Indelible scars.

di MerasaviaAnderson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo I: The Happiness. ***
Capitolo 3: *** Capitolo II: The Baby. ***
Capitolo 4: *** Capitolo III: The Fall. ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV: The Hospital. ***
Capitolo 6: *** Capitolo V: The After. ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI: The Anger. ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII: The Return. ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII: The Visit. ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX: The Hero. ***
Capitolo 11: *** Capitolo X: The Set. ***
Capitolo 12: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***




PROLOGO
 
 
 
 
I tanti bambini che popolavano il grande giardino di casa Hutcherson facevano un rumore assurdo, gridavano, ridevano, si rincorrevano intorno al grande tavolo posizionato sull’erba fresca di ottobre da Josh e Jennifer, per il compleanno di Robert.
Quel piccolo ometto compieva già cinque anni e aveva voluto invitare tutti i suoi amici, in quel mite pomeriggio di ottobre.
Il sole non picchiava molto forte, in Kentucky, anzi, spesso era coperto da qualche nuvola passeggera, ma non faceva neanche molto freddo. Si stava bene, per essere autunno.
Jennifer uscì dalla casa con in mano una torta enorme, tutta ricoperta di cioccolato e decorata con della glassa argentata.
Erano passati solo dieci giorni dal 30esimo compleanno di Josh e ormai lui era divenuto “l’uomo dell’anno”. Tutti i giornali parlavano dei trent’anni del ragazzino che, un tempo, aveva esordito con “Innamorarsi a Manhattan” e adesso stava per dirigere il suo primo film.
Mentre tutti i bambini si avvicinavano al tavolo per poter ammirare la grande torta di compleanno, Robert saliva su una sedia, pronto a spegnere le cinque candeline blu poste sulla torta.
Era felice, la famiglia Hutcherson, aveva riacquistato la felicità perduta, era stato un cammino difficile, ma erano riusciti a riemergere da quel mare di dolore in cui erano sprofondati.
Robert era ormai grande, l’anno prossimo sarebbe andato a scuola ed era meraviglioso vederlo così felice, vedere i suoi sorrisi riempire le giornate di Josh e Jennifer che, purtroppo, a volte stavano lontani per troppo tempo.
«Non mi sento troppo bene» mormorò Jennifer, quando Josh si sedette accanto a lei porgendole un pezzo di torta, che rifiutò «Ho un mal di testa assurdo … Voglio solo dormire.»
Josh le prese la mano, dove la sua fede d’oro brillava alla luce del giorno … A volte a lui sembrava quasi un sogno che fosse sposato con lei, con la donna che ha sempre amato, fin da quando era un ragazzo di vent’anni. Era sempre stata bella, solare, un po’ spiritosa, a volte un po’ stramba, ma Josh non ricordava neanche un istante in cui avesse smesso di amarla.
«Sei sempre la solita dormigliona!» esclamò Josh, ridendo.
«Stanotte non ho chiuso occhio, quel barbecue di ieri mi ha fatto male.» mugolò Jennifer, tenendo il broncio.
«Così la prossima volta ci ripensi, prima di strafogarti come un maiale.»
«Mi stai insultando, Hutcherson?» chiese Jennifer, con tono fintamente offeso.
«Sì, probabile.»
Il ragazzo – ormai diventato uomo – si protese a baciarla sulle labbra, mentre Jennifer sfoggiava uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
Si diceva di loro che erano fantastici insieme.
 
Jennifer tirò un sospiro, apparentemente perplessa, mentre si alzava per andare a salutare la mamma di Neal, un compagno di scuola di Robert.
Era una donna bassina, con lunghi capelli biondi e due piccoli occhi verdi. Subito il piccolo Neal corse incontro alla madre, sorridente, mentre le faceva vedere il regalino che Josh e Jennifer avevano dato ad ogni bambino, come ricordo del compleanno.
«Ti sei divertito?» chiese la donna a Neal, che annuì soddisfatto.
Sia Josh che Jennifer salutarono il bambino con un bacio, mentre Robert, tutto contento, lo abbracciò.
Ben presto tutti i bambini andarono a casa, Robert si mise a giocare con un camioncino, mentre Josh riportava dentro il tavolo e Jennifer puliva il giardino, spesso cercava lo sguardo di Josh, che era occupato a smontare e portare in cantina il tavolo bianco in plastica.
Sembrava che volesse dirgli qualcosa e aveva l’aria di essere qualcosa di molto serio, vista l’espressione preoccupata sul volto di Jennifer.
Ma Josh sembrava non accorgersene, troppo preso dell’emozione del suo primo lavoro da regista. Aveva promesso a Robert di portarlo sul set, gli avrebbe fatto vedere come funzionava il mondo del cinema, quanto era grande una macchina da presa.
Lo aveva sempre sognato, Josh, aveva sempre sognato dei figli, una famiglia, diventare un regista.
Sembrava proprio che i suoi sogni si stessero realizzando uno dopo l’altro e Jennifer non poteva far in modo di notare quanto fosse felice. Per ogni giorno che passava, la data dell’inizio delle riprese era molto vicina e Josh sembrava non star più nella pelle. Era eccitato, preoccupato, estremamente felice … Sembrava che tutto fosse stato messo da parte, anche Jennifer si sentiva un po’ accantonata, ma comprendeva che era pienamente plausibile.
Dopo tutto quello che aveva passato, quella felicità smisurata se la meritava davvero.
 
***
 
Jennifer attendeva impaziente, camminando avanti e indietro verso il bagno, sbruffando e incrociando ripetutamente le braccia, mentre attendeva quei pochi secondi che le sembravano eterni.
Aveva comprato quel test di gravidanza la mattina stessa, dopo che si era accorta dei tre giorni di ritardo e li aveva ricollegati alla stanchezza, alla nausea e ai momenti di fame assurda.
Tutto conduceva ad una sola strada: la gravidanza.
Robert era all’asilo, mentre Josh era andato a fare un giro in moto, giusto per rallentare un po’ la tensione di quei giorni.
Jennifer aveva parlato con Josh, la sera prima, gli aveva confessato della sue sensazioni e delle troppe coincidenze.
Josh aprì un sorriso a trentadue denti, dicendole che appena possibile sarebbero andati a fare delle analisi, ma non gli aveva accennato al fatto che il giorno dopo avrebbe fatto il test.
Un “bip” attrasse l’attenzione di Jennifer, che subito si affrettò a guardare il piccolo affarino bianco, scorgendo nello schermo due linee rosa e una parola accanto alle lineette: “Incinta”.
Fu come ricominciare da capo, quando in quella sera di fine febbraio scoprì di aspettare Robert.
Lo stesso calore e la stessa eccitazione la pervasero, un enorme sorriso si aprì sul suo volto e inaspettatamente si ritrovò a ballare per la stanza.
Aveva sempre desiderato un altro figlio, magari una bambina, stavolta, qualcuno a cui fare le trecce la mattina, prima di andare a scuola o a cui comprare quei vestitini carini, con fiori rosa e altri soggetti.
Pensò che Robert sarebbe stato felicissimo all’idea di avere una sorellina o un fratellino e Josh si sarebbe nuovamente trasformato in quel ragazzino dal sorriso ebete che parlava con una pancia, nella speranza che il bambino o la bambina lo potessero sentire e riconoscere la voce del suo papà.
Si portò una mano sulla pancia e con un sorriso la accarezzò:
«Ti aspetto presto, tesoro.» sussurrò, per poi riporre il test dentro una scatoletta ed uscire dal bagno.
Andava tutto bene.
 
 
FINE PROLOGO
 

Angolo Autrice:
Buonasera, ragazze!
Finalmente ecco a voi la tanto attesa Indelible Scars, che porrà la parola “FINE” alla serie “Indelible” … A me un po’ dispiace, perché ci ho messo anima e cuore in queste storie, ed è anche vero che non sono proprio capace di dare una “Fine” definitiva a qualcosa.
Uhm, mi sa che qualcuno è felice dell’arrivo del secondogenito hahahahaha (vero Vale?)
Vi anticipo che - qualunque cosa accada in questa storia - la responsabilità è di AnneMary, che mi ha COSTRETTO a scriverla. :)
Sinceramente non ho molto da dire sul Prologo, perché ancora non siamo nel vivo della storia e c’è poco da commentare … Spero che la seguirete con passione e aspetto i vostri commenti!♥
Grazie ancora, alla prossima.:)
_merasavia.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo I: The Happiness. ***




Indelible Scars

 
Capitolo 1:
The Happiness

 
 
 
Mezzogiorno era passato da un po’ e Josh aveva appena parcheggiato la moto nel vialetto di casa, dopo essere andato a prendere Robert all’asilo.
Il bambino scese dalla moto con un sorriso raggiante, tipico dell’innocenza infantile e aspettò davanti alla porta di casa che suo padre arrivasse.
Josh sistemò i caschi e mise la catena alla moto, per poi prendere le chiavi di casa dal giubbotto e dirigersi verso la porta.
«Papà, lo sai che oggi Julie ha morso Chris perché non voleva darle i colori e poi si sono messi a fare la lotta e sono caduti sulla maestra?!» inizio a raccontare Robert, ridendo con entusiasmo
«Ah sì?» rispose Josh aprendo la porta ed entrando in casa «E la maestra cosa ha detto?»
«Niente. Si è messa a ridere, ma poi li ha rimproverati perché dice che non si deve litigare.»
«La maestra ha ragione.»
«Tu hai mai litigato con lo zio Connor?» chiese innocentemente Robert, alzando lo sguardo su Josh.
Josh si irrigidì un attimo, ma poi incrociò lo sguardo di Robert e sorrise:
«Oh, sì.» rispose con una nota di malinconia nella voce «Tante volte. È normale litigare tra fratelli.»
«Anche tra amici è normale litigare?»
«Certamente, tutti possiamo litigare qualche volta … Se siamo arrabbiati oppure se qualcuno ci ha fatto un torto.»
«E perché tu e zio Connor litigavate?» chiese nuovamente Robert, mentre raggiungevano la cucina dove Jennifer stava mettendo i piatti in tavola.
«Perché io mettevo sempre in disordine le sue cose.» Josh rise, ricordandosi delle sue litigate con il fratello, da ragazzini «Diventava tutto rosso quando si arrabbiava, proprio come te!»
«Era ora!» li interruppe Jennifer sbuffando, per poi andare a baciare la guancia di Robert «Cosa avete fatto tutto questo tempo?»
«Rilassati, Shrader!» rise Josh «Siamo solo passati dieci minuti al parco a farci due tiri a canestro!»
«Uhm … Non cambierete mai, voi due!» disse Jennifer, avvicinandosi con un falso tono accusatorio al marito, che le rubò un bacio a fior di labbra.
Dopo essersi seduti a tavola, Robert riprese a raccontare di ciò che era successo all’asilo quella mattina.
Era un bambino molto sveglio e amava parlare, mostrarsi al mondo, esprimere i suoi sentimenti, le sue passioni.
Da un lato il suo carattere somigliava molto a quello espansivo e travolgente di Jennifer, dall’altro aveva preso la riflessività e l’immensa sensibilità di Josh. Era anche un po’ disordinato, proprio come lui. E a volte un po’ pasticcione, come Jennifer.
Josh notò le occhiate un po’ strane di suo moglie e quel ghigno sul viso che celava un evidente sorriso.
Notò anche che il suo piatto di pasta era scomparso più in fretta del solito e di come lei avesse fatto il bis di patatine fritte.
«Jennifer, dimmi, hai due stomaci come le mucche per caso?» commentò Josh mentre finiva l’ennesima porzione di patatine.
«Probabile.» commentò Jennifer sorridendo.
Non aveva ancora detto a Josh di essere incinta, avrebbe voluto dirglielo nel pomeriggio, durante in consueto riposino pomeridiano di Robert.
Si chiedeva spesso quale sarebbe stata la reazione di Josh alla notizia di un secondo figlio, quando gli disse di Robert era quasi svenuto, si era dovuto sedere sulla poltrona e aveva iniziato a sudare e a preoccuparsi, chiedersi se fosse uno scherzo, per poi prenderla in braccio e sentirsi l’uomo più felice del mondo.
Lo ricordava bene Jennifer, ricordava il suo sorriso, le sue mani tremanti di gioia, di come girava per casa emozionato.
E ora si sarebbe ripetuto tutto di nuovo, avrebbero raggiunto nuovamente quella felicità sconfinata, la soddisfazione di donare la vita ad una nuova creatura, di tenere un bambino tra le braccia per la prima volta.
Sembrava tutto così magico, così perfetto.
A volte non c’erano parole giuste per descrivere quelle sensazioni.
Mancavano solo poco più di otto mesi e Jennifer si sentiva già al settimo cielo.
Era uno dei momenti in cui sentiva di poter dire di aver “toccato il cielo con un dito”.
Quella era per lei la felicità.
 
***
 
Jennifer e Josh erano stesi sul letto, l’uno stretti nelle braccia dell’altro, lui giocava con i suoi capelli, mentre lei torturava il colletto della sua camicia verde.
«Ti ricordi quando Robert di chiamava “Yayan”?» chiese improvvisamente Jennifer, con un luminoso sorriso sul viso e guardando con aria sognante un punto imprecisato sulla parete.
«Oh, sì!» Josh rise «Avrà avuto … Un anno forse? Quando tu mi avevi chiamato “Ryan” davanti a lui e da quel momento ero diventato “papà-Yayan”!»
«Era un tesoro … Ripeteva praticamente tutto!»
Jennifer esitò un attimo, guardando il sorriso di Josh, scrutando alla perfezione il suo sguardo perso tra ricordi felici, il suo braccio dietro la testa, l’altra mano che le accarezzava amorevolmente i capelli.
Ascoltava i suoi respiri, il battito del suo cuore. Si lasciava cullare dal suo petto, che si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro.
«Josh?» lo apostrofò, alzando lo sguardo su di lui.
«Mmh?»
«Per quelle cose che ti ho detto l’altra volta … Ti piacerebbe avere altri figli?» chiese, un po’ timorosa, calando lo sguardo sulla sua pancia.
Josh sorrise, tirandosi a sedere sul letto e dando un tiepido bacio alle labbra di Jennifer.
«Anche un’intera squadra di basket, se vorrai.»
«Non era “una squadra di calcio”?» chiese Jennifer, ridendo.
«Dai, Shrader … Mi conosci!» Josh si unì alla risata, tornando a stringerla tra le braccia e accarezzare i suoi capelli.
«Be’ … Credo che per quella squadra di Basket abbiamo trovato un componente in più!» esclamò Jennifer, ancora sorridente, mentre continuava a fissare gli occhi nocciola del marito, che la guardava con un tono di perplessità.
«Co-Cosa mi stai cercando di dire, Jenn?» balbettò, con voce un po’ tremante e insicura.
«Sono incinta, Josh.»
Mormorò quelle tre parole tutte d’un fiato, per poi tirare un sospiro … Come se si fosse tolta di dosso un enorme e meraviglioso macino che la bloccava da tempo.
Josh aprì la bocca per dire qualcosa, ma nessun suono vi uscì. Spalancò gli occhi, inumiditi da qualche lacrima.
Non sapeva più come si sentiva: era stato colto alla sprovvista, proprio come era successo con Robert.
Sarebbe diventato padre per la seconda volta; ci sarebbe stato un altro bambino da tenere tra le braccia, un altro esserino che correva per casa chiamandolo “papà”.
Un misto tra felicità e paura lo travolse, lasciandolo per qualche secondo bloccato in quel letto un po’ disordinato.
«Josh» Jennifer lo scosse per un braccio, notando il suo sguardo perso «Insomma, di’ qualcosa!»
«Io … » Cercò di bofonchiare qualcosa, ma le parole erano bloccate in gola, le mani tremavano leggermente, gli occhi ancora lucidi.
Jennifer si avventò sulle sue labbra, baciandolo come mai prima era successo, accarezzando i suoi capelli, sentendo il profumo di acquamarina che ormai aveva impregnato nella pelle.
Quel profumo che la portava in altri mondi, in altri tempi …
Lei che aveva sognato di tutto, pur di star con lui.
Jennifer si staccò sorridendo, Josh aveva ancora un sorriso ebete stampato sul viso, uno di quei sorrisi provocati da stupore e felicità.
«Penso di averti lasciato muto, Hutcherson.»
«Un altro marmocchio che ci farà impazzire, ma ti ci pensi, Shrader?» sorrise, lasciandosi sfuggire una lacrima giù per la guancia. «Robert avrà un fratellino!»
«O una sorellina …»
«O una sorellina, sì … Sì.» Balbettò, ancora leggermente sotto shock «Per la seconda volta … » bofonchiò tra sé e sé «Tornerò ad essere papà-Yayan per la seconda volta …»
«Dovremmo includerlo nella tua filmografia, il ruolo di “Papà-Yayan”, non credi?»
«Sì, lo penso anch’io!» Josh rise, posando un altro bacio sulle labbra di Jennifer e posando una mano sulla sua pancia.
Jennifer sorrise, quando vi poggiò la testa sopra, chiudendo gli occhi e immaginando di sentire già il movimento dell’esserino che aveva dentro.
Si sarebbe addormentato ogni notte in quel modo, Josh, proprio come aveva fatto prima che nascesse Robert, quando ogni notte – fin da quando suo figlio non era altro che un minuscolo esserino nella pancia di Jennifer – si addormentava con la testa sulla sua pancia.
Anche quando era certo che il bambino non potesse sentirlo mormorava parole dolci, frasi amorevoli.
E adesso stava accadendo di nuovo.
Era perfetto.
Cosa potevano desiderare altro se non quella felicità?
 
 
FINE CAPITOLO 1
 

Angolo Autrice:
Visto, per questo capitolo mi sono superata!
“The Happiness” … La felicità!
Eh già, ho scritto qualcosa di estremamente felice e fluff, anche se non so come sia potuto accadere.;)
Immagino che sia una grandissima gioia per voi lettori, no?
Be’, è evidente che non sapete cosa vi attende.
Ammettetelo, la reazione di Josh quando Jenn gli dice del/della bimbo/a (a voi le scommesse sul sesso ;P) è la cosa più dolce del mondo! Hahahaha
Voglio un Josh tutto per me, ma questo voi già lo sapete.
Be’, non so voi, ma io vedo Robert come un Josh in miniatura, ma con il carattere peperino di Jennifer … Cioè, con un mix tra quei due non poteva che uscire qualcosa di perfetto, no? ;)
Che dire? Aspetto i vostri commenti, perché – si sa – quelli fanno sempre piacere … Anche per sapere se la storia vi sta piacendo oppure la trovate una cretinata totale hahahaha
Ora scappo, perché devo ancora fare tutti i compiti e scrivere “I’ll stay with you forever” (Che sì, spammo anche qui perché quella storia è l’ammmmore) altrimenti  Joker mi uccide.
Detto ciò, alla prossima, Ccioie!♥
Ci vediamo con i miei cinquanta bambini dalla mascella quadrata. (-Cit.)
_merasavia.

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Capitolo 3
*** Capitolo II: The Baby. ***




Indelible Scars

 
Capitolo 2:

The Baby

 
 
 
Era un tranquillo sabato sera, a Union, qualche goccia di pioggia bagnava le case del Kentucky, ma non sembrava che il cielo avesse intenzione di scatenare un temporale.
Quella sera Jennifer e Josh avevano invitato i genitori e i fratelli di lei, per dare a tutti l’annuncio della gravidanza.
Avevano colto la scusa della solita “riunione di famiglia”, quindi nessuno sospettava di nulla, mangiavano tutti chiacchierando del più e del meno, mentre Jonathan e Robert si abbuffavano a patatine fritte e si scambiavano delle figurine.
Guardandoli, Jennifer pensò che sarebbe stato bello, quando tra qualche anno ci sarebbe stato anche un altro bambino a giocare insieme a loro, o una bambina, che li avrebbe presi in giro oppure stuzzicati.
O forse sarebbero andati d’accordo …
«Mamma! Mamma!» Robert raggiunse il posto di Jennifer, con la bocca tutta sporca di ketchup e Jonathan dietro di lui «Possiamo andare in giardino a far vedere a Jonathan la nuova bicicletta che tu e papà mi avete regalato al compleanno?»
«Prima di tutto fatti pulire che sei tutto sporco!» rise lei, prendendo un fazzoletto e pulendogli la bocca e la punta del naso, anch’essa sporca di Ketchup «Magari un’altra volta, Robert … Fuori adesso fa un po’ freddo e non mi pare che sia il caso di uscire per poi ammalarci tutti, no?»
«Va bene.» sussurrò Robert, con l’aria un po’ triste.
«Dai, non far così, Rob!» Jennifer lo prese sulle gambe e avvolse un braccio attorno la vita di Jonathan «Ora ci facciamo una bella foto, okay?» disse, prendendo il telefonino e aprendo la fotocamera.
Dopo essersi fatti la foto, Jonathan prende la mano di Jennifer e la guardò negli occhi «Zia, se quando lo zio Josh parte tu ti senti sola puoi venire a stare un po’ dalla nonna, così quando la mamma mi ci porta io ti vedo sempre! E posso anche giocare con Robert.»
«Certo, tesoro.» Jennifer lo abbracciò, stringendolo forte e lasciandogli un bacio sulla guancia.
Jonathan era sempre stato molto legato a Jennifer e ogni volta che stavano insieme si divertivano tantissimo.
Jennifer lo faceva sempre ridere con le sue facce buffe e Jonathan cercava sempre di imitarla, sembravano ancora più buffo.
Da quando a loro si era unito anche Josh ed era arrivato Robert, il divertimento si era moltiplicato, specialmente quando Robert aveva iniziato a crescere.
«Questo bambino diventerà il più viziato della Terra!» diceva sempre Emma, quando Josh e Jennifer passavano da casa sua per portare Jonathan in un fast food insieme a loro o semplicemente a prendere un gelato.
Si era legato anche molto a Josh, fin da piccolo, quando lo aveva visto per la prima volta sul set.
Dopo che i bambini erano tornati a finire la loro cena e Jennifer aveva portato in tavola il dolce, tutta la famiglia si era riunita in salotto.
Continuavano a parlottare delle solite cose, mentre Robert mostrava a Jonathan il suo pallone da basket, che quasi, quasi era più grande di lui.
Jennifer lo guardava un po’ di traverso, ricordandosi di quando l’ultima volta lui e Josh avevano rotto la vetrina della credenza giocando con quel pallone dentro casa.
Si torturava le mani nervosa, appoggiata alla spalla di Josh che aveva un braccio intorno alle sue spalle.
Stava aspettando solo il momento giusto.
Qualche volta Josh le aveva fatto qualche cenno di parlare, ma lei si era rifiutata: doveva trovare le parole, prima di tutto: era una bella notizia, ma lei non era mai stata brava a sapere cosa dire, neanche con le cose belle.
Quello bravo era Josh, ma questa volta doveva essere lei a dare il grande annuncio, proprio come cinque anni prima, con Robert.
Così, improvvisamente, si alzò dal divano, tirando Josh con sé e si mise in piedi vicino al camino, in modo che tutti la potessero vedere … e sentire.
Josh le teneva stretta la mano, sorridendo.
Non avevano detto nulla neanche a Robert, per evitare che gli sfuggisse di dire a qualcuno il fatto che “avrebbe avuto un fratellino o una sorellina”.
«Famiglia» esordì Jennifer, tirando un lungo sospiro «io e il mio Ryan abbiamo un annuncio da farvi» Josh le tirò uno sguardo e sorrise «Noi … Aspettiamo un bambino … Cioè, io lo aspetto … e anche Josh, ma …» Jennifer rise, guardando soddisfatta tutta la sua bellissima famiglia «Sono incinta, ecco. Spero che si sia capito, no?»
In un primo momento rimasero tutti un po’ sconvolti e sorpresi dalla notizia, in particolare i due fratelli Lawrence, che si erano resi conto per la seconda volta che la loro sorellina era davvero cresciuta.
«Avrò un fratellino!» esclamò Robert, sorridendo sornione.
«Sì, Rob, avrai un fratellino!» rise Josh, prendendolo in braccio e scompigliandogli i capelli.
Ma subito il bambino si divincolò dalle braccia del padre e iniziò a correre per la stanza felice, mentre tutti si congratulavano con Josh e Jennifer.
«Hai visto, zio Ben?» disse, aggrappandosi alla gamba dello zio «Avrò un fratellino!»
Ben rise, subito dopo che Robert corse anche dallo zio Blaine urlando come un pazzo.
«E se è una sorellina, Robert?» chiese Jonathan ridendo.
«Allora le ruberò tutte le bambole e la prenderò in giro. Ma poi le darò un abbraccio e le dirò che in realtà le voglio bene! È questo che fanno tutti i fratellini, no?»
Scoppiarono tutti in una fragorosa risata, mentre Karen prendeva in braccio il piccolo Robert e gli solleticava la punta del nasino.
«Mi sa che se sarà una femminuccia ti concerà ben bene, piccola peste!» la donna lo baciò sulla guancia e subito Robert le gettò le braccia al collo per abbracciarla «Non è vero, nonna, io sono forte!»
Robert fece un gesto con il braccio, come per mostrare quanto fossero grandi i muscoli delle sue braccia.
Era piccolo, sì, ma era vero che era forte.
 
***
 
«MAMMA! MAMMA!» Robert corse piangendo nella camera dei genitori, salendo sul letto e svegliando Josh e Jennifer, che dormivano profondamente, stanchi della lunghissima serata trascorsa con i parenti.
«Rob, cosa succede?» domandò Jennifer, con la voce impastata dal sonno e gli occhi semichiusi.
«C’era un mostro, mamma!» il bambino si accucciò a Jennifer, continuando a piangere e stringendo a sé Peter, il suo inseparabile orsetto di peluche «Un mostro che mi stava facendo cadere in un burrone!»
Josh accarezzava i capelli di Robert, con un sorriso stanco e assonnato.
«Era solo un brutto sogno, campione.» lo rassicurò, scostandogli il viso e asciugandogli le lacrime sul viso rosso.
«Sì, Rob. Sta’ tranquillo, tesoro.» gli disse Jennifer, posandogli un bacio sulla guancia e abbracciandolo forte.
«Il mostro non mi ucciderà, vero?» continuò il bambino, mentre cercava Josh con lo sguardo.
Josh: la sua roccia, la sua àncora.
«No che non ti ucciderà … » gli rispose Josh, facendolo sedere sulle sue gambe «E se ci proverà io lo caccerò via!»
Robert abbracciò forte Josh, cercando rifugio tra le sue forti braccia e nel calore del corpo di Jennifer.
Si voleva sentire protetto, come ogni bambino, e Josh e Jennifer dovevano compiere il loro ruolo da genitori, che iniziava con il cacciar via gli incubi la notte e finiva soltanto quando avrebbero esalato l’ultimo respiro.
«Posso dormire con voi, stanotte?» chiese Robert, guardando entrambi con quei suoi occhioni nocciola.
«Certo che puoi, scimmietta!» Jennifer gli accarezzò i capelli e gli sorrise, scoccandogli un altro bacio sulla fronte «Ma ora mettiti sotto le coperte che fa freddo!»
Dopo essersi messi tutti a dormire, benché cullato dalle braccia dei genitori, Robert non riusciva a dormire. Continuava a girarsi da un lato e dall’altro, guardando un po’ Jennifer, un po’ Josh, mentre stringeva ancora a sé l’orsetto Peter.
Jennifer aveva un braccio avvolto intorno la sua pancia, mentre Josh gli teneva stretta la piccola mano.
In silenzio, respirando piano, quasi temesse che qualcuno lo scoprisse, con la mano libera accarezzò la guancia della madre, che dormiva profondamente a pancia in giù.
Guardò Josh con la paura negli occhi, mentre rivedeva davanti a sé il grande mostro che lo stava facendo cadere.
«Papà … » sussurrò, scuotendolo per un braccio «Papà … »
Josh si svegliò all’istante e lo guardò con un occhio, che faticava ad abituarsi alla flebile luce che illuminava la stanza.
«Cosa succede, Rob?»
«E se mentre cerchi di proteggermi il mostro uccide te?»
Josh restò un po’ stupito, a quella domanda, mentre guardava gli occhi di Robert riempirsi lentamente di lacrime.
«Oh, amore … » si avvinò ancora a lui e lo abbracciò, baciandogli la fronte e stringendolo a sé «Il mostro non mi farà niente, okay? Io sono forte.»
Il bambino annuì silenziosamente, affondando il viso nella maglia di Josh «Ti voglio bene.» sussurrò, prima di addormentarsi.
Quella notte, anche Josh aveva ragione, perché, nonostante tutto quello che aveva passato, anche lui era forte.
E lo sarebbe stato sempre: per Robert, per Jennifer, per il bambino che lei portava in grembo … E anche per se stesso.
«Anche io, Campione.» gli rispose Josh, accarezzando i capelli del bambino «Te ne voglio tanto.»
 
 
FINE CAPITOLO 2
 
 
 


Angolo Autrice:
Buon pomeriggio, cari lettori, fortunatamente ce l’ho fatta ad aggiornare oggi, benché il cambio d’orario mi abbia distrutta un po’, sono ancora qui.
Hahahahah
Ma quanto sono carini i miei Josh e Robert? Dai, ammettetelo, sono l’amore più assoluto.
La scena dell’incubo mi è venuta in mente mentre ascoltavo “Guerriero” di Marco Mengoni, infatti, quella canzone secondo me rappresenta perfettamente il rapporto che c’è tra Josh e Robert.
Ogni volta che la ascolto penso a loro … *-*
Bene, finalmente Jennifer ha dato il lieto annuncio a tutta la famiglia e come avrete potuto vedere Robert ha fatto i salti di gioia, anche se i fratelli Lawrence erano un po’ sconvolti hahahah
Ammetto che ho pensato di inserire una scena in cui si portava una mano al petto, sui tre tatuaggi con i nomi della sua famiglia e dicesse: “Questo è anche per voi”, ma ammetto che la scena sarebbe risultata un po’ troppo malinconica e avrebbe stonato con la felicità di quel momento.
Ora mi sa che è meglio scappare, Odisseo e i Proci Maledetti mi aspettano! ;)
Ci si sente, lettori.
Grazie di cuore.♥
_merasavia.

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Capitolo 4
*** Capitolo III: The Fall. ***




Indelible Scars

 
Capitolo 3:

The Fall
 
 
 
 
«Copritevi bene» raccomandò Jennifer a Josh e Robert che stavano per uscire «Fuori fa freddo e vi conosco bene. Tornerete tutti sudati e con la pancia piena di cibo!»
«Tranquilla, Shrader, portiamo qualcosa anche a te!» le fece l’occhiolino Josh, mentre si metteva il giubbotto.
«Smettila, Hobbit!» esclamò Jennifer, mentre porgeva a Robert una sciarpa blu. «Piuttosto non tornate tardi, che poi sto in pensiero.»
Josh sarebbe partito per Atlanta tra poco più di una settimana, per iniziare il suo primo vero lavoro da regista, per realizzare il suo più grande sogno.
Così, prima di partire, aveva deciso di passare una giornata con Robert al Centro Sportivo di Louisville, per poi passare a mangiare qualcosa in un McDonald’s lì vicino.
Un giornata indimenticabile.
Era quello che Josh voleva che fosse.
«Non preoccuparti, cercheremo di non tornare troppo tardi.» le diede un bacio sulle labbra, accarezzandole i capelli «Sai che il viaggio è un po’ lungo.»
«Okay, state attenti.»
«Certo.»
Jennifer si chinò a baciare la guancia di Robert e a sistemargli il cappellino. Il bambino la abbracciò forte, con un enorme sorriso stampato sul viso.
«Mamma, quando torniamo ti portiamo un panino grande così!» esclamò Robert, allargando le braccia per mimare la grandezza del panino.
Jennifer rise di gusto, dando un altro bacio alla fronte di Robert.
«Va bene, grazie. Guardate che lo aspetto, eh!» disse guardando Josh.
Robert tornò ad abbracciarla, stavolta più forte di prima, sempre con il viso sorridente e gli occhi che splendevano di gioia.
«Ti voglio bene, mamma.» mormorò con la sua piccola vocina.
«Oh, anche io, Rob.» e Jennifer gli posò un altro bacio sulla guancia, guardandolo con gli occhi di chi aveva appena visto l’amore materializzarsi davanti agli occhi.
Quanto amore potevano contenere gli occhi di una madre?
Josh li guardò intenerito, fiero dell’immagine che aveva davanti, fiero che quella fosse la sua famiglia, che quell’amore riempisse ogni giorno quella piccola casa di Union.
La stessa casa in cui lui era cresciuto.
Porse una mano a Robert, mentre con l’altra apriva la porta di casa, ricordandosi per un momento quando l’aveva aperta dopo la morte dei suoi genitori, cinque anni prima.
Ogni tanto quel ricordo riaffiorava, ma lo cacciò via. Doveva essere un giorno speciale, uno di quei tanti giorni passati con suo figlio.
Aveva organizzato segretamente una sorpresa anche per Jennifer e anche una festa il giorno prima della partenza per festeggiare il suo primo lavoro da regista.
Era finalmente soddisfatto, Josh, non c’era nulla che potesse andare meglio.
Si mise in macchina con Robert, che gongolante di felicità prese a cantare assieme a Josh le canzoni che trasmetteva la radio.
La strada per Louisville era un po’ lunga, si sarebbero anche fermati a casa dei genitori di Jennifer, in modo che Robert potesse salutare i suoi nonni che non lo vedevano da un bel po’.
Il viaggio passò in fretta, tra chiacchiere e canzoni. Robert non vedeva l’ora di poter visitare il Centro Sportivo di Louisville e di giocare insieme a Josh e agli altri bambini.
Josh aveva iniziato a pensare a quanto costassero i sogni … A quei mesi che avrebbe trascorso lontano da Jennifer e Robert, a quanti bei momenti della gravidanza di Jennifer si sarebbe perso, vedendola solo nei weekend.
Fortunatamente Atlanta e Union non erano troppo distanti.
L’ultimo film in cui aveva recitato era stato girato a Los Angeles, quindi gli era stato impossibile tornare a casa nei fine settimana.
Ricordava ancora i capricci di Robert quando era andato a salutarlo all’aeroporto, o quando gli dovette dire che non sarebbe potuto tornare per il suo compleanno.
Ma fece i salti mortali, quel giorno e riuscì a tornare la sera per stare poche ore con Robert, che appena lo vide gli saltò addosso e lo strinse forte, non lasciandolo andare per tutta la serata.
Poi, la mattina, a malincuore, dovette ripartire.
Ma Josh sapeva quanto quel piccolo era fiero di lui, quanto lo considerasse un eroe, quanto lo amasse.
E gli bastava questo.
Robert – così come Jennifer – era l’unica cosa di cui lui avesse bisogno.
 
***
 
Josh e Robert erano appena usciti dal McDonald’s, con in mano una busta di cibo da portare a Jennifer, come le avevano promesso prima di uscire di casa.
Erano quasi le sette e trenta di sera e se non avessero trovato traffico sarebbero riusciti a ritornare a Union per le nove.
Era stata una giornata abbastanza intensa: al Centro Sportivo si erano divertiti molto, Robert si era scatenato e trascinarlo via da lì per Josh fu una vera impresa.
Avevano mangiato un panino e delle patatine al McDonald’s e avevano ordinato un’intera busta di cibo spazzatura per far contenta Jennifer, che attribuiva la colpa della sua grande fame al fatto di essere incinta.
«Papà, secondo te il bimbo dentro la pancia della mamma sarò maschio o femmina?» chiese Robert prima che salissero in macchina.
«Secondo me sarà una femminuccia.» gli rispose Josh sorridendo «Ti piacerebbe avere una sorellina?»
«Sì, così gioca con le bambole e non ruba i miei giochi!»
Josh rise, poi gli scompigliò i capelli «Dai, entra in macchina che si torna a casa, pulce!»
«Sei un vecchietto!» Robert gli fece una linguaccia, mentre sedeva sul sedile posteriore dell’auto.
Josh ricambiò la linguaccia, poi andò al volante della macchina e mise in moto, imboccando la superstrada che portava a Union.
Era molto buio e Josh odiava guidare su una strada come quella, di notte, per giunta …
Tirò un’occhiata a Robert, che si stava appisolando sul sedile, raggomitolato su se stesso.
Quello di ritorno aveva l’aria di essere un viaggio abbastanza lungo.
Josh continuò a guidare, cercando di mantenere i nervi saldi … Ah, quanto avrebbe voluto essere in moto!
Poter sentire il vento sul viso, girare libero per le strade, respirare l’aria fresca a pieni polmoni, tutto quello per lui era sinonimo di libertà, spensieratezza.
Il sonno di Robert non durò a lungo, infatti ben presto iniziò a lamentarsi del lungo viaggio che gli attendeva.
«Quanto manca, papà?» gli chiese, con tono seccato.
«Manca ancora un po’, Rob. Siamo ancora a Louisville.»
Qualche goccia iniziò a bagnare i vetri della macchina, così Josh seccato azionò i tergicristalli e alzò il finestrino che aveva lasciato aperto.
«Uffa, adesso piove anche!» sbruffò Robert dal sedile posteriore, mettendo il muso e incrociando le braccia con fare annoiato.
«Vuoi vedere qualche puntata di Spongebob, Rob?» chiese Josh, prendendo il suo cellulare e mostrandolo al bambino.
«No.»
Josh ripose il cellulare in tasca, continuando a concentrarsi sulla guida e cercando di non perdere la calma.
Si strofinò un occhio, un po’ appannato per via della stanchezza e guardava la strada deserta davanti a lui.
“Ancora un’ora e mezzo di agonia” pensò.
Fu soltanto un attimo, nel quale Josh sentì un forte rumore di gomme stridere sull’asfalto e si girò indietro a guardare quello che stesse accadendo.
Dietro, alla sua sinistra, una macchina stava correndo a tutta velocità.
Un lampo di luce li abbagliò e l’impatto fu inevitabile: l’auto di Josh venne colpita sulla sinistra, nella parte posteriore.
Non fece neanche in tempo ad urlare il nome di suo figlio, che l’auto venne trascinata oltre il guardia rial.
Si udì l’urlo di Robert, che cercava di proteggersi con le piccole braccine, mentre Josh provava in tutti i modi a raggiungere il sedile posteriore per riuscire a garantire maggiore protezione a Robert.
I vetri rotti dell’auto gli tagliavano il viso e le braccia, aveva sbattuto con la fronte contro il volante, essendo che l’airbag non si era aperto.
«Papà!» sentì la voce di Robert chiamarlo, implorare aiuto.
Un aiuto, che comunque arrivò troppo tardi.
Solo quando l’auto si fermò al fondo della scarpata Josh riuscì a raggiungere il sedile posteriore e a stringere Robert tra le braccia.
Non sapeva come aveva fatto a rimanere cosciente, in quel momento, forse non lo era: il suo solo obbiettivo era proteggere Robert.
Ricordò di aver stretto il suo bambino tra le braccia e di avergli mormorato qualche parola sconnessa.
Poi fu il buio.
Così, pochi minuti dopo, il telefono di casa Hutcherson - Lawrence squillò.
 
 
 
FINE CAPITOLO 3



Angolo Autrice:
*Si nasconde dietro papà Yayan* POSATE QUEI FORCONI!
Lo so, non è per niente un carino regalo di Pasqua, ma non volevo neanche lasciarvi senza capitolo prima delle feste. ç_ç
Che ne dite? Meglio se non avessi pubblicato, no?
Eh, be’ … Sorrynotsorry, da me dovevate aspettarvi qualcosa di questo genere!
Insomma, sono la vecchia e cara Meras, regina del dramma, dei pianti e delle lacrime (?)
Okay, la smetto seriamente.
Era una cosa che doveva accadere, altrimenti Indelible Scars non ci sarebbe stata.
Ero molto insicura se scriverla o no, ma alla fine _AnneMary_ mi ha convito (ripeto: qualunque cosa succeda date la colpa a lei).
Spero solo di riuscire ad aggiornare ogni settimana, proprio come sto facendo ora, visto che la situazione si sta facendo molto complicata e purtroppo mi attende un mese molto intenso a causa delle ultime interrogazioni di maggio, e siccome voglio andare oltre quel sudato 6 in greco, mi conviene mettermi a studiare sul serio.
Be’, vi auguro una buona Pasqua, mangiate tanta cioccolata e ricordatevi di fare i compiti solo l’ultimo giorno di vacanza. Hahahahaa
Alla prossima settimana, ragazze/i! (Magari c’è qualche maschietto silenzioso)♥
_merasavia.
(Che distribuisce uova di Pasqua a tutti per farsi perdonare)




P.s. Siete per caso appassionati di creepypasta? Be', io e la mia cara AnneMary ne abbiamo scritta una su Bloody Mary (♥), se vi interessa potete trovarla qui. :)

 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV: The Hospital. ***





Indelible Scars:

 
Capitolo4:

The Hospital
 
 
 
Jennifer, assieme a suo fratello Blaine, era arrivata correndo all’ospedale di Louisville, senza una vaga idea di quello che fosse successo.
L’avevano chiamata e le avevano parlato in un incidente e le avevano detto cose confuse su Josh e Robert, poi le dissero di raggiungere l’ospedale di Louisville.
Non si erano spiegati bene, o forse lei aveva smesso di ascoltare.
Fermò un’infermiera, una donna di mezza età dall’aspetto garbato, era minuta, ma a Jennifer diede l’impressione di essere una donna molto forte.
«Scusi?» la chiamò Jennifer.
«Prego, mi dica. Lei deve essere la signora Hutcherson, giusto? Jennifer, se non sbaglio … » le disse cordialmente «Io sono Sarah Colin, piacere.» continuò, tendendole la mano, che Jennifer afferrò debolmente.
«Sì, sì.» le rispose con voce leggermente insicura e tremante, in quel momento non aveva certezze, le sembrò di aver perso anche quella del suo nome «Sono Jennifer. Piacere … » si bloccò un attimo, guardandosi attorno impaurita, mentre Blaine le teneva la mano «Dove sono loro? Dove sono Josh e Robert? Come stanno?»
«Con calma, Jennifer. Venga con me.» le rispose pazientemente l’infermiera.
La signora Colin le mise una mano sulla spalla, conducendola in un corridoio non troppo affollato, in un posto un po’ isolato dal resto dell’ospedale.
Lontano dai medici che correvano per le corsie e dagli infermieri che svolgevano le loro mansioni.
Il cuore di Jennifer batteva forte, il suo corpo tremava d’ansia, di paura che quella donna le dicesse che Josh e Robert erano morti.
«Ascolti, Jennifer» le disse, guardandola negli occhi «Mi ascolti attentamente, Josh sta bene.»
La sua voce era sicura, rassicurante, estremamente potente.
«E li posso vedere? Quando potranno tornare a casa?»
L’infermiera le prese una mano tremante, cercando di tranquillizzarla un po’, ma dai suoi occhi azzurri trapelava solo terrore.
«Josh sta bene» ripeté «Potrà tornare a casa anche domani stesso. Il punto è Robert … »
Jennifer aprì la bocca, ma non vi uscì nessun suono, era sprofondata in quel bilico tra vuoto e paura che nessun uomo era mai riuscito a controllare.
«Cosa è successo a Robert?» sussurrò, mentre alcune lacrime bagnavano il suo viso.
«Per Robert l’impatto è stato più violento. La macchina li ha colpiti in modo trasversale e Robert … Insomma è ancora molto piccolo.»
«È morto?»
Jennifer si portò le mani alla bocca, lasciandosi andare ad un pianto disperato.
Le mani le tremavano, le gambe sembravano esserle diventate di plastica, non riuscivano a sorreggere più il suo corpo.
«No, no!» la signora Colin le prese nuovamente le mani e la guardò in modo rassicurante, con i suoi piccoli occhi grigi «No, Jennifer, ascolti: non si preoccupi, Robert è vivo … È una in una situazione un po’ particolare, ma è vivo. È stato in sala operatoria, ci sono state delle complicazioni e … non conosco accuratamente la situazione, ma adesso gli stanno facendo degli esami.» continuava a stringerle forte le mani e a guardarla con quel fare di madre preoccupata e forte al tempo stesso.
«La terremo aggiornata, vedrà che andrà tutto bene … »
«Posso vederlo?» Jennifer si asciugò le lacrime che aveva sul viso con la manica del maglione «Posso vedere Robert?»
«Al momento no, cara» le rispose la signora Colin «ma può vedere Josh, se vuole.»
«Okay, grazie.» con un fazzoletto si pulì dal trucco colato sul viso e poi seguì l’infermiera verso la porta di una camera lungo il corridoio bianco.
Bussò alla porta e la voce di Josh risuonò da dentro la stanza.
Era come un toccasana, per lei.
Era vivo.  
La signora Colin si sporse dietro la porta, mentre Jennifer stava dietro di lei ad aspettare.
«C’è una visita, Josh.» disse con mezzo sorriso.
L’infermiera fece un cenno a Jennifer, che avanzò per la stanza mentre Sarah Colin chiudeva la porta con un sorriso triste.
«Josh!» esclamò Jennifer vedendolo.
Aveva un taglietto lungo la fronte e alcune graffi sulle braccia, ma a parte qualche livido sul viso sembrava star abbastanza bene.
«Jenn!»
Jennifer si gettò tra le sue braccia, accarezzandogli il viso, come se volesse la conferma che fosse vivo, che fosse reale, che non fosse solo un altro di quei fantasmi che aveva visto dopo la morte dei genitori di lui.
Quando Josh non era altro che un fantasma …
«Oh mio Dio!» sussurrò Jennifer, baciandogli le labbra e piangendo «Ho pensato che foste morti … »
«No, stiamo bene, tranquilla.» la strinse a sé, cercando di farla strare più calma, mentre tremava fra le sue braccia. “Farà male al bambino” pensò Josh … e già stavano rischiando di perdere Robert.
«Sai di Rob?» mugolò Jennifer.
Josh annuì silenziosamente «Starà bene anche lui, vedrai.» ma nella sua voce non c’era neanche un briciolo di sicurezza, si percepiva solo un terribile senso di colpa. E Jennifer giurò di aver sentito alcune lacrime bagnare i suoi capelli.
Non piangeva da tanto, Josh …
 
Quasi un’ora dopo entrò un medico panciuto, con pochi capelli grigi tagliati molto corti, aveva una cartella clinica in mano e guardava con aria seria Josh e Jennifer.
«Dottore, è successo qualcosa?» chiese Jennifer.
Il medico esitò un attimo, guardando la cartella clinica di Robert che aveva in mano.
«Come ben sapete l’impatto è stato molto violento, per Robert» iniziò a spiegar loro «Come già vi avevamo detto ci sono state parecchie complicazioni durante l’operazione e … » esitò di nuovo, appoggiando la carpetta blu su un mobile e avvicinandosi a Josh e Jennifer, che avevano assunto un’espressione più preoccupata di prima «Il bambino è entrato in coma.» dichiarò.
E fu come una bomba, come una granata che esplose dentro la stanza, disperdendo tutta la sua energia distruttiva dentro quei pochi metri.
Jennifer si coprì il viso con le mani, scoppiando nuovamente in lacrime; Josh si prese la testa tra le mani e strinse forte gli occhi, per colmare la disperazione e il senso di colpa che aveva dentro.
«Ma ci sono delle buone possibilità di risveglio» enunciò «Robert respira autonomamente e credetemi, se dico che potrebbe farcela. Guardate: » estrasse dalla tasca del camice un penna e un pezzo di carta e iniziò a disegnare la figura di un essere umano, come un omino sospeso nel vuoto. «Questo è Robert» disse, poi riprese a disegnare una linea corta, legata al braccio dell’omino e una linea più lunga, legata all’altro braccio. La linea più corta la segnò come “vita” quella più lunga come “morte” «Vedete, a quale parola Robert è più vicino: vita o morte?» domandò il dottore indicando le due parole alle estremità delle linee.
«Vita.» risposte Jennifer, mentre Josh sembrava non voler reagire.
«Visto?» fece il medico «Questa è la situazione attuale di Robert.»
«Possiamo vederlo?» chiese nuovamente Jennifer.
«Certo. La sua stanza è la n ° 27, e se volete potrei anche farvi un permesso speciale per venire a trovarlo oltre l’orario delle visite. Si fa spesso in queste situazioni … »
«Certo, certo.» rispose Josh «Vogliamo fare il permesso.»
«Bene, per qualunque evenienza, non esitate a chiamarmi.»
 
***
 
Entrarono piano nella stanza di Robert, timorosi di doverlo vedere attaccato a tutte quelle macchine che cercavano di tenerlo in vita.
Era lì, fermo immobile tra quelle lenzuola bianche, gli occhi chiusi, le braccia fasciate.
Jennifer si avvicinò cautamente al letto, con le lacrime agli occhi, si sedette sulla sedia accanto al letto e iniziò ad accarezzare i capelli del suo bambino. Josh stava in disparte, piangendo, mentre si copriva il viso con le mani.
«È colpa mia.» sussurrò tremando.
«Cosa dici, Josh?» Jennifer era preoccupata, mentre Josh avanzava verso di lei.
«Se fossi stato più attento … Se fossi riuscito a buttarmi dietro per proteggerlo … Forse … Forse … »
Jennifer lo abbracciò, mormorandogli di star calmo, che non era colpa sua.
«Ho fatto di tutto per salvarlo, te lo giuro.» mormorava, disperato.
«Lo so, Josh. Lo so.» diceva «Non è colpa tua.»
«Ci sarei dovuto essere io al suo posto … »
«Non dire sciocchezze, Josh. Smettila.»
Passarono tutto il tempo accanto a Robert, raccontandogli storie.
Gli dovevano parlare, avevano detto i medici: lo avrebbe aiutato a risvegliarsi. E c’erano buone possibilità per credere nel suo risveglio.
 
 
 
FINE CAPITOLO 4
 

Angolo Autrice:
*Fa ciao con _AnneMary_ che sta assistendo alla pubblicazione in diretta*
Bene ragazze, chiedo venia per ciò che è accaduto in questo capitolo, ma ci tenevo a precisarvi che questo è stato il primo capitolo di Indelible Scars ad essere scritto! *-*
Come sapete la colpa di tutto ciò che accade è della sopracitata _AnneMary_.
Okay, forse non dovrei essere così bella, felice e pimpante visto che – come avete visto – Josh sta bene, ma Robert è in coma. (ç_ç)
Ebbene sì, cari lettori, da quello che ho capito dalle vostre recensioni pensavate che fosse successo qualcosa a Josh, invece è stato Robert a pagarne le conseguenze.
Decisione difficile e dolorosa, davvero, non è stato semplice neanche per me.
So per certo che adesso mi arriveranno maree di insulti, ma va be’, dettagli.
Mi sa proprio che è arrivato il momento di svanire nell’ombra.♥
Ah, qui con me c’è anche la mia cara amica Anghelos La Vandala che mi sta facendo il cazziatone per aver mandato un bambino di 5 anni in coma, ma okay.
Alla prossima, cari lettori!♥
_merasavia.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo V: The After. ***




Indelible Scars

 
Capitolo 5:
The After
 
 
 
Se ne stava sdraiato sul letto, Josh.
Non li sentiva, i tuoni fuori dalla finestra.
Non li vedeva, i fulmini squarciare il cielo.
La ignorava, la pioggia che batteva sulle finestre.
Assente.
Era passato qualche giorno – Josh non sapeva esattamente quanti – ma i genitori di Jennifer avevano offerto loro ospitalità in modo che non viaggiassero ogni giorno da Union verso Louisville per vedere Robert e questo non faceva che aumentare il suo dolore.
Si sentiva solo, in una casa che non era sua.
Era diventato come un cadavere vivente, un corpo che eseguiva solo le azioni necessarie per poter sopravvivere.
Era quello che stava facendo, Josh: sopravviveva.
Sopravviveva alle urla di suo figlio nel sonno, che gridavano un aiuto arrivato troppo tardi.
Sopravviveva ai suoi occhi riflessi nello specchio, identici a quelli di Robert.
Sopravviveva ai pianti di Jennifer, mentre si stringeva le mani in grembo temendo di perdere anche quel bambino.
Non gli importava di quello che gli aveva detto il medico, non gli importava quante possibilità di risveglio ci fossero per Robert, Josh – finché non avrebbe potuto riabbracciare suo figlio – non riusciva a credere nella sua uscita a quel terribile coma.
Era quello il periodo peggiore: il dopo.
Josh lo sapeva, lo aveva già vissuto, ma tutto ora si faceva peggiore.
Quando ci fu l’incendio che uccise la sua famiglia, lui aveva la certezza che fossero morti … erano diventati quei segni indelebili che aveva sul petto, all’altezza del cuore.
Chris: papà, dammi la forza di tornare in vita, aiutami ad essere quel buon padre che tu sei stato per me, quello sempre col sorriso e con gli occhi luminosi.
Michelle: mamma, dammi la forza di amare di nuovo, il coraggio di riuscire ad amare nuovamente qualcuno senza paura che questo possa morire.
Connor: fratellino, dammi la forza di credere: di credere in qualcosa di migliore, come facevi tu quando tutto si complicava.
Ma ora Josh camminava sul filo di un rasoio, c’erano momenti in cui riusciva a credere che avrebbe potuto rivedere suo figlio sano, lo avrebbe potuto stringere di nuovo tra le braccia e vederlo crescere.
C’erano certi momenti, invece, in cui pensava che non si sarebbe svegliato mai più, che la miglior cosa fosse porre fine a quel supplizio in cui vivevano e far staccare le macchine che lo tenevano in vita. Rassegnarsi per sempre all’idea di aver perduto un figlio.
E forse lo avrebbe fatto da un pezzo, se non ci fosse stata Jennifer al suo fianco, se non lo avesse sorretto, dandogli una spalla un po’ più forte su cui piangere.
Piangevano insieme, la notte … Lui stretto al petto di lei, quasi si vergognasse del suo volto, del volto che suo figlio aveva visto per l’ultima volta.
Ed era insopportabile, estremamente insopportabile.
Proprio in quel momento Jennifer aprì la porta della camera da letto: aveva il cappotto indosso e la borsa in spalla.
«Josh, dobbiamo andare in ospedale. Sei pronto?»
Ma lui non rispose, continuò a star in silenzio, ascoltando il suono della voce dell’Amata, che sembrava quasi un’eco distante, coperto da tutti quei pensieri che vagavano senza meta per la tua testa.
«Josh?» Jennifer si avvicinò a lui, sedendosi al suo fianco e toccandogli una spalla, quasi se volesse assicurarsi che non fosse morto.
«Josh! Mi rispondi o no?» e lui si girò dall’altro lato, fingendo di non ascoltare le sue parole «Smettila, per favore! Ti sembra forse che io non stia soffrendo, Josh?»
Ma era inutile, non l’ascoltava, non la guardava, si limitava a fissare il vuoto davanti a sé, quasi se cercasse una risposta alle sue domande nell’aria che respirava.
«REAGISCI, CAZZO!» Jennifer urlava, adesso, mentre tante lacrime le scendevano sul viso «NON STARE LÌ IMPALATO A GUARDARE IL VUOTO. REAGISCI, MALEDIZIONE! TUO FIGLIO STA MORENDO!»
Josh sentì come un colpo nel petto, come una lama che attraversava il suo cuore da parte a parte.
Tuo figlio sta morendo.
Suonava come una bestemmia, sentire che un bambino di appena cinque anni stava per morire.
Josh lo aveva già dovuto subire: i vestiti neri, tutti i parenti, tre bare in legno, tutti quei numerosi “mi dispiace”, gli abbracci, le lacrime …
Quelle tre bare in legno si sarebbero potute trasformare in una piccola bara bianca.
Jennifer non lo aveva notato, ma tra le mani Josh stringeva qualcosa: una maglietta blu, una di quelle tante magliettine che Robert indossava quando usciva con Josh. Quando andavano al parco a giocare o a mangiare in un Mc Donald.
Si girò piano, con gli occhi pieni di lacrime che pian piano iniziarono a rigare il suo viso stanco.
E Jennifer le asciugò lentamente, ricordando ogni singolo istante di cinque anni prima … Aveva lo stesso sguardo, Josh. Quello afflitto, spezzato, quello sguardo che rifletteva il fuoco che stava pian piano consumando la sua anima.
«Scusa» mormorò Jennifer con voce spezzata, attirandolo a sé a abbracciandolo forte «Scusa. Scusa. Scusa.»
E mentre gli posava un bacio sulla fronte che notò la magliettina stretta tra le mani di Josh. Sembrò mancarle il fiato, le mani iniziarono a tremarle, per poi sentirsi sprofondare nell’oblio.
Come potevano dimenticare tutto quello che stavano vivendo?
Come potevano scordare Robert?
Ogni cosa, ogni minimo dettaglio gli ricordava lui: il suo essere innocente, il suo essere puro. Il suo sorriso da bambino che nessuno dovrebbe mai avere il coraggio di spegnere.
Il cortile dove a dieci mesi aveva mosso i primi passi.
Il soggiorno dove aveva giocato con Jennifer durante una giornata estiva passata a Louisville.
La cucina dove aveva fatto uno scherzo alla nonna Karen insieme a Jonathan.
Ricordi su ricordi: era quello il dopo.
Il dopo, quel periodo dove tutto inizia a diventare più distante, dove riaffiorano i ricordi, ma ci si distacca dalla realtà.
C’erano momenti in cui Josh temeva di non ricordare più la voce di Robert, e allora prendeva il cellulare e guardava quel video: era stato girato circa un anno prima, quando lui era dovuto partire per un film. Vedeva chiaramente l’immagine di suo figlio, che gli ripeteva infinite volte che gli voleva bene, accompagnati sempre da un “Mi manchi tanto, papà” … E vedeva il suo sorriso, quando mormorava quei “Torna presto”.
Jennifer gli posò un bacio sulle labbra e stendendosi accanto a lui iniziò a giocare tristemente con i suoi capelli.
E si resero conto ben presto che quel pomeriggio non erano pronti a vedere Robert, non erano pronti ad affrontare quell’immenso dolore, troppo grande per chiunque.
Josh allungò una mano sul ventre di Jennifer, accarezzandolo da sotto la maglia marrone: era lì che stava l’altro bambino, quell’unica salda speranza a cui aggrapparsi quando tutto sembrava ormai perduto.
Tra sette mesi e mezzo sarebbe nato un altro esserino che lo avrebbe chiamato “papà”, avrebbe stretto tra le braccia un altro fagotto avvolto in copertine e tutine calde, senza avere la certezza che quel bambino o quella bambina avrebbe potuto conoscere suo fratello.
«Vedi di nascere presto, okay?» sussurrò, accarezzando l’impercettibile rigonfiamento sulla pancia di Jennifer «Sai, ti aspetto da tanto tempo … E ho tante cose da raccontarti. Tante cose belle. E ti insegnerò come affrontare le cose brutte, come ho fatto con tuo fratello.» si asciugò una lacrima, poggiando la sua fronte contro quella di Jennifer «E sarai sempre forte, come la tua mamma. Saprai guardare il mondo con gli occhi di chi vede le cose per la prima volta … e ti giuro che è bellissimo.»
La pioggia continuava a bagnare i vetri, i tuoi sembravano farsi sempre più forti e i fulmini illuminavano quella piccola camera … ma come sempre, loro non si accorgevano di nulla. L’orologio segnava le 02.17 del pomeriggio, la casa era piombata in un silenzio assoluto, infranto solo dal rumore delle lancette dell’orologio posato sul comò.
Tic tac.
Tic tac.
Il tempo scorreva.
Tic tac.
Tic tac.
C’era troppa paura che li spaventava.
Tic tac.
Tic tac.
Un altro incubo bussava alla porta.
Tic tac.
Tic tac.
Urla, pianti e dolore.
Tic tac.
Tic tac.
Era tutto ciò che riuscivano a vedere.
Tic tac.
Tic tac.
E si chiedevano che fine avesse fatto la speranza, probabilmente sotterrata dentro le fondamenta di quell’ospedale.
Tic tac.
Tic tac.
Il tempo stava per scadere.
 
 
FINE CAPITOLO 5
 

Angolo Autrice:
Buona sera, lettori, eccomi qui, puntuale come ogni sabato con il quinto capitolo di Indelible Scars.
Questo è stato il 3° capitolo ad essere stato scritto, è molto importante e un passaggio fondamentale per la storia, in quanto – spero che si sia percepito – il dolore provato sia da Josh, che da Jennifer.
Io ho sempre sostenuto che Jennifer abbia un carattere più forte rispetto a quello di Josh, anche perché lui è rimasto sotto sotto “segnato” dalla morte dei suoi genitori e sente sulle spalle il peso del senso di colpa per non essere riuscito a proteggere abbastanza Robert.
Perché, parliamoci chiaro, lui preferirebbe essere in quel letto d’ospedale al posto di Robert.
Lui è stato una delle principali motivi per cui Josh in Indelible Signs è riuscito a “riemergere” dall’oceano in cui era sprofondato e il coma di Robert per lui significa affondare nuovamente con quell’ancora che gli aveva dato una ragione per vivere, stavolta, trascinando anche Jennifer con lui.
Be’, credo di essermi dilungata anche troppo … Ora aspetto solo i vostri commenti.
Grazie, per tutto.♥
Alla prossima!
_merasavia.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VI: The Anger. ***




 
Indelible Scars
 
Capitolo 6:
The Anger
 
 
 
Il borsone da viaggio di Josh era aperto sul letto, con dentro qualche indumento e lo stretto necessario per stare due giorni fuori casa.
Doveva andare solo per due giorni ad Atlanta, per annullare l’inizio delle riprese del suo primo film e sistemare alcune pratiche con i produttori.
Non si sarebbe mai allontanato due giorni se non fosse stato strettamente necessario.
Due giorni: due giorni lontano da Robert più di quanto lo fosse già … Sentiva la rabbia salirgli dallo stomaco fino al cuore, per poi fermasi in gola e mozzargli il respiro.
Lacrime: l’unico modo per liberarsi era piangere. Infondo non serviva a nulla, perché sapeva che Robert non si sarebbe certo svegliato con i suoi pianti o con le sue urla.
Ripose maldestramente l’ultimo paio di pantaloni nel borsone e lo chiuse velocemente.
Jennifer arrivò alle sue spalle, silenziosa, tenendo una mano sul grembo, come per proteggere quel bambino che forse non avrebbe mai potuto conoscere suo fratello.
Poggiò la testa tra le scapole di Josh e iniziò ad accarezzargli una spalla, mentre lui respirava affannosamente, cercando di non piangere davanti a lei.
Jennifer gli diede un bacio fra le scapole, proprio come faceva sempre quando era nervoso, triste, arrabbiato. L’aveva fatto tante volte, ma ogni volta quel bacio aveva provocato a Josh un brivido, che lo percorreva per tutta la colonna vertebrale.
«Coraggio, amore mio» mormorò «Sono solo due giorni. Andrà bene.»
Josh annuì con la testa e si girò verso di lei, prendendole il volto fra le mani e asciugandole l’unica lacrima che aveva solcato il suo viso.
«Robert era sempre triste quando ero fuori casa» disse lui, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio «Digli che non mancherò per molto e che … che andrò a trovarlo presto.»
«Josh … » altre lacrime scesero dagli occhi di Jennifer, prima che potesse posare le sue labbra sopra quelle del marito, screpolate dal freddo e morse fino al sangue durante la notte, cercando di trattenere i singhiozzi degli innumerevoli pianti.
«Andiamo, adesso … o perderò l’aereo.» disse amaramente Josh, appena essersi staccato dalla labbra di Jennifer.
«S-Sì. Prendo la borsa e andiamo.»
 
Mancavano ormai pochi minuti alla partenza del volo di Josh, che stava salutando Jennifer, stringendola in un abbraccio intenso e posandole infinti baci su ogni parte del viso, come per imprimere sulle sue labbra il ritratto del suo volto.
«Sono solo due giorni, Jenn …» le sussurrò all’orecchio, quando vide che non voleva staccarsi dalle sue braccia «Solo due.»
«Andrà tutto bene» continuava a ripetere, più a se stessa che a Josh «Andrà tutto bene.»
Si diedero un ultimo bacio, quasi fosse un addio e si staccarono, Josh camminava verso il Gate e Jennifer lo stava a guardare, mentre si allontanava da lei guardandosi ripetutamente all’indietro.
E Jennifer lo vide partire, cercando di scorgere lo sguardo di Josh dietro i finestrini oscurati dell’aereo.
Le aveva promesso di chiamarla non appena sarebbe arrivato ad Atlanta … Non sarebbe passato molto, solo qualche ora e avrebbe potuto sentire nuovamente la sua voce.
Così uscì dall’aeroporto, si diresse verso la macchina e appena salita accese la radio, per non sentire il silenzio che costantemente la circondava, per evitare di immaginare le urla di suo figlio, stretto a Josh, che imploravano aiuto sotto le macerie di quella macchina maledetta.
Mise in moto e partì.
 
Quanto tempo era passato?
Un minuto? Un’ora? Un giorno?
Jennifer non se ne rendeva conto.
Si era ritrovata sola, in ospedale, dopo aver lasciato Josh all’aeroporto e l’aveva visto partire.
Due giorni.
Cercava di convincere la sua mente.
Sarebbe mancato solo due giorni.
Accarezzava il viso di Robert, stringendo le sue mani e immaginando la sua voce, che continuava a sussurrargli quei meravigliosi “ti voglio bene”.
«Robert» sussurrava al suo orecchio «mi ha detto papà che torna presto, okay? Tra due giorni è di nuovo a casa e ti porterà un regalo come sempre, ti ricordi, Rob? Quando starai bene andremo a fare un viaggio tutti insieme … e verrà anche la sorellina, o il fratellino. E saremo felici, Rob, come quando siamo andati a Disneyland l’anno scorso. Questa volta scegli tu dove andare, te lo prometto.» scoccò un bacio sulla suo fronte, appoggiando la testa accanto a quella di Robert, sentendo quell’acre odore di medicine, tipico di ogni ospedale.
Ricordava che poco tempo prima i suoi capelli profumavano dello shampoo al cocco che gli comprava sempre, o quando insisteva per lavarsi con il bagnoschiuma all’acquamarina di Josh.
Le mancava tanto quel profumo …
«Tornerai presto a casa, te lo prometto, Rob.»
 
***
 
Josh indossò gli occhiali da sole e il cappuccio della felpa non appena scese dall’aereo, per evitare gli sguardi della gente, per non sentire il senso di colpa pesare sulle spalle.
E appena alzò lo sguardo davanti a sé li vide: tutti i paparazzi con i loro flash, con le loro domande … aveva gli occhi di tutta la gente puntati addosso, mentre cercava di scansare i paparazzi che non lo facevano passare.
Non rivolgeva loro la parola: sarebbero uscire solo parole spregevoli se avesse osato aprir bocca.
Ma loro continuavano con le domande, non la smettevano di scattare foto, quasi non ci vedeva più per tutti i flash che aveva intorno.
Basta. Basta. Basta.
«BASTA!» stavolta lo urlò veramente, rosso di rabbia in volto «Mi figlio sta morendo, cazzo! Andatevene tutti a ‘fanculo!»
Tutto lo guardavano con fare stupito, mentre scansava ogni persona, cercando di uscire da quel maledetto aeroporto.
Tirò su col naso, qualche volta, ma stette ben attento a non piangere.
Prese il cellulare in mano, componendo il numero di Jennifer, che rispose immediatamente dall’altro capo:
«Pronto?»
«Jenn, sono arrivato.» le disse, asciugandosi il naso con l’orlo della manica.
«È tutto okay, Josh?» domandò, con una punta di incertezza nella voce.
«C’erano paparazzi all’aeroporto.»
Jennifer rimase in silenzio dall’altro capo, tirando solo un sospiro di frustrazione.
«Li ho mandati a ‘fanculo, Jenn.» la voce di Josh tremava, come le sue mani «Non ce l’ho fatta … Chiedevano continuamente di Robert e … » una lacrima scese sul viso di Josh, appena pronunciò il nome di suo figlio «Non ce l’ho fatta, Jenn … Non ce l’ho fatta.»
«Josh … » Josh sentiva la voce di Jennifer lontana, distaccata, spezzata … sentiva il freddo entrargli nelle ossa, provava dentro di lui di nuovo quella sensazione di solitudine che l’aveva accompagnato durante la morte dei suo genitori e di suo fratello.
«Vado in albergo, Jenn. Ci sentiamo stasera.» disse infine, attendendo una risposta.
«Va bene, a stasera.» ci fu un lungo momento di silenzio, dove nessuno dei due aveva il coraggio di terminare la chiamata, sempre alla continua ricerca dalla voce, della presenza dell’altro, come una calamita «Josh?»
«Sì?»
«Ti amo.»
«Ti amo anch’io, Jenn.» chiuse un secondo gli occhi, ricordando quel mondo dove gli aveva detto quella frase la prima volta, quando Robert non c’era ancora, quando non erano altro che due ragazzini colmi di fama.
Quel tempo dove dalle ragazzine era conosciuto come “Peeta Mellark”, dove stava crescendo pian piano, quel periodo fatto di feste e troppe bevande alcoliche.
Il tempo della felicità, della stanchezza a fine giornata, delle docce calde per levar via il trucco messo sul set.
Com’è che adesso si trovava a dover annullare il suo primo lavoro da regista perché suo figlio stava morendo?
Quando era cresciuto così in fretta da diventare regista?
Quando era cresciuto così in fretta da avere un figlio in punto di morte?
Tutto nella sua mente sembrava ricondurlo ai suoi vent’anni, quando teneva per mano una donna che non era sua moglie, quando bramava l’amore di Jennifer, ma girandosi dall’altro lato del letto, accanto a lui, trovava Claudia.
Come un uomo che sta per morire, Josh riusciva a rivedere tutti i suoi trent’anni davanti ai suoi occhi, come se la sua vita fosse trascorsa in un minuto.
E si accorse di essere cresciuto forse un po’ troppo in fretta, quando chiudendo gli occhi rivide il giorno dell’incidente, e Robert che gli teneva la mano, privo di sensi.
Quando poteva resistere ancora?
 
 
FINE CAPITOLO 6
 

Angolo Autrice:
Buona domenica, lettori!
Bene, eccoci qui con il capitolo 6 … un capitolo di passaggio, di partenze.
Ebbene sì, Josh è partito, per solo due giorni, ad Atlanta.
Oh … secondo voi andrà tutto bene? Hahahahah
No, be’ … Ci tengo a spiegarvi seriamente il significato delle due frasi in corsivo:
“Solo due giorni”: ho interpretato questa frase un po’ come un conto alla rovescia, forse una speranza che in solo due giorni Robert riuscisse a svegliarsi.
La speranza di Josh di tornare da Atlanta in solo due giorni e vedere Robert corrergli tra le braccia.
“Andrà tutto bene”: bene, questa è un po’ l’antitesi della prima frase, sia Jennifer che
Josh cercano di convincersi che non accadrà nulla di male in quei due giorni.
~
Volevo spiegarvi anche il significato del titolo: The Anger.
La rabbia.
È riferito alla rabbia che prova Josh quando viene assalito dai paparazzi e li manda a quel paese (vai così, Daddy-Yayan!) … Credo che quella sia una delle parti del capitolo che preferisco di più.
~
Non so perché o da dove mi sia uscita questa “trovata”, ma mi sembrava carina, anche per simulare quel poco di instabilità mentale di J&J … Perché, insomma, parliamoci chiaro: nessuno sarebbe perfettamente lucido nella loro situazione.
Io personalmente potrei diventare pazza.
Detto ciò non mi resta che salutarvi … Devo ancora finire qualche cosina per la scuola.
Alla prossima settimana!♥
_merasavia.


 

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Capitolo 8
*** Capitolo VII: The Return. ***




Indelible Scars

 
Capitolo 7:

The Return
 
 
 
Jennifer aspettava impaziente all’aeroporto, nello stesso punto in cui due giorni prima si erano lasciati.
Josh aveva sistemato tutto, aveva annullato le riprese e firmato tutte le pratiche, la gente gli aveva stretto la mano, dato pacche sulla spalla, sussurrato parole di conforto, che lui non aveva nemmeno ascoltato.
Era appena sceso dall’aereo, quando Jennifer urlò il suo nome, correndo incontro a lui per abbracciarlo.
Mollò il borsone a terra, stringendo a sé il corpo di Jennifer, che aveva avvolto le gambe attorno la sua vita, saltandogli in braccio  e affondando la testa nell’incavo del suo collo.
Josh sentì le lacrime di Jennifer bagnargli il collo della maglia e le accarezzava i capelli, come se non si vedessero da una vita.
«Ehi, calma … » si guardarono negli occhi, i loro occhi erano stanchi, mentre fuori giungeva il crepuscolo.
«Sei qui! Sei qui!» Jennifer gli accarezzava il viso, come non aveva potuto fare per due giorni di disperazione «Sono andata sempre da Rob in questi due giorni, Josh … E siete uguali, siete tanto uguali.»
«Sì, sì, Jenn.»
Ora era il momento di Jennifer per essere debole, doveva lasciarsi andare, far scoppiare tutto il dolore che aveva tenuto dentro per tutto quel tempo.
Josh si mise il borsone in spalla e mise un braccio intorno alle spalle di Jennifer, tenendola ancorata a sé.
Stare lontani due giorni con Robert in quelle condizioni era stato un vero incubo, per entrambi.
«Andiamo a casa, Jenn. Coraggio.» Appena l’aveva vista, Josh aveva capito che doveva essere forte anche per lei, perché aveva visto nel suo sguardo la paura che la attanagliava, la stessa che aveva divorato lui durante quei due giorni lontano da casa, lontano da Robert.
«Gli ho promesso che saresti tornato presto e che gli avresti portato il solito regalo, e che avremmo fatto un viaggio anche con lui o lei» disse, posandosi una mano sul grembo «E che saremmo stati felici.»
«È la verità, amore … è la verità. Me lo dici sempre tu, andrà bene
«Ho avuto tanta nausea, Josh. Lui è vivo …»
Teneva una mano stretta sul grembo, accarezzandolo piano, quasi temesse di fargli del male con la sola mano.
Si diressero lentamente verso l’uscita dell’aeroporto, dove Jennifer aveva lasciato la macchina.
Josh si mise al voltante, perché si accorse che Jennifer era troppo instabile anche per guidare. Continuava ad accarezzarsi la pancia, con un amaro sorriso stampato in faccia, che velava il suo immenso dolore.
«Sai cosa mi hanno detto i medici?» gli disse, mentre Josh imboccava la strada verso casa.
«Cosa?»
«Mi hanno detto che la situazione sta migliorando. Ci sono molte possibilità di risveglio. Ha avuto dei riflessi  e … mi ha stretto la mano, Josh. Ieri Robert mi ha stretto la mano.» si asciugò una lacrima, incrociando lo sguardo di Josh che ormai non guardava più la strada davanti a sé «Non sono riuscita a dirtelo per telefono, ieri o stamattina, perché era troppo importante.»
Josh accostò in un parcheggio al ciglio della strada, sospirando e tenendo le mani saldamente ancorate al volante.
«Dopo l’incidente» la sua voce era spezzata dalle lacrime, il respiro di faceva più pesante «Quando eravamo nell’ambulanza, gli ho tenuto la mano per tutto il tempo in cui sono stato cosciente. Lui me la stringeva anche … Era vivo, Jenn, sentiva la mia presenza.»
Appoggiò la testa sul volante, lasciandosi scuotere il corpo dai singhiozzi, mentre la mano di Jenn gli accarezzava i capelli dolcemente.
Lui alzò il viso bagnato e la baciò, con dolore, disperazione. Le sue mani tremavano mentre spostavano i capelli di Jennifer dietro le orecchie, dagli occhi chiusi continuavano ad uscirvi lacrime.
«Va tutto bene» disse infine, sorridendo leggermente «Andiamo a casa, adesso.»
 
***
 
Era notte, Josh stava seduto su una panchina, che dava le spalle all’ospedale di Louisville. Teneva due pistole nelle mani tremanti di paura, aveva il volto sudato, le gambe che sembravano di plastica, gli occhi di chi è evidente che non è lucido.
La figura di una persona avanzava nell’ombra, si faceva sempre più vicina a lui, ma non riusciva a scorgerne il volto. In cuor suo, però, sapeva bene chi fosse.
Si alzò, cercando di tenere le pistole salde nelle sue mani … E appena la figura senza volto fu abbastanza vicina da prendere la mira, Josh senza ritegno iniziò a sparare verso il corpo dell’uomo, facendolo cadere a terra come una marionetta.
Si svegliò sudato, Josh, con il fiatone e la notte fonda fuori dalla finestra, strinse le lenzuola tra le mani terrorizzato, convito che fossero ancora le due pistole che aveva sognato.
«Ho ucciso un uomo.» sussurrò «Ho ucciso un uomo.»
Continuava a ripeterselo nella testa, mentre la disperazione prendeva il sopravvento sul suo essere.
Ho ucciso un uomo.
Ho ucciso un uomo.
Ho ucciso un uomo.
Sapeva bene chi era quell’uomo, quel ragazzo …
Quello era quella persona che lui conosceva come colui che aveva quasi ucciso lui e suo figlio, quel ragazzo diciannovenne ubriaco, che li aveva travolti con la macchina.
Era morto.
Era deceduto all’istante, gli avevano detto.
O era stato lui ad ucciderlo?
Cosa era successo veramente?
Per un secondo non riusciva più a capire quale fosse la vera versione dei fatti, cosa fosse realmente accaduto.
Svegliò Jennifer, che dormiva profondamente al suo fianco tenendo una mano sul grembo, come faceva sempre durante la notte.
«Ho ucciso un uomo, è vero?» le chiese, terrorizzato.
«Cosa stai dicendo, Josh?»
«Dopo che Robert è entrato in coma, io davanti all’ospedale ho ucciso il ragazzo che ha provocato l’incidente … è vero?»
Jennifer non sapeva cosa dire, non sapeva da dove provenissero tutte quelle folli parole.
Perché aveva il viso di un folle, Josh, aveva lo stesso viso che aveva avuto quando interpretava il Peeta depistato sul set di Hunger Games, quella che le era sembrata una vita fa …
Erano passati più o meno otto anni da quel tempo …
«Dimmi che non sono stato io, Jenn … Dimmi che non l’ho ucciso, che quel ragazzo è morto nell’incidente.»
«Non dire sciocchezze, Josh» lo attirò a sé, facendogli appoggiare il viso sulla sua spalla, che da sempre gli aveva offerto sostegno «Tu non hai fatto niente … Non hai ucciso nessuno. È stato solo un incubo.»
Un incubo.
Uno dei tanti brutti sogni che la notte bussavano alle menti di Jennifer e Josh, come l’incubo che Robert aveva avuto la notte prima dell’incidente, quando quel mostro lo teneva in bilico su quel burrone, tra la vita e la morte.
Si riaddormentò così Josh, stremato, tra le braccia dell’Amata, che posava sui suoi capelli baci di consolazione, sussurrava al suo orecchio parole di conforto, le uniche che lui avesse mai ascoltato.
Si sentiva egoista, Josh.
Anche Jennifer soffriva, molto più di quel che dava a vedere … Anche a lei il dolore lacerava l’anima dall’interno, anche il suo respiro veniva meno ogni volta che incrociava i suoi occhi, identici a quelli di Robert.
Non si era mai guardato allo specchio, Josh, proprio perché temeva di rivedere quello sguardo.
Due giorni dopo l’incidente, Josh aveva trovato Jennifer distrutta, nascosta nel bagno a piangere e a urlare.
Karen e Gary non erano in casa e lei aveva avuto modo di dar sfogo a tutta la sua sofferenza.
L’aveva stretta a sé, cullandola tra le sue braccia dentro la vasca di casa … Si erano sempre appoggiati l’uno all’altra nei momenti di dolore e questa volta non poteva essere diverso.
Quel bambino meraviglioso, nato per caso dal loro amore, una delle tante cose che li accomunava, la boccetta che aveva dentro l’essenza della loro vita si trovava nel limbo che c’è tra la Terra e ciò che la gente chiamava Paradiso.
Ma stava andando bene, Robert stava meglio e dovevano solo continuare a sperare, continuare a parlargli e si sarebbe finalmente risvegliato.
Quella notte, entrambi si riaddormentarono sognando quel momento.
Sentivano che sarebbe arrivato presto, quella era la loro unica certezza.
 
 
FINE CAPITOLO 7
 


Angolo Autrice:
Buona sera, cari lettori,
ancora una volta, qui con me c’è la mia adorata _AnneMary_ che vi fa ciao con la manina.
Ha pure uno specchio in mano, quindi state attenti.
(La uso per proteggermi, sì.)
Passando alle cose serie … In questo capitolo volevo sottolineare l’instabilità mentale dei due protagonisti … Specialmente in Jennifer, che l’abbiamo sempre vista più forte e più resistente rispetto a Josh.
Niente, ora vado … Dove plottare alcune cose!
Alla prossima,
_merasavia.
 

 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII: The Visit. ***




Indelible Scars

 
Capitolo 8:
The Visit
 
 
 
Quella mattina Josh si svegliò presto, tremando a causa dell’ultimo incubo, che preferì non ricordare.
Accarezzò per ore i capelli di Jennifer, senza trovare un senso logico ai suoi pensieri, accatastati l’uno sull’altro, senza un ordine preciso.
Gli veniva da piangere, poi da ridere, ma non riusciva a fare nulla, se non pensare a quel terribile incidente e a Robert, steso inerme in quel letto d’ospedale.
Pensava a quanto gli mancavano i sui abbracci, la sua vocina e i suoi “Ti voglio bene” sussurrati.
Fu a quel punto che decise di andarlo a trovare, da solo, senza nessuno, voleva che fossero solo lui e Robert, come quella volta in cui vi era stato l’incidente.
Si alzò velocemente, si vestì con i primi vestiti che trovò nel piccolo armadio della camera e baciando cautamente la fronte di Jennifer, lasciò la stanza.
Silenziosamente uscì di casa, attento a non farsi notare da nessuno, si infilò il giubbotto, prese le chiavi della moto e si diresse verso l’ospedale.
Indossava cappello ed occhiali da sole per non farsi riconoscere, ma sapeva che tutti gli sguardi erano puntati su di lui.
Lo guardavano con pietà, mentre entrava nel piccolo ospedale di Louisville, mostrava il permesso alla reception e si dirigeva verso la stanza di Robert.
Entrò silenziosamente nella camera, quasi tremando alla vista di Robert, privo della vita che gli era stata donata da lui stesso.
Era così ogni singola volta …
Si sedette e piangendo iniziò ad accarezzare i capelli di Robert, gli teneva stretta una mano, mentre ascoltava il battito del suo cuore, regolare e stabile.
Dio, salvalo.
Salva Robert, ti prego.
Salvalo.
Iniziò a pregare, piangendo sul viso del suo bambino, implorando Dio di non portarlo con sé, come aveva fatto con i suoi genitori e suo fratello.
«Robert» sussurrò «Ti prego, svegliati.»
Non lasciarti andare.
Non lasciarmi andare.
«Robert, so che puoi sentirmi» tirò su col naso «Dovunque tu sia, so che puoi sapere che sono qui.» si asciugò con le maniche della camicia gli occhi e riprese a parlare «Ti ricordi di quando ti portavo al parco a giocare, Rob? Ti ricordi di quando la sera, prima di addormentarti, ti raccontavo sempre la favola di Peter Pan, la tua preferita?» altre lacrime gli rigavano il viso, mentre lasciava un bacio sulla fronte di Robert, le sue mani tremanti stringevano le sue piccole manine fredde e il suo sguardo vagava alla ricerca di quello di suo figlio.
«Dovrei  esserci io al tuo posto, amore mio. Lo so.» appoggiò la fronte su quella di Robert, piangendo lacrime amare e bagnando anche le guance del suo bambino «Perdonami, Rob. Perdonami.»
Alzò il viso e asciugò le guance di Robert, senza mollare un attimo la sua mano. Ne era sicuro, Josh. Era sicuro che Robert lo potesse sentire, era sicuro che si sarebbe svegliato e lo avrebbe abbracciato.
Ma non lo fece, Robert. Non quella mattina.
«Robert» la sua voce tremava, scossa dal pianto e dalla disperazione che aveva dentro «Ti ricordi quando la notte venivi in camera mia e di mamma e ci chiedevi se potevi dormire con noi? Ti ricordi come mi abbracciavi durante la notte Rob? Quando dicevi che ero il tuo eroe?»
Si asciugò nuovamente le lacrime e poi riprese a parlare, come se non avesse mai smesso.
«C’è stata una volta, quando eri molto piccolo, che volevi mangiare da solo, ma la mamma insisteva per imboccarti lei. Allora tu prendesti tutto il piattino e glielo rovesciasti addosso» l’ombra di un sorriso apparve sul suo viso, mentre si lasciava andare a quel ricordo felice «Eravate così buffi, tutti e due sporchi di pappetta per bambini. E tu ridevi, piccolo mio. Ridevi tanto.
«Io so che sei forte, campione.» riprese a carezzargli il viso e sentì sotto il tocco della sua mano il segno di una cicatrice sulla fronte di Robert. Sarebbe rimasta per sempre, quella, sarebbe diventata indelebile, come i segni, come i sorrisi.
Gli lasciò un ultimo bacio sulla fronte, per poi uscire dalla stanza cercando di asciugare alla meno peggio le lacrime.
Ma lui lo sapeva, lui continuava a saperlo: la gente lo stava guardando.
Lui, il grande attore di Hollywood.
Lui, il bambino di Innamorarsi a Manhattan.
Lui, il ragazzino del Kentucky.
E c’era pena nello sguardo della gente e lui voleva voltarsi e urlare, urlar loro di smetterla, urlar loro di lasciarlo solo, che non aveva bisogno di quegli sguardi.
Ma non ce la faceva, non ce la faceva neanche a parlare.
Si rimise gli occhiali da sole e sussurrò un flebile “Arrivederci” alla signora della reception.
“Addio” avrebbe voluto dirle “Addio per sempre.”
Avrebbe voluto dire addio ai medici, alle infermiere, ai pazienti.
Una bambina una volta, ignara del motivo per cui fosse lì, avanzando timorosa gli aveva chiesto una foto perché “lo aveva visto in TV” e perché “piaceva molto anche alla mamma”. E lui l’abbracciò quella bambina, perché forse neanche lei era a conoscenza del motivo per cui si trovasse in quel posto.
E la madre scattò loro quella foto, con un flebile sorriso sul viso.
Era una donna giovane, più giovane di lui, dall’aspetto forte e spezzato al tempo stesso. Non si conoscevano, ma si erano abbracciati forte, forse per cercar conforto l’uno nell’altra «Porta i miei saluti a Jennifer.» gli aveva detto quella ragazza. E lui aveva annuito silenziosamente, tirando un ultimo sguardo alla bambina che sorrideva fiera accanto alla mamma.
E abbandonò anche quell’ultimo ricordo dentro le mura bianche di quell’ospedale, Josh. Lì dentro ci abbandonò la vita, la speranza.
Si mise il casco, salì sulla moto e partì.
 
Seduto sul dondolo di casa Lawrence, si teneva la testa tra le mani, cercando di scansare ogni possibilità di piangere ancora.
Improvvisamente sentì qualcuno sedersi accanto a lui, una mano posarsi sulla sua spalla.
Era il tocco di una donna, che nelle mani aveva la sensibilità di una madre, ma anche la forza di una guerriera.
La madre che era venuta a mancargli troppo presto.
Il guerriero che la morte aveva sfiorato ed ucciso.
Alzò la testa e trovò il viso di Karen guardarlo con fare preoccupato.
«Karen … » farfugliò.
«Ragazzo.» con una mano asciugò una lacrima che era scesa sul viso di Josh.
Lui stette in silenzio, non riuscendo a trovare parole adatte alla situazione.
«Sei andato da Robert, vero?»
Annuì silenziosamente, concentrando lo sguardo sulle sue mani, sulle sue unghie morsicate fino al sangue per il nervosismo, sulle piccole cicatrici che si era procurato cercando di salvare Lui.
«È solo colpa mia … » disse. Ma Karen lo bloccò subito, prendendogli una mano.
«No, Josh, non devi dirlo neanche per scherzo!» alzò lo sguardo distrutto verso gli occhi color nocciola di Josh, cercando la tua attenzione «Io non so cosa possa significare stare in questa situazione, ma … Robert è mio nipote» si asciugò le lacrime che erano scese lungo il viso un po’ segnato dal tempo, ma – seppur con voce tremante e spezzata – continuò a parlare «Ed io mi ricordo quando cinque anni fa mi chiamasti in preda al panico dicendomi che era arrivato il momento. E quando io e Gary eravamo arrivati in ospedale tu eri nervosissimo e c’era tuo fratello che cercava di calmarti, ma che infondo era ancora più nervoso di te. Ricordo il tuo sguardo quando l’hai visto per la prima volta e quando siamo entrati nella stanza di Jenn lo tenevi tu … e me lo hai messo tra le braccia. Ricordo come piangevi di felicità e c’erano i tuoi genitori … e tuo fratello che ti guardavano, fieri di te.»
«Connor aveva sempre voluto un nipotino … Qualcuno a cui far vedere le sue invenzioni. E mamma e papà …» una fitta gli scosse il petto, spingendo le sue lacrime fuori dagli occhi. Era troppo, non poteva reggere più.
Aveva troppi pesi sulle spalle, troppi macigni da portare.
Karen lo abbracciò, lasciando che qualche lacrima rigasse anche il suo viso.
«Oh, ragazzo!»
Dopo che si calmò un po’, Karen gli accarezzò una guancia, riuscendo a sentire tutto il vuoto che aveva dentro il fondo del cuore.
Riuscì a sentire la sua anima che stava lentamente scivolando via.
«Jennifer dorme ancora?» le chiese.
«Sì. Mi sa che ti conviene andare a svegliarla. Ho preparato la colazione, e lei deve mangiare per due.»
Karen gli regalò un sorriso, che lui ricambiò, anche se flebilmente.
«Grazie, Karen.»
E Josh sparì dietro la porta-finestra che conduceva all’interno della villetta.
E a Karen sembrò di sentire i suoi passi salire fino alla camera da letto. E sembrò di sentire anche l’urlo silenzioso di Jennifer, costretta ogni giorno a vedere gli occhi del figlio in quelli del marito.
Tirò un sospiro e si alzò dal dondolo, sparendo anche lei dietro la porta-finestra.
Nella casa regnava solo il silenzio.
 
 
FINE CAPITOLO 8


 

Angolo Autrice:
Ogni volta che rileggo questo capitolo mi ricredo sempre: è il più bello, decisamente.
Stranamente sono fierissima di ciò che ho scritto, del legame particolare che ho cercato di dare a Josh e Robert in questo capitolo e anche del rapporto di Josh con Karen, nella quale rivede la madre che cinque anni prima ha perduto.
Ammetto che sono un po’ delusa per via del fatto che lo scorso capitolo non sia stato recensito, ma non fa niente.
Posso immaginare come anche voi studenti come me siate praticamente con i capelli all’aria per via di queste ultime interrogazioni e so che portano via molto – troppo – tempo.
Questo è stato il secondo capitolo di Indelible Scars ad essere stato scritto (Dopo il Capitolo 4, The Hospital) e ammetto che l’idea per questa storia è venuta proprio dalle scene che avete appena letto, quelle di Josh e Robert in ospedale.
Ne approfitto anche per scusarmi del ritardo con cui è arrivato il capitolo, ma non sono stata troppo bene (Sì, di nuovo) e ho avuto qualche difficoltà nel trovare tempo e voglia di pubblicare.
E nulla, spero che il capitolo vi sia piaciuto … e aspetto i vostri commenti e i vostri pareri, mi farebbero davvero piacere.
Vi abbraccio tutti, grazie per tutto!♥
_merasavia

 

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Capitolo 10
*** Capitolo IX: The Hero. ***




Indelible Scars

 
Capitolo 9:

The Hero
 
 
Il telefono di casa Lawrence squillò, rompendo il silenzio del piccolo appartamento americano.
Con mani tremanti, Jennifer prese in mano la cornetta, con dentro l’anima il timore che qualcuno dall’altro capo le desse quella brutta notizia, che da sedici giorni temeva di ricevere.
«Pronto?» rispose con voce flebile e insicura.
«Parlo con la signora Jennifer?» chiese una voce dura che proveniva dall’apparecchio.
«Sì.»
Josh le andò accanto, cercando il suo sguardo con occhi terrorizzati.
«Chiamiamo dall’ospedale di Louisville» la informò quella voce fredda e distaccata.
L’ospedale di Louisville.
Robert.
«È successo qualcosa a Robert?» chiese allarmata, stringendo forte la mano di Josh, che aveva già assunto un’espressione preoccupata in volto.
Jennifer sentì una leggera risata dall’altro capo del telefono, chiedendosi cosa avesse quel maledetto dottore da ridere in quella maniera.
«Oh, stia tranquilla, Jennifer. Robert è in perfetta forma e sta benissimo.» continuò il medico, con un probabile sorriso sul viso «Lo comunichi subito anche a Josh, sta bene e si è svegliato.»
Si è svegliato.
Si è svegliato.
Si è svegliato.
«Lei mi sta dicendo che … » lacrime silenziose uscirono dai suoi occhi, mentre il suo viso assumeva un’espressione incredula. «Robert è … Sveglio. È vivo e non … non …»
Non riusciva più a parlare dall’emozione: suo figlio, il suo bambino, la sua ragione di vita era viva. L’agonia era finita. Robert era forte. Robert ce l’aveva fatta.
Un’espressione mista tra felicità e incredulità si era formata anche sul viso di Josh, alcune lacrime di gioia gli rigavano il viso, che aveva un’espressione indecifrabile, la gioia gli esplodeva nel cuore che batteva forte nel petto e riusciva quasi a sentirlo nelle orecchie. Vivo: come il suo bambino.
Dall’altro capo del telefono il medico continuava a parlare, assumendo un tono di voce più flessibile e sereno.
«Ora fate presto a venire qui, non fa altro che chiedere di voi!»
«Okay … Okay!»
Jennifer non se lo fece ripetere due volte, chiuse il telefono e si buttò sorridente tra le braccia di Josh, che l’accolse stringendola forte a sé, mentre lacrime di gioia accompagnavano il loro abbraccio.
«È sveglio, Josh … » sussurrò, tra le lacrime e un sorriso «Robert è sveglio. Sta bene. Robert sta bene!»
Lui non riuscì a rispondere, la strinse silenziosamente tra le braccia, non riusciva a smettere di sorridere e piangere al tempo stesso, nessun pensiero concreto gli si formava in mente.
Karen e Gary accorsero in soggiorno con un’espressione leggermente preoccupata, volevano capire cosa stesse succedendo, ma quando videro i due ragazzi piangere e ridere al tempo stesso ogni cosa fu loro improvvisamente chiara.
Nessuno ebbe bisogno di spiegazioni, Jennifer immediatamente si staccò da Josh e corse dai suoi genitori, si gettò tra le braccia di Karen e la strinse forte, percependo quell’amore di madre che lei stessa aveva dentro in quel momento.
«Si è svegliato, mamma … Robert si è svegliato!»
«È stupendo, tesoro!» delle lacrime scesero dagli occhi della donna, mentre stringeva a sé la figlia, con la consapevolezza che il suo nipotino era vivo.
Poco più in là, Gary aveva abbracciato Josh, che non riusciva proprio a smettere di piangere.
Mentre Jennifer era salita in camera a prendere la borsa e i cappotti, Karen andò in contro a Josh, stringendolo forte con fare materno.
Josh, rilassato, la strinse a sua volta, finalmente aveva ricevuto una buona notizia, finalmente Robert era in salvo, non c’era più nulla da temere.
Quasi non ci credeva, nella possibilità di poter rivedere il sorriso di suo figlio, di poter sentire ancora al sua voce cristallina, di poter essere stretto dalle sue piccole braccine.
«Te l’avevo detto che sarebbe andato tutto bene.» gli sussurrò Karen, appena Jennifer comparve dalle scale.
«Grazie.» riuscì a dire, sorridendo a malapena.
«Ora andate» gli disse, rassicurante, posandogli una mano sulla spalla «Noi chiamiamo tutti e poi vi raggiungiamo, okay? Portate un bacio a Robert da parte nostra.»
«Va bene.»
 
Erano subito accorsi all’ospedale, il medico li accolse calorosamente, stringendo loro la mano cordialmente e con un sorriso.
«Venite» continuò a dire, iniziando a imboccare quel maledetto corridoio che avevano percorso per troppo tempo «Vi porto da Robert.»
Si affrettarono a seguire silenziosamente il medico, tenendosi stretti per mano, emozionati e quasi timorosi che ciò non fosse reale.
Appena arrivati alla camera n°27 il medicò li congedò velocemente, lasciandoli sulla porta chiusa della stanzetta bianca.
«Andate, è impaziente di vedervi.» aveva detto velocemente, prima di affrettarsi lungo il corridoio.
Sorrisero entrambi e poco dopo che il medico si allontanò, pian piano, Josh abbassò la maniglia della porta, la schiuse leggermente e silenziosamente e vi sbirciò al suo interno.
Robert era sveglio, seduto sul letto che rideva per via di un pagliaccio colorato che giocava con dei palloncini e faceva delle facce buffe.
«Penso che devo andare … Sono arrivati la tua mamma e il tuo papà!» annunciò il pagliaccio, guardando Josh e Jennifer che aprivano la porta lentamente, forse un po’ spaventati.
Il pagliaccio uscì dalla stanza, sorridendo calorosamente ai due e posando una mano sulla spalla di entrambi, come per infondere nel loro animo il coraggio che sembrava che mancasse loro.
Immediatamente si precipitarono nella stanza, guardando il bambino sorridere e aprire le braccia per accoglierli di nuovo, dopo quei sedici giorni che erano sembrati una vita intera.
«ROBERT!» Jennifer quasi urlò, precipitandosi dal figlio e stringendolo forte tra le braccia e bagnando i capelli scuri del bambino con delle lacrime diverse da quelle che aveva versato la prima volta che era entrata in quella camera.
Josh si unì al loro abbraccio fatto di amore e lacrime, posando infiniti baci sui capelli e sul viso di Robert, che lo stringeva forte con le sue braccine esili.
«Mamma! Papà!» si mise a piangere e Jennifer asciugava le lacrime sul volto del bambino, nelle sue mani c’era tutto l’amore che potesse avere dentro, come non sopportava le lacrime del suo bambino e lo strinse ancor più forte, quando le confidò di aver avuto tantissima paura.
«Siamo qui, Rob. Siamo qui.» Jennifer lo abbracciò nuovamente, mentre Josh – ancora incredulo nel sentire la sua voce – teneva stretta la sua mano.
«Papà?» lo chiamò Robert, accarezzandogli la mano.
«Dimmi, amore mio. Dimmi.» lo attirò a sé, stringendolo forte tra le grandi braccia, quasi cullandolo, come quando era ancora in fasce, un sorriso beato, stampato sul volto.
«Io mi ricordo una cosa.» affermò il bambino, accarezzando la guancia di Josh un po’ ispida per la poca barba.
«Cosa?» chiese Josh, guardandolo negli occhi e rispecchiandosi in quel nocciola acceso.
«Tu nella macchina mi abbracciavi forte.» iniziò il bambino e quando Jennifer alzò lo sguardo su entrambi e notò che a Josh era scesa una lacrima lungo la guancia «E cercavi di proteggermi.»
«Sì. Sì, Rob, ma … » cercò di ribattere, mentre altre lacrime rotolavano sul suo viso, le sue parole si spezzavano a quei ricordi, la voce gli moriva in gola al solo pensiero che non era riuscito a proteggere Robert, come sentiva che era suo dovere fare.
Tuttavia, il bambino bloccò il suo discorso, gettando le braccia al suo collo e sorridendo sornione.
«Sei il mio eroe, papà!» esclamò Robert, affondando il viso nel suo petto.
A quel punto Josh scoppiò in un pianto di sfogo, continuando a stringere a sé il suo del bambino, ritrovando quell’essenza vitale che gli era mancata in quei sedici giorni. Lo stringeva con amore, disperazione, paura … quanta paura aveva avuto in quei sedici giorni?
«Robert, ti amo. Ti amo. Ti amo.» farfugliò, notando che Jennifer si asciugava le lacrime che aveva sul viso, continuando a tenere Robert stretto tra le sue braccia «Ho avuto tantissima paura, piccolo.»
«Non piangere, papà … » gli sussurrò, accarezzando il suo viso per levar via le lacrime.
«No, non piango. Okay?» sorrise, scompigliandogli i capelli scuri, che Jennifer cercava di sistemare alla meno peggio «Sei il mio Campione.»
«Mamma!» esclamò improvvisamente il bambino, voltandosi verso Jennifer e posando alcuni baci sulla sua guancia «Il mio fratellino come sta?»
Sorrideva raggiante, Robert, mentre Jennifer si sbottonava il cappotto e faceva vedere il minuscolo rigonfiamento sulla sua pancia al bambino.
«È qui … E sta bene.» Jennifer sorrise, mentre Robert le accarezzava piano la pancia.
«È molto piccolo. Non si vede.» constatò il bambino.
«Sì, ma pian piano crescerà … Anche tu eri piccolo così.»
Il bambino annuì silenziosamente, per poi fiondarsi tra le braccia della madre, che baciava le sue guance e godeva dei suoi meravigliosi occhi finalmente aperti.
«Ti voglio bene.» sussurrò al suo orecchio, Robert.
«Anche io. Tantissimo.»
Qualcuno bussò alla porta e il medico fece capolino dalla porta, sorridendo.
«Josh, Jennifer … Dovrei parlarvi. Potete venire cinque minuti fuori?»
«Certo.» Jennifer rispose sorridendo e prendendo la borsa che aveva appoggiato al letto.
Seguirono il medico fuori dalla camera, nel corridoio popolato da medici, infermieri e qualche genitore che teneva per mano un bambino.
«Robert è in perfetta forma» comunicò loro il medico «Dobbiamo fare solo un paio di controlli e presto potrà tornare a casa.»
«Davvero?» domandò Jennifer, notevolmente sollevata.
«Sì, è un giovanotto sano e forte. Non ha avuto paura neanche per un secondo, chiedeva solo di voi, ma sapeva che saresti arrivati presto, ed era tranquillissimo.» il medico si grattò un sopraciglio, un po’ perplesso «Anche se … mi ha fatto una domanda, appena si è svegliato. Mi ha chiesto: “Il mio papà è vivo?”»
Josh sembrò vacillare un poco e Jennifer appoggiò una mano sulla sua spalla, anche lei toccata nel profondo da quelle parole.
Come poteva un bambino di appena cinque anni comprendere appieno il significato della morte? Ricordarsi di ciò che era successo, delle braccia di suo padre che cercavano di proteggerlo, mettendo a rischio la sua stessa vita.
«Questo mi fa capire che ricorda molte cose dell’incidente. Non so come questo sia possibile, ma penso che vostro figlio sia un vero angelo.»
I due annuirono silenziosi, non riuscendo a trovare le parole per rispondere, mentre il viso del medico che sembrava così burbero si apriva in un largo sorriso.
«Ora tornate da Robert, su! E non voglio vedervi più dentro queste mura … Se non per una cosa bella, ovviamente.» sorrise, guardando la pancia di Jennifer, che ricambiò il sorriso compiaciuta.
«Grazie.» disse Josh «Grazie per tutto.»
«È il mio dovere, Josh.»
E tornando dentro la camere, Josh pensò alla frase che Robert gli aveva detto quando l’aveva visto, quella che gli diceva di essere il suo eroe. Si rese conto, per la prima volta, che era stato proprio Robert a salvargli la vita infinte volte, inconsapevolmente, con la sua innocenza da bambino, quando sorrideva sornione o semplicemente con una piccola carezza.
Era Robert ad essere il suo eroe.
 
 
FINE CAPITOLO 9
 

Angolo Autrice:
Sarò breve. Brevissima.
Ho davvero pochissimo tempo e sono riuscita a postare il capitolo per miracolo.
Allora … Almeno è un capitolo MOOOLTO felice, no? ;)
Robert si è finalmente svegliato e con il suo risveglio inizia la vera fine della serie Indelible.
Ebbene, questa storia – e con lei tutta la serie – finirà tra soli due capitoli.
Ho letto parte di questo capitolo in classe, per un tema di italiano su una storia drammatica e – ovviamente – aveva una fine diversa, lascio a voi immaginare quale.
(_AnneMary_ sa, perché mi stava fulminando con gli occhi per non fa scenate davanti alla prof, ma okay)
Come al solito vi ringrazio tantissimo e mi scuso per quest’ennesimo ritardo … Spero che la prossima volta sarò più puntuale.
Un abbraccio a tutti.♥
_merasavia.

 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo X: The Set. ***




Indelible Scars

 
Capitolo 10:

The Set
 
 
 
«Papà!» esclamò Robert, correndo verso Josh che stava dietro una macchina da presa a rifinire le ultime scene girate «Guarda cosa ho trovato nella sala dei trucchi!»
Gli mostrò il cappello da cowboy, decisamente troppo grande, che faceva quasi scomparire la sua faccina quando lo indossava.
Josh rise di gusto, cercando di sistemare il grande cappello sulla testa del bambino.
«Non credi che sia un po’ troppo grande per te, Rob?» chiese Josh scherzoso, posando un dito sul naso di Robert.
«Allora vediamo come sta a te!» gli disse, togliendosi l’enorme cappello e mettendolo sulla testa di Josh.
«Attento, piccoletto!» disse Josh, imitando con le mani il gesto di una pistola e imitando una voce dura e cattiva «Potrei ucciderti con un colpo solo!»
«Non mi fai paura, brutto cowboy!»
I due cominciarono ad azzuffarsi, ridendo come mai avevano fatto prima. Stavano a terra, a scambiarsi coccole e far finta di far la lotta. Ad un certo punto, Robert aveva avuto la meglio su Josh che, steso a terra, rideva per via del solletico che suo figlio gli stava facendo.
«Okay, okay, Campione! Hai vinto, hai vinto!» ripeteva, tra una risata e l’altra «Chiedo tregua!»
«Insomma, è questo il modo di comportarsi sul set?!» chiese Jennifer, arrivata alle loro spalle con un pancione ormai evidente «Poi sono io quella che non fa la seria! Insomma, signor regista, si contenga!» rise, imitando una voce autoritaria e porgendo una mano a Josh per aiutarlo ad alzarsi.
Il ragazzo, o forse ormai l’uomo, la accettò e appena si fu messo in piedi posò un tenero bacio sulle labbra dell’Amata.
Accarezzava con una mano la pancia, dopo risiedeva la sua bambina, ormai abbastanza cresciuta per poter sentire voci e suoni, o almeno così avevano detto i medici.
«Un giorno porterò sul set anche te, piccola.» sussurrò.
«Uffa!» sbuffava Robert a braccia incrociate «Siete tanto romantici!»
Risero entrambi e Jennifer scompigliò i capelli del bambino, già disordinati come sempre.
«Quando sarai più grande capirai, Robert.» gli disse con un sorriso.
Josh controllò l’ora sul cellulare, poi lo ripose maldestramente in tasca e sospirò.
«Abbiamo ancora mezzora di pausa pranzo e stasera dovete tornare a Union … Una passeggiata ci sta, no?»
Effettivamente Jennifer e Robert ad Atlanta erano potuti restare solo per il week-end, quindi cercavano sempre di godersi quei pochi minuti di pausa dalla riprese.
Josh era anche molto occupato ed era difficile trovare un momento in cui fosse libero da un qualsiasi impegno.
Ma lui il tempo per la famiglia lo trovava, sempre.
Jennifer e Robert erano le uniche due persone che gli erano rimaste: a lei aveva giurato amore eterno, lui doveva proteggerlo a costo della vita stessa.
Il suo Robert.
Robert che andava sopra ogni cosa, proprio come la bambina che sarebbe nata a breve.
Non era passato molto tempo dal giorno in cui avevano rischiato di perderlo, ma ad entrambi quei momenti sembravano estremamente lontani, dolorosi al ricordo, ma lontani.
Qualche volta a Jennifer era capitato di stringere la mano di suo figlio, ricordandosi di quando era in coma e inconsapevolmente gliela aveva stretta: il primo segno del risveglio, della vita.
Jennifer e Josh passeggiavano sulla riva del lago, tenendo Robert per mano, che si era rattristato perché non voleva lasciare Josh per tornare a Union.
Era sempre stato legato a suo padre e ogni volta che se ne doveva separare per lui era un vero trauma.
Succedeva anche quando Jennifer doveva partire per girare un film o per partecipare a qualche intervista o a qualche programma … Per Josh era sempre un’impresa riuscirlo a gestire e doveva ricorrere alle idee più assurde per farlo calmare.
La notte dormiva nel suo letto, accoccolato tra le sue forti braccia e triste dopo aver fatto una videochiamata con Jennifer.
Ogni volta che lo guardava, Josh pensava che fosse l’essere più bello del mondo.
«Cosa c’è, Rob?» gli domandò Jennifer, vedendo che il suo viso non era allegro come sempre.
«Tra un po’ noi partiamo e papà resta qui … » mormorò con voce flebile.
«Tornerete la prossima settimana, Rob.» gli rispose Josh, calando gli occhi su di lui.
«Ma io voglio restare con te!»
Robert si sporse ad abbracciare il padre, tirando su col naso ripetutamente. Josh, allora, si piegò alla sua altezza, spiegandogli per la millesima volta che si sarebbero rivisti presto, che avrebbero nuovamente giocato a basket, fatto un giro in moto o guardato i cartoni insieme.
Dopo che Robert era andato a giocare a pochi metri dai genitori, Josh e Jennifer si erano seduti sulla riva del lago, ad ammirare il panorama meraviglioso che gli si presentava davanti.
Jennifer, appoggiata alla spalla del marito, gli accarezzava la leggera barba che aveva sul mento.
«Ti stai facendo vecchietto, Ryan.»
«E tu ti stai facendo cicciotta, Shrader.» disse lui, accarezzando la sua pancia con dolcezza.
«Non scordarti che ora siamo in due.»
Intrecciò la sua mano con quella di Josh e strofinò il naso contro il suo, inebriandosi del suo dolce respiro.
«Ti amo così tanto, papà-Yayan.»
«Anche io, mamma Shrader.»
Le posò un bacio sulle labbra, accarezzandole i capelli biondi e le guance, come la donna più preziosa del mondo.
«Credi che anche lei ti chiamerà papà-Yayan?» domandò Jennifer, ridendo sulle sue labbra.
«Possibile.» sorrise lui, facendole appoggiare nuovamente la testa sulla sua spalla.
«Non vedo l’ora di poterla tenere fra le braccia.»
«Sarà bellissima come te.»
«O come te.»
«Nah.» rise Josh, facendo una smorfia divertita «Io non sono bello.»
«Tu sei l’uomo più bello del mondo.»
Posò un alto bacio a stampo sulle sue labbra, guardandolo a lungo negli occhi, che sfumavano da una leggera sfumatura di verde, per poi diventare nocciola vicino la pupilla.
Dio, quanto erano belli …
Robert corse incontro ai due, inaspettatamente e si gettò tra le braccia di Jennifer, sorridente come non mai e con gli occhi – identici a quelli di Josh – che splendevano di gioia.
La tristezza dei minuti prima sembrava sparita.
Jennifer lo strinse forte tra le braccia e il bambino fece lo stesso, con un’espressione felice e serena sul volto, quella di ogni bambino.
«Sei la mia peste, piccolo Principe.» gli disse, tenendolo stretto tra le braccia.
«Non sono una peste!» protestò il bambino, ridendo con un’espressione furba sul viso.
«Ehi, io voglio la rivincita, Campione!» esclamò Josh, prendendolo in braccio e facendolo coricare a terra e iniziando a fargli il solletico sulla pancia.
«Basta!» diceva Robert, tra una risata e l’altra «Basta, papà! Basta!»
Josh finalmente smise di fargli il solletico e si piegò a posargli un bacio affettuoso sulla guancia, colmo di quell’amore che gli regalava ogni giorno, senza mai pretendere nulla in cambio.
Josh guardò l’ora sul cellulare, accorgendosi che si era fatto troppo tardi.
«Mi sa che dobbiamo andare, devo riprendere le riprese.»
Diede una mano a Jennifer ad alzarsi e si incamminarono verso il set cinematografico, verso quelle luci e quei costumi dove entrambi erano cresciuti e che, nel bene o nel male, sapevano sempre di casa.
I trucchi, tutte quelle macchine da presa, gli effetti speciali, gli scherzi, le risate … era tutto parte del loro mondo.
Mattoncino per mattoncino, ognuno stava ricostruendo la loro vita, fatta di ricordi, gioie infinite e pianti mai usciti dagli occhi.
Era strano dover ricostruire tutto daccapo, perché era inutile negarlo, seppur raramente, i brutti momenti, i ricordi terribili ritornavano alla mente … magari in un sogno, o in una visione.
Ma era anche di cicatrici indelebili che era fatta la vita, non potevano cancellarle, non potevano mandarle via … potevano solo accettarle e imparare a conviverci.
E infondo avevano imparato a farlo.
Poteva andar bene, finché avevano la felicità.
Perché sì, quella felicità che avevano perduto più e più volte, da quando Chris, Michelle e Connor erano morti, fino a quando Robert e Josh avevano avuto l’incidente, era stata finalmente ritrovata.
Riuscivano a vivere in pace con loro stessi:
cogliendo i segni;
godendo dei sorrisi;
accettando le cicatrici.
Perché erano indelebili, lo sapevano bene … Erano stati  bravi ad andare avanti a testa alta e a non farsi schiacciare dal destino.
Era il mondo, il loro set. Era la famiglia e gli amici, i loro attori, la loro crew.
Era la vita, il loro film.
Solo che era reale.
Terribilmente e meravigliosamente reale.
 
 
FINE CAPITOLO 10
 

 Angolo Autrice:
Bene, ci avviciniamo sempre di più alla fine, visto che il prossimo capitolo sarà l’Epilogo, che concluderà definitivamente la serie.
Non so come mi sento a postare questo capitolo, solo che io ho il terrore delle “Fini” e il periodo in cui sai che una cosa sta per finire è ancora peggio.
Ma questo deve essere un capitolo felice, parlando nel mio standard da tragedia greca , quindi parliamo di cose felici.
Jennifer ha ragione, la appoggio su tutto: Josh è l’uomo più bello del mondo. (Ed è qui nudo accanto a me, sul mio letto che vi saluta)
Anche in questo capitolo i tre “simboli” della serie sono presenti: i segni, i sorrisi e le cicatrici.
I tre grandi pilastri della storia.
Nulla in particolare in questo capitolo, spero che vi sia piaciuto e vi ringrazio come sempre, per ogni cosa.♥
Un abbraccio a tutti.
_merasavia.

 

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Capitolo 12
*** Epilogo. ***




“A Canf, senza di te questa storia non sarebbe mai nata
ed io non sarei qui, in tutti i sensi.
A Enza, grazie per ogni sclero e per ogni risata,
un giorno verrò a trovarti, te lo prometto.
Di nuovo -  a tutti voi, siete persone meravigliose.”



Indelible Scars
 

EPILOGO
 
 
 
Josh stringeva tra le braccia la sua bambina, avvolta in una tutina rosa, le manine piccole e raggrinzite si muovevano verso il suo viso, mentre lui le accarezzava quei pochi capelli biondi e le guardava gli occhi, che sembravano tra il grigio e l’azzurro, come quelli di Jennifer.
Effettivamente le somigliava parecchio … magari sarebbe stata anche pestifera come lei, essendo che sembrava che non volesse stare un attimo ferma e si agitava molte volte tra le braccia di Josh.
La cullava dolcemente tra le forti braccia, mentre Jennifer era caduta addormentata subito dopo il parto, notevolmente sfinita, ma con un sorriso beato sul viso e l’espressione serena che aveva assunto appena aveva tenuto la sua piccola tra le braccia.
Josh lesse per l’ennesima volta il braccialetto rosa sul polso minuscolo della bambina, cercando di convincersi che tutto quello fosse reale.
Rose Michelle Hutcherson.
Sorrise, continuando a cullarla, camminando in giro per la stanza e posandole infiniti baci sulle guance paffute e sulla piccola testolina.
Tra poco sarebbero tornati Karen e Gary, insieme a Robert, che pochi minuti prima aveva fatto i capricci perché voleva un gelato … e i nonni, come sempre, lo avevano accontentato.
Si sedette nella poltrona accanto al letto di Jennifer, guardandola dormire e continuando a stringere al petto la piccola Rose, fragile e indifesa nelle sue poche ore di vita.
Si stava appisolando lentamente con la sua piccola bambina ancora tra le braccia, quando sentì la porta schiudersi e la voce squillante di Robert invadere la stanza.
«Papà!» urlò, andandogli in contro mentre Karen e Gary lo seguivano.
«Shh, non urlare, Rob.» lo raccomandò Josh, strofinandosi gli occhi stanchi e scompigliandosi i capelli.
«Posso vedere Rose?»
Robert corse a sedersi sulla gamba del padre, accarezzando con amore le piccole manine della sorellina, notevolmente piccole rispetto alle sue.
Rose si era addormentata e Robert aveva iniziato a fare delle facce buffe nella speranza di farla svegliare e farla giocare con lui.
«È bella» sussurrò ad un certo punto il bambino «Somiglia alla mamma.»
«Sì. Le somiglia tanto, hai visto? Tu somigliavi tanto a me, quando eri piccolo come lei!»
«Noi ci somigliamo anche adesso!» esclamò Robert, abbracciando Josh con un sorriso enorme sul volto.
Josh ricambiò calorosamente l’abbraccio del bambino e gli scoccò un bacio sulla fronte leggermente sudata per via del caldo.
Era nata il 4 luglio, Rose, lo stesso giorno dell’Indipendenza Americana.
«Buongiorno … » sentirono mormorare da Jennifer, con la voce impastata dal sonno e il sorriso ancora stampato in volto.
«Ehi, ben svegliata, principessa!» Josh le prese una mano e gliela baciò, mettendo in quel gesto tutto l’amore del mondo.
«Mamma, Rose ti somiglia tanto!» esclamò Robert, scendendo alla gamba di Josh e andandole in contro mentre si metteva seduta sul letto.
«Ah sì?» fece Jennifer, mentre Josh le metteva la bambina tra le braccia «Allora siediti qui accanto a me e dimmi in cosa mi somiglia, su!» gli disse, dando due colpetti alla piccola parte vuota del letto accanto a sé.
Anche Karen e Gary si unirono a Jennifer e Robert, mentre Josh li scrutava da lontano, restando un po’ in disparte sulla scomoda poltrona.
Li guardava con gli occhi di chi vedeva l’amore, di chi lo aveva dentro e lo percepiva, quasi si commosse nuovamente, quando Robert posò un bacio sulla guancia di Rose.
Improvvisamente sentì una figura venirgli affianco e posargli una mano sulla spalla: quella stessa stretta di quella madre che lo aveva consolato quando si trovava nuovamente sull’orlo del baratro.
Karen Lawrence gli sorrise, limitandosi ad incrociare i suoi occhi con quelli del ragazzo, ormai divenuto uomo già da parecchio tempo.
«Grazie» sussurrò Josh, quasi piangendo, mentre si alzava dalla poltrona e l’abbracciava «Grazie per tutto.»
Karen scosse la testa, facendogli una carezza sul viso.
«Non devi ringraziarmi di nulla, caro» gli rispose «Sono io che devo ringraziare te.»
Inizialmente Josh non capì, ma comprese le sue parole solo quando Karen gli fece cenno ai sorrisi di Jennifer e Robert e alla piccola Rose che dormiva tra le braccia della madre.
Lui annuì fiero, tornando a guardarla nel viso splendente, il viso della stessa  donna che aveva dato la vita a sua moglie, la stessa donna che li aveva appoggiati e che era stata accanto a loro nei periodi più duri.
Dopo un paio di minuti, dopo che Karen e Gary lasciarono l’ospedale per tornare a casa a darsi una rinfrescata, Josh si sedette in un angolino sul letto di Jennifer e iniziò ad accarezzarle i capelli, mentre Robert era ancora intento a stringere le manine della sorellina che dormiva beata e a borbottare sul fatto che la sua piccola sorellina fosse troppo pigra e che dormisse troppo.
«Non hai idea di quanto io sia felice.» sussurrò Josh all’orecchio della moglie.
«Sì, invece. So bene quanto tu sia felice.»
Jennifer si sporse a baciare le sue labbra con dolcezza e con una mano accarezzò sul suo petto il punto dove lui aveva i tre tatuaggi con i nomi della sua famiglia.
«Sarebbero fieri di te.» sussurrò sulle sue labbra.
Lui le prese una mano e gliene baciò il palmo.
«Lo so.» sorrise fiero, guardando la sua famiglia meravigliosa «Lo so.»
 
***
 
Jennifer era subito crollata nel sonno, proprio come Robert, che quella notte aveva insistito per dormire con loro.
Josh ammirava i volti sereni di sua moglie e di suo figlio che dormivano quasi abbracciati e inseriva la mano dentro le sbarre della culla accanto a lui per accarezzare la testolina e le guanciotte di Rose.
Si tirò a sedere sul letto e con cautela la prese fra le braccia, notando che era sveglia e puntava i suoi occhi – che sembravano sempre più azzurri – su di lui.
Muoveva le mani verso il suo viso, come se già riconoscesse in lui la sua figura di padre, anche se tutti dubitavano che lei potesse vedere ciò che la circondava, lui era quasi sicuro che potesse avvertire la sua presenza.
Ma era ancora così piccola …
Rimase tantissimo tempo a guardare quel dono, a cullarla fra le sue forti braccia e a tempestarla di baci e carezze, come se fino a quel momento non si fosse mai accorto della tanta bellezza che aveva ricevuto con quella bambina.
Ebbe un tuffo al cuore quando la vide nascere e scoppiò letteralmente in lacrime quando Jennifer gli aveva rivelato che avrebbe voluto darle il nome di sua madre.
Gli venivano i brividi, quando vedeva quei due nomi vicini sul braccialetto dell’ospedale o sul fiocco rosa appeso fuori dalla porta.
La guardò intensamente negli occhi azzurri e con amore le accarezzava i pochi capelli biondi, quasi invisibili al buio.
Istintivamente toccò i segni indelebili che aveva tatuati sul petto;
Osservò con meraviglia i sorrisi indelebili sulle fotografie appese alle pareti della stanza;
Sfiorò con timore le due cicatrici indelebili sopra il sopraciglio di Robert.
E poi tornò a guardare Rose, ancora e ancora:
“Rose Michelle Hutcherson … Saprai guardare il mondo con gli occhi di chi vede le cose per la prima volta … E ti giuro che è bellissimo.”
 
 
FINE


 

Angolo Autrice:
In ogni angolo d’autrice dicevo che sarei stata breve. Stavolta non lo dirò, perché non sarà così.
Vi prego di leggere tutto questo piccolo spazio per me, perché riguarda TUTTI voi, voi che avete letto, recensito, supportato e sopportato questa lunghissima storia.
È finita.
Ebbene, a quasi un anno dall’inizio della sua stesura, questa storia finisce oggi, il 31 di maggio 2015.
Finisce con un inizio, un nuovo inizio per i nostri personaggi e per me.
Non so come prenderla, sinceramente, sono sollevata da un lato e mortificata dall’altro, perché ammetto che in una piccola parte del mio cuore avrei voluto che non finisse mai, ma se non fosse mai finita non immagino l’infinità di disgrazie che avrebbero dovuto sopportare Josh e Jennifer, insomma, mi conoscete.
L’idea originale per questa serie è nata una sera del 14 giugno, in un critico periodo d’esami, ma mi pare che questo ve l’ho detto già, sapete anche che NON volevo pubblicare Indelible Scars, ma una certa persona a cui devo tanto, troppo, mi ha convito a scriverla e pubblicarla.
A Te, sappi che - nonostante tutto - non me ne pento, grazie ancora.
Ringrazio questa persona come vorrei ringraziare tutti voi.
La serie Indelible è nata in un periodo davvero brutto per me, in cui avevo bisogno di esorcizzare le mie paure [quella del fuoco (Vedi Indelible Signs), il parlare di persone scomparse (Indelible Smiles) e rischiare di perdere una persona cara (Indelible Scars)] e mi ha aiutato tanto, tantissimo, ma ora – benché potessi continuare a scriverla e innamorarmi sempre di più dei miei stessi personaggi – sento che il momento di concluderla, di porre la parola “Fine” a questo ricordo INDELEBILE.
Non odiatemi per questo, adoro la storia, lo sapete, ma tutto deve avere una fine, prima o poi.
E ve lo dico io, che ho il terrore della parola “FINE”.
Eppure c’è, ed è lì, alla fine di questo epilogo.
Ringrazio tutti voi, Joker – la mia adorata socia in affari, _AnneMary_ - la mia unica e grande Ccioia, Vale, che mi ha minacciato parecchie volte … e tutte le ragazze del gruppo “ ~ Indelible”, che hanno reso tutto un po’ più speciale.
Ringrazio – ancora – tutti coloro che hanno recensito, che hanno letto silenziosamente e chi ha amato o odiato questa storia.
È stato tutto meraviglioso, un’avventura INDELEBILE e non facilmente dimenticabile, che rimarrà sempre impressa nel mio cuore, e spero anche nel vostro.
E purtroppo, questa volta non sarà un “arrivederci”.
Grazie per tutto, a tutti voi.
Un abbraccio forte,
_merasavia.


 

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