Storie di pirati- La Regina dei mari

di Kira Nikolaevic
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** UNO-Il capitano. ***
Capitolo 2: *** DUE-"Padre..." ***
Capitolo 3: *** TRE-Londra. ***
Capitolo 4: *** QUATTRO-"Di nuovo a casa" ***



Capitolo 1
*** UNO-Il capitano. ***


Uno
-
Il capitano.

Era seduta in cima al bompresso*, a prua, con le gambe penzoloni a sfiorare la civada*, il vento le sferzava il viso, portando con sé il profumo salmastro del mare. Ripensava all’incubo che l’aveva tenuta sveglia tutta la notte, frammenti di ricordi di dieci anni prima. Accolse l’alba con gli occhi arrossati ma l’animo calmo, grazie al mare ed al suo frangersi sulla prua della nave.
Rimase lì, a godersi il calore del sole che col passare dei minuti si alzava dal mare, all’orizzonte.
Dopo qualche ora, intorno alle sette della mattina, sentì una voce chiamarla dal ponte “Ehi! Ragazzina! Nimue!” si trattava di Steven, il braccio destro del capitano della nave, il suo luogotenente.
Si girò verso l’uomo. “Si? Che c’è Steven?” disse con quel suo leggero accento francese.
“Il capitano ti vuole nella sua cabina. Ha detto che vuole parlarti.” disse l’uomo. La benda su un occhio e il dente d’oro a luccicare mentre parlava.
“Va bene. Arrivo.”
Si rimise in piedi e percorse a ritroso il bompresso camminando veloce, mantenendo un equilibrio impeccabile, per poi saltare giù, atterrando con grazia e leggerezza sul ponte e correre veloce come il vento verso la cabina del capitano, che si trovava a poppa. Steven rimase lì ad osservarla quasi come incantato dai movimenti della ragazza.  Accidenti! Più cresce, più diventa bella... pensò tra sé e sé grattandosi la barba ormai grigia.
 
Arrivata di fronte alla porta della cabina, con un leggerissimo affanno, dovuto non solo alla piccola corsa che aveva fatto per attraversare il ponte per intero, bussò delicatamente, aspettando il permesso per poter entrare. Permesso che non tardò ad arrivare. “Avanti.” sentì dire cordiale a Simon, il capitano. Al solo sentire la sua voce arrossì, prendendo il colore del corsetto che indossava.
Entrò tormentando con le mani il ciondolo in ambra appartenuto a sua madre che teneva al collo.
“Steven mi ha detto che volevi parlarmi.” Il capitano era in piedi, appoggiato da dietro sul tavolo in legno di quercia, con le braccia incrociate sul petto, indossava una camicia bianca in lino, che gli lasciava il petto leggermente scoperto. I capelli scuri leggermente lunghi, con qualche ciuffo ribelle che sfuggiva al nastro in raso nero con cui li teneva legati, ancora un po’ scompigliati dal cuscino. Cielo... com’è bello...  ma non poteva e non doveva pensare a quello, in quel momento.
“Si. Ho deciso di farti un regalo, diciamo”
“Ovvero? Non fare il vago con me, Simon.”
“Affatto. Si sta avvicinando l’anniversario della morte di tua madre, quindi, andremo in Inghilterra perché tu possa far visita alla sua tomba” appena finì di parlare, fissò i suoi occhi neri in quelli blu mare della ragazza. Erano lucidi, sapeva che lei era al colmo della felicità. Vi vide passare una luce guizzante: un pensiero, che anticipò immediatamente.
“Ti ricordi quali sono i patti, Nim?” quella luce nei suoi bellissimi occhi sparì così com’era giunta.
“Certo. Per chi mi hai presa? La mantengo la parola data, io.”
“Andiamo, cara la mia piccola Nim. Ce l’hai ancora per quella storia di dieci anni fa?”
“Ovvio che ce l’ho ancora, Simon! Ero una bambina! Avevo solo otto anni e mi ero fidata di te e delle tue parole del cavolo dette al vento!” gli urlò in faccia con le lacrime agli occhi, la voce tremante di rabbia e dolore. Ecco. Ho fatto la mia. Si scostò dal tavolo su cui teneva le carte nautiche delle rotte e tutti i suoi strumenti di navigazione, e le si avvicinò per abbracciarla.
Da prima, Nimue cercò di divincolarsi da quelle braccia che la tenevano stretta al suo petto ampio, ma poi, la ragazza, calmatasi, rimase immobile tra le sue braccia. Nessun singhiozzo a farle tremare il corpo leggermente robusto ma agile e scattante.
Stettero così per una manciata di secondi e come lei si scostò, Simon vide che non aveva più gli occhi lucidi o arrossati, al contrario, erano vivaci e sorridenti come sempre e le labbra erano piegate in un meraviglioso sorriso di riconoscenza.
“Ti ringrazio, capitano.” disse. Non più un tremito nella voce.
 
Prima di uscire dalla cabina, Nimue, gli lasciò un leggero bacio sulla guancia. Poi si diresse veloce e leggera come la brezza marina verso la porta della cabina, uscendo, infine, sul ponte.
Restò a fissare la porta della sua cabina da cui era uscita Nimue. La mano posata delicatamente sul punto in cui le sue labbra si erano poggiate. La mente ad inseguire gli avvenimenti accaduti quel giorno di dieci anni prima e agli anni passati vedendo crescere Nimue, la sua Nimue. Non la riteneva un “bottino” né mai l’aveva considerata tale. Più che altro la vedeva come una sorella minore oppure, più utopicamente, una figlia, in fondo, quel giorno lui aveva ventiquattro anni.  Si ritrovò a pensare che tutto sommato, Nimue, era diventata una gran bella ragazza: il viso pareva esser di porcellana, nonostante la pelle leggermente abbronzata. Gli occhi grandi erano dello stesso colore del mare che lui tanto amava. Le labbra erano piene e carnose, e rosse. Per non parlare del suo corpo: il seno abbastanza grande e sodo e le altre curve erano tutte al posto giusto. Era di corporatura robusta, ma ciò non le impediva di muoversi agile e scattante tra cime e sartiame vario, anzi sembrava la avvantaggiasse. Con gli anni aveva appreso quasi alla perfezione, grazie a Steven e a qualcun altro della ciurma, le varie tecniche di combattimento: sapeva tirar di spada, con pistola e fucile riusciva a centrare in pieno un boccale o qualsiasi oggetto, anche piccolo, con una mira impeccabile. Non era altrettanto brava, però nei combattimenti corpo a corpo: darle sapeva darle, e riusciva ad incassare piuttosto bene i vari colpi, ma non riusciva a misurare a modo la forza con cui sferrava i sui colpi.

***
 
Nimue, intanto, una volta uscita sul ponte, si era diretta verso l’albero maestro, sul quale si era arrampicata, destreggiandosi tra cime e sartie. Una volta giunta sul nido di corvo*, da cui poteva scorgere il mare e l’orizzonte, alla fine di esso, si ritrovò a pensare al capitano e su cosa sapeva veramente di lui: Simon Avery, trentaquattro anni. Capitano della Regina dei mari da dieci anni. Lo era appena diventato quando lui aveva attaccato la nave di suo padre, solo qualche mese prima, la ciurma lo aveva votato tale.
Era un ragazzo molto autorevole e carismatico, tanto che nemmeno una parola detta alla sua ciurma diventava vana. Con lei era sempre stato gentile e disponibile, qualche volta anche affettuoso, come se lei fosse stata una sorella minore per lui.
Crescendo e maturando, Nimue, pian piano aveva iniziato ad infatuarsi di quel ragazzo dal cuore gentile e dal carattere autorevole che era il capitano.
 
 
 
 
Dieci anni prima...
14 dicembre 1685
 “Padre! A chi appartiene quella nave?” aveva chiesto allarmata dall’andirivieni che s’era creato sul ponte della nave su cui stavano viaggiando.
“Nimue, bambina mia! Ascoltami bene: adesso Thomas ti porterà via.” le aveva detto l’uomo agitato e preoccupato.
In quel momento l’enorme galeone si era affiancato alla loro nave e, tirati fuori i cannoni, aveva fatto fuoco sul fianco destro della nave su cui si trovavano e, aiutati da cime e passerelle di legno, degli uomini armati fino ai denti, avevano preso ad uccidere chiunque si trovasse sul loro percorso, sparando, tagliando, infilzando. Tutto intorno a lei si era tramutato, nel giro di pochi secondi, in un inferno. Ad un certo punto, suo padre cacciò un urlo di dolore che chiuse subito tra i denti. “Padre!” “Tranquilla, piccola. Sto bene...” “Ma vi hanno sparato!” aveva detto in preda al panico  nel vedere grondare di sangue il fianco del padre, che stava pian piano cambiando colore per la perdita di troppo sangue. “Tranquilla... È solo un graffietto, non mi hanno fatto nulla in realtà, piccola mia.” ma proprio in quel momento si era accasciato a terra emettendo un gemito strozzato.
L’inferno, di colpo era cessato, facendo calare un silenzio tombale. Attorno a lei solo i corpi senza vita degli uomini dell’equipaggio della nave di suo padre e quegli uomini che li avevano attaccati senza apparente motivo che si avvicinavano sempre di più a lei e a suo padre con fare minaccioso. Poi una voce perentoria ma giovane. Dal fumo proveniente dai piccoli incendi che erano nati nella stiva della nave a causa dei colpi di cannone, venne fuori una figura indistinta, Nimue ne percepì i contorni e i dettagli solo quando era ad un paio di metri da loro. Era un giovane molto bello, più grande di lei. Sembrava avesse l’età di Thomas, il maggiordomo di suo padre che l’avrebbe dovuta accompagnare nella fuga verso Londra, morto anche lui, disteso a terra a pochi passi da lei. Gli occhi sbarrati in un urlo di dolore e un buco in testa.
“Sto cercando Guillaume Bonnefoi.” aveva sentenziato con un tono di voce vittorioso.
“Sono io.” aveva risposto suo padre tra un rantolo e l’altro, resistendo a stento al dolore che gli provocava la ferita all’addome, cercando di alzarsi con non poca fatica.
“La tua nave, adesso è mia. E con lei tutto ciò che vi si trova sopra”
“Prendetevi tutto quello che volete. Ma provate a toccare mia figlia e...” in quel momento cadde a terra. Era talmente pallido che Nimue lo aveva creduto morto. “Padre!” aveva urlato tentando, invano, di afferrarlo al volo per non farlo cadere brutalmente a terra, ottenendo il fatto di finire sotto il corpo insanguinato del padre come risultato. “Merda...” aveva imprecato tra i denti quel giovane uomo, prima di precipitarsi a soccorrere l’uomo e la bambina, la quale, non appena le fu abbastanza vicino, lo aveva fulminato con uno sguardo carico d’odio. Lui le aveva sorriso e aveva provato a parlarle con fare gentile. “Ciao, piccolina. Io sono Simon Avery e sono il capitano della Regina dei mari, quella nave lì. Tu come ti chiami, piccola?”
Non gli aveva risposto. Continuava a fissarlo con quei occhi blu mare carichi d’odio. Allora le si era avvicinato un uomo con una benda su un occhio, la barba scura e un dente d’oro, che le aveva sussurrato con l’alito puzzolente “Ascolta, piccoletta, se non vuoi che ti facciamo qualcosa di brutto, ti conviene rispondere al capitano.” a quelle parole, Nimue era stata percorsa da piccoli brividi freddi lungo la schiena.
“Non permetterò che ti torcano un capello, piccola, però, rispondimi. Come ti chiami?” le aveva detto con fare gentile Simon sorridendole affettuoso.
“Nimue.” lo aveva visto sorridere alla sua risposta che aveva sputato con il tono di voce il più carico possibile di odio.
“Bene. Nimue... dimmi, perché mi odi?
“Avete ucciso mio padre.” aveva risposto con il tono che una nobile di Londra  avrebbe usato con qualsiasi persona del genere. “Mi sembra più che ovvio il motivo. Bandito da quattro soldi.” a quelle sue parole, Simon, accompagnato dalla sua ciurma, era scoppiato in una grassa risata.
“Ti sbagli, cara la mia piccola Nim.” aveva detto tirandola su in piedi, poi si era inginocchiato davanti a lei per poterla guardare negli occhi. “Tuo padre non è morto. È solo svenuto. E io non sono assolutamente un ‘bandito da quattro soldi’ come mi hai chiamato. Come minimo da quattromila soldi” aveva concluso scatenando voci di approvazione da parte della sua ciurma. In quel momento, Nimue aveva sentito il suo piccolo cuoricino riprendere a battere veloce. “Dite davvero?” aveva chiesto speranzosa con le lacrime agli occhi.
“Certamente. Ed ora lo cureremo. Lo farò tornare come nuovo. Te lo prometto, piccola.”
“E...ed io potrò tornare a Londra con mio padre, una volta guarito?”
“Certo! Te lo prometto.”
“Ho la vostra parola?”
“Accidenti, capitano! È perspicace, la piccoletta!” aveva detto l’uomo che l’aveva minacciata appena qualche secondo prima.
Lo aveva visto sorridere, come a dire ‘lo so’. “Hai la mia parola”
“Allora, non perdete neanche un minuto in più! Voglio tornare a casa il più presto possibile, per favore” aveva sentenziato lei, ritrovando coraggio, fidandosi delle parole dette da quel giovane. Da Simon.
 
Ora ci sorrideva su. Su quei ricordi. Certo. Soffriva la mancanza del padre, ma ormai la ciurma della Regina dei mari era diventata come una famiglia per lei. E non poteva di certo lamentarsene, nonostante molti degli uomini di Simon non la vedessero ancora di buon occhio.
 
***
 
Non so quanti di voi conoscano i termini marinari che ho usato,
quindi, per chi non lo sapesse, provvedo a dare delucidazioni...
 
Bompresso: è quell’ “albero” diciamo che si trova a prua (la parte anteriore della nave) messo in diagonale.
Civada: è una vela che si trova sotto il bompresso. La forma ricorderebbe il sacco d’avena che veniva appeso al muso del cavallo.
Nido di corvo: penso si sia capito... è quel “cestello” da cui la vedetta della nave scorgeva l’orizzonte, per evitare ostacoli, scogli e segnalare l’eventuale presenza di altre navi.
 
ANGOLINO AUTRICE: Ma salve! Non so in quanti abbiate avuto il coraggio di leggere fino a qui, anche perché, la storia non è un granché... spero solo, che questo primo capitolo vi sia piaciuto... ‘:)
 È la prima storia originale che pubblico, le altre sono tutte ff...
Tranquilli! Mi sono documentata a dovere, ma, come ho scritto nell’intro, non voglio che sia una storia tipo romanzo storico... assolutamente! Bene! Mi farebbe piacere sapere che ne pensate...
Io sono qui ad aspettarvi e a rispondervi... per chi poi, volesse essere avvisato delle pubblicazioni prossime, vi chiedo di farmelo sapere. Grazie! Kira :)

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Capitolo 2
*** DUE-"Padre..." ***


Due
-
“Padre...”
 
“Allora, Nim. Sai cosa fare.” disse Simon risalendo sulla scialuppa con cui l’aveva portata a riva. “Certo.” rispose la ragazza laconica. “Vedi di procurarti ciò che ti serve per arrivare a Londra il più in fretta possibile.” “Si. Ma sai perfettamente che se non ci dovessi riuscire, sarei capace di raggiungere la città a piedi” “Tu ce la farai, Nim!”
Si incamminò verso la fine della spiaggia della baia accanto alla foce del Tamigi in cui avevano nascosto la nave. Salutò Simon e Steven con un’alzata di braccio. Si alzò in quel momento un vento gelido che le scompigliò i capelli. Si strinse nel mantello che indossava. Sia per proteggersi dal freddo che per nascondere i suoi reali indumenti. Giunse, dopo una pochi minuti di cammino ad una strada sterrata.
Non mi sbagliavo. Pensò Nimue accennando ad un sorriso. Ad una cinquantina di metri poté vedere una locanda isolata, nel mezzo della campagna inglese, che dava, per l’appunto, sulla spiaggia.
Pochi minuti dopo, era intenta a slegare un cavallo dal palo a cui ne erano legati altri cinque. Aveva scelto quello che le sembrava più in salute e che le era parso il più resistente. Gli altri erano più che altro ronzini poco resistenti e affidabili per percorrere lunghe distanze. Sorrise tra sé Aveva ragione Simon... ce l’ho fatta... e con il minimo sforzo.
All’inizio, il cavallo oppose resistenza, ma poi si lasciò portare via docilmente. Quando giunse ad una buona distanza dalla locanda, una distanza tale da non poter esser vista, Nimue montò in sella. E partì al galoppo, alla volta di Londra.
 
Giunse al cimitero in cui si trovava la tomba di famiglia, dove era sepolta sua madre. Una costruzione in marmo e pietre dure all’interno di essa, dove si trovavano i sepolcri della famiglia Bonnefoi-Williams.
 Una via acciottolata le si presentò davanti. La percorse portandosi dietro il cavallo. Lungo la strada era riuscita a procurarsi dei fiori. Con sé aveva un mazzo di tulipani, i fiori preferiti dalla madre.
Entrò lasciando fuori il cavallo. Si avvicinò al sepolcro di sua madre. Era un sarcofago in marmo bianco, dall’Italia. L’incisione riportava la seguente scritta:
Qui riposa Amélie Williams.
Moglie e madre esemplare.
Costretta ad abbandonare
marito e figlioletta in giovane età.
Ora veglia su loro.
Nimue posò il mazzo di fiori sul coperchio del sarcofago. Un sorriso malinconico a piegarle le labbra, mentre accarezzava quella pietra fredda. “Salve madre... che dire? Da lassù, vedi sicuramente tutto. Ti prego: veglia su mio padre. Fa’ che non perda mai la speranza. Prega sia per lui che per me... Perdonami, madre. Ora devo andare. Non posso fare troppo tardi... devo uscire da Londra entro il tramonto.”
Un tonfo leggero alle sue spalle la spaventò. “Nim... Nimue... sei tu, bambina mia?” prima di voltarsi, sussurrò a labbra serrate “Padre...”, ma si costrinse ad avere un atteggiamento freddo e distaccato nei suoi confronti, quindi, si tirò più su il cappuccio del mantello per meglio nascondere il viso. “...io non so di cosa state parlando, signore. Non so minimamente chi siete.” le servì tutto l’autocontrollo  e tutta la freddezza di cui era fornita per pronunciare quelle parole. “Scusate, ma ora devo andare. Sono in ritardo.” detto questo si precipitò fuori dalla costruzione, montò in sella con una velocità immane e spronò il cavallo al galoppo.
Uscì da Londra dopo appena dieci minuti. Il cuore nel suo petto le martellava talmente forte da far male. Sembrava andasse a tempo col passo del cavallo.
Furono calde lacrime amare quelle che solcarono il viso di Nimue. Non poteva assolutamente mancare alla parola che aveva dato a Simon, quante volte avrebbe voluto poter riabbracciare il padre. Ma i patti erano i patti. E questi andavano rispettati, era una questione d’onore per lei. D’onore e d’orgoglio.
Appena raggiunse la locanda da dove aveva ‘preso in prestito il cavallo’, scelse di lasciarlo lì. Quindi smontò di sella, si avvicinò al palo a cui erano ancora legati i ronzini ed iniziò ad armeggiare con le briglie per rilegarvi il cavallo, ma questo ancora agitato per la corsa, le fece perdere più tempo del dovuto.
Quando stava per finire di legare il cavallo, dalla locanda, uscirono degli uomini apparentemente ubriachi. Non appena la notarono, iniziarono ad avvicinarsi a lei facendo alcuni commenti sulle loro intenzioni nei suoi confronti.
Non aveva portato armi con sé. Solo un pugnale, nascosto tra le pieghe della gonna.
Molto probabilmente non erano ancora completamente ubriachi, perché il proprietario del cavallo che Nimue aveva preso si rese subito conto che lei stava armeggiando con le briglie del suo cavallo. Le si avvicinò troppo velocemente per essere un ubriaco. La afferrò per il polso, stringendoglielo talmente forte da fermarle la circolazione della mano. “Ehi! Piccola sgualdrinella. Non ti hanno insegnato che non si toccano le cose degli altri senza permesso?” le ringhiò davanti al viso, al quale si era avvicinato pericolosamente. Poi, con la mano libera, iniziò ad insinuarsi sotto la gonna lunga che la ragazza indossava. Iniziò a divincolarsi, per liberarsi dalla presa di quell’uomo che le sapeva di viscido. “Lasciami!” gli disse sputandogli in pieno viso e dopo, tirandogli un calcio ben assestato tra le gambe. L’uomo si accasciò a terra tenendosi fra le mani la parte colpita, e lei ebbe il tempo di correre in direzione della spiaggia. Ma subito gli altri che erano con lui, le furono dietro con i cavalli e la raggiunsero prima che lei potesse mettervi piede. Un paio di loro avevano aiutato quell’uomo a rimettersi in piedi e a montare in sella.  Gli altri, una volta raggiunta, la bloccarono tenendola ferma per la vita e le braccia.
Quando quell’uomo, seppur mal fremo sulle sue gambe, le si avvicinò, con palesi intenzioni nei confronti della ragazza, questa urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Nimue sperò che qualcuno la sentisse. Lacrime di rabbia e di impotenza si aggiunsero a quelle che v’erano già.
 
***
 
“Capitano. È tardi. Sarà meglio tornare sulla nave.”disse Steven facendo per rimettere in acqua la scialuppa con la quale erano tornati alla spiaggia per riprendere Nimue. Avevano appuntamento dopo il tramonto.
“Aspettiamo ancora un po’, Steven. Ha detto sarebbe tornata. Torna sempre, lei.”
“Non questa volta, a quanto pare. Sai perfettamente che lei sa cosa pensa sul suo conta la ciurma, Simon...” “Sisi... li ho sentiti anche io. Ma non penso... No. Sono convinto che, per quanto quei discorsi la facciano soffrire, non se ne andrebbe mai, senza averne parlato prima con me.” “Avanti, capitano. È una ragazzina di diciotto anni. E come tutte le giovani della sua età, avrà fatto sicuramente un colpo di testa.” “Sai perfettamente che non è da lei. Sarà pure una ‘ragazzina di diciotto anni’, ma dimentichi che stiamo parlando di Nimue.” In quel momento si alzò una folata di vento gelida. Oltre ai granelli di sabbia graffiargli il volto, Simon, però sentì anche qualcos’altro. Una voce. O meglio, un urlo. Capì subito di chi era quel grido implorante aiuto: Nimue, la sua cara Nim. “Steven! Hai sentito?” “Si capitano” “Andiamo! Non c’è un attimo da perdere!” disse iniziando a correre in direzione di quel grido. Correre sulla sabbia, però non era molto agevole.
 
***
 
Era certo che quella ragazza che fino a qualche secondo prima era tra lui e la tomba di Amélie, fosse Nimue, la sua bambina. Raggiunse di corsa la sua carrozza, appena fuori dal cimitero. “Arthur! Segui la ragazza che è appena uscita di qui al galoppo!” “Sissignore.” Arthur, il suo cocchiere e maggiordomo, fece partire la carrozza, incitando i cavalli al galoppo. Dopo poco più di dieci minuti, l’avevano raggiunta. Si era fermata in prossimità di una locanda che dava sulla spiaggia, era smontata da cavallo e poi aveva iniziato a legarlo al palo destinato ai cavalli dei clienti assieme ad altri cavalli. Guillaume Bonnefoi assistette a tutta la scena. Poi vide arrivare altri due uomini in aiuto della ragazza. Dopo, scese dalla carrozza e si avvicinò ai tre.
 
***
 
Si divincolò come un’anguilla tra le mani di quegli uomini per liberarsi. Ma erano troppi e troppo forti per lei. Sei uomini forti e robusti contro una ragazzina. Chi mai avrebbe avuto scampo? Era capitato negli anni, che sulla Regina, qualche marinaio imbevuto di rum, avesse tentato di farle la stessa cosa, ma in quelle occasioni c’erano sempre Steven o Simon a rimettere in riga gli uomini della ciurma. In quel momento, invece, era sola. Sola e ‘debole’, fragile. Quel verme che ormai da più di qualche minuto, le stava attaccato al collo peggio di una sanguisuga, baciandoglielo, mordendoglielo, leccandoglielo, iniziò ad armeggiare freneticamente con il suo corpetto e poi, con la camicia.
Riuscì, fortunatamente, a liberarsi una mano, che, come attirata da una calamita, andò a cercare subito il pugnale che aveva nascosto nella gonna. Lo tirò fuori e la lama, dopo un fugace baluginio, andò a  conficcarsi nella bocca dello stomaco di quell’uomo. Fu un attimo e quello le si era accasciato addosso sanguinante. E fu in quell’istante che arrivarono Simon e Steven, che fecero andar via gli uomini rimasti a suon di colpi di sciabola, calci e pugni.
“NIIIM!”
“Sono qui...” riuscì a dire con un mezzo grugnito la ragazza, che stava cercando di liberarsi dal corpo ormai esamine dell’uomo. Quello spirò non appena toccò terra, però. Nimue venne scossa da una scarica di ribrezzo verso sé stessa lungo la schiena: non aveva mai ucciso in vita sua. Quella era la prima volta. Iniziò a tremare vistosamente. E non era per il freddo vento di novembre. “I-io... non volevo...” balbettò prima che altre lacrime iniziassero a scendere lungo le sue guance. Simon le si inginocchiò davanti, come faceva quand’era più piccola, le prese il viso tra le mani e la baciò sulla fronte. Poi la prese tra le sue braccia e l’abbracciò. “Ssshh... piccola. Non è successo niente. È tutto apposto” continuava a sussurrarle mentre le accarezzava i capelli per calmarla.
“Nimue...” tutti e tre si voltarono verso chi aveva pronunciato quella parola: Guillaume Bonnefoi, il padre di Nimue.
“Padre...” Simon e Steven la aiutarono ad alzarsi in piedi, lei guardò implorante Simon. Lui capì quella tacita domanda e fece un cenno d’assenso col capo. Lei si precipitò verso le braccia del padre. Poi scoppiò a piangere, scaricando tutto quello che si portava dentro da anni.
 
ANGOLINO AUTRICE: Salve gente! Ecco a voi il secondo capitolo! Anche se arrivato con un filino di ritardo... Spero vi piaccia e che abbia reso un po’ migliore la lettura (sì, MissKiddo, dico a te :D spero di non aver fatto periodi troppo lunghi...).
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la storia tra le ricordate/seguite/preferite :* e anche Milkendy e MissKiddo che hanno recensito, tirandomi un po’ su di morale... non ero molto sicura del “successo” di questa storia, quindi, ragazze, grazie mille per i complimenti! :* Alla prossima! Baci :*  

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Capitolo 3
*** TRE-Londra. ***


Massalve! Quanto tempo, eh? Lo so... chiedo scusa per l’enormissimo ritardo... ho avuto dei ‘problemini’ con questo capitolo, che a dirvela tutta, è stato un parto scriverlo. Ma vi lascio al terzo ed attesissimo (?) capitolo delle avventure di Nimue! Ci vediamo giù! Un baciooo!! ;*
 
 
TRE
-
Londra.
 
 
Fu un fastidiosissimo raggio di sole sugli occhi a svegliarla.
Aprì gli occhi lentamente, facendo entrare con cautela la luce nel suo campo visivo. Sbatté un paio di volte le palpebre per potersi abituare a quella luce molto forte e riconobbe a stento il luogo in cui si trovava. Era la sua camera. Nella casa a Londra del padre.
“Nim! Grazie al Cielo ti sei svegliata” quella voce.
Perché lui era a casa sua? A Londra, tra l’altro.
“S...Simon?” disse con voce confusa e impastata dal sonno.
“Dimmi Nim”
“Perché diamine siamo a Londra, nella casa di mio padre e non a bordo della Regina?”
“Non ricordi nulla?”
La ragazza negò, sempre più confusa da quella situazione.
“Ti ricordi quando, l’altro giorno, sei venuta qui a Londra per l’anniversario della morte di tua madre?” Nimue annuì. Era una delle poche cose che ricordava.
“Si... mi ricordo di tutto ciò che è accaduto fino a quando non è arrivato mio padre, poi... credo di avere un vuoto tra i miei ricordi... cos’è successo, Simon?”
“Sei svenuta tra le braccia di tuo padre... avevi la febbre molto alta. Ti abbiamo portato di corsa qui a Londra, nella casa di tuo padre e lui ha fatto immediatamente venire un dottore. Hai dormito per tre giorni” disse quasi tutto d’un fiato Simon, con la voce carica d’apprensione.
Nimue arrossì e nel medesimo tempo sorrise. Le faceva piacere sentire che Simon si fosse preoccupato per lei.
“Steven?” chiese, notando che l’uomo, sempre al fianco del suo capitano, non fosse presente.
“L’ho mandato dagli altri, prima di venire velocemente qui a Londra”. Nimue annuì.
“E mio padre?”
“All’inizio ha ringraziato me e Steven, per esserci presi cura di te in questi anni, poi, quando ti ha sentito la fronte calda, quasi ustionante, ci ha urlato contro chiedendoci come avevamo potuto non accorgerci che avevi la febbre, così alta, poi. E che non avremmo mai dovuto permetterti di venire a Londra da sola...”
“Hm. Capisco... e durante il tragitto dalla baia fino a Londra, di cosa avete parlato?” a quella domanda, Nimue vide il volto di Simon, colorarsi leggermente di rosso, mentre lui si muoveva a disagio sulla sedia in legno accanto al letto su cui lei era sdraiata. Poi lui si schiarì la voce, per mandare giù il groppo che gli si era formato in gola.
“Di niente... Guillaume, tuo padre, nonostante ce l’avesse a morte con me per averti lasciata andare in giro da sola, a novembre, con questo freddo, mi ha detto che mi perdonava, giusto perché ti ho accudita durante questi ultimi dieci anni, e perché mi sono preso cura di te e della tua salute, e mi ha offerto la possibilità di stare qui, in casa vostra, per questi giorni” prese fiato, poi continuò “È stato molto... gentile. Mi ha risparmiato la fatica di andare a cercarmi un posto in cui dormire, girando come un matto per la città, rischiando di venire arrestato...”
“E quindi, dove hai dormito in questi tre giorni? E, soprattutto, hai dormito?”
“Certo che ho dormito.” rispose quasi brusco, pur di sviare la domanda ed evitare l’argomento. “Vado a chiamare tuo padre. Mi aveva pregato di andarlo a chiamare quando ti saresti svegliata...” disse, alzandosi  e dirigendosi verso la porta della camera che dava sul corridoio.
“N-no... Simon...” provò a  fermarlo Nimue. Ma lui si era già chiuso la porta dietro le spalle.
Pochi minuti dopo, entrò in camera di Nimue il padre di lei. I capelli che teneva sempre ordinati, erano spettinati, non curati. Il volto pallido, stravolto. La barba incolta.
Nimue, mon cher! Comment êtes-vous?(Nimue, mia cara! Come stai?)” chiese tutto concitato con gli occhi lucidi dalla gioia.
Nimue vide Simon che se ne stava sulla soglia della porta, senza accennare ad entrare.
Pére...(Padre...)”. Simon sorrise mestamente verso la ragazza e chiuse la porta, restando fuori.
“Nimue... cara, dobbiamo parlare”.
Udite quelle parole, Nimue ebbe un tuffo al cuore; vide Simon sorriderle tristemente, un sorriso tirato, mentre chiudeva la porta della sua camera.
 
 
***
 
Era giusto così. Non avrebbe mai potuto decidere della sua vita, nonostante l’avesse voluto con tutto il cuore. Nonostante l’avesse cresciuta lui. Nonostante l’avesse vista crescere... maturare... diventare la donna che era ora.
L’uomo che era suo padre, aveva ragione. Ricordava ogni singola parola che gli aveva detto durante il tragitto fino a Londra, e ogni volta che ripensava a quel discorso, sentiva una violenta fitta al cuore che lo trafiggeva con una stilettata di dolore allucinante.
 
Tre giorni prima.
14 Novembre 1695.
Steven si era appena avviato verso la Regina con la scialuppa con cui erano arrivati per riprendere Nimue. Il vento freddo di novembre, sferzava i loro visi. Il suo, quello di Nimue,inerme tra le sue braccia, e quello del padre di lei.
Una volta pronti, erano saliti sulla carrozza con cui era giunto Guillaume Bonnefoi. Simon era salito per primo, adagiando delicatamente sul sedile imbottito il corpo ancora inerme di Nimue, posizionando la ragazza in maniera tale che potesse stare il più comoda possibile.
Dopo alcuni istanti di silenzio imbarazzato, Guillaume aveva iniziato a parlare.
“Monsieur, vi sarò infinitamente grato per esservi preso cura di mia figlia. E vi ringrazio anche per averla riportata da me, nonostante siano passati ben dieci anni.” Mentre parlava, l’uomo aveva dipinto sul viso un sorriso estremamente soddisfatto. Come se avesse appena concluso un ottimo affare, che gli avrebbe fruttato molto.
Nonostante Simon non l’avesse assolutamente riportata all’uomo, non aveva osato fiatare e, di conseguenza, interrompere il discorso vuoto di quell’uomo. Pur essendo un pirata, era e restava comunque, un uomo educato, lui.
“Ora che Nimue è tornata a Londra, dovrà prendersi la responsabilità che richiedono da lei la sua età attuale e la società. Non posso di certo lasciare che mia figlia conduca una vita differente dalle giovani donne della sua età, non credete anche voi, monsieur Simon?” sentitosi chiamato in causa, il capitano, aveva annuito distratto e assente. In quel momento aveva ardentemente desiderato che quel discorso si concludesse subito. E, in più, mai e poi mai avrebbe riportato a Londra Nimue, sapendo perfettamente ciò che l’avrebbe aspettata.
“Bene. Vedo che avete capito la situazione, monsieur. E mi auguro di non dovervi più vedere qui a Londra, soprattutto quando Nimue avrà portato a termine i suoi doveri di giovane ricca di Londra. Per i giorni che serviranno a mia figli per riprendersi dalla febbre, ed il tempo necessario per concludere il tutto, potete rimanere in casa mia. Dopodiché, sarete libero di lasciare Londra e di non farvi più vedere, proprio come avete proposto voi, monsieur Simon.”
 
Simon ripensando a quella conversazione si sentiva combattuto con se stesso.
La parte più razionale di Simon gli diceva che era giusto così. Che Nimue avrebbe dovuto condurre la sua vita come meglio preferiva, se era quello a renderla felice.
La parte più impulsiva gli diceva che Nimue non avrebbe mai accettato quel tipo di vita che il padre le proponeva. La conosceva troppo bene.
E poi, dopo tutti quegli anni non si voleva separare da lei. Le voleva un bene dell’anima, non avrebbe mai potuto sopportare quella separazione forzata.
In quel momento dalla camera di Nimue, uscì il padre di lei, seguito dalle parole fredde della ragazza. “Ve lo ripeto. Mai e poi mai, pére!” Simon notò che in quel ‘padre’ detto alla francese, la ragazza aveva sputato fuori il suo dissenso e disgusto.
 
Quella sera Nimue era abbastanza in forze per poter cenare nel salone con il padre e Simon. Consumarono il pasto in un silenzio tombale, rotto solo dal cozzare delle posate in argento sui piatti di porcellana finissima. Simon non osava minimamente aprir bocca, con il timore che tutta la rabbia di Nimue, repressa a stento, si potesse riversare su di lui. Guillaume non parlava, convinto che la figlia necessitasse di tempo per riflette sul discorso che avevano fatto quella mattina, per poi acconsentire, tornando la figlia obbediente e devota che era da bambina. L’uomo non mancava di lanciare occhiatacce nei confronti del capitano pirata che sedeva alla sua tavola, perché era solo colpa sua se Nimue era diventata così ribelle e ‘indipendente’. Nimue, dal canto suo, si costringeva a stare zitta e non fiatare. Conoscendosi, avrebbe fatto scatenare un putiferio in quella casa, rischiando di richiamare l’attenzione delle guardie cittadine e, di conseguenza, mettere in pericolo Simon.
 
Passarono altri due giorni perché Nimue si potesse riprendere completamente dalla malattia.
Era notte e la luna faceva da regina. Illuminava con la sua pienezza la strada a due ombre. Guidava i loro movimenti furtivi nella stalla della casa di Guillaume Bonnefoi.
“Sei sicura di quello che fai?” chiese l’ombra più alta all’altra mentre sellava il cavallo da lei scelto.
“Certo che sono sicura. Dopotutto, è la mia vita. Sarà anche mio padre, ma non può di certo decidere della mia vita. È mia e ormai ho imparato a gestirmela come voglio. E poi, diciamoci la verità: mi ci vedresti mai in una situazione simile?” rispose l’altra che, finito di sellarsi il cavallo, montò agilmente in groppa all’animale.
In quel momento davanti all’entrata delle stalle, si stagliò una figura con una lucerna in mano. “Chi siete? Cosa volete? PADRONE! PADRONE! I LADRI!” urlò l’uomo, che Nimue capì era Arthur. I due sentirono le campane d’allarme della casa di Guillaume Bonnefoi.
“Maledetto!” disse a denti stretti la ragazza, incitando il cavallo al galoppo per uscire il più velocemente possibile dall’ edificio in pietra e legno.
Nel silenzio della notte si sentiva solo il rumore provocato dagli zoccoli dei cavalli sulla strada acciottolata della città.
“Per uscire è meglio percorrere il fiume. Le porte della città sono chiuse a quest’ora e sicuramente ci saranno delle guardie a tenerle d’occhio, avranno sicuramente sentito le campane d’allarme che mio padre ha fatto suonare. Prenderemo un’imbarcazione di mio padre, deve essere abbastanza grande per poter trasportare anche due cavalli. Non sarà difficile trovarla. Percorreremo un tratto del Tamigi abbastanza lungo. Quel che basta per poter arrivare abbastanza velocemente alla baia dov’è attraccata la Regina. Va bene?”
Simon era sorpreso da quanto velocemente Nimue avesse elaborato quel ‘piano di fuga’, essendosi ritrovati entrambi in una situazione di pericolo da cui dovevano uscirne incolumi per poter raggiungere insieme la Regina. Annuì stupito ed incredulo. Aveva cresciuto il pirata perfetto, magari più in là nel tempo sarebbe potuta anche diventare un capitano.
Nimue si diresse verso gli attracchi del porto, seguita da Simon, alla ricerca dell’imbarcazione di cui avevano bisogno.
Nimue riuscì nel suo intento, aveva trovato una chiatta dalle dimensioni giuste. In quel momento giunse un drappello di guardie cittadine che iniziò a sparare nella loro direzione, seguiti dalle urla del comandante che diceva di fare attenzione a non prendere la ragazza. Nimue fu colpita da una pallottola al braccio sinistro, cacciando un grido di dolore, seguitando subito ad urlare il nome del giovane uomo con lei, che invece fu colpito al polpaccio destro.
Nonostante il dolore al braccio, Nimue riuscì a far muovere sull’acqua la barca.
Si aiutarono a medicarsi le ferite. La ferita di Simon era solo superficiale, mentre quella di Nimue era profonda. La pallottola era rimasta nella carne del muscolo, quindi l’uomo si premurò di fasciarle il braccio in maniera tale da fermare la circolazione del sangue, evitando che la ragazza ne perdesse più del dovuto.
Il tempo che impiegarono per percorrere il fiume, lo passarono per lo più in silenzio, Nimue si addormentava di tanto in tanto per la stanchezza mentale data dalla febbre che aveva appena passato e per il dolore al braccio, ma solo per pochi minuti. Simon la lasciava riposare tranquillamente, conscio del fatto che ne aveva bisogno, per poter arrivare lucida alla Regina.
Quando l’imbarcazione urtò contro una secca del fiume, Nimue si svegliò di soprassalto, si guardò intorno e grazie alla luce prodotta dalla luna, capì che erano arrivati.
“Siamo arrivati. Ora dobbiamo solo attraccare e scendere a riva. Ce la fai, Simon?” chiese preoccupata più per le condizioni del suo capitano che per le sue, molto più critiche.
“Certo che ce la faccio. Vieni, ti aiuto a salire a cavallo” disse lui sorridendo mentre la prendeva in braccio per aiutarla a montare sull’animale.
 
 
ANGOLINO AUTRICE: Ciao a tutti! ... di nuovo. Bene! In questo capitolo, come avrete letto, veniamo a conoscenza della vera natura di Guillaume Bonnefoi, il padre della nostra cara Nim (forse). Chiedo di nuovo scusa per il ritardo, e, siccome ci ho passato mesi a lavorarci, non so come sia venuto alla fine. Vi chiedo, quindi, di farmi sapere le vostre impressioni, come sempre :). Spero di sentirvi anche qui!
Ringrazio per le recensioni MissKiddo e speranza_illusione (spero vi sia piaciuto anche questo capitolo :D), chiunque abbia messo tra le ricordate/seguite/preferite la storia e anche voi, lettori silenziosi! ;).
Spero di poter pubblicare il prossimo capitolo il più presto possibile! Un bacio a tutti, Kira :* Ah! se volete, e se vi va, potreste mettere mi piace alla mia pagina fb? grazie! Pubblicherò immagini delle storie e disegni fatti da me, forse li pubblicherò, e vi aggiornerò sull'andamento della stesura dei capitoli.

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Capitolo 4
*** QUATTRO-"Di nuovo a casa" ***


QUATTRO
-
Di nuovo a casa.
 
 
Erano cinque giorni che il capitano della Regina e Nimue non si vedevano più. Steven aveva riportato l’accaduto alla ciurma appena raggiunto il galeone. Era riuscito a tranquillizzare gli animi di coloro i quali si erano affezionati alla ragazza, che si erano subito allarmati per lei e per il loro capitano, ma ora anche lui stava iniziando a preoccuparsi per il suo capitano e per la ragazzina, che vedeva più come una figlia, che come un membro della ciurma.
“Steven, andate a riposarvi, sono già passati cinque giorni e non avete ancora dormito, restando a scrutare la spiaggia della baia. Andate e lasciate fare a noi”.  Era Jack, il timoniere della nave, e, alle sue spalle, il resto della ciurma. Nessun membro dell’equipaggio mancava all’appello, compresi Diego, il cuoco ed il vecchio Frank, il velaio, aiutato a tenersi in piedi dalla vedetta, che era come un figlio per lui.
“Dal nido di corvo, posso vedere meglio e senza difficoltà. Se dovessi vedere qualche movimento sulla spiaggia, vi verrò ad avvisare personalmente, Steven” disse Jhonny, la vedetta. Era un giovane di ventidue anni, i capelli castani mossi e corti. Molto affezionato ai compagni d’equipaggio più grandi di lui.
Steven sorrise riconoscente ai suoi compagni, cosa molto rara per lui, burbero  com’era.
“Mi raccomando, giovanotto.” disse rivolto a Jhonny, che annuì, leggermente intimorito dal tono usato dall’uomo.
 
Anche volendo, Steven non avrebbe potuto addormentarsi, tale era la preoccupazione per Simon e Nimue. Era già una decina di minuti che l’uomo si girava e rigirava nella branda, tormentato dalla preoccupazione circa la sorte dei due. Erano così giovani, entrambi.
Tempo addietro aveva conosciuto il padre di Simon, Alexander Avery. In quel periodo era ancora al servizio di Sua maestà, prestando servizio nella marina reale inglese.
 
Trentatre anni prima.
Estate 1662,  nave Carlo II.
 
Era ancora giovane, allora. Era diventato un navigatore in giovanissima età e a soli vent’anni si era ritrovato a prestar servizio a Sua maestà Re Carlo II d’Inghilterra, sull’omonima nave, sotto il comando di Alexander Avery, anche lui molto giovane per quell’incarico. Ricordava che l’uomo aveva appena trent’anni.
Un giorno, quel fatidico giorno, la nave era stata presa sotto attacco da una nave di pirati francesi. Avevano difeso la nave con le unghie e con i denti, ma il comandante era stato ferito da un colpo di moschetto.
Steven, avendo assistito alla scena, si era scagliato sul francese che aveva sparato e lo aveva trapassato con la sua sciabola.
Era venuto a sapere, poi, che si trattava del capitano francese, sceso in battaglia accanto ai suoi uomini. Una volta che lo aveva visto toccare terra a peso morto, Steven si era avvicinato al suo comandante, cercando di prestargli un minimo di primo soccorso. Ma c’era poco da fare, purtroppo.
“No...non vi preoccupate per me. A...ndate a cercare qualche ferito ch...che si possa ancora salvare... Per me... non c’è niente da fare, ormai...”aveva detto il comandante tra un rantolo e l’altro.
“No, signore. Vedrete che il medico saprà rimettervi in sesto. Non potete mollare proprio adesso. So che a Londra avete una moglie che vi aspetta. Non volete rivederla?” aveva risposto quel giovane Steven, caparbio come sempre.
Il comandante aveva riso. O almeno, ci aveva provato. Le fitte di dolore erano troppo forti per poter ridere. “Siete una testa dura... signor...?”
“Steven Stock, signore.”
“Steven... e... e ditemi... quanti...quanti anni a...avete?”
“Ventidue, signore.”
“Ventidue...” aveva replicato con un sorriso tirato sul viso. “Siete più giovane di me, allora. E... ditemi, Steven... voi avete figli?”
“No signore. Anche se non mi dispiacerebbe affatto l’idea” aveva risposto lui sorridendo quasi timidamente ed imbarazzato.
 
Una volta che il ponte di coperta era stato lavato dal sangue e liberato dai detriti della nave pirata, l’equipaggio aveva sepolto in mare i corpi dei marinai e del comandante morti.
E, mentre vedeva scivolare giù nelle profondità del mare della Manica il corpo del capitano, Steven non riusciva a non smettere di pensare a quello che il giovane uomo gli aveva detto prima di spirare. “Sapete... prima che partissi per questa... stupida faccenda di Dunkerque*... mia...mia moglie mi ha confidato di avere il sospetto di una gravidanza...avrò un figlio... ed io... ed io non lo potrò mai conoscere...vederlo  crescere... -aveva gli occhi lucidi mentre diceva quelle cose, Steven si ricordava perfettamente anche la voce incrinata dal dolore, non solo fisico- Sto lasciando Lily... si ritroverà...sola a dover crescere e...ed educare mio figlio... -a quella frase aveva visto una lacrima percorrere il viso del suo comandante-“. Si era ripromesso che, una volta tornato a Londra, sarebbe andato dalla signora Avery e, in un certo modo -che doveva ancora inventarsi- sarebbe stato al fianco del bambino, in maniera tale da non fargli pesare troppo l’assenza del genitore. Certo, non sarebbe stata la stessa cosa, ma era, per lo meno, qualcosa.
 
Era ancora perso nei ricordi quando, tutto trafelato, con i capelli scompigliati dal vento, arrivò Jhonny. “Signore. Li ho avvistati.” A quelle parole Steven si alzò di scatto dalla branda e si precipitò in coperta. Arrivato al parapetto, strappò il cannocchiale dalle mani di Jack e iniziò a scrutare e analizzare nei minimi dettagli il profilo della baia.
Notando che l’uomo non riusciva ad individuarli, il timoniere glieli indicò con un dito.
Steven ringraziò con un cenno del capo il giovane uomo al suo fianco. Vide Simon reggere tra le braccia una figura inerme. Nimue.
“Preparate una scialuppa. Vado subito a recuperarli.” ordinò restituendo l’oggetto al timoniere.
“Chiamate Philip. Che venga con me.”
“Lascio il comando a voi, Jack” disse mentre calava la scialuppa in mare.
La ciurma seguì dalla nave ogni movimento loro.
Quando la scialuppa tornò alla Regina, aiutarono subito a far salire a bordo il loro capitano e videro che la ragazza era svenuta e mortalmente pallida. La fronte imperlata di sudore. Gli occhi che si muovevano come impazziti sotto le palpebre chiuse.
Simon non perse un minuto e la portò immediatamente sottocoperta, nella cabina di lei, seguito a ruota da Philip.
 
“Passatemi i ferri, per cortesia, capitano” disse Philip concentrato ad esaminare la ferita quasi infettata al braccio della ragazza. Prima di medicarla a dovere e poter intervenire per evitare una cancrena, però, bisognava estrarre il proiettile.
Quando ebbe in mano i suoi arnesi li infilò tra i carboni ardenti del braciere portato in cabina per scaldare l‘aria, per poterli disinfettare. Una volta che questi divennero quasi incandescenti li estrasse dal fuoco ed iniziò ad operare il braccio di Nimue. Dopodiché, si adoperò per poter saturare la ferita.
Nonostante lo stato di incoscienza in cui riversava la ragazza, dalle labbra di questa iniziarono ad uscire leggeri e deboli gemiti di dolore.
“Per ora sembra che l’infezione sia stata fermata. Se non le sale la febbre, e, soprattutto se si sveglia entro sera, potremo dichiararla fuori pericolo” disse Philip mentre si lavava le mani in una bacinella d’acqua. “Comunque, sarebbe meglio che stia a riposo per qualche giorno, capitano”.
“Bene. Vi ringrazio infinitamente, Philip...” disse Simon accomodandosi su uno sgabello di legno al capezzale di Nimue.
“Dovreste farvi medicare anche voi, capitano” disse Steven, che era appena entrato.
 
“Come sta?” chiese a Simon non appena il dottore uscì dalla cabina.
“Sembra che sia scampata all’infezione. Se non le viene la febbre, e se si sveglia entro questa sera, dovrebbe essere fuori pericolo” rispose pensieroso e preoccupato il giovane.
Stettero qualche minuto in silenzio, entrambi a fissare il vuoto. Il silenzio era rotto solo da alcuni profondi sospiri emessi dalla ragazza.
“Cos’è successo, Simon?” chiese a freddo Steven.
Prima di rispondere, Simon fissò i suoi occhi in quelli dell’uomo, poi, tornò a fissare il volto pallido di Nimue. Prese un grosso respiro prima di parlare. “In carrozza, suo padre mi ha detto che sarei dovuto sparire dalla circolazione, ovviamente, mi ha ospitato in casa sua. So che voleva darla in moglie a qualcuno, come se volesse concludere un affare... me lo ha detto lui tra le righe... e una volta che lei si è ripresa, ha reso partecipe pure lei dei suoi piani, ma da quello che ho capito, Nim si è categoricamente rifiutata -sorrise- sai com’è fatta. Poi, siamo scappati. È stata un’idea sua. Sono molto orgoglioso della donna che è diventata. -un altro sorriso- Ha pensato a tutto, anche mentre ci stavano cacciando, come animali, ha saputo mantenere la mente lucida per poter ragionare nel migliore dei modi. Arrivati al porto, ci hanno sorpresi. Eravamo in trappola, ma ha avuto l’idea di prendere una barca di suo padre per fuggire e mentre la slegavamo dal molo cui era attraccata, hanno iniziato a spararci contro... continuavano a ripetere di mirare più a me e di non prendere lei.  Avevano mirato pericolosamente a me e... lei si è messa in mezzo. Alla fine, quella che più ci ha rimesso è stata proprio lei...” finì, accarezzandole delicatamente il viso e scostandole una ciocca di capelli dalla fronte.
Si sentiva meglio. Si era sfogato con qualcuno. Ma i sensi di colpa non accennavano a placarsi o a dargli pace. L’aveva strappata dalla sua vita. Dalla sua gente. Dalla sua famiglia. E le sue parole –“È la mia vita”- non lo aiutavano di certo. Credeva che lei lo avesse fatto per lui. Credeva che lo avesse fatto per tener fede al patto che avevano fatto tanti anni prima. Ma lei non sapeva, che ormai, quella del patto era più una scusa per tenerla al suo fianco. Pian piano, Simon aveva capito che senza quella ragazzina iperattiva, testarda ed indipendente, si sentiva vuoto. Aveva capito di vederla molto più di una sorella.
Stava ancora pensando a tutte quelle cose, quando la mano di Nimue strinse la sua, facendolo spaventare.
“Nim!” disse sorridendole affettuosamente. Strinse un po’ di più la mano della ragazza e ne baciò il dorso.
Nimue, a quel gesto e a quel contatto arrossì come non mai. Sorrise felice di essere di nuovo sulla Regina, di essere tornata a casa. “Come stai, capitano?” chiese dopo essersi schiarita la voce.
“Sciocca ragazzina. Pensa alla tua salute...”
A quelle parole lei sorrise.
“Mi piacerebbe andare sopra coperta... mi potresti aiutare, Simon?”
Simon la portò sul ponte. Il sole stava tramontando, ma comunque, la ciurma era ancora a lavoro. Quindi, quando la videro passare, aiutata a reggersi in piedi dal capitano, la salutarono tutti, chi più chi meno, calorosamente. Lei sorrideva felicemente a tutti. Arrivati vicino al timone, lei si staccò dall’appoggio che le dava Simon e, barcollando leggermente, si avvicinò al parapetto, ci si appoggiò e “Finalmente a casa!” disse con gli occhi che le brillavano di gioia.
 
 
 
 
 
 
 
 
*Dunkerque: Nel 1662, re Carlo II, cedette Dunkerque alla Francia per 400 mila sterline
 
 
 
 
 
ANGOLINO AUTRICE: Ehilàààà!!! Ma quanto tempo…*si nasconde dietro al computer* vi prego non uccidetemi! Lo so. Sono mesi che non aggiorno. Ma, ho avuto un bruttissimo di periodo di blocco. Mancanza d’ispirazione...cosa bruttissima! T.T e questo capitolo, francamente è stato come un parto... più o meno... giuro che il prossimo vedrò di pubblicarlo, massimo il prossimo mese. O non lo so... dipende da quando ce l’ho pronto.
Ringrazio di cuore chiunque ha avuto il coraggio e la pazienza (farò un monumento a tutti voi) per continuare a leggere questo obbrobrio... e chiunque l’abbia messa tra le ricordate/seguite/preferite. E chi l’ha recensita... scusate, non mi ricordo chi ha recensito e mi sta morendo il computer... ma solo per voi sto riuscendo a tenerlo miracolosamente in vita supplicandolo di non abbandonarmi.
 
Alla prossima! Un bacioneone a tutti! Kira *scatush!* *sparisce prima che le lancino dei coltelli*    
Purtroppo è morto mentre provavo ad aprire EFP, quindi, ora è in carica...
Quindi, le persone da ringraziare sono le seguenti:
per le recensioni: ChocoCat, Milkendy, MissKiddo e speranza_illusione.
Per chi ha messo la storia tra le ricordate: speranza_illusione
Per chi tra le seguite: 0.0martolla0.0, Atena Poseidon, Giu_ls, luxkaly1, Milkendy (di nuovo :D), MissKiddo (di nuovo pure lei...), sil_1971, speranza_illusione (di nuovo, pure lui xP) e SukiChoko88.
Per chi tra le preferite: Milkendy
Un bacione!!
P.S.: ora sparisco davvero! *scatush

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