May we meet again

di Ystava
(/viewuser.php?uid=146554)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Avrei voluto poterla salvare ***
Capitolo 2: *** Le leggi cambieranno ***
Capitolo 3: *** Devi prenderti cura della tua gente ***
Capitolo 4: *** Sono sicuro che non vuole essere trovata ***
Capitolo 5: *** Buona fortuna ***
Capitolo 6: *** Una volta hai disegnato Maya ***
Capitolo 7: *** Non siamo soli ***
Capitolo 8: *** Prevedo guai ***
Capitolo 9: *** Ti odio ***
Capitolo 10: *** Non prendo ordini da te ***
Capitolo 11: *** Tramano qualcosa ***
Capitolo 12: *** Sceglierà lei dove andare ***
Capitolo 13: *** Insieme ***
Capitolo 14: *** Grazie ***
Capitolo 15: *** Siamo tutti in pericolo ***
Capitolo 16: *** Per Clarke? ***
Capitolo 17: *** Devi farmi una promessa ***
Capitolo 18: *** Eri ancora la sua famiglia ***
Capitolo 19: *** Altrimenti non me ne sarei andato ***
Capitolo 20: *** Non so cosa dire ***
Capitolo 21: *** Troppo ***
Capitolo 22: *** Non si sa mai ***
Capitolo 23: *** Diamo il via alle danze ***
Capitolo 24: *** May we meet again ***
Capitolo 25: *** Dovrete raccontarmi un bel po' di cose ***
Capitolo 26: *** Io non ho mai paura ***
Capitolo 27: *** Non ci ritengono una minaccia ***
Capitolo 28: *** Esploderà ***
Capitolo 29: *** Resisti! ***
Capitolo 30: *** Buona fortuna, Clarke ***
Capitolo 31: *** Non posso perdere anche loro ***
Capitolo 32: *** Abbiamo una battaglia da vincere ***
Capitolo 33: *** L'eroe e il sopravvissuto ***
Capitolo 34: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Avrei voluto poterla salvare ***


postS2_1 "Avrei voluto poterla salvare" - Clarke

"A Maya penso io."
Clarke sobbalzò per lo spavento. Con i capelli intrecciati alla buona, sporca di terra dalla testa ai piedi, le mani sanguinanti e piene di calli, stringeva forte una vanga che aveva trovato nell'edificio, mentre scavava una buca profonda nei dintorni di Mount Weather. Erano giorni che scavava, e non aveva ancora finito. A volte pensava che non avrebbe mai finito e che avrebbe continuato a scavare tombe per l'eternità.
"Sei solo?" chiese, guardando con le lacrime agli occhi Jasper che torreggiava su di lei. Non lo aveva sentito avvicinarsi. Il ragazzo era irriconoscibile. Sembrava ancor più magro del solito, ma non fu questo a colpire Clarke. Il suo sguardo era spezzato, pieno di rabbia e di dolore.
"Sì", rispose. "Gli altri arriveranno tra qualche giorno per bruciare i corpi, ma io..." non finì la frase, e distolse lo sguardo dalla ragazza. Strinse forte lo zaino che aveva in spalla, poi si avviò verso l'entrata del luogo che più di tutti gli aveva causato sofferenza.
"L'ho spostata", gli gridò dietro Clarke, con tutto il fiato che aveva in gola, e non era molto. "Dormitori", disse solo. Aveva spostato Maya e i bambini nei dormitori. Ognuno in un letto. Era stata la prima cosa che aveva fatto, e la più difficile. Ma sentiva di doverlo fare, e una parte di lei era morta con loro in quel momento. Sentiva anche di non poter semplicemente bruciare i corpi di coloro che aveva ucciso. Sarebbe stato troppo semplice, troppo veloce. Continuò a scavare.
Qualche minuto dopo, Jasper riemerse con un'altra vanga e si diresse tra gli alberi, lontano da lei, ma ancora a portata di vista e di voce, e cominciò a scavare la tomba per la ragazza che aveva amato.
Continuarono a scavare in silenzio, ma quando Jasper sparì di nuovo, per tornare con il corpo di Maya tra le braccia, Clarke si fermò. Non lo interruppe, nè si avvicinò. Osservò solo la delicatezza dei gesti di Jasper, le lacrime silenziose che gli rigavano il viso, la personificazione dell'amore e della disperazione. Incoraggiata dalla temporanea assenza di rabbia, quando la buca fu riempita e un fiore deposto sul mucchio, la ragazza si avvicinò. Lui era inginocchiato, una mano sul viso, una sulla terra.
"Avrei voluto poterla salvare", gli disse con voce rotta. Jasper non disse nulla, nè la guardò, così Clarke continuò il suo discorso. "So che non mi credi, so che pensi che sia morta inutilmente, e so che non mi perdonerai mai per questo, e che per te... io, Bellamy e Monty saremo per sempre i suoi assassini. Ma nessuno di noi avrebbe voluto questo. Abbiamo provato..." ma qui scoppiò in un singhiozzo, e non riuscì a continuare, e sentendosi in colpa perchè stava contaminando il dolore di Jasper con il proprio, si allontanò alla svelta, dirigendosi imperterrita verso la buca lasciata a metà, saltandoci dentro, e continuando quel lavoro che l'avrebbe tenuta occupata ancora per molti giorni.
Un'ora dopo, Jasper si alzò silenziosamente, recuperò le sue cose, e fece per avviarsi lungo il sentiero da cui era venuto, ma passando davanti a Clarke si fermò. Lei si asciugò il sudore dalla fronte e alzò il viso su di lui. Si osservarono per qualche secondo.
"Non tornerò con te", disse Clarke a Jasper.
Lui la guardò duramente. "Non avevo intenzione di chiedertelo." E questo ferì Clarke più di quanto ella avrebbe potuto immaginare. "Ma voglio sapere il perchè."
"Perchè non lo merito."
Jasper rimase in silenzio, guardando verso il bosco, riflettendo. "Non dirò di averti vista. Dirò che quando sono arrivato avevi già finito ed eri sparita. Li convincerò a rimandare il momento in cui verranno qui a fare razzia. Ma farai meglio a sbrigarti."
Com'era cambiato, Jasper. Il ragazzo di fronte a lei non aveva nulla in comune con quello che era atterrato sulla Terra con lei e gli altri Cento. Solo per l'aspetto lo si poteva riconoscere, e anche quest'ultimo non era rimasto immutato.
"Grazie", gli disse, ma non ricevette risposta.
Poi lui le voltò le spalle, si incamminò, e sparì alla vista.
"Fa' che ci rincontreremo..", sussurrò Clarke tra sè, e lo sperava davvero.

-

Angolo autrice: Il finale di stagione di questa serie mi ha sconvolto così tanto che ho cominciato a scrivere fanfic su fanfic. Dovevano essere tutte One shot, ma alla fine le ho riadattate e le ho trasformate nei capitoli di una Long. E' già tutto pronto, ma pubblicherò i vari capitoli a distanza di qualche giorno l'uno dall'altro. Ovviamente è tutto ambientato dopo il finale della seconda stagione. Spero di non essere andata OOC. I titoli sono sempre citazioni di un personaggio dal capitolo. Alla prossima!
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Le leggi cambieranno ***


postS2_2 "Le leggi cambieranno" - Kane

Il campo non si chiamava più Camp Jaha, ma The New Ark. Trasferirsi al Mount Weather non era stato mai preso in considerazione, anche se sarebbe potuta sembrare la mossa più intelligente. I 42 sopravvissuti alla prigionia soffrivano al solo sentir nominare quel luogo, e anche gli altri non erano entusiasti all'idea di vivere tra mura che avevano visto tali atrocità e così tanti morti. Addirittura Jasper non aveva dovuto affatto aprir bocca per convincerli a rimandare la missione di recupero dei beni utili. Quando era tornato, era stato Kane il primo a dirgli che avrebbero aspettato altro tempo. Erano giorni tranquilli, e non sentivano l'urgenza di appropriarsi di altre comodità. Nessuna fretta, anche perchè i lavori di miglioramento al campo occupavano loro molto tempo ed energie.
Quella che un tempo era stata una stazione dell'Arca e che ora fungeva da quartier generale, da ospedale e da magazzino, era stata rinominata Base. Il "recinto" era stato allargato e intorno alla Base erano state piantate tende di ogni misura. Nessuno aveva una sistemazione propria. In una delle tende più vicine alla Base vivevano Bellamy, Lincoln, il signor Miller, il figlio Nathan, e Monty. Accanto c'erano Octavia, Monroe e Harper. Erano le due tende più grandi e più trafficate, perchè tutti i ragazzi guardavano ancora a Bellamy come punto di riferimento, e non c'era giorno in cui non passassero da quelle parti anche solo per sincerarsi coi loro occhi che non li aveva abbandonati, come invece aveva fatto Clarke.
Jasper viveva con un paio di altri ragazzi in una delle tende più distanti dalla Base, ma non lo si vedeva quasi mai. Da quando era tornato dal Monte la situazione era leggermente migliorata, ma non aveva ancora rivolto la parola a Bellamy o Monty, nonostante questi ultimi due avessero provato ad aggiustare le cose. Ma si potevano davvero aggiustare?
Jackson aveva un letto fisso nell'infermeria, e così anche Abby. Anche Raven viveva in un letto del piccolo ospedale, ma non per scelta. Era quella che aveva subìto più danni, sia alla gamba che con il prelievo del midollo. Non era ancora in grado di camminare. Wick non aveva trovato una sistemazione permanente, perchè per il momento dormiva su un materasso ai piedi del letto di Raven. Anche Kane viveva nella Base, accanto al magazzino dove conservavano le armi.
Due giorni dopo il ritorno di Jasper dal Monte, Kane ed Abby radunarono tutti nello spiazzo davanti alla Base. Salirono su un palchetto improvvisato.
Abby si reggeva in piedi con un bastone, e sorrideva lievemente. Il prelievo del midollo e la perdita della figlia l'avevano definitivamente spossata. Non era rimasto più nulla della donna che sull'Arca aveva lottato per il progetto dei Cento con tutte le proprie forze. Ora se ne stava in silenzio. Kane, invece, sollevò in aria un braccio. Stringeva tra le dita la spilla da Cancelliere, e la mostrava a tutti. Toccava a lui parlare.
"Da oggi, non ci sarà più un Cancelliere" disse a voce alta, per farsi udire da tutti. Cominciò a diffondersi un mormorio.
Bellamy fece un passo avanti, le braccia incrociate al petto, le sopracciglia corrugate, l'attenzione al massimo. Lincoln e Octavia, al contrario, se ne stavano un po' in disparte. Non sarebbero rimasti a lungo a vivere al campo. Avevano intenzione di tornare nella vecchia casa di Lincoln, che non era molto lontana da lì. Sentivano di dover prendere le distanze, ma continuando a sentirsi parte di quella gente. Ci sarebbe voluto del tempo prima che potessero trovare il loro posto nel mondo, ma lo avrebbero trovato insieme. Anche Jasper assisteva distaccato. Wick, al contrario, stava in piedi accanto a Bellamy, stringendo tra le braccia Raven, che aveva categoricamente rifiutato di perdersi la riunione.
Kane si schiarì la voce, abbassando il braccio. "Inutile dire che i tempi sono cambiati, da quando nello spazio avevamo bisogno di un Cancelliere che facesse rispettare la legge. Ed era una legge molto severa... troppo." Scambiò uno sguardo con Abby, poi continuò. "Le leggi cambieranno." Di nuovo un brusio rischiò di coprire le sue parole, ma il silenzio fu riportato in fretta. "Non ci sarà più un Cancelliere a farle rispettare, e a decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, non sarà più una sola persona a fare le scelte che riguardano questa nostra comunità." Alzò ancor di più la voce. "I Cancellieri saranno tre, ed avranno pari potere decisionale, e pari autorità."
Bellamy e Raven si scambiarono una rapida occhiata. Il mormorio crebbe e una voce si levò sopra le altre. Fu il signor Miller a parlare. "Chi si unirà a te e ad Abby?" Quasi urlò per farsi sentire da tutti. E molti dopo di lui ripeterono la domanda, incuriositi.
Kane restò sorpreso per un attimo. Non si aspettava che tutti dessero per scontati lui ed Abby come primi Cancellieri, che non avessero nulla da obiettare, che lasciassero a loro la parola sull'ultimo Cancelliere. Ma forse non era poi così strano. Lui ed Abby avevano fatto del loro meglio sull'Arca, e avevano salvato le persone che si trovavano lì. Clarke e Bellamy avevano salvato i Cento, e successivamente anche tutti loro, e lui ed Abby li avevano appoggiati ed aiutati. Nonostante tutto ciò che era accaduto, avevano fatto un buon lavoro, e la gente si fidava di loro. Oppure, dopo quel che Clarke e Bellamy avevano dovuto fare nel Monte, si erano resi conto del peso del prendere decisioni, si erano resi conto che lasciare  il dovere nelle mani degli altri era più facile. Perchè opporsi?
Marcus lanciò un'occhiata alla collega, e le fece un piccolo sorriso, poi guardò il signor Miller, e fece vagare lo sguardo su tutti i presenti, fino a posarlo su una persona in particolare, che stava proprio di fronte a lui.
"Bellamy Blake" disse Kane, e non ebbe bisogno di urlare, perchè negli ultimi secondi si erano zittiti tutti, in attesa.
Il ragazzo non fece non piega. Tutti lo fissarono. Dopo quella che parve un'eternità, rispose: "Ci penserò."


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 5 giorni dalla sconfitta del Monte. Uhm... che dire? Spero vi sia piaciuto :) Il prossimo capitolo è già praticamente pronto e arriverà a breve :) Grazie a tutti quelli che seguono questa storia, mi fa davvero piacere che vi abbia incuriositi <3
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Devi prenderti cura della tua gente ***


postS2_3 "Devi prenderti cura della tua gente" - Lincoln

Questa volta era stato Bellamy a radunare un po' di gente, in una delle sezioni vuote della Base, nell'unica stanza senza finestre. C'era un grande tavolo di ferro con alcune sedie, ma nessuno lo stava usando.
Octavia e Lincoln erano insieme, in piedi vicino alla porta. Raven era seduta su una cassa, con accanto le sue stampelle; era arrivata fin lì da sola. Wick e Monty parlottavano tra di loro accanto a lei. Miller aspettava in silenzio, appoggiato alla parete con le mani in tasca. Bellamy stava proprio di fronte a tutti loro, dall'altra parte della stanza.
Si sentiva solo. Non si era mai sentito così solo in tutta la sua vita, neppure quando sull'Arca sua sorella era stata rinchiusa e sua madre uccisa. Clarke aveva portato via con sè una parte di lui, e Bellamy non riusciva a smettere di pensare ardentemente a quanto avrebbe voluto riaverla.
"Hai deciso?", chiese Octavia senza preamboli, mentre chiudeva la porta.
"Dov'è Jasper? Fa ancora la prima donna?", domandò invece Raven, sbuffando mentre sistemava la gamba in modo che le facesse meno male. Jasper parlava con lei, anche se non molto. E questo era frustrante.
Fu Monty a rispondere con un triste e sussurrato: "Sì."
"Ho parlato con Kane ed Abby" disse il ragazzo Blake, guardandoli tutti. "I tre Cancellieri saranno affiancati da un Consiglio composto da otto membri. Loro ne sceglieranno tre ciascuno, io due. Se accetterò.", aggiunse in fretta. "I tre Cancellieri faranno le nuove leggi, e le sottoporranno al Consiglio. La maggior parte delle decisioni verrà presa dai Cancellieri. Per quelle più importanti verrà convocato il Consiglio."
Gli altri si limitarono a guardarlo, e lui li osservò uno ad uno.
Miller era stato uno dei primi tra i Cento con cui aveva legato, che appena arrivato sulla Terra aveva capito dove tirava il vento e aveva scelto da che parte stare. Proprio come Bellamy era stato cambiato dallo svolgersi degli eventi, era maturato, e si era rivelato un elemento prezioso. Si era lasciato le bravate alle spalle e aveva aiutato Jasper e gli altri nel Monte, si era messo in gioco in prima persona, aveva rischiato tanto, aveva lottato. Oltre ogni previsione, Miller era la persona in cui Bellamy si rivedeva di più e con cui aveva legato di più dopo la partenza di Clarke. Per questo era lì. Di quel gruppo di primi amici aveva già perso Atom, e Murphy, e adesso aveva persino perso Jasper. Non voleva perdere anche Miller.
Raven. Cosa dire di Raven? Era la persona di cui si fidava di più, dopo Octavia. Era la sua migliore amica, o almeno così credeva, perchè non ne aveva mai avuta una, prima. Era una cosa nuova. Era come con Clarke, ma... in maniera diversa. Non riusciva a spiegarselo neppure lui. Per non parlare dell'intelligenza di quella ragazza, che combinata con quella di Wick era una risorsa da non sottovalutare.
Anche Monty non era da meno in questo senso, e la sua lealtà era una delle cose che il giovane Blake apprezzava maggiormente. In più, era lui quello con cui condivideva il senso di colpa per il massacro nel Monte.
Su Octavia ogni commento era superfluo. Era sua sorella, la persona più importante della sua vita. Lincoln, invece, già da tempo si era guadagnato la fiducia e il rispetto di Bellamy, e l''incidente' nei tunnel non aveva intaccato questi sentimenti. E poi, una mente che ragionava in modo diverso da quelle dell'Arca, un altro punto di vista, era un aiuto prezioso. Se lo immaginò per un attimo seduto a quel tavolo, durante una riunione del futuro Consiglio. Non sembrava una brutta visione.
L'unica nota stonata era l'assenza di Jasper.
"Voglio sapere cosa ne pensate. Dovrei accettare?"
Silenzio.
Fu Miller a parlare per primo. "I ragazzi ne sarebbero contenti", disse, riferendosi ai superstiti dei Cento. "Ti hanno sempre seguito, continuerebbero a farlo."
"Ci hai salvati dentro e fuori dal Monte. Si fidano di te", aggiunse Monty.
"Te lo sei guadagnato. Quei due hanno bisogno di te. E lo sanno anche loro, per questo ti hanno scelto." Raven, ovviamente. Wick si limitò ad annuire.
Bellamy spostò lo sguardo sulla sorella. Octavia lo guardò. "Dovresti accettare", disse, ma senza l'ombra di un sorriso.
Poi fu il turno di Lincoln. "Cosa ti consiglierebbe di fare Clarke?", disse, ben consapevole di toccare le corde giuste. "Devi prenderti cura della tua gente."
Prenditi cura di loro. Il cuore di Bellamy saltò un battito, ricordando l'addio della ragazza. Distolse lo sguardo dal Grounder. "E sia", decise.


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 8 giorni dalla sconfitta del Monte. Mi piace soffermarmi sulle relazioni tra i personaggi, come avrete notato xD spero di riuscire a fare un buon lavoro :) il prossimo capitolo arriva tra un paio di giorni ^_^
A presto!
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Sono sicuro che non vuole essere trovata ***


postS2_2-3 "Sono sicuro che non vuole essere trovata" - Miller

Il primo a lasciare la stanza fu Monty. La frase di Lincoln non aveva colpito solo Bellamy. Anche lui tempo prima, quando erano rinchiusi nel Monte, aveva posto quella stessa domanda. Cosa farebbe Clarke? Clarke era stata per lui un punto di riferimento fin dal loro atterraggio. Si era dimostrata intelligente, giusta, e aveva a cuore le loro sorti. Monty non aveva mai esitato nell'aiutarla e sapeva di essere colpevole quanto lei e Bellamy per la morte degli innocenti nel Monte. Lui aveva trovato il modo di ucciderli, e sapeva bene cosa stava facendo. Sapeva che Maya sarebbe morta, sapeva che Jasper avrebbe sofferto. E anche se non lo dava a vedere, la sofferenza di Jasper era anche la sua. Ma Cage non aveva lasciato alternative. Era ciò che si ripeteva fino alla nausea, ogni volta che ripensava a quel momento, ogni volta che da lontano scorgeva il viso del suo migliore amico (lo era ancora?), ogni volta che Harper e Miller gli portavano sorridenti qualcosa da mangiare mentre lavorava con Wick. Capiva perchè Clarke era andata via. Non aveva salutato nessuno, solo Bellamy. Ma era davvero stato così? Al loro ritorno al campo, lo aveva fermato e abbracciato. Monty aveva capito che in quell'abbraccio c'erano delle scuse, e dei ringraziamenti, e anche qualcos'altro che non aveva saputo decifrare. Adesso aveva capito che era un addio.

Il secondo ad uscire fu Miller, che in un attimo raggiunse Monty nei corridoi e gli diede un paio di pacche sulla spalla. "Harper e Monroe sono andate a caccia", gli disse, perchè appena erano usciti dalla Base aveva notato che il giovane ingegnere si stava dirigendo verso la tenda delle ragazze. Monty però non smise di camminare e Nathan lo seguì. "Tutto bene, amico?", gli chiese dopo un po', quando si fermarono di fronte alla tenda vuota.
Monty la fissava senza però vederla. "Clarke avrebbe dormito qui con loro. Per essere vicina a Bellamy e alla madre."
Miller lo guardò con apprensione. "Probabile", commentò, quasi con cautela.
"Forse dovremmo andare a cercarla."
"Sono sicuro che non vuole essere trovata."
"Anche noi non volevamo essere salvati."
Questo zittì il giovane Miller.

Subito dopo, uscirono Raven e Wick. La ragazza lanciò uno sguardo a Monty e Miller che si allontanavano insieme verso l'uscita. "Non voglio tornare in quel letto", disse con fatica, perchè faceva un certo sforzo nel camminare con quelle stampelle. Stava molto peggio dell'ultima volta che aveva dovuto usarle.
"Ti assicuro che non c'è niente di divertente da fare là fuori. Sono quasi tutti a caccia e gli altri stanno lavorando. Cosa che dovresti fare anche tu."
Raven sbuffò. Wick aveva portato un tavolo vicino al suo letto in infermeria con tutti i componenti che le servivano per riparare ogni sorta di oggetto, inclusi quelli che erano stati recuperati dalle altre stazioni dell'Arca che avevano fatto atterraggi meno fortunati di quello della Base. Della creazione di altre radio per tenere tutti sempre in contatto si stavano occupando Wick e Monty, perchè lei non voleva più saperne di radio per un bel pezzo.
L'infermeria era proprio lì accanto. Ormai non c'erano più feriti, per cui fu sorpresa di trovare Abby.
"Ciao ragazzi...", disse la donna, con un debole sorriso. "Wick, Sinclair aveva bisogno di te, mi ha chiesto di dirti se potevi raggiungerlo il prima possibile."
"Sicuro". Il ragazzo baciò Raven sulla testa. "Forse ha trovato un modo per capire dove sono posizionate le stazioni mancanti isoland-" ma si interruppe rendendosi conto che la dottoressa non avrebbe capito una parola. "Vado." Sorrise e sparì.
"Che succede? Perchè sei qui?", domandò preoccupata il meccanico, mentre si sedeva sul letto e appoggiava le stampelle al tavolo.
Abby distolse lo sguardo. "Tu e Bellamy avete avuto notizie?"
Non era la prima volta che le rivolgeva quella domanda. La Cancelliera era convinta che se Clarke avesse trovato un modo per mettersi in contatto con loro, per far loro avere un messaggio tramite qualcun altro, avrebbe cercato Bellamy o Raven.
"Nessun segnale di fumo all'orizzonte, Abby", riferì stancamente la ragazza, e per poco non sbuffò. Odiava dover continuamente parlare di Clarke con Abby. Capiva che era in pensiero per sua figlia, ma non era la sola a soffrire per l'assenza della ragazza. Quando Raven aveva scoperto che Clarke era andata via, dapprima non ci aveva creduto, poi aveva urlato di rabbia, aveva rotto una sedia, per poco non aveva ferito Wick e Monroe lanciando cacciaviti per la stanza, aveva procurato un livido ad Octavia prima che Lincoln riuscisse a ripararla dalla pioggia di bulloni, poi aveva dichiarato di odiare Clarke Griffin, e infine aveva pianto, perchè si era sentita abbandonata.
Ma, soprattutto, non ne aveva mai parlato con Bellamy. In tutto il campo, Clarke era diventata un argomento tabù.

"D'accordo", disse Abby. "Ma se..."
"Sarai la prima a saperlo."

Lincoln e Octavia rimasero.
"Non sei convinto", disse la ragazza, rivolta al fratello. Lincoln incrociò le braccia, in attesa. Aveva la stessa impressione ma non aveva osato dirlo. Non era compito suo. Non era la sua gente quella che Bellamy avrebbe dovuto guidare. Lui si sentiva a metà tra Sky People e Grounders, e così era per Octavia. Se ci fosse stata Clarke forse sarebbe stato diverso, perchè lei lo aveva sempre guardato come guardava gli altri suoi compagni. Aveva fatto l'impossibile, salvandolo dall'inferno dell'essere un Mietitore, non lo aveva lasciato morire quando il Mountain Man lo aveva preso come ostaggio. Quella ragazza gli piaceva e la rispettava.
Ben diversi erano i sentimenti di Octavia. Lei era ancora arrabbiata con Clarke, ma ora per un motivo diverso. Infine l'aveva perdonata per la strage di TonDc. Dopo la rabbia iniziale, l'aveva perdonata. Sapeva che stava cercando di fare la cosa giusta, e anche se forse una cosa giusta fino in fondo non esisteva, non poteva incolparla per tutto quello che era successo. Ma ora se n'era andata, l'aveva privata della possibilità di scusarsi e aveva lasciato il fratello da solo a convivere con il peso di decisioni terribili. Perchè la verità era che, pur circondato da persone che gli volevano bene, Bellamy era solo.

Se Bellamy avesse saputo che Monty provava il suo stesso senso di colpa per quel che era successo nel Monte... se avesse saputo che una piccolissima parte di Jasper aveva cominciato a perdonarlo dopo aver incontrato Clarke... se avesse saputo che non era l'unico a sentirsi abbandonato perchè Raven provava gli stessi sentimenti... sarebbe cambiato qualcosa?
"Non proprio", rispose alla sorella, guardandola negli occhi.
"Perchè?" Octavia fece un sospiro. "Bellamy, Raven ha ragione. Abby e Kane hanno bisogno di te, perchè tutti i ragazzi ti considerano il loro eroe, ed è la verità. E' questo che sei. E anche gli adulti ti rispettano, perchè sanno quello che hai fatto per infiltrarti nel Monte e salvare i nostri compagni. Non vedi come ti guardano? Come ti parlano? Ti rispettano. E ti ammirano, anche. Tu ispiri le persone, Bellamy. Quando vogliono fare la cosa giusta, guardano te. Devi concederglielo. Non ti piacerebbe poter fare lo stesso? Non ti piacerebbe avere qualcuno da cui essere ispirato?"
Il giovane Blake strinse i pugni, poi chiuse gli occhi e lentamente uscì dalla stanza, senza dire una sola parola.
Octavia si voltò a guardare Lincoln. "Cos'ho detto?" Da qualche tempo lei e il fratello non erano più in sintonia come una volta, e questo la preoccupava.
"Lui ispira le altre persone, è vero. Ma ad ispirare Bellamy era Clarke, e adesso lei non c'è più."


Nota dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 8 giorni dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo precedente. Ho voluto dedicare un po' di spazio a quello che i suoi compagni pensano dell'assenza di Clarke. Spero vi sia piaciuto :)
Ci aggiorniamo tra un paio di giorni,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Buona fortuna ***


postS2_4 "Buona fortuna" - Indra

Polis era una grande città. Oh, eccome se era grande. Enorme. Immensa. Le strade erano così larghe che si poteva andare a cavallo, e la maggior parte delle case aveva più di tre stanze. Indra ci era stata varie volte nel corso della sua vita e vi tornava sempre con piacere, ma stavolta non avrebbe seguito il Comandante e i pochi sopravvissuti di TonDc che sarebbero andati alla Capitale. Questa volta, aveva chiesto il permesso di restare con un piccolo gruppo di Grounders proprio a TonDc, per ricostruire il villaggio. Lexa glielo aveva concesso.
Sapeva che gli Sky People avevano vinto. Sapeva che gli uomini della montagna erano stati sterminati. Sapeva che Clarke li aveva seppelliti uno ad uno, perchè in un giro di ricognizione l'aveva vista e aveva avvertito la sua pena in quei gesti quasi disperati. Sapeva che nessuno li avrebbe più minacciati con mezzi che andavano oltre la loro comprensione e le loro possibilità. Sapeva il perchè. Sapeva che Lincoln e Octavia erano al campo degli Sky People, ma non aveva intenzione di andare di nuovo a cercarli. Aveva parlato a lungo con Lincoln, in segreto, pochi giorni dopo la sconfitta del Monte, ed era arrivata a credere che, in fin dei conti, il ragazzo quella sera aveva scelto bene.
La prima cosa che avevano ricostruito a TonDc era la prigione. C'erano voluti pochi giorni.
Era già piena.
Indra sbirciò dietro le sbarre fatte da tronchi spessi.
Emerson era in piedi, legato, sanguinante, ma ferito solo in maniera lieve. Aveva l'aria scontrosa.
Clarke era seduta in un angolo, appoggiata alla parete di legno con gli occhi chiusi, ma non dormiva. Non era legata e appariva piuttosto tranquilla.
Indra li aveva trovati quella mattina. Per la verità, aveva trovato Emerson, e aveva cominciato a seguirlo. Avrebbe dovuto ucciderlo subito, ma non lo aveva fatto. Si era forse rammollita? Era colpa di Lincoln? Chi poteva dirlo... il punto è che lo aveva semplicemente seguito. Poi lui, dopo qualche ora, si era scontrato con Clarke. Stava quasi per ucciderla sparandole alle spalle, come un codardo, quando Indra era intervenuta, mettendoli al tappeto entrambi.
A volte il mondo era proprio piccolo.
"Clarke." La chiamò bruscamente, aprendo la porta della cella. La ragazza aprì subito gli occhi e si mise in piedi. "Seguimi", le disse Indra, e si avviò verso la casupola del capo villaggio, lasciando il compito al suo nuovo secondo, Kara, di richiudere la porta. Era l'unica persona a TonDc a sapere che uno dei due prigionieri non apparteneva agli Sky People.
Quando furono dentro, Indra si sedette al suo posto d'onore. "Dove stavi andando?", domandò. Il tono sembrava accusatorio.
"Non lo so", rispose la ragazza, con sincerità. "Lontano."
"Stai scappando?"
Passò un momento di silenzio. "Più o meno."
Le due donne si guardarono negli occhi. Indra sapeva, e disapprovava. Ma non erano affari suoi, non più.
"Non puoi scappare dai tuoi demoni. Ma ti lascerò andare."
"Porterò con me Emerson."
Indra avrebbe dovuto dirle che no, Emerson non sarebbe andato da nessuna parte. Sarebbe rimasto lì e sarebbe stato ucciso per tutto quello che aveva fatto, ma non voleva ingaggiare una lotta (seppur non fisica) con la ragazza. Indra sapeva cosa aveva fatto per salvare la sua gente, ammirava il modo in cui si era comportata, e capiva quale peso stava sopportando. Decise così di concederle la vita dell'uomo.
"Buona fortuna."

"Perchè?", domandò Emerson.
"Perchè non hai un posto dove andare, e neppure io. Perchè è inutile ammazzarci a vicenda. Adesso abbiamo la possibilità di ricominciare da capo, ma da soli non andremmo molto lontano."
La verità era che aveva paura che Indra lo uccidesse. Era forse uno dei pochi che meritava davvero una punizione per ciò che aveva fatto, ma la ragazza aveva ucciso e seppellito così tante persone nell'ultimo mese, che non voleva altri spargimenti di sangue inutili. Se aveva la possilità di salvare Emerson, doveva provarci.
Lui era ancora legato in cella, lei era sulla porta con le braccia incrociate e lo fissava con decisione. Alle sue spalle, Indra e Kara.
"E dove avresti intenzione di andare?" Stava cominciando a cedere. Era fuggito perchè sapeva che se gli Sky People lo avessero trovato lo avrebbero ucciso, ma non aveva un posto dove andare. Non era mai stato fuori da quel Monte per più di poche ore. Non poteva di certo unirsi ai Grounders. Era già abbastanza sconvolto dal fatto che Indra lo avesse risparmiato, e a giudicare dagli sguardi che gli rivolgeva, la donna sembrava pentirsi ogni secondo di più di quell'atto di carità.
"Alcuni, tra la mia gente, sono partiti alla ricerca di un posto chiamato Città della Luce, una specie di..." faticava anche solo a dirlo "...terra promessa, in cui cominciare una nuova vita." Non sapeva se Jaha era matto o se davvero alla fine era riuscito a trovare un posto idilliaco in cui vivere, ma ormai non aveva niente da perdere.
Silenzio.
"Allora?"
Emerson la guardò con disprezzo, ma era solo una facciata. Lui, in cuor suo, la ammirava. Quando l'aveva vista le aveva puntato la pistola alla schiena, ma non aveva intenzione di spararle. Non sapeva cosa avrebbe fatto, e non lo avrebbe mai saputo, perchè poi era arrivata Indra. E ora? Quale scelta aveva? Seguirla o morire.


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 20 giorni dalla sconfitta del Monte. Scusate il ritardo, ma ero convinta di aver già aggiornato O.o ...spero che questo capitolo vi sia piaciuto :D
Al prossimo!
Y**


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Una volta hai disegnato Maya ***


postS2_6 "Una volta hai disegnato Maya" - Emerson

Non faceva più molto freddo, ed era strano in quel periodo dell'anno. Probabilmente si stavano avvicinando a qualche regione desertica, o qualcosa di simile. In quei momenti Clarke si pentiva di aver passato più tempo in sala operatoria che a studiare le caratteristiche della Terra, quando era sull'Arca. Poi le tornavano in mente le vite che aveva salvato grazie alle sue capacità, e abbozzava tra sè un sorriso.
Lei ed Emerson erano in viaggio da qualche giorno. Non parlavano molto, e lui aveva perso l'atteggiamento ostile già da un bel pezzo. Non facevano altro che camminare. Durante la giornata, si fermavano pochissime volte, mangiando frutti che trovavano lungo la strada. Solo la sera si concedevano un fuoco per cuocere del pesce o qualche bestiolina uccisa con delle lance rudimentali, un regalo di Kara. E per tenere alla larga animali feroci.
Quella sera si erano fermati vicino ad un ruscello. Avevano acceso il fuoco, pescato, cucinato, e mangiato. Non potevano definirsi sazi, ma almeno lo stomaco non brontolava.
Clarke era seduta vicino al fuoco, con una grande foglia verde e ruvida di fronte a sè. Nella mano sinistra aveva un pezzetto di legno con un'estremità carbonizzata. Disegnava.
Emerson se ne stava seduto lontano, la schiena appoggiata al tronco di un albero, e la osservava. Non era la prima volta che la vedeva disegnare, perchè la ragazza lo faceva tutte le sere. Passava ore a disegnare. Lui spiava i risultati ogni volta che poteva, senza farsi notare, ma non riconosceva quasi mai i soggetti. Lei era brava, ma gli strumenti a sua disposizione non erano granchè, e poi Emerson non poteva osservarli mai bene e a lungo. Spesso disegnava persone, e solo una volta l'uomo ne aveva riconosciuta una. Si trattava di Maya, che conosceva da sempre e che per questo non aveva faticato a rivedere nei lineamenti tracciati grossolanamente con il carboncino improvvisato.
Maya... la figlia di suo fratello... sua nipote. Anche se la ragazza non lo sapeva. Emerson e suo fratello avevano troncato ogni rapporto prima ancora che lei nascesse. La base del loro litigio, ovviamente, erano stati i trattamenti con il sangue dei Grounders.
Quella sera, chissà perchè, aveva voglia di guardare meglio quei ritratti. Si alzò il più silenziosamente possibile, e raggiunse Clarke, fermandosi alle sue spalle e piegandosi leggermente verso di lei. Osservò a lungo il profilo maschile con gli occhi chiusi e i capelli in disordine che la ragazza stava ultimando.
"E' l'infiltrato", commentò con tranquillità.

A Clarke per poco non venne un infarto. Si voltò di scatto e portò d'istinto una mano alla pistola, guardando in su, ma non fece neppure in tempo ad alzarsi che Emerson stava ridendo per averla spaventata.
In quel momento, la ragazza odiò se stessa. Come aveva potuto non accorgersi che le era arrivato alle spalle? Avrebbe potuto ucciderla! Non poteva permettersi di perdere la concentrazione su quel che le succedeva attorno. Era così tutte le sere, senza che lei se ne rendesse conto? Quante volte aveva rischiato che Emerson la cogliesse di sorpresa sparandole in testa?
"Non azzardarti mai più", sibilò rabbiosa, trascinando la foglia sotto la propria gamba per nasconderla alla vista.
"E' l'infiltrato", ripetè l'uomo. "Giusto?". Quando non ottenne risposta, continuò. "Una volta hai disegnato Maya."
"Con quale coraggio pronunci il suo nome?" La ragazza si alzò e gettò la foglia con il suo ultimo disegno tra le fiamme. Poi, con uno sguardo sprezzante a Emerson, fece il giro attorno al fuoco e si sedette dall'altra parte, osservando il ruscello.
Emerson emise una piccola risata amara. "Ti ricordo che non sono stato io ad averla uccisa. Sei stata tu. Con l'aiuto dell'infiltrato, no?", fece un cenno con la testa per indicare le fiamme tra le quali bruciava la foglia, e poi se ne tornò incurante al suo posto vicino all'albero.
Clarke chiuse gli occhi, e cercò di reprimere la voglia che aveva di picchiarlo. Soprattutto, cercò di respingere le lacrime.
Sì, era vero, una volta (anzi, due) aveva disegnato Maya. E aveva disegnato Jasper, Monty, Raven, sua madre. Un paio di volte aveva disegnato Finn, e la sera prima aveva disegnato suo padre. Ma il soggetto che più di tutti aveva preso vita dalle sue mani e dal carbone, da quando aveva lasciato il campo, era Bellamy. Aveva disgnato la mano di Bellamy sulla propria, mentre portavano a compimento il massacro... il gesto che più di tutti la tormentava. Aveva disegnato le mani di Bellamy che stringevano il fucile, con cui tante volte l'aveva protetta. Aveva disegnato infinite volte i suoi occhi, che la guardavano sempre con la stessa intensità ma in maniera diversa: a volte divertita, a volte arrabbiata... a volte con profondo affetto. E aveva disegnato il suo profilo, che le era diventato familiare come il proprio.
Nessuno le mancava come Bellamy. Eppure era l'ultima persona che avrebbe voluto rivedere.
Lo aveva mandato in una missione pericolosissima. Aveva lasciato che la sorella rischiasse di morire. Aveva perso l'esercito che gli aveva garantito. Aveva infranto la promessa di non uccidere gli innocenti. Aveva ceduto alla propria debolezza, e gli aveva permesso di dividere con lei la colpa di un massacro la cui responsabilità era soltanto sua.
Vivere con Jasper sarebbe stato tremendamente difficile, ma vivere con Bellamy sarebbe stato impossibile.

Dopo parecchio tempo, Emerson prese di nuovo la parola.
"Cage non vi ha lasciato scelta", disse con gravità, fissando un filo d'erba che si stava rigirando tra le dita.
Clarke, sorpresa, si voltò a guardarlo, ma lui aveva ancora gli occhi bassi. 
Nessuno dei due parlò per vari minuti, poi l'uomo proseguì. "Era impazzito. Desiderava una vita migliore per la sua gente, ma ha perso il controllo. Considerava la tua gente semplicemente come un mezzo per raggiungere il suo scopo, ma alla fine... alla fine ha cominciato a considerare anche noi semplicemente come un mezzo. Ha dimenticato che lo scopo era avere una vita migliore e non quello di ottenere il midollo con la forza."
Visto che Clarke non parlava, alzò finalmente gli occhi su di lei. Lo stava semplicemente fissando.
Continuò. "Non mi crederai...", fece un sorriso ironico "...ma quando cercavo di entrare nella sala comandi per fermarvi, volevo farlo per salvare la mia gente, non per condannare la vostra. Io non sono come Cage. Avrei sacrificato le vostre vite, ma non quelle della mia gente."
Quando aveva trovato il corpo senza vita di suo fratello, ucciso da guardie come lui per ordine di Cage, si era reso conto che la situazione stava sfuggendo di mano a tutti. Ma cosa poteva fare, a quel punto?
Clarke, che fino a quel momento era rimasta immobile come una statua di cera, si mosse un po', stringendosi le ginocchia con le braccia, a disagio.
Emerson rise lievemente, ma senza allegria. "Esatto, ragazzina. Tu e io non siamo poi così diversi. In questo momento ti senti un mostro, ma dimmi... come ti saresti sentita se avessi lasciato soffrire e morire il tuo popolo e le persone che ami, in favore di pochi innocenti guidati da un pazzo? Non esisteva una cosa giusta da fare. Esisteva una cosa giusta per voi, e una cosa giusta per noi. La mia gente pesa sulla coscienza di Cage, e sulla mia. Non sulla tua."
Emerson distolse lo sguardo e ricominciò a giocherellare col filo d'erba.
"Perchè mi stai dicendo queste cose?", domandò Clarke, quasi sussurrando.
"Perchè anche io ho delle colpe da espiare."


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 26 giorni dalla sconfitta del Monte. Spero vi sia piaciuto il piccolo momento Bellarke, ma soprattutto il rapporto che sta nascendo tra Clarke ed Emerson. E' una delle cose che vorrei vedere maggiormente nella nuova stagione!
Passate delle buone vacanze di Pasqua, e grazie a tutti quelli che seguono questa mia storia <3
A tra pochi giorni!
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Non siamo soli ***


postS2_5 "Non siamo soli" - Clarke

Clarke rimase senza parole di fronte a quella visione. Dopo aver superato miracolosamente indenni un deserto e un campo minato, si aspettava ben altro.

"Pannelli solari...", disse Emerson, facendo un altro passo sulla sabbia.
Oltre ogni previsione, avevano preso la strada giusta. Kara li aveva aiutati e aveva raccontato loro tutto ciò che sapeva sul mito della Città della Luce. Non sembrava molto convinta dell'esistenza di un posto del genere, ma la divertiva l'idea di aiutare quei due pazzi nel loro viaggio senza speranza. Per fortuna.
"Dubito sia questa, la famosa Città..." La ragazza chiuse gli occhi e cercò di non lasciarsi prendere dallo sconforto. Erano giorni che vagavano nel deserto ed erano stanchi, affamati, assetati, e facilmente irritabili.
"Diamo un'occhiata." Emerson fece un piccolo balzo e cominciò a ridiscendere la duna. La ragazza lo seguì e non tolse mai lo sguardo dall'orizzonte, dove si intravedeva una riva e poi una vasta distesa d'acqua. Non ne aveva mai vista così tanta. Era forse il mare?
Quando arrivarono ai pannelli, cominciarono a studiarli, ma nessuno dei due era un esperto in materia e non avrebbero neppure saputo dire se erano in funzione oppure no.
"Bè, e adesso?", fece Emerson, dando un calcio ad una pietra. Il suo vizio di dare calci alle cose li aveva salvati nel campo minato.
"Non ne ho idea," rispose Clarke, seguendo con gli occhi la traiettoria del sasso.
Da quando avevano avuto quel discorso quella sera vicino al fuoco, le cose erano migliorate. Parlavano di più e con tranquillità, perchè non vedevano più nell'altro una minaccia, ma soprattutto avevano cominciato a perdonare se stessi. Forse era impossibile farlo completamente, ma avevano accettato l'idea che fosse possibile convivere con le loro colpe, e questo era già un passo avanti. Ne avevano parlato anche altre volte.
"Emerson...", mormorò la ragazza afferrandogli una manica e indicandogli la direzione in cui aveva mandato la pietra. "Non siamo soli. C'è qualcuno laggiù." Quel brutto vizio si dimostrò ancora una volta provvidenziale.
Quel qualcuno era un ammasso di vestiti sporchi contenenti senza ombra di dubbio una persona, distesa a terra, immobile, vicino la riva.
Corsero entrambi in quella direzione, e la raggiunsero. L'uomo mise mano alla pistola, Clarke alla borraccia contenente quel poco di acqua che restava loro.
Si trattava di una ragazza, chiaramente una Grounder, con i capelli e gran parte del viso coperti, ma aveva dei tatuaggi. Era svenuta.
"La conosci?", chiese Emerson.
"No, non fa parte di un clan del Popolo degli Alberi", rispose Clarke, mentre notava che la sfortunata non era svenuta per il caldo, ma per una botta in testa. C'era anche del sangue incrostato. Doveva trovarsi lì da parecchio.
"Stiamo perdendo tempo", disse lui.
"Taci", replicò lei.
"Scherzavo", fece notare l'altro, alzando gli occhi al cielo e cominciando a guardarsi intorno. Perdendo tempo per cosa, in fondo? Erano arrivati alla fine del viaggio. Non avevano trovato la Città. Era finita.
Clarke sbuffò.

Non fu difficile far rinvenire la sconosciuta.
"Ciao. Non spaventarti." Clarke le sorrise, anche se l'altra aveva cominciato a guardarla minacciosamente nell'istante in cui aveva riaperto gli occhi. Non che si aspettasse una reazione diversa, da una Grouder. "Io sono Clarke, e lui è Emerson. Sei svenuta. Ricordi cos'è successo? C'era qualcuno con te?"
"Dov'è mio fratello?", esclamò l'altra, guardandosi intorno. Ma non c'era traccia del fratello, o del cavallo, o del carretto. Non c'era nulla.
Tranne quella barca in lontananza che si avvicinava sempre di più, ma nessuno la notò.
"Non abbiamo visto nessuno. Come ti chiami?"
"Emori."


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 31 giorni dalla sconfitta del Monte. Un capitolo un po' corto, ma si ricollega al prossimo, che pubblicherò tra un paio di giorni :) Abbiate fiducia, la Bellarke Reunion non è lontana :P ma mi piace fare le cose per bene u.u in più è tornata una nostra vecchia conoscenza! ;) 
Alla prossima!
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Prevedo guai ***


postS2_6 "Prevedo guai" - Emerson

"Non posso crederci." Murphy scoppiò a ridere, smettendo per un attimo di remare.
Era stanchissimo, a pezzi. Aveva remato come una furia per due giorni interi, senza mangiare, senza dormire. Era stato peggio in vita sua, fisicamente parlando, con tutto quel che gli era successo dopo essere stato mandato sulla Terra, ma stavolta era stremato nel corpo e nello spirito.
Su quell'isola aveva ritrovato Jaha, aveva conosciuto A.l.i.e..
Il ragazzo aveva vissuto in quella grande villa come un re, e Jaha con lui. Dall'inizio sapeva che c'erano altre persone in giro da qualche parte, perchè trovava indizi della loro presenza affacciandosi alla finestra, ma l'ex Cancelliere e l'ologramma non gli permettevano di uscire.
Era prigioniero, non sapeva cosa stava succedendo, e dubitava che lo shock della scoperta dell'ologramma sarebbe stato minimamente paragonabile allo schock dello scoprire quali erano i veri piani di quei due. Perchè dall'inizio aveva capito che c'erano altri piani. Jaha e A.l.i.e. si isolavano tutti i giorni e non parlavano mai con lui di quel che tramavano.
E infatti, quando infine aveva scoperto la verità (o meglio, una parte di verità) non aveva creduto ai suoi occhi e alle sue orecchie.
Era stato facile fingere di accettare la situazione. L'ologramma non poteva leggergli nella mente, Jaha aveva completamente perso la testa, e lui era bravo a mentire. Non sarebbe sopravvissuto tanto a lungo sull'Arca, altrimenti. Anzi, neppure sulla Terra.
Dopo tanti giorni di lotta, e dopo tanti giorni di finta accettazione, era riuscito a scappare da una finestra, proprio sotto il naso di Jaha, che si era fidato troppo di lui. A.l.i.e. gliel'avrebbe fatta pagare.
Aveva trovato la grata di una prigione sotterranea, piena di Grounders, tra cui il fratello di Emori. Lì c'erano i Grounders che, dopo aver raggiunto l'isola e aver appreso i piani dell'Intelligenza Artificiale, avevano rifiutato di assecondarla. Molti altri, invece, vivevano liberi sull'isola, aiutandola.
Era stata A.l.i.e. che aveva dato il via al disastro nucleare di 97 anni prima. Era stata lei che aveva provato a distruggere l'umanità, ma qualcosa era andato storto. Chi non meritava di sopravvivere, era invece sopravvissuto. La Terra pullulava di Grounders, gli Sky People erano fuggiti nello spazio, e poi erano tornati. Quel mostro progettava di far piazza pulita di nuovo, progettava di distruggere ogni essere vivente che non si trovasse sull'isola... e Jaha la stava aiutando.
Ma in fondo, Murphy doveva ringraziarlo. Senza la stupidità di quell'uomo, non sarebbe riuscito a fuggire dall'isola. Anche se aveva il sospetto che A.l.i.e. l'avesse lasciato andare. Aveva il controllo su tutto, ed era possibile che avesse avuto il controllo anche sulla sua fuga.

E adesso era impossibile non riconoscere la testa bionda di Clarke sulla riva.
Incredibile.

"Murphy!", strillò Clarke.
"John!", chiamò Emori, contemporaneamente.
Entrambe le ragazze corsero verso la barca, entrando in acqua.
"Ehi!" Emerson le seguì, afferrando la bionda per la giacca e tirandola indietro, spruzzando acqua ovunque. "Esci da qui." Aveva l'impressione che i mostri acquatici che vivevano nei laghi e nei fiumi intorno al Mount Weather, lì fossero anche più grossi. "Lo conosci?"
"E' arrivato con me", rispose Clarke, ma non si spiegava come Emori lo conoscesse. Anche l'altra si era fermata, e stava aspettando che la barca li raggiungesse.
"Prevedo guai...", borbottò Emerson. Clarke non poteva che dirsi d'accordo.

Il ragazzo aveva appena finito il suo racconto, dopo aver divorato quel poco che restava delle scorte dei due viaggiatori.
Emerson non disse nulla, ma conosceva abbastanza la sua compagna d'avventura per sapere che le cose, per lui, stavano per complicarsi. Aveva quasi voglia di prendere la barca, raggiungere l'Intelligenza Artificiale, e offrirsi di darle una mano. Avrebbe potuto. In fondo, perchè no?
Il suo sguardo si posò su Clarke. Sospirò.
"Dobbiamo andare là. Dobbiamo salvare mio fratello." Emori accarezzò con la mano buona il coltello che portava alla cinta. Aveva uno sguardo determinato.
"Dobbiamo tornare al campo, invece", sussurrò Clarke, più a se stessa che agli altri. Incrociò lo sguardo di Murphy. "Dobbiamo fermarli." Lui annuì. "Non possiamo farlo da soli." Lui annuì di nuovo. Clarke chiuse gli occhi. "Dobbiamo tornare al campo", ripetè.


Nota dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 31 giorni dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo precedente. La spiegazione di quel che è successo a Murphy sull'isola è un po' frettolosa, ma non è su questo che voglio concentrarmi. E' prevalentemente una storia sui rapporti tra i vari personaggi (tutti, non solo Clarke e Bellamy), quindi scusatemi se in alcune cose sono un po' superficiale.
Ci risentiamo tra un paio di giorni!
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Ti odio ***


postS2_9 "Ti odio" - Raven

Era stato difficile convincere Emerson a tornare con loro verso il Camp Jaha, del quale la bionda non conosceva ancora il nuovo nome. Avevano discusso a lungo. C'era voluto molto affinchè si fidasse del fatto che Clarke avrebbe impedito che gli venisse fatto del male.
Ancor più difficile era stato persuadere Emori a seguirli e a lasciar perdere la malsana idea di raggiungere l'isola da sola alla ricerca di suo fratello. Era stato Murphy a convincerla. Quei due sembravano proprio... amici.
Dopo più di dieci giorni di viaggio, contro ogni pessimistica previsione iniziale, Clarke era finalmente tornata a casa, e i suoi compagni erano tutti vivi e in buona salute.
Vide il cancello da lontano, quando si trovavano ancora tra gli alberi. Avvicinandosi riuscì a leggere il nuovo cartello improvvisato: "The New Ark", e sorrise tra sè. Era contenta che fossero rimasti lì e che non si fossero trasferiti al Mount Weather.
Avanzavano in silenzio, in fila indiana. Clarke, con il cuore a mille e le gambe che tremavano, Murphy quasi accanto a lei, dietro di lui Emori, e infine Emerson, che si preparava a morire. Meglio così che vivere da eremita il resto dei suoi giorni. Si era preparato a questo durante la sua fuga dal Monte, prima di incontrare Clarke, era stato pronto a vivere da solo il resto dei suoi giorni, ma adesso aveva cambiato idea.
Finalmente, dall'interno, qualcuno li vide.

Kane e Bellamy erano nella Base, seduti ad un tavolo in acciaio, chini su decine di mappe.
Gli Sky People stavano esplorando pian piano tutti i dintorni, mantenendo alleanze con i Grounders, grazie a Lincoln, Octavia e Indra. Non era stato facile. Lexa ed altri volevano cacciarli dai loro territori, ma la notizia di come il Mount Weather avesse smesso di creare problemi aveva colpito molti Grounders, alla Capitale. Clarke era diventata una leggenda. Così la Comandante era stata persuasa a mantenere una tregua, almeno per qualche tempo.
Ora i due Cancellieri dovevano decidere la prossima zona in cui avventurarsi.
Bellamy si trovava bene in queste sue nuove vesti. Per la verità, la sua vita era poco diversa da quella di Miller, o di Monty, o di tutti gli altri. Non aveva ancora scelto i suoi due Consiglieri, perchè aveva deciso che li avrebbe scelti sul momento, quando ce ne fosse stato bisogno. La vita al campo procedeva tranquilla.
"Senti anche tu?", domandò il ragazzo, alzando gli occhi dalle mappe e guardandosi intorno. Inutilmente, perchè quella era l'unica stanza della Base dove non c'erano finestre. Si riferiva al trambusto che pareva provenisse dall'esterno.
Lui e Marcus andavano molto d'accordo, cosa che solo tre mesi prima sarebbe parsa impensabile. Avevano imparato a rispettarsi.
"Vado a controllare", disse Kane, alzandosi rumorosamente e lasciandolo solo.

"Clarke!"
"Mamma..."
La ragazza si lasciò abbracciare, ma il momento di gioia non durò a lungo. Si liberò dalla stretta. Tutti avevano puntato le armi sui tre alle sue spalle, e lei allargò le braccia, urlando: "Non sparate! Sono con me! Non sono una minaccia!", frapponendosi tra gli Sky People e i suoi compagni.
Cominciò a radunarsi parecchia gente, e i mormorii sul ritorno di Clarke si diffusero rapidamente per tutto il campo.
Murphy si era spostato davanti alla Grounder con fare protettivo, mentre Emerson aveva alzato le mani aperte in segno di resa, per mostrarsi disarmato, anche se aveva una pistola nascosta sotto la giacca. Tutti abbassarono le armi, tranne una persona.
Abby stava piangendo, in ginocchio, fissando la figlia.
Raven, che indossava di nuovo il tutore, corse goffamente verso Clarke, abbracciandola forte.
"Ti odio", le borbottò in un orecchio, mentre la stringeva.
"Mi dispiace", disse Clarke, con sincerità.
Quando fu libera dall'abbraccio del meccanico, fu letteralmente investita da Monty, cosa che le strappò un risata perchè per poco entrambi non caddero disastrosamente per terra.
Salutò velocemente tutti quelli che conosceva bene (tranne Lincoln e Octavia, che non c'erano), poi posò lo sguardo su Jasper, l'unico che ancora teneva alto il fucile, ben puntato su Emerson. E Bellamy? Lui dov'era?
"Abbiamo un problema. Un grosso problema", disse Clarke, rivolgendosi a tutti, e soprattutto alla madre.
Nel frattempo, Abby si era ricomposta. "Dov'è Thelonius?", domandò preoccupata rivolta a Murphy, alzandosi.
Il ragazzo sorrise con una punta di sarcasmo. "Oh, lui è parte del grosso problema."
"Allora dovreste tutti e quattro raccontarci cos'è successo e di quale problema si tratta. Qui, davanti a tutti, prima di entrare." La voce giunse da dietro la piccola folla radunata, che si spostò lasciando spazio a Kane. "Jasper, abbassa l'arma." E il ragazzo ubbidì malvolentieri.
"Clarke", intervenne Raven, e poi parlò velocemente. "Manca qualcuno. Va' a chiamare Bellamy. Nella Base, la stanza senza finestre."
Kane stava per dire qualcosa, probabilmente che sì, sarebbe stata una buona idea, e stava anche per voltarsi, per andare lui stesso a chiamare l'ultimo Cancelliere, ma non fece in tempo a dire o fare nulla di tutto questo, perchè Clarke Griffin gli era già sfrecciata davanti e stava entrando nella Base.
Raven sorrise.


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 42 giorni dalla sconfitta del Monte. Sto cercando di calcolare il tempo come nel telefilm, ma mi rendo conto che è difficile se non impossibile. Siate buoni e prendete per giusti i miei numeri :P ci rivediamo tra due giorni per la famosa Reunion. Che ansia!
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Non prendo ordini da te ***


postS2_10 "Non prendo ordini da te" - Clarke

Con la mano sulla maniglia, Clarke si fermò.
Rivedere sua madre e i suoi compagni le aveva riempito il cuore, e le aveva fatto bene. Non aveva dimenticato cosa aveva fatto per riportarli al sicuro, ma in quell'istante aveva ricordato anche perchè lo aveva fatto.
Con Bellamy, però, era diverso. Sperava che lui fosse felice di rivederla, ma allo stesso tempo sentiva di non meritare una bella accoglienza.
Avevano imparato a fidarsi l'uno dell'altra, ciecamente. Lui non l'aveva mai delusa e lei, invece, aveva fallito.
L'istante in cui il ragazzo aveva posato la propria mano su quella di Clarke, e insieme avevano tirato la leva, qualcosa si era spezzato dentro di lei.
Voleva accettare il perdono di Bellamy, non desiderava altro, ma per poterlo fare doveva prima perdonare se stessa, e ancora non era riuscita a farlo completamente.
Prese fiato, con il cuore che batteva forte, terrorizzata ed emozionata al tempo stesso.
Ora o mai più, pensò.

Il ragazzo sentì la porta aprirsi.
"Allora? Cosa succed-"
...

Rimase qualche istante a fissarla.
Alzando gli occhi dalla mappa, si era aspettato di vedere Kane.
E invece, proprio lì davanti a lui, dall'altro lato della stanza, dopo più di un mese, Clarke gli sorrideva lievemente.
Sulle prime, non si rese conto di quel che stava accadendo. Senza distogliere gli occhi dalla ragazza neppure per un istante, Bellamy si alzò, senza fretta, dimenticandosi di tutto ciò che lo circondava. Era davvero tornata? Cominciò a camminare verso di lei, sempre più veloce, finchè non fu a qualche passo di distanza. Si fermò, con gli occhi fissi in quelli azzurri di Clarke.
Desiderava abbracciarla, ma non osava. Non era neppure sicuro che fosse veramente lì. Magari era solo stanco e cominciava ad immaginarsi le cose.

Clarke prese di nuovo fiato. "Sono tornata", disse.
Ma nel momento stesso in cui aveva aperto bocca per parlare, le braccia di Bellamy l'avevano circondata. La stringeva forte, come se dovesse tenerla insieme per non far cadere i pezzi, e in quell'istante la ragazza sentì un senso di protezione che le sciolse dalla testa ai piedi tutto il nervosismo accumulato da quando era arrivata sulla Terra. Si sentiva proprio così in quell'istante, come se fosse a pezzi e solo Bellamy potesse evitare di farla crollare.
Con una mano tra i capelli, Bellamy le premeva il viso contro la sua spalla, e lei poteva sentire la guancia di lui, ruvida per un accenno di barba, contro la propria.
Gli strinse i fianchi in un abbraccio, ma non riuscì a fermare alcune lacrime silenziose.

Era tornata davvero.
"Non andrai più da nessuna parte", disse Bellamy, con le labbra affondate nei capelli biondi di Clarke.
Un piccola risata. "Davvero?"
"Davvero."
Un'altra piccola risata. "Siccome non prendo ordini da te, avrò bisogno di una buona ragione."
"Non posso perderti di nuovo, okay?", disse Bellamy con voce rotta, stringendola con più forza, senza mostrare alcun segno di divertimento o di leggerezza.
Lei non rispose. C'era così tanta sofferenza in quelle poche parole. La ragazza riusciva a percepirla, e in quel momento capì di aver sbagliato tutto. La consapevolezza del dolore che aveva procurato a quel ragazzo la colpì come uno schiaffo. Prima di quel momento, non aveva mai pensato, neppure per un istante, che Bellamy avesse bisogno di lei. Per Clarke, Bellamy Blake era un leader nato, per cui le persone erano disposte a morire. Era un combattente, era un eroe, era invincibile. Prima di percepire quell'intensa sfumatura di dolore nella sua voce, lì, in quell'istante, in quell'abbraccio, non aveva mai pensato che lui potesse soffrire per la sua assenza.
Bellamy sciolse l'abbraccio, e le prese il viso tra le mani. Non le asciugò le lacrime, ma la guardò di nuovo negli occhi, e quel che vide non gli piacque.
C'era gioia in quello sguardo e in quelle lacrime, ma non solo. C'era anche dolore. Troppo.

"Non sono tornata da sola. C'è anche Murphy. E una Grounder. E... un'altra persona. Abbiamo un problema. E questo è anche peggio del..."
Bellamy la interruppe. "E' per questo che sei tornata?" Le lasciò andare il viso, quasi come se si fosse scottato, e fece un passo indietro. "Non sei tornata perchè volevi. Sei tornata perchè dovevi. Vero?"
Per Bellamy, il silenzio della ragazza confermò più di quanto potessero fare le parole. Clarke voleva dirgli che aveva sbagliato, che se avesse capito prima cosa provava lui, sarebbe tornata molto prima. Anzi, probabilmente non sarebbe mai partita. Ma quella consapevolezza era stata così improvvisa, così nuova, che non trovò le parole o la forza di pronunciarle.
"Bene, allora andiamo a risolvere anche questo problema", commentò dopo qualche istante Bellamy con voce dura, stringendo i pugni, imponendo a se stesso di non fare o dire niente di cui avrebbe potuto pentirsi. Clarke era lì. Non era questa la cosa più importante?
No. Non riusciva ad essere felice del semplice fatto che fosse lì. Sapere di dover ringraziare qualche guaio per la presenza della ragazza lo aveva colpito come un pugno in faccia.
Senza guardarla le girò intorno, uscendo dalla stanza.
Asciugandosi le lacrime, Clarke lo seguì.


Nota dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 42 giorni dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo precedente. Oookay, questa è una falsa Bellarke Reunion, perchè non è proprio tutta zucchero e arcobaleni u.u Muahahaha :P vi giuro che per quella vera un po' più romantica non dovrete aspettare molto u.u -> SPOILER -> solo un paio di capitoli u.u
Al prossimo capitolo,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Tramano qualcosa ***


postS2_11 "Tramano qualcosa" - Kane

"Jasper?"
Clarke aspettò, ferma davanti alla tenda. Non aveva ancora perso la speranza, e mai l'avrebbe persa, di poter aggiustare le cose.
Ma non fu lui a rispondere. "Entra!", esclamò Raven.
La bionda scostò il tessuto che faceva da porta e varcò la soglia.
"A quanto pare abbiamo avuto tutti la stessa idea", disse il meccanico, accomodata su una sedia come fosse a casa propria. Accanto a lei, in piedi, c'era Monty, che pareva un fascio di nervi. Era stato lui ad andare per primo dal suo migliore amico, e i cinque minuti prima che Raven li raggiungesse gli erano parsi i più lunghi della sua vita. Com'era successo tutto questo? Com'era potuto accadere che ci fosse tale gelo in compagnia della persona più importante della sua vita?
Anche Jasper era in piedi, dall'altro lato della tenda, scuro in volto.
Clarke lo guardò. "Jasper, ti prego..." Fece qualche passo verso di lui, raggiungendolo e costringendolo a guardarla. "Vieni con noi."
"Potete discutere anche senza di me." Il tono non sembrava ammettere repliche, ed in effetti si era stancato di dover resistere ai loro attacchi. Era ferito, e lo infastidiva che i suoi amici non rispettassero il suo dolore mantenendo le distanze. La verità era che lo avevano fatto, per settimane. E forse questa correttezza da parte loro lo infastidiva ancora di più.
Raven sbuffò, alzandosi. "Andiamo, siamo già in ritardo." Afferrò un braccio di Clarke e la trascinò fuori, verso il cancello, dove Miller, Murphy ed Emori stavano aspettando.
I due ragazzi che un tempo erano stati migliori amici si fissarono negli occhi.
Non avevano mai avuto bisogno di parole per capirsi, e questo non era cambiato. Un attimo dopo, sconfitto nello spirito, Monty seguì le due ragazze all'esterno.

Da lontano, sulla porta della Base, Kane ed Abby osservarono il gruppo uscire e dirigersi verso il bosco.
"Dubito stiano andando da Lincoln e Octavia per un tè", mormorò la donna.
Erano entrambi stanchissimi, e non erano i soli. Dopo il ritorno di Clarke c'era stato un gran trambusto. La rivelazione di quel che aveva fatto Jaha e dell'esistenza di A.l.i.e. aveva condotto ad estenuanti discussioni. Octavia e Lincoln avevano raggiunto il campo e il Grounder aveva faticato non poco a capire come potesse esistere un'Intelligenza Artificiale. Come se non bastasse una minaccia nucleare ad incombere su di loro, la metà degli abitanti del campo voleva il Mountain Man morto.
"Mancano dal campo anche Bellamy ed Emerson. Tramano qualcosa, Abby." Kane si massaggiò la fronte.
"Se così fosse, non si muoverebbero alla luce del sole."
Su questo non poteva darle torto.

Emerson e Bellamy aspettavano pazienti, nascosti tra gli alberi.
Il giovane Blake imbracciava il fucile, ed Emerson aveva come al solito una pistola nascosta sotto la giacca, ma Bellamy lo sapeva, perchè Clarke glielo aveva detto. Avevano deciso di lasciargliela, perchè lo faceva sentire più sicuro, e in effetti non tutti tolleravano senza fiatare la sua presenza al campo.
Bellamy stesso non era convinto di potersi fidare al cento per cento dell'uomo, ma Clarke aveva ormai perso ogni dubbio, e così anche lui faceva lo sforzo di trattarlo bene. O, almeno, di non trattarlo male. Si era offerto volontario insieme a Murphy per fargli da scorta durante la notte, ma quella mattina quando erano usciti non si erano praticamente rivolti la parola.
Sentirono dei passi avvicinarsi, e un minuto dopo Lincoln e Octavia sbucarono alle loro spalle.
"Eccoci", disse la Blake. "Gli altri non sono ancora arrivati?"
Bellamy fece segno di no con la testa. Guardò la sorella, poi Lincoln. "Tutto bene?", chiese.
Octavia alzò gli occhi al cielo, Lincoln annuì.
Il fratello della ragazza non era entusiasta del loro trasferimento nella vecchia casa di Lincoln. Aveva sempre paura che i Grounders decidessero di rompere la tregua da un momento all'altro, e riteneva il campo più sicuro. The New Ark aveva soldati, fucili e pistole. Tutti avevano imparato a sparare e tirare coltelli, anche quelli che erano arrivati con le stazioni dell'Arca e che in vita loro non avevano mai fatto del male a una mosca.
Purtroppo nelle altre stazioni che erano riusciti a raggiungere non avevano trovato altri sopravvissuti. Mel era stata un miracolo. Almeno avevano trovato armi, medicinali, e altri beni utili. Prima che Clarke tornasse, stavano organizzando una spedizione per il Mount Weather per lo stesso motivo, ma ora era passata in secondo piano.

Mezz'ora dopo, la riunione ebbe inizio.
Formavano un cerchio, e parevano piuttosto agitati, anche se stavano parlando pacificamente.
Da un lato c'erano Bellamy, Raven, Octavia, Miller, Murphy ed Emori. Leggermente distaccati, c'erano Clarke, Lincoln, Monty ed Emerson. Quest'ultimo, addirittura, manteneva le distanze ancor di più.
Quasi inspiegabilemente, Bellamy, Miller e Murphy stavano vicini, con una certa complicità. Dopo solo un giorno, i tempi del "Quel che diavolo vogliamo!" sembravano essere tornati, se non nelle convinzioni, almeno nelle dinamiche.
"Sarà difficile", commentò Lincoln. Stavano discutendo del fatto di coinvolgere i Grounders nel "problema A.l.i.e.". Purtroppo, Lincoln aveva ragione.
Clarke chiuse gli occhi. La storia stava per ripetersi. Sky People e Grounders avevano un nemico in comune, e dovevano allearsi per sconfiggerlo.
"Non potete dir loro l'intera verità. Quest'Intelligenza Artificale... non vi prenderanno sul serio. Dovete fingere che sia una persona normale", continuò Lincoln.
"Non mi piace l'idea di mentire su una cosa così importante", disse Octavia.
"In ogni caso, stavolta l'aiuto non giungerebbe velocemente come l'ultima volta. Il Comandante è nella Capitale, a diversi giorni di viaggio. E decidere di aiutarvi non sarà una decisione solo sua. La situazione è diversa. Questo nemico non lo conoscono, non lo hanno mai visto. Non vi crederanno facilmente, ci vorranno settimane per arrivare a una decisione, sempre che non vi caccino via un istante dopo avervi ascoltati."
Il Grounder aveva ragione.
"Soprattutto quando sapranno che è coinvolto uno dei nostri", aggiunse Bellamy, riferendosi a Jaha.
"Sono sicuro che quei due esaltati ci faranno raggiungere l'isola. Se non ci presentiamo con un esercito, almeno", intervenne Murphy. "Non so perchè mi hanno permesso di scappare, ma c'è per forza un motivo. Probabilmente quella dannata macchina vuole conoscere qualcun altro di voi."
Monty scambiò uno sguardo con Raven. "Tutte le macchine possono essere disattivate", disse, quasi rivolto soltanto a lei.
"Dobbiamo solo riuscire ad avvicinarci abbastanza", concordò il meccanico. "Non serve un esercito. Lasciate fare a me. E' da un po' che non faccio saltare in aria qualcosa."
"Non c'è solo una macchina, lì. C'è anche Jaha, e dei Grounders che eseguono i suoi ordini", intervenne Clarke. Guardò Murphy. "Quanti sono?"
"Quelli rinchiusi erano quasi un centinaio. Quelli pazzi e a piede libero potrebbero essere di più."
Poi fu il turno di Bellamy. "Bè, allora mi sembra piuttosto semplice. Soltanto un gruppo andrà sull'isola. Abbastanza grande da poter respingere Jaha, ma non tanto da far preoccupare la macchina. Nel frattempo gli altri cercheranno di stringere un'altra allenza con i Grounders. Anche se... la penso come Lincoln. E' inutile."
Per il momento, nessuno aveva altro da aggiungere. Bisognava solo parlarne agli altri due Cancellieri.


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 43 giorni dalla sconfitta del Monte. Scusate, come al solito mi concentro più sulle relazioni tra i personaggi che sugli eventi. Spero non vi dispiaccia troppo :) e scusatemi anche per il ritardo mostruoso con cui ho pubblicato, ma in questi giorni non ho avuto il pc a disposizione ç_ç
Al prossimo capitolo,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Sceglierà lei dove andare ***


postS2_12 "Sceglierà lei dove andare" - Abby

Il giorno dopo ci fu la prima riunione in assoluto del Consiglio del campo The New Ark.
Undici persone sedevano al tavolo d'acciaio nella stanza senza finestre della Base.
Tra i Consiglieri scelti da Abby e Kane, c'erano Sinclair, il signor Miller, Quinn, Anderson, Jackson e Raven. Quest'ultima era stata scelta, con gran sorpresa di tutti, da Abby.
Anche i due Consiglieri scelti da Bellamy furono una sorpresa.
La prima era Clarke. Si era cominciato a discutere se fosse il caso di nominarla quarto Cancelliere, ma la ragazza si era opposta, dicendo che le cose importanti al momento erano ben altre, e che i titoli non erano rilevanti. Tra l'altro, considerando la riunione clandestina del pomeriggio precedente, non si poteva di certo dire che Bellamy avesse solo due Consiglieri.
L'altro era Lincoln.
Gli adulti furono messi al corrente dell'idea (per non dire 'decisione') di far partire un gruppo alla volta dell'isola.
"Wick, Monty ed io possiamo occuparci della macchina", disse Raven.
"E con voi dovrebbero partire soldati ben addestrati", riflettè Kane.
"Andrò anche io", aggiunse Sinclair.
"Serve qualcuno qui che si intenda di ingegneria. Non possono partire tutti", fece notare Jackson.
"Resterà Monty qui. E' solo un ragazzo...", disse Abby.
"Nessuno di noi è più solo un ragazzo", disse Clarke duramente, a voce alta. Tutti si voltarono a guardarla. "Siete tutti vivi grazie a lui. Ha già lavorato sia con Wick che con Raven. E' la persona più adatta. Murphy ha detto che il creatore dell'Intelligenza Artificiale non è riuscito a fermarla da solo. Serve un lavoro di squadra e persone che possono lavorare bene insieme."
"Sono d'accordo con Clarke", disse Kane. "Naturalmente partirà anche Murphy. Cosa mi dite di quella Grounder... Emori?"
"C'è suo fratello sull'isola. Non resterà mai qui", intervenne Abby.
"E poi servono dei soldati. Questi potremo selezionarli più tardi." E Kane aveva già in mente di essere tra loro.
"Sarà più difficile decidere chi andrà con Clarke e Lincoln a Polis", aggiunse Bellamy.
"Io non vado a Polis", replicò tranquillamente la giovane Griffin, voltandosi a guardarlo. Non parlavano come si deve da due giorni, ovvero da quando si erano salutati. "Ci andranno Lincoln e Octavia, con Indra."
"Indra?", domandò Jackson, che non era sicuro che la Grounder avesse poi tutta questa voglia di aiutarli.
"Ci aiuterà", garantì Lincoln, che non aveva mai perso i contatti con lei.
"Tu vai a Polis", ripetè Bellamy, parlando sopra gli ultimi due, e guardando gelidamente la ragazza bionda.
"Assolutamente no."
"Il Comandante ti ascolterà", si intromise Kane, rivolto a Clarke.
"Io andrò sull'isola", rispose invece lei.
Bellamy si alzò. "No", disse in tono perentorio.
Anche Clarke si alzò, battendo una mano sul tavolo. "Non sei tu a decidere per me!"
"Non sei addestrata a combattere! Non serve a niente saper sparare ad un bersaglio sull'isola, saresti un peso!", poi aggiunse, cercando di controllare la voce: "Non vieni con noi. Discorso chiuso."
Kane non fu sorpreso di apprendere che Bellamy non aveva intenzione di perdersi quella missione.
Clarke stava per replicare, ma Abby la interruppe, alzandosi a sua volta. "Abbiamo perso fin troppo tempo. Questa è una cosa che non riguarda il Consiglio. Clarke può essere utile in entrambi i gruppi. Ha influenza su Lexa, ma ha anche capacità mediche, che potrebbero servire al gruppo dell'isola. Sceglierà lei dove andare." Se c'era una cosa che Abby Griffin aveva imparato negli ultimi mesi, era che doveva smettere di decidere per sua figlia. "Se a te non sta bene...", continuò, rivolta a Bellamy "...è una cosa che dovete risolvere tra di voi. Ora, se il Consiglio è unanime, direi di cominciare la selezione dei soldati prima di pranzo."

Bellamy e Lincoln lasciarono insieme la stanza.
"Clarke è come tua sorella", disse Lincoln.
"...Cosa?" Bellamy si riscosse. Era sovrappensiero. Oltre che arrabbiato.
"Non puoi controllarla", sorrise il Grounder.
"Non voglio controllarla", ribattè il maggiore dei Blake. Ed era vero. Non aveva mai voluto controllarla. Dopotutto l'aveva lasciata andare, no?
Lincoln impiegò solo un attimo a comprendere. "Non puoi sempre proteggerla." Ripensando a cosa aveva vissuto con Octavia, poteva capire bene i sentimenti di Bellamy in quel momento.
"Già", si limitò a commentare l'altro. "Ma posso provarci, anche se poi lei mi odierà per questo."
"Sai anche tu che non è giusto."
Bellamy non disse nulla, e Lincoln continuò: "E' una combattente, non sottovalutarla. Non lasciarti acceccare da quello che prov-"
Ma il Grounder non finì la frase, perchè Bellamy aveva accelerato il passo e lo aveva lasciato lì, a parlare da solo.
Il ragazzo non aveva voglia di sentirsi ripetere quel che, in fondo al cuore, già sapeva.


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 44 giorni dalla sconfitta del Monte. SCUSATE IL RITARDO... mi si è rotto il pc ç_ç ma per fortuna sono riuscita a recuperare tutta la fanfic, quindi non c'è nessun problema xD potrei solo far passare qualche giorno in più tra un capitolo e l'altro finchè non mi procuro un nuovo pc!
Come titolo ho scelto una frase di Abby perchè volevo porre l'attenzione sul cambiamento della donna nei confronti della figlia. Spero di riuscire ad approfondirlo più in là :)
P.S.:
Quinn e Anderson, i nuovi arrivati tra i Consiglieri (mi serviva qualcuno per fare numero xD), sono un tributo a Blaine e a Quinn di Glee :) ma non credo che darò loro molto spessore all'interno della storia xD
Al prossimo capitolo,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Insieme ***


postS2_13 "Insieme" - Bellamy

Erano Kane e il signor Miller a gestire le selezioni per i soldati che sarebbero partiti alla volta dell'isola.
Monroe fu una delle prime ad essere scelte.
"Forse non dovremmo portare i ragazzi", disse il signor Miller al Cancelliere, durante una pausa.
"Sono quelli che hanno maggiori probabilità di essere sottovalutati. Jaha non li metterà sul nostro stesso livello. Non possiamo contare su molti aiuti, ma sul fattore sorpresa sì. E sono bravi quanti noi." ...Se non di più, aggiunse tra sè. Marcus sapeva che la paura di Miller era che il figlio partisse con loro. Ed era una paura fondata, perchè più tardi il ragazzo si rivelò in gamba non solo con le armi, ma anche nel corpo a corpo.
Anche Clarke, Monty e Raven assistevano al reclutamento dei più bravi tra i volontari (che, purtroppo o per fortuna, non erano molti).
Si fece avanti Jasper, e tutti e tre ne furono sorpresi.
Venne scelto, perchè era ancora uno dei tiratori migliori. Non li guardò mai, nè rivolse loro la parola.
Monty fece per seguirlo, ma Raven lo bloccò. "Ci sarà tempo quando saremo partiti. Ora non forzarlo, mi sembra già tanto che abbia deciso di venire ad aiutarci."
"Dov'è Bellamy?", chiese Clarke, perchè era stanca di aspettarlo. Dovevano parlare.
Raven si strinse nelle spalle. "A volte sparisce per delle ore, senza avvisare." Poi la ragazza si allontanò e raggiunse Wick dall'altra parte del campo.
Clarke e Monty rimasero soli.
"Credo sia alla navicella", disse il ragazzo.
Lei lo guardò. "La navicella? Quella con cui siamo atterrati?"
Monty annuì. "Una volta gli ho chiesto come facesse a sopportare il senso di colpa. Mi ha risposto che ogni tanto torna alla navicella, perchè quel posto gli ricorda che tutto ciò che ha fatto da quando ha lasciato l'Arca, lo ha fatto per proteggere sua sorella."

Bellamy sentì dei passi avvicinarsi, e prese in mano il fucile.
Si alzò e aspettò, puntandolo sull'apertura della botola. Qualcuno stava camminando nella navicella, proprio sotto di lui. Era una sola persona. Possibile che qualche Grounder gironzolasse ancora da quelle parti?
Lo sconosciuto cominciò a salire le scale.
Spuntarono dei capelli biondi, e un polso con un orologio.
Bellamy abbassò l'arma.
"Ehi", lo salutò Clarke, e lui le tese istintivamente la mano, per aiutarla a salire. Lei la strinse.
Si lasciarono subito, ritrovandosi faccia a faccia.
"Cosa fai qui, Clarke?", domandò Bellamy.
Prima di rispondere, la ragazza si prese qualche istante per guardarlo negli occhi. Doveva dirglielo. Voleva dirglielo. "Sono contenta di essere tornata. Anche se non volevo, sono contenta di essere di nuovo qui."
Bellamy distolse lo sguardo. "Perchè non volevi tornare?"
"Non ero ancora pronta."
"Questo perchè ti ostini a voler affrontare le cose da sola!", urlò il ragazzo, colpendo con un pugno la parete della navicella.
L'eco del colpo risuonò nel silenzio.
"Clarke..." Bellamy chiuse gli occhi, ritrovando la calma, parlando con tono quasi implorante, come a volerle chiedere scusa. Poi la fissò di nuovo. "Le cose hanno sempre funzionato da quando abbiamo cominciato a collaborare. Noi... tu e io, insieme, funzioniamo bene."
"Non sempre bene...", mormorò la ragazza.
"Okay, hai ragione", la voce di Bellamy riacquistò energia. "Non sempre bene, ma sempre al meglio delle nostre possibilità. Cos'è cambiato? Perchè non possiamo affrontare insieme tutto quello che ci aspetta al campo?" Cominciò ad avvicinarsi a lei, man mano che parlava. "Le persone che si fidano di noi. Jasper che ci odia. Quello che abbiamo fatto al Monte. Emerson, che tutti vogliono morto. La nuova allenza con i Grounders. L'isola di Murphy". Adesso erano l'uno di fronte all'altra, solo un passo li teneva separati, e continuavano a guardarsi dritto negli occhi. "Perchè non possiamo affrontarlo insieme?"
Per Clarke non fu facile rispondere. Conosceva Bellamy, e sapeva già cos'avrebbe replicato. Aveva paura che non avrebbe capito. "Perchè non posso affrontare te", disse infine.
Il ragazzo non se lo aspettava. "Me?"
"Sì." Clarke fece un profondo respiro. "Quello che ti ho fatto... ti ho lasciato partire per una missione suicida. Sapevo che se qualcuno avrebbe potuto farcela, quello saresti stato tu. Sapevo che niente ti avrebbe fermato. E infatti è stato così. Ma a quale prezzo? Lincoln mi ha raccontato come siete stati catturati... quello che hai sopportato. Sei stato magnifico in quel Monte, Bellamy. Hai fatto tutto ciò che dovevi, e anche di più. Ed io ti ho deluso su tutti i fronti. Ho messo a rischio la vita di Octavia, non ti ho portato l'esercito che ti avevo promesso, e non sono stata abbastanza forte da pagarne le conseguenze da sola. Mi avevi chiesto di risparmiare le vite innocenti, e io sono stata troppo debole per infrangere quella promessa da sola. Ti ho costretto a partecipare ad un massacro che includeva la persona a cui dovevi la vita."
Bellamy era troppo sconvolto per dire qualcosa. Vedeva le lacrime negli occhi di Clarke, e per la seconda volta in pochi giorni le prese il viso tra le mani, con delicatezza. Voleva rassicurarla, e dire che sbagliava, ma aveva bisogno delle parole giuste.
Prima che potesse trovarle, Clarke continuò. "Ho paura che succeda di nuovo. Quando guardo tutte quelle persone, mi ricordo quali gesti ho dovuto compiere per salvarle, mi ricordo le cose orribili che ho fatto a tanti innocenti, e a te. A tutte le persone a cui voglio e volevo bene." Il pensiero le corse a Raven e Finn. "Quanto dolore causerò ancora?" Le sfuggì un piccolo singhiozzo, e una lacrima. Si odiava per la debolezza che stava dimostrando, ma sapeva che quella che aveva di fronte era l'unica persona con la quale poteva abbassare le difese.
Anche stavolta, Bellamy non le asciugò la lacrima. "Quello che ho fatto, l'ho fatto per mia sorella. Per la nostra gente. Per te. E per me. Avrei voluto poter far andare le cose in modo diverso, ma non mi pento di niente. Ricordi?" Accennò un sorriso. "Andava fatto." Le accarezzò la guancia asciutta col pollice. "Hai fatto molto più di quello che dovevi. Hai fatto del tuo meglio e io sono orgoglioso di questo. Non potrei mai rimproverarti qualcosa."
Clarke ricordò il rimprovero di Octavia.
"Il mio meglio non è bastato."
"Ma nessun altro avrebbe potuto far meglio di te. Non ci hai fatto del male. Ci hai salvati."
Clarke si avvicinò a lui e nascose il viso nella sua spalla, perchè non voleva che vedesse quante lacrime stavano raggiungendo la prima.
Bellamy la abbracciò. "Possiamo superare tutto insieme. Te lo dico io. Fidati di me. Ti fidi di me?"
La ragazza si scostò da lui, per guardarlo in viso. "Quando eri nel Monte, Lexa e quasi tutti gli altri Grounders, e non solo loro... mettevano continuamente in discussione la tua missione. Non credevano che ce l'avresti fatta. Ti consideravano una preghiera, non un piano. Mi hanno persuasa a fare tante cose che andavano fatte ma che non avrei voluto fare... tranne perdere la fiducia in te. Sei stato il mio punto fermo. Non ho mai perso la fiducia in te." Sorrise. "Ho impiegato un po' per acquisirla, ma non la perderò mai." Si portò una mano al viso e si asciugò frettolosamente le lacrime.
Bellamy avvicinò il proprio viso a quello di Clarke, poi le diede un rapido bacio sulla fronte. "Torniamo a casa."



Nota dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 44 giorni dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo precedente. Finalmente, la vera Bellarke Reunion xD tranquilli che tra poco arriverà anche qualcosa di mooolto più romantico <3 ma! Tempo al tempo u.u
Al prossimo capitolo,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Grazie ***


postS2_14 "Grazie" - Clarke

Quella stessa sera, casa di Lincoln - e Octavia - si ritrovò decisamente affollata.
In un angolo, la ragazza Blake stava affilando tutte le sue armi, in previsione del viaggio. Di tanto in tanto lanciava uno sguardo al fratello.
Kane se ne stava appoggiato ad una parete, in paziente attesa del ritorno del padrone di casa. Abby osservava il luogo con curiosità.
Bellamy e Clarke erano in piedi, vicini, con la stessa complicità di un tempo. Lui con il fucile in spalla, tranquillo. Lei solo apparentemente serena. Bellamy la interrogò con lo sguardo, ma Clarke accennò un sorriso per dirgli che andava tutto bene.
Ma non era così.
Emerson era riuscito in parte ad aiutarla nel superare il gesto compiuto nel Monte, e Bellamy aveva fatto il resto. Altra cosa era tutto ciò che era accaduto prima, fuori, tra i Grounders. Il missile su TonDc. Il bacio. Il tradimento. Lo stupore e infine l'orrore. Aveva creduto di poter contare sulla parola di Lexa, sulla lealtà di un alleato in guerra. Avrebbe davvero fatto la stessa cosa al posto della Comandante? 
Clarke guardò Bellamy. Lui ricambiò lo sguardo. Ed eccola lì, la risposta: no.
Lei e Bellamy avevano tentato l'impossibile per non compiere gesti estremi, per non condannare a morte degli innocenti. Non avrebbero mai accettato un accordo con il Monte condannando i Grounders, se avessero avuto la possibilità di vincere lottando al fianco degli alleati.
E ora dover di nuovo stringere un'alleanza con quella stessa gente non la entusiasmava per niente. Non voleva. Sembrava essere necessario, ma non voleva. Le sembrava di essere tornata indietro nel tempo, ma con meno fiducia di quanta ne avesse all'epoca del primo accordo.
Bellamy si chinò su di lei per sussurrarle all'orecchio: "Questo non sarà il nostro piano principale."
La bionda alzò lo sguardo su di lui. "Cosa?", sussurrò di rimando.
Kane ed Abby li osservavano confabulare, e non sembravano gradire la cosa. Octavia cominciò ad affilare con più energia, infastidita.
Bellamy afferrò un braccio di Clarke e la trascinò di qualche passo per allontanarla dagli altri, ma il luogo era così piccolo che dovettero comunque parlare a voce bassissima.
"Clarke...", ricominciò il ragazzo "...non ci affideremo completamente all'alleanza, stavolta. Sarà un aiuto supplementare. Sarà solo qualcosa in cui sperare. Non sarà il nostro piano, sarà una preghiera."
Si osservarono negli occhi per qualche istante. Clarke ripensò a quando gli aveva raccontato cosa dicevano i Grounders di lui, mentre era infiltrato al Monte. Sì, c'era una differenza tra Bellamy e Lexa. Bellamy era il suo piano, la sua certezza. Lexa era solo un aiuto, una preghiera. Questo voleva dirle Bellamy con quelle parole, e lei era d'accordo.
"Non possiamo fidarci di nuovo al cento per cento", continuò il Cancelliere, sempre sussurrando all'orecchio della ragazza. "Non mi importa cosa pensano Marcus e tua madre. Non ripeteremo lo stesso errore. Ho in mente qualcosa che può funzionare anche senza aiuti esterni. Clarke... "
Ma lei lo interruppe. "Grazie", disse, sfiorandogli una mano. Abbassò gli occhi sulle loro dita, che ora si stringevano come se non avessero mai fatto altro. Una volta ancora, lui le alleggeriva le spalle dal peso del mondo. Ma stavolta il senso di colpa era più leggero.
In quell'istante sentirono dei passi all'esterno, e lo sguardo di tutti si puntò sulla porta.

Comparve Lincoln, che subito raggiunse Octavia. La ragazza si alzò, con sguardo fiero.
Dietro il Grounder spuntarono Indra e Kara, con i capelli rosso scuro ben intrecciati e gli occhi chiari vigili e curiosi.
Il nuovo secondo di Indra e la giovane Blake si scambiarono un rapido cenno di saluto. Quando Octavia era ancora il secondo di Indra, si erano allenate spesso insieme. Si rispettavano a vicenda. Per entrambe quel sentimento era rimasto immutato.
Indra passò in rassegna tutti i presenti nella stanza, fermando i propri occhi sulla bionda. "Sei viva", le disse, a mo' di saluto.
"Già", rispose la ragazza.
"Anche l'altro?"
Clarke annuì.
Indra strinse i pugni, chiaramente contrariata. Ma in fondo la colpa era soltanto sua. Si ripromise di non commettere mai più lo stesso errore.
Kane fu il primo a prendere la parola e a spiegare il piano, dato che il capo di TonDc aveva già appreso della minaccia da Lincoln. Proprio quest'ultimo, e Octavia, Jackson e Quinn sarebbero dovuti andare a Polis per convincere Lexa ad inviare rinforzi sull'isola. Ma Lincoln era stato bandito, e gli altri tre non erano Grounders, quindi avevano bisogno di qualcuno che garantisse per loro.
Dopo Kane, anche tutti gli altri parlarono a favore della loro causa ad Indra, che aveva già riflettuto a lungo sulla minaccia. Che le piacesse oppure no, non aveva motivo per non fidarsi degli Sky People.
"Devo comunque andare a Polis il prima possibile per far tornare la mia gente, ora che TonDc è stata ricostruita. Verrete con me, chiederò che vi facciano entrare e parlare con il Comandante, ma non garantirò per la vostra vita o la vostra sicurezza. E non parlerò a favore delle vostre assurdità."
Clarke e Bellamy si guardarono, poi guardono Kane ed Abby. Non ebbero bisogno di parlare, perchè non avevano molta scelta. Per il momento, avrebbero dovuto accontentarsi.
Fu Clarke a parlare per ultima. "Vorrei che alcuni dei tuoi uomini venissero con noi. Avremo bisogno di qualcuno che possa parlare per noi ai Grounders sull'isola. Qualcuno che sarebbero disposti ad ascoltare."
La risposta arrivò in fretta, secca. "No."
"Indra...", disse Lincoln.
"No."
Silenzio.
"Lascia andare me", si intromise Kara, facendo un passo avanti, carezzando la spada che portava al fianco.
"No." E questa volta la discussione finì.
  

Nota dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 44 giorni dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega ai capitoli precedenti. Un po' di romanticismo per i Bellarke... e ne arriverà sempre di più... sempre di più... sempre di più...
Mi sono accorta di non avervi mai descritto Kara ahahahah quindi ho buttato giù mezza riga adesso xD e poi, non so se avete notato, ma Bellamy ha chiamato Kane per nome. Volevo accentuare in questo modo il nuovo rapporto di rispetto che si è creato tra loro :)
P.s.: Vi ricordate di Quinn, una dei consiglieri inventati da me? xD alla fine si è resa utile :P
Al prossimo capitolo,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Siamo tutti in pericolo ***


postS2_15 "Siamo tutti in pericolo" - Lincoln

Indra, Kara e altri Grounders, tra cui Nyko, aspettavano impazienti.
Abby e Kane stavano salutando Jackson e Quinn.
Clarke e Lincoln si guardarono negli occhi.
"Grazie per aver aiutato Bellamy e tutti gli altri, al campo. So che lo hai fatto per Octavia, ma..."
Il Grounder la interruppe. "Non l'ho fatto per Octavia."
Si osservarono qualche istante in silenzio.
"Sono contenta che tu sia uno di noi", disse infine la ragazza.
"Anche io", replicò Lincoln.
Poco distante, i fratelli Blake faticavano nel trovare le parole per salutarsi.
"Non fare quella faccia. Non ho più bisogno di essere protetta."
Bellamy sorrise. "Ti aspetti davvero che io smetta di preoccuparmi per te? Non succederà mai."
Abbracciò la sorella. "May we meet again", le sussurrò all'orecchio, stringendola forte.
"May we meet again", rispose Octavia, baciandolo sulla guancia.
Il tempo in cui erano in perfetta sintonia, sull'Arca, quando erano ragazzini, sembrava lontano mille anni. Erano cresciuti, avevano affrontato situazioni inimmaginabili, e questo li aveva cambiati profondamente. Ma l'affetto che provavano l'uno per l'altra non sarebbe mai diminuito. La famiglia Blake era disposta ad ingrandirsi, ma non si sarebbe mai divisa.
Raggiunsero gli altri.
Octavia e Clarke si abbracciarono goffamente, senza dire nulla. Non avevano parlato a lungo da quando la bionda era tornata tra la sua gente. Non ce n'era stato bisogno. Non erano amiche, forse non lo sarebbero mai state, ma si rispettavano a vicenda e questo per il momento bastava. Lincoln e Bellamy si scambiarono un cenno d'intesa.
Era il momento di partire.


3 GIORNI DOPO
Di quella spedizione, restavano soltanto Indra, Octavia, Lincoln, Quinn, Jackson e quattro Grounders. Solo poche ore dopo la partenza Kara aveva vinto la sfida con Indra, e accompagnata da tre guerrieri era tornata indietro per raggiungere il gruppo di Sky People che sarebbe andato sull'isola.
Ormai, Polis era dietro l'angolo.
Indra alzò un braccio e si fermò, imitata da tutti gli altri. Si rivolse a Lincoln e Octavia. "Voi non potete avvicinarvi. Siete stati banditi dal Popolo degli Alberi. Vi ucciderebbero a vista."
Così aspettarono con gli altri due Consiglieri degli Sky People. Per delle ore.
Fu solo Nyko a tornare indietro.
Quando lo videro, Lincoln strinse i pugni, perchè si accorse dall'espressione dell'amico che l'incontro con Lexa non era andato come speravano.
"Allora?", chiese immediatamente Octavia, andandogli incontro.
Nyko la guardò gravemente, poi incrociò lo sguardo di Lincoln.
"La Comandante non ha alcuna intenzione di farvi entrare a Polis. Indra sta ancora discutendo con lei, ma mi ha mandato a dirvi di cominciare a fare altri piani e soprattutto di non avvicinarvi."
"Le ha detto che se non ci aiuta salteremo tutti in aria?!", esclamò rabbiosamente la ragazza.
"Indra sa cosa dire, e cosa non dire", rispose Nyko pacatamente. Anche Octavia strinse i pugni.
"Chiedile di tornare", disse invece Lincoln.
"Cos'hai in mente?", domandò Nyko.
"Qualcosa che non le piacerà."

"Siete ancora qui? Volete morire?!", li aggredì Indra, di ritorno con Nyko e altre due Groungers di TonDc. "Dovete andarvene. Immediatamente."
"Non è in pericolo solo il Popolo degli Alberi", la interruppe Lincoln. "Siamo tutti in pericolo. Tutti i Popoli, soprattutto quelli nelle vicinanze. C'è qualcun altro che può aiutarci."
"Adesso basta!", ribattè Indra. "Tornate al campo, o la tregua sarà rotta."
Ma Octavia non la stava ascoltando. Si rivolse al suo Grounder, ricordando improvvisamente una cosa. "Una volta mi hai parlato di una persona che conoscevi. Il Comandante del Popolo del Mare."
Lincoln annuì. Non lo stupiva il fatto che Octavia avesse capito subito. "Si chiama Luna. Da quello che mi ha detto Clarke, mi è parso di capire che il Popolo del Mare e il Popolo delle Dune siano i più vicini al luogo con i pannelli solari da cui si arriva all'isola."
Indra fece qualche passo avanti. "Non posso e non voglio più proteggervi. Sparite", sibilò con rabbia, la mano sull'elsa della spada che portava in vita. Stavolta, per lei era davvero finita. Aveva già perso troppo per colpa di quella gente. Se il mondo stava per finire, che finisse pure. Nel frattempo lei non aveva intenzione di continuare a remare contro il proprio popolo. Era a capo di un clan e non voleva perdere la fiducia di Lexa. Si girò e fece cenno ai suoi uomini di seguirla.

Nyko rimase.
Già una volta aveva rischiato di perdere il proprio migliore amico perchè non aveva voluto fidarsi di Clarke e degli Sky People. Aveva quasi ucciso Lincoln solo perchè non credeva che potesse essere salvato. Non avrebbe commesso nuovamente lo stesso errore.
E dunque, erano rimasti in cinque. O almeno così credevano.
"Dobbiamo andare a parlare con questi altri due Comandanti", disse subito Octavia, già pronta per ricominciare la marcia.
"Per il Popolo del Mare non sarà un problema. Luna non rifiuterà un incontro con me e Lincoln", disse Nyko. "Ma per il Popolo delle Dune è diverso. La loro Comandante non ha mai stretto alleanze con Lexa. Non abbiamo la certezza che..."
"Io conosco qualcuno lì", disse una voce di donna.
Quando Indra e gli altri avevano lasciato la riunione con la Comandante per tornare da Lincoln e Octavia, una persona li aveva seguiti.
Da dietro un albero, silenziosamente, spuntò fuori una Grounder. Nessuno di loro la conosceva. Tutti e tre sfilarono le armi e si preparano a respingerla, mentre Jackson e Quinn indietreggiavano.
"Sono Echo", disse la donna. "Ero..."
"Nel Monte", concluse rabbiosamente Octavia.
  

Nota dell'Autrice: Nella prima parte di questo capitolo sono passati 45 giorni dalla sconfitta del Monte, nella seconda (tre giorni dopo) ne sono passati 48. Ho deciso di non tradurre il "May we meet again" perchè sono così abituata a sentirlo in inglese che tradotto in italiano mi suona male xD lo avevo tradotto nel primo capitolo, ma da adesso lo lascerò nella versione originale.
Tante vecchie conoscenze son tornate! Naturalmente Octavia sa di Echo perchè glielo ha raccontato Bellamy u.u
Luna è un personaggio di cui Lincoln ha veramente parlato. Non ricordo l'episodio, ma qualche tempo fa su Twitter il caro Jason Rothenberg ne ha riparlato, e così mi è venuta l'ispirazione per inserirla ^_^
Al prossimo capitolo,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Per Clarke? ***


postS2_16 [Prima di iniziare il capitolo voglio ringraziare tutti quelli che mi stanno seguendo. Siete in tantissimi e anche se non lasciate recensioni, spero comunque che la mia storia vi stia piacendo, perchè mi sto impegnando tanto :P e un grazie anche alle poche persone che recensiscono: i vostri commenti mi rallegrano sempre le giornate <3
Buona lettura,
Y**]


"Per Clarke?"
- Bellamy

"Siamo lenti", disse Clarke.
Emerson, al suo fianco, annuì. Erano passati tre giorni da quando erano partiti. Se fossero stati solo lui e la ragazza, a quell'ora sarebbero stati già molto più lontani dal campo. "Siamo in tanti. E' normale", le disse.
Clarke sospirò.
Era notte, e si erano accampati. Lei ed Emerson erano in piedi vicino ad un albero, distanti dal resto del gruppo. Lui continuava a sentirsi a suo agio solo con lei. Oltre che con Clarke, parlava soltanto con Murphy ed Emori, e raramente con Bellamy. Si teneva alla larga da Jasper e Kane, che per il momento gli sembravano i più ostili.
In quel momento Wick e Raven, che ormai erano inseparabili, parlavano con Monty. Da quando erano partiti non facevano altro che pensare alla macchina e ai possibili modi per disattivarla e distruggerla.
Kane, il signor Miller, Carter e Morgan discutevano di chissà che cosa.
Jasper, Emori, Smith e Tyler stavano cuocendo della carne per tutti.
Bellamy, Murphy, Miller e Monroe erano andati a cercare altra legna.
"Qual è il piano?", chiese Emerson.
"Quale piano?"
"Quello per quando arriveremo sull'isola. So che tu e Bellamy avete un piano. Chi altro lo conosce?"
Clarke lo guardò. "Al campo, mia madre e tutti i Consiglieri. Qui, solo Kane e Raven. Ne parleremo tra qualche giorno."
"E cos'è che ti preoccupa?"
Oramai avevano imparato a conoscersi bene.
"E' pericoloso."
"Su questo non avevo dubbi." Emerson seguì lo sguardo della ragazza, che si era posato in lontananza sui ragazzi appena tornati con altra legna per il fuoco. "Ah", disse. "E' pericoloso per lui."
Proprio in quel momento, Bellamy alzò lo sguardo verso di loro, quasi come se avesse potuto ascoltare la conversazione. Clarke gli fece un cenno per fargli capire che andava tutto bene.

Era l'alba, e tutti stavano raccogliendo le proprie cose per ricominciare il viaggio.
Ad un tratto si udì uno sparo, e un urlo.
"Monroe", sussurrò Raven, spalancando gli occhi.
Bellamy aveva già imbracciato il fucile ed era corso nella direzione in cui Monroe, Jasper, Murphy e Smith erano andati a fare un giro di ricognizione dei dintorni prima che tutti si rimettessero in cammino.
Anche Kane e il signor Miller prepararono le armi e si avviarono velocemente in quella direzione.
Tutti quelli armati seguirono l'esempio, ma la voce di Bellamy arrivò presto forte e chiara dalla radio di Raven. "E' tutto okay, non preoccupatevi. Stiamo tornando indietro."
Avevano portato solo una coppia di radio con loro, perchè sull'isola non avrebbero comunque potuto utilizzare nessuna tecnologia per comunicare, e per abitudine quell'unica coppia l'avevano tenuta Bellamy e Raven. Contro ogni logica, in quel momento, la cosa infastidì Clarke.
Pochi minuti dopo ricomparvero tutti, con qualche nuovo acquisto.
Monroe era ferita, con una freccia conficcata nella spalla sinistra, ma camminava senza aiuto e continuava a tenere con sè il proprio fucile, nonostante le smorfie di dolore. Dietro di lei spuntò il resto del gruppo, e a chiudere la fila c'erano quattro Grounders tra cui Kara, con il braccio destro fasciato e sporco di sangue, lo sguardo fiero fisso davanti a sè.

Mentre Clarke si prendeva cura delle ferite delle due combattenti, fu spiegato brevemente a tutti cos'era accaduto nel bosco.
Kara era riuscita a convincere Indra a mandarla con tre compagni ad aiutare gli Sky People e così avevano cercato di raggiungerli, ma quando avevano visto il gruppetto impegnato nel giro di ricognizione non erano sicuri si trattasse del gruppo giusto e avevano tentato di avvicinarsi senza dare troppo nell'occhio. Monroe si era però accorta della presenza di qualcuno, aveva frainteso le intenzioni dei Grounders e aveva sparato. Quando Kara si era vista puntare l'arma contro, aveva a sua volta incoccato una freccia. Si erano ferite a vicenda a pochi secondi di distanza. Per fortuna, la pallottola di Monroe aveva solo sfiorato il braccio di Kara, e la freccia di Kara non era penetrata a fondo nella carne di Monroe grazie a vari strati di vestiti e protezioni.
Adesso, quelle due ragazze si guardavano con odio.

Clarke stava curando Monroe, ed Emerson come al solito se ne stava in disparte. Tutti gli altri erano affaccendati intorno ai nuovi arrivati e ai feriti. Lui se ne stava vicino al falò della sera prima, ormai spento.
Si piegò sulle ginocchia e cominciò a rovistare tra la cenere. Sentì qualcuno avvicinarsi, ma non alzò lo sguardo. Sapeva che si trattava di Bellamy.
Il ragazzo Blake si chinò accanto a lui. "Cosa fai?"
"Cerco dei pezzi di carbone adatti a disegnare", rispose Emerson. Aveva pensato di procurare a Clarke qualcosa con cui disegnare, perchè non gliel'aveva più visto fare da quando avevano incontrato Emori e Murphy, ma mentre pronunciava quelle parole si sentì ridicolo, perchè accendevano il fuoco tutte le sere e a Clarke di certo non sarebbe mancata l'occasione di procurarsi la materia prima. Se aveva smesso di disegnare, era perchè lo aveva deciso.
"Per Clarke?", chiese Bellamy, in un tono che sembrava quasi suggerire che temesse la risposta a quella domanda.
"Sì." Emerson annuì, abbandonando la ricerca e rialzandosi. L'altro lo imitò.
"Come sai che Clarke disegna?", gli domandò ancora Bellamy.
"E tu?"
Il ragazzo Blake rimase un attimo in silenzio. Non sapeva cosa pensare di Emerson. Era riuscito a conquistare la fiducia di Clarke e questo valeva molto, ma non era ancora riuscito a farsi un'opinione personale su di lui. L'unica cosa che sapeva era questa: non c'era più spazio per la rabbia. Ne aveva già provata abbastanza per tutta la vita. Decise di assecondarlo, e rispose: "I primi tempi, quando eravamo appena arrivati qui, ogni tanto la sorprendevo a disegnare con una matita su tutte le pietre abbastanza larghe e piatte che riusciva a trovare". Sorrise al ricordo, ma solo per un istante. "E tu?"
Emerson non rispose subito. Disse invece: "Questo incidente con quelle due", con un cenno della testa indicò Monroe e Kara "non ci voleva. Dovremmo proseguire più svelti, non rallentare. Forse sarebbe meglio diminuire le soste diurne."
"Già", annuì Bellamy, accettando pacatamente il consiglio. Poi si girò e fece per andarsene, ma Emerson lo richiamò.
"Bellamy?"
"Sì?" Si fermò ma non si voltò, continuando a dare le spalle al Mountain Man.
"Ha disegnato spesso quando eravamo in fuga, da soli. La sera, invece di riposare, trascorreva ore a ritrarre persone." Una piccola pausa, per assicurarsi di avere tutta l'attenzione del ragazzo. "Eri il suo soggetto preferito."
Bellamy chiuse gli occhi e strinse i pugni per farsi forza, contento del fatto che Emerson non potesse vedere l'espressione sofferente sul proprio volto.
  

Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 48 giorni dalla sconfitta del Monte. Nella prima parte del capitolo vi ho elencato tutti quelli che sono partiti da The New Ark per la missione sull'isola, inclusi quattro personaggi che ho inventato io per "fare numero" xD ossia Carter, Morgan, Smith e Tyler, e poi ora ci sono anche Kara e i 3 Grounders. In totale, 21 persone.
E dopo Raven, anche Emerson si mette a fare l'agente matrimoniale ahahaha xD io mi sto divertendo troppo u.u
Al prossimo capitolo,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Devi farmi una promessa ***


postS2_17 "Devi farmi una promessa" - Raven

"Come va?" Bellamy si inginocchiò accanto a Raven, e accennò un sorriso.
Era raro trovarla da sola, in un momento di riflessione. Indossava la sua solita giacca rossa e portava i capelli acconciati nella solita coda di cavallo. E infatti sembrava la solita Raven Reyes, quella che aveva conosciuto ormai circa tre mesi prima, quella ragazza intelligente, combattiva, e a volte irritante. Il giovane Blake non ripensava mai alla notte che avevano passato insieme, quando ancora non erano amici, e neppure lei ci pensava. Non aveva significato nulla, per nessuno dei due, perchè all'epoca non significavano nulla l'uno per l'altra. Adesso le cose erano cambiate.
Raven alzò lo sguardo. Stringeva tra le dita alcuni fogli pieni di appunti confusi che lei, Wick e Monty non facevano altro che ampliare e correggere da giorni, ormai. "Potrebbe andare meglio", rispose la ragazza, ma con allegria. "Tu invece non sei mai stato meglio, eh?"
Lui rise. "Non sono completamente d'accordo."
"Da quando è tornata Clarke, dai quest'impressione." Il meccanico aveva parlato con serietà, adesso.
Anche Bellamy divenne serio. "Sono contento che stia bene e che sia tornata tra la sua gente. Tutto qui", replicò.
Raven gli diede un pugno affettuoso sulla spalla. "E' mancata anche a me."

"Devi farmi una promessa", disse ancora Raven.
"Tutto quello che vuoi", rispose Bellamy.
Si guardarono negli occhi per un po', in silenzio.
Infine, la ragazza si decise a parlare. "Clarke. Kyle. E quando ci raggiungerà, anche Octavia. Non importa cosa succederà. Non importa quanto sarà difficile. Non importa cosa dovremo affront..."
"Raven", la interruppe bruscamente Bellamy, ma non con rabbia. Anzi, con dolcezza. Posò una mano su quella del meccanico. "Non li perderemo. Lo so che abbiamo già perso tanto... ma tu e io siamo una buona squadra. Ci prenderemo cura di loro." Si sforzò di sorriderle, e dopo un momento concluse: "Sì, Raven. Te lo prometto. Non li perderemo."

Qualche minuto dopo, Kane e Clarke radunarono tutti attorno al fuoco. Era il momento di spiegare il loro piano.
Bellamy si alzò, con una leggera pacca sulla spalla di Raven per invitarla a seguirlo, e li raggiunse, affiancandosi a Kane. Fece un cenno d'assenso con la testa, cedendo al Cancelliere più anziano la parola.
Kane aspettò che tutti si fossero radunati attorno a loro. Li invitò a sedersi, così che in piedi restarono solo lui, Bellamy e Clarke. "Sapete tutti cosa stiamo per affrontare. Un'Intelligenza Artificiale e un piccolo esercito di Grounders impazziti. Bisognerà disattivare questa macchina, ma ci vorrà del tempo. Non solo affinchè loro..."
Indicò con una mano Raven e Wick, seduti vicini, e poi Monty "...possano capire come fare, ma anche per trovarla. Murphy..." Lo indicò. "Ci ha riferito che l'ologramma di una donna, che rappresenta la macchina, non lascia mai la villa che si trova sull'isola, e questo fa pensare che il suo vero... 'corpo', si trovi proprio lì."
Raven si schiarì la voce e fece per parlare, ma Kane la interruppe con un gesto della mano. "Ma siccome a quanto pare questa macchina ha il controllo su tutta l'isola attraverso dei droni di vario tipo, ci è stato fatto notare..." scoccò un'occhiata al meccanico "...che potrebbe trovarsi ovunque."
Fece una piccola pausa. Il silenzio era quasi assoluto. Nessuno parlava, si udivano solo lo scoppiettare del falò e i rumori della natura che li circondava. "Questo significa che il compito più importante da svolgere sarà quello di indagare."
"E in che modo?", domandò il signor Miller. "Siamo in tanti, e poi ci sono i Grounders prigion..."
"Non lasceremo ancora in pericolo mio fratello!" Su tutte si levò alta la voce di Emori.
Clarke fece un passo avanti, alzando le mani per invitare al silenzio. "Una volta arrivati sull'isola, ci divideremo in due gruppi", disse con voce forte e chiara. "Il primo gruppo sarà composto da Raven, Monty, Wick, Bellamy, Kane e altri due di voi. Il secondo da me, Emori, Murphy, i Grounders guidati da Kara, e tutti gli altri."
Cominciò a diffondersi un mormorio. Clarke alzò ancor di più la voce, e tutti tacquero. "Il mio gruppo, con l'aiuto di Murphy che conosce l'isola, cercherà i Grounders imprigionati e cercherà un modo per liberarli e un posto dove nasconderci e prepararci a lottare, in attesa che Lincoln e Octavia ci raggiungano con un vero esercito." Quello che non disse, fu che le probabilità che Lincoln e Octavia li raggiungessero davvero con un esercito erano pressochè inesistenti.
Tutti rimasero in silenzio, in attesa di scoprire cosa avrebbe fatto l'altro gruppo.
Fu Kane a svelare il mistero. "Il gruppo meno numeroso fingerà di aver deciso di unirsi alla macchina e a Jaha."
Il mormorio ricominciò, ma stavolta fu Bellamy a riportare il silenzio. "E' il modo più sicuro per accedere alla villa. Jaha si fida di Kane. Raven, Wick e Monty avranno l'opportunità di studiare da vicino l'ologramma e di esplorare l'edificio."
"Sappiamo benissimo che è pericoloso, che qualcosa potrebbe andare storto e che se Jaha e la macchina dovessero capire l'imbroglio, saremmo tutti spacciati", disse Clarke.
"E' per questo che io mi fingerò riluttante a seguirli", disse Bellamy, a voce leggermente più alta. "Murphy ci ha detto che la macchina controlla tutto ciò che la circonda, dai pannelli solari fin sull'isola. Proprio sull'isola metteremo in scena una frattura tra i due gruppi, a beneficio dei droni che saranno lì a spiarci. Io seguirò riluttante gli ordini di Kane, con l'intento di proteggere Raven, che secondo me sarà impazzita a voler stare dalla parte della macchina. Ci sarà una discussione tra me e Clarke sull'argomento, per far intendere un legame tra noi che possa giustificare un eventuale contatto futuro, se ce ne fosse bisogno." Fece una piccola pausa, per dare agli altri il tempo di assimilare quelle informazioni. "La macchina e Jaha mi terranno sotto controllo, sapendo che non appoggio la loro causa, ma è necessario."
"Perchè?", domandò Miller, il figlio stavolta, con un'espressione chiaramente preoccupata.
"Perchè serve un capro espiatorio", rispose Kara, con tranquillità.
Bellamy annuì.
"Esatto", disse Clarke. "Se Jaha o la macchina dovessero intuire che qualcuno sta cercando di ostacolarli, non possiamo permettere che la loro attenzione vada su Raven, Wick o Monty. Loro tre sono fondamentali. Devono puntare il dito su qualcun altro."
Passò qualche momento in cui tutti confabularono tra loro, una volta compreso ciò era stato loro detto.
Emerson fissò Clarke. Si ricordò della loro conversazione a proposito del piano. Si alzò in piedi. "Vorrei andare io con il gruppo di Kane", disse.
Clarkè lo guardò sorpresa. Kane invece commentò: "Sarebbe una mossa intelligente. Un Montain Man avrebbe sicuramente più motivo di un Grounder o di uno di noi di voler appoggiare la loro causa. L'importante..." e qui il tono si fece duro, quasi accusatorio "...è che si ricordi di stare solo fingendo."
Emerson strinse i pugni, ma la giovane Griffin replicò ancor più duramente del Cancelliere: "Garantisco io per lui", guardando Kane come se volesse tirargli un pugno.
"E io sarò l'ultimo", disse qualcuno a voce bassa, e tutti si voltarono verso il ragazzo seduto accanto a Monroe, con un fucile sulle ginocchia, e che fino a pochi secondi prima non aveva fatto altro che osservare Monty, pensando al guaio in cui si stava cacciando.
"D'accordo, Jasper", acconsentì Kane, annuendo. E così i gruppi furono ufficialmente formati.
  

Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 51 giorni dalla sconfitta del Monte. Oddio, questo capitolo è lunghissimo, lo so ç_ç me ne scuso, ma ho perso molte parole per spiegarvi il piano di questi poveri disperati xD il prossimo sarà molto più corto, promesso!
A tra un paio di giorni,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Eri ancora la sua famiglia ***


postS2_18 "Eri ancora la sua famiglia" - Clarke

Era sera. Un'altra giornata pesante stava per concludersi. Raven lanciò un'occhiata a Wick, che stava intorno ad uno dei fuochi accesi. Kara e un Grounder stavano insegnando a lui e agli altri Sky People una strana tecnica di cottura della carne. Kyle sembrava affascinato. Amava imparare. La ragazza sorrise al pensiero. Dividere la propria vita con lui era facile come lo era stato dividerla con Finn. Non credeva che sarebbe successo di nuovo... che avrebbe avuto di nuovo una famiglia. Jasper una volta le aveva detto che adesso tutti loro erano la sua famiglia, ma in fondo non era vero. Erano poche le persone che considerava davvero parte della sua nuova famiglia: Abby, Clarke, Bellamy... e ora Kyle. A volte si domandava se lo amasse davvero, come amava Finn, ma non sapeva darsi una risposta.
Lasciò vagare lo sguardo fino al piccolo fuoco dove erano seduti Bellamy e Clarke. La ragazza stava disegnando distrattamente con un dito nel terreno, e lui semplicemente la guardava, con espressione assorta.
Il meccanico accennò un sorriso tra sè. Non riusciva ad essere arrabbiata con Clarke, che le aveva portato via Finn due volte e nonostante questo non lo aveva mai amato. Era difficile arrabbiarsi con un ragazza che aveva affrontato tanto e sofferto ancor di più. In quel momento, però, sentì il bisogno di capire.
Si diresse a passo deciso verso di loro.

Clarke e Bellamy alzarono contemporaneamente lo sguardo, sentendo dei passi avvicinarsi.
Clarke pensò subito ad Emerson, ma vide Raven. Le sorrise. "Ciao", la salutò, pulendosi la mano sinistra sporca di terra sui pantaloni.
Bellamy si spostò per farle spazio, e lei si sedette.
"Ho bisogno di parlarti", esordì il meccanico, guardando la ragazza.
Bellamy la guardò con curiosità.
"Dimmi". Clarke non si aspettava nulla di buono.
"Tu non guardavi lui... come lui guardava te", disse, 
con voce bassa ma decisa, guardandola negli occhi. Non si curò di apparire debole, o sentimentale. Dopotutto, era in famiglia. Giusto?
Lo sguardo di Clarke corse ad incrociare quello di Bellamy con una spontaneità disarmante, e lei impiegò un attimo di troppo a capire che Raven stava parlando di Finn. Il meccanico finse di non accorgersene, e così pure il Cancelliere.
Raven non si arrese a quel silenzio un po' imbarazzato, e aggiunse: "Cosa provavi davvero?"
La bionda abbassò gli occhi sulle proprie mani.
"Non lo so", rispose, con voce un po' roca. Ed era la verità. "Quando ho..." Non osava concludere la frase.
"Cosa gli hai detto?", incalzò Raven.
Bellamy cominciò a sentirsi a disagio. Gli sembrava di invadere una conversazione fin troppo personale, così fece per alzarsi e andare via, ma una mano di Raven sul ginocchio lo fermò.
Neppure a Clarke piaceva quel che doveva dire, ma... come tante altre cose, andava fatto. "Gli ho detto che lo amavo, ma ho mentito. Mi piaceva, e gli volevo bene. Quando siamo arrivati qui, per tanto tempo ha rappresentato l'unica persona di cui potessi fidarmi, l'unica persona che stesse dalla mia parte. Non posso dirti che non provavo nulla per lui. E' stato importante per me." Finalmente trovò il coraggio di guardarla negli occhi. "Prima di essere il tuo ragazzo, per te era la tua famiglia. Per un po', Finn è stato anche la mia famiglia, ma non più di questo." Fece una piccola pausa, quasi nella speranza che Raven la interrompesse, ma non fu così. Continuò. "Non c'è stato tempo per far sì che i sentimenti che provavo diventassero amore, e forse non sarebbe successo in ogni caso. E non credo che lui mi amasse sul serio, anche se lo diceva."
Raven aveva gli occhi lucidi. "Ma non amava più neppure me", disse, quasi arrabbiata.
"Però eri ancora la sua famiglia", disse Clarke.
"Già." Raven sorrise debolmente. Chiuse gli occhi e si alzò senza dire una sola parola in più, incamminandosi verso Kyle.

Bellamy si spostò per avvicinarsi a Clarke.
"Stai bene?", le chiese.
La ragazza annuì.
"Davvero non lo amavi?" Bellamy si sorprese della sua stessa domanda, e se ne pentì all'istante.
Anche Clarke fu sorpresa, ma rispose quasi subito, perchè aveva già riflettuto a lungo sull'argomento, prima d'allora. "Non credo che sarei riuscita ad ucciderlo, se lo avessi amato davvero."
Bellamy non disse nulla.
"Credi che Raven abbia problemi con Wick? E' per questo che è venuta a parlarmi?", domandò la ragazza.
Bellamy sorrise ironicamente. "Io direi piuttosto che è Wick ad avere problemi con Raven. Quella ragazza non è facile da gestire. Li ho sentiti discutere, stamattina. A lui non piace molto l'idea che una bella bomba sia la soluzione a tutto."
Clarke rise. "Temo che dovrà abituarsi."
Chiacchierarono qualche altro minuto di argomenti più leggeri, poi Kane cominciò a richiamare tutti all'ordine, decidendo i turni di guardia.
Bellamy fece un profondo respiro, prima di alzarsi. Raccolse tutto il coraggio che aveva.
"Clarke..."
Lei lo guardò.
"...se sull'isola... Insomma, se fosse necessario..." Distolse lo sguardo. "Riusciresti ad uccidermi?"
Trascorsero alcuni secondi di silenzio. Troppi. Senza dire altro, Bellamy finalmente si mise in piedi e s'incamminò per raggiungere Murphy e Miller, lasciando la ragazza sola.

"Non lo so...", sussurrò Clarke tra sè, quando ormai lui non poteva più ascoltarla. "Non lo so..."
Si abbracciò le gambe, chiuse gli occhi. Sospirò.

"No, Bellamy", rispose infine, a se stessa, perchè non c'era nessuno ad udirla.
 


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 52 giorni dalla sconfitta del Monte.
SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE il tremendo ritardo! Davvero, perdonatemi ç_ç ho avuto alcuni problemi con il pc e in più sono stata impegnatissima!!
A prestissimo, lo giuro!
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Altrimenti non me ne sarei andato ***


postS2_19 "Altrimenti non me ne sarei andato" - Murphy

L'alba. Erano tutti svegli, e stanchi. Clarke e i due Cancellieri avevano deciso di partire più tardi, quel mattino, perchè la sera prima c'era stata una dura lotta con un piccolo branco di animali feroci che aveva messo alla prova tutti, e ferito alcuni. Bellamy e Miller stavano facendo l'ultimo giro di ricognizione tra i loro compagni.
Nathan si fermò, con un braccio davanti al corpo dell'amico, per costringerlo a fare lo stesso. Con un cenno della testa indicò poco lontano.
Emori e Murphy erano seduti vicini e parlavano animatamente. Lui aveva il braccio e il fianco sinistro fasciati, con le bende sporche di sangue. La sera prima aveva rischiato di morire nel difendere proprio la Grounder, e Raven, e si era salvato per miracolo.
Nessuno degli altri era rimasto ferito così gravemente. Per alcune ore Clarke aveva temuto di non riuscire a salvarlo.
Emori gli tirò su la manica destra, e lo guardò negli occhi, mentre tirava fuori dalla cintura una boccetta scusa e una bacchetta appuntita.
Bellamy e Miller si guardarono, poi decisero di avvicinarsi.
"Sei sicuro, John?", stava chiedendo la ragazza. "Resteranno per molto tempo."
Videro Murphy annuire, e cercarono di avvicinarsi ancor di più, senza dare nell'occhio.
Non ci volle molto affinchè capissero.
Emori stava riproducendo sul braccio destro di Murphy i tatuaggi che aveva sul proprio.

15 giorni prima
Clarke ed Emerson camminavano svelti una cinquantina di metri davanti a loro.
Emori era visibilmente turbata, non solo per la sparizione del fratello, ma anche perchè dopo la botta in testa non ricordava nulla di quanto accaduto. Continuava a tormentarsi con il pensiero che fosse colpa sua il fatto che il fratello fosse stato portato sull'isola, che avrebbe potuto fare di più per impedirlo.
Murphy non diceva nulla per rassicurarla, o provare a farla sentire meglio.
Era convinto che a volte il tormento fosse liberatorio.
Aveva vissuto in questo modo quasi tutta la sua vita: incolpandosi per qualcosa su cui non aveva mai avuto il controllo. La morte del padre.
E così per liberarsi di quel peso, aveva cominciato a infrangere la legge, addirittura a fare del male agli altri, creando pretesti per tormentarsi, stavolta, sui propri gesti, perchè in quel modo avrebbe avuto il controllo su tutto, sulle azioni e anche sui pensieri.

"Manca molto al tuo villaggio?", domandò la ragazza.
"Non è proprio un villaggio. Secondo Clarke, mancano almeno uno o due giorni di cammino."
"Come mai avete deciso di stabilirvi tra il Popolo degli Alberi?"
Murphy rise pacatamente. "Non lo abbiamo deciso. Siamo semplicemente atterrati lì."
Emori lo guardò. "Sfortuna", disse solennemente. "Un'altra cosa che abbiamo in comune", aggiunse in tono scherzoso, e lui rise di nuovo.
Emori gli piaceva. Non in senso romantico, ma gli piaceva come persona, che era una cosa anche più difficile.
"Hai qualcuno che ti aspetta?" La ragazza sembrava in vena di chiacchiere, quel pomeriggio, mentre avanzavano trascinando pesantemente i piedi tra l'erba alta. Murphy era stanco, voleva solo chiudere gli occhi e accasciarsi sul terreno, dormire per giorni.
Ma rispose. "No. Altrimenti non me ne sarei andato."
"Anche Clarke se n'è andata, eppure mi sembra di capire che è attesa da qualcuno."
Già. La madre. Raven. E Bellamy. L'unico che, in fondo, avrebbe potuto aspettare anche Murphy. L'unico che, in fondo, si sarebbe accorto della sua assenza. E probabilmente non con malinconia.
"Non hai stretto legami da quando sei... atterrato... qui?", continuò ad insistere la ragazza. "Anche i cattivi ragazzi di solito hanno qualcuno con cui condividere il fango che si gettano addosso." Sembrava genuinamente curiosa.
"Legami? Non proprio". Murphy pensò al cappio con cui era quasi morto, e quello con cui era quasi morto Bellamy. Non il tipo di legami che intendeva Emori, davvero. Non aveva mai avuto neppure una ragazza.
Anche se... poco più di un anno prima, in prigione era arrivata una ragazza nuova.
All'inizio la vide solo di sfuggita, nel momento dell'arresto, mentre lui veniva accompagnato nella minuscola sala mensa in cui cinque detenuti alla volta, sempre diversi, mangiavano insieme. Nei mesi successivi qualche volta la vide proprio in questa zona comune, ma non si avvicinò mai per parlarle. Sentiva i discorsi che lei faceva con gli altri, però. Gli piaceva il suono della sua voce, il modo di raccontare le cose, il modo in cui si muoveva. Fu una sensazione molto strana, per un ragazzo che era rinchiuso in prigione da ben quattro anni e che da tempo aveva dimenticato l'esistenza di cose come le emozioni.
La ragazza aveva raccontato ad un'altra prigioniera che era stata rinchiusa per aver ucciso il padre. Lo aveva ucciso perchè da sempre quell'uomo aveva abusato di lei, torturandola psicologicamente e fisicamente. Le infliggeva punizioni corporali tremende, e di alcune portava ben visibili i segni sulle braccia. Erano sempre oggetti appuntiti, affilati... l'aveva sentita mormorare alla compagna. E Murphy, che era sempre rimasto indifferente alla sofferenza altrui, quella volta si indignò. Si arrabbiò.
Quella ragazza era naturalmente arrivata sulla Terra con lui, e molte volte lui avrebbe voluto trovare il coraggio di avvicinarla e parlarle, ma non lo aveva mai fatto, proprio come sull'Arca. Quel coraggio gli era sempre mancato, così come la speranza di essere trattato da lei, almeno una volta nella vita, come una persona di valore.
Soprattutto la mancanza di speranza lo aveva spinto a partire con Jaha. Sperare che Harper fosse ancora viva, nel Monte, era... troppo. Sperare che ci fosse una possibilità di salvarla era troppo per lui. Una ragazza con cui non aveva mai parlato, che non avrebbe mai visto niente di buono in lui. Questo era un tormento dal quale voleva scappare, e così aveva fatto.
Guardò Emori. "C'è una persona che sarà contenta di vedermi tornare indietro. Bellamy. Così avrà la possibilità di ammazzarmi di botte."
Stavolta fu la ragazza a ridere.

Una volta che ebbero capito l'intenzione di Emori di riprodurre i tatuaggi sul braccio di Murphy, i due intrusi si allontanarono silenziosamente, ritenendola una faccenda... privata.
"Alla fine anche Murphy ha trovato una famiglia... o qualcosa di simile", commentò Miller.
Bellamy annuì. Era bello vedere Murphy finalmente rilassato, malgrado la situazione. Aveva smesso di uccidere la gente, e aveva cominciato a salvarla. Sembrava aver trovato il proprio posto nel mondo. Aveva osservato spesso ultimamente lui ed Emori, e gli ricordavano molto se stesso e la sorella.
"Vado a cercare Marcus", disse a Miller, perchè era davvero il caso di allontanarsi.
"E io Jasper", rispose l'amico.


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 55 giorni dalla sconfitta del Monte. Il flashback naturalmente si riferisce al periodo in cui Clarke, Emerson, Emori e Murphy stavano tornanto al campo per avvisare gli altri della nuova minaccia.
Ho voluto dedicare un piccolo spazio alla psicologia di Murphy, alla sua amicizia con Emori e... sì, un po' ad Harper, che come personaggio mi piace molto.
Mi dispiace per chi resterà deluso della mancata storia d'amore tra Murphy ed Emori. Mi piacciono insieme, ma ho altri progetti :P
A tra qualche giorno,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Non so cosa dire ***


postS2_20 Prima del capitolo volevo ringraziare ancora una volta tutti voi che mi leggete. Tra "preferita" e "seguita" siete una sessantina di utenti, e quando ho cominciato a scrivere questa storia non mi aspettavo davvero che sarebbe stata letta da così tante persone! Anzi, questa cosa mi mette anche un po' d'ansia :P e un grazie speciale anche a chi recensisce, perchè mi fa sempre piacere leggere i vostri pareri, positivi o negativi che siano <3
Buona lettura,
Y**


"Non so cosa dire"
- Jasper


Miller non impiegò molto tempo per trovare Jasper. Quel ragazzo era cambiato molto dai tempi del Monte, e si era allontanato da tutti, anche da persone come Raven e lo stesso Miller. Il fatto che considerassero giuste le scelte di Monty, Clarke e Bellamy, li rendeva ai suoi occhi colpevoli quasi quanto gli altri.
E ora, davanti agli occhi di Nathan, i due ragazzi che un tempo erano stati inseparabili migliori amici stavano discutendo pesantemente. C'era una certa distanza tra loro, e parlavano a voce bassa, ma era impossibile non capire che si trattava di una conversazione poco piacevole. Soprattutto per Monty, giudicò Miller ad una prima occhiata.
Si avvicinò immediatamente.
"Ehi! Che succede?"
"Non sono affari tuoi", rispose brusco Jasper.
Monty strinse i pugni e distolse lo sguardo.
"Certo che sono affari miei", replicò Miller.
Anche Jasper spostò gli occhi sui propri piedi. "Il tuo amico pretende troppo", disse. Poi si voltò e, fucile in spalla, raggiunse Carter e Morgan.

Quella sera, Emerson se ne stava seduto come al solito in disparte, ma stavolta persino nascosto. Dietro un albero, in ombra, con la testa abbandonata contro il tronco. Dalle sue spalle provenivano le voci dei compagni di viaggio che chiacchieravano attorno al fuoco, mangiando e preparandosi per la notte. Sbirciando leggermente a destra o a sinistra, poteva vedere le loro ombre.
In quel momento, avvertì fortemente la mancanza di casa sua, del suo popolo, della sua gente.
Gli mancava anche Clarke, ma non voleva ammetterlo. La ragazza se ne stava sempre in mezzo agli altri, dove lui non era affatto benvoluto, ma non poteva biasimarli. Le rare volte in cui la ragazza si allontanava dalla folla, era con Bellamy, e lui preferiva non intromettersi.
Sentì dei passi lenti avvicinarsi alle proprie spalle, e s'irrigidì. Un piccolo tonfo.
Qualcuno si era seduto a pochi metri da lui, dall'altra parte dell'albero. Non aveva idea di chi potesse essere, ma decise di restare nascosto.
Dopo un paio di minuti, la prima persona fu raggiunta da un'altra, con passi più veloci e decisi.
"Ehi", disse una voce femminile leggermente ostile, presumibilmente quella della nuova arrivata. Emerson la riconobbe. Era Raven.
Si alzò il più silenziosamente possibile. Fortunatamente il brusio del gruppo non troppo lontano lo aiutava a non farsi notare.
Sbirciò, giusto in tempo per vedere Jasper (era quindi lui lo sconosciuto) che si alzava per fronteggiare il meccanico.
"Che succede?", le chiese il ragazzo.
"Succede che ho appena finito di parlare con Miller." Emerson vide con la coda dell'occhio Raven incrociare le braccia.
Jasper non disse nulla.
La ragazza mantenne l'atteggiamento di sfida per qualche secondo, poi si arrese. Rilassò le spalle e ammorbidì il tono. "So che Maya significava tanto per te. So come ti senti. Io ho perso Finn. Ricordi?"
Emerson vide Jasper che stringeva i pugni. "Ma lui non è morto per mano di chi credevi tuo amico", disse con voce dura.
Raven sospirò e a lui parve di vederla chiudere gli occhi. "Bellamy vi ha raccontato che è stato ucciso dai Grounders a causa di quel massacro, prima che chiunque di noi potesse fare qualcosa, ma non è andata così."
"Cosa?" Lo stupore di Jasper sostituì qualsiasi ostilità.
"Jasper... Finn è stato catturato dai Grounders, ma non ucciso. Clarke avrebbe potuto salvarlo decidendo di attaccare i Grounders, ma così avrebbe fatto saltare l'alleanza necessaria a salvare i ragazzi nel Monte. A salvare te e gli altri nostri amici. E quindi non lo ha salvato." Emerson vide una lacrima luccicare. "Non lo ha salvato", ripetè. "Finn era la mia famiglia. Ma era una delle persone più importanti al mondo anche per Clarke, soprattutto qui sulla Terra. I Grounders lo avrebbero torturato fino alla morte, così lei lo ha ucciso prima che potessero cominciare, per risparmiargli almeno la sofferenza."
Emerson non poteva vedere il viso del ragazzo, ma non faticò ad immaginarsi il suo sconcerto e il suo dolore, perchè persino lui non era rimasto indifferente alla rivelazione.
"E poi", continuò Raven, senza pietà, con voce decisa ma allo stesso tempo rotta da un pianto silenzioso "...poi Lexa ci ha traditi, e questo significa che Clarke ha ucciso Finn per niente. Jasper, smettila di odiare Clarke. Nessuno odia Clarke più di se stessa. Se io ho potuto perdonarla per aver fatto la scelta migliore, puoi farlo anche tu. Puoi perdonare lei, Bellamy, e soprattutto puoi perdonare Monty. Forse dimentichi che la più grande sofferenza, per lui, è vedere te soffrire. Non odiarlo soltanto perchè lui, a differenza di te, ha saputo fare la scelta migliore."
Jasper abbassò la testa. "Non so cosa dire". In realtà avrebbe voluto dirle che gli dispiaceva per quello che era capitato a Finn, ma in quel momento non trovò il coraggio.
Raven si asciugò frettolosamente le lacrime con una manica della giacca. "Nessuno ti capisce meglio di me, Jasper. Anche io ci ho messo un po' per accettare la situazione, e perdonarla, ma poi quel momento è arrivato. Non stiamo andando a fare una gita di piacere, lo sai, vero? Voglio darti un consiglio: fa' in modo che il tuo momento non arrivi troppo tardi."
La ragazza andò via, e Jasper cadde in ginocchio, con la testa tra le mani.

Emerson alzò lo sguardo al cielo, e osservò le stelle. Pensò a Maya, sua nipote. E a Jasper, che l'aveva amata, e che per questo in quel momento stava combattendo la guerra più difficile di tutte.



Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 55 giorni dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo precedente. Capitolo un po' più corto per farmi perdonare quello precedente, forse eccessivamente lungo xD La rivelazione della morte di Finn ai ragazzi nel Monte è una delle cose che il telefilm ha lasciato in sospeso, e ho voluto dargli una "conclusione" :)
A tra qualche giorno,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Troppo ***


postS2_21 "Troppo" - Clarke

Ormai mancavano poche ore di cammino, poi finalmente sarebbero arrivati alla famosa riva con i pannelli solari.
Erano in viaggio da molti giorni, e la fatica si faceva sentire per tutti.
Alle primissime luci dell'alba, Bellamy aprì gli occhi. Si tirò su a sedere, e si guardò intorno.
I suoi compagni erano ancora immersi nel sonno, tranne Monroe e Kara, che avevano l'ultimo turno di guardia. Sedevano lontane l'una dall'altra, ma ogni tanto si lanciavano delle occhiate quasi esageratamente ostili.
Bellamy cercò Clarke con lo sguardo. Non la vide.
Cominciò ad allarmarsi. Si rimise in piedi in fretta e furia, quasi svegliando Murphy che dormiva accanto a lui. "Monroe...", chiamò preoccupato.
La ragazza indicò con la testa il pendio che avevano risalito la sera precedente. "E' andata da quella parte. Voleva allenarsi con il coltello."
Il giovane Blake annuì, recuperò il fucile e si avviò in quella direzione.
Ormai erano giunti ben lontano dai boschi, e gli alberi erano sempre più radi. Continuò ad avanzare e a scendere lungo un sentiero sdrucciolevole, aggrappandosi ad alcune rocce. Gli occorsero ben dieci minuti per trovare la ragazza, che si era fermata in fondo al pendio, accanto ad un piccolissimo ruscello. C'erano un paio di alberi lì, e Clarke ne stava usando uno come bersaglio.
Bellamy si fermò ad osservarla poco lontano, per qualche minuto. Lei lanciava il coltello, poi andava a recuperarlo, e tornava di nuovo indietro di cinque o sei metri, e poi lo rilanciava. Non era bravissima, alcune volte l'arma finiva sul terriccio un po' arido, ma era migliorata tantissimo rispetto ai primi tempi sulla terra.
Quando il coltello si infilzò per la quinta volta in una grossolana X tracciata sul tronco, il ragazzo parlò.
"Cosa ti ha fatto di male quel povero albero?" Sorrise ironicamente, incrociando le braccia.
Quando aveva aperto bocca, Clarke si era immobilizzata dopo un sussulto.
Si voltò lentamente a guardarlo. "Mi hai spaventata", ma ora pareva chiaramente sollevata.
Bellamy la raggiunse. "Non avresti dovuto allontanarti così tanto dal gruppo."
"Oh, ma per favore!", e le sfuggì una risata, poi si abbassò, immerse una mano a coppa nel ruscello e, prima che lui potesse rendersi conto della minaccia, provò a schizzarlo con l'acqua.
Lo colpì al fianco. "Come hai osato!", esclamò il ragazzo, posando il fucile. Avanzò a grandi passi, diretto al ruscello, per ricambiare il favore, ma Clarke si frappose tra i due.
"Ehi, tu mi hai spaventata. Così siamo pari." Allargò le braccia per impedirgli il passaggio.
Bellamy la guardò negli occhi per un istante. "D'accordo." Finse di arrendersi, ma un attimo dopo le circondò la vita con le braccia e la sollevò leggermente, per spostarla. Non si aspettava la reazione d'istinto di Clarke, che senza neppure rendersene conto cominciò a scalciare e a dargli forti pacche sulle spalle. Per la sorpresa, Bellamy la lasciò andare in fretta, ma rischiò di farla cadere, così l'afferrò di nuovo per i fianchi, con fermezza, ma stavolta più dolcemente.
Si guardarono negli occhi, e il tempo si fermò. Era da molto che entrambi non sorridevano così.
In quel momento passarono loro per la testa fin troppi pensieri.
Bellamy pensò che stringerla tra le braccia era la sensazione più bella che avesse mai provato. Desiderava attirarla a sè, accarezzarle la schiena, le curve, il viso. Distolse per un attimo lo sguardo dagli occhi azzurri della ragazza, e lo posò sulle labbra. In effetti, erano molte di più le cose che avrebbe desiderato fare.
Clarke invece pensò che quel momento stava facendo la differenza tra un'amicizia fraterna e qualcosa di più. Ai tanti motivi per cui avrebbe potuto -o voluto?- passare la vita con lui, come la fiducia, il rispetto, e la simpatia, adesso se n'era aggiunto un altro. Avrebbe giurato di poter sentire lo scoppiettio delle scintille tra loro. Ma non avrebbe dovuto sentirle. Non era giusto.
Bellamy fece un passo avanti, senza lasciarla. Ormai non c'era più spazio tra loro.
E Clarke capì che stava per baciarla, e che poi non sarebbero potuti tornare indietro, che tutto sarebbe cambiato. Fece un passo indietro, e per la sorpresa e soprattutto la delusione, il ragazzo lasciò la presa ed indietreggiò a sua volta.
"Bellamy..."
Ma lui alzò una mano per zittirla. Eccolo, di nuovo quel tono. Quante volte Clarke sarebbe stata in grado di spezzargli il cuore semplicemente pronunciando il suo nome?
Ma la ragazza continuò, distogliendo lo sguardo da lui. "Hai sempre cercato di farti carico delle mie pene. Hai sempre messo la tua vita dopo la mia. Devo farti un elenco? Proprio ora, ti sei fatto carico di una missione pericolosissima con questa macchina di cui non sappiamo nulla e che potrebbe ucciderti senza pensarci due volte soltanto perchè non sei d'accordo con lei. Tutto questo, per non farmi pesare la necessità di un'altra alleanza con i Grounders." Bellamy non disse nulla,e Clarke andò avanti. "Avresti rinunciato alla missione nel Monte, per me. Eri disposto a lasciare i nostri amici in quella situazione, per non farmi soffrire ancora dopo la morte di Finn." Di nuovo, il ragazzo restò in silenzio, e lei proseguì. "Persino durante il periodo dell'epidemia portata da Murphy cercavi di strapparmi un sorriso. Mi hai sempre protetta, sempre con una mano al fucile, sempre il tuo corpo tra il mio e quello dei nemici. Bellamy... a volte mi sembra come se non fosse giusto. A volte mi sembra, semplicemente... troppo."
La verità era che Clarke aveva dimenticato cosa significava essere amata. Da quando il padre era morto, aveva dimenticato che a volte ci sono persone che semplicemente ti amano più di qualsiasi altra cosa al mondo, senza condizioni. E che questo amore è profondo, giusto, naturale, non eccessivo.
Aveva dimenticato che questo amore è un dono, non un fardello.

Bellamy indietreggiò ancora di qualche passo, perchè finalmente si era reso conto di quel che accadeva nei pensieri di Clarke.
Sorprendendola, sorrise. "Ti ricordi quando non volevi togliere il bracciale?". Si riferiva ai primi giorni sulla Terra. La ragazza annuì e lui continuò. "Bè, ti consideravo... un problema." Ora accennò un sorriso anche lei. Lui si schiarì la voce per trovare la forza di andare avanti, e proseguì. "Dissi a Murphy che ti avrei tolto quel bracciale a qualsiasi costo. E non stavo scherzando. Poi tu sei caduta nella trappola dei Grounders, e istintivamente ti ho salvato la vita. In quel momento ho pensato di aver commesso uno degli errori più stupidi della mia intera esistenza."
Si voltò, le diede le spalle, e cominciò a risalire il pendio, lasciandola turbata, senza parole.
Ma lui aveva bisogno di prendere le distanze per dirle quello che voleva. Prima di allontanarsi troppo, si girò di nuovo a guardarla.
"Quello stupido errore si è rivelato il migliore della mia vita. Sono contento di averlo commesso, e non smetterò mai di rifarlo. Non smetterò mai di salvarti, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata." La voce di Bellamy continuava ad essere ferma, sicura, al contrario delle sue emozioni. "Non solo per te, Clarke. Per me. Quando salvo te... salvo anche me." Sorrise. "Non voglio perderti." Riprese il cammino e sparì alla vista.
Solo dopo qualche minuto Clarke si permise il lusso di piangere.


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 59 giorni dalla sconfitta del Monte. "In tutti i modi in cui una persona può essere salvata"... concedetemi la citazione da Titanic u.u
Non mi piace molto questo capitolo. Non sono una persona molto romantica e sdolcinata, di conseguenza non mi riesce bene scrivere di queste cose xD spero comunque che vi sia piaciuto :) e vi giuro che non manca molto a qualcosa di molto Bellarkromantico u.u
A tra qualche giorno,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Non si sa mai ***


postS2_22 "Non si sa mai" - Bellamy

Solo poche ore, poi avrebbero raggiunto i pannelli solari e la recita sarebbe iniziata.
Kane stava parlando con Kara e il signor Miller, che insieme a Clarke avrebbero guidato il gruppo più numeroso.
Raven stava spiegando alcune cose a Monroe e Tyler. Avrebbe lasciato alla ragazza tutti gli appunti su cui aveva lavorato con Wick e Monty. Non potevano correre il rischio di portarli con loro, ed era comunque necessario che anche altri avessero a disposizione quelle informazioni. Non si sa mai.
Ma quello non era solo il momento di coordinarsi e ripassare il piano. Era anche il tempo dei saluti.

Bellamy raggiunse Miller. Il ragazzo stava controllando le proprie armi, tra cui un pesante martello, souvenir che aveva preso dal Monte.
"Ehi", lo salutò il Cancelliere, sistemandosi il fucile in spalla.
"Tutto pronto? Ti ho visto confabulare con Monty, prima", gli sorrise Miller.
"Tutto pronto. Per quanto possa essere pronto un azzardo del genere." Con i suoi amici era stato sincero fin dall'inizio, non aveva indorato la pillola.
"Già", commentò Miller, col sorriso che scivolava via. "Sarà pericoloso e con poche speranze su entrambi i fronti."
Il giovane Blake lanciò un'occhiata a Clarke, in lontananza, che a sua volta osservava da lontano Emerson. Il Mountain Man ricambiava lo sguardo della ragazza. Sembrava una lotta silenziosa a chi avrebbe ceduto per primo e raggiunto l'altro.
"Devo chiederti un favore", disse Bellamy.
Miller annuì, in attesa.
"Tieni d'occhio Clarke, okay?"
"Sa cavarsela", commentò Miller. "Ma ho capito."
Si scambiarono un cenno d'intesa, poi Bellamy gli diede una pacca sulla spalla in un muto ringraziamento.
"Cosa mi sono perso?" Murphy spuntò alle loro spalle. "Con queste facce serie sembra quasi che stiamo per entrare in guerra."
Gli altri due risero.
"Ce l'hai una pistola?", domandò Bellamy.
Murphy indicò una spada corta presa in prestito da Emori, che gli aveva anche insegnato ad usarla. Era il tipo di arma che accompagnava i tatuaggi sul braccio. Un simbolo del suo clan. "Solo questa."
Bellamy sfilò una pistola dalla cintura e gliela passò. "Non si sa mai." Li guardò entrambi. "Mi raccomando: lavoro di squadra. Come ai vecchi tempi."

Fu Emerson a cedere, e a raggiungere Clarke. Aveva un brutto presentimento.
Nella vita non si sa mai, e di solito il suo sesto senso non sbagliava. A giudicare dall'espressione della ragazza, questo brutto presentimento era condiviso.
Appena la raggiunse, fu Clarke a parlare per prima.
"Non ti perdonerò mai per quello che hai fatto." Lo disse duramente, ma sembrava che la cosa la rendesse triste.
"Neppure io", replicò Emerson.
Al di là del torto e della ragione, uno di fronte all'altra si trovavano due persone che si erano distrutte le vite a vicenda. E poi si erano aiutati l'un l'altro a ricostruirle.
Distolsero entrambi lo sguardo.
"Ma...", cominciò Emerson, quasi sussurrando.
"...grazie", conclusero insieme, contemporaneamente, a voce più alta. Per la sorpresa, si guardarono di nuovo negli occhi.
Non avrebbero mai potuto perdonarsi a vicenda, ma grazie all'altro erano riusciti a perdonare se stessi, molto più di quanto potessero sperare.
Restarono immobili e in silenzio qualche istante, poi Emerson allungò lentamente un braccio, e delicatamente sfiorò con il dorso della mano una spalla di Clarke.
Lui accennò un sorriso, la ragazza annuì, poi colui che era stato un Mountain Man si voltò e la lasciò sola.
Non sapevano spiegare il perchè, ma entrambi avevano l'impressione che questo fosse un addio.
Nonostante tutto, Clarke sperò ardentemente di sbagliarsi.


Nota dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 59 giorni dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo precedente.
Per cominciare voglio scusarmi per tutti questi giorni di attesa e per non aver ancora risposto alle bellissime recensioni del capitolo precedente (grazie!! <3) ma ho avuto come al solito problemi con il pc -_-" non ce la faccio più -_-"
E poi voglio rassicurarvi che non mi sono dimenticata della missione parallela di Lincoln e Octavia xD a breve torneranno su questi schermi!
A tra qualche giorno,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Diamo il via alle danze ***


postS2_23 "Diamo il via alle danze" - Kane

Finalmente raggiunsero i pannelli solari.
Murphy reagì con disgusto, alla vista di quel luogo.
Emori con apprensione, poichè probabilmente ne conservava un ricordo anche peggiore.
Emerson e Clarke osservarono la scena con un misto di timore e rassegnazione.
Tutti gli altri, con meraviglia. Wick, Raven, Monty e Jasper erano addirittura affascinati.
I Grounders accompagnavano lo stupore con la preoccupazione, e così Kane.
Bellamy lo raggiunse.
"Diamo il via alle danze", gli disse Marcus, cupamente. Sembrava quasi aver fretta. Voleva che tutto finisse il prima possibile.
Bellamy annuì, e poi guardò altrove, verso Clarke, ma non appena i loro occhi si incrociarono, distolsero entrambi lo sguardo.
L'ultima conversazione tra loro degna di questo nome era stata quella al ruscello, in cui Clarke si era pentita di non essersi lasciata andare, e Bellamy si era pentito per l'esatto contrario.
Dunque non avevano deciso cosa dirsi sull'isola, quando la recita sarebbe ufficialmente iniziata.
Kane prese il comando, li condusse alle barche, e sperò con tutto il cuore che il piano funzionasse.
Troppe cose potevano andare storte, e non avevano neppure la certezza che quei tre ragazzi sarebbero riusciti a disattivare la macchina, se anche l'avessero trovata. Aveva acconsentito a mettere Bellamy in una posizione così rischiosa soltanto perchè avrebbe potuto tenerlo d'occhio personalmente. Si era incredibilmente affezionato al ragazzo nelle ultime settimane, con stupore di tutti e di se stesso per primo.
E se invece fosse successo qualcosa a Clarke? Con quale coraggio avrebbe potuto guardare di nuovo Abby negli occhi?

*

Persero tre uomini.
La traversata in mare fu devastante.
L'isola era già perfettamente visibile all'orizzonte, quando furono attaccati da una creatura marina gigantesca, spaventosa. La stessa che Murphy aveva incontrato nel suo primo viaggio, e che per fortuna non aveva rivisto al ritorno.
Ci furono pochi minuti di terribile confusione.
Alcuni caddero in acqua.
Kara fu la prima.
Nathan Miller il secondo, seguito a ruota da Murphy, che aveva tentato di trattenerlo a bordo.
E poi Tayler, e Smith.
Kane dovette trattenere Monroe, che istintivamente stava per tuffarsi per salvare Kara, e per poco non caddero anche loro due.
I Grounders sotto il comando della ragazza, invece, si gettarono tutti. Riuscirono a rimetterla sulla barca e provarono a risalire, ma uno di loro non fu abbastanza svelto.
Quando Murphy e Nathan scomparvero sotto la superficie agitata, si tuffarono due persone. Il primo fu il signor Miller. Il secondo fu Bellamy.
Persino con tutta quella confusione si potè udire l'urlo straziante di Clarke. Servirono gli sforzi congiunti di Emerson, Monty e Raven per trattenerla a bordo.
Nel frattempo, Wick aveva tirato su Smith, ma per Tyler non ci fu nulla da fare.
Murphy non smentì la sua natura di sopravvissuto, e venne tratto in salvo, con Bellamy. Si affrettarono a recuperare il loro amico, ma l'urlo disperato di Clarke non fu nulla confrontato a quello del giovane Miller, alla vista di suo padre che spariva tra le fauci della bestia.


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 59 giorni dalla sconfitta del Monte nella prima parte, e 60 nella seconda.
Ebbeeene, cominciano i morti. Sì, cominciano, perchè non sono finiti. Sapete che provo a restare fedele alla serie tv :P
Non volevo scrivere nulla di troppo drammatico perciò ho optato per una narrazione veloce e ordinata, spero che il paragrafo vi sia piaciuto.
Volevo dirvi che ho fatto due calcoli e se non mi viene in mente di aggiungere alcune scene all'ultimo momento, i capitoli totali di questa fanfic saranno 33! Quindi ne mancano solo dieci! (Ma conoscendomi è più probabile che i capitoli saranno 35 ahahah)
Come sempre grazie a tutti quelli che mi seguono <3
A tra qualche giorno,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** May we meet again ***


postS2_24 "May we meet again" - Bellarke

L'umore non era dei migliori quando finalmente, all'alba, sbarcarono.
Bellamy era ferito ad una gamba, Smith ad una spalla, e tutti erano fortemente provati dalla navigazione. Per fortuna nessuno di loro era grave.
Miller era ancora visibilmente sconvolto, il viso una maschera di dolore e rabbia.
Kane guardò i suoi compagni di viaggio, scambiò un cenno d'intesa con Bellamy e Wick, poi diede il via allo spettacolo.
Cominciò a raccontare d'aver mentito; che lui, Wick, Emerson, Monty, Jasper e Raven volevano incontrare Jaha, che dunque non erano lì per salvare i Grounders, ma perchè credevano che l'ex Cancelliere dell'Arca potesse avere ragione, ed erano interessati ad ascoltarlo.
E poi Bellamy e Clarke cominciarono a discutere con Raven e Monty, fingendosi sconvolti, chiedendo loro di ragionare e di non seguire Kane. Senza successo, naturalmente, come da copione.
E infine Bellamy prese in disparte Clarke, continuando a recitare, a beneficio di eventuali droni nascosti.
"Non mi piace questa storia", le disse. "Andrò con loro, per tenerli d'occhio, e per scorprire di preciso cos'ha in mente Jaha."
"Non andare", lo supplicò lei, e quelle due parole ebbero su Bellamy la potenza di uno schiaffo. Perchè Clarke, in quel momento, non stava recitando. Poteva leggerglielo negli occhi. E decise di smettere di fingere anche lui.
"Devo. E' la cosa giusta. Starò attento." Si guardarono profondamente negli occhi per un istante, quasi come se fossero soli e non circondati dalla loro gente e da possibili spie meccaniche. Poi, ricordandosi del piano, il ragazzo aggiunse: "Cercherò di farli ragionare, e poi vi raggiungeremo."
Clarke annuì, stringendo i pugni.
Bellamy si allontanò da lei con decisione. "Kane!", urlò, sistemandosi il fucile in spalla. "Vengo con voi. Sono curioso di ascoltare la versione di Jaha", disse con ironia.
Kane cominciò a protestare e minacciare, ma si lasciò convincere da Raven ad accoglierlo nel gruppo.
E i giochi finirono.
In questo modo, A.l.i.e. avrebbe considerato Bellamy una seccatura, ma non una minaccia, e se la situazione fosse diventata sospetta, avrebbe puntato il dito su di lui e non sui reali colpevoli, che dovevano poter agire indisturbati.
Si incamminarono, voltando le spalle agli altri, con Bellamy che ancora si fingeva riluttante. Rimanse indietro poichè zoppicava ancora un po', distanziandoli di qualche centinaio di metri, e ben presto rimase solo lui ad avanzare lentamente nella sabbia, mentre Kane e gli altri sparivano dietro una collinetta.

Anche il gruppo più numeroso riprese il cammino, guidato da Murphy, ma Clarke non si mosse.
Rimase immobile ad osservare Bellamy allontanarsi sempre di più da lei.
Quante volte ancora sarebbero stati così fortunati da ritrovarsi?
Cominciò a correre.

"BELLAMY!"
Lui si fermò, e si voltò giusto in tempo per accoglierla tra le braccia, e prima che potesse capire cosa stava succedendo, lei lo baciò.
E Bellamy la strinse forte, ricambiò il bacio come se non avesse mai desiderato nulla così tanto in tutta la sua vita, e probabilmente era proprio così.
Per un folle istante decise che non l'avrebbe lasciata.

Clarke era stata baciata due volte da quando era arrivata sulla Terra. La prima volta da Finn, e la seconda volta da Lexa. Nessuno dei due baci era stato voluto, ma dopo averli ricevuti aveva creduto di averne avuto bisogno. Con Finn, per sopportare il peso delle responsabilità che la stavano sommergendo. Con Lexa, per rendersi conto che era possibile ricominciare una nuova vita dopo tutta quella sofferenza. Ma in entrambi i casi si trattava solo di illusioni.
Con Bellamy non c'era alcuna illusione, era tutto reale, la gioia e anche il dolore. Reale e condiviso. Era la vita, la forza che la aiutava a superare qualsiasi cosa. Era quel tipo di amore che aveva imparato a conoscere grazie al padre, e che credeva perduto per sempre. Il dono, non il fardello.
Bellamy aveva lasciato che fosse lei a decidere se voleva quel bacio tra loro, se ne aveva bisogno, e quando. Era davvero riuscito a trasformare quel bacio in un dono.

Quando si separarono, Clarke lo guardò negli occhi. "May we meet again", gli disse quasi senza fiato, come l'ultima volta che si erano salutati, ma stavolta sorrideva.
"May we meet again", rispose Bellamy, e sorrideva anche lui.


Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 60 giorni dalla sconfitta del Monte.
Finalmente potete capire il senso del banalissimo titolo che ho dato a questa storia xD e spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto.
A tra qualche giorno,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Dovrete raccontarmi un bel po' di cose ***


postS2_25 "Dovrete raccontarmi un bel po' di cose" - Luna

Nyko, Jackson ed Echo non ricevettero quella che si potrebbe definire una calorosa accoglienza. Avevano raggiunto il territorio del Popolo delle Dune, ma Echo non conosceva di persona la Comandante. Conosceva un semplice guerriero, che faticò non poco per procurar loro un incontro.
Quando finalmente furono ricevuti, Jackson trasalì. Non aveva mai visto una donna così grossa. Neppure un uomo, in verità. Sarah, così si chiamava la Comandante, castana di capelli e di occhi, era alta circa due metri, con un fisico asciutto e muscoloso, la pelle poco più chiara di quella di Lincoln, ricoperta di tatuaggi dalla testa ai piedi. Portava addosso almeno una decina di armi, inclusi un arco e una faretra. Nonostante tutto, riusciva a conservare una certa femminilità, nei modi e nello sguardo.
"Chi è lui?", chiese immediatamente, guardando Jackson. "E cosa potrebbe mai volere Lexa da me, di questi tempi?"

Octavia aveva l'impressione di viaggiare da mesi, invece non erano passate neppure due settimane.
Il Popolo del Mare viveva in un territorio bellissimo. La natura aveva colori brillanti, gli animali erano più rumorosi, persino l'aria aveva un profumo particolare.
E cosa dire del mare? La giovane Blake era rimasta completamente affascinata da quell'immensa distesa di onde violente color piombo.
Avevano raggiunto quella zona due giorni prima, ma erano stati costretti ad attraversare alcuni villaggi prima di arrivare ad Ariel, la capitale.
Ariel era un villaggio gigantesco, una vera e propria città, e sorgeva sul mare. Aveva un porto e delle navi, anche. Erano tutte barche a vela, dalla forma lunga e stretta, e la punta era intagliata in figure gigantesche che sembravano mostri marini.
In quel momento, Octavia, Lincoln e la Consigliera Quinn stavano aspettando in una casupola l'arrivo di Luna.
Nyko, Jackson ed Echo, invece, avevano preso un'altra strada e probabilmente erano già arrivati dal Popolo delle Dune alcuni giorni prima.
La Comandante del Popolo del Mare entrò senza bussare, scortata da due Grounders armati fino ai denti.
La prima cosa che fece fu sorridere.
"Lincoln", disse con affetto, e si avvicinò all'uomo per stringerlo in un rapido abbraccio, che lui ricambiò.
Octavia provò un'istintiva simpatia per Luna. Era alta, con i capelli rossicci, gli occhi azzurri come quelli di Clarke e la carnagione molto chiara. Dimostrava circa una quarantina d'anni, o pochi di meno, ed era ricoperta di tatuaggi color piombo, proprio come il mare d'inverno su cui si affacciava il suo popolo.
Luna si staccò da Lincoln e gli disse scherzosamente: "Quando abbiamo combattuto insieme contro la Nazione dei Ghiacci non eri così grosso." Guardò la ragazza Blake velocemente, poi spostò lo sguardo sulla nervosa Quinn.
"Non sei una Grounder", constatò. La Consigliera annuì debolmente.
"Mi sono arrivate voci sul Popolo del Cielo", continuò la Comandante. "Ma dovrete raccontarmi un bel po' di cose."
Octavia sorrise. Quinn non era una Grounder, ma lei sì.



Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 57 giorni (nel primo paragrafo) e 61 giorni (nel secondo paragrafo) dalla sconfitta del Monte.
Sì, ho chiamato la capitale del Popolo del Mare proprio Ariel, come La Sirenetta. E la Comandante del Popolo delle Dune l'ho chiamata proprio Sarah, come il deserto. Ehggià. Compatitemi.
Scusatemi tanto il ritado e il capitolo di "presentazione". Tra pochissimi giorni ne arriverà uno collegato!
A tra qualche giorno,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Io non ho mai paura ***


postS2_26 "Io non ho mai paura" - Octavia

Fu a dir poco complicato spiegare a Sarah e agli altri rappresentanti del Popolo delle Dune la situazione. Erano giunte voci sugli Sky People (voci alle quali non avevano creduto) ma nulla sulla sconfitta della misteriosa minaccia che da tempo tormentava il Popolo degli Alberi.
Parlare della Città della Luce e della macchina fu ancora più arduo, soprattutto perchè dovettero chiarire da subito di stare agendo alle spalle di Lexa, e Sarah dubitò di ogni parola.
"Non interverremo", disse con voce autorevole. "Ma potrete andarvene senza conseguenze."
Jackson fece per insistere, ma Echo gli tappò la bocca con una mano giusto in tempo. "Taci", sibilò, e cominciò a strattonarlo fuori dalla tenda della Comandante. Nyko la ringraziò, poi seguì i compagni all'esterno.
Si allontanarono in silenzio dal villaggio, a passo svelto, arrancando sul terriccio arido.
"Perchè ci siamo arresi così in fretta?", chiese Jackson con rabbia, quando furono soli.
"Perchè a Sarah non piace che vengano messe in discussione le sue decisioni", rispose la donna.
"E può decidere così? Da sola? Senza consultare i Capi Clan?"
"Lei fa sempre così."
"Ma Luna riunirà i suoi Capi Clan", si intromise Nyko. "Ci vorrà del tempo. Se saremo fortunati riusciremo a raggiungere la capitale prima della loro partenza."

Quando Nyko, Jackson ed Echo raggiunsero finalmente Ariel, la Capitale del Popolo del Mare, trovarono una bella sorpresa.
Oltre a Quinn, Lincoln e Octavia, ad accoglierli c'erano anche Luna, tutti i Capi Clan del Popolo del Mare, ed infine Sarah e decine di guerrieri del Popolo delle Dune.
"Ho cambiato idea", disse semplicemente Sarah. Si erano messi in viaggio a cavallo e li avevano superati.
"Le navi sono quasi pronte", disse Luna. "Preparatevi a partire. Domani, all'alba."

Quella notte Octavia non riuscì a prendere sonno. Era preoccupata per Bellamy e per i suoi amici. Cosa stavano facendo sull'isola? Il piano aveva funzionato? Avrebbero agito di lì a poco, o avrebbero aspettato ancora l'aiuto dei Grounders? Se la decisione fosse spettata a Clarke, sicuramente la ragazza non avrebbe aspettato. Avrebbe agito. E non poteva di certo biasimarla.
Octavia si sentiva anche in colpa, perchè un po' le dispiaceva lasciare quel luogo. Si era innamorata del mare, della sensazione di forza e libertà che riusciva a trasmetterle. Il campo degli Sky People non era la sua casa, e non lo era più neppure il Popolo degli Alberi. Credeva di aver trovato il suo posto nel mondo, e invece il comportamento di Lexa l'aveva privata anche di quello. Ma lì, in quel villaggio di pescatori, si sentiva a proprio agio.
Si rigirò sotto la coperta, e sbuffò leggermente.
Anche Lincoln si mosse accanto a lei. "Tutto okay?", sussurrò nel buio.
"Sì", rispose semplicemente la ragazza.
"Sei spaventata per il viaggio in barca? Per quello che troveremo sull'isola?", chiese il Grounder.
Octavia scosse la testa, poi si ricordò che lui non poteva vederla. "Io non ho mai paura", rispose.
"Lo so", disse Lincoln, poi l'abbracciò stretta, e lei finalmente si rilassò.



Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 57 giorni (nel primo paragrafo) e 63 giorni (nel secondo e nel terzo paragrafo) dalla sconfitta del Monte.
Bruttino questo capitolo, come il precedente, chiedo scusa :(
Mi sono serviti un po' a spiegare quello che poi succederà nei prossimi :)
La fanfic è quasi finita, complimenti a chi continua a tenere duro xD e grazie a tutti quelli che mi seguono e recensiscono <3 <3 <3
A tra qualche giorno,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Non ci ritengono una minaccia ***


postS2_27 "Non ci ritengono una minaccia" - Miller

L'accordo era semplice: dopo tre giorni Clarke avrebbe dovuto provare ad avvicinarsi alla villa.
"Sei preoccupata", fece notare Miller, mentre avanzavano con attenzione tra le sterpaglie, guardandosi intorno. La seguiva a pochi passi di distanza, senza toglierle mai gli occhi di dosso.
"Tu non lo sei?", replicò la ragazza, con una mano sulla pistola. Anche l'amico stringeva un fucile, pronto all'uso.
"C'è qualcosa di strano", disse Miller, invece di rispondere.
Clarke annuì. "Non solo ci hanno lasciati in pace fino ad ora, ma non ci stanno attaccando neanche adesso che ci stiamo avvicinando."
"Forse non ci ritengono una minaccia", ipotizzò il ragazzo.
"O forse vogliono che comunichiamo tra noi."
"O forse entrambe".
Clarke sospirò, poi si voltò a guardarlo, continuando a camminare. "Non era necessario che mi accompagnassi", gli disse, ma non troppo duramente. Miller aveva appena perso il padre, e lei ricordava fin troppo bene come ci si sentisse.
"Per cominciare, ci sono i miei due migliori amici chiusi in quel posto. Inoltre, un po' di compagnia o di aiuto non possono farti male." E poi, aveva fatto una promessa.

Bellamy la stava aspettando da ore, sempre più nervoso, fingendo semplicemente di passeggiare casualmente davanti ad ogni finestra del piano terra. Lui e gli altri erano liberi di vagare per l'edificio, e anche di uscirne. Non erano prigionieri. Gli altri si trattenevano lì perchè fingevano di essersi schierati con Jaha, e lui perchè fingeva di non voler abbandonare i suoi amici. Però A.l.i.e. aveva confiscato le armi a tutti.
All'improvviso li vide. Si affacciò in tutta fretta, bruscamente; non potè evitarlo. Erano proprio loro: Clarke e Miller. Stavano bene.
Rischiò quasi di scoppiare a ridere per il sollievo.
Si precipitò fuori dalla villa, perchè non voleva farli avvicinare troppo.
Quando Clarke alzò lo sguardo e lo vide, ad entrambi si fermò il cuore per un momento.
La ragazza arrestò il passo, chiuse gli occhi e sospirò. Era vivo. Stava bene. E dal suo sorriso intuì che anche per Raven, Monty e gli altri era lo stesso.
Bellamy invece non si fermò e la raggiunse, a qualche centinaio di metri dalla villa. La circondò con le braccia e la strinse al petto, dandole un rapido bacio sulla tempia, e guardò Miller da sopra la spalla della ragazza. "Come state?" domandò, mentre liberava Clarke dall'abbraccio. Bellamy si riferiva soprattutto a Miller stesso, e lui lo capì.
"Tutti alla grande", rispose cupamente. "E voi? Monty?" Sembrava teso, e si rilassò solamente quando l'altro gli assicurò che anche nella villa stavano tutti bene.
"Perchè Jaha e la macchina ci hanno lasciati in pace per ben tre giorni?", domandò subito Clarke. "Perchè ci lasciano liberi di cercare i prigionieri?".
In realtà Murphy ricordava benissimo dove il fratello di Emori e gli altri Grounders erano segregati, ma stavano prendendo tempo in attesa di notizie da Octavia e dal gruppo nella villa.
Bellamy la guardò negi occhi. "A loro non conviene ci siano spargimenti di sangue inutili finchè non sarà necessario", rispose. "Finchè non diventate una minaccia, non vogliono perdere uomini".
Clarke annuì, ricambiando lo sguardo con decisione.
Non c'era imbarazzo tra loro. In quel momento erano i soliti Clarke e Bellamy, che lottavano per salvare la loro gente, con quella cieca fiducia nell'altro che li contraddistingueva.
"Clarke." Bellamy la guardò intensamente. Aveva bisogno che la ragazza capisse.
La trasse a sè. Miller distolse lo sguardo. Le cinse la vita con le mani, continuando semplicemente a guardarla.
E lei capì. Sgranò leggermente gli occhi per la sorpresa, ma durò solo un attimo, poi annuì, e quando lui si allontanò, lei infilò le mani nelle tasche della giacca.
Si salutarono, e ognuno tornò dal proprio gruppo.

Solo quando scese la notte, Clarke si rintanò in un angolino, vicino al fuoco dove Emori e Smith stavano cuocendo della carne, ed estrasse un pezzetto di carta dalla tasca sinistra della sua giacca.
Il nostro amico aveva ragione. Mi manchi, mentre sono qui nella villa. Ti vorrei con me, ma so che dovete continuare a cercare come avete fatto fino ad ora. Ogni tanto passeggio nei dintorni pensando a te e a me. Quando sarà il momento di stare di nuovo insieme, lo capirai. -B.
La calligrafia era distorta, come se Bellamy avesse scritto cercando di tenere in tutti i modi il foglio nascosto. Nonostante questo, aveva preferito scrivere in modo che solo lei capisse.
Clarke bruciò il messaggio.
Murphy aveva ragione: A.l.i.e. e Jaha volevano costruire altre bombe e replicare il disastro di novant'anni prima. La macchina era nella villa. Dovevano continuare a fingere di cercare i Grounders prigionieri. E doveva controllare periodicamente il posto dove si erano incontrati, perchè quando Raven, Wick e Monty avrebbero trovato il modo di salvarli tutti, lui le avrebbe lasciato un indizio per avvisarla che era arrivato il momento di agire. E a quel punto, ognuno avrebbe fatto la propria parte, e forse il piano avrebbe funzionato.



Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 63 giorni dalla sconfitta del Monte.
Mi dispiace se i due capitoli precedenti sono stati piuttosto bruttini :( spero di essere tornata in carreggiata con questo xD
A tra qualche giorno,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Esploderà ***


postS2_28 "Esploderà" - Wick

Quattro giorni dopo, trovarono la soluzione.
Raven, Wick e Monty si guardarono negli occhi, tesi. Era la prima volta che si confrontavano con una responsabilità così grande. Ovviamente. Il peso dell'umanità pesava sulle loro spalle, sulla loro conoscenza e sulle loro decisioni. Non era facile, non era giusto. Proprio come tutto ciò che era successo da quando avevano lasciato l'Arca.
A volte, Monty si era ritrovato a pensare che forse il loro destino non era quello di tornare sulla Terra per sopravvivere, ma per morirvi.
"Esploderà", sussurrò Wick nervosamente. L'inevitabile conclusione.
"Già." Monty si massaggiò le tempie.
"Dannazione!", sbottò Raven, e si trattenne per poco dal prendere a pugni un muro.
Come al solito, ciò che avrebbe dovuto salvarli, stava per diventare una condanna.
"Monty, non è giusto", tentò per l'ennesima volta Wick. "Non possiamo decidere così. Non puoi decidere da solo."
"Lascia che sia uno di noi", aggiunse Raven, riferendosi però a se stessa.
"Lascia che sia io, vorrai dire", disse duramente Wick.
"Ragazzi..." Monty sorrise, scosse leggermente il capo. "Basta."
Decisero di avvertire subito gli altri. Era inutile aspettare oltre, avevano rimandato già da troppo.
"Ehi", Bellamy salutò il meccanico, quando la vide avvicinarsi a lui, Emerson, Jasper e Kane, che si trovavano nel cortile. "Qualcosa non va?", aggiunse immediatamente, accorgendosi dello sguardo della ragazza.
Raven si schiarì la voce. "E' ora", disse. Distolse velocemente lo sguardo.
Gli altri sembrarono visibilmente sollevati, ma Bellamy la conosceva. Qualcosa non andava, ma capì che non era il momento per chiedere spiegazioni.

Finalmente lo vide. Sotto un fiore giallo, c'erano dei fili di rame intrecciati insieme a formare una B.
Clarke sollevò lo sguardo e incrociò quello di Miller, che non la lasciava mai sola.
"Bellamy non uscirà neanche oggi, a quando pare", disse, come se tornasse lì di frequente solo con la speranza di rivederlo.
Gli rivolse un cenno d'intesa, e Miller capì immediatamente. Annuì. "Andiamo", disse, stringendo il fucile.
Erano quasi arrivati al punto in cui si erano accampati con gli altri, quando videro Kara e Monroe correre verso di loro.
"Clarke!", gridò Monroe. "Stanno arrivando!"
"Chi?!", domandò Miller, confuso.
"Octavia", rispose Kara, con il sorriso di chi pregusta una battaglia.
A Clarke servirono pochi minuti per organizzare tutto. Fece preparare la sua gente a combattere, mandò Murphy ed Emori a salvare finalmente i Grounders prigionieri, riuscì a liberarsi di Miller e cominciò a correre nuovamente verso la villa. Doveva avvisare Bellamy. Il loro diversivo era appena sbarcato da una decina di navi da guerra.

A.l.i.e. era sparita. Probabilmente stava dando istruzioni ai suoi guerrieri, mentre li spediva all'attacco degli invasori. Jaha era con lei.
E finalmente Raven poteva parlare al gruppo liberamente.
"Bisogna svolgere due operazioni quasi contemporaneamente", si affrettò a spiegare. Diede qualche dettaglio tecnico, con l'aiuto di Wick e Monty. Erano appena stati in una stanza sotterranea, dove avevano trovato la macchina e un dispositivo da comandare a distanza. "Qualcuno deve attivare questo da una distanza di almeno duecento metri", lo mostrò agli altri. "Che a sua volta attiverà la macchina sotto la villa. E dopo tre minuti esatti, bisognerà innescare manualmente il meccanismo di cui vi abbiamo parlato. E' stato programmato in questo modo proprio perchè fossero necessarie almeno due persone a farlo. Agirà all'istante, dall'interno, e farà esplodere i componenti essenziali di A.l.i.e., che altrimenti sono di un materiale quasi indistruttibile. Non c'è altro modo."
Calò un silenzio attonito.
Kane si schiarì nervosamente la voce. "Agirà all'istante ed esploderà", ripetè. "Questo significa che chiunque inneschi il meccanismo..."
"...morirà", concluse Emerson, incrociando le braccia.
"Vado io", esclamò Bellamy, senza un attimo d'esitazione.
"Questa volta no, ragazzo", replicò Kane. "Stavolta tocca a me."
"Non tocca a nessuno di voi", intervenne Wick. "Non è un'operazione semplice. Può svolgerla solo un meccanico, o un ingegniere..."
"E un chimico con conoscenze da ingegniere?"
Tutti si voltarono verso Jasper, che aveva parlato per la prima volta da quando il discorso era iniziato.
"No", fu la risposta secca di Monty, ma le facce degli altri due parlavano chiaro.
"Andrò io", decise Jasper. "Ditemi nel dettaglio cosa devo fare."
"No", ripetè ancora Monty, fronteggiandolo, con le mani strette a pugno. Lo avrebbe colpito, se necessario.
Si guardarono per pochi secondi, che parvero ore. C'era così tanto dolore, nei loro occhi. Per quello che avevano affrontato, e per quello che stava succedendo tra loro. Per la prima volta, ora che tutto stava per finire, entrambi videro quel dolore nello sguardo dell'altro. Erano sempre stati una cosa sola. Inseparabili. N
onostante tutto, nonostante la sofferenza, le scelte giuste, quelle sbagliate... alcune cose sono incancellabili.
In quell'istante, si resero conto di cosa sarebbe successo. Lo decidero di comune accordo, senza parlare.
Non avevano memoria di una vita prima di conoscersi, e non l'avrebbero avuta neanche dopo avervi posto fine.
Quel che andava fatto, l'avrebbero fatto insieme.



Nota dell'Autrice: In questo capitolo sono passati 68 giorni dalla sconfitta del Monte.
Alloooora! Octavia, Lincoln, il Popolo delle Dune e del Mare stanno sbarcando sull'isola!
Ho scritto una scena pietosa in cui spiegano il piano agli altri perchè tanto ormai lo sapete, i dettagli tecnici non sono il mio forte e questa fanfic si concentra sulle relazioni tra i personaggi piuttosto che sull'azione :P spero che comunque abbiate capito il senso xD
E vi avviso che almeno per una decina di giorni non ci saranno aggiornamenti! Parto e vado all'estero, mi è proprio impossibile xD
BUONE VACANZE A TUTTI! ^_^
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Resisti! ***


postS2_29 Nota: Strettamente collegato al capitolo precedente.

"Resisti!"
- Monroe

In quel momento, contemporaneamente, accaddero tre cose.
Octavia, Lincoln e i loro compagni, affiancati da Luna, Sarah e dagli altri Grounders del Popolo del Mare e delle Dune, sbarcarono sull'isola. Furono subito raggiunti dagli Sky People, ma non ci fu tempo per parlare. La giovane Blake riuscì a malapena a sapere che secondo le ultime notizie suo fratello stava bene, che dovette estrarre la spada e mettere alla prova le sue doti da guerriera. Fu proprio lì, sulla spiaggia, che si scatenò la battaglia.
Murphy ed Emori, invece, erano riusciti a raggiungere indisturbati i prigionieri, perchè la messinscena aveva funzionato e la macchina non sapeva che il ragazzo ricordava perfettamente il luogo da cercare. Liberarli fu un po' più difficile, ma riuscirono a compiere la missione giusto in tempo, e si affrettarono a raggiungere gli altri, perchè anche se debilitati fisicamente, la sete di vendetta li faceva sentire tutti invincibili.
E infine, dall'alto di una collinetta, a distanza di sicurezza, c'erano Jaha e l'ologramma di A.l.i.e., che dopo aver ordinato ai Grounders sotto il loro comando di attaccare, si godevano la scena di un combattimento senza pietà. La macchina mostrava la più totale indifferenza. L'Ex Cancelliere, colui che un tempo era stato un uomo buono, ogni tanto distoglieva lo sguardo di fronte al sangue che andava mischiandosi alla sabbia, e ai corpi feriti che cadevano inermi sotto lame e proiettili, ma nonostante questo non alzava un dito per fermare la strage, non proferiva parola per sottolinearne l'assurdità. Aveva bisogno di questa selezione. Perchè il mondo aveva bisogno di una selezione ancor più grande, di un sacrificio per un bene superiore, e lui aveva intenzione di essere uno degli artefici.

Nel mezzo della battaglia, le cose non erano facili per nessuno.
Kara e Monroe combattevano schiena contro schiena, coprendosi le spalle a vicenda, la prima con un'ascia, la seconda con il fucile.
"Dannazione!", esclamò la Grounder, affanosamente.
"Cosa succede?" Monroe si voltò, e quello che vide la fece impallidire. Kara aveva un pugnale conficcato in un fianco. Sparò qualche altro colpo per liberarsi dei nemici più vicini, poi si inginocchiò accanto all'altra ragazza, che nel frattempo era caduta rovinosamente a terra. "Resisti!", le ordinò.
"Perchè? Vuoi avere tu l'onore di uccidermi?", replicò Kara, con un filo di voce che sperava suonasse ironico.
"Resisti!" Monroe appoggiò la propria fronte contro quella della Grounder, che a sua volta le accarezzò il viso con una mano sporca del proprio sangue. "Resisti!" Si staccò da lei, e stava per riprendere il fucile e continuare a combattere, nel panico, senza sapere cosa fare con Kara, quando una freccia la raggiunse, e colpì la ragazza del cielo alla gamba, proprio dove già alcuni mesi prima era stata ferita allo stesso modo. Cadde in ginocchio anche lei, e in quel momento pensò che l'ultima cosa che avrebbe visto sarebbe stata quei due Grounder dell'esercito di A.l.i.e. che correvano loro incontro per finire il lavoro.
"Qualche problema?!", esclamò una voce alla destra di Monroe, e dal nulla sbucò Murphy, fucile alla mano, che si parò davanti alle due ragazze e cominciò a sparare. Monroe si rese conto che con quella battuta la stava prendendo in giro, imitando quella volta che lei lo aveva salvato nello stesso identico modo, quando entrambi facevano ancora parte della banda di delinquenti di Bellamy. Soltanto che allora il nemico era una specie di pantera, non un essere umano.
Il più vicino cadde sotto i colpi di Murphy, ma in quell'istante lui finì le munizioni. L'altro, soltanto ferito, gli fu addosso, e il ragazzo lo colpì col fucile alla testa come se fosse una mazza, e riuscì a cavarsela con una ferita poco profonda al fianco. Aveva decisamente sopportato cose ben peggiori. Prima di andarsene e tornare nel mezzo della battaglia, si girò verso Monroe. "Trascinala nel bosco. A ovest. Alcuni delle Dune stanno curando i feriti."
Monroe annuì. Murphy estrasse la spada corta di Emori e si allontanò.
"Non raccontarlo ad Indra", borbottò Kara contrariata, mentre l'amica, stringendo i denti per il dolore causato dalla freccia, l'aiutava ad alzarsi.

Miller era ricoperto di sangue dalla testa ai piedi. Non sentiva molto dolore, riusciva a stare in piedi, a stringere il fucile, a sparare, a colpire con il martello. Giudicò quindi che la maggior parte di quel sangue non dovesse essere suo. Appena la battaglia gli dava tregua, si guardava intorno freneticamente, cercando con gli occhi Clarke. Non la trovava da nessuna parte.
E poi, d'improvviso, si girò e vide Jaha. Se ne stava in piedi, con le braccia conserte, non molto lontano, ad osservare. Da solo.
Il ragazzo cominciò a dirigersi verso di lui, stringendo forte il martello con cui aveva sfondato una parete al Monte, in quella che gli sembrava un'altra vita.
Voleva sapere cosa stava succedendo, e perchè. Voleva delle risposte, voleva conoscere i piani della macchina, e Jaha era la persona giusta.



Nota dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 68 giorni dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo precedente.
Sono tornata dalle vacanze! Spero di riuscire a pubblicare i prossimi capitoli fino alla fine della fanfic a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro, incrociamo le dita! xD
A tra qualche giorno,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Buona fortuna, Clarke ***


postS2_30 Nota: Strettamente collegato al capitolo precedente.

"Buona fortuna, Clarke"
- Emerson

Emerson era stato mandato a fare un giro di ricognizione intorno all'edificio.
Monty e Jasper erano già nel sotterraneo, davanti alla macchina, spalla contro spalla, in silenzio. Non avevano molto da dirsi, ma si guardavano con la stessa complicità di un tempo.
Fuori, a debita distanza, c'erano Raven e Wick, con Kane e Bellamy.
Il meccanico e l'ingegnere stringevano insieme il dispositivo da attivare. Pesava come un macigno, tra le mani di Kyle, che pensava al suo amico Monty e a quello che stava per fare. E lacrime di dolore scendevano sul volto di Raven, che non avrebbe mai più superato quell'esplosione.
Il silenzio e la tensione erano opprimenti.
"Cosa bisogna fare con questo, esattamente?" domandò Kane, indicando il dispositivo.
"Solo attivare questa leva" rispose Wick, con voce fioca.
Kane glielo tolse di mano con decisione.
"Marcus, cosa stai facendo?", domandò Bellamy, teso.
"Questo è un fardello che devo portare io", rispose calmo il Cancelliere. Non avrebbe lasciato a quei due ragazzi il compito di uccidere i propri amici, dopo tutto quello che avevano già affrontato. Se solo molto tempo prima non avesse avuto così tanta fiducia in Thelonious, tutto questo ora non sarebbe successo. Era una sua responsabilità, e lui ne avrebbe pagato le conseguenze.

Jasper e Monty sentirono dei passi lungo il tunnel che conduceva al sotterraneo. Monty si parò davanti alla macchina, come per proteggerla, e Jasper imbracciò il fucile.
"Ragazzi!" Emerson si fermò davanti a loro, quasi senza fiato. "Mi manda Raven. C'è stato un problema, ha bisogno di voi. Mi hanno detto di restare qui per fare la guardia, ma voi dovreste sbrigarvi. Sembrava una cosa seria."
I due ragazzi non se lo fecero ripetere due volte, e corsero fuori, perchè avevano imparato a conoscere Emerson, e oramai si fidavano di lui. Persino Jasper.
In quel momento, colui che un tempo era stato un uomo del Monte, pensò proprio all'amico di Maya. Com'era potuto accadere che un nemico tenesse a quella ragazza più di lui, che era sangue del suo sangue? Cos'era successo? Da quando era diventato un mostro? Vivere con Clarke, conoscerla, guardarla negli occhi e rendersi conto che teneva a lei, aveva rimesso tutto in prospettiva. Non era un mostro, non completamente. Era giunto il momento di rimediare ai propri errori.
"Buona fortuna, Clarke", mormorò.
Non lo aveva detto a nessuno, ma nel Monte, prima di diventare una Guardia, era stato molti anni un meccanico.
Guardò la macchina, e una lucina si accese. Raven aveva attivato il dispositivo, dunque. Ora toccava a lui.

Kane aveva spinto la leva.
Un minuto dopo, sulla porta della villa, comparvero Jasper e Monty, senza fiato e preoccupati.
Si guardarono tutti per un momento, confusi, poi gli altri quattro corsero loro incontro.
"Cosa succede?!", strillò Raven, che combatteva tra la gioia di vederli vivi e la disperazione di sapere che avevano appena perso l'unica occasione di distruggere A.l.i.e.
E un istante dopo, invece, esplose.



Nota dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 68 giorni dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo precedente.
Sììììì ve li ho salvati Monty e Jasper... per ora. Muahahahahah.
Comunque Emerson mi mancherà.
Al prossimo capitolo,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Non posso perdere anche loro ***


postS2_31 Nota: Strettamente collegato al capitolo precedente.

"Non posso perdere anche loro" - Raven

Clarke avrebbe raggiunto prima la villa, se non avesse dovuto difendersi da un paio di Grounders nemici che come lei si erano allontanati dal campo di battaglia.
E poi, quando era quasi arrivata, quando il retro della villa era là, a poche centinaia di metri, e in essa si trovava Bellamy...
"Salve, Clarke Griffin."
La ragazza si fermò. L'ologramma di A.l.i.e., che lei non aveva mai visto prima, comparve davanti a lei all'improvviso. Era una bellissima donna dai capelli scuri, e indossava un abito rosso. Clarke non disse nulla.
"Stai cercando il tuo Bellamy?", domandò ancora la macchina, con tono di voce accondiscendente.
"Dov'è?", ringhiò la ragazza, stringendo la pistola, d'istinto, anche se sapeva che contro di lei non avrebbe funzionato.
"Mi ha fatta arrabbiare molto, il tuo Bellamy. Ficcava il naso in affari che non lo riguardavano."
La ragazza si trattenne dal replicare. A fatica, ma si trattenne.
"Thelonious mi ha sempre detto che era Marcus Kane a comandare", continuò A.l.i.e. "Ma io ho capito subito che non era vero. Tutti guardavano a te e a Bellamy come si guarda al proprio leader, e il fatto che siate così legati non può che essere un vantaggio per me."
Clarke riflettè in fretta. La messinscena aveva funzionato, ma cosa significava questo per lei e Bellamy? Si erano esposti molto. Forse troppo. Non avrebbe dovuto permettergli di correre un rischio simile, di nuovo. Se fosse successo qualcosa a Bellamy, non se lo sarebbe mai perdonato. Probabilmente, non lo avrebbe mai superato. C'è un limite al dolore che cuore e mente possono sopportare.
"Ti stai chiedendo cosa ne ho fatto di lui, vero?" L'ologramma sorrise malignamente.
"Dov'è?", domandò ancora Clarke, ma stavolta insieme alla determinazione c'era un pizzico di angoscia, perchè temeva la risposta.
"L'ho rinchiuso nella vil-"
Ci fu un'esplosione. L'ologramma sparì, e al suo posto un filo di fumo cominciò a salire dalla villa.
Clarke si mise a correre, il più velocemente possibile, inciampando e sentendo su di sè il peso di minuti che le parvero infiniti. Potè vedere le fiamme ancor prima di attraversare il giardino.
Raggiunse una finestra sul retro, e cominciò a tossire per via del fumo. Era aperta, e non esitò neppure un attimo prima di entrare.

La terra tremò per qualche istante sotto i loro piedi. Raven sentì una fitta alla gamba, ma Wick l'aiutò a non cadere.
Tutti erano confusi.
Nessuno parlava.
"Emerson vi ha mandati qui." Il mormorio di Bellamy sembrò arrivare da molto lontano. "Ha fatto esplodere lui la macchina", concluse, passandosi una mano sul viso. Non si dispiacque neppure un secondo per l'uomo del Monte, ma il suo pensiero corse a Clarke. Non sapeva cosa fosse successo tra quei due, ma intuiva che in qualche modo lei ne avrebbe sofferto. Meglio lui che i nostri amici, pensò poi, e sapeva che nonostante tutto Clarke l'avrebbe pensata allo stesso modo.
Poi sentirono i passi in lontananza, e scorsero Miller, che correva dritto verso l'edificio.
"Bellamy!" chiamò il nuovo arrivato, senza smettere di correre come un pazzo, fermandosi mezzo distrutto solo a pochi metri dal piccolo gruppo. Si inginocchiò per riprendere fiato.
L'amico gli fu subito accanto. "Che succede?"
"Ho parlato con Jaha, e...", rispose Miller ansimando. Poi notò il fumo. "Che succede qui?", domandò invece, spostando lo sguardo sopra di sè, da Bellamy a Jasper e infine a Monty. Fu proprio quest'ultimo a spiegarglielo a grandi linee, con gli occhi bassi.
Miller scosse il capo, sconvolto. Guardò Monty come se lo avesse appena pugnalato, ma fu a Bellamy che si rivolse, e in fretta. "Il piano della macchina era di attirare sia te che Clarke nella villa. Me lo ha detto Jaha. L'ho persa di vista, l'ho cercata, ma non l'ho trovata da nessuna parte. Dev'essere già dentro..."
Il giovane Blake non se lo fece ripetere due volte. In un attimo era di nuovo in piedi, e si dirigeva veloce come il vento verso l'edificio, ormai quasi completamente in fiamme.
"Bellamy!", urlò Kane, e fece per fermarlo, ma Jasper lo strattonò forte al braccio e gli diede un calcio improvviso dietro una gamba, facendolo cadere e impedendogli di seguire il ragazzo. Bellamy si stava dirigendo verso quella che probabilmente sarebbe diventata la sua tomba, e Jasper non voleva che lo fermassero. Le cose non sarebbero mai tornate come prima, ma una volta Bellamy aveva rischiato di farsi impiccare da Murphy, pur di salvarlo. Jasper stesso sarebbe morto volentieri pur di avere la possibilità di salvare Maya, ma non l'aveva avuta. Così, in quel momento, la regalò a Bellamy.
Anche Raven aveva tentato di seguire il giovane Blake, ma Wick l'aveva afferrata con tutte le sue forze.
"Clarke! Bellamy!" La ragazza strillava, e piangeva, e lottava per liberarsi dalla stretta di Wick.
Kane battè un pugno sull'erba. Miller sospirò e chiuse gli occhi, rimettendosi in piedi, aiutato da Jasper e Monty. Aveva fallito. Avrebbe dovuto proteggere Clarke. E invece aveva fallito. 
"Non posso perdere anche loro... non posso perdere anche loro..." singhiozzò Raven, affondando il viso nella spalla di Wick, che adesso semplicemente la abbracciava, incapace di porre fine in altro modo al suo dolore.
In quell'istante, Bellamy sparì attraverso il fumo, tra le fiamme, e non lo videro più.



Nota dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 68 giorni dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo precedente.
Quanta gggioia in questo capitolo. Dai, una bella morte di coppia in un edificio in fiamme è romantica, no?
A tra qualche giorno,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Abbiamo una battaglia da vincere ***


postS2_32 Nota: Strettamente collegato al capitolo precedente.

"Abbiamo una battaglia da vincere"
- Kane


Kane distolse lo sguardo dall'edificio che bruciava. "Cosa sta succedendo alla spiaggia?", domandò a Miller.
"La gente muore", fu la brusca risposta del ragazzo, che però non lo guardò neppure. Stava fissando Monty. "Stavi per suicidarti", osservò con freddezza.
"Sacrificarti...", mormorò Wick, correggendolo, senza smettere di cullare Raven in un abbraccio.
"Mi dispiace..., provò a scusarsi Monty, ma Miller lo afferrò per le spalle, con forza, fino a fargli male.
"Non azzardarti mai più", lo minacciò Nathan, e poi lo abbracciò. Quando si separarono, lanciò un'occhiata a Jasper, e aggiunse: "Lo stesso vale per te".
Ma Jasper aveva già distolto lo sguardo. 
"Andiamo", ordinò Kane, rimboccandosi le maniche. "Abbiamo una battaglia da vincere". Poi guardò Wick, e la ragazza distrutta accanto a lui. "Voi due restate qui, in caso Jaha dovesse fare un giro da queste parti. Mettilo ko, se necessario, ma lo voglio vivo." Ma questa era solo una parte della verità. Marcus voleva che restassero lì nella speranza del ritorno di Bellamy, e poi non aveva il cuore di strappare Raven alla visione della villa in fiamme, che sembrava averla ipnotizzata.
Il Cancelliere e i tre ragazzi cominciarono a correre verso la spiaggia.

Sarah non era solo il Comandante del Popolo delle Dune, ma anche un'ottima Guaritrice, forse la migliore. Avrebbe voluto combattere, ma non riusciva a staccarsi dai corpi agonizzanti dei suoi uomini e di quelli di Luna.
"Toglietelo di mezzo, è fuori pericolo", disse bruscamente indicando Jackson, che era gravemente ferito ad una gamba, ma a quanto pareva non mortalmente. Due Grounders lo sollevarono di peso senza troppi complimenti e lo spostarono, addentrandosi un po' di più nel bosco, dove fu abbandonato accanto ad Octavia. Con lei c'era Lincoln.
"Hai fatto abbastanza, adesso devi restare qui", le stava dicendo il Grounder, mentre Nyko gli estraeva dalla spalla quattro frecce, che fortunatamente non lo avevano ferito in profondità, bloccate da vari strati di vestiti e pellicce. Le aveva prese facendo da scudo umano alla ragazza, ferita gravemente ad un fianco. Era una bravissima guerriera, ma aveva ancora molto da imparare per competere con Grounders che combattevano da moltissimi anni prima di lei.
Octavia stava per replicare bruscamente, ma la vista di Echo glielo impedì. "Ehi!", urlò invece al Grounder che la teneva in braccio. "Portala qui."
"E' spacciata", rispose lui, ma l'accontentò. Adagiò la ragazza accanto a lei, poi tornò ad occuparsi di altri feriti.
Echo sorrise debolmente, voltando la testa verso Octavia. Aveva ferite praticamente ovunque, era ricoperta di sangue e non riusciva a muovere nè braccia nè gambe. Nyko le sistemò una coperta sotto la testa, Lincoln distolse lo sguardo. La conosceva bene, avevano imparato a combattere insieme.
"Ne ho uccisi molti, Octavia Blake. Il maggior numero che ho potuto", mormorò la Grounder.
"Non ho dubbi", replicò dolcemente Octavia, accarezzandole i capelli.
"Di' a tuo fratello che ho fatto il possibile per ripagare il mio debito. Promettimi che glielo dirai. Promettimelo, ti prego."
"Te lo prometto", disse Octavia, con convinzione. "Glielo dirò. Noi Blake manteniamo sempre le nostre promesse."
Ad Echo sfuggì un'ultima risata, ma morì prima di riuscire a rispondere "Lo so".

La battaglia infuriava, senza pietà alcuna.
Luna combatteva valorosamente, e presto venne raggiunta di nuovo da Lincoln. Insieme formavano ancora una buona squadra.
Tanti stavano dando prova del loro valore.
Jasper, che non mancava un colpo, con Monty a coprirgli le spalle.
Kane era riuscito a mettere le mani su un paio di armi, e le stava sfruttando al massimo per difendere la sua gente, e per vendicarla.
Anche Miller aveva raggiunto di nuovo il cuore dello scontro, ed ora era affiancato da una zoppicante Monroe. Le donò il proprio fucile, facendosi largo tra i nemici con il martello.
E tutti i Grounders del Popolo del Mare e delle Dune erano ottimi combattenti.
Tutti sapevano cosa fare, perchè Clarke aveva lasciato loro ordini ben precisi. Aveva ideato più strategie, adottate immediatamente dalle due Comandanti, in parte perchè non c'era stato tempo di pensare ad altro, in parte perchè erano valide. Da dietro le quinte, quella ragazzina aveva orchestrato tutto alla perfezione, mettendoli in una posizione di vantaggio nonostante l'inferiorità numerica.
Ma i guerrieri erano molto forti su entrambi i fronti, e qualcuno cadde.
Murphy aveva perso la propria spada corta, e stava combattendo con una piccola ascia trovata sul campo di battaglia.
"Nooo!", udì l'urlo straziante di Emori, e si voltò. A pochi metri di distanza, la Grounder si piegava sul corpo del fratello.
E poi accadde tutto in meno di un istante. Un nemico approfittò di quella distrazione e si avventò su di lei, e Murphy fu rapido a reagire, rapidissimo. Scattò in avanti, mosso dalla disperazione, e da null'altro, ma era troppo lontano.
Una spada trapassò completamente il corpo della ragazza.

Cosa si prova nel perdere se stessi?
Cosa si prova quando non sai chi sei, ma il mondo intorno a te crede di saperlo? E cosa si prova quando finalmente arriva qualcuno a mostrarti chi puoi essere, e fa sì che anche il resto del mondo ti veda in maniera diversa?
Cosa si prova quando finalmente arriva qualcuno che ti fa desiderare di essere diverso, e che ti permette di intraprendere quel percorso, perchè sai che quando incontrerai degli ostacoli potrai sempre contare sul suo appoggio?
Cosa provò Raven, nel momento in cui Finn esalò l'ultimo respiro? Quale genere di dolore si prova di fronte ad una perdita del genere?
Ora, Murphy lo sapeva.


Nota dell'Autrice: Anche in questo capitolo sono passati 68 giorni dalla sconfitta del Monte, perchè si ricollega al capitolo precedente.
IL PROSSIMO SARA' L'ULTIMO CAPITOLO. Non ci credo nemmeno io! Finalmente questa fanfic infinita giunge al termine.
A tra qualche giorno,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** L'eroe e il sopravvissuto ***


postS2_33 Nota: Strettamente collegato al capitolo precedente.

L'eroe e il sopravvissuto


"Kyle..."
In un primo momento, Wick non udì il sussurro roco di Raven. Era ancora inginocchiato accanto a lei, e continuava a stringerla, ma la sua attenzione era da tutt'altra parte. Si guardava intorno nervosamente, sentiva urla provenire dalla spiaggia lontana. Aspettava e temeva che da un momento all'altro spuntasse fuori un Grounder di A.l.i.e., e voleva farsi trovare pronto, anche se l'unica arma che Kane aveva potuto lasciargli era una misera pistola.
"Kyle..." Stavolta la ragazza gli strinse il braccio.
Wick la guardò. Raven aveva ancora lo sguardo fisso verso la villa, che ormai era quasi completamente sparita alla vista, nascosta dal fumo e dalle fiamme. 
"Incredibile..." sussurrò il ragazzo. 
Scattò in piedi, si coprì il naso e la bocca con il braccio, poi cominciò a correre in direzione della lontana figura che avanzava verso di loro.

Bellamy arrancava, ogni passo più doloroso e disperato del precedente, e tossiva come se dovesse buttar fuori l'anima. 
Il viso era arrossato e sudato, coperto di graffi vecchi e nuovi. Era quasi irriconoscibile. 
Aveva la gamba sinistra ustionata. Brandelli del pantalone fumavano ancora.
Sembrava un miracolo che riuscisse a camminare.
Questo pensava Wick, mentre lo raggiungeva. Ma soprattutto, era straordinario che avesse ancora la forza per portare in braccio il corpo di Clarke.
L'ingegnere prese dolcemente tra le proprie braccia la ragazza. La prima cosa che vide furono i suoi capelli biondi bruciati. Anche lei aveva delle ustioni, ma sembravano meno gravi di quelle di Bellamy. Respirava, anche se a fatica, e tossiva solo ogni tanto, ma era priva di sensi.
Wick era sicuro che il ragazzo, una volta persa la ragione che lo spingeva ad andare avanti, sarebbe crollato, ed ebbe ragione.
Bellamy cadde pesantemente a terra, sfinito, come un eroe al termine della sua impresa.
"Dobbiamo allontanarci", gli disse Wick. Non poteva trasportare Clarke e sorreggere lui contemporaneamente. "Bellamy, andiamo..."
"Bellamy!" Era Raven, che li aveva raggiunti, seppure rallentata dal dolore alla gamba compromessa. "Non mi sembra questo il momento giusto per arrendersi." Lo prese per un braccio e lo rimise in piedi, cominciando a tirarlo verso il bosco che conduceva alla spiaggia.
Il ragazzo non riuscì a rispondere per via della tosse, ma riacquistò un po' di forza e, senza staccare gli occhi da Clarke, si lasciò condurre via.
Quando arrivarono al bosco, dove l'aria era più pulita, improvvisamente Clarke si agitò tra le braccia di Wick, e tossì forte, aprendo gli occhi.
"Bentornata", la salutò Raven, con le lacrime agli occhi.
"Bentornata", le fece eco Bellamy, sorridendo con un angolo della bocca.
"Ragazzi". Wick si fermò all'improvviso, come se si fosse appena reso conto di una cosa. "La battaglia è finita."
Rimasero tutti fermi e in silenzio per qualche secondo. Infatti, dalla spiaggia, non si udiva più un suono.

La battaglia era finita.
Senza il comando di A.l.i.e., molti Grounders si erano dati alla fuga, altri invece erano stati sconfitti.
Nella confusione, si era creato uno spettacolo straordinario. 
Tutti i combattenti del Popolo del Mare, delle Dune e dell'Arca erano disposti in un ampio cerchio attorno a due figure.
"Ho sbagliato, lo so", disse una voce profonda, ma chiaramente spaventata. "Rimedierò ai miei errori", continuò la stessa voce, ma stavolta sembrava una supplica.
Murphy parve non averlo udito. Era completamente ricoperto di sangue, e gran parte era suo. Aveva perso ogni tipo di arma, e non si era stupito quando si era ritrovato ad uccidere un nemico, pochi minuti prima, semplicemente spezzandogli il collo a mani nude. La disperazione stimola l'iniziativa.
Nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi, perchè nessuno aveva mai visto il ragazzo in quelle condizioni, neppure i delinquenti dell'Arca che avevano assistito alla versione peggiore di John Murphy in tutto il suo splendore. Sembrava posseduto dal demonio.
Fece alcuni passi avanti, stringendo i pugni.
"Murphy". Kane lo chiamò, quasi a volergli ordinare di fermarsi, di allontanarsi, di pensarci. Ma era ferito e spossato, non aveva la forza per intervenire e forse probabilmente neppure la volontà di farlo, nonostante tutto. Nonostante il passato.
Il silenzio era quasi assoluto.
Thelonious Jaha indietreggiò, spaventato, inciampando e cadendo di schiena sulla sabbia.
Murphy continuò ad avanzare verso di lui, implacabile, con il fuoco negli occhi e la rabbia nel cuore.
Dalla folla, una persona avanzò, guardandosi intorno. Morti, feriti, sofferenza. Avevano vinto, ma non c'era alcuna gioia. C'era il pensiero di Clarke e Bellamy, sicuramente morti nell'incendio. C'era il pensiero di Monty, che aveva quasi perso la vita con Jasper. C'era il pensiero di Emerson, di Echo, di Emori e di molti altri, che la vita l'avevano persa davvero. C'era la sofferenza di Monroe per le proprie ferite e anche per quelle di Kara, che sicuramente le facevano molto più male. C'era tanto coraggio, compreso quello di Wick e Raven, che con Monty avevano salvato tutti loro. C'erano Octavia, Lincoln, e tutti gli altri che avevano combattuto valorosamente e che ora avrebbero portato il peso di decine di vite spezzate sotto i loro colpi.
E poi c'era il sacrificio di suo padre. 
Miller raggiunse l'amico.
Murphy chiuse gli occhi solo un istante. Non voleva combattere contro di lui, non voleva essere fermato. Non voleva che lo costringesse a fargli del male pur di concludere ciò che avrebbe dovuto fare molto tempo prima, quando aveva messo piede sull'isola per la prima volta. 
Ma quando lo guardò, Miller non sembrava intenzionato a fermarlo. Gli stava porgendo un'arma, una spada corta.
La lama di Emori.
"John...", supplicò Jaha. "Ti prego, John..."
Murphy afferrò la spada con il braccio su cui spiccavano i tatuaggi, nonostante il sangue a coprirli. Poteva quasi vederli brillare, o forse era solo la sua impressione. Dopo tutto quello che era successo, era ancora lì. Era un sopravvissuto.
Disse a se stesso che c'era un motivo, una ragione per cui non era ancora morto. Quello che stava per fare, lo avrebbe fatto proprio per sè, per chi non c'era più, e per chi nonostante il dolore era sopravvissuto come lui.
A volte, tutta la vita si riduce ad un unico, folle gesto.
Senza una parola, senza togliere gli occhi da Jaha, Murphy strinse forte la lama, e un attimo dopo lo uccise conficcandogliela nel petto.

.
.
.
.
.
.
.

Nota dell'Autrice: 
QUESTO E' L'ULTIMO CAPITOLO.
MA TRA QUALCHE GIORNO PUBBLICHERO' UN EPILOGO ambientato 2 anni dopo :)
Questa è senza dubbio la fanfic più lunga che io abbia mai scritto, e anche la più seguita. Davvero, sono sbalordita dai numeri. Quasi 100 (eheheh) persone hanno seguito o aggiunto tra i preferiti questa storia, non posso crederci xD non perchè i numeri contino, ma perchè è straordinario, per me, che così tante persone stiano apprezzando quello che ho scritto. Grazie di cuore <3 e grazie anche a chi ha recensito con tanta pazienza, complimenti e consigli. Ho apprezzato tutto <3
Se volete farmi sapere la vostra opinione sull'intera storia, questo è il momento giusto!
Ho deciso comunque di far passare qualche giorno e poi pubblicare un epilogo, in cui vi racconto come sono andate le cose (ho già idee chiarissime al riguardo xD).
A proposito, ci sono due citazioni in questo capitolo: La disperazione stimola l'iniziativa da un libro di J. Carey, e A volte tutta la vita si riduce ad un unico, folle gesto dal film Avatar :)
A presto,
Y**

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Epilogo ***


postS2_34ep Epilogo

Due anni dopo - Mount Ark, Popolo degli Alberi
"Dove diavolo è finito?!", sbuffò Miller, inginocchiandosi per sbirciare sotto il letto.
"Sarà andato a fare una passeggiata", rispose Monty, che a sua volta radunava alcune delle sue cose in uno zaino. Era emozionato e agitato allo stesso tempo. Da giorni ormai non faceva che pensare al viaggio imminente. 
"Già, proprio come fanno tutti i martelli", sospirò l'altro, rimettendosi in piedi. Si massaggiò la fronte. "Vado a cercare nell'armeria. Magari l'ho dimenticato lì l'ultima volta". Passando davanti a Monty, gli sorrise e gli scompigliò i capelli. Tutti erano ansiosi di partire, ma il suo ragazzo aveva una ragione in più per voler arrivare il prima possibile. 
L'ingegnere ricambiò il sorriso. "Non perdere tempo, partiamo tra pochissimo."
"Sì, capo!" Miller rise e poi uscì in corridoio.
Da circa un anno si erano trasferiti quasi tutti nel Monte, dandogli un nuovo nome, per ricominciare, iniziare una nuova vita e dare il via ad un nuovo capitolo della loro storia. Era stata dura cancellare il passato e tutto ciò che avevano vissuto tra quelle mura, ma non avrebbero potuto continuare a vivere al campo per sempre. Dunque abitavano ancora nel territorio del Popolo degli Alberi, ma avevano conservato la loro autonomia. Poco prima che si trasferissero nel Monte, Lexa era morta a causa di una malattia. Forse Abby Griffin avrebbe potuto curarla, ma non chiesero aiuto, e Clarke, che aveva sostituito la madre come Cancelliere, decise di non offrirlo. La nuova Comandante si chiamava Vera, aveva accolto il suggerimento di Indra e aveva stretto un patto con gli Sky People, mantenendo un clima di pace.
Camminando, Miller superò la porta della stanza accanto a quella che fin dal primo giorno divideva felicemente con Monty, dove vivevano Wick e Raven. Non era proprio una stanza, ma quasi un appartamento. Piccolo e confortevole. E somigliava ad un laboratorio, naturalmente. 
In quel momento, il meccanico stava riparando delle radio che non usavano da molto tempo. Le uniche utilizzate permettevano a Bellamy di comunicare con Octavia, e da quando avevano lasciato l'isola non ne avevano più avuto bisogno per nessuna ragione, fino ad allora.
Ai bagagli stava pensando Wick.
"Kyle, lascia che ti dia una mano", disse per l'ennesima volta Raven.
"Scordatelo. Dobbiamo affrontare un viaggio lungo, devi riposare il più possibile. Resta a letto." 
Da anni ormai si comportavano proprio come una vecchia coppia sposata.
La ragazza guardò con odio il tutore alla gamba, e le stampelle che era costretta ad usare. Non camminava più da sola sulle sue gambe da molto tempo. Lo sforzo dell'ultima missione le era costato caro.
Bussarono alla porta. 
"Che c'è?", urlò Raven, scontrosa.
Murphy entrò sorridendo. "Buongiorno anche a te."
"Ciao, Murphy", lo salutò Wick, mentre decideva quanti cacciaviti portare. Li fissò per qualche secondo, poi con un'alzata di spalle li mise tutti nello zaino.
"Bellamy vuole sapere a che punto sei con le radio", fece sapere il nuovo arrivato, appoggiandosi allo stipite della porta con le braccia incrociate.
"Saranno pronte in tempo", Raven lo guardò male, ma scherzosamente. Oltre ogni previsione, avevano legato molto negli ultimi due anni. Al ritorno al campo, Abby voleva sottoporlo a un processo per l'omicidio di Jaha, e lei e Bellamy erano stati in prima fila tra quelli che non lo avevano permesso. Alla fine era stata Clarke a decidere, dichiarando che da quel momento i crimini passati di chiunque erano perdonati.
"Ricevuto". Murphy si raddrizzò e uscì. Al piano di sotto vide Harper, inginocchiata in mezzo al corridoio, intenta ad armeggiare vicino alla parete.
"Tenti di scassinare la serratura per entrare in camera mia?", le chiese Murphy. 
La ragazza sobbalzò per lo spavento. "Dannazione, Murphy. Prima o poi ci resterò secca." Tendeva a sobbalzare spesso ritrovandoselo davanti.
Harper si allontanò leggermente per mostrare cosa stava facendo. Tutt'intorno alla porta della stanza del ragazzo c'erano dei disegni. Foglie d'edera intrecciate ai tatuaggi che lui aveva sul braccio. Era stata Clarke a farli, così come aveva abbellito l'intero edificio con i suoi schizzi. Una volta Murphy aveva persino trovato il coraggio di chiederle di fargli un ritratto di Emori, che adesso conservava nel primo cassetto del comodino.
Harper sollevò un pennello. "Prima ho visto che da questo lato il disegno stava sbiadendo", spiegò. "Volevo..."
"Grazie", la interruppe Murphy, offrendole una mano ed aiutandola ad alzarsi. Quando fu in piedi, continuò a stringerle la mano. Si frequentavano da poche settimane, ossia da quando lui finalmente aveva deciso di farsi avanti.
La salutò con un frettoloso bacio sulla tempia, poi si diresse verso la sala dove si riuniva l'attuale Consiglio, che comprendeva più o meno gli stessi membri dell'ultimo: Bellamy, Clarke e Kane, ovvero i nuovi tre Cancellieri, e poi Abby, Quinn, Sinclair, Jackson, Raven e Monty.
Trovò Bellamy e Clarke ad aspettarlo fuori la porta. Erano entrambi armati e con due zaini ai loro piedi.
"Eccomi", esordì Murphy. "Ha detto che ha quasi finito e saranno pronte in tempo."
"Grazie", rispose Bellamy. Clarke, accanto a lui, scrutava la mappa che aveva disegnato con l'aiuto di Jackson e Quinn.
In quell'istante girarono l'angolo Kara e Monroe, cariche di bagagli.
"Ehilà!", salutò allegramente la Grounder.
"Siamo in anticipo, ma abbiamo pensato di venire a dare una mano", aggiunse Monroe, che ormai aveva subito la stessa trasformazione di Octavia e sembrava avesse sempre vissuto sulla Terra. Salutò Murphy con una pacca sulla spalla.
"Nyko è qui fuori. Indra alla fine ha deciso che non verrà", concluse Kara.
Le due ragazze avevano preso possesso della vecchia casa di Lincoln, per restare più vicine a TonDc.
"Buongiorno, ragazze". Si voltarono tutti verso Miller, che aveva fatto la sua comparsa stringendo un martello e fingendosi minaccioso.
Clarke fece un passo avanti, e parlò senza smettere di studiare la mappa. "Bè, siamo tutti pronti, no? Direi che..."
Bellamy la interruppe semplicemente togliendole la mappa di mano.
"...se siamo tutti pronti, possiamo partire", concluse la ragazza. Si guardò intorno, incrociando per la prima volta gli occhi con tutti i presenti. Allora... Kara e Monroe. Nyko che aspettava fuori, così come il cavallo per Raven. Lei e Bellamy. Miller. 
"Monty? Wick e Raven?", domandò.
"Siamo qui!", esclamò il meccanico, che girò l'angolo avanzando con l'aiuto di una stampella, e raggiunse gli altri, seguita dai due ingegneri, pieni di zaini e borse. "Ho lasciato la radio ad Abby. La nostra è qui", la indicò, attaccata alla propria cintura. "Tutto funzionante. Possiamo andare davvero."
Anche Bellamy posò lo sguardo su tutti i loro compagni. Avevano già salutato gli amici e gli altri Consiglieri, inclusi Marcus e la madre di Clarke.
"E allora andiamo", disse, sistemandosi il fucile in spalla. Si rivolse all'unico presente che non li avrebbe accompagnati. "May we meet again."
"May we meet again", rispose Murphy, che salutò con un cenno della mano e si allontanò.

Due settimane dopo - Ariel, Popolo del Mare
Jasper stava in piedi tra Monty e Raven, e sorrideva. Non vedeva il suo migliore amico da quasi due anni, perchè da quando si era trasferito ad Ariel non aveva mai accompagnato Octavia e Lincoln, anche se erano tornati dal Popolo degli Alberi solo due volte.
La decisione di cambiare aria era stata improvvisa, forse troppo, persino per un ragazzo impulsivo come Jasper. Octavia si era innamorata del mare, e quando lei e Lincoln annunciarono la decisione di andare da Luna, Bellamy aveva visto una disgrazia, e Jasper un'opportunità. Da una parte non voleva lasciare Monty proprio nel momento in cui avevano chiarito le cose, dall'altra cominciava a capire il bisogno di Clarke di partire e lasciarsi tutto alle spalle. Così, quando aveva bussato alla porta della Grounder, a lei era bastato guardarlo in viso per capire cosa voleva. "Mi farebbe piacere che venissi con noi", aveva detto, prima ancora che lui aprisse bocca. 
Luna lo aveva accolto, e pian piano aveva subito la stessa trasformazione di Octavia e Monroe, diventando un Grounder a tutti gli effetti. Aveva persino alcuni tatuaggi. Anche se non aveva più lasciato la sua nuova casa, comunicava con Monty, Miller e Raven attraverso la radio di Octavia, e quando la ragazza andava a trovare il fratello, usava lei e Lincoln come corrieri.
E adesso eccoli di nuovo insieme, quasi tutti riuniti per le due persone al centro del molo, proprio di fronte a quella strana folla di Grounder e Sky People.
Poco più in là, Bellamy chinò la testa verso Clarke. "Non ho capito bene una cosa", disse.
La ragazza rise. "Non hai capito niente, eh?"
L'altro aggrottò le sopracciglia. "E' un matrimonio oppure no?"
"E' l'equivalente terrestre di un nostro matrimonio. Non si chiama matrimonio, non ci sono anelli, ma due persone si legano per la vita con l'approvazione del Capo Clan. O, in questo caso, della Comandante in persona. Quindi non è un matrimonio, ma è come se lo fosse."
Il ragazzo non disse nulla.
"E tu preferiresti non lo fosse affatto", rise ancora Clarke. Gli strinse la mano, mentre riportava lo sguardo su Luna, che stava parlando.
Sul molo, davanti alla donna, c'erano Lincoln e Octavia, con le spade incrociate a mezz'aria. Erano entrambi tirati a lucido, con le loro migliori tenute da guerrieri, e Octavia aveva addirittura alcune conchiglie e stelle marine essiccate tra i capelli intrecciati. Non avevano smesso di fissarsi negli occhi neppure per un istante, e tutto l'amore che provavano l'uno per l'altra, sempre intuibile, ora era perfino visibile, come se avesse preso vita.
"Ti sbagli", commentò Bellamy, che improvvisamente sembrava molto più rilassato. Strinse ancor di più le proprie dita intorno a quelle di Clarke. "Mi piace Lincoln. Octavia è un'adulta, una guerriera. Ha finalmente ottenuto la vita che ho sempre voluto per lei. Ora è tempo che io mi faccia da parte, non è più una mia responsabilità."
Clarke lo guardò, e lui ricambiò lo sguardo.
Che passi da gigante avevano fatto, da quando quei cento criminali erano atterrati sulla Terra. Erano persone nuove, eppure in fondo non era cambiato molto. Bellamy, che da sempre portava pesi sulle spalle più grandi di lui, aveva trovato modo di dimostrare le proprie capacità di leader e il suo buon cuore, guidando un popolo che lo rispettava e ammirava. E Clarke stessa era tornata la ragazza allegra e sorridente dei tempi sull'Arca, con suo padre, quando vivere per lei era una gioia e non un dovere. Il mondo aveva fatto il possibile per spezzarli, ma loro erano riusciti a ricomporre i pezzi. Insieme.
"Bellamy..."
"Sì?"
"Dovrei trasferirmi nell'appartamento di Emerson", sussurrò la ragazza. Quando avevano occupato il Monte non era stato difficile individuarlo, e aveva impedito che venisse preso da qualcun altro. L'edificio era grande abbastanza da contenere comodamente il triplo degli Sky People sopravvissuti, così il luogo dove aveva vissuto Emerson era rimasto vuoto. Così come quello di Maya.
"Perchè?"
"Perchè è più grande del mio. E del tuo. E due persone ci vivrebbero più comodamente. E ha anche un paio di stanze in più, così, sai, nel caso in futuro..."
Gli occhi di Bellamy s'illuminarono. Un anno prima le aveva detto di voler trascorrere il resto della sua vita con lei, ma soltanto quando si fosse sentita pronta, perchè lui non avrebbe mai smesso di aspettarla. Le aveva lasciato spazio, e anche se alcune notti dividevano lo stesso letto, il mattino dopo puntualmente si separavano. "Clarke..." 
Sorrise, incredulo, e quando Clarke Griffin scoppiò a ridere e annuì, confermando, Bellamy Blake le prese il viso tra le mani e la baciò.

.
.
.
.
.
.
.

Nota dell'Autrice: 
Siamo arrivati alla fine. La vera fine. Ho cercato di non tralasciare nessuno, di dare una conclusione a tutte le storyline senza scrivere un epilogo lungo km. Se non avete capito qualcosa, o vi manca qualche dettaglio, chiedetemi pure e chiarirò tutto.
E ancora grazie infinite per aver seguito questa mia storia, la più lunga e la più impegnativa nella mia "carriera" di fanwriter xD spero di non avervi deluso!
Ho fatto un po' le cose a modo mio, ho inserito quello che vorrei vedere: la morte di Lexa, Monroe e Jasper divenuti Grounders, Lincoln e Octavia lontani dal Popolo degli Alberi, più importanza a Murphy, meno ad Abby, il riscatto di Emerson. Non so se scriverò ancora in questo fandom, penso di no, ma non si sa mai. Per il momento questo è un addio, e ancora grazie mille per avermi seguito e per le recensioni <3
May we meet again,
Y**

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3058244