Anime che perdute nell'ombra, cercano la luce.

di Uni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anime che perdute nella luce, non conoscono il buio. ***
Capitolo 2: *** Anime che perdute nell'oblio, si dimenticano della luce. ***
Capitolo 3: *** Anime che perdute nel silenzio, scoprono il suono. ***



Capitolo 1
*** Anime che perdute nella luce, non conoscono il buio. ***


Capitolo primo.
Anime che perdute nella luce, non conoscono l'ombra.



 

Voi sapete perché si ama? Perché si soffre, si dimentica? Sapete perché esistiamo o perché ci costringiamo a vivere ogni giorno, senza alcun motivo preciso?
Be', la risposta, credo, non sia così semplice quanto le domande; ma, che ci crediate o no, da vivi non si può scoprire il valore della vita e dei suoi piccoli componenti.Infatti, si scopre il valore di qualcosa solo quando questa cosa ci viene sottratta.

La mia vita di prima era perfetta, o almeno, questo è quello che pensavo.
Oh, sì! Quasi dimenticavo. Mi chiamo Rein Akame, ho sedici anni e l'uno febbraio ne compirò diciassette. Frequento l'università di Osaka e ho una splendida relazione con il “principe” del mio istituto. Non ho più la madre e mio padre fa gli straordinari per non farmi mancare nulla e fa anche il possibile per essere un padre presente. È un uomo emotivamente forte: è il mio eroe. Il ventidue novembre del 2008 ero andata a scuola con Bright - Bright Megami il mio ragazzo. Faceva freddo, quindi oltre alla solita divisa invernale, indossai anche la sciarpa e i guanti. Lui è un anno più grande di me così le nostre classi sono in due plessi diversi e ogni mattina dobbiamo separarci fino all'ora di pranzo. Lui sta nella 3A, insieme alla mia migliore amica Fine Aori. Bright ci aveva presentate qualche mese prima dell'inizio del primo semestre e da allora siamo inseparabili.
Trascorse le lezioni, all'ora di pranzo, Bight mi aveva fatta chiamare per accompagnarlo sul tetto del primo plesso – quello dove studio io. Abbiamo pranzato insieme e quando la pausa è finita lui ha passato una mano tra i miei capelli e mi ha sussurrato all'orecchio: « amo i tuoi capelli blu.». Incrociando i suoi occhi carminii ricordai alla prima volta che lo avevo incontrato. Quella volta – la prima - pensai che Bright fosse davvero bello, con i capelli biondo cenere e un fisico marmoreo, poi scoprii piacevolmente che oltre a essere bello era anche una persona d'oro. Era il mio primo anno all'università, il mio primo anno a Osaka. Ero sperduta e non conosevo nessuno, l'idea di una nuva città, una nuova scuola, una nuova classe, nuovi amici e nuove responsabilità, mi spaventava. Il mio primo giorno a scuola fu terribile: tutti si conoscevano dalle medie, elementari, eccetera; e poi c'ero io che me en stavo seduta ad ascoltare musica lasciando che la giornata scorresse di fronte ai miei occhi.
Alla pausa pranzo tutti si divisero in gruppi, mentre io rimasi in biblioteca a sorseggiarte un succo; ed eccolo! La biblioteca era praticamente accanto al campetto da calcio e mentre loro giocavano, la palla venne lanciata con troppa forza, di conseguenza finì fuori e rotolò verso il muro sotto finestra aperta della biblioteca. Lui si avvicinò alla palla e raccogliendola, alzandosi, scorse un chioma azzurra dentro la biblioteca: casualmente, la mia. Si appoggiò alla finestra e amichevolmente salutò « Hei». Risposi con un cenno del capo, ma lui, insoddisfatto, scavalcò la finestra e avvicinandosi, si appoggiò con i gomiti al tavolo e ripetè « HEI.». 
A quel punto mi infastidii e risposi « Ciao.» alzai leggermente lo sguardo e mi stupii ritrovando nei miei acquamarina, i suoi occhi carminii.Guardandolo capii quanto ne fossi perdutamente innamorata. 
Quel giorno mentre scendevamo le scale, lo sentivo particolarmente distante e mi disse che avrebbe dovuto parlarmi. Dopo le lezioni, tornammo a casa insieme: aveva lo sguardo perso nel vuoto, come sul terrazzo; ma poi mi prese la mano e ogni mio dubbio svanì. Lui abita due incroci dopo casa mia, così mi lasciò nello svincolo che dava su casa mia. Mentre attraversavo la strada, mi tornarono in mente le parole che mi aveva detto sulle scale: mi avrebbe parlato stasera. Poi collegai le sue parole alla sua espressione.
Ero in mezzo alla strada, mi voltai. Ero in mezzo alla strada: lo guardai. Ero in mezzo alla strada: la sua espressione era gelida. Ero in mezzo alla strada: lui era lì fermo. Ero in mezzo alla strada: capii. Ero in mezzo alla strada e non mi accorsi della macchina che pochi secondi dopo mi investì. Ero in mezzo alla strada... e il panico aveva preso il suo volto.
Io ero lì ferma e il mio sangue su di lui.


Nota autore: 
Buonsalve! Sono Uni e ho scritto già diverse storie su questo fandom.
Vediamo un po'. Introduco la storia dicendo che già da un po' avevo intenzione di pubblicarla, difatti era lì, nelle bozze, sola, infreddolita, spaventata (?).. insomma  non petevo lasciarla lì, in quell'oblio incompleto nel quale si trovava: non sono così crudele. Continuo dicendo che la storia, è una Bluemoon: non lasciatevi trasportare dalle apparenze! Ah, sì! l'idea per questa storia l'ho avuta in un sogno: l'ho trascritto, cambiando i personaggi e l'ambientazione e "voilà". All'inizio può sembrare banale e monotona, ma come ho già ripetuto: non lasciatevi trasportare dalle apparenze! Detto questo vi invito a leggere il prossimo capitolo!
Uni. 

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Capitolo 2
*** Anime che perdute nell'oblio, si dimenticano della luce. ***


Capitolo Secondo.
Anime che perdute nell’oblio, si dimenticano della luce
.


 
 
Un letto di foglie ricopriva il terreno umido. Lì ero distesa, su quel manto increspato di colori tendenti sul rosso e l’arancione. Foglie d’acero, pensai aprendo gli occhi su quella distesa boscosa. Alzandomi da terra, guardai il bosco a torno: da quanto ero lì? E soprattutto, cosa avevo fatto prima di arrivare in quel posto, nel quale mi sembrava di stare da tutta la vita? Quel posto era così familiare e… gelido. Persino i vestiti che avevo in dosso erano così maledettamente ovvi.
L’azzurro pallido del vestito merlettato era quasi in simbiosi con la mia anima. E anche le domande che mi stavo ponendo sulla mia esistenza erano quasi inutili: per ciò che sapevo, io ero sempre stata lì. Mi chiedevo spesso quale fosse il mio nome, il mio passatempo preferito, cosa mi piacesse leggere; ma quelle domande sembravano avere delle risposte talmente ovvie che, forse, il mio subconscio le aveva poste in questo modo, in modo tale che non me ne preoccupassi: come per farmi capire che mi trovavo in pericolo, e capire chi fossi non era necessario per poterne venire a capo.
Girando in torno a me, visionai un gazebo - anche quello molto familiare - in legno bianco, rialzato dal terreno che sporgeva in uno stagno, con una cupola intagliata con motivi geometrici. La vernice candida, tendente sul panna, era corrosa malamente ma, ripensandoci, rendeva quel gazebo ancora più misterioso ed elegante. Avvicinandomi come rapita da quel suo colore pacifico e alleviatore, non mi accorsi della sagoma che - trovandosi all’interno del gazebo - mi dava le spalle guardando verso il lago dall’acqua ristagnante che pareva riflettere il mondo stesso.
Avrei giurato si trattasse di una donna, dalla lunga chioma platina che arrivava a toccare la terra per una buona manciata di centimetri. Indossava una tonaca, forse tendente sul grigio. Rapita da quella sua eleganza e dall’aura pacifica che emanava la sua presenza, continuai il mio lento passo: qualcosa non andava. Il mio corpo, il mio istinto - che sembrava risvegliato da un sonno perpetuo -, mi dicevano che raggiungere quella sagoma non era la cosa giusta. Non appena arrivata di fronte al primo gradino, non appena in procinto di allungare il passo, ecco: una voce. Squillante e forse con un’amara nota nostalgica, rauca, ma divertita – sei sicura di volerlo fare, anima della rara regione del ghiaccio, numerata 9’322°? – squillò. Girandomi quasi d’impulso, scrutai la mia interlocutrice: appoggiata su un ramo, splendente e opaca nel suo abito turchese, vigeva una giovane - forse tredicenne -, dai capelli e gli occhi del colore delle castagne appena mature che, ricci, sfioravano a malapena la spalla.
Chiudendo il libro che aveva in mano, sorrise quasi con nostalgia – se proverai a salire,– disse – perderai la tua esistenza,  anima creata e battezzata sotto il nome di Ima.
Ima, è il mio nome, pensai. Presi un profondo respiro – chi sei? E dove mi trovo? Ti prego di rispondermi – La ragazza scese dal ramo – non sai neanche chi sei e vuoi sapere cos’è questo posto? Sei troppo impertinente, ahi, ahi. – continuò – questo è ciò che voi mortali chiamate: Limbo. Qui vengono create le anime che vengono poi mandate dalla mia Signora al vostro mondo; e qui, finiscono le anime che non sono morte, poiché legate ancora alla terra: in sintesi è questo. Tu sai di essere già stata qui, perché questo è il luogo in sui sei stata concepita. Di anime con colori gelidi come la tua, non se ne vedono tante: ritieniti fortunata, la mia Signora ti ha proprio graziata.
– la tua signora? Ma tu chi sei? Che intendi con “già stata”? – la ragazza passò le mani sul vestito per aggiustare alcune pieghe e aggiunse – La mia signora è madre di tutte le anime: presto la conoscerai; Io sono Lilith, la prima anima creata, nonché custode di questo luogo. – fece un lungo respiro – Cara Ima, con “già stata” intendo che sei stata creata, inviata nel tuo mondo e in seguito ad un fattore esterno, la tua anima (POOF), è uscita dal corpo finendo qui; quel gazebo è l’aldilà: la fine di tutto.– Lilith sorrise con dolcezza.
Mi guardai nuovamente a torno. Io sono Ima, pensai – come faccio a tornare indietro? – Lilith trattenne un gridolino – Bella domanda! – prese a camminare in circolo marcando bene ogni passo – vediamo: diciamo che devi uscire da qua. – semplice, pensai; ma lo sguardo di Lilith diceva tutt’altro.
– Come ho detto – aggiunse – io sono la custode di questo luogo pacifico, ma per poter arrivare al mondo degli umani, bisogna prima passare per le tenebre (non ho idea di come siano, non me lo chiedere) e in poche sono le anime che raggiungono il mondo degli umani; ma appartengono generalmente alla legione carminia del fuoco: la più tenace. Tu in queste tue condizioni non ce la faresti  mai – disse fermandosi a fissarmi.
– Qual’era il mio nome sulla terra? – Tremavo e la vista si stava appannando; Lilith alzò le spalle dicendo che non era lei l’addetta ai ricordi. Mi protese la mano e mi disse che la sua signora mi avrebbe aiutata.
Afferrai quella mano, senza alcuna esitazione.

Nota dell'autore:
Finalmente aggiorno... Non ho scusanti: dovrei aggiornare tipo un sacchissimo di cose, ma non ho voglia - ahah. A parte che con lo studio e gli impegni vari sono stata impegnata, e nei momenti liberi sono stata a disegnare. Poi ho partecipato anche ad un contest indetto da Miku, su questo forum, su un altro fandom. Ma scrivere non mi appassiona più come una volta: adesso la passione arriva e scema in brevissimo. Ma ciancie a parte: parliamo del capitolo. Io mi sono imposta di non spiegare il capitolo, come faccio sempre, ma di spiegare le mie genialate. Ecco, allora. Innanzi tutto, Ima: il suo nome è l'anagramma di Mia, il nome di una mia protagonista in una mia storia. Questi due nomi mi piacciono così tanto che non ne posso fare a meno - ahahah. 
Andando avanti: Lilith. Si dice che la prima donna crata da Dio, non fosse stata Eva, ma bensì Lilith - nonché prima moglie di Adamo. Ho deciso di usare questo nome, perché la personalità di Lilith, nella Bibbia è controversa: amabile ma letale. La mia Lilith, allo stesso modo è letale e attraente, dietro la bellezza di una tredicenne potrebbe celarsi il sangue di mille vittime. Proseguendo sull'ultimo punto: il gazebo e la sagoma bianca. Lilith spiega che la sagoma è colei che trasporta le anime nell'aldilà: la morte. Tutti vedono la morte come qualcosa di negativo e nero, ma per un'anima buona e limpida, la morte conduce al regno dei celi: una condizione migliore alla vita stessa. Tralasciando queste particolarità puramente filosofiche (poiché sono atea, ma interessata alla religione), vi chiedo di lasciare un piccolo commento tra le recensioni: tanto per sapere cosa ne pensate. 

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Capitolo 3
*** Anime che perdute nel silenzio, scoprono il suono. ***


Capitolo Terzo. 
Anime che perse nel silenzio, scoprono il suono.

 
Lilith stringeva saldamente la mia mano mentre ci inoltravamo nel sottobosco. Ma nonostante la vegetazione fosse fitta e perpetua, i raggi del sole penetravano tra i rami rendendo lucenti quelle foglie ambrate. La sua mano era piccola e fredda ed anche molto soffice al tatto – sembrava quella di una bambina. Ripensandoci, Lilith era in tutto e per tutto simile ad un’adolescente: un bellissimo ciliegio nel bel mezzo della sua fioritura più bella. — Lilith, posso sapere da quanto tempo sei qui? — chiesi interrompendo il silenzio tra noi. Lilith fece un respiro profondo e senza neanche voltarsi, con fare seccato rispose con un secco “un bel po’ di tempo”. Mentre si guardava in torno, notai che non vi era traccia di fauna in quel luogo; così il mio pensiero si rivolse a Lilith che per un bel po’ di tempo era rimasta lì, da sola.
Vagammo a lungo, attraversando il sottobosco fino ad arrivare ad un giovane torrente e ad un ponte legnoso che permetteva di attraversarlo. Al di là del ponte vi era una villa antica, candida e lucente, molto in sintonia con l’ambiente circostante: ci avvicinammo. — Dobbiamo entrare: è qui che vive la mia Signora — incalzò Lilith con un sorriso. Quindi bussò alla porta e ad aprire venne una sagoma che sul volto aveva la maschera di una volpe: era una ragazza che portava un abito bianco; non disse una parola, anzi, fece una piccola riverenza e poi ci fece cenno di entrare. Gettai uno sguardo a Lilith che, capendo i miei pensieri, mise l’indice sulle labbra e sorrise. La ragazza-volpe ci condusse al piano superiore dove ad attenderci c’era una bellissima donna. Aveva le labbra di un vermiglio acceso, la pelle chiara come un petalo di rosa e i capelli del color del caramello lunghi fino al fondoschiena, la prima cosa che notai fu la sua incredibile somiglianza a Lilith. Quest’ultima le corse in contro per farsi stringere in un tenero abbraccio. La donna mi guardò con dolcezza e prendendo per mano Lilith la esortò a parlare — la mia fragile sorellina è stata coinvolta in un piccolo disguido, lì sulla terra. E ora è tornata qui; ne sei felice, madre? — La donna si avvicinò tempestivamente al mio volto e prendendolo tra le mani ne baciò le guance. Dai suoi occhi cadevano pure lacrime, lucente rugiada da quegli occhi che dentro contenevano il mare.
 — tu non puoi ricordare chi sono, ma una madre ricorda sempre il volto del loro unico amore — sorrise, ancora in lacrime e allontanandosi dal mio volto continuò il suo parlare — io sono Rae, e sono l’artigiana delle anime: io ti ho donato il corpo e l’anima, e li ho resi unici. — i suoi movimenti erano aggraziati e pieni di eleganza, l’abito che portava era bianco e semplice, ma - addosso a Rae – sembrava risplendere. Perfino la stanza in cui ci trovavamo sembrava essere stata creata per farla risplendere in ogni suo movimento: i mobili in legno scuro, le tende rosa antico e perfino le decorazioni floreali, tutto sembrava donarle luce.
La grande finestra aperta faceva entrare la tipica aria tiepida di settembre, e la luce che era riflessa sulle foglie autunnali, donava alla stanza una sorta di tepore: accogliente e lucente. Quel luogo era così pacifico!
Lilith, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, prese parola — nostra madre, oltre a donarci l’anima ci dona anche una tonalità che – rara o meno che sia – ci differenzia e ci accomuna. Esistono otto fazioni: la stirpe dei carmini che nel cuore hanno la forza di fronteggiare chiunque gli sia avverso, nel bene o nel male; la legione del tramonto che hanno come dote la gentilezza ma che di ingenuità sono i sovrani; il concilio dei solari che hanno in dono la capacità di saper ragionare a mente lucida in ogni situazione ma che purtroppo hanno il difetto di voler troneggiare; esiste anche la congrega dei protettori dello zaffiro, che di pazienza ne hanno tanta, a tal punto da essere considerati remissivi; la fazione dei marini che hanno una grande resistenza fisica e forza di volontà, ma scemano di intelligenza. Le ultime tre fazioni sono le più rare poiché sono le più fragili, ragion per cui nostra madre fatica a donare queste caratteristiche. Purtroppo deve farlo per preservare l’equilibrio universale — ricordai le parole di Lilith, mi aveva definito membro della “stirpe dei gelidi”, rabbrividii al pensiero che la mia fazione non fosse ancora stata nominata.
— Queste fantomatiche tre, sono: la stirpe dei gelidi – la tua – che in dono ha la bellezza, ma giacché ha le stesse caratteristiche del ghiaccio, non appena esposta al sole, diviene fragile; i figli della notte, che dispongono di una rigorosa intelligenza e gentilezza, ma che di autostima ne hanno ben poca. —  prese un respiro e continuò — queste due sono rare, non perché non vengono concepite, ma perché generalmente hanno vita breve: i glaciali sono spesso soggetti a malattie mortali, mentre i notturni si suicidano per la poca autostima – questa è la realtà – solo tre casi su dieci vive una vita piena e felice. —  Lilith si soffermò a guardarmi, notò il mio sguardo terrorizzato e capendo il mio stato d’animo cambiò argomento — Ed infine la stirpe originaria, anche detta dei cristallini: una fazione che non possiede un colore e che contemporaneamente li possiede tutti. Possono sfoggiare le più brillanti qualità di ogni fazione, o – al contrario – non mostrarne alcuna. Questo è quanto ti è concesso sapere — così concluse.
Rae, che nel frattempo aveva lo sguardo perso nei miei occhi, riprese coscienza di sé e subito disse che avrebbe dovuto preparare una stanza per la sua preziosissima Ima. — Madre, perché non lasciate che Ima dorma con me in stanza? Dobbiamo recuperare il tempo perduto, in fondo. — incalzò Lilith, che con quel suo sguardo pungente lasciava chiaramente intendere un qualche piano diabolico sicuramente escogitato. Eppure Rae, incantata dall’altruismo della figlia annuì arrossendo e finì per uscire dalla stanza saltellando e canticchiando.  Pensai che Rae fosse davvero una brava persona.
La sera, dopo aver cenato e fatto un bagno, Lilith mi accompagnò nella nostra stanza. Era una stanza circolare, dalle pareti in pietra. Al centro della sala vi era una fontana che rifletteva sul pavimento in marmo il proprio getto. Vi erano diverse colonne sparse in modo uniforme e geometrico nella sala, alcune perfino accostate alla parete circolare. La stanza per il resto, era piena solo del letto a baldacchino. Lilith disse di volermi spazzolare i capelli, e dunque di sedermi sul letto. Stendendomi sulle sue gambe e sentendomi come a casa, mi lasciai trasportare dalle dolci carezze di Lilith.
Lilith, dimmi, tu a che fazione appartieni? — Lilith rispose che apparteneva alla stirpe dei gialli che sempre hanno ammirato la bellezza e fermezza d’animo dei gelidi. Sorrisi alle sue parole e mi addormentai, non sapendo però che il luogo in cui ero stata amorevolmente accolta era anche più inespugnabile della selva dalla quale tentavo inesorabilmente di uscire.

Nota Autore: 
Sì, okay. Sono imperdonabile. Sono stata a lungo assente e ora me ne esco con un "toh, il terzo capitolo", ma è così. Ecco il terzo capitolo. Oggi avevo particolarmente voglia di scrivere e mettendomici d'impegno ho tirato fuori questo grande coso. Ebbene, eccoci qui, con le tanto attese spiegazioni: finalmente scopriamo la verità sui colori dell'anima e sulle loro caratteristiche. Scopriamo anche chi è a generare le anime, anche se un velo di mistero avvolge ancora la figura di Rae, ma questo è un nodo che scioglieremo nel prossimo capitolo. Parlando delle fazioni i colori sono quelli dell'arbobaleno: Carmini, Rosso; Tramonto, Arancio; Solari, Giallo; Smeraldi, Verdi; Glaciali, Azzurri; Marini, Blu; Notturni, Indaco. I candidi non potevano non esistere per una questione che poi chiarirò. Per ogni sorta di domanda, commento o critica, rivolgetevi a me in una recensione o in un messaggio privato. Sarò più che felice di rispondervi ^^
In ogni caso, se la vostra opinione sarà una critica, vi consiglio di argomentarla bene, e fate che non si insensata - per rispetto del lavoro altrui.

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