May we meet again di Ystava (/viewuser.php?uid=146554)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Avrei voluto poterla salvare ***
Capitolo 2: *** Le leggi cambieranno ***
Capitolo 3: *** Devi prenderti cura della tua gente ***
Capitolo 4: *** Sono sicuro che non vuole essere trovata ***
Capitolo 5: *** Buona fortuna ***
Capitolo 6: *** Una volta hai disegnato Maya ***
Capitolo 7: *** Non siamo soli ***
Capitolo 8: *** Prevedo guai ***
Capitolo 9: *** Ti odio ***
Capitolo 10: *** Non prendo ordini da te ***
Capitolo 11: *** Tramano qualcosa ***
Capitolo 12: *** Sceglierà lei dove andare ***
Capitolo 13: *** Insieme ***
Capitolo 14: *** Grazie ***
Capitolo 15: *** Siamo tutti in pericolo ***
Capitolo 16: *** Per Clarke? ***
Capitolo 17: *** Devi farmi una promessa ***
Capitolo 18: *** Eri ancora la sua famiglia ***
Capitolo 19: *** Altrimenti non me ne sarei andato ***
Capitolo 20: *** Non so cosa dire ***
Capitolo 21: *** Troppo ***
Capitolo 22: *** Non si sa mai ***
Capitolo 23: *** Diamo il via alle danze ***
Capitolo 24: *** May we meet again ***
Capitolo 25: *** Dovrete raccontarmi un bel po' di cose ***
Capitolo 26: *** Io non ho mai paura ***
Capitolo 27: *** Non ci ritengono una minaccia ***
Capitolo 28: *** Esploderà ***
Capitolo 29: *** Resisti! ***
Capitolo 30: *** Buona fortuna, Clarke ***
Capitolo 31: *** Non posso perdere anche loro ***
Capitolo 32: *** Abbiamo una battaglia da vincere ***
Capitolo 33: *** L'eroe e il sopravvissuto ***
Capitolo 34: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Avrei voluto poterla salvare ***
postS2_1
"Avrei voluto poterla salvare"
- Clarke
"A Maya penso io."
Clarke
sobbalzò per lo spavento. Con i capelli intrecciati alla
buona, sporca di terra dalla testa ai piedi, le mani sanguinanti e
piene di calli, stringeva forte una vanga che aveva trovato
nell'edificio, mentre scavava una buca profonda nei dintorni di Mount
Weather. Erano giorni che scavava, e non aveva ancora finito. A volte
pensava che non avrebbe mai finito e che avrebbe continuato a scavare
tombe per l'eternità.
"Sei solo?" chiese,
guardando con le lacrime agli occhi Jasper che
torreggiava su di lei. Non lo aveva sentito avvicinarsi. Il ragazzo era
irriconoscibile. Sembrava ancor più magro del solito, ma non
fu
questo a colpire Clarke. Il suo sguardo era spezzato, pieno di rabbia e
di dolore.
"Sì",
rispose. "Gli altri arriveranno tra qualche giorno per
bruciare i corpi, ma io..." non finì la frase, e distolse lo
sguardo dalla ragazza. Strinse forte lo zaino che aveva in spalla, poi
si avviò verso l'entrata del luogo che più di
tutti gli
aveva causato sofferenza.
"L'ho spostata", gli
gridò dietro Clarke, con tutto il fiato che
aveva in gola, e non era molto. "Dormitori", disse solo. Aveva spostato
Maya e i bambini nei dormitori. Ognuno in un letto. Era stata la prima
cosa che aveva fatto, e la più difficile. Ma sentiva di
doverlo
fare, e una parte di lei era morta con loro in quel momento. Sentiva
anche di non poter semplicemente bruciare i corpi di coloro che aveva
ucciso. Sarebbe stato troppo semplice, troppo veloce.
Continuò a
scavare.
Qualche minuto dopo,
Jasper riemerse con un'altra vanga e si diresse
tra gli alberi, lontano da lei, ma ancora a portata di vista e di voce,
e cominciò a scavare la tomba per la ragazza che aveva amato.
Continuarono a scavare
in silenzio, ma quando Jasper sparì di
nuovo, per tornare con il corpo di Maya tra le braccia, Clarke si
fermò. Non lo interruppe, nè si
avvicinò.
Osservò solo la delicatezza dei gesti di Jasper, le lacrime
silenziose che gli rigavano il viso, la personificazione dell'amore e
della disperazione. Incoraggiata dalla temporanea assenza di rabbia,
quando la buca fu riempita e un fiore deposto sul mucchio, la ragazza
si avvicinò. Lui era inginocchiato, una mano sul viso, una
sulla
terra.
"Avrei voluto poterla
salvare", gli disse con voce rotta. Jasper non
disse nulla, nè la guardò, così Clarke
continuò il suo discorso. "So che non mi credi, so che pensi
che
sia morta inutilmente, e so che non mi perdonerai mai per questo, e che
per te... io, Bellamy e Monty saremo per sempre i suoi assassini. Ma
nessuno di noi avrebbe voluto questo. Abbiamo provato..." ma qui
scoppiò in un singhiozzo, e non riuscì a
continuare, e
sentendosi in colpa perchè stava contaminando il dolore di
Jasper con il proprio, si allontanò alla svelta, dirigendosi
imperterrita verso la buca lasciata a metà, saltandoci
dentro, e
continuando quel lavoro che l'avrebbe tenuta occupata ancora per molti
giorni.
Un'ora dopo, Jasper si
alzò silenziosamente, recuperò le
sue cose, e fece per avviarsi lungo il sentiero da cui era venuto, ma
passando davanti a Clarke si fermò. Lei si
asciugò il
sudore dalla fronte e alzò il viso su di lui. Si osservarono
per
qualche secondo.
"Non
tornerò con te", disse Clarke a Jasper.
Lui la
guardò duramente. "Non avevo intenzione di chiedertelo."
E questo ferì Clarke più di quanto ella avrebbe
potuto
immaginare. "Ma voglio sapere il perchè."
"Perchè non
lo merito."
Jasper rimase in
silenzio, guardando verso il bosco, riflettendo. "Non
dirò di averti vista. Dirò che quando sono
arrivato avevi
già finito ed eri sparita. Li convincerò a
rimandare il
momento in cui verranno qui a fare razzia. Ma farai meglio a sbrigarti."
Com'era cambiato,
Jasper. Il ragazzo di fronte a lei non aveva nulla in
comune con quello che era atterrato sulla Terra con lei e gli altri
Cento. Solo per l'aspetto lo si poteva riconoscere, e anche
quest'ultimo non era rimasto immutato.
"Grazie", gli disse,
ma non ricevette risposta.
Poi lui le
voltò le spalle, si incamminò, e sparì
alla vista.
"Fa' che ci
rincontreremo..", sussurrò Clarke tra sè, e lo
sperava davvero.
-
Angolo autrice: Il finale di stagione di questa serie mi
ha sconvolto così tanto che ho cominciato a scrivere fanfic
su fanfic. Dovevano essere tutte One shot, ma alla fine le ho
riadattate e le ho trasformate nei capitoli di una Long. E'
già tutto pronto, ma pubblicherò i vari capitoli
a distanza di qualche giorno l'uno dall'altro. Ovviamente è
tutto ambientato dopo il finale della seconda stagione. Spero di non
essere andata OOC. I titoli sono sempre citazioni di un personaggio dal capitolo. Alla prossima!
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Le leggi cambieranno ***
postS2_2
"Le leggi cambieranno"
- Kane
Il campo non si chiamava più Camp Jaha, ma The New Ark.
Trasferirsi al Mount Weather non era stato mai preso in considerazione,
anche se sarebbe potuta sembrare la mossa più intelligente.
I 42 sopravvissuti alla prigionia soffrivano al solo sentir nominare
quel luogo, e anche gli altri non erano entusiasti all'idea di vivere
tra mura che avevano visto tali atrocità e così
tanti
morti. Addirittura Jasper non aveva dovuto affatto aprir bocca per
convincerli a rimandare la missione di recupero dei beni utili. Quando
era tornato, era stato Kane il primo a dirgli che avrebbero aspettato
altro tempo. Erano giorni tranquilli, e non sentivano l'urgenza di
appropriarsi di altre
comodità. Nessuna fretta, anche perchè i lavori
di
miglioramento al campo occupavano loro molto tempo ed energie.
Quella che un tempo era stata una stazione dell'Arca e che ora fungeva
da quartier generale, da ospedale e da magazzino, era stata rinominata
Base. Il "recinto" era stato allargato e intorno alla Base erano state
piantate tende di ogni misura. Nessuno aveva una sistemazione propria.
In una delle tende più vicine alla Base vivevano Bellamy,
Lincoln, il signor Miller, il figlio Nathan, e Monty. Accanto
c'erano Octavia, Monroe e Harper. Erano le due tende
più grandi e più
trafficate, perchè tutti i ragazzi guardavano ancora a
Bellamy
come punto di riferimento, e non c'era giorno in cui non passassero da
quelle parti anche solo per sincerarsi coi loro occhi che non li aveva
abbandonati, come invece aveva fatto Clarke.
Jasper viveva con un paio di altri ragazzi in una delle tende
più distanti dalla Base, ma non lo si vedeva quasi mai. Da
quando era
tornato dal Monte la situazione era leggermente migliorata, ma non
aveva ancora rivolto la parola a Bellamy o Monty, nonostante questi
ultimi due avessero provato ad aggiustare le cose. Ma si potevano
davvero aggiustare?
Jackson aveva un letto fisso nell'infermeria, e così anche
Abby.
Anche Raven viveva in un letto del piccolo ospedale, ma non per scelta.
Era quella che aveva subìto più danni, sia alla
gamba che con il
prelievo del midollo. Non era ancora in grado di camminare. Wick non
aveva trovato una sistemazione
permanente, perchè per il momento dormiva su un materasso ai
piedi del letto di Raven. Anche Kane viveva nella Base, accanto al
magazzino dove conservavano
le armi.
Due giorni dopo il ritorno di Jasper dal Monte, Kane ed Abby radunarono
tutti nello spiazzo davanti alla Base. Salirono su un palchetto
improvvisato.
Abby si reggeva in piedi con un bastone, e sorrideva lievemente. Il
prelievo del midollo e la perdita della figlia l'avevano
definitivamente spossata. Non era rimasto più nulla della
donna
che sull'Arca aveva lottato per il progetto dei Cento con tutte le
proprie forze. Ora se ne stava in silenzio. Kane,
invece, sollevò in aria un braccio. Stringeva tra le dita la
spilla da Cancelliere, e la mostrava a tutti. Toccava a lui parlare.
"Da oggi, non ci sarà più un Cancelliere" disse a
voce
alta, per farsi udire da tutti. Cominciò a diffondersi un
mormorio.
Bellamy fece un passo avanti, le braccia incrociate al petto, le
sopracciglia corrugate, l'attenzione al massimo. Lincoln e Octavia, al
contrario, se ne stavano un po' in disparte. Non sarebbero rimasti a
lungo a vivere al campo. Avevano intenzione di tornare nella vecchia
casa di Lincoln, che non era molto lontana da lì. Sentivano
di
dover prendere le distanze, ma continuando a sentirsi parte di quella
gente. Ci sarebbe voluto del tempo prima che potessero trovare il loro
posto nel mondo, ma lo avrebbero trovato insieme. Anche Jasper
assisteva distaccato. Wick, al contrario, stava in piedi accanto a
Bellamy, stringendo tra le braccia Raven, che aveva categoricamente
rifiutato di perdersi la riunione.
Kane si schiarì la voce, abbassando il braccio. "Inutile
dire
che i tempi sono cambiati, da quando nello spazio avevamo bisogno di un
Cancelliere che facesse rispettare la legge. Ed era una legge molto
severa... troppo." Scambiò uno sguardo con Abby, poi
continuò. "Le leggi cambieranno." Di nuovo un brusio
rischiò di coprire le sue parole, ma il silenzio fu
riportato in
fretta. "Non ci sarà più un Cancelliere a farle
rispettare, e a decidere cosa è giusto e cosa è
sbagliato, non sarà più una sola persona a fare
le scelte
che riguardano questa nostra comunità." Alzò
ancor di
più la voce. "I Cancellieri saranno tre, ed avranno pari
potere
decisionale, e pari autorità."
Bellamy e Raven si scambiarono una rapida occhiata. Il mormorio crebbe
e una voce si levò sopra le altre. Fu il
signor Miller a parlare. "Chi si unirà a te e ad Abby?"
Quasi
urlò per farsi sentire da tutti. E molti dopo di lui
ripeterono
la domanda, incuriositi.
Kane restò sorpreso per un attimo. Non si aspettava che
tutti
dessero per scontati lui ed Abby come primi Cancellieri, che non
avessero nulla da obiettare, che lasciassero a loro la parola
sull'ultimo Cancelliere. Ma forse non era poi così strano.
Lui
ed Abby avevano fatto del loro meglio sull'Arca, e avevano salvato le
persone che si trovavano lì. Clarke e Bellamy avevano
salvato i
Cento, e successivamente anche tutti loro, e lui ed Abby li avevano
appoggiati ed aiutati. Nonostante tutto ciò che era
accaduto,
avevano fatto un buon lavoro, e la gente si fidava di loro.
Oppure, dopo quel che Clarke e Bellamy avevano dovuto fare nel Monte,
si erano resi conto del peso del prendere decisioni, si erano resi
conto che lasciare il dovere nelle mani degli altri era
più facile.
Perchè opporsi?
Marcus lanciò un'occhiata alla collega, e le fece un piccolo
sorriso,
poi guardò il signor Miller, e fece vagare lo sguardo su
tutti i
presenti, fino a posarlo su una persona in particolare, che stava
proprio di fronte a lui.
"Bellamy Blake" disse Kane, e non ebbe bisogno di urlare,
perchè negli ultimi secondi si erano zittiti tutti, in
attesa.
Il ragazzo non fece non piega. Tutti lo fissarono. Dopo quella che
parve un'eternità, rispose: "Ci penserò."
Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 5
giorni
dalla sconfitta del Monte. Uhm... che dire? Spero vi sia piaciuto :) Il
prossimo capitolo è già praticamente pronto e
arriverà a breve :) Grazie a tutti quelli che seguono questa
storia, mi fa davvero piacere che vi abbia incuriositi <3
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Devi prenderti cura della tua gente ***
postS2_3
"Devi prenderti cura della
tua gente" - Lincoln
Questa volta era stato Bellamy a radunare un po' di gente, in una delle
sezioni vuote della Base, nell'unica stanza senza finestre. C'era un
grande tavolo di ferro con alcune
sedie, ma nessuno lo stava usando.
Octavia e Lincoln erano insieme, in piedi vicino alla porta. Raven era
seduta su una cassa, con accanto le sue stampelle; era arrivata fin
lì da sola. Wick e Monty parlottavano tra di loro accanto a
lei.
Miller aspettava in silenzio, appoggiato alla parete con le mani in
tasca. Bellamy stava proprio di fronte a tutti loro, dall'altra parte
della stanza.
Si sentiva solo. Non si era mai sentito così solo in tutta
la
sua vita, neppure quando sull'Arca sua sorella era stata rinchiusa e
sua madre uccisa. Clarke aveva portato via con sè una parte
di
lui, e Bellamy non riusciva a smettere di pensare ardentemente a quanto
avrebbe voluto riaverla.
"Hai deciso?", chiese Octavia senza preamboli, mentre chiudeva la porta.
"Dov'è Jasper? Fa ancora la prima donna?",
domandò invece
Raven, sbuffando mentre sistemava la gamba in modo che le facesse meno
male. Jasper parlava con lei, anche se non molto. E questo era
frustrante.
Fu Monty a rispondere con un triste e sussurrato: "Sì."
"Ho parlato con Kane ed Abby" disse il ragazzo Blake, guardandoli
tutti. "I tre Cancellieri saranno affiancati da un Consiglio composto
da otto membri. Loro ne sceglieranno tre ciascuno, io due. Se
accetterò.", aggiunse in fretta. "I tre Cancellieri faranno
le
nuove leggi, e le sottoporranno al Consiglio. La maggior parte delle
decisioni verrà presa dai Cancellieri. Per quelle
più
importanti verrà convocato il Consiglio."
Gli altri si limitarono a guardarlo, e lui li osservò uno ad
uno.
Miller era stato uno dei primi tra i Cento con cui aveva
legato,
che appena arrivato sulla
Terra aveva capito dove tirava il vento e aveva scelto da che parte
stare. Proprio come Bellamy era stato cambiato dallo svolgersi degli
eventi, era maturato, e si era rivelato un elemento prezioso. Si era
lasciato le bravate alle spalle e aveva aiutato Jasper e gli altri nel
Monte, si era messo in gioco in prima persona, aveva rischiato tanto,
aveva lottato. Oltre ogni previsione, Miller era la persona in cui
Bellamy si rivedeva di più e con cui aveva legato di
più
dopo la partenza di Clarke. Per questo era lì. Di quel
gruppo di
primi amici aveva già perso Atom, e Murphy, e adesso aveva
persino perso Jasper. Non voleva perdere anche Miller.
Raven. Cosa dire di Raven? Era
la persona di cui si fidava di più, dopo Octavia. Era la sua
migliore amica, o almeno così credeva, perchè non
ne
aveva mai avuta una, prima. Era una cosa nuova. Era come con Clarke,
ma... in maniera diversa. Non riusciva a spiegarselo neppure lui. Per
non
parlare dell'intelligenza di quella ragazza, che combinata con quella
di Wick era una risorsa da non sottovalutare.
Anche Monty non era da meno in questo senso, e la sua lealtà
era
una delle cose che il giovane Blake apprezzava maggiormente. In
più, era lui quello con cui condivideva il senso di colpa
per il massacro nel Monte.
Su Octavia ogni commento era superfluo. Era sua sorella, la persona
più importante della sua vita. Lincoln, invece,
già da
tempo si era guadagnato la fiducia e il rispetto di Bellamy, e
l''incidente' nei tunnel non aveva intaccato questi
sentimenti. E poi, una mente che ragionava in modo diverso da quelle
dell'Arca, un altro punto di vista, era un aiuto prezioso. Se lo
immaginò per un attimo seduto a quel tavolo, durante una
riunione del futuro Consiglio. Non sembrava una brutta visione.
L'unica nota stonata era l'assenza di Jasper.
"Voglio sapere cosa ne pensate. Dovrei accettare?"
Silenzio.
Fu Miller a parlare per primo. "I ragazzi ne sarebbero contenti",
disse, riferendosi ai superstiti dei Cento. "Ti hanno sempre seguito,
continuerebbero a farlo."
"Ci hai salvati dentro e fuori dal Monte. Si fidano di te", aggiunse
Monty.
"Te lo sei guadagnato. Quei due hanno bisogno di te. E lo sanno anche
loro, per questo ti hanno scelto." Raven, ovviamente. Wick si
limitò ad annuire.
Bellamy spostò lo sguardo sulla sorella. Octavia lo
guardò. "Dovresti accettare", disse, ma senza l'ombra di un
sorriso.
Poi fu il turno di Lincoln. "Cosa ti consiglierebbe di fare Clarke?",
disse, ben consapevole di toccare le corde giuste. "Devi
prenderti cura della tua gente."
Prenditi cura di loro.
Il
cuore di Bellamy saltò un battito, ricordando l'addio della
ragazza. Distolse lo sguardo dal Grounder. "E sia", decise.
Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 8 giorni dalla
sconfitta del Monte. Mi piace soffermarmi sulle relazioni tra i
personaggi, come avrete notato xD spero di riuscire a fare un buon
lavoro :) il prossimo capitolo arriva tra un paio di giorni ^_^
A presto!
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Sono sicuro che non vuole essere trovata ***
postS2_2-3
"Sono sicuro che non vuole
essere trovata" - Miller
Il primo a lasciare la
stanza fu
Monty. La frase di Lincoln non aveva colpito solo Bellamy. Anche lui
tempo prima, quando erano rinchiusi nel Monte, aveva posto quella
stessa
domanda. Cosa farebbe
Clarke? Clarke era stata per lui un punto di riferimento
fin dal loro
atterraggio. Si era dimostrata intelligente, giusta, e aveva a cuore le
loro sorti. Monty non aveva mai esitato nell'aiutarla e sapeva di
essere colpevole quanto lei e Bellamy per la morte degli innocenti nel
Monte. Lui aveva trovato il modo di ucciderli, e sapeva bene cosa stava
facendo. Sapeva che Maya sarebbe morta, sapeva che Jasper avrebbe
sofferto. E anche se non lo dava a vedere, la sofferenza di Jasper era
anche la sua. Ma Cage non aveva lasciato alternative. Era
ciò che si
ripeteva fino alla nausea, ogni volta che ripensava a quel momento,
ogni volta che da lontano scorgeva il viso del suo migliore amico (lo
era ancora?), ogni volta che Harper e Miller gli portavano sorridenti
qualcosa da mangiare mentre lavorava con Wick. Capiva perchè
Clarke era andata via. Non aveva salutato nessuno, solo Bellamy. Ma era
davvero stato così? Al loro ritorno al campo, lo aveva
fermato e
abbracciato. Monty aveva capito che in quell'abbraccio c'erano delle
scuse, e dei ringraziamenti, e anche qualcos'altro che non aveva saputo
decifrare. Adesso aveva capito che era un addio.
Il secondo ad uscire
fu Miller, che in un
attimo raggiunse Monty nei corridoi e gli diede un paio di pacche sulla
spalla. "Harper e Monroe sono andate a caccia", gli disse,
perchè appena erano usciti dalla Base aveva notato che il
giovane ingegnere si stava dirigendo verso la tenda delle ragazze.
Monty però non smise di camminare e Nathan lo
seguì.
"Tutto bene, amico?", gli chiese dopo un po', quando si fermarono di
fronte alla tenda vuota.
Monty la fissava senza
però vederla. "Clarke avrebbe dormito qui con loro. Per
essere vicina a Bellamy e alla madre."
Miller lo
guardò con apprensione. "Probabile", commentò,
quasi con cautela.
"Forse dovremmo andare
a cercarla."
"Sono sicuro che non
vuole essere trovata."
"Anche noi non
volevamo essere salvati."
Questo
zittì il giovane Miller.
Subito dopo, uscirono
Raven e Wick.
La ragazza lanciò uno sguardo a Monty e Miller che si
allontanavano insieme verso l'uscita. "Non voglio tornare in quel
letto", disse con fatica, perchè faceva un certo sforzo nel
camminare con quelle stampelle. Stava molto peggio dell'ultima volta
che aveva dovuto usarle.
"Ti assicuro che non
c'è
niente di divertente da fare là fuori. Sono quasi tutti a
caccia
e gli altri stanno lavorando. Cosa che dovresti fare anche tu."
Raven
sbuffò. Wick aveva
portato un tavolo vicino al suo letto in infermeria con tutti i
componenti che le servivano per riparare ogni sorta di oggetto, inclusi
quelli che erano stati recuperati dalle altre stazioni dell'Arca che
avevano fatto atterraggi meno fortunati di quello della Base. Della
creazione di altre radio per tenere tutti sempre in contatto si stavano
occupando Wick e Monty, perchè lei non voleva più
saperne
di radio per un bel pezzo.
L'infermeria era
proprio lì accanto. Ormai non c'erano più feriti,
per cui fu sorpresa di trovare Abby.
"Ciao ragazzi...",
disse la donna,
con un debole sorriso. "Wick, Sinclair aveva bisogno di te, mi ha
chiesto di dirti se potevi raggiungerlo il prima possibile."
"Sicuro". Il ragazzo
baciò
Raven sulla testa. "Forse ha trovato un modo per capire dove sono
posizionate le stazioni mancanti isoland-" ma si interruppe rendendosi
conto che la dottoressa non avrebbe capito una parola. "Vado." Sorrise
e
sparì.
"Che succede?
Perchè sei
qui?", domandò preoccupata il meccanico, mentre si sedeva
sul
letto e appoggiava le stampelle al tavolo.
Abby distolse lo
sguardo. "Tu e Bellamy avete avuto notizie?"
Non era la prima volta
che le
rivolgeva quella domanda. La Cancelliera era convinta che se Clarke
avesse trovato un modo per mettersi in contatto con loro, per far loro
avere un messaggio tramite qualcun altro, avrebbe cercato Bellamy o
Raven.
"Nessun segnale di
fumo
all'orizzonte, Abby", riferì stancamente la ragazza, e per
poco
non sbuffò. Odiava dover continuamente parlare di Clarke con
Abby. Capiva che era in pensiero per sua figlia, ma non era la sola a
soffrire per l'assenza della ragazza. Quando Raven aveva scoperto che
Clarke era andata via, dapprima non ci aveva creduto, poi aveva urlato
di rabbia, aveva rotto una sedia, per poco non aveva ferito Wick e
Monroe lanciando cacciaviti per la stanza, aveva procurato un livido ad
Octavia prima che Lincoln riuscisse a ripararla dalla pioggia di
bulloni, poi aveva dichiarato di odiare Clarke Griffin, e infine aveva
pianto, perchè si era sentita abbandonata.
Ma, soprattutto, non
ne aveva mai parlato con Bellamy. In tutto il campo, Clarke era
diventata un argomento tabù.
"D'accordo", disse
Abby. "Ma se..."
"Sarai la prima a
saperlo."
Lincoln e Octavia
rimasero.
"Non sei convinto",
disse la
ragazza, rivolta al fratello. Lincoln incrociò le braccia,
in
attesa. Aveva la stessa impressione ma non aveva osato dirlo. Non era
compito suo. Non era la sua gente quella che Bellamy avrebbe dovuto
guidare. Lui si sentiva a metà tra Sky People e Grounders, e
così era per Octavia. Se ci fosse stata Clarke forse sarebbe
stato diverso, perchè lei lo aveva sempre guardato come
guardava
gli altri suoi compagni. Aveva fatto l'impossibile, salvandolo
dall'inferno dell'essere un Mietitore, non lo aveva lasciato morire
quando il Mountain Man lo aveva preso come ostaggio. Quella ragazza gli
piaceva e la rispettava.
Ben diversi erano i
sentimenti di
Octavia. Lei era ancora arrabbiata con Clarke, ma ora per un motivo
diverso. Infine l'aveva perdonata per la strage di TonDc. Dopo la
rabbia iniziale, l'aveva perdonata. Sapeva che stava cercando di fare
la cosa giusta, e anche se forse una cosa giusta fino in fondo
non esisteva, non poteva incolparla per tutto quello che era successo.
Ma ora se n'era andata, l'aveva privata della possibilità di
scusarsi e aveva lasciato il fratello da solo a convivere con il peso
di decisioni terribili. Perchè la verità era che,
pur
circondato da persone che gli volevano bene, Bellamy era solo.
Se Bellamy avesse
saputo che Monty
provava il suo stesso senso di colpa per quel che era successo nel
Monte... se avesse saputo che una piccolissima parte di Jasper aveva
cominciato a perdonarlo dopo aver incontrato Clarke... se avesse saputo
che non era l'unico a sentirsi abbandonato perchè Raven
provava gli
stessi sentimenti... sarebbe cambiato qualcosa?
"Non proprio", rispose
alla sorella, guardandola negli occhi.
"Perchè?"
Octavia fece un
sospiro. "Bellamy, Raven ha ragione. Abby e Kane hanno bisogno di te,
perchè tutti i ragazzi ti considerano il loro eroe, ed
è
la verità. E' questo che sei. E anche gli adulti ti
rispettano,
perchè sanno quello che hai fatto per infiltrarti nel Monte
e
salvare i nostri compagni. Non vedi come ti guardano? Come ti parlano?
Ti rispettano. E ti ammirano, anche. Tu ispiri le persone, Bellamy.
Quando vogliono fare la cosa giusta, guardano te. Devi concederglielo.
Non ti piacerebbe poter fare lo stesso? Non ti piacerebbe avere
qualcuno da cui essere ispirato?"
Il giovane Blake
strinse i pugni, poi chiuse gli occhi e lentamente uscì
dalla stanza, senza dire una sola parola.
Octavia si
voltò a guardare
Lincoln. "Cos'ho detto?" Da qualche tempo lei e il fratello non erano
più in sintonia come una volta, e questo la preoccupava.
"Lui ispira le altre
persone, è vero. Ma ad ispirare Bellamy era Clarke, e adesso
lei non c'è più."
Nota dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 8 giorni dalla
sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo
precedente. Ho voluto dedicare un po' di spazio a quello che i suoi
compagni pensano dell'assenza di Clarke. Spero vi sia piaciuto :)
Ci aggiorniamo tra un paio di giorni,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Buona fortuna ***
postS2_4
"Buona
fortuna" - Indra
Polis era una grande città. Oh, eccome se era grande.
Enorme.
Immensa. Le strade erano così larghe che si poteva andare a
cavallo, e la maggior parte delle case aveva più di tre
stanze.
Indra ci era stata varie volte nel corso della sua vita e vi tornava
sempre con piacere, ma stavolta non avrebbe seguito il Comandante e i
pochi sopravvissuti di TonDc che sarebbero andati alla Capitale. Questa
volta, aveva chiesto il permesso di restare con un
piccolo gruppo di Grounders proprio a TonDc, per ricostruire il
villaggio. Lexa
glielo
aveva concesso.
Sapeva che gli Sky People avevano vinto. Sapeva che gli uomini della
montagna erano stati sterminati. Sapeva che Clarke li aveva seppelliti
uno ad uno, perchè in un giro di ricognizione l'aveva vista
e
aveva avvertito la sua pena in quei gesti quasi disperati. Sapeva che
nessuno li avrebbe più minacciati con
mezzi che andavano oltre la loro comprensione e le loro
possibilità. Sapeva il perchè. Sapeva che Lincoln
e
Octavia erano al campo degli Sky People, ma non
aveva intenzione di andare di nuovo a cercarli. Aveva parlato a lungo
con Lincoln, in segreto, pochi giorni dopo la sconfitta del Monte, ed
era arrivata a credere che, in fin dei conti, il ragazzo quella sera
aveva scelto bene.
La prima cosa che avevano ricostruito a TonDc era la prigione. C'erano
voluti pochi giorni.
Era già piena.
Indra sbirciò dietro le sbarre fatte da tronchi spessi.
Emerson era in piedi, legato, sanguinante, ma ferito solo in maniera
lieve. Aveva l'aria scontrosa.
Clarke era seduta in un angolo, appoggiata alla parete di legno con gli
occhi chiusi, ma non dormiva. Non era legata e appariva piuttosto
tranquilla.
Indra li aveva trovati quella mattina. Per la verità, aveva
trovato
Emerson, e aveva cominciato a seguirlo. Avrebbe dovuto ucciderlo
subito, ma non lo aveva fatto. Si era forse rammollita? Era colpa di
Lincoln? Chi poteva dirlo... il punto è che lo aveva
semplicemente seguito. Poi lui,
dopo qualche ora, si
era scontrato con Clarke. Stava quasi per ucciderla sparandole alle
spalle, come un codardo, quando Indra era
intervenuta, mettendoli al tappeto entrambi.
A volte il mondo era proprio piccolo.
"Clarke." La chiamò bruscamente, aprendo la porta della
cella.
La ragazza aprì subito gli occhi e si mise in piedi.
"Seguimi",
le disse Indra, e si avviò verso la casupola del capo
villaggio,
lasciando il compito al suo nuovo secondo, Kara, di richiudere la
porta. Era l'unica persona a TonDc a sapere che uno dei due prigionieri
non apparteneva agli Sky People.
Quando furono dentro, Indra si sedette al suo posto d'onore. "Dove
stavi
andando?", domandò. Il tono sembrava accusatorio.
"Non lo so", rispose la ragazza, con sincerità. "Lontano."
"Stai scappando?"
Passò un momento di silenzio. "Più o meno."
Le due donne si guardarono negli occhi. Indra sapeva, e disapprovava.
Ma non erano affari suoi, non più.
"Non puoi scappare dai tuoi demoni. Ma ti lascerò andare."
"Porterò con me Emerson."
Indra avrebbe dovuto dirle che no, Emerson non sarebbe andato da
nessuna parte. Sarebbe rimasto lì e sarebbe stato ucciso per
tutto quello che aveva fatto, ma non voleva ingaggiare una lotta
(seppur non fisica) con la ragazza. Indra sapeva cosa aveva fatto per
salvare la sua gente, ammirava il modo in
cui si era comportata, e capiva quale peso stava sopportando. Decise
così di concederle la vita dell'uomo.
"Buona fortuna."
"Perchè?", domandò Emerson.
"Perchè non hai un posto dove andare, e neppure io.
Perchè è inutile ammazzarci a vicenda. Adesso
abbiamo la
possibilità di ricominciare da capo, ma da soli non andremmo
molto lontano."
La verità era che aveva paura che Indra lo uccidesse. Era
forse
uno dei pochi che meritava davvero una punizione per ciò che
aveva fatto, ma la ragazza aveva ucciso e seppellito così
tante
persone nell'ultimo mese, che non voleva altri spargimenti di sangue
inutili. Se aveva la possilità di salvare Emerson, doveva
provarci.
Lui era ancora legato in cella, lei era sulla porta con le braccia
incrociate e lo fissava con decisione. Alle sue spalle, Indra e Kara.
"E dove avresti intenzione di andare?" Stava cominciando a cedere. Era
fuggito perchè sapeva che se gli Sky People lo avessero
trovato
lo avrebbero
ucciso, ma non aveva un posto dove andare. Non era mai stato fuori da
quel Monte per più di poche ore. Non poteva di certo unirsi
ai
Grounders. Era già abbastanza sconvolto dal fatto che Indra
lo
avesse risparmiato, e a giudicare dagli sguardi che gli rivolgeva, la
donna sembrava pentirsi ogni secondo di più di quell'atto di
carità.
"Alcuni, tra la mia gente, sono partiti alla ricerca di un posto
chiamato
Città della Luce, una specie di..." faticava anche solo a
dirlo
"...terra promessa, in cui cominciare una nuova vita." Non
sapeva se
Jaha era matto o se davvero alla fine era riuscito a trovare un posto
idilliaco in cui vivere, ma ormai non aveva niente da perdere.
Silenzio.
"Allora?"
Emerson la guardò con disprezzo, ma era solo una facciata.
Lui, in cuor suo, la ammirava. Quando l'aveva vista le aveva puntato la
pistola alla schiena, ma non aveva intenzione di spararle. Non sapeva
cosa avrebbe fatto, e non lo avrebbe mai saputo, perchè poi
era arrivata Indra. E ora? Quale scelta aveva? Seguirla o morire.
Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 20 giorni dalla
sconfitta del Monte. Scusate il ritardo, ma ero convinta di aver
già aggiornato O.o ...spero che questo capitolo vi sia
piaciuto :D
Al prossimo!
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Una volta hai disegnato Maya ***
postS2_6
"Una volta hai disegnato Maya"
- Emerson
Non faceva più molto freddo, ed era strano in quel periodo
dell'anno. Probabilmente si stavano avvicinando a qualche regione
desertica, o qualcosa di simile. In quei momenti Clarke si pentiva di
aver passato più tempo in sala operatoria che a studiare le
caratteristiche della Terra, quando era sull'Arca. Poi le tornavano in
mente le vite che aveva salvato grazie alle sue capacità, e
abbozzava tra sè un sorriso.
Lei ed Emerson erano in viaggio da qualche giorno. Non parlavano molto,
e lui aveva perso l'atteggiamento ostile già da un bel
pezzo.
Non facevano altro che camminare. Durante la giornata, si fermavano
pochissime volte, mangiando frutti che trovavano lungo la strada. Solo
la sera si concedevano un fuoco per cuocere del pesce o qualche
bestiolina uccisa con delle lance rudimentali, un regalo di Kara. E per
tenere alla larga animali feroci.
Quella sera si erano fermati vicino ad un ruscello. Avevano acceso il
fuoco, pescato, cucinato, e mangiato. Non potevano definirsi sazi, ma
almeno lo stomaco non brontolava.
Clarke era seduta vicino al fuoco, con una grande foglia verde e ruvida
di fronte a sè. Nella mano sinistra aveva un pezzetto di
legno
con un'estremità carbonizzata. Disegnava.
Emerson se ne stava seduto lontano, la schiena appoggiata al tronco di
un albero, e la osservava. Non era la prima volta che la vedeva
disegnare, perchè la ragazza lo faceva tutte le sere.
Passava
ore a disegnare. Lui spiava i risultati ogni volta che poteva, senza
farsi notare, ma non riconosceva quasi mai i soggetti. Lei era brava,
ma gli strumenti a sua disposizione non erano granchè, e poi
Emerson non poteva osservarli mai bene e a lungo. Spesso disegnava
persone, e solo una volta l'uomo ne aveva riconosciuta una. Si trattava
di Maya, che conosceva da sempre e che per questo non aveva
faticato a rivedere nei lineamenti tracciati grossolanamente con il
carboncino improvvisato.
Maya... la figlia di suo fratello... sua nipote. Anche se la ragazza
non lo sapeva. Emerson e suo fratello avevano troncato ogni rapporto
prima ancora che lei nascesse. La base del loro litigio, ovviamente,
erano stati i trattamenti con il sangue dei Grounders.
Quella sera, chissà perchè, aveva voglia di
guardare
meglio quei ritratti. Si alzò il più
silenziosamente
possibile, e raggiunse Clarke, fermandosi alle sue spalle e piegandosi
leggermente verso di lei. Osservò a lungo il profilo
maschile
con gli occhi chiusi e i capelli in disordine che la ragazza stava
ultimando.
"E' l'infiltrato", commentò con tranquillità.
A Clarke per poco non venne un infarto. Si voltò di scatto e
portò d'istinto una mano alla pistola, guardando in su, ma
non
fece neppure in tempo ad alzarsi che Emerson stava ridendo per averla
spaventata.
In quel momento, la ragazza odiò se stessa. Come aveva
potuto
non accorgersi che le era arrivato alle spalle? Avrebbe potuto
ucciderla! Non poteva permettersi di perdere la concentrazione su quel
che le succedeva attorno. Era così tutte le sere, senza che
lei
se ne rendesse conto? Quante volte aveva rischiato che Emerson
la
cogliesse di sorpresa sparandole in testa?
"Non azzardarti mai più", sibilò rabbiosa,
trascinando la
foglia sotto la propria gamba per nasconderla alla vista.
"E' l'infiltrato", ripetè l'uomo. "Giusto?". Quando non
ottenne
risposta, continuò. "Una volta hai disegnato Maya."
"Con quale coraggio pronunci il suo nome?" La ragazza si
alzò e
gettò la foglia con il suo ultimo disegno tra le fiamme.
Poi,
con uno sguardo sprezzante a Emerson, fece il giro attorno al fuoco e
si sedette dall'altra parte, osservando il ruscello.
Emerson emise una piccola risata amara. "Ti ricordo
che non sono stato io ad averla uccisa.
Sei stata tu. Con l'aiuto dell'infiltrato, no?", fece un cenno con la
testa per indicare le fiamme tra le quali bruciava la foglia, e poi se
ne
tornò incurante al suo posto vicino all'albero.
Clarke chiuse gli occhi, e cercò di reprimere la voglia che
aveva di picchiarlo. Soprattutto, cercò di respingere le
lacrime.
Sì, era vero, una volta (anzi, due) aveva disegnato Maya. E
aveva disegnato Jasper, Monty, Raven, sua madre. Un paio di volte aveva
disegnato Finn, e la sera prima aveva disegnato suo padre. Ma il
soggetto che più di tutti aveva preso vita dalle sue mani e
dal
carbone, da quando aveva lasciato il campo, era Bellamy. Aveva disgnato
la mano di Bellamy sulla propria, mentre portavano a compimento il
massacro... il gesto che più di tutti la tormentava. Aveva
disegnato le mani di Bellamy che stringevano il fucile,
con cui tante volte l'aveva protetta. Aveva disegnato infinite volte i
suoi occhi, che la guardavano sempre con la stessa intensità
ma
in maniera diversa: a volte divertita, a volte arrabbiata... a
volte con profondo affetto. E aveva disegnato il suo profilo, che le
era
diventato familiare come il proprio.
Nessuno le mancava come Bellamy. Eppure era l'ultima persona che
avrebbe voluto rivedere.
Lo aveva mandato in una missione pericolosissima. Aveva lasciato che la
sorella rischiasse di morire. Aveva perso l'esercito che gli aveva
garantito. Aveva infranto la promessa di non uccidere gli innocenti.
Aveva ceduto alla propria debolezza, e gli aveva permesso di dividere
con lei la colpa di un
massacro la cui responsabilità era soltanto sua.
Vivere con Jasper sarebbe stato tremendamente difficile, ma vivere con
Bellamy sarebbe stato impossibile.
Dopo parecchio tempo, Emerson prese di nuovo la parola.
"Cage non vi ha lasciato scelta", disse con gravità,
fissando un filo d'erba che si stava rigirando tra le dita.
Clarke, sorpresa, si voltò a guardarlo, ma lui aveva ancora
gli occhi bassi.
Nessuno dei
due parlò per vari minuti, poi l'uomo proseguì. "Era
impazzito. Desiderava una vita migliore per la sua gente, ma ha perso
il controllo. Considerava la tua gente semplicemente come un mezzo per
raggiungere il suo scopo, ma alla fine... alla fine ha cominciato a
considerare anche noi semplicemente come un mezzo. Ha dimenticato che
lo scopo era avere una vita migliore e non quello di ottenere il
midollo con la
forza."
Visto che Clarke non parlava, alzò finalmente gli occhi su
di lei. Lo stava semplicemente fissando.
Continuò. "Non mi crederai...", fece un sorriso ironico
"...ma
quando cercavo di entrare nella sala comandi per fermarvi, volevo farlo
per salvare la mia gente, non per condannare la vostra. Io non sono
come Cage. Avrei sacrificato le vostre vite, ma non quelle della mia
gente."
Quando aveva trovato il corpo senza vita di suo fratello, ucciso da
guardie come lui per ordine di Cage, si era reso conto che la
situazione stava sfuggendo di mano a tutti. Ma cosa poteva fare, a quel
punto?
Clarke, che fino a quel momento era rimasta immobile come una statua di
cera, si mosse un po', stringendosi le ginocchia con le braccia, a
disagio.
Emerson rise lievemente, ma senza allegria. "Esatto, ragazzina. Tu e io
non siamo poi così diversi. In questo momento ti senti un
mostro, ma dimmi... come ti saresti sentita se avessi lasciato soffrire
e morire il tuo popolo e le persone che ami, in favore di pochi
innocenti guidati da un pazzo? Non esisteva una cosa giusta da fare.
Esisteva una cosa giusta per voi,
e una cosa giusta per noi.
La mia gente pesa sulla coscienza di Cage, e sulla mia. Non sulla tua."
Emerson distolse lo sguardo e ricominciò a giocherellare col
filo d'erba.
"Perchè mi stai dicendo queste cose?", domandò
Clarke, quasi sussurrando.
"Perchè anche io ho delle colpe da espiare."
Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 26 giorni dalla
sconfitta del Monte. Spero vi sia piaciuto il piccolo momento Bellarke,
ma soprattutto il rapporto che sta nascendo tra Clarke ed Emerson. E'
una delle cose che vorrei vedere maggiormente nella nuova stagione!
Passate delle buone vacanze di Pasqua, e grazie a tutti quelli che
seguono questa mia storia <3
A tra pochi giorni!
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Non siamo soli ***
postS2_5
"Non
siamo soli" - Clarke
Clarke rimase senza parole di fronte a quella visione. Dopo aver
superato miracolosamente indenni un deserto e un campo minato, si
aspettava ben
altro.
"Pannelli solari...", disse Emerson, facendo un altro passo sulla
sabbia.
Oltre ogni previsione, avevano preso la strada giusta. Kara li aveva
aiutati e aveva raccontato loro tutto ciò che sapeva sul
mito
della Città della Luce. Non sembrava molto convinta
dell'esistenza di un posto del genere, ma la divertiva l'idea di
aiutare quei due pazzi nel loro viaggio senza speranza. Per fortuna.
"Dubito sia questa, la famosa Città..." La ragazza chiuse
gli
occhi e cercò di non lasciarsi prendere dallo sconforto.
Erano
giorni che vagavano nel deserto ed erano stanchi, affamati, assetati, e
facilmente irritabili.
"Diamo un'occhiata." Emerson fece un piccolo balzo e
cominciò a
ridiscendere la duna. La ragazza lo seguì e non tolse mai lo
sguardo dall'orizzonte, dove si intravedeva una riva e poi una vasta
distesa d'acqua. Non ne aveva mai vista così tanta. Era
forse il
mare?
Quando arrivarono ai pannelli, cominciarono a studiarli, ma nessuno dei
due era un esperto in materia e non avrebbero neppure saputo dire se
erano in funzione oppure no.
"Bè, e adesso?", fece Emerson, dando un calcio ad una
pietra. Il
suo vizio di dare calci alle cose li aveva salvati nel campo minato.
"Non ne ho idea," rispose Clarke, seguendo con gli occhi la traiettoria
del sasso.
Da quando avevano avuto quel discorso quella sera vicino al fuoco, le
cose erano migliorate. Parlavano di più e con
tranquillità, perchè non vedevano più
nell'altro
una minaccia, ma soprattutto avevano cominciato a perdonare se stessi.
Forse era impossibile farlo completamente, ma avevano accettato l'idea
che fosse possibile convivere con le loro colpe, e questo era
già un passo avanti. Ne avevano parlato anche altre volte.
"Emerson...", mormorò la ragazza afferrandogli una manica e
indicandogli la direzione in cui aveva mandato la pietra. "Non siamo
soli. C'è qualcuno laggiù." Quel brutto vizio si
dimostrò ancora una volta provvidenziale.
Quel qualcuno era un ammasso di vestiti sporchi contenenti senza ombra
di dubbio una persona, distesa a terra, immobile, vicino la riva.
Corsero entrambi in quella direzione, e la raggiunsero. L'uomo mise
mano alla pistola, Clarke alla borraccia contenente quel poco di acqua
che restava loro.
Si trattava di una ragazza, chiaramente una Grounder, con i capelli e
gran parte del viso coperti, ma aveva dei tatuaggi. Era svenuta.
"La conosci?", chiese Emerson.
"No, non fa parte di un clan del Popolo degli Alberi", rispose Clarke,
mentre notava che la sfortunata non era svenuta
per il caldo, ma per una botta in testa. C'era anche del sangue
incrostato. Doveva trovarsi lì da parecchio.
"Stiamo perdendo tempo", disse lui.
"Taci", replicò lei.
"Scherzavo", fece notare l'altro, alzando gli occhi al cielo e
cominciando a guardarsi intorno. Perdendo tempo per cosa, in fondo?
Erano arrivati alla fine del viaggio. Non avevano trovato la
Città. Era finita.
Clarke sbuffò.
Non fu difficile far rinvenire la sconosciuta.
"Ciao. Non spaventarti." Clarke le sorrise, anche se l'altra aveva
cominciato a guardarla minacciosamente nell'istante in cui aveva
riaperto gli occhi. Non che si aspettasse una reazione diversa, da una
Grouder. "Io sono Clarke, e lui è Emerson. Sei svenuta.
Ricordi
cos'è successo? C'era qualcuno con te?"
"Dov'è mio fratello?", esclamò l'altra,
guardandosi
intorno. Ma non c'era traccia del fratello, o del cavallo, o del
carretto. Non c'era nulla.
Tranne quella barca in lontananza che si avvicinava sempre di
più, ma nessuno la notò.
"Non abbiamo visto nessuno. Come ti chiami?"
"Emori."
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 31 giorni dalla sconfitta
del Monte. Un capitolo un po' corto, ma si ricollega al prossimo, che
pubblicherò tra un paio di giorni :)
Abbiate fiducia, la Bellarke Reunion non è lontana :P ma mi
piace fare le cose per bene u.u in più è tornata
una nostra vecchia conoscenza! ;)
Alla prossima!
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Prevedo guai ***
postS2_6
"Prevedo guai" - Emerson
"Non posso crederci." Murphy
scoppiò a ridere, smettendo per un attimo di remare.
Era stanchissimo, a pezzi. Aveva remato come una furia per due giorni
interi, senza mangiare, senza dormire. Era stato peggio in vita sua,
fisicamente parlando,
con tutto quel che gli era successo dopo essere stato mandato sulla
Terra, ma stavolta era stremato nel corpo e nello spirito.
Su quell'isola aveva ritrovato Jaha, aveva conosciuto A.l.i.e..
Il ragazzo aveva vissuto in quella grande villa come un re, e Jaha con
lui. Dall'inizio sapeva che c'erano altre persone in giro da qualche
parte,
perchè trovava indizi della loro presenza affacciandosi alla
finestra, ma l'ex Cancelliere e l'ologramma non gli permettevano di
uscire.
Era prigioniero, non sapeva cosa stava succedendo, e dubitava che lo
shock della scoperta dell'ologramma sarebbe stato minimamente
paragonabile allo schock dello scoprire quali erano i veri piani di
quei
due. Perchè dall'inizio aveva capito che c'erano altri
piani.
Jaha e A.l.i.e. si isolavano tutti i giorni e non parlavano mai con lui
di quel che tramavano.
E infatti, quando infine aveva scoperto la verità (o meglio,
una
parte di verità) non aveva creduto ai suoi occhi e alle sue
orecchie.
Era stato facile fingere di accettare la situazione. L'ologramma non
poteva leggergli nella mente, Jaha aveva completamente perso la testa,
e lui era bravo a mentire. Non sarebbe sopravvissuto tanto a lungo
sull'Arca, altrimenti. Anzi, neppure sulla Terra.
Dopo tanti giorni di lotta, e dopo tanti giorni di finta accettazione,
era riuscito a scappare da una finestra, proprio sotto il naso di Jaha,
che si era fidato troppo di lui. A.l.i.e. gliel'avrebbe fatta pagare.
Aveva trovato la grata di una prigione sotterranea, piena di Grounders,
tra cui il fratello di Emori. Lì c'erano i Grounders che,
dopo
aver raggiunto l'isola e aver appreso i piani dell'Intelligenza
Artificiale, avevano rifiutato di assecondarla. Molti altri, invece,
vivevano liberi sull'isola, aiutandola.
Era stata A.l.i.e. che aveva dato il via al disastro nucleare di 97
anni prima. Era stata lei che aveva provato a distruggere
l'umanità, ma qualcosa era andato storto. Chi non meritava
di
sopravvivere, era invece sopravvissuto. La Terra pullulava di
Grounders, gli Sky People erano fuggiti nello spazio, e poi erano
tornati. Quel mostro progettava di far piazza pulita di nuovo,
progettava di distruggere ogni essere vivente che non si trovasse
sull'isola... e Jaha la stava aiutando.
Ma in fondo, Murphy doveva ringraziarlo. Senza la stupidità
di
quell'uomo, non sarebbe riuscito a fuggire dall'isola. Anche se aveva
il sospetto che A.l.i.e. l'avesse lasciato andare. Aveva il controllo
su tutto, ed era possibile che avesse avuto il controllo anche sulla
sua fuga.
E adesso era impossibile non riconoscere la testa bionda di Clarke
sulla riva.
Incredibile.
"Murphy!", strillò Clarke.
"John!", chiamò Emori, contemporaneamente.
Entrambe le ragazze corsero verso la barca, entrando in acqua.
"Ehi!" Emerson le seguì, afferrando la bionda per la giacca
e
tirandola indietro, spruzzando acqua ovunque. "Esci da qui." Aveva
l'impressione che i mostri
acquatici che vivevano nei laghi e nei fiumi intorno al Mount Weather,
lì fossero anche più grossi. "Lo conosci?"
"E' arrivato con me", rispose Clarke, ma non si spiegava come Emori lo
conoscesse. Anche l'altra si era fermata, e stava aspettando che la
barca li raggiungesse.
"Prevedo guai...", borbottò Emerson. Clarke non poteva che
dirsi d'accordo.
Il ragazzo aveva appena finito il suo racconto, dopo aver divorato quel
poco che restava delle scorte dei due viaggiatori.
Emerson non disse nulla, ma conosceva abbastanza la sua compagna
d'avventura per sapere che le cose, per lui, stavano per complicarsi.
Aveva quasi voglia di prendere la barca, raggiungere l'Intelligenza
Artificiale, e offrirsi di darle una mano. Avrebbe potuto. In fondo,
perchè no?
Il suo sguardo si posò su Clarke. Sospirò.
"Dobbiamo andare là. Dobbiamo salvare mio fratello." Emori
accarezzò con la mano buona il coltello che portava alla
cinta.
Aveva uno sguardo determinato.
"Dobbiamo tornare al campo, invece", sussurrò Clarke,
più
a se stessa che agli altri. Incrociò lo sguardo di Murphy.
"Dobbiamo fermarli." Lui annuì. "Non possiamo farlo da
soli."
Lui annuì di nuovo. Clarke chiuse gli occhi. "Dobbiamo
tornare
al campo", ripetè.
Nota
dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 31 giorni dalla
sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo
precedente.
La spiegazione di quel che è successo a Murphy sull'isola
è un po' frettolosa, ma non è su questo che
voglio
concentrarmi. E' prevalentemente una storia sui rapporti tra i vari
personaggi (tutti, non solo Clarke e Bellamy), quindi scusatemi se in
alcune cose sono un po' superficiale.
Ci risentiamo tra un paio di giorni!
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Ti odio ***
postS2_9
"Ti odio" - Raven
Era
stato difficile convincere Emerson a tornare con loro verso il Camp
Jaha, del quale la bionda non conosceva ancora il nuovo nome. Avevano
discusso a lungo. C'era voluto molto affinchè si fidasse del
fatto che
Clarke avrebbe impedito che gli venisse fatto del male.
Ancor più difficile era stato persuadere Emori a seguirli e
a
lasciar perdere la malsana idea di raggiungere l'isola da sola alla
ricerca di suo fratello. Era stato Murphy a convincerla. Quei due
sembravano proprio... amici.
Dopo più di dieci giorni di viaggio, contro ogni
pessimistica
previsione iniziale, Clarke era finalmente tornata a casa, e i suoi
compagni erano tutti vivi e in buona salute.
Vide il cancello da lontano, quando si trovavano ancora tra gli alberi.
Avvicinandosi riuscì a leggere il nuovo cartello
improvvisato:
"The New Ark", e sorrise tra sè. Era contenta che fossero
rimasti lì e che non si fossero trasferiti al Mount Weather.
Avanzavano in silenzio, in fila indiana. Clarke, con il cuore a mille e
le gambe che tremavano, Murphy quasi accanto a lei, dietro di lui
Emori, e infine Emerson, che si preparava a morire. Meglio
così
che vivere da eremita il resto dei suoi giorni. Si era preparato a
questo durante la sua fuga dal Monte, prima di incontrare Clarke, era
stato pronto a vivere da solo il resto dei suoi giorni, ma adesso aveva
cambiato idea.
Finalmente, dall'interno, qualcuno li vide.
Kane e Bellamy erano nella Base, seduti ad un tavolo in acciaio, chini
su decine di mappe.
Gli Sky People stavano esplorando pian piano tutti i dintorni,
mantenendo alleanze con i Grounders, grazie a Lincoln, Octavia e Indra.
Non era stato facile. Lexa ed altri volevano cacciarli dai loro
territori, ma la notizia di come il Mount Weather avesse smesso di
creare problemi aveva colpito molti Grounders, alla Capitale. Clarke
era diventata una leggenda. Così la
Comandante era stata persuasa a mantenere una tregua, almeno per
qualche tempo.
Ora i due Cancellieri dovevano decidere la prossima zona in cui
avventurarsi.
Bellamy si trovava bene in queste sue nuove vesti. Per la
verità, la sua vita era poco diversa da quella di Miller, o
di
Monty, o di tutti gli altri. Non aveva ancora scelto i suoi due
Consiglieri, perchè aveva deciso che li avrebbe scelti sul
momento, quando ce ne fosse stato bisogno. La vita al campo procedeva
tranquilla.
"Senti anche tu?", domandò il ragazzo, alzando gli occhi
dalle
mappe e guardandosi intorno. Inutilmente, perchè quella era
l'unica stanza della Base dove non c'erano finestre. Si riferiva al
trambusto che pareva provenisse dall'esterno.
Lui e Marcus andavano molto d'accordo, cosa che solo tre mesi prima
sarebbe parsa impensabile. Avevano imparato a rispettarsi.
"Vado a controllare", disse Kane, alzandosi rumorosamente e lasciandolo
solo.
"Clarke!"
"Mamma..."
La ragazza si lasciò abbracciare, ma il momento di gioia non
durò a lungo. Si liberò dalla stretta. Tutti
avevano puntato le armi sui tre alle sue
spalle, e lei allargò le braccia, urlando: "Non sparate!
Sono
con me! Non sono una minaccia!", frapponendosi tra gli Sky People e i
suoi compagni.
Cominciò a radunarsi parecchia gente, e i mormorii sul
ritorno di Clarke si diffusero rapidamente per tutto il campo.
Murphy si era spostato davanti alla Grounder con fare protettivo,
mentre Emerson aveva alzato le mani aperte in segno di resa, per
mostrarsi disarmato, anche se aveva una pistola nascosta sotto la
giacca. Tutti abbassarono le armi, tranne una persona.
Abby stava piangendo, in ginocchio, fissando la figlia.
Raven, che indossava di nuovo il tutore, corse goffamente verso Clarke,
abbracciandola forte.
"Ti odio", le borbottò in un orecchio, mentre la stringeva.
"Mi dispiace", disse Clarke, con sincerità.
Quando fu libera dall'abbraccio del meccanico, fu letteralmente
investita da Monty, cosa che le strappò un risata
perchè
per poco entrambi non caddero disastrosamente per terra.
Salutò velocemente tutti quelli che conosceva bene (tranne
Lincoln e Octavia, che non c'erano), poi posò lo sguardo su
Jasper, l'unico che ancora teneva alto il fucile, ben puntato su
Emerson. E Bellamy?
Lui dov'era?
"Abbiamo un problema. Un grosso problema", disse Clarke, rivolgendosi a
tutti, e soprattutto alla madre.
Nel frattempo, Abby si era ricomposta. "Dov'è Thelonius?",
domandò preoccupata rivolta a Murphy, alzandosi.
Il ragazzo sorrise con una punta di sarcasmo. "Oh, lui è
parte del grosso problema."
"Allora dovreste tutti e quattro raccontarci cos'è successo
e di
quale problema si tratta. Qui, davanti a tutti, prima di entrare." La
voce giunse da dietro la piccola folla radunata, che si
spostò
lasciando spazio a Kane. "Jasper, abbassa l'arma." E il ragazzo
ubbidì malvolentieri.
"Clarke", intervenne Raven, e poi parlò velocemente. "Manca
qualcuno. Va' a chiamare Bellamy. Nella Base, la stanza senza finestre."
Kane stava per dire qualcosa, probabilmente che sì, sarebbe
stata una buona idea, e stava anche per voltarsi, per andare lui stesso
a chiamare l'ultimo Cancelliere, ma non fece in tempo a dire o fare
nulla di tutto questo, perchè Clarke Griffin gli era
già
sfrecciata davanti e stava entrando nella Base.
Raven sorrise.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 42 giorni
dalla sconfitta del Monte. Sto cercando di calcolare il tempo come nel
telefilm, ma mi rendo conto che è difficile se non
impossibile.
Siate buoni e prendete per giusti i miei numeri :P ci rivediamo tra due
giorni per la famosa Reunion. Che ansia!
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Non prendo ordini da te ***
postS2_10
"Non prendo ordini da te" - Clarke
Con la mano sulla maniglia,
Clarke si fermò.
Rivedere sua madre e i suoi compagni le aveva riempito il cuore, e le
aveva fatto bene. Non aveva dimenticato cosa aveva fatto per riportarli
al sicuro, ma in quell'istante aveva ricordato anche perchè
lo aveva fatto.
Con Bellamy, però, era diverso. Sperava che lui fosse felice
di
rivederla, ma allo stesso tempo sentiva di non meritare una bella
accoglienza.
Avevano imparato a fidarsi l'uno dell'altra, ciecamente. Lui non
l'aveva mai delusa e lei, invece, aveva fallito.
L'istante in cui il ragazzo aveva posato la propria mano su quella di
Clarke, e insieme avevano tirato la leva, qualcosa si era spezzato
dentro di lei.
Voleva accettare il perdono di Bellamy, non desiderava altro, ma per
poterlo
fare doveva prima perdonare se stessa, e ancora non era riuscita a
farlo completamente.
Prese fiato, con il cuore che batteva forte, terrorizzata ed emozionata
al tempo stesso.
Ora o mai più,
pensò.
Il ragazzo sentì la porta aprirsi.
"Allora? Cosa succed-"
...
Rimase qualche istante a fissarla.
Alzando gli occhi dalla mappa, si
era aspettato di vedere Kane.
E invece, proprio lì davanti a
lui, dall'altro lato della stanza, dopo più di un mese,
Clarke
gli sorrideva lievemente.
Sulle prime, non si rese conto di quel che stava accadendo. Senza
distogliere gli occhi dalla ragazza neppure per un istante,
Bellamy
si alzò, senza fretta, dimenticandosi di tutto
ciò che lo
circondava. Era davvero tornata? Cominciò a
camminare verso di
lei, sempre più veloce, finchè non fu a qualche
passo di
distanza. Si fermò, con gli occhi fissi in quelli azzurri di
Clarke.
Desiderava abbracciarla, ma non osava. Non era neppure sicuro che fosse
veramente lì. Magari era solo stanco e cominciava ad
immaginarsi
le cose.
Clarke prese di nuovo fiato. "Sono tornata", disse.
Ma nel momento stesso in cui aveva aperto bocca per parlare, le braccia
di Bellamy l'avevano circondata. La stringeva forte, come se dovesse
tenerla insieme per non far cadere i pezzi, e in quell'istante
la ragazza sentì un senso di protezione che le sciolse dalla
testa ai piedi tutto il nervosismo accumulato da quando era
arrivata sulla Terra. Si sentiva proprio così in
quell'istante,
come se fosse a pezzi e solo Bellamy potesse evitare di farla crollare.
Con una mano tra i capelli, Bellamy le premeva il viso contro la sua
spalla, e lei poteva sentire la guancia di lui, ruvida per un accenno
di barba, contro la propria.
Gli strinse i fianchi in un abbraccio, ma non riuscì a
fermare alcune lacrime silenziose.
Era tornata davvero.
"Non andrai più da nessuna parte", disse Bellamy, con le
labbra affondate nei capelli biondi di Clarke.
Un piccola risata. "Davvero?"
"Davvero."
Un'altra piccola risata. "Siccome non prendo ordini da te,
avrò bisogno di una buona ragione."
"Non posso perderti di nuovo, okay?", disse Bellamy con voce rotta,
stringendola con più forza, senza mostrare alcun segno di
divertimento o di leggerezza.
Lei non rispose. C'era così tanta sofferenza in quelle poche
parole. La ragazza riusciva a percepirla, e in quel momento
capì
di aver sbagliato tutto. La consapevolezza del dolore che aveva
procurato a quel ragazzo la colpì come uno schiaffo. Prima
di
quel momento, non aveva mai pensato, neppure per un istante, che
Bellamy avesse bisogno di lei. Per Clarke, Bellamy Blake era un leader
nato, per cui le persone erano disposte a morire. Era un combattente,
era un eroe,
era invincibile.
Prima di percepire quell'intensa
sfumatura di dolore nella sua voce, lì, in quell'istante, in
quell'abbraccio, non aveva mai pensato che lui
potesse soffrire
per la sua assenza.
Bellamy sciolse l'abbraccio, e le prese il viso tra le
mani. Non
le asciugò le lacrime, ma la guardò di nuovo
negli occhi,
e quel che vide non gli piacque.
C'era gioia in quello sguardo e in quelle lacrime, ma non solo. C'era
anche dolore. Troppo.
"Non sono tornata da sola. C'è anche Murphy. E una Grounder.
E... un'altra persona. Abbiamo un problema. E questo è anche
peggio del..."
Bellamy la interruppe. "E' per questo che sei tornata?" Le
lasciò andare il viso, quasi come se si fosse scottato, e
fece
un passo indietro. "Non sei tornata perchè volevi. Sei
tornata
perchè dovevi.
Vero?"
Per Bellamy, il silenzio della ragazza confermò
più di
quanto potessero fare le parole. Clarke voleva dirgli che aveva
sbagliato, che se avesse capito prima cosa provava lui, sarebbe tornata
molto prima. Anzi, probabilmente non sarebbe mai partita. Ma quella
consapevolezza
era stata così improvvisa, così nuova, che non
trovò le parole o la forza di pronunciarle.
"Bene, allora andiamo a risolvere anche questo problema",
commentò dopo qualche istante Bellamy con voce dura,
stringendo
i pugni, imponendo a se stesso di non fare o dire niente di cui avrebbe
potuto pentirsi. Clarke era lì. Non era questa la cosa
più importante?
No. Non
riusciva ad essere
felice del semplice fatto che fosse lì. Sapere di dover
ringraziare qualche guaio per la presenza della ragazza lo aveva
colpito come un pugno in faccia.
Senza guardarla le girò intorno, uscendo dalla stanza.
Asciugandosi le lacrime, Clarke lo seguì.
Nota
dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 42 giorni
dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo
precedente. Oookay, questa è una falsa Bellarke Reunion,
perchè non è proprio tutta zucchero e arcobaleni
u.u
Muahahaha :P vi giuro che per quella vera un po' più
romantica
non dovrete aspettare molto
u.u -> SPOILER -> solo un paio di capitoli u.u
Al prossimo capitolo,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Tramano qualcosa ***
postS2_11
"Tramano qualcosa" - Kane
"Jasper?"
Clarke aspettò, ferma davanti alla tenda. Non aveva ancora
perso la speranza, e mai l'avrebbe persa, di poter aggiustare le cose.
Ma non fu lui a rispondere. "Entra!", esclamò Raven.
La bionda scostò il tessuto che faceva da porta e
varcò la soglia.
"A quanto pare abbiamo avuto tutti la stessa idea", disse il meccanico,
accomodata su una sedia come fosse a casa propria. Accanto a lei, in
piedi, c'era Monty, che pareva un fascio di nervi. Era stato lui ad
andare per primo dal suo migliore amico, e i cinque minuti prima che
Raven li raggiungesse gli erano parsi i più lunghi della sua
vita. Com'era successo tutto questo? Com'era potuto accadere che ci
fosse tale gelo in compagnia della persona più importante
della sua vita?
Anche Jasper era in piedi, dall'altro lato della tenda, scuro in volto.
Clarke lo guardò. "Jasper, ti prego..." Fece qualche passo
verso
di lui, raggiungendolo e costringendolo a guardarla. "Vieni con noi."
"Potete discutere anche senza di me." Il tono non sembrava ammettere
repliche, ed in effetti si era stancato di dover resistere ai loro
attacchi. Era ferito, e lo infastidiva che i suoi amici non
rispettassero il suo dolore mantenendo le distanze. La
verità era che lo avevano fatto, per settimane. E forse
questa correttezza da parte loro lo infastidiva ancora di
più.
Raven sbuffò, alzandosi. "Andiamo, siamo già in
ritardo."
Afferrò un braccio di Clarke e la trascinò fuori,
verso
il cancello, dove Miller, Murphy ed Emori stavano aspettando.
I due ragazzi che un tempo erano stati migliori amici si fissarono
negli occhi.
Non avevano mai avuto bisogno di parole per capirsi, e questo non era
cambiato. Un attimo dopo, sconfitto nello spirito, Monty
seguì
le due ragazze all'esterno.
Da lontano, sulla porta della Base, Kane ed Abby osservarono il gruppo
uscire e dirigersi verso il bosco.
"Dubito stiano andando da Lincoln e Octavia per un tè",
mormorò la donna.
Erano entrambi stanchissimi, e non erano i soli. Dopo il ritorno di
Clarke c'era stato un gran trambusto. La rivelazione di quel che aveva
fatto Jaha e dell'esistenza di A.l.i.e. aveva condotto ad estenuanti
discussioni. Octavia e Lincoln avevano raggiunto il campo e il Grounder
aveva faticato non poco a capire come potesse esistere un'Intelligenza
Artificiale. Come se non bastasse una minaccia nucleare ad incombere su
di loro, la metà degli abitanti del campo voleva il Mountain
Man
morto.
"Mancano dal campo anche Bellamy ed Emerson. Tramano qualcosa, Abby."
Kane si massaggiò la fronte.
"Se così fosse, non si muoverebbero alla luce del sole."
Su questo non poteva darle torto.
Emerson e Bellamy aspettavano pazienti, nascosti tra gli alberi.
Il giovane Blake imbracciava il fucile, ed Emerson aveva come al solito
una pistola nascosta sotto la giacca, ma Bellamy lo sapeva,
perchè Clarke glielo aveva detto. Avevano deciso di
lasciargliela, perchè lo faceva sentire più
sicuro, e in
effetti non tutti tolleravano senza fiatare la sua presenza al campo.
Bellamy stesso non era convinto di potersi fidare al cento per cento
dell'uomo, ma Clarke aveva ormai perso ogni dubbio, e così
anche
lui faceva lo sforzo di trattarlo bene. O, almeno, di non trattarlo
male. Si era offerto volontario insieme a Murphy per fargli da scorta
durante la notte, ma quella mattina quando erano usciti non si erano
praticamente rivolti la parola.
Sentirono dei passi avvicinarsi, e un minuto dopo Lincoln e Octavia
sbucarono alle loro spalle.
"Eccoci", disse la Blake. "Gli altri non sono ancora arrivati?"
Bellamy fece segno di no con la testa. Guardò la sorella,
poi Lincoln. "Tutto bene?", chiese.
Octavia alzò gli occhi al cielo, Lincoln annuì.
Il fratello della ragazza non era entusiasta del loro trasferimento
nella vecchia casa di Lincoln. Aveva sempre paura che i Grounders
decidessero di rompere la tregua da un momento all'altro, e riteneva il
campo più sicuro. The New Ark aveva soldati, fucili e
pistole.
Tutti avevano imparato a sparare e tirare coltelli, anche quelli che
erano arrivati con le stazioni dell'Arca e che in vita loro non avevano
mai fatto del male a una mosca.
Purtroppo nelle altre stazioni che erano riusciti a raggiungere non
avevano trovato altri sopravvissuti. Mel era stata un miracolo. Almeno
avevano trovato armi, medicinali, e altri beni utili.
Prima che Clarke tornasse, stavano organizzando una spedizione per il
Mount Weather per lo stesso motivo, ma ora era passata in secondo
piano.
Mezz'ora dopo, la riunione ebbe inizio.
Formavano un cerchio, e parevano piuttosto agitati, anche se stavano
parlando pacificamente.
Da un lato c'erano Bellamy, Raven, Octavia, Miller, Murphy ed Emori.
Leggermente distaccati, c'erano Clarke, Lincoln, Monty ed Emerson.
Quest'ultimo, addirittura, manteneva le distanze ancor di
più.
Quasi inspiegabilemente, Bellamy, Miller e Murphy stavano vicini, con
una certa complicità. Dopo solo un giorno, i tempi del "Quel
che diavolo vogliamo!" sembravano essere tornati, se non nelle
convinzioni, almeno nelle dinamiche.
"Sarà difficile", commentò Lincoln. Stavano
discutendo
del fatto di coinvolgere i Grounders nel "problema A.l.i.e.".
Purtroppo, Lincoln aveva ragione.
Clarke chiuse gli occhi. La storia stava per ripetersi. Sky People e
Grounders avevano un nemico in comune, e dovevano allearsi per
sconfiggerlo.
"Non potete dir loro l'intera verità. Quest'Intelligenza
Artificale... non vi prenderanno sul serio. Dovete fingere che sia una
persona normale", continuò Lincoln.
"Non mi piace l'idea di mentire su una cosa così
importante", disse Octavia.
"In ogni caso, stavolta l'aiuto non giungerebbe velocemente come
l'ultima volta. Il Comandante è nella Capitale, a diversi
giorni
di viaggio. E decidere di aiutarvi non sarà una decisione
solo
sua. La situazione è diversa. Questo nemico non lo
conoscono,
non lo hanno mai visto. Non vi crederanno facilmente, ci vorranno
settimane per arrivare a una decisione, sempre che non vi caccino via
un istante dopo avervi ascoltati."
Il Grounder aveva ragione.
"Soprattutto quando sapranno che è coinvolto uno dei
nostri", aggiunse Bellamy, riferendosi a Jaha.
"Sono sicuro che quei due esaltati ci faranno raggiungere
l'isola. Se non ci presentiamo con un esercito, almeno", intervenne
Murphy. "Non so perchè mi hanno permesso di
scappare, ma c'è per forza un motivo. Probabilmente quella
dannata macchina vuole conoscere qualcun altro di voi."
Monty scambiò uno sguardo con Raven. "Tutte le macchine
possono essere disattivate", disse, quasi rivolto soltanto a lei.
"Dobbiamo solo riuscire ad avvicinarci abbastanza", concordò
il
meccanico. "Non serve un esercito. Lasciate fare a me. E' da un po' che
non faccio saltare in aria qualcosa."
"Non c'è solo una macchina, lì. C'è
anche Jaha, e
dei Grounders che eseguono i suoi ordini", intervenne Clarke.
Guardò Murphy. "Quanti sono?"
"Quelli rinchiusi erano quasi un centinaio. Quelli pazzi e a piede
libero potrebbero essere di più."
Poi fu il turno di Bellamy. "Bè, allora mi sembra piuttosto
semplice. Soltanto un gruppo andrà sull'isola. Abbastanza
grande
da poter respingere Jaha, ma non tanto da far preoccupare la macchina.
Nel
frattempo gli altri cercheranno di stringere un'altra allenza con i
Grounders. Anche se... la penso come Lincoln. E' inutile."
Per il momento, nessuno aveva altro da aggiungere. Bisognava solo
parlarne agli altri due Cancellieri.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 43 giorni
dalla sconfitta del Monte. Scusate, come al solito mi concentro
più sulle
relazioni tra i personaggi che sugli eventi. Spero non vi dispiaccia
troppo :) e scusatemi anche per il ritardo mostruoso con cui ho
pubblicato, ma in questi giorni non ho avuto il pc a disposizione
ç_ç
Al prossimo capitolo,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Sceglierà lei dove andare ***
postS2_12
"Sceglierà lei
dove andare" - Abby
Il giorno dopo ci fu la prima
riunione in assoluto del Consiglio del campo The New Ark.
Undici persone sedevano al tavolo d'acciaio nella stanza senza finestre
della Base.
Tra i Consiglieri scelti da Abby e Kane, c'erano Sinclair, il signor
Miller, Quinn, Anderson, Jackson e Raven. Quest'ultima era stata
scelta, con gran
sorpresa di tutti, da Abby.
Anche i due Consiglieri scelti da Bellamy furono una sorpresa.
La prima era Clarke. Si era cominciato a discutere se fosse il caso di
nominarla quarto Cancelliere, ma la ragazza si era opposta, dicendo che
le cose importanti al momento erano ben altre, e che i titoli non erano
rilevanti. Tra l'altro, considerando la riunione clandestina del
pomeriggio precedente, non si poteva di certo dire che Bellamy avesse
solo due Consiglieri.
L'altro era Lincoln.
Gli adulti furono messi al corrente dell'idea (per non dire
'decisione') di far partire un gruppo alla volta dell'isola.
"Wick, Monty ed io possiamo occuparci della macchina", disse Raven.
"E con voi dovrebbero partire soldati ben addestrati",
riflettè Kane.
"Andrò anche io", aggiunse Sinclair.
"Serve qualcuno qui che si intenda di ingegneria. Non possono partire
tutti", fece notare Jackson.
"Resterà Monty qui. E' solo un ragazzo...", disse Abby.
"Nessuno di noi è più solo un ragazzo", disse
Clarke
duramente, a voce alta. Tutti si voltarono a guardarla. "Siete tutti
vivi grazie a lui. Ha già lavorato sia con Wick
che con Raven.
E' la persona più adatta. Murphy ha detto che il creatore
dell'Intelligenza Artificiale non è riuscito a fermarla da
solo.
Serve un lavoro di squadra e persone che possono lavorare bene insieme."
"Sono d'accordo con Clarke", disse Kane. "Naturalmente
partirà anche Murphy. Cosa mi dite di quella Grounder...
Emori?"
"C'è suo fratello sull'isola. Non resterà mai
qui", intervenne Abby.
"E poi servono dei soldati. Questi potremo selezionarli più
tardi." E Kane aveva già in mente di essere tra loro.
"Sarà più difficile decidere chi andrà
con Clarke e Lincoln a Polis", aggiunse Bellamy.
"Io non vado a Polis", replicò tranquillamente la giovane
Griffin, voltandosi a guardarlo. Non parlavano come si deve da due
giorni, ovvero da quando si erano salutati. "Ci andranno Lincoln e
Octavia, con Indra."
"Indra?", domandò Jackson, che non era sicuro che la
Grounder avesse poi tutta questa voglia di aiutarli.
"Ci aiuterà", garantì Lincoln, che non aveva mai
perso i contatti con lei.
"Tu vai a Polis", ripetè Bellamy, parlando sopra gli ultimi
due, e guardando gelidamente la ragazza bionda.
"Assolutamente no."
"Il Comandante ti ascolterà", si intromise Kane, rivolto a
Clarke.
"Io andrò sull'isola", rispose invece lei.
Bellamy si alzò. "No",
disse in tono perentorio.
Anche Clarke si alzò, battendo una mano sul tavolo. "Non sei
tu a decidere per me!"
"Non sei addestrata a combattere! Non serve a niente saper sparare ad
un bersaglio sull'isola, saresti un peso!", poi aggiunse, cercando di
controllare la voce: "Non vieni con noi. Discorso chiuso."
Kane non fu sorpreso di apprendere che Bellamy non aveva intenzione di
perdersi quella missione.
Clarke stava per replicare, ma Abby la interruppe, alzandosi a sua
volta. "Abbiamo perso fin troppo tempo. Questa è una cosa
che
non riguarda il Consiglio. Clarke può essere utile in
entrambi i
gruppi. Ha influenza su Lexa, ma ha anche capacità mediche,
che
potrebbero servire al gruppo dell'isola. Sceglierà lei dove
andare." Se c'era una cosa che Abby Griffin aveva imparato negli ultimi
mesi, era che doveva smettere di decidere per sua figlia. "Se a te non
sta bene...", continuò, rivolta a Bellamy "...è
una cosa
che dovete risolvere tra di voi. Ora, se il Consiglio è
unanime,
direi di cominciare la selezione dei soldati prima di pranzo."
Bellamy e Lincoln lasciarono insieme la stanza.
"Clarke è come tua sorella", disse Lincoln.
"...Cosa?" Bellamy si riscosse. Era sovrappensiero. Oltre che
arrabbiato.
"Non puoi controllarla", sorrise il Grounder.
"Non voglio controllarla", ribattè il maggiore dei Blake. Ed
era
vero. Non aveva mai voluto controllarla. Dopotutto l'aveva lasciata
andare, no?
Lincoln impiegò solo un attimo a comprendere. "Non puoi
sempre
proteggerla." Ripensando a cosa aveva vissuto con Octavia, poteva
capire bene i sentimenti di Bellamy in quel momento.
"Già", si limitò a commentare l'altro. "Ma posso
provarci, anche se poi lei mi odierà per questo."
"Sai anche tu che non è giusto."
Bellamy non disse nulla, e Lincoln continuò: "E' una
combattente, non sottovalutarla. Non lasciarti acceccare da quello che
prov-"
Ma il Grounder non finì la frase, perchè Bellamy
aveva
accelerato il passo e lo aveva lasciato lì, a parlare da
solo.
Il ragazzo non aveva voglia di sentirsi ripetere quel che, in fondo al
cuore, già sapeva.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 44 giorni
dalla sconfitta del Monte. SCUSATE IL RITARDO... mi si è
rotto il pc ç_ç ma per fortuna sono riuscita a
recuperare tutta la fanfic, quindi non c'è nessun problema
xD potrei solo far passare qualche giorno in più tra un
capitolo e l'altro finchè non mi procuro un nuovo pc!
Come titolo ho scelto una frase di Abby
perchè volevo porre l'attenzione sul cambiamento della donna
nei
confronti della figlia. Spero di riuscire ad approfondirlo
più
in là :)
P.S.: Quinn
e
Anderson, i nuovi arrivati tra i Consiglieri (mi serviva qualcuno per
fare numero xD), sono un tributo a Blaine e a Quinn di Glee
:) ma non credo che darò loro molto spessore all'interno
della
storia xD
Al prossimo capitolo,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Insieme ***
postS2_13
"Insieme" - Bellamy
Erano Kane e il signor Miller
a gestire le selezioni per i soldati che sarebbero partiti alla volta
dell'isola.
Monroe fu una delle prime ad essere scelte.
"Forse non dovremmo portare i ragazzi", disse il signor Miller al
Cancelliere, durante una pausa.
"Sono quelli che hanno maggiori probabilità di essere
sottovalutati. Jaha non li metterà sul nostro stesso
livello. Non possiamo contare su molti aiuti, ma sul fattore
sorpresa sì. E sono bravi quanti noi." ...Se non di più,
aggiunse tra sè. Marcus sapeva che la paura di Miller era
che il
figlio partisse con loro. Ed era una paura fondata, perchè
più tardi il ragazzo si rivelò in gamba non solo
con le
armi, ma anche nel corpo a corpo.
Anche Clarke, Monty e Raven assistevano al reclutamento dei
più
bravi tra i volontari (che, purtroppo o per fortuna, non erano molti).
Si fece avanti Jasper, e tutti e tre ne furono sorpresi.
Venne scelto, perchè era ancora uno dei tiratori migliori.
Non li guardò mai, nè rivolse loro la parola.
Monty fece per seguirlo, ma Raven lo bloccò. "Ci
sarà
tempo quando saremo partiti. Ora non forzarlo, mi sembra già
tanto che abbia deciso di venire ad aiutarci."
"Dov'è Bellamy?", chiese Clarke, perchè era
stanca di aspettarlo. Dovevano parlare.
Raven si strinse nelle spalle. "A volte sparisce per delle ore, senza
avvisare." Poi la ragazza si allontanò e raggiunse Wick
dall'altra parte del campo.
Clarke e Monty rimasero soli.
"Credo sia alla navicella", disse il ragazzo.
Lei lo guardò. "La navicella? Quella con cui siamo
atterrati?"
Monty annuì. "Una volta gli ho chiesto come facesse a
sopportare
il senso di colpa. Mi ha risposto che ogni tanto torna alla navicella,
perchè quel posto gli ricorda che tutto ciò che
ha fatto
da quando ha lasciato l'Arca, lo ha fatto per proteggere sua sorella."
Bellamy sentì dei passi avvicinarsi, e prese in mano il
fucile.
Si alzò e aspettò, puntandolo sull'apertura della
botola.
Qualcuno stava camminando nella navicella, proprio sotto di lui. Era
una sola persona. Possibile che qualche Grounder gironzolasse ancora da
quelle parti?
Lo sconosciuto cominciò a salire le scale.
Spuntarono dei capelli biondi, e un polso con un orologio.
Bellamy abbassò l'arma.
"Ehi", lo salutò Clarke, e lui le tese istintivamente la
mano, per aiutarla a salire. Lei la strinse.
Si lasciarono subito, ritrovandosi faccia a faccia.
"Cosa fai qui, Clarke?", domandò Bellamy.
Prima di rispondere, la ragazza si prese qualche istante per guardarlo
negli occhi. Doveva dirglielo. Voleva
dirglielo. "Sono contenta di essere tornata. Anche se non volevo, sono
contenta di essere di nuovo qui."
Bellamy distolse lo sguardo. "Perchè non volevi tornare?"
"Non ero ancora pronta."
"Questo perchè ti ostini a voler affrontare le cose da
sola!",
urlò il ragazzo, colpendo con un pugno la parete della
navicella.
L'eco del colpo risuonò nel silenzio.
"Clarke..." Bellamy chiuse gli occhi, ritrovando la calma, parlando con
tono quasi implorante, come a volerle chiedere scusa. Poi la
fissò di nuovo. "Le cose hanno sempre funzionato da quando
abbiamo cominciato a collaborare. Noi... tu e io, insieme,
funzioniamo bene."
"Non sempre bene...",
mormorò la ragazza.
"Okay, hai ragione", la voce di Bellamy riacquistò energia.
"Non
sempre bene, ma sempre al meglio delle nostre possibilità.
Cos'è cambiato? Perchè non possiamo affrontare
insieme
tutto quello che ci aspetta al campo?" Cominciò ad
avvicinarsi a
lei, man mano che parlava. "Le persone che si fidano di noi. Jasper che
ci
odia. Quello che abbiamo fatto al Monte. Emerson, che tutti vogliono
morto. La nuova allenza con i Grounders. L'isola di Murphy". Adesso
erano l'uno di fronte all'altra, solo un passo li teneva separati, e
continuavano a guardarsi dritto negli occhi. "Perchè non
possiamo affrontarlo insieme?"
Per Clarke non fu facile rispondere. Conosceva Bellamy, e sapeva
già cos'avrebbe replicato. Aveva paura che non avrebbe
capito.
"Perchè non posso affrontare te", disse infine.
Il ragazzo non se lo aspettava. "Me?"
"Sì." Clarke fece un profondo respiro. "Quello che ti ho
fatto... ti ho lasciato partire per una missione suicida. Sapevo che se
qualcuno avrebbe potuto farcela, quello saresti stato tu. Sapevo che
niente ti avrebbe fermato. E infatti è stato
così.
Ma a quale prezzo? Lincoln mi ha raccontato come siete stati
catturati... quello che hai
sopportato. Sei stato magnifico in quel Monte, Bellamy. Hai fatto tutto
ciò che dovevi, e anche di più. Ed io ti ho
deluso su
tutti i fronti. Ho messo a rischio la vita di Octavia, non ti ho
portato l'esercito che ti avevo promesso, e non sono stata abbastanza
forte da pagarne le conseguenze da sola. Mi avevi chiesto di
risparmiare le vite innocenti, e io sono stata troppo debole per
infrangere quella promessa da sola. Ti ho costretto a partecipare ad un
massacro che includeva la persona a cui dovevi la vita."
Bellamy era troppo sconvolto per dire qualcosa. Vedeva le lacrime negli
occhi di Clarke, e per la seconda volta in pochi giorni le prese il
viso tra le mani, con delicatezza. Voleva rassicurarla, e dire che
sbagliava, ma aveva bisogno delle parole giuste.
Prima che potesse trovarle, Clarke continuò. "Ho paura che
succeda di nuovo. Quando guardo tutte quelle persone, mi ricordo quali
gesti ho dovuto compiere per salvarle, mi ricordo le cose orribili che
ho fatto a tanti innocenti, e a te. A tutte le persone a cui voglio e
volevo bene." Il pensiero le corse a Raven e Finn. "Quanto dolore
causerò ancora?" Le sfuggì un piccolo
singhiozzo, e una lacrima. Si odiava per la debolezza che stava
dimostrando, ma sapeva che quella che aveva di fronte era l'unica
persona con la quale poteva abbassare le difese.
Anche stavolta, Bellamy non le asciugò la lacrima. "Quello
che
ho fatto, l'ho fatto per mia sorella. Per la nostra gente. Per te. E
per me. Avrei voluto poter far andare le cose in modo diverso, ma non
mi pento di niente. Ricordi?" Accennò un sorriso. "Andava fatto."
Le accarezzò la guancia asciutta col pollice. "Hai fatto
molto
più di quello che dovevi. Hai fatto del tuo meglio e io sono
orgoglioso di questo. Non potrei mai rimproverarti qualcosa."
Clarke ricordò il rimprovero di Octavia. "Il mio meglio non
è bastato."
"Ma nessun altro avrebbe potuto far meglio di te. Non ci hai fatto del
male. Ci hai salvati."
Clarke si avvicinò a lui e nascose il viso nella sua spalla,
perchè non voleva che vedesse quante lacrime stavano
raggiungendo la prima.
Bellamy la abbracciò. "Possiamo superare tutto insieme. Te
lo dico io. Fidati di me. Ti fidi di me?"
La ragazza si scostò da lui, per guardarlo in viso. "Quando
eri
nel Monte, Lexa e quasi tutti gli altri Grounders, e non solo loro...
mettevano continuamente in discussione la tua missione. Non credevano
che ce l'avresti fatta. Ti consideravano una preghiera, non un piano.
Mi hanno persuasa a fare tante cose che andavano fatte ma
che non
avrei voluto fare... tranne perdere la fiducia in te. Sei stato il mio
punto fermo. Non ho mai perso la fiducia in te." Sorrise. "Ho impiegato
un po' per acquisirla, ma non la perderò mai." Si
portò
una mano al viso e si asciugò frettolosamente le lacrime.
Bellamy avvicinò il proprio viso a quello di Clarke, poi le
diede un rapido bacio sulla fronte. "Torniamo a casa."
Nota
dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 44 giorni
dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo
precedente. Finalmente, la vera Bellarke Reunion xD tranquilli che tra
poco arriverà anche qualcosa di mooolto più
romantico
<3 ma! Tempo al tempo u.u
Al prossimo capitolo,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Grazie ***
postS2_14
"Grazie" - Clarke
Quella stessa sera, casa di
Lincoln - e Octavia - si ritrovò decisamente affollata.
In un angolo, la ragazza Blake stava affilando tutte le sue armi, in
previsione del viaggio. Di tanto in tanto lanciava uno sguardo al
fratello.
Kane se ne stava appoggiato ad una parete, in paziente attesa del
ritorno del padrone di casa. Abby osservava il luogo con
curiosità.
Bellamy e Clarke erano in piedi, vicini, con la stessa
complicità di un tempo. Lui con il fucile in spalla,
tranquillo.
Lei solo apparentemente serena. Bellamy la interrogò con lo
sguardo, ma Clarke accennò un sorriso per dirgli che andava
tutto bene.
Ma non era così.
Emerson era riuscito in parte ad aiutarla nel superare il gesto
compiuto nel Monte, e Bellamy aveva fatto il resto. Altra cosa era
tutto ciò che era accaduto prima, fuori, tra i Grounders. Il
missile su TonDc. Il bacio. Il tradimento. Lo stupore e infine
l'orrore. Aveva
creduto di poter contare sulla parola di Lexa, sulla lealtà
di
un alleato in guerra. Avrebbe davvero fatto la stessa cosa al posto
della Comandante?
Clarke guardò Bellamy. Lui ricambiò lo sguardo.
Ed eccola lì, la risposta: no.
Lei e Bellamy avevano tentato l'impossibile per non compiere gesti
estremi, per non condannare a morte degli innocenti. Non avrebbero mai
accettato un accordo con il Monte condannando i Grounders, se avessero
avuto la possibilità di vincere lottando al fianco degli
alleati.
E ora dover di nuovo stringere un'alleanza con quella stessa gente non
la entusiasmava per niente. Non voleva. Sembrava essere necessario, ma
non voleva. Le sembrava di essere tornata indietro nel tempo, ma con
meno fiducia di quanta ne avesse all'epoca del primo accordo.
Bellamy si chinò su di lei per sussurrarle all'orecchio:
"Questo non sarà il nostro piano principale."
La bionda alzò lo sguardo su di lui. "Cosa?",
sussurrò di rimando.
Kane ed Abby li osservavano confabulare, e non sembravano gradire la
cosa. Octavia cominciò ad affilare con più
energia,
infastidita.
Bellamy afferrò un braccio di Clarke e la
trascinò di
qualche passo per allontanarla dagli altri, ma il luogo era
così
piccolo che dovettero comunque parlare a voce bassissima.
"Clarke...", ricominciò il ragazzo "...non ci affideremo
completamente all'alleanza, stavolta. Sarà un aiuto
supplementare. Sarà solo qualcosa in cui sperare. Non
sarà il nostro piano, sarà una preghiera."
Si osservarono negli occhi per qualche istante. Clarke
ripensò a
quando gli aveva raccontato cosa dicevano i Grounders di lui, mentre
era infiltrato al Monte. Sì, c'era una differenza tra
Bellamy e
Lexa. Bellamy era il suo piano, la sua certezza. Lexa era solo un
aiuto, una preghiera. Questo voleva dirle Bellamy con quelle parole, e
lei era d'accordo.
"Non possiamo fidarci di nuovo al cento per cento", continuò
il
Cancelliere, sempre sussurrando all'orecchio della ragazza. "Non mi
importa cosa pensano Marcus e tua madre. Non ripeteremo lo stesso
errore.
Ho in mente qualcosa che può funzionare anche senza aiuti
esterni. Clarke... "
Ma lei lo interruppe. "Grazie", disse, sfiorandogli una mano.
Abbassò gli occhi sulle loro dita, che ora si stringevano
come se
non avessero mai fatto altro. Una volta ancora, lui le alleggeriva le
spalle dal peso del mondo. Ma stavolta il senso di colpa era
più leggero.
In quell'istante sentirono dei passi all'esterno, e lo sguardo di tutti
si puntò sulla porta.
Comparve Lincoln, che subito raggiunse Octavia. La ragazza si
alzò, con sguardo fiero.
Dietro il Grounder spuntarono Indra e Kara, con i capelli rosso scuro
ben intrecciati e gli occhi chiari vigili e curiosi.
Il nuovo secondo di Indra e la giovane Blake si scambiarono un rapido
cenno di saluto. Quando Octavia era ancora il secondo di Indra, si
erano allenate spesso insieme. Si rispettavano a vicenda. Per entrambe
quel sentimento era rimasto immutato.
Indra passò in rassegna tutti i presenti nella stanza,
fermando
i propri occhi sulla bionda. "Sei viva", le disse, a mo' di saluto.
"Già", rispose la ragazza.
"Anche l'altro?"
Clarke annuì.
Indra strinse i pugni, chiaramente contrariata. Ma in fondo la colpa
era soltanto sua. Si ripromise di non commettere mai più lo
stesso errore.
Kane fu il primo a prendere la parola e a spiegare il piano, dato che
il capo di TonDc aveva già appreso della minaccia da
Lincoln.
Proprio quest'ultimo, e Octavia, Jackson e Quinn
sarebbero dovuti andare a Polis per convincere Lexa ad inviare rinforzi
sull'isola. Ma Lincoln era stato bandito, e gli altri tre non erano
Grounders, quindi avevano bisogno di qualcuno che garantisse per loro.
Dopo Kane, anche tutti gli altri parlarono a favore della loro causa ad
Indra, che aveva già riflettuto a lungo sulla minaccia. Che
le
piacesse oppure no, non aveva motivo per non fidarsi degli Sky People.
"Devo comunque andare a Polis il prima possibile per far tornare la mia
gente, ora che TonDc è stata ricostruita. Verrete con me,
chiederò che vi facciano entrare e parlare con il
Comandante, ma
non garantirò per la vostra vita o la vostra sicurezza. E
non
parlerò a favore delle vostre assurdità."
Clarke e Bellamy si guardarono, poi guardono Kane ed Abby. Non ebbero
bisogno di parlare, perchè non avevano molta scelta. Per il
momento, avrebbero dovuto accontentarsi.
Fu Clarke a parlare per ultima. "Vorrei che alcuni dei tuoi uomini
venissero con noi. Avremo bisogno di qualcuno che possa parlare per noi
ai Grounders sull'isola. Qualcuno che sarebbero disposti ad ascoltare."
La risposta arrivò in fretta, secca. "No."
"Indra...", disse Lincoln.
"No."
Silenzio.
"Lascia andare me", si intromise Kara, facendo un passo avanti,
carezzando la spada che portava al fianco.
"No." E
questa volta la discussione finì.
Nota
dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 44 giorni
dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega ai capitoli
precedenti. Un po' di romanticismo per i Bellarke... e ne
arriverà sempre di più... sempre di
più... sempre
di più...
Mi sono accorta di non avervi mai descritto Kara ahahahah
quindi ho
buttato giù mezza riga adesso xD e poi, non so se avete
notato,
ma Bellamy ha chiamato Kane per nome. Volevo accentuare in questo modo
il nuovo rapporto di rispetto che si è creato tra loro :)
P.s.: Vi ricordate di Quinn, una dei consiglieri inventati da me? xD
alla fine si è resa utile :P
Al prossimo capitolo,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Siamo tutti in pericolo ***
postS2_15
"Siamo tutti in pericolo" - Lincoln
Indra, Kara e altri Grounders,
tra cui Nyko, aspettavano impazienti.
Abby e Kane stavano salutando Jackson e Quinn.
Clarke e Lincoln si guardarono negli occhi.
"Grazie per aver aiutato Bellamy e tutti gli altri, al campo. So che lo
hai fatto per Octavia, ma..."
Il Grounder la interruppe. "Non l'ho fatto per Octavia."
Si osservarono qualche istante in silenzio.
"Sono contenta che tu sia uno di noi", disse infine la ragazza.
"Anche io", replicò Lincoln.
Poco distante, i fratelli Blake faticavano nel trovare le parole per
salutarsi.
"Non fare quella faccia. Non ho più bisogno di essere
protetta."
Bellamy sorrise. "Ti aspetti davvero che io smetta di preoccuparmi per
te? Non succederà mai."
Abbracciò la sorella. "May we meet again", le
sussurrò all'orecchio, stringendola forte.
"May we meet again", rispose Octavia, baciandolo sulla guancia.
Il tempo in cui erano in perfetta sintonia, sull'Arca, quando erano
ragazzini, sembrava lontano mille anni. Erano cresciuti, avevano
affrontato situazioni inimmaginabili, e questo li aveva cambiati
profondamente. Ma l'affetto che provavano l'uno per l'altra non sarebbe
mai diminuito. La famiglia Blake era disposta ad ingrandirsi, ma non si
sarebbe mai divisa.
Raggiunsero gli altri.
Octavia e Clarke si abbracciarono goffamente, senza dire nulla. Non
avevano parlato a lungo da quando la bionda era tornata tra la sua
gente. Non ce n'era stato bisogno. Non erano amiche, forse non lo
sarebbero mai state, ma si rispettavano a vicenda e questo per il
momento bastava. Lincoln e Bellamy si scambiarono un cenno d'intesa.
Era il momento di partire.
3 GIORNI DOPO
Di quella spedizione, restavano soltanto Indra, Octavia, Lincoln,
Quinn, Jackson e
quattro Grounders. Solo poche ore dopo la partenza Kara aveva vinto la
sfida con Indra, e
accompagnata da tre guerrieri era tornata indietro per raggiungere il
gruppo di Sky People che sarebbe andato sull'isola.
Ormai, Polis era dietro l'angolo.
Indra alzò un braccio e si fermò, imitata da
tutti gli
altri. Si rivolse a Lincoln e Octavia. "Voi non potete avvicinarvi.
Siete stati banditi dal Popolo degli Alberi. Vi ucciderebbero a vista."
Così aspettarono con gli altri due Consiglieri degli Sky
People. Per delle ore.
Fu solo Nyko a tornare indietro.
Quando lo videro, Lincoln strinse i pugni, perchè si accorse
dall'espressione dell'amico che l'incontro con Lexa non era andato come
speravano.
"Allora?", chiese immediatamente Octavia, andandogli incontro.
Nyko la guardò gravemente, poi incrociò lo
sguardo di Lincoln.
"La Comandante non ha alcuna intenzione di farvi entrare a Polis. Indra
sta ancora discutendo con lei, ma mi ha mandato a dirvi di cominciare a
fare altri piani e soprattutto di non avvicinarvi."
"Le ha detto che se non ci aiuta salteremo tutti in aria?!",
esclamò rabbiosamente la ragazza.
"Indra sa cosa dire, e cosa non dire", rispose Nyko pacatamente. Anche
Octavia strinse i pugni.
"Chiedile di tornare", disse invece Lincoln.
"Cos'hai in mente?", domandò Nyko.
"Qualcosa che non le piacerà."
"Siete ancora qui? Volete morire?!", li aggredì Indra, di
ritorno con Nyko e altre due Groungers di TonDc. "Dovete andarvene.
Immediatamente."
"Non è in pericolo solo il Popolo degli Alberi", la
interruppe
Lincoln. "Siamo tutti in pericolo. Tutti i Popoli, soprattutto quelli
nelle vicinanze. C'è qualcun altro che può
aiutarci."
"Adesso basta!", ribattè Indra. "Tornate al campo, o la
tregua sarà rotta."
Ma Octavia non la stava ascoltando. Si rivolse al suo Grounder,
ricordando improvvisamente una cosa. "Una volta mi hai parlato di una
persona che conoscevi. Il Comandante del Popolo del Mare."
Lincoln annuì. Non lo stupiva il fatto che Octavia avesse
capito subito. "Si chiama Luna. Da quello che mi ha detto
Clarke, mi è parso di capire che il Popolo del Mare e il
Popolo
delle Dune siano i più vicini al luogo con i pannelli solari
da cui si arriva all'isola."
Indra fece qualche passo avanti. "Non posso e non voglio più
proteggervi. Sparite", sibilò con rabbia, la mano sull'elsa
della spada che portava in vita. Stavolta, per lei era davvero finita.
Aveva già perso troppo per colpa di quella gente. Se il
mondo
stava per finire, che finisse pure. Nel frattempo lei non aveva
intenzione di continuare a remare contro il proprio popolo. Era a capo
di un clan e non voleva perdere la fiducia di Lexa. Si girò
e
fece cenno ai suoi uomini di seguirla.
Nyko rimase.
Già una volta aveva rischiato di perdere il proprio migliore
amico perchè non aveva voluto fidarsi di Clarke e degli Sky
People. Aveva quasi ucciso Lincoln solo perchè non credeva
che
potesse essere salvato. Non avrebbe commesso nuovamente lo stesso
errore.
E dunque, erano rimasti in cinque. O almeno così credevano.
"Dobbiamo andare a parlare con questi altri due Comandanti", disse
subito Octavia, già pronta per ricominciare la marcia.
"Per il Popolo del Mare non sarà un problema. Luna non
rifiuterà un incontro con me e Lincoln", disse Nyko. "Ma per
il
Popolo delle Dune è diverso. La loro Comandante non ha mai
stretto alleanze con Lexa. Non abbiamo la certezza che..."
"Io conosco qualcuno lì", disse una voce di donna.
Quando
Indra e gli altri avevano lasciato la riunione con la
Comandante per tornare da Lincoln e Octavia, una persona li aveva
seguiti.
Da dietro un albero, silenziosamente, spuntò fuori una
Grounder.
Nessuno di loro la conosceva. Tutti e tre sfilarono le armi e si
preparano a respingerla, mentre Jackson e Quinn indietreggiavano.
"Sono Echo", disse la donna. "Ero..."
"Nel Monte", concluse rabbiosamente Octavia.
Nota
dell'Autrice: Nella prima parte di questo capitolo sono passati 45
giorni
dalla sconfitta del Monte, nella seconda (tre giorni dopo) ne sono
passati 48. Ho deciso di non tradurre il "May we meet again"
perchè sono così abituata a sentirlo in inglese
che
tradotto in italiano mi suona male xD lo avevo tradotto nel primo
capitolo, ma da adesso lo lascerò nella versione originale.
Tante vecchie conoscenze son tornate! Naturalmente Octavia sa di Echo
perchè glielo ha raccontato Bellamy u.u
Luna è un personaggio di cui Lincoln ha veramente parlato.
Non ricordo l'episodio, ma qualche tempo fa su Twitter il caro Jason
Rothenberg ne ha riparlato, e così mi è venuta
l'ispirazione per inserirla ^_^
Al prossimo capitolo,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Per Clarke? ***
postS2_16
[Prima di iniziare il
capitolo voglio ringraziare tutti quelli che mi stanno seguendo. Siete
in tantissimi e anche se non lasciate recensioni, spero comunque che la
mia storia vi stia piacendo, perchè mi sto impegnando tanto
:P e un grazie anche alle poche persone che recensiscono: i vostri
commenti mi rallegrano sempre le giornate <3
Buona lettura,
Y**]
"Per Clarke?" - Bellamy
"Siamo lenti", disse Clarke.
Emerson, al suo fianco, annuì. Erano passati tre giorni da
quando erano partiti. Se fossero stati solo lui e la ragazza, a
quell'ora sarebbero stati già molto più lontani
dal
campo. "Siamo in tanti. E' normale", le disse.
Clarke sospirò.
Era notte, e si erano accampati. Lei ed Emerson erano in piedi vicino
ad un albero, distanti dal resto del gruppo. Lui continuava a sentirsi
a suo agio solo con lei. Oltre che con Clarke, parlava soltanto con
Murphy
ed Emori, e raramente con Bellamy. Si teneva alla larga da Jasper e
Kane, che per il momento gli sembravano i più ostili.
In quel momento Wick e Raven, che ormai erano inseparabili, parlavano
con Monty. Da
quando erano partiti non facevano altro che pensare alla macchina e ai
possibili modi per disattivarla e distruggerla.
Kane, il signor Miller, Carter e Morgan discutevano di
chissà che cosa.
Jasper, Emori, Smith e Tyler stavano cuocendo della carne per tutti.
Bellamy, Murphy, Miller e Monroe erano andati a cercare altra legna.
"Qual è il piano?", chiese Emerson.
"Quale piano?"
"Quello per quando arriveremo sull'isola. So che tu e Bellamy avete un
piano. Chi altro lo conosce?"
Clarke lo guardò. "Al campo, mia madre e tutti i
Consiglieri. Qui, solo Kane e Raven. Ne parleremo tra qualche giorno."
"E cos'è che ti preoccupa?"
Oramai avevano imparato a conoscersi bene.
"E' pericoloso."
"Su questo non avevo dubbi." Emerson seguì lo sguardo della
ragazza, che si era posato in lontananza sui ragazzi appena tornati con
altra legna per il fuoco. "Ah", disse. "E' pericoloso per lui."
Proprio in quel momento, Bellamy alzò lo sguardo verso di
loro,
quasi come se avesse potuto ascoltare la conversazione. Clarke gli fece
un cenno per fargli capire che andava tutto bene.
Era l'alba, e tutti stavano raccogliendo le proprie cose per
ricominciare il viaggio.
Ad un tratto si udì uno sparo, e un urlo.
"Monroe", sussurrò Raven, spalancando gli occhi.
Bellamy aveva già imbracciato il fucile ed era corso nella
direzione in cui Monroe, Jasper, Murphy e Smith erano andati a fare un
giro di ricognizione dei dintorni prima che tutti si rimettessero in
cammino.
Anche Kane e il signor Miller prepararono le armi e si avviarono
velocemente in quella direzione.
Tutti quelli armati seguirono l'esempio, ma la voce di Bellamy
arrivò presto forte e chiara dalla radio di Raven. "E' tutto
okay, non preoccupatevi. Stiamo tornando indietro."
Avevano portato solo una coppia di radio con loro,
perchè sull'isola non avrebbero comunque potuto utilizzare
nessuna tecnologia per comunicare, e per abitudine quell'unica coppia
l'avevano tenuta Bellamy e Raven. Contro ogni logica, in quel momento,
la cosa infastidì Clarke.
Pochi minuti dopo ricomparvero tutti, con qualche nuovo acquisto.
Monroe era ferita, con una freccia conficcata nella spalla sinistra, ma
camminava senza aiuto e continuava a tenere con sè il
proprio
fucile, nonostante le smorfie di dolore. Dietro di lei
spuntò il
resto del gruppo, e a chiudere la fila c'erano quattro Grounders tra
cui Kara, con il braccio destro fasciato e sporco di sangue, lo sguardo
fiero fisso davanti a sè.
Mentre Clarke si prendeva cura delle ferite delle due combattenti, fu
spiegato brevemente a tutti cos'era accaduto nel bosco.
Kara era riuscita a convincere Indra a mandarla con tre compagni ad
aiutare gli Sky People e così avevano cercato di
raggiungerli,
ma quando avevano visto il gruppetto impegnato nel giro di ricognizione
non erano sicuri si trattasse del gruppo giusto e avevano tentato di
avvicinarsi senza dare troppo nell'occhio. Monroe si era
però
accorta della presenza di qualcuno, aveva frainteso le intenzioni dei
Grounders e aveva sparato. Quando Kara si era vista puntare l'arma
contro, aveva a sua volta incoccato una freccia. Si erano ferite a
vicenda a pochi secondi di distanza. Per fortuna, la pallottola di
Monroe aveva solo sfiorato il braccio di Kara, e la freccia di Kara non
era penetrata a fondo nella carne di Monroe grazie a vari strati di
vestiti e protezioni.
Adesso, quelle due ragazze si guardavano con odio.
Clarke stava curando Monroe, ed Emerson come al solito se ne stava in
disparte. Tutti gli altri erano affaccendati intorno ai nuovi arrivati
e ai feriti. Lui se ne stava vicino al falò della sera
prima,
ormai spento.
Si piegò sulle ginocchia e cominciò a rovistare
tra la
cenere. Sentì qualcuno avvicinarsi, ma non alzò
lo
sguardo. Sapeva che si trattava di Bellamy.
Il ragazzo Blake si chinò accanto a lui. "Cosa fai?"
"Cerco dei pezzi di carbone adatti a disegnare", rispose Emerson. Aveva
pensato di procurare a Clarke qualcosa con cui disegnare,
perchè
non gliel'aveva più visto fare da quando avevano incontrato
Emori e Murphy, ma mentre pronunciava quelle parole si sentì
ridicolo, perchè accendevano il fuoco tutte le sere e a
Clarke
di certo non sarebbe mancata l'occasione di procurarsi la materia
prima. Se aveva smesso di disegnare, era perchè lo aveva
deciso.
"Per Clarke?", chiese Bellamy, in un tono che sembrava quasi suggerire
che temesse la risposta a quella domanda.
"Sì." Emerson annuì, abbandonando la ricerca e
rialzandosi. L'altro lo imitò.
"Come sai che Clarke disegna?", gli domandò ancora Bellamy.
"E tu?"
Il ragazzo Blake rimase un attimo in silenzio. Non sapeva cosa pensare
di Emerson. Era riuscito a conquistare la fiducia di Clarke e questo
valeva molto, ma non era ancora riuscito a farsi un'opinione personale
su di lui. L'unica cosa che sapeva era questa: non c'era più
spazio
per la rabbia. Ne aveva già provata abbastanza per tutta la
vita. Decise di assecondarlo, e rispose: "I primi tempi, quando
eravamo appena arrivati qui, ogni tanto la sorprendevo a disegnare con
una matita su tutte le pietre abbastanza larghe e piatte che riusciva a
trovare". Sorrise al ricordo, ma solo per un istante. "E tu?"
Emerson non rispose subito. Disse invece: "Questo incidente con
quelle due", con un cenno della testa indicò Monroe e Kara
"non
ci voleva. Dovremmo proseguire più svelti, non rallentare.
Forse sarebbe meglio diminuire le soste diurne."
"Già", annuì Bellamy, accettando pacatamente il
consiglio. Poi si girò e fece per andarsene, ma Emerson lo
richiamò.
"Bellamy?"
"Sì?" Si fermò ma non si voltò,
continuando a dare le spalle al Mountain Man.
"Ha disegnato spesso quando eravamo in fuga, da soli. La sera, invece
di riposare, trascorreva ore a ritrarre persone." Una piccola pausa,
per assicurarsi di avere tutta l'attenzione del ragazzo. "Eri il suo
soggetto preferito."
Bellamy chiuse gli occhi e strinse i pugni per farsi forza, contento
del fatto che Emerson non potesse vedere l'espressione sofferente sul
proprio volto.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 48
giorni
dalla sconfitta del Monte. Nella prima parte del capitolo vi ho
elencato tutti quelli che sono partiti da The New Ark per la missione
sull'isola, inclusi quattro personaggi che ho inventato io per "fare
numero" xD ossia Carter, Morgan, Smith e Tyler, e poi ora ci
sono
anche
Kara e i 3 Grounders. In totale, 21 persone.
E dopo Raven, anche Emerson si mette a fare l'agente matrimoniale
ahahaha xD io mi sto divertendo troppo u.u
Al prossimo capitolo,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Devi farmi una promessa ***
postS2_17
"Devi farmi una promessa" - Raven
"Come va?" Bellamy si
inginocchiò accanto a Raven, e accennò un sorriso.
Era raro trovarla da sola, in un momento di riflessione. Indossava la
sua solita giacca rossa e portava i capelli acconciati nella solita
coda di cavallo. E infatti sembrava la solita Raven Reyes, quella che
aveva
conosciuto ormai circa tre mesi prima, quella ragazza intelligente,
combattiva, e a volte irritante. Il giovane Blake non ripensava mai
alla notte che avevano passato insieme, quando ancora non erano amici,
e neppure lei ci pensava. Non aveva significato nulla, per nessuno dei
due, perchè all'epoca non significavano nulla l'uno per
l'altra.
Adesso le cose erano cambiate.
Raven alzò lo sguardo. Stringeva tra le dita alcuni fogli
pieni
di appunti confusi che lei, Wick e Monty non facevano altro che
ampliare e correggere da giorni, ormai. "Potrebbe andare meglio",
rispose la ragazza, ma con allegria. "Tu invece non sei mai stato
meglio, eh?"
Lui rise. "Non sono completamente d'accordo."
"Da quando è tornata Clarke, dai quest'impressione." Il
meccanico aveva parlato con serietà, adesso.
Anche Bellamy divenne serio. "Sono contento che stia bene e che sia
tornata tra la sua gente. Tutto qui", replicò.
Raven gli diede un pugno affettuoso sulla spalla. "E' mancata anche a
me."
"Devi farmi una promessa", disse ancora Raven.
"Tutto quello che vuoi", rispose Bellamy.
Si guardarono negli occhi per un po', in silenzio.
Infine, la ragazza si decise a parlare. "Clarke. Kyle. E quando ci
raggiungerà, anche Octavia. Non importa cosa
succederà.
Non importa quanto sarà difficile. Non importa cosa dovremo
affront..."
"Raven", la interruppe bruscamente Bellamy, ma non con rabbia. Anzi,
con dolcezza. Posò una mano su quella del meccanico. "Non li
perderemo. Lo so che abbiamo già perso tanto... ma tu e io
siamo
una buona squadra. Ci prenderemo cura di loro." Si sforzò di
sorriderle, e dopo un momento concluse: "Sì, Raven. Te lo
prometto. Non li perderemo."
Qualche minuto dopo, Kane e Clarke radunarono tutti attorno al fuoco.
Era il momento di spiegare il loro piano.
Bellamy si alzò, con una leggera pacca sulla spalla di Raven
per
invitarla a seguirlo, e li raggiunse, affiancandosi a Kane. Fece un
cenno d'assenso con la testa, cedendo al Cancelliere più
anziano
la parola.
Kane aspettò che tutti si fossero radunati attorno a loro.
Li
invitò a sedersi, così che in piedi restarono
solo lui,
Bellamy e Clarke. "Sapete tutti cosa stiamo per affrontare.
Un'Intelligenza Artificiale e un piccolo esercito di Grounders
impazziti. Bisognerà disattivare questa macchina, ma ci
vorrà del tempo. Non solo affinchè loro..." Indicò con una mano
Raven e Wick, seduti vicini, e poi Monty "...possano
capire come fare, ma anche per trovarla. Murphy..." Lo
indicò.
"Ci ha riferito che l'ologramma di una donna, che rappresenta la
macchina, non lascia mai la villa che si trova sull'isola, e questo fa
pensare che il suo vero... 'corpo', si trovi proprio lì."
Raven si schiarì la voce e fece per parlare, ma Kane la
interruppe con un gesto della mano. "Ma siccome a quanto pare questa
macchina ha il controllo su tutta l'isola attraverso dei droni di vario
tipo, ci è stato fatto notare..." scoccò
un'occhiata al
meccanico "...che potrebbe trovarsi ovunque."
Fece una piccola pausa. Il silenzio era quasi assoluto. Nessuno
parlava, si udivano solo lo scoppiettare del falò e i rumori
della natura che li circondava. "Questo significa che il compito
più importante da svolgere sarà quello di
indagare."
"E in che modo?", domandò il signor Miller. "Siamo in tanti,
e poi ci sono i Grounders prigion..."
"Non lasceremo ancora in pericolo mio fratello!" Su tutte si
levò alta la voce di Emori.
Clarke fece un passo avanti, alzando le mani per invitare al silenzio.
"Una volta arrivati sull'isola, ci divideremo in due gruppi", disse con
voce forte e chiara. "Il primo gruppo sarà composto da
Raven,
Monty, Wick, Bellamy, Kane e altri due di voi. Il secondo da me, Emori,
Murphy, i Grounders guidati da Kara, e tutti gli altri."
Cominciò a diffondersi un mormorio. Clarke alzò
ancor di
più la voce, e tutti tacquero. "Il mio gruppo, con l'aiuto
di
Murphy che conosce l'isola, cercherà i Grounders
imprigionati e
cercherà un modo per liberarli e un posto dove nasconderci e
prepararci a lottare, in attesa che Lincoln e Octavia ci raggiungano
con un vero esercito." Quello che non disse, fu che le
probabilità che Lincoln e Octavia li raggiungessero davvero
con un esercito
erano pressochè inesistenti.
Tutti rimasero in silenzio, in attesa di scoprire cosa avrebbe fatto
l'altro gruppo.
Fu Kane a svelare il mistero. "Il gruppo meno numeroso
fingerà di aver deciso di unirsi alla macchina e a Jaha."
Il mormorio ricominciò, ma stavolta fu Bellamy a riportare
il
silenzio. "E' il modo più sicuro per accedere alla villa.
Jaha
si fida di Kane. Raven, Wick e Monty avranno l'opportunità
di
studiare da vicino l'ologramma e di esplorare l'edificio."
"Sappiamo benissimo che è pericoloso, che qualcosa potrebbe
andare
storto e che se Jaha e la macchina dovessero capire l'imbroglio,
saremmo
tutti spacciati", disse Clarke.
"E' per questo che io mi fingerò riluttante a seguirli",
disse
Bellamy, a voce leggermente più alta. "Murphy ci ha detto
che la
macchina controlla tutto ciò che la circonda, dai pannelli
solari fin sull'isola. Proprio sull'isola metteremo in scena una
frattura tra
i due gruppi, a beneficio dei droni che saranno lì
a
spiarci. Io
seguirò riluttante gli ordini di Kane, con l'intento di
proteggere Raven, che secondo me sarà impazzita a voler
stare
dalla parte della macchina. Ci sarà una discussione tra me e
Clarke sull'argomento, per far intendere un legame tra noi che possa
giustificare un eventuale contatto futuro, se ce ne fosse bisogno."
Fece una piccola pausa, per dare agli altri il tempo di assimilare
quelle informazioni. "La
macchina e Jaha mi terranno sotto controllo, sapendo che non appoggio
la loro causa, ma è necessario."
"Perchè?", domandò Miller, il figlio stavolta,
con un'espressione chiaramente preoccupata.
"Perchè serve un capro espiatorio", rispose Kara, con
tranquillità.
Bellamy annuì.
"Esatto", disse Clarke. "Se Jaha o la macchina dovessero intuire che
qualcuno sta cercando di ostacolarli, non possiamo permettere che la
loro attenzione vada su Raven, Wick o Monty. Loro tre sono
fondamentali. Devono puntare il dito su qualcun altro."
Passò qualche momento in cui tutti confabularono tra loro,
una volta compreso ciò era stato loro detto.
Emerson fissò Clarke. Si ricordò della loro
conversazione
a proposito del piano. Si alzò in piedi. "Vorrei andare io
con
il gruppo di Kane", disse.
Clarkè lo guardò sorpresa. Kane invece
commentò:
"Sarebbe una mossa intelligente. Un Montain Man avrebbe sicuramente
più motivo di un Grounder o di uno di noi di voler
appoggiare la
loro causa. L'importante..." e qui il tono si fece duro, quasi
accusatorio "...è che si ricordi di stare solo fingendo."
Emerson strinse i pugni, ma la giovane Griffin replicò ancor
più duramente del Cancelliere: "Garantisco io per lui",
guardando Kane come se volesse tirargli un pugno.
"E io sarò l'ultimo", disse qualcuno a voce bassa, e tutti
si
voltarono verso il ragazzo seduto accanto a Monroe, con un fucile sulle
ginocchia, e che fino a pochi secondi prima non aveva fatto altro che
osservare Monty, pensando al guaio in cui si stava cacciando.
"D'accordo, Jasper", acconsentì Kane, annuendo. E
così i gruppi furono ufficialmente formati.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 51
giorni
dalla sconfitta del Monte. Oddio, questo capitolo è
lunghissimo,
lo so ç_ç me ne scuso, ma ho perso molte parole
per
spiegarvi il piano di questi poveri disperati xD il prossimo
sarà molto più corto, promesso!
A tra un paio di giorni,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Eri ancora la sua famiglia ***
postS2_18
"Eri ancora la sua famiglia" - Clarke
Era
sera. Un'altra giornata pesante stava per concludersi. Raven
lanciò un'occhiata a Wick, che stava intorno ad uno dei
fuochi
accesi. Kara e un Grounder stavano insegnando a lui e agli altri Sky
People una strana tecnica di cottura della carne. Kyle sembrava
affascinato. Amava imparare. La ragazza sorrise al pensiero. Dividere
la propria vita con lui era facile come lo era stato dividerla con
Finn. Non credeva che sarebbe successo di nuovo... che avrebbe avuto di
nuovo una famiglia. Jasper una volta le aveva detto che adesso tutti
loro erano la sua famiglia, ma in fondo non era vero. Erano poche le
persone che considerava davvero parte della sua nuova famiglia: Abby,
Clarke, Bellamy... e ora Kyle. A volte si domandava se lo amasse
davvero, come amava Finn, ma non sapeva darsi una risposta.
Lasciò vagare lo sguardo fino al piccolo fuoco dove erano
seduti
Bellamy e Clarke. La ragazza stava disegnando distrattamente con un
dito nel terreno, e lui semplicemente la guardava, con espressione
assorta.
Il meccanico accennò un sorriso tra sè. Non
riusciva ad
essere arrabbiata con Clarke, che le aveva portato via Finn due volte e
nonostante questo non lo aveva mai amato. Era difficile arrabbiarsi con
un ragazza che aveva affrontato tanto e sofferto ancor di
più.
In quel momento, però, sentì il bisogno di capire.
Si diresse a passo deciso verso di loro.
Clarke e Bellamy alzarono contemporaneamente lo sguardo, sentendo dei
passi avvicinarsi.
Clarke pensò subito ad Emerson, ma vide Raven. Le sorrise.
"Ciao", la salutò, pulendosi la mano sinistra sporca di
terra
sui pantaloni.
Bellamy si spostò per farle spazio, e lei si sedette.
"Ho bisogno di parlarti", esordì il meccanico, guardando la
ragazza.
Bellamy la guardò con curiosità.
"Dimmi". Clarke non si aspettava nulla di buono.
"Tu non guardavi lui... come lui guardava te", disse, con voce bassa ma decisa,
guardandola negli occhi. Non si curò di
apparire debole, o sentimentale. Dopotutto, era in famiglia. Giusto?
Lo sguardo
di Clarke corse ad
incrociare quello di Bellamy con una spontaneità disarmante,
e
lei impiegò un attimo di troppo a capire che Raven stava
parlando di Finn. Il meccanico finse di non accorgersene, e
così
pure il Cancelliere.
Raven non si arrese a quel silenzio un po' imbarazzato, e aggiunse:
"Cosa provavi davvero?"
La bionda abbassò gli occhi sulle proprie mani.
"Non lo so", rispose, con voce un po' roca. Ed era la
verità. "Quando ho..." Non osava concludere la frase.
"Cosa gli hai detto?", incalzò Raven.
Bellamy cominciò a sentirsi a disagio. Gli sembrava di
invadere
una conversazione fin troppo personale, così fece per
alzarsi e
andare via, ma una mano di Raven sul ginocchio lo fermò.
Neppure a Clarke piaceva quel che doveva dire, ma... come tante altre
cose, andava fatto. "Gli ho detto che lo amavo, ma ho mentito. Mi
piaceva, e gli volevo bene. Quando siamo arrivati qui, per tanto tempo
ha rappresentato l'unica persona di cui potessi fidarmi, l'unica
persona che stesse dalla mia parte. Non posso dirti che non provavo
nulla per lui. E' stato importante per me." Finalmente trovò
il
coraggio di guardarla negli occhi. "Prima di essere il tuo ragazzo, per
te era la tua famiglia. Per un po', Finn è stato anche la
mia
famiglia, ma non più di questo." Fece una piccola pausa,
quasi
nella speranza che Raven la interrompesse, ma non fu così.
Continuò. "Non c'è stato tempo per far
sì che i
sentimenti che provavo diventassero amore, e forse non sarebbe successo
in ogni caso. E non credo che lui mi amasse sul serio, anche se lo
diceva."
Raven aveva gli occhi lucidi. "Ma non amava più neppure me",
disse, quasi arrabbiata.
"Però eri ancora la sua famiglia", disse Clarke.
"Già." Raven sorrise debolmente. Chiuse gli occhi e si
alzò senza dire una sola parola in più,
incamminandosi
verso Kyle.
Bellamy si spostò per avvicinarsi a Clarke.
"Stai bene?", le chiese.
La ragazza annuì.
"Davvero non lo amavi?" Bellamy si sorprese della sua stessa domanda, e
se ne pentì all'istante.
Anche Clarke fu sorpresa, ma rispose quasi subito, perchè
aveva
già riflettuto a lungo sull'argomento, prima d'allora. "Non
credo che sarei riuscita ad ucciderlo, se lo avessi amato davvero."
Bellamy non disse nulla.
"Credi che Raven abbia problemi con Wick? E' per questo che
è venuta a parlarmi?", domandò la ragazza.
Bellamy sorrise ironicamente. "Io direi piuttosto che è Wick
ad
avere problemi con Raven. Quella ragazza non è facile da
gestire. Li ho sentiti discutere, stamattina. A lui non piace molto
l'idea che una bella bomba sia la soluzione a tutto."
Clarke rise. "Temo che dovrà abituarsi."
Chiacchierarono qualche altro minuto di argomenti più
leggeri,
poi Kane cominciò a richiamare tutti all'ordine, decidendo i
turni di guardia.
Bellamy fece un profondo respiro, prima di alzarsi. Raccolse tutto il
coraggio che aveva.
"Clarke..."
Lei lo guardò.
"...se sull'isola... Insomma, se fosse necessario..." Distolse lo
sguardo. "Riusciresti ad uccidermi?"
Trascorsero alcuni secondi di silenzio. Troppi. Senza dire altro,
Bellamy finalmente si mise in piedi e s'incamminò per
raggiungere Murphy e Miller, lasciando la ragazza sola.
"Non lo so...", sussurrò Clarke tra sè, quando
ormai lui non poteva più ascoltarla. "Non lo so..."
Si abbracciò le gambe, chiuse gli occhi. Sospirò.
"No, Bellamy", rispose infine, a se stessa, perchè non c'era
nessuno ad udirla.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 52
giorni
dalla sconfitta del Monte.
SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE il tremendo ritardo! Davvero, perdonatemi
ç_ç ho avuto alcuni problemi con il pc e in
più sono stata impegnatissima!!
A prestissimo, lo giuro!
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Altrimenti non me ne sarei andato ***
postS2_19
"Altrimenti non me ne sarei
andato" - Murphy
L'alba.
Erano tutti svegli, e stanchi. Clarke e i due Cancellieri avevano
deciso di partire più tardi, quel mattino, perchè
la sera
prima c'era stata una dura lotta con un piccolo branco di animali
feroci che aveva messo alla prova tutti, e ferito alcuni. Bellamy e
Miller stavano facendo l'ultimo giro di ricognizione tra i loro
compagni.
Nathan si fermò, con un braccio davanti al corpo dell'amico,
per
costringerlo a fare lo stesso. Con un cenno della testa
indicò
poco lontano.
Emori e Murphy erano seduti vicini e parlavano animatamente. Lui aveva
il braccio e il fianco sinistro fasciati, con le bende sporche di
sangue. La sera prima aveva rischiato di morire nel difendere proprio
la
Grounder, e Raven, e si era salvato per miracolo.
Nessuno degli altri
era rimasto ferito così gravemente. Per alcune ore Clarke
aveva
temuto di non riuscire a salvarlo.
Emori gli tirò
su la manica destra, e lo guardò negli occhi, mentre tirava
fuori dalla cintura una boccetta scusa e una bacchetta appuntita.
Bellamy e Miller si guardarono, poi decisero di avvicinarsi.
"Sei sicuro, John?", stava chiedendo la ragazza. "Resteranno per molto
tempo."
Videro Murphy annuire, e cercarono di avvicinarsi ancor di
più, senza dare nell'occhio.
Non ci volle molto affinchè capissero.
Emori stava riproducendo sul braccio destro di Murphy i tatuaggi che
aveva sul proprio.
15
giorni prima
Clarke ed Emerson
camminavano svelti una cinquantina di metri davanti a loro.
Emori era
visibilmente turbata,
non solo per la sparizione del fratello, ma anche perchè
dopo la
botta in testa non ricordava nulla di quanto accaduto. Continuava a
tormentarsi con il pensiero che fosse colpa sua il fatto che il
fratello fosse stato portato sull'isola, che avrebbe potuto fare di
più per impedirlo.
Murphy non diceva
nulla per rassicurarla, o provare a farla sentire meglio.
Era convinto che a
volte il tormento fosse liberatorio.
Aveva vissuto in
questo modo quasi
tutta la sua vita: incolpandosi per qualcosa su cui non aveva mai avuto
il controllo. La morte del padre.
E così per liberarsi di quel peso, aveva cominciato a
infrangere la legge, addirittura a fare del male agli altri, creando
pretesti per tormentarsi, stavolta, sui propri gesti,
perchè in quel modo avrebbe avuto il controllo su tutto,
sulle azioni e anche sui pensieri.
"Manca molto al tuo
villaggio?", domandò la ragazza.
"Non è
proprio un villaggio. Secondo Clarke, mancano almeno uno o due giorni
di cammino."
"Come mai avete
deciso di stabilirvi tra il Popolo degli Alberi?"
Murphy rise
pacatamente. "Non lo abbiamo deciso. Siamo semplicemente atterrati
lì."
Emori lo
guardò.
"Sfortuna", disse solennemente. "Un'altra cosa che abbiamo in comune",
aggiunse in tono scherzoso, e lui rise di nuovo.
Emori gli piaceva.
Non in senso romantico, ma gli piaceva come
persona,
che era una cosa anche più difficile.
"Hai qualcuno che ti
aspetta?" La
ragazza sembrava in vena di chiacchiere, quel pomeriggio, mentre
avanzavano trascinando pesantemente i piedi tra l'erba alta. Murphy era
stanco, voleva solo chiudere gli occhi e accasciarsi sul terreno,
dormire per giorni.
Ma rispose. "No.
Altrimenti non me ne sarei andato."
"Anche Clarke se
n'è andata, eppure mi sembra di capire che è
attesa da qualcuno."
Già. La
madre. Raven. E Bellamy. L'unico che,
in fondo, avrebbe potuto aspettare anche Murphy. L'unico che, in fondo,
si sarebbe accorto della sua assenza. E probabilmente non con
malinconia.
"Non hai stretto
legami da quando
sei... atterrato... qui?", continuò ad insistere la ragazza.
"Anche i cattivi ragazzi di solito hanno qualcuno con cui condividere
il fango che si gettano addosso." Sembrava genuinamente curiosa.
"Legami? Non
proprio". Murphy
pensò al cappio con cui era quasi morto, e quello con cui
era
quasi morto Bellamy. Non il tipo di legami che intendeva Emori,
davvero. Non aveva mai avuto neppure una ragazza.
Anche se... poco
più di un anno prima, in prigione era arrivata una ragazza
nuova.
All'inizio la vide
solo di
sfuggita, nel momento dell'arresto, mentre lui veniva accompagnato
nella minuscola sala mensa in cui cinque detenuti alla volta, sempre
diversi, mangiavano insieme. Nei mesi successivi qualche volta la vide
proprio in questa zona comune, ma non si avvicinò mai per
parlarle. Sentiva i discorsi che lei faceva con gli altri,
però.
Gli piaceva il suono della sua voce, il modo di raccontare le cose, il
modo in cui si muoveva. Fu una sensazione molto strana, per un ragazzo
che era rinchiuso in prigione da ben quattro anni e che da tempo aveva
dimenticato l'esistenza di cose come le emozioni.
La ragazza aveva
raccontato ad
un'altra prigioniera che era stata rinchiusa per aver ucciso il padre.
Lo aveva ucciso perchè da sempre quell'uomo aveva abusato di
lei, torturandola psicologicamente e fisicamente. Le infliggeva
punizioni corporali tremende, e di alcune portava ben visibili i segni
sulle braccia. Erano
sempre oggetti appuntiti, affilati...
l'aveva sentita mormorare alla compagna. E Murphy, che era sempre
rimasto indifferente alla sofferenza altrui, quella volta si
indignò. Si arrabbiò.
Quella ragazza era
naturalmente
arrivata sulla Terra con lui, e molte volte lui avrebbe voluto trovare
il coraggio di avvicinarla e parlarle, ma non lo aveva mai fatto,
proprio come sull'Arca. Quel coraggio gli era sempre mancato,
così come la speranza di essere trattato da lei, almeno una
volta nella vita, come una persona di valore.
Soprattutto la
mancanza di
speranza lo aveva spinto a partire con Jaha. Sperare che Harper fosse
ancora viva, nel Monte, era... troppo. Sperare che ci fosse una
possibilità di salvarla era troppo per lui. Una ragazza con
cui
non aveva mai parlato, che non avrebbe mai visto niente di buono in
lui. Questo era un tormento dal quale voleva scappare, e
così
aveva fatto.
Guardò
Emori. "C'è
una persona che sarà contenta di vedermi tornare indietro.
Bellamy. Così avrà la possibilità di
ammazzarmi di
botte."
Stavolta fu la
ragazza a ridere.
Una volta che ebbero capito l'intenzione di Emori di riprodurre i
tatuaggi sul braccio di Murphy, i due intrusi si allontanarono
silenziosamente, ritenendola una faccenda... privata.
"Alla fine anche Murphy ha trovato una famiglia... o qualcosa di
simile", commentò Miller.
Bellamy annuì. Era bello vedere Murphy finalmente rilassato,
malgrado la situazione. Aveva smesso di uccidere la gente, e aveva
cominciato a salvarla. Sembrava aver trovato il proprio posto nel
mondo. Aveva osservato spesso ultimamente lui ed Emori, e gli
ricordavano molto se stesso e la sorella.
"Vado a cercare Marcus", disse a Miller, perchè era davvero
il caso di allontanarsi.
"E io Jasper", rispose l'amico.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 55
giorni
dalla sconfitta del Monte. Il flashback naturalmente si riferisce al
periodo in cui Clarke, Emerson, Emori e Murphy stavano tornanto al
campo per avvisare gli altri della nuova minaccia.
Ho voluto dedicare un piccolo spazio alla psicologia di Murphy, alla
sua amicizia con Emori e... sì, un po' ad Harper, che come
personaggio mi piace molto.
Mi dispiace per chi resterà deluso della mancata
storia d'amore tra Murphy ed Emori. Mi piacciono insieme, ma ho altri
progetti :P
A tra qualche giorno,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Non so cosa dire ***
postS2_20
Prima del
capitolo volevo ringraziare ancora una volta tutti voi che mi leggete.
Tra "preferita" e "seguita" siete una sessantina di utenti, e quando ho
cominciato a scrivere questa storia non mi aspettavo davvero che
sarebbe stata letta da così tante persone! Anzi, questa cosa
mi mette anche un po' d'ansia :P e un grazie speciale anche a chi
recensisce, perchè mi fa sempre piacere leggere i vostri
pareri, positivi o negativi che siano <3
Buona lettura,
Y**
"Non so cosa dire" - Jasper
Miller non impiegò molto tempo per trovare Jasper. Quel
ragazzo era cambiato molto dai tempi
del Monte, e si era allontanato da tutti, anche da persone come Raven e
lo stesso Miller. Il fatto che considerassero giuste le scelte di
Monty, Clarke
e Bellamy, li rendeva ai suoi occhi colpevoli quasi quanto gli altri.
E ora, davanti agli occhi di Nathan, i due ragazzi che un tempo erano
stati inseparabili migliori amici stavano discutendo pesantemente.
C'era una certa distanza tra loro, e
parlavano a voce bassa, ma era impossibile non capire che si trattava
di una conversazione poco piacevole. Soprattutto per Monty,
giudicò Miller ad una prima occhiata.
Si avvicinò immediatamente.
"Ehi! Che succede?"
"Non sono affari tuoi", rispose brusco Jasper.
Monty strinse i pugni e distolse lo sguardo.
"Certo che sono affari miei", replicò Miller.
Anche Jasper spostò gli occhi sui propri piedi. "Il tuo
amico
pretende troppo", disse. Poi si voltò e, fucile in spalla,
raggiunse Carter e Morgan.
Quella sera, Emerson se ne stava seduto come al solito in disparte, ma
stavolta persino nascosto. Dietro un albero, in ombra, con la testa
abbandonata contro il tronco. Dalle sue spalle provenivano le voci dei
compagni di viaggio che chiacchieravano attorno al fuoco, mangiando e
preparandosi per la notte. Sbirciando leggermente a destra o a
sinistra, poteva vedere le loro ombre.
In quel momento, avvertì fortemente la mancanza di casa sua,
del suo popolo, della sua gente.
Gli mancava anche Clarke, ma non voleva ammetterlo. La ragazza se ne
stava sempre in mezzo agli altri, dove lui non era affatto benvoluto,
ma non poteva biasimarli. Le rare volte in cui la ragazza si
allontanava dalla
folla, era con Bellamy, e lui preferiva non intromettersi.
Sentì dei passi lenti avvicinarsi alle proprie spalle, e
s'irrigidì. Un piccolo tonfo.
Qualcuno si era seduto a pochi metri da lui, dall'altra parte
dell'albero. Non aveva idea di chi potesse essere, ma decise di restare
nascosto.
Dopo un paio di minuti, la prima persona fu raggiunta da un'altra, con
passi più veloci e decisi.
"Ehi", disse una voce femminile leggermente ostile, presumibilmente
quella della nuova arrivata. Emerson la riconobbe. Era Raven.
Si alzò il più silenziosamente possibile.
Fortunatamente il brusio del gruppo non troppo lontano lo aiutava a non
farsi notare.
Sbirciò, giusto in tempo per vedere Jasper (era quindi lui
lo sconosciuto) che si alzava per fronteggiare il meccanico.
"Che succede?", le chiese il ragazzo.
"Succede che ho appena finito di parlare con Miller." Emerson vide con
la coda dell'occhio Raven incrociare le braccia.
Jasper non disse nulla.
La ragazza mantenne l'atteggiamento di sfida per qualche secondo, poi
si arrese. Rilassò le spalle e ammorbidì il tono.
"So che
Maya significava tanto per te. So come ti senti. Io ho perso Finn.
Ricordi?"
Emerson vide Jasper che stringeva i pugni. "Ma lui non è
morto per mano di chi credevi tuo amico", disse con voce dura.
Raven sospirò e a lui parve di vederla chiudere gli occhi.
"Bellamy vi ha raccontato che è stato ucciso dai Grounders a
causa di quel massacro, prima
che chiunque di noi potesse fare qualcosa, ma non è andata
così."
"Cosa?" Lo stupore di Jasper sostituì qualsiasi
ostilità.
"Jasper... Finn è stato catturato
dai Grounders, ma non ucciso. Clarke avrebbe potuto salvarlo decidendo
di attaccare i Grounders, ma così avrebbe fatto saltare
l'alleanza necessaria a salvare i ragazzi nel Monte. A salvare te e gli altri nostri amici.
E quindi non lo ha salvato." Emerson vide una lacrima luccicare. "Non
lo ha salvato", ripetè. "Finn era la
mia famiglia. Ma era una delle persone più importanti al
mondo anche per
Clarke, soprattutto qui sulla Terra. I Grounders lo avrebbero torturato
fino alla morte, così lei lo ha
ucciso prima che potessero cominciare, per risparmiargli almeno la
sofferenza."
Emerson non poteva vedere il viso del ragazzo, ma non faticò
ad
immaginarsi il suo sconcerto e il suo dolore, perchè persino
lui
non era rimasto indifferente alla rivelazione.
"E poi", continuò Raven, senza pietà, con voce
decisa ma
allo stesso tempo rotta da un pianto silenzioso "...poi Lexa ci ha
traditi, e questo significa che Clarke ha ucciso Finn per niente.
Jasper, smettila
di odiare Clarke. Nessuno odia Clarke più di se
stessa. Se io ho potuto perdonarla per aver fatto la scelta migliore,
puoi farlo anche tu. Puoi perdonare lei, Bellamy, e soprattutto puoi
perdonare Monty. Forse dimentichi che la più grande
sofferenza,
per lui, è vedere te soffrire. Non odiarlo soltanto
perchè lui, a differenza di te, ha saputo fare la scelta
migliore."
Jasper
abbassò la testa. "Non so cosa dire". In realtà
avrebbe voluto dirle che
gli dispiaceva per quello che era capitato a Finn, ma in quel momento
non trovò il
coraggio.
Raven si asciugò frettolosamente le lacrime con una manica
della giacca. "Nessuno ti capisce meglio di me, Jasper. Anche io ci ho
messo un po' per accettare la situazione, e perdonarla, ma poi quel
momento è
arrivato. Non stiamo andando a fare una gita di piacere, lo sai, vero?
Voglio darti un consiglio: fa' in modo che il tuo momento non arrivi
troppo tardi."
La ragazza andò via, e Jasper cadde in ginocchio, con la
testa tra le mani.
Emerson alzò lo sguardo al cielo, e osservò le
stelle.
Pensò a Maya, sua nipote. E a Jasper, che l'aveva amata, e
che per
questo in quel momento stava combattendo la guerra più
difficile di
tutte.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 55
giorni
dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo
precedente. Capitolo un po' più corto per farmi perdonare
quello precedente, forse eccessivamente lungo xD La rivelazione della
morte di Finn ai ragazzi nel Monte è una delle cose che il
telefilm ha lasciato in sospeso, e ho voluto dargli una "conclusione" :)
A tra qualche giorno,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Troppo ***
postS2_21
"Troppo" - Clarke
Ormai mancavano poche ore di
cammino, poi finalmente sarebbero arrivati alla famosa riva con i
pannelli solari.
Erano in viaggio da molti giorni, e la fatica si faceva sentire per
tutti.
Alle primissime luci dell'alba, Bellamy aprì gli occhi. Si
tirò su a sedere, e si guardò intorno.
I suoi compagni erano ancora immersi nel sonno, tranne Monroe e Kara,
che avevano l'ultimo turno di guardia. Sedevano lontane l'una
dall'altra, ma ogni tanto si lanciavano delle occhiate quasi
esageratamente ostili.
Bellamy cercò Clarke con lo sguardo. Non la vide.
Cominciò ad allarmarsi. Si rimise in piedi in fretta e
furia,
quasi svegliando Murphy che dormiva accanto a lui. "Monroe...",
chiamò preoccupato.
La ragazza indicò con la testa il pendio che avevano
risalito la sera precedente.
"E' andata da quella parte. Voleva allenarsi con il coltello."
Il giovane Blake annuì, recuperò il fucile e si
avviò in quella direzione.
Ormai erano giunti ben lontano dai boschi, e gli alberi erano sempre
più radi. Continuò ad avanzare e a scendere lungo
un
sentiero sdrucciolevole, aggrappandosi ad alcune rocce. Gli occorsero
ben dieci minuti per trovare la ragazza, che si era fermata in fondo al
pendio, accanto ad un piccolissimo ruscello. C'erano un paio di alberi
lì, e Clarke ne stava usando uno come bersaglio.
Bellamy si fermò ad osservarla poco lontano, per qualche
minuto.
Lei lanciava il coltello, poi andava a recuperarlo, e tornava di nuovo
indietro di cinque o sei metri, e poi lo rilanciava. Non era
bravissima, alcune volte l'arma finiva sul terriccio un po' arido, ma
era migliorata tantissimo rispetto ai primi tempi sulla terra.
Quando il coltello si infilzò per la quinta volta in una
grossolana X tracciata sul tronco, il ragazzo parlò.
"Cosa ti ha fatto di male quel povero albero?" Sorrise ironicamente,
incrociando le braccia.
Quando aveva aperto bocca, Clarke si era immobilizzata dopo un
sussulto.
Si voltò
lentamente a guardarlo. "Mi hai spaventata", ma ora pareva chiaramente
sollevata.
Bellamy la raggiunse. "Non avresti dovuto allontanarti così
tanto dal gruppo."
"Oh, ma per favore!", e le sfuggì una risata, poi si
abbassò,
immerse una mano a coppa nel ruscello e, prima che lui potesse rendersi
conto della minaccia, provò a schizzarlo con l'acqua.
Lo colpì al fianco. "Come hai osato!", esclamò il
ragazzo, posando il fucile. Avanzò a grandi passi, diretto
al
ruscello, per ricambiare il favore, ma Clarke si frappose tra i due.
"Ehi, tu mi hai spaventata. Così siamo pari."
Allargò le braccia per impedirgli il passaggio.
Bellamy la guardò negli occhi per un istante. "D'accordo."
Finse
di arrendersi, ma un attimo dopo le circondò la vita con le
braccia e la sollevò leggermente, per spostarla. Non si
aspettava la reazione d'istinto di Clarke, che senza neppure rendersene
conto cominciò a scalciare e a dargli forti pacche sulle
spalle.
Per la sorpresa, Bellamy la lasciò andare in fretta, ma
rischiò di farla cadere, così
l'afferrò di nuovo
per i fianchi, con fermezza, ma stavolta più dolcemente.
Si guardarono negli occhi, e il tempo si fermò. Era da molto
che entrambi non sorridevano così.
In quel momento passarono loro per la testa fin troppi pensieri.
Bellamy pensò che stringerla tra le braccia era la
sensazione
più bella che avesse mai provato. Desiderava attirarla a
sè, accarezzarle la schiena, le curve, il viso. Distolse per
un
attimo lo sguardo dagli occhi azzurri della ragazza, e lo
posò
sulle labbra. In effetti, erano molte di più le cose che
avrebbe desiderato fare.
Clarke invece pensò che quel momento stava facendo la
differenza tra
un'amicizia fraterna e qualcosa di più. Ai tanti motivi per
cui
avrebbe potuto -o voluto?- passare la vita con lui, come la fiducia, il
rispetto, e la simpatia, adesso se n'era aggiunto un altro. Avrebbe
giurato di poter sentire lo scoppiettio delle scintille tra loro. Ma
non avrebbe dovuto sentirle. Non era giusto.
Bellamy fece un passo avanti, senza lasciarla. Ormai non c'era
più spazio tra loro.
E Clarke capì che stava per baciarla, e che poi non
sarebbero
potuti tornare indietro, che tutto sarebbe cambiato. Fece un passo
indietro, e per la sorpresa e soprattutto la delusione, il ragazzo
lasciò la presa ed indietreggiò a sua volta.
"Bellamy..."
Ma lui alzò una mano per zittirla. Eccolo, di nuovo quel
tono.
Quante volte Clarke sarebbe stata in grado di spezzargli il cuore
semplicemente pronunciando il suo nome?
Ma la ragazza continuò, distogliendo lo sguardo da lui. "Hai
sempre cercato di farti carico delle mie pene. Hai sempre messo la tua
vita dopo la mia. Devo farti un elenco? Proprio ora, ti sei fatto
carico di una missione pericolosissima con questa macchina di cui non
sappiamo nulla e che potrebbe ucciderti senza pensarci due volte
soltanto perchè non sei d'accordo con lei. Tutto questo, per
non
farmi pesare la necessità di un'altra alleanza con i
Grounders."
Bellamy non disse nulla,e Clarke andò avanti. "Avresti
rinunciato alla missione nel Monte, per me. Eri disposto a lasciare i
nostri amici in quella situazione, per non farmi soffrire ancora dopo
la morte di Finn." Di nuovo, il ragazzo restò in silenzio, e
lei
proseguì. "Persino durante il periodo dell'epidemia portata
da
Murphy cercavi di strapparmi un sorriso. Mi hai sempre protetta, sempre
con una mano al fucile, sempre il tuo corpo tra il mio e quello dei
nemici. Bellamy... a volte mi sembra come se non fosse giusto. A volte
mi sembra, semplicemente... troppo."
La verità era che Clarke aveva dimenticato cosa significava
essere amata. Da quando il padre era morto, aveva dimenticato che a
volte ci sono persone che semplicemente ti amano più di
qualsiasi altra cosa al mondo, senza condizioni. E che questo amore
è profondo, giusto, naturale, non eccessivo.
Aveva dimenticato
che questo amore è un dono, non un fardello.
Bellamy indietreggiò ancora di qualche passo,
perchè
finalmente si era reso conto di quel che accadeva nei pensieri di
Clarke.
Sorprendendola, sorrise. "Ti ricordi quando non volevi togliere il
bracciale?". Si riferiva ai primi giorni sulla Terra. La ragazza
annuì e lui continuò. "Bè, ti
consideravo... un problema." Ora
accennò un sorriso anche lei. Lui si schiarì la
voce per
trovare la forza di andare avanti, e proseguì. "Dissi a
Murphy
che ti avrei tolto quel bracciale a qualsiasi costo. E non stavo
scherzando. Poi tu sei caduta nella trappola dei Grounders, e
istintivamente ti ho salvato la vita. In quel momento ho pensato di
aver commesso uno degli errori più stupidi della mia intera
esistenza."
Si voltò, le diede le spalle, e cominciò a
risalire il pendio, lasciandola turbata, senza parole.
Ma lui aveva bisogno di prendere le distanze per dirle quello che
voleva. Prima di allontanarsi troppo, si girò di nuovo a
guardarla.
"Quello stupido errore si è rivelato il migliore della mia
vita.
Sono contento di averlo commesso, e non smetterò mai di
rifarlo.
Non smetterò mai di salvarti, in tutti i modi in cui una
persona
può essere salvata." La voce di Bellamy continuava ad essere
ferma, sicura, al contrario delle sue emozioni. "Non solo per te,
Clarke. Per me. Quando salvo te... salvo anche me." Sorrise. "Non
voglio perderti." Riprese il cammino e sparì
alla vista.
Solo dopo qualche minuto Clarke si permise il lusso di piangere.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 59
giorni
dalla sconfitta del Monte. "In tutti i modi in cui una persona
può essere salvata"... concedetemi la citazione da Titanic
u.u
Non mi piace molto questo capitolo. Non sono una persona molto
romantica e sdolcinata, di conseguenza non mi riesce bene scrivere di
queste cose xD spero comunque che vi sia piaciuto :) e vi giuro che non
manca molto a qualcosa di molto Bellarkromantico u.u
A tra qualche giorno,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Non si sa mai ***
postS2_22
"Non si sa mai" - Bellamy
Solo poche ore, poi avrebbero
raggiunto i pannelli solari e la recita sarebbe iniziata.
Kane stava parlando con Kara e il signor Miller, che insieme a Clarke
avrebbero guidato il gruppo più numeroso.
Raven stava spiegando alcune cose a Monroe e Tyler. Avrebbe lasciato
alla ragazza tutti gli appunti su cui aveva lavorato con Wick e Monty.
Non potevano correre il rischio di portarli con loro, ed era comunque
necessario che anche altri avessero a disposizione quelle informazioni.
Non si sa mai.
Ma quello non era solo il momento di coordinarsi e ripassare il piano.
Era anche il tempo dei saluti.
Bellamy raggiunse Miller. Il ragazzo stava controllando le proprie
armi, tra cui un pesante martello, souvenir che aveva preso dal Monte.
"Ehi", lo salutò il Cancelliere, sistemandosi il fucile in
spalla.
"Tutto pronto? Ti ho visto confabulare con Monty, prima", gli sorrise
Miller.
"Tutto pronto. Per quanto possa essere pronto un azzardo del genere."
Con i suoi amici era stato sincero fin dall'inizio, non aveva indorato
la pillola.
"Già", commentò Miller, col sorriso che scivolava
via. "Sarà pericoloso e con poche speranze su entrambi i
fronti."
Il giovane Blake lanciò un'occhiata a Clarke, in lontananza,
che a sua volta osservava da lontano Emerson. Il Mountain Man
ricambiava lo sguardo della ragazza. Sembrava una lotta silenziosa a
chi avrebbe ceduto per primo e raggiunto l'altro.
"Devo chiederti un favore", disse Bellamy.
Miller annuì, in attesa.
"Tieni d'occhio Clarke, okay?"
"Sa cavarsela", commentò Miller. "Ma ho capito."
Si scambiarono un cenno d'intesa, poi Bellamy gli diede una pacca sulla
spalla in un muto ringraziamento.
"Cosa mi sono perso?" Murphy spuntò alle loro spalle. "Con
queste facce serie sembra quasi che stiamo per entrare in guerra."
Gli altri due risero.
"Ce l'hai una pistola?", domandò Bellamy.
Murphy indicò una spada corta presa in prestito da Emori,
che gli aveva anche insegnato ad usarla. Era il tipo di arma che
accompagnava i tatuaggi sul braccio. Un simbolo del suo clan. "Solo
questa."
Bellamy sfilò una pistola dalla cintura e gliela
passò. "Non si sa mai." Li guardò entrambi. "Mi
raccomando: lavoro di squadra. Come ai vecchi tempi."
Fu Emerson a cedere, e a raggiungere Clarke. Aveva un brutto
presentimento.
Nella vita non si sa mai, e di solito il suo sesto senso non sbagliava.
A giudicare dall'espressione della ragazza, questo brutto presentimento
era condiviso.
Appena la raggiunse, fu Clarke a parlare per prima.
"Non ti perdonerò mai per quello che hai fatto." Lo disse
duramente, ma sembrava che la cosa la rendesse triste.
"Neppure io", replicò Emerson.
Al di là del torto e della ragione, uno di fronte all'altra
si trovavano due persone che si erano distrutte le vite a vicenda. E
poi si erano aiutati l'un l'altro a ricostruirle.
Distolsero entrambi lo sguardo.
"Ma...", cominciò Emerson, quasi sussurrando.
"...grazie", conclusero insieme, contemporaneamente, a voce
più alta. Per la sorpresa, si guardarono di nuovo negli
occhi.
Non avrebbero mai potuto perdonarsi a vicenda, ma grazie all'altro
erano riusciti a perdonare se stessi, molto più di quanto
potessero sperare.
Restarono immobili e in silenzio qualche istante, poi Emerson
allungò lentamente un braccio, e delicatamente
sfiorò con il dorso della mano una spalla di Clarke.
Lui accennò un sorriso, la ragazza annuì, poi
colui che era stato un Mountain Man si voltò e la
lasciò sola.
Non sapevano spiegare il perchè, ma entrambi avevano
l'impressione che questo fosse un addio.
Nonostante tutto, Clarke sperò ardentemente di sbagliarsi.
Nota
dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 59
giorni
dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo
precedente.
Per cominciare voglio scusarmi per tutti questi giorni di attesa e per
non aver ancora risposto alle bellissime recensioni del capitolo
precedente (grazie!! <3) ma ho avuto come al solito problemi con
il pc -_-" non ce la faccio più -_-"
E poi voglio rassicurarvi che non mi sono dimenticata della missione
parallela di Lincoln e Octavia xD a breve torneranno su questi schermi!
A tra qualche giorno,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Diamo il via alle danze ***
postS2_23
"Diamo il via alle danze" - Kane
Finalmente raggiunsero i
pannelli solari.
Murphy reagì con disgusto, alla vista di quel luogo.
Emori con apprensione, poichè probabilmente ne conservava un
ricordo anche peggiore.
Emerson e Clarke osservarono la scena con un misto di timore e
rassegnazione.
Tutti gli altri, con meraviglia. Wick, Raven, Monty e Jasper erano
addirittura affascinati.
I Grounders accompagnavano lo stupore con la preoccupazione, e
così Kane.
Bellamy lo raggiunse.
"Diamo il via alle danze", gli disse Marcus, cupamente. Sembrava quasi
aver fretta. Voleva che tutto finisse il prima possibile.
Bellamy annuì, e poi guardò altrove, verso
Clarke, ma non appena i loro occhi si incrociarono, distolsero entrambi
lo sguardo.
L'ultima conversazione tra loro degna di questo nome era stata quella
al ruscello, in cui Clarke si era pentita di non essersi lasciata
andare, e Bellamy si era pentito per l'esatto contrario.
Dunque non avevano deciso cosa dirsi sull'isola, quando la recita
sarebbe ufficialmente iniziata.
Kane prese il comando, li condusse alle barche, e sperò con
tutto il cuore che il piano funzionasse.
Troppe cose potevano andare storte, e non avevano neppure la certezza
che quei tre ragazzi sarebbero riusciti a disattivare la macchina, se
anche l'avessero trovata. Aveva acconsentito a mettere Bellamy in una
posizione così rischiosa soltanto perchè avrebbe
potuto
tenerlo d'occhio personalmente. Si era incredibilmente affezionato al
ragazzo nelle ultime settimane, con stupore di tutti e di se stesso per
primo.
E se invece fosse successo qualcosa a Clarke? Con quale coraggio
avrebbe potuto guardare di nuovo Abby negli occhi?
*
Persero tre uomini.
La traversata in mare fu devastante.
L'isola era già perfettamente visibile all'orizzonte, quando
furono attaccati da una creatura marina gigantesca, spaventosa. La
stessa che Murphy aveva incontrato nel suo primo viaggio, e che per
fortuna non aveva rivisto al ritorno.
Ci furono pochi minuti di terribile confusione.
Alcuni caddero in acqua.
Kara fu la prima.
Nathan Miller il secondo, seguito a ruota da Murphy, che aveva tentato
di trattenerlo a bordo.
E poi Tayler, e Smith.
Kane dovette trattenere Monroe, che istintivamente stava per tuffarsi
per salvare Kara, e per poco non caddero anche loro due.
I Grounders sotto il comando della ragazza, invece, si gettarono tutti.
Riuscirono a rimetterla sulla barca e provarono a risalire, ma uno di
loro non fu abbastanza svelto.
Quando Murphy e Nathan scomparvero sotto la superficie agitata, si
tuffarono due persone. Il primo fu il signor Miller. Il secondo fu
Bellamy.
Persino con tutta quella confusione si potè udire l'urlo
straziante di Clarke. Servirono gli sforzi congiunti di Emerson, Monty
e Raven per trattenerla a bordo.
Nel frattempo, Wick aveva tirato su Smith, ma per Tyler non ci fu nulla
da fare.
Murphy non smentì la sua natura di sopravvissuto, e venne
tratto
in salvo, con Bellamy. Si affrettarono a recuperare il loro amico, ma
l'urlo disperato di Clarke non fu nulla confrontato a quello del
giovane Miller, alla vista di suo padre che spariva tra le fauci della
bestia.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 59
giorni
dalla sconfitta del Monte nella prima parte, e 60 nella seconda.
Ebbeeene, cominciano i morti. Sì, cominciano,
perchè non
sono finiti. Sapete che provo a restare fedele alla serie tv :P
Non volevo scrivere nulla di troppo drammatico perciò ho
optato
per una narrazione veloce e ordinata, spero che il paragrafo vi sia
piaciuto.
Volevo dirvi che ho fatto due calcoli e se non mi viene in mente di
aggiungere alcune scene all'ultimo momento, i capitoli totali di questa
fanfic saranno 33! Quindi ne mancano solo dieci! (Ma conoscendomi
è più probabile che i capitoli saranno 35 ahahah)
Come sempre grazie a tutti quelli che mi seguono <3
A tra qualche giorno,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** May we meet again ***
postS2_24
"May we meet again" - Bellarke
L'umore non era dei migliori
quando finalmente, all'alba, sbarcarono.
Bellamy era ferito ad una gamba, Smith ad una spalla, e tutti erano
fortemente provati dalla navigazione. Per fortuna nessuno di loro era
grave.
Miller era ancora visibilmente sconvolto, il viso una maschera di
dolore e rabbia.
Kane guardò i suoi compagni di viaggio, scambiò
un cenno
d'intesa con Bellamy e Wick, poi diede il via allo spettacolo.
Cominciò a raccontare d'aver mentito; che lui, Wick,
Emerson,
Monty, Jasper e Raven volevano incontrare Jaha, che dunque non erano
lì per salvare i Grounders, ma perchè credevano
che l'ex
Cancelliere dell'Arca potesse avere ragione, ed erano interessati ad
ascoltarlo.
E poi Bellamy e Clarke cominciarono a discutere con Raven e Monty,
fingendosi sconvolti, chiedendo loro di ragionare e di non seguire
Kane. Senza successo, naturalmente, come da copione.
E infine Bellamy prese in disparte Clarke, continuando a recitare, a
beneficio di eventuali droni nascosti.
"Non mi piace questa storia", le disse. "Andrò con loro, per
tenerli d'occhio, e per scorprire di preciso cos'ha in mente Jaha."
"Non andare", lo supplicò lei, e quelle due parole ebbero su
Bellamy la potenza di uno schiaffo. Perchè Clarke, in quel
momento, non stava recitando. Poteva leggerglielo negli occhi. E decise
di smettere di fingere anche lui.
"Devo. E' la cosa giusta. Starò attento." Si guardarono
profondamente negli occhi per un istante, quasi come se fossero soli e
non circondati dalla loro gente e da possibili spie meccaniche. Poi,
ricordandosi del piano, il ragazzo aggiunse: "Cercherò di
farli
ragionare, e poi vi raggiungeremo."
Clarke annuì, stringendo i pugni.
Bellamy si allontanò da lei con decisione. "Kane!",
urlò,
sistemandosi il fucile in spalla. "Vengo con voi. Sono curioso di
ascoltare la versione di Jaha", disse con ironia.
Kane cominciò a protestare e minacciare, ma si
lasciò convincere da Raven ad accoglierlo nel gruppo.
E i giochi finirono.
In questo modo, A.l.i.e. avrebbe considerato Bellamy una seccatura, ma
non una minaccia, e se la situazione fosse diventata sospetta, avrebbe
puntato il dito su di lui e non sui reali colpevoli, che dovevano poter
agire indisturbati.
Si incamminarono, voltando le spalle agli altri, con Bellamy che ancora
si fingeva riluttante. Rimanse indietro poichè zoppicava
ancora un po', distanziandoli di qualche
centinaio di metri, e ben presto rimase solo lui ad avanzare lentamente
nella sabbia, mentre Kane e gli altri sparivano dietro una collinetta.
Anche il gruppo più numeroso riprese il cammino, guidato da
Murphy, ma Clarke non si mosse.
Rimase immobile ad osservare Bellamy allontanarsi sempre di
più da lei.
Quante volte ancora sarebbero stati così fortunati da
ritrovarsi?
Cominciò a correre.
"BELLAMY!"
Lui si fermò, e si voltò giusto in tempo per
accoglierla
tra le braccia, e prima che potesse capire cosa stava succedendo, lei
lo baciò.
E Bellamy la strinse forte, ricambiò il bacio come se non
avesse
mai desiderato nulla così tanto in tutta la sua vita, e
probabilmente era proprio così.
Per un folle istante decise che non l'avrebbe lasciata.
Clarke era stata baciata due volte da quando era arrivata sulla Terra.
La prima volta da Finn, e la seconda volta da Lexa. Nessuno dei due
baci era stato voluto, ma dopo averli ricevuti aveva creduto di averne
avuto bisogno. Con Finn, per sopportare il peso delle
responsabilità che la stavano sommergendo. Con Lexa, per
rendersi conto che era possibile ricominciare una nuova vita
dopo tutta quella sofferenza. Ma in entrambi i casi si
trattava solo di illusioni.
Con Bellamy non c'era alcuna illusione, era tutto reale, la gioia e
anche il dolore. Reale e condiviso. Era la vita, la forza che la
aiutava a superare qualsiasi cosa. Era quel tipo di amore che aveva
imparato a conoscere grazie al padre, e che credeva perduto per sempre.
Il dono, non il fardello.
Bellamy aveva lasciato che fosse lei a decidere se voleva quel
bacio tra loro, se ne aveva bisogno, e quando. Era davvero riuscito a
trasformare quel bacio in un dono.
Quando si separarono, Clarke lo guardò negli occhi. "May we
meet
again", gli disse quasi senza fiato, come l'ultima volta che si erano
salutati, ma stavolta sorrideva.
"May we meet again", rispose Bellamy, e sorrideva anche lui.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 60
giorni
dalla sconfitta del Monte.
Finalmente potete capire il senso del banalissimo titolo che ho dato a
questa storia xD e spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto.
A tra qualche giorno,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 25 *** Dovrete raccontarmi un bel po' di cose ***
postS2_25
"Dovrete raccontarmi un bel
po' di cose" - Luna
Nyko,
Jackson ed Echo non ricevettero quella che si potrebbe definire una
calorosa accoglienza. Avevano raggiunto il territorio del
Popolo delle Dune, ma Echo non conosceva di persona la Comandante.
Conosceva un semplice guerriero, che faticò non poco per
procurar loro un incontro.
Quando finalmente furono ricevuti, Jackson trasalì. Non
aveva
mai visto una donna così grossa. Neppure un uomo, in
verità. Sarah, così si chiamava la Comandante,
castana di
capelli e di occhi, era alta circa due metri, con un fisico asciutto e
muscoloso, la pelle poco più chiara di quella di Lincoln,
ricoperta di tatuaggi
dalla testa ai piedi. Portava addosso almeno una decina di armi,
inclusi un arco e una faretra. Nonostante tutto, riusciva a conservare
una certa femminilità, nei modi e nello sguardo.
"Chi è lui?", chiese immediatamente, guardando Jackson. "E
cosa potrebbe mai volere Lexa da me, di questi tempi?"
Octavia aveva l'impressione di viaggiare da mesi, invece non erano
passate neppure due settimane.
Il Popolo del Mare viveva in un territorio bellissimo. La natura aveva
colori brillanti, gli animali erano più rumorosi, persino
l'aria
aveva un profumo particolare.
E cosa dire del mare? La giovane Blake era rimasta completamente
affascinata da quell'immensa distesa di onde violente color piombo.
Avevano raggiunto quella zona due giorni prima, ma erano stati
costretti ad attraversare alcuni villaggi prima di arrivare ad Ariel,
la capitale.
Ariel era un villaggio gigantesco, una vera e propria città,
e
sorgeva sul mare. Aveva un porto e delle navi, anche. Erano tutte
barche a vela, dalla forma lunga e stretta, e la punta era intagliata
in figure gigantesche che sembravano mostri marini.
In quel momento, Octavia, Lincoln e la Consigliera Quinn stavano
aspettando in una casupola l'arrivo di Luna.
Nyko, Jackson ed Echo, invece, avevano preso un'altra strada e
probabilmente erano già arrivati dal Popolo delle Dune
alcuni
giorni prima.
La Comandante del Popolo del Mare entrò senza bussare,
scortata da due Grounders armati fino ai denti.
La prima cosa che fece fu sorridere.
"Lincoln", disse con affetto, e si avvicinò all'uomo per
stringerlo in un rapido abbraccio, che lui ricambiò.
Octavia provò un'istintiva simpatia per Luna. Era alta, con
i
capelli rossicci, gli occhi azzurri come quelli di Clarke e la
carnagione molto chiara. Dimostrava circa una quarantina d'anni, o
pochi di meno, ed era ricoperta di tatuaggi color piombo, proprio come
il mare d'inverno su cui si affacciava il suo popolo.
Luna si staccò da Lincoln e gli disse scherzosamente:
"Quando
abbiamo combattuto insieme contro la Nazione dei Ghiacci non eri
così grosso." Guardò la ragazza Blake
velocemente, poi
spostò lo sguardo sulla nervosa Quinn.
"Non sei una Grounder", constatò. La Consigliera
annuì debolmente.
"Mi sono arrivate voci sul Popolo del Cielo", continuò la
Comandante. "Ma dovrete raccontarmi un bel po' di cose."
Octavia sorrise. Quinn non era una Grounder, ma lei sì.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 57 giorni (nel primo
paragrafo) e 61
giorni
(nel secondo paragrafo) dalla sconfitta del Monte.
Sì, ho chiamato la capitale del Popolo del Mare proprio
Ariel,
come La Sirenetta. E la Comandante del Popolo delle Dune l'ho chiamata
proprio Sarah, come il deserto. Ehggià. Compatitemi.
Scusatemi tanto il ritado e il capitolo di "presentazione". Tra
pochissimi giorni ne arriverà uno collegato!
A tra qualche giorno,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 26 *** Io non ho mai paura ***
postS2_26
"Io non ho mai paura" - Octavia
Fu
a dir poco complicato spiegare a Sarah e agli altri rappresentanti del
Popolo delle Dune la situazione. Erano giunte voci sugli Sky People
(voci alle quali non avevano creduto) ma nulla sulla sconfitta della
misteriosa minaccia che da tempo tormentava il Popolo degli Alberi.
Parlare della Città della Luce e della macchina fu ancora
più arduo, soprattutto perchè dovettero chiarire
da
subito di stare agendo alle spalle di Lexa, e Sarah dubitò
di
ogni parola.
"Non interverremo", disse con voce autorevole. "Ma potrete andarvene
senza conseguenze."
Jackson fece per insistere, ma Echo gli tappò la bocca con
una
mano giusto in tempo. "Taci", sibilò, e cominciò
a
strattonarlo fuori dalla tenda della Comandante. Nyko la
ringraziò, poi seguì i compagni all'esterno.
Si allontanarono in silenzio dal villaggio, a passo svelto, arrancando
sul terriccio arido.
"Perchè ci siamo arresi così in fretta?", chiese
Jackson con rabbia, quando furono soli.
"Perchè a Sarah non piace che vengano messe in discussione
le sue decisioni", rispose la donna.
"E può decidere così? Da sola? Senza consultare i
Capi Clan?"
"Lei fa sempre così."
"Ma Luna riunirà i suoi Capi Clan", si intromise Nyko. "Ci
vorrà del tempo. Se saremo fortunati riusciremo a
raggiungere la
capitale prima della loro partenza."
Quando Nyko, Jackson ed Echo raggiunsero finalmente Ariel, la Capitale
del Popolo del Mare, trovarono una bella sorpresa.
Oltre a Quinn, Lincoln e Octavia, ad accoglierli c'erano anche Luna,
tutti i Capi Clan del Popolo del Mare, ed infine Sarah e decine di
guerrieri del Popolo delle Dune.
"Ho cambiato idea", disse semplicemente Sarah. Si erano messi in
viaggio a cavallo e li avevano superati.
"Le navi sono quasi pronte", disse Luna. "Preparatevi a partire.
Domani, all'alba."
Quella notte Octavia non riuscì a prendere sonno. Era
preoccupata per Bellamy e per i suoi amici. Cosa stavano facendo
sull'isola? Il piano aveva funzionato? Avrebbero agito di lì
a poco, o avrebbero aspettato ancora l'aiuto dei Grounders? Se la
decisione fosse spettata a Clarke, sicuramente la ragazza non avrebbe
aspettato. Avrebbe agito. E non poteva di certo biasimarla.
Octavia si sentiva anche in colpa,
perchè un po' le dispiaceva lasciare quel luogo. Si era
innamorata del mare, della sensazione di forza e libertà che
riusciva a trasmetterle. Il campo degli Sky People non era la sua casa,
e non lo era più neppure il Popolo degli Alberi. Credeva di
aver trovato il suo posto nel mondo, e invece il comportamento di Lexa
l'aveva privata anche di quello. Ma lì, in quel villaggio di
pescatori, si sentiva a proprio agio.
Si rigirò sotto la coperta, e sbuffò leggermente.
Anche Lincoln si mosse accanto a lei. "Tutto okay?",
sussurrò nel buio.
"Sì", rispose semplicemente la ragazza.
"Sei spaventata per il viaggio in barca? Per quello che troveremo
sull'isola?", chiese il Grounder.
Octavia scosse la testa, poi si ricordò che lui non poteva
vederla. "Io non ho mai paura", rispose.
"Lo so", disse Lincoln, poi l'abbracciò stretta, e
lei finalmente si rilassò.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 57 giorni (nel primo
paragrafo) e 63
giorni
(nel secondo e nel terzo paragrafo) dalla sconfitta del Monte.
Bruttino questo capitolo, come il precedente, chiedo scusa :(
Mi sono serviti un po' a spiegare quello che poi succederà
nei prossimi :)
La fanfic è quasi finita, complimenti a chi continua a
tenere
duro xD e grazie a tutti quelli che mi seguono e recensiscono <3
<3 <3
A tra qualche giorno,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 27 *** Non ci ritengono una minaccia ***
postS2_27
"Non ci ritengono una
minaccia" - Miller
L'accordo era semplice: dopo
tre giorni Clarke avrebbe dovuto provare ad avvicinarsi alla villa.
"Sei preoccupata", fece notare Miller, mentre avanzavano con attenzione
tra le sterpaglie, guardandosi intorno. La seguiva a pochi passi di
distanza, senza toglierle mai gli occhi di dosso.
"Tu non lo sei?", replicò la ragazza, con una mano sulla
pistola. Anche l'amico stringeva un fucile, pronto all'uso.
"C'è qualcosa di strano", disse Miller, invece di rispondere.
Clarke annuì. "Non solo ci hanno lasciati in pace fino ad
ora,
ma non ci stanno attaccando neanche adesso che ci stiamo avvicinando."
"Forse non ci ritengono una minaccia", ipotizzò il ragazzo.
"O forse vogliono che comunichiamo tra noi."
"O forse entrambe".
Clarke sospirò, poi si voltò a guardarlo,
continuando a
camminare. "Non era necessario che mi accompagnassi", gli disse, ma non
troppo duramente. Miller aveva appena perso il padre, e lei ricordava
fin troppo bene come ci si sentisse.
"Per cominciare, ci sono i miei due migliori amici chiusi in quel
posto. Inoltre, un po' di compagnia o di aiuto non possono farti male."
E poi, aveva fatto una promessa.
Bellamy la stava aspettando da ore, sempre più nervoso,
fingendo
semplicemente di passeggiare casualmente davanti ad ogni finestra del
piano terra. Lui e gli altri erano liberi di vagare per l'edificio, e
anche di uscirne. Non erano prigionieri. Gli altri si trattenevano
lì
perchè fingevano di essersi schierati con Jaha, e lui
perchè fingeva di non voler abbandonare i suoi amici.
Però A.l.i.e. aveva confiscato le armi a tutti.
All'improvviso li vide. Si affacciò in tutta fretta,
bruscamente; non potè evitarlo. Erano proprio loro: Clarke e
Miller. Stavano bene.
Rischiò quasi di scoppiare a ridere per il sollievo.
Si precipitò fuori dalla villa, perchè non voleva
farli avvicinare troppo.
Quando Clarke alzò lo sguardo e lo vide, ad entrambi si
fermò il cuore per un momento.
La ragazza arrestò il passo, chiuse gli occhi e
sospirò.
Era vivo. Stava bene. E dal suo sorriso intuì che anche per
Raven, Monty e gli altri era lo stesso.
Bellamy invece non si fermò e la raggiunse, a qualche
centinaio
di metri dalla villa. La circondò con le braccia e la
strinse al
petto, dandole un rapido bacio sulla tempia, e guardò Miller
da
sopra la spalla della ragazza. "Come state?" domandò, mentre
liberava
Clarke dall'abbraccio. Bellamy si riferiva soprattutto a Miller stesso,
e lui lo capì.
"Tutti alla grande", rispose cupamente. "E voi? Monty?" Sembrava teso,
e si rilassò solamente quando l'altro gli
assicurò che
anche nella villa stavano tutti bene.
"Perchè Jaha e la macchina ci hanno lasciati in pace per ben
tre
giorni?", domandò subito Clarke. "Perchè ci
lasciano
liberi di cercare i prigionieri?".
In realtà Murphy ricordava benissimo dove il fratello di
Emori e
gli altri Grounders erano segregati, ma stavano prendendo tempo in
attesa di notizie da Octavia e dal gruppo nella villa.
Bellamy la guardò negi occhi. "A loro non conviene ci siano
spargimenti di sangue inutili finchè non sarà
necessario", rispose. "Finchè non diventate una minaccia,
non
vogliono perdere uomini".
Clarke annuì, ricambiando lo sguardo con decisione.
Non c'era imbarazzo tra loro. In quel momento erano i soliti Clarke e
Bellamy, che lottavano per salvare la loro gente, con quella cieca
fiducia nell'altro che li contraddistingueva.
"Clarke." Bellamy la guardò intensamente. Aveva bisogno che
la ragazza capisse.
La trasse a sè. Miller distolse lo sguardo. Le cinse la vita
con le mani, continuando semplicemente a guardarla.
E lei capì. Sgranò leggermente gli occhi per la
sorpresa,
ma durò solo un attimo, poi annuì, e quando lui
si
allontanò, lei infilò le mani nelle tasche della
giacca.
Si salutarono, e ognuno tornò dal proprio gruppo.
Solo quando scese la notte, Clarke si rintanò in un
angolino,
vicino al fuoco dove Emori e Smith stavano cuocendo della carne, ed
estrasse un pezzetto di carta dalla tasca sinistra della sua giacca.
Il nostro amico aveva
ragione. Mi manchi, mentre sono qui nella villa.
Ti vorrei con me, ma so che dovete continuare a cercare come avete fatto fino ad
ora. Ogni tanto passeggio nei dintorni pensando a te e a me.
Quando sarà il momento di stare di nuovo insieme, lo
capirai. -B.
La calligrafia era distorta, come se Bellamy avesse scritto cercando di
tenere in tutti i modi il foglio nascosto. Nonostante questo, aveva
preferito scrivere in modo che solo lei capisse.
Clarke bruciò il messaggio.
Murphy aveva ragione: A.l.i.e. e Jaha volevano costruire altre bombe e
replicare il disastro di novant'anni prima. La macchina era nella
villa. Dovevano continuare a fingere di cercare i Grounders
prigionieri. E doveva controllare periodicamente il posto dove si erano
incontrati, perchè quando Raven, Wick e Monty avrebbero
trovato
il modo di salvarli tutti, lui le avrebbe lasciato un indizio per
avvisarla che era arrivato il momento di agire. E a quel punto, ognuno
avrebbe fatto la propria parte, e forse il piano avrebbe funzionato.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 63 giorni dalla sconfitta
del Monte.
Mi dispiace se i due capitoli precedenti sono stati piuttosto bruttini
:( spero di essere tornata in carreggiata con questo xD
A tra qualche giorno,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 28 *** Esploderà ***
postS2_28
"Esploderà" - Wick
Quattro giorni dopo, trovarono
la soluzione.
Raven, Wick e Monty si guardarono negli occhi, tesi. Era la prima volta
che si confrontavano con una responsabilità così
grande.
Ovviamente.
Il peso dell'umanità pesava sulle loro spalle, sulla
loro conoscenza e sulle loro decisioni. Non era facile, non era giusto.
Proprio come tutto ciò che era successo da quando avevano
lasciato l'Arca.
A volte, Monty si era ritrovato a pensare che forse il loro destino non
era quello di tornare sulla Terra per sopravvivere, ma per morirvi.
"Esploderà", sussurrò Wick nervosamente.
L'inevitabile conclusione.
"Già." Monty si massaggiò le tempie.
"Dannazione!", sbottò Raven, e si trattenne per poco dal
prendere a pugni un muro.
Come al solito, ciò che avrebbe dovuto salvarli, stava per
diventare una condanna.
"Monty, non è giusto", tentò per l'ennesima volta
Wick.
"Non possiamo decidere così. Non puoi decidere da solo."
"Lascia che sia uno di noi", aggiunse Raven, riferendosi
però a se stessa.
"Lascia che sia io,
vorrai dire", disse duramente Wick.
"Ragazzi..." Monty sorrise, scosse leggermente il capo. "Basta."
Decisero di avvertire subito
gli altri. Era inutile aspettare oltre, avevano rimandato
già da troppo.
"Ehi", Bellamy salutò il meccanico, quando la vide
avvicinarsi a
lui, Emerson, Jasper e Kane, che si trovavano nel cortile. "Qualcosa
non va?", aggiunse
immediatamente, accorgendosi dello sguardo della ragazza.
Raven si schiarì la voce. "E' ora", disse. Distolse
velocemente lo sguardo.
Gli altri sembrarono visibilmente sollevati, ma Bellamy la conosceva.
Qualcosa non andava, ma capì che non era il momento per
chiedere
spiegazioni.
Finalmente lo vide. Sotto un fiore giallo, c'erano dei fili di rame
intrecciati insieme a formare una B.
Clarke sollevò lo sguardo e incrociò quello di
Miller, che non la lasciava mai sola.
"Bellamy non uscirà neanche oggi, a quando pare", disse,
come se
tornasse lì di frequente solo con la speranza di rivederlo.
Gli rivolse un cenno d'intesa, e Miller capì immediatamente.
Annuì. "Andiamo", disse, stringendo il fucile.
Erano quasi arrivati al punto in cui si erano accampati con gli altri,
quando videro Kara e Monroe correre verso di loro.
"Clarke!", gridò Monroe. "Stanno arrivando!"
"Chi?!", domandò Miller, confuso.
"Octavia", rispose Kara, con il sorriso di chi pregusta una battaglia.
A Clarke servirono pochi minuti per organizzare tutto. Fece preparare
la sua gente a combattere, mandò Murphy ed Emori a salvare
finalmente i Grounders prigionieri, riuscì a liberarsi di
Miller
e cominciò a correre nuovamente verso la villa. Doveva
avvisare
Bellamy. Il loro diversivo era appena sbarcato da una decina di navi da
guerra.
A.l.i.e. era sparita. Probabilmente stava dando istruzioni ai suoi
guerrieri, mentre li spediva all'attacco degli invasori. Jaha era con
lei.
E finalmente Raven poteva parlare al gruppo liberamente.
"Bisogna svolgere due operazioni quasi contemporaneamente", si
affrettò a spiegare. Diede qualche dettaglio tecnico, con
l'aiuto di Wick e Monty. Erano appena stati in una stanza sotterranea,
dove avevano trovato la macchina e un dispositivo da comandare a
distanza. "Qualcuno deve attivare questo da una distanza di almeno
duecento metri", lo mostrò agli altri.
"Che a sua volta attiverà la macchina sotto la villa. E dopo
tre
minuti esatti, bisognerà innescare manualmente il meccanismo
di
cui vi abbiamo parlato. E' stato programmato in questo modo proprio
perchè fossero necessarie almeno due persone a
farlo. Agirà all'istante, dall'interno, e
farà esplodere i componenti essenziali di A.l.i.e., che
altrimenti sono di un materiale quasi indistruttibile. Non
c'è
altro modo."
Calò un silenzio attonito.
Kane si schiarì nervosamente la voce. "Agirà
all'istante
ed esploderà", ripetè. "Questo significa che
chiunque
inneschi il meccanismo..."
"...morirà", concluse Emerson, incrociando le braccia.
"Vado io", esclamò Bellamy, senza un attimo d'esitazione.
"Questa volta no, ragazzo", replicò Kane. "Stavolta tocca a
me."
"Non tocca a nessuno di voi", intervenne Wick. "Non è
un'operazione semplice. Può svolgerla solo un meccanico, o
un
ingegniere..."
"E un chimico con conoscenze da ingegniere?"
Tutti si voltarono verso Jasper, che aveva parlato per la prima volta
da quando il discorso era iniziato.
"No", fu la risposta secca di Monty, ma le facce degli altri due
parlavano chiaro.
"Andrò io", decise Jasper. "Ditemi nel dettaglio cosa devo
fare."
"No", ripetè ancora Monty, fronteggiandolo, con le mani
strette a pugno. Lo avrebbe colpito, se necessario.
Si guardarono per pochi secondi, che parvero ore. C'era
così tanto dolore, nei loro occhi. Per quello che avevano
affrontato, e per quello che stava succedendo tra loro. Per la prima
volta, ora che tutto stava per finire, entrambi videro quel dolore
nello sguardo dell'altro. Erano sempre stati una cosa sola.
Inseparabili. Nonostante tutto, nonostante la
sofferenza, le scelte giuste, quelle sbagliate... alcune cose sono
incancellabili.
In quell'istante, si resero conto di cosa sarebbe successo. Lo decidero
di comune accordo, senza parlare.
Non avevano memoria di una vita prima di conoscersi, e non l'avrebbero
avuta neanche dopo avervi posto fine.
Quel che andava fatto, l'avrebbero fatto insieme.
Nota
dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 68 giorni dalla sconfitta
del Monte.
Alloooora! Octavia, Lincoln, il Popolo delle Dune e del Mare stanno
sbarcando sull'isola!
Ho scritto una scena pietosa in cui spiegano il piano agli altri
perchè tanto ormai lo sapete, i dettagli tecnici non sono il
mio
forte e questa fanfic si concentra sulle relazioni tra i personaggi
piuttosto che sull'azione :P spero che comunque abbiate capito il senso
xD
E vi avviso che almeno per una decina di giorni non ci saranno
aggiornamenti! Parto e vado all'estero, mi è proprio
impossibile
xD
BUONE VACANZE A TUTTI! ^_^
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 29 *** Resisti! ***
postS2_29
Nota: Strettamente
collegato al capitolo precedente.
"Resisti!" - Monroe
In quel momento,
contemporaneamente, accaddero tre cose.
Octavia, Lincoln e i loro compagni, affiancati da Luna, Sarah e dagli
altri Grounders del Popolo del Mare e delle Dune, sbarcarono
sull'isola. Furono subito raggiunti dagli Sky People, ma non ci fu
tempo per parlare. La giovane Blake riuscì a malapena a
sapere
che secondo le ultime notizie suo fratello stava bene, che dovette
estrarre la spada e mettere alla prova le sue doti da guerriera. Fu
proprio lì, sulla spiaggia, che si scatenò la
battaglia.
Murphy ed Emori, invece, erano riusciti a raggiungere indisturbati i
prigionieri, perchè la messinscena aveva funzionato
e la
macchina non sapeva che il ragazzo ricordava perfettamente il luogo da
cercare. Liberarli fu un po' più difficile, ma riuscirono a
compiere la missione giusto in tempo, e si affrettarono a raggiungere
gli altri, perchè anche se debilitati fisicamente, la sete
di
vendetta li faceva sentire tutti invincibili.
E infine, dall'alto di una collinetta, a distanza di sicurezza, c'erano
Jaha e l'ologramma di A.l.i.e., che dopo aver ordinato ai Grounders
sotto il loro comando di attaccare, si godevano la scena di un
combattimento senza pietà. La macchina mostrava la
più
totale indifferenza. L'Ex Cancelliere, colui che un tempo era stato un
uomo buono, ogni tanto distoglieva lo sguardo di fronte al sangue che
andava mischiandosi alla sabbia, e ai corpi feriti che cadevano inermi
sotto lame e proiettili, ma nonostante questo non alzava un dito per
fermare la strage, non proferiva parola per sottolinearne
l'assurdità. Aveva bisogno di questa selezione.
Perchè il
mondo aveva bisogno di una selezione ancor più grande, di un
sacrificio per un bene superiore, e lui aveva intenzione di essere uno
degli artefici.
Nel mezzo della battaglia, le cose non erano facili per nessuno.
Kara e Monroe combattevano schiena contro schiena, coprendosi le spalle
a vicenda, la prima con un'ascia, la seconda con il fucile.
"Dannazione!", esclamò la Grounder, affanosamente.
"Cosa succede?" Monroe si voltò, e quello che vide la fece
impallidire. Kara aveva un pugnale conficcato in un fianco.
Sparò qualche altro colpo per liberarsi dei nemici
più
vicini, poi si inginocchiò accanto all'altra ragazza, che
nel
frattempo era caduta rovinosamente a terra. "Resisti!", le
ordinò.
"Perchè? Vuoi avere tu l'onore di uccidermi?",
replicò Kara, con un filo di voce che sperava suonasse
ironico.
"Resisti!" Monroe appoggiò la propria fronte contro quella
della
Grounder, che a sua volta le accarezzò il viso con una mano
sporca del proprio sangue. "Resisti!" Si staccò da lei, e
stava
per riprendere il fucile e continuare a combattere, nel panico, senza
sapere cosa fare con Kara, quando una freccia la raggiunse, e
colpì la ragazza del cielo alla gamba, proprio dove
già
alcuni mesi prima era stata ferita allo stesso modo. Cadde in ginocchio
anche lei, e in quel momento pensò che l'ultima cosa che
avrebbe
visto sarebbe stata quei due Grounder dell'esercito di A.l.i.e. che
correvano loro
incontro per finire il lavoro.
"Qualche problema?!", esclamò una voce alla destra di
Monroe, e
dal nulla sbucò Murphy, fucile alla mano, che si
parò
davanti alle due ragazze e cominciò a sparare. Monroe si
rese
conto che con quella battuta la stava prendendo in giro, imitando
quella volta che lei lo aveva salvato nello stesso identico modo,
quando entrambi facevano ancora parte della banda di delinquenti di
Bellamy. Soltanto che allora il nemico era una specie di pantera, non
un essere umano.
Il più vicino cadde sotto i colpi di Murphy, ma in
quell'istante
lui finì le munizioni. L'altro, soltanto ferito, gli fu
addosso,
e il ragazzo lo colpì col fucile alla testa come se fosse
una
mazza, e riuscì a cavarsela con una ferita poco profonda al
fianco. Aveva decisamente sopportato cose ben peggiori. Prima di
andarsene e tornare nel mezzo della battaglia, si girò verso
Monroe. "Trascinala nel bosco. A ovest. Alcuni delle Dune stanno
curando i feriti."
Monroe annuì. Murphy estrasse la spada corta di Emori e si
allontanò.
"Non raccontarlo ad Indra", borbottò Kara contrariata,
mentre
l'amica, stringendo i denti per il dolore causato dalla freccia,
l'aiutava ad alzarsi.
Miller era ricoperto di sangue dalla testa ai piedi. Non sentiva molto
dolore, riusciva a stare in piedi, a stringere il fucile, a sparare, a
colpire con il martello. Giudicò quindi che la maggior parte
di
quel sangue non dovesse essere suo. Appena la battaglia gli dava
tregua, si guardava intorno freneticamente, cercando con gli occhi
Clarke. Non la trovava da nessuna parte.
E poi, d'improvviso, si girò e vide Jaha. Se ne stava in
piedi,
con le braccia conserte, non molto lontano, ad osservare. Da solo.
Il ragazzo cominciò a dirigersi verso di lui, stringendo
forte
il martello con cui aveva sfondato una parete al Monte, in quella che
gli sembrava un'altra vita.
Voleva sapere cosa stava succedendo, e perchè. Voleva delle
risposte, voleva conoscere i piani della macchina, e Jaha era la
persona giusta.
Nota
dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 68 giorni dalla
sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo
precedente.
Sono tornata dalle vacanze! Spero di riuscire a pubblicare i prossimi
capitoli fino alla fine della fanfic a distanza di pochi giorni l'uno
dall'altro, incrociamo le dita! xD
A tra qualche giorno,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 30 *** Buona fortuna, Clarke ***
postS2_30
Nota: Strettamente
collegato al capitolo precedente.
"Buona fortuna, Clarke" - Emerson
Emerson era stato mandato a fare un giro di ricognizione intorno
all'edificio.
Monty e Jasper erano già nel sotterraneo, davanti alla
macchina,
spalla contro spalla, in silenzio. Non avevano molto da dirsi, ma si
guardavano con la stessa complicità di un tempo.
Fuori, a debita distanza, c'erano Raven e Wick, con Kane e Bellamy.
Il meccanico e l'ingegnere stringevano insieme il dispositivo da
attivare. Pesava come un macigno, tra le mani di Kyle, che pensava al
suo amico Monty e a quello che stava per fare. E lacrime di dolore
scendevano sul volto di Raven, che non avrebbe mai più
superato
quell'esplosione.
Il silenzio e la tensione erano opprimenti.
"Cosa bisogna fare con questo, esattamente?" domandò Kane,
indicando il dispositivo.
"Solo attivare questa leva" rispose Wick, con voce fioca.
Kane glielo tolse di mano con decisione.
"Marcus, cosa stai facendo?", domandò Bellamy, teso.
"Questo è un fardello che devo portare io", rispose calmo il
Cancelliere. Non avrebbe lasciato a quei due ragazzi il compito di
uccidere i propri amici, dopo tutto quello che avevano già
affrontato. Se solo molto tempo prima non avesse avuto
così tanta fiducia in Thelonious, tutto questo ora non
sarebbe
successo. Era una sua responsabilità, e lui ne avrebbe
pagato le
conseguenze.
Jasper e Monty sentirono dei passi lungo il tunnel che conduceva al
sotterraneo. Monty si parò davanti alla macchina, come per
proteggerla, e Jasper imbracciò il fucile.
"Ragazzi!" Emerson si fermò davanti a loro, quasi senza
fiato.
"Mi manda Raven. C'è stato un problema, ha bisogno di voi.
Mi
hanno detto di restare qui per fare la guardia, ma voi dovreste
sbrigarvi. Sembrava una cosa seria."
I due ragazzi non se lo fecero ripetere due volte, e corsero fuori,
perchè avevano imparato a conoscere Emerson, e oramai si
fidavano di lui. Persino Jasper.
In quel momento, colui che un tempo era stato un uomo del Monte,
pensò proprio all'amico di Maya. Com'era potuto accadere che
un
nemico tenesse a quella ragazza più di lui, che era sangue
del
suo sangue? Cos'era successo? Da quando era diventato un mostro? Vivere
con Clarke, conoscerla, guardarla negli occhi e rendersi conto che
teneva a lei, aveva rimesso tutto in prospettiva. Non era un mostro,
non
completamente. Era giunto il momento di rimediare ai propri errori.
"Buona fortuna, Clarke", mormorò.
Non lo aveva detto a nessuno, ma nel Monte, prima di diventare una
Guardia, era stato molti anni un meccanico.
Guardò la macchina, e una lucina si accese. Raven aveva
attivato il dispositivo, dunque. Ora toccava a lui.
Kane aveva spinto la leva.
Un minuto dopo, sulla porta della villa, comparvero Jasper e Monty,
senza fiato e preoccupati.
Si guardarono tutti per un momento, confusi, poi gli altri quattro
corsero loro incontro.
"Cosa succede?!", strillò Raven, che combatteva tra la gioia
di
vederli vivi e la disperazione di sapere che avevano appena perso
l'unica occasione di distruggere A.l.i.e.
E un istante dopo, invece, esplose.
Nota
dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 68 giorni dalla
sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo
precedente.
Sììììì ve li ho
salvati Monty e Jasper... per ora. Muahahahahah.
Comunque Emerson mi mancherà.
Al prossimo capitolo,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 31 *** Non posso perdere anche loro ***
postS2_31
Nota: Strettamente
collegato al capitolo precedente.
"Non posso perdere anche loro" - Raven
Clarke avrebbe raggiunto prima la villa, se non avesse dovuto
difendersi da un paio di Grounders nemici che come lei si erano
allontanati dal campo di battaglia.
E poi, quando era quasi arrivata, quando il retro della villa era
là, a poche centinaia di metri, e in essa si trovava
Bellamy...
"Salve, Clarke Griffin."
La ragazza si fermò. L'ologramma di A.l.i.e., che lei non
aveva
mai visto prima, comparve davanti a lei all'improvviso. Era una
bellissima donna dai capelli scuri, e indossava un abito rosso. Clarke
non disse nulla.
"Stai cercando il tuo Bellamy?", domandò ancora la macchina,
con tono di voce accondiscendente.
"Dov'è?", ringhiò la ragazza, stringendo la
pistola,
d'istinto, anche se sapeva che contro di lei non avrebbe funzionato.
"Mi ha fatta arrabbiare molto, il tuo Bellamy. Ficcava il naso in
affari che non lo riguardavano."
La ragazza si trattenne dal replicare. A fatica, ma si trattenne.
"Thelonious
mi ha sempre detto che era Marcus Kane a comandare",
continuò A.l.i.e.
"Ma io ho capito subito che non era vero. Tutti guardavano a te e a
Bellamy come si guarda al proprio leader, e il fatto che siate
così
legati non può che essere un vantaggio per me."
Clarke riflettè in
fretta. La messinscena aveva funzionato, ma cosa significava questo per
lei e Bellamy? Si erano esposti molto. Forse troppo. Non avrebbe dovuto
permettergli di correre un rischio simile, di nuovo.
Se fosse successo qualcosa a Bellamy, non se lo sarebbe mai perdonato.
Probabilmente, non lo avrebbe mai superato. C'è un limite al
dolore che cuore e mente possono sopportare.
"Ti stai chiedendo cosa ne ho fatto di lui, vero?" L'ologramma sorrise
malignamente.
"Dov'è?",
domandò ancora Clarke, ma stavolta insieme alla
determinazione c'era un
pizzico di angoscia, perchè temeva la risposta.
"L'ho rinchiuso nella vil-"
Ci fu un'esplosione. L'ologramma sparì, e al suo posto un
filo di fumo cominciò a salire dalla villa.
Clarke si mise a correre, il più velocemente possibile,
inciampando e sentendo su di sè il peso di minuti che le
parvero
infiniti. Potè vedere le fiamme ancor prima di attraversare
il
giardino.
Raggiunse una finestra sul retro, e cominciò a tossire per
via del fumo.
Era aperta, e non esitò neppure un attimo prima di entrare.
La terra
tremò per qualche istante sotto i loro piedi. Raven
sentì
una fitta alla gamba, ma Wick l'aiutò a non cadere.
Tutti erano confusi.
Nessuno parlava.
"Emerson
vi ha mandati qui." Il mormorio di Bellamy sembrò arrivare
da
molto lontano. "Ha fatto esplodere lui la macchina", concluse,
passandosi una mano sul viso. Non si dispiacque neppure un secondo per
l'uomo del Monte, ma il suo pensiero corse a Clarke. Non sapeva cosa
fosse successo tra quei due, ma intuiva che in qualche modo lei ne
avrebbe sofferto. Meglio
lui che i nostri amici, pensò poi, e sapeva che
nonostante tutto Clarke l'avrebbe pensata allo stesso modo.
Poi sentirono i passi in lontananza, e scorsero Miller, che
correva dritto verso l'edificio.
"Bellamy!" chiamò il nuovo arrivato, senza smettere
di correre come un pazzo, fermandosi mezzo distrutto solo a pochi metri
dal piccolo gruppo. Si inginocchiò per riprendere fiato.
L'amico gli fu subito accanto. "Che succede?"
"Ho parlato
con Jaha, e...", rispose Miller ansimando. Poi notò il fumo.
"Che succede qui?",
domandò invece, spostando lo sguardo sopra di sè,
da
Bellamy a Jasper e infine a Monty. Fu proprio quest'ultimo a
spiegarglielo a grandi linee, con gli occhi bassi.
Miller scosse il capo, sconvolto. Guardò Monty come se lo
avesse
appena pugnalato, ma fu a Bellamy che si rivolse, e in fretta. "Il
piano della macchina era di
attirare sia te che Clarke nella villa. Me lo ha
detto Jaha.
L'ho persa di vista, l'ho cercata, ma non l'ho trovata da nessuna
parte. Dev'essere già dentro..."
Il giovane Blake non se lo fece ripetere due volte. In un attimo era di
nuovo in
piedi, e si dirigeva veloce come il vento verso l'edificio, ormai quasi
completamente in
fiamme.
"Bellamy!", urlò Kane, e fece per fermarlo, ma Jasper lo
strattonò forte al braccio e gli diede un calcio improvviso
dietro una gamba, facendolo cadere e impedendogli di
seguire il ragazzo. Bellamy si stava dirigendo verso quella che
probabilmente sarebbe diventata la sua tomba, e Jasper non voleva che
lo fermassero. Le cose non sarebbero mai tornate come prima, ma una
volta Bellamy aveva rischiato di farsi impiccare da Murphy, pur di
salvarlo. Jasper stesso sarebbe morto volentieri pur di avere la
possibilità di salvare Maya, ma non l'aveva avuta.
Così,
in quel momento, la regalò a Bellamy.
Anche Raven aveva tentato di seguire il giovane Blake, ma Wick l'aveva
afferrata con tutte le sue forze.
"Clarke! Bellamy!" La ragazza strillava, e piangeva, e lottava per
liberarsi dalla stretta di Wick.
Kane battè un pugno sull'erba. Miller sospirò e
chiuse
gli occhi, rimettendosi in piedi, aiutato da Jasper e Monty. Aveva
fallito. Avrebbe dovuto
proteggere Clarke. E invece aveva fallito.
"Non posso perdere anche loro... non posso perdere anche loro..."
singhiozzò Raven, affondando il viso nella spalla di Wick,
che
adesso semplicemente la abbracciava, incapace di porre fine in altro
modo al suo dolore.
In quell'istante, Bellamy sparì attraverso il fumo, tra le
fiamme, e non lo videro più.
Nota
dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 68 giorni dalla
sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo
precedente.
Quanta gggioia in questo capitolo. Dai, una bella morte di coppia in un
edificio in fiamme è romantica, no?
A tra qualche giorno,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 32 *** Abbiamo una battaglia da vincere ***
postS2_32
Nota: Strettamente
collegato al capitolo precedente.
"Abbiamo una
battaglia da vincere" - Kane
Kane distolse lo sguardo dall'edificio che bruciava. "Cosa sta
succedendo alla spiaggia?", domandò a Miller.
"La gente muore", fu la brusca risposta del ragazzo, che
però non lo guardò neppure. Stava fissando Monty.
"Stavi per suicidarti", osservò con freddezza.
"Sacrificarti...", mormorò Wick, correggendolo, senza
smettere di cullare Raven in un abbraccio.
"Mi dispiace..., provò a scusarsi Monty, ma Miller lo
afferrò per le spalle, con forza, fino a fargli male.
"Non azzardarti mai più", lo minacciò Nathan, e
poi lo abbracciò. Quando si separarono, lanciò
un'occhiata a Jasper, e aggiunse: "Lo stesso vale per te".
Ma Jasper aveva già distolto lo sguardo.
"Andiamo", ordinò Kane, rimboccandosi le maniche. "Abbiamo
una battaglia da vincere". Poi guardò Wick, e la ragazza
distrutta accanto a lui. "Voi due restate qui, in caso Jaha dovesse
fare un giro da queste parti. Mettilo ko, se necessario, ma lo voglio
vivo." Ma questa era solo una parte della verità. Marcus
voleva che restassero lì nella speranza del ritorno di
Bellamy, e poi non aveva il cuore di strappare Raven alla visione della
villa in fiamme, che sembrava averla ipnotizzata.
Il Cancelliere e i tre ragazzi cominciarono a correre verso la spiaggia.
Sarah non era solo il Comandante del Popolo delle Dune, ma anche
un'ottima Guaritrice, forse la migliore. Avrebbe voluto combattere, ma
non riusciva a staccarsi dai corpi agonizzanti dei suoi uomini e di
quelli di Luna.
"Toglietelo di mezzo, è fuori pericolo", disse bruscamente
indicando Jackson, che era gravemente ferito ad una gamba, ma a quanto
pareva non mortalmente. Due Grounders lo sollevarono di peso senza
troppi complimenti e lo spostarono, addentrandosi un po' di
più
nel bosco, dove fu abbandonato accanto ad Octavia. Con lei c'era
Lincoln.
"Hai fatto abbastanza, adesso devi restare qui", le stava dicendo il
Grounder, mentre Nyko gli estraeva dalla spalla quattro frecce, che
fortunatamente non lo avevano ferito in profondità, bloccate
da vari strati di vestiti e pellicce. Le
aveva prese facendo da scudo umano alla ragazza, ferita gravemente
ad un fianco. Era una bravissima guerriera, ma aveva ancora molto da
imparare per competere con Grounders che combattevano da moltissimi
anni prima di lei.
Octavia stava per replicare bruscamente, ma la vista di Echo glielo
impedì. "Ehi!", urlò invece al Grounder che la
teneva in
braccio. "Portala qui."
"E' spacciata", rispose lui, ma l'accontentò.
Adagiò la
ragazza accanto a lei, poi tornò ad occuparsi di altri
feriti.
Echo sorrise debolmente, voltando la testa verso Octavia. Aveva ferite
praticamente ovunque, era ricoperta di sangue e non riusciva a muovere
nè braccia nè gambe. Nyko le sistemò
una coperta
sotto la testa,
Lincoln distolse lo sguardo. La conosceva bene, avevano imparato a
combattere insieme.
"Ne ho uccisi molti, Octavia Blake. Il maggior numero che ho potuto",
mormorò la Grounder.
"Non ho dubbi", replicò dolcemente Octavia, accarezzandole i
capelli.
"Di' a tuo fratello che ho fatto il possibile per ripagare il mio
debito. Promettimi che glielo dirai. Promettimelo, ti prego."
"Te lo prometto", disse Octavia, con convinzione. "Glielo
dirò. Noi Blake manteniamo sempre le nostre promesse."
Ad Echo sfuggì un'ultima risata, ma morì prima di
riuscire a rispondere "Lo so".
La battaglia infuriava, senza pietà alcuna.
Luna combatteva valorosamente, e presto venne raggiunta di nuovo da
Lincoln. Insieme formavano ancora una buona squadra.
Tanti stavano dando prova del loro valore.
Jasper, che non mancava un colpo, con Monty a coprirgli le spalle.
Kane era riuscito a mettere le
mani su un paio di armi, e le stava sfruttando al massimo per difendere
la sua gente, e per vendicarla.
Anche
Miller aveva raggiunto di nuovo il cuore dello scontro, ed ora era
affiancato da una zoppicante Monroe. Le donò il proprio
fucile,
facendosi largo tra i nemici con il martello.
E tutti i Grounders del Popolo del Mare e delle Dune erano ottimi
combattenti.
Tutti sapevano cosa fare, perchè Clarke aveva lasciato loro
ordini ben precisi. Aveva ideato più strategie, adottate
immediatamente dalle due Comandanti, in parte perchè non
c'era
stato tempo di pensare ad altro, in parte perchè erano
valide.
Da dietro le quinte, quella ragazzina aveva orchestrato tutto alla
perfezione, mettendoli in una posizione di vantaggio nonostante
l'inferiorità numerica.
Ma i guerrieri erano molto forti su entrambi i fronti, e qualcuno cadde.
Murphy aveva perso la propria spada corta, e stava combattendo con una
piccola ascia trovata sul campo di battaglia.
"Nooo!", udì l'urlo straziante di Emori, e si
voltò. A
pochi metri di distanza, la Grounder si piegava sul corpo del fratello.
E poi accadde tutto in meno di un istante. Un nemico
approfittò di quella distrazione e si avventò
su di lei, e Murphy fu rapido a reagire, rapidissimo. Scattò
in
avanti, mosso dalla disperazione, e da null'altro, ma era troppo
lontano.
Una spada trapassò completamente il corpo della ragazza.
Cosa si prova nel perdere se stessi?
Cosa si prova quando non sai chi sei, ma il mondo intorno a te crede di
saperlo? E cosa si prova quando finalmente arriva qualcuno a mostrarti
chi puoi essere, e fa sì che anche il resto del mondo ti
veda in maniera diversa?
Cosa si prova quando finalmente arriva qualcuno che ti fa desiderare di
essere diverso, e che ti permette di intraprendere quel percorso,
perchè sai che quando incontrerai degli ostacoli potrai
sempre contare sul suo appoggio?
Cosa provò Raven, nel
momento in cui Finn esalò l'ultimo respiro? Quale genere di
dolore si prova di fronte ad una perdita del genere?
Ora, Murphy lo sapeva.
Nota
dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 68 giorni dalla
sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo
precedente.
IL PROSSIMO SARA'
L'ULTIMO CAPITOLO. Non ci credo nemmeno io! Finalmente
questa fanfic infinita giunge al termine.
A tra qualche giorno,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 33 *** L'eroe e il sopravvissuto ***
postS2_33
Nota: Strettamente
collegato al capitolo precedente.
L'eroe
e il sopravvissuto
"Kyle..."
In un primo momento, Wick non udì il sussurro roco di Raven.
Era ancora inginocchiato accanto a lei, e continuava a stringerla, ma
la sua attenzione era da tutt'altra parte. Si guardava intorno
nervosamente, sentiva urla provenire dalla spiaggia lontana. Aspettava
e temeva che da un momento all'altro spuntasse fuori un Grounder di
A.l.i.e., e voleva farsi trovare pronto, anche se l'unica arma che Kane
aveva potuto lasciargli era una misera pistola.
"Kyle..."
Stavolta la ragazza gli strinse il braccio.
Wick la
guardò. Raven aveva ancora lo sguardo fisso verso la villa,
che ormai era quasi completamente sparita alla vista, nascosta dal fumo
e dalle fiamme.
"Incredibile..."
sussurrò il ragazzo.
Scattò
in piedi, si coprì il naso e la bocca con il braccio, poi
cominciò a correre in direzione della lontana figura che
avanzava verso di loro.
Bellamy arrancava, ogni passo
più doloroso e disperato del precedente, e tossiva come se
dovesse buttar fuori l'anima.
Il viso era arrossato e sudato, coperto
di graffi vecchi e nuovi. Era quasi irriconoscibile.
Aveva la gamba sinistra ustionata.
Brandelli del pantalone fumavano ancora.
Sembrava un miracolo che riuscisse a
camminare.
Questo pensava Wick, mentre lo
raggiungeva. Ma soprattutto, era straordinario che avesse ancora la
forza per portare in braccio il corpo di Clarke.
L'ingegnere prese dolcemente tra le
proprie braccia la ragazza. La prima cosa che vide furono i suoi
capelli biondi bruciati. Anche lei aveva delle ustioni, ma sembravano
meno gravi di quelle di Bellamy. Respirava, anche se a fatica, e
tossiva solo ogni tanto, ma era priva di sensi.
Wick era sicuro che il ragazzo, una
volta persa la ragione che lo spingeva ad andare avanti, sarebbe
crollato, ed ebbe ragione.
Bellamy cadde pesantemente a terra,
sfinito, come un eroe
al termine della sua impresa.
"Dobbiamo allontanarci", gli disse
Wick. Non poteva trasportare Clarke e sorreggere lui
contemporaneamente. "Bellamy, andiamo..."
"Bellamy!" Era Raven, che li aveva
raggiunti, seppure rallentata dal dolore alla gamba compromessa. "Non
mi sembra questo il momento giusto per arrendersi." Lo prese per un
braccio e lo rimise in piedi, cominciando a tirarlo verso il bosco che
conduceva alla spiaggia.
Il ragazzo non riuscì a
rispondere per via della tosse, ma riacquistò un po' di
forza e, senza staccare gli occhi da Clarke, si lasciò
condurre via.
Quando arrivarono al bosco, dove l'aria
era più pulita, improvvisamente Clarke si agitò
tra le braccia di Wick, e tossì forte, aprendo gli occhi.
"Bentornata", la salutò
Raven, con le lacrime agli occhi.
"Bentornata", le fece eco Bellamy,
sorridendo con un angolo della bocca.
"Ragazzi". Wick si fermò
all'improvviso, come se si fosse appena reso conto di una cosa. "La
battaglia è finita."
Rimasero tutti fermi e in silenzio per
qualche secondo. Infatti, dalla spiaggia, non si udiva più
un suono.
La battaglia era finita.
Senza il comando di A.l.i.e., molti
Grounders si erano dati alla fuga, altri invece erano stati sconfitti.
Nella confusione, si era creato uno
spettacolo straordinario.
Tutti i combattenti del Popolo del
Mare, delle Dune e dell'Arca erano disposti in un ampio cerchio attorno
a due figure.
"Ho sbagliato, lo so", disse una voce
profonda, ma chiaramente spaventata. "Rimedierò ai miei
errori", continuò la stessa voce, ma stavolta sembrava una
supplica.
Murphy parve non averlo udito. Era
completamente ricoperto di sangue, e gran parte era suo. Aveva perso
ogni tipo di arma, e non si era stupito quando si era ritrovato ad
uccidere un nemico, pochi minuti prima, semplicemente spezzandogli il
collo a mani nude. La disperazione stimola l'iniziativa.
Nessuno aveva il coraggio di
avvicinarsi, perchè nessuno aveva mai visto il ragazzo in
quelle condizioni, neppure i delinquenti dell'Arca che avevano
assistito alla versione peggiore di John Murphy in tutto il suo
splendore. Sembrava posseduto dal demonio.
Fece alcuni passi avanti, stringendo i
pugni.
"Murphy". Kane lo chiamò,
quasi a volergli ordinare di fermarsi, di allontanarsi, di pensarci. Ma
era ferito e spossato, non aveva la forza per intervenire e forse
probabilmente neppure la volontà di farlo, nonostante tutto.
Nonostante il passato.
Il silenzio era quasi assoluto.
Thelonious Jaha
indietreggiò, spaventato, inciampando e cadendo di schiena
sulla sabbia.
Murphy continuò ad avanzare
verso di lui, implacabile, con il fuoco negli occhi e la rabbia nel
cuore.
Dalla folla, una persona
avanzò, guardandosi intorno. Morti, feriti, sofferenza.
Avevano vinto, ma non c'era alcuna gioia. C'era il pensiero di Clarke e
Bellamy, sicuramente morti nell'incendio. C'era il pensiero di Monty,
che aveva quasi perso la vita con Jasper. C'era il pensiero di Emerson,
di Echo, di Emori e di molti altri, che la vita l'avevano persa
davvero. C'era la sofferenza di Monroe per le proprie ferite e anche
per quelle di Kara, che sicuramente le facevano molto più
male. C'era tanto coraggio, compreso quello di Wick e Raven, che con
Monty avevano salvato tutti loro. C'erano Octavia, Lincoln, e tutti gli
altri che avevano combattuto valorosamente e che ora avrebbero portato
il peso di decine di vite spezzate sotto i loro colpi.
E poi c'era il sacrificio di suo
padre.
Miller raggiunse l'amico.
Murphy chiuse gli occhi solo un
istante. Non voleva combattere contro di lui, non voleva essere
fermato. Non voleva che lo costringesse a fargli del male pur di
concludere ciò che avrebbe dovuto fare molto tempo prima,
quando aveva messo piede sull'isola per la prima volta.
Ma quando lo guardò, Miller
non sembrava intenzionato a fermarlo. Gli stava porgendo un'arma, una
spada corta.
La lama di Emori.
"John...", supplicò Jaha.
"Ti prego, John..."
Murphy afferrò la spada con
il braccio su cui spiccavano i tatuaggi,
nonostante il sangue a coprirli. Poteva quasi vederli brillare, o forse
era solo la sua impressione. Dopo tutto quello che era successo, era
ancora lì. Era un sopravvissuto.
Disse a se stesso che c'era un motivo, una ragione per cui non era
ancora morto. Quello che stava per fare, lo avrebbe fatto proprio per
sè, per chi non c'era più, e per chi nonostante
il dolore era sopravvissuto come lui.
A volte, tutta la vita si riduce ad un
unico, folle gesto.
Senza una parola, senza togliere gli
occhi da Jaha, Murphy strinse forte la lama, e un attimo dopo lo uccise
conficcandogliela nel petto.
.
.
.
.
.
.
.
Nota
dell'Autrice:
QUESTO E' L'ULTIMO
CAPITOLO.
MA TRA QUALCHE GIORNO PUBBLICHERO' UN
EPILOGO ambientato 2 anni dopo :)
Questa è senza dubbio la fanfic più lunga che io
abbia mai scritto, e anche la più seguita. Davvero, sono
sbalordita dai numeri. Quasi 100 (eheheh) persone hanno seguito o
aggiunto tra i preferiti questa storia, non posso crederci xD non
perchè i numeri contino, ma perchè è
straordinario, per me, che così tante persone stiano
apprezzando quello che ho scritto. Grazie di cuore <3 e grazie
anche a chi ha recensito con tanta pazienza, complimenti e consigli. Ho
apprezzato tutto <3
Se volete farmi sapere la vostra opinione sull'intera storia, questo
è il momento giusto!
Ho deciso comunque di far passare qualche giorno e poi pubblicare un
epilogo, in cui vi racconto come sono andate le cose (ho già
idee chiarissime al riguardo xD).
A proposito, ci sono due citazioni in questo capitolo: La disperazione stimola
l'iniziativa da un libro di J. Carey, e A volte tutta la vita si riduce
ad un unico, folle gesto dal film Avatar :)
A presto,
Y**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 34 *** Epilogo ***
postS2_34ep
Epilogo
Due anni
dopo - Mount Ark, Popolo degli Alberi
"Dove
diavolo è finito?!", sbuffò Miller,
inginocchiandosi per sbirciare sotto il letto.
"Sarà
andato a fare una passeggiata", rispose Monty, che a sua volta radunava
alcune delle sue cose in uno zaino. Era emozionato e agitato allo
stesso tempo. Da giorni ormai non faceva che pensare al viaggio
imminente.
"Già,
proprio come fanno tutti i martelli", sospirò l'altro,
rimettendosi in piedi. Si massaggiò la fronte. "Vado a
cercare nell'armeria. Magari l'ho dimenticato lì l'ultima
volta". Passando davanti a Monty, gli sorrise e gli
scompigliò i capelli. Tutti erano ansiosi di partire, ma il
suo ragazzo aveva una ragione in più per voler arrivare il
prima possibile.
L'ingegnere
ricambiò il sorriso. "Non perdere tempo, partiamo tra
pochissimo."
"Sì,
capo!" Miller rise e poi uscì in corridoio.
Da circa un anno si erano trasferiti
quasi tutti nel Monte, dandogli un nuovo nome, per ricominciare,
iniziare una nuova vita e dare il via ad un nuovo capitolo della loro
storia. Era stata dura cancellare il passato e
tutto ciò che avevano vissuto tra quelle mura, ma non
avrebbero potuto continuare a vivere al campo per sempre. Dunque
abitavano ancora nel territorio del Popolo degli Alberi, ma avevano
conservato la loro autonomia. Poco prima che si trasferissero nel
Monte, Lexa era morta a causa di una malattia. Forse Abby Griffin
avrebbe potuto curarla, ma non chiesero aiuto, e Clarke, che aveva
sostituito la madre come Cancelliere, decise di non offrirlo. La nuova
Comandante si chiamava Vera, aveva accolto il suggerimento di Indra e
aveva stretto un patto con gli Sky People, mantenendo un clima di pace.
Camminando,
Miller superò la porta della stanza accanto a quella che fin
dal primo giorno divideva felicemente con Monty, dove vivevano Wick e
Raven. Non era proprio una stanza, ma quasi un appartamento. Piccolo e
confortevole. E somigliava ad un laboratorio, naturalmente.
In quel
momento, il meccanico stava riparando delle radio che non usavano da
molto tempo. Le uniche utilizzate permettevano a Bellamy di comunicare
con Octavia, e da quando avevano lasciato l'isola non ne avevano
più avuto bisogno per nessuna ragione, fino ad allora.
Ai bagagli
stava pensando Wick.
"Kyle,
lascia che ti dia una mano", disse per l'ennesima volta Raven.
"Scordatelo.
Dobbiamo affrontare un viaggio lungo, devi riposare il più
possibile. Resta a letto."
Da anni ormai si comportavano proprio
come una vecchia coppia sposata.
La ragazza
guardò con odio il tutore alla gamba, e le stampelle che era
costretta ad usare. Non camminava più da sola sulle sue
gambe da molto tempo. Lo sforzo dell'ultima missione le era costato
caro.
Bussarono
alla porta.
"Che
c'è?", urlò Raven, scontrosa.
Murphy
entrò sorridendo. "Buongiorno anche a te."
"Ciao,
Murphy", lo salutò Wick, mentre decideva quanti cacciaviti
portare. Li fissò per qualche secondo, poi con un'alzata di
spalle li mise tutti nello zaino.
"Bellamy
vuole sapere a che punto sei con le radio", fece sapere il nuovo
arrivato, appoggiandosi allo stipite della porta con le braccia
incrociate.
"Saranno
pronte in tempo", Raven lo guardò male, ma scherzosamente.
Oltre ogni previsione, avevano legato molto negli ultimi due anni. Al
ritorno al campo, Abby voleva sottoporlo a un processo per l'omicidio
di Jaha, e lei e Bellamy erano stati in prima fila tra quelli che non
lo avevano permesso. Alla fine era stata Clarke a decidere, dichiarando
che da quel momento i crimini passati di chiunque erano perdonati.
"Ricevuto".
Murphy si raddrizzò e uscì. Al
piano di sotto vide Harper, inginocchiata in mezzo al corridoio,
intenta ad armeggiare vicino alla parete.
"Tenti di scassinare la serratura per
entrare in camera mia?", le chiese Murphy.
La ragazza sobbalzò per lo
spavento. "Dannazione, Murphy. Prima o poi ci resterò
secca." Tendeva a sobbalzare spesso ritrovandoselo davanti.
Harper si allontanò
leggermente per mostrare cosa stava facendo. Tutt'intorno alla porta
della stanza del ragazzo c'erano dei disegni. Foglie d'edera
intrecciate ai tatuaggi che lui aveva sul braccio. Era stata Clarke a
farli, così come aveva abbellito l'intero edificio con i
suoi schizzi. Una volta Murphy aveva persino trovato il coraggio di
chiederle di fargli un ritratto di Emori, che adesso conservava nel
primo cassetto del comodino.
Harper sollevò un pennello.
"Prima ho visto che da questo lato il disegno stava sbiadendo",
spiegò. "Volevo..."
"Grazie", la interruppe Murphy,
offrendole una mano ed aiutandola ad alzarsi. Quando fu in piedi,
continuò a stringerle la mano. Si frequentavano da poche
settimane, ossia da quando lui finalmente aveva deciso di farsi avanti.
La salutò con un frettoloso
bacio sulla tempia, poi si diresse verso la sala dove si riuniva
l'attuale Consiglio, che comprendeva più o meno gli stessi
membri dell'ultimo: Bellamy, Clarke e Kane, ovvero i nuovi tre
Cancellieri, e poi Abby, Quinn, Sinclair, Jackson, Raven e Monty.
Trovò Bellamy e Clarke ad
aspettarlo fuori la porta. Erano entrambi armati e con due zaini ai
loro piedi.
"Eccomi", esordì Murphy. "Ha
detto che ha quasi finito e saranno pronte in tempo."
"Grazie", rispose Bellamy. Clarke,
accanto a lui, scrutava la mappa che aveva disegnato con l'aiuto di
Jackson e Quinn.
In quell'istante girarono l'angolo Kara
e Monroe, cariche di bagagli.
"Ehilà!", salutò
allegramente la Grounder.
"Siamo in anticipo, ma abbiamo pensato
di venire a dare una mano", aggiunse Monroe, che ormai aveva subito la
stessa trasformazione di Octavia e sembrava avesse sempre vissuto sulla
Terra. Salutò Murphy con una pacca sulla spalla.
"Nyko è qui fuori. Indra
alla fine ha deciso che non verrà", concluse Kara.
Le due ragazze avevano preso possesso
della vecchia casa di Lincoln, per restare più vicine a
TonDc.
"Buongiorno, ragazze". Si voltarono
tutti verso Miller, che aveva fatto la sua comparsa stringendo un
martello e fingendosi minaccioso.
Clarke fece un passo avanti, e
parlò senza smettere di studiare la mappa. "Bè,
siamo tutti pronti, no? Direi che..."
Bellamy la interruppe semplicemente
togliendole la mappa di mano.
"...se siamo tutti pronti, possiamo
partire", concluse la ragazza. Si guardò intorno,
incrociando per la prima volta gli occhi con tutti i presenti.
Allora... Kara e Monroe. Nyko che aspettava fuori, così come
il cavallo per Raven. Lei e Bellamy. Miller.
"Monty? Wick e Raven?",
domandò.
"Siamo qui!", esclamò il
meccanico, che girò l'angolo avanzando con l'aiuto di una
stampella, e raggiunse gli altri, seguita dai due ingegneri, pieni di
zaini e borse. "Ho lasciato la radio ad Abby. La nostra è
qui", la indicò, attaccata alla propria cintura. "Tutto
funzionante. Possiamo andare davvero."
Anche Bellamy posò lo
sguardo su tutti i loro compagni. Avevano già salutato gli
amici e gli altri Consiglieri, inclusi Marcus e la madre di Clarke.
"E allora andiamo", disse, sistemandosi
il fucile in spalla. Si rivolse all'unico presente che non li avrebbe
accompagnati. "May we meet again."
"May we meet again", rispose Murphy,
che salutò con un cenno della mano e si allontanò.
Due
settimane dopo - Ariel, Popolo del Mare
Jasper stava in piedi tra Monty e
Raven, e sorrideva. Non vedeva il suo migliore amico da quasi due anni,
perchè da quando si era trasferito ad Ariel non aveva mai
accompagnato Octavia e Lincoln, anche se erano tornati dal Popolo degli
Alberi solo due volte.
La decisione di cambiare aria era stata
improvvisa, forse troppo, persino per un ragazzo impulsivo come Jasper.
Octavia si era innamorata del mare, e quando lei e Lincoln annunciarono
la decisione di andare da Luna, Bellamy aveva visto una disgrazia, e
Jasper un'opportunità. Da una parte non voleva lasciare
Monty proprio nel momento in cui avevano chiarito le cose, dall'altra
cominciava a capire il bisogno di Clarke di partire e lasciarsi tutto
alle spalle. Così, quando aveva bussato alla porta della
Grounder, a lei era bastato guardarlo in viso per capire cosa voleva.
"Mi farebbe piacere che venissi con noi", aveva detto, prima ancora che
lui aprisse bocca.
Luna lo aveva accolto, e pian piano
aveva subito la stessa trasformazione di Octavia e Monroe, diventando
un Grounder a tutti gli effetti. Aveva persino alcuni tatuaggi. Anche
se non aveva più lasciato la sua nuova casa, comunicava con
Monty, Miller e Raven attraverso la radio di Octavia, e quando la
ragazza andava a trovare il fratello, usava lei e Lincoln come corrieri.
E adesso eccoli di nuovo insieme, quasi
tutti riuniti per le due persone al centro del molo, proprio di fronte
a quella strana folla di Grounder e Sky People.
Poco più in là,
Bellamy chinò la testa verso Clarke. "Non ho capito bene una
cosa", disse.
La ragazza rise. "Non hai capito
niente, eh?"
L'altro aggrottò le
sopracciglia. "E' un matrimonio oppure no?"
"E' l'equivalente terrestre di un
nostro matrimonio. Non si chiama matrimonio, non ci sono anelli, ma due
persone si legano per la vita con l'approvazione del Capo Clan. O, in
questo caso, della Comandante in persona. Quindi non è un
matrimonio, ma è come se lo fosse."
Il ragazzo non disse nulla.
"E tu preferiresti non lo fosse
affatto", rise ancora Clarke. Gli strinse la mano, mentre riportava lo
sguardo su Luna, che stava parlando.
Sul molo, davanti alla donna, c'erano
Lincoln e Octavia, con le spade incrociate a mezz'aria. Erano entrambi
tirati a lucido, con le loro migliori tenute da guerrieri, e Octavia
aveva addirittura alcune conchiglie e stelle marine essiccate tra i
capelli intrecciati. Non avevano smesso di fissarsi negli occhi neppure
per un istante, e tutto l'amore che provavano l'uno per l'altra, sempre
intuibile, ora era perfino visibile, come se avesse preso vita.
"Ti sbagli", commentò
Bellamy, che improvvisamente sembrava molto più rilassato.
Strinse ancor di più le proprie dita intorno a quelle di
Clarke. "Mi piace Lincoln. Octavia è un'adulta, una
guerriera. Ha finalmente ottenuto la vita che ho sempre voluto per lei.
Ora è tempo che io mi faccia da parte, non è
più una mia responsabilità."
Clarke lo guardò, e lui
ricambiò lo sguardo.
Che passi da gigante avevano fatto, da
quando quei cento criminali erano atterrati sulla Terra. Erano persone
nuove, eppure in fondo non era cambiato molto. Bellamy, che da sempre
portava pesi sulle spalle più grandi di lui, aveva trovato
modo di dimostrare le proprie capacità di leader e il suo
buon cuore, guidando un popolo che lo rispettava e ammirava. E Clarke
stessa era tornata la ragazza allegra e sorridente dei tempi sull'Arca,
con suo padre, quando vivere per lei era una gioia e non un dovere. Il
mondo aveva fatto il possibile per spezzarli, ma loro erano riusciti a
ricomporre i pezzi. Insieme.
"Bellamy..."
"Sì?"
"Dovrei trasferirmi nell'appartamento
di Emerson", sussurrò la ragazza. Quando avevano occupato il
Monte non era stato difficile individuarlo, e aveva impedito che
venisse preso da qualcun altro. L'edificio era grande abbastanza da
contenere comodamente il triplo degli Sky People sopravvissuti,
così il luogo dove aveva vissuto Emerson era rimasto vuoto.
Così come quello di Maya.
"Perchè?"
"Perchè è
più grande del mio. E del tuo. E due persone ci vivrebbero
più comodamente. E ha anche un paio di stanze in
più, così, sai, nel caso in futuro..."
Gli occhi di Bellamy s'illuminarono. Un
anno prima le aveva detto di voler trascorrere il resto della sua vita
con lei, ma soltanto quando si fosse sentita pronta, perchè
lui non avrebbe mai smesso di aspettarla. Le aveva lasciato spazio, e
anche se alcune notti dividevano lo stesso letto, il mattino dopo
puntualmente si separavano. "Clarke..."
Sorrise, incredulo, e quando Clarke
Griffin scoppiò a ridere e annuì, confermando,
Bellamy Blake le prese il viso tra le mani e la baciò.
.
.
.
.
.
.
.
Nota
dell'Autrice:
Siamo arrivati alla fine. La vera fine. Ho cercato di non tralasciare
nessuno, di dare una conclusione a tutte le storyline senza scrivere un
epilogo lungo km. Se non avete capito qualcosa, o vi manca qualche
dettaglio, chiedetemi pure e chiarirò tutto.
E ancora grazie infinite
per aver seguito questa mia storia, la più lunga e la
più impegnativa nella mia "carriera" di fanwriter xD spero
di non avervi deluso!
Ho fatto un po' le cose a modo mio, ho inserito quello che vorrei
vedere: la morte di Lexa, Monroe e Jasper divenuti Grounders, Lincoln e
Octavia lontani dal Popolo degli Alberi, più importanza a
Murphy, meno ad Abby, il riscatto di Emerson. Non so se
scriverò ancora in questo fandom, penso di no, ma non si sa
mai. Per il momento questo è un addio, e ancora grazie mille
per avermi seguito e per le recensioni <3
May we meet again,
Y**
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3058244
|