volte. Certo, ti ci vorrà moolto tempo e allenamento per raggiungere i miei livelli, ma ci possiamo lavorare.» Concluse con una finta aria altezzosa.

«Non sono sempre gentile con tutti.»

«No, certo che no. Come quando Tiberius ti lancia i coltelli e tu non ti arrabbi?» Lo scimmiottò lei. «Oh, per non parlare di "Salve signor Inquisitore, é un piacere rivederla" detto all'uomo che ti ha costretto ad usare la Spada Mortale a soli dodici anni.»

«Emma.» c'era una nota di avvertimento nella sua voce. «Smettila.»

La ragazza gli prese la mano e ci scrisse sopra con l'indice "Ti voglio tanto bene". «Lo sai, vero? Lo dico per il tuo bene.» Concluse a voce.

«Lo so.» Lui strinse la sua mano chiudendola poi tra le sue e ci soffiò sopra piano. Emma aveva sempre le mani fredde, e a Julian piaceva scaldargliele con il suo respiro.

«È solo che non mi piace lamentarmi troppo con Zio Arthur. È stato così gentile ad accettare di venire qui da Londra dopo... sai, dopo che Sebastian ha ucciso tutti. E i ragazzi ne hanno passate così tante, devo prendermi cura di loro al meglio. E tu...»

«Io cosa?» Emma si accigliò.

«Mi sento responsabile anche per te.» Julian iniziò a tracciare il contorno delle dita della sua mano. «Voglio che tu sia felice. Cerco in tutti i modi di mantenere la promessa di essere la tua famiglia.»

Emma si stupì nell'udire quelle parole e represse il desiderio di urlare.

«Ma se tu vuoi occuparti di tutto e di tutti.» Sussurrò con voce strozzata. «Chi si prende cura di te?»

«Tu.» Quando Julian alzò lo sguardo sembrava molto più grande. «Tu ti sei sempre presa cura di me.»

Era vero. Da sempre si erano coperti le spalle l'un l'altra ma, da quando i loro genitori erano morti e da quando erano diventati Parabatai, il loro rapporto si era amplificato. Julian era la famiglia di Emma, e lei non riusciva ad immaginare una vita senza di lui. Sentirlo pronunciare quelle parole le scaldò il cuore e la lasciò senza fiato. Certo, già lo sapeva, ma era bello sentirselo ripetere ogni tanto, dato che né lei né Julian erano soliti esternare troppo i propri sentimenti.

«Che ne dici di andare a dominare qualche onda?»

«Dico che è un'ottima idea!»

Quella giornata era iniziata con il piede giusto, e Emma pensava che niente avrebbe potuto rovinargliela... quanto si sbagliava.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro. ***


NOTE DELL' AUTRICE:

Ehilà!

In questo capitolo inizia la storia vera e propria, e volevo fare un po' di chiarezza sull'età di Emma e dei Blackthorn. Emma e Julian hanno 17 anni, mentre non so quanti anni di differenza ci siano con gli altri, ma mi immagino che i gemelli (Livvy e Tiberius) abbiano 15 anni, mentre Dru la immagino di 11 anni circa. Octavian è troppo piccolo e non pensavo di includerlo nella storia.

Spero che il capitolo vi piaccia,

a presto,

Francesca

 

 

Emma non ricordava di aver mai avuto un'amica. Sinceramente, pensava di non aver mai avuto alcun amico a parte Julian, quindi non era una cima in interazioni sociali, e si vedeva.

Tutto ciò che desiderava da quando i Whitelaw erano arrivati, era tornare tra le onde, invece fu costretta a sorridere cordiale ai due ragazzi e a mostrarsi interessata ai loro noiosissimi racconti su quanto Mosca fosse diversa da Los Angeles.

«Ragazzi, vi presento Cloe e Joshua Whitelaw.» Lo zio Arthur era entrato nella palestra durante l'allenamento con i nuovi arrivati. «I loro genitori si uniranno a noi tra qualche settimana perché hanno ancora degli affari da sbrigare a Mosca, un sacco di scartoffie.» E rise da solo. I due gemelli si unirono alla sua risata, anche se si poteva dire da chilometri che non erano divertiti per niente.

«Grazie mille per l'ospitalità, signor Blackthorn.» Disse il ragazzo. Emma doveva ammetterlo, ma se li era immaginati con folti capelli biondo chiaro e grandi occhi azzurro ghiaccio, i tipici ragazzi russi, insomma. Invece i due fratelli avevano entrambi capelli marrone chiaro e grandi occhi grigio scuro. Joshua era molto alto e muscoloso e aveva un sorriso molto affascinante.

Il tipico belloccio da spiaggia, pensò Emma.

Cloe invece era davvero magnifica. Alta solo qualche centimetro in meno del fratello con folti capelli castani che le ricadevano perfettamente ai lati del viso sottile. Sembrava una bambola di porcellana, ed Emma si sentì molto sciatta e trasandata nella sua tenuta da allenamento, i capelli raccolti alla bell'e meglio in una coda di cavallo e la maglietta sudata.

«Ciao a tutti, ragazzi, come siete cresciuti! E... Julian!» Esclamò Cloe. «Da quanto tempo.»

Julian si guardò intorno spiazzato, come se sperasse si stesse riferendo a qualcun altro, poi però sembrò rassegnarsi al fatto che era l'unico Julian nella stanza e ricambiò cortesemente il saluto. Cloe lo prese come un via libera e si fece avanti per abbracciarlo. Lo strinse in un abbraccio da orso, come se fossero grandi amici che non si vedono da molto tempo.

«E tu devi essere Emma, giusto?»

«Sì, sono io.» Rispose la ragazza rigidamente.

«Oh, ma è un tale piacere conoscerti!» Cloe abbracciò anche lei ed Emma si sentì ancora di più inadeguata e inferiore. Perché non poteva essere carina e socievole come lei?

«Ciao a tutti, ragazzi. E' una gioia rivedervi. Io sono Joshua, piacere di conoscerti, Emma.» Joshua le prese la mano e vi posò un leggero bacio, fissandola intensamente negli occhi. Qualsiasi ragazza, probabilmente, sarebbe arrossita, ma non Emma. Lanciò un'occhiata di sottecchi a Julian, che sembrava perfettamente tranquillo, e notò una leggerissima contrazione nella sua mascella che nessuno avrebbe mai notato. Ma lei non era “nessuno”, lei era il suo parabatai, nonché migliore amica.

«Anche per me.» Rispose mantenendo saldo l'autocontrollo (che solo Juilian riusciva a mettere davvero alla prova.).

Joshua era bello.

Molto, molto bello.

Bello in una maniera diversa da Julian, però.

Era più muscoloso e più affascinante, ma non possedeva la stessa tenerezza e dolcezza che avevano rubato il cuore ad Emma.

Ed ecco che il suo autocontrollo andava a farsi fottere.

«Oh, Tiberius, é un tale piacere vederti.»

«Per me no.» Rispose piatto il ragazzo con un sorriso serafico.

«Tiberius!» Lo riprese Julian.

«Che vuoi tu?»

«Basta così.» Intervenne Zio Arthur. «Joshua, caro, mi scuso per l'impertinenza di mio nipote.»

«Non preoccupatevi, scommetto che Tiberius ed io supereremo tutti i nostri disguidi senza problemi.»

«Questo lo dici tu.» Borbottò lui piano. Emma per farlo stare zitto gli tirò una gomitata che le costò una linguaccia.

«Dove sono Jem e Tessa?» Chiese Dru con un sorrisone.

«Li vedrai stasera a cena, tesoro.»

L'entusiasmo della ragazzina sembrò sgonfiarsi come un palloncino bucato.

«Ci scusiamo molto se abbiamo interrotto l'allenamento.» Saltò su Cloe come se niente fosse. Domani ci uniremo sicuramente a voi. E' da due settimane che a causa dei preparativi per la partenza non vedo una palestra e sto mettendo su chili di troppo.» Emma pensò che i chili di troppo fossero dovuti alla segatura che aveva nel cervello, dato che per essere una Shadowhunter era davvero magrissima e sottile.

Joshua e Cloe continuavano a sorridere come due fotomodelli sul set di un servizio fotografico, ed Emma iniziò a sentirsi a disagio, in particolar modo perché Joshua non le toglieva gli occhi di dosso. Era come se le stesse facendo una radiografia e, nonostante continuasse a guardarsi intorno, riusciva a sentire il suo sguardo su di lei.

«Ora vi mostro le vostre stanze così potete riposare. Si cena alle 7.30.»

«Molto bene, ho proprio bisogno di un bagno caldo.» Cloe fece l'occhiolino a Julian e uscì dalla stanza seguendo zio Arthur, mentre Joshua disse. «Ci vediamo dopo, è stato fantastico rivedervi ed è stato un grande piacere conoscerti, Emma.» E se ne andò anche lui.

«Si, immagino che grande piacere.» Disse Tiberius una volta che Joshua fu uscito. «Chissà cos'ha in mente quel damerino. Io starei attenta fossi in te, Emma.»

Julian fece cadere i coltelli che aveva in mano, scandalizzato. «TIBERIUS! Non dirlo neanche per scherzo. Nessuno torcerà un capello ad Emma!»

La ragazza rimase piacevolmente sorpresa da quella reazione. Se fosse stato qualcun altro, probabilmente si sarebbe infuriata perché lei era perfettamente in grado di badare a se stessa e non aveva bisogno che qualcuno si preoccupasse per lei, ma si trattava di Julian.

«E poi, a lei mica interessa un cretino come quello, vero?»

Fece una faccia stupita e cercò di mantenerlo un po' sulle spine.

«Be', è carino.»

«Carino, dici? Sembra un pervertito, hai visto come ti fissava? Sembrava ti stesse spogliando con gli occhi!»

«Come sei esagerato, per Raziel.»

«Non sono esagerato.»

Era decisamente esagerato.

«Ascolta, non mi ha fatto proprio un bel niente e poi, mica mi avevi detto che per te erano okay?» Emma andò ad appoggiare Cortana nel fodero e poi si girò per fronteggiare l'amico.

«Cloe è okay, quel tipo per niente.»

«Oh, certo! Cloe!» Alzò le braccia al cielo contrariata.

Mentre discutevano si erano avvicinati pian piano, tanto che ora le punte dei piedi di Emma toccavano quelle di Julian e la ragazza doveva alzare la testa per guardarlo negli occhi.

«Non voglio che tu soffra.» Le disse abbassando il tono di voce.

Si guardarono negli occhi, facendo quel gioco che erano soliti fare da piccoli di chi abbassava prima lo sguardo. Emma vinceva sempre. Ma quel giorno non stavano giocando.

Se solo Julian avesse saputo che ciò che la faceva davvero soffrire era non potergli dire ciò che provava davvero per lui...

«Come siete belli. Ora vi baciate?» Sospirò Dru con voce sognante.

«DRU!» Esclamarono in coro Tiberius, Livvy, Julian ed Emma, gli ultimi due allontanandosi di scatto l'uno dall'altra.

«Che c'è?» Chiese la più piccola, non capendo la gravità della sua affermazione.

Era un affronto, una cosa scandalosa, anche solo insinuare che due parabatai fossero sentimentalmente legati, o che si scambiassero effusioni amorose di alcun tipo.

«Non dirlo mai più, capito?» Julian le si avvicinò e si piegò sulle ginocchia per essere alla sua stessa altezza.

«Me perché no? Che ho detto di male?»

«Io ed Emma siamo parabatai.» Disse il fratello semplicemente, come se quello spiegasse tutto. Ed in effetti spiegava tutto. «E che cosa hai imparato durante le lezioni di storia sui parabatai?»

«Che non si possono innamorare tra di loro, ma se succede...»

«Non succede e basta. Tagliò corto Julian.»

«Comunque sia, Dru...» intervenne Livvy. «Meglio che tu ti tenga questi pensieri per te.» E lanciò un'occhiata penetrante ad Emma e a Julian, come se volesse sgridarli per essere stati troppo indiscreti, e forse aveva ragione.

«Che ne dite se sistemiamo gli attrezzi, facciamo una bella doccia e poi tutti a cena? Ci siamo allenati tutto il giorno oggi, quindi direi che può bastare.» Congedò tutti Julian con un filo di imbarazzo.

Emma era rimasta come paralizzata.

Fai come se niente fosse, si disse con autorità.

Cerco di scongelarsi e di assumere una posa più rilassata mentre usciva dalla sala allenamenti.

Per. Raziel.

Si notava così tanto? Era così evidente?

Doveva assolutamente fare qualcosa a riguardo, la situazione stava diventando insostenibile.

Poi, come un segnale divino, andò a sbattere contro qualcosa, o meglio... qualcuno.

«Emma, quale piacevole sorpresa.»

Oh, no... ancora lui.

«Già... stavo giusto... doccia.» Borbottò cercando di liberarsi di Joshua in fretta.

«Ah, certo. Io stavo facendo un giro perché non volevo dormire per cercare di abituarmi al fuso orario, ma credo di essermi perso.-

Emma lo fissò per qualche istante e quando capì che quello non avrebbe aggiunto nient'altro propose, per educazione. «Be', posso accompagnarti io, così ti mostro un po' l'Istituto.»

«Oh...» finse un'espressione sorpresa lui. «Direi che sarebbe fantastico.»

Emma non ne aveva voglia e, soprattutto, non era dell'umore giusto per sorbirsi le avance e i sorrisi perfetti di Joashua, però pensò che fosse una mossa intelligente farsi vedere in giro con lui e chissà, magari alla fine il ragazzo le sarebbe anche piaciuto.

 

Un'ora e qualche muffin rubato dalla cucina più tardi, Emma stava salutando Joshua per dirigersi nella sua stanza.

«Be', spero che il tour sia stato di tuo gradimento.» Gli disse sorridendo sinceramente.

«Assolutamente. Possiamo rifarlo qualche volta, sai avrò bisogno di tempo per memorizzare tutto...»

Durante quella passeggiata i due avevano parlato molto, e Emma aveva scoperto cose davvero interessanti su Joshua, come per esempio che amava andare a cavallo e che odiava il cioccolato. Tirando le somme, aveva deciso che non era poi tanto male, anzi, era un ragazzo abbastanza piacevole.

«E' per caso un modo contorto per chiedermi di uscire con te?» Chiese maliziosa.

Smettila di flirtare con lui. Disse una voce nella sua testa pericolosamente simile a quella di Tiberius. Non sto flirtando con lui. Replicò stizzita. Okay, forse ci stava flirtando un pochino, ma ehi, era quello che doveva fare, e Joshua era simpatico (oltre che un gran bel ragazzo, cosa che non faceva mai male).

«Può essere... quindi è un sì?»

«E' un sì.»

«Bene, ci vediamo a cena allora.» Aprì la porta e ci sparì dietro.

Emma tornò verso la sua camera con uno strano sorriso sulle labbra. Si sentiva meglio. Chissà, forse era possibile dimenticare Julian. O forse, ciò che provava per lui nemmeno era amore. C'era tanta confusione nella sua testa, ma preferì non pensarci in quel momento.

Era talmente sovrappensiero che per una manciata buona di secondi non notò Julian sdraiato sul suo letto.

«Ehilà, straniera.» La salutò.

Emma si portò una mano al petto ed imprecò. «Per l'Angelo! Non ti avevo visto.»

«Colpa mia.»

«Che ci fai qui?»

«Aspettavo te.»

Oh.

«E di cosa avevi bisogno?» Domandò titubante.

«Di niente, è solo che di là in camera mi annoiavo.» Rispose lui sistemandosi su un fianco per guardarla meglio.

Emma si schiaffeggiò mentalmente. Era una cosa normale trovarlo lì, era stato in camera sua talmente tante volte che a momenti nemmeno bussava più.

«Lasciami un attimo per fare la doccia, però.» Appoggiò le armi e si recò alla cassettiera per prendere un asciugamano.

«Non l'hai ancora fatta?» Julian aveva i capelli leggermente umidi sulle punte ma erano quasi interamente asciutti.

«No, ho beccato Joshua in corridoio e gli ho fatto fare un giro.» Buttò l' con un'alzata di spalle.

«Ah.»

Attese che disse qualcos'altro ma, quando questo non accadde, aggiunse. «Che c'è?»

«Niente.» Replicò lui con tono neutrale.

«Avanti, dillo.»

«No.»

Sospirò e si diresse in bagno senza aggiungere altro.

Si ficcò sotto la doccia e aprì l'acqua calda al massimo.

A volte non lo capiva, Julian. Che gli prendeva? Okay, era preoccupato per lei, ma Joshua non era assolutamente una minaccia. E poi, anche se lo fosse stato, Emma sarebbe stata in grado di spaccargli un braccio senza troppi problemi. Probabilmente era geloso, ma non nel modo in cui lei sperava. Erano sempre stati loro due, Emma e Julian, erano l'uno la certezza dell'altra e nessuno dei due aveva mai avuto un vero ragazzo o ragazza.

Per questo è geloso, pensò Emma, perché se mai dovessi avere un ragazzo potrei avere meno tempo da dedicargli.

Questa era anche la ragione per la quale anche lei sarebbe stata gelosa in quella situazione, ma nel suo caso c'era anche molto altro.

Appoggiò la fronte al vetro freddo della doccia e sospirò. Per quello le serviva Joshua. Doveva farsi passare qualsiasi cosa le stesse prendendo in quel periodo.

Ovvio, non voleva approfittarsi di lui per alcun motivo, voleva solamente passarci del tempo insieme per vedere cosa sarebbe successo.

Dopo una quindicina di minuti decise di essere pronta a tornare di là e ad affrontare Julian.

Si asciugò, si mise un paio di jeans e una maglietta verde di cotone per poi raccogliere i capelli in un asciugamano.

Prese un bel respiro e rientrò in camera.

Julian non era più sdraiato sul letto, bensì stava seduto sul davanzale della finestra.

«Mi dispiace.» Le disse non appena la vide. «Non dovrei immischiarmi nei fatti tuoi, lo so.»

«Non devi scusarti di niente.» Lo rassicurò lei, avvicinandosi. «Joshua è a posto. E non è successo proprio niente, e niente succederà.»

«Okay, voglio solo dirti che per me va bene che tu abbia un ragazzo.» Aggiunse impacciato.

«Non ho intenzione di mettermi con lui!» Esclamò Emma. «Lo conosco da un paio d'ore appena!»

«No no, non hai capito. Intendevo dire in generale. Non voglio che tu pensi che io abbia paura che se tu ti dovessi fidanzare con qualcuno poi smetteresti di volermi bene. Per me va bene, e sarei felice per te.»

Fu come una pugnalata nello stomaco e dovette cercare di trattenersi dall'aprire la finestra e vomitare, come aveva invece una disperata voglia di fare. Anche Julian non sembrava molto a suo agio. Sembrava come rassegnato, e nervoso, Emma lo notava dal modo in cui continuava a passarsi una mano tra i capelli.

Dovette fare violenza psicologica su se stesse per riuscire a rispondere. «Vale lo stesso anche per me.»

«Bene.» C'era una nota di tristezza nel suo sorriso, Emma non sapeva spiegarla. Julian le asciugò una goccia d'acqua che le era colata sulla guancia con il dito e si soffermò un attimo di troppo sulla suo viso.

«Bene.» Concluse afflitta Emma.

Gli prese la mano e la strinse, sperando di comunicargli sicurezza, quando invece ciò che voleva era urlare che niente di tutto questo andava bene; che non sarebbero dovute andare così le cose; che in quel momento lei avrebbe dovuto avere il permesso di sollevarsi sulle punte dei piedi e baciarlo, e che non era giusto che la cosa a cui teneva di più al mondo era anche quella che la stava distruggendo lentamente come veleno di demone. 

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque. ***


«Jem!» Esclamò Emma non appena lo intravide sulla porta della Sala da Pranzo.

Gli corse incontro e gli getto le braccia al collo, felicissima di rivederlo.

«Ciao, Emma.» La salutò lui con un tono di voce pacato. «E ciao anche a te, Julian.»

«Bentornati! Com'è andata la riunione del conclave ad Idris?» Chiese il suo parabatai.

Jem sospirò. «Il solito: liti, votazioni, contestazioni...» minimizzò la cosa con un gesto della mano e tornò a rivolgersi ai ragazzi. «E voi, invece? Siete riusciti a tenere a bada i piccoli?»

«Non siamo piccoli, Jem!» Lo ammonì Livvy, correndogli incontro allegra. «Io e Tiberius abbiamo ben quindici anni, mentre Dru ne ha ormai undici.»

«Lo so bene, Livvy.» La abbracciò e le posò un bacio sulla fronte. «Ma per me sarete sempre “i piccoli”, anche tra vent'anni.»

Lei fece un'espressione imbronciata ma poi sorrise. «Emma, possiamo parlare per un minuto?»

«Certo.»

Che cosa voleva mai dirle? Aveva sempre avuto un ottimo rapporto con Livvy, dei fratelli Blackthorn -a parte Julian, ovviamente- era quella a cui era più legata.

«Da sole...» aggiunse, vedendo che Julian non accennava ad andarsene.

«Chiacchiere tra donne, molto bene.» Jem mise un braccio attorno alle spalle di Julian e lo condusse verso la tavola imbandita. «Andiamo, Julian.»

«Ma, ehi...»

Emma restò a fissarli mentre si accomodavano, per poi rivolgere l'attenzione a Livvy, la quale sembrava piuttosto nervosa. Le sorrise rassicurante.

«Emma, c'è qualcosa che devi dirmi? O meglio, c'è qualcosa che dovete dirmi?»

«Io... non so proprio a cosa tu ti stia riferendo.» Disse Emma, ed era la verità. «Innanzitutto io e chi, esattamente?»

«Emma!- Strinse i denti Livvy. «Sai di cosa parlo. Cosa state combinando tu e mio fratello? Vi ho visti prima in palestra e vi ho visti anche l'altra sera sul balcone.»

Aiha.

Emma impallidì. Aveva la bocca secca e non riusciva a spiaccicare parola, ma riuscì a fare un'espressione scandalizzata.

«Livvy! Cosa stai insinuando?»

«Dimmelo tu. Non sto insinuando proprio niente, mi limito a dirti quello che ho visto. Ti ricordi quando Julian ha avuto quell'incubo su nostro padre l'anno scorso?»

Se lo ricordava eccome.

Julian si era svegliato nel bel mezzo della notte urlando e si era presentato tutto sudato davanti alla porta della sua camera. Quando Emma lo aveva visto sembrava quasi un fantasma, più morto che vivo, e temette che qualcuno lo avesse attaccato. Le sue grida avevano svegliato mezzo Istituto, e tutti erano corsi a vedere cosa stesse succedendo. Ciò che avevano trovato era stata Emma che lo abbracciava forte e lo portava nel suo letto a dormire.

«Sì.» Le rispose convinta, il battito del cuore che piano piano si stava regolarizzando.

«Anche io. Ero lì, Emma, lo eravamo tutti. Ho visto il modo in cui ti stringeva, come se fossi la sua ancora in un mare in tempesta. Avete dormito insieme per più di una settimana e nessuno ha detto niente, perché siete voi e vi vogliamo bene, ma dovrebbe essere proibito per due parabatai dormire nello stesso letto, soprattutto se di sesso opposto. Jem è venuto a parlare con noi, con me, Tiberius e Dru, raccomandandoci di non dirlo a nessuno. Gli altri non hanno capito il motivo, ma io sì. Zio Arthur e gli adulti hanno dei sospetti.»

Era come se le mancasse la terra sotto i piedi. Sospetti? Ma tra di loro non c'era assolutamente nulla in quel senso. Certo, lei era praticamente cotta di lui, ma si era controllata. Julian non lo sapeva, quindi si comportava in maniera assolutamente normale, anche se Emma doveva ammettere che da quell'episodio si erano avvicinati di più, si toccavano anche di più. Non avevano problemi a dormire insieme o a prendersi per mano, e Emma si vergognò un po' nel pensare che avevano dormito insieme molte altre volte da quella fredda notte di Dicembre. Pian piano, Julian era riuscito a tornare a dormire per conto suo, ma a volte sgattaiolava nella stanza di Emma per stare con lei. Ovviamente non facevano niente ritenuto scandaloso, si limitavano a tenersi per mano. Grazie al cielo, nessuno sembrava essersene accorto.

«Livvy, non c'è assolutamente niente tra me e tuo fratello: è il mio parabatai.» E si portò quasi involontariamente la mano sopra la runa che lui stesso le aveva tracciato. «Ne abbiamo passate tante e siamo molto legati, più degli altri, tutto qui.»

«Sono solo preoccupata per voi.» Le disse piano la ragazza. «State molto attenti.»

«Ma non c'è niente da stare attenti. Davvero, devi credermi.»

«Non importa ciò che penso io. Devi fare in modo che gli altri ti credano» Le fece notare saggiamente Livvy. «Zio Arthur e Jem non diranno nulla e continueranno a fare finta di niente, ovviamente, perché conoscono il vostro rapporto, ma vi ricordo che ora ci sono i Witelaw tra noi, e tra qualche settimana arriveranno i genitori. Tu non li conosci, sono tra le teste più vuote e più all'antica di tutto il Conclave. Potrebbero notare qualcosa di strano e fare rapporto. Volevo quindi avvertirvi di fare attenzione.»

«Andiamo, Livvy, non credi di esagerare un tantino? Non facciamo niente di male, Julian ed io.» Sdrammatizzò Emma con una scrollata di spalle. «Andrà tutto bene, non devi preoccuparti di niente.»

«Spero che tu abbia ragione.» Concluse Livy guardandola intensamente negli occhi.

«Perché lo stai dicendo a me? Tutte queste cose... perché non ne hai parlato con Julian?» Chiese Emma improvvisamente.

«Perché lo conosci! Lui si fa sopraffare troppo dalle emozioni e non vede il lato pratico della faccenda. Se ne avessi parlato con lui, probabilmente si sarebbe offeso tremendamente e forse avrebbe prestato ancor meno attenzione, cercando di starti il più vicino possibile per paura di perderti.»

«E io, non pensi che anche io abbia paura di perderlo?» Il cuore di Emma stava ricominciando a battere forte. Non riusciva nemmeno a concepire l'idea di una vita senza Julian.

«Certo, però credo che tu sia più pratica. Credo che tu possa capire la situazione e parlarne con Julian, così, almeno in pubblico, potete essere più discreti.» Livvy sembrava in difficoltà. «Emma, non voglio che tu la prenda male, ma quando vi ho visti dormire assieme ieri e poi ho visto il vostro battibecco prima, mi sono venute in mente le parole di zio Arthur. Mi sembrava giusto informarti.»

«Grazie, tesoro.» Le disse Emma, abbracciandola. Livvy all'inizio rimase rigida, poi però sembrò sciogliersi e la strinse forte. Emma sentì letteralmente un'ondata di calore e sicurezza mentre stava nelle braccia dell'altra.

«Sei come una sorella per me, lo sai...»

«Ragazze!» La voce di zio Arthur arrivò ad interrompere quel momento. «La cena è servita, affrettatevi e unitevi a noi e ai nostri ospiti.»

«Sarà meglio andare.» Le pizzicò piano la guancia e Livvy sorrise, dicendo. «Se ti piace, dovresti provarci.»

«Cosa?» Emma quasi si stozzo con la sua saliva. «Ma che stai dicendo? Prima mi dici di fare attenzione, e poi di provarci con Julian?» Non riusciva a capire il senso di quel discorso. Ma dove voleva andare a parare?

Livvy continuò a guardarla con quei suoi occhi verde-azzurro, così simili a quelli del fratello, e annuì mestamente, come se una sua teoria fosse stata appena confermata. «Come pensavo.» Borbottò talmente a bassa voce che Emma dovette leggerle le labbra.

«Come pensavi cosa?»

«Oh, Emma...» le accarezzò i capelli con la mano. «Quando ho detto che se ti piaceva avresti dovuto provarci, non ho pronunciato il nome di Julian. Hai fatto tutto tu, io intendevo Joshua.»

E se ne andò, con aria ancora più preoccupata di prima.

Emma rimase per qualche istante a fissare il vuoto depressa. Tutti i suoi sforzi erano stati vani: Livvy l'aveva beccata.

 

 

Emma era seduta all'estremità destra del tavolo con di fianco Julian e di fronte rispettivamente Cloe e Joshua. Alla sinistra di Joshua stava seduta con espressione imbronciata Livvy, che avrebbe pagato pur di sedere da qualche altra parte. Gli adulti erano dall'altra parte del tavolo e parlavano di affari del Conclave.

«Il clima qui è così mite. Sono tanto felice!» Stava dicendo Cloe.

«E pensa che questo è il nostro autunno.» Replicò Julian.

«Maniche corte e vestiti di cotone, ah, che sogno!»

Emma non stava ascoltando. Stava pensando a cosa avrebbe detto a Julian. Aveva deciso che gli avrebbe parlato il prima possibile, via il dente e via il dolore. Non aveva la minima intenzione di cambiare il loro rapporto, perché avrebbero dovuto? Perché degli schiavi del Conclave erano venuti a ficcare il naso lì all'Istituto? Non ci pensava neanche. Tutto ciò che dovevano fare era cercare di mantenere un certo distacco in pubblico. Facile.

Sentì Julian prenderle la mano da sotto il tavolo e quasi fece un salto. “Tutto bene?”, le scrisse.

Lei allontanò con quanta più gentilezza possibile la mano dalle sue e gli fece un sorriso. «Sì, benissimo.»

Il ragazzo sembrò spiazzato. Normalmente Emma gli avrebbe stretto la mano e magari risposto con il loro linguaggio segreto, ma non era il caso davanti ai Whitelaw. Infatti Cloe li stava guardando con aria maliziosa. «Allora, voi due siete per caso fidanzati?»

Julian si strozzò con l'acqua che stava bevendo e Tiberius dovette battergli dei colpi sulla schiena per evitare che si strozzasse.

«No, siamo parabatai.» Riuscì infine ad esalare.

«Ooh.» Esclamò Cloe spostando lo sguardo da Julian ad Emma e vice versa. «Credevo che tu mi avessi rifiutato perché innamorato di qualcun altra, ma mi sbagliavo a quanto pare. Be' ci possiamo riprovare, allora.» E gli fece l'occhilino.

Julian arrossì violentemente e non disse nulla. Emma le avrebbe volentieri lanciato qualcosa, ma si trattenne. Capì che una caratteristica di Cloe era dire esattamente tutto ciò che le passava per la testa senza filtro.

«Non ho mai voluto un parabatai.» Disse Joshua, con aria annoiata.

«Ah no?» Rispose subito Julian tagliente. «E' perché?»

«Non so, non ne ho mai sentito la necessità.» Rispose con un'alzata di spalle.

Emma riusciva a dire dall'espressione di Julian che si stava trattenendo dal mandarlo a quel paese.

Fallo, pensò. Digli cosa pensi di lui.

Come al solito, parlò senza perdere l'autocontrollo. «Essere Shadowhunters valorosi non significa fare tutto da soli, a volte occorre ancora più coraggio nell'avere fede che l'altro ti protegga le spalle sempre.» E mentre diceva ciò, posò lo sguardo su Emma con un sorriso che esprimeva tutto l'affetto e la fiducia che riponeva in lei.

«Certo, non lo metto in dubbio. Ma preferisco lavorare da solo. Inoltre il rapporto tra parabatai comprende troppi doveri e responsabilità.» Si mise in bocca una cucchiaiata di patate e stette zitto per un po', per la gioia di Julian.

Cloe iniziò a parlare di vestiti e dell'ultima collezione di Prada ed Emma, che non ne sapeva niente di moda, si ritrovò a sorridere e annuire come un robot, e a rispondere a qualsiasi domanda con un “mmh, interessante”. Quando la situazione si fece insostenibile sbroccò, come suo solito. «Cloe, mi spiace ma a me la moda non interessa per niente.»

«E si vede, cara! Non ti preoccupare, ci penserò io al tuo look.»

Ed Emma si preoccupò molto.

«Emma.» Disse Joshua -che evidentemente aveva finito di mangiare. «Ti andrebbe di fare un giro in spiaggia domani pomeriggio? Così potresti mostrarmi la zona qui intorno.»

«Okay.» Rispose senza pensarci troppo, le parole di Livvy che le ronzavano fastidiose in testa.

Ma non era stata l'unica a parlare. Nello stesso momento, Julian aveva detto:«E' domenica.»

«Sì, è domenica, e con ciò?» Joshua si pulì la bocca con un lato del tovagliolo e lo guardò come se fosse un alieno.

«E' la giornata del surf.»

«Credo che per una volta Emma possa anche saltarla.»

Entrambi i ragazzi la fissarono in attesa. Emma incontro lo sguardo di Livvy e rispose. «Sì, credo che non ci sia alcun problema se per una volta la saltiamo, vero Julian?»

«Okay, nessun problema.» Disse lui. Ma Emma sapeva che non andava bene per niente. La domenica si surfava, era sempre stato così. E Julian, anche se troppo buono per ammetterlo, non sopportava Joshua.

Non appena la cena fu terminata, le scrisse sul braccio la buonanotte e se ne andò, senza dire una parola.

 

 

Non riusciva a dormire. Le parole di Livvy le rimbombavano nella testa come un eco, e continuava a pensare a Julian e a cosa gli avrebbe detto.

Si girò da una lato del letto, raggomitolandosi sotto le coperte. Di notte iniziava a fare davvero freddo, e avrebbe dovuto tirare fuori un pigiama più pesante per dormire.

D'un tratto sentì bussare.

La sveglia segnava la 1.35, chi poteva essere a quell'ora? Emma pensava di conoscere la risposta.

E infatti.

Quando aprì la porta si ritrovò sulla soglia Julian.

«Posso entrare?» Chiese in un sussurro.

«Ma certo che puoi entrare.» Gli disse Emma prendendolo per mano. «Brutti sogni?»

«No, non riuscivo a dormire. Ti ho svegliata?» Corrugò la fronte come se ci avesse pensato solo in quel momento.

«No, ho anche io lo stesso problema.»

Stavano al centro della stanza a fissarsi al buio, e nessuno dei due accennava a voler fare il minimo movimento.

«Scusa per prima. So che la domenica è la giornata dedicata al surf.» Iniziò piano Emma guardandosi le punte dei piedi.

«Per l'Angelo, sei incredibile.» Imprecò Julian.

«Come, scusa?»

«Non mi devi chiedere scusa.» Le si avvicinò e l'abbracciò. «Va bene, esci pure con Joshua. Sul serio, è okay. Basta che mi prometti che starai attenta.» La sua voce era attutita dai capelli di Emma, dentro ai quali aveva sprofondato il viso. Quello di Emma, invece, era schiacciato contro il suo petto.

Dovete essere più discreti, aveva detto Livvy.

«Julian, devo dirti una cosa importante.» Si morsicò la lingua un istante dopo aver aperto bocca. Ormai era andata, glielo avrebbe detto subito.

«Che succede.» Si scostò un po' per guardarla negli occhi e lei glielo raccontò. Gli raccontò per filo e per segno tutto quello che sua sorella le aveva detto, le sue preoccupazione e supposizioni -ovviamente tralasciando l'ultima parte della loro conversazione. Lui la ascoltò attentamente senza dire una parola fino a quando la ragazza non ebbe terminato.

«... e dice che i Whitelaw potrebbero crearci dei problemi.»

«Emma, non ho intenzione di modificare di una virgola il nostro rapporto, lo sai, vero?» Fu la prima cosa che disse.

«Lo so, io nemmeno. Ma devi renderti conto che Livvy ha ragione. Hai sentito come parla Joshua ad esempio, e ha solo diciotto anni! Pensa ai suoi genitori! E se pensassero che c'è qualcosa di più tra di noi?» Emma stava iniziando ad andare nel panico come poco prima con Livvy.

Julian se ne accorse, le prese le mani tra le sue per riscaldargliele e puntò gli occhi nei suoi.

«Okay, ma non penso ci sia niente di sbagliato nel nostro rapporto.» Disse semplicemente. «Non c'è alcun motivo di preoccuparsi. Non riesco a capire perché Livvy ne abbia fatto un tale dramma.»

Emma, invece, pensava di sapere il perché. Livvy era convinta che fossero innamorati. In particolare, era convinta che Emma fosse innamorata di Julian, e poche ore addietro ne aveva avuta conferma.

«Già... chissà perché si preoccupa.»

«Che ne dici di dormirci sopra?» Le chiese appoggiando la fronte sulla sua.

«Credo che dovresti andare in camera tua.» Emma non riusciva a guardarlo. Sentì che si allontanava da lei, e il tono con cui parlò dopo la lasciò senza fiato.

«Guardami.»

Non lo fece, continuò a tenere ostinata gli occhi fissi sul pavimento.

«Emma Coderlia Carstairs, guardami.» Le mise due dita sotto il mento e la costrinse ad alzare lo sguardo, con la consueta delicatezza che usava solo con lei e con i suoi quadri.

«Ora voglio che tu mi ascolti attentamente.» Disse scandendo bene ogni parola. «Non ho intenzione di andarmene da qui, come non ho intenzione che ciò che suppongono gli altri mi influenzi. Al diavolo! Possono credere ciò che vogliono, noi non facciamo niente di male e ti prometto che andrà tutto bene. Qualunque cosa accada, ci penserò io.»

Le sue parole le arrivarono dritte al cuore, ed Emma sentì la morsa della paura allentarsi un po'.

«E se ti vedessero uscire dalla mia camera?»

«Da oggi useremo la finestra.»

Le loro stanze si affacciavano dallo stesso lato dell'Istituto, sull'Oceano, quindi non sarebbe stato un problema.

Le sorrise, e la distanza che c'era tra di loro sembrò ad Emma estremamente grande, nonostante fossero solamente una decina di centimetri.

«Non riesci a trovare nessun argomento a tuo favore, quindi, io muoio di sonno e ho intenzione di dormire.» Si incamminò verso il letto e ci si buttò sopra. «Pensi di stare lì in piedi tutta la notte?»

Oh, fanculo! Pensò Emma.

«Sei un idiota.» Gli disse, ma stava sorridendo.

Si sdraiò al suo fianco e lo guardò, senza parlare. Nessuno dei due accennava a voler chiudere gli occhi.

«Hai freddo?» Le chiese Julian coprendole una mano con la sua.

Emma annuì piano e lui, senza chiederle il permesso (non che ne avesse bisogno), le passò un braccio attorno alla vita e la attirò a sé. Emma appoggiò la testa nell'incavo del suo collo e si strinse di più a lui, beandosi del calore del suo corpo.

Si addormentarono dopo pochi minuti, con il battito del cuore dell'altro come ninna nanna.

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao a tutti!

Devo ammettere che molto stranamente questo capitolo mi piace molto. Fatemi sapere se vi piacciono i personaggi, soprattutto Julian, lo immaginavate così? E Emma la immaginavate più cazzuta? Emma è cazzutissima, solo che essendo la storia dal suo pov devo mettere in evidenza anche tutte le sue debolezze oltre alla cazzutaggine.

E niente,

Buona giornata (Buona notte per l'Italia)

Francesca

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Capitolo 6
*** Capitolo sei. ***


Emma fu svegliata da qualcuno che bussava alla porta.

In un primo momento decise di ignorare quel suono e di girarsi dall'altro lato, ma dall'altro lato c'era Julian.

JULIAN.

Si tirò su di scatto, strattonandogli il braccio. «Julian.» Sussurrò il più piano possibile. «Julian, per l'Angelo, svegliati.»

Il ragazzo le rispose con un grugnito, ma alla fine aprì i suoi enormi occhi verdi. «Che succede?» Chiese alzandosi a sedere.

«Emma, sei lì dentro?» La persona al di fuori della porta ora aveva un nome: Joshua.

«Arrivo subito.» Urlò Emma. “Te ne devi andare”, scrisse invece velocemente sul braccio di Julian.

«Merda.» Imprecò lui.

Si impigliò nelle coperte mentre scendeva dal letto e, una volta liberatosi da quel groviglio, si precipitò a spalancare la finestra.

Nel momento stesso in cui Emma apriva la porta dicendo:«Ciao, Joshua.» Julian scompariva oltre il vetro.

«Ciao!» La salutò lui. «Come mai la finestra è aperta?» Chiese aggrottando le sopracciglia.

«Avevo caldo.»

«Ah...comunque, buongiorno. Ti ho svegliata per caso?» Aggiunse dopo vedendola ancora in pigiama.

«No, cioè sì...» rispose.

«Sono le 11.30 e pensavo che potessimo anticipare la nostra uscita e andare a pranzo insieme.»

«Oh, certo. Dammi un attimo per fare una doccia.»

«Perfetto, ci vediamo tra mezz'ora all'ingresso?»

«Perfetto.»

Una volta chiusa la porta Emma vi si appoggiò e si lascio cadere piano sul pavimento, il cuore che batteva come se avesse corso per giorni interi.

 

 

«E qui è dove io e Julian amiamo surfare.» Stava spiegando Emma.

Doveva ammettere che aveva passato una piacevole giornata insieme a Joshua. Lui non era stato né noioso, né troppo inopportuno come il giorno del loro primo incontro, e aveva cercato di farla sentire a suo agio, riuscendoci.

Avevano pranzato al The Fairy Cafe, un ristorante gestito dalle fate, per poi fare una passeggiata nel centro della città. Ora Emma stava mostrando a Joshua la spiaggia, in particolare quella zona un po' appartata ideale al surf a causa del vento che sollevava onde perfette.

Emma assottigliò lo sguardo per cercare Julian in mezzo al mare, ma non lo vide. Probabilmente aveva già finito, o forse aveva deciso di restare all'Istituto.

«Non credo ci sia.» Joshua la guardò con aria divertita.

«Come, scusa?»

«Julian. Disse. «Non c'é. Ho visto che lo stavi cercando con gli occhi.»

Beccata, di nuovo. Doveva seriamente fare qualcosa a riguardo, non era possibile che tutti credessero che pensasse a Julian in ogni momento, anche se, tecnicamente, era cosí.

«Non stavo cercando lui.» Menti prontamente. «Stavo verificando se si vedevano delle balene in lontananza. Durante l'inverno migrano e con giornate belle come questa è facile avvistarle all'orizzonte, anche se ormai il sole sta quasi per tramontare.»

«Oh Raziel, fantastico!» Joshua si mise le mani attorno agli occhi per proteggersi dai raggi del sole. «Penso di aver visto qualcosa lì.»

Almeno la sua abilità ad inventare balle al momento non era cambiata, doveva solamente lavorare sulla discrezione.

«Ah, no, era solo una roccia.» Sospirò triste.

«Non preoccuparti, hai un sacco di tempo! Prima o poi ne vedrai qualcuna.» Lo rassicurò lei.

«Emma! Joshua!» Si girarono di scatto e videro Dru che si avvicinava a piedi nudi. Indossava un vestito leggero rosa con sopra un maglioncino di cotone che si intonavano perfettamente ai suoi capelli color cioccolato. Era davvero molto bella, e ricordò ad Emma una delle bambole con le quali sua madre cercava di farla giocare da piccola.

«Jem mi ha mandato a cercarvi, era preoccupato per voi.« Disse. «Sono quasi le 6, farete meglio a tornare prima di cena, o zio Arthur chi lo sente.»

«Jem?» Ripeté Emma stupita.

Dru annuì con enfasi e li fissò in attesa, senza la minima intenzione di andarsene senza di loro.

«D'accordo, allora. Sarà meglio incamminarci, se per te è okay.» Disse Emma rivolta a Joshua.

«Certo, è stata un'incantevole giornata, possiamo rifarlo qualche volta.»

«Sí, mi piacerebbe.» Emma sorrise e notò che Dru si girava e faceva finta di vomitare, ma fece finta di niente e continuò a camminare.

 

 

Tutte le domande di Emma riguardo il luogo in cui si trovava il suo parabatai vennero risolte nel giro di pochi minuti.

Julian era seduto sui gradini dell'Istituto e stava disegnando con un carboncino nero. Non appena udì le loro voci si alzò di scatto, prestando molta attenzione a non mostrar loro la tavola da disegno.

«Ciao.» Lo salutarono.

«Ehi.» Disse lui.

Indossava una semplice maglietta bianca che gli metteva in evidenza le spalle larghe e un paio di Jeans neri, segno che non era andato in spiaggia quel giorno. Emma dedusse che avesse passato la giornata a disegnare, e desiderò ardentemente vedere la sua ultima creazione. Odiava quando non le mostrava le sue opere.

Notò che Julian era sporco di carboncino sulla guancia e, presa da un istinto involontario, alzò il braccio per pulirglielo via. Capendo la gravità di ciò che era sul punto di fare, riuscì a bloccarsi, spacciando quel gesto come un tentativo di sistemarsi i capelli.

Calò un silenzio imbarazzante nel quale l'unica a proprio agio sembrava Dru, che fissava Julian intensamente saltellando sul posto.

«Dru, andresti a mettere a posto questo in camera mia?» Le disse il fratello porgendole la scatola delle matite e di tutti gli altri strumenti che usava per disegnare. «Per favore.» Aggiunse quando vide la faccia contrariata della sorella.

«Non mi dai il disegno?» Chiese lei.

«No, va bene così.»

«Okay, come vuoi.»

Julian la osservò fin quando non fu scomparsa dietro le grandi porte di quercia per poi tornare a rivolgersi a loro, continuando a tenere il foglio grato.

«Quindi ti piace disegnare?» Cercò di fare conversazione Joshua. A causa del vento i capelli gli ricadevano spettinati sugli occhi, quindi se li scostò con un movimento veloce della mano che probabilmente aveva fatto molte volte. A Emma ricordò di nuovo un fotomodello.

«Così pare.» Rispose asciutto Julian.

«Una volta anche io lo facevo, ora ho smesso. Posso vedere?» Allungò una mano, aspettandosi che l'altro acconsentisse.

Julian, invece, fece un passo indietro e allontanò il disegno di scatto. Poi sembrò ripensare a quel gesto e capì di essere stato molto scortese. «Mi dispiace.» Disse. «Ma non mostro sempre i miei disegni. Alcuni sono... personali.»

«Oh... okay.» Joshua sembrava confuso.

Emma, invece, ci era abituata, perciò tentò di salvare la situazione. «Perché non andiamo dentro? Inizia a fare freddo qui fuori.»

«Buona idea.» Disse Joshua.

«Emma.» Disse invece Julian. «Avrei bisogno di parlarti di una cosa importante.»

Emma guardò Joshua un po' in imbarazzo, ma il ragazzo sembrò capire. «Allora ci vediamo dopo.» Le diede un bacio sulla mano a mo di saluto fissandola dritto negli occhi. Dietro Joshua Emma riusciva ad intravedere Julian voltare la testa e guardare ostinatamente da un'altra parte con aria contrariata.

«Ci si vede, Julian.»

Julian gli fece un cenno con il capo e poi scrollò le spalle. Emma aveva paura che dicesse qualcosa riguardo quanto era appena successo, invece non lo fece.

«Sono andato al The Fairy Cafe pomeriggio.»

Emma non capiva dove voleva andare a parare. «Okay, e...»

«E...» Sembrò vedere qualcosa alle spalle di Emma e si guardò intorno frettolosamente. «Non possiamo parlarne qui. Vieni.»

Mise la tavola da disegno dietro una delle porte, poi prese Emma per un braccio e la condusse giù dalle scale dell'Istituto, verso la spiaggia. Emma arrancava nella sabbia dietro di lui e solo dopo una manciata di minuti capì dov'erano diretti. Stavano andando nel loro posto.

Alla sinistra dell'Istituto, sul lato opposto a dove erano soliti surfare, c'era una grossa scogliera che si affacciava sull'Oceano. Circa dieci anni prima avevano trovato una piccola grotta tra le rocce e, da quel giorno, quello era diventato il loro posto, e nessuno a parte loro due era a conoscenza della sua esistenza. Quando dovevano organizzare qualche scherzo o semplicemente se volevano allontanarsi dai genitori e da tutti i fratelli Blackthorn, si rifugiavano lì. Nel corso degli anni avevano portato in quella grotta rocciosa coperte e cuscini per renderla più confortevole e Julian insisteva a voler portare un generatore di corrente per attaccare una TV e un microonde per preparare i pop-corn, ma Emma gli faceva sempre notare che avrebbero dato troppo nell'occhio e che non potevano mettere una TV in una grotta che si affacciava praticamente sul mare. Era vero, anche durante le giornate particolarmente ventose e con molte onde, l'ambiente rimaneva quasi interamente asciutto, tranne che per qualche schizzo all'entrata, ma non era comunque una buona idea. Avevano portato anche qualcosa da mangiare e delle sigarette ai chiodi di garofano per Julian. Dopo la morte del padre aveva iniziato a fumare quelle al tabacco a causa dello stress e del trauma subito, ma Emma lo aveva aiutato a smettere, e ora fumava solo sigarette biologiche ai fiori di garofano.

«Julian, ehi, non correre.»

«Non abbiamo molto tempo.» Le rispose lui, lasciandole il braccio e camminando qualche passo davanti a lei. «Cos'è, non riesci a starmi dietro e devo rallentare? Già, a volte mi dimentico che sei una ragazza...» disse, e Emma riusciva a percepire che si stava trattenendo dallo scoppiare a ridere. Julian si voltò con un sorrisetto. «Una ragazza bionda.» Aggiunse con tono strafottente.

Raziel se la conosceva! Mai, mai, fare battute maschiliste -e in particolare contro le bionde- davanti a lei.

«Ridillo e giuro che ti mangio vivo, Julian Blackthorn.» Lo minacciò aumentando il passo e superandolo di corsa. Julian si permise di scoppiare a ridere e la seguì. Alla fine Emma risultò vincitrice di quella piccola gara di velocità che avevano inscenato e, entrambi senza fiato, di sdraiarono su una coperta per riprendere regolarizzare il respiro.

«Battuto! Chi è la femminuccia ora?»

«Okay, okay.» Disse Julian ansimando. «Hai vinto, bionda, ma solo per 'sta volta.» Quell'appellativo gli fece guadagnare un doloroso pugno sul braccio.

«Non avevi della roba importante da dirmi? Mi hai trascinata qui per farti letteralmente spaccare in una gara di velocità?»

«Molto divertente, ma no.» Le disse appoggiandosi sui gomiti. «Sono andato al The Fairy Cafe e lì ho parlato con Lucy, la fata con la pelle blu, hai presente?»

«Sì, quella che si veste come una prostituta.»

«Emma!»

«E' vero!» Si difese lei.

«Come vuoi, comunque, ci ho parlato e...»

«E ha provato a spogliarti?» Continuò a scherzare Emma facendo ridere Julian, il quale si tirò su a sedere a gambe incrociate come lei.

«No, sono serio, è importante. Riguarda i tuoi genitori.» Udendo quelle parole l'attenzione di Emma fu interamente sul ragazzo e ogni altro pensiero uscì dalla sua mente.

«Cos'hai scoperto? Julian, dimmelo subito.»

«Ci sto provando!» Esclamò con aria eloquente. Emma tacque e lui proseguì. «Ero in incognito: abbiamo parlato con i licantropi, gli stregoni e con i vampiri molte volte, ma mai con le fate, perciò ho semplicemente chiesto a Lucy se conosceva i tuoi genitori, dopotutto avrà una 30 di anni e lavora in quel posto da quando ho memoria.» Si fermò e la fissò per qualche istante negli occhi, come se fosse indeciso se continuare o no.

«Che ti ha detto?» Lo spronò Emma mettendosi sulle ginocchia agitata.

«Non li conosceva di persona, ma mi ha riferito che ha sentito la Regina parlare di loro. Qualche settimana fa, mentre era in visita alla Corte, ha sentito la Regina parlare con il suo più fidato consigliere e dire “gli ha fatto saltare il collo come se niente fosse. Peccato, i Carstairs erano una famiglia talmente affascinante.”»

Emma si tirò in piedi di scatto e diede le spalle a Julian.

«E poi, ha sentito altro? Ha detto chi?»

«No, la Regina vedendola si è interrotta.» La voce di Julian era triste e colma di solidarietà per lei.

La mente di Emma, invece, lavorava alla velocità della luce. Qualcuno gli aveva fatto “saltare il collo”, ma chi? Poteva essere stato chiunque: licantropo, stregone, vampiro, fata o addirittura shadowhunter. Quelle parole però impiegarono qualche istante a penetrare dentro di lei, e quando lo fecero le sentì premere contro il petto come una scheggia di ghiaccio. Chi aveva potuto fare una cosa del genere? Serrò i denti per non scoppiare in lacrime e sentì la mano di Julian sulla spalla.

«Emma, mi dispiace. So che quest'informazione ci serve a poco e forse avrei dovuto evitare di dirtelo però pensavo fosse giusto che tu sapessi.»

Si voltò di scatto ed erano così vicini che dovette sollevare la testa per guardarlo negli occhi. «Ma non capisci? E' un'informazione di vitale importanza e non so come ringraziarti per averlo scoperto.» Gli gettò le braccia al collo euforica. Doveva fare una sola cosa, e avrebbe ottenuto il nome di colui che aveva ucciso i suoi genitori, era così semplice che ora le veniva da piangere non per la disperazione, ma per la soddisfazione.

Julian invece continuava a non capire.

«E' perfetto.» Stava dicendo Emma mentre scioglieva il parabatai dall'abbraccio.

Intanto il tempo fuori stava cambiando; da dentro la grotta Emma riusciva a sentire il rumore del vento che sbatteva contro la superficie del mare. Un tuono rimbombò nell'aria: stava arrivando un temporale.

La ragazza iniziò a camminare avanti indietro per scaricare l'eccitazione e anche per riscaldarsi un po', cominciava a fare davvero freddo.

«Basta capire come raggiungerla, e poi farsi dare un'udienza. Ma credo che se ci presentiamo lì non possa dirci di no.»

«Emma, ferma, ferma. Si può sapere che cosa vuoi fare?» Chiese Julian.

Emma smise di camminare e lo fissò con un sorriso trionfante. «Ma non è ovvio? Voglio interrogare la Regina! Voglio andare alla Corte Seelie!»

«No, non vuoi.» Affermò Julian.

«Sì che voglio.»

Il sorriso di Emma aveva lasciato le sue labbra. «Perché, che c'è che non va?»

«Pensi davvero che la Regina ti darà udienza così a caso? E sai bene che non ci si può fidare delle fate, per niente. Il popolo fatato è una delle razze più subdole e calcolatrici che siano mai esistite.»

«Ma non sanno mentire, Julian! Sarò sicura che qualsiasi nome mi dirà sarà quello vero. Ho bisogno di andare.» Ora Emma stava urlando. Normalmente se ne sarebbe fregata del giudizio degli altri, ma l'approvazione di Julian era molto importante per lei.

«Le fate non mentono, è vero, ma dicono la verità nel modo in cui vogliono. E poi, ammesso che la Regina accettasse di incontrarti, hai pensato al prezzo da pagare? Di sicuro vorrà qualcosa in cambio.» Julian aveva ragione, ma doveva almeno provarci. Lo doveva ai suoi genitori, e non avrebbe avuto pace fino a quando non sarebbero stati vendicati.

«Io ci vado.» Affermò, non essendo in grado di dire nient'altro di meglio.

«Non te lo lascerò fare, dovessi legarti ad una sedia e farti da guardia giorno e notte.»

«Oh, ma sentilo! Io faccio ciò che voglio.» Emma si stava innervosendo, mai toccarle l'orgoglio e l'indipendenza.

«Lo so benissimo, e dimmi anche solo una volta in cui ti ho impedito di fare ciò che volevi. Ma sta volta è diverso: è pericoloso. E ti ricordo che il Conclave non sa niente delle nostre indagini clandestine.»

«Oh, ora hai paura del Conclave?»

«No, certo che no. Dico solo che non possiamo andare ad interrogare la Regina delle Fate senza un permesso scritto.- Fece notare pertinente.

«Chiederò semplicemente a Lucy di organizzarmi un incontro con lei.»

«Emma...» Julian scosse la testa.

«Bene, se non sei disposto a rischiare, allora perché continui ad aiutarmi? Quando ti ho chiesto una mano in quest'impresa pensavo saresti stato pronto a tutto. Pensavo ti importasse.» Emma sapeva di star parlando in modo assolutamente ingiusto, ma la rabbia aveva avuto la mente sulla sua lucidità. Non ce l'avrebbe mai fatta senza di lui, era la collera che parlava.

«Non mi importa, dici? Oh, certo. Tanto io non ho portato avanti le indagini mentre tute la spassavi con Joshua.»

«Quindi è di lui che si tratta! Dimmi un po', hai mandato tu Dru a richiamarci all'Istituto, non è così?» Urlò Emma.

L'autocontrollo di Julian vacillò e la sua risposta arrivo un minuto in ritardo. «Ma che stai dicendo? E' ridicolo! Come ti ho già detto ero impegnato a cavare informazioni da Lucy, non avevo tempo di pensare a te e al tuo amico.»

«Se non volevi parlare con Lucy allora non avresti dovuto farlo, non te l'ho chiesto io!»

«E' questo il punto, Em. L'ho fatto, perché volevo! Per l'Angelo, sapevo che non avrei dovuto dirti niente.» Imprecò. «Smettila di essere così sconsiderata e fermati a pensare alle conseguenze delle tue azioni.»

«Io, sconsiderata?» Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. «Non mi interessa. Dimmi solo se vieni o no.» Chiese Emma, come se fosse una domanda qualsiasi e non significasse il mondo per lei.

«No, e nemmeno tu.» Fece per prenderle la mano, ma Emma si scosto in fretta.

«Fai come vuoi, io ci vado con o senza di te.» Sputò fuori nel modo più tagliente possibile, riuscendo a farlo arrabbiare sul serio questa volta.

«Sei assurda, lo sai? Dici di essere intelligente e tutto il resto, ma ti stai comportando come le tipiche bionde che tanto disprezzi.»

E quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Non gli tirò una sberla perché sapeva che poi se ne sarebbe pentita, ma girò sui tacchi e se ne andò.

«Emma, aspetta!» La chiamò Julian.

«Lasciami in pace.» Gli urlò di rimando lei, uscendo sotto la pioggia nella fredda sera di fine Ottobre. Il vento le fece scappare dei capelli dalla coda di cavallo che le ricaddero davanti agli occhi. «Sono seria, Julian, lasciami da sola.» Ripetè per sicurezza voltandosi. Lo guardò negli occhi per un altro istante e poi proseguì.

Sapeva che lui non l'avrebbe seguita, perché rispettava sempre le sue decisioni, tranne che per la Corte Seelie. Non riusciva a capirlo. Erano i suoi genitori, quella era la sua battaglia e avrebbe fatto ciò che voleva lei, e non quello che il suo parabatai riteneva sicuro. La vita non era sicura, e con la paura non si andava da nessuna parte.

Saltò da una roccia all'altra, furiosa con il mondo e in particolare con Julian, ed era ormai troppo tardi quando si accorse di aver intrapreso il percorso sbagliato. Al posto di dirigersi verso la spiaggia si era ritrovata pericolosamente vicino all'Oceano e l'arrivo un'onda la investì completamente. Riuscì a mantenersi ancorata alla roccia per miracolo, e sentiva Julian chiamarla in lontananza. Pregò che non venisse a cercarla laggiù, altrimenti avrebbe rischiato di finire in mare anche lui.

Cercò una via di uscita ed intravide una roccia qualche metro più avanti dalla quale sarebbe riuscita a raggiungere senza molti problemi i massi più elevati, e da lì si sarebbe diretta verso la spiaggia senza troppi problemi.

Saltò, e non mancò il masso. Ci atterrò sopra con estrema precisione, l'unico problema fu che perse l'equilibrio, ma riuscì a non cadere. In quel momento però arrivò un'onda, e allora sì che cadde all'indietro.

Sentì un dolore lancinante alla testa e capì di aver sbattuto contro gli scogli. Stava andando sotto, sempre più sotto inghiottita dall'oscurità. Non aveva perso conoscenza ma non riusciva a muoversi, paralizzata dal dolore e dal freddo che le entrava nelle membra come un'infinità di spilli pungenti.

Cercò di respirare per un riflesso non condizionato della mente, ma non inalò aria, bensì acqua gelida.

Sarebbe morta. Morta senza aver vendicato i propri genitori; morta senza aver detto a Jem e a Tessa quanto fosse loro grata dell'affetto che le davano; morta senza aver salutato i Blackthorn. Poi pensò a Julian, e lì sì che si sentì morire davvero. E sarebbe morta senza potergli dire che le dispiaceva e che non avrebbe dovuto urlargli contro. Ma soprattutto, sarebbe morta senza che lui sapesse che lo amava più della sua stessa anima. Morta con il riflesso degli occhi verde-azzurro di Julian impresso a fuoco dietro le palpebre.

 

 

 

NOTE DELL'AUTRICE:

ciao a tutti! Allora, ho un paio di cose da dirvi. Ho cercato sulla shadowhunters' wiki e lì si dice che Julian fuma sigarette ai chiodi di garofano, e che Emma odia le battute sulle ragazze bionde. Si dice inoltre che sia terrorizzata dall'Oceano, ma io questo non lo sapevo, quindi ci sto pensando ora. Sto cercando di rendere questi due ragazzi il più possibile simili a quelli creati dalla Clare, così quando uscirà il libro potremmo ritrovarli in quelle pagine non troppo diversi. Ditemi ancora se vi piacciono e se vanno bene, sono tutta orecchie.

Vi ringrazio tantissimo se leggete la mia storia e se vi piace mi fa tanto piacere.

Grazie a tutti davvero!

Vi abbraccio,

Francesca

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Capitolo 7
*** Capitolo sette. ***


Emma capì di non essere morta quando, due giorni dopo l'incidente, riaprì gli occhi e provò un dolore lancinante alla testa.

Sbatté le palpebre un po' di volte per abituarsi alla luce del giorno e cercò di tirarsi su a sedere.

«Piano, Emma, piano.» Era Tessa che aveva parlato, mentre la aiutava a sedersi sistemandole meglio i cuscini dietro la schiena. «Ci hai fatto preoccupare tantissimo.» Le posò un bacio sulla fronte e le sorrise. «Quando Julian è arrivato bagnato fradicio portandoti tra le braccia ho temuto il peggio, pensavamo foste stati attaccati da qualche demone superiore.»

«Sto bene.» Fu tutto ciò che riuscì a dire Emma.

«Non farla agitare, Tessa.» Disse un'altra voce, Jem. «Emma, sei stata addormentata per due giorni. Avevi una brutta commozione cerebrale, ma i Fratelli Silenti ti hanno guarita in men che non si dica.» Si avvicinò al letto e la abbracciò delicatamente, cercando di non farle male.

«Che cos'è successo esattamente?» Domandò dopo qualche secondo con il suo consueto tono pacato.

«Ehm... sono caduta.» Ed era vero. Doveva però stare attenta a dare la stessa versione dei fatti che aveva fornito Julian. Perché si trovavano lì in una fredda sera di autunno? Cosa stavano facendo? Di cosa stavano parlando? C'era un luogo dove si incontravano? No, il loro posto andava protetto a tutti i costi.

«Julian era molto sconvolto e non è riuscito a spiaccicare una parola sensata fino al giorno dopo. Abbiamo dovuto preparargli qualcosa per dormire perché si svegliava ogni ora urlando.»

Emma sentì una fitta al cuore. Certo che Julian era preoccupato per lei, avrebbe potuto insultarlo quanto voleva, ma lui le avrebbe voluto sempre bene.

«Dov'è ora?»

«Siamo riusciti a mandarlo all'allenamento. Poverino, non ha lasciato il tuo fianco per tutto il tempo e ora che se n'è andato per un paio d'ore tu ti svegli.» Disse Tessa con un sorriso che la diceva lunga.

Jem le rivolse uno sguardo ammonitore e proseguì. «Ci ha raccontato che volevate fare una passeggiata prima di cena, ma il tempo è peggiorato e quindi sei scivolata in mare.»

«Sì, è andata così.»

Jem la guardò storto. «Non so se state mentendo o meno, tutto quello che so è che è estremamente stupido fare una passeggiata sulla scogliera con un temporale alle porte. E voi non siete due stupidi.»

«Pensavamo che il tempo avrebbe retto qualche minuto ancora.» Si arrampicò sugli specchi Emma, sperando che Jem lasciasse correre come era solito. «E ci siamo distratti. Non accadrà più.»

«Me lo auguro.» Jem e Tessa si scambiarono uno sguardo veloce che nn passò inosservato ad Emma e poi la fissarono intensamente, come se non sapessero se era il caso di dirle qualcosa.

«Che c'è che non va?» Chiese preoccupata.

«No, Emma, siamo solo preoccupati per te e Julian. Sicuri vada tutto bene?»

Oh no, Raziel, ti prego. Anche loro no.

«Va tutto benissimo.» Rispose con l'espressione più neutra del suo repertorio. «Perché non dovrebbe?»

«Niente di particolare.» Tessa guardò Jem e gli fece cenno col capo.

«Andiamo ad avvertire tutti che stai bene, allora. Tu riposati, mi raccomando.»

«Ma come! Io pensavo di poter raggiungere gli altri all'allenamento. Ho già perso due giorni.»

Jem sembrava sconvolto. «Hai rischiato di morire annegata, hai avuto una commozione cerebrale, e tu vuoi andare ad allenarti?»

«Sì!»

«Dormi un po', Emma. Dormi un po', tesoro.» Tessa le accarezzò i capelli e le rimboccò le coperte. «Ti porteremo una fetta di torta al cioccolato avanzata dal pranzo.»

«Non riuscirete a farmi tacere con un pezzo di torta!» Sbottò divertita.

«No, ma è un buon inizio.»

Jem era sul punto di aprire la porta dell'Infermeria, quando ad Emma venne in mente una cosa. «Posso farvi una domanda?»

«Certo.» Rispose Jem.

Emma esitò un attimo, indecisa se continuare o meno. «Il giorno dell'Incidente avete per caso mandato Dru a cercare me e Joshua?»

I due coniugi sembravano confusi. «No, perché avremmo dovuto. Almeno, io non ho parlato con Dru.» Disse Jem per poi rivolgersi a Tessa. «Ci hai parlato tu?»

«No, a meno che Dru non abbia le antenne un odore nauseante. Ho passato il pomeriggio a cercare di eliminare un demone con Arthur. Come mai lo chiedi, Emma?»

«Così.» Rispose. «Così.-»

 

 

Con sua grande sorpresa, Emma si riaddormentò subito.

Al suo risveglio il sole era appena tramontato e stava iniziando a fare buio. Tuttavia, la cosa che la sorprese di più fu un fastidioso peso che le premeva sullo stomaco, e ci mise un secondo di troppo per capire che quella cosa si muoveva. Con suo grande sollievo la “cosa” non era una cosa, bensì una persona: si trattava di Julian.

Era seduto su una sedia alla destra del letto e si era addormentato appoggiando la testa sulla sua pancia. Aveva gli occhi chiusi e dormiva beato, come se non avesse alcuna preoccupazione al mondo. Alla sua vista Emma sorrise e si sentì così in colpa per come lo aveva trattato che sperò con tutto il cuore che la perdonasse.

Nella stanza non c'era nessun altro e la sua attenzione fu catturata da un blocco da disegno con delle matite appoggiati sul comodino.

Avrebbe dato qualunque cosa per sbirciare quei disegni, ma non sarebbe stato corretto nei confronti di Julian, e il loro era un rapporto basato sulla fiducia. Quando avesse voluto mostrarglieli, lei sarebbe stata ben felice di guardarli, ma quello non era il momento.

Sistemò meglio i cuscini dietro la schiena così che potesse stare semi sdraiata. L'impresa fu ardua, perché doveva muoversi senza svegliare Julian, ma dopo 5 minuti buoni riuscì a trovare una posizione abbastanza confortevole.

Anche se moriva dalla voglia di parlare con lui del litigio e dell'incidente, decise di lasciarlo dormire. Probabilmente aveva passato due notti insonni per colpa sua e il minimo che potesse fare era concedergli qualche momento per riposare.

Gli scostò alcuni capelli che gli erano ricaduti sul viso e, nel momento in cui sposto la mano sulla sua guancia, lui spalancò gli occhi, quegli occhi incredibilmente verdi che aveva visto nella sua mente prima di svenire, con la differenza che questa volta erano veri.

Ritrasse la mano di scatto borbottando una scusa sottovoce, ma prima che potesse aggiungere alcunché Julian la stava abbracciando.

«Emma Cordelia Carstairs, non ti azzardare a farmi uno scherzo del genere un'altra volta, mi sono spiegato? Non. Ti. Azzardare.»

Ora per Emma i casi erano due: o dire qualcosa, qualsiasi cosa, e così scoppiare a piangere; oppure stare zitta e abbracciarlo forte. Scelse la seconda.

Gli gettò le braccia attorno al collo e passò una mano tra i suoi capelli, come per assicurarsi che fosse davvero lì in carne ed ossa. Julian invece le allacciò le braccia attorno alla vita e la strinse come se in qualche modo potesse fonderla dentro di sé, premendole le mani sulla schiena. Quello non aveva niente a che fare con gli abbracci che le avevano dato precedentemente Jem e Tessa. Loro l'avevano trattata come un'ammalata, come se fosse stata fragile, Julian invece sapeva quanto Emma valesse e la stava abbracciando con tutta la sua forza.

«Mi hai fatto preoccupare così tanto. Pensavo fossi morta. Pensavo seriamente che fossi morta, e forse lo sei stata per qualche minuto.» Aveva la voce tesa e Emma capì che si stava sforzano di non crollare. Fino a quel momento non aveva realizzato quanto quell'esperienza fosse stata traumatizzante: aveva rischiato di morire. Lei stessa credeva di essere spacciata.

Emma solitamente non aveva mai paura di niente, ma in quel momento un'ondata di terrore la invase e la consapevolezza di quanto era successo le piombò addosso come un macigno di roccia.

«Mi dispiace.» Riuscì a sussurrare. «Mi dispiace tanto per tutto, non avrei dovuto parlarti in quel modo e...»

«Emma.» Le disse sciogliendo l'abbraccio per guardarla negli occhi, ma mantenendo le braccia attorno alla sua vita. «E' okay, non preoccuparti.»

«Lo so che tu ci tieni tanto quanto me. Lo so che mi vuoi aiutare e non hai idea di quanto lo apprezzi.» Era un fiume in piena, non riusciva più a fermarsi. Le parole le uscivano di bocca come le lacrime le sgorgavano dagli occhi. «E' solo che io devo andarci, capisci? Devo fare qualcosa e ho bisogno che tu creda in me, ho bisogno che tu venga con me, altrimenti non ce la farò.» Non avrebbe mai parlato così a nessuno, ma Julian era l'eccezione a tutte le sue regole.

«Emma, lo sai che io starò sempre dalla tua parte e che crederò in te qualunque cosa tu farai. E anche io devo scusarmi: è una tua decisione, quindi qualsiasi essa sia io non ti lascerò mai da sola.» Udendo quelle parole, Emma iniziò a singhiozzare più forte. «Oddio, sembro una femminuccia. Non riesco a smettere di piangere, fallo smettere ti prego.» Cercò di coprirsi il viso con le mani, ma Julian gliele scostò delicatamente, per poi prenderle il viso tra le sue di mani. Emma si sentì arrossire, sia per la vicinanza del ragazzo, sia perché era in condizioni pietose.

«Per favore, vai via. Non voglio che tu mi veda così.» Disse abbassando lo sguardo.

«Ti ricordo che tu mi hai visto piangere per mio padre. Io non ti ho mai vista piangere per i tuoi genitori. O meglio, penso di non averti mai vista piangere per niente. A volte fa bene sfogarsi.» Le asciugò una lacrima con il pollice e le diede un bacio in fronte, al quale Emma reagì con un altro singhiozzo. Tornarono ad abbracciarsi e Julian iniziò ad accarezzarle i capelli e a posarle baci delicati sulla nuca.

Ed Emma pianse per tutto ciò per il quale non aveva pianto nella sua vita: per la morte dei suoi genitori, per quello che lei, Julian e i Blackhorn avevano dovuto affrontare da bambini, per il grandissimo spavento che si era presa qualche giorno prima e pianse perché non poteva dire a Julian quanto lo amasse. Dopotutto, quando decidi di aprire il tuo cuore dopo che lo avevi tenuto serrato per così tanti anni, diventa ancora più difficile ricacciare dentro tutto il dolore, la sofferenza e la rabbia.

«Andrà tutto bene, te lo prometto.» Le sussurrò Julian premendole le labbra contro l'orecchio, ed Emma, per la prima volta in vita sua, credette a quelle parole.

 

 

Quella sera andarono a farle visita tutti i Blackthorn, tonarono Jem e Tessa e passarono a salutarla anche Cloe e Joshua. Il ragazzo le aveva portato una rosa e un bigliettino di pronta guarigione. Il primo istinto di Emma era stato quello di scoppiare a ridere e di dirgli che quei regali terribilmente banali e scontati poteva anche tenerseli, ma dovette trattenersi.

Una rosa e un bigliettino! Ma per chi l'aveva presa? Voleva farle un bel regalo di pronta guarigione? Un pugnale nuovo, quello sì che era un regalo degno di quel nome. Julian non mancò di prenderla in giro, una vota che Joshua se ne fu andato a letto.

«Una rosa per la mia bionda preferita. Spero che tu possa rimetterti presto, il tuo Joshua.» Stava leggendo per la milionesima volta ad alta voce. «Ancora non riesco a credere che ti abbia chiamata la “mia bionda”, per Raziel.» Scoppiò a ridere tenendosi la pancia e Emma gli lanciò un cuscino per farlo stare zitto. Erano rimasti solo loro due e i gemelli nell'infermeria, e l'unica fonte di luce proveniva dalla lampada accesa sul comodino di Emma.

«Io trovo che sia molto romantico, invece.» Disse Livvy con aria altezzosa. «Non esistono più ragazzi così.»

«Che cosa vuoi insinuare, che io e Tiberius non siamo ragazzi assolutamente affabili e adorabili?» Le chiese Julian.

«Oh, non mi permetterei mai.»

«Livvy, non dirmi che ti piace quel damerino!» Disse Tiberius contrariato. «Io sto dalla tua parte, Emma! E' un idiota.»

«Non è un idiota.» Lo difese Emma. «E' solo che... non amo questo genere di cose, ecco tutto.»

«Damerino.» Borbottò di nuovo lui, facendo ridere tutti.

«Ragazzi.» Jem entrò nell'infermeria con addosso una vestaglia verde scuro. «E' quasi mezzanotte e penso che Emma abbia bisogno di riposare.»

«Ma ho dormito per due giorni interi!» Protestò lei.

«Vero, ma devi ancora riacquistare tutte le forze, e voi altri domani mattina avete lezione di rune antiche, quindi a letto, forza.»

Livvy e Tiberius borbottarono qualcosa contrariati, mentre Julian chiese tranquillamente. «Posso fermarmi ancora un po'?»

Calò il silenzio nella stanza.

Livvy guardò nervosa Emma, la quale ricambiò lo sguardo.

Jem fissò per qualche istante Julian, che non abbassò gli occhi, e poi sospirò. «D'accordo, ma solo un paio di minuti.»

Julian aspettò che fossero usciti tutti e si rivolse a Emma. «Stavo pensando che domani, se ti lasceranno uscire, potremmo andare a parlare con Lucy, così le chiediamo di procurarci un'udienza con la regina.»

Emma gli sorrise e, non sapendo come esprimere la propria gratitudine gli scrisse sulla mano “grazie”.

 

 

Alla fine Julian si era fermato per molto più di “solo un paio di minuti”. Infatti, dopo aver messo a punto cosa dire a Lucy, si era sdraiato nel letto con lei e le aveva accarezzato i capelli fino a quando non si era addormentata. Al suo risveglio lui non c'era più, ed Emma gliene era stata molto grata. Almeno aveva capito che con i Whitelaw in giro per l'Istituto non dovevano dare troppo nell'occhio.

Sul comodino alla sua destra c'era ancora la rosa di Joshua, ormai appassita, mentre il blocco da disegno era sparito, ovviamente. Al suo posto, però, Julian aveva lasciato un bigliettino piegato più volte su se stesso con scritto sopra il suo nome, quindi Emma aveva allungato la mano e lo aveva preso. Aveva subito riconosciuto la familiare calligrafia di Jiulia, ordinata ed elegante, e un sorriso spontaneo le si era disegnato sulle labbra.

 

Alla mia bionda preferita,

quando dormi sei incantevole e la tua bellezza fa invidia a quella delle stelle. Scusami se non ho una rosa da donarti, spero che tu apprezzi questo mio gesto -dannatamente banale e pieno di frasi fatte- per te.

A parte gli scherzi, ci vediamo a mezzogiorno al The Fairy Cafe, pranziamo e poi andiamo a fare un giro in spiaggia.

 

Julian

 

P.S. Quando dormi, sbavi.

 

Emma aveva riso, si era alzata, vestita e ora si stava incamminando nella Sala da Pranzo per fare colazione, sperando di trovarci ancora qualcuno e pregando che Julian non avesse spazzato via tutta la torta al cioccolato.

Aprì la grande porta e si guardò in giro.

Attorno al tavolo c'erano Tessa e Lucilla, la cameriera dell'Istituto che aiutava con le pulizie e il resto, che stavano sistemando i piatti e gli avanzi. Tutti gli altri erano a lezione con Jem, si ricordò, dato che erano ormai le 9.00 passate.

Tessa non dimostrava più di diciotto anni, indossava un paio di jeans scuri sotto ad un maglione rosso che le metteva in evidenza gli occhi grigi, ed Emma non riusciva proprio ad immaginarla vestita come una dama dell'ottocento.

Non appena la vide, fece quasi cadere una tazzina da caffè. «Emma! Che cosa ci fai qui?»

«Cerco qualcosa da mangiare, perché?»

Tessa spalancò gli occhi e si incamminò verso di lei con aria severa, e ad Emma ricordò proprio una mamma, nonostante il suo aspetto giovanile.

«Te lo stavo giusto per portare, qualcosa da mangiare.» Sbottò, indicando un vassoio con sopra una tazza, una fetta di torta e una brioche alla marmellata. «Ho dovuto lottare con Julian per impedirgli di finire la torta, ma alla fine ce l'ho fatta. Tu, invece, dovresti essere a letto a riposare! Non puoi andartene ancora in giro a zonzo.» La rimproverò, mettendosi le mani sui fianchi.

«Ma sto bene, davvero!» Emma fece una giravolta su se stessa con le braccia aperte come per mostrarle che non aveva niente che non andava, e l'espressione di Tessa si addolcì un poco. «Non ce la facevo più a stare rilegata in quel letto. Ho bisogno di uscire.» Iniziò prendendo il discorso molto alla larga.

«Okay, inizia a sederti qui e a mangiare qualcosa.» Emma ubbidì, mentre Tessa appoggiava il piattino con la torta sul tavolo e le metteva in mano una tazza di tè verde bollente, il suo preferito.

«Dormito bene stanotte?» Le chiese la mora con apprensione.

«Sì, fin troppo. Non devi fissarmi così, non mi sgretolerò in mille pezzi!» Disse Emma un po' in imbarazzo, dato che Tessa non le staccava gli occhi di dosso.

«Sono solo preoccupata per te.»

«Non devi.» Odiava quando la gente -a parte Julian- mostrava troppa preoccupazione nei suoi confronti.

«Lo so.» Annuì Tessa nostalgica. «Devo ripetermi in continuazione che non sei più una bambina.»

Quello era il momento giusto. Emma mandò giù un boccone troppo grosso di torta, bevve una sorsata di tè che le bruciò giù lungo la gola e disse. «Senti, pensavo di uscire a pranzo con Julian oggi...»

Tessa rimase impassibile.

«... e poi volevamo fare un giro sulla spiaggia. Giuro che mi sento in ottima forma, davvero! Anche i Fratelli Silenti ieri hanno detto che sono guarita completamente, quindi penso di poter uscire. E poi sarò con Julian.»

Tessa continuò a non dire niente, quindi Emma chiese, un po' seccata. «Posso?»

«Emma, non sono io che devo dirti ciò che puoi o che non puoi fare. Penso che tu sia grande abbastanza, e se davvero, ma davvero, mi giuri che stai bene, puoi andare dove vuoi.» Le rispose, mettendole una mano sula sua. «Be', non proprio ovunque tu voglia, ma ci siamo capite. Solo... stai attenta.» Aggiunse con un sorriso.

«Io sto sempre attenta.»

 

 

NOTE DELL'AUTRICE:

ciao a tutti!

Per questo capitolo non ho niente di particolare da dire. E' un po' di passaggio, ma il prossimo è già quasi pronto.

Perciò a presto,

Francesca

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Capitolo 8
*** Capitolo otto. ***


«Questa la mangi?» Julian allungò la forchetta verso il piatto di Emma, ma lei gli schiaffeggiò prontamente la mano.

«Sí, Jules, la mangio.» Gli rispose con una risata. Il ragazzo aveva già divorato metà della torta di Emma, e lei non intendeva lasciargli anche l'ultimo pezzo.

Julian ritrasse imbronciato e ne ordinò un'altra fetta.

«Te l'avevo detto di prenderla con la panna fin da subito.»v Lo rimbeccò lei.

Lui le fece una linguaccia ed Emma si mise in bocca l'ultimo boccone con un sospiro.

Era incredibile, ogni volta che Emma ordinava un piatto, a Julian piaceva di più del suo, e andava a finire che il ragazzo si mangiava anche la sua torta. Come stava succedendo in quel caso.

«Credo che dover scegliere solamente una torta tra le mille proposte del menù sia a dir poco illegale.» La osservò per qualche secondo, poi si sporse un po' verso di lei e le passò il pollice sul labbro inferiore per tirarle via un po' di sporco che le era rimasto sulle labbra. Poi si guardò il dito e lo mise in bocca per pulire via la panna restante. «Voglio dire, uno dovrebbe poter mangiare un po' di tutte le varie tipologie, non posso ordinare dieci fette di torta, per quanto mi piacerebbe provare... un giorno potremmo farlo però.»

Ma Emma non lo stava ascoltando. Era rimasta pietrificata, il punto dove le sue dita l'avevano toccata che bruciava come fuoco ardente. Si portò velocemente una mano alle labbra, confusa, e guardò Julian, il quale stava continuando a parlare come se niente fosse.

Si riscosse dai suoi pensieri solo quando si accorse che lui la stava osservando in attesa di una risposta.

«Cosa?» Chiese, sbattendo gli occhi per uscire dalla trance nella quale era piombata.

Lui alzò gli occhi al cielo, divertito. «Voglio tagliarmi i capelli e tingermeli di rosa shocking.»

«Rosa shocking, sicuro? Secondo me azzurro elettrico ti donerebbero di più, ti metterebbero in risalto gli occhi.» Sette al gioco lei, ma quando lui la guardò si sentì arrossire impercettibilmente, e sperò con ogni fibra del suo essere che non lo avesse notato.

Deglutì a vuoto.

«Parlavo di torte, Em.»

«Pensi solo a mangiare, Jules.»

«Vero, ma che ci posso fare se sono deliziose?» Disse, stiracchiandosi con uno sbadiglio.

Emma gli prese la mano e gli scrisse sopra "hai dormito?"

"Sì," arrivò in fretta la risposta sul suo palmo.

La sera precedente avevano passato la notte a parlare di piani, strategie e di come affrontare la Regina della Fate, poi Julian era rimasto con lei fino a quando non si era addormentata profondamente. Quindi Emma non sapeva quanto avesse dormito.

Un colpo di tosse spezzò la magia, ed Emma allontanò veloce le mani da quelle di Julian.

«Ecco qua la tua torta, tesoro.»

Era Lucy, provocante come al solito, con tacco dodici e vestito succinto di pizzo nero. Aveva la pelle blu e le orecchie a punta tipiche degli abitanti del popolo fatato. Portava un rossetto rosso acceso e una quantità decisamente eccessiva di mascara le incorniciava gli occhi del colore dell'oro.

Emma pensò che sarebbe stata molto carina, se solo non si fosse vestita sempre come una... donna dai dubbi costumi.

«Lucy, aspetta un secondo.» La bloccò subito Julian.

«Dimmi tutto, fiorellino.» Rispose lei ammiccante, appoggiando la caraffa del caffè sul tavolo.

Emma sapeva di non andare a genio a Lucy e che lei aveva un debole, come tutti, per Julian, quindi lasciò parlare lui senza problemi.

«Hai presente la conversazione che abbiamo avuto ieri?» Iniziò lui con disinvoltura.

«Sì, quando mi hai chiesto dei Carstairs, giusto?» Nominando i Carstairs posò lo sguardo su Emma.

«Esattamente. Emma ed io volevamo chiederti se potresti parlare alla tua Regina e organizzarci un'udienza con lei. Avremmo bisogno di scambiarci due parole. Tu sei una dama della Corte, se non sbaglio.» Julian parlava con un tono di voce tranquillo e leggero, come se le stesse chiedendo di andare a fare una passeggiata nel parco.

«State scherzando, vero?» Proruppe la fata, ridendo. «La Regina non acconsentirà mai a ricevervi, a meno che non creda che il farlo sia nei suoi interessi.»

«Be', ma a te non costa nulla chiederglielo. Magari la Regina muore dalla voglia di incontrarci.» Disse Emma, nascondendo il panico dietro alla spavalderia. Quella era la loro unica pista, non potevano perderla così.

Lucy la guardò male e Julian le rivolse un'occhiata ammonitrice che la fece stare zitta.

«Lucy, noi abbiamo grande necessità di parlare con Lei, quindi se potessi fare un tentativo te ne saremmo eternamente grati... per favore.» Concluse Julian con il sorriso più affabile del suo repertorio.

«D'accordo, vedrò cosa posso fare. Ma vi avverto, i tempi di attesa sono molto lunghi.»

«Definisci “lunghi”.» Emma strinse i pugni sotto il tavolo e trattenne il respiro.

Tempo, sempre più tempo. Non ce la faceva più ad aspettare: voleva agire. Erano passati anni dalla morte dei suoi genitori e lei aveva bisogno di trovare i colpevoli, altrimenti sarebbe stato come se non fossero mai esistiti, come se fossero morti invano.

«Settimane, mesi, non posso saperlo...»

«MESI?» Saltò su Emma. «Ci sarà qualcosa che puoi fare!»

«Non posso obbligare la mia Signora a ricevervi contro la sua volontà. Le riferirò il vostro desiderio di un colloquio con lei, e porterò indietro la sua risposta. Più di così non posso fare.»

«Grazie.»

Julian tirò ad Emma un calcio sullo stinco che fece maledettamente male.

«Grazie.» Borbottò a denti stretti lei. Dopotutto, era sempre meglio di niente.

«Ma non lo faccio gratis.» Se ne uscì fuori Lucy con un sorrisetto.

Julian spalancò gli occhi e guardò Emma, che disse. «Okay, pagheremo.»

«Non voglio soldi.»

«E allora cosa vuoi?» Chiese Julian. Emma riusciva a intravedere la ruga che gli spuntava sempre in fronte quando era confuso.

«Un appuntamento con te, biscottino.»

OH, COL CAVOLO. Pensò Emma.

Julian, invece, sembrava confuso ma divertito. «Ehm... vuoi un appuntamento con me?»

«Sì.»

«No!» Urlò Emma. «Ma sei ammattita per caso?»

«Per niente. Tutti gli uomini che escono con me pretendono sempre di più, pensano che io sia una donnaccia. Per una volta vorrei uscire con un ragazzo per bene e passare una bella serata. Uscire a cena, un film, che ne so, cose normali.»

Emma si sentì improvvisamente molto in colpa per tutte le volte in cui l'aveva definita lei stessa una “donnaccia”, e abbassò il capo, incapace di reggere il suo sguardo.

«D'accordo, Lucy, uscirò con te dopo che avrai chiesto udienza alla Regina.»

«Certo, lo farò.» Promise con un sorriso, e non era il suo solito sorriso provocante, era... sincero.

«Posso farti solo una domanda?» Si intromise Emma in imbarazzo, guardando la fata dal basso verso l'alto.

Lucy sbatté gli occhi e annuì, mettendosi una mano sul fianco.

«Quanti anni hai?»

Lucy sembrava molto indignata.

«Emma!» La ammonì Julian.

«Che c'è?»

«Non sono domande da fare!»

Emma non capiva.

«Dovresti imparare le buone maniere dal tuo amico, ragazzina. Comunque non mi vergogno dei miei anni, ne ho solo venticinque.» Si tirò i capelli indietro e raddrizzò le spalle. «Vi farò avere notizie presto, allora. Arrivederci.»

E se ne andò sculettando per servire una coppia di lupi mannari al tavolo accanto.

«Sei sempre la solita.» Julian la stava fissando, ma il suo tono non era accusatorio.

«Non ci credo nemmeno se mi mostra un certificato di nascita che quella ha solo venticinque anni.» Affermò lei bevendo un sorso di caffè.

Julian rise e la sua risata le risuonò nelle orecchie come musica.

«Sicuro di volerlo fare? Uscire con lei intendo.» Emma divenne improvvisamente seria. Non voleva che lui facesse qualcosa che non gli andava per lei.

«Certo, è solo una cena. Se aiuterà le nostre indagini, ci vado con piacere.»

Le aveva definite le “loro indagini”, ed Emma non poté fare a meno di compiacersene.

«Molto bene.» Disse Emma alzandosi, facendo un rumore con la sedia che risuonò nel locale. I lupi mannari seduti di fianco a loro la guardarono male, e lei scosse le spalle. Julian aveva incredibilmente finito la seconda fetta di torta e la fissava in attesa. «E' ora di andare. Anche oggi, missione compiuta, compare.»

«Odio quando mi chiami compare.» Julian la seguì fuori dal locale borbottando insulti indicibili.

All'aperto l'aria era fresca e scompigliò i capelli biondi di Emma, facendoglieli uscire dalla lunga treccia che Dru si era offerta di farle quella mattina. Julian fissò l'Oceano per qualche istante e poi propose. «Che ne dici di farci un tuffo più tardi? Ora ho promesso a Livvy che l'avrei aiutata con i compiti, però stasera possiamo surfare un po'. Guarda che onde.»

Aveva ragione. Quel vento era perfetto, e sollevava delle onde altissime, adattissime per essere cavalcate da una tavola.

Normalmente non ci avrebbe pensato un attimo. In circostanze normali, avrebbe accettato senza indugiare. Però, in quel momento, si bloccò, non capendo il motivo. Che fosse rimasta traumatizzata dall'esperienza di qualche giorno prima? No, era fuori discussione:il mare era stata la sua seconda casa da quando era una bambina e aveva imparato a nuotare. Non aveva intenzione di esserne spaventata per un incidente avvenuto per sbaglio.

I Carstairs non avevano paura, venivano feriti ma ne uscivano più forti di prima. Era sempre stato così, e lei sarebbe stata all'altezza del suo nome.

Quindi, mantenendo il tono della voce il più neutro possibile, si costrinse a rispondere. «Certo, volentieri! Ci vediamo dopo, allora.»

 

 

Qualche ora più tardi Emma era in camera sua, seduta sul letto, con indosso la sua muta nera e azzurra e la tavola appoggiata sulle gambe.

Strinse le mani a pugno per impedir loro di tremare così forte che le nocche sbiancarono. Sentiva come un peso che le premeva sul cuore e faceva fatica a respirare.

Stai calma, si impose. Tu non hai paura. Non c'è niente da avere paura. Stai calma, Emma.

Era così stupido. Non sarebbe successo di nuovo. Quella volta aveva sbattuto la testa, ecco perché era quasi annegata, altrimenti non sarebbe mai successo. Eppure Emma non riusciva a dimenticare gli abissi che la inghiottivano e la sensazione di impotenza e di accettazione che l'aveva travolta quei secondi prima di perdere i sensi.

«Pronta?» Il viso di Julian sbucò dalla porta e i suoi occhi verde-azzurro incrociarono quelli marroni di Emma.

Julian.

C'era Julian con lei. Fino a quando ci sarebbe stato lui non doveva preoccuparsi di nulla, perché lui l'avrebbe sempre salvata. Non che le piacesse l'idea di essere salvata da qualcuno, ma l'avere Julian vicino la faceva sentire meglio, infatti, per la prima volta negli ultimi minuti, riuscì a prendere un respiro profondo.

«Certo, andiamo.»

Si avviarono lungo il corridoio e poi giù dalle imponenti scale dell'Istituto verso la spiaggia. Non parlarono molto perché Emma non era particolarmente dell'umore, continuava a pensare all'Oceano che avrebbe dovuto affrontare da lì a pochi minuti.

Affrontare.

Lo aveva sempre amato, ora invece lo vedeva come un qualcosa di negativo e pericoloso. Odiava questa sensazione. La odiava con ogni fibra del suo essere.

Arrivarono nella zona un po' appartata dove amavano surfare prima di quanto Emma avesse voluto, ma era pronta. Lei ce l'avrebbe fatta anche questa volta. Nessun problema.

«Ti farò mangiare la polvere oggi, Em.» Julian si tuffò ed iniziò a schizzarla per destarla dai suoi pensieri. «Em, muoviti dai! Tra qualche ora farà buio, non abbiamo molto tempo!»

Emma lo guardò. I capelli bagnati gli si erano appiccicati alla fronte e ai lati del viso, e i suoi occhi azzurri brillavano dello stesso colore del mare. Anche lui indossava la muta, ma al di sotto di essa la ragazza riusciva a scorgere alla perfezione la forma dei muscoli delle braccia, degli addominali scolpiti...

«Ehi!» Protestò indignata Emma, quando Julian la prese in braccio e la gettò in mare.

Stare sott'acqua fu tremendo. Riuscì in superficie il più velocemente possibile e prese una boccata d'aria a piani polmoni, cercando di far rallentare i battiti accelerati del cuore.

Julian aveva capito che qualcosa non andava e sembrava allarmato.

«Va tutto bene?» Le mise una mano sulla spalla e cercò di guardarla negli occhi, ma lei tentò di non incontrare il suo sguardo.

«Sì, ho solo bevuto un po' d'acqua. Andiamo.»

Salì a pancia in giù sulla tavola e iniziò a spingersi con le mani verso un'onda di altezza media che si stava giusto formando in lontananza. Riusciva a vedere Julian al suo fianco, con quello sguardo determinato che gli si dipingeva in faccia prima di affrontare una nuova sfida, e invidiò quella sicurezza che un tempo era anche sua.

No, lei era ancora a suo agio in mare. Doveva esserlo.

Si impose di stare calma, si rannicchiò sulla tavola e, quando l'onda fu abbastanza vicina, saltò in piedi.

Perse subito l'equilibrio. Le sue gambe tremavano talmente tanto che l'avevano tradita ed era caduta, travolta dalle onde. Fece qualche capriola sott'acqua e bevve un'ingente quantità di acqua salata che le fece bruciare il naso e la gola e, quando finalmente tornò in superficie, iniziò a tossire.

Cercava la sua tavola, ma questa si trovava a qualche metro lontano da lei che non riusciva a muoversi, paralizzata dal terrore.

«Julian.» Si ritrovò ad urlare. «Jules!»

Nel giro di qualche secondo era di fianco a lei. «Emma, che succede?» Le chiese, il volto una maschera di terrore.

Emma invece fu travolta dal sollievo. Si aggrappò a lui che era la sua roccia in quell'Oceano di disperazione, e Julian si appoggiò alla tavola con il braccio destro per non essere trascinato sul fondo dal peso di Emma. Con l'altro braccio le cinse la vita e la tenne stretta.

«Emma, che succede?» Ripeté, cercando di farla aggrappare alla tavola, ma lei non voleva, non si fidava. Aveva fiducia solo in lui.

«Niente, ho solo bisogno di un attimo.» Disse poco convinta.

«Solo un attimo... io... starò bene. Devo solo...» Era consapevole di star borbottando frasi sconnesse e senza senso, ma tutto ciò che voleva era uscire da lì.

Non seppe come, ma Julian capì.

«Ti porto fuori.»

«No. No, davvero.» Rispose, anche se tutto ciò che desiderava dire era “sì, ti prego, andiamocene.”

Julian le mise una mano sulla guancia e puntò gli occhi nei suoi. Stai tremando e io sono un idiota.»

«Cosa? Non capisco...»

«Domenica sei quasi annegata.» Le diede un bacio sulla fronte e continuò a parlare premendo le labbra sulla sua pelle. «E io ti chiedo di uscire in mare aperto. Sono il peggiore migliore amico dell'universo.»

«No, non lo sei invece.»

Le onde si scontravano contro i loro corpi avvinghiati, entrando negli occhi di Emma.

«Ti porto via da qui. Sali sulla tavola e io ti spingo a riva.»

«No, Julian, non voglio!» Si ritrovò a sbottare. «Non voglio stare così. Non voglio aver paura del mare. Non. Voglio.»

Stava iniziando ad agitarsi di nuovo e ansimò. «Ce la faccio. Non preoccuparti.»

Si staccò da lui per dimostrargli, ma sopratutto per dimostrare a se stessa, che era perfettamente in grado di nuotare a riva da sola, ma, dopo appena due bracciate, dovette fermarsi in preda ad un attacco di panico. Andò sotto, le braccia e le gambe non rispondevano agli impulsi del cervello. Julian le passò le braccia sotto le ascelle e la tirò su.

«Emma, non comportarti da stupida. Sei ancora sotto shock, devi metabolizzare il trauma, non c'è niente di cui vergognarsi.» La issò sulla tavola ed iniziò a spingerla verso la spiaggia.

«E' tutta colpa mia, porca merda. Avrei dovuto pensarci, sono una merda di amico.»

In quella situazione umiliante, Emma riuscì a trovare la forza per fare una battuta delle sue. «E tu da quand'è che dici merda?» Borbottò contro il braccio.

«Da quando sono diventato un amico di merda!» Rispose Julian con gli occhi che fiammeggiavano di rabbia contro se stesso.

«Invece non lo sei. Tu pensavi che io fossi abbastanza forte da superarlo, e invece non lo sono stata.» Emma era consapevole che si stava autocommiserando, ma si sentiva uno straccio, sopraffatta dalle emozioni.

«Non sei un robot. Sei umana e se ti tieni tutto dentro, come fai sempre tu, arrivi ad un punto in cui scoppi e non ce la fai più, non importa quanto tu sia cazzuta. Perché tu sei cazzuta, Em. Sei forse la persona più coraggiosa che io conosca, ma sei anche umana.»

Al solo udire quelle parole, Emma si fece un po' meno schifo. Forse è vero, a volte abbiamo solo bisogno di qualcuno che ci dica che non siamo così terribili come pensiamo. Julian era la sua persona, lo era sempre stato.

«Se pensi di essere una merda di amico, sappi che sei la merda di amico migliore che si possa desiderare.»

Lui non rispose e continuò a trascinare la tavola verso la riva.

Una volta arrivata sulla spiaggia, Emma si rotolò sulla terraferma, incurante della sabbia che le si appiccicava al viso e a tutto il corpo.

Rimase così, a pancia in giù, a bearsi del calore della terra e a crogiolarsi nella sua umiliazione.

«Emma, tirati su, dai. Torniamo all'Istituto.» Julian le diede un leggero calcio sul fianco per incitarla ad alzarsi.

«No, Jules, voglio stare da sola. Lasciami qui a morire di vergogna.» La sabbia le pungeva il collo e il viso, ma a lei non importava. Non voleva vedere nessuno.

«Col cavolo! No lo dico io!» Sbottò il suo parabatai.

Julian non alzava mai la voce ed Emma, presa alla sprovvista, si appoggiò sui gomiti per guardarlo. Il sole gli disegnava sul volto un gioco di ombre che lo facevano sembrare più grande, i capelli bagnati color cioccolato sembravano più scuri e lunghi, mentre gli occhi brillavano come due fari in mezzo ad un mare in tempesta.

«Sono il tuo parabatai. Ti ho fatto delle promesse, ci siamo fatti delle promesse, e ho intenzione di mantenerle. Ci siamo promessi di prenderci cura l'uno dell'altra, sempre. Ricordi? Dove vai tu, vado io. Se tu combatti, io combatto con te. Quindi no, non me ne vado mentre tu stai qui da sola a ripeterti quanto fai schifo, non te lo lascerò fare.»

E così dicendo le fece passare le braccia sotto la pancia per tirarla su in piedi, poi gliene mise una sotto le ginocchia, l'altra dietro la schiena e la sollevò, ignorando bellamente le proteste di Emma.

In men che non si dica si ritrovarono in camera sua. Julian puntò dritto verso il bagno e la appoggiò a terra.

«Dovresti farti una doccia.» Le disse.

«Sì.» Rispose Emma. Si fissarono per qualche istante, poi Julian arrossì e uscì dal bagno borbottando qualcosa che Emma non riuscì a decifrare.

Non aveva voglia di fare la doccia, non aveva voglia di fare niente quel giorno, perché arrivi ad un certo punto in cui ti stanchi di lottare e ti fai semplicemente trasportare dalle onde.

Era come se l'avessero privata di tutte le energie, quindi aprì l'acqua tanto per far contento Julian, e poi si sedette sul pavimento a gambe incrociate.

«Emma.» Bussò alla porta lui dopo qualche minuto. «Guarda che c'era la spazzola sul letto, te l'appoggio qui...»

Mise la testa dentro al bagno e, quando vide Emma seduta sul pavimento, fece una smorfia contrariata.

«Che ci fai lì per terra?»

«Tu che ci fai nel mio bagno?» Gli rispose scorbutica lei.

«Spazzola.» Le fece notare Julian sollevando l'oggetto e appoggiandolo sul lavandino.

L'ambiente stava iniziando a scaldarsi e nuvolette di vapore uscivano da dietro la tenda della doccia, rendendo l'aria pesante ed umida.

«Non mi serve.» Cercò di mantenere un tono neutrale, ma le si incrinò un po' la voce nel vedere l'espressione afflitta del suo parabatai. Non voleva che stesse male per colpa sua, si era ripromessa che lo avrebbe reso felice in qualsiasi modo possibile, ed era proprio per questo che tentava di cacciarlo via. «E ora sarebbe meglio che tu te ne vada.»

Julian imprecò.

Si richiuse la porta alle spalle e marciò diretto verso di lei. Senza troppe cerimonie, la prese da sotto le spalle e la sollevò, per poi portarla nella doccia.

L'acqua era calda ed Emma rabbrividì di piacere quando il getto le lavò via la sabbia dal viso.

Julian prese lo shampoo ed iniziò a spalmarglielo sui capelli.

«Che stai facendo?» Chiese Emma guardandolo male.

Aveva un'aria maledettamente seria e concentrata mentre cercava di toglierle dai capelli la sabbia che vi si era rimasta impigliata.

«Visto che con le buone non mi ascolti, cambio metodo.»

Emma non disse più niente e lo lasciò fare.

Era come se la stesse dipingendo. Le mise delicatamente una mano sulla fronte per tirarle indietro la testa, cosicché l'acqua potesse sciacquarle via lo shampoo dai capelli; poi con del sapone le lavò via il sale e la sabbia dalle braccia, dalle gambe, e infine dal viso.

Emma lo fissava ipnotizzata e si faceva cullare dal getto dell'acqua calda e dalle cure del suo parabatai.

«Non sei costretto a farlo, tutto questo. Non sta scritto da nessuna parte “Fai la doccia al tuo parabatai quando è troppo pigro per farsela da solo.”»

Julian smise di insaponarle una mano, tenendola però tra le sue, e alzò lo sguardo su di lei. Gocce d'acqua gli ricadevano sulle guance come lacrime e gli occhi arrossati sembravano ancora più azzurri del solito. «Lo so benissimo. Come tu sai che non si tratta di pigrizia. Non voglio vederti così a terra, voglio ricordarti che sei Emma Carstairs.»

Ed Emma si vergognò molto di se stessa. Non era da lei comportarsi così, lei non si era mai arresa e aveva sempre lottato.

«Hai ragione.» Capì improvvisamente. «Io sono Emma Carstairs, ma non mi sto comportando da tale. Emma Carstairs non si autocommisera, si rialza più forte di prima.»

«Esatto.» Esclamò Julian, ed Emma vide sulle sue labbra il primo vero sorriso da quando erano entrati in mare. «Quindi sii Emma Carstairs, sii te stessa.»

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao a tutte!

Ecco qui il nuovo capitolo!

Emma è logicamente sotto shock per quanto è successo, ma non preoccupatevi. Come ha detto Julian lei è cazzuta e ce la farà. Ho inserito questo dettaglio perché nella shadowhunters' wiki si dice che Emma è terrorizzata dall'Oceano e che ha incubi a riguardo, quindi, dato che voglio rendere la storia più verosimile possibile, ho inserito questo “shock” per motivare la sua paura dell'Oceano.

Non credo di aver altro da dire, solo grazie mille a tutti coloro che perdono parte del loro tempo a leggere la mia storia o a recensire. Grazie a tutti di cuore <3

Baci,

Francesca

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Capitolo 9
*** Capitolo nove. ***


Essere Emma Carstairs non era facile però.

Significava essere orfana, terrorizzata dalla cosa che fino a poco tempo prima ti dava sicurezza e amare l'unica persona che la legge ti proibiva espressamente di amare sentimentalmente.

Ciò nonostante, non faceva nemmeno troppo schifo: vivere a Los Angeles, allenarsi all'Istituto, uccidere demoni ed essere circondata da persone che ti volevano davvero bene come i Blackthorn, Jem e Tessa.

Perciò Emma decise di concentrarsi sugli aspetti positivi della sua vita, strinse i denti e tirò avanti.

Dall'incidente erano passate ormai un paio di settimane e la ragazza non aveva ancora messo piede in mare, anche se Julian si era offerto di aiutarla piano piano a riprendere confidenza con l'Oceano.

Emma non si sentiva ancora pronta, spesso aveva incubi nel quali annegava o si trovava nel bel mezzo di una tempesta. Non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con Julian. Se lui lo avesse scoperto si sarebbe arrabbiato a morte, ma non voleva farlo preoccupare e comunque riusciva a gestirli. Più o meno.

«E' tutto pronto?» La voce del suo parabatai la riscosse dai suoi pensieri.

Indossava una camicia azzurra e dei pantaloni beige che gli stavano maledettamente bene.

Qualche giorno prima Lucy aveva comunicato loro che avrebbero avuto un'udienza con la regina quel giorno a mezzanotte.

La ragazza non sapeva perché la Regina volesse vederli così tardi, probabilmente solo per dargli fastidio, ma poco importava.

«Sì, io sono pronta, tu non direi.» Gli fece notare lei eloquentemente, accennando al suo abbigliamento -dovuto al fatto che fosse appena tornato dall'appuntamento.

«Com'è andata con Lucy?» Chiese sinceramente interessata.

«Meglio di quanto pensassi in realtà, è molto simpatica. Siamo andati a cena e poi al cinema, serata tranquilla.»

«Non è che ti starai follemente innamorando di lei, eh?» Scherzò, facendolo ridere.

«Non è il mio tipo.»

«Certo... Comunque sei in ritardo, farai meglio a muoverti.» Lo sgridò Emma.

«Muovermi a fare cosa? Sono pronto.»

«No che non lo sei! Guardati!» Sbottò, gesticolando rivolta ai suoi vestiti.

Julian si guardò e sorrise. «Non credi che presentarci dalla Regina della Corte Seelie in tenuta da combattimento sia un po', come dire, poco amichevole?»

«Dimentichi che io non sono amichevole.» Rispose Emma. «Be', possiamo contare che rimanga ammaliata dalla tua camicia nuova e che quindi ci dia tutte le informazioni che desideriamo. Però, se proprio non hai voglia di cambiarti, almeno prendi questa.» Gli lanciò la sua balestra e poi gli passò qualche pugnale che lui appese alla cintura.

«Lo sapevo!» Urlò una voce da dietro una colonna.

Tiberius.

E dove c'era Tiberius, ecco Livia. «Shht, Ty, stai zitto.»

I gemelli uscirono dal loro nascondiglio e Tiberius urlò loro contro. «Lo sapevo che avevate in mente qualcosa!»

Julian imprecò. «Ragazzi, tornate a letto.»

«Non ci pensiamo neanche.» Affermò Livvy. «Non potete andare nel regno delle fate da soli, avete bisogno di rinforzi. E non dire.» Aggiunse in fretta lei per bloccare le proteste del fratello maggiore. «Che siamo solo dei bambini, perché anche voi lo siete. Non avete ancora diciotto anni, e noi ne abbiamo solamente due meno di voi.»

Non sarebbe stato facile sbarazzarsi di loro, e avevano poco tempo. Julian aveva tardato a causa del suo appuntamento con Lucy, ed erano già le 23.45. Non era saggio far aspettare la Regina.

Emma e il suo parabatai si scambiarono uno sguardo di intesa, capendosi al volo.

«D'accordo.» Disse Emma. «Potete venire con noi ad una condizione: farete esattamente ciò che vi diremo: se vi ordiniamo di scappare, voi scappate. Se vi diciamo di tenere la bocca chiusa, voi tenete la bocca chiusa. Intesi? Parlo soprattutto con te, Ty. Dovrai ascoltarci, altrimenti resterai qui.»

Il ragazzino sembrò riluttante, ma alla fine accettò l'accordo.

«Muoviamoci.»

Emma si incamminò per prima, mentre Julian si mise in fondo per chiudere la fila.

L'accesso al Regno delle Fate si trovava dietro la scogliera, in una piccola laguna dove non c'erano mai troppe onde. Tutto ciò che dovevano fare era saltarci dentro, e sarebbero così atterrati direttamente davanti all'entrata delle stanze della Regina.

Emma rabbrividì nella giacca della sua divisa. Era una notte limpida, la luna splendeva brillante nel cielo, rispecchiandosi nel mare ed illuminando l'ambiente circostante.

«Emma, ferma.» Julian la raggiunse e le sussurrò all'orecchio. «Credo che qualcuno ci stia seguendo.»

Si misero tutti sull'attenti, le armi sfoderate, e si guardarono attorno. Sembrava tutto normale.

Si trovavano sulla cima della scogliera, perciò erano esposti agli sguardi dei passanti che camminavano per le vie principali del centro. Dovevano andarsene da lì.

«Non c'è nessuno, Julian, dai, muoviamoci.» Commentò spiccia.

Non fece in tempo a muovere un altro passo che sentì anche lei un rumore.

Guardò Julian, il quale alzò le mani e le rivolse un espressione che voleva chiaramente dire “io te lo avevo detto.”

«Ty, Livvy, voi andate avanti, l'ingresso è là in fondo. Aspettateci lì, noi vi raggiungiamo.»

Livvy fece per protestare, ma Emma la fulminò con lo sguardo.

«Vai.» Sussurrò, e la ragazzina prese per mano il gemello ed insieme iniziarono a scendere verso la laguna.

Emma sfoderò la sua spada, Cortana, mentre Julian incoccò una freccia nella balestra.

«Avrei dovuto mettermi la tenuta.» Borbottò contrariato.

«Chi va là?» Alzò la voce Emma. «Mostratevi.»

Dal momento in cui non succedeva nulla, si avvicinarono alla roccia dalla quale era provenuto il rumore, lei da destra, Julian da sinistra.

Ciò che trovarono fece venire voglia ad Emma di gettare Cortana a terra e mettersi ad urlare per la frustrazione. Sarebbe stato molto meglio dover affrontare qualche demone piuttosto che i gemelli Whitelaw.

«Che ci fate voi qui?» Sbottò, abbassando la spada.

«Che ci facciamo noi qui? Che ci fate voi qui, semmai!» Cloe si alzò in piedi per fronteggiare Emma. Era leggermente più alta di lei, ed era la prima volta che Emma la vedeva fasciata nella tenuta da combattimento. La rendeva ancora più bella e più temibile.

«Stiamo andando a fare una passeggiata.» Mentì prontamente Julian.

«Certo, con Tiberius e Livia?» Saltò su Joshua. «Vi abbiamo sentiti, sappiamo che volete incontrarvi con la Regina della Corte Seelie.»

Era inutile negare, ormai. «E va bene, è così. Ma non sono fatti vostri, tornatevene all'Istituto.»

«Col cavolo! Siete minorenni!» Esclamò Cloe. «Noi veniamo con voi in qualità di responsabili.»

Emma la guardò storto e Julian scoppiò a ridere, indignato. «Non abbiamo bisogno di baby-sitter.»

«Be', credo proprio che la prima cosa che faremo, una volta tornati all'Istituto, sarà andare a spifferare al signor Blackthorn dove siete stati stanotte. Se invece ci farete venire con voi, giuriamo sull'Angelo che non diremo niente.» Propose Joshua, entusiasta.

«Questo è un ricatto bell'e buono!» Julian guardò Emma, e lei gli restituì lo sguardo. Non avevano tempo.

«Va bene.» Sibilò. «Diamoci una mossa però.»

Raggiunsero Tiberius e Livia, i quali guardarono il gruppo sorpresi.

«Che ci fa lui qui?» Sbottò Ty.

«Sempre bello vederti, Tiberius.» Joshua lo salutò con un gesto della mano.

«Perché vengono anche loro?» Chiese Livvy.

«Perché ci hanno ricattato.» Rispose Julian imbronciato.

«Esagerato.» Joshua alzò gli occhi al cielo e si appoggiò ad una roccia con fare esperto, come se stesse posando per un calendario in costume da bagno.

«Zitti tutti.» Emma aveva preso la parola. «Non stiamo andando ad un'udienza con la Regina delle Fate perché desidero passare del tempo con lei. Ho bisogno informazioni che solo lei può darmi, quindi vedete di non mandare tutto all'aria.» Guardò i suoi compagni uno ad uno e lesse la determinazione nei loro volti. «Laggiù saremo una squadra, d'accordo? Mettete da parte tutti i dissapori e i rancori che avete l'uno per l'altra, perché la Regina li userà contro di noi: lei ama giocare con le emozioni umane. Non lasciateglielo fare. Non permettetele di controllarvi.»

E, così dicendo, saltò nel mare.

 

 

Toccò terra prima di accorgersene.

Si trovava in un angusto corridoio roccioso illuminato da alcune torce appese al muro, e poco più avanti riusciva a scorgere una tenda mossa dal vento, anche se non sentiva nessun'aria provenire da quella direzione.

Dopo qualche secondo sbucarono dal soffitto Livvy e Ty tenendosi per mano, poi Joshua, Cloe, ed infine Julian. Si accovacciò per terra per bloccare l'impatto e poi si tirò su in piedi un po' a fatica.

«Decisamente, avrei dovuto cambiarmi. Ricordami di darti retta la prossima volta, Em.» Disse spazzolandosi via la polvere dai pantaloni.

«Io ti trovo molto sexy invece.» Cloe si morse il labbro e gli fece l'occhiolino, facendolo arrossire lievemente.

Emma dovette trattenersi dal prenderla a pugni.

«Ragazzi. Concentrazione.» Li sgridò stizzita.

Julian le prese la mano e ci scrisse sopra:”Sei pronta”, lei in risposta gliela strinse e gli sorrise, grata che lui fosse lì con lei a guardarle le spalle.

«Emma Carstairs e Julian Blackthorn, pensavo sareste venuti da soli.» Un ragazzo bello, con le orecchie a punta e un'armatura bianco spendente, li stava osservando.

«Anche noi lo pensavamo.»

«Non importa. Io sono Stawayer, cavaliere del Popolo Fatato, e vi scorterò dalla mia Signora.»

I ragazzi lo seguirono lungo il corridoio e, una volta giunti alla tenda che Emma aveva adocchiato poco prima, la ragazza si accorse con orrore che era costituita da farfalle vive. Ecco perché si muoveva. Non c'era alcun vento, era semplicemente il disperato tentativo di quelle creature di liberarsi dalla crudele prigionia.

La oltrepassarono e si ritrovarono in un'ampia sala, abbellita con piante e fiori di diverse tipologie. Al centro vi era un divano molto lungo sul quale stava sdraiata la Regina.

Bellissima e senza età come la rappresentavano i libri sui quali Emma aveva studiato. Aveva lunghi capelli ramati, occhi del colore delle foglie d'estate e portava un lungo vestito color avorio decorato da milioni di perline d'oro.

Sopra di lei pendeva un'enorme spada sorretta solo da una fune sottile, probabilmente una conquista di qualche valoroso cavaliere come Stawayer, pensò Emma.

«Maestà, ecco Emma Carstairs e i suoi...» Stawayer li osservo riluttante e continuò. «...amici, qui per avere udienza con te.»

Si inginocchiò ed andò ad unirsi ad una schiera di guerrieri alla destra della Sovrana. Alla sua sinistra, invece, stavano sedute delle ancelle intente a preparare degli intrugli, spappolando foglie e borbottando formule magiche.

«Ti ringrazio molto per averci ricevuto... vostra Maestà.» Aggiunse poi in fretta. Emma faceva schifo con le parole, e aveva sentito che la Regina amava essere lusingata, quindi guardò Julian per esortarlo a dire qualcosa. Il ragazzo sorrise e parlò. «Ci scusiamo se ti abbiamo interrotta, ma abbiamo un enorme bisogno della tua immensa sapienza.»

Cavolo se ci sapeva fare.

«E' sempre un enorme piacere ricevere giovani Shadowhunters qui alla mia Corte.» Li guardò tutti con occhi sottili e sorrise, un sorriso allo stesso tempo bellissimo ed inquietante.

«Come probabilmente la tua ancella Lucy ti avrà accennato, io ed Emma, la mia parabatai, stiamo portando avanti delle ricerche riguardo l'assassinio dei suoi genitori, e abbiamo sentito che sei in possesso di informazioni a riguardo. Se tu fossi così magnanima da condividerle con noi te ne saremo eternamente grati e debitori, Bellissima.»

La Regina si mise a sedere molto lentamente e poi parlò con voce soffice. «Sei molto attraente e sai usare le parole, giovane Blackthorn, mi piace. E ho intenzione di aiutarvi.»

Emma tirò un sospiro di sollievo e strinse la mano a Julian, il cuore che aveva iniziato a battere più forte per l'eccitazione. C'erano quasi.

«Ma non lo farò gratis. Uno di voi, prima, dovrà superare una prova per dimostrare il suo coraggio.»

Ovvio. Che stupida che era stata! Sarebbe stato troppo facile altrimenti.

«Okay, lo faccio io.» Si fece avanti Emma.

«No, credo sia meglio che vada io.» Disse invece Julian.

«No, è la mia battaglia, lo faccio io.»

«La tua battaglia? Pensavo fossimo d'accordo che fosse la nostra di battaglia.» Replicò lui testardo.

«Be', se non vi decidete, vado io.» Si fece avanti Livvy, lanciando un'occhiata penetrante ad Emma.

«No!» Esclamarono insieme i due parabatai.

«Nessuno di voi dovrà muovere un dito, siamo stati noi a trascinarvi qui, o meglio: sono stata io. Ed è per questo che io affronterò questa prova. Sono pronta.» Lasciò la mano a Julian e guardò la Regina, cercando di parlare come aveva fatto il ragazzo poco prima.

«Vostra Maestà, sono Emma Carstairs e sono pronta a fare tutto ciò che mi chiederà in cambio di quelle informazioni.»

Si era preparata a qualsiasi richiesta da parte della Sovrana. Mangiare insetti, affrontare decine di demoni, un duello all'ultimo sangue... ma la sua richiesta fu ancora più bizzarra.

«Ciò che voglio da te è un bacio.» Disse.

«Devo baciarti? So di essere terribilmente attraente, ma... speravo in qualcosa di un po' più avvincente.» Rispose Emma, credendo seriamente che la stesse prendendo in giro.

«Stupida biondina spocchiosa.» Le sputò addosso la Regina alzandosi dal suo giaciglio, ed Emma sussultò a quell'appellativo.

Le aveva mancato di rispetto e la Regina aveva cambiato subito atteggiamento.

Ottimo lavoro, Emma, davvero.

Le successive parole della Sovrana le penetrarono sotto la pelle come lame affilate. «Tu non bacerai né me né nessuno della mia corte, perché non ne sei degna. No, ciò che voglio da te é che tu dia un bacio alla persona che ha un posto speciale nel tuo cuore e che desideri baciare da tanto tempo. Quella persona che è la fonte della tua salvezza, ma che è anche il tuo peccato più grande.» Emma si sentì sprofondare, il rumore del sangue che pompava impetuoso nelle orecchie. Si costrinse a non guardare Julian per primo.

Posò invece il suo sguardo su Ty, il quale era alquanto confuso, poi su Cloe, che aveva un'espressione indecifrabile, e Joshua, che continuava ad ammiccare attraente. Quando guardò infine Livvy, riuscì a leggere nei suoi occhi del colore del mare la stessa disperazione che le aveva appena attanagliato le viscere. Lei aveva capito, era l'unica ad avere capito.

«Non è una vera prova un bacio!» Tentò di aiutarla la ragazzina. «Cosa dovrebbe provarti Emma? Di saper baciare bene? Non serve nessun tipo di coraggio.» Emma ringraziò silenziosamente Livvy per il tentativo, anche se sapeva che era stato vano.

«Oh, piccola, scoprirai con il tempo che nonostante l'amore sia uno degli scherzi più vecchi di sempre, ci cascate ancora, voi umani. Basti guardare Marcantonio e Cleopatra, o la grande Didone, che si è data alle fiamme per amore di quel mondano di Enea che l'ha abbandonata a se stessa. Oppure Tristano e Isotta, due parabatai dannati che si sono innamorati e non hanno fatto una bella fine.»

Emma rabbrividì e represse un conato di vomito quando gli occhi della Regina si posarono sottili su di lei.

«E, credimi, baciare la persona che ami di più al mondo, ma che allo stesso tempo è quella sbagliata, potrebbe distruggere l'universo in cui vivi. E tutto questo solo per un bacio, quindi non sottovalutare il potere di un gesto apparentemente così semplice, ma allo stesso tempo micidiale.»

Emma strinse più forte l'impugnatura di Cortana finché le nocchie non sbiancarono, cercando di assorbire la forza della sua spada.

Quando finalmente guardò Julian, rimase sorpresa. Si era aspettata di vedere tante emozioni dipinte sul suo volto: angoscia, comprensione, confusione, disperazione? Mai si sarebbe aspettata di vederlo osservare Joshua come se fosse un disgustoso insetto che desiderasse spiaccicare. Possibile che non ci fosse ancora arrivato? Possibile che davvero pensasse che la regina parlasse di Joshua? Magari poteva imbrogliarla, anche se Emma sapeva che non avrebbe funzionato. Ma doveva tentare. Doveva proteggere Julian.

«Tutto qua?» Proruppe la voce di Joshua da dietro di lei. «Se è solo un bacio che vuoi, okay! Bacerò Emma con piacere.» Lei si girò per guardarlo e lui le si avvicinò con un sorrisetto. «Non sapevo che provassi quelle cose per me, ma non preoccuparti: avrai il tuo bacio, dolcezza.»

Emma sentí la Regina ridere di gusto dietro di lei e battere le mani, come una bambina che assiste allo spettacolo del suo cartone animato preferito.

Ad Emma veniva da vomitare, un po' per la situazione, un po' per l'umiliazione, ma si costrinse a resistere e a mettere a tacere il suo orgoglio. In circostanze normali lo avrebbe respinto, ma ora doveva reggere la farsa.

Cercò di sorridere, ma tutto ciò che ne uscì fu una smorfia molto poco attraente e, prima di chiudere gli occhi, lanciò un occhiata a Julian, il quale teneva il volto ostinatamente rivolto ai suoi piedi.

Quando girò la testa per guardare Joshua, lui posò le labbra sulle sue con un po' troppa foga e le allacciò le braccia dietro la schiena. Emma continuò a tenere Cortana stretta con la mano sinistra, e appoggiò la destra al petto del ragazzo. Sentì la sua lingua premerle contro le labbra, che lei mantenne serrate, e, dopo pochi secondi, si staccò lentamente da lui.

La Regina si sedette ed incrociò le gambe con un espressione compiaciuta.

«È così divertente! Voi umani e i vostri sentimenti mortali! Mi dispiace, Joshua, ma la tua performance non é stata all'altezza.» Proclamó facendo un gesto annoiato con la mano.

Il ragazzo sembrò punto sul vivo e si fece avanti spavaldo. «Ma... possiamo rifarlo! Scommetto che Emma non era pronta e si é fatta sopraffare dall'emozione. Vero, Emma?»

La ragazza non lo guardò e non spiaccicò parola. Aveva la bocca secca come se avesse appena mangiato un blocco di gesso. Ormai era inutile fingere, la Regina sapeva ciò che voleva.

«No, mio caro Joshua, non era il tuo bacio che desideravo vedere.» E così dicendo puntò i suoi occhi freddi su Julian.

Un espressione di comprensione si dipinse sul volto dei presenti ed Emma si sentì quasi mancare.

«Ma è scandaloso!» Proruppe Cloe, indignata. «Sono parabatai! Non puoi pretendere che si bacino!»

«Niente bacio, niente informazioni.- Disse la donna guardandosi le unghie perfettamente laccate di rosso fuoco.

«Potrei baciare di nuovo Emma.» Tentò Joshua, e tutti -Livvy e Tiberius compresi- lo guardarono male, implicita la richiesta di tapparsi la bocca.

«Bene, allora ce ne andiamo.- Proclamò Emma, e le ci volle un enorme sforzo per prendere quella decisione, ma non poteva rischiare così tanto.

Julian aveva assunto la colorazione di uno straccio e non sembrava avere intenzione di spiaccicare mezza parola.

«Fatelo, no?» Disse Tiberius. «Cosa vi costa? E' solo un bacio. Vi baciate e lei vi dà le informazioni, più facile di così. Chissene frega se siete parabatai, siete stati costretti a farlo e nessu...»

Livvy gli diede uno strattone e lo implorò di tacere.

Oh, Ty... lui non capiva i sentimenti, lui non poteva sapere, o anche solo comprendere...

«Okay, facciamolo.»

Emma saltò in aria e si voltò di scatto verso Julian. «Che cosa?»

«Abbiamo fatto tutta questa fatica per arrivare fin qui e ci siamo quasi, non possiamo buttare tutto all'aria. Io ci sto, se tu vuoi.»

Le si avvicinò e le si posizionò di fronte, guardandola con uno sguardo deciso.

«Ehm... okay, allora.» Poteva farcela.

Un solo bacio.

Non sarebbe durato molto e poi avrebbe potuto mostrarsi riluttante alla fine, come se non le fosse piaciuto per niente. E chi lo sa, magari non le sarebbe piaciuto davvero.

«Non può essere così disgustoso come tutti dicono.» Tentò di sdrammatizzare Emma.

«Infatti.» Rispose lui asciutto, chiudendo le mani a pugno per impedir loro di tremare.

Aveva fatto un altro passo avanti ed ora le punte dei loro piedi si toccavano. Li separavano solo pochi centimetri di aria, ed Emma si chiese come una distanza così piccola potesse sembrarle infinitamente immensa.

Alzò il viso e il suo stomaco fece una capriola: riusciva ad intravedere perfettamente tutte le sfumature di verde degli occhi di Julian talmente erano vicini, e le sarebbe bastato alzarsi un po' in punta di piedi per far toccare le loro labbra.

«E poi, io bacio terribilmente bene. O almeno così dicono.- Cercò di allentare la tensione in qualche modo Emma. Non c'era sarcasmo nella sua voce, era solo un mormorio a filo delle labbra di Julian.

Lui rise nervoso e fece un sorriso tirato. «Be', vorrà dire che tra poco scoprirò se avevano ragione o meno.»

«Già... quindi... via il dente, via il dolore?» Chiese Emma, ma, prima che potesse aggiungere altro, Julian annullò la distanza che c'era tra loro e la baciò.

E tutto andò a farsi fottere.

Tutto l'autocontrollo che aveva dovuto avere durante gli ultimi mesi, tutto ciò che si era detta e ridetta per convincersi di non provare niente per lui, tutti i suoi sforzi completamente rovinati.

All'inizio fu una semplice pressione di labbra su labbra, ma questo bastò a mandare Emma su di giri. Riusciva a percepire con impressionante precisione i punti in cui la loro pelle era a contatto: le labbra, la mano di Julian fissa sulla sua spalla... i loro corpi non si toccavano, e questa era una tortura così grande che non ce la fece più.

Lasciò cadere Cortana con un tonfo che echeggiò per tutta la Corte e si premette contro Julian, allacciandogli le mani dietro al collo.

Era convinta che lui si sarebbe ritratto, disgustato dalla sua mossa, invece accadde ciò che Emma non avrebbe mai osato nemmeno sognare. Julian le cinse la vita, la strinse a sé e schiuse le labbra per baciarla con più impeto. Emma non se lo fece ripetere due volte ed esplorò la sua bocca con la lingua, assaporando ogni bacio, ogni momento. Lui le mise una mano tra i capelli e sospirò sulle sue labbra per poi tornare a baciarla ancora. Fu in quel momento che il suo cuore andò in mille pezzi che poi le si conficcarono dolorosamente nel petto. Quello era il momento di non ritorno, perché ora aveva sperimentato cosa significava avere Julian, anche solo per qualche istante, e non sapeva come avrebbe fatto a tornare alla vita di tutti i giorni dopo che lui la stava baciando come se non desiderasse fare altro nella vita.

Tutto era Julian. La corte era sparita, nessuno li stava osservando e Cloe e Joshua non avrebbero fatto strane domande. Esisteva solamente Julian che le accarezzava la schiena, poi i capelli ed infine il viso con la stessa delicatezza che riservava solo ai suoi quadri. Si incastravano alla perfezione, ed Emma disegnò con le mani la linea delle sua spalle, per poi farle scorrere sulle sue braccia e sul petto, dove sentì il suo cuore battere come un treno in corsa. Emma pensò che non esistesse suono più bello al mondo.

Julian premette un'ultima volta le labbra sulle sue e la strinse a sé più forte, come se non volesse lasciarla andare mai più, per poi interrompere il bacio.

«Avevano ragione.» Sussurrò sulle sue labbra prima di allontanarsi da lei come se fosse un qualcosa di pericoloso.

Emma tornò alla realtà e si inginocchiò per raccogliere Cortana. Quando alzò il suo sguardo su Julian sentì il cuore sprofondarle nelle viscere. Non era mai stato bravo a celarle le sue emozioni, ed Emma riusciva a leggere sul suo volto la confusione e la disperazione che anche lei stava provando.

Il ragazzo si voltò di scatto verso la regina e parlò con voce così tagliente che avrebbe potuto segare il legno. «Spero sia stato di tuo gradimento.» Aprì le braccia e fece una sorta di inchino.

C'era odio in quelle parole. Odio per quello che la donna li aveva costretti a fare, per aver giocato con i loro sentimenti come se fossero stati delle marionette.

Julian quando amava qualcuno lo amava per sempre, ma anche quando decideva di odiare qualcuno era per sempre, ed Emma aveva la sensazione che la Regina fosse in cima alla lista delle persone che piú odiava in quel momento.

Lei, in risposta, sorrise compiaciuta, spostandosi i capelli ramati su una spalla. «Oh, giovane Blackthorn, non immagini quanto.»

Julian fece una smorfia e poi sospirò rassegnato, cercando di mantenere i nervi saldi. «Ora dacci le informazioni che ci servono. Non abbiamo piú tempo da perdere con i tuoi giochetti.»

«Camille Belcourt.»

«Cosa?» Emma ritrovò finalmente la voce.

«Camille Belcourt.» Ripeté la Fata. Sembrava sempre più divertita dalla loro confusione. «È ciò che vi serve sapere. È stata lei ad uccidere i tuoi genitori, Emma.»

«Ma è impossibile!» Disse Tiberius che era stato zitto per tutto il tempo. «Camille Bealcourt è morta prima che Sebastian Morgenstern attaccasse l'Istituto. Stai mentendo!»

«Sciocco ragazzino, io non posso mentire.» Gli ricordò lei, annoiata.

Emma cercò di assimilare l'informazione.

Era possibile che quel vampiro avesse ucciso i suoi genitori? Perché avrebbe dovuto farlo? Inoltre non c'erano segni di morsi sui loro cadaveri, per non parlare del fatto che Camille Belcourt era stata uccisa da un vampiro neonato o qualcosa del genere, Emma non ricordava. Fatto sta che era morta. Morta.

«È assurdo!» Esclamò Joshua, ancora oltremodo offeso per essere stato screditato dalla Regina delle Fate davanti a tutti. «Il Conclave ha dichiarato il suo decesso, non può averlo ingannato e...»

«Il Conclave non è Dio, e voi Shadowhunters dovreste iniziare a capirlo. Non tutto passa sotto la vostra giurisdizione, alcune cose, come dire... vi sfuggono.»

«Basta così.- Decise Julian, irritato. «Ce ne andiamo. Non saremmo mai dovuti venire qui.»

Emma colse la frecciatina diretta a lei e alzò gli occhi al cielo.

«Aspetta! Come li ha uccisi, come ha fatto a fingersi morta, dove si trova ora?» Chiese avida di informazioni. Dopo aver baciato Julian e dopo che il suo cuore era andato letteralmente in frantumi, doveva cercare di scoprire di più.

La Regina sorrise malvagia e si sdraiò su un fianco con uno sbadiglio, facendo tintinnare le perline del suo vestito. «Io ho promesso che vi avrei detto il nome di colei che uccise i tuoi genitori, nient'altro.»

Emma sentì ribollire la rabbia dentro di sé e si scagliò contro la Fata. E le avrebbe fatto del male se Julian non l'avesse afferrata per trattenerla.

«Ferma. Ora ce ne andiamo, abbiamo quello che stavamo cercando, non provocarla ulteriormente.» Le sussurrò all'orecchio, stringendo con un po' troppa forza sul braccio.

«Bene.» Sbottò lei riluttante. «Vorrei dire che è stato un piacere incontrarti, ma mentirei.»

La Regina sorrise, un sorriso freddo, senza alcuna punta di allegria. «Per me invece è stato un enorme piacere ricevervi, e... Emma, buona fortuna.»

Non ce la fece più. Non le avrebbe permesso di calpestare ancora il suo orgoglio.

Prese un pugnale dallo stivale e lo lanciò con estrema precisione verso il soffitto, e questo tagliò la corda che sosteneva l'enorme spada appesa sopra il sofà della Regina.

La Fata urlò e riuscì a spostarsi un secondo prima che l'enorme arma le cadesse addosso.

«Oh, cielo!» Esclamò Emma, spalancando gli occhi e facendo una finta faccia da stupida. «Ho quasi fatto cadere quella gigante spada di metallo sulla tua testa? Sembrerebbe proprio di sì! Dev'essere perché sono bionda.»

Si girò e uscì dalla sala, spostando con una manata la tendina di farfalle intrappolate, fiera di aver riacquistato almeno una parte della dignità che le era stata appena portata via.

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Alloora, lo so, lo so, scusate per il capitolo clichè, ma ho dovuto farlo!

La scena alla Corte Seelie è chiaramente ripresa da CoA, ma penso che se Emma e Julian dovessero mai incontrare la Regina delle Fate, lei sfrutterebbe sicuramente la cotta di Emma per Julian, quindi ecco qua...

L'idea di Tristano e Isotta è della mia amica Giada che saluto tanto e a cui mando un bacio!

Spero vi piaccia, grazie mille a tutti che continuate a leggere la storia,

vi adoro <3

Francesca

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci. ***


Le nostre azioni hanno delle conseguenze.

Sempre.

Non fidatevi di coloro che vi dicono che tutto sarà lo stesso e che non cambierà niente, perché non sanno di cosa stanno parlando.

«Emma, aspetta.» Julian le si avvicinò così tanto che avrebbe dovuto alzare il viso per poterlo guardare, ma non lo fece. Tenne gli occhi fissi sul legno marrone della porta.

Erano davanti alla sua stanza; Livvy, Ty e i Whitelaw erano appena andati a dormire, nessuno aveva osato pronunciare una parola durante tutto il viaggio di ritorno e quel silenzio pesava sul petto di Emma come un macigno di roccia.

«Ho bisogno di parlare con te.» Le disse rivolgendosi praticamente al suo orecchio, dal momento in cui Emma non aveva intenzione di girare la testa. Rimase ferma, in piedi davanti alla porta, la mano che stringeva la maniglia così forte da far male.

«Non c'é niente da dire, Jules.» Riuscì a sussurrare piano. «Avevi ragione, come al solito. Solo...» si fermò e prese un bel respiro. «... quello che è successo nella Corte non significava niente, non so che cosa volesse la Regina da noi, probabilmente solo metterci in imbarazzo.» Non alzò gli occhi su Julian, ma lo sentì irrigidirsi impercettibilmente al suo fianco. Tutto ciò che desiderava era voltarsi, abbracciarlo e non lasciarlo andare mai più, ma non poteva. Non poteva e basta.

«Per me è okay se per te è okay, quello che è successo intendo dire. Non parliamone più e basta.» Le disse piano.

Emma si morse il labbro per impedirsi di urlare e il dolore la riportò con i piedi per terra. «Per me è okay.» Sputò fuori alla fine.

«Okay.» Julian si appoggio con un fianco sulla porta e la osservò.

«Okay.» Non riusciva più a pensare, era come se il suo cervello avesse improvvisamente smesso di funzionare e ora sis tesse facendo trasportare dalle onde.

«La smetti di ripetere tutto ciò che dico?» Sembrava infastidito, ma Emma non riusciva a parlare. Se solo si fosse concessa di guardarlo, avrebbe detto cose delle quali si sarebbe pentita, cose che li avrebbero messi in pericolo, e lei non poteva mettere a rischio la sicurezza di Julian.

«Okay.» Deglutí e aprì la porta.

«Okay.» Disse Julian.

Emma si voltó e per la prima volta incontrò lo sguardo del suo parabatai. Avrebbe dovuto chiuderla subito, ma non ci riuscì.

«Buonanotte.» Gli augurò. Ora non riusciva più a staccargli gli occhi di dosso, era come se lo stesse vedendo per l'ultima volta nella sua vita e dovesse memorizzare ogni suo particolare. La fossetta che gli si formava sulla guancia sinistra quando parlava, i capelli che gli ricadevano morbidi sulla fronte, le sue spalle larghe, la linea delle sue labbra, le sue labbra...

«Buonanotte.» Disse lui.

«Dormi bene.» Continuò lei. Non voleva più lasciarlo andare.

«Dormi bene.» Entrambi parlavano cercando di non esprimere alcuna emozione, con voce bassa e neutra per non farsi sentire.

«Ora sei tu che ripeti ciò che dico io.» Gli fece notare Emma, e lui rise. Non era la sua solita risata, fresca e melodiosa come musica, ma era una risata roca, triste, quasi rassegnata.

Emma, senza aggiungere altro, chiuse finalmente la porta per mettere fine a quell'agonia e si lasciò cadere lungo di essa, atterrando sul pavimento duro come pietra.

 

Il mattino seguente, Emma restò a letto fino a tardi, nonostante non avesse chiuso occhio tutta la notte.

Non riusciva più ad entrare in mare da sola, quindi aveva escluso l'idea di andare a fare un tuffo per schiarirsi le idee, ed alzarsi presto per poi incappare negli sguardi inquisitori del Whitelaw non era nemmeno da prendere in considerazione. Perciò rimase sdraiata tra le coperte a fissare il soffitto, fino a quando qualcuno bussò alla sua porta.

Emma non rispose.

«So che sei lì dentro. Ti ho cercata dappertutto.» La voce di Livvy era tesa come una corda di violino e si capiva che non voleva essere sentita. «Senti, fammi entrare, ho bisogno di parlati subito.»

«Sto dormendo.» Rispose Emma con voce chiarissima.

«Certo, come no! Mi stai parlando.»

Emma imprecò e andò ad aprirle la porta controvoglia.

La sua stizza fu spazzata via come cenere al vento non appena vide lo sguardo di Livvy.

«Cos'é successo?» Chiese, improvvisamente preoccupata.

«I Whitelaw.»

«Se è per quanto è successo ieri sera, non diranno niente. Joshua è troppo stupido per capire qualcosa e Cloe... con Cloe risolverò dopo.»

«Ho già discusso io con Cloe. Non sono loro il problema, Emma! Sono appena arrivati i genitori.»

Si sentì un rumore di passi provenire dal fondo del corridoio e Livvy spinse Emma in camera, chiudendo la porta alle sue spalle.

«Quando sono arrivati?» Chiese Emma sedendosi sul letto. Improvvisamente si sentiva molto stanca.

«Stamattina presto, noi li abbiamo incontrati a colazione e continuavano a chiedere dove fossi e a dire che avevano tanto sentito parlare di te.»

«Be', non vuol dire niente.»

«No, no... certo che no.» Livvy la raggiunse sul letto ed iniziò a giocherellare con il copriletto azzurro.

«Per l'Angelo, io lo uccido!» Esclamò sull'orlo dell'isteria. «Julian, quell'idiota! È proprio vero: i ragazzi sono stupidi. Come diavolo hai fatto ad innamorarti di lui?»

Emma fece un salto di mezzo metro e sentì che stava diventando rossa, le guance le bruciavano come tizzoni ardenti.

«LIVIA!» Esclamò indignata. Anche se era da un pezzo che aveva ammesso a se stessa ciò che provava per Julian, sentirlo così ad alata voce faceva uno strano effetto. Rendeva quel sentimento ancora più reale, e pericoloso.

«Che c'è? Oh, andiamo, puoi smettere di fingere con me. Sai che ho capito ciò che provate l'una per l'altro.»

«Ma lui non prova niente per me, sono io il problema!» Esclamò Emma, che non aveva più la forza per mentire.

«Glielo hai detto?» Chiese a bruciapelo. «Glielo hai detto che sei innamorata di lui?»

«Ovviamente no! E non deve saperlo, Livvy, mi hai sentito? Non posso dirglielo perché ci metteremmo nei guai.»

«Se non glielo dici, non saprai mai se anche lui prova lo stesso per te o meno.»

«Sì, è vero, hai ragione. Ma se mi ricambiasse? Cosa succederebbe? Saremmo fottuti e basta, è meglio così, fidati.» Dichiarò Emma decisa.

Livvy la guardò per un minuto interminabile per poi prenderle la mano. «Anche lui ti ama, Em. Lo vedo dal modo in cui ti guarda e lo abbiamo visto tutti ieri, quando vi siete baciati. Perché non baci così il tuo parabatai se non provi niente per lui, o per lei.»

«Bene, non possiamo farci niente.»

«Dovremmo occuparci di un problema per volta. Innanzitutto sistemiamo quel casino che ha combinato Julian e cerchiamo di non farvi dare nell'occhio con i Whitelaw, poooi penseremo a come farti dimenticare mio fratello che, come ho già detto, è il re degli idioti.»

«Raccontami cos'è successo.» Emma prese un cuscino e si mise a sedere più comoda, appoggiando la schiena al muro.

«Stamattina il caso ha voluto che incrociassi in corridoio Cloe, quindi ne ho approfittato per scambiarci due parole e le ho chiesto cosa ne pensasse di ciò che è accaduto alla Corte Seelie. Lei mi ha risposto che non era per niente strano che la Regina chiedesse qualcosa in cambio delle informazioni, e che inoltre lei si diverte molto a giocare con i sentimenti dei mortale, ed è proprio per questo che è rimasta stupita dalla sua richiesta del vostro bacio. Al che io le ho detto che di sicuro voleva solamente mettervi in imbarazzo e lei a concordato con me. Solo che...»

Livvy non sapeva se continuare o no, al che Emma la spronò a continuare. «Solo che, cosa.»

«Quando me ne stavo per andare, con un peso in meno sul cuore, ha aggiunto che quando Julian l'aveva baciata l'ultima volta che si sono visti, il bacio non sfiorava nemmeno lontanamente quei livelli... e poi se n'è andata, lasciandomi lì nel corridoio senza parole. Ah, ovviamente le ho ricordato del suo giuramento di tenere la bocca chiusa.»

Emma ci mise un po' a metabolizzare quelle parole.

Okay, va bene, il loro bacio era stato abbastanza... spinto? Ma questo non significava niente, assolutamente niente.

«Livvy, te l'ho detto. Lei non è un problema, è vincolata dalla sua promessa: non può raccontare ciò che è successo, ha giurato sull'Angelo... Questo però non spiega perché Julian sia un idiota.» Aggiunse infine pensierosa. Che cavolo aveva combinato per far infuriare la sorella in quel modo?

Livvy si ravvivò il capelli e continuò il suo racconto. «No, infatti. Dopo aver visto Cloe, sono andata a fare colazione c'erano tutti i Whitelaw, zio Arthur, Jem, Tessa e gli altri. Mancavi solo tu. Abbiamo fatto le presentazioni e il signor Whitelaw è un bigotto assurdo! Ha avuto da ridire del mio vestito, dicendo che noi siamo guerrieri venuti sulla terra per servire l'Angelo e mica per fare una sfilata di moda. Ti rendi conto?»

Emma guardò il vestito di Livvy. Non era per niente volgare o inappropriato, era un semplice vestito lilla a maniche lunghe che le arrivava poco sopra il ginocchio e che le stava molto bene.

«Ma ha visto come si vestono i loro figli? Sembrano sempre sul set di un servizio fotografico!»

«Non con i genitori in giro... Avresti dovuto vederli, erano irriconoscibili. Cloe non portava nemmeno un filo di trucco, mentre Joshua ha casualmente “dimenticato” gli occhiali da sole in camera sua. Poi la signora Whitelaw aveva un vestito davvero orrendo e...»

«Livvy!» La richiamò Emma, sventolandole una mano davanti alla faccia. «Concentrati: Julian.»

«Oh, sì, giusto. Julian. Quel grandissimo...»

«Idiota, lo so, lo hai già detto.»

«Scusa, concentrazione. Bernadette Whitelaw ha chiesto a Julian di te, perché sapeva che eravate parabatai, e lui rispondeva a monosillabi.»

Strano, non era da lui comportarsi così. Julian era sempre affascinante e loquace con tutti.

«E, quando il Signor Whitelaw ha chiesto a Joshua se tu e lui foste, insomma... se ci fosse qualcosa tra di voi, Julian ha risposto al posto suo! E, quando invece Joshua ha fatto un apprezzamento a bassa voce sulle tue gambe, ha rotto la tazza del tè, talmente la stringeva forte.»

Al solito, si preoccupava troppo.

«Livvy.» Iniziò piano Emma. «Non vuol dire niente. Gli sarà caduta e basta.»

«E' quello che ha detto, ma io non ci credo. Dovevi vederlo...»

«Respira. Fai un bel respiro.»

La ragazzina le ubbidì e la guardò piena d'ansia. «Mi dispiace, Em, ma non voglio che vi accada niente. Non posso perdere anche voi: non dopo mamma e papà, non dopo Mark, Helen... io non ce la faccio. Se vi dovessero scoprire non ho idea di che cosa potrebbero farvi, e io ho intenzione di fare tutto ciò che è in mio potere per tenervi al sicuro.»

Parlava con voce determinata e aveva dipinta sul viso un'espressione risoluta, da vera guerriera.

Emma non sapeva esprimere quanto apprezzasse le sue parole.

«Grazie, Liv, non so davvero come farei senza di te, però ora mi devi promettere una cosa.» Le disse guardandola fisso negli occhi. Livvy raddrizzò la schiena e la invitò a parlare.

«Julian ed io non corriamo alcun pericolo per due motivi: uno, lui non ricambia i miei sentimenti e mai saprà ciò che io, ed io soltanto, provo per lui...» Livvy alzò gli occhi al cielo, ma Emma la ignorò con una smorfia. «... e due, non facciamo niente, quindi non possono accusarci senza prove. E non le avranno mai, le prove, perché non succederà più niente di simile a ciò che la Regina ci ha costretto a fare ieri notte.»

Emma non sapeva se stesse cercando di convincere più Livvy o se stessa. Il solo pensiero di Julian che si fidanzava, sposava e metteva su famiglia con qualcun'altra le faceva venire voglia di vomitare.

Aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, e che prima o poi un'altra ragazza lo avrebbe portato via da lei per sempre, ma la consapevolezza che prima o poi sarebbe successo non rendeva la cosa meno dolorosa.

«Okay, Emma. Ma anche tu devi farmi una promessa, però.» Disse Livvy prendendole le mani tra le sue. «Promettimi che se mai gli confesserai i tuoi sentimenti, me lo dirai. Ho bisogno di saperlo perché ho bisogno di aiutarvi, non voglio lasciarvi in questa -assolutamente ipotetica- situazione da soli. Non vi giudicherò, non dirò niente a nessuno e starò sempre dalla vostra parte, ma per favore, se mi vuoi bene e se mi rispetti come amica, sorella e shadowhunter, ti prego di mettermi al corrente.»

«Okay, te lo prometto.»

 

I Signori Whitelaw non erano come se li sarebbe aspettata.

La Signora Whitelaw era molto bella e somigliava molto ai figli, con la differenza che i suoi capelli erano sottili e biondo pallido. Indossava un lungo vestito verde bottiglia, mentre il marito portava un serioso completo grigio scuro che lo faceva sembrare più che uno Shadowhunters un ricco uomo d'affari.

«Emma! Ma che piacere conoscerti. Sono Bernadette Whitelaw.» La donna le diede due baci su ciascuna guancia e la guardò un attimo in faccia. «Graziosa come Joshua ci aveva detto! Anche se potresti curare un po' di più la tua pelle, è molto screpolata, tesoro...»

«Su, su, Berdanette, finiscila. Sono sicuro che Emma sia una Shadowhunter devota che non ha tempo per questa stupidaggini, non è così?» Chiese imperioso il marito.

«Certo, Signore.»

Si trovavano nel corridoio davanti alla Sala da Pranzo e stavano aspettando che Lucy finisse di preparare la cena.

Lo stomaco di Emma emetteva rumori molesti, talmente era affamata. Aveva deciso di rimanere in camera sua con Livvy fino a quella sera, quando non ce l'aveva fatta più a vivere senza cibo. Non poteva nascondersi ed evitare Julian per sempre.

«Sono Harnold Whitelaw, comunque. E' un piacere fare la tua conoscenza.» Si presentò stringendole calorosamente la mano. «Ho sentito molto parlare di te. So che sei una delle promesse della nuova generazione di Shadowhunters e sono convinto che sarai preziosa per il Conclave. Anche il tuo parabatai mi è sembrato... ah, ecco, Julian caro, stavamo giusto parlando di te.»

Emma si voltò di scatto, sentendo un acuto dolore al collo.

Aveva evitato Julian per tutta la giornata, e ora, mentre lui si avvicinava con il suo solito sorriso pacato, le sembrava di non averlo visto per mesi interi.

«Signori Whitelaw, buonasera.»

Sentendo la sua voce, Emma rabbrividì e il suo stomaco sprofondò.

Lui le rivolse un piccolo cenno imbarazzato, ed Emma era sicura che la tensione tra di loro si potesse tagliere come carta velina.

«Cloe e Joshua ci hanno parlato molto della vostra abilità e della vostra alchimia. Non vedo l'ora di vedervi in azione domani.»

I due ragazzi si scambiarono uno sguardo nervoso, poi Julian prese la parola come se niente fosse. «Sarebbe un onore, Signore.»

Evidentemente aveva riacquisito le sue abilità oratorie, perché intraprese subito un'accesa conversazione con Harnold Whitelaw sulle tipologie di coltelli da lancio che più preferivano.

Emma se ne stava lì di fianco a loro senza saper bene cosa dire, ma fu lieta di quel repentino cambio di argomento.

«Emma, eccoti finalmente!» Jem e Tessa si avvicinarono e si misero subito a parlare con i Whitelaw, lasciando da parte i due parabatai.

«Ciao.» Sussurrò Julian ad Emma.

«Ciao.» Rispose lei.

«Che fine hai fatto tutto il giorno?»

«Ero stanca... ho dormito.»

«Ah.»

Non dissero più niente, si limitarono a fissarsi: verde contro nocciola, mare contro fuoco.

Fortunatamente quel momento di imbarazzo venne stroncato da Lucy che annunciava che la cena era pronta, altrimenti Emma lo avrebbe schiaffeggiato.

“Per me è okay, se per te è okay.”

Seh, certo, come no.

 

Il cibo era tutto delizioso come al solito, ma Emma non riusciva a gustarselo. La presenza di Julian alla sua destra la metteva in agitazione. Percepiva ogni suo movimento, e saltava in aria ogni volta che i loro gomiti si sfioravano.

Inoltre, Joshua e Cloe non aiutavano.

«Potremmo fare un'uscita a quattro domani.- Propose Cloe bevendo un sorso di vino.

«Idea fantastica!» Joshua si pulì la bocca con il tovagliolo e si rivolse ad Emma. «Che ne dici.»

Sia Emma che Julian si erano pietrificati.

Già l'idea di Julian che usciva con Cloe la mandava su tutte le furie, assistere al loro appuntamento -con Joshua pure- sarebbe stata una vera tortura.

«Non credo sia il caso, dobbiamo allenarci.» Si affrettò a dire.

«Sì, giusto. I vostri genitori vogliono prendere parte alla lezione e vedere come ce la caviamo.» Le diede corda il suo parabatai.

«Oh, ma sciocchezze!» Cloe posò le posate e sorrise felice. «Ovviamente usciremo la sera. Andiamo a bere qualcosa in un locale e basta. Non siamo praticamente usciti dall'Istituto da quando siamo qui.»

«E' passato quasi un mese, ormai.» Joshua si passò una mano tra i capelli e toccò il braccio ad Emma. «Sarà divertente, dai.»

-Siamo minorenni, non possiamo entrare.» Fece notare saggiamente Julian, ed Emma lo ringraziò mentalmente.

-Mai sentito parlare di carte di identità false?» Cloe alzò gli occhi al cielo eli guardò come se fossero due bambinetti ingenui.

«Di cosa parlate, ragazzi?»

Ci interruppe Bernadette, attirando l'attenzione di tutti su di noi.

«Stiamo cercando di convincere Julian ed Emma ad uscire con noi domani sera. Vorremo girare un po' la città, dato che non abbiamo fatto altro che allenarci e studiare da quando siamo qui. Siamo andati a mala pena al mare un paio di volte.» Spiegò Cloe pratica.

«Trovo che sia un'ottima idea.» Disse Jem.

Fantastico, ci mancava solamente lui.

«Potrebbero venire anche Livvy e Ty.» Propose Emma, nella speranza di evitare l'imbarazzo del restare sola Julian, Cloe e Joshua.

«Ci sto!» Saltò su la ragazzina.

«Non potete! Siete troppo piccoli.» Disse joshua.

«Oh, ma stai zitto, damerino. Abbiamo solo tre anni meno di voi e due meno di Emma e Julian.»

«Tiberius, le buone maniere.» Zio Arthur gli rivolse un occhiata di fuoco e il piccolo tacque.

«Comunque non credo sia opportuno che andiate anche voi due, vi ricordo la lezione di greco antico che avete dopodomani mattina presto. Avete scelto voi di studiare questa lingua, quindi dovete rispettare il vostro impegno e uscire la sera prima non mi sembra una saggia idea.»

Livvy fece per protestare, ma lo Zio la zittì.

Julian prese la mano di Emma e ci scrisse sopra “per te va bene?”

Poi si ritrasse improvvisamente, come se si fosse accorto di aver fatto qualcosa di sbagliato o di inopportuno.

“Tutto okay”, aveva detto.

No, invece. Non era okay per niente.

 

Quando si ritrovò sola sulla terrazza all'ultimo piano, Emma iniziò a pentirsi di aver accettato di uscire la sera successiva.

Avrebbe dovuto sorbirsi tutte le chiacchiere di Joshua su quanto fosse affascinante e sul suo ultimo taglio di capelli, per non parlare del fatto che ci avrebbe provato con lei ripetutamente.

Ma non era questo che la preoccupava più di tutto.

Ciò che davvero temeva era di non riuscire a sopportare la vista di Julian e Cloe insieme. Aveva ormai accettato il fatto che prima o poi il suo parabatai avrebbe trovato una ragazza, ma lei non voleva essere presente mentre questo accadeva.

Ma quel bacio... aveva rovinato tutto. Tutti i suoi sforzi per sotterrare i suoi sentimenti erano stati mandati all'aria e avrebbe dovuto ricominciare tutto daccapo.

Ce l'avrebbe fatta?

Non lo sapeva. Ora che aveva sperimentato cosa significava avere Julian, poterlo baciare, poterlo stringere tra le sue braccia, non era sicura che sarebbe riuscita a farne a meno.

Eppure, avrebbe dovuto. Per il loro bene.

«E' bellissimo, vero?»

Julian si era seduto di fianco a lei e stava osservando l'Oceano, illuminato da nient'altro che la luna piena.

«Sì, davvero bellissimo.» Rispose Emma, pensando che dopo l'incidente che aveva avuto l'Oceano non le dava più il senso di sicurezza di un tempo.

Julian sembrò capirlo all'istante. Lui capiva sempre. «Vedrai che prima o poi lo supererai. Sei forte.»

Normalmente le avrebbe preso la mano, pensò Emma con rammarico. Le avrebbe preso la mano e l'avrebbe guardata negli occhi. Quella sera, invece, teneva lo sguardo fisso davanti a sé e le mani ostinatamente fisse sulle ginocchia.

«Sicuro di voler uscire domani sera?» Chiese a bruciapelo Emma. Tanto valeva affrontare subito l'argomento.

Julian sembrò pensarci un attimo, poi rispose. «Sì, ci ho pensato su, e credo che alla fin fine sia un bene vedere anche altra gente. Siamo sempre solo noi due.»

Ah.

«Solo noi due ti bastava, fino a poco tempo fa. Anzi, forse dovrei dire fino a ieri. “Per me è tutto okay”, hai detto. Certo, si vede!»

Era furiosa. Le parole le uscivano di bocca come un fiume in piena e non riusciva più a fermarsi.

«Sai cosa intendo, Emma.» Lui finalmente si voltò e, quando le loro ginocchia si toccarono, Julian si ritrasse in fretta.

«No, non lo so, spiegamelo! Non riesci neanche a toccarmi! Non riesci neanche a guardarmi!» Gli urlò contro lei alzandosi di scatto dal divanetto. Gli si mise di fronte con le braccia tese lungo i fianchi che tremavano.«Te l'ho detto: quel bacio non significava niente. Ti disgusto così tanto? Non mi sembrava di farti così schifo ieri.»

«E' questo il problema, Em!» Anche lui aveva alzato il tono di voce. «Mi è piaciuto, maledizione! Mi è piaciuto... troppo, e la cosa mi spaventa.» Chiuse gli occhi e si passò le mani tra i capelli.

Un'altra parte del modo di Emma era appena andata in frantumi. Gli era piaciuto... non potevano.

«Non voleva dire niente, Julian.» Ormai quella era la litania che continuava a ripetersi nella testa per autoconvincersene. «Era questo che la Regina voleva: metterci a disagio e farci sentire in imbarazzo.»

«Sì, lo so. Hai ragione. Però penso sia un bene uscire con i Whitelaw, domani. Non perché tu non mi basti più, ma perché è un bene che iniziamo a... frequentare anche altra gente.»

Era vero.Tutto ciò che stava dicendo era maledettamente vero.

E allora perché era anche così difficile? Perché Emma si sentiva come se le avessero appena strappato il cuore dal petto per poi ridurlo in mille pezzi?

«Certo, e poi sarà divertente.» Cercò di sorridere senza un buon risultato.

«Esatto, passeremo una bella serata.»

Emma, nonostante la piega che la conversazione aveva preso, aveva la sensazione che entrambi stessero mentendo.

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao a tutte, oggi sono un po' di fretta quindi mi limiterò a ringraziarvi per le bellissime recensioni e per il fatto che continuiate a leggere la mia storia.

Questo capitolo è un po' di passaggio e non succede niente di che, quindi a voi!

Vi abbraccio,

Francesca

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Capitolo 11
*** Capitolo undici. ***


«Dove sono tutti?» Chiese Emma, mentre sfoderava Cortana dal fodero.

Era mattina presto e lei e Julian si trovavano nella palestra dell'Istituto pronti ad allenarsi con il Signore a la Signora Whitelaw, ma nessuno aveva detto che sarebbero stati soli. Emma era convinta che ci sarebbero stati anche gli altri Blackthorne, o Jem per lo meno.

«A lezione, suppongo.» Julian stava lucidando dei coltelli su una panca vicino all'enorme vetrata che dava sull'Oceano. A Emma si strinse il cuore mentre osservava quella distesa blu che ora la spaventava così tanto. Odiava avere paura, lei non ne aveva mai.

«Prima o poi ti passerà. Devi solo dargli tempo.» Julian aveva finito di preparare i coltelli e ora la stava studiando attentamente.

«Non so di cosa parli.»

Rise. «Certo che lo sai, ma sei troppo orgogliosa per ammetterlo, persino con me. E forse è proprio questo il punto: se solo accettassi il fatto che hai un problema e che per una volta in vita tua sei spaventata e hai bisogno di aiuto... forse lo supereresti più in fretta.» Si alzò e iniziò a fare degli esercizi per riscaldare i muscoli, ed Emma lo imitò.

«Hai intenzione di farmi la predica? Perché, davvero, non sono in vena.»

«Io non faccio prediche, lo sai. Ti dico solo come stanno le cose quando tu sei troppo ostinata per accettarle, è sempre stato così.»

Emma si imbronciò mentre si sedeva per fare stretching.

Odiava quando aveva ragione -ovvero il 90% delle volte.

«Non c'è niente da dire. Sto benissimo! Ho solo avuto qualche problema dopo l'incidente, ma l'ho già superato.»

«Ah, sì?» Chiese, sedendosi a gambe incrociate davanti a lei. «Ed è per questo che non prendi in mano la tavola da settimane? O che non entri più in mare? O che ti svegli nel bel mezzo della notte urlando, perché hai gli incubi?»

«Io non faccio... Come fai a sapere...»

Lui alzò una mano per bloccarla. «Ferma, non provare neanche a negarlo. Anche se le nostre stanze non fossero vicine e io non sentissi le tue urla, lo vedo, Emma. Vedo le occhiaie perenni che hai, vedo che sbadigli in continuazione, sei nervosa e, senza offesa, sei anche meno reattiva in allenamento. Io ti vedo.»

Ancora una volta l'aveva lasciata senza parole, commossa da quanto lui si preoccupasse per lei, tanto quanto lei si preoccupava per lui. Non sapendo cosa dire, si limitò a guardarlo.

«E sì, non riesco a capire perché tu non me ne abbia parlato. Se non vuoi dormire da sola, posso stare con te la notte.»

Era proprio questo il motivo. Se gli avesse confessato che aveva incubi tremendi nei quali moriva soffocata, Julian avrebbe insistito per fare qualcosa per aiutarla, come dormire insieme a lei, ed Emma non ce l'avrebbe fatta. Per quanto le sarebbe piaciuto -non prendiamoci in giro, ogni fibra del suo corpo desiderava che lui dormisse con lei- non poteva permetterselo. Averlo così vicino ogni sera l'avrebbe lentamente divorata dall'interno fino al momento in cui, stanca e al limite dalla pazzia, gli avrebbe confessato i suoi sentimenti, mandando tutto a rotoli.

«Io...» Cosa poteva dire? Niente.

Contro ogni logica, contro tutto ciò che si era ripromessa, si ritrovò a stringergli forte la mano, cercando di comunicargli la sua gratitudine e l'amore che provava per lui.

… ed in quel momento entrarono i Whitelaw.

Quando si dice al sfiga.

«Oh... buongiorno, ragazzi!» Li salutò allegra la signora Whitelaw, posando lo sguardo sulle loro mani intrecciate.

I due ragazzi si affrettarono a scioglierle.

«Buongiorno, a tutti.» Disse il Signor Whitelaw in modo severo.

Emma si alzò di scatto e Julian la imitò.

«Siete pronti? Ho notato che vi siete già riscaldati.»

«Sì.» Risposero all'unisono Emma e Julian.

Bernadette batté le mani entusiasta ed esclamò. «Come siete carini, parlate anche insieme! Sono per caso dei poteri da parabatai?»

«Buon Dio, Bernadette! Siamo qui per lavorare.» La riprese Harnold e le tacque dispiaciuta.

Emma lo odiava. Trattava la moglie come se fosse una sua proprietà ed era troppo fissato, troppo serio, troppo bigotto. La Signora Whitelaw cercava solo di essere simpatica, e lui l'ha smontata con un battito di ciglia.

«No, signora Whitelaw, nessun potere speciale. E' stato solo un caso.» Le disse Emma con un gran sorriso, che venne ricambiato con gratitudine. Harnold, invece, sfoderò la spada borbottando per poi guardare i due parabatai. «Bene.» Proclamò. «Bando alle ciance. Vediamo un po' cosa sapete fare.»

 

Erano state le tre ore peggiori della sua vita. E questo era tutto dire.

Il Signor Whitelaw era un tiranno! Li aveva sfiancati completamente e ora Emma, dopo una doccia kilometrica e un mega hamburger con patatine fritte, non aveva la forza per fare più nulla.

Le veniva l'angoscia solo al pensiero di dover uscire quella sera.

Ancora stentava a crederci. Aveva sempre amato allenarsi all'Istituto, era decisamente il suo momento preferito della giornata, ma quella mattina era stata un incubo. Il signor Whitelaw aveva fatto fare loro un sacco di esercizi senza dargli un attimo di tregua e, ogni volta che si fermavano per scambiare due parole, li sgridava e li costringeva a fare cinquanta flessioni.

Si buttò depressa sul letto e si addormentò veloce come un battito di ciglia.

 

«Non avrai intenzione di uscire conciata così, mi auguro.»

Emma si diede un'occhiata veloce e alzò le spalle.

Amava vestirsi bene, anche se normalmente prediligeva un abbigliamento comodo per allenarsi e per uccidere demoni.

Le venne una gran voglia di chiudere a Livvy la porta in faccia, ma si trattenne.

«Che ci fai qui?» Chiese piatta.

«Oh, niente, volevo solo vedere come andavano i preparativi. Posso entrare?»

«Se proprio devi.» Emma si fece da parte e Livvy entrò entusiasta nella sua stanza.

«Secondo me dovresti osare di più per stasera.» Iniziò a dirle, aprendo il suo armadio e tirando fuori tutto ciò che conteneva.

Emma aveva indossato un top argento, dei jeans aderenti neri infilati in degli stivali con il tacco e la sua amata giacca di pelle. Si era truccata leggermente e aveva lasciato i capelli sciolti, cosa che non faceva spesso. Nel complesso pensava di stare abbastanza bene, e per questo rivolse a Livvy un'occhiataccia. «Che c'è che non va?»

«Non fraintendermi, sei uno schianto! Adoro quei pantaloni...»

«Ma...» Emma alzò gli occhi al cielo e si preparò al peggio.

«Ma ho visto Cloe mentre venivo qui.» Buttò lì Livvy con un sorriso angelico.

«E...»

«E... Oddio! La volgarità fatta a persona! Si è messa su un vestito aderente nero che le scopre tutta la schiena, e non ha la giacca con sé, quindi non immagino che freddo avrà! Va bene che siamo a Los Angeles, ma è quasi Dicembre ormai.» Prese una maglietta larga da un cassetto, la guardò schifata e poi la rimise al suo posto, come se fosse qualcosa di pericoloso.

Emma sospirò. «Non mi interessa com'è vestita.»

«Ma dovrebbe!»

«E invece no. Dai, sono in ritardo, non farmi perdere altro tempo.»

«Questo!» Urlò eccitata Livvy, sventolando un lungo vestito rosso. «Questo quando e dove cavolo lo hai preso? Non te l'ho mai visto indosso!»

Emma si sentì arrossire. «L'ho comprato qualche settimana fa per il ballo di quest'anno.»

«E' bellissimo.»

Ed era vero.

Emma lo aveva visto per caso in un negozio del centro e aveva pensato, in un momento di immensa stupidità, di comprarlo e di metterlo al successivo ballo d'Inverno.

Ora l'idea le sembrava assurda perché quell'abito non era da lei.

Per quell'occasione di solito indossava un abitino blu scuro corto con gli stivali bassi che le stava molto bene, ma che non era comunque troppo elegante. Quel vestito invece era rosso scuro, smanicato ma accollato che le fasciava il petto e la vita per poi ricadere sui fianchi in una cascata di pieghe morbide.

Non era decisamente adatto per uscire con degli amici.

«Non posso indossarlo stasera, sarebbe inappropriato.»

«Giusto, giusto! Assolutamente no. Questo deve rimanere ben nascosto fino al ballo. Ah, Cloe rimarrà sbalordita.» Livvy strinse il vestito a sé ed iniziò a piroettare per la stanza. «E' davvero fantastico!»

«Se vuoi te lo regalo, tanto non so se lo metterò...»

«Non se ne parla neanche! Be', se per il ballo hai questo vestito puoi anche non brillare particolarmente stasera.» Buttò lì mentre lo riponeva nell'armadio.

«Ti ringrazio, ora andiamo. Sono già in un ritardo mostruoso.»

«Ma che peccato. Ricorda: le star arrivano sempre in ritardo.» Livvy sorrise maliziosa e se ne andò, lasciando Emma da sola nella sua stanza.

 

Livvy aveva ragione. Livvy, dopotutto, aveva sempre ragione.

Erano seduti ad un tavolino in un pub in centro e ogni singolo individuo di sesso maschile aveva rivolto a Cloe uno sguardo adorante almeno un volta.

Non che la cosa infastidisse Emma, ciò che non sopportava era che Julian la guardasse in quel modo, perché sì: a Julian non era indifferente. E come avrebbe potuto? Era bellissima.

Avevano eluso la sorveglianza senza troppi problemi, non c'era stato neanche bisogno di mostrare le carte di identità per entrare ed Emma sorseggiava il suo cocktail senza prestare attenzione a ciò che Joshua le stava dicendo.

«Emma, Emma, ma mi stai ascoltando?» Il ragazzo le stava sventolando una mano davanti agli occhi con fare impaziente.

«Uhm, che?» Fece lei, appoggiando il bicchiere sul tavolo.

«Ti ho chiesto se ti va di ballare!»

«No. Il ballo non fa per me.»

«Noi andiamo!» Cloe si alzò in piedi e prese Julian per il braccio, ignorando le sue proteste e trascinandolo in pista.

Emma distolse lo sguardo.

«Dovresti seguire il loro esempio... Di sicuro troverai qualche ragazza disposta a ballare con te.» Si sentiva un po' in colpa nei confronti di Joshua, dopotutto voleva solo divertirsi.

«Ma io voglio stare con te.» Rispose semplicemente lui, rivolgendole un gran sorriso. «Vuoi qualcos'altro da bere?»

«No, grazie. Sono a posto.»

«Torno subito, allora. Vado a chiedere un altro scotch.» Così dicendo si alzò e sparì inghiottito dalla folla.

Per seguire con lo sguardo Joshua, Emma scorse Julian e Cloe intenti a ballare insieme, anche se più che ballare sembrava si stessero strusciando l'uno sull'altra.

Che stupida che era stata!

Perché ancora perdeva tempo a pensare a Julian proprio non lo sapeva. Era ovvio che lui fosse interessato a Cloe e, anche se così non fosse stato, si stava impegnando per andare avanti e farsi una vita. Cosa che invece Emma non stava facendo.

Era stufa.

Stufa di correre dietro ad un ragazzo con il quale non avrebbe mai funzionato. Voleva divertirsi anche lei.

«Tornato.» Joshua mostrò il bicchiere pieno come se avesse appena portato a termine un'ardua impresa.

«Sai che ti dico?» Saltò su Emma, alzandosi dal divanetto nell'esatto istante in cui Joshua ci sprofondava dentro. «Mi è venuta voglia di muovermi un po'. Andiamo a far vedere a questi dilettanti come si balla.» Rubò di mano il bicchiere a Joshua e bevve alla goccia tutto il contenuto. Non appena il liquido le scese in gola e poi nello stomaco se ne pentì amaramente, le sembrava di aver appena ingerito fuoco liquido.

«Ehi, vacci piano, Emma.»

«Sto bene, andiamo.»

Emma odiava ballare. O meglio, le sarebbe anche piaciuto se ne fosse stata capace. Il problema era che, appunto, non lo era per niente. Ogni anno Julian, al Ballo, la costringeva ad alzare il didietro dalla sedia per ballare un po' con lui, e insieme si divertivano a fare piroette e movimenti sgraziati, guadagnandosi gli sguardi sdegnosi dei membri più bigotti del Conclave.

Quella sera non c'era Julian a guidarla, ma il drink aveva aiutato ad allontanare quel disagio che provava di solito quando doveva ballare. Dopo qualche canzone, iniziò a capire come funzionava e scoprì che non era poi così difficile: bastava muoversi a ritmo di musica e il gioco era fatto.

Qualche volta scorgeva Cloe avvinghiata a Julian dietro le spalle di Joshua, ma cercò di tenere gli occhi fissi sul ragazzo e di non pensare al suo parabatai.

Si stavano divertendo entrambi. Era così che le cose dovevano andare.

E poi accadde.

Le labbra di Julian toccarono quelle di Cloe e il mondo si fermò.

Furono pochi secondi, pochi secondi nei quali Emma non provò nulla. Niente di niente. Si sentiva volteggiare nell'aria, e tutto ciò che importava era Cloe che si avvicinava a Julian, lo baciava e lui che rispondeva al bacio, passandole una mano attorno alla vita. Non la stringeva come aveva stretto lei nella Corte Seliee, ma questo non era di consolazione ad Emma. Anzi, Fu proprio il pensiero di quel bacio che diede il via a tutte le emozioni. Rabbia, angoscia, tristezza e disperazione si riversarono su di lei sotterrandola ed impedendole di respirare.

Aveva bisogno di aria.

Doveva uscire da lì.

Doveva allontanarsi da loro.

Da Julian che si faceva una vita con un'altra ragazza.

Borbottò qualcosa di sconnesso a Joshua e si precipitò fuori dal locale, come se fosse stata inseguita da un'orda di demoni superiori.

«Attenta a dove cammini!» Aveva per sbaglio urtato una ragazza molto bella con i capelli biondo platino, ma era troppo scossa per fermarsi e scusarsi.

L'aria fresca della sera fu un balsamo per i suoi polmoni. Respirò profondamente e si appoggiò al muro del vicolo a lato del pub. Chiuse gli occhi e ci si lasciò cadere contro, cercando di rallentare i battiti del cuore che le premeva sul petto come un martello pneumatico.

Smettila. Sapevi che sarebbe successo. Fattene una ragione e vai avanti, stupida. Si disse. Se Julian è felice io devo supportarlo ed essere felice per lui.

Non era tutto ciò che desiderava, dopotutto? Che Julian stesse bene e che fosse felice?

Sì, assolutamente. Era proprio per questo che non poteva provare ciò che provava e che non poteva metterlo al corrente dei suoi sentimenti, altrimenti lo avrebbe messo in pericolo, e se gli fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato. Mai.

Si passò una mano sul viso, cercando di schiarirsi le idee. Non capiva come la gente potesse pensare che l'alcol alleviasse il dolore e che smorzasse i sentimenti. Aveva bevuto quella sera, eppure stava da schifo: aveva mal di testa e le emozioni sembravano amplificate, le provava con duplice intensità... la divoravano con più ferocia.

«Emma!» Julian le corse in contro e le si posizionò davanti, il volto una maschera di preoccupazione. «Non ti ho più vista e ho pensato che ti fosse successo qualcosa... Joshua ha bevuto troppo e...» Non riusciva a trovare le parole e si passò le mani tra i capelli nervosamente. «Che succede? Hai avuto un'attacco d'ansia?»

Le poggiò una mano sulla spalla ed Emma non l'allontanò, anche se avrebbe dovuto. Riusciva a sentirne il calore anche attraverso la giacca, come se le stesse toccando la pelle nuda.

«No.» Disse mettendosi più dritta e sfoggiando la sua faccia da dura. «Non ho attacchi d'ansia.»

Julian sospirò e lo stomaco di Emma si contrasse dolorosamente quando la guardò negli occhi. «Ti ricordo che stai parlando con me. Lo sento quando qualcosa non va.» Le posò l'altra mano tra il collo e la spalla, dov'era disegnata la runa dei parabatai. «In realtà penso di conoscerti talmente bene che anche se questa non ci fosse, riuscirei a leggerti lo stesso alla perfezione.»

Erano vicini, troppo vicini per i gusti di Emma. Riusciva a sentire il suo profumo, i suoi occhi erano più scuri e il suo viso era in parte illuminato dalla tenue luce di un lampione poco vicino.

«Julian...!» Disse, ma non fu la sola a pronunciare il suo nome. In quel momento Cloe era uscita dal locale stringendosi le mani attorno al petto per scaldarsi. E ci credo! Pensò Emma, con quel vestito che si è messa...

Julian fece un passo indietro e ad Emma sembrò che tutto il calore del mondo fosse stato risucchiato via da un vento freddo con i tacchi a spillo e la faccia di Cloe.

«Che ci fai là fuori? Torniamo dentro dai, ci stavamo divertendo! Oh... Emma, ci sei anche tu... Ciao.» Emma, improvvisamente, si sentì molto arrabbiata. Anzi, era furiosa. Okay, non era la fidanzata di Julian, ma era la sua parabatai, e di sicuro era più importante di una ragazza per la quale si era probabilmente preso una cotta. Non aveva alcun diritto di portarglielo via in quel momento.

Julian la guardò, una domanda implicita nel suo sguardo “Posso rientrare o hai bisogno di me?”

Avrebbe voluto urlargli che aveva sempre bisogno di lui, ma la vocina della sua coscienza ebba la meglio sull'alcol e le disse che quella non era la risposta giusta.

«Stavo solo prendendo una boccata d'aria. Voi dovreste tornare dentro, mi sembravate abbastanza impegnati.»

«È sarcasmo quello che sento?» Chiese lui avvicinandosi.

«No.» Emma alzò un sopracciglio con fare eloquente ed incrociò le braccia.

Julian finse di crederci, anche se sapeva che qualcosa non andava. «Cloe, ti raggiungo tra poco.»

«Ma...»

«Due minuti. Inizia ad entrare o prenderai freddo.» Mentre parlava non guardava Cloe. Guardava lei, Emma. Guardava solo Emma.

«D'accordo... vieni presto però.» Brontolò l'altra ragazza prima di scomparire dietro l'angolo.

«Davvero, dovresti seguirla e...»

Julian però la ignorò. «Joshua ti sta infastidendo? Vuoi tornare a casa? Basta che tu me lo dica e ce ne andiamo.»

Emma rise istericamente, sinceramente stupita. «Tu pensi che se Joshua mi avesse infastidita, ora se ne andrebbe in giro tutto allegro a rimorchiare? E dici di conoscermi!»

Fu il suo turno di ridere. «Hai ragione, gliele avresti suonate di santa ragione.» Sorrise, ed Emma non poté far a meno di sorridere anche lei. Julian aveva l'incredibile capacità di abbattere tutti i muri che aveva eretto durante la sua vita e, pian piano, stava distruggendo anche quello che le impediva di dirgli che si era tragicamente innamorata di lui.

«E allora che c'è che non va?»

«Niente.»

«Non ci credo.»

A che gioco stava giocando? Se avesse continuato così, si sarebbe lasciata scappare qualcosa. Era troppo vicino... Il vicolo era troppo buio... E i cocktail che aveva bevuto iniziavano a fare effetto...

Doveva fare qualcosa per allontanarlo, per metterlo al sicuro. Per salvarlo da lei. «Devi rientrare, Julian.»

Se era stupito dal suo cambio di tono, non lo diede a vedere. «E lasciarti qui fuori da sola?»

«Non sono una donzella in pericolo!» Sbottò. «Non ho bisogno del principe azzurro che mi protegga!»

«Non era quello che intendevo...» Lo aveva ferito, e lo sapeva.

Bel lavoro, Emma! Vuoi che sia felice e sei tu la prima a fargli del male. Congratulazioni.

«Okay, senti, hai ragione. Non vuoi parlarne, lo accetto. Quando sarai pronta sai dove trovarmi, sai che puoi dirmi tutto, tutto, Emma. Qualsiasi cosa ti turbi, puoi confidarmela.»

«Questo non posso dirtelo, manderei tutto a rotoli.» La situazione le stava sfuggendo di mano, aveva ammesso che c'era effettivamente qualcosa che la turbava, ma tanto era inutile negarlo, ormai. Lui le prese piano il viso tra le mani e disse, scandendo bene ogni parola. «Non c'è niente al mondo che tu possa mai dire che mi faccia allontanare da te. Niente. Mai. Dove vai tu, vado io, ricordi?»

«E ora tu devi tornare da Cloe.» Cercò di mantenere la voce ferma, con scarsi risultati. Julian fece cadere le mani dal suo viso e la guardò confuso. «É per Cloe allora. Perché ci stavamo baciando.» Non suonava come una domanda, era più che altro un'affermazione, e questo fece saltare i nervi ad Emma, che distolse in fretta lo sguardo e sentí il sangue rimbombarle nelle orecchie. «No.» Disse decisa. «No, puoi fare quello che vuoi con Cloe, ed è per questo che devi tornare dentro. Vai via.»

«Ma...» Julian non capiva, e, a dirla tutta, nemmeno Emma capiva più niente. Sapeva solo che stava facendo ciò che andava fatto.

«Voglio stare da sola.» Non aveva intenzione di urlare in quel modo, ma non poté farne a meno.

Uno spiraglio di comprensione sembrò aprirsi sul volto di Julian, per poi sparire tanto velocemente quanto era arrivato.

Emma sperava che succedesse come in un libro. Per un istante sperò davvero che Julian le dicesse che la amava. Sperò che mandasse tutto e tutti al diavolo e che la baciasse, fregandosene delle conseguenze.

Invece lui girò sui tacchi e fece come lei gli aveva chiesto. Se ne andò via senza voltarsi indietro.

 

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Ehm, salve!

Sono in ritardo, lo so, ma è tutta colpa dello spin off di Vampire Academy, Bloodlines, che mi ha presa talmente tanto che ho passato una settimana intera a non fare altro che leggere. Per non parlare dei libri per la scuola e dei compiti...

Okay, la smetto di giustificarmi, ecco qui il nuovo capitolo! Spero tanto che vi piaccia e che soddisfi le vostre aspettative.

Non ho molto da dire, solo che Julian sta provando a farsi una vita, mentre Emma non ci riesce. Emma è una persona razionale e l'amore, che il contrario della razionalità, la spaventa a morte. Vuole proteggere Julian, sa di non potergli confessare i suoi sentimenti e infatti è quello che fa. Questo è ciò che il suo cervello le dice di fare. Poi però lo guarda, ci parla, lo tocca e va tutto alle ortiche perché è innamorata di lui e questo amore la divora, non sa che fare. Vuole stargli vicino, vuole essere l'unica ragazza della sua vita, vuole toccarlo, vuole parlarci. E fa anche questo. Qui è il cuore che parla.

Quindi si trova in questa situazione in cui cuore e cervello sono in guerra, e lei è in mezzo, per questo un attimo gli dà la mano e quello dopo gli urla di lasciarla da sola.

Volevo spiegarlo perché altrimenti sembra una ragazzina lunatica e basta, cosa che non è assolutamente.

Be', ho finito...

Grazie mille se leggete la mia storia, davvero grazie!

 

Buona giornata,

Francesca

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici. ***


Emma non sapeva da quanto tempo se ne stava lì appoggiata alla parete a fissare il vuoto. Era tornata in quello stato di trans in cui non provava niente di niente, sospesa tra due mondi, né di qua, né di là.

Le urla di due ragazzi ubriachi appena usciti dal pub la riportarono bruscamente alla realtà e le consentirono di vedere, prima che fosse troppo tardi, un'ombra scura e viscida che li seguiva.

Un demone hydra. Lo avrebbe riconosciuto tra mille; Los Angeles pullulava di quelle creature che amavano attaccare gli umani ubriachi fradici. Emma sospettava che fossero attratti dall'alcol, ma non c'erano documentazioni che lo confermassero, quindi... Non ebbe neanche il tempo di metabolizzare la cosa che il demone assalì la ragazza, attorcigliandosi attorno alla sua caviglia e facendola cadere per terra con un tonfo che risuonò per il vicolo deserto.

Emma non ci pensò due volte e corse in suo soccorso.

Quando raggiunse le due vittime si accorse, con immenso orrore, che il ragazzo era Joshua.

«Che ci fai qui?» Lo spintonò di lato e tagliò una zampa del demone con il pugnale che si portava sempre nello stivale sinistro.

«Io....» Joshua scoppiò a ridere. «Stavamo facendo un giretto, io e... com'è che hai detto che ti chiami, biscottino?»

«Lucy.» Riuscì a mugugnare quella.

«Un demone la sta attaccando, razza di idiota!»

«Ti prego, mandalo via! Aiutami!» Le grida della ragazza riportarono l'attenzione di Emma sull'ombra scura che la sovrastava. Quando Joshua si accorse che qualcosa non andava, sembrò riacquistare un briciolo di lucidità. «Devo...» Si guardò intorno spaesato. «... chiamare Julian?» E poi perse completamente il lume della ragione scoppiando a ridere.

«Dio, ma di cosa ti sei fatto?» Emma lo prese per il colletto della camicia e lo guardò fisso negli occhi. «Ascoltami bene, torna dentro e restaci. Ho la situazione sotto controllo.»

Miracolosamente, il ragazzo le ubbidì e sparì nel locale.

«Bene, bestiaccia, a noi due.» Emma sfoderò l'altro coltello e lo infilò con forza nel dorso irsuto del demone, provocandogli un lungo taglio dal quale uscì un'ingente quantità di icore che le bruciò l'avambraccio. Trattenne un gemito di dolore e tornò a fronteggiare il demone, il quale aveva abbandonato l'umana per dedicarsi alla minaccia più incombente: una Shadowhunter parecchio incazzata e pronta a farlo fuori senza battere ciglio. Perché sì, Emma quella sera era particolarmente incazzata e non poteva desiderare niente di meglio che fare a pezzi una creatura dell'Inferno come quella.

Il demone fu molto veloce e riuscì a buttarla a terra, ma lei era forte e, prima che quello potesse accorgersene, aveva già conficcato la lama del suo pugnale nel petto della creatura, che si dissolse ritornando nella sua dimensione.

Con un sospiro Emma si alzò e si disegnò velocemente un Iratze sul braccio.

«Cos'era... cos'è successo?» La povera ragazza piangeva e si guardava ancora intorno, tenendosi le braccia strette attorno al corpo per proteggersi.

Emma le si avvicinò piano e la guardò come per chiederle silenziosamente il permesso di toccarla. Lucy annuì impercettibilmente, ed Emma le esaminò la gamba: fortunatamente non c'era nessuna ferita, l'icore non l'aveva neanche sfiorata.

«Va tutto bene.» Le disse dolcemente, aiutandola a tirarsi in piedi. «Sei solo ubriaca e ti sei immaginata tutto. Torna dentro e cerca Joshua o qualche amica che possa portarti a casa.»

Notando che a mala pena riusciva a stare in piedi, troppo scossa dai brividi, Emma la scortò fino all'entrata del pub, ma non entrò. Non voleva vedere gli altri.

La ragazza aggrottò la fronte e guardò Emma. «Ehm... grazie, credo.»

«Faccio solo il mio lavoro. Prenditi cura di te, buona fortuna.»

Mentre si incamminava verso l'Istituto pregò che riuscisse a trovare un passaggio per arrivare a casa sana e salva. Ma quello non era un suo problema in quel momento, la sua più grande preoccupazione era arrivare in camera sua, buttarsi sul letto e dormire, dimenticando quella giornata terribile.

 

Si era appena addormentata quando qualcuno bussò alla porta.

Fantastico, pensò Emma scocciata.

Dopo la discussione avuta con Julian nel vicolo e l'incontro con il demone hydra, era tornata dritta di filata all'Istituto con l'intenzione di darsi malata l'indomani. Tuttavia, addormentarsi si era rivelata un'operazione più complicata del previsto. E' proprio vero che il tempo è maligno: i secondi erano scanditi dal ticchettio della sveglia sul comodino e si prolungavano maligni per interminabili istanti.

Emma aveva passato ore a fissare il soffitto e a crogiolarsi nei suoi pensieri fino a che, quando finalmente il sonno aveva preso il sopravvento ed era riuscita ad abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, ecco qualcuno che bussava alla porta e la svegliava.

«Livvy, vai via.» Emma seppellì la testa sotto il cuscino con l'intenzione di riaddormentarsi il prima possibile.

«Emma? Emma, sei lì dentro?» La chiamò una voce.

«Vai via, lasciami dormire!» Sbottò. «Ti racconto domani com'è andata, Liv.»

«Ma... ehi, aspetta. Sono Julian!»

Emma si tirò su a sedere di scatto, improvvisamente sveglia e reattiva.

Cosa cavolo voleva adesso?

Lanciò le coperte da un lato e corse ad aprirgli la porta e, quando venne accecata dalla luce del corridoio, alzò una mano per proteggersi gli occhi.

«Che ci fai qui?» Chiese dopo qualche secondo di silenzio. Lo fissò con gli occhi ancora socchiusi, e noto che era arrabbiato, probabilmente proprio con lei. Aveva la mascella contratta, i pugni serrati e gli occhi freddi come il giaccio.

E ora che ho fatto di male?

Julian la urtò senza scusarsi ed entrò nella stanza, per poi iniziare a camminare avanti e indietro, abitudine che aveva sempre avuto quando era nervoso.

«Accomodati pure! Guarda tranquillo, tanto non stavo dormendo e non sono le...» Emma lanciò un'occhiata alla sveglia sul comodino e continuò ancora più stizzita. «...le tre e ventidue della mattina! Mi ero appena addormentata, hai idea di quanto tempo ci ho messo a...»

«E tu hai idea di che colpo mi sono preso quando non ti ho vista più in discoteca? Per non parlare di quando Joahua mi ha detto che ti ha beccato uccidere un demone hydra a mani nude!»

«Oh per Raziel, avevo un pugnale! Anzi, due pugnali! E parli come se non gli avessi salvato la vita!» Emma alzò le braccia al cielo e si sedette sul letto. «No, Jules, non ricominciare.» Lo bloccò subito.

«Non ricominciare cosa, esattamente? Ti ho chiesto se volevi tornare a casa, bastava che mi dicessi “sì, torno all'Istituto.” E sarebbe stato okay. Avrei saputo dove cavolo eri! E perché non mi hai fatto chiamare da Joshua quando hai visto il demone?»

«Avevo la situazione sotto controllo. Se non mi trovavi potevi telefonarmi. Hai presente quelle cose nere e rettangolari? Sono cellulari, dovresti provarli.» Emma si rimise sotto le coperte e si girò sul fianco in modo da poter continuare a guardarlo.

Lo stava facendo innervosire, e ne era consapevole, ma non le andava di discutere con lui. Non ne aveva le forze.

Dormire.

Voleva dormire e basta. Voleva un po' di pace.

vPensi che non ci abbia provato, a chiamarti? Avevi il telefono spento.»

Era vero, quel pomeriggio si era dimenticata di caricarlo e a metà serata l'aveva abbandonata, lasciandola scollegata dal resto del mondo. Forse era stato meglio così, almeno non aveva ricevuto tutti gli sms di Livvy che le chiedeva di raccontarle la serata nei minimi dettagli.

«Non capisco perché ti agiti tanto. Insomma, sto benissimo, e poi che ti importa?» Si sistemò meglio sui cuscini e chiuse gli occhi. Magari se si fosse riaddormentata, poi se ne sarebbe andato.

«Che mi...? Emma!» Urlò così forte che le fece spalancare gli occhi e fare un balzo di parecchi centimetri. Si tirò su di scatto e si alzò in piedi.

«Shht, o sveglierai tutti.» Gli intimò, prendendolo per un braccio. «Non accadrà più. La prossima volta ti avvertirò prima di andarmene, non c'è bisogno di urlare tanto.»

«Non puoi fare sempre quello che vuoi.» Disse Julian, tornando al suo regolare tono di voce. «Anche se forse non ti è ancora entrato in testa, qui ci sono persone che ti vogliono bene e che ne uscirebbero distrutte se ti succedesse qualcosa.» Si scrollò il braccio di Emma di dosso e si avvicinò alla mensola dall'altra parte della stanza sulla quale c'erano delle foto e dei vecchi pugnali. «I tuoi genitori sono morti, ma non significa che tu possa fare quello che vuoi, fregandotene degli altri. Cosa credi che farebbe Livvy se tu rimanessi ferita? O Ty? Non pensi a Jem e a Tessa? Non pensi a me?» Prese in mano una fotografia che si erano fatti il giorno in cui erano diventati parabatai due anni fa e la fissò, continuando a dare le spalle ad Emma.

Lei abbassò la testa, improvvisamente interessata ai propri piedi scalzi che si stavano trasformando in ghiaccioli per il troppo freddo.

Non sapeva che cosa dire.

Dopo un tempo indeterminabile, Julian si voltò, le si avvicinò e le mise due dita sotto il mento, costringendola ad alzare lo sguardo. «Perché non mi hai chiamato? Siamo parabatai, siamo guerrieri che combattono insieme. Ho giurato di guardarti le spalle per il resto della mia vita, ma come faccio se tu non me lo permetti?»

Emma si liberò dalla sua presa, ma continuò a fissarlo. «Eri impegnato. Non volevo disturbarti! Era un semplicissimo demone hydra, l'ho annientato in cinque minuti senza neanche sporcarmi a giacca nuova.» Teoricamente non vero, ma Emma preferì non approfondire l'argomento.

«Ancora questa storia!»

«Quale storia?»

«Cloe! L'hai tirata ancora in ballo!»

«Io non ho tirato in ballo proprio niente, ho solo detto che avevi da fare, ed è vero. Non volevo rovinarti la serata con uno stupidissimo demone eliminabile in pochi minuti.» Si buttò a sedere sul letto come una marionetta alla quale avessero tagliato i fili e si prese la testa tra le mani. Iniziava d avere mal di testa. «Jules, si può sapere che ti prende?»

Il ragazzo esitò e poi la raggiunse sul letto. Ora che il suo viso era così vicino, Emma notò che aveva abbandonato l'espressione dura e arrabbiata, sostituendola con la solita serenità che lo caratterizzava.

«Non parlo solo di questa sera, ma in generale. Volevi andare alla Corte Seelie senza di me, volevi cercare i tuoi genitori da sola e ora questo. Perché? Pensi che io non sia alla tua altezza o che... che ne so, non sia abbastanza abile come shadowhunter?»

Questa non se l'aspettava. Spalancò occhi e bocca senza preoccuparsi di richiuderli per un po', tanto che Julian scoppiò a ridere amaramente.

«Chiudi la bocca, Em.»

Lei lo fece e si prese qualche istante per metabolizzare la cosa. Jules aveva paura di non essere abbastanza? Di non essere un bravo guerriero? E da quando? Julian era il parabatai migliore e più coraggioso che si potesse desiderare e non lo avrebbe mai scambiato con nessun altro. Mai.

La sua mania di fare tutto da sola nasceva dall'incondizionato desiderio di proteggerlo da tutto e da tutti, inclusa se stessa.

Gli prese la mano e gliela strinse forte. «Non pensare mai più una cosa del genere, hai capito? Mi conosci, sono fatta così. Tu non c'entri. Sei il guerriero più abile e coraggioso che io possa mai desiderare come parabatai. Tu mi completi, tu mi impedisci di finire ammazzata! Ho bisogno di te, sempre. Come... come hai anche solo potuto pensare a qualcosa del genere?»

Julian sembrava imbarazzato e ci mise un po' a rispondere. «Cloe...»

«Cloe cosa?» Chiese Emma raddrizzando la schiena.

«Quando non ti trovavamo più, Joshua ci ha detto che ti aveva vista uccidere quel demone per poi andartene, e Cloe... ha detto che normalmente un parabatai avrebbe avvertito il compagno e che io e te siamo parabatai strani.»

Merda, imprecò mentalmente Emma.

«Non sa quello che dice. Non ne ha neanche mai visti, due parabatai, quella!»

«Sì, hai ragione... mi ha semplicemente colto alla sprovvista. Poi quando ha detto che eri una ragazzina sprovveduta l'ho piantata lì e me ne sono andato.» Le fece un debole sorriso che Emma ricambiò gongolante.

Beccati questa, Cloe.

«Solo io posso chiamarti sprovveduta.» Aggiunse poi Julian sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Emma sentiva con estrema precisione i punti in cui le sue dita le sfioravano la pelle e pregò che non le allontanasse mai più.

Chiuse gli occhi e, contro tutto quello che si era ripromessa, si ritrovò a sussurrare. «Dormi con me stanotte?»

Julian sorrise. «Non hai neanche bisogno di chiederlo. Vado a mettermi il pigiama e sono subito da te.»

Una volta che fu uscito dalla stanza, Emma si concesse di andare nel panico.

Cos'aveva fatto?

Dormire con Julian avrebbe riportato a galla tutti i sentimenti che aveva cercato di reprimere per tutto questo tempo. Ma ancora, ce l'aveva mai fatta, a sotterrarli del tutto? No, e probabilmente mai ci sarebbe riuscita. Era stufa di allontanarlo.

Sarebbe stata attenta, come aveva sempre fatto. Nessuno si sarebbe accorto di niente.

L'arrivo di Julian tagliò il filo contorto che stavano seguendo i suoi pensieri.

«Tornato.»

Emma si fece circondare dalle sue braccia e premette la fronte contro il suo petto, ascoltando il battito accelerato del suo cuore.

 

NOTE DELL'AUTRICE:

 

Salve!

Sono in un ritardo madornale e mi scuso tanto.

Il capitolo è un po' scialbo secondo me e non mi convince, ma spero che a voi piaccia comunque!

Come sempre sono aperta a critiche e commenti, sono tutti ben accetti!

Vi saluto e vi mando un bacio,

Francesca 

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici. ***


Emma aveva passato gli ultimi tre giorni trascinandosi svogliatamente dalla spiaggia al The Fairy Café e vice versa, ritornando in camera sua solo per dormire. Gli allenamenti erano stati sospesi per poter organizzare la grande festa di fine Dicembre e per accogliere gli ospiti al meglio, quindi nessuno faceva troppo caso alla sua assenza. Si sentiva un po' in colpa a non dare il suo contributo per infornare biscotti o per pulire le grandi sale delle cerimonie, ma i Blackthorn se la sarebbero cavata anche senza di lei. Aveva deciso che quell'anno non avrebbe sopportato i discorsi dei membri del Conclave sui suoi genitori. Ormai, ogni volta che qualcuno la incontrava, le raccontava che grand uomo suo padre fosse, o iniziava un monologo sulla sconfinata gentilezza della madre, con il risultato che la voragine nel petto di Emma si apriva ancora di più, costringendola a passare la notte in bianco. Infatti, i maggiori rappresentati di tutti gli Istituti del mondo stavano pian piano arrivando a Los Angeles, luogo in cui si sarebbe tenuto l'annuale Ballo di Inverno in memoria dei caduti nella battaglia di Alicante contro Sebastian Morgenstern.

Mumbai, Dublino, Buenos Aires, Città del Messico, l'Istituto di Los Angeles non era mai stato così pieno di persone di diverse etnie, lingue e costumi, anche se erano tutti figli dell'Angelo, Shadowhunters, appartenevano alla stessa razza e combattevano per un nemico comune.

Emma non sapeva perché quella sera tornò all'Istituto per cena. Mancavano due giorni al Ballo e ormai erano arrivati quasi tutti gli ospiti, tranne i rappresentanti di New York, per problemi con un demone superiore che aveva fatto letteralmente saltare in aria la metropolitana, sconvolgendo i mondani.

Erano le uniche persone che aveva voglia di vedere, almeno un pochino. Clarissa Morgenstern, oramai Herondale, le era stata molto vicina dopo la perdita dei suoi genitori e le avrebbe fatto molto piacere rivederla. E poi... be' poi c'era Jace Herondale, il più grande Shadowhunter di tutti i tempi. Emma si sarebbe tagliata un braccio piuttosto che ammettere che aveva avuto -e, onestamente, aveva tutt'ora- un'incredibile cotta per lui: era il suo idolo, un esempio da imitare.

Tuttavia, non era sicura chi avrebbero mandato; ovviamente non potevano mica venire tutti, qualcuno sarebbe dovuto rimanere a New York per monitorare la situazione, in particolare dopo i recenti attacchi demoniaci.

Un paio di persone restavano sempre negli Istituti o a Idris per assicurarsi che nessuna creatura oscura approfittasse della completa mancanza di Shadowhunters.

Magari sarebbero venuti i fratelli Lightwood insieme ai mariti, Magnus Bane e Simon Lightwood. Ad Emma piacevano, ma doveva ammettere che avrebbe preferito vedere gli Herondales.

«Ehi, straniera! Una mano farebbe comodo, proprio qui!»

Emma trovò Julian completamente nascosto dietro una pila di asciugamani sulla quale stava in bilico una cesta con dei prodotti per il bagno. Gli si avvicinò di corsa e gli prese la cesta dalle mani un attimo prima che cadesse rovesciando il suo contenuto al suolo.

«Fiut, c'è mancato un pelo.» Disse, riuscendo ora a vederlo in faccia. «Questi dove dobbiamo portarli?»

«Secondo piano, stanza 30.» Rispose Julian. «Sai, per un momento ho pensato che fossi scappata alle Hawaii senza dirmi nulla.- Il suo tono era tranquillo e scherzoso, lui era il solito Julian, e per la prima volta quella settimana Emma non si sentì un'estranea nella sua stessa casa.

«Non sarebbe possibile, non durerei un secondo senza di te.»

Julian si bloccò con gli occhi che gli uscivano dalle orbite. «Hai seriamente appena detto che non riusciresti a cavartela da sola e che avresti bisogno del mio aiuto? Chi sei e che cos'hai fatto alla mia Emma Carstairs?»

Emma arrossì quando lui la definì la sua Emma e prese un respiro per cercare di far defluire il sangue dalle guance. «Ah ah ah, lo sai cosa intendo! Non me ne andrei senza di te.»

«Brava ragazza.»

Sembrava rassicurato, e ad Emma fece pacere.

Salirono le scale diretti al terzo piano. Dovettero zig-zagare tra persone con colorati turbanti in testa, cappelli messicani o tacchi a spillo; l'Istituto non era mai stato così popolato come in quel periodo. Troppo popolato, per i gusti di Emma, che aveva la costante sensazione di venire schiacciata dai muri.

«Eccoci qua.» Julian si fermò ed Emma gli andò addosso.

Davanti a loro c'era un'ampia porta bianca con un 30 di colore oro appeso al centro e di fianco a questa c'erano altre due porte identiche, ma contrassegnate da un 31 e da un 32.

Julian bussò ed Emma si rese conto di non aver minimamente pensato a chi si sarebbe trovata di fronte da lì a qualche secondo.

La risposta arrivò subito.

Una ragazza sui vent'anni molto alta e dai folti capelli neri aprì loro la porta con un'esclamazione di sollievo. «Oh, grazie all'Angelo!»

Emma si sorprese della la facilità con la quale la riconobbe. Quella era Isabelle Lightwood. Non la vedeva da cinque anni ormai, ma non era cambiata molto, era la stessa ragazza bellissima che le aveva creduto quando aveva rivelato a lei e ai suoi amici dove si trovava Sebastian Morgenstern.

«Ecco qua, asciugamani e...» Julian allungò la testa per guardare nella cesta che stava tenendo lei tra le braccia per controllarne il contenuto. «Shampoo, bagno doccia e crema idratante all'essenza di sandalo e c'è anche una...»

«Io odio il sandalo.» Borbottò Isabelle a denti stretti, più a se stessa che a Julian in particolare.

«Oh, mi spiace... posso andare a prendere qualcos'altro e...»

«No, no, assolutamente no!» Lo bloccò la ragazza con voce gentile. «Vi ringrazio tantissimo e mi scuso per il disturbo, ma si dà il caso che il mio ragazzo sia un imbecille!»

«Ti sento!» Replicò una voce divertita da dentro la stanza. Simon Lewis, pensò Emma. Simon era stato un vampiro molto particolare, un diurno, ma ora per una serie di eventi a lei ancora poco chiari, era tornato umano e aveva deciso di ascendere. Era uno Shadowhunter da più di tre anni, ormai.

«Era proprio quello il mio scopo!» Gli urlò di rimando Isabelle, buttandosi i capelli dietro le spalle nervosamente. Poi, tornando a rivolgersi ai due ragazzi che le stavano di fronte, continuò. «Gli ho chiaramente chiesto di mettere i prodotti per il bagno in valigia stamattina, e sapete che ha fatto lui?»

Dal momento che Isabelle si era fermata con le mani sui fianchi, in chiara attesa di una risposta, Emma e Julian si lanciarono un'occhiata confusa senza sapere cosa dire. «Ehm... no.»

«Niente! Non ha fatto proprio niente e se ne è dimenticato. Ah, be', ma ovviamente si è ricordato di portare tutti i suoi videogiochi e anche quell'affare in cui vanno inseriti per giocare!»

«Si chiama playstation, Izzy, quante volte devo ripetertelo?»

«Oh, Simon Lewis, farai bene a tacere se non vuoi fare una brutta fine!»

Simon borbottò qualcosa in risposta, ma poi tacque, ed Emma pensò che fosse una saggia decisione. Le piaceva Isabelle, le ricordava un po' se stessa.

«Vi chiedo ancora scusa per il disturbo.»

«Nessun problema.» La rassicurò Emma.

«Aspetta, ma io ti conosco!» Esclamò Isabelle squadrandola da capo a piedi, come se l'avesse notata solo in quel momento. «Tu sei Emma, giusto? La ragazzina che ci ha aiutato a trovare Sebastian. Ti sei arrampicata sul tetto e poi sei piombata nella mia camera, mi ricordo di te.»

«Sì, sono io... e anche io mi ricordo di te.»

«E tu devi essere Julian... Blackthorn, se non sbaglio.»

«Esatto.»

«Caspita, come siete cresciuti! E come stanno i vostri fratelli?» Emma provò un moto di immenso affetto verso Isabelle per aver definito gli altri Blackthorn come i loro fratelli e non solo i fratelli di Julian. Dopotutto anche lei sapeva benissimo che non era il sangue a fare la famiglia.

«Bene, stiamo tutti bene, grazie.»

«Mi fa tanto piacere.» E si vedeva che era vero. Sorrise ed Emma non potè evitare di pensare che fosse davvero bellissima, ma non era quella bellezza che ti faceva sentire inferiore e orribile, tipo quella di Cloe. Era bella e basta.

«Ora noi dovremmo andare, ci sono ancora molte cose da portare a termine.» Cercò di congedarsi Julian.

«Certo, certo, capisco benissimo. Io andrò a dare una lezione al mio ragazzo. Ci vediamo in giro.»

Emma e Julian pensavano che scherzasse, ma la ragazza era serissima mentre slegava una frusta dorata dal braccio.

 

«Wow, fossi il suo ragazzo avrei molta pura.» Disse Julian una volta che Isabelle si chiuse la porta alle spalle.

«Fa bene ad essere arrabbiata. I ragazzi sono stupidi.» Emma diede un'occhiata veloce all'orologio e trattenne un'imprecazione nel constatare che mancavano ancora venti minuti alla cena. Cosa poteva fare per venti minuti in modo da non dover interagire con nessuno degli ospiti? Decise che la terrazza all'ultimo piano poteva essere un ottimo rifugio, quindi si incamminò a passo di marcia senza proferir parola.

Julian scosse le spalle e la seguì. «Quindi... tra due giorni... ballo, insomma. E' arrivato il momento.»

«Mhm...»

«Sì, cioè... di solito ci andiamo assieme, noi e gli altri, ma mi chiedevo se quest'anno Joshua ti avesse invitata.-

Emma continuò a camminare tenendo lo sguardo fissò davanti a sé. Voleva mostrarsi indifferente, anche se in quel momento era di tutto tranne che indifferente.

No, Joshua non l'aveva invitata, ma solo perché lei non gliene aveva dato occasione. Più volte il ragazzo aveva cercato di parlarle in privato, ma Emma puntualmente inventava una scusa per filarsela di corsa.

«Mh, non lo so. Lui non mi ha chiesto nulla.» Disse cauta. «Ma ammetto che non muoio dalla voglia di passare tutta la serata sola con lui. Non abbiamo niente di cui parlare, sarebbe... noioso. E imbarazzante.»

«Uhu, capisco...» Fu il sintetico commento di Julian.

Emma si morsicò l'interno della guancia per non fare la domanda che le premeva sulla punta della lingua da giorni.

Julian stette in silenzio per tutto il resto del tragitto e quando arrivarono sulla terrazza Emma tirò un sospiro di sollievo. Erano soli.

Il sole era già tramontato da un pezzo, il che rendeva difficile distinguere il mare dal cielo, e un brivido le corse lungo la schiena mentre osservava l'oceano nero come la pece.

Si alzò una folata di aria gelida e si tirò il cappuccio della felpa sulla testa, per poi lanciare un ultimo sguardo al mare e raggiungere Julian, che si era seduto al riparo dal vento freddo.

Siccome non sembrava disposto a spiaccicare parola, Emma non ce la fece più. «EtuvailballoonCloe?» Chiese tutto d'un fiato.

«Ehh?» Julian la guardò come se fosse un alieno. «Cos'è che hai detto?»

Emma deglutì a vuoto e si costrinse a ripetere lentamente. «E tu vai al ballo con Cloe?»

«Oh, Cloe...» Si passò una mano tra i capelli ed Emma notò con piacere che erano sporchi di vernice gialla. Era da tempo che non le mostrava un suo dipinto, e aveva iniziato a preoccuparsi che non stesse disegnando più, invece, semplicemente, non le mostrava i suoi quadri. Non sapeva quale delle due opzioni fosse la peggiore, forse chiedeva opinioni a Cloe. Forse, l'aveva rimpiazzata.

Smettila, si disse decisa. Erano pensieri stupidi, e lo sapeva bene.

«No, non vado con lei.»

Grazie, Raziel! Si ritrovò ad esultare Emma mentalmente.

«Ah, e come mai?» Chiese invece.

«Be' come hai già detto tu, nemmeno noi avremmo avuto molto di cui parlare.»

«Non credo che sia il parlare che le interessi.» Constatò Emma, facendo ridere Julian.

«Sì, ma sarebbe stato imbarazzante. Le ho detto che avrei preferito che ci andassimo tutti insieme e allora mi ha fatto promettere di ballare con lei.»

«Puoi sopravvivere ad un ballo.» Quello che Emma non sapeva era se lei sarebbe sopravvissuta alla vista di Julian che stringeva Cloe.

«Sì, suppongo di sì. E tu ballerai con me quest'anno senza che io debba alzarti di peso dalla sedia?»

Col cavolo! Stava per rispondere Emma. Poi però incontrò il suo sguardo e i suoi occhi seri le fecero morire le parole sulle labbra.

La guardava come se la sua vita dipendesse da quella risposta, come se una semplice parola avrebbe potuto cambiare tutto. Sentiva che dietro quella domanda apparentemente molto semplice c'era molto di più.

«Sì.» Rispose con un filo di voce. «Sì, ballerò con te.»

Lui le sorrise, e si ritrovò a sorridere anche lei.

 

 

E' scientificamente provato che quando desideri disperatamente che qualcosa accada, il tuo desiderio verrà espresso nel momento meno opportuno, al punto da farti rimpiangere con ogni fibra del tuo essere di averlo mai desiderato.

Emma aveva sperato per settimane di ricevere notizie su Camille Belcourt e, ovviamente, quelle arrivarono proprio mentre si stava preparando per il ballo.

I suoi capelli sembravano improvvisamente animati da vita propria e non ne volevano sapere di stare al loro posto, così, sull'orlo di una crisi di nervi, stava per andare a chiamare i rinforzi: Livvy.

Aveva già posato la mano sulla maniglia della porta, quando sentì bussare piano alla finestra.

Possibile fosse Julian?

Il pensiero la riempì di ansia, perché Julian non poteva, non doveva, vederla con quei capelli. Non quella sera almeno.

«Chi è?» Urlò, bloccata davanti alla porta.

Altri due colpi alla finestra.

Piano piano Emma si avvicinò al vetro e scostò la tenda celeste. Ciò che si trovo davanti era così inaspettato che dovette sbattere più volte gli occhi per assicurarsi di non avere le visioni.

Un ramo.

Un grosso ramo volante.

Ma che cavolo....?

Dato che l'oggetto incantato non accennava ad andarsene, anzi, continuava imperterrito a sbattere contro la sua finestra, Emma la aprì svelta e lo prese tra le meni.

L'aria gelida di Dicembre la fece rabbrividire nel tessuto leggero del vestito e si raccomandò di ricordarsi assolutamente di prendere la giacca prima di uscire. Non le importava un fico secco se stonava e se Livvy avrebbe avuto da ridire. Era pronta a subire la sua arringa contro le giacche in pelle abbinate ai vestiti e alle scarpe con il tacco. Tutto pur di non morire per assideramento.

Una volta rientrata al calduccio della propria stanza, si sedette sul letto e si rigirò il tronco tra le mani.

Quando era sul punto di gettarlo via, apparve una scritta d'oro incisa nel legno, scritta con una calligrafia elegante e sofisticata.

 

So che il nostro ultimo incontro non si è concluso nel modo più roseo, ma la Regina del Popolo Fatato non ama portare rancore, perciò sono pronta a dimenticare il tuo caratteraccio, piccola Cacciatrice. E per dimostrarti la mia buona volontà ho ottime notizie da darti: uno dei miei cavalieri, nonché più fidato consigliere, mi ha riferito di aver avvistato Camille Belcourt vicino a Santa Monica. Ho pensato ti sarebbe potuto interessare.
Porta i miei più cari saluti al tuo amico Blackthorn, e informalo che è i l benvenuto alla mia Corte. Al contrario di te, lui sì che è un educato signore.
Sento che riceverò presto tue notizie,
Regina della Corte Seelie

 

Emma rilesse il messaggio più volte -sorvolando con una punta di irritazione sulla parola amico scritta palesemente in grassetto- per permettere al contenuto di fissarsi nella sua mente.

Camille Belcourt.

In California.

A Los Angeles.

Era la sua occasione. Fanculo il ballo! Le serviva un piano.

Si sedette alla scrivania, prese il suo block notes con la mappa della città ed iniziò a segnare tutti i possibili nascondigli dove un famigerato ed illustre vampiro come Camille poteva nascondersi durante il giorno. I tunnel della metro, quel vecchio edificio abbandonato sulla spiaggia, le grotte della scogliera, il vecchio museo di storia naturale ormai chiuso... così tanti posti e così poco tempo.

Se fosse dipeso da lei, sarebbe partita quella sera stessa e li avrebbe esplorati tutti, un per uno, centimetro per centimetro, finché non l'avesse trovata. Ma non poteva, non quella sera almeno. Era una Shadowhunter e come tale ci si aspettava delle cose da lei, e una di queste era che partecipasse a quello stupido ballo.

Lanciò uno sguardo alla sveglia sul comodino ed inorridì.

7.52 pm.

La cerimonia sarebbe iniziata tra 8 minuti esatti e lei non era ancora riuscita a sistemarsi i capelli, ma ormai non c'era più tempo.

Li lasciò sciolti sulle spalle alla bell'e meglio, si infilò le vertiginose scarpe con il tacco che Livvy le aveva consigliato -o meglio, ordinato di indossare- quel pomeriggio, si catapultò al di fuori della porta e sbam! Andò a sbattere contro il muro.

Peccato che il muro non fosse un muro, ma qualcos'altro. Anzi, qualcun'altro.

Ma Emma era famosa per la sua immensa sfiga e no, non poteva scontrarsi con Livvy o con uno del Blackthorn, con Jem o Tessa, o Joshua, persino Cloe o un ospite sconosciuto sarebbe stato meglio di lui.

LUI.

Il suo idolo, la ragione per la quale si alzava tutte le mattine e si allenava fino allo stremo delle forze, il suo modello da imitare, nonché prima cotta: Jace Herondale.

«Hei! Se volevi una scusa per toccare i miei addominali, bastava chiedere.» Se ne uscì lui con un ghigno divertito, mentre la sorreggeva dalle braccia per evitare che cadesse rovinosamente per terra.

Emma si sentì arrossire violentemente ma poi si ricordò che lei non era il tipo da arrossire o da farsi metter in soggezione da un ragazzo qualunque, nemmeno se quel ragazzo era Jace Herondale. L'unica persona che aveva il diritto di farla sciogliere con un solo sguardo era Julian, Julian soltanto.

Si rimise dritta con stizza e alzò lo sguardo, sfoggiando la sua miglior espressone da pianta grane.

«E chi mi dice che non sei stato tu a venire a sbattere volontariamente contro di me?»

«Sempre impertinente, vedo.»

«Ho imparato dal migliore.» Rispose Emma con un ghigno.

«Brava ragazza, ogni volta che ti vedo mi convinco sempre di più che sarai la mia degna seguace un giorno.» Jace non aveva idea di quanto quell'affermazione la rendesse felice e fiera del proprio lavoro. Era come se tutti i suoi sforzi fossero stati immediatamente ripagati, solamente con quella frase.

Lui le mise un braccio attorno alle spalle e la condusse verso le scale che portavano alla Sala delle Cerimonie.

«Che intendi dire con un giorno? Non sono già la tua degna erede?» Chiese Emma, fingendosi mortalmente offesa.

«Mmm, vediamo... il sarcasmo c'è, e anche in abbondanza direi, un punta di sfacciataggine con un velo di impertinenza, okay ci siamo, abilità in combattimento?» Chiese guardandola dall'alto verso il basso. Emma gli rispose lanciandogli un'occhiataccia eloquente.

«Che c'è? Sono sicuro che vai forte, ma non ti vedo combattere da un pezzo. Che ne dici di allenarci insieme domani?»

«Davvero?» Ad Emma brillavano gli occhi. Un allenamento con Jace! CON.

JACE.

Era il massimo, il massimo! Avrebbe avuto l'occasione di imparare tutte le sue tecniche, lui avrebbe poi potuto darle consigli e si sarebbero allenati insieme. Forse quel ballo non era una completa catastrofe.

«Certo che sì.» Jace aveva lo sguardo perso, lontano.

«Poi che altro mi serve per essere all'altezza di Jace Herondale?» Lo derise Emma dandogli una gomitata tra le costole.

«Oh...» Jace parve risvegliarsi da un sogno. -Be', ma la cosa più importante, ovviamente!»

«E che cosa sarebbe?» Chiese la ragazza aggrottando le sopracciglia, confusa.

«Essere terribilmente ed irresistibilmente sexy.» Affermò serissimo.

Emma scoppiò a ridere.

«Ehi, ragazzina, non sottovalutare le mie parole. Certo, sei molto carina, ma ovviamente non sei figa quanto me. Ma che ci vuoi fare? Non tutti hanno la fortuna di nascere con questo bel visino.» Ora anche Jace si unì alla risata di Emma. Dopo qualche secondo, però, Jace smise di ridere e tornò serio.

«Anche tu in ritardo, eh.» Emma cercò di riempire il silenzio imbarazzato che si era creato tra i due.

«Oh, sì... Clary mi ha urlato dietro di muovermi, rifiutandosi di fare tardi per causa mia, quindi eccomi qui. La bellezza necessita tempo.»

«Ehi, non far arrabbiare Clary.»

«Mi ama anche per questo.»

Ovvio, Emma ne era sicura. Aveva sempre invidiato il loro amore: così forte e puro. Avevano avuto la fortuna di incontrarsi e da quel momento non si erano più lasciati andare. Quanto desiderava che anche lei e Julian un giorno avrebbero potuto stare insieme senza alcuna preoccupazione.

Emma era talmente rapita dai propri pensieri che si accorse che Jace si era fermato solo quando gli andò a sbattere contro. Lui si voltò, le mise le mani sulle spalle e la guardò negli occhi. «Come stai, Emma?» Le chiese a bassa voce, chinandosi un po' sul suo viso in modo tale che solo lei potesse sentirlo.

Il corridoio era quasi vuoto, ma ogni tanto passava qualche ospite ritardatario che si sistemava la cravatta, affrettandosi a raggiungere la festa.

Quella domanda le fece bruciare gli occhi, e dovette morsicarsi la lingua per mantenere un aspetto dignitoso.

Come stava?

Sapeva che Jace non si sarebbe bevuto un semplice “sto bene”, avrebbe capito che era una balla, quindi optò per la verità.

«Non lo so.» Sussurrò con un filo di voce. «Non lo so come sto.»

Jace sembrava combattuto, era come se volesse dirle qualcosa ma non sapesse da che parte iniziare. «Ho capito... Senti, Emma, per qualsiasi cosa io e Clary ci siamo. Lo sai, vero?»

Okay, cosa significava?

La stava implicitamente avvertendo che sapeva?

Il solo pensiero la fece inorridire. Non poteva averlo capito. No, era impossibile, perché lui e Clary erano appena arrivati e no. Non era neanche da prendere in considerazione l'idea. Stava diventando paranoica, punto.

«Cosa intendi dire?» Azzardò a chiedere così a bassa voce che si sorprese che Jace fosse riuscito a sentirla.

«Ho sentito che stai continuando a cercare informazioni sulla morte dei tuoi genitori.»

Emma era così sollevata che a momenti gli scoppiò a ridere istericamente in faccia per il sollievo.

Prese un bel respiro e sorrise:«Tu cosa faresti al mio posto? E, ehi! Come fai a saperlo? Dovrebbe essere un segreto, sai... O, per Raziel, dimmi che il Conclave non lo sa. Dimmi che non glielo hai detto.» Chiuse gli occhi e si preparò al peggio.

«Certo che no! Non ti tradirei mai. Ero in un locale gestito dalle fate a New York e ho sentito due di loro parlare della “figlia dei Carstairs” che cercava vendetta.» Fece una pausa per scegliere accuratamente le parole. «Se c'è una cosa che ho imparato durante questi ultimi anni è che la vendetta non è una cosa positiva. E' malsana e immorale, ti divora l'anima finché non ti resta più niente se non rabbia. E angoscia. E disperazione. Non lasciare che questo sentimento distrugga ciò che sei. Perdona, e fallo per te stessa, perché meriti pace. E so che ora pensi che l'unico modo per ottenerla sia uccidere gli assassini dei tuoi genitori, ma questa non è la soluzione. Fidati, io...» Jace strinse la presa sulle sua spalle e la scosse leggermente. «Io lo so. Lo so molto bene. Devi andare avanti perché è questo che tua madre e tuo padre vorrebbero: che tu sia felice. Concentrati sulle persone che ami e non su quelle che odi.»

Emma non sapeva come reagire a quel discorso.

Aveva ragione, certo, ma come poteva lasciar correre? Nessuno aveva speso un secondo sul caso dei suoi genitori. Nessuno si era degnato di indagare e di condannare i colpevoli.

Nessuno.

Ed era per questo che toccava a lei. Perché, altrimenti, sarebbero morti invano e sarebbe stato come se non fossero mai esistiti.

Le parole di Jace erano belle parole, ma erano finte e non potevano essere applicate alla propria vita, non adesso che era così vicina alla verità.

«Io...» Iniziò Emma non sapendo come continuare.

«Non devi dire niente. Solo... promettimi che ci penserai. Sarò onesto, non voglio che tu butti all'aria tutto ciò per cui hai lavorato durante questi anni, ti chiedo solo di pensare prima di agire.» Finalmente le mani di Jace lasciarono le spalle di Emma, che si concesse di prendere un profondo respiro.

«Penso sia meglio darci una mossa. Clary sarà furiosa!»

«Ma è anche per questo che ti ama.» Sussurrò Emma, riprendendo quello che aveva detto lui poco fa.

«Già... è anche per questo che mi ama, ma non vorrei rischiare troppo la sorte. Anche se rischio è il mio secondo nome.»

Le fece l'occhiolino e si mise a correre lungo le scale, per poi scomparire dietro l'angolo.

Jace Herondale era e sarà sempre un mistero per Emma e per il mondo intero.

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Ehm...

*si nasconde*

Scusate! Sono in un ritardo MOSTRUOSO, ma capitemi, la scuola è iniziata anche per me e sono già sommersa da una valanga di compiti ed interrogazioni... e siamo solo ad Ottobre, chissà a Gennaio. Non ci voglio pensare.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di essermi fatta perdonare almeno un pochino.

Baci,

Francesca

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Capitolo 14
*** Capitolo Quattordici. ***


A Veronica, che con le sue meravigliose parole mi ha fatto tornare la voglia di scrivere,

e a tutti voi, se ci siete ancora e avete piacere di continuare a leggere la mia storia.

Davvero, grazie mille.

Buon Natale.

 

 

Sinistra, destra. Concentrati, Emma. Un piede dopo l'altro: sinistra, destra...

Una volta sceso l'ultimo gradino si concesse di respirare. Per Emma, che era abituata a stivali e tenuta da combattimento, indossare abiti lunghi e scarpe con il tacco era sempre un'ardua sfida.

Si spazzolò la gonna con le mani e raddrizzò la schiena, pronta ad affrontare quell'incubo di serata, un singolo nome infestava la sua mente e, per una volta, non si trattava di Julian Blackthorn.

Stentava ancora a crederci: Camille Belcourt a Santa Monica!

Era una fortuna che la Regina delle Fate le avesse fatto quella soffiata, dato che -ad Emma costava molto ammetterlo- aveva quasi perso le speranze. Ma perché la Regina avrebbe dovuto aiutarla? Se c'era una cosa che aveva imparato con il tempo era che nessuno faceva niente se non aveva un tornaconto personale, in particolare le fate. Suo padre le diceva sempre di stare in guardia dal popolo fatato e di non fidarsi mai, per nessun motivo, di loro.

Attenta, Emma. Sentì la sua voce rimbombarle nelle orecchie. Per quanto quegli esseri possano sembrarti carini e affabili, sono le creature più meschine e manipolatrici del mondo magico. Sono capaci di offrirti la cosa che più desideri in modo da farti pentire di averla mai desiderata.

E così era successo; la Regina della Corte Seelie l'aveva letta come un libro aperto e aveva capito immediatamente il desiderio bruciante che provava ogni volta che Julian le stava vicino. Ci aveva messo meno di un battito di ciglia per farle rimpiangere di aver mai desiderato baciare il suo parabatai.

Eppure, nonostante gli avvertimenti del padre e della propria coscienza, doveva fidarsi delle Fate perché era l'unica pista che aveva, e stavolta sentiva che era quella giusta.

Con la mente da un'altra parte, stava per varcare la soglia della sala delle feste, dalla quale proveniva un leggero e melodioso motivo classico, quando si sentì chiamare:«Signorina Carstairs.»

Emma si voltò un po' troppo veloce e per poco non ruzzolò per terra. «Signor Whitelaw, buonasera.» Sorrise e si appoggiò con nonchalance al muro, sperando di sembrare il più naturale possibile e non una che aveva appena rischiato una brutta distorsione alla caviglia per colpa di un paio di scarpe assassine.

L'uomo diede un'occhiata veloce all'orologio ed imprecò a bassa voce. «Anche tu in ritardo, Emma? Maledizione, sono stato trattenuto da un demone Marax giù dalle parti di Downtown. Sentiamo, qual è la tua scusa?»

Oh, niente, ero impegnata ad escogitare un piano per vendicare la morte dei miei genitori, uccidendo uno dei vampiri più pericolosi e famosi che ci siano mai stati in circolazione che, per inciso, è creduto morto da tutto il Conclave e che io, da Shadowhunter diligente quale sono, dovrei denunciare al Console. Niente di che, insomma.

«Le solite cose da ragazze, non riuscivo a sistemare i capelli.» Sbatté un paio di volte le ciglia con aria civettuola, pregando che non notasse quanto in effetti i suoi capelli facessero schifo. Per Raziel, i capelli! Non aveva avuto tempo di sistemarseli e...

«Joshua ti starà aspettando.» Le disse lui con lo sguardo perso, come se lo stesse cercando tra la folla di Shadowhunters che ballavano al centro della Sala delle Feste per assicurarsi che il suo bambino non fosse solo.

«Eeeeh, ma che cavolo...?» Si lasciò scappare Emma per poi morsicarsi il labbro.

Non poteva rispondere in quel modo ad un membro del Conclave così autoritario. Sarà anche stata impertinente e sarcastica come Jace, ma non aveva bisogno di attirare troppo l'attenzione su di lei, in particolare in quel momento con tutto ciò che stava accadendo nella sua vita. Tra Julian e Camille non sapeva quale segreto custodisse con più attenzione.

L'uomo alzò un sopracciglio con aria eloquente. In circostanze normali Emma gli avrebbe risposto con una scrollata di spalle, come per dire be', che vuoi? Ma conoscendo la severità e le idee conservatrici del Signor Whitelaw, un richiamo ufficiale dal lui per comportamento irrispettoso era l'ultima cosa che le serviva. Per questo cercò di rimediare al danno: «Ehm... cosa intende, Signore?»

«Intendo che non è appropriato presentarsi ad una festa senza la propria accompagnatrice. Cosa penserà la gente?» Sembrava molto indignato, ma mai quanto lo era Emma. Parlava come se lei fosse un oggetto che il figlio dovesse sfoggiare in società e fu costretta a fare ricorso da ogni fibra di buonsenso ed autocontrollo che possedeva per non mandarlo al diavolo.

«Sono sicura che Joshua se la starà cavando egregiamente anche senza di me.- Sibilò forzando un sorriso accondiscendente, sorvolando sul fatto che lei non era l'accompagnatrice di Joshua.

«Certamente. Sa come comportarsi il mio ragazzo, ma... e quello chi diamine sarebbe?» Il Signor Whitelaw sembrava avesse appena visto un fantasma, invece, aveva semplicemente notato che suo figlio stava parlando -filtrando?- con un giovane Shadowhunter messicano dai bellissimi capelli neri.

«Dovrebbe trattarsi di Diego Rosales, dall'Istituto di Città del Messico.» Lo informò Emma.

«Ma che stanno facendo?» Il Signor Whitelaw aveva assunto la stessa colorazione del vestito di Emma, la quale non poté trattenersi dal commentare con un risolino: «Stanno parlando... e sembra che Joshua apprezzi molto la compagnia di Diego.»

Infatti il ragazzo continuava a sorridere ammiccante e, quando lo straniero poggiò una mano sulla spalla del giovane Whitelaw, a Whitelaw senior prese un gran colpo. «Questo è inaccettabile!» Ringhiò furioso.

Afferrò Emma per il braccio con foga e la tirò a sé, i visi così vicini che la ragazza riusciva a percepire il fiato caldo e pesante dell'uomo sulla pelle.

«Stammi bene a sentire, ragazzina. Tu ora vai lì dentro e allontani all'istante mio figlio da quell'essere effeminato. Mi hai capito?»

Emma stava giusto per ordinargli di toglierle le sue sudice mani razziste di dosso, quando qualcuno la precedette.

«Fossi in lei mi allontanerei. Subito.»

Julian, con uno smoking nero, se ne stava lì, appoggiato allo stipite dell'imponente porta di ingresso, con le braccia incrociate e un'espressione spaventosamente calma sul viso, ma i suoi occhi erano scuri come un mare in tempesta.. «Mi ha sentito.» Ripeté, e con due falcate fu al fianco di Emma. «La lasci immediatamente se non vuole che faccia rapporto a Jem e a Tessa. Sono sicuro che saranno lieti di sentire come ha attaccato un membro del Conclave. Oh... guardi, il console Jia Penhallow, scommetto che anche lei sarà entusiasta di sentire questa storia.» Julian sorrise amabilmente e il signor Withelaw lasciò andare con riluttanza il braccio di Emma, che lo massaggiò di nascosto, non volendo far trasparire quanto effettivamente le avesse fatto male.

«Julian, ma che piacere vederti.» Lo salutò l'uomo. «Emma ed io stavamo solo scambiando quattro chiacchiere tra amici, non è così?»

Emma, in risposta, si limitò a scrollare le spalle.

«A me sembrava molto di più di questo. O forse lei strattona per un braccio e sibila minacciosamente contro tutti i suoi amici?»

E bravo, Jules!

Emma si fece un post it mentale di complimentarsi per il sarcasmo. Era strano questo tipo di comportamento da parte del suo parabatai, di solito lui era quello calmo e trasparente.

Il sorriso del Signor Withelaw crollò velocemente, come una marionetta alla quale sono tagliati i fili. Poggiò lo sguardo su Emma e poi su Julian e poi vice versa.

«Capisco...» Borbottò infine, per poi dare una pacca sulla spalla di Julian e andarsene, sparendo tra la folla degli invitati e ridacchiando tra sé e sè.

«Ah, e comunque!» Gli urlò dietro Emma, facendolo voltare. «Io non sono la ragazza di suo figlio! Anzi, penso proprio di non essere il suo tipo.» Il Signor Withelaw le rivolse un espressione carica di odio e poi se ne andò.

Emma sapeva che non avrebbe dovuto, ma doveva avere l'ultima parola. Nessuno poteva trattarla così, Shadowhunter o no.

«Che razza di idiota schifoso!» Sbottò un po' troppo ad alta voce voltandosi verso Julian per ricevere sostegno.

«Shht.» La rimbeccò invece lui avvicinando il dito indice alle labbra. «Hai già fatto abbastanza per oggi.»

«Chi, io?» Emma spalancò gli occhi e si mise le mani sui fianchi, sentiva i capelli drizzarsi sulla nuca. «Ti ricordo che è stato lui a minacciarmi! Io, per una volta in vita mia, non ho fatto proprio un bel niente!»

Incredibile, sempre la guastafeste, sempre quella che attaccava briga, sempre l'irresponsabile, anche quando non lo era.

«Non sto giustificando ciò che ha fatto, ma come mai era così infuriato? Perché, credimi, era particolarmente incazzato.» Julian aveva dato per scontato che lei fosse stata la causa dell'incazzatura del signor Withelaw, che fosse tutta colpa sua, di Emma stessa. Come sempre.

La ragazza gli rivolse uno sguardo assassino, gli occhi diventati ormai due fessure sottilissime. «Certo! Perché ovviamente io devo sicuramente aver fatto o detto qualcosa che lo abbia sconvolto a tal punto di mettermi quasi le mani addosso. Ovvio.»

Julian vacillò.

«Non è così?» Chiese abbassando lo sguardo.

«NO!» Urlò Emma tanto forte che alcuni degli invitati rivolsero loro occhiate inquisitorie.

Julian era a corto di parole e, quando finalmente alzò gli occhi su di lei, questi erano più verdi che mai. Emma lo vide veramente per la prima volta nell'intera serata. Prima non si era accorta delle occhiaie che gli cerchiavano gli occhi, o della stanchezza che aleggiava tutt'intorno a lui come un fitto velo di nebbia.

Si passò una mano sulla faccia e si appoggiò con la schiena al muro per sostenersi. «Suppongo di aver sbagliato a leggerti anche sta volta.» Disse chiudendo gli occhi e parlando con una voce talmente sottile da poter essere spazzata via da un filo di vento. «Ultimamente non so più cosa ti passi per la testa, o cosa fai, o cosa provi. Non sei mai stata brava nelle relazioni, ma pensavo che la nostra fosse diversa.»

«Lo è!» Emma gli si mise davanti e gli prese il volto tra le mani avvicinandolo al proprio. «Lo è!» Ripeté, poggiando la fronte alla sua.

«Scusa se ho dubitato di te.»

Emma scosse la testa. «Non scusarti.» Julian era tanto vicino che riusciva a vedere le pagliuzze azzurro tra le sue iridi verdi, così vicino che sentiva il suo respiro sulla pelle, dolorosamente vicino da risvegliare il bruciante desiderio di premere le labbra contro le sue.

Si allontanò di scatto.

«E' meglio che vada.» Borbottò, fissando il pavimento con insistenza; poi, con il cuore che batteva come un treno ad alta velocità, cercò di allontanarsi il più possibile da lui, perché altrimenti non sarebbe stata in grado di rispondere delle sue azioni.

 

 

«Tuo padre pensa che ci sia qualcosa tra te e Diego.»

«Co-cosa?» Joshua spalancò gli occhi e quasi si strozzò con il vino che stava bevendo.

Emma prese una sedia e ci si svaccò sopra, improvvisamente molto stanca. Joshua la imitò e le pose un bicchiere con aria preoccupata.

«Pensa che ci sia qualcosa tra voi e mi ha espressamente chiesto di tenerti lontano da lui.» Spiegò lei sbrigativa, vuotando il bicchiere con un grande sorso.

«Ma stavamo solo parlando.» Si affrettò lui a rispondere con le guance improvvisamente rosse.

«Lo so, faglielo capire. Lo conosci meglio di me, sai com'è fatto.» Tagliò corto Emma, massaggiandosi le tempie con due dita.

«Ma lui non può sapere, non può aver visto...» il ragazzo continuava a guardarsi intorno freneticamente e a far ballare la gamba su e giù, irritando oltremondo Emma. «Senti.» Gli disse mettendogli una mano sulla gamba per farlo stare fermo. «Non ti devi preoccupare. Tuo padre è uscito di testa solo perché ti ha visto parlare in modo troppo amichevole con lui, non penso che abbia altri indizi sulla vostra relazione, altrimenti avrebbe ucciso Diego con le proprie mani.»

«La nostra relazione!?» Urlò lui con voce assurdamente isterica e rischiando di strozzarsi con il vino che stava bevendo. «No. Non c'è niente tra me e lui. Niente di niente! No, a me piacciono le ragazze, Emma. Le ragazze.» Concluse con tono di voce decisamente più consono agli argomenti che stavano trattando.

Si capiva che non ci credeva nemmeno lui, ma Emma decise di dargli il beneficio del dubbio. Dopotutto, fino a mezz'ora fa era convinta di interessargli, magari suo padre aveva davvero frainteso tutto.

Gli shadowhunters non amavano l'omosessualità. La vedevano come un difetto, come un qualcosa che smorzava il loro spirito guerriero, tuttavia negli ultimi anni avevano ampliato molto le loro vedute, in particolare i più giovani. Restavano però ancora molti conservatori, dalla mentalità stretta e limitata, e il padre di Joshua era uno di loro.

Emma provò un po' di pena nei suoi confronti, con un padre così severo non doveva essere facile... be', almeno lui ha un padre, pensò poi con una punta di amarezza.

«Come vuoi.» Disse muovendo per aria una mano con fare sbrigativo. «Tuttavia, ti consiglio di cercare di fargli cambiare idea.»

«E sentiamo, desidereresti darmi una mano?» Le chiese lui con tono suadente avvicinando la sedia alla sua.

«Oh, no, per l'Angelo!» Lo allontanò con una risata Emma. «Il massimo che posso fare è concederti un ballo, Joshua Withelaw.»

«Vorrà dire che mi accontenterò, Emma Carstairs.» Fece lui alzandosi dalla sedia e inchinandosi davanti a lei. «Milady, vuole concedermi l'onore di questo ballo?»

Emma alzò gli occhi al cielo con un ghigno. «Se proprio insiste, Milord, sarò lieta di concedervi questo favore.» Prese la mano del ragazzo e, insieme, si mischiarono alla folla.

 

Joshua era un bravo ballerino ed Emma lo sapeva, ma non avrebbe mai pensato che fosse così bravo: era riuscito a far sembrare che anche lei se la cavasse, quando invece era negata.

«Wow.» Disse Emma senza fiato. «Non è stato poi tanto terribile.»

«Assolutamente fantastico.» Rispose Joshua sventolandosi la mano davanti al viso per farsi aria. «Non sei una ballerina così terribile come vuoi far credere. Ti serve solo qualcuno che sappia guidarti e tirar fuori il meglio di te.»

«Si certo, io dico che faccio pena e basta.» Emma si tolse una scarpa e iniziò a massaggiarsi il piede, mossa poco femminile, ma al diavolo! Aveva già fatto abbastanza per quella serata.

«Vado a prendere da bere, tu non scappare però.» Joshua le fece l'occhiolino e sparì presto dalla sua vista.

Non fece in tempo a rilassarsi che Julian spuntò dal nulla con un sorriso inquietante stampato in faccia.

«Balla con me.» La salutò senza troppe cerimonie.

«Che cosa?» Chiese Emma, sbigottita.

«Balla con me.» Ripetė Julian con semplicità.

«Non se ne parla.» Emma incrociò le braccia sotto il seno e guardò altrove, consapevole che se avesse continuato a fissare il suo parabatai negli occhi lui l'avrebbe convinta con un solo battito di ciglia a fare tutto ciò che voleva.

«Hai concesso un ballo a tutti stasera, adesso è il mio turno.» Continuò lui imperterrito, allungando una mano verso di lei.

«Non ho concesso...»

«Balla con me.» La interruppe di nuovo con semplicità. «Per favore.» Aggiunse poi con un sorrisetto, assumendo la sua faccia da cucciolo bastonato alla quale sapeva che Emma non avrebbe resistito. Era una dura, lei, ma Julian... per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche mettersi in ridicolo ad un ballo con presenti tutti i membri più illustri del Conclave. Per non parlare del fatto che anche Jace Herondale era uno degli ospiti, e la stava giusto osservando dall'altro lato della Sala con un ghigno malandrino disegnato sul volto. Emma gli fece una linguaccia e seguì Julian in pista alzando gli occhi al cielo. Julian, al contrario, sembrava un bambino in un negozio di caramelle: gli occhi gli brillavano come fari nell'oceano e il suo sorriso era così ampio da poter illuminare l'intera città.

La musica rallentò di colpo, e un quartetto d'archi iniziò a suonare una melodia lenta e un po' malinconica.

Julian le mise le mani dietro la schiena e l'avvicinò a sé, mentre Emma gli allacciò le sue attorno al collo.

Fu in quel momento che si rese conto che Julian era bello. Lo aveva sempre saputo e ne era sempre stata terribilmente consapevole, ma quella sera, lí nel mezzo della Sala dei Ricevimenti, si sentiva come se tutto il mondo fosse in bianco e nero, mentre loro brillavano nell'oscurità. Lo smoking gli metteva in risalto gli scompigliati capelli marroni, per non parlare degli occhi. Quegli occhi sarebbero stati in grado di rovesciare l'ordine cosmico dell'universo e di...

«A che cosa stai pensando?» Le sussurrò piano all'orecchio facendola rabbrividire impercettibilmente.

«A niente in particolare.» Mentì prontamente lei, come si era ormai abituata a fare per nascondere i suoi sentimenti illegali. Perché sí, sembra un'esagerazione ma quei pensieri andavano davvero contro la legge; se qualcuno le avesse letto la mente in quel momento, sarebbe stata sicuramente catturata e portata davanti al Console per un processo. Emma rabbrividí, questa volta violentemente.

«Hai freddo?» Julian le passò le mani su e giù lungo le braccia per riscaldarla, con il risultato che Emma rabbrividí ancora di più, ma non era per la temperatura. Riusciva infatti a sentire con accurata precisione ogni cellula toccata dal suo parabatai bruciare come fuoco ardente. Ogni suo tocco era calore, era tranquillità, era casa.

«Avrei dovuto prendere la giacca, ma ero in ritardo e l'ho dimenticata.» Spiegò spiccia, continuando a dondolare in cerchio stretta a Julian.

«Se Livvy ti avesse vista con la giacca della tenuta sopra l'abito ti avrebbe costretta a cambiarti di sicuro.» Fece notare lui, scoppiando poi a ridere.

La guardò un attimo negli occhi e poi poggiò la fronte sulla sua. «Bel vestito, a proposito.»

Emma sentì un'ondata di calore inondarle le guance, come un fiume in piena dopo la distruzione di una diga, e prese un bel respiro per cercare di rallentare il battito del suo cuore, che sembrava in procinto di uscirle fuori dal petto. Emma Carstairs non arrossisce, nemmeno per Julian Blackthorn, pensò.

«Be', c'é da dire che su di me sta bene tutto.» Sminuì il complimento in perfetto stile Jace Herondale.

Julian rise, e la sua risata le riempì le orecchie come una melodia angelica.

«Ovviamente sei sempre uno schianto, Emm.» Disse lui continuando a sorridere e continuando a premere la fronte sulla sua.

«Anche tu stai bene.» Azzardò lei guardandolo dal basso verso l'alto.

L'orchestra continuava a suonare e diverse coppie volteggiavano leggiadre attorno a loro, ma Emma non ci faceva caso. Esistevano solo Julian e le sue mani che si muovevano piano sulla sua schiena, premendola contro il suo petto; esisteva solo la sua fronte bruciare nei punti dov'era in contatto con quella di Emma; esisteva solo il suo profumo.

«Grazie.» Disse. «Sai, è così che si risponde quando ti fanno un complimento.»

Emma gli tirò un pizzicotto, smorzando un po' quell'atmosfera surreale che si era andata a creare.

Julian le diede un bacio sul naso e poi le sussurrò all'orecchio. «Ma tu non sei una ragazza ordinaria, tu sei la mia Emm.»

Emma lo abbracciò più forte. Non voleva lasciarlo andare più. Voleva stare con lui per sempre; il solo pensiero di Cloe che lo toccava, che lo baciava o che gli stava vicino la faceva i infuriare; il pensiero di qualsiasi ragazza con Julian non era sopportabile.

Non era giusto, non era assolutamente giusto. Loro erano cresciuti insieme: era stata lei ad asciugargli le lacrime quando era caduto dalla bicicletta la prima volta; era stato a lei che si era aggrappato durante la loro prima lezione di surf; ed era stata proprio lei a disegnargli quella runa maledetta sulla scapola. La runa dei parabatai, la fonte della sua salvezza e contemporaneamente quella della sua distruzione. Perché non poter stare con Julian la stava letteralmente riducendo in frantumi.

«Emm, mi sento così lontano da te ultimamente. Ti prego, non respingermi... odio vederti distante, lasciami entrare nella tua testa.» Il suo tono era disperato e ad Emma si appannò la vista. Julian stava soffrendo, ed era colpa sua: aveva fallito il suo compito. Quando i suoi genitori erano morti, e poi era diventata la parabatai di Julian, si era ripromessa che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per renderlo felice; che avrebbe distrutto ogni fonte di dolore per lui. Forse,a questo punto, l'unica soluzione per terminare la sofferenza di entrambi era quella di annientare se stessa.

«Oh, Jules...» Soffiò piano, non sapendo cosa dire. «Mi dispiace, mi dispiace così tanto.» Gli passò una mano tra i capelli all'attaccatura del collo, aggrappandosi a lui come se fosse uno scoglio nel bel mezzo di una tempesta.

«E allora perché tenermi all'oscuro? Dimmi quello che ti succede, Em, lo sai che io sono dalla tua parte, non importa cosa accadrà.»

Emma non lo vedeva in faccia, e ne era grata. Se lui l'avesse guardata in quel momento avrebbe capito; era convinta che avrebbe letto l'amore che la stava pian piano divorando dall'interno logorandole il cuore e le viscere. Avrebbe voluto urlargli la verità, ma non poteva. Perciò disse solo:«Ho ricevuto informazioni su Camille questa sera, prima del Ballo. Per questo ero in ritardo.»

Julian allentò leggermente la presa dalla vita di Emma e si allontanò quanto bastava per poter puntare incrociare il suo sguardo. Era serio e duro come il marmo.

«Te ne avrei parlato non appena fossimo stati da soli, lo giuro!- Si affrettò a puntualizzare Emma. «Non volevo rovinare questa serata, tutto qui.-

L'espressione di Julian si addolcì mentre le sistemava una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio.«Domani ne parliamo, sai che non sono d'accordo con questo tuo collaborare con le Fate, ma è la tua battaglia, e io sono con te.-

Emma non sapeva che cosa avesse fatto nella vita precedente per meritarsi una persona come Julian al suo fianco. Di sicuro qualcosa di buono per l'intera umanità, data la sua fortuna di avere un amico così fantastico, ma doveva aver commesso anche qualche atto terribile che l'aveva condannata a questa condizione di sofferenza, dove viveva costantemente vicino all'oggetto del suo desiderio senza neanche la speranza di poterlo mai avere.

Emma non aveva parole. Si limitò a poggiare la testa sulla sua spalla e a continuare a dondolare su se stessa, al ritmo della musica.

«Emma.» Julian pronunciò il suo nome come fosse l'unico che contava.

«Sí?» Rispose lei sollevando il capo e perdendosi nei suoi occhi.

Sentiva il suo respiro sulla pelle e non poté fare a meno di pensare che le sarebbe bastato alzarsi leggermente sulle punte dei piedi per baciarlo. Erano così vicino, eppure tremendamente lontano.

«Julian! Ti ho cercato dappertutto! Oh, Emma, ci sei anche tu...» Cloe spuntò fuori come un fungo dopo una giornata di pioggia, e tutto ciò che Emma desiderava era schiacciarla senza alcuna pietà.

Ovviamente era bellissima, stretta nel suo vestito argento che le metteva in risalto i capelli del colore del miele. «Devi assolutamente ballare con me, tesoro.»

Julian sembrava decisamente imbarazzato. Lasciò andare piano Emma e si passò una mano tra i capelli. «Certo Cloe, andiamo pure.» Rispose con il suo tono cordiale staccandosi da Emma, e quando le sue mani si allontanarono dal suo corpo, lei si sentì come se tutto il calore del mondo fosse appena stato risucchiato via da una tempesta di neve. E quella tempesta aveva la faccia di Cloe Withelaw.

«Grazie, Emma, lo curo io adesso il tuo Julian.» Cloe le fece l'occhiolino e scomparí tra la folla, e Julian con lei.

Il tuo Julian, aveva detto. Non era più il suo Julian da tempo ormai.

Emma si ritrovò al centro della Sala, circondata da persone conosciute intente a parlare tra di loro, e d'un tratto si sentí terribilmente sola.

 

 

Emma si era decisa a prendere la giacca. Dopo aver ballato con Julian si era diretta risoluta in camera, aveva afferrato la prima cosa che le era capitata, e si era fondata di nuovo di sotto, prima di cambiare idea e buttarsi invece sul letto.

«Togliti quella roba di dosso o giuro, giuro, che ti constringerò con la forza.» Livvy atterrò in modo composto di fianco ad Emma, e si versò un bicchiere di vino.

«Mmph.»

«Mmph?» Livvy alzò un sopracciglio eloquentemente e attaccò. «Non puoi andare in giro conciata così! Quella è la giacca della tenuta, per l'angelo! è di pelle nera e il vestito è di seta rossa, andiamo come puoi...!» Si interruppe di botto quando capì che Emma non la stava ascoltando. Stava invece guardando nel mezzo della Sala da Ballo Julian e Cloe danzare spensierati. Stava scrutando con gli occhi ogni loro mossa e interazione, come una spia che studia il piano d'azione. Ma Emma non era una spia, e di certo non aveva un piano.

Si era fatto tardi, ormai, e molti invitati si erano ritirati nelle proprie stanze, perciò non era difficile per Emma seguire ogni movimento dei due ragazzi al centro della pista. Ogni sguardo che Julian rivolgeva a Cloe, ogni risata che lei gli strappava era come una pugnalata in pieno petto, e allora perché costringersi ad assistere a questa tortura? Perché non andarsene a letto a dormire? Perché non ubriacarsi per dimenticare tutto?

Semplicemente, non voleva dimenticare. Voleva vedere. Voleva soffrire. E magari con il tempo ci avrebbe fatto l'abitudine e si sarebbe abituata all"idea di Julian che si innamorava, che si sposava, che metteva su famiglia, fino a provare nient'altro che indifferenza. Dopotutto, ciò che non ti uccide ti fortifica.

«Terra chiama Emma, ehi! Mi stai ascoltando?» Livvy le tirò una ciocca di capelli, e quando Emma si decise a rivolgerle la sua attenzione lei puntò i suoi occhi nei suoi. «Non guardare.» Le disse seria. «Andiamo via. Possiamo rubare una bottiglia e intrufolarci in cucina per vedere se è rimasto qualcosa da mangiare. Possiamo fare quello che vuoi, ma ora ti porto via da qui.- Livvy fece per alzarsi, ma Emma la bloccò, prendendola per un braccio. «È tutto okay, Liv, possiamo restare. John ti sta cercando, guarda.» Emma le indicò un ragazzo alto e smilzo che si guardava intorno qualche metro più in lá. Livvy lo aveva conosciuto l'anno precedente quando lui aveva sostato a Los Angeles per un paio di mesi, e da quel momento avevano iniziato una corrispondenza che non si era ancora interrotta.

«Sul serio, dovresti sfruttare ogni istante per stare in sua compagnia, tu chi puoi. Non fartelo scappare.» Continuò con un sospiro. Era grata a Livvy per l'interessamento, ma non era necessario. Almeno lei si sarebbe dovuta divertire quella serata, almeno lei sarebbe dovuta essere felice. E poi chi lo sa, magari avrebbe davvero funzionato stare intorno a Julian e a Cloe quando erano insieme. Proprio in quel momento Cloe inciampò e Julian la sorresse per la vita, impedendole di cadere. Aveva quell'espressione rilassata e pacata che lo contraddistingueva in ogni situazione, ma si può restare così indifferenti davanti all'amore della tua vita? Forse, dopotutto, Cloe non lo era.

Basta! Urlò la voce nella sua testa. Smettila di illuderti! Tu non hai nemmeno il beneficio della speranza, questa è una sfida già persa in partenza. È Cloe la ragazza per lui, non tu. Non tu.

«Al diavolo John! Non resto qui a guardarti mentre vai in pezzi.» Una caratteristica che accomunava Emma e Livvy era la testardaggine, perciò quando entrambe si impuntavano su qualcosa era pressoché impossibile uscirne e Julian doveva sempre intervenire come paciere, ma ora Julian non c'era.

«No.» Affermò Emma irremovibile scuotendo la testa. «Non ti permetterò di sprecare il tuo tempo con me, Liv. E lo so, lo so che lo fai con piacere» Si affrettò ad aggiungere smorzando le proteste dell'altra. «Ma, Liv, John è a due passi da te, e ti sta aspettando! Lui vuole stare con te, vuole te... corri! Vai, e passa la serata con lui. Avrai tempo per stare con me domani, ti prometto che parleremo di tutto quello che vuoi.»

Emma riusciva a vedere con precisione la lotta interiore che era appena infuriata in Livvy. La ragazzina la fissò per qualche istante, poi posò il suo sguardo su John ed Emma riuscì a vedere tutte le sue difese crollare di fronte alla vista di quel ragazzo alto, magro e con l'aria nerd che la stava cercando per tutta la stanza come l'acqua nel deserto.

«D'accordo.» Sospirò infine. «Ma domani fatti trovare in giro e non sparire, o ti verrò a cercare.»

«E io so che mi troverai.» Le sorrise leggermente Emma, circondandole le mani con le proprie e scuotendole appena. «Ora vai, forza!»

Livvy le stampò un bacio sulla guancia e corse dal suo John. Quando lui la vide si illuminò, come se avesse appena visto il sole brillare davanti ai suoi occhi, ed Emma desiderò come mai prima essere guardata anche lei in quel modo.

 

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Lo so. LO SO. Scusatemi, scusatemi, scusatemi, sono imperdonabile! E' solo che... tra la scuola e altre attività ho avuto pochissimo tempo per scrivere, avevo perso l'autostima e temevo che la storia non piacesse più. Solo che era tutta nella mia testa e Julian ed Emma spesso mi venivano a trovare e a tormentarmi. Poi Veronica (e anche Daniela (vi adoro)) mi hanno detto cose stupende e mi hanno fatto tornare la voglia di scrivere.

Perciò, se ci siete ancora, grazie mille.

I Jemma sono decisamente tornati.

A presto,

Francesca

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo quindici. ***


Emma si svegliò di soprassalto quando sentì un assordante rumore provenire da dietro la sua porta. Diede una rapida occhiata all'orologio e, dopo aver imprecato per l'ora indecente, buttò di lato le coperte e andò ad aprire.

«Qual è il piano?» Julian, in tenuta da combattimento e perfettamente cosciente, la fissava sulla soglia con un'aria pimpante.

«Buongiorno anche a te.» Sbottò di rimando Emma strofinandosi gli occhi e sbattendogli la porta in faccia.

Lui in risposta bussò di nuovo. «Andiamo, sono solo le sette della mattina, non è poi così presto.»

Lo era invece se ti eri addormentata tre ore prima. Emma era rimasta sveglia tutta la notte a pensare alle informazioni ottenute su Camille, e si era concessa un po' di riposo solamente verso le quattro, quando davvero il suo corpo le chiese una tregua. Come se non bastasse, poi, c'era anche la costante immagine di Julian e Cloe che ballavano stretti a non abbandonarla mai, quasi quanto non smetteva di tormentarla quella in cui era lei circondata dalle braccia di Julian. Non sapeva quale delle due fosse la più dolorosa.

«Ti sei riaddormentata per caso?»

Emma si voltò di scatto e spalancò la porta contrariata. «Come faccio a riaddormentarmi con te che fai tutto questo baccano?»

«Ottimo!» Julian entrò senza troppe cerimonie e guardò il letto sfatto, poi passò in rassegna tutto il corpo di Emma dalle punte dei piedi fino ad incrociare il suo sguardo. «Non sei ancora vestita.» Constatò, come se se ne fosse reso conto solo in quel momento.

«Ovvio che non sono vestita! Mi hai appena buttata giù dal letto.» Emma indossava una maglietta larga che le arrivava a metà coscia lasciandole scoperte le gambe, ed improvvisamente si sentì troppo poco coperta, consapevole di ogni centimetro di pelle nuda ispezionato da Julian.

«Allora, qual è il piano?» Ripeté lui ignorando le sue lamentele.

Emma pensò seriamente di essersi persa qualcosa. Si buttò a pancia in giù sul letto e seppellì la testa sotto il cuscino. «Non so di cosa tu stia parlando.» Borbottò con voce ovattata.

Perché, per Raziel, doveva svegliarla a quell'ora?

«Uh, giusto.» Disse, ed Emma sentì il materasso abbassarsi sotto il suo peso mentre si sedeva di fianco a lei. «Ieri sera mi hai detto che le fate ti hanno mandato informazioni su Camille, quindi ho pensato che avessi un piano e che volessi metterlo in atto il più presto possibile, perciò per impedirti di fare qualcosa di tremendamente assurdo e che potrebbe ucciderti senza di me, eccomi qua.»

Emma alzò il capo e lo guardò tra le ciocche di capelli che le erano ricadute sul viso. «Che cosa? Non potevi aspettare un paio d'ore?»

«Mmm, no.» Rispose lui con un sorriso angelico. «Oh, andiamo, vuoi dirmi che non hai un piano?»

Effettivamente, forse un piano lo aveva, una strategia insomma, ma questo non gli dava il diritto di svegliarla così.

«Ovvio che lo ho!» Sbottò tirandosi a sedere. «Cosa pensi che abbia fatto tutto ieri notte dopo il ballo? È per questo che non ho dormito e ora sono in questo stato pietoso.» Oltre al fatto che non riuscivo a smettere di pensare a te. Ma questo non lo disse.

«Aggiornami allora, tanto ormai sei sveglia.»

Emma gli rivolse un sorriso sarcastico e gli tirò un pizzicotto, lui intercettò la sua mano e le scrisse sopra S C U S A. Emma scrollò le spalle e si alzò dal letto con un sorriso. Era contenta che Julian fosse pronto ad intraprendere quella sfida con lei anche senza sapere di che cosa si trattasse; ma sarebbe stato disposto ad accompagnarla anche all'inferno se lei glielo avesse chiesto, e la cosa la spaventava.

Si avvicinò alla scrivania, ormai completamente sveglia, e lanciò al suo parabatai il pezzo di legno che aveva ricevuto il giorno precedente. Lui lo prese al volo e si mise a leggerlo con aria concentrata, una piccola ruga gli solcava la fronte.

«Per oggi pensavo di andare in ispezione.» Emma prese la mappa della città dove aveva segnato tutti i possibili nascondigli di Camille e gliela mostrò. «Qui, qui e infine qui.» Disse, indicando i tunnel della metro, una serie di edifici abbandonati nei pressi di downtown e delle grotte situate nelle montagne dell'entroterra della città.

Julian la ascoltò attentamente e una volta messi in ordine i pensieri disse:«Non credi sia il caso di informare il capoclan dei vampiri di Los Angeles, Lucinda? Voglio dire, Camille è una minaccia e fa parte dei suoi interessi...»

«No!» Esclamò veloce Emma. Lui la guardò male e lei ridimensionò il tono di voce. «No, Jules, penso sia meglio non dire niente a nessuno, per ora. Se Camille capisce che siamo sulle sue tracce ci metterà meno di un secondo a scomparire come fumo. Inoltre, come la mettiamo se Lucinda decide di informare il Conclave?»

«Sí, non chiedermi perché ma per questa volta il tuo ragionamento non fa una piega.» Le diede ragione lui alzandosi in piedi e sovrastandola di parecchi centimetri. «Sarà il caso che ci mettiamo al lavoro allora. Oggi è una bella giornata per catturare vampiri.- Guardò fuori dalla finestra e si stiracchiò appena, dopotutto anche lui aveva sonno.

«Ehm...» Iniziò Emma. «Ci sarebbe solo un piccolo problema.»

«Oh, no, mi sembrava troppo facile... cosa c'é?»

«Non abbiamo una macchina, e al noleggio le danno solamente se hai più di ventuno anni.» Gli spiegò lei afflitta. Non ce l'avrebbero mai fatta a girare tutta la città a piedi, e di certo non potevano prendere l'autobus bardati di armi e spade com'erano. Non c'era altra soluzione: avevano bisogno di un mezzo di trasporto.

«Stai dicendo che ci serve un maggiorenne disposto a noleggiare una macchina per noi?» Chiese titubante Julian. «Lo sai che nessuno all'Istituto farebbe mai una cosa del genere, vero?» Continuò poi alzando un sopracciglio, come per sfidarla a dire il contrario; Emma sorrise malandrina, incrociando le braccia al petto con fare teatrale. «É qui che ti sbagli, mio caro Julian. Nessuno Shadowhunter lo farebbe mai. Ma io non ho parlato di Shadowhunters.»

«Non ti seguo, vuoi pagare un mondano?» Emma riusciva a leggere chiaramente la confusione dipinta sul suo volto.

«No, niente mondani, preferisco gli stregoni, sono piú utili.»

«E dove cavolo pensi di trovare uno stregone... Oh.» Julian si bloccò di colpo, accecato da un lampo di compressione improvviso. «Oh, no, non vorrai mica chiedere a lui!» Esclamò con occhi spalancati come due palline da golf, nemmeno si prese la briga di celare il proprio stupore. Pensava che Emma fosse fuori di testa ormai.

«È esattamente con lui che voglio parlare invece.» Affermò lei sempre piú decisa.

Entrò spiccia in bagno ignorando le lamentele del suo parabatai, si fece una doccia lampo ed indossò la tenuta. Una volta tornata in camera Julian stava ancora protestando.

«Ripetimi ancora perché pensi che terrà la bocca chiusa! Se c'é un tipo incline a collaborare con gli shadowhunters, quello è proprio lui. Ma ti sei mangiata il cervello?»

«Ho sentito molto parlare di lui.» Si limitò a dire Emma, prendendo Cortana da sotto al letto e sistemandola sulla cintura. Poi aprì l'armadio ed iniziò a infilarsi pugnali d'argento negli stivali e a sistemarsi i capelli in un alto chignon. «Tende sempre ad ascoltare la causa dei suoi clienti, ed é obbligato a mantenere il segreto professionale. Qualche bel verdone e un po' delle tue abilità persuasive saranno sufficienti.»

Julian emise un verso, sull'orlo della disperazione. «Spero che tu abbia ragione.-

Emma si voltò verso di lui, schiena dritta, testa alta e sguardo impassibile. Era finalmente nel suo elemento: pronta alla battaglia. «Forza, allora. è arrivato il momento di scambiare due chiacchiere con il signor Magnus Bane.»

 

 

«Tu ne sei sicuro?» Chiese Julian con tono concitato.

«Affermativo.»

«La camera del signor Bane è la 35, e tu ne sei assolutamente certo?»

«Ti ho detto di sí.» Sbottò Ty infastidito. «Ora, se non vi dispiace, gradirei tornare a dormire.» Il ragazzino rivolse loro uno sguardo impertinente e si sbatté la porta alle spalle, borbottando insulti indicibili ad Emma e a Julian che lo avevano svegliato.

«Ma che avete tutti stamattina?» Borbottò Julian imbronciato.

Emma alzò gli occhi al cielo e lo prese per un braccio, trascinandolo lungo il corridoio e su per le scale. «Muoviamoci, o si sveglieranno tutti e non avremo via di scampo.»

«Spero che Magnus Bane non ci trasformi in due cappelliere.» Se ne uscì fuori ad un certo punto Julian. Emma lo guardò male. «Che c'è? Ho sentito certe storie da far diventare i capelli bianchi.»

«Sono solo dicerie.» Minimizzò la cosa lei con una scrollata di spalle, e nonostante lui stesse ormai camminando alla sua stessa andatura, continuava a tenerlo stretto per il braccio, come se non volesse che ci ripensasse, realizzasse che quella era un'idea folle e se la desse a gambe.

Quando Emma vide la porta con un 35 d'oro come contrassegno si fermò così all'improvviso che Julian le ruzzolò addosso. «Attento.» Sibilò lei, scostandoselo di dosso.

«Ripetimi ancora perché lo stiamo facendo.» Julian la guardava con sguardo rassegnato ormai, ed Emma sapeva che quella era una domanda retorica.

Trattenne il fiato e bussò.

«Pessima, pessima idea.» Julian imprecava tra sé e sé. «E io stupido che ti do sempre rett...»

«Shhhhhht.» Lo riprese lei sentendo dei passi avvicinarsi piano alla porta.

Quando questa si spalancò, Emma non era pronta a quello che si trovò davanti.

Un ragazzo alto e pallido, con folti capelli neri e brillanti occhi azzurri la fissava con sguardo assonnato. «Si?» Biascicò con la bocca impastata dal sonno.

Emma lo osservò. Non avrà avuto più di venticinque anni, ed era bello in quella maniera in cui lo erano le persone che non sapevano di esserlo, ma la cosa che la stupì di più non era l'aspetto del ragazzo, bensì il fatto che il suo torso nudo e le sue braccia fossero ricoperti da rune nere e cicatrici.

Shadowhunters, pensò. Era il ragazzo sbagliato.

«Qualcosa mi dice che questo non è Magnus Bane.» Affermò Julian, con una risata nervosa.

«Tu dici?»

«Mmm, ha le rune, guarda.» Julian indicò il petto del ragazzo con un cenno del capo.

«O, ma davvero? Se non lo avessi detto...»

«Ehm...» Iniziò lo sconosciuto, riacquistando pian piano un po' di lucidità. «Io sono proprio qui, non so se lo avete notato.»

Emma e Julian smisero di battibeccare e tornarono a rivolgere l'attenzione a questo.

Emma sbuffò frustrata: maledettissimo Ty. Se lo avesse beccato gli avrebbe fatto vedere i sorci verdi, giurò a se stessa. Non era decisamente dell'umore per uno dei suoi stupidi scherzi.

«Non sei chi stavamo cercando, evidentemente.» Lo liquidò brusca, sventolando una mano per aria.

Il ragazzo sembrava leggermente offeso dai modi scortesi di Emma, e lei si sentì vagamente in colpa, ma la sua frustrazione quella mattina toccava le stelle.

Julian, infatti, le rivolse un'occhiata ammonitrice e indossò uno dei suoi sorrisi da bravo ragazzo. «Quello che la mia amica vuole dire, è che non era nostra intenzione disturbarla a quest'ora della mattina, si tratta di un terribile malinteso.»

«Sì, certo!» Emma proruppe in un'esclamazione contrariata. Malinteso, come no! Era tutta colpa di Ty! «Sì, bene, adesso ce ne andiamo. Julian?»

Ma lui la ignorò di nuovo, la sua attenzione totalmente focalizzata sul ragazzo sconosciuto. Emma sentiva attraverso il legame che Julian aveva capito qualcosa, ma non riusciva a decifrare di che cosa si trattasse, perciò evitò di sollevarlo di peso e trascinarlo via, e lo lasciò fare.

«Ci scusi, signor...?» Continuò lui allungando un braccio.

«Lightwood, Alec Lightwood.» Rispose questo stringendo la mano di Julian, sempre più sconvolto.

Raziel, Emma, sei un'idiota!

Quello era Alec Lightwood, il marito di Magnus Bane! Lo scrutò con attenzione e si insultò in cinese, perché avrebbe dovuto riconoscerlo: dopotutto era il fratello di Isabelle, un amico di Clary, e per di più il parabatai di Jace.

In quell'ultimo periodo era stata troppo sbadata, troppo poco concentrata e troppo disattenta; non poteva permettersi errori del genere.

Julian le rivolse un'occhiata che diceva Che ti avevo detto, donna di poca fede?

«Aspettate.» Alec si stropicciò gli occhi e sbattè le palpebre un paio di volte, come se volesse metterli a fuoco. «Ma io vi conosco.»

«Tesoro, si può sapere che cos'è questo baccano?» Da dietro le spalle di Alec sbucò un altro ragazzo, alto magro e con due gialli occhi felini.

Quello sì che era Magnus Bane.

Magnus si allacciò la vestaglia rosa leopardata con un gesto leggiadro ed incrociò le braccia al petto, lui, al contrario del giovane Lightwood, sembrava perfettamente sveglio. «Bene, bene, che cos'abbiamo qui? Piccoli Nephilim. I miei preferiti.»

Alec lo guardò male e Magnus alzò le spalle scuotendo la testa. «Sono così spensierati e pieni di vita. Pensano sempre di avere il mondo ai loro piedi. Non che quando crescano siano molto diversi, vero fiorellino?» Diede un leggero bacio sulle labbra al marito, ed Alec sembrava in procinto di evaporare per l'imbarazzo.

«Beeene.» Emma aprì le braccia per attirare l'attenzione dello stregone. «Se non le dispiace vorremmo parlare con lei, signor Bane... in privato.»

Alec fu felice di darsela a gambe. Rientrò nella stanza con una scrollata di spalle, borbottando:«Ragazzini.»

«Dunque, sentiamo. Ne ho viste di tutti i colori.» Disse Magnus mentre si richiudeva la porta alle spalle per poi appoggiarvisi sopra con leggiadria. «Volete una mano per far scappare il presidente dalla Casa Bianca? O forse uno di voi ha del sangue angelico che gli scorre nelle vene, e che lo brucerà a morte se non impara a controllarlo? Uh, no, fatemi indovinare: vi serve un portale per intraprendere qualche missione suicida? Sappiate che costo caro...» Osservando le espressioni sconvolte che si erano dipinte sul volto dei suoi interlocutori, Magnus spalancò gli occhi, improvvisamente preoccupato, e gettò le braccia al cielo. «No. Vi prego, ditemi che non siete stati eternamente maledetti da un demone, così che tutti quelli che vi ameranno moriranno?»

Emma e Julian si guardarono senza proferire parola. Julian aveva un'espressione confusa, come se non sapesse se prenderlo sul serio o se scoppiare a ridere, mentre Emma si domandava come questo tizio stravagante potesse essere il temutissimo sommo stregone di Manhattan.

«Ehm...» Fecero in coro.

«Be', avete intenzione di fissarmi così tutta la mattina?»

Julian fu il primo a riprendersi dallo stupore e mise in atto i suoi modi affascinanti. «No, no, no, Signor Bane, ci scusi.»

«Dunque, in che modo posso offrirvi i miei servigi? Fermi, volete evocare un demone superiore per farvi consegnare qualche arma infernale così da poter separare l'anima di uno dei vostri stupidi amici da una mente super criminale che minaccia di distruggere il mondo?»

Emma guardò Julian con la bocca spalancata, e lui ricambiò il suo sguardo scuotendo la testa, poi disse, con voce sottile e angelica. «Volevamo soltanto che noleggiasse una macchina per noi. Sa, non abbiamo ancora l'età per farlo.»

«Mi state prendendo in giro, per caso?» Rispose Magnus staccando la schiena dalla porta e osservandoli con cipiglio critico.

I due Shadowhunters si scambiarono l'ennesima occhiata stupita e poi scossero la testa convinti, senza proferir parola.

«Fatemi capire un attimo: voi due siete venuti da me per chiedermi di... noleggiare una macchina per voi? Non avete mai sentito parlare di carte di identità false? Che razza di adolescenti siete?» E così dicendo sventolò in aria la mano destra in modo molto scenografico, facendo apparire dal nulla due tesserine di plastica.

Emma era sbalordita: quel tizio, che diceva di essere Magnus Bane, uno degli esseri magici più potenti del mondo, indossava una vestaglia leopardata, una cuffietta rosa in testa e delle pantofole con il pelo; aveva procurato loro dei documenti falsi, non aveva fatto domande e non voleva essere pagato?

C'era qualcosa che non andava...

«Ah, ah, ah, biscottino.» Le disse lui, allontanando la piccola tessera dalla mano di Emma che si era allungata per afferrarla. «Non tanta fretta. Non lo faccio gratis.»

E te pareva.

«Bene, che cosa vuoi?» Sputò fuori lei, soffiandosi via dalla fronte una ciocca di capelli che era sfuggita dallo chignon.

«Uh, vediamo un po'. Sguardo impertinente, tono arrogante e una gran dose di sfacciataggine, sicura di non essere imparentata con gli Herondale, Emma Cordelia Carstairs? Sai, le vostre due casate erano molto unite, un tempo.»

Emma sobbalzò nel sentir pronunciare il suo nome completo. Sinceramente non sapeva se aveva dei legami di parentela con la famiglia di Jace, però ricordava benissimo che suo padre nutriva una grandissima ammirazione e stima nei loro confronti. Tuttavia non si era mai sbilanciato troppo con i racconti, nonostante le continue ed incalzanti domande di Emma, bramosa di sapere di più sulla propria storia.

Julian le prese la mano e la strinse: quel contatto era l'unica cosa che la teneva incollata al pavimento, ancorata alla realtà e a quel momento; era lui, sempre e solo lui, che le impediva di ripercorrere i ricordi che aveva dei propri genitori e di crollare rovinosamente al suolo.

«Come fai a sapere come mi chiamo?» Chiese impassibile, mentre ogni cellula di lei urlava.

«Ho intrattenuto numerosi rapporti con gli Shadowhunters durante la mia lunga vita, in particolare con gli Herondale.» Spiegò pratico Magnus, sprizzando scintille mentre si passava una mano tra i capelli arruffati.

«E i Carstairs cosa c'entrano?»

«Per molti anni, dove c'era un Herondale trovavi sicuramente un Carstairs al suo fianco.» Magnus stette in silenzio per qualche istante, poi disse semplicemente:«Che cosa sai del rapporto tra le vostre famiglie?»

«Mio padre diceva sempre che i Carstairs sono in debito con gli Herondale.»

«Ah... capisco.»

Magnus non sembrava incline a proferire ulteriori parole, e il cuore di Emma prese improvvisamente a battere più veloce. Sentì che doveva farsi dire il più possibile da lui, doveva cercare di assorbire quante più informazioni possibili. «La prego, mi dica ciò che sa.»

Magnus la fissò, socchiudendo leggermente gli occhi, rendendoli ancora più affilati e sottili. «Magari in un altro momento, quando non avrete una missione da compiere. Andiamo, so che state combinando qualcosa; non penso proprio abbiate bisogno di una macchina per una scappatella romantica solo voi due.»

Emma e Julian si bloccarono sul posto e guardarono altrove, posero lo sguardo ovunque, tranne che l'uno sull'altra.

Raziel, imprecò Emma. Perché cavolo dovevo beccarmi lo stregone più seccante di tutto il mondo invisibile?

Perché sei una sfigata, rispose la vocina nella sua testa, maledettamente simile a quella di Ty.

Magnus colse il loro imbarazzo e li guardò malizioso.«Be', che c'è? Non ditemi che non ci avete mai pensato.»

Julian aveva assunto una deliziosa tonalità di rosso, mentre il viso di Emma si era dipinto di una disgustosa tinta verdognola. Le veniva da vomitare. Perché, perché, perché tutte a lei?

«Siamo parabatai.» Esclamò Julian, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. «Ecco che c'è.»

Emma stette zitta, perché se si fosse concessa di parlare, non sapeva che cosa le sarebbe uscito di bocca.

«Oh.» Improvvisamente, quella scintilla di giocosità che bruciava negli occhi dello stregone si spense, come una candela lasciata ardere al vento. Sul suo volto si sostituì uno sguardo serio, che sul viso di una persona tanto stravagante sembrava quasi irreale, eppure era tanto freddo da mettere i brividi.

«Statemi bene a sentire, voi due.» Disse, spostando lo sguardo da un Julian decisamente a disagio, ad un'Emma sull'orlo di una crisi isterica. «Ho più di trecentocinquant'anni, e se c'è una cosa che ho imparato nella mia lunga vita è che l'amore è la forza più potente di tutte: è in grado di farti volare in paradiso in un battibaleno, ma è contemporaneamente capace di spedirti all'inferno senza pietà. Ho capito, talvolta a mie spese, che non tutti ottengono quell'amore puro e che ti mette le ali, no... quello è un lusso che pochi si possono permettere. I più si limitano ad uno spettro di quell'amore tanto agognato, che però non potranno mai avere. E poi c'è una minoranza, che tanto piccola non è, formata da quei poveri dannati che amano invano, costretti a sopportare un destino peggiore della morte. Tutto per colpa dell'amore: è uno dei tranelli più antichi, eppure ci si ricasca ogni volta.»

Ad Emma tornarono dolorosamente in mente le parole della Regina della Corte Seelie, e si sentì percuotere dai brividi «Perché ci stai dicendo tutto questo?» Domandò dura, fingendo di essere ancora integra, pretendendo di essere forte e impassibile di fronte ai propri sentimenti, alzando la testa, come se non provasse nulla.

«Forse perché siete giovani. Non voglio spaventarvi, o farvi chiudere il vostro cuore, no, al contrario... amate, finché potete, ma fate attenzione a non finire nel baratro della disperazione a causa di questo sentimento. Ho visto tanti uomini e donne cadere in disgrazia, cerco di fare tutto il possibile per evitare che ad altri tocchi questo destino.»

Emma era decisamente confusa. Non sapeva come interpretare tutto ciò, e nel dubbio evitò accuratamente di guardare alla sua destra, dove si trovava Julian. Julian, il quale spezzò la tensione. «Uhm, bene. Dunque, torniamo a parlare di affari, che ne dice?»

Emma lo ringraziò mentalmente: non avrebbe sopportato un istante di più certi discorsi; il suo cuore stava andando di nuovo in frantumi e questa volta si stava dimostrando più arduo del solito mostrarsi indifferente, e il signor Bane lo aveva notato. Egli distolse piano lo sguardo da Emma e rivolse la propria attenzione a Julian, e con un sorriso cordiale rispose:«Molto bene, allora. Come ricompensa, da voi, non voglio nient'altro che la verità.»

Emma si congelò sul posto, sentendo il sangue cristallizzarsi nelle vene.

La verità.

No, no, no, no. Non poteva farle questo. Non dopo quel discorso sull'amore e sulla disperazione, non poteva... No. Avrebbe trovato un'altra soluzione per la macchina, avrebbe ispezionato Los Angeles da cima a fondo a piedi, se fosse stato necessario, ma mai, mai e poi mai, avrebbe confessato i suoi sentimenti davanti a Julian.

Deglutì, e fece la domanda che più la terrorizzava. «Quale verità?»

Magnus emise un risolino tra sé e sé e le si avvicinò, guardandola dall'alto verso il basso. «Non quella che pensi tu, piccola Emma. Voglio solo sapere che cos'avete in mente di fare.»

Emma si concesse di voltarsi verso Julian, e lo trovò già intento ad osservarla, una muta domanda impressa sul viso.

Confessare o non confessare?

Evidentemente non avevano alternativa, perciò Emma spiegò il suo piano allo stregone, sorvolando sulle motivazioni della loro ricerca disperata.

«Camille Belcourt?» Un'ombra gli si disegnò sul suo volto e quando parlò la sua voce si era pericolosamente incupita. «Ammesso anche che sia viva -cosa che, tra parentesi, dubito altamente- credete davvero che il popolo fatato lo verrebbe a dire a... voi? Due bambini Nephilim che non possono fare assolutamente niente a riguardo? Mi dispiace distruggere i vostri sogni di gloria, ma temo sia una trappola.-

«Conosciamo i rischi.- Cominciò Emma in propria difesa. «E non abbiamo bisogno che tu ce li ricordi, perciò, ora che hai avuto quello che vuoi, dacci ciò che ci hai promesso.»

«Naphilim!» Abbaiò lui contrariato. «Prendete, e sparite dalla mia vista.» Porse loro i documenti con aria annoiata e li osservò attentamente con i suoi occhi, sorprendentemente simili a quelli di un gatto.

«Grazie mille, Signor Bane, le siamo eternamente debitori, e... uhm, potrebbe, come dire, non farne parola con gli Shadowhunters?» Tentò Julian con i suoi modi cortesi.

Magnus si portò una mano al petto con fare teatrale, oltremondo offeso da quella richiesta. «Così mi offende, signor Blackthorn. Ovviamente terrò la bocca chiusa. Ho un reputazione da difendere, e il segreto professionale è una delle garanzie che assicuro sempre ai miei clienti. Ora sciò, mi avete infastidito abbastanza per oggi interrompendo il mio sonno di bellezza.»

«Raziel!» Imprecò Julian. «Siamo mattinieri, che c'è di male?»

Sia Emma che Magnus lo incenerirono con lo sguardo.

«Andiamocene.» Sentenziò poi lei, voltando le spalle ai due ragazzi, e sentendo Julian trottare appena dietro di lei.

«Un'altra cosa ho imparato con il tempo.» La voce dello stregone la raggiunse da lontano come un'eco di montagna.

«Che cosa?» Domandò Emma girandosi.

«Mai, mai, fidarsi del popolo fatato.»

 

 

NOTE DELL'AUTRICE

Ciao a tutte!

Premetto dicendo che sono terrorizzata da questo capitolo. Perché? Be', per Magnus e Alec. Ho paura siano troppo diversi da quelli della Clare, e ho cercato di rimanere il più fedele possibile, solo che non so se ci sono propriamente riuscita, hahah.

Poi mi sembra che non succeda niente di speciale e che sia anche abbastanza sconclusionato, però vi prometto che il prossimo sarà più... interessante, ecco :)

Grazie mille a tutti e buon anno!

Francesca

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Capitolo 16
*** Capitolo sedici. ***


Mancavano poche ore al tramonto quando parcheggiarono l'auto in un'area di servizio nel mezzo dell'entroterra californiano. Le grotte erano infatti l'ultimo luogo del loro elenco di possibili nascondigli per Camille, ed Emma aveva oramai perso le speranze.
Avevano passato la mattinata a Downtown, dentro e fuori vecchi edifici abbandonati, senza trovare la minima traccia né di vampiri né di altre forme demoniache, ma Emma non si era data per vinta: avevano ancora tutta Los Angeles da esplorare. Nel pomeriggio si erano spostati in centro, nell'antico museo di storia naturale, per poi perlustrare da cima a fondo i tunnel della metropolitana in disuso, e non erano stati più fortunati. Si erano imbattuti in un paio di demoni hydra che avevano eliminato uscendone pressappoco illesi, solamente con qualche escoriazione sulla pelle, presto curata da un iratze.
«Andiamo e facciamola finita, muoio di fame.» Julian le lanciò un'occhiata complice da sopra il volante, e lei scosse la testa amareggiata.
«Mi dispiace di averti trascinato in questa situazione, Jules. Abbiamo solamente perso tempo, dannazione.» Strinse i pugni talmente forte che le unghie le si conficcarono nella carne, ma la sofferenza la distraeva dal groviglio di sensazioni che provava: amarezza, sconfitta, rabbia e rancore, da un lato; mentre dall'altro paura, disperazione, gelosia e un amore tanto profondo da far male al cuore.
Julian le afferrò la mano sinistra, mano con la quale scriveva e brandiva la spada, e le districò piano le dita per poi posarle piano un bacio sul palmo.
«Passare le giornate con te non è mai tempo sprecato.» La guardò fisso con quei suoi meravigliosi occhi del colore del mare e le sorrise, continuando a stringerle la mano. «Sarà meglio che ci sbrighiamo, manca poco al tramonto.»
Emma prese qualche respiro profondo per rallentare il battere impetuoso del proprio cuore, dovuto alla vicinanza di Julian, e si stupii di come una persona che conosceva da tutta la vita potesse farle ancora quell'effetto. Sembrava che i suoi sentimenti crescessero di giorno in giorno, rendendo quasi impossibile trattenerli.
Si morse la lingue e concordò con lui. «Hai ragione, diamoci una mossa.»
Scesero dalla macchina e si guardarono attorno con circospezione, per controllare che non ci fossero demoni in agguato dietro l'angolo.
Basse montagne rocciose si ergevano a pochi metri da loro, illuminate dal rosso sole prossimo al tramonto. Ai piedi del primo massiccio, dove sorgeva una profonda grotta buia, trovarono la carcassa di una volpe del deserto sgozzata.
Emma guardò Julian, che aveva già estratto la stregaluce con una mano e inforcato la balestra con l'altra, e lesse nei suoi occhi la sicurezza di un guerriero pronto ad affrontare l'inferno.
Non appena mise la mano sull'elsa di Cortana, una voce gelida proveniente dai meandri della caverna le fece accapponare la pelle. «Mi chiedevo quando saresti venuta da me, Emma.»
Camille Bealcourt uscì dalle tenebre, colpita dalla luce biancastra emessa dalla pietra angelica di Julian. Indossava un candido abito bianco che la faceva sembrare ancora più pallida e il suo viso, perfetto ma velato dall'ombra di tutti gli anni che aveva vissuto, ricordava quello di un angelo caduto direttamente nelle fauci dell'inferno. I suoi lunghi capelli dorati erano raccolti sul capo in uno chignon morbido, dal quale erano scappate alcune ciocche ribelli, e il suo portamento elegante e distaccato ricordava quello delle dame di corte ottocentesche.
«Cosa ti ha fatto pensare che volessi venire a cercarti?» Emma sfoderò la spada, gesto che suscitò l'ilarità della vampira.
«Non ne avrai bisogno, piccola Nephilim. Non è mia intenzione farvi del male.» Disse con una risata fredda che riecheggiò per tutta la grotta come un tuono temporalesco.
«Davvero»- Chiese sprezzante Emma. «Così come non avevi intenzione di uccidere i miei genitori?»
Un muscolo si contrasse nella mascella di Camille, come se quell'accusa l'avesse colpita nel profondo, ed Emma si chiese che cos'altro le stesse nascondendo.
«Ci sono molte cose che non sai.»
«Siamo qua per scoprirle.» Intervenne Julian che era stato in silenzio fino a quel momento. Anche se non puntava la balestra in direzione di Camille, Emma notò che una freccia era già posizionata, pronta ad essere scagliata ad un suo minimo movimento.
Camille parve accorgersi solo in quel momento di lui e lo osservò con intensità, squadrandolo da cima a fondo. «Un giovane Blackthorn.» Gli si avvicinò rapidamente, con la velocità che poteva essere propria solamente di un redivivo, e lo scrutò con ancora più attenzione. Emma agì di istinto e frappose la spada tra i due con fare protettivo: non le avrebbe permesso di fargli del male.
«Stai lontana da lui.» Disse laconica con uno sguardo che avrebbe potuto incendiare il ghiaccio.
«E' okay, Em.» Fece Julian mettendole una mano sulla spalla.
La sua stretta rassicurante fu un balsamo per la tensione di Emma, che riuscì a rilassarsi impercettibilmente e ad abbassare Cortana, mantenendo però salda la presa sull'elsa.
«Interessante.» Camille spostò lo sguardo dall'uno all'altra e vice versa, annuendo mesta tra sé e sé.
Com'è che tutti si stampano quell'espressione in faccia quando ci vedono? Si domandò Emma, che si stava spazientendo. Voltò la testa e si accorse che ormai il sole era tramontato, il che voleva dire che non era più sicuro per lor stare lì.
«Non abbiamo altro tempo da perdere.» Tuonò perentoria. «Hai ucciso o non hai ucciso i miei genitori?» La sua voce era dura come acciaio temprato, ma tutta quell'indifferenza soppesava litri di odio e rancore verso quell'essere che l'aveva privata dei genitori in così tenera età.
«Diciamo che non era in programma.» Camille sorrise sarcastica mentre si guardava le unghie perfette della mano. «Sono stata ingannata.»
Emma fece per gettarsi su di lei, ma un rumore all'entrata della grotta la paralizzò sul posto. Anche Camille e Julian avevano testo i sensi e si guardavano attorno spaventati.
«Chi altro sa che siete qui?» Chiese Camille, con una nota di panico nella voce che stonava con la sua consueta armonia.
Emma non rispose e si avviò verso l'uscita per controllare che non ci fosse nessuno, ma l'urlo di Camille la raggiunse prima che potesse accertarsene. «Carstairs!» Il tono di urgenza della sua voce la fece voltare. «Chi altro sa che siete qui? Come avete fatto a trovarmi?»
«La Regina del popolo fatato mi ha detto che eri in città.» Si tastò le tasche per qualche secondo e poi le lanciò il pezzo di legno che le era stato consegnato la sera precedente, non capendo il motivo di tanta agitazione.
Fu Julian a comprendere al volo, mentre Camille si precipitava all'aperto imprecando in una lingua antica che Emma non identificò.
«Il legno è stregato, non è vero?- Disse Julian, mettendo a posto i tasselli del puzzle e seguendo la vampira al di fuori della grotta. «Le Fate hanno fatto il doppio gioco: le abbiamo portate direttamente da te.»
Una volta che furono nella landa deserta l'aria fresca della sera investì il viso di Emma facendola rabbrividire. Il cielo aperto sopra di lei era blu cobalto, e non fece in tempo ad osservarlo che la voce agitata di Camille la riporto con i piedi per terra.
«Esattamente, sporchi tradit...»
Una freccia le colpì il braccio facendola ringhiare di dolore e sfoderare i lunghi canini affilati come lame.
Emma alzò Cortana, entrando in modalità di combattimento. In men che non si dica si ritrovarono accerchiati da cinque cavalieri del popolo fatato armati e bardati fino ai denti: era un'imboscata.
«Emma, attenta!» Urlò Julian, proprio mentre lei si girava e schivava una freccia infuocata, per poi conficcare la lama angelica nel petto di un guerriero che le era vicino.
«Dobbiamo proteggerla, Jules.» Disse lei, mentre si tuffava contro un cavaliere che sembrava più possente degli altri. «Ha informazioni che ci servono, non possono ucciderla!»
Non appena pronunciò queste parole si rese conto che Camille si era volatilizzata nel nulla come nebbia al sole, abbandonandoli in balia di una battaglia che stavano chiaramente perdendo. Prima di scomparire, però, aveva squartato la gola a uno degli avversari cosicché ora la sfida adesso era quasi alla pari.
Emma parò un fendente, ma il suo avversario la sbatté forte contro la roccia della montagna facendole vedere le stelle per il dolore. Annaspò e si accasciò al suolo cercando di prendere fiato, e quando spostò gli occhi sul volto del proprio assalitore un grido le si impigliò in gola.
Lì, davanti a lei, un occhio del colore dell'oro e l'altro del colore del mare che tanto amava, stava Mark Blackthorn.


«Mark.» Sussurrò, ma quello la guardava come se fosse una sconosciuta. La sollevò da terra e la spinse contro il muro, puntandole un pugnale alla gola.
«Mark, sono io! Emma!» Tentò di farlo ragionare lei, ma lui sembrava in una sorta di trans: non la riconosceva.
In quel momento si riversarono nell'improvvisato campo di battaglia una miriade di elfi, gnomi e altri abitanti del popolo fatato che li avrebbero sopraffatti nel giro di qualche secondo, se solo non fossero arrivati in loro soccorso grossi lupi pelosi. Infatti una decina di lupi mannari, probabilmente udendo i rumori della battaglia, aveva deciso di intervenire e di schierarsi dalla parte dei due poveri nephilim.
«Mark, lasciami andare.» Chiamò di nuovo Emma sull'orlo della disperazione. «Guardami, guardami e cerca di capire chi sono.»
Lui le ubbidì. La fisso negli occhi per un istante interminabile, durante il quale Emma pregò con ogni cellula del suo corpo che si accendesse in lui il lume del ricordo, e qualcuno sembrò ascoltarla: Mark lasciò andare la presa e si allontanò da lei velocemente.
Emma però non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo che si ritrovò circondata da creature del popolo fatato. In quel momento, mentre sferrava un fendente ad un elfo, sentì un dolore lancinante lambirle le viscere, e per un istante temette di essere stata colpita. Si portò una mano alla vita e si stupì quando non vide sangue sgorgare dalla ferita; e non vide neppure alcuna ferita perché, effettivamente, non ce n'era nessuna. Ma il dolore era lì, forte come se le avessero appena conficcato un pungiglione nella carne, e allora perché...
Alzò lo sguardo di scatto, e quando la consapevolezza di quanto era appena successo la travolse come un'onda anomala, sentì se stessa urlare così forte, che a stento riconobbe la propria voce.
Julian, a qualche metro da lei, era inginocchiato al suolo, una mano stretta sulla pancia e le braccia ricoperte di sangue. Il suo sangue.
Emma dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non dare di stomaco e per rimanere ancorata alla realtà. Intorno a lei continuava ad infuriare la battaglia, ma non ci faceva caso, tutto ciò che riusciva a vedere era Julian moribondo, accasciato al suolo, e un cavaliere del popolo fatato che lo sovrastava come un'alta torre, puntandogli una grossa lama argentata al collo, pronto a decapitarlo.
Emma si alzò di scatto mentre agguantava un pugnale dallo stivale, perse mezzo secondo per prendere la mia, fece un bel respiro e lanciò. Formulò una muta preghiera affinché il tiro andasse a segno: ti prego, papà, fai che lo colpisca. E poi: ti imploro, mamma, se puoi sentirmi, fa che Julian non sia morto. Fa che non sia morto, tutto, ma fa che non sia morto.
Se lo fosse stato lo avrebbe capito, avrebbe sentito parte della propria anima venirle strappa dal petto e ascendere al cielo insieme alla sua, ma il dolore non era ancora tanto atroce, per ora.
Emma non sbagliava mai, e anche quella volta l'arma si andò a conficcare esattamente dove lei aveva programmato, ovvero nel cuore di quell'essere che aveva anche solo osato puntare una spada contro il suo parabatai, contro il ragazzo del quale era innamorata, contro il suo migliore amico e contro la sua famiglia.
Li avrebbe uccisi tutti. Se fosse successo qualcosa a Jules, avrebbe dato loro la caccia e poi li avrebbe distrutti uno per uno senza la minima pietà.
Quando Julian alzò leggermente lo sguardo ed incrociò i suoi occhi, il mondo si fermò per un istante. Poi riprese a muoversi a rallentatore, ed infine accelerò di botto, cogliendola di sorpresa.
Il suo volto era esangue, simile ad un panno sporco, e dalla bocca gli usciva un rivolo di sangue scuro, che si pulì con aria incredula servendosi di un lembo della giacca. Emma non aveva bisogno di guardarlo in faccia per sentire il dolore e la disperazione che stava provando. Percepiva un groviglio di emozioni, ma dal fronte di Julian non arrivava la paura, quasi si fosse ormai rassegnato al suo destino; Emma, invece era logorata dall'angoscia. Lui la guardò, mimò "Mi dispiace" con le labbra spente, ebbe uno spasmo, e poi cadde a terra supino.
Fu questo a sbloccarla. Emma sapeva di essere veloce, ma quella volta superò se stessa. In un millesimo di secondo fu al suo fianco e gli prese la testa tra le mani ponendola nel suo grembo.
«Apri gli occhi, Julian. Ti prego, ti prego.» Quasi come fosse svegliato dalla sua voce, lui la ascoltò, ed Emma si ritrovò immersa in quel mare verde azzurro, che era restato estremamente brillante anche in una situazione del genere. Emma era accecata dalla paura, ed era proprio questo sentimento a permetterle di non uscire di matto: doveva salvare Julian, doveva salvarlo. Doveva, doveva, doveva.
Sfoderò il suo stilo ed iniziò a disegnare quanti più iratze possibili sulla parte lesa, concentrandosi e pensando con tutta se stessa guarisici, guarisci, guarisci. Ma i suoi sforzi sembravano essere vani, il sangue continuava a sgorgare impetuoso imbrattando ad entrambi i vestiti.
Julian borbottò qualcosa di incomprensibile ed Emma avvicinò l'orecchio alla sua bocca. «Veleno.» Riuscì a dire appena lui.
Ma certo, quella lamina doveva essere avvelenata, perché le rune non sembravano svolgere il loro dovere. Avevano bisogno dell'antidoto, ma prima ancora avevano l'impellente necessità di mettersi al riparo dall'impeto della battaglia.
Si scarabocchiò una runa della forza sull'avambraccio e poi sollevò di peso Julian, il quale sembrava leggero come una piuma. Corse fino alla loro auto, tra lance volanti e dardi infuocati, spalancò con forza la portiera e lo fece adagiare sul sedile posteriore.
«Emma»- Il suono della voce di Julian arrivò alle sue orecchie come un sussurrò lontano, ma abbastanza forte da imprimersi nel suo cervello e spingerla ad agire.
Si tolse la giacca e la poggiò sul suo fianco destro, laddove il sangue usciva copioso, per cercare di bloccare l'emorragia.
«Emma.» Ripeté Julian con le labbra sporche di sangue. «Emma, vieni qui.»
Lei premette la fronte contro la sua così forte che i loro nasi si scontrarono. Sentì l'odore del sangue inondarle le narici ma mantenne salde le mani sulla giacca.
«Io...» Iniziò lui, ed Emma lo zittì.
«Zitto, stai zitto e non dire niente. Pensa solo a non morire, Julian Blackthorn, perché se muori, sappi che ti odierò per sempre.» Julian colse la nota di panico nella sua voce ed ingaggiò una piccola lotta con le poche forze che gli restavano per liberarle le mani e prenderle tra le sue.
«Prenditi cura... degli altri, Em.» Disse con un rantolo. «Prenditi cura di loro.»
Julian stava iniziando ad assumere una tonalità vagamente simile al verdognolo ed Emma dovette stringere con forza i pugni per impedirsi di crollare e di iniziare a piangere.
«Promettimi che starai bene.»
Il dolore al fianco si stava facendo sempre più intenso, come se fosse lei quella ad avere uno spuntone conficcato nell'anca, e capì che non le restava altro tempo da perdere.
«Basta, chiamo l'Istituto.» Decise, sfoderando il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni.
«No, non puoi.» Julian cercò di tirarsi a sedere e di avvicinarsi a lei, poi il dolore si fece così forte che fu costretto a rinunciare con una smorfia che fece venire voglia ad Emma di urlare. «Non possiamo, dobbiamo proteggere Mark.»
Allora anche lui lo aveva visto.
Mi dispiace, Jules, mi dispiace tanto.
Emma staccò il cellulare dall'orecchio, e si stupì di quanto la sua voce suonasse ferma in un momento del genere. «Non ho intenzione di lasciarti morire dissanguato nel retro di una macchina.» Scandì piano, irremovibile.
«Lo so.» Disse lui, prendendo il suo stilo e ponendolo nelle mani di lei, quasi come se le stesse affidando la propria vita, e forse era così. «E' per questo che tu ora mi aggiusterai.»



NOTE DELL'AUTRICE
Ciao a tutte!
Chiedo scusa per il rovinoso ritardo, ma tra la scuola e l'altra fan fiction che ho iniziato il tempo è proprio poco, purtroppo.
Spero in una maniera assurda che il capitolo vi piaccia e che non vi abbia deluso, vi ringrazio per le meravigliose recensioni che mi avete lasciato e per essere così fantastici da leggere ciò che scrivo. Grazie mille!
Con tanto affetto,
Francesca

P.S. La parte finale è proprio uno snippet rilasciato dalla Clare in persona :)

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Capitolo 17
*** Capitolo Diciassette. ***


CAPITOLO DICIASSETTE


Jules.
Guarisci, guarisci, guarisci.
Emma emise un verso al limite della frustrazione quando l'ennesimo iratze non andò a buon fine. Tutto ciò che la teneva ancorata alla realtà, impedendole di perdere la lucidità necessaria per poter uscire da quella situazione, era la mano di Julian stretta flebilmente attorno al suo polso: finché ci fosse stata quella presa su di sé a ricordarle che lui era ancora vivo, sarebbe andato tutto bene.
Guarisci, pregò mentre disegnava un'altra runa mettendoci tutta la buona volontà di cui era capace.
Julian era sdraiato sui sedili posteriori dell'auto con la giacca della tenuta da combattimento aperta che rivelava il suo busto innaturalmente pallido. Aveva infatti perso quel colorito ambrato che tanto piaceva ad Emma, acquisendo le tonalità del bianco e del rosso, come un campo da battaglia devastato dal candore della neve e dal sangue versato dagli innocenti.
Innocente, questo era Julian. Era stata lei ad averlo trascinato in quella situazione; lei si era innamorata di lui mettendolo in pericolo; lei, lei, sempre e solo lei. Forse si sarebbe solo dovuta tagliare fuori dalla sua vita. Sarebbe stato meglio per tutti, dal momento che Emma si sentiva come se tutto ciò che toccava venisse destinato a distruzione certa, come vittima di una maledizione.
Fuori il combattimento infuriava più impetuoso che mai: i ringhi dei lupi mannari, che stavano smembrando impietosi i loro avversari, si mischiavano agli urli di battaglia di quest'ultimi in un gioco di suoni agghiacciante: era presagio di morte.
Frecce colpivano la carrozzeria della vettura, ma per Emma erano solo rumori lontani, echi nel profondo nel suo cervello. La sua concentrazione era tutta focalizzata su Julian e sulla ferita profonda che aveva sul fianco.
«Jules, non ti azzardare a morire.» Sibilò, giurando che se fosse morto non glielo avrebbe perdonato mai.
Lui non rispose. Aveva gli occhi socchiusi dai quali Emma riuscì a scorgere una sfumatura di verde mare. Improvvisamente la terribile consapevolezza che quella poteva essere l'ultima volta che li vedeva le attanagliò le viscere in una morsa di ferro impedendole di respirare.
Fece per urlare ma il suo grido le rimase impigliato in gola quando la portiera della macchina si spalancò. Una folata di vento freddo invase l'abitacolo rinfrescando il suo volto bagnato: si accorse solo in quel momento che stava piangendo.

«Oh, cielo! Giovani Nephilim, sempre in cerca di guai che poi io devo sistemare.» Magnus Bane, con il volto incorniciato dai capelli corvini striati di rosa shocking, la fissava con i suoi penetranti occhi felini.
«Biscottino, fatti da parte e lasciami vedere che cosa abbiamo qui.» Fece un gesto con la mano per dirle di levarsi dai piedi, ma Emma non si mosse. Al contrario, strinse ancora più forte la mano del suo Parabatai. «Emma.» Il tono di voce di Magnus si addolcì, stupendo la ragazza. «Devi fidarti di me. Posso aiutarlo, ma devi farti da parte.»
Riluttante, Emma lasciò la presa e si accomodò al posto del guidatore, raccogliendo le gambe sotto di sé. Osservò Magnus passare lentamente le mani sul corpo di Julian, borbottando parole in una lingua antica. Quando da esse iniziarono a fuoriuscire sprizzi di luce argentea non ce la fece più: spalancò la portiera e si precipitò fuori dalla vettura.
Una volta che si ritrovò sotto il cielo stellato riuscì a respirare di nuovo, confortata dall'aria fredda di Gennaio.
I combattimenti erano cessati e a terra giacevano le carcasse di quelli che un tempo erano stati membri del popolo fatato. Emma sapeva che di lì a poco queste sarebbero tornate nella loro dimensione, ma non poté far a meno di provare un senso acuto di nausea, circondata da morte e distruzione.
Sentì dei passi avvicinarsi dietro di lei. Erano passi pesanti, strascicati, di molti uomini. Non si voltò, era troppo stanca.
«Signorina...» Fece una voce calma e determinata.
«Carstairs.» Rispose Emma stringendo i pugni.
«Sono Joseph Woolf, il capo dei Licantropi di Los Angeles. Lei e il suo amico state bene?»
«Parabatai.» Emma fissava nel vuoto davanti a sé in preda ad un momento di shock. Desiderava solo sdraiarsi per terra, al freddo, e dormire per sempre.
«Come?»
«E' il mio parabatai.» Questa volta si voltò e si ritrovò faccia a faccia con cinque uomini e due donne, tutti un po' scompigliati e graffiati ma sostanzialmente illesi.
«Passavamo da queste parti e abbiamo sentito rumori sospetti.» Spiegò un uomo alto e robusto con lunghi capelli biondi che Emma identificò come Joseph. «Vedendo due Nephilim in difficoltà siamo intervenuti.»
«Non dovete giustificarvi. Anzi, vi ringrazio immensamente, senza il vostro contributo saremmo stati spacciati.»
«I Blackthorn sono sempre stati molto disponibili verso il nostro branco. Era il minimo che potessimo fare per i loro figli.» Intervenne una ragazza molto alta con folti capelli neri.
«Marlene ha ragione.» Concordò Joseph. «Tieni, questo è il numero di telefono del nostro quartier generale. Non esitate a contattarci se avete qualche problema. Siamo lieti di aiutare i Blackthorn e i Carstairs.» Le porse un biglietto da visita che Emma accetto commossa. Lo mise nella tasca della giacca e si schiarì la voce cercando di apparire autoritaria e intrepida.. «Vi ringrazio a nome dell'Istituto di Los Angeles e del Conclave.»
Marlene rise, coinvolgendo in quella risata cristallina come l'acqua anche il resto dei lupi. «Ricorda una cosa, giovane Nephilim.» Disse con un leggero sorriso. «La nostra lealtà è a voi, non al Conclave.»
I licantropi si avvicinarono ad una perplessa Emma e le strinsero a turno la mano per poi dileguarsi nel buio della notte, rapidi e agili come solo dei nascosti potrebbero essere.
Emma li guardò sparire in lontananza, leggermente sorpresa da quell'inusuale giuramento di lealtà. Ripensandoci però il suo stupore non era giustificato. Infatti i rapporti tra le creature del mondo invisibile e gli Shadowhunters non erano rosei, ma i Blackthorn avevano sempre trattato con rispetto il clan di Vampiri e il branco di Licantropi di Los Angeles. A Idris, invece, non era diffusa la stessa apertura mentale che si aveva nelle più grandi città del mondo, pertanto parecchi membri del Conclave -bigotti e con le radici saldamente piantate ai tempi dei primi accordi- provavano ancora astio e un'antipatia immotivati nei loro confronti.
All'improvviso Emma fu scossa da brividi che la fecero cadere sulle ginocchia. Premette le mani sul suolo e infilò le unghie nel terreno scorticandosi le unghie, sperando che la sofferenza fisica avrebbe lenito quella che provava nel cuore. Era prossima a perdere completamente il senno.
Julian starà bene. Continuava a ripetere a se stessa come un mantra. Si riprenderà e tutto tornerà come prima.
Prese dei respiri profondi con la speranza di espellere tutte quelle immagini apocalittiche marchiate a fuoco nella sua mente. Immagini in cui lei era sola, senza la sua metà e abbandonata a se stessa, perché una vita senza Julian era come un inferno senza luce.
«Emma.» Fu riscossa dai propri pensieri dalla voce di Magnus: calma e rassicurante, era come un balsamo che leniva le ferite.
La mano dello stregone si posò dolcemente sulla sua spalla e improvvisamente Emma se lo trovò rannicchiato di fianco con il viso rischiarato dal chiaro di luna.
«Come sta Jules?» Sussurrò guardando fissa davanti a sè, terrorizzata dalla possibile risposta.
«Sì riprenderà. Ora sta dormendo, ma dobbiamo portarlo all'Istituto e chiamare un Fratello Silente che lo visiti.» Rispose Magnus.
Il sollievo fu così intenso che Emma si aggrappò a lui per non cadere stesa al suolo.
Si riprenderà. Starà bene. Grazie, grazie!
Iniziò a ridere istericamente per scaricare la tensione e l'ansia che le avevano premuto sul petto impedendole di respirare a pieni polmoni fino a qualche momento prima. In realtà, tutto ciò che desiderava era scoppiare a piangere, ma gli Shadowhunters non piangevano. Lei non piangeva.
La sola idea di abbracciare Julian di nuovo le riempiva il cuore di gioia. Adesso che Jules stava bene il mondo non era più un posto così terribile.
Si alzò di scatto, ma Magnus la bloccò.
«Aspetta, Emma.» Disse, sfilando qualcosa di lungo e metallico dalla giacca di pelle rosa -in tinta con i capelli- e porgendoglielo. «Julian mi ha detto di recuperarla e di portartela. Pensava che ti avrebbe aiutato a non perdere la testa.»
Emma prese quell'oggetto appuntito e notò con sorpresa che si trattava della sua spada Cortana. Nella foga del combattimento e a causa della preoccupazione di aver perso per sempre il suo parabatai, l'aveva abbandonata da qualche parte vicino alla grotta.
Non appena però fu di nuovo tra le sue mani un senso di calma e ordine si irradiò in lei. Cortana catturò alcuni raggi lunari risplendendo nel buio come una scintilla di carica elettrostatica, rendendo leggibile la scritta intagliata nel metallo della lama. Sono Cortana, dello stesso acciaio e collera di Joyeuse e Durindana.
Suo padre le aveva spiegato a dieci anni il significato di quelle parole, dicendole che i Carstairs avevano portato quella spada per generazioni e ricordandole che gli Shadowhunters erano le armi dell'Angelo.
Tempraci nel fuoco, e diventeremo più forti. Quando soffriamo, sopravviviamo.
Quelle erano state le sue esatte parole, e non mancavano mai di rimbombare come una ninna nanna nella mente di Emma, infondendole forza.
Strinse la sua amata spada al petto e chiuse gli occhi, beandosi della stabilità mentale che questa riusciva a conferirle: con in mano Cortana era di nuovo invincibile.
«Dov'è Jules ora?» Chiese con voce sorprendentemente ferma.
«E' in auto.» Rispose Magnus. «Dorme.» Aggiunse subito quando notò che Emma stava già correndo verso la vettura, i capelli biondi che le svolazzavano sulla nuca nel buio della notte.
Aprì la portiera con mani tremanti e quando vide Julian, esangue e sciupato, disteso sui sedili posteriori si portò una mano alla bocca per impedirsi di urlare.
Sollievo e disperazione pesavano sul suo cuore in una lotta all'ultimo sangue, vinta infine dal sollievo. Julian era vivo e tutto il resto non importava.
Gli scostò piano i capelli dalla fronte, guardando con occhi spalancati il suo petto che si alzava e abbassava regolarmente, come se fosse un piccolo grande miracolo. Non indossava più la maglietta della divisa e il suo torso nudo era solcato da miriadi di cicatrici e marchi. Emma gli poggiò una mano fredda sul cuore che lo fece rabbrividire nel sonno: in quel momento non esisteva suono più bello del suo cuore che batteva.
Sembrava un angelo sfregiato dalla ferocia dell'Inferno, ma Emma non riusciva a credere che potesse esistere un angelo più bello in tutto il Paradiso.
«Dobbiamo muoverci, biscottino.» Le disse Magnus. Il tuo Julian ha bisogno di cure che io purtroppo non ho potuto dargli.»
Emma annuì mesta, ma prima di andare c'era ancora una cosa che doveva fare.
In quel momento o mai più.
«Solo un secondo. C'è ancora una cosa che devo fare.»
Quella sera Julian era quasi morto, e lei non gli aveva mai detto che lo amava. Julian era quasi morto e lei non aveva mai assaggiato il sapere delle sue labbra. Julian era quasi morto.
Si avvicinò a lui fino a far poggiare la propria fronte contro la sua. Poi, senza pensarci un minuto di più, lo baciò. Tenne premute le labbra contro quelle fredde e immobili di lui cercando di non badare a come il suo cuore si stesse sgretolando in mille pezzi.
«Ti amo.» Sussurrò sulle sue labbra, così piano che a mala pena si sentì lei stessa. Aveva bisogno di dirglielo, anche se lui era ancora incosciente.
Fu un semplice sfiorarsi di labbra, niente di più, ma in qualche modo per Emma significava tutto.
«Nephilim, non li capirò mai.» Sbuffò Magnus, ma il suo viso era solcato da un dolce sorriso di comprensione. «Come amate voi Carstairs non ama nessuno, forse solo gli Herondale.»



NOTE DELL AUTRICE:
Ehm... salve!
So di essere in un ritardo madornale, e so che il capitolo è breve e striminzito, e per questo mi scuso tantissimo! Spero però che il contenuto di questo riesca a farmi perdonare.
Niente, scappo a mangiare perché altrimenti mia mamma mi lincia.
Non smetterò mai di ringraziarvi per recensire e anche solo leggere e seguire la mia storia. Davvero, GRAZIE INFINITE. <3
Baci, baci,
Francesca

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciotto. ***


CAPITOLO DICIOTTO

 

Emma stava ancora tenendo la fronte premuta contro quella di Julian. Sentiva il suo flebile respiro sfiorarle le guance, trasmettendole una scia di brividi lungo tutta la spina dorsale.
«Uhm... mi dispiace interrompere il momento.» Disse Magnus. «Ma dobbiamo davvero andare. Ha bisogno di cure: ho già inviato un messaggio di fuoco all'Istituto per avvertirli che stiamo arrivando.»
Julian si agitò nel sonno, ma una carezza sul viso da parte di Emma parve calmarlo.
«Manderanno un fratello silente?» Chiese lei rivolgendo il proprio sguardo allo stregone. Magnus era serio: le sue labbra una linea sottile e i suoi occhi impassibili come fanali in mezzo ad una tempesta.
«Sì, quel veleno era davvero potente. Solo un fratello silente può eliminarlo del tutto.»
Emma annuì mesta e si spostò sul sedile del passeggero mentre Magnus prendeva possesso del volante. Mise in moto e con una plateale sgommata entrò in carreggiata ad una velocità sicuramente proibita dalla legge. Nonostante fosse alquanto terrorizzata, Emma decise di non lamentarsi: avevano fretta.
«Quando hai preso la patente?» Domandò con fare disinvolto per fare conversazione.
Grazie all'Angelo a quell'ora della notte le strade erano deserte, altrimenti Magnus avrebbe dovuto utilizzare parecchia magia per evitare di scontrarsi con le altre autovetture.
«Non l'ho mai presa.» Rispose lui con un'alzata di spalle. «Ho imparato sul campo.-
«Ah.- Emma deglutì a vuoto, cercando di non pensarci. Guardò fuori dal finestrino il deserto che scorreva velocemente dando pian piano spazio alle prime abitazioni della città.
Improvvisamente venne destata dallo stato di torpore nel quale era piombata da un pensiero folgorante.
«Come hai fatto a trovarci?» Chiese nel panico: erano stati attenti a non seminare tracce; se Magnus li aveva trovati, allora voleva dire che Jem e Tessa erano al corrente della loro missione? Che anche il Convlave sapeva?
«Non avrete creduto sul serio che non abbia inserito un incantesimo di localizzazione su quelle carte di identità false, mi auguro.» Magnus girò a sinistra in una via laterale per evitare un semaforo facendo finire Emma spiaccicata contro la portiera dell'auto. «Non so che cosa stiate tramando voi due, ma dovete stare attenti. I vostri loschi affari devono restare segreti. E quando dico loschi affari mi riferisco a... tutti, tutti i vostri loschi affari. Non so se mi spiego.»
«Non ho la più pallida idea di che cosa tu stia parlando.»
Lo sapeva benissimo invece. Magnus aveva -Quanti? Trecento?- molti anni sulle spalle e pareva un tipo sveglio, di sicuro aveva capito tutto.
«Certo, biscottino, come vuoi tu.»
«Non dirai nulla a Jem e a Tessa, vero?»
Magnus rise. «Ovvio che sono stati informati. Come credi che avrebbero reagito vedendo i ragazzi che amano come dei figli tornare a casa,uno coperto di sangue e l'altra in stato di shock?»
«Io non sono...»
«E' stato proprio Jem a chiamare un Fratello Silente che non farà parola di tutto ciò al Conclave.»
Emma sospirò. Il Conclave sarebbe rimasto all'oscuro, Julian sarebbe guarito, e tutto sarebbe andato bene. Loro sarebbero stati bene.
«E il tuo ragazzo Shadowhunter invece... ci si può fidare di lui?» Stava iniziando ad essere paranoica ma non le importava. In quel momento la cosa più importante era che nessuno venisse a conoscenza che Camille era ancora viva.
«Marito.»
«Cosa?» Emma era confusa.
«Alec è mio marito.» Magnus le sventolò davanti al viso la mano sinistra dove, sull'anulare, spendeva un anello d'oro. La macchina sbandò e per poco non andarono a schiantarsi contro un muro. «Ti prego tieni entrambe le mani sul volante.»
«Queste auto moderne.» Sbottò Magnus. «I cavalli erano così comodi.»
Grazie a Raziel erano quasi arrivati, altrimenti lo shock di Emma sarebbe stato causato dalla guida spericolata dello stregone e non dall'attacco di creature mostruose.
«Quindi?» Lo incalzò Emma, desiderosa di rassicurazioni.
«Dai per scontato che io gliene abbia parlato.»
«Gli hai detto di Camille sì o no?» Sbottò rifacendosi lo chignon che le si era disfatto durante il combattimento.
Magnus stette in silenzio a lungo, testando la pazienza di Emma, poi rispose:«Sì.»
«Sì?» Furiosa, Emma era sull'orlo di un attacco di panico. «Credevo fossi vincolato dal segreto professionale.»
«Calma, Emma. Alec manterrà il segreto. Camille ha già distrutto la nostra relazione una volta, non posso permettere che accada di nuovo.-
Gli occhi di Magnus erano fissi sulla strada, ma Emma sentiva che la sua mente era altrove, persa in un tempo lontano. Aveva l'aspetto di un ragazzo di vent'anni, ma la sua natura ultracentenaria emergeva nei momenti più inaspettati. Sembrava una statua antica scolpita nel marmo.
Emma si prese la testa tra le mani e cercò di stabilizzare il respiro. Si fidava di poche persone nella sua vita, e tra quelle Magnus Bane e Alec Lightwood non erano presenti.
«Come posso essere certa che non mi ingannerai?»
«Non puoi.»
Magnus parcheggiò davanti al vialetto che portava all'Instituto e finalmente la guardò con i suoi grandi occhi felini. «Ero molto amico dei tuoi antenati. TI fidi di Jem Carstairs o di Tessa Gray?»
Emma annuì.
«Ti fidi di Jace e Clary Herondale?»
Emma annuì di nuovo.
«Allora devi fidarti anche di me e dei due giovani Lightwood. Possiamo aiutarti.»
«Ecco qual è il punto.» Scandì Emma lentamente. «Io non voglio essere aiutata.»
Un'ombra oscurò il viso di Magnus. «Mi ricordi una persona.»
«Jace Herondale, lo so. Me lo dicono tutti.» Emma liquidò la questione con la mano.
«Non mi riferivo a quell'Herondale.» Magnus parlò così a bassa voce che Emma non era sicura di aver sentito correttamente.
Non ebbe occasione di chiedergli di ripetere perché un urlo squarciò la quiete della notte. «Emma!»
Tessa spalancò la portiera e la strattonò fuori dall'auto senza troppe cerimonie. Il suo corpo slanciato come quello di una ragazzina era avvolto in una vestaglia azzurro chiaro che le metteva in evidenza gli occhi grigi anche nel bel mezzo della notte. Mentre le poggiava le mani sulle spalle per assicurarsi che stesse bene la sua espressione era deformata dalla preoccupazione. «Cosa diavolo vi è venuto in mente? Siete forse impazziti?-
«Sì, Tessa, sto bene. Grazie per averlo chiesto.» Alzò gli occhi al cielo Emma.
Tessa le fece scorrere le mani lungo le braccia, assicurandosi che fosse tutta intera, poi la strinse in un abbraccio stritola ossa finché non si ricordò di Julian.
«Magnus!» Urlò di nuovo facendo spaventare Emma. «Che ci fai lì impalato? Porta Julian dentro, per l'amor del cielo. Non c'è tempo da perdere. Troverai Jem e Fratello Enoch in infermeria.»
«Sei terrificante quando ti trasformi nella mamma premurosa.» Borbottò Magnus scrollando le spalle e guadagnandosi un'occhiataccia da Tessa.
«Si riprenderà, vero?» Chiese Emma cercando di mantenere il controllo per non far preoccupare ulteriormente Tessa, la quale le sistemò una ciocca di capelli dietro all'orecchio e le passò un braccio attorno alle spalle. «Certo, Emma. Starà benissimo.»

Magnus aveva già portato Julian in infermeria quando entrarono nell'Istituto. Jem e Tessa avevano fatto attenzione a non svegliare i piccoli Blackthorn e soprattutto i Whitelaw. Emma ne fu loro grata: non avrebbe avuto la forza di mentire davanti allo sguardo severo del signor Withelaw.
Salì le scale di corsa e inciampò nei suoi stessi passi. Tessa la aiutò a rimettersi in piedi. «Dove credi di andare?»
Emma si voltò. «In infermeria da Julian.»
Tessa la scrutava con le mani sui fianchi e lo sguardo serio. «Fratello Enoch non ti permetterà di entrare finché non avrà terminato.»
«Vorrà dire che aspetterò davanti alla porta.»
«Emma...» Cominciò Tessa allungando un braccio per avvicinarla come se fosse un animale spaventato.
«E' il mio parabatai.» Sibilò tra i denti lei, con i pugni serrati lungo le braccia. «E' il mio migliore amico e nessuno mi impedirà di stargli vicino in questo momento, neanche tu.»
Era stata molto dura e lo sapeva, ma non le importava. «Tu non hai mai avuto un parabatai.» Continuò impietosa come una freccia scoccata dritta al cuore. «Non puoi capire. Sento qualcosa nel petto, come se mi avessero infilato un pezzo di ghiaccio sotto le costole che mi impedisce di respirare. Non potrei mai andare a dormire in queste condizioni. Riusciresti a vivere senza un pezzo di anima?»
Tessa la guardò, e il suo sguardo era colmo di qualcosa che Emma non si sarebbe mai aspettata: comprensione. Non sapeva come fosse possibile, ma Tessa capiva.
«E' vero, Emma, non ho mai avuto un parabatai e l'Angelo solo sa che cosa significa condividere con qualcuno un tale legame. Però ho amato con tutta me stessa due uomini che sono morti sotto i miei occhi. Ho vissuto la sofferenza di una vita senza le persone a cui ho voluto bene, ed è un destino che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico. Perciò no, non ho intenzione di tenerti lontana da lui.»
Emma si sentì subito in colpa per il modo con cui le aveva parlato. Tessa era una donna da ammirare. Era una donna che, nonostante la maledizione dell'immortalità, non aveva chiuso il suo cuore all'amore aprendolo di conseguenza alla sofferenza. Tessa amava con tutta l'anima, ma questo la portava a soffrire in maniera esponenziale.
«Ti ringrazio.» Esalò sul punto di svenire.
Senza perdere un secondo di più si mise a correre lungo il corridoio, svoltando prima a destra e poi due volte a sinistra finché non si ritrovò davanti a due porte di quercia sigillate. Si lasciò cadere lungo il muro e raccolse le gambe contro il petto, seppellendo la testa nelle ginocchia.
Non seppe per quante tempo stette in quella condizione di transizione tra sogno e realtà, ma ad un certo punto sentì un braccio circondarle le spalle.
Tessa si era seduta al suo fianco e le aveva messo una coperta di lana attorno alle spalle.
«Sei congelata.» Le disse con fare pratico porgendole una tazza di tè bollente.
«Che cosa ci fai qui?»
«Non sei l'unica ad essere preoccupata per Julian.»
Emma la fissò per qualche istante sentendosi una stupida. In quei cinque anni Tessa e Jem non si erano occupati solo del loro addestramento, si erano presi cura di loro.
«Tessa, mi dispiace tanto.»
«Non devi.» La rassicurò lei. «Bevi quell'infuso adesso. Funzionava sempre con lui quando si svegliava la notte in preda al panico.»
Emma bevve un sorso sentendo un sapore dolce-amaro sfiorarle le papille gustative. «Intendi Julian?»
Tessa le poggiò la testa sulla spalla ed Emma capì che non avrebbe aggiunto altro. La dolcezza nel suo tono di voce l'aveva incuriosita, ma non avrebbe insistito oltre. Sospettava si trattasse di uno dei due uomini che aveva amato anni fa. Sapeva che uno era suo zio Jem, il quale a causa di una malattia mortale era stato trasformato in Fratello Silente quando era molto giovane. Ma l'altro chi era? Conosceva zio Jem o Tessa lo aveva incontrato successivamente?
Tessa scosse la testa e sorprendendola rispose. «No, non mi riferivo a lui.»
«E a chi allora?» Emma si rigirò la tazza bollente tra le mani, in attesa.
«Parlavo del mio Will.»
Il nome non le ricordava nulla. «Chi è Will?»
Tessa alzò il capo e la guardò negli occhi. La sua voce tremò quando parlò di nuovo. Era così vicino che Emma riusciva a scorgere le rughe di tristezza che le solcavano la fronte. «William Herondale.» La sua voce era un sussurro, come se le stesse confidando un terribile segreto. «Il parabatai di Jem.»






NOTE DELL'AUTRICE
Sono. In. Ritardo.
Sono pessima, lo so! Scusatemi TANTISSIMO! Ma tra la scuola e il resto sono stata davvero impegnatissima! Dovrei aggiornare anche l'altra long, ma.. Zero tempo! Inoltre il capitolo non è soddisfacente, ma prometto che con il prossimo -che arriverà presto, lo giuro- mi farò perdonare.
Se ci siete ancora vi adoro, davvero. Grazie mille per tutto, per leggere e per le recensioni.
Un bacio,
Francesca

 

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciannove. ***


Capitolo Diciannove


Emma sapeva che Jem aveva avuto un parabatai e che di lui restava solo una cicatrice bianca a ricordare dove un tempo era stato legato ad una persona che conosceva tutte le parti della sua anima. Talvolta vedeva Jem adombrato da un leggero velo di tristezza e non era mai riuscita a comprendere il perché fino a quel momento. Il giorno della cerimonia durante la quale lei e Julian erano diventati parabatai, o ogni volta che li vedeva combattere assieme doveva essere come un coltello rigirato in un'antica ferita per lui. Vivere sotto lo stesso tetto di due persone che condividevano lo stesso legame che ti aveva accomunato ad una persona che ora non c'era più non doveva essere facile.
Scoprire che quello che era stato il parabatai di Jem era stato anche l'uomo amato da Tessa la lasciò perplessa. «Tuo marito era il parabatai di zio Jem.» Disse, assimilando l'idea. «E tu ora hai sposato Jem.»
Tessa sospirò. «Esatto. Non pretendo che tu capisca, Emma, ma il nostro non era un amore unidirezionale: ci siamo amati tutti e tre indistintamente e non c'è giorno in cui Jem ed io non sentiamo la mancanza di Will, così come non c'è giorno in cui Will ed io non abbiamo sentito la mancanza di Jem quando è diventato un Fratello Silente.»
Emma davanti alla sua forza d'animo chinò leggermente il capo. Tessa aveva visto morire Will sotto i propri occhi, aveva perso Jem quando era molto giovane, e ora aveva deciso di riaprirgli il proprio cuore. Nonostante fosse a conoscenza del loro destino mortale Tessa li amava tutti moltissimo. Improvvisamente Emma si sentì in dovere di consolarla o di farle semplicemente capire che non la giudicava. Le prese una mano e gliela strinse.
«Will era... complicato.» Disse Tessa con una risata roca. «Incredibilmente testardo e imprudente, ma amava come pochi riescono ad amare. Ha sofferto tanto durante l'adolescenza, ma credo che tutto sommato la sua vita si sia conclusa con gioia.»
«Era uno Shadowhunter.» Fece Emma con una punta di amarezza nella voce. «La sofferenza fa parte della nostra vita.»
«Già, a volte tendo a dimenticarlo.»
«Tempraci nel fuoco e diventiamo più forti. Quando soffriamo, sopravviviamo.» Emma ricordò le parole del padre con un sospiro.
Tessa si accigliò. «Forse hai ragione. Dopotutto siete stati addestrati per questo, ma a volte è dura da accettare.»
Stettero in silenzio per un lasso di tempo indefinibile, cullate dal suono regolare dei loro respiri. Più passava il tempo e più il panico si impossessava di Emma. Cercò di calmarsi e di non mostrare la propria preoccupazione, pensando che se Julian fosse morto lei lo avrebbe percepito. Se fosse stato sospeso sul baratro lei lo avrebbe saputo.
«Tessa, cosa faccio se muore?» Si ritrovò a mugugnare ad un certo punto non riuscendo più a tenere a bada le proprie emozioni.
«Non succederà.» Tentò di rassicurarla l'altra. Le sistemò la coperta sulle spalle e la strinse a sé pettinandole i capelli.
«Non so se sarei in grado di sopravvivere senza di lui come tu hai fatto con Will.»
«Lo amavo tanto.» Sussurrò impercettibilmente Tessa. «E se n'è andato davanti ai miei occhi. Non era il mio parabatai, questo lo so, ma mi piace pensare che la sua anima fosse divisa tra me e Jem, così come il mio cuore appartiene ad entrambi. Vivere senza un pezzo di anima non è impossibile, Emma. E' solo tremendamente difficile.»
Emma non capiva se si sentiva meglio o peggio, ma in quel momento la porta si spalancò alle loro spalle troncando la sua agitazione. Sulla soglia stava Jem. Reggeva tra le mani una stregaluce che sprigionava raggi di luce sul suo viso, rendendolo quasi spettrale. Alla sua vista Emma si tirò su di scatto e la coperta le scivolò dalle spalle finendo abbandonata al suolo.
«Come sta?» Chiese, con la voce che grattava come carta vetrata.
«Sì riprenderà.» Jem le mise entrambe le mani sulle spalle. «Ora non è tempo per le spiegazioni. Va' da lui e non abbandonare il suo fianco fino a quando non si risveglierà: ha bisogno di tutta l'energia che riesci a dargli.»
«Io... Mi dispiace.» Disperata, Emma abbracciò Jem. «Mi dispiace così tanto, è stata tutta colpa mia.»
Jem le diede piccole pacche sulla spalla. «E' passato. Non ha senso stare qui ad assegnare le colpe. Domani mattina ci spiegherete tutto.»
Emma si sentì male al pensiero di mentire ancora.
«Certo.» Sorrise, senza il minimo accenno di allegria.
In fin dei conti non importava cosa faceva lei. La cosa importante era non coinvolgere mai più Julian in quella battaglia che era solo sua.
«Ora va', Emma. Julian ti sta aspettando.» Disse Tessa che era rimasta in silenzio fino a quel momento.
Non se lo fece ripetere.
Entrò nell'infermeria e, una volta avvistato il letto di Julian in fondo al corridoio, si precipitò verso di lui. Non badò all'odore di disinfettante misto a sangue che impregnava l'aria, e nemmeno a Fratello Enoch al fianco del suo parabatai.
Ciao, Emma.
La voce metallica le rimbombò nella mente facendola bloccare sul posto, a pochi metri da Julian.
«Ciao.» Rispose. «Grazie per averlo curato, io...»
Non devi ringraziarmi. E' mio dovere e grande piacere servire i figli dell'Angelo. E' importante che tu gli resti vicino: sei il suo parabatai.
Emma annuì per indicare che aveva capito. Non ci sarebbe stato alcun problema. Nessuno l'avrebbe spostata da lì, nemmeno la più tremenda delle catastrofi.
Fratello Enoch abbassò lievemente il capo in segno di congedo e se ne andò, silenzioso come un fantasma.
Emma si avvicinò al letto di Julian e si premette una mano sulla bocca per non urlare. Il suo viso era della stessa tonalità delle lenzuola bianche e i suoi capelli sembravano più scuri del normale. Le labbra esangui che solo qualche ora prima aveva baciato spiccavano violacee su quel volto sciupato che di solito era splendente come il sole.
Un leggero movimento del petto catturò l'attenzione di Emma. Si alzava e abbassava regolarmente.
Julian stava respirando.
Julian era vivo.
Ma avrebbe potuto morire. Ed era tutta colpa sua.
Quando trovò la forza per muoversi si stese al suo fianco, sul letto, sentendosi intorpidita. Improvvisamente il peso di tutte le botte e le ferite ricevute in battaglia si riversò su di lei, insieme al senso di colpa ed impotenza.
Poggiò il capo nell'incavo del collo di Julian, traendo un leggero conforto dal battito regolare del suo cuore. Stese un braccio sul suo torace e si strinse di più a lui, come se lei sola potesse proteggerlo da tutto il male del mondo. Si addormentò non appena chiuse gli occhi, cullata dal respiro di Julian leggero come una carezza.

Le mancava l'aria.
Qualcuno la stava soffocando.
Aprì gli occhi e si ritrovò schiacciata contro il petto di Julian. Lui le teneva una mano sul capo e l'altra sulla schiena, stringendola stretta.
«Jules.» Tossicchiò. «Così non respiro.»
Lui allentò la presa continuando a tenerla tra le braccia. La guardò negli occhi. «Grazie a Raziel stai bene.»
«Grazie a Raziel tu stai bene.» Fece notare in modo eloquente lei. Gli circondò il viso con le mani e avvicinò il proprio volto al suo. «Non farlo mai più, intesi?»
«La prossima volta dirò ai Cavalieri del Popolo Fatato di non infilzarmi perché altrimenti la mia parabatai potrebbe preoccuparsi.» Disse Julian, facendola ridere.
«Non devono azzardarsi a farti di nuovo del male, altrimenti darò loro la caccia e li ridurrò in pezzettini con le mie mani.» Replicò tornando seria. «E lo stesso vale per te: se ti azzardi di nuovo a farmi stare così in pensiero, ti uccido.»
Julian alzò gli occhi al cielo divertito. Poi sfregò il naso contro quello di Emma e ci posò un leggero bacio. «Ti voglio bene anche io.»
Emma lo guardò per qualche istante. Aveva riacquistato colore: le sue guance erano tinte di un'adorabile tonalità di rosa chiaro, mentre le labbra stavano tornando del loro tipico rosso fragola. Gli scostò i capelli dalla fronte e rimirò i suoi meravigliosi occhi azzurri per un tempo indefinito. Julian la guardava con pari intensità, ed Emma avrebbe dato qualsiasi cosa per poter conoscere i suoi pensieri.
«Che cos'è successo quando ho perso i sensi?» Domandò lui spezzando l'atmosfera come carta velina. «Come hai fatto a tirarci fuori da quella situazione?»
Emma sospirò. «Magnus Bane.»
«Quel Magnus Bane?» Julian alzò un sopracciglio, stupito quanto lei.
«Esattamente. Aveva lanciato un incantesimo sulle carte di identità false così che potesse rintracciarci. Grazie al cielo lo ha fatto.»
«Quindi è a conoscenza di tutto?»
«Tutto.» Annuì Emma. «Tutto, tranne Mark.»
Julian si incupì, un'ombra scura calò sul suo viso. Si chiuse in un ostinato silenzio, senza la minima intenzione di proferir parola.
«Lo so, Jules.» Sussurrò lei. «Lo so. Hanno detto che era non c'era speranza di riportarlo indietro...»
«Non ci credo.» Tagliò corto lui.
La sua voce non era più forte di un sospiro che le sfiorava la pelle. Erano talmente vicini da condividere lo stesso respiro. Talmente vicini che se solo Emma avesse spostato di pochi centimetri la testa avrebbe potuto baciarlo. Di nuovo. Il pensiero del bacio che gli aveva rubato quando era incosciente la fece arrossire pericolosamente.
«Ti prometto che una volta risolta la questione con Camille troveremo un modo per riportare Mark indietro.»
Julian non rispose, si limitò ad attirarla più a sé per abbracciarla. «Quando sono svenuto la mia unica preoccupazione eri tu.» Parlava all'altezza dell'orecchio di Emma, sfiorandole i capelli con le labbra. «Non sapevo come avresti fatto ad uscirne da sola. Poi mi sono svegliato e anche in quel momento il mio primo pensiero sei stata tu. Quando ti ho vista al mio fianco, Emma, non so descriverti la sensazione di sollievo che ho provato.»
Il cuore di Emma batteva all'impazzata. «Ne so qualcosa anche io, Jules.» Borbottò contro il suo petto. «Ti ricordo che per un attimo ho creduto che fossi morto.»
«A proposito.» Il suo tono di voce era incerto, come se non volesse parlarne ma si sentisse in qualche modo costretto. «Ho un vago ricordo di quando ero senza sensi.»
Merda.
Emma voleva scappare, ma era imprigionata tra le braccia di Julian senza via di fuga. Non poteva ricordarselo. Era sospeso tra la vita e la morte, per Raziel.
«La tua voce, Em.» Continuò lui. «Ma non ricordo esattamente che cosa mi stessi dicendo. Di tenere duro e di non lasciarti, suppongo. Ciò che so è che è stata la tua voce a tenermi in vita, di questo sono sicuro.»
Emma si rilasso impercettibilmente, profondamente toccata da quelle parole. Lui le posò un leggero bacio tra i capelli e l'attirò di più a se, se era possibile.
«Ammetti che sono state le minacce.» Tentò di alleggerire la tensione. «Se te ne fossi andato così mi sarei fatta uccidere anche io per poi perseguitarti in paradiso. O all'inferno. O ovunque finiremo dopo la morte.»
Sentì rimbombare la risata di Julian nel suo torace. «Sì, lo ammetto. Sono state quelle a convincermi.»
In quel momento la porta si spalancò con un tonfo facendo scattare Emma. Si tirò su a sedere come una molla.
Lei e Julian non stavano facendo nulla di male e la sua reazione era stata esagerata. Sulla soglia stavano infatti Tessa e Jem che li guardavano con sguardi incuriositi.
«Julian, è meraviglioso vedere che stai meglio.» Tessa si avvicinò e gli posò un bacio sulla guancia. «Ancora un po' pallido ma ci lavoreremo su.»
«Come ti senti questa mattina?» Chiese Jem con il tono di voce leggero che lo contraddistingueva.
«Meglio, anche se mi fa male tutto.» Julian si portò una mano al fianco con una smorfia.
Emma si diede della stupida. Prima Julian l'aveva stretta come se volesse fonderla dentro di sé e lei lo aveva abbracciato con altrettanta forza, senza pensare di poter fargli del male.
«Era un brutto veleno.» Concordò Jem. «Ti ci vorrà del tempo per riprenderti del tutto.»
«E' stato un bene che Magnus vi abbia trovato. Non ha voluto dirci come mai si trovasse fuori a quell'ora, ci ha detto di chiedere a voi.» Tessa si sedette sul lato del letto e li guardò con i suoi intensi occhi grigi. «Si può sapere che cos'è successo?»
«Niente.» Rispose subito Emma. «Eravamo fuori e ci hanno attaccato.»
Jem corrugò le sopracciglia. «Come mai avete deciso di uscire il giorno dopo il ballo? Sareste dovuti restare qui all'Istituto a festeggiare con tutti gli altri.»
«E' stata colpa mia.» Julian sostenne lo sguardo allibito che sia Tessa che Jem gli rivolsero. «Volevo andare a caccia e abbiamo pensato di stanare alcuni demoni idra nelle grotte a est.»
Emma scosse la testa convinta. «Non è vero.»
Odiava questa mania di Julian di assumersi sempre la responsabilità dei suoi sbagli. Sin da quando erano piccoli Julian si prendeva la colpa per tutte le loro bravate, sostenendo che lui, avendo molti fratelli, non sarebbe stato punito troppo severamente come invece Emma che era figlia unica. «Lui non voleva venire con me, è stata una mia idea.»
«Non importa chi ha avuto l'idea.» Jem, paziente, incrociò le braccia al petto. «Vogliamo sapere cosa ci facevate là fuori a quell'ora della notte.»
«Ve l'ho detto. Stavamo cacciando e abbiamo fatto tardi.» Ribadì Julian con aria di sfida.
Jem guardò Emma in attesa di conferma. «E' andata così?»
«Sì.» Rispose lei a denti stretti senza incrociare il suo sguardo. «E un demone superiore ci ha attaccato.»
«Come ha fatto Magnus a trovarvi?» Domandò Tessa.
Emma saltò giù dal letto e si stiracchio con fare casuale. «Non ne ho idea.» Disse con finto tono annoiato. «Probabilmente non aveva niente di meglio da fare.»
Tessa e Jem si rivolsero un'occhiata preoccupata per niente convinti: era chiaro come il sole d'estate che non le credevano.
«Cloe era preoccupata per te, Jules.» Disse infine Tessa. «Sarà meglio che la informi che stai bene così può venire a salutarti.»
Emma alzò gli occhi al cielo. «Vado a fare un giro.»
«Dove credi di andare?» La ammonì Jem afferrandola per un braccio. «Fratello Enoch è nel mio ufficio ed è pronto a darti un'occhiata.»
«Sto bene!»
«Non stai bene, Emma.» Gli occhi di Jem erano freddi come poche volte prima li aveva visti. «Sei piena di lividi ed escoriazioni. Lascia almeno che ti faccia un iratze.»
«D'accordo.» Sbottò lei alzano la manica sinistra e porgendogli il polso.
Fino a quel momento non si era accorta del dolore pungente che le attraversava le ossa, ma quando Jem le disegnò la runa di guarigione sull'avambraccio una sensazione di calore si impossessò di lei. Si sentiva già meglio.
«Posso andare ora?»
Jem annuì mesto, ormai rassegnato: con Emma c'era poco da fare.

Dopo essersi fatta una doccia e dopo aver indossato un paio di jeans e una felpa leggeri, Emma si diresse in spiaggia.
Voleva stare da sola. L'Istituto era ancora pieno di ospiti, la maggior parte dei quali sarebbe restata fino a capodanno, e non voleva imbattersi in nessuno. Non le andava di raccontare di nuovo le loro avventure della notte precedente. Era stufa di mentire.
Stava seduta a qualche metro dalla riva del mare. Le onde alte si infrangevano sulla sabbia impetuose e schizzi di acqua salata le bagnavano il viso.
Era una giornata uggiosa e il mare non aveva la tonalità degli occhi di Julian. Era di un blu intenso, minaccioso, lo stesso colore degli occhi di Alec Lightwood, ora che ci pensava.
«Emma!» La salutò una voce alle sue spalle.
Prima che potesse voltarsi, Isabelle Lightwood le si era seduta di fianco a gambe incrociate. I suoi lunghi capelli neri erano intrecciati abilmente sul capo e la sua frusta di electro le brillava sul braccio come una cascata di braccialetti dorati.
«Ciao.» La salutò incerta Emma.
«Ti ricordi di me?» Le chiese la ragazza senza il minimo imbarazzo.
«Sì, certo. L'altro giorno...»
«No, non mi riferivo a quello. Ti ricordi cinque anni fa? Sei entrata in camera mia da una finestra, a Idris.»
Emma ricordava. Si era arrampicata sul tetto della casa dell'inquisitore per raggiungere Clary e Jace e per dir loro tutto ciò che sapeva su Sebastian. Isabelle ed Alec -e il diurno, che ora non era più diurno, Simon Lewis- erano i loro migliori amici e si trovavano quindi con loro.
Annuì in silenzio.
«Non ho mai avuto occasione di ringraziarti di persona.» Rifletté Isabelle tra sé e sé. «Ma so che Clary ti telefona spesso.»
«Sì, Clary è mia amica.» Rispose Emma sinceramente, poi aggrottò la fronte. «Non l'ho ancora vista, a proposito.»
«Uhm.» Isabelle scrollò le spalle con aria annoiata. «Non si sentiva bene l'altra sera ed è scappata in camera sua molto presto.»
Isabelle si sdraiò sulla sabbia fredda appoggiandosi sui gomiti così che potesse continuare a guardare Emma. «Ieri vi abbiamo cercati dappertutto.»
Emma si rabbuiò. Ecco perché era venuta a parlare con lei, non certo per ringraziarla di un favore che le aveva fatto anni addietro.
«Eravamo solo usciti a caccia.»
«Lo eravate?» Isabelle era seria, i suoi occhi così scuri da sembrare neri come pozzi di petrolio. «Nessuno si è preoccupato fino a quando non vi abbiamo visto rientrare per cena. Allora Magnus ha detto che se ne sarebbe occupato lui.» Si scostò una ciocca di capelli dal volto. «A quanto pare lo ha fatto, visto che siete ancora vivi.»
«Sì, be', non era necessario. Ce la saremmo cavati anche da soli in qualche modo.» Mentì Emma prontamente, abbozzando figure geometriche sulla sabbia.
«Dico sempre che somigli a Jace alla tua età...»
«Lo dicono tutti.» La interruppe Emma a bassa voce.
«Ma non penso sia poi così vero.»Continuò Isabelle, ignorandola. «Mi ricordi più me stessa.»
Emma bloccò il dito nella sabbia, lasciando a metà un cerchio che stava disegnando. Alzò lo sguardo e guardò l'altra ragazza confusa. «Davvero?»
«Già. Jace non pensava alle conseguenze, agiva e basta. Era seriamente convinto di non aver bisogno di nessuno, che potesse farcela da solo. Tu sai che non è così: sai di avere bisogno degli altri, semplicemente non vuoi il loro aiuto.» Isabelle si girò verso di lei per poterla studiare più a fondo. «Ecco perché alla fine Julian è sempre con te, perché nel profondo sai di avere bisogno di lui. Quando si trattava di intraprendere qualche impresa suicida Jace tentava sempre di escludere Alec e me, mandando in bestia mio fratello. Poi finalmente ha capito che i suoi tentativi erano vani e ha lasciato perdere.»
«Forse io l'ho semplicemente capito prima di lui.» Disse Emma piano.
«No.» Isabelle scosse la testa. «Tu lo sai e lo sapevi anche quella notte ad Idris, quando tutto ciò che volevi era buttarti nella battaglia e quando non lo hai fatto per stare vicino a Julian. Sapevi di avere bisogno di lui, non è forse così?»
Emma aggrottò le sopracciglia. «Come fai a...»
«Jem ce ne ha parlato. Era convinto che foste già parabatai.» Isabelle sventolò una mano per aria e continuò. «Il punto è che tu sei come me. Dai l'impressione di agire in modo sconsiderato ma ogni tua azione è perfettamente calcolata. Ogni sguardo da dura, ogni emozione soppressa, tutto, è tutto programmato. E scommetto che non ti fidi di nessuno, nemmeno di me.»
Emma meditò molto sulla risposta da darle. No, non si fidava di Isabelle Lightwood, ma questo non significava che non avrebbe potuto provarci. Dopotutto lei e Clary erano molto amiche e i Lightwood erano la famiglia di Jace.
«Non c'è niente di male, se non ti fidi.» Il tono della Shadowhunter non era accusatorio. Diretto e conciso, arrivava dritto al punto. «A volte è un bene, ma altre... hai bisogno di rinforzi, devi solo sperare che questi non ti tradiscano.»
«Ti ha mandato Magnus.» Non era una domanda. Improvvisamente tutti i tasselli del puzzle andarono al loro posto. «Magnus ti ha raccontato tutto e ora sei venuta qui per cercare di convincermi a fidarmi di te, non è così?»
Isabelle si mise a sedere con la schiena dritta e alzò le spalle. «Sì e no. Mi ha spiegato che cos'è successo ieri notte e mi ha parlato anche di tu sia chi, ma è stata una mia decisione quella di venire qui adesso.»
Emma batté un pugno sulla sabbia contrariata. «Chi altri ne è a conoscenza?»
Isabelle non parve miniamene turbata da quello scatto d'ira e continuò ad ispezionarsi le unghie laccate di rosso con estrema circospezione. «Ovviamente Alec, non c'è niente che Magnus gli tenga nascosto. E dato che lo sa Alec lo sa anche Jace, e dato che lo sa Jace lo sa anche Clary, e dato che lo so io lo sa anche Simon.»
«Fantastico.» Emma dovette prendere un grosso respiro per non mettersi ad urlare. «Perché non lo diciamo direttamente al Conclave, eh! O anzi, all'inquisitore, dato che è vostro padre.»
«Già, nostro padre...» Disse Isabelle diventando improvvisamente seria. «Non puoi scegliere la tua famiglia. La mia lealtà va a chi se la merita, e lui di sicuro non è tra questi.»
Emma si chiese che cosa fosse successo tra il signor Lightwood e i propri figli per poter incrinare il loro rapporto in maniera tanto indelebile. Avrebbe desiderato chiederlo ad Isabelle, magari cercare di consolarla, ma non sapeva consolare nemmeno se stessa, come avrebbe potuto farlo con qualcun altro? Poi si ricordò che non erano ragazze normali. Lei ed Isabelle erano Shadowhunters, erano guerriere: non avevano bisogno di conforto.
«Non posso più coinvolgere nessuno in questa storia. Julian... Dio, non avrei mai dovuto parlargliene.»
«Se Camille è ancora viva vogliamo dare una mano. E' il nostro lavoro, e promettiamo di non farne parola con il Conclave: lo giuriamo sull'Angelo.»
«Non posso credere che ve lo abbia detto sul serio.» Mugugnò Emma prendendosi la testa tra le mani. «Maledetto stregone. Segreto professionale, certo come no!»
Isabelle rise, e la sua risata era cristalline come l'acqua. «E' terribilmente irritante, lo so. Ma vedrai, lo ringrazierai prima o poi.»
«Come avete intenzione di collaborare, sentiamo.»
«Magnus è un, uhm, amico di vecchia data di Camille. Tenterà di mettersi in contatto con lei.» Spiegò pratica Isabelle ad Emma, che invece la guardava con aria di sfida. «Poi agiremo come si agisce in guerra: aspetteremo la sua prossima mossa e decideremo di conseguenza come procedere.»
La sua mente continuava ad inviarle un messaggio preciso troppe persone coinvolte. «D'accordo.» Sputò fuori in fine. «Tanto suppongo di non poter fare proprio un bel niente per fermarvi.»
Isabelle sorrise angelicamente. «Esattamente.»
Emma fece per alzarsi in piedi, ma l'altra la bloccò afferrandole la mano. «Ehi, aspetta.»
Isabelle armeggiò con i fermagli che le tenevano legati i capelli sciogliendoli sulle spalle. «Ecco, ogni ragazza che si rispetti deve possedere qualcosa fatto di electro.» Le porse un pugnale la cui lama era intrisa di fili argentei e dorati.
«Non ne avevo mai visto uno.» Rispose Emma con occhi spalancati. Prese l'arma e se la rigirò tra le mani come se fosse un tesoro prezioso.
«Sono molto rari infatti. Ma è tuo ora, tienilo.»
«Non so se dovrei...»
«Sciocchezze!» Isabelle si tirò in piedi e si spazzolò i pantaloni con gesti aggraziati. «Voglio che lo abbia tu, sul serio.»
«Grazie.» Borbottò grattandosi il capo. Si era sollevato un vento freddo che le faceva andare i capelli davanti al viso e la sabbia negli occhi. Intravedeva Isabelle di fronte a lei ergersi bellissima anche in mezzo alle intemperie, e si chiese come fosse possibile apparire contemporaneamente così eterea e così letale.
«Quasi dimenticavo! Ho incontrato una dei fratelli Blackthorn mentre venivo qui -ma quanti sono?- e mi ha detto di dirti che non appena ti avrebbe trovata ti avrebbe uccisa con le sue mani. Oh, ma non preoccuparti.» Aggiunse poi Isabelle quando notò la faccia spaventata di Emma. «Sono sicura che non facesse sul serio.»
Non c'era nulla di cui stare tranquilli invece. Si trattava di sicuro di Livvy e, conoscendola, faceva sul serio. Faceva sul serio eccome. 

NOTE DELL'AUTRICE
Come promesso ecco qui il nuovo capitolo!
Spero che vi piaccia.
Ho sempre immaginato un dialogo del genere tra Izzy ed Emma perché le vedo molto affini tra di loro. Cassie dice sempre che Emma è un Jace al femminile, ma secondo me, proprio perché ciascuno di noi è diverso e ha un proprio carattere particolare, Emma è simile sia a Jace che a Izzy. Un giusto mix, ecco. 
Ditemi che cosa ne pensate. :)
Grazie mille per leggere la mia storia e per le recensioni, le apprezzo tantissimo! Grazie infinite.
Alla prossima,
Francesca

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