Infinis

di Dregova Tencligno
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto 1 - Anima ***
Capitolo 2: *** Atto 2 - Corpo ***
Capitolo 3: *** Atto 3 - Mente ***
Capitolo 4: *** Atto 4 - Eclisse ***



Capitolo 1
*** Atto 1 - Anima ***


‘‘Ho un solo modo per dire quanto ti amo, un solo modo per dirti quanto tu sia importante per me, per spiegare quanto contino le notti trascorse in tua compagnia nel rifugio offertoci dalle coperte e sentire il tuo petto caldo sotto le mie mani, le tue braccia forti e protettive che creano una barriera per proteggermi da chi vuole farmi del male. Tu, essere unico e veramente puro, la mia Stella Polare, il mio Sole, la mia alba e il mio tramonto.
Ho un unico modo per dirti che senza di te non posso vivere. Ascolto il tuo cuore, la dolce melodia che intona un soave canto, con l’orecchio appoggiato sul tuo torace sempre aperto per me. Percepisco ed inspiro il tuo dolce profumo che ogni volta mi confonde, è la mia droga, il mio ossigeno, il mio prato dove posso ammirare i fiori che più mi piacciono: bocche di leone, rose, orchidee…
Sono al tuo fianco, in silenzio, accoccolata contro il tuo corpo e il mio cuore batte veloce come ali di un calabrone ed ho il terrore che possa svegliarti per tutto il rumore che fa, ma tu dormi, beatamente, e i riflessi dei lampioni sulla tua pelle candida e su i tuoi capelli lisci come seta nera ti fanno assomigliare a un Dio, a un essere da venerare, e sono contenta che tu sia il mio Dio gentile e buono. Richiudi in te tutto ciò che vorrei essere e scacci le mie paure ogni volta che incrocio il tuo sguardo o quando dici di amarmi.
Poso una mano sul mio petto e tutti i momenti passati al tuo fianco vengono a galla come se fossi una strega e loro i miei servitori. Felicità e tristezza, rabbia e malinconia, comprensione e disguido, non cambierei nulla, li ripeterei tutti perché solo così ho raggiunto te, la mia gioia, il mio domani, il mio per sempre. Senza di te sarei persa, non sarei nulla, e ogni giorno ti ringrazio per avermi dato uno scopo nella vita, e questo è il più nobile. Io, io che non ho mai avuto niente ora ho tutto e mi sembra di essere egoista, ma sono innamorata e non posso essere diversa.
Mi metto a sedere e ti osservo: le sopracciglia come ali di falco, il naso uno dei più belli che abbia mai visto, la bocca che ha sussurrato, urlato, maledetto, venerato il mio nome. Quelle labbra che solo Dio sa quante volte mi hanno baciata e accarezzato la mia pelle facendomi scoprire punti del mio corpo di cui non ho avuto mai coscienza. Sistemo una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro, quante volte mi hai detto che ti faccio impazzire quando lo faccio? Almeno tre volte al giorno per dodici anni della nostra vita in cui abbiamo frequentato la scuola insieme, rincorrendoci e afferrandoci, ma per poco perché, come stupidi, abbiamo avuto paura degli sguardi degli altri. Così ci siamo nascosti dietro gli angoli bui delle strade, sotto i salici piangenti e dietro le porte delle camere pur di non essere scoperti, siamo stati gelosi del nostro piccolo segreto fino a tre anni prima quando finalmente abbiamo deciso di dire la verità. Adesso ho ventitré anni, come te, e so cosa voglio dalla vita, anche se sarà difficile ottenerlo perché una grande decisione mi si profila davanti e devo capire cosa fare.
Sospiri e tutta me stessa ha un sussulto, torno ad occupare il posto al tuo fianco e tu con dita leggere mi accarezzi la schiena dando il via ad un brivido che piacevolmente mi fa girare la testa.
L’alba sta arrivando, pigra e assonnata, e i primi raggi arancio di sole filtrano dalla finestra regalandoci il buongiorno. Tu continui a dormire e io a osservarti chiedendomi cosa ti stia frullando nella testa in questo momento, vorrei conoscere i tuoi pensieri e i tuoi sogni. Ti regalo un fugace bacio, proprio all’angolo della bocca, un bacio rubato, un segreto che sarà solo mio. La tua barba fitta, corta e sottile, incredibilmente morbida mi accarezza le labbra e ora che c’è abbastanza luce posso perdermi nei vortici che forma ai lati della mascella e del pomo d’Adamo.
Il Sole ormai è quasi alto e tu mi stringi, ma lo so che questa è solo un’effimera consolazione, ti accarezzo e alliscio il triangolo di peli sottili che hai sul petto, l’addome che si alza e si abbassa con quella suadente striscia scura che si perde chissà dove. Vorrei restare con te, vederci invecchiare e riconoscerci sotto sapienti rughe profonde e divertenti capelli grigi e bianchi, guardarci mentre siamo seduti sotto la veranda circondati da nipoti urlanti e con i nostri figli che osserviamo da lontano ma sempre vicini.
Ecco, è questo quello che posso dire per mostrarti quanto veramente tengo a te, non ci sono vie di mezzo.
Borbotti qualcosa nel sonno che non capisco e sorrido per quanto sembri innocente, un fiore da difendere ad ogni costo, anche al costo della mia stessa vita, e sarei contenta di farlo perché non c’è niente che mi renderebbe più felice che sapere che sei al sicuro, lontano da ogni pericolo ed è per questo che provo un tremore fastidioso all’interno del petto. Indecisa sul da farsi. Meglio vivere con te, in un’illusione piacevole fino alla fine dei nostri giorni che saranno comunque un’illusione o, e questa è la parte più difficile, fare quello che va fatto?
Ti giri su un fianco e io mi distendo accanto a te, abbracciandoti e affondando il viso tra le tue scapole ed inspirando il tuo profumo fino a quando non ne sono sazia anche se so che è una sensazione temporanea perché non lo sono mai, ne vorrei sempre di più.
Sotto le mie mai il tuo cuore batte calmo e tranquillo sapendo che quando ti sveglierai mi avrai ancora accanto, pronta a darti il buongiorno. Ma se così non fosse? Conosco il dolore causato dal non averti vicino, dal freddo che incontrano le mie dita facendosi largo sul materasso privo della tua sagoma, la mancanza di te che mi sussurri la notte prima di addormentarti, la sicurezza che mi dai, troppo importante per me perché solo con essa riesco a scacciare i demoni che abitano sotto al letto e dentro l’armadio.
Non ho altre parole per dirti quanto tu sia importante per me, come l’aria che respiro, l’acqua e il cibo che mi tengono in forze e il cuore che pompa il sangue in ogni mio tessuto ed organo; tu sei tutto, il motivo delle mie lacrime e dei miei sorrisi.
Ripeto a bassa voce il tuo nome. Se non fosse stato per te mi sarei persa nel labirinto della solitudine, non immagino nessun altro se non te con cui poter condividere le mie speranze, paure, passioni, desideri… in un’unica parola: vita. Non vorrei mai dirti addio, vorrei stringerti forte per impedirmi di andare via, vorrei baciarti e sorriderti mentre mi guardi col tuo solito sguardo adorabilmente confuso che adotti quando non hai idea di quello che mi passa per la mente, del perché alcune volte piango senza motivo quando sono tra le tue braccia o quando saltello per casa eccitata come una bambina quando mi dici che mi ami e che faremo tutto ciò che la vita ci permetterà di fare.
Torno a sedermi e guardo fuori dalla finestra, il sole punta sempre più in alto e la decisione che devo prendere si fa più opprimente e la necessità aspra e scomoda, so che se non faccio qualcosa subito, se aspetto che tu apra gli occhi, se solo per un istante concederò a me stessa di perdermi nel loro mare castano rimarrei impigliata e smetterei di pensare a quello che è giusto e mi comporterei come un’egoista, e questo non posso farlo, non dopo tutto quello che tu hai fatto per me.
Hai preso la mia mano durante i balli fatti sotto la volta celeste con le stelle testimoni del nostro patto, hai asciugato le mie lacrime e mi hai baciata facendomi sentire amata, mi hai stretta a te nelle notti in cui i nostri nomi si sono rincorsi e si intrecciati diventando materiale su cui costruire qualcosa di ancora più bello e affascinante, un modo per arrivare alle liquide stelle e toccarle con un dito e osservare le increspature sulla loro superficie che confondevano il nostro riflesso.
Sin da bambini, ancora ignoranti in materia di amore, siamo stati vicini, poi come amici e infine come le figure  che siamo adesso.
Ho scelto di difenderti, di sacrificare quello che sono per te con la consapevolezza che non ti dovrai mai preoccupare per le ombre minacciose che si allungano durante la notte sulle facciate delle case. Questo è quello che posso fare per dimostrarti quanto ti amo, più volte ti ho protetto e ogni volta si ritorna a questo punto. È un cerchio la nostra vita, costretti a rincontrarci sempre e rivivere la nostra felicità per poi essere costretti ad abbandonarla per un altro giro che presto o tardi arriverà. Ma la cosa che non sai, quella più orribile e che mi morde dall’interno, è che solo io sembro avere la crudele possibilità di ricordare quanto accade ogni volta che ci incontriamo, vita dopo vita io ti conosco di più mentre tu sempre un pochino di meno, ogni volta devo corteggiarti, ma questo non mi butta mai a terra perché farei e farò di tutto per te. In ogni luogo, in ogni tempo. Un amore maledetto, il nostro, che mi fa piacere avere anche se a volte mi fa soffrire come un cane abbandonato, ma non cambierei nemmeno una virgola di quello che è il nostro destino. Prima di andarmene ti bacio e ti prometto che ci rincontreremo, sempre me. Sempre te, sempre noi, anche se il mondo sarà un tantino diverso.’’
 
Questo il biglietto che lascia sapendo che tutto andrà perso.

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Capitolo 2
*** Atto 2 - Corpo ***


La ragazza scende dal letto, i capelli lisci che le ricadono sulle spalle come una leggera pioggia rossa, gli occhi verdi lucidi per il conflitto di emozioni che si agita all’interno del suo corpo compromettendo il delicato equilibrio tra cuore e mente. Non è ancora sicura di quello che andrà fatto ma le voci del suo passato la chiamano, grazie ad esse è certa che è giunto il momento giusto per riavviare il circuito della loro esistenza. Ogni volta è uno strazio ma se vuole che loro due continuino a vivere in pace sa che deve farlo, anche se il dolore è straziante; ha già provato una volta a remare contro la corrente della maledizione ma è stato peggio che assecondarla, ha assistito alla morte del suo amato a causa di una malattia che ha ridotto le sue membra ad uno spettro di ossa e pelle, gli occhi persi nel vuoto dell’oscurità e le labbra secche per tutte le volte che ha urlato durante la notte per il dolore che lo ha trascinato via, pezzo dopo pezzo, lasciando per ultima l’anima, la parte più importante che ha torturato fino al punto di rottura senza mai romperla davvero e non può permettersi di farlo soffrire ancora una volta come venti vite fa.
Va in cucina e versa il latte in un brik che mette sul fuoco per riscaldarlo, prepara anche la caffettiera. Fa come se fosse un giorno normalissimo, come tanti altri, ma non è per lei che costruisce quella falsità, è per lui, per fargli credere che tutto è a posto anche se non lo è per niente. Prende una forbice e apre un pacco di biscotti e lo posa sul tavolo bianco, ravviva le orchidee nel vaso con un po’ d’acqua e quando latte e caffè sono pronti versa un po’ di entrambi in una tazza, il buon odore si espande presto in tutta la casa e un mesto brusio le fa capire che si è svegliato. Chiude gli occhi e si immagina lui, pigramente, ancora addormentato, che allunga il braccio in cerca di lei nel letto, ma la mano tocca solo un’ombra tiepida, quello che è rimasto del suo corpo, ma non c’è nessuna ansia, nessun terrore, sa che è in cucina e respira tranquillo, il cuore non ha avuto nessun tentennamento, la mente è serena come il nome che prima di addormentarsi sussurra a denti stretti, per non farlo scappare e perdere nell’aria. Ne è così geloso che ogni volta sembra assaporarlo lentamente per non consumarlo e quando inevitabilmente accade lo ripete e lei sorride per questo suo modo di fare che la fa sentire come una ragazzina innamorata e stupida, ma forse lei è proprio questo anche se cerca di non mostrarlo.
Ancheggia nel pigiama sottile e turchese fino alla finestra che mostra il resto del mondo e la apre assaggiando l’aria mattutina che odora di pioggia e di promesse, di rimpianti e di rinascite.
Rivolge un breve sguardo all’orologio a forma di girasole, sono quasi le sette, mancano tre minuti, vorrebbe farlo adesso, ma ancora è troppo presto, la porta si aprirà solo quando quei minuti scomodi saranno trascorsi. Respira piano mentre cerca di mettere in ordine i pensieri e tenta di convincere il cuore a rallentare, sa che non può permettersi alcuna indecisione, altrimenti dovrà vivere nuovamente un incubo che in tutti i modi cerca di evitare.
Torna ad osservare l’orologio, com’è brutto essere legati al tempo, è tiranno e non sembra mai voler assecondare le volontà degli uomini e di chi lo sono stati un tempo.
Anno mille, un desiderio espresso, la volontà di rimanere per sempre insieme, attraverso il tempo, una maledizione di cui loro stessi erano stati gli artefici. Una lacrima le scorre lungo il viso e stizzosamente se l’asciuga. No, non è il momento di essere deboli, deve essere forte come le maree che distruggono rocce e civiltà quando sono capricciose, deve essere resistente come le torri di ghiaccio che si alzano dagli abissi e letale come le loro lame che distruggono le navi. Per adesso deve smettere di essere gentile come la brezza primaverile, serena come il nome che si porta dietro dalla notte dei tempi; non è il momento di essere umani, deve abbandonare le sue spoglie mortali per abbracciare una natura che gli è così estranea quanto familiare nonostante l’abbia adottata sempre quando arriva questo giorno.
Prende il coraggio non a due mani, ma a quattro e apre la porta che la condurrà nel luogo dove dovrà affrontare la prova finale. Disegna  una croce davanti a sé con le dita e la finestra si trasforma in una porta di legno scheggiato verniciato di bianco con un pomello a forma di testa di lupo con diamanti neri al posto degli occhi. La afferra, la mano sudata che trema, il passo lento mentre la porta di apre cigolando e il cuore che manca dei battiti mentre la chiude alle sue spalle.
L’oscurità la circonda, è fredda e scomoda, densa ed umida, la fa sentire male. Volti viola l’attraversano velocemente, sono tutti quelli che ha avuto nelle sue vite, sempre uguali, ma con uno sguardo diverso ogni volta che rinasce.
Muove qualche passo nell’ombra non vedendo nemmeno dove mette i piedi, ma piano piano si sente più sicura e si reca spedita verso quello che le sembra essere il centro di quel mondo senza colori, forme, oggetti e appena si ferma posa le mani sul mio petto ed una luce calda e fioca si accende mentre una rapsodia si dirama dal profondo della sua anima, una sinfonia che si espande, una melodia che fa sprofondare le sue radici in tutte le epoche, un’armonia  capace di contorcere lo spazio fino a ridurlo in una colata di acqua fresca e trasparente, o in una pioggia di fiocchi di neve che danzano nel buio rischiarandolo come piccole luci che segnano il suo cammino.
Allarga le braccia e il mondo intorno a lei si distorce come una superficie liquida mossa da una goccia che si posa su di essa, per divertimento, per sperimentare quello che accade. L’oscurità viene scacciata dalle mille luci che si sono formate con il suo semplice gesto e si trova ad essere sospesa sopra acqua cristallina, profonda ma non abbastanza da impedirle di vedere quello che si cela in essa: nubi di ricordi, fili d’inchiostro che danno forma ad esperienze passate che le sono rimaste impresse per la loro forza emotiva, come uragani o tuoni.
Passo dopo passo ecco il luogo segreto.
Respiro dopo respiro si accende l’anima.
Battito dopo battito si apre il cuore.
Lacrima dopo lacrima il fiore appare.
Un’orchidea rosa sboccia dal suo petto, è la sua reale essenza, quello che il suo vivere l’ha portata ad essere, un bellissimo fiore che soffre perché nessuno potrà mai sapere quello che si nasconde dietro il suo delicato aspetto. Ma è forte e adesso è giunto il momento di schiudere completamente i suoi petali per mostrare dove si nasconde il frutto che tutti vorrebbero avere ma che pochi hanno.
Fili d’acqua di levano dalla superficie del lago e la circondano, scivolano lungo il suo profilo, entrano facendosi largo nelle sue ferite. L’urlo che si leva si perde mentre la metamorfosi viene completata.
L’abito da umana viene abbandonato per indossare quello che più si confà a lei, a quello che ogni volta è costretta a sopportare, all’animale che le si agita dentro cercando di liberarsi una volta per tutte, alla guerriera che deve impersonare nell’ultimo giorno di ogni sua esistenza.
Le orecchie si allungano finendo in una punta, i capelli si fanno più lunghi diventando neri come il mondo che l’ha accolta, gli occhi verdi splendono come smeraldi, i lineamenti diventano più sottili ed eleganti, le labbra due petali di rosa, la pelle candida priva della stanchezza e decorata con qualche disegno: una farfalla, un fiore, due ali, un cuore, un nome dietro la nuca costituito dalle rune che le danno forza. Il pigiama si dissolve trasformandosi in una bianca veste fresca e sottile, davanti a lei, a mezz’aria, fluttua una spada enorme, sembra impossibile che lei possa brandirla, ma quando afferra l’elsa e la gravità torna a regnare sull’arma essa è leggera come una foglia.
Prendendo l’arma l’incantesimo giunge a conclusione e appare il mostro che ogni volta deve sconfiggere per impedirgli di far del male alla persona che ama, per dare inizio ad una nuova storia che sarà scritta chissà quando.

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Capitolo 3
*** Atto 3 - Mente ***


La creatura si sveglia e, a passo lento esce dall’ombra in cui si è nascosta in attesa di questo momento, schiocca le fauci già affamata del sangue della ragazza che brandisce l’unica arma che può sconfiggerla. La spada triangolare è grande quanto la stessa ragazza che la tiene davanti a sé pronta alla guerra è, stata forgiata dal sacrificio di due anime innocenti, due amanti che, per pietà del destino di quei due ragazzi destinati a non potersi mai avere veramente, hanno rinunciato alla propria vita per donare alla loro causa qualcosa che poteva aiutarli.
La bestia fa un passo in avanti, lo zoccolo che infrange la superficie dell’acqua congelandola.
La punta della lama graffia il ghiaccio, la ragazza parte all’attacco disegnando un arco nell’aria, l’essere la evita saltando e atterrandole alle spalle.
Il vapore caldo che esce dal muso della bestia si condensa in una nebbiolina, assomiglia ad un minotauro con tre code, la pelle umana nera e segnata da profonde cicatrici, le corna scheggiate, il pelo rosso, l’odore di muschio che le arriva alle narici e che le ricorda lui. Il Minotauro stringe in una mano un’ascia bipenne con la quale cerca di affettarla, ma la metamorfosi l’ha resa veloce ed agile come gli elfi di cui legge quando è costretta a vivere, sono figure che l’attirano e che l’affascinano per la loro abilità di conoscere qualsiasi tipo di incantesimo e di riuscire a infrangerlo con uno schiocco di dita, capacità che vorrebbe avere lei.
Serena scatta di lato per evitare un fendente, la lama dell’ascia si incastona nel ghiaccio e con la spada colpisce la creatura, il suo sangue cola piano dal taglio e poi gocciola caldo sul terreno freddo. Si morde il labbro inferiore e cerca di non soffrire pensando a quello che ha realmente fatto. Possibile che il loro desiderio sia così mostruoso per meritare questa punizione?
Il Minotauro ruggisce di rabbia e dolore, lei è distratta e non vede il colpo arrivare, un manrovescio che la spedisce contro la parete rocciosa della grotta dove si trovano. La spada le scivola di mano, la lama tintinna mentre urta il ghiaccio, la schiena urla al posto suo, come le ginocchia quando incontrano il terreno.
È inginocchiata, priva di qualsiasi difesa, la creatura potrebbe farle tutto quello che vuole, ma rimane immobile, fermo ad osservarla attendendo che lo scontro ricominci. La maledizione impone che sia lei a sferrare il colpo letale, da quel luogo non si può uscire in nessun altro modo, anche il cercare di uccidersi da sola non funzionerebbe, l’ha già tentato e il massimo che è riuscita a farsi è stato un graffio sulla clavicola. Il suicidio non è contemplato.
Si mette in piedi e si avvicina alla spada, le dita elegantemente avvolgono l’elsa come l’abbraccio rassicurante che le ha sempre regalato chiedendo mai nulla in cambio.
I loro occhi si incrociano, i respiri sono simili come il battito dei loro cuori, sa che dietro le iridi rosse e le corna minacciose si nasconde la persona il cui nome è impresso sulla sua pelle.
La Bella e la Bestia. L’Elfa e il Minotauro.
Mentre schizza su di lui le lacrime le sgorgano dagli occhi, le lame si incontrano inondando tutto con scintille bollenti che sfrigolano a contatto con le superfici ghiacciate, i loro corpi si muovono rapidi. È ingiusto un combattimento dove solo lei deve uccidere, lui fa il prepotente, si fa odiare, nasconde la sua vera natura per essere ucciso, fa di tutto per arrivare al suo scopo e lei, a malincuore, è costretta ad accontentarlo.
La lama dell’ascia arriva silenziosa e letale, lei la devia con la sua spada e colpisce il ghiaccio alzando una nebbia sottile che li circonda, lei avanza con l’arma pronta a colpire, il Minotauro è veloce, ma questa volta non è abbastanza per schivare il suo colpo che lo sorprende al collo segnandolo con una piccola striscia rossa, salta su di lui e ruota la spada tranciandogli un corno.
Spera dentro di se che se lo fa infuriare per una volta, tanto attesa, sarà lui ad eliminarla. La creatura rimane immobile ad osservarla per un attimo prima partire all’attacco.
Si fa guidare dalla rabbia e ogni colpo, anche se dotato di una forza distruttiva immane risulta essere lento e impreciso, lei non fa nessuna fatica per schivarli e la sua lama assaggia un altro po’ del suo sangue.
La sofferenza si nota sul volto di Serena. Chi può essere il suo nemico se non la stessa persona a cui vuole più bene? Riconosce Nathan in tutti i movimenti del Minotauro, nel modo in cui la desidera, ma la maledizione lo rende incapace di assecondare i suoi veri desideri e lo trasforma in un animale che inscena solo il suo omicidio organizzato.
La creatura si alza e corre verso di lei che allunga il braccio davanti a sé e mormora ‘Tessitura di Orchid’, delle liane si alzano dal terreno, il Minotauro cerca di abbatterle ma questo sembra farle arrabbiare e si attorcigliano attorno al suo corpo muscoloso stringendogli la gola e immobilizzandolo.
Serena si trascina dietro la spada che, anche se leggera, adesso sembra pesare quintali, la lama stride sul terreno, il suo cuore prega di non farlo mentre la sua mente le dice che è l’unica cosa che può fare. A ogni passo che fa per ridurre la distanza che li separa sulle radici crescono dei boccioli che alla fine esplodono liberando una dorata nube di polline e orchidee di tutti i colori e specie.
Arrivata davanti a lui posa sul suo petto la mano e sente il sangue scorrere nelle sue vene, il battito del cuore e guardandolo negli occhi le sembra di scorgere Nathan, incatenato a quello che è stato il loro desidero; il Minotauro non fa niente, non cerca di liberarsi, anzi, lascia cadere a terra l’arma che si infrange in milioni di frammenti che mutano in farfalle dalle ali celesti e brillanti che si immergono nel ghiaccio sotto di loro.
Gli accarezza il muso e lo abbraccia prima di prendere le distanze.
La lama triangolare entra nel petto dell’enorme creatura trapassandolo da parte a parte, nessun lamento, abbassa solo il capo e anche l’arma di Serena si dissolve trasformandosi in piume che vorticano intorno alla figura di nuovo umana del suo amato.
Lo sorregge prendendolo da sotto le ascelle e comincia a chiamarlo, ma lui non risponde, i peli e la pelle del petto sono incrostati dal sangue che, senza fermarsi, gli esce dalla ferita che gli ha inferto. È pallido e le labbra stanno cominciando a diventare cianotiche. Lo stringe a sé sapendo che  non può fare nulla, gli prende una mano e le loro dita si intrecciano automaticamente.
Le urla e i pianti sconquassano il ghiaccio creato dal Minotauro che torna ad essere acqua cristallina e il sangue inizia a tingerla del suo rosso.
Un terribile dolore al petto e la grotta esplode cancellandoli, l’acqua si cristallizza e s’infrange in una pioggia di brillanti.

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Capitolo 4
*** Atto 4 - Eclisse ***


​Si risveglia, col cuore in gola, la gola secca e le lacrime che le scivolano lungo le guance. La madre è al suo fianco dicendole che è stato solo un brutto sogno, ma lei sa che non lo è, che presto o tardi accadrà di nuovo.

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