La danza spietata della pantera

di Laylath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. Escursioni termiche ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. I fili indefinibili del sospetto ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. La gelida accoglienza del falco d'argento. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. La Cittadella ed il principe dell'Est. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. La giovane holai. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. Il serpente dominante ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. Al rintocco delle campane ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. Nobiltà, cultura, vodka e buccas ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. Coppie danzanti ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10. Il gioco del credere ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11. Effetti collaterali ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12. Sfiducia serpeggiante ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13. Fiamme azzurre ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14. Piani svelati ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15. Indagini ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16. Oltre le apparenze ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17. Uscire dallo stallo ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18. Questione di magnetismo ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19. Oltre i confini ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20. Il colore del male ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21. Cicatrici ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22. Confessioni a cuore aperto ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23. Regolamenti di conti ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24. Melodia di carillon ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25. Il punto di vista di Drachma ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26. Il ballo della pernice ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27. Il segreto delle fiamme azzurre ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28. Il volo del falco ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29. Le ragioni dell'altro ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30. Scontro finale ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31. Salvati e non ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32. Sprazzi di fine missione ***
Capitolo 34: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Prologo



Briggs, 1920


Thomas, senza falsa modestia, si considerava uno dei migliori specialisti in ricognizione tra i soldati di Briggs. Conosceva quelle montagne come le sue tasche dopo anni ed anni d’esperienza, tanto che molti suoi commilitoni, scherzando, dicevano che avrebbe potuto tranquillamente vivere in mezzo alla natura così ostile di quel posto.
Forse, sempre senza falsa modestia, era vero: aveva tutte le carte in regola per farcela. Peccato che non fosse nelle sue intenzioni: il suo attuale compito era portare a termine quella ricognizione ordinaria e tornare alla fortezza per fare rapporto al suo reparto. Efficiente e rapido, proprio come ci si aspettava da un uomo di Briggs.
“Alcuni lupi devono aver avuto un bel litigio qui – disse con sicurezza – più che ovvio considerato che è iniziata la stagione degli amori. Guarda le tracce, ragazzo: sono inequivocabilmente segni di lotta”
Il giovane annuì con aria seria, tuttavia il suo viso tradiva un certo entusiasmo.
A Thomas piaceva il nuovo compagno che gli avevano assegnato circa sei mesi prima. Spesso i novellini gli davano fastidio, ma Billy si era dimostrato da subito sveglio, rapido e con una grande voglia di imparare i segreti delle montagne. Probabilmente dipendeva dal fatto che non veniva dalla città ma dalla campagna e questo voleva dire una maggiore affinità con la natura.
“Ci sono ciuffi di pelo – constatò il giovane indicando alcuni cespugli – ma non tracce di sangue”
“No, raramente si feriscono in maniera grave per questioni amorose. E poi dalle orme pare evidente che ci fosse una differenza di stazza tra i due: il più giovane doveva essere parecchio sprovveduto per sfidare un maschio più esperto e…”
Interruppe la frase, mentre i suoi sensi lo avvertivano che qualcosa non andava.
La sua esperienza gli disse che qualcuno era appena entrato nel loro raggio d’azione, anche se ancora non lo poteva vedere. E, con molta probabilità, non era un lupo.
Fece un secco cenno a Billy e subito consolidò la presa sul proprio fucile. Gli sembrava abbastanza inverosimile che si trattasse di qualche attacco di Drachma: quel versante delle montagne era praticamente inacessibile e troppo scomodo per far passare una squadra. E poi era da anni che Drachma non prendeva simili iniziative.
Forse è solo qualche avventuriero.
“Cerchiamo di beccarlo vivo, ragazzo – mormorò – spara solo se necessario. Dovrà rispondere alle nostre domande e…”
“Signore!”
Il grido strozzato di Billy lo colse del tutto impreparato: non aveva sentito nessun rumore di spari o di passi in mezzo alla vegetazione. Si girò verso il compagno in tempo per vedere una fiammata azzurra che lo colpiva in pieno petto, scaraventandolo a terra. L’ultimo gesto inconsulto del giovane fu di premere il grilletto e lo sparo riecheggiò nell’aria silenziosa del mattino.
“Fatti vedere!” esclamò Thomas, puntando il fucile nella direzione da cui era arrivata la fiamma.
Doveva guardagnare tempo: sicuramente lo sparo era stato sentito dai soldati nella postazione esterna che distava circa due chilometri da quel posto; un rumore simile equivaleva ad un boato nel silenzio delle montagne.
Per questo fu del tutto impreparato quando il dolore si riverbrò sulla sua schiena.
 
10 ore dopo
 
Per un estraneo il suono degli stivali sui corridoi della fortezza di Briggs poteva apparire monotono, a lungo andare quasi alienante. Le pareti di metallo sembravano riecheggiare all’infinito quel rumore, portandolo fino agli angoli più remoti della fortezza e lungo tutta la catena montuosa.
Il tenente colonnello Miles riteneva invece che la gamma di suoni che potevano produrre gli stivali dei soldati di Briggs fosse particolarmente varia. Dopo anni ed anni il suo orecchio attento aveva imparato a riconoscere le diverse sfumature, tanto da poter distinguere la maggior parte dei soldati, anche se ancora non erano entrati nel suo raggio visivo.
Una variante di questa capacità era riconoscere l’umore della persona che camminava.
Ed in quel momento il generale Olivier Milla Armstrong era agitato.
Ma questo solo Miles lo capiva, solo lui conosceva fino a tal punto la Regina di Ghiaccio: nella figura che camminava tre passi avanti a lui niente lasciava intendere che ci fossero delle preoccupazioni a turbarla. La schiena era perfettamente dritta, la testa alta, l’andatura sicura, come se la spada che portava al fianco fosse una naturale appendice del suo corpo.
Eppure…
Eppure Miles sentiva che i passi erano in parte trattenuti, come se il suo superiore fosse obbligato a mantenere quella facciata di relativa tranquillità, come se quella fosse un’ispezione qualsiasi.
Ma non è un’ispezione qualsiasi – pensò cupamente il soldato ishvalano – non si uccidono con facilità i soldati di Briggs.
Il corridoio terminò ed arrivarono davanti ad una porta dove stavano due soldati di guardia.
Immediatamente fecero un perfetto saluto al loro generale, ma Miles poteva sentire come la tensione fosse alta: solo un’altra volta i soldati di Briggs avevano mostrato un accenno di cedimento simile, circa quattro anni prima. A provocarlo era stata la morte di alcuni commilitoni in un tunnel buio, per mano di una creatura mostruosa che solo dopo avevano saputo chiamare homunculus.
Quei ricordi svanirono non appena entrò, sempre tre passi dietro il suo generale.
La grande stanza era un obitorio, un ambiente essenziale in una fortezza che vantava di essere del tutto autosufficiente. Tuttavia, spesso e volentieri, i soldati di Briggs preferivano dimenticarsi di quel posto: loro erano forti, non morivano se non in occasioni eccezionali.
Proprio al centro vi erano una decina di freddi e lucidi tavoli metallici, perfettamente allineati tra di loro: otto erano vuoti, su due invece, i più vicini alla porta, c’erano dei corpi coperti da un lenzuolo.
L’unica persona presente nella stanza era una dottoressa dai dritti capelli biondi tenuti da una fascia. Stava in piedi accanto ad uno dei due cadaveri, scrivendo con aria concentrata su una cartelletta: il rumore della penna era l’unico che si sentisse.
“Generale, tenente colonnello, vi stavo aspettando” immediatamente la donna sollevò lo sguardo dal suo lavoro e fece cenno ai suoi superiori d avvicinarsi.
“E’ stata terminata l’autopsia?” chiese il generale, accostandosi a lei.
“Sì, signora, ho appena concluso – annuì l’altra con serietà, sistemandosi gli occhiali che le erano scivolati leggermente in avanti sul naso sottile – vuole vedere, oppure mi limito a…”
“Sono soldati di Briggs. Non volterò loro le spalle per niente al mondo”
Interpretando l’ordine la dottoressa sospirò e allungò la mano per scostare il lenzuolo che copriva il primo dei cadaveri. Poi, con calma, si spostò al secondo tavolo e scoprì anche l’altro.
“Ma che diamine…” iniziò Miles, arrivando addirittura a levarsi gli occhiali scuri per lo sconcerto.
“Dimmi i referti” si limirò a dire la Armstrong.
“La morte è stata causata da ustioni da freddo, generale. Ma come può vedere lei stessa ci sono diverse anomalie che mi lasciano più che perplessa”
“Da quando ustioni da freddo hanno segni simili?” chiese Miles, scrutando con orrore il torace del primo soldato dove le echimosi facevano assurdi disegni circolari, come se una mano perversa l’avesse usato come lavagna.
“Mai riscontrato un caso simile, signore. In genere le ustioni da freddo si verificano negli arti e alle estremità, ma qui interessano svariate parti del corpo, in entrambi i cadaveri: in particolare torace e schiena. E’ vero, li abbiamo trovati circa tre ore che erano morti, ma… – la donna esitò e scosse il capo con aria cupa – no, il gelo non fa un lavoro simile. E non strappa divise resistenti come quelle di Briggs, specie quelle usate dalle pattuglie in ricognizione esterna”
“Che genere di strappi?” chiese il generale, senza distogliere gli occhi da quei cadaveri dove la morte aveva lasciato un’espressione d’angoscia sui volti ormai rigidi e congelati.
“Gli stessi che potrebbe provocare la sua spada, signora: strisciate che corrispondono poi a diversi segni sul corpo. Ma non si tratta di una lama: nessuna fuoriuscita di sangue, solo ustioni da gelo… in una percentuale tale che la morte è stata inevitabile per entrambi”
Le ultime parole della dottoressa riccheggiarono nella stanza.
Le spiegazioni erano state esaustive e non c’erano domande da fare: del resto a Briggs l’efficienza non era un punto d’onore?
Miles si rimise gli occhiali e fissò il generale: vide gli occhi azzurri farsi leggermente più cupi e le labbra piene serrarsi per qualche interminabile secondo mentre piangeva la perdita di due uomini sotto il suo comando.
“Se con loro si è finito, che si proceda alla sepoltura, con cerimonia discreta – ordinò infine, la voce che non tradiva nessuna emozione – Le famiglie vengano avvisate, ma la restituzione dei corpi non sarà possibile: saranno degnamente onorati a Briggs come è giusto che sia”
“Molto bene, signora”
Con un cenno affermativo la Armstrong si girò ed uscì dalla stanza, seguita prontamente da Miles.
Questa volta i passi non erano più trattenuti ma pesanti e c’era anche una notevole componente di rabbia. Tuttavia se c’era una cosa che non mancava ad Olivier Armstrong era la calma e fu solo quando entrarono nell’ufficio che si permise di parlare.
“Che ne dici, Miles? – la sua voce trasudava un certo sarcasmo – Ti sei pentito di aver lasciato la tua terra natia per tornare al mio servizio?”
“Sono andato ad assistere alla prima fase della ricostruzione di Ishval come lei ha chiesto, signora – scosse il capo il tenente colonnello – ma, dal momento che la parte più critica di quel compito è terminata, niente mi tratteneva più in quel posto. Ho prestato fedeltà a Briggs, lo sa bene”
“E sei tornato in tempo per assistere a questo momento davvero difficile – la donna si sedette sulla sua poltrona, allungando con disinvoltura le gambe sotto il tavolo – devo ammettere che mi trovo in lieve difficoltà sulle decisioni da prendere. La morte di quei soldati non deve restare impunita, è chiaro”
“Sì, signora, è chiaro. Ma chi può aver compiuto una cosa simile? Gli uomini erano in ricognizione all’interno dei confini di Amestris, dalla nostra parte del fronte. Siamo dunque di fronte a un pazzo psicopatico come lo è stato Kimblee?”
“Alchimia, eh? – la Armstrong disse quella parola con lieve disgusto – Pensavo che dopo tutta quella storia di cinque anni fa non ne avrei più sentito parlare se non da quell’idiota di mio fratello e da quell’impudente di Mustang le poche volte che sono costretta ad incontrarli. Ma chi è così stolto da sfidare Briggs?”
Miles annuì, sapendo bene che quelle riflessioni erano più che fondate. Non aveva molto senso pensare ad un folle che vagava tra le montagne uccidendo i soldati in un modo così cruento e innaturale.
“Qualcuno è stato – continuò la donna – qualcuno che… ha usato i miei uomini – mise particolare enfasi nel pronunciare l’aggettivo possessivo – per disegnare sui loro corpi, come se fossero lavagne per i capricci di un bambino”
“Rimane sempre la seconda ipotesi – ammise Miles, girandosi con aria significativa verso la parete dove c’era la piantina del Distretto Nord di Amestris – del resto sappiamo che possono sempre complottare qualcosa, sperimentare nuove armi… forse siamo davanti ad un caso simile”
“Drachma, eh? – gli occhi azzurri di lei si spostarono nella medesima direzione – mi pare così assurdo, proprio adesso che la loro situazione politica interna è in un momento così delicato?”
“Tra due mesi esatti scade il trattato di non agressione tra Amestris e Drachma – commentò Miles con aria pensosa – e sempre tra due mesi circa è prevista la proclamazione del nuovo Autarca… no, pare assurdo pure a me pensare che facciano un gesto così sconsiderato nel periodo di interregno. E’ pura follia”
“Se sono stati così folli da attaccare Briggs altre volte, possono esserlo ancora” tagliò corto la donna.
“E come intende procedere se si trattasse di loro, signora?”
Il generale si alzò e andò davanti alla mappa, studiandola con attenzione: Drachma era così grande, sembrava volersi estendere anche oltre il foglio di carta. Ed era vero: quella cartina era in grado di contenerne solo metà… una distesa verde scuro con sempre meno punti di riferimento man mano che ci si allontanava dal confine con Amestris.
“Per ora non faremo niente, la notizia non deve trapelare – disse con voce secca dopo diversi minuti di silenzio – voglio squadre di ricognizione in costante collegamento radio tra di loro. Voglio anche perlustrazioni per un raggio di almeno cinque chilometri dal luogo del ritrovamento dei corpi: qualunque traccia o segno sospetto va segnalato. In questi giorni non è caduta neve, qualche traccia del nostro uomo si deve pur trovare”
“Sì, signora – annuì Miles – e per quanto riguarda il Comandante Supremo? Lo dobbiamo avvisare?”
“Se lo riterrò opportuno lo avviserò io – dichiarò – fra due settimane, come sai, parto per Central City su sua convocazione. Spero che al mio ritorno ci saranno delle novità.”
“Faremo del nostro meglio, signora”

  

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. Escursioni termiche ***


Capitolo 1.
Escursioni termiche



New Ishval

L’esplosione era stata così improvvisa e forte che Fury si era trovato catapultato contro il muro, sbattendo dolorosamente la schiena. Improvvisamente aveva sentito grida, ordini secchi e un forte odore di fumo e subito aveva recuperato il controllo della sua persona e, ignorando il dolore dovuto al colpo, si era precipitato verso l’area interessata, sicuramente appena fuori dalla caserma.
Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima, lo sapeva bene: in quei cinque anni che partecipava attivamente alla ricostruzione di Ishval si era potuto rendere conto fin troppo bene di quante difficoltà si incontrassero in quello che era un intricato processo politico, sociale e militare.
“Ci sono feriti? Che cosa è successo?” esclamò, non appena uscì fuori dall’edificio aggregandosi a diversi soldati che, come lui, correvano verso il fumo provocato dall’esplosione.
“Il solito ordigno artigianale, tenente! – tossì uno di loro, mentre l’aria iniziava a diventare irrespirabile – ma non credo che ci siano feriti! Dannazione, si protegga bene naso e occhi!”
Colto da un improvviso attacco di tosse e dagli occhi lacrimanti, l’uomo fu costretto a terminare la sua corsa. Fury invece, forte degli occhiali che costituivano un riparo, riuscì a proseguire, cercando di trattenere come poteva il respiro ed aiutandosi con la manica della divisa. Tutto quello che gli importava era arrivare fino all’ingresso della caserma per verificare che le sentinelle non fossero state coinvolte, ma i suoi timori vennero placati quando le riconobbe mentre, a passi incerti, si avvicinavano a lui.
“Gli uomini alle pompe! – esclamò, rivolto a tutti gli altri soldati che stavano nelle vicinanze – estinguete eventuali incendi e verificate i danni! Tutti i feriti vadano all’edificio est e qualcuno allerti subito l’infermeria”
Subito si sentirono i secchi comandi tipici di squadre ben organizzate e, conseguentemente, Fury sentì un grosso peso che veniva levato dal suo animo. La disciplina l’aveva fatta da padrone e tutto si sarebbe risolto senza troppi problemi: solo qualche minuto di panico.
Speriamo solo che il Generale non la prenda troppo male – sospirò, mentre osservava i soldati dalla pelle scura e dai capelli bianchi correre verso il principio d’incendio trasportando i grossi tubi collegati alle pompe antincendio.
                                         
“Allora, mi vuoi come ti chiami?”
“Sarella…” mormorò la bambina con un soffio di voce, nel chiaro tentativo di non scoppiare a piangere.
“Ma che bel nome – sorrise Fury, tenendola sempre per mano – la dottoressa invece si chiama Eloise ed è davvero brava, sai? Non proverai nessun dolore, te lo garantisco.”
“E la mia mamma?” chiese con ansia lei, mentre entravano nell’infermeria della caserma.
“Stanno andando a chiamarla, vedrai che sarà qui tra poco. Lo vedi che bel sorriso ha la dottoressa? Sono sicuro che dopo la medicazione ti darà anche una caramella: le tiene nel cassetto… ma che resti un segreto tra di noi, mi raccomando. Altrimenti tutti i soldati verranno qui a farsi curare per averne una e finirebbero subito.”
Del tutto calmata la bambina si fece sistemare sul lettino dell’infermeria, mentre la giovane dottoressa le sorrideva rassicurante e le chiedeva di mostrarle l’escoriazione sulla gamba.
Sicuro che fosse in buone mani, Fury uscì discretamente dalla stanza: alla fine quella sbucciatura e delle irritazioni a occhi e gola erano i danni più gravi di quell’incidente. Persino le postazioni delle sentinelle e l’ingresso alla zona militare non avevano subito danni rilevanti.
Guadagnando l’uscita dell’edificio si accorse della macchina parcheggiata nel cortile di terra battuta e subito corse verso il soldato dai capelli rossi che attendeva appoggiato alla portiera.
“Maggiore! – sorrise, correndo verso di lui – Quando siete arrivati?”
“Due minuti fa, ragazzino – sogghignò Breda, arruffandogli i capelli e prendendogli poi il mento tra le dita per scrutarlo con attenzione – e niente mi fa più piacere nel costatare che l’unico danno da te subito sia la divisa sporca di fuliggine. La prima domanda del generale è stata se c’erano feriti gravi, ma era sottinteso che volesse sapere specificatamente del suo esperto in comunicazione.”
“Allora vado subito a fare rapporto e…”
“Tranquillo, ci sta già pensando il responsabile di caserma: tu eri qui solo per sistemare alcuni impianti dei telefoni e delle radio, non è tua competenza fare rapporto.”
Fury annuì con un lieve sorriso, sempre felice di trovare il sostegno di qualcuno della sua squadra nei momenti di difficoltà: a ventisette anni e con il grado di tenente ormai era in grado di cavarsela da solo, certo, ma la sicurezza data dal gruppo sarebbe sempre stata insostituibile.
“Comunque eri in infermeria – constatò Breda – qualche nostro conoscente?”
“No, una bambina che è caduta malamente e si è fatta alcune escoriazioni sulla gamba: passava davanti alla caserma proprio nel momento dell’esplosione. Fortunatamente nessuna scheggia dell’ordigno l’ha colpita… era fatto in maniera piuttosto rozza mi è stato dato di capire.”
“Niente di nuovo dunque – rifletté Breda, mettendosi a braccia conserte – è inutile, ci vorranno ancora diversi anni prima che frange più estremiste si arrendano all’evidenza che Ishval fa parte dello stato di Amestris.”
“Eppure hanno molte autonomie, più di qualsiasi altro distretto… e la maggior parte di loro è felice di questa situazione.”
“Ci fosse qui il nostro caro Falman inizierebbe una lezione sull’integrazione e sulle sue modalità – scrollò le spalle il rosso – ma una guerra di sterminio, sebbene vecchia di dodici anni, non la cancelli così facilmente: la nostra divisa è per parecchia gente ancora motivo di odio e disprezzo, ormai dovresti averlo imparato.”
“Eppure ci sono diverse centinaia di ishvalani che la indossano – obbiettò Fury – persone che non fanno differenze e…”
“E’ la natura umana, ragazzino, non te lo devo spiegare io: la strada per il compromesso è ancora lunga. Tu mi potrai dire che abbiamo ricostruito assieme questa città: scuole, case, caserme, impianti d’irrigazione… ma sono comunque persone con una cultura differente e molti di loro vorrebbero semplicemente non averci tra i piedi. Specie determinate persone… intendi?”
Fury abbassò il capo con aria triste: intendeva, certo, ma non lo trovava per niente giusto.
Perché quelle determinate persone ci stavano mettendo anima e corpo per ridare dignità a quella terra che avevano contribuito a distruggere anni prima. Ma la gente, invece di apprezzare questa forma di ammenda, preferiva ricordare tutte quelle morti…
“Ecco il generale ed il tenente colonnello, ragazzo – gli diede una gomitata Breda – cerca di mostrarti un minimo sereno, coraggio. Di sicuro renderai migliore il loro pomeriggio.”
Immediatamente Fury scattò sull’attenti, seguito dal rosso, assumendo la sua espressione più innocente.
“Niente di rotto, Fury?” chiese Mustang dandogli una lieve pacca sulla spalla.
“No, signore, tutto bene – annuì il giovane con un lieve sorriso – sul serio.”
“Diversi soldati hanno avuto problemi ad occhi e gola – commentò Riza squadrandolo con attenzione – sicuro di non avere fastidi?”
“Sicurissimo, signora, non si deve preoccupare. Sono solo con la divisa un po’ sporca, tutto qui.”
“Niente che una doccia ed un cambio non possa levare – spiegò Breda – vogliamo tornare alla base, signore? O dobbiamo fare altro in questo posto?”
“Torniamo pure alla base, maggiore – confermò Mustang, aprendo la portiera – vieni, Fury, presumo che anche tu abbia finito il lavoro per cui eri stato chiamato.”
 
Dalla terrazza del Quartier Generale di New Ishval Riza osservava la calda luce del tramonto accarezzare le prime case, proprio al confine con il deserto. Tutto era calmo, tranquillo, tanto che era possibile sentire le voci delle donne che richiamavano per la cena i propri figli e le risate di questi ultimi che interrompevano i loro giochi per correre verso casa.
Erano questi i momenti di quiete in cui si sentiva in pace con se stessa, in cui si diceva che davvero erano riusciti in parte a fare ammenda alla guerra di dodici anni prima. Donne che avevano vissuto per anni in campi profughi o in altri luoghi di fortuna, sempre timorose di essere cacciate o peggio, adesso avevano una casa da offrire ai propri figli, del cibo da dare loro, dei letti comodi dove farli dormire. Potevano guardarli giocare felici per le strade senza che nessuna guerra turbasse il loro futuro.
Pace e sicurezza due concetti così semplici ed universali e che tuttavia non erano per niente scontati.
La sua mente tornò inesorabilmente al piccolo corpo che aveva raccolto dalla strada il giorno in cui era finita la guerra: un bimbo di circa dieci anni a cui era stata negata la crescita in un paese in pace. Anche se non era stata lei l’artefice della sua morte, Riza ne portava ancora il peso nel cuore… così piccolo e fragile, con gli occhi rossi spalancati a fissare il vuoto.
“Eccoti qua, tenente – una voce dietro di lei la avvisò che non era più sola con i propri pensieri – è quasi ora di cena, non vuoi venire? Eppure non è mai indicato far aspettare Breda.”
“Adesso arrivo, signore – annuì lei senza però smettere di osservare la città – cominci pure ad andare.”
Ma Mustang non lo fece: si trattava di un mai collaudato copione che accadeva ogni volta che si trovavano in quel Quartier Generale. Lui o lei finivano inevitabilmente in quel balcone, quando i ricordi ed i rimorsi della guerra si facevano troppo forti e l’esigenza di solitudine si faceva pressante.
Non era come ad East City dove niente era più gradito che stare nel solito e confortevole ufficio a districarsi tra i problemi quotidiani su come governare un distretto sempre più in crescita economica. No, andare a New Ishval voleva dire, ogni dannata volta, fare i conti con il passato e rendersi conto che, nonostante gli innegabili passi avanti, c’era ancora tanto… troppo da fare.
E che il popolo dagli occhi rossi mai li avrebbe perdonati del tutto.
“Ci hai riflettuto? – chiese ancora il generale, posando le mani sulla balaustra – Il numero degli attentati aumenta esponenzialmente ogni volta che siamo qui. Ma mai contro le nostre persone: sempre obbiettivi militari più deboli come caserme o uffici militari.”
“L’idea che ishvalani possano far parte dell’esercito non piace a molti, signore – ammise Riza – ha dovuto aspettare ben tre anni prima che la sua proposta venisse avvallata dal Comandante Supremo, non sono io a doverglielo ricordare.”
“Rimpiango che il tenente colonnello Miles se ne sia tornato a Briggs – sospirò l’uomo, arruffandosi i capelli con aria irritata – era un ottimo elemento di distensione. Ma, come ha detto lui, ormai siamo in grado di reggerci da soli, sulle nostre gambe.”
“Lo siamo, signore: non si faccia abbattere da queste problematiche. Sono più che normali.”
“Ah, tenente, mi conosci troppo bene ormai – ridacchio con malinconia Roy – probabilmente sei l’unica che sa bene cosa provo a guardare questa città.”
Riza osservò il suo superiore con un sorriso triste: in quei momenti Roy Mustang le appariva incredibilmente stanco, come se un grosso fardello venisse posto sulle sue spalle. Ogni volta che andavano in trasferta ad Ishval era come se invecchiasse di colpo di almeno dieci anni. Non per qualche esternazione fisica: a trentacinque anni il generale del distretto dell’est era nel fiore delle forze ed il suo magnetismo non era per niente diminuito. Era più che altro qualcosa nella sua voce, nel suo sguardo: spesso Riza vi riconosceva gli occhi spenti del giovane soldato dal cappotto bianco e sporco di sabbia che si chiedeva come un bel sogno, quello di proteggere il proprio paese, potesse esser stato storpiato in un simile modo.
Del resto erano le medesime sensazioni che aveva provato pure lei.
Riportando lo sguardo sulla città, la soldatessa notò come ormai le ombre della notte iniziassero a farla da padrone: tutti i richiami delle donne erano finiti e regnava un pacifico silenzio. Presto l’escursione termica di quella zona desertica avrebbe resto molto piacevole un pasto caldo ed un ambiente confortevole dove rifugiarsi.
I loro cuori erano così: oscillavano tra entusiasmo e rassegnazione, con la grande paura che la loro ammenda non sarebbe mai bastata del tutto.
E dopo cinque anni ininterrotti di lavoro la cosa diventa anche logorante.
“Beh, vogliamo andare? – la riscosse Mustang – stai allegra con lo spirito, tenente: il nostro Fury non si è fatto niente quest’oggi e tra tre giorni torniamo a casa.”
“Non si dimentichi che tra otto giorni si deve recare a Central City per la convocazione del Comandante Supremo, signore. E’ bene che prepari tutti i rapporti e le relazioni del caso.”
“Relazioni e rapporti che io e tuo nonno butteremo allegramente sulla scrivania – scrollò le spalle l’uomo, recuperando parte della propria strafottenza ed indolenza – sul serio, troppa burocrazia fa male allo spirito, non sei d’accordo.”
“Se pensa di venire meno al suo lavoro si sbaglia, signore – dichiarò Riza iniziando ad avviarsi – vogliamo andare? Altrimenti il maggiore Breda verrà a cercarci.”
“O più probabilmente inizierà senza di noi.”
 
La mattina successiva Fury era libero da impegni: quando questo accadeva in genere andava dal tenente colonnello o da qualche altro suo compagno per chiedere se aveva bisogno di una mano in qualcosa. Tuttavia, quel particolare giorno, era felice di quelle ore di tranquillità: voleva fare una commissione molto speciale.
Alla caserma del giorno prima si fece dare alcune indicazioni dai soldati e poi si inoltrò tra le strade di New Ishval. Era giorno di mercato e niente lo metteva più di buonumore che vedere tutti quelle persone attive e affaccendate: quelle scene quotidiane avevano la capacità di rasserenarlo… era come se la vita si mostrasse in tutto il suo splendore, facendo capire che guerre e dolori erano solo delle distorsioni che, sebbene presenti nella storia, non avrebbero mai vinto del tutto.
Più di una volta avrebbe voluto trascinare il generale ed il tenente colonnello in simili situazioni, sicuramente avrebbe fatto loro piacere. Ma era come se i suoi superiori si rifiutassero di mischiarsi con la gente comune. Non lo facevano per snobismo, assolutamente, ma secondo Fury in questo modo si privavano di una gioia del tutto particolare. In fondo se quelle persone riempivano il mercato di voci, risate, chiacchiere, era anche merito loro. Perché non goderne?
“Buongiorno, signore – lo salutò una vecchia accanto ad un carretto – gradisce dei samaras?”
Fury si accostò a lei e annusò con piacere quel dolce tipico di Ishval: grazie al maggiore Breda ormai era un vero intenditore e quelle frittelle colme di miele e noci erano tra le sue specialità locali preferite.
“Me ne può dare una decina?” chiese, iniziando a frugare nelle tasche per tirare fuori i soldi.
Del resto non era bello presentarsi senza un regalo.
 
Sarella aveva nove anni ed era la terza di cinque figli.
Accolse Fury con gioia, ricordandosi perfettamente di lui: con orgoglio mostrò la fasciatura alla gamba, dicendo che non aveva pianto nemmeno un pochino durante la medicazione. E, ovviamente, gli occhi rossi le brillarono di golosità quando il soldato le porse il pacchettò di dolci.
“Non doveva disturbarsi così, signore – sorrise la madre mentre quattro bambini sedevano per terra a spartirsi i dolci – ha già fatto molto per mia figlia.”
“Oh, volevo solo sincerarmi che stesse bene – arrossì Fury con imbarazzo – mi sembrava il minimo e…”
“Che ci fa un soldato di Amestris a casa nostra?”
La voce giunse come una sferzata, distruggendo improvvisamente l’atmosfera rilassata che si trovava nella piccola e tranquilla cucina dalle mura di pietra. Girandosi verso l’ingresso il tenente vide che a parlare era stato un ragazzino sui quindici anni che lo squadrava con sospettosi occhi rossi.
“E’ il soldato che ieri ha soccorso tua sorella – disse la madre con voce severa – ed in ogni caso non dovresti essere così scortese con un ospite.”
“Lui non è un ospite – sbottò ancora il giovane – è un invasore: quando ci lascerete in pace? Avete ucciso migliaia di persone del nostro popolo e adesso pretendente anche di venire a casa mia?”
“Ma veramente…” cercò di spiega Fury, mentre i bambini più piccoli scoppiavano a piangere.
“Dannato te! Peccato che l’esplosione di ieri non ti abbia ucciso!”
“Sarieb!” esclamò la donna alzandosi in piedi con aria minacciosa.
Ma prima che potesse dire o fare qualcosa contro il figlio, questi era già corso via.
 
Quel brutto episodio aveva davvero scosso Fury, più di quanto avesse fatto l’attentato del giorno prima. Era come se l’odio e la diffidenza fossero destinati a non finire mai, portati avanti anche dalle nuove generazioni che, invece di guardare al futuro, preferivano affondare i loro sentimenti nel passato.
Però, effettivamente, se mi fossi trovato al posto loro forse proverei le medesime cose.
Con un sospiro alzò lo sguardo e si accorse che la sua passeggiata l’aveva portato nei pressi del tempio di Ishvala, la divinità venerata da quella gente del deserto. Era un edificio imponente, ma non sfarzoso, in perfetto tono con quella terra così dura. Da quanto aveva imparato si trattava di una divinità abbastanza severa, in parte responsabile di uno stile di vita spesso rigido e diviso in caste.
L’alchimia, per esempio, non era contemplata da quel credo: l’arte del comprendere, scomporre e ricomporre era considerata un intrusione nella sfera divina. In teoria il generale Mustang era una sorta di eretico per quella gente, come qualsiasi alchimista.
Però non…
“Ho saputo dell’incidente di ieri pomeriggio –disse una voce – non è molto saggio andare in giro da solo.”
Fury si girò e si trovò davanti Scar.
Annuendo distrattamente il tenente non poté far a meno di pensare da come fosse cambiato rispetto a quel folle omicida che, cinque anni prima, aveva decimato gli alchimisti di stato. All’epoca era un uomo nei cui occhi si poteva leggere solo sete di vendetta: Fury aveva avuto occasione di vederlo solo quando aveva attentato alla vita di Edward, ad East City, e niente l’aveva spaventato quanto la furia fanatica con cui aveva combattuto.
Adesso invece vestiva come uno dei monaci del tempio e persino la cicatrice in viso sembrava perfettamente in linea con lui. I capelli, che ad inizio ricostruzione erano più lunghi, avevano un taglio più vicino allo stile dei monaci guerrieri della sua casta. Una tunica a maniche lunghe copriva entrambe le braccia, recanti i tatuaggi alchemici. Il tenente trovò a chiedersi se avesse usato l’alchimia da quando era tornato tra la sua gente.
“Volevo solo andare a trovare una bambina che si era fatta male.”
 Non disse come era andata a finire, ma l’uomo fu sicuramente rapido a capire.
“Non puoi pretendere che tutto venga cancellato con facilità – scosse il capo – il sangue versato su questa terra non verrà mai dimenticato dal mio popolo.”
“Tu però ci hai aiutato, e così buona parte della tua gente – obbiettò Fury. Raramente aveva parlato con Scar, il cui vero nome restava ancora sconosciuto, ma questa volta sentiva l’esigenza di ascoltare i pensieri di uno che dalla guerra era stato profondamente ferito… e che era dall’altra parte degli schieramenti – anche il tuo maestro diverse volte ha detto che bisognava superare i sentimenti di vendetta e guardare avanti, no?”
“Riusciresti a superare con tanta facilità i sentimenti di vendetta e di odio se la tua famiglia fosse stata sterminata? – gli chiese Scar, con voce severa, fissando la scalinata del tempio – Non farla troppo facile, ragazzo. Tu sei più giovane del tuo superiore e la guerra non ti ha toccato. Ma se le persone a te care fossero state uccise non parleresti così a cuor leggero. Il dio Ishvala ha messo a dura prova il suo popolo, me stesso, e con pazienza ci aiuterà a capire cosa è meglio fare.”
“Capisco…” annuì docilmente Fury. Se c’era una cosa che spesso l’aveva colpito era la devozione che il popolo del deserto aveva per la propria divinità.
“Tu non credi in alcun dio, vero?” gli chiese ancora Scar, fissandolo con attenzione.
“No – ammise il soldato, sentendosi in lieve imbarazzo – non… i miei genitori non… nel mio paese non crediamo in nessun dio, mi dispiace.”
“E in cosa credi?”
Fury si irrigidì leggermente, come quando a scuola, all’improvviso, veniva chiamato alla lavagna. Ma proprio come accadeva in quelle occasioni, si accorse di sapere la risposta.
“Credo nei principi che mi hanno insegnato i miei genitori – disse pacatamente – a rispettare il prossimo, essere gentile, credere nella giustizia. Credo nel generale e nella sua buona volontà e nel legame che mi lega alla mia squadra e alle persone a cui voglio bene… credo che sia giusto fare del bene alle persone, tutto qui. Lo so, forse appare banale, ma…”
“Non è banale – scosse il capo Scar – ma la fede è ben altra cosa. E’ quello a cui ti aggrappi quando tutto ti crolla addosso. Se ti accadesse una cosa simile a quella successa al mio popolo, se un giorno dovessi smettere di credere nel tuo superiore, che cosa…”
“Oh, non potrà mai succedere! – esclamò Fury scuotendo il capo con enfasi – E’ vero, dodici anni fa in questa terra ha commesso degli errori imperdonabili, ma non ha voltato le spalle alle sue colpe! Ed io farò sempre di tutto per aiutarlo!”
Scar sorrise lievemente a quella dichiarazione.
Mise una mano sulla spalla del soldato e poi iniziò a salire la gradinata del tempio.
Fury lo osservò fino a quando scomparve all’interno dell’edificio.
Ma poi scosse il capo e si rese conto che il sole cocente stava iniziando a dargli davvero fastidio: se c’era una cosa che detestava di quel posto era il caldo opprimente ed i raggi che molto spesso gli scottavano naso e guance.
Sarebbe stato un bene quando tra qualche giorno sarebbero tornati ad East City.





Ovviamente, essendo passati cinque anni dalla trama del manga, i nostri cari soldati sono tutti saliti di grado.
Grazie a chi mi sta seguendo, a chi mi preferisce e a chi mi recensisce, nonche ai silenziosi lettori ^___^

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. I fili indefinibili del sospetto ***


Capitolo 2.
I fili indefinibili del sospetto



“Jody!” Rebecca si mosse troppo tardi e tutto quello che riuscì a fare fu recuperare il bicchiere prima che cadesse dal tavolo. Ma non poté impedire che la maglietta azzurra di suo figlio si macchiasse irrimediabilmente di succo di frutta.
“Jody è tonto!” esclamò subito Jilly, fissando con aria di superiorità il proprio gemello.
“Piano con le parole, signorina – la sgridò Rebecca – non devi dire brutte cose al tuo fratellino, lo sai.”
“Mamma, la maglietta ora è colorata – ammise Jody, fissandosi con meraviglia la macchia di colore indefinito – ed è bagnata!”
“Aspetta, ragazzino, non toccarla – consigliò Breda, venendo in soccorso del suo nipote putativo – vediamo di sistemare con un fazzoletto.”
“Guarda io che brava! – Jilly richiamò l’attenzione sulla sua piccola personcina di due anni, alzandosi in piedi sulla sedia del bar e prendendo il proprio bicchiere di succo di frutta – Io so bere bene e lui no!”
“Piano, bambolina – Havoc la afferrò per la vita giusto in tempo per evitarle una caduta – non c’è bisogno di alzarti in piedi per bere. Forza, rimettiti seduta composta.”
“Siamo a Central City, bambini, volete comportarvi in maniera decente?”
Per tutta risposta a quel richiamo materno Jilly si risedette con una smorfia di disappunto, mentre Jody la fissò con i suoi ingenui e grandi occhi azzurri, chiedendosi sicuramente cosa volesse dire comportarsi in maniera decente.
“Te l’avevo detto che non era il caso di venire a Central coi bambini – sbottò Havoc, allontanando dalle mani della figlia il bicchiere di succo di frutta ormai vuoto – e poi lo sai che per la maggior parte del tempo sarò in servizio. Quando si è soldati…”
“Jean, voglio ricordarti che fino a tre anni fa pure io indossavo quella divisa – lo rimbeccò Rebecca – il fatto che io ora sia tua moglie e la madre dei tuoi figli non ti autorizza a lasciarmi a casa ogni volta che ti fa comodo, intesi?”
Breda sogghignò nel vedere il suo migliore amico lanciare una rassegnata occhiata la cielo: un anno di fidanzamento e tre di matrimonio non avevano minimamente cambiato il caratterino di Rebecca Catalina. E Jean era davvero nei guai perché anche la piccola Jilly prometteva di essere una peperina come la madre, bastava guardare quanto le somigliava, se si levavano i capelli biondi e gli occhi azzurri. Jody al contrario era un bonaccione e sicuramente sarebbe stato un ottimo elemento distensivo quando sarebbero cresciuti.
“Comunque se Riza si libera in questi giorni, caro mio – continuò Rebecca – tu ti spupazzi i bambini mentre io e lei ce ne andiamo in giro per negozi. Sempre che quello stupido Mustang finisca di manipolarla… almeno si decidesse a sposarla! Vuoi mettere essere la migliore amica della moglie del generale dell’Est? Nonché futuro comandante supremo?”
“Ah, smettila Reby – strizzò l’occhio Breda, mentre Jody scendeva dalla sua sedia e tendeva le mani per essere preso in braccio, una piccola e sorridente copia di suo padre – sai bene come sono fatti quei due. Per come la vedo io potrebbero passare anche tutta la vita senza dichiararsi, nonostante sia palese che c’è molto altro.”
“Che stupidaggini – sospirò la donna, bevendo una generosa sorsata del suo the freddo – l’ho sempre detto a Riza che si deve dare una mossa, ma lei non mi dà mai retta!”
“Non dimenticare delle regole anti fraternizzazione, Reby – le ricordò Jean, accarezzando i capelli mossi della figlioletta che chiuse gli occhi con la stessa soddisfazione di un gatto – non penso che il tenente colonnello sia disposta a rinunciare così alla sua divisa, o meglio alla protezione del generale. A conti fatti per poter iniziare una relazione lei dovrebbe tornare ad essere civile e proprio non ce la vedo. Oh, ecco che arriva Fury… ehi, tenente! Siamo qui!”
“Ciao, zio Kain! – salutò subito Jody – vuoi succo di frutta? Però è sulla maglietta, visto?”
“Uh, no grazie, Jody – ridacchiò Fury, sedendosi nel posto libero accanto a Breda – prenderò qualcosa da mangiare piuttosto: muoio di fame.”
“Ancora nessuna novità?” chiese Havoc, mentre faceva cenno al cameriere di avvicinarsi.
“No, la riunione sta durando più del previsto anche oggi – sospirò il giovane allentandosi il colletto della divisa – il tenente colonnello mi ha infatti detto di raggiungervi: non aveva molto senso stare ad attendere in quei corridoi… credo che il Comandante Supremo abbia intenzione di parlare con loro anche dopo la riunione con tutti gli altri generali.”
I quattro soldati si scambiarono un’occhiata eloquente: non sarebbe stata la prima volta che il loro superiore veniva chiamato specificatamente dal vecchio Grumman e questo poteva voler dire qualche compito speciale. Senza contare che quell’uomo era anche il nonno materno del tenente colonnello, anche se la parentela era sconosciuta ai più. Insomma ogni volta c’erano diversi fattori in gioco.
“Zio Kain – Jody richiamò l’attenzione di tutti – se prendi la torta al cioccolato poi ne voglio un pezzo!”
“Pure io!” esclamò subito Jilly.
 
Roy osservava gli alti gradi dell’esercito alzarsi dalle loro sedie ed iniziare a mormorare commenti su quell’ultima giornata di consiglio. Aveva una gran voglia di stiracchiarsi e sbadigliare, ma l’etichetta gli impediva di compiere gesti simili: eppure dopo quattro giorni di interminabili ed irritanti riunioni ne avrebbe avuto tutto il diritto.
Con noncuranza individuò un paio di occhiate sfastidiate che, prontamente, ignorò.
No c’era niente da fare: nonostante cinque anni di ottimi risultati c’era gente che ancora era ostile alla sua politica pro Ishval. E cosa importava se il distretto Est stava rifiorendo, arrivando a costituire un’importante fonte di ricchezza per tutto il paese, grazie anche alla linea ferroviaria che attraversava il deserto e rendeva più agevoli i collegamenti con Xing?
Solo invidia, lo so benissimo – si mise a braccia conserte ed osservò la grande bandiera di Amestris appesa proprio sopra di lui – hanno perfettamente capito che tra qualche anno potrei essere il nuovo Comandante Supremo e questo non lo mandano giù. Ma non possono vantare i miei meriti che gli piaccia o meno.
Prendendo il suo orologio di alchimista di stato notò con irritazione che anche quel giorno avevano saltato il pranzo.
Dovrò rifarmi a cena come sempre…
“Oh bene, finalmente sono andati via – la voce di Grumman lo fece riscuotere – adesso possiamo spostarci in un ambiente più confortevole. Vogliamo andare, signori?”
Roy annuì, lieto di potersi rilassare maggiormente in presenza del solo Comandante Supremo e di Riza, ma con somma sorpresa si accorse che non era il solo ad essere rimasto. Dall’altro lato del tavolo si era appena alzata la Armstrong.
Oh oh, e che sarebbe questa novità? – si chiese, mentre andavano verso la porta secondaria che conduceva nello studio privato di Grumman – E’raro che convochi solo noi due.
Tutti i suoi sensi, annoiati per quelle ore di mera burocrazia, tornarono vigili, mentre sentiva un brivido di aspettativa lungo la schiena. Ci doveva essere qualcosa di grosso che bolliva in pentola e squadrando la generalessa dai lunghi capelli biondi capì che pure lei pensava le medesime cose.
Ma fece comunque finta di niente mentre si sistemavano sui comodi divani attorno ad un basso tavolino di vetro.
“No, mia cara – disse Grumman, facendo un cenno a Riza che, come da solito, si era sistemata in piedi dietro Roy – siediti pure tu. Non mi pare il caso di formalizzarci.”
Quella frase ebbe il potere di spiazzare tutti quanti: Roy e Riza si scambiarono un’occhiata interrogativa, ma poi la soldatessa obbedì a quell’invito e prese posto accanto al suo superiore.
“Da dove iniziare? – il Comandante Supremo congiunse le punta delle dita con aria furba, squadrando a turno le persone lì presenti: in quei cinque anni che era al governo di Amestris ben poco era cambiato nella sua persona. Magari c’era qualche ruga in più nel viso, ma gli occhi violetti non avevano perso minimamente la propria vitalità ed intelligenza, così come la sua mente. Un buon intenditore capiva che quel vecchio, ormai oltre i settantacinque anni, non aveva certo intenzione di lasciare spazio ai giovani… almeno non nell’immediato – Ah, certo, dal mostrarvi un invito molto speciale che ho ricevuto un paio di settimane fa… da parte di un ospite che non mi sarei mai aspettato: Drachma.”
Quella semplice frase, detta in tono noncurante come se si fosse trattato di un banale invito ad una festa di compleanno, ebbe il potere di far sbalordire tutti quanti. Persino la Armstrong sgranò gli occhi e abbandonò la sua classica posa a braccia conserte e gambe accavallate.
“Un invito, signore? – chiese proprio lei con voce roca – E per cosa?”
“Tenetevi forti, signori – un sorrisetto furbo apparve sul voto segnato dalle rughe di Grumman – ci chiedono di inviare un’ambasciata per assistere all’incoronazione del loro nuovo Autarca.”
 
A quelle parole Olivier fu invasa da centinaia di pensieri, mentre quello strano incidente costato la vita a due suoi uomini tornava prepotente alla memoria. Improvvisamente fu come se vedesse i primi fili di una strana trappola che si stringeva attorno a loro: quell’invito e quelle morti non erano delle coincidenze, ne era più che sicura.
“Voi ovviamente capite che dietro questo invito c’è anche la concreta possibilità di rinnovare il trattato di non aggressione… se non raggiungere una vera e propria pace.”
Le parole di Grumman le fecero però vedere anche l’altra faccia della medaglia. Era effettivamente un’occasione troppo importante per rifiutare così alla leggera: si trattava di garantire la stabilità del confine nord per chissà quanti altri anni.
“Sarebbe un bel colpo, signore – annuì Mustang, con un sorriso scaltro – ci ha portato qui per ricevere le nostre congratulazioni personali?”
“Sai bene che non sono così sprovveduto, ragazzo – scosse il capo Grumman – le congratulazioni le accetterò solo quando avrò il trattato firmato davanti ai miei occhi. Non sarei arrivato alla mia età e a questa carica se non fossi un minimo accorto, non credi?”
“Con tutto il rispetto, signore – intervenne Olivier con aria seccata – credo che lei dovrebbe prendere in considerazione diverse questioni prima di decidere se inviare o meno l’ambasciata.”
“Ma davvero, mia cara? Sono tutt’orecchi, coraggio. Se ho convocato pure te è perché voglio una tua personale opinione sulla questione: occupandoti direttamente del confine con Drachma sei un punto di vista molto prezioso.”
“Per me la risolverebbe mandando la nostra cara generalessa come ambasciatrice – ridacchiò Mustang – davanti alla sua sfavillante e tagliente persuasione direi che il trattato verrebbe firmato in dieci secondi netti.”
Davanti a quel sarcasmo Olivier si dovette trattenere per non tagliare a fette quell’uomo così odioso. Per quanto gli riconoscesse indubbie capacità non riusciva ancora a credere che fosse arrivato così in alto, tanto da poter già sfiorare il seggio di comandante supremo.
“Un vero peccato che l’Autarca sia maschio, vero Mustang? – gli ritorse contro con un sorriso cattivo – Senza le tue doti da seduttore non è che puoi ottenere molto. Ma forse le donne di Drachma non cadono ai piedi di uno smidollato come te.”
“Ti prego, generale – sorrise amabilmente il bruno – non mi hai ancora dato la possibilità di dimostrarti il mio fascino accettando un invito a cena. Eppure sono anni che cerco di farti capitolare.”
“Tieniti le tue idiozie per altre donne, pivello.”
Grumman scoppiò a ridere davanti a quel siparietto, mentre Riza si limitò a tenere un’espressione impassibile e a stare seduta con la schiena dritta.
“Allora, mia cara – disse infine il Comandante Supremo, fissando la Armstrong con furbi occhi violetti – ovviamente la tua opinione personale riguarda anche il piccolo incidente di ventina di giorni fa, vero? Due uomini di Briggs morti non sono mai uno scherzo… oh, suvvia, non fare quella faccia: ho le mie fonti d’informazione, è più che normale.”
“Due uomini di Briggs uccisi?” chiese Roy inarcando un sopracciglio.
“Ed in modo parecchio strano – annuì Olivier, recuperando la solita calma: quella piccola sorpresa da parte di Grumman aveva solo accelerato la sua decisione di parlargli del problema – segni che nessun’arma potrebbe mai fare… stiamo pensando ad alchimia o qualcosa di simile. E non mi risulta ci siano alchimisti dalle parti di Briggs.”
Svuotò completamente il sacco: a pensarci bene Mustang, almeno per una volta, era la persona più indicata per poterle dare una spiegazione logica. Tuttavia né la descrizione di quelle ferite quelle ferite né i segni tracciati sui corpi, replicati su dei fogli, seppero fornire informazioni.
“No, non sono simboli alchemici – ammise Roy alla fine dopo aver osservato quei disegni – ma è innegabile che sono stati fatti appositamente… ustioni da gelo, eh? Mi dispiace ma qui si va in un campo totalmente opposto al mio.”
“Inutile come al solito…”
“Ehi, mi è stato chiesto solo un parere e già sono arrivato a dei risultati più di quanto abbiate fatto voi: non sono simboli alchemici.”
“Altre informazioni in merito?” chiese Grumman.
“No, signore – scosse il capo Olivier – anche dall’ultimo rapporto che ho ricevuto stamane le ricerche non hanno portato a niente. Nessuna traccia in un terreno dove invece avrebbe dovuto lasciarne.”
“Allora ha agito da veramente lontano.”
“Distanze proibitive per qualsiasi arma da fuoco… la cosa puzza e non poco.”
“A Drachma si pratica l’alchimia?” chiese Roy.
“Se tu avessi letto qualche libro in più, o ti fossi degnato di imparare qualcosa sui nostri vicini – lo squadrò disgustata la donna – sapresti che di Drachma abbiamo solo poche e basilari informazioni sul sistema di governo. Così come ben poco sappiamo sulle loro armi segrete o chissà che altro. E’ da più di cinquant’anni che non c’è un ambasciatore di Amestris che mette piede a Drachma… e chissà quante cose possono essere cambiate.”
“Insomma si tratterebbe di andare in un paese di cui sappiamo ben poco con buone possibilità che ci sia stata tesa una trappola…” commentò Riza, prendendo per la prima volta la parola.
“Però ci sono dei punti che non tornano – ammise Roy, tornando serio – è un invito ufficiale e come tale sarà stato inviato anche agli altri paesi confinanti, no?”
“So per certo che inviti simili sono stati inviati a Creta e Xing, e so altrettanto per certo che invieranno ambasciatori.” Grumman si rigirò i fogli dell’invito tra le mani.
“Non si esporrebbero così palesemente se l’invito non fosse fatto con buone intenzioni – considerò l’alchimista – giocarsi di colpo l’ostilità di tre paesi tra cui Xing? No, non possono essere così stupidi.”
“E l’attacco ai miei uomini come lo vuoi definire?” sibilò Olivier.
“Non saprei proprio – scrollò le spalle il bruno – mi limito a fare considerazioni, tutto qui.”
Il silenzio si protrasse per diversi minuti, mentre tutti soppesavano quanto era stato detto: c’erano dei pro e dei contro, questo era innegabile. Una volta entrata a Drachma l’ambasciata se la sarebbe dovuta cavare praticamente da sola, era un dato di fatto, aggrappandosi solo alla garanzia data da quell’invito. Ma riguardo a quello che avrebbe trovato c’era l’incognita più assoluta.
“Comandante – disse la Armstrong con amarezza – lei ha già deciso di andare, vero? Non ci avrebbe convocati qui altrimenti.”
“Che? – Grumman la fissò con sorpresa – oh no, mia cara, le mie povere ossa non sono certo in grado di compiere un viaggio simile. Non sono mai stato un grande amante dei climi freddi… e poi con l’età che avanza… Assolutamente qui ci vogliono forze fresche.”
“Se io vado a Drachma lo farò con tutto l’esercito Briggs dietro, sia chiaro.”
“Ottime premesse per un trattato…” sbuffò Roy.
“Mustang, taci!”
“No, mia cara generalessa – Grumman riportò l’attenzione su di sé – purtroppo tu non puoi essere mia ambasciatrice. La persona che mi ha portato questa missiva ha avuto anche l’accortezza di darmi alcune informazioni per evitare di incappare in episodi imbarazzanti… Drachma ha particolari tradizioni che si gradirebbe venissero rispettate…”
“Come non sfondare i confini con un esercito?” sorrise con malizia Roy, facendo l’occhiolino alla sua rivale.
“… come il fatto che da loro le donne non sono ammesse nell’esercito e non possono occupare ruoli burocratici o simili – corresse Grumman – un vero peccato, non verranno mai ambasciatrici di Drachma qui ad Amestris. Eppure devono essere delle grandi bellezze…”
“Una persona non si valuta dal suo sesso, ma dalle sue capacità – sbottò la Armstrong, ritenendo la questione definitivamente chiusa – non è mia intenzione andare in un paese sessista come Drachma. Sarei stata io stessa a rifiutare quest’incarico. Se volete scusarmi, anzi, io ho delle cose da fare a Briggs.”
“Posso contare su di te per far passare l’ambasciata dalla fortezza e condurla al sicuro fino a dieci chilometri oltre il confine? – chiese Grumman alzandosi in piedi e accompagnandola verso la porta – Qui incontreranno il loro accompagnatore che li scorterà nella capitale. Ovviamente i confini saranno ben tenuti d’occhio e pronti ad attaccare al minimo accenno di tradimento, no?”
“So benissimo come comportarmi, signore – sbuffò Olivier con un saluto militare – aspetterò l’arrivo dell’ambasciata, come ha ordinato. Con il suo permesso.
 
“Che donna! – sospirò Grumman come le porte vennero chiuse con forza – avessi vent’anni di meno ammetto che non mi dispiacerebbe tentarne la conquista. Ma la sua spada è un’arma forse troppo persuasiva per i miei gusti.”
“A volte è difficile pensare che lei e quel bonaccione del generale di brigata Armstrong siano fratelli – ridacchiò Roy, rilassandosi sul divano – ma è una donna di classe, di sicuro.”
“Tutti questi commenti si potrebbero anche evitare – dichiarò Riza contrariata – è una donna con grandi responsabilità e le dovete molto, lo sapete.”
“Oh suvvia, mia cara, non te la prendere. Perdona il tuo vecchio nonno!” finalmente Grumman si lasciò andare e si accostò alla nipote per baciarla teneramente sulla fronte. Riza arrossì di piacere a quel gesto intimo e accettò di buon grado il successivo buffetto sulla guancia.
“Da quanto ho capito dovrò fare io l’ambasciatore – commentò Roy con sguardo furbo – beh, la mia esperienza con Xing è certamente un ottimo precedente.”
“O più che altro so che tu sei abbastanza scaltro da saperti muovere – sorrise Grumman con noncuranza – tu e la tua squadra siete disposti a questa trasferta? Del resto quando ero a capo del Quartier Generale dell’Est mi avete sempre dato grandi soddisfazioni e notevole divertimento.”
“Grazie per le lusinghe, signore – iniziò Roy, ma poi parve riscuotersi – tuttavia chiederò personalmente ai ragazzi se vogliono partecipare a questa missione. E’ comunque un bel rischio quello che si va a correre e se rifiuteranno non farò obiezioni.”
Grumman stava per rispondere, ma Riza scosse il capo con aria discreta.
Sapeva bene quello che passava nella mente del suo superiore. Adesso le cose erano molto cambiate rispetto a quando erano una classica squadra d’assalto: sia Havoc che Falman avevano moglie e figli e se c’era una cosa che Roy voleva evitare era metterli in pericolo più del necessario. A Riza non era sfuggito come, da quando erano nati i gemelli, Havoc non venisse più portato in missione presso New Ishval. A modo suo Roy cercava di tutelare i suoi uomini e le loro famiglie… anche se Riza non aveva nessun dubbio in merito alle risposte che questi avrebbero dato.
“A proposito – commentò – e come la mettiamo con me? Non ho nessuna intenzione di lasciar andare il generale da solo: devo tenerlo d’occhio.”
“Me la posso cavare!” iniziò Roy.
“Oh, tranquilla, mia cara – sorrise Grumman – con te la questione si risolve molto facilmente. L’ambasciata sarà composta dal mio fidato generale, ossia colui che potrà firmare eventuali trattati, ed inoltre ci sarà la nipote del comandante supremo… del resto Xing manderà probabilmente uno dei numerosi fratelli dell’imperatore, no? Io invece, manderò la mia adorabile nipotina… spero che non ti dispiacerà fare a meno della divisa per qualche settimana, mia cara.”
Roy e Riza si scambiarono un’occhiata.
Come sempre Grumman aveva la capacità di sorprenderli con la sua astuzia.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. La gelida accoglienza del falco d'argento. ***


Capitolo 3.
La gelida accoglienza del falco d'argento



“No, principessina, mi dispiace ma non puoi giocare con i dossier del papà.”
Con disinvoltura dettata dall’esperienza, Falman recuperò la figlioletta esattamente due secondi prima che le sue manine arrivassero alle cartelle di cartone che ancora giacevano nel pavimento. Allontanata dal prezioso tesoro Lisa scoppiò a piangere, mentre le sue dritte codette castane sembravano afflosciarsi per la delusione.
“Su su – la consolò il padre, abbracciandola – a due anni non sei ancora in grado di leggere. Perché invece non vai in salotto a giocare assieme a tuo fratello? Sono sicuro che ti presterà volentieri qualche suo bel giocattolo.”
“Libi!” protestò Lisa, tendendo la mano verso il suo tesoro, mentre veniva portata via.
“Per adesso ti devi accontentare dei tuoi libri di favole, piccola mia – la baciò sulla guancia per poi deporla sopra il caldo tappeto che stava davanti al caminetto, dove c’era il figlio maggiore che stava beatamente sdraiato a giocare  con le costruzioni – Rey, coraggio, fai giocare anche tua sorella.”
“Sì, papà… oh no, Lisa! – protestò, come la bambina afferrò un dado facendo crollare la torre – L’avevo appena fatta! Forse è meglio disegnare… vieni, andiamo a prendere i fogli ed i pastelli.”
In parte consolata la bambina afferrò la mano del fratello maggiore, dai capelli curiosamente castano scuri sotto e più chiari sopra, e trotterellò via assieme a lui.
Soddisfatto di quella conclusione, il capitano Vato Falman ritornò nel suo studio, deciso a dare una sensibile sistemata a tutti quei fascicoli che ancora giacevano nel pavimento in attesa che la nuova libreria venisse montata. E quando si monta una nuova libreria si approfitta sempre per dare una sistemata a tutta la documentazione.
“Ehi, capitano – Elisa entrò nella stanza e lo baciò sulla guancia – tra poco i bambini fanno merenda, perché non fai una pausa pure tu?”
Come sempre Falman si incantò a fissare gli occhi verdi della moglie e le accarezzò la guancia morbida prima di chinarsi e darle un bacio: non avrebbe mai smesso di chiedersi cosa aveva fatto per meritarsi quella donna meravigliosa che da ormai undici anni condivideva la vita con lui.
“Devo finire un sacco di lavoro qui, lo sai…” iniziò.
“Un quarto d’ora passato con me e i bimbi non cambierà le cose, suvvia – lo prese in giro lei – santo cielo, quando eravamo ad East City mica ti portavi così tanto lavoro a casa.”
“Il lavoro per il generale Mustang lo svolgo qui e non al Quartier Generale, lo sai. Comunque mi hai convinto, mia bella dottoressa: mi sono accorto di avere fame.”
“Non chiamarmi dottoressa, porta male…”
“Oh dai, vedrai che sarai assunta nell’arco di un paio di mesi in ospedale: hai tenuto corsi in tutto il paese data la tua esperienza negli ospedali da campo. Sei più che qualificata per ricoprire quel ruolo, Eli…”
“Sì, però – sospirò lei con sguardo indeciso – ammetto che forse non è il caso: insomma Lisa ha appena due anni e Rey quattro. Forse dovrei aspettare che vadano a scuola, non credi?”
“Ma no, stai tranquilla, vedrai che… oh, e adesso che succede? Aspettavi visite?”
“No – scosse il capo la donna – dai, vai tu. Io levo la torta dal forno altrimenti rischia di bruciarsi.”
Con un sospirò Falman la lasciò andare e, stiracchiandosi, si recò all’ingresso per accogliere il visitatore. Non era il caso di farlo aspettare considerata la nevicata che imperversava da qualche ora.
E come aprì la porta rimase senza fiato.
“Ehilà, capitano Falman – disse una ben nota voce, mentre due occhi neri lo fissavano con grande soddisfazione – ma qui a North City c’è sempre questo tempo da lupi?”
 
Circa un’ora dopo l’accogliente e caldo salotto di casa Falman vedeva riunita la squadra: erano passati quasi otto mesi dall’ultima volta che si erano ritrovati tutti quanti assieme, prima che il capitano si trasferisse a North City, su richiesta dello stesso Mustang, e tutti avevano sentito la mancanza di quel senso d’unione scaturito da anni ed anni di lavoro assieme.
“Drachma, eh? – Falman  si mise a braccia conserte e rifletté attentamente su tutto quello che gli era stato rivelato – E’ un cliente difficile da affrontare, signore: molto più complicato di Ishval, questo è certo.”
“Se non ricordo male, durante la guerra civile, tu prestavi servizio al reparto investigativo – disse Mustang, squadrandolo con attenzione – ed un caso particolare vide coinvolto anche qualcuno di Drachma.”
Falman annuì cupo, mentre il ricordo di quello che era stato il caso più difficile della sua vita si faceva prepotentemente avanti: il ricordo di una pistola puntata alla fronte e, ancor prima, di zolle di terra che cadevano impietose sopra una bara… come dimenticare? A pensarci bene, forse, lui aveva un conto ancora in sospeso con quel paese.
“Il sistema governativo di Drachma è abbastanza spietato: sono una decina di famiglie nobili in continua competizione tra di loro per il potere – spiegò, mentre le frammentarie informazioni di più di quindici anni prima gli tornavano alla mente – la famiglia a cui appartiene l’Autarca in genere cambia ogni due o tre generazioni. E’ un tipo di politica molto sottile, fatto di alleanze, matrimoni, equilibri di potere, ricatti, segreti di famiglia. Ma è tutto quello che si sa, signore… potrei farle uno o due nomi di queste famiglie, ma per il resto è tutta un’incognita.”
“Pare una nobiltà diversa da quella di Amestris – ammise Havoc, grattandosi pensosamente la testa – nel senso… non tipo gli Armstrong.”
“No, non sono la stessa cosa: qui ad Amestris le famiglie nobiliari hanno interessi commerciali, vantano magari antenati che hanno ricoperto cariche elevate nell’esercito, hanno vaste proprietà terriere… ma non hanno un’influenza simile a quella della nobiltà di Drachma. Lì sono loro a dominare e a spartirsi il potere.”
“Che tu sappia, da quando Amestris è nato, c’è mai stata un’ambasciata che è stata invitata all’incoronazione dell’Autarca?” domandò Breda, mentre le fiamme del camino donavano particolari riflessi alla sua chioma rossiccia.
“No, non credo – rifletté Falman – e per un semplice motivo: anche se ci sono stati periodi di relativa stabilità tanto che ci sono stati alcuni scambi di ambasciate, non si è mai arrivati ad un’intesa così forte da permettere ad un abitante di Amestris di andare oltre un determinato punto di quel paese. Basta guardare una qualsiasi carta geografica: non abbiamo nemmeno l’idea di dove sia la capitale.”
Mustang rimase in silenzio, valutando quelle nuove informazioni che non facevano altro che confermare quanto tutto fosse un’incognita.
“Farò la stessa domanda che ho fatto agli altri, capitano – disse infine – e sentiti liberissimo di rifiutare. Pensa a tua moglie e ai bambini, valuta ogni pro e contro, davvero. Ti unisci pure tu? Inutile dire quanto il tuo aiuto sarebbe prezioso.”
“Non c’era nemmeno bisogno di chiederlo, generale – scosse il capo Falman – è chiaro che verrò assieme a voi: siamo una squadra del resto e missioni simili vanno affrontate assieme.”
La medesima risposta che aveva dato ciascuno di loro.
 
Una settimana dopo Fury stava con espressione imbambolata e naso all’insù a fissare l’imponente fortezza di Briggs che incombeva su di lui, terribile e maestosa, facendolo sentire una formichina. Si ricordò che più di una volta aveva chiesto a Falman di raccontargli di quel posto, desiderando tanto poterlo vedere, ma ora che era arrivato il momento se ne sentiva letteralmente schiacciato, tanto che, dopo qualche secondo, preferì alzare ulteriormente lo sguardo per rifugiarsi nel più rassicurante azzurro del cielo.
“Fury, smettila di fare il bambino – gli diede uno scappellotto Mustang, mentre attendevano che le porte della fortezza si aprissero – bocca chiusa e mantieni un contegno.”
“Sì, signore, mi scusi tanto…” disse distrattamente il giovane, mentre Riza gli metteva una mano sulla spalla per incitarlo ad obbedire all’ordine. E ovviamente, dietro di lui, il resto della squadra ridacchiava.
Però c’era una cosa che tenente notava con estremo e profondo piacere: i suoi superiori, in particolare il generale, avevano recuperato un qualcosa che negli ultimi anni si era affievolito. Era come se la ricostruzione di Ishval, per quanto carica di soddisfazioni, fosse sempre stata velata da un senso di colpa che piano piano aveva intaccato la sua persona. Adesso era come se la missione avesse donato una nuova scarica di energia ed interesse e lui stesso se ne sentiva contagiato
Finalmente le grandi porte della fortezza si aprirono e il generale Armstrong fece la sua comparsa seguita dal tenente colonnello Miles.
“Ma quale grande onore! – esclamò Mustang con il più smagliante dei suoi sorrisi – non pensavo di venir accolto proprio dalla splendida regina di ghiaccio. La trovo in splendida forma da quando ci siamo visti una quindicina di gior…”
“Risparmiami i tuoi falsi convenevoli, Mustang – sbottò lei, mettendo significativamente una mano guantata sull’elsa della spada – raccogli la tua marmaglia e seguiteci: prima risolviamo la questione meglio è. I miei uomini hanno ben altro da fare che accompagnare gli sconsiderati come voi!”
“Suvvia, non sia gelosa solo perché l’onore di scrivere questa pagina di storia non è toccato a lei!”
“Non farmi perdere tempo!”
E con fare sdegnoso si girò e rientrò nella fortezza, lasciando a Miles il compito di fare da cicerone in quel breve percorso che dovevano compiere prima di arrivare dall’altra parte del confine.
Mentre camminavano per i corridoi il soldato dalla pelle scura fu ovviamente molto cortese e non mancò di informarsi su come procedessero le cose a New Ishval: con lui tutto il gruppo aveva un ottimo rapporto e fu una piacevole chiacchierata che aiutò in parte a smorzare la fredda accoglienza che avevano ricevuto.
“Ammetto che sarà un’esperienza nuova anche per me – ammise alla fine, mentre arrivavano ad un’incredibile stalla sotterranea dove diversi cavalli erano già pronti – è la prima volta che metto piede nel territorio di Drachma: l’ho sempre e solo visto dal terrazzo della fortezza.”
“La signora non verrà?” chiese con malizia Roy, mentre tutti loro posavano i bagagli a terra per permettere ad altri soldati di caricarli su alcuni cavalli appositi.
“A quanto pare le donne soldato non sono gradite… e poi Drachma non ha una bella opinione di lei, come si può immaginare – scrollò le spalle Miles, ma poi si rivolse a Riza – piuttosto lei, signora, è sicura di quello che fa? La sua posizione la espone più del previsto.”
“Il mio ruolo non sarà così cruciale come puoi pensare – scosse il capo Riza che, al contrario degli altri, non indossava il cappotto nero dei militari, ma un pesante mantello verde chiaro, a ricordare i colori di Amestris – ma di certo non potevo lasciar andare il generale da solo: in qualche modo è bene che lo tenga d’occhio.”
Mai sottovalutare la forza di colei che Ishvala ha scelto per donare la vita – Miles recitò quel vecchio detto della sua terra – in ogni caso la prego di stare attenta: la sua identità è comunque importante e non sapete come funziona il gioco politico di quel posto.”
 
Era la prima volta da almeno vent’anni che i portoni della fortezza di Briggs venivano aperti dalla parte del fronte di Drachma. E soprattutto, era la prima volta dopo tanto tempo che venivano aperti per far passare una pacifica ambasciata e non delle truppe pronte alla guerra.
Roy cercò di tenere un’aria il più impassibile possibile, ma mano a mano che la luce iniziava a comparire da quell’enorme uscio, sentiva un forte brivido d’eccitazione crescere dentro di lui. Sin da quando Grumman gli aveva dato quel compito non aveva fatto altro che immaginarsi una nuova e grande avventura, una missione in grande stile come era abituato a fare ai suoi tempi d’oro. Perché per quanto avesse messo tutte le sue energie a ridare dignità al popolo di Ishval, in tutti quegli anni aveva sempre sentito la mancanza del vecchio se stesso.
A volte si dice che cambiare aria non può che far bene… e l’aria gelida che lo investì, quando la sua cavalcatura uscì all’aperto, ebbe il potere di destarlo del tutto dal torpore che aveva accumulato in tutti quegli anni.
Era finalmente a Drachma.
Neve e montagne ed in lontananza foreste di alte conifere, un posto incredibilmente bello e selvaggio, così diverso dalla terra brulla e desertica di Ishval. Qui la natura la faceva da padrone in modo completamente differente, con una purezza eppure una forza che minacciavano l’uomo con la propria imponenza. Persino la fortezza di Briggs svaniva davanti alla maestosità di quel paesaggio silenzioso.
“Siamo a nemmeno cinquanta metri oltre il confine di Amestris eppure mi sembra tutto estremamente diverso – commentò causticamente Breda, dando lievi pacche al collo della sua cavalcatura – come se bastasse cambiare versante per entrare in un mondo nuovo. Occhi aperti, ragazzi… occhi aperti.”
Roy fissò il suo robusto maggiore e non poté che annuire lievemente.
Sì, c’era qualcosa di strano in quel posto oltre alla natura selvaggia, nonostante l’entusiasmo se ne era accorto perfettamente. Per un attimo fu tentato di girarsi verso la fortezza di Briggs, ma si trattenne. Sapeva che la regina di ghiaccio lo stava osservando dall’alto della sua dimora e non aveva nessuna intenzione di darle soddisfazione; anzi d’istinto raddrizzò ulteriormente la schiena.
“La pista è abbastanza sgombra nonostante le nevicate di questi giorni – annunciò Miles, mettendosi a capo della spedizione – copriremo i dieci chilometri previsti in poco tempo. Forza, andiamo.”
I cavalli di Briggs erano come i loro proprietari: abituati ad eseguire con efficienza il proprio lavoro. Senza bisogno di incitamenti si misero in fila per due, perfettamente allineati e mantenendo un buon passo.
“Signore – chiese Fury che cavalcava accanto a Falman – che sono tutti questi detriti che vedo ai lati del sentiero?”
“E’ il ricordo dell’ultima volta che Drachma e Briggs si sono incontrati, più o meno cinque anni fa – spiegò con aria cupa l’uomo – Kimblee fece credere loro che la fortezza era sguarnita ed attaccarono… in realtà fu con il loro sangue che venne creato l’ultimo stemma degli homunculus.”
Fury annuì cupamente e si girò a guardare quelli che erano i resti di un vecchio cannone: sembrava che quei relitti fossero stati lasciati lì di proposito, quasi un monito a ricordare che tra i due paesi c’erano tanti conti in sospeso.
“Si sono lasciati ingannare, una mossa davvero stupida – commentò un soldato di Briggs che cavalcava dietro di loro – hanno semplicemente pagato le conseguenze della loro avventatezza.”
Fury annuì, non potendo che dargli ragione.
Ma quella che per Briggs era una mossa stupida, per Drachma poteva essere invece motivo di astio.
 
Ci vollero circa due ore per percorrere i dieci chilometri previsti: fu un viaggio surreale che avvenne in quasi totale silenzio. Dopo un po’ qualsiasi tentativo di conversazione tra i soldati smise e a farla da padrone fu il silenzio di quel paesaggio innevato. Sembrava quasi di essere degli eretici che infrangevano il dominio della natura imponendo la loro presenza seppur solo per quel rapido passaggio.
“Ecco, ci siamo – indicò Miles, ad un certo punto – quello deve essere l’avamposto indicato: infatti c’è un treno.”
La linea ferroviaria era una striscia scura che osava sfidare il bianco della neve: si perdeva verso nord, andando oltre quelle pianure e quelle foreste incontaminate. Sembrava quasi incredibile che l’uomo fosse riuscito a lasciare un segno abbastanza tangibile su quelle terre.
E poi, ad un certo punto, la ferrovia terminava: un piccolo piazzare di pietra segnava la fine dei binari. Non c’erano edifici permanenti in quella sorta di stazione ferroviaria: solo una robusta tenda circolare color marrone scuro, attorno alla quale si affaccendavano alcuni soldati, vestiti con i pesanti cappotti impellicciati di Drachma e con i tipici berretti di pelo.
“Ma certo, le truppe arrivano qui con la linea ferroviaria e poi sono totalmente indipendenti: in questo modo anche se Amestris attacca si trova comunque in una terra ostile e completamente isolata e priva di possibilità di rifornimenti – commentò Breda con un cenno d’approvazione – questo si chiama volgere dalla propria parte l’ambiente in cui ci si trova.”
“Credi ci vogliano attaccare? – chiese Havoc per niente intimorito – Del resto potevano venire a prenderci appena fuori Briggs.”
“No, non credo abbiano intenzioni ostili, almeno per adesso. Se ci vogliono mettere nei guai lo faranno quando saremo nel cuore del loro territorio, è chiaro.”
“Comunque tenete buon viso a cattivo gioco, ragazzi – consigliò Mustang, recuperando dall’interno del cappotto la busta con i loro passaporti ed i lasciapassare – andiamo a conoscere il nostro ospite.”
 
Quando si era portato davanti alla tenda, con Riza poco dietro di lui assieme al resto della squadra, Roy si era aspettato di veder comparire qualche funzionario di mezza età, il classico esponente di ambasciatore che con gli anni aveva imparato a conoscere. Persone affettate nei modi che cercavano sempre di mettere a proprio agio l’ospite di turno con cui avevano a che fare.
Ma l’idea di una simile persona venne del tutto cancellata quando la tenda si aprì e ad uscirne fuori fu un vero e proprio soldato. Era di un rango superiore rispetto a quelli che li avevano scortati fino alla tenda, la sua camminata era sicura ed elegante e lasciava intuire un carattere molto schietto e volubile. Ed era giovane, probabilmente sulla trentina: il viso era duro, sebbene non privo di un’arcigna bellezza, circondato da una corta barba scura e da capelli nerissimi che gli cadevano in ciocche grosse e disordinate sulla fronte.
Sotto le sopracciglia folte e accigliate due occhi scuri, ma non quanto quelli di Roy, trafissero uno ad uno i nuovi arrivati.
“Gli uomini di Briggs possono tornare indietro – disse infine, con tono di comando – l’ambasciata è passata sotto la protezione di Drachma, come da ordine.”
A quelle secche parole Roy vide Miles irrigidirsi leggermente.
Non era stato un inizio molto incoraggiante, tutt’altro: sembrava uno scambio di prigionieri più che il ricevimento ufficiale di un’ambasciata ufficialmente invitata ad un’incoronazione.
Non è certo il tipo di accoglienza che riserverei ad un futuro alleato – pensò Roy, mentre si scambiava un cenno d’intesa con Miles e lo osservava dare ordine ai suoi uomini di scaricare i bagagli dai cavalli e di tornare alla base.
Tuttavia non diede alcuna soddisfazione al suo ospite che nemmeno aveva avuto la decenza di presentarsi. Rimase impassibile pure lui, sapendo benissimo che la sua squadra, dietro, manteneva il medesimo atteggiamento. Approfittò di quei minuti per studiare altri dettagli di quell’uomo che, a farsi beffe del freddo, non indossava il pesante cappotto, ma se ne stava davanti a loro, con le mani dietro la schiena, con quella che sembrava una divisa di alto grado di Drachma. Stivali scuri fino al ginocchio, pantaloni neri e spessi, leggermente svasati, una giacca del medesimo colore con due file di bottoni d'argento e le spalline da cui pendevano delle nappe  sempre argentee. A spezzare quella bicromia nero-argento ci pensava una fascia verde stretta attorno alla vita, da sotto di essa sporgeva una stretta cintura dove era appeso, sul fianco sinistro, il fodero di una lunga spada, la cui elsa risplendeva baciata dai freddi raggi del sole del nord.
L’ispezione visiva, sicuramente reciproca, terminò non appena si sentì il nitrito dei cavalli.
“Aspetteremo sue notizie, generale – disse Miles, con un perfetto saluto militare – Briggs è sempre pronta e a sua disposizione. A presto.”
Era un avvertimento nemmeno troppo velato: Briggs era pronta ad intervenire se fosse stato necessario… un monito per Drachma di non tentare scherzi.
Ma il nobile soldato del nord non fece minimamente caso a quella minaccia: si limitò a tenere gli occhi fissi su Miles e sui suoi soldati fino a quando essi non furono spariti lungo la pista che riportava verso Briggs. Uno sguardo rapace ed ostile che sembrava voler trafiggere la preda.
Solo quando l’ultimo cavallo svanì dietro una curva riportò l’attenzione su Roy.
“Generale Mustang, benvenuto a Drachma: sono Alexand, signore del ducato di Anditev, dove ora vi trovate. E’ mio compito scortarvi fino alla capitale: posso controllare i vostri lasciapassare?”
“Certamente – annuì Roy, porgendo la busta sigillata: si era accorto che, nonostante mantenesse un atteggiamento sempre distaccato, la tensione era in parte scemata dalla sua persona – oltre ai soldati qui presenti ci accompagna la signorina Riza Hawkeye, unica nipote del Comandante Supremo.”
“Il vostro capo di stato ci fa un grande onore ad inviare oltre ad uno dei suoi più fidati generali anche un membro della sua famiglia – si accostò a Riza e chinò di pochi centimetri il capo – signora, mi auguro che il suo soggiorno a Drachma sarà piacevole. Mi dispiace dei disagi che dovrà subire in queste prime ore di viaggio: è una linea militare, destinata ai soldati, ma come farete cambio di treno oltre i miei territori avrà l’occasione di viaggiare in modo più confortevole.”
Fredda cortesia, ma era come se il signore di Anditev fosse felice di capire il motivo della presenza di Riza nell’ambasciata, come se quel dettaglio fosse finalmente rientrato nel suo modo di vedere le cose.
“La ringrazio per il benvenuto, signore.” disse cortesemente Riza.
“Onde evitare ulteriori disagi – disse ancora l’uomo, stavolta rivolgendosi ai suoi soldati – iniziate a caricare i bagagli dei nostri ospiti. Smontate tutto quanto e preparate la locomotiva: dieci minuti e partiamo.”
Al suo comando la quindicina di soldati presenti in quel piccolo avamposto iniziò a muoversi con sicurezza e rapidità non dissimili da quelle di Briggs: senza dire nulla tre di loro presero i bagagli e li caricarono sul treno, mentre altri aiutavano il macchinista a rimettere in funzione la locomotiva.
Alexand intanto diede una rapida occhiata ai lasciapassare a alla relativa documentazione e annuì. Subito un soldato gli fu accanto, tenendo in mano una cartelletta ed una scatolina. Con mosse pratiche il nobile si sfilò il guanto di velluto dalla mano sinistra e Roy notò il grosso anello che portava all’anulare… con un falco d’argento su sfondo nero. Premuto l’anello sulla scatolina, Alexand lo premette quindi alla base di tutti i fogli.
“Con l’apposizione del mio sigillo siete ufficialmente autorizzati ad entrare a Drachma – dichiarò, passando la documentazione al soldato e pulendo l’anello con un fazzoletto prima di rinfilarsi il guanto – prego, andiamo pure sul treno: i vostri soldati possono viaggiare assieme ai miei. Lei e la dama, generale, sarete miei graditi ospiti nel mio vagone personale.”
A quella notizia Falman, Havoc, Breda e Fury si guardarono perplessi: non erano abituati a simili separazioni per rango… in genere la loro squadra tendeva ad occupare il medesimo scompartimento. Ma ad un’occhiata di Roy obbedirono e si apprestarono a seguire gli altri soldati.
Riza invece si trovò affiancata dal suo ospite, che le offrì il braccio con fredda cortesia: era solo etichetta, senza nessun sottinteso.
“Nella mia carrozza le potrò offrire qualcosa di caldo, signora – dichiarò – capisco che il freddo di queste terre le deve creare qualche disagio. E mi scuso anche se a primo impatto le devo essere sembrato molto scortese.”
Riza lo guardò con attenzione: era davvero giovane per essere signore di quelle terre… questo voleva dire che aveva perso il padre molto presto.
“E’ da molto che siete duca di Anditev?” chiese con cortesia.
“Ormai cinque anni, ma Briggs questo lo sa bene – gli occhi scuri si inasprirono, riprendendo l’originaria ostilità – è stato ucciso nell’ultima battaglia tra i nostri paesi, quella che Amestris ha provocato con l’inganno.”
E a Riza non restò che annuire… quell’uomo non avrebbe mai dimenticato e perdonato. 






Questa fic, essendo ambientata a Drachma, avrà alcuni riferimenti a The memory man, ma è perfettamente leggibile anche senza conoscere la precedente fic :)

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. La Cittadella ed il principe dell'Est. ***


Capitolo 4.
La Cittadella ed il principe dell'Est



Riza sospirò con un briciolo d’irritazione e abbandonò la lettura del libro per spostare lo sguardo al finestrino della carrozza dove viaggiava. Neve, sempre e solo neve, con la differenza che adesso al posto delle montagne e delle foreste c’erano vaste pianure bianche di cui non si riusciva a scorgere la fine. Ogni tanto quella monotonia veniva spezzata da qualche fattoria, qualche solitario albero innevato, o qualche fiume ghiacciato, ma era come se tutta Drachma fosse sotto un incantesimo di gelo perenne.
Non era per niente abituata a quel tipo di paesaggio e di clima: da dove veniva lei, nel distretto Est, la neve era poco frequente persino in inverno. Poteva contare sulle punta delle dita le volte in cui c’era stato un clima particolarmente rigido da portare una neve che durasse più di una settimana. Quelle occasioni erano sempre motivo di meraviglia, oltre che di qualche ovvio disagio, ma a vivere in un posto come Drachma la cosa diventava sicuramente alienante.
Più o meno come l’onnipresente sabbia del deserto di Ishval.
Scosse il capo, cercando di essere più positiva, ma la verità era che quel viaggio in treno la stava in qualche modo facendo sentire ai confini del mondo civile. Erano ormai quattro giorni che viaggiavano, il suono della locomotiva e il procedere sulle rotaie come unici compagni. Dopo circa due giorni e mezza erano arrivati ai confini della provincia di Anditev: qui avevano cambiato mezzo, trovando ad aspettarli un treno con vagoni decisamente più grandi e confortevoli. Il loro ospite, il giovane Alexand, aveva preso congedo da loro con la promessa di rivederli nella capitale tra circa una settimana: aveva importanti questioni da risolvere nei suoi possedimenti prima di poterli raggiungere.
Ed era stato un dispiacere perdere quel compagno di viaggio: dopo qualche ora di indifferenza si era infatti  dimostrato una persona capace di buone conversazioni. Aveva spiegato a lei e al generale qualcosa sull’organizzazione statale di Drachma, senza però spingersi troppo oltre nei dettagli, come era ovvio aspettarsi. Ed era stato così che avevano scoperto che l’immenso paese contava più di centosessanta milioni di abitanti, divisi in undici province o baronati. Questo ovviamente li aveva lasciati a bocca aperta, se si considerava che Amestris contava circa cinquanta milioni di persone: insomma, sapevano che Drachma era molto più grande, ma non fino ad un simile punto. Aveva poi raccontato loro che a capo di ogni provincia c’era una delle dieci famiglie nobili e che la sua, gli Anditev, erano tra i più rinomati combattenti, tanto che il loro territorio era stato uno degli ultimi ad essere annessi dal governo centrale, circa tre secoli prima.
“Undici provincie ma dieci famiglie?” aveva fatto notare il generale Mustang.
“L’undicesima provincia, dove si trova la capitale, è sotto il dominio diretto dell’Autarca ed è dunque autonoma – aveva spiegato Alexand – E’ nella capitale che si svolge tutto quanto: è lì che risiedono per la maggior parte dell’anno le famiglie nobili ed è sempre lì che ha sede il Consiglio dei Dieci ed il Consiglio Maggiore.”
“Tra qualche ora faremo una sosta: ti potrai sgranchire le gambe pure tu.”
La voce del generale fece trasalire Riza, riportandola alla realtà: il rumore del treno era così assordante che non l’aveva sentito arrivare dal vagone davanti. Subito alzò lo sguardo con un lieve sorriso, felice di poter godere della compagnia anche se solo per qualche minuto.
Da quando avevano cambiato treno, infatti, erano stati presi in consegna da un gruppo cerimoniale composto da pseudo ciambellani guidati da un colonnello di qualche famiglia minore che si dava arie da gran signore. Dunque, per la maggior parte, persone che non avevano il rango adatto per intrattenere una conversazione con loro.
Sarebbe stato un dettaglio trascurabile se non fosse stato che, assieme a loro, era arrivata anche un’ulteriore novità: si erano profusi in scuse quando avevano scoperto che una signora era stata costretta a condividere un vagone con dei soldati, sebbene di alto rango, senza poter avere a disposizione degli agi tutti per lei. E così Riza Hawkeye, quella che non si era mai fatta problemi a dormire in una branda o assieme ad altri soldati maschi durante esercitazioni e periodi di guerra, si era trovata isolata in un vagone dai comodi sedili, pieno di coperte e pellicce, servizio da the in porcellana, persino una piccola libreria… ma totalmente divisa dalla sua squadra. Se non fosse stato per il generale che ogni tanto passava a trovarla sarebbe letteralmente impazzita di solitudine.
“Come procede la conversazione con i nostri ospiti?” chiese la donna.
“Oh, grandiosamente! Poco fa mi hanno fatto persino l’onore di dirmi che domani mattina saremo finalmente giunti… ah, e che per cena è previsto ottimo arrosto di cervo, anche se si scusano per la poca scelta nel cucinarlo: le cucine dei treni non hanno le stesse possibilità di quelle di corte.”
“Gli altri come stanno?”
“Meglio di noi di certo: nel loro vagone poco carico di agi giocano a carte, chiacchierano… si godono il loro basso rango. E’ che sono perennemente osservato da qualche valletto ansioso di compiacermi, altrimenti mi unirei a loro. Quel soldatuncolo che si fa passare per colonnello è di ben poca compagnia, mi dispiace dirlo. Allora, tutto bene?”
“Non vedo l’ora di arrivare, signore, ma penso che questo sentimento sia condiviso da tutti noi.”
“Comunque stai molto bene in borghese, tenente – sogghignò l’uomo, mettendosi a braccia conserte – e questi vestiti pesanti fanno proprio per te, per non parlare dei capelli sciolti: ammetto che sono stato assai felice quando hai deciso di farteli ricrescere.”
“Generale, non prenda troppo sul serio questa copertura – si fece seria Riza, scrollando le spalle – ed in ogni caso cerchi di non fare troppo lo spiritoso. Si ricordi che siamo in missione.”
Però doveva ammettere che era piacevolmente strano partecipare a quell’ambasciata nelle vesti di nipote del Comandante Supremo piuttosto che assistente del generale, sebbene fosse pronta ad intervenire alla minima avvisaglia di pericolo, come dimostrava la pistola tenuta sotto la gonna. Non aveva mai indossato dei vestiti così eleganti, nemmeno per i matrimoni a cui aveva partecipato: quegli stivali di pelle di renna, quella gonna così finemente intessuta, per non parlare del corpetto caldo che aveva sopra la camicia… era strano sentirsi donna ad un livello così ufficiale.
“Sto solo reggendo la mia parte – ammise l’uomo – del resto costituisco una forma di accompagnatore per la nipote del comandante supremo ed è giusto che ti tratti con tutte le cortesie del caso. Che c’è? E’ così strano che per una volta non mi debba seguire in veste di guardia del corpo e assistente?”
“Sono solo preoccupata che lei venga meno al suo dovere, signore. In ogni caso le cose andranno decisamente meglio quando questo viaggio in treno finirà.”
“Non posso che esser d’accordo, ma ci siamo quasi; quelle che si vedono in lontananza sono le montagne oltre le quali si trova la capitale: domani, verso metà mattina, saremo finalmente giunti a destinazione.”
 
Se Drachma sembrava avvolta in un incantesimo perenne di gelo, la sua capitale, Drachsjna, pareva aver trovato una contro magia davvero efficace. Ma in realtà era semplicemente opera della natura che, in mezzo alle montagne, aveva creato una vallata abbastanza grande da poter ospitare la città e un buon numero di terre fertili e verdi.
Non appena superarono gli ultimi monti, mentre la ferrovia passava finalmente su prati e pascoli, a Riza sembrò che un arcobaleno avesse deciso di esplodere dopo tanti giorni di bianco a farla da padrone. Spinta dall’entusiasmo, come se fosse rinata, arrivò anche ad abbassare uno dei finestrini e non poté far a meno di ridacchiare felice quando si rese conto che l’aria che le sferzava il viso era frizzante ma non certo gelida: quelle montagne proteggevano un piccolo paradiso climatico che, nell’arco di nemmeno dieci minuti, rese imperativo levarsi il pesante mantello che l’aveva protetta per tutti quei giorni di viaggio.
E poi Drachsjna che diventava sempre più grande mano a mano che si avvicinavano… sembrava uscita da un racconto magico: ad Amestris non c’era assolutamente niente che si potesse paragonare a quelle case dai tetti a spiovente dipinti di colori vivaci, dal rosso, al verde, al blu… per non parlare di quegli alti pinnacoli che si innalzavano in diverse zone della città. E poi, oltre ancora, in una specie di soprelevazione del terreno, protetto da una cinta muraria c’era un enorme complesso di palazzi maestosi, uno più bello dell’altro. Doveva essere senz’altro la Cittadella di cui le aveva parlato Alexand.
Ma con somma delusione non poté osservare da vicino quel centro abitato che sembrava brulicare di vita: poco prima di entrare in città il treno prese un binario secondario ed iniziò a girare intorno al perimetro. Con stupore la donna si accorse che c’era una linea apposita per portare coloro che erano ospiti alla Cittadella; mano a mano che si avvicinava a quegli edifici così belli, di un bianco immacolato con decorazioni d’oro, si sentì veramente emozionata, come una bambina a cui è stato appena svelato che i mondi fatati dei libri esistono davvero e che a lei è stato appena concesso di andarci.
Fu solo quando vide i primi soldati fare da vedette, poco vicino alle mura, che si riscosse e si rimise seduta: doveva assolutamente recuperare il controllo e prepararsi ad incontrare i suoi ospiti.
 
Il simbolo di Drachma era una pantera nera passante con un collare giallo scuro in uno sfondo d’oro bordato d’argento. Un’imponente bandiera a due punte recante quello stemma copriva buona parte della facciata del palazzo davanti al quale vennero scortati tramite delle carrozze che erano venuti a prenderli alla stazione dove si era finalmente fermato il treno.
Riza e Roy si ritrovarono a fissare quello spettacolo, l’uno accanto all’altra, mentre attendevano l’arrivo degli altri, chiedendosi che cosa li avrebbe aspettati ora che il viaggio in treno era finito.
“Beh, ammetto che preferisco il drago argento di Amestris – ammise Roy dopo qualche secondo – il giallo non mi è mai piaciuto troppo.”
“Vorrà essere in contrasto con la neve – provò ad ipotizzare la donna, lieta di poter stare all’aria aperta – ma sono sicuro che se chiediamo qualcuno ci spiegherà. Comunque ha notato, signore? C’è spazio anche per una seconda bandiera: è come se l’effetto finale ne veda due affiancate.”
“Occhio veramente attento, mia signora – disse una voce alle loro spalle, facendoli girare – e perdonate questi minuti di attesa: il treno ha fatto prima del previsto e per arrivare dal mio palazzo è necessario diverso tempo.”
A parlare era stato un uomo sulla cinquantina, parecchio robusto, che terminava di sistemarsi una decorazione della giacca della sua uniforme. Al contrario di Alexand che vestiva completamente di nero e argento, i suoi abiti spaziavano dal verde al grigio, anche se era il primo a dominare. Il viso, dai lineamenti nobili, ed illuminato da penetranti occhi grigi, emanava immediata simpatia, dando l’idea di un caro zio che non si vede da tanto tempo ma di cui si ha sempre un ottimo ricordo.
“Perdonate la scortesia – continuò il nuovo arrivato, portandosi davanti a loro – sono il duca Andarev Eltev Esdev, signore della casata Esdev ed il mio signore mi ha dato il compito di accogliervi. Sono onorato di potervi dare il benvenuto a Drachsjna, miei cari ospiti… è un evento storico accogliere la prima vera ambasciata di Amestris nella capitale. E sono ancora più lusingato nel vedere che è stata inviata anche una così graziosa dama.”
“La signorina Riza Hawkeye, la nipote del Comandante Supremo – presentò Roy con estrema e compiaciuta disinvoltura – la ringraziamo per l’accoglienza, duca. Io invece sono il Generale Roy Mustang, ufficialmente a capo di questa ambasciata.”
“Onoratissimo di conoscerla, signore. Il mio sovrano sarà felice di incontrarla in questi giorni: è stato suo specifico desiderio che fosse presente la vostra ambasciata alla sua incoronazione. Però non è tempo di pensare a questi dettagli: avete diversi giorni di treno alle spalle e sono sicuro che niente sarà più gradito di un buon riposo.”
“Sarà sicuramente piacevole – annuì Roy, mentre osservava Falman, Havoc, Breda e Fury che finalmente li raggiungevano con una carrozza dove c’erano tutti i loro bagagli – ah, ecco il nostro seguito.”
“Splendido – annuì il duca, allisciandosi con la mano uno dei folti baffi grigi – sono sicuro che gli alloggiamenti che vi abbiamo fatto preparare saranno di vostro gusto: i quartieri per le ambasciate si trovano nel palazzo degli Anditev. Siete fra i primi ad arrivare… anche se penso che le ambasciate di Creta e Rosha arriveranno entro domani.”
“Bene, allora chiamo i ragazzi e possiamo andare…” iniziò Roy, mentre Riza annuiva.
“Oh no, mia cara – il duca la prese cortesemente per mano – tu alloggerai nel mio palazzo con il principe di Xing che giungerà a breve. Dovrai perdonare un po’ le cose fatte in fretta, ma abbiamo avuto notizia che c’eri anche tu solo quando avete fatto il cambio del treno.”
Questa novità ebbe il potere di spiazzare la donna che fece appello a tutto il suo autocontrollo per sorridere a quell’uomo che si affannava benevolmente attorno a lei. Questa era una cosa che non avevano minimamente preso in considerazione. Tuttavia sembrava che la nipote del comandante supremo di Amestris avesse un’importanza del tutto particolare, tanto che le veniva data un’assegnazione eguale a quella di un principe di Xing.
Ma certo… a Drachma le donne non hanno ruoli istituzionali – pensò Roy, mentre cercava un modo di risolvere quel disguido – lei viene considerata come una specie di bambola preziosa che ovviamente non va mischiata al resto degli ambasciatori che non appartengono per sangue a case regnanti…
“Signora – arrivò in quel momento Fury, carico di diverse valige che rischiavano di cadergli… sicuramente uno dei soliti scherzetti di Havoc e Breda – allora i suoi bagagli li metto qui e…”
“Questo è il tenente Kain Fury – disse con disinvoltura Roy, mentre un’improvvisa idea gli balenava in mente – è stato incaricato dal Comandante Supremo di accompagnare sua nipote.”
“Eh? – iniziò Fury, sgranando gli occhi, ma poi, obbedendo all’occhiata penetrante che gli venne lanciata, si mise sull’attenti – Tenente Kain Fury a rapporto, signore.”
“Oh splendido! – sorrise il duca Esdev – mi stavo giusto chiedendo dove fosse il seguito della signora. Ed ecco anche il mio caro Fead, sapete le nostre province sono confinanti… arrivi in ritardo mio caro amico, stiamo dando una cattiva immagine della nostra etichetta.”
“Cielo, scusami Andarev – sospirò il nuovo arrivato, un allampanato uomo più o meno coetaneo del duca – ma sono tutti così affaccendati per l’incoronazione che si dimenticano persino di avvisarmi. E’ pensare che mancano ancora una quindicina di giorni… benvenuti, miei signori, sarà mio piacere scortarvi fino ai vostri appartamenti! Non mi pare il caso di stare qui ad indugiare in convenevoli: sappiamo bene quanto viaggiare per metà Drachma possa essere stancante. Prego, venite con me…”
E a quelle parole dei giovani paggi comparvero quasi per magia da delle porte laterali, prendendo immediatamente tutte le valige che stavano deposte sul terreno.
“Bene, mia cara – commento il duca Esdev, offrendole il braccio – tu ed il tuo seguito venite con me: sarà una piacevole passeggiata per arrivare al mio palazzo, per niente stancante, te lo prometto.”
 
Fead Ferstoj sembrava una vera e propria ape regina attorno alla quale ronzavano impazienti decine e decine di api operaie. Sembrava che tutta l’organizzazione degli eventi dei prossimi giorni dipendesse da lui e dunque, mentre accompagnava Roy e i suoi uomini attraverso lussuosi corridoi e colonnati che mettevano in comunicazione le diverse aree della Cittadella, veniva continuamente affiancato da ciambellani o altri attendenti che gli chiedevano qualcosa, gli davano fogli da firmare, attendevano indicazioni e così via.
Questo fece sì che il generale ed il suo seguito godessero di una certa libertà di comunicazione.
“Signore, ma come facciamo con il tenente colonnello e Fury? – chiese Havoc ad un certo punto, mentre il loro cicerone continuava a camminare e nel contempo a dare indicazioni su un determinato menù per una cena – questa storia della divisione non mi piace.”
“Purtroppo non avevamo molta scelta, Havoc – ammise Roy con uno sbuffo impaziente – anzi è stato un bene che Fury sia arrivato proprio in quel momento: almeno sono in due.”
“Non è proprio la guardia del corpo a cui affiderei la nipote del comandante supremo…”
“Infatti è solo il suo seguito e, anzi, meno male che non hanno fatto domande su come mai sia un soldato e non una dama di compagnia o cameriera… almeno tramite lui sarà facile mantenere i contatti: non credo che si porranno problemi nel vedere dei soldati che parlano tra di loro.”
“Sarà, ma lasciare il marmocchietto a gestire una cosa simile non mi tranquillizza – ammise Breda, mentre Falman annuiva con aria impassibile – non che non mi fidi di lui, tutt’altro. Ma siamo oggettivamente in un ambiente che non conosciamo e lui non ha molta esperienza in simili cose.”
“C’è il tenente colonnello con lui, non è mica solo: deve solo recitare il ruolo di una specie di paggetto in divisa. Non si aspetteranno grandi cose da lui, che diamine.”
“Ah, eccomi di nuovo a voi, scusate – Fead Ferstoj si accostò a Roy – l’incoronazione del nuovo Autarca sta mettendo a dura prova l’organizzazione della cittadella! Comunque, per rispondere alla sua domanda, generale, io sono un barone, non un duca. E’ un po’ intricato per chi non ha dimestichezza con il nostro sistema governativo… vede, tutte le provincie sono baronati e dunque siamo tutti baroni. Ma oltre a questo bisogna tenere conto del Consiglio dei Dieci, l’organo consultivo che affianca l’Autarca: in esso ci sono tre duchi, sei baroni e, ovviamente il Patriarca. Attualmente io ho il ruolo di Barone delle Costruzioni, ma se per esempio avessi quello di Duca dell’esercito allora sarei un duca, mi capisce?”
“Più o meno…” ammise Roy stordito, lanciando un’occhiata a Falman. Era sicuro che il suo fidato capitano sarebbe riuscito a districarsi con tutte quelle informazioni che venivano date alla rifusa.
“In ogni caso sappiate che… oh, scusate di nuovo! Ma no! No! Vi avevo detto che questi inviti dovevano essere spediti ieri! Ah che disastro!”
“Quell’uomo morirà d’infarto entro la settimana se continua ad agitarsi così…” commentò caustico Breda.
“Ciarla peggio di mia moglie!” sogghignò Havoc.
“Infatti spero che ci liberi della sua presenza il più presto possibile.” sospirò Roy.
 
Riza continuava a pensare che quella separazione proprio non ci voleva: come poteva proteggere il generale se non sapeva nemmeno dove si trovava? Ogni tanto lanciava occhiate a Fury che camminava tre passi dietro lei ed il duca Esdev e cercava di convincersi che, in qualche modo, tramite lui, il gruppo riuscisse a stare in comunicazione.
“Che hai, mia cara? Molto stanca, vero? Perdonami, ti sto tediando con le mie chiacchiere.”
“Ma no, assolutamente – si costrinse a sorridere mentre procedeva per quei viali lastricati a braccetto del duca – ammiravo solo questi bei cortili.”
“Dal mio palazzo potrai godere anche di una vista più selvaggia – le spiegò l’uomo – si trova proprio al confine della Cittadella e dà sul bosco che sta a nord della città:  lì passa il fiume principale del paese ed è uno spettacolo veramente rilassante.”
“Sarà meraviglioso immagino… piuttosto, mi chiedevo come mai io ed il generale Mustang non abbiamo avuto assegnamento nello stesso palazzo. Mi è sembrato di capire che la maggior parte delle ambasciate alloggi nel palazzo degli Anditev.”
“Sì, ovviamente, ma tu mia cara ti annoieresti a stare lì in mezzo a tutti quei discorsi di politica e diplomazia… senza contare che Alexand ancora non si decide a prendere moglie, benedetto ragazzo! Eppure ha la stessa età di Derekj… anche se lui deve pensare prima a ben altre cose. Insomma ventinove anni sono un’età più che giusta per il matrimonio!”
“Derekj? – Riza ormai si costrinse a partecipare attivamente alla conversazione – vostro figlio?”
Il duca scoppiò a ridere a quella domanda.
“No, direi proprio di no, mia cara! Anche se lo conosco sin da quando era infante e lo considero un po’ come figlio mio! Eh, è il mio difetto… mi affeziono ai giovani, mi fanno grande tenerezza: sono una sorta di zio putativo per la generazione che sta prendendo il nostro posto. Comunque, per rispondere alla tua domanda, Derekj Drachvoic è il tuo vero ospite: è lui il prossimo Autarca.”
Riza sgranò gli occhi, non credendo possibile che quell’uomo parlasse con tanta naturalezza e complicità del futuro sovrano di Drachma. Tuttavia, considerando che le dieci famiglie del paese vivevano a stretto contatto in quella Cittadella, era anche ovvio che si fosse arrivati a questa strana forma di famiglia allargata.
Un po’ come abbiamo fatto noi stando a stretto contatto in ufficio ogni giorno.
“E poi a casa mia avrai almeno la compagnia di mia figlia Kora: sarebbe stato disdicevole lasciarti in mezzo a tutti quei noiosi uomini… sarà un vero piacere avere la tua presenza nel mio palazzo, cara. Eccoci arrivati: questo è l’ingresso della mia residenza privata: ancora un paio di cortili e finalmente arriveremo a casa. Ti ho fatto preparare le stanze migliori, ovviamente.”
“Spero che la presenza del tenente non vi crei troppo disturbo…” Riza si sentì in dovere di ricordare che c’era anche Fury a cui pensare.
“Oh ma nessun problema!”
“E’ molto caro a mio nonno – continuò lei, cercando di mettersi in posizione di vantaggio – e anche a me. Spero sia possibile che i nostri alloggi siano vicini.”
“Come tu desideri – annuì il duca, girandosi ad osservare Fury che arrossiva leggermente nel sentirsi chiamato in causa – avete un’intera ala del palazzo a disposizione e la servitù ci impiegherà ben poco a…”
“Duca Esdev! – esclamò una voce allegra – Mi stavo giusto chiedendo che fine aveste fatto!”
“Oh bella! Principe Ming il vostro arrivo era previsto per domani!” ridacchiò il duca, fermandosi e guardandosi attorno, come se cercasse di capire da che parte sarebbe arrivato il suo ospite.
Riza non ebbe dubbi nel girarsi verso destra: il suo istinto l’aveva avvertita già da un minuto buono della presenza di qualcuno che li osservava. Con espressione placida osservò il principe di Xing uscire da un sentiero laterale e avanzare con passo tranquillo verso di loro, le mani dietro la schiena come se fosse una normale passeggiata.
Subito la donna cercò qualche somiglianza con l’imperatore Ling Yao, ma ne vide poche… forse nei capelli neri tirati indietro nella classica acconciatura dei nobili dell’est. Per il resto era parecchio più alto di Ling, con gli occhi scuri solo leggermente allungati: questi brillavano inequivocabilmente di vivacità ed intelligenza e rifletterono l’educato sorriso che l’uomo le rivolse come arrivò vicino a loro. Indossava i tipici pantaloni larghi di Xing e una casacca bianca si intravedeva dall’ampio soprabito color sabbia.
“Signorina Riza Hawkeye – annunciò il duca – lasci che le presenti il principe Shao Ming, fratello dell’imperatore Ling Yao e nostro gradito ambasciatore di Xing da ormai diversi anni.”
“Il territorio del mio clan ha l’onore di confinare con Drachma – spiegò il nuovo arrivato, portando le mani avanti in un gesto di saluto e mostrando così un ventaglio di piume bianche che teneva con la destra – è più che normale che si occupino i Ming di tali rapporti diplomatici.”
“Lei è la nipote del comandante supremo di Amestris: ci fa l’onore della sua presenza all’incoronazione.”
“Riza Hawkeye? – il principe la guardò e per qualche secondo Riza si irrigidì – è un piacere incontrarla, signora. Per qualsiasi cosa le offro il mio appoggio e quello del mio clan.”
“La ringrazio, mio signore – si costrinse a dire Riza, sperando che quell’uomo non l’avesse associata al generale e alle sue visite a Xing. Del resto non si ricordava di aver mai visto quel particolare principe… ma erano così tanti – dunque anche voi alloggerete qui?”
“Il principe Shao è ormai uno di famiglia – spiegò il duca – e dove sono le tue guardie del corpo? Immagino nascoste da qualche parte qui nei pressi… diamine, ogni tanto quei due mi fanno prendere certi spaventi! Ma ora andiamo, suvvia: la signora ha chiaramente bisogno di un buon riposo dopo tutto il viaggio che ha affrontato in questi giorni. Anzi, se permettete… vi precedo per verificare che tutto sia in ordine: posso affidarla a voi, principe?”
“Ovvio!” sorrise amabilmente Shao Ming mentre osservava il duca allontanarsi con passo affrettato, seguito dai due paggi che portavano i bagagli.
Rimasti soli finalmente Fury si affiancò a Riza, pronto ad eseguire qualunque ordine le desse in quel poco tempo che avevano a disposizione. Ma poi esitò, rendendosi conto che non era proprio soli.
“Vi ricordavo ben diversa in divisa, tenente colonnello… anzi, all’epoca dell’ultima visita eravate maggiore.”
Shao Ming sorrise con malizia mentre si sventolava il ventaglio davanti al viso con aria innocua.
“Ecco…” iniziò Riza, scambiandosi un’occhiata preoccupata con Fury.
“Oh, ma state tranquilla – alzò le spalle il principe – conosco la società di Drachma abbastanza bene e capisco la situazione. Oso ipotizzare che il resto dell’ambasciata veda come capo il generale Mustang.”
“Ipotizzate bene – annuì Riza, decisa a giocare a carte scoperte – posso contare sulla vostra discrezione?”
“Grande amicizia lega il mio fratello minore e sovrano ad Amestris, i Ming sono fedeli servitori del trono: non c’è altro da dire, signora.”
“Fratello minore…” mormorò Fury.
“Sì, certo: Ling Yao era il dodicesimo erede al trono, io ero il nono. Sono di ben nove anni più grande. Ah, prima che me ne dimentichi: Mio, Sin, palesatevi e presentatevi ai nostri amici di Amestris.”
Fu come sentire due lievi folate di vento e, se non fossero stati preparati ad un evento simile, Riza e Fury avrebbero fatto un balzo indietro per la sorpresa. Invece riuscirono a mantenere la calma mentre due guardie del corpo, vestite esattamente come era solita fare Lan Fan, comparivano come per magia ai lati del loro principe. Con un gesto praticamente simultaneo i due si levarono la maschera cerimoniale che indossavano e si inginocchiarono con deferenza davanti a Riza.
“Mio e Sin sono gemelli – spiegò Shao, indicando con il ventaglio prima quello di destra e poi l’altro – e sono mie fidate guardie del corpo sin dall’adolescenza. Potete sempre contare su di loro, sia ben chiaro. Mio, Sin, importanti e profondi sono i vincoli che legano mio fratello ad Amestris e a queste persone: non credo di dover aggiungere altro.”
Il capo coperto dei due gemelli si chinò di qualche centimetro ancora prima che entrambi si rialzassero in piedi e sparissero di nuovo tra la rigogliosa vegetazione del cortile.
“Vogliamo andare, signori? – chiese il principe, indicando con il ventaglio il sentiero da seguire – sicuramente il mio caro amico è ansioso di mostrarvi le vostre camere. Devo dire che sono molto felice di trovarvi qui: non ho grandi rapporti con gli altri ambasciatori data la lontananza dei nostri paesi, ma con Amestris la situazione è ben differente.”
Fury lanciò una timida occhiata a Riza e questa annuì: si potevano fidare di quell’uomo, almeno per il momento. E sicuramente poteva essere utile per spiegare loro come muoversi per il meglio nel complicato mondo che sembrava essere quella Cittadella.
Così non esitarono a seguirlo.



 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. La giovane holai. ***


Capitolo 5.
La giovane holai



Fury attendeva diligentemente davanti alla porte delle stanze del tenente colonnello.
Era la prima mattina che passavano nel lussuoso palazzo del duca Esdev e, finalmente, grazie ad una profonda dormita in un letto morbido e comodo, aveva spazzato via tutta la stanchezza di quei giorni di viaggio in treno. A svegliarlo erano stati gli uccellini che cinguettavano nel cortile dove si affacciava la sua stanza e questo, per qualche secondo, gli aveva fatto credere di essere nella sua tranquilla casa di campagna, tanto che si era addirittura aspettato di sentire sua madre che lo chiamava per la colazione.
Se doveva essere sincero quel palazzo lo metteva leggermente a disagio: era così pieno di oggetti preziosi e arredi di lusso, persino la sua stanza si poteva definire principesca. Si sentiva fuori posto in un mondo così brillante ed, effettivamente, il pranzo e la cena del giorno prima, così come la colazione di quella mattina, li aveva consumati nelle sue stanze e non alla tavola del duca come invece era stato richiesto al tenente colonnello.
“Non ho mai visto un soldato con gli occhiali.”
Quella voce fece trasalire Fury che subito si girò di lato, arrossendo per esser stato colto di sorpresa.
A parlare era stata Kora, la figlia del duca Esdev che gli era stata presentata il giorno prima assieme al fratello gemello Kyril. Ora, il tenente era parecchio ignorante in materia di femmine: diverse volte Havoc e Breda avevano cercato di coinvolgerlo con qualche ragazza, ma la cosa non si era spinta mai oltre qualche risata assieme. Sapeva bene di suscitare nelle donne qualcosa di simile alla tenerezza verso un figlio o un fratello piccolo e questo in parte lo faceva vergognare, ma gli procurava anche sollievo perché non era sicuro di essere in grado di gestire qualcosa di complicato come l’amore di una donna.
E Kora Esdev non faceva altro che confermare questo suo pensiero: era incredibilmente bella con quell’abito azzurro chiaro che valorizzava la vita sottile ed il petto non esagerato. Ma era soprattutto il viso a colpire Fury: affilato, con grandi e brillanti occhi azzurri, la carnagione pallida ma con del trucco sapientemente messo a colorare le guance in modo estremamente naturale. E poi quei capelli lisci e biondi, tanto da sembrare quasi bianchi… completamente diversi dal biondo molto più caldo di quelli del tenente colonnello.
“Li porto da quando ho sei anni, signorina – disse con educazione – non è che…”
“Come può un soldato non vederci bene? – lei gli girava attorno con le mani dietro la schiena. Aveva una voce maliziosa e cristallina, incredibilmente accattivante, eppure con la sgradevole idea di presa in giro perenne – Se perdi gli occhiali la tua utilità viene meno, no?”
Per qualche secondo Fury pensò che la giovane gli avrebbe preso di colpo gli occhiali per poi scappare via, in uno scherzo tipicamente infantile. Non sapendo cosa rispondere si limitò ad abbassare lo sguardo, continuando ad ascoltare quella voce squillante. Durante il viaggio in treno, stando accanto anche ad altri soldati, aveva scoperto che Drachma e Amestris avevano dei linguaggi molto simili, anche se la pronuncia si differenziava parecchio: riusciva a capire tutto quello che dicevano, eccetto qualche lemma particolare. Però, una volta giunto in cittadella, gli era parso che tra i nobili le varie intonazioni venissero annullate del tutto in favore di un linguaggio neutro e sicuramente più ricercato.
“Eccomi, Fury, scusa se ti ho fatto attendere. Buongiorno, lady Kora.”
La voce di Riza giunse come una benedizione, tanto che Fury alzò lo sguardo e sorrise di sollievo nel vedere la donna chiudere la porta delle sue stanze e avanzare verso di loro. Al posto dei vestiti da viaggio del giorno prima indossava un caldo abito blu scuro che niente aveva da invidiare a quello dell’altra, anzi se era possibile il tenente colonnello era decisamente più elegante e nobile considerata l’aria più composta. I capelli erano tenuti in parte dietro dal solito fermaglio e poi ricadevano come una cascata d’oro sulla schiena.
“Buongiorno, signora – salutò Kora con un leggero broncio di disappunto – spero che abbiate dormito bene nelle stanze che vi sono state assegnate.”
“Splendidamente, grazie. Vostro padre?”
“Papà è andato al palazzo dell’Autarca per sovrintendere come sempre alla cerimonia – scrollò le spalle la fanciulla con aria annoiata – ha detto che ritornerà per pranzo. Per qualsiasi cosa ha detto di chiedere pure a me…”
Ma era chiaro che Kora Esdev voleva tutto meno che Riza si rivolgesse a lei: era una di quelle fanciulle che non si facevano problemi a far capire quando una persona le stava antipatica o meno; chiaramente viveva nella certezza che con il suo rango ed il suo visino si poteva permettere questo e altro.
“Sorellina, eccoti qui – una nuova voce fece girare il trio e Kyril, il fratello gemello, fece la sua comparsa da un corridoio – che è quel broncio adesso? Non è molto cortese, sai…”
“Oh, lascia stare, Kyril – sbuffò lei – mi annoio: vado a trovare le mie amiche al palazzo dei Tojanev! Torno per pranzo!”
“Ma nostro padre ti ha chiesto di far compagnia…” tuttavia le parole morirono in bocca al giovane. Kora aveva già girato le candide spalle a tutti loro e con una corsa non priva di una certa eleganza era fuggita per i corridoi.
“Vi prego di scusarla – sospirò il giovane, fissando a turno Riza e Fury con occhi identici a quelli della sorella – quando non è lei al centro del mondo si comporta un po’ da maleducata.”
“Non si preoccupi, signore, non fa nulla – sorrise cortesemente Riza – io ed il tenente possiamo tranquillamente badare a noi stessi.”
“Sul serio? – chiese lui con sollievo – ammetto di avere diversi impegni improrogabili.”
Impegni talmente improrogabili che si congedò con una velocità davvero impressionante, lasciando finalmente Riza e Fury da soli. I due si scambiarono un’occhiata e poi il soldato sospirò di sollievo suscitando una risatina divertita del suo superiore.
“Perdonami, Fury, ti prometto che la prossima volta non ti lascerò ad attendere così tanto.”
“Fa niente, signora – sorrise lui, recuperando il buonumore – allora, quali sono le sue disposizioni per questa mattinata?”
“Stamane starai assieme a me: il principe Ming ci ha invitato nelle sue stanze. Di pomeriggio, invece, ti chiedo di andare dal generale e di riferirgli della nostra sistemazione e di altri particolari che magari salteranno fuori oggi. Avrai un ruolo molto importante, Fury – gli disse, mettendogli una mano sulla spalla – sarai il collegamento tra me e gli altri finché saremo separati così.”
“Si fidi di me, signora – annuì lui, mettendosi sull’attenti e sentendosi incredibilmente fiero per quel compito di fiducia – non la deluderò, promesso.”
 
Sebbene Riza mantenesse la dovuta prudenza, era ben lieta che nel palazzo fosse presente anche il principe Ming. Conosceva Drachma sin da quando era giovane e molto spesso era stato ospite alla Cittadella: era dunque in grado di svelare e spiegare i complicati grovigli della politica e della mobilità di quel paese. Del resto tra Drachma ed il potente impero dell’Est c’erano sempre stati buoni rapporti: erano abbastanza accorti da sapere che non era il caso di iniziare una guerra logorante per dei confini tutto sommato definiti.
“I nostri contatti con Drachma sono sempre stati più che cortesi – sorrise, mentre passeggiava nel cortile con Riza accanto e Fury due passi dietro – abbiamo instaurato accordi commerciali sin dai tempi più remoti. Credo che i principi della mia famiglia sino stati i primi ambasciatori stranieri a poter entrare nella capitale e nella Cittadella.”
“Adesso capisco perché vi è riservato un trattamento di favore – ammise Riza – non siete assieme agli altri ambasciatori, venite piuttosto trattato come un vecchio amico.”
“Anche, ma si tratta pure di mere questioni pratiche – si sventolò il ventaglio piumato con malizia – Rosha, Creta, Bystein… sono paesi lontani, al confine occidentale, che non hanno niente a che vedere con Xing: il mio ruolo in questa occasione è puramente cerimoniale, mentre è chiaro che con gli altri paesi il nuovo Autarca vorrà prendere degli accordi di politica estera.”
“Derekj Drachvoic – Riza pronunciò quello strano nome – lo conoscete?”
“Sin da quando ho iniziato a seguire mio zio nelle ambasciate, all'epoca avevo sedici anni. E’ un giovane in gamba e sarà un buon governatore: la maggior parte della nobiltà è a suo favore e se arriverà indenne all’incoronazione il più sarà fatto.”
“Indenne? Si trama contro di lui?”
“L’intrigo a Drachma è quasi una tradizione – ammise Shao Ming con una scrollata di spalle – un po’ come nel mio paese, anche se le regole del gioco sono differenti. A Xing l’imperatore sposa la figlia di ogni capoclan e poi uno dei principi nati prenderà il suo posto. Che sia il primo o il dodicesimo non ha importanza: la linea di sangue viene mantenuta. Non so se il mio caro fratello vorrà cambiare una simile tradizione, dato che ancora non ha sposato nessuna fanciulla degli altri clan, ma sono dettagli.”
“Non sembrate minimamente preoccupato da una simile eventualità – notò Riza, scrutandolo con attenzione – eppure mi era sembrato di capire che la competizione è molto accesa tra i cinquanta clan di Xing.”
“Fondamentalmente è così, ma vi sono le eccezioni. Il Clan dei Ming gode di una posizione privilegiata: i nostri rapporti commerciali con Drachma sono linfa vitale per il paese e questo ci pone in posizione di favore agli occhi dell’imperatore, di qualunque famiglia esso sia. Non vale la pena di esporsi per la competizione al trono: il sangue Ming non è fatto per stare fermo a corte e scontrarsi ogni giorno con rigidi cerimoniali e riunioni consiliari. Io sono nato solo perché era dovere di mia madre dare un candidato al trono del mio clan, tutto qui… ma penso che tutti sapessero bene che non avrei mai partecipato attivamente alla pretesa al trono. Certo, ho subito una buona dose di attentati durante la mia adolescenza, ma sono quasi tradizioni, così come avere guardie del corpo.”
“E quindi dite che anche a Drachma ci sono situazioni simili?”
“Sì, ma in modo differente – parlava con disinvoltura e classe, ma Riza notò che aveva la sicurezza di una persona abituata a comandare. Si sorprese a pensare che Shao Ming sarebbe stato un candidato al trono di Xing più che valido – il titolo di Autarca è in teoria simile a quello di sovrano e dunque passa al primogenito maschio, sempre che abbia raggiunto la maggiore età. Nel caso sia ancora minorenne allora il Consiglio dei Dieci, composto dai capofamiglia delle dieci famiglie maggiori di Drachma, regge il governo sino al compimento dei diciotto anni dell’erede… ma avendo Derekj ventinove anni direi che non è il nostro caso. Tuttavia, ufficialmente, almeno cinque volte nel corso dei secoli ci sono stati dei veri e propri colpi di stato con l’uccisione del nuovo Autarca, poco prima o poco dopo la cerimonia d’incoronazione.  Se la maggioranza dei nobili non ritiene il candidato degno preferisce eliminarlo in modo da non creare fastidiose contese per il trono. E’ per questo che il periodo di interregno è particolarmente delicato: anche se Derekj ha buone e solide basi non si sa mai che qualcuno colga l’occasione per farlo fuori… è la problematica di ogni corte: ognuno ha sempre dei motivi più che validi per appoggiare o meno qualcuno.”
“Ma così poi si scopre chi è l’assassino – protestò Fury – insomma se diventa nuovo Autarca è chiaro che è stato lui a voler eliminare l’altro, no?”
“Se alla nobiltà va bene anche il nuovo candidato la cosa ha poca importanza – scrollò le spalle Ming – assassinio, agguati… è un gioco a cui noi principi siamo abituati sin da piccoli. Del resto, soldato, il tuo superiore non ha scalato i ranghi molto in fretta? Questo spesso non gli ha procurato dei nemici? Semplicemente i metodi sono differenti e ciascuno gioca secondo le proprie regole…”
Si interruppe e si mise a scrutare intensamente verso una precisa direzione del cortile. I due Amestriani seguirono quella direzione e dopo qualche secondo videro la giovane Kora che ritornava a palazzo dopo la mattina trascorsa con le sue amiche. Se anche li vide, la figlia del duca non li calcolò.
“Ecco – disse Shao Ming con aria furba – lei è quella che nel mio paese definiremmo holai, ossia una bomba che non si sa quando esploderà. A volte mi pare assurdo che sia la figlia di quel bonaccione del duca: deve aver preso tutto dalla madre che non pare fosse molto normale.”
“No?” chiese Riza, osservando la fanciulla scomparire dentro il palazzo.
“La madre era una Drachvoic, più precisamente la sorella del defunto Autarca… Kora e Kyril sono cugini di Derekj. Pare che, ogni tanto, in quella famiglia ci siano delle tare di sangue che si palesano ad intervalli irregolari.”
“Tare di sangue?” Fury non capiva.
“I Drachvoic sono stati la prima famiglia nobile, si può dire che lo stato di Drachma sia nato con loro. Piano piano si espansero, conquistando anche i territori degli altri clan che col tempo da sottoposti divennero alleati e così via. Tuttavia per parecchie generazioni, basandosi su una presunta superiorità, vollero tenere una purezza di sangue: si sposavano tra consanguinei… cugini, ma anche fratelli. I casi sono divenuti sempre più rari fino a sparire circa cinquant’anni fa, ma spesso stranezze caratteriali si ripresentano all’improvviso.”
“A me Kora pare solo particolarmente viziata…” scosse il capo Riza con severità.
“Probabile – ammise Shao – forse il duca è stato troppo accondiscendente con lei ed il fratello dato che non hanno mai conosciuto la madre: è morta nel metterli al mondo. E certamente gli altri figli del duca non hanno mai prestato molta considerazione ai gemelli: succede tra fratellastri.”
“Mi viene il mal di testa con tutte queste complicazioni dinastiche – ammise Riza – ci vorrebbe Falman qui, vero, Fury?”
“Sì…” mormorò il giovane, continuando a guardare in direzione del palazzo. Improvvisamente si sentiva dispiaciuto per quella fanciulla.
Forse… forse voleva solo attirare la mia attenzione perché è sempre sola.
 
Mentre Riza e Fury si destreggiavano nello strano mondo degli intrighi di corte, sapientemente guidati dal principe di Xing, Roy non aveva la stessa fortuna.
Qualche ora dopo, quel pomeriggio, cercava affannosamente un modo per potersi elegantemente districare dalla conversazione a cui stava partecipando.
Aveva conosciuto Tares Hiters a Central City qualche anno prima, e sembrava che l’ambasciatore di Creta non avesse minimamente perso la sua capacità di essere tedioso a livelli insopportabili. Adesso il giovane rappresentante del governo centrale dello stato occidentale, non faceva altro che pavoneggiarsi di alcuni suoi brillanti successi in campo diplomatico… sicuro che il nuovo Autarca l’avrebbe convocato  privatamente per stringere chissà quale accordo.
Ed in tutto questo non la smetteva di lanciare occhiate eloquenti a Roy, quasi a fargli capire che era più che conveniente avere come amici loro di Creta. Peccato che il generale sapeva benissimo che quello stato era uno dei più ambigui mai conosciuti: così piccolo, con una politica interna instabile, eppure si teneva a galla in mezzo a dei colossi come Drachma, Aerugo ed Amestris.
Non che l’ambasciatore di Rosha gli fosse da meno e all’aria di importanza aggiungeva anche una claque di attendenti pronti ad annuire o mormorare la loro approvazione ad ogni minima parola dicesse.
“Generale, eccola qua – Breda arrivò in suo soccorso – potrei parlarle qualche minuto?”
“Ma certo, maggiore! – Roy dovette trattenere l’entusiasmo – vogliate scusarmi, signori…”
Come si fu allontanato da quel covo di vespe ronzanti a distanza sufficiente, Roy si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo che fece sghignazzare il suo collaboratore.
“Sono intervenuto in tempo, vero? Spero che non si arrabbierà nel scoprire che in realtà non avevo niente di particolare da dirle.”
“Ti promuoverei tenente colonnello all’istante, sappilo – gli batté una mano sulle robuste spalle – ecco perché odio la diplomazia!”
“Le ricordo che se un giorno sarà Comandante Supremo sarà costretto ad aver a che fare con individui simili molto spesso. Se ne faccia una ragione, signore.”
Finalmente riguadagnarono gli appartamenti che erano stati riservati all’ambasciata di Amestris. Chiudendo la porta alle loro spalle, Roy non fu troppo sorpreso di trovare Havoc beatamente stravaccato sul divano, intento a fumare una sigaretta. Falman invece sfogliava con grande interesse uno dei volumi della fornita libreria in legno pregiato che occupava buona parte della parete sinistra.
Tutto questo non poteva che fargli piacere: finalmente dopo quel viaggio in treno poteva stare con la squadra così alla mano e priva di cerimoniali.
“Si faccia uno spuntino, signore – strizzò l’occhio Breda andando al tavolo con un vassoio colmo di leccornie – le cucine di Drachma sono meglio di diverse mense militari che ho avuto la sfortuna di visitare.”
“E così dopo il cibo di tutta Amestris e di quello di Xing ora ti butti anche su quello di Drachma – rise Havoc – sei senza vergogna!”
“Non sono io quello sdraiato su un lussuoso divano come se fosse a casa sua!”
“Oh, sta zitto: con la moglie che mi ritrovo un lusso simile non me lo posso permettere da tempo! Ah, come rimpiango il mio appartamento da scapolo impenitente.”
“Ma finiscila – lo prese in giro Roy accomodandosi con eleganza su una poltrona – comunque più che fame ho sete: c’è ancora di quel delizioso vino speziato?”
“Gliene verso subito un bicchiere… Falman, tu vuoi qualcosa?”
“Che? Oh no, la ringrazio, maggiore!”
“Trovato qualcosa di interessante in quei libri?” chiese Roy.
“Parlano della storia di Drachma fondamentalmente – annuì Falman sfogliando alcune pagine – è un paese davvero sorprendente, signore. Più di milleduecento anni di storia ed evoluzione di politica.”
“Oh ti prego! – sbuffò Havoc – niente lezioni, grazie! E’ già noioso stare qui tutto il giorno.”
“Già, avete notato? – ammise Roy con aria furba – siamo gentilmente confinati in questo palazzo: che deduzioni ne possiamo trarre?”
“Che non si fidano di noi.” rispose prontamente il biondo.
“O che vogliono evitare che altri parlino con noi – propose Breda con un’occhiata furba nei confronti di Roy che subito annuì – ci tengono sulle spine nell’attesa della fantomatica cena della settimana prossima in cui il fantomatico erede uscirà dal periodo di lutto per la morte del padre.”
“Da quanto dicevano i nostri noiosi amici ambasciatori, il principe Derekj non ha mai avuto grandi rapporti con le ambasciate… ma poteva essere solo un modo di evitare tedianti discorsi ed in quel caso ha tutta la mia comprensione.”
“Che palle la diplomazia – sbuffò Havoc – francamente preferirei andare in qualche caserma a vedere come sono organizzati qui e magari farmi qualche tiro al poligono. Non vorrei andare fuori allenamento: è da tanto che io ed il tenente colonnello non ci facciamo una bella sfida e…”
Forse avrebbe aggiunto altro, ma i suoi occhi azzurri si accesero di aspettativa e fece cenno a tutti quanti di proseguire a discutere. Breda e Roy ripresero a parlare, osservando le mosse del soldato biondo che, con silenziosa eleganza felina, si era alzato dal divano e si era accostato la porta.
“Allora Breda – disse Roy alzandosi in piedi e tirando fuori dalla tasca uno dei suoi guanti – ti piace l’arrosto di questo paese?”
“Non troppo bruciacchiato, signore – sorrise il rosso, mettendo mano alla pistola, mentre osservava Havoc mettere una mano sulla maniglia – dipende dall’animale… particolarmente buoni sembrano essere i piccoli spioni!”
Havoc aprì di colpo la porta e uno stupefatto Fury fu quasi colpito da infarto nel vedersi puntata addosso la pistola.
“Cazzo, tenente! – sbottò il biondo afferrandolo per il colletto e tirandolo dentro – Bussare no?”
“E’ che… io… io volevo bussare! – spiegò il giovane rimettendosi a posto gli occhiali – ma prima mi hanno dato le indicazioni sbagliate e sono finito in mezzo a… a dei tipi che mi hanno quasi accusato di spionaggio o qualcosa di simile! Credo… spero di non aver creato qualche incomprensione diplomatica, generale. E nel caso me ne rammarico sinceramente. E’ che è un vero labirinto questo posto: ci ho impiegato quasi un’ora per arrivare in questo palazzo!”
“Rilassati, tenente – sospirò Roy con indulgenza rimettendosi il guanto in tasca e andando a dare un’arruffata di capelli al giovane – anche se hai fatto il bambino maleducato, nessuno ha intenzione di sculacciarti. Però adesso mi fai ampio resoconto di dove state tu ed il t… e la signorina Hawkeye: ogni singolo dettaglio, intesi?”
“Certo, signore – annuì Fury, lieto di ritrovarsi nel solito clima di complicità della sua squadra: accolse con gioia persino lo schiaffetto sulla nuca che gli diede Havoc – però prima ho avuto preciso ordine da parte della signora di chiedere se va tutto bene e se ci sono guai in vista. E se lei sta facendo il suo dovere di ambasciatore…”
Roy e Breda si scambiarono un’occhiata d’intesa: no, non era il caso che Fury sapesse di quella piccola fuga di poco prima.
 
Circa un’ora dopo Fury ripercorreva a ritroso quei corridoi e quei cortili, lieto come poche volte.
Era stato felicissimo di passare quel tempo con il resto della squadra e vedere che andava tutto bene: sicuramente il tenente colonnello sarebbe stata felice del suo operato. Si sentiva davvero importante e orgoglioso di adempiere al ruolo di araldo tra i due gruppi: in fondo era lui l’esperto in comunicazioni… ed in assenza di radio vere e proprie…
Oh dai, non mentire a te stesso – si disse – sai bene che hai portato gli auricolari per tutti in caso di necessità.
Però ovviamente non aveva nessuna intenzione di tirarli fuori dal suo bagaglio: sarebbe stato estremamente scortese nei confronti dei loro ospiti.
“E ora… a destra… no, aspetta… forse era prima che dovevo girare a destra?”
Quel corridoio gli era totalmente nuovo, non gli sembrava di averlo attraversato quando aveva fatto il percorso in andata. Si guardò intorno, cercando qualche punto di riferimento o qualche persona a cui chiedere, ma proprio come nemmeno un’ora prima era tutto un brulicare di persone, adesso pareva di stare in un palazzo abbandonato.
Dalla finestra vide ormai il sole stava per tramontare: tra poco sarebbe stata ora di cena e sicuramente il tenente colonnello si stava preoccupando per questa sua prolungata assenza. Senza contare che non era il caso di destare sospetti nel palazzo del duca Esdev.
Passandosi una mano tra i capelli dritti tornò indietro e provò a svoltare a destra nel corridoio prima… ma dopo un paio di questi espedienti dovette arrendersi all’evidenza che si era clamorosamente perso.
“E ora…?!” ansimò nel panico posandosi contro una parete.
“Sei proprio imbranato, vero piccolo soldato?”
Fury si girò in tempo per vedere Kora che lo fissava con malizia, uscita da chissà quale tenda o porta di cui lui ignorava l’esistenza: era certo che fossero posti stracolmi di passaggi segreti.
“Piccolo soldato?” arrossì intensamente a quel soprannome. In primis aveva ormai ventisette anni, non era più così piccolo. Ed inoltre era così che l’aveva chiamato ogni tanto il tenente colonnello, specie nei primi anni che aveva trascorso in squadra… sentire quelle parole dette da un’altra persona gli dava notevole fastidio.
“Ti sei perso, vero?” ridacchiò ancora lei, girandogli attorno prima di portarsi davanti a lui: non era altissima, anzi… erano uguali.
“Sì – ammise alla fine – anzi, visto che ci si trova… le dispiacerebbe indicarmi la strada?”
“Sei piccolino e impacciato – disse lei invece, posando l’indice curato sulla guancia di Fury – un piccolo soldato da prendere in giro…”
“Lady Kora, non dovrebbe…”
“Sì, ho deciso: sei il mio giocattolino… non ti va?”
Fury non seppe come rispondere a quelle parole così assurde. Lui non voleva essere il giocattolino di nessuno, era fuori discussione.
“Non credo che…”
“Kora! Che cosa ci fai qui?”
La voce era tonante e minacciosa tanto che Fury trasalì. Vide gli occhi azzurri della giovane dilatarsi qualche secondo per il timore, ma poi tornarono ad essere seccati e annoiati.
“Michael – sbottò – non dovevi essere in monastero?”
Monastero?
Fury si girò in direzione della voce e vide che a parlare era stato effettivamente un monaco, sebbene di monacale avesse solo un saio nero come la notte, stretto in vita da un cordone di velluto dorato. Per il resto gli ricordava tantissimo il giovane Anditev che li aveva accolti appena oltre Briggs: capelli scuri e folti, occhi penetranti, solo i lineamenti erano meno aspri. Il corpo era forte e prestante sotto il saio e di certo non difettava in altezza.
A Fury sembrò quasi di aver a che fare con un monaco guerriero come quelli di Ishval.
“Sai bene che il periodo di raccolta è finito ieri – disse l’uomo avvicinandosi ancora – ma non hai risposto alla mia domanda: che ci fai qui? Sai bene che nel palazzo dell’Autarca non si può entrare prima della cena formale!”
Fury ebbe quasi paura che quell’uomo arrivasse anche a picchiare la ragazza tanta era la severità con cui la guardava. Ma Kora scrollò le spalle con insofferenza.
“Aiutavo solo il piccolo soldato a ritrovare la strada di casa: è nostro ospite se non lo sai.”
“T… tenente Kain Fury – balbettò il giovane, mettendosi sull’attenti come poteva – faccio parte dell’amba… ambasciata di Amestris.”
“Ospite? Le ambasciate sono nel palazzo del…”
“No, lui sta con noi: accompagna la nipote del Comandante Supremo e papà la ospita a casa…” spiegò Kora in tono canzonatorio.
“Capisco. Ti eri davvero perso, ragazzo?”
“S… sì…”
“Riaccompagnalo a casa, Kora. Prima o poi faremo un discorso sulla tua presenza in questo posto e spero sarai convincente, altrimenti…”
“Sì, sì, certo! – sbuffò la giovane prendendo per il braccio Fury ed inducendolo a camminare – Ci vediamo dopo, Michael!”
Il monaco non rispose, ma Fury sentì lo sguardo di quegli occhi scuri che continuava a trafiggere sia lui che la ragazza. Fu solo quando ebbero girato l’angolo che si sentì libero di respirare con più facilità.
“Chi… chi era?”
“Il mio noioso e fervente fratellastro: non perde mai occasione per farmi una predica! Ah, illuso!”
“Fratellastro?” Fury ripensò ai discorsi che aveva sentito quella mattina dal principe Ming. Guardò bene Kora e per un attimo ebbe la certezza che la ragazza soffrisse per quella situazione non proprio facile: di certo quel monaco era tutto meno che amorevole con la sorella minore.
“Si vanta tanto perché è uno dei prediletti del Patriarca, ma come diavolo fa quel vecchio a sopportarlo? Michael è così noioso, pensa solo a pregare, pregare, pregare… per lui tutta la vita è fede e devozione e così cerca di stressare pure noi altri! Si godesse la vita! Ha ventisette anni ed io venticinque!”
“Ha la mia età?” si sbalordì Fury.
“Hai ventisette anni? – chiese Kora sorpresa – te ne davo massimo venti e credevo che fossi figlio di qualcuno di importante per stare nell’ambasciata!”
“Ma no! Non sono figlio di nessuno di impor…”
“Ahah! – rise lei deliziata, una risata che riecheggiò nei corridoi vuoti, tanto che Fury sussultò – Sei davvero divertente piccolo soldato! Forza vieni: corri con me fino a casa!”
“Aspetta – annaspò lui, mentre la ragazza lo prendeva per mano – Perché correre? Non penso che si possa…”
“Proprio perché non si può! – esclamò Kora, con esaltazione – Proprio perché non vogliono!”
E a Fury non restò che farsi coinvolgere in quella folle corsa, come se fossero bambini che fuggono dagli adulti, godendosi l’ebbrezza del proibito.
Per lo meno era quella la chiara intenzione di Kora Esdev.


* holai è un termine inventato per l'occasione



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Pew che fatica, finalmente riesco a venirci a patti!
Spero vivamente di non avervi stordito con tutte queste informazioni. Se avete qualche dubbio non esitate a chiedere e vi spiegherò, ovviamente evitando spoiler.
E' che... davvero ho creato un mostro quando ho progettato Drachma e la sua nobiltà in maniera così dettagliata: sto cercando di filtrarvi le informazioni in maniera meno rintronante possibile D:

Un grazie infinite a tutte le persone che l'hanno aggiunta tra le seguite e le preferite e, ovviamente, a coloro che recensiscono, nonchè ai silenziosi lettori.  *___*

Piuttosto... mercoledì parto per le vacanze e ritorno il 10 sera: questo è stato l'ultimo capitolo che sono riuscita a scrivere. Probabilmente riuscirò ad affacciarmi qualche volta sul sito, ma per nuovi capitoli dovrete aspettare il mio rientro a casa.
Tanti auguri di buona Pasqua a tutti ^_^

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. Il serpente dominante ***


Capitolo 6.
Il serpente dominante



Con il passare delle giornate l’ambasciata di Amestris sentiva l’eccitazione crescere in maniera esponenziale in tutta la Cittadella. La famosa cena con annesso ballo che si sarebbe svolta entro due giorni, a festeggiare l’uscita dal periodo di lutto per la morte del precedente Autarca, aveva il potere di far ronzare quelle mura e quelle stanze di ordini, risatine, aspettative… come un alveare che si prepara per una grande festa in onore dell’ape regina.
“A quanto pare dalla morte del suo predecessore l’erede si è ritirato in monastero – spiegò Falman con un libro tra le mani – è la tradizione. In questo modo non solo simbolicamente esprime il suo dolore con due mesi di lutto, ma è anche una sorta di preparazione spirituale per prepararsi al suo ruolo di Autarca.”
“Vi prego, fatemi uscire da queste dannate stanze – supplicò Havoc, mettendosi le mani tra i capelli – una nuova lezione sulla storia di Drachma è troppo per me. Falman, abbi pietà! Sono cinque giorni che siamo qui e tu ad ogni benedetto pasto ci torturi con le tue lezioni! Almeno trova qualcosa sui gusti sessuali delle donne di questo paese… ne avessimo vista una!”
“Havoc, ti voglio ricordare che hai moglie e figli a casa che ti aspettano!” fece caustico Breda, mentre spalmava una generosa quantità di burro sul pane tostato.
Falman, interrotto in quella sua lezione, sospirò irritato provocando la risatina divertita di Mustang. I pasti erano i momenti di quella strana forma di prigionia che apprezzava di più: la sua squadra era sempre la stessa, non bastavano dei gradi differenti per cambiare la familiarità che avevano acquisito nel corso degli anni.
Sfido qualunque altro ambasciatore ad avere un seguito simile!
All’idea di un Havoc che sbottava pesantemente contro qualche damerino del seguito di un’ambasciata straniera, Roy tossì, cercando di dissimulare un’altra risata. Non gli andava di indisporre troppo Falman che, a dire il vero, era il membro della compagnia che si stava godendo maggiormente quel soggiorno, data la vasta quantità di libri che aveva da leggere.
“Continua, capitano – lo incitò – vuoi dire che il nostro ospite non era presente nella Cittadella?”
“Non nei palazzi, signore – rispose prontamente Falman – a quanto pare si trovava nel monastero annesso alla cattedrale maggiore, dev’essere quella con i due pinnacoli dorati che si vede dalle finestre, proprio all’estremo nord della collina. E’ lì che risiede il Patriarca che, a quanto pare, è la maggior carica religiosa del paese.”
Roy scrollò le spalle a quella notizia, ma mentalmente prese nota di quelle informazioni. Ad Amestris non c’era nessuna religione di stato, anche se, chi voleva poteva praticare il proprio credo. L’idea di religione e governo così strettamente affiancati gli dava anche notevole fastidio, ma non si dimenticava che, ad Ishval, il culto di Ishvala costituiva parte fondante della vita di quella gente.
Ma lui era un alchimista, dunque una specie di scienziato: le questioni divine non lo riguardavano, anche se aveva avuto quella tremenda esperienza di andare oltre il Portale della Verità e dunque di avvicinarsi a qualcosa di divino più di quanto avessero fatto la maggior parte dei religiosi.
“A quanto pare a Drachma religione e politica corrono su due binari paralleli – continuò il capitano, interpretando quel gesto del suo superiore come un invito a proseguire – Autarca e Patriarca provengono entrambi da famiglie nobili e restano in carica fino alla morte. L’Autarca è affiancato dal Consiglio dei dieci ed il patriarca dal Consiglio maggiore… ed indovinate? Il primo è composto dai capifamiglia delle restanti famiglie nobili, ed il secondo dai secondogeniti delle medesime. Sembra che in questo paese il ruolo di ciascuno sia definito sin dalla nascita, a seconda che si sia primogenito o secondogenito…”
“Mah, che giochi strani – sospirò Havoc – mi ricorda molto quella storia dell’alchimia del generale di brigata Armstrong, avete presente? L’alchimia tramandata di generazione in generazione… e bla bla bla! Piuttosto non vedo l’ora che arrivi Fury a farci rapporto!”
“Finiscila, vuoi solo sapere come vanno le cose con quella ragazzina di cui ci ha raccontato!” lo rimproverò Breda.
“Vuoi vedere che si svergina una buona volta? – rise il biondo – E diamine, ti giuro che se lo fa con la figlia di un nobile di Drachma… Che poi la potrebbe anche portare qui dato che ci si trova: a quanto pare quella gli fa gli agguati peggio di un gatto! Se l’è proprio trovata bella! Ma magari gli serviva un tipino simile per darsi una svegliata… non crede, generale?”
Roy si limitò a bere un sorso di quel particolare caffè speziato, che servivano assieme all’abbondante colazione, e ad inarcare le sopracciglia con aria significativa. Se doveva essere sincero pure lui era curioso di vedere come andava a finire quella singolare avventura in cui era capitato Fury, ma gli sembrava inverosimile che il suo timido tenente riuscisse a combinare qualcosa con quella ragazza.
E poi non era per niente conveniente lasciarsi andare a giochetti simili in una situazione come la loro: se fossero stati nella tranquillità di East City, Roy non avrebbe esitato a dare una spintarella al ragazzo, ma qui aveva fiducia che prevalesse il buonsenso e che tutto si concludesse per quello che era: una bolla di sapone.
“Se ti senti così sicuro, Breda, allora scommettiamo: se si svergina con quella allora mi compri le sigarette per un mese. Altrimenti ti offro da bere io per un mese!”
“… e poi c’è il tenente colonnello a tenerlo d’occhio – commentò Breda con aria significativa – vedrai che non succederà proprio niente! Ma è andata, Havoc: ho la vittoria in tasca!”
Le successive battute, tuttavia, vennero interrotte bruscamente da un bussare alla porta. Tutti si alzarono in piedi, intuendo che non si trattava di Fury, considerata pure l’ora, e non poterono fare a meno di restare sorpresi quando videro apparire Alexand Anditev. Il giovane nobile sembrava reduce da un lungo viaggio, come indicavano i vestiti leggermente impolverati, sebbene in perfetto ordine. I folti capelli scuri erano leggermente spettinati e anche la barba non era stata tagliata da diversi giorni.
“Barone Alexand – salutò Roy con cortesia – è un onore rivedervi.”
Gli occhi scuri del giovane tuttavia erano parecchio freddi e ostili, di certo più di quando si erano incontrati la prima volta: squadrarono a turno ciascuno dei soldati di Amestris e alla fine si posarono sul generale per dieci tremendi secondi.
“Mi dispiace interrompere la colazione – la voce era fredda e spietata – volevo solo avvisarvi che stasera, alle sette, siete convocato generale Roy Mustang. Fatevi trovare pronto per le sette meno dieci: verrà qualcuno a prendervi. Solo voi, vorrei fosse chiaro.”
Fu un annuncio breve e al limite della cortesia. Nemmeno dieci secondi dopo Alexand era andato via, chiudendo la pesante porta di legno pregiato con un sordo rumore, quasi avesse voluto sfogare la sua rabbia in quell’unico gesto che si poteva permettere.
“Guai in vista, signore?” chiese Breda con aria significativa.
“Probabile – ammise Roy, guardando la sua squadra – anche se non ho idea di cosa possa averlo fatto arrabbiare in quel modo. Ci eravamo lasciati con quella che potrei definire gentile cordialità.”
“Beh, non l’ha sfidata a duello, anche se poco ci mancava – commentò Havoc – comunque mi dava l’idea di qualcuno che è appena arrivato qui: puzzava ancora di cavallo e di treno. E se non si è nemmeno cambiato… è vero che mi è sempre sembrato diverso rispetto al resto dei nobili che stanno qui, però…”
“Signore, è sicuro di voler andare da solo a questo incontro? – chiese Falman – potrebbe pretendere comunque un accompagnatore e…”
“No, Falman – lo bloccò il generale con un gesto della mano – ci andrò da solo.”
 
Nonostante fossero quasi in primavera e la vallata dove sorgeva Drachsjna fosse una sorta di oasi di bel tempo, quella sera iniziò a nevicare. Mentre procedeva per i corridoi, scortato da un silenzioso paggio poco più che adolescente, Roy osservava i fiocchi che cadevano pigri: ad ogni grande finestra che incontravano gli pareva di vedere sempre lo stesso quadro che, inesorabilmente, cercava di farlo cadere in uno stato di irrealtà. Se fosse stato a casa sua si sarebbe goduto lo spettacolo davanti alla finestra con un bicchiere di qualche liquore forte in mano, ma in quell’occasione non si poteva permettere simili pensieri.
Fece di nuovo mente locale e si accertò che niente nella sua uniforme non andasse. Nelle tasche dei pantaloni sentiva il familiare e rassicurante contatto con i suoi guanti: per quanto potesse usare l’alchimia senza cerchio, gli era sempre necessaria la stoffa d’accensione per creare le scintille.
Chiunque provi a fare qualche scherzo capirà che ho qualche divertente trucco da mostrare…
Lo pensò con spavalderia, ma anche per rassicurare se stesso. Aveva lasciato i suoi uomini con aria sicura, ma non aveva la minima idea di cosa aspettarsi da quella convocazione. Alexand Anditev era stato enigmatico, ma i suoi modi di fare avevano lasciato una pessima sensazione addosso a tutti.
Certo, ha svariati motivi per avercela con Amestris… ma in treno sembrava un’altra persona.
Tuttavia qualsiasi altra considerazione fu interrotta dal paggio che si fermò alla fine del lungo corridoio, davanti ad una semplice porta di legno chiaro. Lanciando una rapida occhiata dietro di sé, Roy si rese conto che erano ampiamente usciti dal palazzo degli Anditev e si trovavano nel cuore del complesso della Cittadella.
Con curiosità notò che sopra la porta c’era una decorazione in bronzo con uno stemma: un serpente verde che si avvolgeva attorno ad una spada, e sotto un motto “Il veleno non mi ucciderà”
Il paggio bussò due precise volte e poi aprì una delle ante della porta facendo cenno a Roy di entrare.
Nemmeno tre secondi ed il generale si trovò da solo in quella stanza.
Ambra e rosso erano i colori dominanti, tanto che sembrava di essere precipitati in un mondo in qualche modo ovattato e caldo. L’ambiente non era molto grande, sembrava avere la funzione di una specie di studio privato: esagonale, ogni angolo aveva una grossa semicolonna ambrata che terminava con capitelli decorati con intagli di foglie d’acanto, lungo le quali strisciava fiero un serpente di razza indefinibile. Roy era stato fatto entrare dalla porta che, a quanto sembrava, si trovava alla base di quel curioso esagono: lo intuì perché proprio davanti a lui, nel lato opposto, c’era un’ampia scrivania di legno scuro che in parte andava a spezzare quella bicromia e, dietro di essa, appesa alla parete, c’era la cartina di Drachma più grande che si fosse mai vista. Fu in quel preciso momento che il generale si rese conto di quanto Amestris fosse davvero piccolo in confronto al grande rivale del nord.
“Oltre quattro milioni di chilometri quadrati, circa centosessantuno milioni di abitanti… ammetto che fa impressione, generale Roy Mustang.”
La voce proveniva dal lato sinistro e girandosi Roy vide che c’era un’altra porta laterale da cui era appena uscito colui che aveva appena parlato. Fu solo per cinque fugaci secondi, ma il generale in qualche modo rivide se stesso poco più di cinque anni prima: non per somiglianza fisica, ma per quella strana forma di spavalderia e sicurezza delle proprie capacità che sapeva bene di aver avuto e di possedere ancora, sebbene in maniera meno sfrontata.
E questo gli fece subito capire chi era quello sconosciuto che si avvicinava a lui con le mani dietro la schiena, come se quello fosse un incontro puramente casuale: Derekj Drachvoic, il futuro Autarca di Drachma.
Poteva avere sulla trentina ed era alto e slanciato, elegante in qualsiasi movimento, senza però mancare di denotare una sicurezza fisica tipica di chi è stato addestrato all’uso delle armi. Il viso era leggermente affilato ma avvenente, con corti capelli biondi tenuti fermi da una fascetta di sottile oro bianco che gli cingeva parte della fronte. Sotto sopracciglia dorate, due penetranti occhi azzurri fissavano senza timore il generale, anzi, si poteva dire che erano estremamente curiosi e compiaciuti, come se fosse veramente soddisfatto di quello che vedeva davanti a lui.
Eccetto quella strana forma di corona che portava in testa non c’erano altri segni che indicassero il suo alto rango: indubbiamente il suo abbigliamento, tutto rosso carminio ma con decorazioni verdi, era elegante e ricercato ma poteva essere tranquillamente quello di un qualsiasi nobile della cittadella. No, Derekj Drachvoic puntava su ben altro, un qualcosa che Roy non mancò di apprezzare.
“Sua grazia cerca forse di mettermi in posizione di disagio psicologico?” chiese con noncuranza, continuando a fissare quella cartina. Non si era inchinato o fatto qualche altro gesto di riverenza: qualcosa gli diceva che quello era un incontro informale e che il futuro Autarca non voleva perdere tempo in questioni di mera etichetta.
“Assolutamente no – scrollò le spalle l’altro, accostandosi maggiormente a lui – è un piacere conoscere l’ambasciatore che volevo incontrare maggiormente: la vostra presenza qui è una mia piccola vittoria personale, lo ammetto.”
Roy annuì con un lieve sorriso permettendosi di rilassarsi lievemente: quell’uomo non stava mentendo, non ne aveva motivo. Era un governatore che si apprestava a scrivere una pagina di storia del suo paese e aveva deciso di lasciarvi il segno in maniera più che indelebile. Il generale non aveva la minima idea di come fossero stati i suoi predecessori, ma qualcosa gli faceva intuire che Derekj era un innovatore.
Ed è meglio averlo come alleato che come nemico…
“Mi fa piacere essere considerato come una vittoria – ammise Roy – è una bella ricompensa dopo esser stato per cinque giorni in quel palazzo senza far niente di interessante.”
“Ah, formalità di protocollo – Derekj si studiò la mano con attenzione, mentre l’anello che portava all’anulare riluceva alla luce delle calde lampade che stavano lungo tutte le pareti. Sfondo rosso con un serpente attorno ad una spada: chiaramente il simbolo della sua famiglia – annoiano anche me, mi piace andare al sodo. Per fortuna nessuno può impedire al futuro Autarca di avere questi incontri privati… anche se verrò incoronato solo la settimana prossima, per parecchie cose io governo già da adesso.”
“Quindi quanto è informale questo incontro?”
“A livello di decisioni direi informalissimo, ma spero che quando si firmerà qualche cosa davanti al mio consiglio sarà solo per mera ufficialità, non so se mi spiego.”
“Fin troppo, sua grazia…” Roy sorrise lievemente mentre finalmente si stringevano la mano. Derekj aveva una presa salda e sicura e per qualche secondo i suoi occhi azzurri brillarono della medesima sincerità di quelli di Havoc: un fatto che il moro non mancò di notare ed apprezzare.
Gli occhi azzurri di Derekj tornarono quindi alla cartina di Drachma, studiandola con attenzione. In particolare si posarono sulla parte nord dove, oltre una strana striscia identificata come Lande di Ores, c’erano i nomi di altri regni.
“Ad Est il regno di Xing è da generazioni nostro amico – spiegò il giovane – a nord invece, solo le Lande di Ores impediscono una guerra perenne con i nostri vicini. Ad Ovest, Rosha e Bystein ogni tanto tentano qualche scherzetto… e a sud la nostra cara Creta si tiene sempre sul filo del rasoio…”
“E poi c’è Amestris… il nemico tradizionale, no?” terminò Roy.
“Lo deve per forza essere? – l’occhiata che gli lanciò Derekj fu eloquente – Sono stato particolarmente attento alla vostra politica da quando è salito al potere il nuovo Comandante Supremo. Ammetto che una delle mie grandi ambizioni sarebbe avere il confine ovest e quello sud, eccetto Creta, chiaramente, finalmente in pace.”
“C’è quella contesa per Briggs…” ricordò Roy.
“Già, è stata un punto di spietato orgoglio per tantissimi miei predecessori. Ma ad essere onesti non è così importante: i monti sono una perfetta linea di confine, che siano di Amestris o Drachma poca importanza ha… piuttosto che una fortezza potrebbero diventare un buon passaggio commerciale, no?”
Al pensiero della Armstrong che disarmava Briggs, Roy impallidì notevolmente… era alquanto improbabile come cosa. Tuttavia l’idea di un’alleanza era veramente tentatrice: voleva dire mettere in riga Creta una volta per tutte.
E del resto lui non era venuto in quel posto proprio per un simile motivo?
“Quindi qui si va oltre un trattato di non belligeranza…” mormorò.
“Parliamo di pace, generale Mustang – annuì Derekj – e sarebbe una gran cosa, non crede? Del resto la storia ci ha insegnato che nella contesa per Briggs nessuno dei due ha mai prevalso: è solo un inutile spreco di uomini e risorse quando invece…”
Si interruppe perché qualcuno aveva appena bussato alla porta.
Silenziosamente entrò un paggio con in mano un vassoio dorato dove stavano due calici d’argento e una bottiglia di cristallo piena di vino rosso. Il servo, tenendo lo sguardo educatamente basso, posò il vassoio sulla grande scrivania di legno e con un inchino si apprestò ad uscire.
“Aspetta – lo bloccò l’Autarca, con un gesto elegante della mano – lo manda il barone Anditev?”
“Uh… sì, vostra grazia – annuì l’uomo, stupido di esser stato apostrofato dal suo signore – lo manda lui.”
“Perfetto, allora versacelo.”
Roy assistette impassibile a quella scena, non avendo capito dove volesse arrivare quel giovane. Il servo era certamente imbarazzato da quanto stava accadendo: le sue mosse, mentre riempiva i due calici, erano leggermente irrigidite, ma nonostante tutto alla fine compì il suo dovere e si accostò prima a Roy che prese il suo calice e poi a biondo.
“Non bevete, generale – disse Derekj con un lieve sorriso – non provate nemmeno ad accostare quel calice alle labbra. Quanto a te, amico, prendi pure il mio calice e bevi… oggi ti voglio riservare un grande onore.”
“Ma… ma signore…” fu solo con la forza dell’abitudine che l’uomo non fece cadere il vassoio.
Prontamente Derekj prese il suo calice e se lo accostò alle labbra, bevendo una generosa sorsata.
Passarono cinque, dieci, quindici secondi… mentre Roy si chiedeva cosa stesse succedendo: dall’imposizione che aveva ricevuto c’erano tutti i sospetti che quel vino fosse avvelenato o qualcosa di simile. Ma Derekj si leccava le labbra come se niente fosse, mentre un lieve sorriso continuava ad aleggiargli sul viso.
“Coraggio – continuò infine, prendendo il vassoio e posandolo sul tavolo, prima di porgere il calice – come vedi non hai timore: bevi pure… te lo ordino.”
E quell’ultima frase fu detta con un tono di comando tale che non ci fu possibilità di replica. Eccola la voce autoritaria, quella che faceva di lui un vero governante… un uomo che pretendeva l’obbedienza immediata.
Ed il servo, serrando gli occhi, mentre una singola lacrima gli colava sulla guancia destra, prese il calice e se lo accostò alle labbra. Sotto gli occhi impassibili del suo signore tracannò l’intero contenuto.
“Vostra grazia…” iniziò Roy.
“No – scosse il capo l’altro, bloccando l’intervento e recuperando il calice dalle mani tremanti dell’uomo – paga semplicemente il prezzo del tradimento. Se non sbaglio è arsenico, ma c’è anche dell’altro… ah, ma certo, estratto del fiore della steppa.”
E quasi quei veleni iniziassero a fare effetto, il servo si inginocchiò a terra, con gli occhi strabuzzanti, mentre un colpo di tosse gli provocava i primi disturbi alla respirazione.
“L’arsenico può impiegare anche diverse ore ad agire – spiegò Derekj - ma mischiato con l’estratto di fiore della steppa diventa letale già una ventina di secondi dopo che si è bevuto. Insieme formano una miscela che annienta le pareti della gola e poi arriva nello stomaco iniziando a corroderlo e provocando emorragie incurabili… inoltre blocca l’afflusso di aria al cervello, praticamente soffoca la vittima, che nemmeno in un minuto spira.”
Era una spietata spiegazione di quello che stava accadendo a quel povero servitore che, in preda a convulsioni, rantolava per terra alla ricerca di un respiro sempre più difficile da trovare. Alla fine, gli occhi ormai vacui, tese disperato una mano verso il suo signore, ma essa ricadde ormai senza vita dopo appena pochi secondi.
“Veleno? – si riscosse Roy, guardando il liquido dal gradevole colore rosso sul suo calice – da parte del barone Anditev?”
“Alexand – chiamò il biondo – davvero saresti così idiota da tentare di uccidermi tramite veleno?”
La porta da cui era entrato il futuro Autarca si riaprì e il giovane Anditev fece il suo ingresso seguito da quello che Roy inquadrò come un monaco, sebbene fosse chiaramente coetaneo degli altri due. I nuovi arrivati squadrarono con aria di sufficienza il cadavere sul prezioso pavimento di legno e poi Alexand andò fino alla scrivania per suonare un campanello d’oro che stava lì posato.
Immediatamente arrivarono nuovi servitori.
“Portatelo via – ordinò il barone Anditev – che il suo corpo venga bruciato come è previsto dalla legge.”
Il giovane monaco accanto a lui fece uno strano segno che Roy interpretò come una specie di benedizione per il morto, tuttavia il suo viso rimase estremamente severo ed impassibile.
Quando la stanza venne sgomberata, rimasero solo Roy, l’Autarca, Alexand ed il religioso.
“Se non sbaglio era stato assegnato all’ambasciata di Bystein – disse Alexand, mettendosi a braccia conserte – devono averlo corrotto davvero tanto per fargli tentare una mossa così azzardata e stupida.”
“Prendere due piccioni con una fava – scrollò le spalle Derekj – c’è anche lo zampino di Creta: non volevano far fuori solo me, ma anche l’ambasciatore di Amestris… o forse solo lui, chissà.”
Roy cercò di mantenere la calma, anche se veder parlare così alla leggera di uno sventato attentato un po’ lo metteva in apprensione. Certo, da quanto aveva capito, certe cose erano all’ordine del giorno in quella strana Cittadella, ma gli sembrava che la cosa fosse stata liquidata con troppa facilità.
“E come intende agire sua grazia nei confronti dei presunti mandanti?” chiese con curiosità.
“Assolutamente non farò nulla contro di loro – spiegò l’altro – vedranno che il loro attentato è fallito e resteranno a fare i bravi senza tentare altro. Spero anzi che, spinti dal timore di aver infranto le leggi dell’ospitalità, accettino senza troppi indugi quanto ho loro da proporre. Comunque mi scuso per la maleducazione: con il barone Anditev vi conoscete già, questo invece è Michael Esdev… diciamo che loro sono i miei più fidati amici e consiglieri.”
A sentire il nome del monaco, Roy lo ricollegò immediatamente a quanto gli aveva raccontato Fury negli ultimi giorni. E così era lui il rigido religioso che ormai si trovava in pianta stabile a casa Esdev: a quanto sembrava era il secondogenito del duca e dunque sin dalla sua nascita era stato destinato al clero.
Adesso capiva perché il suo sottoposto si trovava sempre a disagio in sua presenza: era una figura che incuteva timore per la severità che non abbandonava mai, come se vedesse eresie ovunque o qualcosa di simile… in lui c’era qualcosa della rettitudine dei monaci di Ishval, certo, ma era portata ad uno sgradevole estremo.
E comunque aveva ragione Fury: somigliava parecchio al giovane Alexand, tanto che Roy fu certo di una loro parentela. Potevano benissimo essere fratelli e a vederli accanto a Derekj sembrava di avere davanti il sole circondato da due messaggeri della notte.
“E’ un onore…” salutò educatamente l’alchimista.
“Sì, sono imparentati tra di loro – spiegò Derekj, rispondendo alla sua tacita domanda – si nota, vero? La madre di Michael era sorella del padre di Alexand, quindi sono cugini. A volte penso che con la loro severità compensino la mia personalità più accondiscendente… come nello specifico caso.”
“Ti ho già detto come la penso in proposito – scosse il capo Alexand, completamente vestito di nero – e mi stupisco come tu abbia voluto questo incontro nonostante le notizie che ti ho riportato. E anche Michael è dello stesso avviso, lo sai.”
Roy ascoltò quello scambio di battute, notando come non venisse usato alcun titolo formale: evidentemente il legame tra i tre era così forte e consolidato che si andava oltre a simili regole di etichetta. Del resto se avevano più o meno la stessa età voleva dire che si conoscevano sin da bambini.
“Non hai prove in merito – scosse il capo Derekj – e non ci sono ragioni per sospettare di lui. Non farti accecare da quella vecchia storia, Alexand… sai benissimo che il torto fu di tuo padre!”
“Nemmeno io sono d’accordo, Derekj – iniziò Michael con voce pacata – e sai benissimo come la penso su questa persona. Non è conforme a… è quasi eresia trovarmi nella stessa stanza con lui!”
“Non è una bella cosa da dire ad un ospite che ho convocato personalmente – scosse il capo il biondo – comunque, nonostante il vostro parere negativo, io ho intenzione di proseguire per la mia strada: l’alleanza con Amestris è un qualcosa a cui sto lavorando da tempo, sin da quando era vivo mio padre. Non permetterò che venga mandato all’aria un simile progetto. Generale Mustang, come può vedere ci sono voci ostili anche da parte dei miei consiglieri più fidati… conosco le loro motivazioni e anche se le posso trovare valide a livello umano e di amicizia, dall’altra mi rendo conto che il mio regno ha bisogno di pace, almeno nel confine sud. Briggs è ormai una chimera che non serve a niente, non c’è altro da dire!”
“Mio padre è morto per colpa di Briggs – Alexand si era irrigidito e fissava l’Autarca con ostilità – un nobile di Drachma è caduto a causa di…”
“Tuo padre ha attaccato senza chiedere autorizzazione a mio padre, all'Autarca! – lo bloccò Derekj – Si è fatto prendere dalla smania tipica della tua famiglia: ha creduto a quell’uomo senza preoccuparsi di avvisare nessuno. Ha pagato per la sua avventatezza, è innegabile… te l’ho detto mille volte: ho pianto per la sua morte, sono rimasto addolorato per la tua perdita… ma è stata insubordinazione. Non era nemmeno duca dell’esercito.”
“Quell’uomo veniva da Amestris…”
“Ma è stata Drachma a rompere il trattato di non belligeranza!”
Ma sembrava che Alexand non fosse molto propenso ad ascoltare da quell’orecchio. Scuotendo il capo con stizza voltò le spalle al suo signore e uscì dalla porta da cui era arrivato.
“Michael…” iniziò Derekj con un sospiro, mettendo una mano sulla spalla del monaco.
“Anche se hai ragione, lui interpreterà questo tuo gesto come un tradimento della nostra amicizia – rispose il religioso con voce pacata, addirittura morbida – Der… lascialo stare, non provocarlo troppo, non adesso, fidati di me. Vedrai che andrà già meglio nei prossimi giorni.”
“Ma sì, come se non lo conoscessi, dannato lui e la sua testardaggine… e tu che mi dici?”
“Sai come la penso – gli occhi scuri si spostarono su Roy guardandolo con ostilità – l’alchimia è male, va contro la chiesa… chi usa un simile potere per me è un eretico.”
Ma – Derekj strinse la spalla dell’amico – questo eretico è sotto le sacre leggi dell’ospitalità, dunque mi auguro che lo tratterai di conseguenza. E credo che anche il Patriarca sia di questo avviso.”
“Come desideri…” annuì l’altro in un tono che però smentiva quanto aveva promesso.
Con un ultimo cenno di congedo, riguadagnò l’uscita e di nuovo la sala ritornò vuota se non fosse stato per Roy e l’Autarca.
A quel punto il generale si sentì in dovere di dire qualcosa: era stanco che lo si considerasse così poco. L’intera conversazione di quei tre si era svolta come se lui non fosse stato presente e non gli andava assolutamente a genio. Certo, gli era stata utile per capire meglio alcuni dettagli di quei personaggi così particolari, ma gli sembrava particolarmente maleducato che…
“Alexand ritiene che stringere alleanza con Amestris sia come offendere la memoria di suo padre; Michael ritiene che gli alchimisti siano degli eretici… insomma, mi sto mettendo contro i miei due migliori amici per questo trattato – scrollò le spalle Derekj con lieve rassegnazione – ma non ne posso fare a meno e sono sicuro che col tempo capiranno.”
“Però quando ci ha scortato per parte del viaggio il barone Anditev non sembrava così ostile.”
“Ah già… beh, prima il suo odio era solo contro Briggs, ma a quanto pare la situazione si è in parte evoluta ed, effettivamente, ho una domanda da farvi, generale.”
“Mi dica pure.”
“La settimana scorsa tre soldati di Alexand sono stati trovati uccisi proprio nei pressi della catena di Briggs. Erano morti da qualche giorno, potremo anche dire che la data del loro decesso risale proprio ai giorni precedenti il vostro arrivo a Drachma. Le loro divise erano strappate con precisione in alcuni punti, come da una spada… e sui loro corpi c’erano stranissimi segni, come di ustioni da gelo. Solo che si trattava di disegni troppo precisi per essere dovuti ad una simile causa che, a rigor di logica, colpisce maggiormente gli arti.”
A quella notizia Roy annuì impercettibilmente, sentendo le ragnatele di una trappola che si chiudevano attorno a lui. Tutti i timori che avevano avuto in quella riunione a Central City tornarono prepotenti a farsi avanti, ma questa volta capiva che riguardavano in particolar modo la sua persona.
Perché adesso capiva l’atteggiamento incredibilmente ostile di Alexand Anditev.
“Sua grazia mi sta chiedendo se è stata la mia alchimia a fare delle cose simili?”
“Non sembrate molto turbato da queste rivelazioni – ammise Derekj, scrutandolo con attenzione – come mai?”
“Una ventina di giorni prima che io mi recassi a Briggs per partire con questa ambasciata, a due soldati di quella fortezza è toccata la medesima sorte. Come la mettiamo?”
L’Autarca annuì leggermente, mentre la faccenda appariva in tutta la sua complessità.
“Mitridatizzazione…” disse infine.
“Cosa?”
“E’ così che si chiama. I Drachvoic sono immuni a tutti i tipi di veleno: ci vengono somministrati a piccole dosi sin da bambini e col passare del tempo il nostro corpo non li riconosce più come agenti nemici e li assimila senza problemi. Il veleno non mi ucciderà… è il motto della mia famiglia.”
Quasi a confermare prese il calice di Roy, ancora posato sul tavolo, e lo svuotò in pochi secondi.
“Ottimo vino dell’est – commentò – sarebbe stato un peccato sprecarlo.”
“Sua grazia è consapevole dei rischi che sta correndo? Anzi che stiamo correndo…”
“Assolutamente, generale. E per me questo trattato di pace li vale tutti.”
E Roy rimase a fissare il giovane erede del regno di Drachma.
Fiero, dritto, nonostante avesse bevuto così tanto veleno da uccidere almeno dieci persone. Era uno spietato gioco di equilibrio che fino a quel momento era stato mascherato dal bel mondo di quella Cittadella. Ma adesso stava per iniziare la parte più difficile: alcune carte erano state scoperte, ma altre erano ancora in mano agli avversari.
E c’era qualcuno che andava in giro con chissà quale arma ad uccidere indiscriminatamente soldati di Amestris e di Drachma.
Fury qualche giorno fa gli aveva detto del termine holai, come riferito ad una bomba inesplosa.
Più che alla giovane ragazzina Esdev si poteva applicare a quel pazzoide che doveva ancora essere inserito in quell’assurdo rompicapo che era il mondo di Drachma.

 
 



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Ehilà, salve!
rieccomi tornata dopo le vacanze!
Ho avuto qualche lieve difficoltà a mettere insieme questo capitolo, ma come potete vedere si inizia ad entrare nel vivo dell'azione.
Che ne pensate di Derekj? ^_^

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. Al rintocco delle campane ***


Capitolo 7.
Al rintocco delle campane



C’erano momenti in cui Fury non poteva stare assieme al tenente colonnello, era inevitabile: per la commedia che stavano recitando era ovvio che la donna venisse coinvolta in intrattenimenti dove lui non era ammesso e dunque si trovava a stare diverse ore da solo. In quelle occasioni si sentiva in parte sperduto e a disagio e spesso e volentieri si recava nel fresco giardino della residenza Esdev: lì, tra gli alberi ed i fiori, che nonostante il freddo notturno di giorno non mancavano mai di aprirsi, si sentiva più tranquillo e poteva riflettere su quello di cui veniva a conoscenza ogni volta che si recava dal generale e dal resto della squadra. Il suo ruolo di messaggero lo riempiva d’orgoglio: gli faceva immenso piacere vedere gli occhi scuri di Mustang osservarlo con approvazione, proprio come uno scolaro diligente si sente appagato nel ricevere le lodi del proprio docente. E anche il tenente colonnello non mancava mai di ringraziarlo con calore ogni volta che compiva queste piccole ambasciate quotidiane: i suoi occhi castani si illuminavano di orgoglio ed encomio ogni volta che tornava a fare rapporto.
Anche se negli ultimi giorni era chiaro che la donna era preoccupata: da quando le aveva riferito di quell’incontro tra il generale e l’Autarca era chiaro che Riza Hawkeye aveva iniziato a sentire scomodi i bei vestiti che indossava. Avrebbe preferito star vicino al generale dato che era palese che c’erano degli elementi ostili nei suoi confronti, ma purtroppo non poteva permettersi una cosa simile, pena il fallimento dell’ambasciata. Drachma dava particolare peso a determinati fattori di comportamento ed era necessario continuare a giocare agli attori.
Delle labbra fresche si posarono sulla sua guancia in maniera così improvvisa che fece un balzo di lato.
“Pensieroso, piccolo soldato? – Kora ridacchiò ed iniziò a girargli attorno come faceva sempre, quasi a disorientarlo – Non mi hai nemmeno sentito arrivare: mi spieghi come fai durante un agguato?”
“Vi avevo sentito arrivare! – mentì lui, arrossendo – E poi… poi non dovevate essere a quel ricevimento della duchessa di… di…”
Accidenti! Ma perché i nomi di queste famiglie sono così difficili!?
“Dai, vediamo se ci arrivi… prima di tutto è una baronessa… ti aiuto F… F… Fer…”
“Ferstroy!”
“No, riprova.”
“Fer… Fer… Ferstoj!” annaspò ancora il giovane soldato.
“Bravo! – applaudì lei, deliziata – E comunque mi annoiavo a stare lì: quella donna non fa altro che chiacchierare sui vestiti e sui suoi nipoti! Adesso si è messa in testa che mi devo trovare un buon marito: capisci? Si è messa a farmi da madre, almeno secondo lei! Povera sciocca, non potrebbe mai competere con mia madre!”
“Sono sicuro che la baronessa lo fa con le migliori intenzioni…” iniziò Fury.
“Ma lo sai chi era mia madre? – chiese lei andandogli proprio davanti, viso contro viso – mia madre era la sorella dell’Autarca, soldatino! Io e Derekj siamo cugini… e pensi che una stupida Ferstoj mi potrebbe fare da madre? Ma per cortesia! Quanto puoi essere ingenuo! E’ chiaro che cerca di guadagnarsi la mia amicizia!”
Fury non seppe che ribattere, ma si sentiva triste per quella ragazza. Più la conosceva più riteneva che Kora Esdev fosse una persona estremamente sola: per quanto quella grande villa fosse piena di servitori e ci fossero continue visite, non l’aveva mai vista in sincera compagnia di qualcuno. Il duca Esdev era gentile con lei, certo, ma sembrava un affetto molto distratto… il suo gemello Kyril era sempre impegnato e si vedeva pochissimo. E poi c’era Michael, il suo fratellastro che era rientrato a casa dopo il ritiro in monastero.
Oh… beh, lui mette paura davvero!
Effettivamente se c’era una cosa che Fury voleva evitare era avere a che fare con quel monaco che gli gelava il sangue nelle vene con la sola presenza.
“Comunque non mi pare gentile lasciare l’ospite in questo modo – provò ad obbiettare – del resto…”
“Smettila, suvvia! Non essere lagnoso, piccolo soldato! Sono venuta a cercarti perché tu mi stai simpatico, davvero – sorrise lei, questa volta senza malizia alcuna – possiamo certamente impiegare il nostro tempo in maniera più divertente! Dai, facciamo qualcosa assieme! Vuoi giocare agli innamorati?”
“Eh?” Fury arrossì, capendo di trovarsi in acque più profonde del previsto.
“Scherzavo! – rise la fanciulla, deliziata da quel rossore – Tu mica sei nobile e sei anche di Amestris. Però adesso mi invento qualcos’altro! Ecco ci sono… ti va di vedere i cani?”
“Cani?”
“Ti piacciono i cani? A tutti piacciono i cani!”
“Beh, sì, mi piacciono molto…”
“Mio padre ha diversi cani da caccia, sono bellissimi! A molti ho dato il nome io – lo prese per mano ed iniziò a trascinarlo per i sentieri del cortile – vedrai li adorerai! E tu non hai dei cani? Secondo me tutti dovrebbero averne uno perché sono bellissimi!”
“Non è proprio mio quello che conosco – iniziò Fury – però… l’ho trovato che ancora era cucciolo e ci gioco spesso.”
“Sul serio? Oh raccontami tutto su di lui, ti prego!”
E finalmente Fury si sentì a suo agio: parlare di Hayate era sempre una cosa gradita.
 
Circa un’ora dopo Riza riusciva a congedarsi dalle pettegole dame che l’avevano imprigionata in quel piccolo ricevimento. Sospirò di sollievo quando finalmente la porta si chiuse alle sue spalle: sembrava che ci fosse una morbosa curiosità nei suoi confronti, quasi fosse una specie di principessa straniera.
Dannazione, non avrei mai immaginato di aver così tanta attenzione su di me!
Ed era una sensazione che non la faceva sentire a suo agio: era abituata ad essere discreta o comunque di godere della compagnia di poche e scelte persone. Tutte quelle sconosciute che la coinvolgevano in discussioni frivole proprio non facevano per lei: parlare con Rebecca era tutt’altra cosa. Con lei si aveva sempre la garanzia di qualche buona chiacchierata anche su qualche modello di pistola o sulla vita militare.
Vita militare…
Avrebbe dato chissà che cosa per poter indossare un vestito più comodo. La baronessa e le sue amiche non avevano fatto altro che darle consigli sul ballo previsto per la sera successiva, parlandole dell’ultima moda di Drachma in tutte le salse ed era stata una vera e propria impresa rifiutare con tutta la cortesia possibile l’intervento delle loro personali sarte.
Abiti con le maniche che partivano da metà spalla… certo! Così tatuaggio e cicatrice sarebbero stati in bella mostra. Per fortuna che a North City aveva avuto la prudenza di farsi un guardaroba adatto a lei e anche alcuni abiti che le erano stati gentilmente offerti dal duca Esdev le nascondevano tutta la schiena.
Finalmente giunse nelle sue stanze e si concesse una stiracchiata come si doveva. In quei giorni si stava intorpidendo più del previsto: avrebbe dato chissà che cosa per fare qualche seduta ad un poligono di tiro, magari assieme ad Havoc; era da troppo che non facevano una sfida come si doveva.
Oh sì, e poi un bagno caldo… una tisana, il divano, una coperta, un libro e Hayate sulle ginocchia…
Con un sospiro pensò al suo piccolo amico peloso: sicuramente con Jody e Jilly si stava divertendo parecchio, ma con molta probabilità sentiva pure lui la mancanza della loro placida quotidianità.
Quotidianità…
Ne aveva decisamente bisogno ed in quella villa solo una persona poteva regalargliene uno spicchio.
Con un lieve sorriso uscì di nuovo dalle sue stanze e si recò davanti a quelle del tenente: in mezzo a quelle donne aveva appena bevuto una tazza di the… fare una merenda più sostanziosa in due sarebbe stato piacevole, specie senza dover fingere qualcosa che non era.
Però a quanto sembrava Fury non era nelle sue stanze.
Più che normale – ammise con un lieve broncio – sarà andato in cortile…
Le venne in mente di andare a cercarlo, però quasi per intuizione capì che Kora doveva essere arrivata prima di lei. Quella ragazzina aveva una strana predilezione per il tenente e Riza non ne era per niente contenta: la riteneva superficiale, maliziosa, l’ultima persona che doveva stare vicino ad un ragazzo così pacato e gentile come Fury. Nella sua indole fin troppo buona il tenente non capiva fino a che punto Kora lo stesse usando come giocattolino per passare il tempo… e rischiava di venir coinvolto più del previsto.
Prima o poi devo scambiare due parole con lui…
“Cercate il vostro seguito, signora? – chiese una voce – Credo sia nel cortile insieme a Kora.”
La voce aveva cercato di essere neutra, ma non era riuscita a nascondere del tutto una nota di disapprovazione, quasi lei fosse una madre accusata di non aver tenuto a bada il proprio figlio. Senza esitazione Riza si girò ed affrontò lo sguardo di Michael Esdev che la osservava a qualche metro di distanza, le mani infilate nelle ampie maniche del saio scuro.
“Non è mio compito decidere di ogni minuto della vita del tenente Fury – disse con gelida calma – è il mio seguito, non il mio servo. Se decide di andare in cortile è liberissimo di farlo.”
Gli occhi castani e quelli scuri si fissarono con sfida per qualche secondo: per quanto fosse somigliante ad Alexand, Riza proprio non riusciva a farsi piacere del tutto quel monaco che, a quanto sembrava, era uno degli amici più fidati dell’Autarca. E sapeva benissimo che Michael ricambiava in parte i medesimi sentimenti: era una persona estremamente radicata in determinati concetti e chiaramente non capiva il motivo di una presenza femminile in un’ambasciata.
“Non abbiamo avuto occasione di parlare molto spesso, signora – disse infine lui, cercando di mostrarsi come il nobile educato che in teoria era per nascita – me ne scuso, non ho fatto fare buona figura a mio padre. Vado a recuperare la mia sorellastra, vuole venire con me?
Riza annuì: l’idea che il tenente affrontasse da solo quell’uomo proprio non le andava giù. Tra fratello e sorella, anzi sorellastra, non correva buon sangue e c’erano tutte le premesse che quell’incontro potesse degenerare in una lite.
Mentre procedevano per i corridoi, l’uomo continuò a parlare.
“In che rapporti siete con il generale Mustang, signora?”
“E’ uno dei più stretti collaboratori di mio nonno – rispose lei con sicurezza – di conseguenza lo conosco abbastanza bene, così come la sua squadra.”
“Sapete che pratica l’alchimia, ovviamente…”
“Certo, signore: l’alchimia ad Amestris è una pratica piuttosto normale.”
“Dare fuoco alle persone non è normale, specie in un modo che dovrebbe spettare solo a Dio!” la voce, se possibile, era diventata ancora più dura e anche la mascella si era irrigidita.
“L’alchimia è qualcosa di neutrale – cercò di spiegare la donna, anche se sapeva quanto fosse difficile affrontare un simile argomento – è il generale Mustang a decidere come usarla. Proprio come un soldato decide di usare la sua pistola per proteggere le persone oppure uccidere indiscriminatamente.”
“E in quella regione del vostro paese, Ishval, come è andata?”
Riza cercò di mantenere la calma: non si aspettava che le informazioni su Amestris fossero così buone. Loro sapevano pochissimo di Drachma e dei suoi avvenimenti interni, ma evidentemente non era una cosa reciproca; e questo la rese ancora più sospettosa.
“Quanto è successo ad Ishval ha motivazioni troppo difficili da spiegare, mio signore. E’ stato un enorme errore, certo, ma adesso il paese si sta adoperando per porvi rimedio. Il generale Mustang per primo, se proprio le può interessare…”
“Eppure continua ad essere un alto rango dell’esercito e ad usare la sua arma eretica: non è il tipo di ammenda che mi aspetterei, signora. Lei non crede?”
Riza lo fissò con rabbia: che cosa ne poteva sapere quell’uomo del senso di colpa che bruciava dentro i loro cuori? Che cosa poteva saperne del tumulto di emozioni che provavano ogni volta che mettevano piede in quel posto, affrontando lo sguardo di quegli occhi rossi? Era facile pronunciare sentenze simili.
“Credo che lei parli senza essere adeguatamente informato dei fatti, fratello Michael – ribatté con voce dura, mentre uscivano dal palazzo e si addentravano nei viali del cortile – pretendere di avere in mano la verità non è forse peccato di presunzione?”
Se ci fu un sussulto, il monaco non lo diede a vedere: continuò a camminare con calma, come se Riza non avesse parlato. E la donna fu lieta di quel silenzio: Michael Esdev non era un compagno di passeggiata piacevole come il principe Ming, tutt’altro.
La calma venne interrotta quando arrivarono nei pressi di un basso edificio. Numerosi latrati di cani iniziarono a riecheggiare e, assieme ad essi, si sentirono anche delle risate cristalline che ebbero il potere di far accigliare ancora di più il volto già severo di Michael.
Girando l’angolo scoprirono Fury e Kora seduti per terra in mezzo ad una dozzina di bassi cani da caccia che facevano le feste. Questa scena non poté far a meno di suscitare un sorriso indulgente sulle labbra di Riza: Fury aveva la medesima espressione di gioia di quando giocava con Hayate. Proprio in quel momento il tenente prese uno dei cani tra le braccia e lo strinse a sé, grattandogli le orecchie flosce e suscitando uggiolati di soddisfazione. Persino Kora, per una volta tanto, sembrava sincera e priva di malizia mentre si faceva leccare la mano da due bestiole.
“Kora!” la voce di Michael spezzò quel quadro idilliaco. I cani smisero di essere così festosi, quasi avessero riconosciuto la voce del comando e si ritirarono nel recinto che stava a poca distanza: persino quello che stava in braccio a Fury si dimenò per poter fuggire al sicuro tra i suoi compagni.
E anche i due ragazzi cambiarono atteggiamento: il tenente si alzò subito in piedi e si mise sull’attenti con aria di imbarazzata scusa. Al contrario Kora si alzò con stizza e sfidò apertamente il fratellastro con i suoi grandi occhi azzurri carichi d’astio.
“Che vuoi?”
“Ti sembra il modo di comportarti? Non sei una popolana, stupida ragazza, dovresti mantenere un atteggiamento più consono al tuo rango.”
“Quando torni in monastero? E’ una noia averti in casa a girovagare!”
“Mi dispiace – si intromise Fury – è stata colpa mia che mi sono fatto coinvolgere e…”
“Fury, basta – lo richiamò con gentile fermezza Riza – vieni, torniamo al palazzo.”
Lui la guardò con perplessità, come se fosse riluttante a lasciare Kora da sola contro il fratello. Ma Riza voleva evitare che venisse coinvolto più del previsto: Michael non era un avversario facile e se iniziava a prenderlo di mira poteva creare seri problemi. Le bastò una sola occhiata per convincere il suo sottoposto a muoversi: lo vide fare un desolato cenno alla ragazza e poi la seguì per i sentieri del cortile, mentre dietro di loro la situazione continuava ad essere di forte tensione.
 
“Come mai ci hanno lasciati liberi di girovagare dopo tanti giorni di prigionia? – chiese Havoc con sospetto mentre camminavano per la Cittadella – Si sono finalmente svegliati?”
“Forse ci mettono alla prova – scrollò le spalle Breda – lei che ne pensa, signore?”
“A quanto pare il rientro dell’Autarca dal monastero ha cambiato molte cose – disse Roy mettendosi le mani in tasca – e forse è anche una dimostrazione della buona volontà che ci sta mettendo per ottenere la pace con Amestris.”
“Non ritiene che ci sia nessun trucco dietro?” chiese Havoc.
“Non te lo so dire, maggiore, ma credo che il nostro ospite abbia sincero interesse a concludere un accordo con noi. Credo che ci siano fronti più roventi a nord e ad ovest e lui vuole essere sicuro di non avere problemi con il sud.”
“Però si sta creando nemici interni con questo suo slancio d’amicizia troppo palese – commentò Falman – oh, siamo arrivati: ecco la cattedrale maggiore, è proprio uno spettacolo, vero?”
Effettivamente l’edificio religioso riusciva a spiccare anche nella grandiosità dei complessi della Cittadella. Era di un bianco immacolato, eccetto che per i due alti pinnacoli che avevano fregi d’oro che proseguivano fino alla sommità, dove sventolava la bandiera di Drachma. Era diviso in tre navate, di cui quella centrale terminava con una grossa cupola che riprendeva la decorazione dei pinnacoli laterali. Lungo tutta la facciata vi erano pregiati fregi intarsiati nel marmo che raccontavano della storia del regno: la minuzia dei particolari era tale che persino da grande distanza era possibile intravedere la singola caratterizzazione di di ogni volto, ogni abito, ogni stemma. Era un lavoro di gran precisione che aveva sicuramente richiesto anni ed anni ed una squadra di maestri di alta scuola.
“Che Dio venerano?” chiese Breda con curiosità.
“Un Dio che non ha nome ed è vietato raffigurare – spiegò Falman, fungendo da perfetta guida dopo tutto ciò che aveva letto in quei giorni – infatti in quei fregi sono rappresentati solo governanti, nobili e religiosi… però da quanto ho potuto constatare è una scelta voluta.”
“In che senso?”
“In origine Drachma non aveva questa religione di Stato: essa è nata attorno all’anno mille, quando la prima espansione era ormai terminata e i Drachvoic si trovarono a dominare un territorio parecchio vasto… la creazione di una religione monoteista fu quasi necessaria per legittimare l’autorità dell’Autarca sugli altri clan che erano stati sottomessi. La scelta di non rappresentare Dio è probabilmente dovuta al fatto di non voler contrapporre la sua immagine a quella del sovrano.”
“Non mi pare una religione basata sulla fede – ammise Roy guardando con aria critica quell’immensa costruzione – non come ad Ishval, almeno.”
“Col tempo, ovviamente,e quella che è stata una scelta politica si è trasformata in fede vera è propria, signore. Del resto sono passati circa novecento anni… e lei stesso ha detto che quel monaco che ha incontrato sembrava essere parecchio fervente.”
“Posso congratularmi per queste considerazioni, signore? Avete fatto una perfetta analisi della storia religiosa del mio paese, davvero!”
Un giovane biondo e dai lineamenti affilati si avvicinò a loro con un gran sorriso: probabilmente era arrivato da un sentiero laterale che si affacciava sull’enorme piazza della cattedrale, per questo non l’avevano notato. Ed era una novità: fino a quel momento tutte le persone che avevano incontrato, sia nobili che servitori, non avevano rivolto loro la parola, questo giovane invece aveva preso l’iniziativa.
“La ringrazio, signore…” annuì Falman, leggermente indeciso su come comportarsi.
Tutto il team a quel punto aveva spostato l’attenzione sul nuovo venuto: sembrava che lui li conoscesse e aspettasse un saluto o qualcosa di simile. Ma alla fine ridacchiò con lieve imbarazzo, capendo il malinteso.
“Già, scusate, anche se io conosco voi, forse non è reciproco. Però forse conoscete il mio nome, presumo che il tenente Fury vi abbia parlato di me: sono Kyril Esdev, figlio del duca Esdev presso il quale la signorina Riza Hawkeye ed il tenente sono ospiti.”
“Ah ma certo!” Roy accettò la mano che gli veniva offerta mentre osservava con attenzione il gemello della piccola tormentatrice di Fury. La sorella doveva essere davvero carina considerato che pure lui non scherzava in fatto di bellezza: sotto molti punti di vista ricordava Derekj ed il generale non ebbe difficoltà ad intuire che i due dovevano essere imparentati.
“Spero che uno di questi giorni vorrete passare al palazzo di mio padre – sorrise ancora il giovane – all’incoronazione vera e propria manca più di una settimana e ormai siete liberi di andare ovunque nella cittadella. La signorina Hawkeye sarà certamente felice di rivedervi… anche se capisco che la presenza di mio fratello non sia molto alettante.”
Roy non rispose a quell’ultimo commento mentre ritirava la mano.
Ovvio che il signor religioso dallo smagliante sorriso e dalla straripante simpatia non riscuotesse successo nemmeno tra i suoi stessi parenti. Ancora si chiedeva come Derekj lo tollerasse dopo tutto quel tempo: se anche Alexand era rigido nell’atteggiamento, almeno non emanava il senso di perenne inquietudine del suo cugino dall’abito monacale.
“Non c’è nessun problema…” disse con tutta la diplomazia possibile.
“Oh no, non è il caso di nascondere la cosa – sorrise mestamente Kyril – da quando è rientrato il clima a casa è diventato parecchio teso, lo ammetto. Se prima i miei studi mi portavano spesso nelle biblioteche ed in Accademia, adesso è ancora più invitante stare fuori più ore possibili.”
“Accademia, eh?” Roy glissò con classe l’argomento Michael Esdev per evitare di fare qualche commento troppo rovente: sarebbe stato davvero facile considerato che anche quel giovane non provava molta simpatia per il proprio congiunto.
Di certo, comunque, non si riferiva ad un’Accademia Militare considerato che era vestito con un elegante farsetto verde chiaro. Era più un intellettuale, come dimostrava anche la tracolla che indossava dalla quale si vedevano diversi grossi volumi.
“Sì, signore: mi sto occupando di diversi studi… per quanto molto spesso mio fratello mi metta in difficoltà: lui appartiene a quella categoria di religiosi che non vedono una buona cosa nel progresso, almeno non in quello tecnico. Eppure e grazie ad esso, a scoperte di architettura ed ingegneria, che adesso il clero gode di meravigliose costruzioni come questa cattedrale – si girò a contemplare con ammirazione l’edificio vicino a loro –  Ma, come dico sempre, Michael è troppo estremo in tutte le sue manifestazioni… dopo un po’ ci si abitua a lui.”
“Non pare un bell’affare per Drachma avere un culto così presente e limitante…” commentò Breda, fissando il giovane con occhi attenti.
“Fortunatamente l’attuale Patriarca è di più ampie vedute: è in carica da oltre trent’anni e grazie a lui la chiesa è riuscita a liberarsi di un po’ di questa patina di antichità e chiusura mentale. Gli studiosi non hanno avuto più così tanta paura di proporre innovazioni e dunque si è andati avanti col progresso. Ed il Patriarca è lui stesso una persona straordinaria e allo stesso tempo umile – un sorriso felice gli illuminò il viso – prima o poi spero abbiate occasione di incontrarlo, generale Mustang. Di certo lui non farà alcun accenno all’eresia come invece ha fatto mio fratello.”
“Ah già, l’eresia…”
“Qui a Drachma l’alchimia non si pratica – annuì il giovane, dimostrandosi molto informato dei fatti – e anche se la chiesa non si è mai scagliata direttamente contro di essa è comunque una pratica oscura… voi di Amestris non siete visti bene anche per questo, capite?”
“Fin troppo…”
La conversazione venne interrotta dalle campane della cattedrale che iniziarono a suonare mezzogiorno. Era un suono vivace e cristallino che sicuramente arrivava fino ai fertili prati attorno alla città, scandendo così la vita di tutto il popolo. Contemporaneamente uno stormo di colombe volò freneticamente lontano dai due pinnacoli dorati, andando a posarsi con gentilezza sulla piazza antistante, in attesa che i rintocchi terminassero.
“Già quest’ora? – Kyril si ricosse – Mi dispiace lasciarvi, ma sono davvero in ritardo! Comunque conto di rivedervi al ballo di domani, generale. Mi ha fatto davvero piacere potervi incontrare.”
Fece un rapidissimo inchino e poi tenendo stretta la sua tracolla, per evitare che i pesanti volumi gli dessero fastidio nei movimenti, si avviò a passo rapido fuori dalla piazza, facendo scostare con un balzo alcune delle colombe.
“A quanto pare siamo molto conosciuti, signore – disse Breda – direi che siamo l’ambasciata che attira maggiormente l’attenzione e questo non so quanto possa essere positivo.”
“A questo punto mi pare il caso di ricambiare in qualche modo il favore – rispose Roy – iniziamo a tenere le orecchie ben tese, ragazzi. E confido in voi perché al ballo e in qualsiasi altra occasione disponibile mi procuriate tutte le informazioni possibili su questa ingarbugliata matassa che è la nobiltà di Drachma. Voglio essere preparato per qualsiasi evenienza.”
“Signore – disse Havoc con un sorriso – sa qual è il posto dove si ottengono buone informazioni? Presso i comuni cittadini e magari davanti ad un buon bicchiere. Insomma, non credo ci saranno problemi se due poveri soldati in borghese stasera andranno a fare un giro in città. Del resto abbiamo il permesso di andare ovunque, non credi Breda?”
“Havoc, le tue idee sono sempre degne di lode – approvò Mustang – e confido nelle capacità tue e di Breda. Voglio proprio sentire che voci girano in merito a tutte queste storie: se non sbaglio abbiamo a disposizione diverse dracme* che ci hanno gentilmente fornito: spenderne qualcuna per alcuni giri di bevuta sarà un ottimo investimento.”
“Si fidi di noi, signore!” annuì Breda, dando una gomitata al suo amico biondo.
“Quanto a te, Falman, direi che puoi andare a visitare qualche Accademia e vedere che clima si respira.”
“Come desidera, signore. E lei invece?”
“Io? Beh, dopo pranzo, ossia tra poco, andrò a rendere omaggio alla signorina Riza: del resto mi pare scortese trascurarla in questo modo. E poi voglio proprio conoscere il caro principe di Xing!”
 
Mentre parte del team Mustang usciva finalmente dal torpore di troppi giorni di stallo, nel palazzo degli Esdev Riza e Fury pranzavano assieme. La donna aveva infatti annunciato che era parecchio stanca e, volendo evitare di strapazzarsi troppo proprio prima del ballo, avrebbe mangiato nelle sue stanze solo in compagnia del suo seguito.
Non era così, ovviamente: voleva solo evitare che Fury, almeno per quel giorno, avesse ancora a che fare con Kora o con il suo fratellastro. Era arrivato il momento di mettere dei paletti definiti in tutta quella storia, prima che la situazione degenerasse.
Però, per quanto i propositi fossero più che buoni, non riusciva ad iniziare l’argomento. Si limitava a mangiare, guardando ogni tanto il giovane che consumava il suo pasto in silenzio. Fury aveva l’aria mogia e leggermente timorosa, come se si aspettasse da un momento all’altro di essere richiamato per aver tenuto un comportamento non adeguato alla situazione.
Beh, del resto l’ha fatto – si disse Riza – forse non dovrei farmi troppi problemi e andare dritta al sodo.
Però le dispiaceva essere troppo dura: Fury non si stava comportando male di proposito. Era Kora a cercarlo e coinvolgerlo nelle sue follie… che poi, follie? L’aveva semplicemente portato al canile della villa e lì si erano messi a giocare con le bestiole in maniera del tutto innocente. Forse Fury avrebbe fatto più danno ad indisporre la sua giovane ospite, del resto con quella differenza sociale non poteva permettersi di rispondere a tono.
Lui che risponde a tono? No, come potrebbe…
E poi, una piccola parte di lei, di cui si rifiutava ferocemente di ammettere l’esistenza, era gelosa di Fury. Voleva che continuasse ad essere il suo candido e piccolo soldato, beandosi di essere l’unica donna della sua vita dopo sua madre. Era una strana forma di possesso materno di cui non aveva mai preso consapevolezza del tutto, nemmeno quando lui era più giovane. Adesso poi che aveva ventisette anni ed il grado di tenente era ancora più difficile.
“Fury…” iniziò, posando le posate sul piatto.
“Signora?” gli occhi scuri si alzarono timorosi su di lei.
“A proposito di quanto è successo stamattina, non hai niente da dirmi?”
Lui prese il tovagliolo ed iniziò a giochicchiarci lievemente, mentre un primo rossore appariva sulle guance. Era chiaro che nemmeno lui sapeva cosa pensare in quel frangente: era come se ci fosse un senso di colpa di cui nessuno dei due riusciva a capire l’origine.
“Mi dispiace di averla messa in difficoltà, signora – disse infine il soldato – le assicuro che non si ripeterà più.”
Ossia non devi più vederla, né seguirla, né assecondarla – pensò Riza, sentendosi veramente stupida mentre prendeva il bicchiere e beveva un sorso di vino. In realtà se non fosse stato per quel monaco non ci sarebbe stato nessun problema.
O forse sì?
“E’ che… che mi dispiace…” ammise Fury.
“Di cosa?”
“Per lady Kora – arrossì e abbassò lo sguardo – io credo che sia molto sola e… e forse vuole solo un po’ di attenzioni, tutto qui.”
“Non sei tu a dovergliele dare – spiegò Riza – che senso avrebbe? Dopo l’incoronazione noi ritorneremo a casa, tra quanto? Massimo due settimane o poco più… e allora che farai? Le avrai dato attenzioni, ma poi lei ci resterebbe ancora più male, non credi?”
“Sì, ha ragione, signora…” ma era veramente desolato davanti a quella spietata realtà dei fatti. Lui aveva agito solo guidato dalla sua gentilezza d’animo e forse aveva capito quella ragazza meglio di tutto il resto della sua famiglia.
Ma non è compito suo, proprio no.
“Non fare quella faccia – si trovò a dire la donna, sentendosi in colpa nel vederlo in quello stato – non ti sto richiamando per demerito. Solo che non…”
Non voglio che tu ci resti male…
“… non dobbiamo distrarci: sono momenti cruciali per l’ambasciata ed il generale si aspetta il massimo da noi, no? Stasera dovrai fare rapporto da lui e poi voglio proprio sentire i resoconto che mi farai: scommetto che Havoc ne avrà combinata qualcuna, ci sarà da ridere, non credi?”
“Sì, signora – il viso del giovane subito si illuminò sentendo parlare della squadra – chiederò personalmente al maggiore Breda! Tanto lui nota sempre tutto quanto!”
Riza annuì con un sorriso, lieta che quel momento di strana tensione tra lei ed il suo protetto fosse terminato: il buonumore le ritornò a tal punto che decise di affrontare anche altri argomenti.
“Forza, scommetto che non vedi l’ora di parlarmi di quei cani che giocavano con te.”
“Davvero vuole sapere di loro, signora? – adesso era proprio estasiato – Oh, sono fantastici, ma nessuno è meglio di Hayate, questo è ovvio! Ecco sono quasi tutti fratelli anche se nati in più cucciolate e…”
E parlava e parlava, la sua voce gioiosa che faceva a gara con il suono felice delle campane sentite poco prima. L’importante era aver risolto quel piccolo momento di crisi tra di loro.
Riza era di nuovo certa di avere Fury sotto la sua ala protettiva.




* le dracme sono la moneta di Drachma... che banalità
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Terminato anche questo capitolo così ostico (quelli di transito mi mettono sempre in difficoltà): spero di non annoiarvi troppo con questa mancanza d'azione, ma mi preme introdurre in maniera più intensa anche gli altri personaggi. E scusate anche per il titolo banale, non ne ho trovato uno migliore u.u
Comunque dopo il prossimo capitolo, presumo, si arriverà al fatidico ballo :D

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. Nobiltà, cultura, vodka e buccas ***


Capitolo 8.
Nobiltà, cultura, vodka e buccas*



Roy doveva esercitare un forte controllo sulla propria persona per evitare di fare troppi complimenti a Riza. Tuttavia non poteva fare a meno di restare piacevolmente stupito dalla bellezza della sua assistente: aveva sempre ritenuto che fosse una donna affascinante, tuttavia era abilissima a nascondere questo suo potenziale dietro la divisa e la condotta marziale. Adesso che invece si trovava a recitare quel ruolo borghese a Roy sembrava di vedere una nuova Riza Hawkeye, quella che forse avrebbe potuto essere se non l’avesse coinvolta in quel discorso davanti alla tomba di Berthold Hawkeye anni prima. Il vecchio Grumman l’avrebbe sicuramente ritrovata, in ogni caso, le avrebbe dato una vita agiata, fatta di bei vestiti, tranquillità, ricevimenti e…
… però non ti avrei potuta avere a mio fianco…
E come avrebbe potuto fare Roy Mustang senza la sua preziosa assistente?
“Sono felice che abbia avuto occasione di venire a trovarmi, generale – disse la donna con un sorriso sincero – sentivo la sua mancanza, sul serio.”
“Ovvio che la mia brillante presenza è insostituibile, ten… signorina – disse con spavalderia, accavallando con eleganza le gambe e ricordandosi all’ultimo di non chiamarla per grado – vedo che il nostro caro Fury sta svolgendo il suo ruolo di accompagnatore alla perfezione e che qui procede tutto bene.”
Fury, seduto accanto a Riza, in una delle morbide poltrone attorno al tavolo dove si erano accomodati, sorrise compiaciuto e la donna ricambiò il gesto con orgoglio.
“Sono sicura che il principe Ming arriverà a momenti, generale – continuò Riza – lo troverà di certo molto interessante e… avanti!” si girò verso la porta quando sentì bussare.
E Roy vide un inaspettato cambiamento nello sguardo: come a farsi avanti fu una ragazza, gli occhi castani del tenente colonnello persero qualsiasi spensieratezza e si socchiusero pericolosamente. E, al contempo, Fury abbassò lo sguardo sul tavolo e sembrava volersi fare più piccolo possibile.
E mi gioco tutti i miei gradi che questa è la fantomatica Kora Esdev…
Lo capì non solo per la chiara somiglianza con il gemello, ma anche perché era l’unica in grado di scatenare delle reazioni simili in Riza e Fury: perché Roy non aveva avuto alcun dubbio che mammina non avrebbe mai approvato che una ragazza così girasse attorno al piccolino. Però, nonostante tutto, era interessante vedere come questa dinamica latente della squadra saltasse fuori così in maniera così feroce.
E sembrava che Kora Esdev fosse un tipino che non si lasciava scoraggiare. Teneva tra le mani un grosso pacco e, nell’arco di due secondi esatti, rivolse uno sguardo stizzito contro Riza e uno malizioso nei confronti di Fury.
“Mio padre le manda questo, signorina Riza – annunciò, andando a posare il pacco sopra un altro tavolo che stava posato contro la parete – è per il ballo di domani. E’ un vestito fatto apposta per lei e ci terrebbe che lo indossasse.”
“Davvero? Stasera, come vostro padre tornerà, lo ringrazierò personalmente – Riza annuì con educazione – Lady Kora, posso presentarle il generale Roy Mustang?”
Roy si alzò con disinvoltura e fece un perfetto baciamano alla ragazza che subito si era accostata a loro.
Oh sì, sei proprio carina… e sei anche una piccola combinaguai, vero? Hai proprio gli occhi da furbetta, Kora Esdev: ci credo che mandi in crisi il nostro placido tenente.
“Piacere, generale – salutò lei, con sguardo annoiato. E subito spostò l’attenzione su Fury – scommetto che la tua presenza non è indispensabile qui, soldatino. Vieni a fare un giro con me? Oggi quel rompiscatole di mio fratello non è a casa, possiamo divertirci!”
“Ecco io…” arrossì il tenente, lanciando una disperata occhiata a Riza.
“E’ venuto in visita il generale – scosse il capo questa, mettendo una mano sulla spalla del giovane soldato – mi dispiace ma oggi non può assecondare i suoi capricci, lady Kora.”
“Generale Mustang – replicò l’altra, andando accanto a Fury e prendendolo per mano – sono sicura che non le dispiace, vero?”
“Ecco…” iniziò Roy, intercettando l’occhiata furente di Riza. Provava tanta simpatia per il tenente che veniva quasi strattonato dalle due contendenti.
“Forza, soldatino, dì anche tu che vuoi venire con me!” incitò Kora.
“Veramente, io…” annaspò Fury.
“Basta con queste scene! – esclamò Riza – Tenente, non devi assolutamente assecondare questi atteggiamenti infantili. Ti ricordo che sei membro di un’ambasciata, non il giocattolo di questa signorina!”
“Lady Kora – iniziò il giovane soldato – effettivamente adesso non potrei e…”
“Sì che puoi!”           
“Lady Kora, che piacere rivedervi! – esclamò il principe Ming, entrando nella stanza come una ventata d’aria fresca – Allora, vi state preparando per il gran ballo di domani? Sono sicuro che gli occhi dei giovanotti di tutta Drachma saranno puntati su di voi! Chiedo scusa, signorina Hawkeye, sono entrato senza bussare, ma ho sentito dei toni parecchio alti e non mi sembrava proprio il caso…”
“Lady Kora è venuta a portarmi un gentile dono da parte del duca, stava giusto andando via.” spiegò Riza, recuperando il controllo della situazione.
Ed effettivamente Kora sembrò intuire che per quella volta era stata sconfitta: mollò la presa dalla mano di Fury e se ne andò via con aria altezzosa, degnando appena di un cenno del capo il principe di Xing. Ma non mancò di esprimere il suo disappunto sbattendo pesantemente la porta.
“Che terremoto…” commentò Roy, osservando Fury che finalmente sembrava respirare con più facilità.
“La nostra giovane holai non si smentisce – ridacchiò Shao – quando troverà un buon marito e andrà via da questa casa sarà una buona cosa per lei. Sempre che accetti di sposare qualcuno, o viceversa. Allora, generale Mustang, finalmente ci si conosce.”
Contemporaneamente a quell’affermazione, il principe fece un rapido gesto con il suo ventaglio e le sue guardie del corpo entrarono dalla finestra, andando agilmente accanto a lui e congiungendo le mani in gesto di rispetto e di saluto.
Roy osservò con attenzione quell’uomo così diverso da Ling Yao, eppure con qualcosa che faceva intuire la loro parentela: aveva ricevuto ampia descrizione da Fury, eppure niente era paragonabile a vederlo dal vivo. Si sventolava con noncuranza con quello strano ventaglio piumato, un lieve sorriso che gli aleggiava sulle labbra, ma il generale fu certo che era un temibile combattente, sebbene il suo vestiario ampio ed elegante non fosse proprio adatto per i movimenti. Ma l’apparenza spesso ingannava, lo sapeva bene.
“Finalmente, principe – disse con un cenno del capo, mentre il xingese si accomodava nella poltrona vuota tra lui e Riza – ho tanto sentito parlare di voi e non vedevo l’ora di conoscerla di persona.”
“La stessa cosa che pensavo io.” sorrise Shao Ming.
 
Mentre Roy finalmente conosceva il principe di Xing, il capitano Vato Falman passeggiava per i corridoi dell’Accademia di Drachsjna guidato dal barone Vlad Vinkin che, appena aveva saputo della presenza di un membro dell’ambasciata di Amestris nel suo personale regno, si era premurato di fargli da cicerone.
Era un edificio che si trovava al di fuori della Cittadella, proprio alle pendici della collina, dove iniziava il centro abitato vero e proprio: costituiva una sorta di elemento di raccordo tra la maestosità degli edifici nobiliari e quelli più modesti del popolo. Niente marmi o metalli preziosi, ma un caldo legno chiaro era l’elemento principale di quell’edificio. Il tiepido sole pomeridiano in quel momento penetrava dalle alte finestre, illuminando le pareti interamente nascoste da alte librerie, ed i larghi tavoli e scrittoi occupati da decine e decine di studiosi, vestiti in modo non dissimile dal nobile Kyril qualche ora prima.
“In questo periodo i nostri accademici sono principalmente impegnati in alcune innovazioni architettoniche – stava spiegando il nobile mentre gli occhi scuri si illuminavano di aspettativa – abbiamo in mente alcuni macchinari per facilitare il lavoro di messa in posa delle fondamenta di edifici, nonché di migliorare la presa di alcune malte idrauliche… una specifica sezione sta facendo sperimentazioni confrontando i testi dei nostri predecessori: lavoro affascinante, non vediamo l’ora di passare alla pratica.”
Falman annuì, mentre gli tornavano a mente le parole sentite qualche ora prima: pareva davvero che tutta l’Accademia fosse contaminata da uno spirito d’iniziativa molto forte, come se si sentisse libera di poter esprimere tutto il suo potenziale senza avere ripercussioni da parte della chiesa.
“Anche il figlio del duca Esdev viene qui spesso?”
“Kyril? Oh sì, mente davvero brillante quel giovanotto. E poi è molto attivo: spesso viaggia per le provincie per confrontare testi e portare avanti le sue ricerche; leggere le sue relazioni è sempre un vero piacere. Spero che il padre lo lascerà proseguire per la sua strada, ma essendo il terzogenito non dovrebbe avere particolari obblighi se non quello di un bel matrimonio, cosa praticamente scontata.”
“Quindi per i nobili è raro dedicarsi agli studi…”
“Ci sono altre priorità – ammise l’uomo – il primogenito è destinato ad ereditare la provincia e a sedere nel Consiglio dei Dieci, il secondogenito è promesso al clero e a sedere nel Consiglio Maggiore, solo dal terzogenito in poi si respira maggiormente, salvo incidenti, è chiaro.”
“Ossia?” Falman lo guardò sorpreso.
“Beh, nel caso succeda qualcosa ad uno dei primi due… è il terzo che deve prendere il posto, capisce? – il barone scrollò le spalle – io per esempio ero destinato al clero, ma poi mio fratello maggiore è morto di una brutta febbre e così siamo scalati in avanti tutti quanti. Buon destino per me, tutto sommato, sono più tagliato per questo che per il clero… di certo non ho la vocazione del nostro Patriarca.”
“Già proprio lui – Falman colse la palla al balzo, mentre distoglieva a forza lo sguardo da quelle fantastiche librerie – il giovane Kyril ne ha parlato in termini lusinghieri.”
“Perché è innegabile che negli ultimi quarant’anni Drachma ha in parte colmato le grosse lacune accumulate nel corso dei secoli per via dell’oscurantismo della chiesa. Gli ultimi quattro patriarchi prima di lui avevano una mentalità molto rigida che vedeva il male in qualsiasi innovazione, sia tecnologica che medica: fino a una cinquantina di anni fa se un bambino moriva per una febbre era volontà di dio ed i medici potevano fare ben poco per lui… adesso la nostra medicina è avanzata e la mortalità è diminuita di molto. E così si può dire per molti campi della nostra vita. Il nostro paese è nel pieno di una grande rinascita e spero che anche il prossimo Patriarca prosegua per la strada del venerabile Lessand… sebbene uno dei suoi favoriti sia proprio il rigido Michael Esdev. Tutti ci auguriamo che il Patriarca gli metta un po’ di buon senso in quella testarda testa scura.”
“Però l’Autarca ha grande fiducia in lui – disse Falman – ci hanno detto che assieme ad Alexand Anditev sia la persona che gli è più vicina.”
Il barone scosse il capo, rifiutandosi di rispondere: sembrava che quelle dinamiche interne fossero in qualche modo tabù. La maggior parte dei nobili di Drachma sembrava favorevole agli ospiti di Amestris, ma chiaramente non voleva scoprire troppo tutte le complicate relazioni nobiliari.
“La sua famiglia si è sempre occupata delle Accademie? – chiese Falman per cambiare argomento – All’interno del Consiglio dei Dieci, intendo…”
“Mio padre era barone delle relazioni estere se la può interessare – ridacchiò l’uomo, recuperando la loquacità – no, in genere quando sale al potere un nuovo Autarca c’è una rivoluzione nel Consiglio dei Dieci e a volte capita che i più anziani lascino spazio alle nuove generazioni, tanto sono i loro figli e l’opinine paterna sarà sempre di grande importanza. Però ci sono eccezioni: i Kyravic, dato che la loro provincia confina con Xing, hanno sempre occupato il ruolo di baroni del commercio; i Shintenov, dopo quello che hanno combinato secoli fa, hanno sempre il ruolo di barone sovrintendente, ossia quello meno importante… sa come si dice qui a Drachma quando si parla di qualcosa di impossibile? Si dice possibile quanto uno Shintenov che diventa Autarca. Con la Rivolta delle Pecore hanno segnato il loro destino… poveri sciocchi. Si tengono a galla solo perché sono i migliori quando si tratta di arte, preziosi e quanto altro.”
“Rivolta delle Pecore? Che buffo nome…”
“Anno 1646, tutti conoscono quella storia, persino il popolino – Vinkin ridacchiò – deve sapere che il clan Shintenov non si è mai distinto per essere forte in guerra o in altre attività simili e di conseguenza non ha mai avuto un ruolo molto importante nella politica di Drachma. Però, prima di allora, non erano nemmeno gli ultimi o comunque potevano aspirare a qualcosa di più… ma a loro non bastava. E così, ebbero la brillante idea di approfittare della morte prematura dell’Autarca per mettere sul trono un membro della loro famiglia. Manco a dire che questo grande piano è durato solo tre giorni: tutte le altre famiglie erano fedeli alla famiglia reggente e dunque all’erede, che all’epoca era ancora un ragazzino, e così misero in ginocchio quegli sprovveduti: diversi membri di quella famiglia furono condannati a morte per tradimento ed in ogni caso il destino della famiglia fu segnato. Un marchio simile resta per molto tempo, forse per sempre.”
“Certo che fu una mossa quasi suicida – commentò il capitano, mentre si fermavano davanti ad una finestra che dava nell’ampio cortile, dove alcuni studiosi si affaccendavano attorno a dei macchinari – come potevano pretendere di riuscirci se non avevano l’appoggio di nessuno?”
“Se mai qualcuno diede l’appoggio fu abbastanza furbo da tenersi nascosto… le solite voci che non verranno mai confermate. Ma più o meno tutti abbiamo intuito come sono andate le cose. Ma va bene così, più che bene… ecco, quella è un’interessante macchina che usa la forza idrogena: ci stiamo lavorando da ormai due anni e dovrebbe quasi funzionare. Speriamo…”
Però quasi a negare quanto era stato proclamato, la macchina emise un sordo fischio ed iniziò a ribollire. Subito gli studiosi corsero lontano da essa, temendo un’esplosione, ma tutto si concluse con diversi pezzi di metallo che caddero miseramente a terra, mentre una colonna di fumo sfiatava da una valvola laterale.
“Come non detto…” sospirò il barone con tristezza.
E Falman non poté fare a meno di sorridere, anche se la sua mente aveva ben annotato quelle ultime informazioni e quell’ultima frase così sibillina.
Certo… le solite voci mai confermate. Ossia qualcuno li ha davvero sostenuti finché faceva comodo.
Una storia vecchia di quasi trecento anni, ma poteva sempre tornare utile.
 
Shao Ming pareva completamente a suo agio, come se la storia del tentato omicidio di Derekj fosse solo un pettegolezzo di poco conto. Sventolava pigramente il suo ventaglio, non per effettiva necessità, dato il clima che iniziava a rinfrescare con l’approssimarsi della sera, ma come se fosse un gesto automatico che lo aiutava a riflettere. Gli occhi scuri erano carichi di interesse a smentire la placidità dell’espressione.
“Mi chiedo cosa spinga una persona a mettersi così apertamente contro i suoi più fidati amici e consiglieri – disse Roy, fissandolo con attenzione, mentre Riza e Fury restavano in silenzio – poteva mettere la questione in termini più diplomatici, mostrare comunque meno entusiasmo… mi pare si sia decisamente scoperto troppo, il tutto senza conoscermi. Chi può garantire delle mie intenzioni del resto?”
“Lei, ovviamente.” rispose con amabilità Shao, indicando con il ventaglio la donna
“Sarei un ostaggio?” si irrigidì Riza.
“Lo diventereste nell’arco di dieci secondi, signora. Derekj Drachvoic sarà anche giovane ed idealista, ma ha imparato a giocare alla politica sin da quando era bambino piccolo: gli è stata iniettata nel sangue piano piano, proprio come i veleni da cui è ormai immune, come qualsiasi membro della sua famiglia. Se vuole la pace la ottiene… del resto, generale, mi avete raccontato voi stesso di come ha volto a suo favore quel tentato omicidio, no? Adesso le ambasciate coinvolte si vedranno costrette ad accettare qualsiasi condizione, anche quelle sfavorevoli. Ed il tutto, ovviamente, sarà fatto con il sorriso sulle labbra.”
“E non teme l’inimicizia dei suoi cari amici? Insomma con quel monaco le cose sono davvero difficili…”
“Si conoscono sin da bambini, sono cresciuti assieme – scrollò le spalle Shao – sa fino a che punto si può spingere con loro. E poi Michael Esdev anche se fa il difficile non ha molta voce in capitolo: è uno dei protetti del Patriarca, certo, ma non ha nessun potere che quello della voce.”
“E della presenza…” commentò Fury d’istinto, ma poi arrossì di colpo, capendo di aver parlato a sproposito e senza alcun permesso.
“Fa timore, eh? – ridacchiò il principe – Eppure non ha nemmeno tanta imponenza fisica. No, il nostro amico religioso ha dalla sua un fervore ed una fede fuori dal comune… ma credo che abbia anche grande capacità di leggere l’animo umano, quando ovviamente fa comodo a lui. Purtroppo è stato il sangue materno, ossia Anditev, ad avere la meglio… e così è cresciuto testardo e inflessibile, proprio come il cugino. A Xing ne ho una decina di fratelli di questo tipo: alzo gli occhi al cielo ogni volta che li vedo… come fa mio fratello Ling a sopportarli ancora me lo chiedo. Manco a dire che sono sempre loro i maggiori oppositori a qualsiasi innovazione: la ferrovia che ora attraversa il deserto e collega i nostri paesi, l’introduzione degli automail… ah! Persino quando quel ragazzo alchimista biondo è venuto ad imparare l’arte rentan hanno fatto problemi, bontà divina, che seccatura!”
“Ogni sovrano ha le sue bestie nere…” commentò Roy.
“Ancora qualche anno e mia sorella May vorrà unirsi in matrimonio con lui – dichiarò Shao – sarà davvero divertente: non mancherò nella capitale per niente al mondo, sul serio.”
“Sono sicura che l’imperatore farà del suo meglio per una questione così delicata…” disse Riza.
“Ne sono certo pure io – annuì Roy – per tornare a monte: la maggior parte delle condizioni che l’Autarca mi propone sono più che accettabili… Briggs certo non può essere smilitarizzato, figuriamoci!”
“Chiede troppo per ottenere il più possibile, non credo che pretenda davvero cose simili.”
“Principe, quanto vale un trattato con l’Autarca?”
“Con i Drachvoic vada pure tranquillo, generale – commentò Shao con un sorriso – il serpente può mordere e stritolare, ma una volta che fa un patto lo manterrà fino alla morte.”
“Proprio quello che volevo sentire – annuì Roy, mettendosi a braccia conserte – monaci ed eresie non mi interessano: io voglio solo quel trattato.”
“A quanto pare le vicende a nord e ovest del paese sono più critiche rispetto a sud ed est – disse il principe con un ultima sventagliata – avrà quello che vuole, generale. Deve solo giocare bene le sue carte.”
 
“Voj! Voj! Voj! Voj**!”
La piccola folla attorno allo sporco tavolo di legno faceva un tifo sfegatato mentre i due contendenti si fissavano in cagnesco. Uno era un colossale e barbuto fabbro, dagli unti capelli castani e la folta barba ormai bagnata di vodka. L’altro invece era uno straniero dai capelli biondi e dagli occhi azzurri che, a quanto pareva, aveva tutte le carte in regola per battere il campione in carica.
Erano al venticinquesimo bicchierino ed era chiaro che si era ormai alla conclusione: entrambi davano segnali di cedimento, bisognava vedere chi aveva la volontà per mandare giù il ventiseiesimo bicchiere.
“Voj! Voj!” batteva le mani la folla mentre i due prendevano i bicchierini in mano
“Vai, Jean! – mormorò Breda – che ci raddoppiamo la vincita!”
Voj di ‘sto grandissimo cazzo!” esclamò Havoc, mandando giù il liquore e capovolgendo il bicchierino accanto agli altri venticinque davanti a lui.
La folla esultò per qualche secondo prima di spostare l’attenzione sull’avversario che, con mano tremante, cercava di portarsi il bicchiere alle labbra. Ma dopo qualche secondo d’esitazione, rovesciò gli occhi e cadde pesantemente sul tavolo, facendo cadere buona parte dei suoi bicchierini.
“Ha vinto!” esclamò una prosperosa cameriera bruna, andando ad abbracciare Havoc che, con una risatina idiota, se la mise sulle ginocchia.
“E… e sono ancora in forze per… per farti…”
“No, tu non farai niente – Breda, forte dei suoi soli sette bicchieri, prese la ragazza per mano e la fece scendere dal grembo dell’amico – ti ricordo che hai una moglie a casa, con dei bambini…”
“Oh, non sono gelosa!” ridacchiò la brunetta, dando un bacio sulla guancia del rosso – ne avrei per tutti e due, statene certi!”
“Sia benedetta Drachma!” esclamò Havoc, battendo i pugni sul tavolo prima di alzarsi in piedi con qualche lieve incertezza.
“E anche le dracme! – rise Breda, mentre intascava la vincita da parte di alcuni uomini, comunque felici di aver assistito ad una grande competizione – questa gente non è affatto male, vero? Dopo i primi bicchieri sono subito diventati nostri amici.”
Condusse l’amico ad un tavolo libero dove subito la cameriera tornò con due piatti fumanti.
“E’ un po’ prestino per la cena…”
“Oh no! E’ buccas – dichiarò lei con orgoglio – così domani lui non avrà nessun segno di bevuta. E’ un nostro rimedio, altrimenti la maggior parte delle persone qui non si alzerebbe la mattina! E il buccas di Karla è il migliore della capitale!”
“Sei tu Karla, vero?” Havoc le tirò il fiocco del grembiule, suscitando una risatina.
“Ovvio, bel biondone… e anche per altre cose sono la migliore, sai?”
“Sparisci prima che ceda – la salutò dandole una forte pacca sul sedere con uno sfacciato sorriso – altrimenti poi saresti tu a non alzarti la mattina dopo!”
Lei arrossì vistosamente con un gran sorriso, ma eseguì l’ordine e si allontano. Rimasti soli i due amici guardarono quel curioso stufato dall’aspetto certamente meno raffinato rispetto al cibo che avevano mangiato nei giorni precedenti, ma poi Breda ne assaggiò una cucchiaiata e annuì con soddisfazione. Havoc lo imitò, cercando di non pensare alla vodka trangugiata, e dopo i primi bocconi iniziò a mangiare con appetito.
Attorno a loro la locanda aveva ripreso le chiacchiere interrotte per la gara di vodka e molte si riferivano alla prossima incoronazione. Al contrario dei nobili, che parlavano senza alcun accento, il popolino aveva un linguaggio molto più marcato, fatto anche di termini dialettali a loro sconosciuti. Tuttavia Breda aveva un orecchio parecchio sensibile che si abituava ben presto a quanto si parlava attorno a lui.
“Ovviamente poi farà il giro della capitale in carrozza… non vedo l’ora di vederlo!”
“Mi ricordo che quando salì al potere suo padre ci furono giorni e giorni di festa. Che dio l’abbia in gloria! Peccato che abbiano avuto un solo figlio, ma la signora era fragile, vero?”
“E poi sappiamo che Dars aveva un’amante, suvvia! Inutile negarlo!”
“Ma dai! Non dire queste cose… non è bene parlare male del proprio defunto signore!”
“Non è parlare male, è la verità, che ipocrisia!”
“Comunque si dice che il ragazzo abbia già messo gli occhi su una graziosa Vinkin… lo sai come sono quelle: una femmina di Vinkin è astuta come una lupa in calore. Sono la vera ricchezza di quella casa per i bei matrimoni che combinano!”
“Nah, fidati di me! Una bella Tojanev: bionda, avvenente… e con una famiglia che ti para il culo a vita. Sai bene che i Tojanev a proprio favore sono una garanzia.”
“Lo sarebbero comunque a favore dei Drachvoic… sono sempre stati le spie degli Autarca. Mai uno solo di loro che sia salito al seggio. Credi che non ne abbiano avuto occasione? No, a quelli piace stare dietro le quinte… la pernice dorata sfugge sempre al cacciatore. Non sono stati per secoli le spie dell’Autarca se non avessero simili capacità!”
“Beh, non era proprio pernice… ma la gallina che ho mangiato ieri a cena non era niente male!”
“Ahahahaha! Grandiosa battuta! Ma devi ancora assaggiare l’oca come la prepara mia moglie: ne abbiamo due all’ingrasso. Le faremo per il giorno dell’incoronazione per festeggiare degnamente! Dovreste venire anche tu e la tua famiglia: la casa è grande, il cibo tanto… annata buona, grazie a dio!”
“Le preghiere sono state ascoltate: il raccolto è stato felice e con poche gelate! Il regno del nostro sovrano inizia con una buona stagione, felice presagio!”
Breda prese l’ennesima cucchiaiata di buccas e rifletté su quanto aveva appena sentito.
E così piano piano ciascuna famiglia nobiliare veniva allo scoperto con ruoli ben precisi che l’avevano caratterizzata nel corso dei secoli. In particolare questi Tojanev erano da tenere sotto controllo, anche se per ora non ne avevano incontrato nemmeno uno in giro.
“Ed ecco il pane, ragazzi – sorrise Karla, posando una cesta con diverse fette di pane in mezzo al tavolo – non va lasciata nemmeno una goccia del mio buccas altrimenti mi offendo.”
“Tranquilla che poi te ne chiedo una seconda porzione – le strizzò l’occhio Breda – sei una cuoca fantastica, ragazza mia.”
“E tu hai fantastici occhi grigi, bel rosso… tu cucinerei a dovere. Capisco che il tuo amico è sposato, ma tu? Ce l’hai una mogliettina gelosa che ti aspetta a casa?”
“No, sono libero da impegni –  le sorrise sarcasticamente – ma stasera devo riaccompagnare il vincitore della gara di vodka a casa, mi sa.” ed indicò Havoc che, nonostante mangiasse con appetito, non era chiaramente in grado di ritrovare la strada della Cittadella da solo.
“Però potresti tornare uno di questi giorni… non ho mai fatto l’amore con uno dai capelli rossi.”
“Breda, hai fatto centro!” commentò Havoc con una sciocca risata.
“Scusalo! – lo liquidò Breda – è che sarò parecchio impegnato, ragazza mia, ma se avrò tempo di sicuro passerò a trovarti.”
“Ci conto – gli passò una mano tra i capelli rossi – tanto la mia casa è proprio accanto alla locanda e a te apro anche a notte fonda.”
“Karla! Vuoi venire? Ragazza, ci sono i clienti da servire!”
“Arrivo!” esclamò lei, con una risata allontanandosi.
“Bruna, viso carino e malizioso… direi sui venticinque anni. E che fianchi si vedono da quella gonna, eh? – sogghignò Havoc – Heymans, amico mio, secondo me una scopata con quella te la devi proprio fare.”
“Quello che eventualmente farò con lei non è certo affar tuo – Breda prese un pezzo di pane ed iniziò a raccogliere i resti della sua porzione – piuttosto stasera abbiamo parecchio da riferire al generale, compresa la tua vittoria alla gara di vodka.”
“Cazzo se la fanno forte qui! – sospirò il biondo – pensavo di non farcela contro quel dannato: iniziavo a vederci anche triplo!”
“E allora spera che questa buccas faccia il suo dovere – ridacchiò Breda – domani niente taverne come questa: ci aspetta un gran ballo con la più alta nobiltà di Drachma.”
“Che culo…”
La solita finezza di Jean Havoc. Ma Breda apprezzava il suo miglior amico anche per questo.
 
“Allora ci vediamo domani al ballo, generale – salutò Riza, mentre Roy prendeva congedo da casa Esdev – mi raccomando, si faccia controllare bene la divisa da Falman o da Breda. Si ricordi la giacca con le mostrine e…”
“Diamine, come se non ne fossi capace! – sbuffò l’uomo – Ho partecipato già a cerimonie, lo sai bene!”
“Sì, e so anche che molto spesso dovevo sistemare qualche dettaglio all’ultimo secondo.”
“Donna di poca fede… piuttosto, che mi dici del tenente?”
“Fury? Che c’è che non va con Fury?”
“La ragazzina l’ha proprio preso in simpatia… e a te non piace per niente, vero?”
“Siamo un’ambasciata – l’espressione di Riza si indurì – non ad una gita scolastica. E poi Kora è strana, non mi ispira nessuna fiducia… sta solo giocando con Fury, ci vuole poco per capirlo e lui ha…”
“… ventisette anni…”
“Sì, ma non è questo che conta. Sa bene come è fatto il tenente, generale… è buono, ingenuo, ci cascherà e si farà male. E non dimentichiamo che lei è una nobile di Drachma, è una cosa davvero sconveniente che si comporti in un simile modo.”
“Non sei la madre di Fury… sua madre si chiama Ellie, è sposata e sta nelle campagne dell’Est. Se c’è qualcuna che potrebbe dirgli qualcosa in merito è lei, non tu… non con simili toni. Quanto alla nobiltà e alla convenienza, ho i miei dubbi che quella lì sia una vergine casta e pura, credimi.”
“Generale!”
“Si nota da alcuni dettagli – scrollò le spalle lui – e anche se è ancora illibata, di sicuro ha comunque avuto esperienze…”
“Questo discorso non ha alcun senso – tagliò corto Riza – si sta facendo tardi, signore. Le conviene andare, non crede? Mi saluti tanto il resto dei ragazzi.”
Roy sospirò e fece un cenno del capo.
No, da quell’orecchio non voleva sentirci.

Eh no, Fury, te la devi gestire da solo… ma te la puoi cavare, ne sono certo.




*buccas
ovviamente è un termine inventato da me... non mi chiedete manco di cosa sia fatto xD

**Voj è un termine dialettale per "bevi!"
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9. Coppie danzanti ***


Capitolo 9.
Coppie danzanti



Qualche volta Riza, durante la sua solitaria infanzia, si era immersa nella lettura di libri di favole e se c’era una scena che l’aveva sempre lasciata estasiata, era quella del ballo nel grande palazzo del re.
Quando entrò nell’enorme sala dei ricevimenti del palazzo dell’Autarca, capì che le favole, a volte, possono diventare realtà, perché quello che vedeva non aveva niente da invidiare a tutto quello che aveva sempre fantasticato.
Era una sala immensa, dall’alto soffitto da cui pendevano tre enormi lampadari di cristallo che illuminavano a giorno tutto quanto. Un pregiato affresco del cielo, con piccoli putti che si affacciavano dalle nuvole, dava l’impressione di trovarsi all’aperto mentre, lungo le pareti, dipinti di scene di caccia e vita di corte facevano credere di essere in un fantastico mondo parallelo a quello delle persone in carne ed ossa che affollavano la sala. E anche queste andavano ben oltre l’immaginazione di una bambina solitaria: ricche divise sgargianti, abiti lussuosi che nemmeno una fata madrina avrebbe potuto rendere così belli, acconciature ricercate, un clima di eccitazione come mai aveva sentito e che la fece rabbrividire di aspettativa.
“Spiccherai come un gioiello raro, mia cara!” commentò il duca Esdev, tenendola a braccetto. E, suo malgrado, Riza si trovò a sorridere felice, come una debuttante che viene accompagnata dal proprio padre in quel mondo fantastico ed incantato.
Ed il duca sapeva davvero come farla sentire speciale: la accompagnava in mezzo a tutte quelle persone presentandola come se fosse una figlia rimasta lontana per tanto tempo. E tutti erano incredibilmente cordiali e felici: conoscere finalmente la nipote del Comandante Supremo di Amestris era un avvenimento atteso con ansia, proprio come il ballo.
Fu quasi con disappunto che, alla fine, la donna vide il generale Mustang ed il resto della squadra che facevano il loro ingresso, tra i mormorii di tutti,  e si accostò a loro, seguita dal silenzioso e timido Fury.
“Ma che splendore! – Roy fece un perfetto baciamano – Mia cara, ti assicuro che mai ho visto una donna così affascinante in tutta Amestris!”
“Generale, suvvia!” lei arrossì, lanciando un’occhiataccia a tutti, specie ad Havoc e Breda, per evitare battute o idee strane che non era proprio il caso di mettersi in testa.
“E dai, mi limito ad essere educato e…”
“Voglio ricordarle – sibilò lei, accostandosi più che poteva al suo orecchio – che ho una pistola nascosta sotto l’abito: sono la sua guardia del corpo, signore, cerchi di metterselo in testa e…”
“No, sbagliato! Sei la più bella: il gioiello di Amestris, vero ragazzi? E con questo vestito azzurro fai una splendida figura… a Drachma non possono vantare una meraviglia simile.”
“A Xing si dice che niente onora il clan più di una graziosa perla – si intromise Shao Ming, accostandosi a loro e facendo un gentile cenno del capo in saluto – non si vergogni di tutti questi complimenti, signora.”
Riza arrossì ancora, non sapendo come gestire tutte quelle parole e quegli sguardi d’approvazione. Ma era innegabile che si sentisse bella: quell’abito si seta e pizzo azzurro cielo si discostava per taglio rispetto a quelli più scollati del resto delle dame, tuttavia contribuiva a slanciarla e a mettere in delicata mostra le sue forme. Per l’occasione aveva rinunciato ai capelli sciolti e li aveva di nuovo raccolti, sebbene l’acconciatura fosse più elegante rispetto al solito fermaglio che usava a lavoro; a completare il tutto un delicato filo di perle le cingeva il collo, contribuendo a dare un tocco speciale ad una figura complessiva forse meno appariscente rispetto ad altri, ma di una grazia fuori dal comune.
“Dove sono Mio e Sin, principe? – chiese per cambiare argomento – non li vedo.”
“Sono dove dovrebbero essere le guardie del corpo di un principe di Xing – rispose lui, sistemandosi una manica della sua ampia sopravveste ricamata con fili d’oro – più vicini di quanto chiunque creda eppure talmente discreti da non essere notati.”
Ma qualsiasi altro commento venne interrotto: la lieve musica proveniente dall’orchestra che stava su una galleria lungo una delle pareti smise per qualche secondo prima di intonare la marcia reale di Drachma.
A quel punto tutti i nobili si inchinarono profondamente mentre, dalla porta principale, faceva il suo ingresso Derekj, splendido nei suoi vestiti rossi  e verdi e con il mantello color oro. Ancora una volta i capelli biondi del sovrano erano cinti da una fascia d’oro bianco, ma al contrario della precedente volta, c’era anche un grosso smeraldo a decorare quel simbolo regale.
Gli occhi azzurri scrutarono la sala, non lasciandosi sfuggire il minimo dettaglio: si soffermarono su tutti i nobili e su tutte le ambasciate presenti. Poi, con passo sicuro, iniziò a percorrere il pregiato tappeto di velluto rosso che attraversava il pavimento e portava alla piattaforma soprelevata dove stava il trono dell’Autarca, finemente decorato con intarsi dorati. E, sopra di esso, il grande stemma del paese, con la pantera che sembrava incitare tutti quanti ad ammirare la propria potenza.
Due passi dietro a lui veniva Alexand, come sempre vestito di nero ed argento, anche se sembrava che, per l’occasione, quest’ultimo colore avesse più spazio rispetto al solito. In ogni caso era una figura profondamente elegante e Riza sentì diverse ragazze sospirare mentre lo vedevano passare con il suo piglio severo eppure affascinante.
Finalmente Derekj giunse davanti alla piattaforma e salì i tre gradini, venendosi a trovare in posizione elevata per poter scrutare di nuovo la sua gente. Alexand invece si fermò un gradino sotto di lui, mettendosi di fianco con la mano sull’elsa della spada.
“Miei amati sudditi – disse l’Autarca con voce chiara e limpida – sono lieto di annunciare la fine del periodo di lutto per la morte di mio padre Dars III. Egli è stato amato, è stato riverito, è stato giustamente pianto e onorato come le tradizioni richiedono. Adesso, con il consenso di tutti voi, prendo in mano le sorti del nostro amato paese, sperando di poter eguagliare la grandezza dei miei predecessori. Tuttavia stasera è un momento di festa: divertitevi e festeggiate come si conviene, ve ne prego!”
“Lunga vita a Derekj V! – esclamò Alexand – lunga vita a Drachma!”
Tutti risposero a quel proclama, tanto che la sala sembrò scossa da un ruggito che fece tremare persino i lampadari di cristallo. Ben tre volte venne ripetuto con occhi fieri e voci salde sia da parte maschile che femminile. Poi, terminata questa tradizione, il giovane Autarca andò a sedersi nel suo seggio, mentre Alexand andava a sistemarsi in piedi accanto a lui.
“Sapete perché è accanto al nostro Derekj? – chiese Kyril, materializzandosi accanto a loro – E’ stato nominato suo personale campione, sebbene la cosa verrà resa ufficiale solo con la cerimonia religiosa. Da diverse generazioni era stata abbandonata questa tradizione, ma si vede che ha voluto riprenderla.”
“Che cosa fa un campione?” chiese Fury, con curiosità.
“Nei tempi passati, in caso di minacce, spesso si risolvevano le contese con un duello tra i due campioni delle fazioni, ossia i combattenti migliori. Questa tradizione si è persa, ma il campione svolge anche il ruolo di consigliere primo del sovrano, a prescindere dalla posizione che occupa all’interno del Consiglio dei Dieci. E’ stata una mossa molto importante: pone Alexand in un ruolo di grande rilievo.”
“Non vedo Michael – commentò Roy, mettendosi a braccia conserte – non partecipa a questo momento?”
“No, non è previsto – ammise Kyril – avrebbe potuto partecipare in quanto nobile, ma si vede che preferisce stare in meditazione: non dimenticate che prenderà parte attiva alla cerimonia religiosa dei prossimi giorni.”
“Sono davvero felice che non sia qui!” sospirò di sollievo Fury, suscitando le risatine di tutti quanti.
 
Fu questione di poco e l’ambasciata di Amestris riuscì a mischiarsi con disinvoltura alla folla presente nella sala: il duca Esdev ed il principe Ming erano ottimi ospiti e introducevano con grazia ed eleganza Roy ed il suo seguito.
Questo clima di cordialità durò per quasi mezz’ora, mentre paggi e camerieri svolazzavano in mezzo a tutti gli invitati con vassoi d’argento colmi di bicchieri e stuzzichini, materializzandosi miracolosamente accanto a chi gradiva qualcosa, quasi avessero sentito il suo desiderio ancor prima che ne facesse parola.
Fury si stava veramente godendo quei momenti: lui e Riza si erano separati dal resto del gruppo e stavano conversando con Kyril che si stava dimostrando un interlocutore davvero piacevole e gentile. Gli dispiaceva davvero tanto che non fosse tanto presente a casa Esdev.
Quando all’improvviso una mano gli si posò sulla spalla.
“Eccoti qua, ti cercavo: tra qualche minuto iniziano le danze!”
Kora gli sorrise, splendida nel suo abito rosa chiaro scollato che metteva in risalto la sua pelle candida e perfetta. Una piccola tiara d’argento le teneva fermi i lisci capelli biondi e tutto il suo viso sembrava risplendere per quella serata. E Fury per la prima volta si trovò a pensare che sì, era davvero bella e quegli occhi azzurri così sfavillanti erano fuori dal comune.
Ma poi si riscosse.
“Danze? Ma no, lady Kora – annaspò – non credo sia il caso…”
“Kora, smettila!” la ammonì subito Kyril, fissandola con stizza.
“Di certo avrai altri cavalieri che avranno chiesto l’onore di un ballo con te.” disse Riza con voce severa.
“E sono stati ampiamente rifiutati – annuì Kora con sfacciataggine – vieni, soldatino, scommetto che sei un perfetto ballerino… coraggio!” lo prese per mano e lo incitò ad andare verso la parte centrale della sala dove la gente si stava scostando proprio in previsione delle danze e dove dei paggi provvedevano ad arrotolare il grande tappeto rosso.
“Kora, basta – Kyril la prese per un braccio e la scosse lievemente – non è il caso di dare spettacolo con i tuoi capricci, non stasera!”
“Non sono un cagnolino che obbedisce agli ordini, Kyril – sibilò lei non abbassando minimamente lo sguardo – faccio quello che voglio!”
“Però, forse non è proprio il caso…” cercò di portare pace Fury, non riuscendo a capacitarsi del cambiamento d’umore del pacifico e calmo giovane.
“Non fare caso a lui – rispose Kora – adesso risolvo tutto io: cugino! Mio amato cugino!”
“Come… cugino?” Fury annaspò, capendo cosa aveva in mente di fare la ragazza. Ma era ormai troppo tardi per poter reagire, e anche Riza e Kyril erano bloccati: tutta la folla aveva portato l’attenzione su di loro, attratta dall’esclamazione squillante di Kora. E così, il giovane soldato, nell’arco di dieci secondi, si trovò davanti alla piattaforma dell’Autarca, rosso in viso e sguardo a terra, e tenuto per il braccio da Kora, mentre attorno a loro c’era il vuoto assoluto.
“Dimmi, Kora – la voce del giovane sovrano era cortese, ma non mancava di tradire una certa sorpresa – che posso fare per te, cugina?”
“Vorrei il tuo permesso di aprire le danze con il tenente! – dichiarò lei – Te ne prego!”
Subito un brusio attraversò la sala e Fury desiderò sprofondare: come poteva agire? Aveva il terrore anche solo di alzare lo sguardo sulla figura di Derekj e aveva la netta impressione che ogni sua parola l’avrebbe messo nei guai, assieme a tutti gli altri.
“Bambina cara – la voce del duca Esdev si fece avanti – non mi pare il caso di…”
“Il tenente è un soldato molto caro al Comandante Supremo di Amestris! – ribadì la ragazza con entusiasmo, consolidando la presa sul braccio di Fury – per favore, cugino, dimmi di sì! Concedimi il permesso di aprire le danze con lui!”
Fury alzò lo sguardo, intuendo che il sovrano si era alzato dal trono: per la prima volta lo vide da vicino e si accorse di quanto in realtà fosse giovane e di come, in qualche modo, ricordasse Roy Mustang in determinati atteggiamenti. Per esempio adesso lo stava soppesando proprio come faceva il suo superiore quando voleva fargli fare qualche cosa leggermente oltre le righe.
“Non vedo perché no, – sorrise infine, Derekj, mettendosi le mani dietro la schiena – è la mia festa e voglio che la mia cara cugina si diverta. Se hai scelto lui tra tutti coloro che volevano ballare con te, dev’essere davvero qualcuno di speciale. Ed è anche una buona occasione per mostrare come i rapporti tra i nostri paesi stiano finalmente cambiando in meglio…”
“Grazie, cugino!”
“Alexand – Derekj, fermò con un cenno Kora che già stava trascinando Fury al centro della pista – mia cugina ha scelto un soldato di Amestris per aprire le danze, adesso spetta ad un maschio scegliere la compagna, come da tradizione. Se non sbaglio tra i nostri illustri ospiti stranieri c’è anche una splendida dama.”
Alexand fissò il sovrano con occhi furenti per qualche secondo, ma poi con mosse rigide scese gli scalini e andò vicino alla folla, dove Riza stava davanti a tutti.
“Signorina Riza – disse con voce piatta ed educata, inchinandosi lievemente – vorreste farmi l’onore di aprire le danze assieme a me? A quanto pare è espresso desiderio del mio signore.”
Il brusio della folla aumentò quando la donna annuì e accettò il braccio che le veniva offerto.
Nell’arco di pochi secondi le due coppie furono davanti all’Autarca che sorrise con benevolenza.
“Che mia cugina ed il mio campione aprano le danze!” ordinò con un cenno della mano.
E l’orchestra iniziò a suonare un valzer.
 
“Non ha ballato nemmeno al mio matrimonio – commentò Havoc con un fischio di sorpresa – nonostante Rebecca l’abbia supplicata e minacciata in tutte le salse non ha ballato… e ora sta ballando. Ma questo è un momento storico, signori: Riza Hawkeye che balla un valzer!”
“Decisamente il nostro Derekj sa come volgere momenti imbarazzanti a suo favore – disse Breda – e così è quella Kora, eh? Povero Fury, non ce lo vedo proprio bene.”
“C’è una scommessa su di lui, te lo ricordo.”
“Signore – chiese Falman, rivolgendosi a Mustang – intende fare qualcosa?”
Anche Havoc e Breda portarono l’attenzione sul generale che fissava le due coppie danzanti, anzi una sola delle coppie. Aveva il viso impassibile, ma era chiaro che non era propriamente felice di quella scelta.
“Fare qualcosa? – disse infine – devo solo complimentarmi per la prontezza dell’Autarca, che altro? E tu, Havoc, smettila di fare commenti idioti, ricordati in che posto ti trovi.”
“A questo punto perché non invita lei una nobile di Drachma a ballare?” propose il biondo con una strizzata d’occhio maliziosa.
“Suvvia, mi credi davvero così banale? – sorrise sarcasticamente – No, facciamo come se niente fosse, ragazzi: riprendiamo le nostre brave chiacchiere diplomatiche senza dare troppo nell’occhio. Ricordate che Fury e il ten… la signorina Hawkeye non sono parte della squadra.”
Ma a nessuno della squadra sfuggì l’occhiata rammaricata che lanciò nei confronti della pista da ballo.
 
Riza non aveva mai ballato perché non aveva mai imparato a farlo.
E come avrebbe potuto? Di cero non durante la sua infanzia e adolescenza e, ancora meno, dopo il suo ingresso nelle forze armate. Se si sentiva forte e sicura con un fucile in mano, invece a muovere le gambe a seconda del ritmo della musica si trovava davvero a disagio.
Eppure, nonostante tutte queste premesse negative, se la stava cavando più che bene e l’indiscusso merito era del suo cavaliere: Alexand Anditev poteva essere rigido, formale, e contro Amestris, ma era un ballerino eccellente e la guidava con estrema facilità e perizia, facendola passare per una buona danzatrice. La sua mano stava posata sul suo fianco con leggerezza e l’altra le teneva la mano con quella che si poteva definire delicatezza, un fatto di cui Riza fu anche felice. Non era molto conveniente far sentire i calli dovuti all’uso delle armi.
Ogni tanto, quando riusciva a non pensare al movimento dei piedi, lanciava qualche rapida occhiata all’altra coppia che tanto attirava l’attenzione e vedeva che, nonostante tutto, pure Fury se la stava cavando discretamente.
“Mi dispiace – disse a un certo punto Alexand – Kora è stata troppo impulsiva e il mio signore ha sfruttato la cosa come voleva lui.”
“Non vi sto certo condannando per questo ballo.” scosse il capo Riza.
“Lui è così, gli piace fare sfoggio delle sue doti e a volte questo va a scontrarsi contro le volontà degli altri. Ma è il mio signore e presumo che ogni suo gesto abbia un altro fine più grande.”
“Anche se non è condiviso da voi…” commentò Riza.
“Siete una donna – scosse il capo il giovane, facendole fare una splendida piroetta che ottenne l’applauso di tutta la sala – e certe dinamiche possono esservi ostiche da capire.”
“Sono la nipote del Comandante Supremo – ribadì lei – ed il fatto di essere donna non mi rende certo meno intelligente di un uomo. Capisco fin troppo bene certe dinamiche, Alexand, ve lo assicuro.”
“Vi chiedo scusa, allora..” sorrise lui, con quella che si poteva interpretare come ammirazione.
Si lasciarono quindi andare alla musica per qualche minuto, i loro volti che avevano ripreso un’espressione distesa dopo quel piccolo diverbio: nessuno avrebbe detto che quel ballo era stato frutto di una costrizione.
Tuttavia, dopo un po’, il barone riprese a parlare.
“Signora, già che ci siamo, posso rivolgervi qualche domanda sul generale Mustang?”
“Ma certo…” annuì lei, arrossendo lievemente al pensiero che il suddetto generale la stesse vedendo in un simile momento. Era un fatto che fino a quel momento non aveva considerato e per un breve istante desiderò lasciare la mano di Alexand ed andare via da quel posto. Ma poi la sua parte razionale si disse che non aveva potuto farci niente davanti a quella richiesta dell’Autarca.
E poi… è solo un ballo. E lui è il mio superiore, tutto qui.
“La sua alchimia – il campione dell’Autarca iniziò con qualche esitazione – si dice che abbia ucciso centinaia di persone, laggiù, a sud del vostro paese.”
Riza si incupì, perdendo qualsiasi imbarazzo, pronta a ribattere colpo su colpo a quelle accuse, proprio come aveva fatto con Michael.
“E’ una vicenda complicata, mio signore – disse con calma – non si potrebbe spiegare nel tempo di un ballo, mi creda. Forse non basterebbe una vita.”
“Voglio solo sapere una cosa – scosse il capo lui, fissandola con attenzione – il fuoco può essere manipolato così tanto da creare precisi disegni sul corpo di una persona?”
Riza capì il collegamento e scosse il capo con decisione.
No, Alexand – pensò con amarezza – per quanto precisa la sua fiamma non potrebbe mai fare disegni così dettagliati come quelli a cui ti riferisci tu. Lascia un marchio più indefinito… una chiazza irregolare che si espande appena sotto la sua spalla, andando poi verso il centro della schiena. Lui non…
“… non posso essere precisa sull’alchimia del generale Mustang, ma le assicuro che simili cose non sarebbe in grado di farle. Non potrebbe mai infierire in modo così tremendo su degli esseri umani, questo lo posso garantire con tutta me stessa!”
“Mio cugino Michael dice che l’alchimia è un’eresia…” sospirò Alexand, mentre il ballo terminava.
“L’alchimia è solo una scienza – disse Riza mentre tutti attorno a loro applaudivano con cortesia – la stessa scienza che ha portato a creare armi sempre più sofisticate e pericolose. E’ l’uomo a scegliere come usarle, mio signore… e io mi fido del generale, a prescindere da quanto può essere successo in passato. E’ più dignitoso cercare di porre rimedio ai propri errori piuttosto che far finta di nulla.”
Prese con gesto deciso un lembo della gonna e andò a mischiarsi tra la folla, lasciando il campione dell’Autarca solo in mezzo alla pista da ballo, prima che la musica riprendesse e decine di nuove coppie si facessero avanti per il nuovo motivo suonato dall’orchestra.
 
Mentre Riza fece quell’unico ballo, interpretando la parte di una strana Cenerentola, Fury venne imprigionato da Kora per le cinque danze successive. Dopo un primo imbarazzo iniziale, il giovane si era rassegnato a danzare con lei, davanti a tutta quella gente e, mano a mano che i minuti passavano, si era reso conto che gli piaceva davvero tanto. Sapeva ballare: sua madre gliel’aveva insegnato tra le mura di casa, al suono dei concerti trasmessi dalla radio. E qualche volta aveva danzato con lei anche alle feste che si tenevano nel capannone del suo paese.
Ma certo che ballare con una ragazza è tutta un’altra cosa…
“Che hai?” ridacchiò Kora, guardandolo con malizia.
“Niente, lady Kora.”
“Oh dai, basta con questo lady, soldatino: Kora va più che bene. E comunque avevo proprio ragione: sei un ottimo ballerino… hai avuto bravi maestri?”
“Mia madre – sorrise lui divertito – nel salotto di casa mia, in campagna.”
“E’ una grande tenuta?”
“Tenuta? Direi proprio di no, Kora: la mia famiglia è benestante, ma non è né nobile né ricca… è un mondo che non… è diverso.”
“Oltre da tua madre, da chi è composta la tua famiglia?”
“Da mio padre e da me.”
“Niente fratelli o sorelle?”
“No, figlio unico.”
“Ti invidio sai – ammise lei, mentre gli faceva cenno di dirigersi ai lati della pista da ballo – hai tutte le attenzioni dei genitori e non hai fratelli rompiscatole.”
Smisero di ballare e lo prese per mano, incitandolo a seguirla lontano da tutta quella gente: scivolarono con discrezione tra vestiti e divise, schivando camerieri e dame, come se fosse una nuova danza che riuscivano a ballare solo loro due. Finalmente furono fuori dalla grande sala e fu quasi surreale sentire il silenzio quando le porte si chiusero alle loro spalle.
“Forse non è corretto andare via…” provò ad obbiettare Fury.
“Paura, piccolo soldato? – lo canzonò lei – stiamo solo andando alla balconata che c’è più avanti, non temere. Non ti allontano troppo dalla nipote del comandante supremo, stai tranquillo.”
Il soldato scosse il capo mentre la seguiva: ovviamente aveva capito che tra Kora ed il tenente colonnello non correva buon sangue e che la causa in qualche modo era lui. Sinceramente non sapeva come affrontare la cosa ed era sempre più convinto di chiedere consiglio ai suoi amici, considerata la delicata situazione in cui si trovavano.
Però gli dispiaceva seriamente per Kora: anche le ultime frasi dette testimoniavano la sua solitudine a prescindere dalla famiglia numerosa.
“Non vuoi bene ai tuoi fratelli?” chiese mentre arrivavano alla balconata e lei apriva la porta finestra.
“Andrey lo vedo poco e niente, lui sta ad Esdev, nella tenuta di famiglia, perché deve governare la provincia: siamo praticamente estranei. Michael… oh beh, l’hai conosciuto pure tu e non mi pare il caso di spendere commenti su di lui.”
“E’ stato molto severo con te per quella storia dei cani?”
“Intendi se mi ha picchiata? – scrollò le spalle lei – no… predica, fa la voce grossa, ti fa sentire una peccatrice, ma non alza le mani.”
“E il tuo gemello? Insomma Kyril mi pare davvero preoccupato per te e sicuramente siete molto legati…”
“Legati, eh? – sorrise sarcasticamente lei, posandosi alla balaustra di marmo e fissando il cortile sottostante dove era caduto un lieve strato di neve – E’ complicato, lascia stare.”
“Sta sempre fuori a studiare, immagino, però…”
“Senti, mi trovi bella?”
Fury fece un passo indietro a quella domanda pericolosamente femminile. Però poi si passò una mano tra i capelli con imbarazzo e si costrinse a rispondere.
“Sì che sei bella, perché devi dubitarne?”
“Non ne dubito infatti – ridacchiò lei con una piccola giravolta – mi piace sentirmelo dire.”
“Kora, ma perché ti devi sempre comportare in modo assurdo? – iniziò lui, cercando di mettere un minimo di giudizio in quella ragazza che un attimo prima gli era sembrata la più sola del mondo e adesso era tornata la piccola tormentatrice di sempre – Possibile che non capisca che…”
“Hai mai baciato?”
“Che?”
“Un bacio, suvvia… mh, mi sa proprio di no, vero?” e sorrideva, continuava a sorridere in quel mondo dannatamente malizioso e affascinate. E Fury sentiva le orecchie rombargli ed il cuore battergli a mille. Che doveva fare? Scappare e tornare dagli altri? Dirle di smetterla?
Certo… perché tanto ti darà retta…
“Kora, senti, non… non – ma lei si era già avvicinata e gli aveva posato le mani sul petto, protendendo il viso – non credo che sia conven…”
“Smettila di pensare a queste idiozie – sibilò lei con rabbia prima di baciarlo con foga per qualche secondo – vivi la tua vita, soldato, non farti intrappolare dalla divisa che indossi o da quello che siamo. Forza, abbi il coraggio di abbracciarmi e baciarmi… altrimenti non ci credo quando dici che sono bella!”
E Fury strinse le braccia attorno a quella vita sottile, attirandola contro di sé. Si dimenticò dei timidi e disastrosi tentativi di bacio avuti con quelle ragazze che gli aveva presentato Havoc nel corso degli anni e cercò le labbra di Kora con una foga che mai aveva provato.
Le mani di lei salirono a toccargli il viso ed erano fredde, quasi gelate… la sua bocca invece era rovente.
Una miscela di gelo e fuoco che ebbe il potere di fargli dimenticare il ballo, i suoi amici, la divisa che indossava e persino il suo stesso nome.
 
Riza stava posata contro la parete, cercando di confondersi con il dipinto di scena campestre dove tutti partecipavano felici ad una merenda sul prato. Arrivò persino a tendere una mano verso una fanciulla, la cui unica preoccupazione nella vita sembrava rincorrere un piccolo cagnetto bianco.
“Ti manca il cane?”
Non si voltò: avrebbe riconosciuto quella voce tra mille ed in ogni caso si aspettava che sarebbe venuto. Aveva l’incredibile capacità di capire sempre quando qualcosa la turbava e allora veniva da lei o in qualche modo le faceva sentire la sua presenza.
“Mi manca la comodità di abiti più da me e di scarpe più comode – si costrinse a sorridere, rivolgendosi alla ragazza del dipinto – e… sì, mi manca anche Hayate.”
“Balli bene, sai…” Roy le si mise accanto, iniziando a fissare pure lui il dipinto.
“Sembriamo due ragazzini in castigo – sospirò lei, recuperando il controllo della situazione: non si potevano permettere certe scene – non credo che…”
“Stiamo solo ammirando un dipinto… un notevole dipinto, se non fosse per quel cagnolino. Diamine è davvero brutto, non credi?”
Riza osservò il cagnolino ed ammise che… non era proprio bellissimo. Era di una razza a lei sconosciuta, ma di certo non poteva eguagliare Hayate. E più si soffermava a guardarlo più le veniva da ridacchiare.
“Cielo, è davvero orrendo!”
“Orrendo come ballare con Alexand Anditev? Appena finita la musica sei praticamente fuggita via da lui.”
“Balla splendidamente in realtà – confessò, girandosi di nuovo verso la folla – non avrei mai pensato che ballare potesse essere così piacevole e facile.”
“Allora mi prenoterò per il tuo prossimo ballo, tenente colonnello… non mi piace che la mia subordinata dia priorità ad altre persone, sul serio.”
“Generale…”
Ma come poteva non sorridere? Eccolo lì: scanzonato, persino irritante nelle sue provocazioni…
“Che cosa ti ha detto?”
“Mi ha chiesto dell’alchimia del fuoco: sicuramente è convinto che la morte di quei soldati sia opera sua, signore. Deve far attenzione.”
“Non possono accusarmi di niente, non hanno prove.”
“A loro basta Ishval, non si illuda.”
Lo sentì sbuffare e si girò a guardarlo… sì, era sempre la solita vecchia storia che veniva rigirata come un coltello nella piaga, come una maledizione che non li avrebbe lasciati mai. E Riza si sentì decisamente stanca, anche se per una volta tanto lei non veniva inclusa in quegli sguardi accusatori.
“Starò attento, promesso: farò in modo che tu non debba tirare fuori le pistole e svelare al nobile mondo di Drachma che anche una donna sa usare le armi. Adesso… lo so che non è il momento, ma sappi che Fury è uscito dalla sala con la sua amichetta.”
“Davvero? – sgranò gli occhi lei, ma poi scosse il capo – oh dai, per una sera non potranno fare danno. Adesso proprio non ci voglio pensare, sul serio. Ci ricongiungiamo agli altri?”
“Più che volentieri.”
Ne aveva davvero bisogno: stare con loro la aiutava a sentirsi bene e appagata. A non sentirsi il solito mostro per tutte le vite che aveva sottratto ad Ishval.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10. Il gioco del credere ***


Capitolo 10.
Il gioco del credere



Come sempre succede dopo delle occasioni così speciali, i giorni successivi al ballo furono dedicati ai pettegolezzi: le nobildonne si riunivano tra di loro per commentare i fatti mondani, gli uomini discutevano di politica e alleanze, i servi di entrambe le cose.
Ma c’era un argomento in comune che non mancava di fare scalpore: le due coppie che avevano aperto le danze. Per quanto concerneva Riza ed Alexand tutti facevano riferimento alla parentela di lei con il comandante supremo di Amestris, tanto che i più fantasiosi pensavano addirittura al colpo di scena di un fidanzamento, del resto dal loro propositivo sovrano se lo potevano aspettare. Su Kora e l’altro soldato, praticamente sconosciuto, la tipologia di pettegolezzi andava anche su un terreno più scandaloso dato che non solo i due avevano ballato davvero tanto assieme, senza che la ragazza concedesse l’onore a qualche altro cavaliere, ma erano anche spariti dalla sala del ricevimento.
“Dai, avanti, confessalo – Havoc strinse Fury in una morsa feroce e gli arruffò i capelli – hai castigato la ragazzina come si deve, eh! Dillo al buon vecchio Havoc, non essere timido!”
“Ma, signore! – arrossì profondamente il giovane, cercando di districarsi da quella presa – non… non avrei mai potuto! Tra me e Kora non è successo…”
“Kora? Prima era lady Kora – sghignazzò il biondo – lo vedi che è successo qualcosa? Coraggio, nanetto, è giusto confidarsi con chi ha più esperienza di te! Sono qui per questo, no?”
“Havoc, non sei credibile – sorrise sarcasticamente Breda – e smettila di soffocarlo in quel modo, da bravo.”
Fury, finalmente libero dalla presa, fece qualche passo indietro portandosi a distanza di sicurezza dal suo superiore. Dentro di sé sapeva che, nell’andare a trovare i suoi amici, sarebbe successa una cosa simile, tuttavia le attenzioni e le prese in giro gli sembravano preferibili rispetto alla situazione che stava vivendo nella dimora degli Esdev.
“Fammi indovinare – si intromise il generale, mentre si finiva di sistemare la giacca della divisa – la sera del ballo l’hai baciata e parecchio… però dalla mattina successiva te ne sei pentito e adesso non sai come fare.”
“Ecco… più o meno…” Fury abbassò lo sguardo con vergogna.
“Dannazione, tenente – Havoc gli diede una lieve sberla sulla nuca – dovevi venire a Drachma per iniziare a darti da fare? Che c’è? Le fanciulle che ti abbiamo presentato fino ad adesso non ti andavano bene?”
“Beh, quelle che sceglievi tu effettivamente non erano proprio adatte…” sorrise Breda.
“In ogni caso, tenente – si intromise Falman – dovresti essere più cauto per certe cose. L’hai appena conosciuta e non è proprio da te lanciarti in simili iniziative.”
“Basta così – Mustang con un gesto elegante bloccò quella valanga di commenti e consigli – tenente, vieni con me, coraggio. Non ti lascio in balia di questi avvoltoi. Ci vediamo dopo, ragazzi.”
Con un sospiro di sollievo Fury annuì e seguì rapidamente il suo superiore fuori dagli appartamenti dell’ambasciata di Amestris. A dire il vero era venuto lì nella speranza di ottenere un po’ di pace e qualche consiglio pacato, ma quell’aggressione non rispondeva proprio a quanto cercava. Iniziò a camminare con lo sguardo perso, stando tre passi dietro al generale proprio come richiedeva l’etichetta.
Sì, la situazione era logorante, non sapeva come uscirne ed era tutta colpa sua.
Insomma non si sarebbe mai dovuto lasciare andare in quel modo e baciare Kora. Per quanto fossero abbastanza gravi le implicazioni sociali e politiche a lui venivano in mente solo quelle personali: tra nemmeno due settimane sarebbe tornato ad Amestris e non si sarebbero più visti. Perché aveva voluto coinvolgerla in questo modo? Era stato da sciocchi… si sarebbe dovuto dimostrare più forte e rifiutare quelle avances.
E ora ne pagava le conseguenze.
Kora lo cercava di continuo e più lo cercava più lui si nascondeva, un comportamento da perfetto vigliacco che lo faceva sentire un mostro. E, ovviamente, non c’era molta possibilità di fuga contro quella ragazza che sembrava avere una sfera di cristallo con la quale trovarlo sempre e comunque. E quando succedeva lo abbracciava, cercava le sue labbra, ridacchiava felice, proprio come una fidanzata maliziosa… lasciandogli la sgradevole sensazione di una perenne componente di presa in giro che lui ancora non riusciva a capire.
E se da una parte c’era Kora dall’altra c’era il tenente colonnello. Le uniche occasioni in cui la ragazza gli dava tregua era proprio quando stava con il suo superiore, ma allora si trovava ad affrontare la disapprovazione di quegli occhi castani. Perché, anche se non gli diceva molto a proposito di Kora e di quanto era successo, era chiaro che Riza Hawkeye era molto scontenta del suo comportamento.
“Sei adulto e vaccinato, tenente: mi aspetto che tu abbia la maturità di agire da solo e nel modo consono alla divisa che indossi.”
Aveva liquidato qualsiasi possibilità di dialogo sulla questione con tali parole, lasciando Fury nel baratro della disperazione più totale. Scontentare il tenente colonnello era la cosa peggiore a cui potesse pensare, grave quanto un’insubordinazione. Gli pareva di aver tradito la sua fiducia in maniera irreparabile ed un pesante magone gli tormentava l’anima ventiquattro ore su ventiquattro.
“Ripigliati, tenente – la voce di Mustang lo fece riscuotere – forza, cammina accanto a me. Ne parliamo con calma, va bene?”
“Signore…” annuì lui, allungando il passo e affiancandosi al generale. Dopo qualche secondo alzò lo sguardo per sbirciare il bel volto affilato e si accorse che non c’era nessuna espressione di disapprovazione o rimprovero, ma solo un lieve sorriso di simpatia. Forse aveva trovato la persona giusta con cui confidarsi.
“Presumo che il tenente colonnello non sia di eccellente umore, vero? – iniziò l’uomo – e ti conosco abbastanza bene per immaginare quanto ti sconvolga sapere che ce l’ha con te.”
“Credo di averla molto delusa – ammise Fury con aria mogia – e non so proprio come fare perché… sono in torto marcio e non ho idea di come rimediare.”
“Questo è perché sei il cocco di mamma, come spesso ti definisce Havoc. Sei il bambino bravo e diligente che non disobbedisce mai e ora che hai combinato un guaio ti fa paura vedere mammina arrabbiata, eh?”
Fury divenne quasi paonazzo a quei paragoni, anche se in parte erano veri.
“E come…” osò chiedere.
“Le passa da solo, tranquillo. La conosco da anni e il disappunto nei tuoi confronti non durerà per molto tempo. E’ che sei capitato in una strana situazione, Fury: credo che tu sia stato il primo a suscitare una forma di gelosia nel tenente colonnello. Chiaramente non vede in Kora la persona giusta per te, a prescindere dal resto delle complicazioni che quei baci possono avere. Ma non sarà quella ragazza a distruggere il vostro rapporto, andiamo! Da quanto vi conoscete? Quasi dieci anni, ormai. Vedrai che tra una settimana al massimo tornerà tutto come prima.”
“Ammetto che quando torneremo a casa sarò veramente felice…”
“E di Kora che mi dici?”
“Ecco lei… – Fury non poté far a meno di tormentarsi lievemente le mani tra di loro, quasi cercasse immaginarie rondelle della radio per giochicchiarci – a dire il vero non so proprio cosa dire…”
“Ahi ahi, i rimpianti post amoreggiamento non sono mai una bella cosa!”
“E’ che mi dispiace davvero tanto per lei. Ha una vita familiare difficile e credo che sia una cosa molto brutta… insomma ha ben tre fratelli, un padre: dovrebbe avere tutte le carte in regola per essere amata e coccolata essendo l’unica figlia femmina.”
“Il denaro ed il rango non fanno la felicità, Fury, dovresti saperlo.”
“Però non è giusto: lei è una brava ragazza… vuole solo attenzioni.”
“Fury – Roy assunse un tono di voce serio – non pensare che la tua amichetta sia così disarmata. Tu sei un bravo ragazzo e tendi a vedere i lati positivi di tutti quanti… non dico che Kora non abbia problemi nelle sue dinamiche familiari, ma non voglio che tu sia così cieco.”
“Beh, a volte ammetto che mi prende un po’ in giro, ma forse è solo per attirare l’attenzione.”
“Ah, ragazzo mio – sospirò il generale, passandogli una mano attorno alle spalle in gesto di conforto – non c’è proprio speranza con la tua indole buona. Un giorno spero che troverai una bravissima e dolce ragazza che si prenda cura di te come meriti, ma non è Kora… e credimi, sono abbastanza sicuro che abbia già avuto altri casi di amoreggiamento, se così vogliamo chiamarlo.”
A quelle parole le esili spalle del tenente si irrigidirono e il rossore tornò a farla da padrone sul viso occhialuto. Ovviamente il concetto di quelle parole era chiaro: guarda che con molta probabilità quella sta solo giocando con te, mentre tu ti stai facendo inutili paranoie sul farla soffrire o meno.
“Sono davvero così senza speranza, signore?” chiese flebilmente.
“Fury, è il mondo di questa Cittadella che non fa per te. A dire il vero non fa per nessuno di noi, capisci? Il mio consiglio è di prendere le cose per quello che sono: lady Kora Esdev è una ragazza forse con dei problemi familiari, certo, ma anche con una notevole dose di malizia e di chissà che altro. Ci hai amoreggiato ed è stata comunque un’esperienza importante e adesso è il caso di smetterla. Te lo dico come amico e come persona che ti conosce da tempo: se tu provi tutto questo rimpianto nel tuo cuore, vuol dire che è il caso di chiudere definitivamente la storia. Che senso avrebbe?”
“Però lei continua a cercarmi! – spiegò Fury, sentendosi un mostro, rifiutandosi di credere che con lui Kora stesse solo giocando – ed io ho paura di farle male se la rifiuto e chiudo di malagrazia con lei. Io…”
“E te lo dico anche come tuo superiore – lo interruppe Roy, scuotendo il capo – siamo in missione e abbiamo delle priorità. E, credimi, sono felice che amico e superiore siano arrivati alle stesse conclusioni.”
“E come si fa a dire ad una ragazza che è stato un errore?”
“Beh… vediamo, in genere si cerca di essere il più pacati e calmi possibili – iniziò l’uomo con lieve imbarazzo – oh, ma che dico. Hai presente quando Havoc a volte arrivava in ufficio con una guancia rossa? Beh, niente di sorprendente che succederà pure a te. Ma si sopravvive tranquillamente ad un ceffone, non credi?”
“Un ceffone?” Fury si mise una mano su una guancia, quasi già sentisse il dolore.
“Beh, del resto lei dovrà sfogare la sua rabbia, no? – scrollò le spalle Roy – comunque, adesso giriamo da questa parte. A quanto pare sarai il mio accompagnatore nell’incontro col Patriarca.”
 
A progettare un simile incontro era stato ovviamente Derekj: la scusa ufficiale era che, dovendo l’ambasciata di Amestris entrare in Cattedrale per l’incoronazione, si rendeva necessaria l’autorizzazione del capo religioso del paese considerata la differenza di culto. Tuttavia Roy, che ormai conosceva abbastanza bene il modo d’agire del futuro Autarca, sapeva che ci doveva esser qualche altro motivo.
Una volta che lui e Fury arrivarono davanti alla Cattedrale, vennero raggiunti da un giovane monaco che aveva il compito di scortarli nel grande monastero che stava proprio dietro ad essa e che era la dimora del Patriarca. Sebbene fosse un luogo dedito alla preghiera e alla meditazione, il generale non mancò di notare come fosse presente una chiara matrice nobiliare nei legni pregiati, nei decori lungo le pareti e nella presenza dei diversi stemmi di famiglia che, a quanto sembrava, ricordavano eventuali donazioni fatte da personalità particolarmente devote.
Con occhio critico Roy notò che c’era una grande differenza rispetto al tempio del dio Ishvala, dove eccetto le dimensioni più ampie rispetto a qualsiasi altro edificio del popolo dagli occhi rossi, non c’era uno sfarzo così evidente. Gli stessi monaci non vestivano vesti pregiate o differenti da quelle del resto della popolazione.
Altra tipologia di fede, non c’è che dire…
Lanciando un’occhiata su Fury si pentì lievemente di esserselo portato dietro: sarebbe stato meglio Falman con la sua stoicità o Breda. Il tenente invece sembrava lievemente turbato da quel posto e di certo non era nelle condizioni mentali migliori considerato il chiaro turbamento della sua anima.
Tuttavia, confidando che il ragazzo sapesse comunque comportarsi degnamente, Roy scrollò le spalle e notò che finalmente, dopo aver percorso un ampio e lungo corridoio, erano arrivati ad una grande porta di legno massiccio che chiaramente era l’accesso allo studio privato del Patriarca.
Era un posto maestoso, come c’era d’aspettarsi: legno pregiato, pareti ricoperte di librerie, pesanti tende di velluto che in quel momento erano aperte a far entrare la luce del sole. Un caminetto acceso, sulla parete di sinistra, contribuiva a dare un aspetto ulteriormente accogliente a quello che sembrava lo studio di un uomo di cultura più che un uomo di chiesa. Effettivamente ben poco di quell’ambiente sembrava aver a che fare con la religione.
Il Patriarca era seduto su una morbida poltrona di velluto, proprio accanto al caminetto e, dietro di essa, c’era Michael Esdev, in piedi e rigido, con le mani nascoste nelle ampie maniche del suo saio nero.
Mi aspettavo di trovarti qui – pensò Roy, mentre si portava vicino a loro.
Ecco ben chiara la seconda intenzione di Derekj nel volere quell’incontro: ovviamente sperava di addolcire il suo fanatico amico riguardo alla questione dell’alchimia. Sempre che quello che aveva sentito sul Patriarca e sul suo buonsenso fosse vero.
“Benvenuto, cortese ospite – fece proprio l’interessato, alzandosi faticosamente in piedi – perdona la mia scortesia, ma i miei ottantasei anni si fanno sentire.”
“Padre, lei dovrebbe stare seduto – disse subito Michael, aiutando l’uomo a tenersi in piedi – non è obbligato ad alzarsi nemmeno in presenza dell’Autarca, lo sa bene.”
“E’ semplice gesto di educazione – ricordò l’uomo che, nonostante l’evidente fatica delle gambe, aveva un viso particolarmente sveglio ed intelligente. Occhi castani e profondi stavano già squadrando con interesse i suoi ospiti ed i morbidi capelli bianchi erano ben pettinati all’indietro – del resto loro sono ospiti e non conoscono la nostra fede. Non puoi pretendere che funzioni così anche per loro.”
Ecco chi lo tiene a freno – Roy esultò interiormente – la voce della ragione, finalmente…
“Comunque dovrebbe stare seduto, eccellenza – il soldato si fece subito avanti e sorresse il vecchio per l’altro braccio – credo che nei nostri paesi sia usanza comune avere rispetto per le persone di una certa età e di indubbia saggezza.”
Michael quasi sbiancava nel vedere il suo capo religioso contaminato dal tocco di un eretico.
Ma sembrava che il Patriarca apprezzasse quel gesto di rispetto e si fece rimettere seduto, sistemandosi meglio tra i morbidi cuscini.
“Ah, età ingrata… ma sono lieto di essere arrivato a vedere Derekj compiere il suo destino e diventare Autarca. Il mio giovane e impaziente signore voleva che la conoscessi, generale, e devo dire che pure io ero ansioso di incontrare il primo ambasciatore ufficiale di Amestris nella capitale di Drachma.”
“Eccellenza, le voglio ricordare che questa persona è un alchimista!”
“Sì, Michael, lo so bene – annuì l’uomo – ma sono sicuro che nell’arco di questo incontro non mi farà del male, non mi paiono queste le sue intenzioni. Credo anzi che tu ed il suo accompagnatore possiate andare ad attendere nel cortile interno. Scommetto che il nostro giovane ospite sarebbe felice di vedere il nostro piccolo angolo di pace e natura.”
“Vuole che la lasci solo con lui?”
“Certo, figliolo, sono sicuro di cavarmela…”
Per quanto l’espressione fosse gentile e la voce pacata, Roy fu rapido a riconoscere l’ordine che era stato appena dato. E anche Michael, nonostante il suo disappunto, era abbastanza accorto da sapere che non poteva venire meno a quella richiesta. Così, con aria dignitosamente offesa, si diresse verso la porta, seguito mestamente da Fury che, di certo, non aveva gradito quell’evoluzione.
Tuttavia Roy ebbe poco tempo per dispiacersi per il tenente: gli occhi castani del Patriarca lo fissavano con grande aspettativa ed era chiaro che la chiacchierata con quella personalità si prospettava interessante. Una cosa era certa: non era quello il modo con cui il capo della chiesa affrontava un eretico.
“Prego, accomodatevi – lo invitò il Patriarca, indicandogli una poltrona che si trovava dall’altra parte del caminetto – e non temete per il vostro giovane soldato: Michael è parecchio severo ed intransigente, è vero, ma è un caro ragazzo e sarà un ottimo Patriarca quando verrà il momento.”
“E’ il vostro erede?” chiese il generale accomodandosi su quella poltrona così morbida e accogliente.
“No, prima che lui diventi Patriarca ci vorrà ancora tanto: se tutto va bene spero che assuma questa carica quando avrà più di quarant’anni, in modo che l’esperienza ed il tempo abbiano in parte ammorbidito il suo carattere e la sua rigidità.”
“Pare molto inverosimile come cosa: in genere sono i vecchi ad essere più intransigenti, mentre i giovani accolgono meglio le novità.”
“Forse – un sorriso comparve sul viso segnato dalle rughe – ma spesso è l’esperienza che ci aiuta a capire come è meglio comportarci. E per esempio capire che la parola eresia è molto spesso sopravalutata e di facile abuso. Anzi, se il ragazzo vi ha offeso in qualche modo in questi giorni ve ne chiedo scusa.”
“Ne parlate quasi come un figlio.”
“Oh, in fondo un po’ lo è: considerato che facciamo voto di celibato non ho mai avuto le gioie della paternità. Certo, con la mia età è più facile pensare ad essere nonno, ma comunque sia sono particolarmente affezionato a lui, sin da quando è entrato in monastero a quindici anni.”
“E’ un po’ presto per una scelta simile, non crede?”
“Secondogenito, il nostro sistema non è che offre molta scelta. Però Michael ha subito dimostrato spiccate doti ed interesse per la fede… avrei voluto che fosse più rilassato per queste cose, ma non mi ha dato molto ascolto. Ma sono felice di sapere che, nonostante tutto, con Derekj ed Alexand i rapporti non sono mutati: sono la sua porta sul mondo reale e gli saranno di gran supporto.”
Roy si mise a braccia conserte e accavallò le gambe in una posizione rilassata. Gli occhi scuri e dal taglio allungato studiarono bene quel vecchio che aveva preso a fissare con dolcezza le fiamme che ardevano placide nel caminetto. In qualcosa gli ricordava il vecchio Grumman quando si concedeva qualche momento di familiarità con Riza.
“Quando ho conosciuto Michael ho pensato che tutti i membri del clero fossero ferventi come lui – disse infine con il tono più neutrale che poteva – ed effettivamente tutti i miei uomini sono in parte preoccupati per la mia incolumità: si aspettavano quasi di vedermi bruciato come eretico, come in una caccia alle streghe.”
“Vi aspettavate che io fossi anche peggio di Michael?” ridacchiò l’uomo, mentre un grosso gatto bianco, comparso da dietro una tenda arrivava vicino a loro e si lasciava cadere pigramente nel tappeto pregiato che riprendeva il colore delle tende.
“Non lo nego…” sorrise Roy.
“Come vi ho già detto è la nascita a decidere il destino di noi nobili, generale. Ma vi sorprendereste nello scoprire quanta è vasta e varia Drachma: il mio clan, i Lavined, occupano la regione più a nord ovest del paese. Un posto bellissimo e selvaggio quanto inospitale: spesso d’inverno si raggiungono temperature di oltre quaranta gradi sotto lo zero e la maggior parte del territorio è occupata da tundra e catene montuose… lì il Dio che rappresento non trova posto, non potrebbe mai farlo. No, lui sta qui nelle Cattedrali e nella comodità, a benedire il nostro amato sovrano che regge le sorti del paese.”
“E chi trova posto nella sua terra? Signore, mi scusi, ma qui stiamo andando in campo…”
“Eretico?” suggerì l’altro, inarcando con malizia le sopracciglia candide.
“Ah, l’eresia è una parola di cui si fa grande abuso, del resto!” ammise Roy, ricordando le parole dette poco prima proprio da quel vecchio.
“Gli spiriti della terra, del cielo e della natura dubito che abbiano interesse per questa parola così astratta – sospirò l’uomo con sguardo perso – lì è la vita ad essere sacra e a regolare le stagioni, i raccolti, gli animali, gli uomini. Noi uomini del nord siamo sempre rimasti attaccati alle nostre tradizioni. Certo, credo nel Dio che rappresento, ma ammetto che è arrivato dopo quelli che ancora regnano nella mia terra e che gli hanno concesso di prendersi una fetta di culto. Ecco perché quello che dice Michael lo prendo sempre con tutte le dovute precauzioni… lui ha sempre visto solo bianco e nero stando qui in Cittadella. A mio tempo ho avuto occasione di vedere anche gli altri colori.”
“Allora dovrebbe portare fuori il ragazzo – disse con sincerità Roy – o almeno dovrebbe farlo Derekj.”
“Il mio sovrano conta molto sull’amicizia con Amestris – constatò l’uomo – rispetto al padre ha una maggior attenzione per la diplomazia e capisce quando è il caso di far finire inimicizie lunghe secoli. Sì, lui non ha per niente paura del nuovo. E voi, signore?”
“Io? – Roy sghignazzò, mentre gli tornava in mente quel giovane idealista che una vita prima prometteva grandi cose davanti alla tomba del suo maestro – No, signore direi proprio di no…”
“C’è del buon vino nel tavolino vicino alla finestra: mi fate compagnia per un bicchiere?”
“Più che volentieri.”
 
Mentre Roy si trovava pienamente a suo agio con quel vecchio ed insolito Patriarca, Fury non poteva ritenersi altrettanto fortunato. Lui ed il suo cicerone continuavano a passeggiare senza meta per i viali di quel cortile interno che, effettivamente, era una piccola oasi di pace e tranquillità, ma che lui non riusciva a godersi. Michael non gli aveva rivolto una parola da quando erano usciti nel corridoio: si era limitato a condurlo in quel posto, come se fosse il compiuto più spiacevole del mondo, e poi aveva iniziato a passeggiare, le mani sempre nelle maniche del saio, incurante o meno che l’altro lo seguisse.
Effettivamente Fury aveva riflettuto o meno se sedersi in una delle panchine di pietra che stavano lungo i sentieri, ma il timore di fare qualcosa di sbagliato lo pervadeva fin alla punta dei capelli e l’idea di provocare le ire di quella particolare persona lo metteva davvero in paranoia.
Cielo… cielo… ma perché proprio con lui?
Era sicurissimo che quel monaco sapesse quanto era successo con Kora e si aspettava da un momento all’altro qualche vibrante accusa nei suoi confronti, se non una vera e propria aggressione fisica. Non osava alzare gli occhi su quel viso severo, su quegli occhi che non avevano niente in comune con quelli azzurri e maliziosi di Kora. Le iridi scure non esprimevano alcun sentimento se non quello del disprezzo.
“In questi giorni hai fatto sorridere Kora più del previsto – la voce piatta lo fece quasi sobbalzare – ne sono davvero sorpreso.”
“Sorridere? – Fury non seppe se interpretare quelle parole come accusa o complimento, ma la seconda ipotesi gli sembrava assai improbabile – ecco, forse… mi trova simpatico, mio signore, tutto qui.”
Finalmente alzò lo sguardo sul monaco e notò che lo stava studiando con attenzione: si era persino fermato nel sentiero, girandosi verso di lui.
“Dimmi, credi in Dio?”
“Dio? No, signore.” rispose docilmente Fury, con la stessa sincerità con la quale aveva parlato con Scar.
“Nel tuo paese non c’è un Dio?”
“Beh, ad Ishval venerano il loro dio Ishvala… però no, non abbiamo una religione di stato come qui.”
“E’ un male – dichiarò con voce sferzante l’altro, guardando con stizza Fury – ciascun uomo dovrebbe avere un qualcosa a cui credere.”
“Beh, ma io credo nei principi che mi sono stati insegnati… signore – esitò lievemente, vedendo quell’espressione cupa – penso che… che essere buoni sia… una… una cosa che va bene anche per il vostro Dio, no?”
Si aspettò una risposta rovente da parte di quel monaco che era parecchio più alto di lui e gli faceva davvero timore. Però dopo qualche secondo di silenzio, nel quale aveva abbassato lo sguardo, si arrischiò a sbirciare quel viso dai lineamenti duri. E con sorpresa si accorse che un lieve sorriso era comparso.
“Sei buono, si capisce – disse Michael annuendo – sei una di quelle persone che non vuole mai far del male agli altri, che vuole vedere le persone che ama felici. Sì, decisamente hai buoni principi.”
“Oh beh, grazie…” arrossì Fury.
“E’ per questo che assecondi Kora, vero?”
“Kora? Cioè, lady Kora? Ecco, non vorrei che avesse inteso che…”
“Pensi che non immagini quello che è successo al ballo? – chiese Michael arricciando il naso con disappunto – e non hai bisogno di scusarti o dire qualcosa, conosco quella ragazzina forse meglio di tutto il resto della famiglia messo assieme. Ti sta solo usando come passatempo.”
“Oh… ecco, forse…” Fury non seppe cosa rispondere. Era già la terza persona che gli diceva una cosa simile e gli faceva male pensare che fosse veramente così.
“Come ti chiami?”
“Kain… Kain Fury, signore.”
“Bene, Kain, lascia che ti dia un consiglio: non dare retta a delle persone che ti conducono nella via sbagliata. Sei un’anima buona, non lasciarti corrompere. Kora è una ragazza particolare, con seri problemi: per il tuo bene, smettila di assecondarla. Se ti crea problemi dimmelo tranquillamente e la bloccherò io stesso… e no, non guardarmi così, non le farò del male. Non gliene farei mai, abbi fede.”
“Però lei…”
“Quando l’incoronazione sarà avvenuta, quando i tempi saranno più calmi, è mia intenzione dedicarmi a questo problema, non temere – Michael fissò con distrazione un uccellino che si era posato a pochi metri da loro nel sentiero – ma tu non farti più coinvolgere. Kora ha dei problemi che vanno oltre quello che tu pensi e continuare ad assecondare i suoi giochi ti metterà solo nei guai. Quella dama che accompagni, la nipote del capo del tuo paese, si vede che prova affetto per te: non deluderla.”
“Il t… la signorina Riza. Beh, effettivamente pure lei mi ha detto…”
“E allora dalle retta. E, se vuoi un consiglio spassionato, non seguire più nemmeno il generale Mustang.”
“Cosa? – a quelle parole il soldato si irrigidì – Ma che dici?
“Lo guardi come se fosse una divinità, l’ho notato. Evidentemente lo conosci da tempo e ne sei attratto come una falena dal fuoco… ma il fuoco le attira solo per bruciarle. Riponi la tua fiducia e la tua buona volontà in qualcun altro che non abbia sulle spalle simili peccati.”
“Il generale non… è una storia troppo complicata!”
“Dite tutti così, lo difendete. L’hai mai visto uccidere una persona con le sue fiamme?”
“No, però… lui non lo farebbe!”
“L’ha fatto invece.”
“Sì, però… era diverso, era… era tutta una situazione difficile…”
“Era una scelta che ha fatto. E che potrebbe rifare, inutile negarlo. E quando lo vedrai fare? E quando scoprirai che è in grado di ferire anche le persone che ami come reagirai?”
“Non lo farebbe mai!” Fury fece un passo indietro con disgusto.
“Mai? – Michael soppesò quella parola con attenzione – E’ una parola impegnativa, sai? Comunque, Kain, torno al mio consiglio iniziale: lascia perdere Kora. Non ti merita, sul serio. E’ un altro fuoco che ti sta attirando per poterti bruciare.”
Non gli diede possibilità di replica: si limitò a fare un cenno del capo e proseguire per quel sentiero, mentre l’uccellino volava via con frenesia nel cogliere i passi che si avvicinavano.
Fury fece pochi passi di lato e si sedette su una delle panchine di pietra, fissando con aria triste il selciato davanti a lui. Possibile che tutti avessero ragione su Kora? Possibile che lei fosse davvero così senza cuore da usarlo solo come passatempo? Eppure le sue parole ed i suoi sguardi gli sembravano così sinceri…
Cielo, che devo fare? – si sentì impazzire mentre si passava una mano tra i capelli dritti.
Quanto a tutto quell’assurdo discorso sul non credere più nel generale… come era entrato era già uscito dalla mente e dall’anima del tenente.
Mai e poi mai avrebbe smesso di fidarsi di Roy Mustang.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11. Effetti collaterali ***


Capitolo 11.
Effetti collaterali



“Quello sulle credenze è sempre un discorso difficile – commentò Shao, mentre passeggiava assieme a Riza nei cortili del palazzo Esdev – Drachma è stata davvero fortunata ad avere come ultima guida un Patriarca così saggio. E se uno come lui vede di buon occhio Michael forse c’è qualche speranza.”
“Quel ragazzo è veramente troppo inquadrato – sospirò Riza con irritazione – dovrebbe davvero farsi un giro fuori e capire come funziona il mondo. Oh, ma basta parlare di lui, mi stavate dicendo del vostro clan.”
“Ah già – con aria compiaciuta mosse il ventaglio – beh, sarà un vero piacere tornare a casa quando tutto sarà finito: le proprietà della mia famiglia sorgono a circa trecento chilometri dal confine con Drachma, presso il grande fiume Meshin. Vi piacerebbe, signora: c’è una natura rigogliosa, giardini sconfinati, e poi il grande mercato! Ah, è sempre una gioia vedere il cuore pulsante del mio clan!”
“Sembra davvero meraviglioso, lo ammetto.”
“Al contrario di molti altri principi che sono stati cresciuti lontano dalla gente comune, mio nonno materno ha sempre voluto che io andassi in giro per il mercato, sin da quando ero fanciullo. Grazie a queste esperienze penso di avere una visione molto più ampia del mondo e della vita rispetto alla maggior parte dei miei fratelli.”
“Però poteva essere pericoloso – obbiettò lei –un mercato è un posto pieno di gente e di pericoli per un principe ereditario, del resto…”
“… del resto si impara anche così. Perché se io fossi in mezzo alla gente e, che so, da dietro arrivasse un dardo come adesso – e quasi per magia parò con il manico del ventaglio un piccolo dardo di ferro, con attaccato un nastrino giallo – saprei come gestire la cosa. Bel tiro, Mio.”
Staccò con gentilezza il dardo e lo rilanciò con precisione verso un albero dove la sua guardia del corpo comparve all’improvviso su un ramo, recuperando l’arma. Con un rapido inchino fece un agile balzo e scomparve tra le frasche.
“Li conosce da tempo? – chiese Riza, affascinata dalla rapidità e naturalezza della sequenza che aveva appena visto e che, come militare, non poteva che apprezzare – Mi ricordo che l’imperatore mi ha detto che lui e la sua guardia del corpo avevano ricevuto l’addestramento praticamente assieme.”
“Sì, li conosco da quando ero bambino: la loro famiglia abitava al confine con un altro clan e vennero quasi tutti uccisi durante una scorreria di alcuni oppositori. Si salvarono solo loro due e vennero portati a casa mia per testimoniare davanti a mio nonno. Proprio in quel periodo iniziavo il mio addestramento e decisi che sarebbero diventate le mie personali guardie del corpo. Mio nonno approvò la scelta: mi disse che la forza dei gemelli non è mai da sottovalutare, perché troveranno sempre un affiatamento superiore a tutti gli altri. E loro me l’hanno dimostrato in più occasioni.”
Riza annuì, pensando a quanta dedizione dovessero avere quei due giovani per seguire sempre e comunque il loro principe. Ma conosceva bene i loro sentimenti; lei faceva lo stesso con il generale da anni, ormai: dedizione, dovere e altri legami più profondi che era fin troppo difficile spiegare.
Anche dopo che il principe prese congedo da lei, rimase a riflettere sulla sua situazione. Non si sentiva per niente tranquilla ed il suo istinto le diceva che gli eventi sarebbero presto precipitati, in un modo o nell’altro. Era come se una strana ragnatela invisibile si stesse chiudendo attorno al generale, senza che loro riuscissero a fare qualcosa anche solo per darle confini precisi.
Si chiese se era il caso di rimettere la divisa e mandare all’aria la copertura, ma ancora una volta si dovette trattenere. Doveva fare affidamento su Havoc e gli altri per la protezione del generale, lei…
“Oh, finiscila, non sei minimamente credibile!”
Quella voce squillante la fece quasi trasalire e fece giusto in tempo a nascondersi dietro alcuni alti cespugli, prima che nel sentiero comparisse Kora, seguita da un Fury tutt’altro che felice.
“Devi credermi – disse il soldato con aria desolata – Kora, è stato un errore baciarti, non dovevamo farlo. Sono stato veramente un mostro e se mi vuoi dare uno schiaffo ne hai tutto il diritto, però…”
“Va bene, chi è stato? Michael? Oppure quella donna che ti manipola come se fossi il suo giocattolo?”
“Che? Ma no! – Fury non sapeva proprio come gestire la situazione – Sono io che sono arrivato a questa conclusione: insomma, come tutta l’incoronazione finirà io tornerò a casa…”
“Che scemo che sei! Potresti restare! Tanto se Drachma e Amestris diventano alleati non ci saranno problemi ad avere ambasciate stabili e potremo vederci quando ci pare e piace! Ed in ogni caso te l’ho detto… smettila di pensare con quella divisa e pensa solo a te stesso!”
“Kora… Kora, ascolta, io ti voglio bene, desidero davvero che tu sia felice!”
“Che discorsone! Io non ti chiedo di sposarmi, stupido, non mi è mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello… voglio solo stare assieme a te perché in questo momento mi piace, capisci? Perché devi rovinare tutto?”
“Non voglio rovinare tutto… però – abbassò lo sguardo a terra – non è così che funzionano le cose, non per me. Io credo che due persone…”
“No, questo è un discorso tipico di Michael!”
“Tuo fratello non c’entra nulla…”
Fratellastro!” corresse lei con stizza.
“Però forse… forse dovresti ascoltarlo con più calma: capisco che a prima vista non sembri così, ma credo che sia preoccupato per te e magari…”
Lei scoppiò a ridere, una risata sgradevole con una chiara componente d’isterismo.
Riza la sbirciò con odio, ritenendola davvero un pessimo elemento. Non voleva sentire ragione sotto quel punto di vista, nemmeno se a farne le spese era anche il tenente che, nonostante tutto, continuava a metterci tutta la buona volontà di questo mondo.
Mollala, Kain: lasciala stare con la sua follia.
“Sei così patetico, soldatino – disse infine Kora, recuperando il fiato – sei davvero commovente a volte. La tua ingenuità è così divertente, mi piace davvero tanto!”
“Patetico? – Fury si irrigidì lievemente – io non… Kora, ti prego, finiamola qui: mi dispiace per quei baci, è stato tutto un grosso errore dovuto alla mia debolezza.”
“No, Kain – sorrise lei con malizia, avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla – tu sei mio, ancora non l’hai capito? Giocheremo insieme fino a quando lo deciderò io, te lo garantisco.”
Vedendo che stava per protendere il viso per baciarlo, Riza decise di intervenire e con aria decisa uscì fuori dal suo nascondiglio.
“Lady Kora, buongiorno!” salutò con voce fredda e tagliente, facendo trasalire la ragazza.
“Signora!” esclamò Fury con sollievo, approfittando di quel momento per liberarsi.
“Che cosa succede?” chiese Kora con aria offesa.
“Semplicemente ora il tenente viene con me – disse Riza con tono di comando che non ammetteva repliche – basta con questi giochi stupidi. Fury ha ammesso il suo errore e ha chiesto scusa, la questione è chiusa. Non ci sono più motivi perché abbiate conversazioni al di fuori di quelle formali. Coraggio, tenente, vieni con me.”
Non attese risposta, si girò con passo marziale ed iniziò a camminare verso il palazzo. Non le importava se indossava un costoso vestito: il suo atteggiamento era lo stesso che se avesse avuto la divisa e gli stivali, i capelli raccolti dal solito fermaglio. E se il tenente colonnello Hawkeye ordinava, il tenente Fury doveva obbedire. Di conseguenza non ci fu niente di anormale nel sentire i passi del giovane che la seguivano docilmente lungo il sentiero.
Era quella la normalità, quello che doveva naturalmente avvenire: basta con i giochi di quella ragazzina. Da quel momento era il caso di smetterla con una simile storia e pensare a quello che poteva accadere in quegli ultimi giorni prima dell’incoronazione.
“Signora…” mormorò Fury.
“Soldato, le hai detto tutto quello che dovevi dire – tagliò corto – sei stato onesto e hai ammesso il tuo errore. Non le devi più niente, intesi? Ricordati che adesso devi pensare solo all’ambasciata.”
“Sì, signora.”
Erano entrati nel palazzo e avevano raggiunto le camere di lei. Solo quando la porta venne chiusa alle loro spalle Riza si fidò e lo prese per le spalle, i loro visi vicinissimi.
“Kain Fury, svegliati da questo sogno davvero sciocco – sibilò – lei sta giocando con te e basta. Fidati di me e del generale, non dare ascolto alle sue velenose parole. E’ irresponsabile e non sarai tu a cambiarla. Giuramelo una volta per tutte.”
Gli occhi scuri dietro le lenti degli occhiali si dilatarono leggermente per la sorpresa e la paura. Solo allora Riza si rese conto di non aver mai usato un tono simile con lui, ma forse in determinate occasioni, era necessario essere così severi e senza possibilità di compromesso.
“Lo giuro, signora…” annuì infine lui, con voce flebile.
 
Qualche ora dopo, complice il pomeriggio di libertà concesso dal generale, Heymans Breda si trovava nella piccola casetta di Karla per adempiere alla sua promessa di andare a trovarla. Manco a dire che, oltre al chiaro piacere di passare qualche ora in compagnia, il maggiore voleva raccogliere ancora qualche informazione utile da lei.
La ragazza era stata molto felice di quell’improvvisata ed i convenevoli erano stati presto accantonati, con la scena che si era spostata nella camera da letto, tra le lenzuola e le coperte ed i vestiti allegramente gettati nel pavimento.
Al contrario di Havoc, che prima di sposare Rebecca correva di ragazza in ragazza come un’ape in un campo di fiori, Breda aveva avuto poche e selezionate storie d’amore. Tuttavia, in casi eccezionali, sapeva riconoscere quando valeva la pena di un’avventura breve ma carica di soddisfazione. Karla gli era piaciuta subito perché aveva riconosciuto nei suoi bei occhi neri quella scintilla d’intelligenza e arguzia che la rendevano un’anima affine alla sua personalità complessa.
Non ci sarebbero state pretese, lacrime, complicazioni: sarebbe stato solo del piacevole tempo passato assieme sia fisicamente che spiritualmente.
“Ehi – ammise la giovane con un sospiro esausto e sfinito, quando si lasciò cadere tra i cuscini – l’avevo detto che l’amore di uno con i capelli rossi doveva essere speciale. Ti giuro che sarei subito pronta a ricominciare!”
“Prendiamoci una pausa – ridacchiò lui, arruffandole i capelli scuri – sei impegnativa, ragazza mia, però dopo possiamo fare il bis: ho svariato tempo prima di tornare alla base.”
“Ti va di mangiare qualcosa?”
“Più che volentieri, specie dopo aver conosciuto le tue abilità di cuoca!”
Con disinvoltura, non facendo minimamente caso alla propria nudità, Karla si alzò dal letto e uscì dalla stanza. Breda ne approfittò per stiracchiarsi con soddisfazione: se la ragazza fosse stata di East City non avrebbe esitato troppo ad iniziare una bella relazione con lei, non aveva alcun dubbio. Ma non aveva senso rimpiangere simili situazioni.
“Siete tutti in fermento per l’incoronazione, eh?” chiese, mentre sentiva armeggiare con delle stoviglie dalla stanza accanto.
“Ovviamente – rispose lei con voce cristallina – io poi ne sono felicissima. Insomma è un Drachvoic… sono gli Autarca per eccellenza, con più diritto di tutti gli altri, a prescindere da quello che si può dire in giro!”
“Uao, siamo un po’ di parte mi sa…”
“Beh, il sangue reale da sempre è quello del serpente – rispose ancora lei – lo diceva sempre mia madre e io sono perfettamente d’accordo!”
Dopo qualche secondo riapparve in camera, portando un vassoio di legno con delle scaglie di formaggio, un piattino con delle olive e due bicchieri di vino rosso.
“Adoro gli uomini che apprezzano il cibo – ammise, mentre si risistemava a letto ed il suo amante le baciava con sensualità il collo – trovo che siano decisamente più attenti e sensibili. Le olive sono condite secondo un’antica ricetta della provincia di Drachvoic, sai io sono originaria di lì, nonostante viva nella capitale da quasi dieci anni.”
“Ecco spiegato il tuo patriottismo. Comunque hanno un sapore davvero particolare – commentò Breda, assaggiando la prima – dipende forse dalla tipologia della pianta, ma anche dalle erbe usate.”
“Le erbe della steppa sono infinite e varie – annuì Karla con convinzione, mentre beveva un sorso di vino rosso e poi si accoccolava sul petto di Heymans – molte di esse sono cariche di doti medicinali, oppure ottime per cucinare. Ma bisogna fare attenzione perché ve ne sono anche molte velenose o con effetti tutt’altro che piacevoli.”
“Ma presumo che tu le conosca tutte e che non corriamo il rischio di morire avvelenati!”
“Certo che le conosco tutte – si offese giocosamente lei – per chi mi hai preso? Per noi di Drachvoic è questione d’orgoglio conoscere a menadito tutte le erbe con i loro effetti.”
“Per lo stesso motivo per cui Derekj Drachvoic è immune ai veleni?”
“Non tutti sono immuni ai veleni – scosse il capo Karla, con aria di chi la sa lunga – è risaputo che solo i figli del capofamiglia hanno questo privilegio di stirpe. Ma stai certo che non c’è donna con sangue Drachvoic che non sia stata sapientemente addestrata nell’uso delle erbe e delle droghe.”
“Oh dannazione – ammise Breda – così le fai sembrare tremendamente pericolose!”
“Ogni donna di Drachvoic è tremendamente pericolosa, che credi?  Chissà, magari nelle olive c’era anche l’erba che ti farà restare nel mio letto per sempre, Heymans.”
“Chissà – sorrise l’uomo, bevendo il suo vino e facendole cenno di mettere via il vassoio – di certo c’era quella per divertirci ancora, non credi?”
Karla ridacchiò deliziata mentre il soldato si portava sopra di lei e le afferrava le cosce con forza, inducendola a sollevarle. Gli cinse le braccia attorno al collo e gemette di piacere come lo sentì rientrare dentro di lei.
“Nel tuo paese sapete amare così bene – sospirò, iniziando a seguire i movimenti imposti dal soldato – così bene… tornerai anche nei prossimi giorni, Heymans? Te ne prego!”
“Se hai messo le erbe giuste in quelle olive – mormorò Breda, affondando la mano nei capelli scuri e lunghi – direi proprio di sì, ragazza mia.”
 
“E’ tutto a posto, tenente – mormorò Roy a voce bassa, mentre lui e Riza scendevano la scalinata principale del palazzo Esdev – non devi temere niente. Non c’è nessuno che mi segua o che abbia attentato alla mia vita. Perché sei così preoccupata?”
“Non lo so, signore – sospirò la donna, passandosi una mano nei capelli più corti della frangia – ho questo presentimento da ieri e proprio non riesco a farmelo passare. Mi sento tesa e ho tutta l’impressione che…”
“Sei solo tesa per tutta quella storia di Fury con Kora – le rispose l’uomo scrollando le spalle – ma è finita, l’hai detto tu stessa. Il ragazzo mi è sembrato tranquillo e sono sicuro che domani avrà anche smesso quell’espressione da cucciolo triste che ha adesso.”
“Preferirei di gran lunga che potesse venire con lei e con gli altri della squadra – constatò Riza – è stato un errore farlo venire con me.”
“E’ stato il nostro messaggero fino a quando era praticamente impossibile vederci. Avevamo bisogno di lui, inutile negarlo. Coraggio, tenente – le mise una mano sulla spalla, in un tocco bruciante – ancora poco e torniamo a casa, così tutto sarà finito.”
Se Riza avesse indossato la divisa, se quello fosse stato un normale momento d’ufficio nel loro Quartier Generale, si sarebbe scostata da lui senza pensarci due volte, in nome del pudore e della formalità. Ma questa volta, in un simile frangente dove, tutto sommato, si sentiva esposta e vulnerabile, non si sottrasse a quel tocco, anzi desiderò che non finisse mai. Quelle dita che premevano leggermente sulla stoffa del vestito la facevano sentire decisamente bene: insomma, lui era lì come succedeva ogni volta che ne aveva bisogno e le stava dando il conforto che desiderava.
“Allora, quando ti sistemi con lui?”
La voce maliziosa ed impaziente di Rebecca le fece sgranare gli occhi e ruppe l’incantesimo.
“Sì – mormorò, levando con gentilezza la mano dalla propria spalla – sarà tutto finito.”
Gli occhi scuri e sottili del generale la fissarono con perplessità per qualche secondo, quasi a chiedersi che cosa potesse mai aver interrotto quel momento. Ma poi, con la solita aria noncurante, scrollò le spalle e si avviò verso la grande porta di legno.
“Secondo te sono più bello io o Alexand Anditev?” chiese all’improvviso con aria canzonatoria.
“Generale!” esclamò Riza, scandalizzata ed esasperata.
“No,sul serio… se vuoi ti dico tranquillamente che tra lady Kora e te non c’è alcun paragone. Però vorrei che anche il mio spropositato ego venisse compiaciuto, suvvia. Qui le donne sono un po’ restie ai complimenti nei confronti dello straniero, almeno quelle nobili e…”
“Sì, signore, è molto più bello lei, è contento? – Riza assunse una posa più composta e per un attimo fu quasi inevitabile vederla in divisa – Adesso vada! Scommetto che ha del lavoro da sbr…”
“Quale lavoro?” la prese in giro lui.
Vada!” minacciò la donna, cercando di trattenere una risata.
Lo guardò uscire con tutta la sua sfacciataggine, con quell’aria spavalda che si permetteva di usare anche davanti al generale Armstrong. Posando la mano contro la grande porta di legno, Riza inspirò profondamente l’aria frizzante della sera ormai inoltrata e si sentì decisamente meglio. Per qualche secondo si permise di cullarsi nelle sue fantasie più proibite, ricordando la forza di quelle braccia che la stringevano più di dieci anni fa, quando era stata salvata in extremis dalla morte… e trasponendo l’abbraccio in una scena decisamente più dolce e romantica come poteva essere quella di un salotto appena illuminato con loro due e basta.
Riza, Riza… svegliati, coraggio – si disse – queste fantasie lasciale per quando sarai tornata ad Amestris e non avrai altro a cui pensare.
Però, come sempre, dopo esser stata rassicurata in un simile modo, si sentì assai più serena per il resto della serata. Il generale le era sembrato davvero in splendida forma ed il fatto che non avesse nessun sospetto o timore in parte la rassicurava: per quanto scansafatiche ed indolente, era comunque un uomo attento a cui non sfuggivano determinati dettagli. Se era così tranquillo forse era solo lei che, complice anche il suo ruolo, si sentiva troppo soffocata e di conseguenza aveva iniziato ad ingigantire semplici sospetti.
Durante la tranquilla cena alla quale, fortunatamente, erano presenti solo il duca, i gemelli ed il principe Shao si comportò amabilmente, conversando soprattutto con Kyril. Il giovane era sempre gentile ed educato e quella sera era particolarmente loquace: a quanto sembrava si stava profilando all’orizzonte un fidanzamento con una ragazza Tojanev ed il fatto lo riempiva d’orgoglio.
Anche il duca Esdev sembrava particolarmente compiaciuto di una simile unione che, per un figlio minore, era davvero una rarità. L’unica che sembrava indispettita era Kora, ma Riza non ne rimase troppo sorpresa: quella ragazza aveva una gelosia molto marcata ed era naturale che la rivolgesse anche nei confronti del proprio gemello. Anzi, per una volta tanto, Riza riuscì a simpatizzare leggermente con lei: provare una lieve gelosia in simili casi rientrava nella normalità.
In ogni caso fu veramente lieta che la cena si concludesse relativamente in fretta senza nessun incidente di percorso. Niente sarebbe stato più gradito di tornare nella propria stanza, cambiarsi per la notte e mettersi a dormire per cancellare anche gli ultimi residui di brutti presentimenti.
“Signorina Hawkeye, potrebbe venire un secondo in camera mia?”
A quella richiesta Riza si girò, vedendo che Kora stava ferma nel grande corridoio, la mano sulla maniglia dorata della porta delle sue stanze. Gli occhi azzurri per una volta tanto erano privi di malizia e di sfida, avevano anzi un’espressione turbata.
“Che succede?” chiese con sospetto tornando indietro e sbirciando al di là dell’uscio che era appena stato aperto, rivelando una stanza del tutto normale e arredata con gusto raffinato.
“A proposito del tenente – ammise lei mentre entravano – volevo chiederle… non è che è già impegnato?”
“Fury? – a quella domanda Riza quasi scoppiò a ridere, ma si trattenne – Ma no, assolutamente. Il fatto che voi non vi dobbiate più vedere non è dovuto a questi motivi, ma a semplice buon senso.”
“Adesso anche Kyril si è quasi fidanzato – lo disse con voce tesa, quasi spezzata da un singhiozzo – con una stupida Tojanev, brava solo a fare la spia o chissà che cosa! Conosco bene Lidia, non è adatta a lui!”
“Non mi pare che sia un fidanzamento combinato – obbiettò la donna – anzi tuo fratello mi sembrava molto contento.”
“Lo fa solo per i suoi dannati interessi, lo so – la giovane batté il piede a terra con stizza – e mi lascia sola, come se io non contassi niente. Però se sono io a farlo… allora non va bene, proprio no!”
Riza scosse lievemente il capo, non riuscendo a capire bene cosa intendesse con quelle parole. La lasciò tuttavia sfogare per qualche minuto, fino a quando la giovane si accostò al tavolo e da una caraffa di cristallo versò due calici di un vino molto chiaro. Ne bevette una generosa sorsata e poi invitò Riza ad accostarsi a lei e prendere l’altro bicchiere.
“Capisco che per il proprio gemello ci può essere gelosia – ammise lei, prendendo il calice e bagnandosi le labbra – ma non mi pare il caso di prendersela in questo modo. Kora, tu sei grande ormai, vedrai che molto presto arriverà la persona giusta per te: non hai bisogno di giocare o fare la bambina.”
“La persona giusta per me, eh? – sospirò la ragazza con aria pensosa, puntando i suoi grandi occhi azzurri su di lei – Forse non esiste, forse non arriverà mai… si dice che a volte le anime perfette nascano in tempi molto distanti tra di loro e non siano destinate ad incontrarsi…”
“E’ solo una sciocchezza – scosse il capo Riza bevendo un altro sorso di quel vino dolce e posando il calice sul tavolo – sei una donna forte, Kora, devi soltanto essere più matura. Rifletti su queste parole e ti accorgerai che c’è un mondo oltre i tuoi giochetti infantili. Adesso ti auguro una buona notte.”
“Buonanotte, signorina Riza – rispose lei con calma – ah, un solo dettaglio…”
“Che cosa?” chiese l’altra con la mano già sulla maniglia.
“I miei giochi non sono per niente infantili…”
Riza non ritenne opportuno rispondere a quella dichiarazione: uscì dalla stanza e chiuse la porta alle sue spalle, avviandosi poi per il corridoio. Kora si confermava priva di qualsiasi speranza ed era davvero un peccato: Riza intuiva che dietro i capricci e l’arroganza c’era una buona dose d’intelligenza e caparbietà, ma era del tutto offuscata da quei difetti.
Come quel grande proclama che ha fatto per ultimo – si disse sarcasticamente mentre chiudeva le porte di camera sua – la figlia di Havoc con i suoi capricci è più adulta di lei e…
Un improvviso capogiro le troncò il pensiero e si dovette posare bruscamente contro la porta per non cadere sul pavimento. Dopo qualche secondo l’effetto passò, lasciandola completamente stordita e con le gambe che tremavano. Sbattendo le palpebre con forza si disse che doveva esser stato qualcosa a causarle quel malessere, forse quel dannato abito che le rendeva un po’ difficile respirare.
Ma subito arrivò una seconda ondata, molto simile a un calo di pressione: iniziò a sentire un forte rombo nelle orecchie, mentre la testa sembrava cinta da un cerchio metallico strettissimo.
Iniziò a respirare con difficoltà, il suo petto troppo compresso in quell’abito così stretto. Cercò di portare una mano ai lacci che aveva sulla schiena ma non ci riuscì, il movimento era troppo difficile.
“I miei giochi non sono per niente infantili…”
Piccola infame! – capì Riza mentre scivolava con la schiena sulla porta e sentiva i suoi sensi abbandonarla quasi del tutto – mi ha drogato!
 
Manco a farlo apposta in quel momento Fury stava uscendo dalle sue stanze proprio per andare a parlare con il tenente colonnello, confidando nel fatto che la cena fosse ormai finita e che tutti si fossero ritirati per la notte. Sapeva che il suo superiore restava sveglia per circa un’ora prima di prepararsi per andare a letto e voleva approfittare di quel momento di calma per scusarsi ancora con lei.
“Dai che la questione è chiusa, ragazzo! Adesso la lasci con il broncio per qualche ora e poi vedrai che già stasera tornerai nelle sue grazie!”
Il ricordo delle parole che gli aveva detto quel pomeriggio il generale, accompagnate dal solito sorriso furbo e da un’arruffata di capelli, gli riempì il cuore di speranza. Ma certo, era tutto chiaro: lui era il tenente Kain Fury, in missione a Drachma con tutta la sua squadra. A loro andava la sua fedeltà, la sua attenzione, i suoi pensieri. Kora era stata una strana e dolce parentesi, ma la sua vita non era in quei palazzi e in quegli intrighi, ma nel clima più tranquillo e normale di Amestris.
Oh, generale, meno male che esiste lei a rimettere le cose a posto – sospirò con sollievo, mentre bussava con discrezione alla porta delle stanze del tenente colonnello.
Rimase qualche secondo in attesa di sentire la sua voce e, non ottenendo risposta, fece un piccolo passo indietro, grattandosi la punta del naso.
Strano – pensò – mi pare davvero troppo presto… possibile che sia ancora in sala da pranzo con il duca e gli altri?
Fece per tornare in camera sua, considerando l’ipotesi di ritentare una decina di minuti dopo, ma poi sentì un lieve tonfo provenire dall’interno della stanza.
“Signora? – chiamò perplesso, provando a bussare di nuovo – sono io…”
Non ci fu nessuna risposta, tanto che per qualche secondo fu sicuro di essersi solo immaginato quel suono. Ma poi il suo istinto gli disse che qualcosa non andava. Anni ed anni di missioni con la sua squadra gli fecero meccanicamente muovere la mano fino a trovare la fondina della pistola.
Estratta l’arma levò la sicura e abbassò con delicatezza la maniglia.
“Tenente…” chiamò scrutando con attenzione la stanza perfettamente illuminata dalle lampade, alla ricerca di qualche persona sconosciuta che stesse…
“Signora!” esclamò, come lo sguardo cadde nemmeno mezzo metro da lui, proprio dall’altra parte della porta. Subito ripose la pistola al suo posto e si affretto a chiudere l’uscio per poi inginocchiarsi accanto a Riza che, accovacciata sul pavimento, cercava affannosamente di respirare.
“Tenente… tenente colonnello – Fury subito le fu accanto, aiutandola a mettersi seduta – signora, sono io… sono Fury! Che le succede? Si sente male?”
Respirava davvero a fatica con una mano che tirava debolmente il colletto dell’abito verde scuro che indossava. Il viso era pallido e sudato, con diverse ciocche di capelli che si erano appiccicate alla fronte umida.
“Coraggio, signora – Fury, capendo che comunque non era del tutto incosciente, la aiutò a sollevarsi – ci vuole poco per arrivare al suo letto. Vedrà che sdraiata andrà decisamente meglio!”
Nonostante col passare del tempo fosse leggermente cresciuto, non fu per niente facile arrivare fino alla stanza da letto che stava oltre il piccolo salotto. Riza era comunque più grande di lui ed a rendere più difficile il tutto c’era quell’abito davvero ingombrante.
Quando finalmente riuscì a farla sedere nel letto emise un sospiro di sollievo.
“Vado a chiamare un medico…” iniziò.
“No! – fu la prima parola che Riza disse, riuscendo a prendergli la mano e aprendo debolmente gli occhi castani – no… no… devo solo… uff… respirare meglio…”
“Sicura? – il giovane rimase perplesso davanti a quella richiesta, ma poi si disse che evidentemente la donna non voleva creare subbuglio in casa Esdev – però almeno cerchi di bere un po’ d’acqua, signora.”
La fece distendere sui cuscini e poi recuperò un bicchiere d’acqua dalla caraffa che stava nel tavolino lì vicino. Con tutta la delicatezza possibile le accostò il bicchiere alle labbra e le fece ingoiare qualche sorso.
Tastandole il polso notò con sollievo che il battito stava piano piano rallentando e che il momento di crisi dunque stava passando.
“Va tutto bene, tenente – mormorò con delicatezza, accorgendosi che la donna si stava addormentando. Le scostò le ciocche umide dal viso e, dopo aver recuperato un asciugamano dal bagno, le asciugò la fronte madida di sudore – ci sono io a prendermi cura di lei.”
Con un sospiro di sollievo si rese conto che doveva esser stato solo un lieve malessere, forse dovuto al vestito troppo stretto. Quasi a dargli conferma, Riza si portò di nuovo una mano al colletto, cercando debolmente di allentarlo.
“Certo, deve darle notevole fastidio quest’abito…” Fury capì che la respirazione avrebbe continuato ad essere difficoltosa finché era compressa in quel modo e ovviamente non andava bene. Sicuramente quel vestito andava allentato e questo pensiero fece arrossire profondamente il soldato.
Chiaramente il tenente colonnello non era in grado di affrontare una simile operazione, però a farla lui si sentiva totalmente in imbarazzo. E forse non era nemmeno consentito, insomma era la sua superiore, non si poteva permettere simili libertà.
E anche se non ci fosse stato quell’impedimento formale, restava sempre quel senso di timidezza e pudore a farla da padrone… forse la cosa migliore era chiamare davvero qualcuno.
Però mi ha detto chiaramente che non dovevo… oh, diamine…
Vedendo che la donna compiva di nuovo quel gesto si riscosse e decise di agire. In fondo non c’era niente di fuori luogo nelle sue intenzioni: stava solo eseguendo delle procedure di primo soccorso che gli erano state insegnate al corso base in Accademia. Ed era chiaro che il paziente doveva avere la respirazione facilitata.
Analizzando il vestito si accorse che sul petto non c’era nessun bottone o laccio e questo lo fece intimamente sospirare di sollievo: l’apertura stava nella schiena e questo voleva dire non vedere niente di compromettente.
“Signora, coraggio – mormorò con delicatezza, aiutandola nei movimenti – la aiuto a liberarsi di questo vestito.”
Una volta che la donna si fu girata prona, il tenente notò con sollievo che l’abito non aveva niente di complicato: c’era un corpetto chiuso con dei lacci e sotto di esso la parte più interna del vestito con dei semplici bottoni. Sarebbe bastato aprire il tutto fino a metà schiena per liberare la cassa toracica dalla compressione e consentire un respiro più facile.
Con delicatezza provvide a slegare quei lacci e finalmente il corpetto si aprì del tutto, i due lembi di spesso tessuto che, privi di tensione, caddero sui lati del corpo di Riza. Sembrava che già questa operazione avesse dato sollievo alla donna e questo indusse Fury a procedere anche con la seconda fase: erano solo sette bottoni, poi avrebbe girato con delicatezza il corpo, l’avrebbe coperto con le lenzuola e l’avrebbe lasciata riposare, restando in una delle poltrone della camera per il resto della notte, giusto per evitare che ci fossero delle nuove complicazioni.
Spero che non si offenderà quando scoprirà quello che ho fatto – rifletté, mentre scostava quei capelli biondi di lato ed apriva il primo bottone, proprio sotto la nuca – però non ho avuto scelta e… e… e questo?
I suoi occhi scuri si dilatarono quando vide le prime parole tatuate sulla pelle candida della schiena di lei: il loro colore era in parte sbiadito, eppure i contorni erano ben definiti, tanto che erano perfettamente leggibili.
“Igna Natura Renovatur Integra”
Quella lingua gli era completamente sconosciuta, ma era chiaro che non era un semplice tatuaggio. E poi, quasi a circondare quelle prime parole, c’erano due strani archi che proseguivano verso il basso.
La mano di Fury tremò, intuendo c’era qualcosa che non andava: da una parte voleva riallacciare quei primi bottoni e scappare via da quella stanza, ma un lieve singulto di Riza lo obbligò a continuare.
Tieni gli occhi chiusi, tieni gli occhi chiusi…
Continuava a ripetersi quella frase, ma le sue pupille non riuscivano a staccarsi da quelle parole e da quel disegno che continuava a proseguire lungo la schiena perfetta di lei…
Perfetta… perfetta… oh santo cielo…
La stoffa dell’abito si aprì ulteriormente come slacciò il quarto bottone: il disegno e le scritte venivano interrotte bruscamente nella parte sinistra da un orrenda cicatrice rosa scuro. Si estendeva per buona parte sotto la spalla sinistra, risaltando in maniera dolorosa su quella pelle bianca e così bella e pura. Al ragazzo venne il voltastomaco all’idea di quello che doveva aver provato nell’aver subito una ferita del genere… Ishval forse? Certo, doveva essere successo proprio lì, non c’erano dubbi.
“Mi spiace – le lacrime iniziarono a colargli sulle guancie – signora, io… non lo sapevo… non lo sapevo… mi scusi… mi…”
L’idea che quella donna, che lui amava profondamente come una seconda madre, avesse ricevuto una ferita del genere lo fece fremere di rabbia. Era stata la guerra, certo, era stato un… un disastro dove alla fine carnefici e vittime si mischiavano in maniera assurda, tuttavia l’idea che un singolo mostro, perché doveva esserci un artefice fisico, le avesse fatto questo…
Sbatté con forza le palpebre, cacciando via le lacrime che gli disturbavano la vista.
Basta, doveva finire in fretta quel lavoro e poi..
Si fermò di nuovo, mentre la sua mente impazzita si accorgeva di un nuovo dettaglio. Tutte quelle scritte, quelle strane spire avvolgevano qualcosa, proprio al centro della schiena, in buona parte integra dalla cicatrice. Era un cerchio, con degli strani triangoli al suo interno e sotto di essi… una specie di lucertola.
E un brivido corse lungo la spina dorsale del tenente quando si rese conto che lui conosceva alla perfezione quel disegno.
Era il cerchio alchemico disegnato sui guanti del generale, un disegno che lui aveva conosciuto quando aveva diciotto anni e aveva visto migliaia di volte. Non c’erano dubbi, non poteva sbagliarsi. E quella non era una lucertola, ma una salamandra, proprio come gli aveva spiegato una volta lo stesso Mustang: l’animale che nei miti si pensava facesse i suoi nidi nel fuoco.
Che cosa voleva dire tutto ciò?
Perché nella schiena del tenente colonnello c’era tatuato quel medesimo cerchio con tutte quelle altre formule? Tutto questo non aveva senso, non c’era alcun motivo per cui…
“Oh no… no, ti prego – la sua mano andò delicatamente su quella cicatrice così orribile, sfiorando quella pelle così molliccia e dura allo stesso tempo – ti prego dimmi che non… non è stato lui…”
Però oggettivamente non era possibile che fosse delimitata in un modo così… studiato. Anche se non aveva esperienza in merito il tenente si rese conto che, se qualcosa avesse colpito il tenente colonnello con ancora addosso la divisa ed in pieno movimento, il fuoco ci avrebbe messo ben poco a lambire anche altre parti del corpo, almeno della stessa schiena. Meno profondamente, forse, ma in maniera più estesa.
Questo invece era un qualcosa fatto… ad hoc.
E solo una persona…
“…E quando scoprirai che è in grado di ferire anche le persone che ami come reagirai?”
La domanda di Michael risuonò nella sua mente impazzita, facendolo stare male come mai era successo, distruggendo le certezze che si era costruito in anni ed anni di vita.




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per chi se lo stesse chiedendo "Igne Natura Renovatur Integra" è davvero la prima frase del tatuaggio di Riza

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Capitolo 13
*** Capitolo 12. Sfiducia serpeggiante ***


Capitolo 12.
Sfiducia serpeggiante



Ancora prima di sollevare le palpebre, Riza sentì un senso di malessere che pervadeva ogni singola fibra del suo corpo, soprattutto la testa. Fu tentata di girarsi dall’altra parte del letto per vedere se cambiare posizione le dava una mano, ma sembrava che un macigno gravasse su di lei impedendole qualsiasi movimento. Era una sensazione spiacevolissima: uno strano stato di dormiveglia di cui non riusciva a percepire il confine, ma dal quale doveva assolutamente uscire.
Emise una lieve esclamazione e sentire la propria voce la aiutò nell’intento, cacciando via i residui di condizione onirica che ancora la tormentavano. Riuscì dunque ad aprire gli occhi e a mettere a fuoco l’ambiente circostante, lieta che la luce fosse soffusa e non troppo accecante.
Finalmente, grazie a quegli stimoli, anche il suo corpo riprese a collaborare, sebbene permanesse in lei quel fastidioso senso di malessere alla testa. Ma almeno non era più bloccata e si alzò a sedere tra i cuscini con relativa facilità. Sentiva la bocca secca e impastata, con uno sgradevole sapore amarognolo: tutto quello che desiderava era un bagno bollente e poi una tazza di tisana che la ristabilisse del tutto.
Maledetta infame – sospirò, ricordandosi di quanto era successo – e chi lo immaginava che fosse così subdola da arrivare a tutto questo? Ma aspetta che le metta le mani addosso e…
La sua mano istintivamente andò al petto, sentendo che il vestito le stava scivolando in avanti. Con perplessità osservò la preziosa stoffa verde, piena di pieghe per essere stata usata nel sonno, non avendo nessuna memoria di essersi slacciata l’indumento. Certo, ricordava che la droga le aveva dato diverse difficoltà di respirazione e che aveva cercato di allentarsi almeno il colletto, però…
“Si sente meglio, signora?”
La voce, dal tono piatto, la fece trasalire ed, istintivamente, si tastò la coscia destra, alla ricerca della piccola pistola che teneva con sé. Contemporaneamente scrutò la stanza alla ricerca di eventuali nemici e rimase interdetta quando vide Fury seduto su una poltrona, a pochi metri dal letto. Il viso del giovane era pallido e tirato, segno che non aveva chiuso occhio per tutta la notte; gli occhi scuri, dietro le lenti degli occhiali, incontrarono i suoi solo per un secondo, poi si abbassarono sulle mani che teneva serrate in grembo. Sembrava tremendamente vulnerabile, eppure in quell’unica domanda che aveva posto si era chiaramente percepita una strana forma di… rabbia?
“Meglio?” Riza cercò di prendere tempo, mentre la sua mente ricollegava affannosamente i pezzi del rompicapo e si rendeva conto che la voce del soldato ed il suo aiuto non erano solo parte dei sogni tormentati che aveva fatto.
E che dunque era stato lui a slacciarle il vestito.
La schiena… la mia schiena!
Sentendo l’aria fresca del mattino che le pizzicava la pelle finalmente capì quello che era successo.
E fu come se il mondo le crollasse addosso: si sentì nuda, esposta, violata in una maniera orribile e che mai avrebbe voluto sperimentare. Quelle cicatrici erano sue silenziose e segrete compagne, nemmeno il generale le aveva più viste da quando gliele aveva procurate. Erano la sua vergogna, la sua redenzione, qualcosa di intimamente personale che la legava ad Ishval ma anche a Roy Mustang.
“Mi hai slacciato tu il vestito, vero?” chiese con voce piatta, rifiutandosi di guardarlo, sentendo in qualche modo di odiarlo per averla esposta in una maniera simile. Perché non si era limitato al corpetto? Perché era andato oltre?
Dannazione, è colpa tua se quella piccola sadica mi ha drogato facendoci arrivare a questo!
“Sì, signora, sono stato io – ammise la voce di Fury con un lieve tremito – non voleva che chiamassi nessuno e… respirava davvero a fatica con quell’abito. Non ne ho potuto fare a meno.”
“Quello che hai visto nella mia schiena non va rivelato ad anima viva – disse, con tutta la calma di cui era capace – ti proibisco di parlarne o di fare domande in merito, spero di essere stata chiara.”
“E’ stato… è stato lui?”
“Ti ho appena detto che non dovevi fare nessuna domanda in merito!” serrò gli occhi con forza, sentendosi furiosa al pensiero che qualcuno osasse intromettersi in quello strano legame che si era creato tra lei ed il generale.
Sentì dei fruscii e alzando lo sguardo vide che il soldato si era alzato dalla poltrona: rigido, i pugni serrati, l’espressione tesa e rabbiosa, in parte però rovinata da alcune lacrime che colavano senza parere sulle guance pallide.
“Voglio solo sapere il perché…” sibilò.
“Non superare certi confini, tenente Kain Fury – sibilò di rimando Riza, più che mai decisa a concludere quella spiacevole vicenda – ti ho dato un ordine e tu lo devi eseguire.”
Gli occhi scuri e quelli castani si sfidarono a vicenda. Per qualche incredibile secondo Fury osò l’impensabile e si oppose con lo sguardo alla sua superiore. In altre occasioni un atteggiamento simile sarebbe stato davvero patetico, ma c’era tanto dolore e tanta rabbia nel suo sguardo da rendere l’intera faccenda estremamente seria. Ma Riza Hawkeye in quel momento non poteva e non voleva rendere conto a lui che era l’ultimo che poteva capire. Non sapeva niente di Ishval, non sapeva niente del dolore di quell’ago maledetto, di quella violenza fisica subita dal proprio padre, non aveva idea della sofferenza che il fuoco aveva provocato e di quella più grande che provava ogni volta che vedeva qualcuno con gli occhi rossi.
Che cosa ne sai tu, Fury? Niente, proprio niente!
Sembrò che quei pensieri in qualche modo venissero recepiti dal soldato che, con un sospiro tremante, abbassò la testa in segno di resa.
“Si sente ancora male? Ha bisogno di me?” mormorò.
“No, puoi andare…” rispose lei, spostando lo sguardo davanti a sé.
“Molto bene.”
Sentì i passi allontanarsi e poi il rumore della porta che veniva chiusa con discrezione.
Solo allora si lasciò cadere di nuovo nel letto e si concesse di far uscire le lacrime.
Era una bambina a cui qualcuno aveva appena aperto il diario segreto e aveva scoperto che, invece di frasi carine e spensierate, c’erano solo orrore, sofferenza e vergogna.
 
Come Fury chiuse la porta alle sue spalle iniziò una folle corsa nel corridoio, desiderando solo raggiungere le sue stanze, buttarsi nel letto e piangere tutte le sue lacrime.
Si sentiva tradito, umiliato, privato di tutte le certezze che aveva costruito in dieci anni di permanenza in quella squadra che considerava come una vera e propria famiglia. Era come se suo padre avesse fatto qualcosa di orrendo a sua madre e poi entrambi avessero fatto finta di niente, lasciandolo all’oscuro di tutto.
E se una minuscola parte di lui gli diceva che tutto sommato non aveva il diritto di dire qualcosa in una questione così delicata, dall’altro non poteva tollerare che il generale Mustang si fosse macchiato di una colpa così orrenda. Perché i morti di Ishval potevano essere centinaia e centinaia, ma erano estranei, persone di cui non conosceva i nomi, i volti e le storie… poteva provare pietà, compassione, simpatia, ma non potevano turbare i suoi sogni. Non erano davvero parte della sua vita.
Ma Riza Hawkeye lo era eccome.
Era lei la persona che per prima, in tutta la squadra, l’aveva fatto sentire a suo agio, standogli vicina in quei primi delicati momenti in cui tutti gli altri avevano difficoltà ad accettare la sua presenza. Era stata il primo vero sorriso sincero dove rifugiarsi da quando aveva lasciato il paese e la sicurezza della sua famiglia per portare avanti il suo sogno di lavorare con le radio.
E anche se era chiaro che tra i due non era certo lei quella debole, si era sempre ripromesso di proteggerla, di offrirle tutto il sostegno di cui era capace.
Ma a quanto pareva tutto questo non era mai importato davvero.
Arrivò nella sua stanza e chiuse la porta con un gran botto, proprio come un bambino offeso: si buttò nel letto emettendo dei profondi singulti, cercando disperatamente nuove lacrime per sfogare il suo dolore. Ma, inaspettatamente, non ebbe una crisi di pianto come invece avrebbe voluto: dai suoi occhi uscirono solo poche gocce che gli rotolarono dolcemente sulle guance arrossate.
E adesso perché? Perché non ci riesco?
Eppure il dolore e la rabbia erano reali, non c’era alcun dubbio. E di lacrime ne aveva già versato durante la notte; possibile che non riuscisse ad arrivare uno sfogo vero e proprio?
Alla fine si girò supino e si mise a guardare il soffitto, mentre il suo respiro recuperava regolarità ed i suoi occhi tornavano piano piano completamente asciutti.
Che cosa devo fare? – si chiese – Non posso… non posso farcela a stare assieme a delle persone che non riesco nemmeno a guardare negli occhi.
Eppure era a Drachma, assieme agli altri, non era proprio il momento di lasciarsi andare a simili considerazioni. Non poteva portare al disastro tutti quanti loro.
Devi resistere, Kain… finirà presto.
Continuò a ripeterselo ancora ed ancora, fino a quando cadde nel sonno che non si era concesso durante la notte.
 
Ignaro di quel terremoto che si era appena consumato, il resto del team si godeva quella giornata particolarmente fredda che annunciava l’approssimarsi della neve, nonostante la primavera ormai iniziata.
Specie Havoc si sentiva assai lieto: Breda gli aveva raccontato del suo successo con quella graziosa cameriera e se c’era una cosa che rendeva felice il biondo era quando il suo miglior amico si lasciava andare a qualche relazione sentimentale. Per come la vedeva lui un uomo non era felice se stava solo, era un fatto naturale quello di cercare una compagna, anche occasionale.
E poi ci sono le eccezioni come quei due idioti del generale e del tenente colonnello che si girano attorno da dieci anni e ancora non concludono niente.
Loro con i grandi rimorsi e i grandi progetti… secondo il pragmatico maggiore si stavano comportando da emeriti imbecilli. Anche ad iniziare una relazione clandestina potevano stare ben certi che tutta la squadra li avrebbe protetti come meglio conveniva.
E poi lei è anche la nipote di Grumman… una soluzione si troverebbe a prescindere, e che le regole anti fratellanza dell’esercito si fottano! Ah, ma conoscendoli conclude prima Fury di loro…
Ecco, il nanetto era un altro problema: a quanto sembrava la storia con quella ragazzina si era conclusa ancor prima di diventare seria. E questo voleva dire che avrebbe perso la scommessa con Breda.
Però gli dispiaceva seriamente per Fury: anche se non era la ragazza adatta a lui era comunque un’esperienza che avrebbe dovuto fare, a costo di restare scottato malamente. Ma purtroppo il tenente colonnello aveva fatto da chioccia più del previsto e persino il generale si era schierato dalla sua parte.
Due genitori che impediscono al ragazzino di fare le sue esperienze… che diamine, non mi aspettavo un simile bigottismo. E quando si svergina quello lì?
Terminato quel pensiero si guardò attorno e capì che la sua passeggiata l’aveva portato in uno dei tanti cortili interni del complesso. Non vedendo nessuno in giro si concesse un sorriso e tirò fuori dal taschino della divisa il suo immancabile pacchetto di sigarette: da uomo prudente quale era se ne era portato una scorta… non si poteva mai dire se a Drachma ce ne fosse una marca decente o meno.
Dopo aver fatto un tiro, soffiò fuori il fumo con soddisfazione: da quando erano nati i bambini era sempre più difficile farsi una fumata in santa pace. Rebecca se lo vedeva con la sigaretta lo minacciava di morte.
Ma era anche vero che Jilly tendeva a tossire parecchio per via del fumo e quindi era davvero necessario limitarsi, almeno a casa.
“Sta superando qualsiasi limite, te lo dico io!”
L’orecchio acuto di Havoc sentì quella frase in lontananza e fu rapido ad adocchiare una statua di marmo abbastanza grossa  dietro la quale nascondersi. In un’altra occasione non si sarebbe fatto problemi e sarebbe rimasto in bella vista, incurante o meno di far smettere quella conversazione, ma aveva riconosciuto il proprietario di quella voce e forse poteva ricavare qualche informazione interessante da riferire al generale.
Del resto quel tipo andava tenuto d’occhio, non aveva dubbi in merito.
“Che ti aspettavi da lui, cugino? – disse una seconda voce – Lo conosci da una vita è fatto così.”
Spegnendo la sigaretta sul marmo bianco della gonna della dama rappresentata dalla scultura, Havoc si spostò leggermente in modo da poter vedere i due protagonisti della conversazione. Alexand Anditev vestiva uno dei suoi soliti completi nero e argento, con un corto mantello verde smeraldo tenuto sulla spalla destra da un grosso fermaglio d’argento a forma di falco. La sua mano guantata era serrata sull’elsa della spada in chiaro segno di nervosismo, ma era soprattutto la sua espressione a tradire le violente emozioni che lo tormentavano. Dalla sera del ballo si era tagliato la corta barba scura ed adesso il viso mostrava maggiormente la mascella serrata per il disappunto.
L’altra persona doveva essere Michael Esdev, il famoso monaco di cui gli avevano spesso parlato e che, a suo parere, doveva essere un vero e proprio dito in culo per usare un linguaggio raffinato. Effettivamente in lui c’era quell’aria di supponenza che Havoc detestava profondamente. Quei due erano proprio parenti, non c’era che dire… mentre invece con la graziosa fanciullina che aveva preso di mira Fury non c’era la minima somiglianza. Però era anche vero che era la sua sorellastra.
“Come ha potuto permettere che incontrasse anche il Patriarca? – Alexand era così irato che quasi Havoc poté vedere la sua mano sbiancare, sotto la stoffa del guanto, per quanto la stringeva sulla spada – Sta giocando troppo col fuoco e non ci vuole minimamente ascoltare. E rimango fermamente convinto che sia stato lui a fare fuori i miei uomini… lui e quella dannata alchimia del fuoco. E’ solo una sceneggiata, Michael, Amestris vuole solo ferirci di nuovo. E Derekj è stato così folle da farli penetrare fino alla capitale del nostro regno!”
“Folle, eh? – il monaco, le mani nascoste dentro le maniche del saio guardò il cugino con aria pensosa per qualche secondo – No, secondo me ha in mente qualcosa e non ce ne ha parlato.”
“Ci siamo sempre detti tutto quanto – l’altro scosse il capo con aria offesa – non avrebbe senso…”
“Non dimenticare che è un Drachvoic e gli intrighi sono parte di lui: il serpente ipnotizza e avvelena la sua preda, il falco si getta su di essa guidato dal vento e dall’istinto.”
“Tu sei un cavallo – sorrise con indulgenza Alexand, dando un pugno scherzoso sul braccio del cugino – e nessuna pista e troppo dura per un Esdev.”
“Ah, le questioni di sangue sono così labili – scrollò le spalle Michael – e sappiamo tutti che il sangue Anditev è dominante rispetto a quello Esdev. Comunque, tornando a noi, mi dispiace dirti che anche al Patriarca è piaciuto quel Mustang, ma ammetto che me lo aspettavo. Il reverendo Lessand è molto aperto per determinate cose, inutile negarlo.”
“Derekj spera di convincerti in questo modo?” inarcò il sopracciglio Alexand.
“Forse, ma non cambierò idea riguardo a quell’uomo, fidati di me. C’è quel soldato, quello di cui Kora è invaghita, a parer mio non è del tutto consapevole di chi sta seguendo…”
“Vuoi gettare zizzania nell’ambasciata di Amestris? Non è da te…”
“No, voglio… – Michael finalmente levò le mani dalle maniche del saio e le congiunse davanti alle labbra in gesto di riflessione – provare a salvarlo. E’ buono, si capisce, mi dispiacerebbe per lui se venisse coinvolto in qualche disastro…”
“A coinvolgerlo ci ha già pensato Kora, non c’è che dire.”
“A quella penserò io alla fine di questa storia. Comunque, cugino, lo so che è difficile… Derekj sta giocando una strana partita e ancora non ci ha voluto svelare del tutto le sue carte. E questo vuol dire solo una cosa: che sa qualche cosa e non ce la vuole dire.”
“Hmpf! Non faceva altro che dire che quando sarebbe diventato Autarca io sarei stato il suo braccio destro…”
“Sei diventato suo campione del resto, se ha ritirato fuori una carica simile ti ha reso davvero il suo braccio destro. Mettendosi anche contro diverse famiglie, lo sai: un favore così marcato per gli Anditev non piace a tutti e sai bene di chi parlo.”
“Posso benissimo sopravvivere alle occhiatacce di Tojanev, Shintenov e quanto altro! Comunque non ha senso farmi suo campione se poi non mi dice che diamine sta succedendo. E a te? Ti ha detto per caso che ti farà Patriarca?”
“Queste sono decisioni del Consiglio maggiore, non penso che Derekj ci voglia mettere naso. Sa che io ci sono e questo basta e avanza.”
“Non so cosa sarebbe il nostro trio senza di te, Michael – sospirò Alexand, passandosi una mano tra i folti capelli scuri – riesci a tenere l’equilibrio tra me e Derekj. E Dio sa quanto ne abbiamo bisogno. Si sta preparando la guerra a nord, me lo sento: i dispacci dei ranger parlano di una grossa orda di forsj* che si sta accumulando oltre la grande tundra… centinaia di migliaia prima dell’inverno e diventeranno sempre di più. Potrebbero arrivare anche a superare il milione di unità, te ne rendi conto?”
“Non hanno certo il nostro livello militare…” provò ad obbiettare Michael.
“Ma sono tanti e spinti dalla fame e da chissà quale problematica della loro terra… si parla di migrazioni che premono sempre di più verso sud e solo la grande tundra ci tiene relativamente al sicuro per ora. E non possiamo combattere nella grande tundra, è un terreno impraticabile per l’esercito: nel caso dovranno entrare a Drachma per poi essere sconfitti nella fascia settentrionale. Ma quanto ci costerà tutto questo?”
“Non credi che sia per questo che Derekj vuole essere sicuro della pace con Amestris? – chiese Michael – avrebbe senso del resto: non sarebbe improbabile che quel fronte debba restare in parte sguarnito davanti ad una simile eventualità.”
“Ed invitare addirittura l’ambasciata nella capitale? – scosse il capo Alexand con aria cupa – No, se voleva il trattato di pace poteva anche mandare la richiesta al loro Comandante Supremo, c’erano ottime possibilità che venisse accettato. Derekj ci nasconde qualcos’altro, fidati di me.”
“Sarà – sospirò Michael – però continuo a diffidare di uno che manipola così il fuoco, andando a sfidare le pertinenze di Dio. Non viene niente di buono da persone come lui.”
“Io ho ancora dei soldati morti che gridano vendetta – annuì Alexand – e per quanto ne dica Derekj, io continuo a sostenere che è stato lui.”
Il monaco stava per aggiungere qualcos’altro, ma proprio in quel momento si sentirono suonare le campane della cattedrale e così prese congedo dal cugino, dicendo che doveva presenziare ad una funzione sacra. Rimasto solo, Alexand giocherellò per qualche secondo con l’elsa della spada e poi girò sui tacchi e tornò dalla direzione dalla quale erano venuti.
Havoc, da soldato navigato qual’era, aspetto qualche minuto prima di uscire con tranquillità dal suo nascondiglio, riaccendendosi immediatamente una nuova sigaretta.
La conversazione a cui aveva assistito era stata davvero interessante e sicuramente anche il generale sarebbe stato ansioso di sentirla.
 
Basta vestiti, non ne avrebbe indossato più uno per tutto il resto dell’ambasciata.
Riza terminò di abbottonarsi la camicia pesante e si guardò allo specchio, lieta di vedere finalmente una versione più rappresentativa di se stessa. La gonna di velluto era normale e senza alcun rigonfiamento e gli stivali che indossava sotto di essa erano comodi e pratici, alla faccia delle scarpe da ballo che aveva indossato qualche sera prima.
Come ultimo tocco per quella versione ritrovata di se stessa, frugò in un piccolo beauty-case che aveva tra i suoi bagagli e recuperò il suo fermaglio, procedendo quindi ad acconciarsi i capelli alla solita maniera.
Sentendo il familiare clack e percependo il lieve tirare delle ciocche si sentì decisamente a suo agio.
Anche se questo non cambia la situazione…
Questo la fece sospirare e si chiese per la centesima volta che cosa poteva fare in merito.
Aveva già ordinato a Fury il silenzio ed era più che convinta che lui l’avrebbe mantenuto. Ma qualcosa si era chiaramente spezzato tra lei ed il ragazzo e forse era una rottura in qualche modo insanabile. Sia perché Fury era rimasto ovviamente traumatizzato dalla scoperta, ma anche, e forse soprattutto, perché lei stessa aveva reagito peggio del previsto. E purtroppo non se la sentiva di perdonare il tenente per aver visto il tatuaggio e la cicatrice.
Se e quando ci sarà tempo una volta tornati ad Amestris – si disse – deve passare ad entrambi.
Le dispiaceva tantissimo, sotto un certo punto di vista avrebbe preferito che a scoprire i segreti della sua schiena fosse stato Havoc o Breda, persino Falman… ma non Fury. Lui era quello che voleva tener maggiormente slegato dal suo passato, un po’ per proteggerlo, ma anche perché era arrivato da lei che tutto era ormai finito, puro e privo delle cicatrici che la guerra civile aveva lasciato su tutti quanti loro. Adesso era come se avesse perso parte di quella purezza, una cosa che Riza non poteva sopportare.
E soprattutto sul soldato gravava la colpa di essersi lasciato coinvolgere da quella pazza di Kora: era tutta una conseguenza di quella pseudo parodia di relazione che di sincerità aveva ben poco.
Lui e la sua dannata ingenuità… doveva ascoltarmi da subito e non sarebbe successo niente di tutto questo.
Dopo un’ultima occhiata allo specchio uscì dalla sua stanza e fece per avviarsi nel corridoio. Per qualche secondo si chiese se era il caso di chiamare anche Fury, considerato che voleva andare in visita dal generale e dal resto della squadra, ma poi i suoi occhi castani si incupirono e scosse lievemente il capo.
Meno lo vedeva meglio era.
Mentre procedeva sicura per il complesso dei palazzi, si chiese se doveva parlare di tutto quello al generale. In fondo Fury aveva capito che era stato lui a marchiarla col fuoco e questo poteva avere dei risvolti anche nel rapporto diretto tra subordinato e superiore.
Però le si stringeva il cuore al pensiero delle reazioni di Mustang: sarebbe stato anche per lui come riaprire un vecchio libro carico di dolore e ferite? E che avrebbe pensato di Fury? L’avrebbe in qualche modo punito per quanto era successo?
Perché? Perché? Dannazione, perché doveva succedere proprio questo!?
Rimuginando su quelle cupe questioni, finalmente giunse nella parte di palazzo Anditev riservata all’ambasciata di Amestris. Sentendo la voce di Havoc un sorriso le rischiarò il viso e aprì la porta, senza nemmeno bussare, come se quello fosse il loro ufficio e quella fosse una normale giornata di lavoro.
“Ehilà, signora! – salutò il biondo, in piedi accanto alla poltrona dove stava comodamente seduto il generale – finalmente viene a farci visita!”
“E’ un piacere rivederla dopo il ballo, signora – salutò con cortesia Falman, gratificandola di un caldo sorriso – venga, si accomodi pure e scusi il disordine. Non è proprio come in ufficio.”
“Oh suvvia, non è così incasinato come sembra – sogghignò Breda, addentando una fetta di torta – ha per caso fame?”
“No grazie – rispose lei, felice di trovare la solita ventata di quotidianità che quelle persone riuscivano a regalarle ogni volta – sto bene così!”
“Oggi non indossi nessun vestito, signorina Hawkeye – sorrise Roy senza nemmeno alzarsi dalla poltrona – come mai? Eppure eri splendida… ehi, dov’è Fury?”
“Il tenente è rimasto a palazzo – rispose prontamente Riza con una scrollata di spalle il più indifferente possibile – era leggermente indisposto e ho preferito lasciarlo riposare.”
Gli occhi scuri del generale la scrutarono per qualche secondo, leggermente perplessi, ma poi sorrise.
“Mal d’amore?”
“Forse, ma non importa: ha precise disposizioni su come agire.”
Per quanto cercasse di apparire disinvolta, la donna intuiva chiaramente che non riusciva ad essere del tutto credibile. Sentì immediatamente le occhiate di tutto il resto della squadra che le chiedeva tacitamente che cosa non andasse. Ma decise comunque di restare sulla sua posizione: l’argomento Fury non era da toccare.
“Ci sono novità, signore?” chiese per cambiare argomento.
“Sì, Havoc mi stava giusto facendo un resoconto interessante di una conversazione tra Michael e Alexand e pare che Drachma abbia rognosi problemi all’orizzonte e che il nostro amico Derekj stia giocando a carte non del tutto scoperte persino per i suoi amici e consiglieri.”
 
Mentre Havoc faceva un rapido riassunto a favore della nuova arrivata, Roy non mancò di studiare attentamente la sua assistente, chiedendosi cosa fosse successo.
Abbigliamento cambiato, la mancanza di Fury a seguito e, soprattutto, quello sguardo turbato indicavano che nell’arco di dodici ore era accaduto qualcosa di abbastanza grave da mettere in crisi persino una persona forte come Riza Hawkeye.
Probabilmente anche il resto della squadra se ne era reso conto, ma Roy preferì risolvere la questione da solo. Del resto era facilissimo trovare una scusa per accompagnarla a fare una passeggiata, giusto per confermare a testimoni oculari che le cose nell’ambasciata di Amestris procedevano a gonfie vele.
“Che è successo?” chiese infine, quando arrivarono fino alla grande piazza davanti alla cattedrale.
“Generale?”
“Senti, qui non ho un fioraio della famiglia Armstrong che mi prepara centinaia di mazzi che non riesco nemmeno a rifilare alla mia assistente – sorrise – e non so se qui si possano cogliere fiori. Però mi piacerebbe che non ci fossero segreti tra di noi… sei turbata, tenente, e ieri non ti ho lasciato in simili condizioni.”
“E’ che…” iniziò lei, tutto sommato desiderosa di sfogarsi con qualcuno, anche se probabilmente Roy Mustang era l’ultima persona che doveva venire a sapere una cosa simile.
“Non mi dire che si tratta di nuovo del tenente e di quella ragazzina…”
“Non proprio, signore… o forse sì…” si arrese.
“Che cosa è successo di nuovo? – la voce si fece leggermente esasperata – Credevo di essere stato chiaro con quel ragazzo. Santo cielo, e va bene… ci parlerò in maniera più decisa e…”
“Mi ha drogato.”
“Che? Drogato?” gli occhi scuri si dilatarono leggermente mentre si metteva a braccia conserte e la fissava con incredulità.
“E’ una piccola serpe pericolosa – continuò Riza con disappunto – non mi aspettavo che arrivasse a fare una cosa simile. Sono stata veramente un'ingenua e una sciocca a bere quel vino che mi ha offerto: ha bevuto prima di me, ma dovevo pensarci che in fondo è la cugina di Derekj e che quella famiglia…”
“Mh, e così è passata al gioco pesante – commentò Roy – ora ti senti bene?”
“Sì, sì… insomma non è stata una nottata facile, ma credo che la droga avesse solo l’effetto di stordirmi e non di farmi veramente male.”
“Fury lo sa? Adesso inizio a capire perché non è venuto…”
“No, non lo sa – ammise lei, abbassando lo sguardo – non ha la minima idea di quello che è successo.”
“Beh, comunque non può essere tenuto all’oscuro – dichiarò il generale, arruffandosi i capelli scuri – in fondo è un bene: forse dopo questo episodio capirà di che pasta è fatta la sua amichetta. Sai bene quanto ci tenga a te: se qualcuno ti fa del male è pronto a sfoderare i suoi piccoli artigli da gattino e…”
“Ha visto la mia schiena!” dichiarò Riza tutto d’un fiato.
Roy a quelle parole rimase esterrefatto.
Per qualche secondo non riuscì a pronunciare nessuna parola mentre la sua memoria faceva prepotentemente tornare in superficie quei momenti surreali che aveva vissuto davanti alla schiena meravigliosa e perfetta di Riza.
Di colpo fu di nuovo quel giovane ed idealista soldato che, incredulo, guardava la figlia del suo maestro levarsi gli indumenti davanti a lui per mostrare quella schiena candida dove erano state incise le formule dell’alchimia del fuoco.
Di nuovo si ritrovò piangente con il corpo inerme di lei tra le braccia, la parte sinistra di quella schiena perfetta ridotta ad una massa strana e gelatinosa, le preziose incisioni cancellate per sempre.
Di nuovo si sentì il mostro che aveva trascinato Riza Hawkeye in un mondo di morte e distruzione, quando invece avrebbe dovuto tenerla al sicuro, custodita in quella villa di campagna in rovina ma che tutto sommato costituiva un rifugio dalla guerra e dall’orrore.
“Come…?” riuscì a chiedere con voce strozzata, serrando i pugni e cercando di apparire il più calmo possibile, anche se in realtà sentiva il cuore battergli a mille.
“E’ entrato che io ero già in difficoltà per la droga – spiegò Riza, rifiutandosi di guardarlo – ricordo solo che gli ho detto di non chiamare nessuno… probabilmente voleva solo aiutarmi a respirare meglio perché il vestito era stretto. Santo cielo, che disastro…”
Rimasero in silenzio per diversi minuti, non sapendo cosa dire, trovando difficile persino guardarsi negli occhi. Erano come dei bambini a cui era stato appena scoperto il nascondiglio segreto che avevano custodito con tutta la gelosia possibile.
“Stai bene?” mormorò Roy alla fine, accostandosi alla sua assistente e sfiorandole la guancia con l’indice.
Doveva essere forte, per entrambi, forse anche per Fury. Per quanto una parte di lui morisse dalla voglia di dare un paio di sberle al tenente, perché in fondo era colpa sua se Riza era ridotta il quello stato, dall’altra sapeva che il complicato ingranaggio di legami che legava tutti loro aveva appena subito una grossa frattura.
“Ma sì, ma sì – cercò di apparire forte lei – devo solo… insomma, si risolverà tutto, no? Santo cielo, ma perché dopo tutti questi anni doveva saltare fuori?”
“Ehi, va tutto bene – Roy si trovò a prenderla per le spalle – è Fury, tenente, quando mai potrebbe usare questo segreto contro di te?”
“Non ho mai detto che…”
“Senti, lo so, è stato tremendo, non sarebbe dovuto succedere… ma puoi stare certa che con lui è tutto al sicuro, protetto.”
“No… no che non lo è… signore, io…”
“Tenente… ehi, suvvia…”
“L’ha capito – sospirò la donna, scostandosi da lui e cingendosi il corpo con le braccia – ha collegato subito le cicatrici all’alchimia del fuoco. Sa che è stato lei, signore… come può andare tutto bene?”
“Merda! – sibilò Roy – Dannazione a lui!”
“Non riesco ad affrontarlo – ammise ancora Riza – se lo guardo sento la rabbia montare dentro di me, anche se oggettivamente… non avrei motivo di avercela con lui! La colpa ultima è di quella ragazzina. Però… non lo so, è come se mi avesse tradito, violato…”
Delle lacrime iniziarono a colare sulle guance pallide: la forte e coraggiosa Riza Hawkeye tornò ad essere quella ragazzina spaventata che era stata marchiata dalla follia del proprio genitore. D’impulso Roy si trovò ad abbracciarla, a stringerla forte come aveva fatto cinque anni prima quando aveva creduto di perderla per sempre.
“Andrà tutto bene – la consolò – non ti preoccupare. Ci sarà l’incoronazione, torneremo ad Amestris e risolveremo tutto quanto, fidati di me.”
“Mi scusi, signore – sospirò lei, con la testa posata contro il suo petto – non credevo di ritrovarmi in simili condizioni. Sono veramente dispiaciuta.”
“Smettila, tenente – la abbracciò ancora di più forte – non ci pensare proprio.”
Non le avrebbe mai confessato che, a prescindere dal guaio appena successo, non gli sembrava vero di poterla finalmente stringere a sé in un simile modo.

 


* nome di una popolazione straniera, interpretabile come barbari (termine inventato da me, ovviamente)

________________
Bene, sono riuscita a venire a patti con questo capitolo che mi ha fatto parecchio penare.
Sono rimasta indecisa fino all'ultimo su quali potessero essere le reazioni di Riza e Fury dopo quella destabilizzante scoperta. Sulle prime ho pensato che solo Fury si sentisse spaesato, ma poi mi sono resa conto che il tatuaggio e la cicatrice costituiscono una parte fondamentale di Riza e che scoprire che sono stati visti da altre persone deve essere oltremodo traumatizzante.
Non so, non sono proprio felicissima di questo capitolo (che è in parte di transito... ovviamente!).

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Capitolo 14
*** Capitolo 13. Fiamme azzurre ***


Capitolo 13.
Fiamme azzurre



Per quanto fosse necessario parlare con Fury della questione, Roy non ebbe opportunità di farlo quella mattina stessa: era indispensabile più che mai mantenere i ruoli che erano stati assegnati ad inizio ambasciata e dunque non si poteva certo presentare alla residenza degli Esdev senza preavviso.
Così si dovette attendere il pomeriggio, mentre il resto della squadra restava all’oscuro della vicenda, seppur con ovvi sentori che qualcosa era successo.
Riza nel frattempo era tornata nelle sue stanze, andando di controvoglia a pranzo e cercando di far finta di niente persino con Kora. La ragazza dal canto suo le lanciò diverse occhiate tra l’interrogativo e la sfida, sicuramente chiedendosi se il messaggio fosse stato recepito. Il tenente colonnello aveva una gran voglia di sbatterla contro il muro e riempirle la faccia di schiaffi, ma ancora una volta fu costretta a trattenersi.
“Non ho visto il tenente oggi – notò il principe Shao ad un certo punto – come mai?”
“Il tenente non si è sentito molto bene – ammise lei – è rimasto in camera sua.”
Di sottecchi osservò la reazione di Kora e notò come la forchetta le tremasse lievemente in mano.
Sì, certo, fai pure la tua commedia, maledetta… non ti crede più nessuno. Non sei minimamente preoccupata per lui.
“Non credo che si sia abituato troppo ai ritmi di corte – considerò l’uomo di Xing – credo che sia una di quelle persone che sono fin troppo radicate nella propria quotidianità.”
“Decisamente – annuì Riza – per lui sarà tutto sommato un sollievo tornare a casa.”
“Bene, io adesso devo andare, vi prego di scusarmi – Kyril interruppe quelle considerazioni alzandosi dal tavolo – sono atteso per delle questioni importanti.”
“Con Lidia Tojanev? – fece Kora con aria sarcastica – accidenti che grande importanza!”
“Ne abbiamo già parlato, mi pare.” disse il giovane cercando di dare poco peso a quel commento.
“Suvvia, ragazzi…” cercò di rabbonirli il padre.
“Sai benissimo cosa penso di lei!” sbottò Kora, alzandosi in piedi a sua volta.
“Finiscila Kora – la voce di Kyril divenne fredda e piatta, gli occhi azzurri che la guardarono con aria severa – non dare spettacolo qui, intesi? Non voglio ripetermi un’altra volta.”
A quelle parole Riza si aspettò una nuova replica di Kora, ma con somma sorpresa si accorse che la giovane abbassava lo sguardo con rabbia; fu solo questione di qualche secondo prima che iniziasse a piangere e scappasse via dalla grande sala da pranzo.
“Scusatela – disse il suo gemello con aria sconsolata – è davvero una sciocca bambina a volte.”
Una volta che anche lui fu uscito ed il duca ebbe presentato le sue scuse più imbarazzate, Riza scambiò un’occhiata interrogativa con Shao. Il principe tuttavia si limitò a scrollare le spalle, come ad indicarle che la peculiarità di Kora prevedeva anche simili scenatacce davanti agli ospiti.
 
Fury, nel frattempo, stava ancora dormendo della grossa.
Un sonno miracolosamente privo di sogni o di incubi, teso solo a far recuperare energie al corpo e alla mente. Fu quindi dopo qualche tempo che sentì la mano che lo scuoteva con forza e la voce che lo chiamava con insistenza. Fu quasi come cercare di riemergere da un lago profondo, con tutte le difficoltà provocate da dei pesi che lo tenevano ancorato al fondale sabbioso.
“Andiamo, svegliati!”
“Uh… che cosa?” mormorò alla fine, aprendo debolmente gli occhi.
“Ti sembra questa l’ora di dormire?”
“Che ore sono? – chiese, stropicciandosi gli occhi e cercando di mettersi meglio gli occhiali che gli erano quasi del tutto scivolati lungo il naso – Non… non…”
“E’ ora di pranzo, anzi, ormai è quasi passata – Kora sospirò – e vatti a lavare la faccia che è meglio…”
Solo quando finalmente la sua mente ricollegò viso e voce alla persona che gli era vicino, Fury si svegliò del tutto, facendo un balzo indietro nel letto.
“Cosa ci fai tu qui?” chiese con incredulità.
“Ti vuoi andare a lavare sì o no?” ritorse lei con aria stizzita.
Fury non replicò, ma seguì quel consiglio e si recò nell’adiacente bagno per darsi una sistemata, e guardandosi allo specchio capì di averne davvero bisogno. Tuttavia fu anche una buona occasione per prendere tempo e riordinare le idee. Per quanto l’idea di avere Kora in camera sua lo preoccupasse, la sua mente era comunque ancora occupata dalle terrificanti scoperte fatte la sera prima, così come dalla risposta rovente che aveva avuto dal tenente colonnello. Come si doveva comportare adesso? Proprio non riusciva a far finta di niente, per quanto razionalmente si diceva che non era né il posto né il momento giusto: una parte di lui voleva correre dal generale, aggredirlo in qualche modo, chiedergli perché avesse fatto una cosa simile ad una persona meravigliosa come il tenente colonnello. Voleva sentire quale scusa avrebbe mai tirato fuori… perché non potevano esserci che scuse per tentare di giustificare un reato simile.
E lei? Perché si ostinava a difenderlo? Perché imponendogli quel silenzio, trattandolo in quel mondo, ovviamente stava cercando di proteggere il generale.
A quel pensiero il giovane si aggrappò con forza al lavandino, completamente nauseato. Traendo un profondo respiro ficcò la testa sotto il getto d’acqua fredda, provando un perverso piacere da quel piccolo trauma.
Perché? Ma perché? Io vi ho sempre considerato perfetti assieme… e se c’è una cosa che ho sempre desiderato per voi era trovare il modo di potervi vedere felici e sposati. Ma adesso…
Ma adesso? L’idea di una simile unione tra vittima e carnefice lo faceva letteralmente impazzire. Ma perché una donna forte come Riza Hawkeye sopportava tutto questo?
“Guarda che nel caso è più comodo un bagno…”
La voce di Kora lo fece trasalire e quasi contemporaneamente il getto d’acqua terminò. Alzando la testa gocciolante vide che lei lo fissava perplessa, porgendogli un asciugamano.
“Già…” mormorò, accettandolo e iniziando ad asciugarsi viso e capelli.
“Oggi sei strano – mormorò lei, studiandosi le unghie della mano – è successo qualcosa?”
“No, niente di particolare… semplicemente non sono riuscito a dormire stanotte.”
“Ah, va bene, a volte succede anche a me. Ti capisco…”
Fury la fissò con perplessità mentre si levava anche la giacca della divisa e la gettava sul pavimento. Proprio non era il momento per i soliti giochetti di quella strana ragazza: a pensarci bene era sempre stata un mistero e non gli aveva mai dato una minima sensazione di sicurezza. Sicurezza… che parola interessante: adesso che gli erano crollate tutte le certezze della sua squadra iniziava a ricredersi sulla sua reale importanza. Forse aveva ragione la giovane Esdev quando gli diceva che bisognava vivere alla giornata e non pensare troppo al resto.
In fondo se non hai troppe aspettative sulle persone poi non ci resti così male…
“Scusami, oggi proprio non sono in forma…” disse in tono di scusa, rimettendosi gli occhiali e passandosi una mano sui capelli umidi e spettinati.
“Figurati – scrollò le spalle lei con un sorriso – anzi, ammetto che quando sei così naturale vali parecchio di più, soldatino.”
“Evita quell’appellativo, per favore – disse con voce secca, sentendo di odiare quel termine che tante volte il tenente colonnello aveva usato con lui – chiamami come vuoi, ma non così.”
“Kain va bene?”
“Benissimo.”
Kora arricciò il naso delicato davanti a quella nuova versione del suo trastullo personale. Per un attimo sembrò che fosse in procinto di offendersi, ma poi sorrise con malizia e si accostò a Fury, cingendogli il collo con le braccia.
“Il non dormire ti rende affascinante, Kain – mormorò – non hai idea.”
E Fury con un sospiro la cinse per la vita e la attirò a sé.
Non seppe perché lo fece: in parte per disobbedire a quanto gli avevano detto il generale ed il tenente colonnello, di questo era sicuro. Non era giusto che lui li seguisse così ciecamente dopo tutto quello che aveva scoperto. Però, in parte, cercava in quelle labbra morbide una consolazione per il senso di vuoto che provava dentro la sua anima.
Kora non poteva dargli un simile sostegno, ma almeno riusciva a nascondere momentaneamente l’angoscia.
 
Mentre Fury ricascava nel vortice di Kora Esdev, Roy, a malincuore, non poteva preoccuparsi delle vicende interne alla sua squadra. Quel pomeriggio venne letteralmente imprigionato da alcuni segretari di corte che vollero la sua testimonianza a proposito del tentato avvelenamento dell’Autarca a cui aveva assistito diversi giorni prima.
Per quanto la cosa fosse in apparenza breve, in realtà occupò tutta la serata e anche parte della mattina successiva. Quegli impiegati, accompagnati anche dal capitano delle guardie di palazzo, erano estremamente scrupolosi nello svolgere il loro lavoro e lui fu costretto a ripetere più volte la sua versione.
“Dannazione a loro, quanto sono petulanti! – sbottò, quando finalmente tornò nel suo alloggio, appena in tempo per il pranzo – Una cosa simile ce la saremmo sbrigata in poche ore.”
“Deve capirli, signore – spiegò Falman – per questo tentato omicidio verranno accusate personalità straniere che erano qui in ambasciata. E’ in gioco tutta una serie di alleanze ed è dunque più che ovvio che Drachma voglia tutelarsi in ogni modo possibile.”
“Sarà – sospirò lui, lasciandosi cadere sulla poltrona e allentandosi il colletto della divisa – comunque non voglio più vederli per oggi. Stasera vado a trovare il tenente colonnello e Fury. A proposito, hanno mandato qualche messaggio?”
“Il tenente colonnello questo pomeriggio sarà impegnata in un ricevimento a casa Esdev – annuì il capitano – non so quanto possa essere conveniente andarci, signore. Resterebbe invischiato con tutti quegli ospiti e dubito che avrebbe occasione per parlare con la signora e con Fury…”
“Già, con Fury… anche lui parteciperà?” chiese Roy, pensando che poteva essere l’occasione buona per poter finalmente avere il faccia a faccia con il suo sottoposto.
“No, non credo.”
“Perfetto, allora andrò a trovare lui – annuì – adesso sto proprio morendo di fame. Havoc e Breda sono scesi in città presumo…”
“Sì, generale.”
“Li invidio, dannati loro: se la stanno spassando più di tutti noi altri messi assieme.”
“Signore…”
“Dimmi, capitano.”
“E’ successo per caso qualcosa con il tenente colonnello ed il tenente?”
Roy lanciò una penetrante occhiata al suo sottoposto: Falman stava in piedi a pochi metri da lui, perfettamente dritto e composto come suo solito. Il viso allungato non tradiva nessuna emozione, almeno in apparenza, ma per chi lo conosceva bene era chiara una componente di preoccupazione.
“No, niente di particolare… è che Fury ha la luna storta e questo, come puoi immaginare, ha indisposto anche il tenente colonnello.”
Cercò di tenere il tono tranquillo, come se fosse una normale giornata d’ufficio. A dire la verità Fury non era il solo ad avere la luna storta: anche lei era davvero sconvolta e furente e aveva tutte le ragioni del mondo.
Se doveva essere sincero Roy non provava più l’impellente desiderio di prendere a ceffoni il piccolo della squadra: era sì furente per quanto era successo, ma aveva assorbito meglio del previsto il colpo e capiva che il trauma era stato da ambo le parti.
“C’è qualcosa che possiamo fare, signore? – chiese ancora Falman – magari se serve parlare con Fury ci posso pensare io assieme agli altri. Riguarda per caso quella ragazza?”
“In parte, ma è una questione più complessa – scosse il capo Roy – no, è meglio che ci parli io, capitano. Adesso ho proprio fame, spero che ci portino questo benedetto pranzo al più presto.”
 
Quel pomeriggio Fury uscì dalla residenza Esdev con aria estremamente turbata, rabbrividendo con forza quando il vento freddo lo colpì in viso. Con aria distratta fissò il giardino che si era innevato quella notte, ma non riuscì a trovare nessun conforto in quella bellezza così eterea.
Non sapeva se quello che stava per fare fosse la cosa giusta, ma sentiva l’esigenza di un aiuto esterno e c’era solo una persona che poteva darglielo. Del resto Michael Esdev si era dimostrato in parte comprensivo durante quella strana chiacchierata che avevano avuto qualche giorno prima, e gli aveva dato l’idea che ci tenesse seriamente alla sorte della sorellastra.
Davvero, forse assieme a lui riesco a risolvere questa storia…
Non ce la faceva più, aveva bisogno di allontanarsi definitivamente da Kora. Ma per quanto ci fossero tutti i migliori propositi di questo mondo, ogni volta che si trovava da solo con la ragazza non poteva fare a meno di rifugiarsi tra le sue braccia e cercare le sue labbra. E, in quei momenti, era perfettamente consapevole di star sbagliando, eppure non ne riusciva a fare a meno.
Si sentiva perduto, completamente diverso dalla persona che aveva sempre creduto di essere: avrebbe voluto cercare conforto nelle parole amiche dei suoi compagni di squadra, tuttavia, per una strana forma di estensione, non riusciva nemmeno a fidarsi di Havoc, Breda e Falman. Era come se vedesse in tutti loro una forma di minaccia o comunque tradimento… sia da parte sua che da parte degli altri.
Forse lui ha la risposta… forse mi può davvero aiutare!
Iniziando ad intravedere gli altri campanili della Cattedrale, aumentò il passo. Del resto se il monaco gli aveva posto delle simili domande a proposito della fede, magari conosceva anche le risposte e poteva farlo uscire da quello stato di crisi che lo stava annientando.
 
Roy arrivò al palazzo Esdev che Fury era uscito da circa un’ora.
Ad accoglierlo fu un inserviente abbastanza perplesso che lo avvisò dell’assenza del tenente e gli chiese se per caso volesse aggiungersi al piccolo ricevimento in corso. Per qualche secondo Roy fu tentato di accettare per vedere in che condizioni si trovasse Riza, ma poi decise di andare alla ricerca del ragazzo: questo continuo procrastinare gli stava iniziando a dare fastidio e adesso sentiva l’esigenza di quel confronto.
Avviandosi verso l’uscita del grande cortile del palazzo, si chiese che fine avesse potuto fare Fury. Per qualche secondo pensò che potesse esser andato a cercare gli altri compagni, ma scartò immediatamente questa ipotesi: si sarebbero incontrati per strada.
Posando l’indice destro sulle labbra con aria pensosa, rifletté su tutte le altre possibilità, scartandole di volta in volta e l’unica che gli rimase fu quella del monastero dietro la Cattedrale Maggiore. Lì c’era una persona che aveva a che fare con Kora Esdev e dunque c’erano ottime probabilità che Fury fosse andato proprio in quella direzione.
 
La prima impressione che Fury aveva avuto di Michael Esdev era stata quella di una persona che ispirava immediato timore e dunque se ne era sempre tenuto alla larga. Tuttavia quello strano colloquio che avevano avuto l’aveva fatto in parte ricredere, facendogli scoprire una parte del monaco del tutto nuova: comprensiva, empatica… in qualche modo capace di attirarlo.
E se era andato con la speranza di trovare finalmente un orecchio attento per la questione di Kora, non era stato minimamente scontentato.
Non sapeva nemmeno come, ma nell’arco di un paio di minuti si era trovato inginocchiato davanti alla panca dove stava seduto il monaco, la testa abbandonata nel suo grembo, le lacrime che scorrevano come fiumi in piena. E, al contrario di quello che ci si poteva aspettare, Michael era stata la persona più comprensiva del mondo: l’aveva fatto sfogare, non gli aveva mosso contro nessun’accusa, non gli aveva dato colpa di niente.
“Sei preoccupato anche per altro, si capisce – disse con voce calma, accarezzando i capelli scuri del soldato – ma è chiaro che è un segreto che vuoi tenere dentro il tuo cuore e non sarò certo io ad obbligarti a parlare, Kain.”
Fury serrò gli occhi a quel lieve accenno, seppur involontario, alla questione traumatica che costituiva il suo vero dolore. Per qualche secondo fu tentato di raccontare, seppur in maniera velata, qualche dettaglio, ma poi si trattenne. Il tenente colonnello gli aveva comunque imposto il silenzio e non l’avrebbe tradita.
“Non ce la faccio più – ammise, con voce rotta – e lei… lei è sempre lì che… pare capire quando sono più vulnerabile! E non ci riesco! Vorrei dirle di no, mandarla via, ma… quanto mi odio! Sono un essere così debole!”
“No, non è vero – la mano gentile di Michael lo indusse ad alzare il viso verso di lui – sei soltanto in un momento difficile e sei particolarmente vulnerabile. E conosco anche la mia sorellastra… è fatta così, sa benissimo quando approfittare delle persone.”
“E’ terribile – ansimò il soldato, incontrando quegli occhi scuri – so di fare la cosa sbagliata… eppure non riesco a impormi! Vorrei soltanto andare via da questo posto… tornare a casa, dimenticarmi di Drachma.”
“Suvvia, siamo davvero così tremendi? – un lieve sorriso comparve sulle labbra del monaco – No, non essere così negativo: hai avuto la sfortuna di incappare in Kora e non sei certo il primo a finire nei guai per colpa sua. Non sei abituato a trattare con la nobiltà di Drachma e questo ha reso già difficile una situazione che per altri motivi è critica.”
“Che cosa devo fare? – sospirò Fury, sollevandosi dalla posizione in ginocchio per sedersi nella panca accanto al suo interlocutore: fissò con apatia il grande altare intarsiato d’oro che stava nella piattaforma a pochi metri da loro – Almeno mi potessi allontanare da casa Esdev… ma sono sicuro che lei verrebbe a cercarmi anche se stessi con il resto dell’ambasciata.”
“E lasceresti la signora che accompagni da sola?”
“No – Fury scosse il capo con aria convinta – non potrei mai… proprio mai.”
Non poteva sul serio: per quanto si sentisse tradito persino da lei, non l’avrebbe mai abbandonata. Le era troppo legato, per lei avrebbe dato anche la vita. Abbandonarla era l’ultima cosa che poteva e voleva fare.
Anche se adesso nemmeno riusciamo a guardarci negli occhi… e lei ce l’ha chiaramente con me.
“Confermo quanto ti dissi quella volta – Michael gli mise una mano sulla spalla con fare gentile – sei una brava persona. Coloro che hanno la tua amicizia e la tua lealtà sono davvero fortunati.”
“Mi dispiace di aver… – si dovette interrompere per tirare su col naso – aver pensato male di te…”
“Non faccio un’ottima prima impressione, lo ammetto – scrollò le spalle il monaco – ma non fa niente. Per quanto riguarda Kora, quanto mi hai detto mi fa capire che devo parlarle il più presto possibile.”
“Quella storia del fidanzamento del suo gemello l’ha resa ancora più tremenda…” confessò Fury.
“Kyril? Non è una scusa: sono sempre stati molto legati, ma non può comportarsi in una maniera così sconsiderata per una cosa simile.”
“Ho il terrore di tornare a palazzo, lo ammetto…”
“Ti proporrei di restare qui in monastero, ma come tu hai detto non puoi abbandonare la tua signora e questo ti rende un buon soldato.”
“Mi dispiace di aver interrotto così la tua meditazione – Fury si alzò con un sospiro – sono piombato qui come un fulmine a ciel sereno.”
“Però dal tuo viso intuisco che ti ha fatto bene sfogarti – disse Michael alzandosi a sua volta – e sono felice di averti potuto aiutare.”
“Una volta una persona mi ha detto che la fede è quello a cui aggrapparsi quando il mondo ti crolla addosso; ammetto che in questo momento vorrei davvero averne una…”
“Ti riferisci al mio Dio? – il monaco accennò con reverenza all’altare, prima di avviarsi lungo la navata centrale della Cattedrale – Sarebbe felice di avere un fedele come te, Kain, ma non è questa la tua strada, me ne rendo perfettamente conto.”
Fury annuì e lo seguì, sbattendo le palpebre per cacciare via gli ultimi residui di lacrime.
Si sentiva meglio dopo quella discussione, almeno aveva capito di poter contare su una persona per quanto concerneva uno dei suoi problemi. E questo voleva dire già tanto.
 
Proprio in quel momento Roy entrava nella grande piazza antistante l’edificio religioso.
Per un attimo si fermò, contemplando quella visione davvero meravigliosa: era come se il sentiero si fosse improvvisamente aperto per lasciar spazio a una distesa di neve compatta e perfetta, dove camminare era quasi un’eresia perché avrebbe significato disturbare quella purezza. Neve e marmo si sfidavano nel risplendere alla luce di quel freddo sole primaverile, donando al silenzio che in quel momento la faceva da padrone, una forza davvero imponente.
L’alchimista si riscosse, notando come quella neve fosse perfetta solo in apparenza: diverse tracce dimostravano come le persone avessero intaccato il suo bianco, incuranti di quanto la natura era riuscita a creare in poche ore di nevicata. E questo, stranamente, lo fece sospirare di sollievo: non sarebbe stato lui il primo a disturbare quel paesaggio.
Alzando lo sguardo verso la parte della piazza più vicina alla scalinata che portava all’edificio, vide che non era solo: tuttavia rimase davvero perplesso quando capì che si trattava del Patriarca. Lo riconobbe senza alcun dubbio: quella veste, quei capelli bianchi erano inconfondibili, per non parlare della posa leggermente curva e delle difficoltà nel camminare.
Che diavolo ci fa fuori con questo freddo? Da solo per giunta! – si chiese Roy, iniziando ad avanzare – non ha alcun senso.
Era arrivato a metà piazza e stava quasi per lanciare un richiamo verso l’uomo, pronto ad aiutarlo a salire i gradini della cattedrale, ma fu costretto a fermarsi inorridito davanti a quello che vide.
Fu come se la neve attorno all’anziano Patriarca prendesse vita e si sollevasse, ma questo effetto durò solo per qualche frazione di secondo. La massa bianca e molliccia sparì per essere sostituita da un qualcosa di velatamente azzurrino, di consistenza indefinibile tra liquido e fiamma.
Il Patriarca, prigioniero di quella strana gabbia, sollevò le braccia in un debole gesto di protezione e questo fece riscuotere Roy che, istintivamente, mosse un altro passo in avanti, pur consapevole di non poter fare niente per il povero vecchio.
I suoi occhi scuri si dilatarono quando vide quelle strane fiamme azzurre scaraventarsi con una precisione micidiale contro il corpo del religioso. Fu tremendo vedere con quanta violenza venisse sballottato, una bambola di pezza priva di qualsiasi controllo: braccia, gambe, schiena e torso vennero colpiti senza alcuna pietà, contemporaneamente. Il viso era sfigurato da un’espressione di puro terrore, la bocca aperta in un muto grido di dolore e di richiesta d’aiuto.
E quell’espressione rimase anche quando, come per magia, quelle fiamme azzurre svanirono ed il religioso ricadde sulla neve ormai privo di vita.
Tutto tornò di nuovo pacifico e silenzioso, come se quella terribile scena non fosse davvero successa: a testimonianza restava solo quel corpo straziato, con la veste pesante strappata con precisione millimetrica dove le fiamme avevano colpito.
Consapevole di non poter fare più nulla, Roy fece qualche altro passo in quella direzione, guardandosi attorno per capire chi o cosa potesse aver scatenato quelle fiamme che, onestamente, non sapeva nemmeno lui se definire alchimia o magia.
Non ho mai visto una cosa simile… non… fiamme azzurre… che cosa diavolo erano?
Si fermò a pochi passi dal cadavere, cercando di ignorare l’espressione raccapricciante di quel visto che lui aveva conosciuto così placido e tranquillo. Gli occhi castani erano spalancati e fissavano ormai vuoti il cielo, la morte che non era riuscita a levare del tutto l’angoscia che aveva provato in quei pochi secondi di agonia.
E così l’invisibile nemico mieteva una nuova vittima… e non erano soldati di Briggs o di Drachma: questa volta era andato a colpire nel cuore del sistema religioso del paese.
Ma qualsiasi altro pensiero venne interrotto quando sentì uno sguardo su di lui.
Alzando gli occhi verso la cima della scalinata vide Fury, pallido come un fantasma, che lo fissava con occhi sgranati ed increduli.
“Fury…” chiamò debolmente, non potendo credere che…
Ma dietro il giovane soldato apparve Michael Esdev la cui espressione mutò dall’ostile, all’incredulo, all’addolorato… fino a diventare tremenda e impassibile.
“Guardie! – chiamò con voce squillante, che echeggiò in tutta la piazza – Guardie!”
E una parte di Roy capì di essere appena finita nei guai più seri.
Ma l’altra, la più importante, continuava a guardare Fury che ancora non aveva detto una parola e restava lì immobile a fissarlo con dolorosa sorpresa, quasi avesse ricevuto una spiacevolissima conferma.
Oh no, dai… non vorrai credere che sono stato io!



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capitolo più breve del solito, ma altrimenti andavo a spezzare.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14. Piani svelati ***


Capitolo 14.
Piani svelati



Derekj si inginocchiò con lentezza sul terreno innevato e sollevò un lembo del mantello che ricopriva il corpo del Patriarca.
Roy lo vide sbiancare leggermente mentre la mascella si induriva per trattenere il chiaro dolore che provava nel vedere quel viso contratto in quell’ultima espressione di angoscia e sofferenza. A pochi passi dal corpo, Michael era a capo chino e mormorava delle preghiere di riposo eterno, ma anche dal suo viso traspariva il chiaro magone per la perdita appena subita.
Il generale non osò dire niente: ogni frase in quel momento sarebbe stata improduttiva e, soprattutto, era circondato da quattro guardie che tenevano i loro fucili puntati su di lui pronte a fare fuoco al minimo movimento. Gli occhi neri si spostarono quindi su Fury che, a pochi metri dal monaco, fissava con occhi sbarrati l’Autarca che rimetteva a posto il mantello.
In quei concitati minuti che erano trascorsi da quanto avevano assistito a quella morte orribile il ragazzo non aveva detto una parola, né aveva osato andare vicino a lui, come invece ci si aspettava. Da un lato Roy capiva benissimo da cosa era provocato un simile atteggiamento, ma dall’altra ne era anche sollevato: in questo modo non ci sarebbe stata nessuna accusa imputabile al giovane tenente.
Anche perché ha un testimone d’eccezione con quel monaco.
Restava solo lui ad essere accusato, era chiaro. Del resto le prove non erano molto a suo favore, doveva ammetterlo: era l’unica persona presente in quella piazza e ad una distanza davvero ravvicinata al Patriarca. Ed, inoltre, per andare a colpire una simile carica religiosa bisognava essere davvero delle persone prive di scrupolo religioso.
Degli eretici… no? E’ così che mi hai sempre definito Michael Esdev, ed ecco la tua occasione.
“Che diamine è successo?”
La voce fece girare la testa a tutti e Alexand fece la sua comparsa con passo trafelato. Senza degnarsi di lanciare un’occhiata a Roy, corse accanto al cugino e all’amico i quali si limitarono ad indicargli il corpo nascosto dal mantello. Il giovane campione scostò il lembo di tessuto, mandò un gemito di dolore, ma poi indurì la mascella in una chiara espressione di rabbia.
“Siamo usciti allo scoperto, maledetto – sibilò, rimettendosi in posizione eretta – è così che ripaghi l’ospitalità del nostro paese? Mio signore, vi avevamo già avvisato su questo individuo e sul pericolo che costituiva per tutti noi: concedetemi di eseguire immediatamente la sua sentenza!”
Sguainò la sua spada in un unico furioso gesto e fece cenno alle guardie che stavano attorno a Roy di allontanarsi di qualche passo.
“Fermo, Alexand – lo bloccò Derekj, mettendogli una mano sulla spalla – non abbiamo sentito la sua versione dei fatti. A dire il vero io non ho proprio sentito niente in merito, se non racconti molto confusi e chiaramente condizionati dall’angoscia di vedere il Patriarca ucciso in un simile modo.”
“E allora perché le guardie stanno circondando proprio lui? – Alexand quasi schiumava di rabbia – Per me non c’è molto da dire, tutto è estremamente chiaro!”
“Le guardie sono state chiamate qui da Michael e ovviamente hanno accerchiato il generale Mustang. Questa piazza non è la sede giusta per chiarire quanto successo… in ogni caso non posso certamente sottrarmi al mio dovere – i suoi occhi azzurri si posarono a turno su tutti i presenti – Due guardie provvedano a portare il corpo del Reverendo Lessand all’interno del monastero, affinché i monaci possano occuparsi di lui come conviene. Michael, per favore, vai con loro e poi raggiungici nella sala delle piccole udienze.”
“Sì, signore…” annuì il monaco, facendo cenno a due guardie di avvicinarsi al cadavere.
“Quanto al resto – continuò il giovane Drachvoic, quando il trio si fu allontanato – in questo momento è chiaro che voi, generale Mustang, siete l’unico sospettato di questa morte. In mancanza di dati certi non posso far altro che confermare l’arresto. Guardie, scortatelo nella sala delle piccole udienze: questo caso va seguito con tutta la discrezione e l’attenzione possibile.”
Le guardie si misero sull’attenti e Alexand, avendo capito quando era sottinteso in quell’ordine, si mise davanti al gruppetto, assumendone il comando. E a Roy non restò che iniziare a camminare scortato da quelle persone, sperando che al giovane Anditev non venisse in mente di farsi vendetta da solo, a costo di essere accusato di alto tradimento.
Lanciando un’ultima occhiata dietro di sé, vide Derekj che metteva una mano sulla spalla di Fury e scambiava qualche parola con lui, incitandolo poi a camminare nella medesima direzione.
Sì, il ragazzo è al di sopra di ogni accusa. E questa è già una gran cosa.
 
Quando Riza arrivò davanti alla sala delle piccole udienze, scortata dal principe Shao, trovò Havoc, Breda e Falman ad attenderla, gli sguardi preoccupati. In cuor suo avrebbe voluto correre come una disperata sin da quando aveva ricevuto la notizia, circa mezz’ora prima, ma il principe di Xing, prudente come sempre, le aveva consigliato di non dare troppo nell’occhio e, a malincuore, aveva dovuto ammettere che aveva ragione. Tuttavia si sentiva impazzire: l’idea che il generale fosse accusato di un omicidio simile era così assurda che ancora non se ne capacitava. Era chiaramente un complotto contro la sua persona ad opera di chi lo vedeva come un pericolo o un eretico.
“Non può venir arrestato in questo modo – disse con rabbia, accostandosi ai suoi compagni di squadra – con quali prove possono accusarlo di un crimine così grave?”
“Non lo sappiamo, signora – rispose Falman, con voce preoccupata – la stavamo giusto aspettando prima di entrare. Dubito che si tratterà di un vero e proprio processo, ma non dobbiamo dimenticarci che c’è anche l’Autarca e lui può prevaricare eventuali tempi burocratici.”
“E’ tutto da vedere dunque – annuì la donna, raddrizzando le spalle e serrando i pugni – in ogni caso, finché il generale è sotto accusa o comunque impossibilitato a muoversi, sarò io a prendere il comando.”
“E la copertura? –  chiese Breda, mettendosi a braccia conserte – E poi dov’è Fury?”
“Sono stanca di una simile recita – sbottò lei, rimpiangendo di non essersi messa la divisa nella fretta di correre verso il corpo principale della cittadella. Quanto alla seconda domanda la ignorò del tutto – adesso si gioca a carte scoperte ed i ruoli tornano quelli di sempre. Principe Shao, posso contare sul vostro appoggio?”
“Certamente, signora – annuì l’uomo, chiudendo il ventaglio e infilandoselo nella cintura – garantirò per la vostra persona. Ma le voglio ricordare che, dichiarandosi per quella che è, potrebbe scandalizzare parecchie persone e rendere le cose ancora più difficili.”
“Non importa – scosse il capo Riza, facendo cenno ad Havoc di aprire le porte – non possiamo più permetterci simili coperture.”
Sorpassando il maggiore biondo, entrò nella stanza delle piccole udienze, dirigendosi verso l’elegante tavolo che stava in fondo all’ambiente. I suoi occhi castani notarono solo distrattamente gli affreschi alle pareti e l’elegante lampadario di cristallo che pendeva dal centro della stanza: si puntarono sul gruppetto di persone che stava attorno a quel tavolo dove solo l’Autarca stava seduto, con i gomiti posati sulla superficie di legno e l’aria abbastanza sorpresa.
“Mia signora – disse subito, alzandosi in piedi – mi dispiace che siate stata disturbata per questa spiacevole situazione. Vi assicuro che non vi dovete minimamente preoccupare: siete completamente estranea al fatto e dunque sotto la mia personale protezione.”
Riza si limitò a scambiare una rapida occhiata con Roy e poi scosse il capo, portandosi davanti al tavolo.
“Eccellenza, quello che è successo è molto grave e riguarda la mia ambasciata – dichiarò – finché il generale Mustang è sotto processo mi assumo il compito di guidare i soldati della squadra. Sempre che su di loro non penda nessuna accusa.”
“Non possiamo ancora dirlo con certezza – disse Alexand con voce severa, fissandola con lieve disappunto – potrebbero essere complici, sebbene non presenti al momento del delitto. Signorina Hawkeye, capisco il suo sconcerto e disappunto, ma questa non è una sede adatta ad una donna di buona famiglia come lei. Principe Shao, perché non la riaccompagna al palazzo Esdev? Per quanto riguarda il suo accompagnatore, il tenente, è qui solo in veste di testimone, glielo assicuro.”
Solo allora Riza spostò lo sguardo su Fury che, pallido e composto, stava in piedi accanto a Michael. Non si era nemmeno accorta della sua presenza anzi, se doveva essere sincera, lo credeva ancora nelle sue stanze. Perché si trovava lì in veste di testimone? E perché era accanto al monaco e non al generale?
Ma quegli interrogativi vennero accantonati, mentre scrollava le spalle con decisione.
“Eccellenza – disse con franchezza, rivolgendosi all’Autarca – mi permetta di presentarmi con i miei veri titoli. Sono Riza Hawkeye, nipote del Comandante Supremo di Amestris, ma sono prima di tutto tenente colonnello dell’esercito e assistente personale del generale Mustang. Tutti questi soldati sono nostri sottoposti, nessuno escluso… se il generale è sotto accusa allora loro passano sotto il mio diretto comando.”
Ecco, l’aveva detto: aveva finalmente dichiarato la sua vera identità. Dietro di sé sentì gli sguardi dubbiosi dei suoi compagni, ma rimase dritta a sfidare tutte quelle grandi personalità di Drachma che la guardavano increduli e stupiti.
“Ma certo… ora capisco – mormorò Alexand dopo qualche secondo – mi sembrava che le vostre mani avessero qualcosa di strano durante il ballo. Non erano le classiche mani delicate di una donna abituata agli agi: sono mani che maneggiano le armi.”
“Desolata di avervi tenuto nascosto un simile dettaglio, barone Anditev – disse Riza con marzialità – ma capirete che la situazione richiedeva prudenza e dunque è stato reputato saggio optare per la copertura adottata fino a questo momento.”
“Un tradimento dopo l’altro…” scosse il capo lui, osservandola con rabbia.
“Hanno solo agito di conseguenza – commentò Derekj, fissando Riza con attenzione che si poteva definire compiaciuta – non possiamo certo biasimarli. Dunque, signorina… anzi, tenente colonnello, siete comunque la nipote del comandante supremo, no? Non ci avete proprio mentito, ma solo nascosto parte della verità.”
“Una donna che partecipa ad un processo di questo tipo? Per giunta straniera? – Michael si unì al disappunto – Stiamo mandando all’aria tutte le nostre tradizioni. E’ appena stato ucciso il Patriarca, mio signore, vorrei ricordartelo!”
“Garantisco io per il tenente colonnello Hawkeye – disse Shao con calma – Xing è amico di entrambi i paesi e mi assumo una simile responsabilità.”
Davanti a quella dichiarazione Derekj annuì lievemente: la parola del principe Ming era considerata di gran valore data la grande amicizia che lo legava alla corte di Drachma.
“Vista la tua dichiarazione, principe, accetteremo la particolarità del caso. Del resto è risaputo che ad Amestris le donne possono diventare soldato, facciamocene una ragione. Tenente colonnello, a questo punto mi pare di capire che lei preferisca essere chiamata così, acconsento affinché lei prenda il comando dell’ambasciata. I sottoposti del generale Mustang, finchè non ci saranno accuse contro di loro, sono sotto la sua tutela.”
“Grazie, signore – annuì Riza, sollevata di aver almeno ottenuto quella concessione – dobbiamo considerarci ancora ospiti o prigionieri?”
“Per ora solo il generale è sotto accusa – scosse il capo Derekj – ma sappiate che verrete controllati in ogni movimento. E alla minima mossa sospetta verrete imprigionati.”
“Capisco, eccellenza, e le garantisco che la mia squadra terrà l’atteggiamento più corretto possibile. Tuttavia vorrei darle la mia parola che il generale Mustang è innocente dalle accuse che gli vengono mosse contro.”
“Quello che è successo è stato abbastanza chiaro e palese!” disse Michael con voce piatta.
“La situazione è molto oscura, in effetti – alzò le spalle Derekj, aggirando il tavolo e portandosi vicino al prigioniero, ammanettato e controllato da due guardie – le poche prove finora portate sono contro di lui, inutile negarlo. Era l’unica persona presente nella piazza ed era anche parecchio vicino al Patriarca al momento dell’uccisione. Poichè non sappiamo come opera la sua alchimia ci sono tutte le motivazioni per ritenerlo il potenziale colpevole.”
“Chi può accusarlo se era l’unico presente nella piazza? E’ un vero e proprio controsenso!” esclamò Riza con stizza.
Non vide l’occhiata di diniego che le venne lanciata dal generale: era troppo impegnata a fissare Michael con sospetto, ritenendolo il colpevole di quelle accuse.
“Effettivamente non era l’unico presente: una persona proprio in quel momento stava uscendo dalla Cattedrale – disse Derekj, spostandosi ancora – e ha visto il Patriarca morire per quelle fiamme azzurre. Così come ha visto il generale Mustang a poca distanza dalla vittima. Confermi, tenente Fury?”
A sentire quel nome Riza avvertì il suo cuore che smetteva di battere per tre secondi buoni. Le sue orecchie presero a rombare con forza, sentendo appena il brusio sconcertato di Havoc e degli altri. Spostò lentamente lo sguardo verso Fury che, pallidissimo, teneva lo sguardo basso e sembrava prossimo alle lacrime.
Guardami negli occhi, Fury… guardami! Non puoi fargli questo… non puoi!
“Tenente – mormorò, cercando di tenere la voce più calma che poteva, quando invece sarebbe voluta andare da lui e scrollarlo con forza – non credo di aver capito.”
Lo stai davvero tradendo? Lo stai condannando alla prigionia e forse alla morte? Rispondimi!
“Io… ecco – il giovane alzò gli occhi scuri su di lei, profondamente affranto – io stavo uscendo dalla Cattedrale proprio in quel momento…”
“Tu… tu sai bene che le fiamme azzurre non fanno parte dell’alchimia usata dal generale Mustang! Questo hai avuto la decenza di dirlo?”
“Ma quanti di noi drachmiani possono essere sicuri che non sia solo un modo per salvare il vostro superiore? – fece subito Alexand – Non abbiamo mai visto la sua alchimia all’opera e non sappiamo in che modalità si possa manifestare.”
“In ogni caso garantisco io per la buona fede del ragazzo – Michael andò con disinvoltura accanto a Fury e gli mise una mano sulla spalla – ero a pochi passi dietro di lui e ho visto le medesime fiamme azzurre. Il fatto che sia scioccato è indice di quanto fosse estraneo a tutto quanto.”
“Tenente – Derekj si rivolse al soldato – hai mai visto il tuo superiore usare fiamme azzurre?”
Fury scosse il capo con esitazione prima di emettere un flebilissimo “no” a malapena udibile.
“Però hai anche visto il generale vicino al Patriarca proprio mentre questi veniva ucciso da quelle fiamme.”
“Io…” Fury ansimò disperato, cercando lo sguardo della sua squadra, ma incontrando solo espressioni incredule davanti alla sua esitazione.
“Un sì o un no, soldato, è tutto quello che ti chiedo…”
“Sì…” singhiozzò alla fine.
Riza ebbe solo la prontezza di girare il viso quel tanto che bastava per bloccare Havoc e la sua risposta rovente a quello che aveva appena sentito. Doveva restare calma, doveva tenere il suo ruolo altrimenti la situazione sarebbe peggiorata e sarebbe potuta diventare irreparabile.
Ma tu sei il peggiore dei traditori… non ti perdonerò mai per questo, Fury.
“Però non…” provò a balbettare ancora il tenente, ma già l’Autarca gli aveva voltato le spalle.
“Sì, è vero, Fury ha visto quelle fiamme azzurre uccidere il Patriarca – disse Roy, intervenendo per la prima volta e catalizzando l’attenzione su di lui – ma le ho viste pure io… a questo punto perché non il contrario? Perché non può essere stato lui a scatenare quella manifestazione?”
“Ci prendi in giro? – sbuffò Alexand – Mica è un alchimista!”
“E chi lo sa – scrollò le spalle Roy con un sorriso furbo – non ero proprio solo, tutto sommato. In quel momento dalla Cattedrale uscivano sia il tenente che Michael Esdev, potrei rivolgere le medesime accuse contro di loro.”
“Quello che dici non sta né in cielo né in terra…” commentò Michael con pacatezza.
“No, infatti – rispose Derekj al posto di Roy: un sorrissino furbo gli increspò le labbra – semplicemente il generale Mustang fa notare quanto le accuse nei suoi confronti siano basate sul suo essere alchimista. Il che, ammettiamolo, è un po’ come condannarlo a prescindere, non vi pare?”
“Lo sai assolvendo? – chiese Alexand incredulo, dimenticandosi persino di usare la forma di cortesia come si conveniva – Derekj, il Patriarca è stato brutalmente assassinato, a nemmeno tre giorni dall’incoronazione! Ti rendi conto di cosa comporta tutto questo?”
“L’incoronazione verrà rimandata, ovviamente, fino a quando il Consiglio Maggiore, superato il mese di lutto previsto, eleggerà un nuovo Patriarca – disse Derekj con pacatezza, ma poi i suoi occhi azzurri si accesero di autorità – ma questo non leva il fatto che io governo già da adesso.”
“E dunque? Come vuoi risolvere la questione?” chiese Michael con calma, squadrandolo con attenzione.
“Il vile assassinio del Reverendo Lessand non resterà impunito, se è questo che intendi – dichiarò l’Autarca, iniziando a passeggiare con le braccia dietro la schiena – ecco le mie decisioni: quanto successo al Patriarca deve restare segreto tra i presenti, i monaci e le guardie che sono state rese partecipi. E’ un mio ordine diretto e dunque sapete cosa vuol dire trasgredire, no? Il nostro amato Patriarca in fondo aveva ottantasei anni e ultimamente era debilitato… forniremo la versione ufficiale di una morte serena nel sonno, senza alcuna sofferenza. Questo eviterà anche il panico tra la popolazione… un gesto simile può avere forti ripercussioni tra la folla. In ogni caso, il fatto che l’incoronazione verrà rimandata non apparirà assolutamente fuori luogo, tutt’altro.”
“E per l’assassino?” chiese Alexand cupamente.
“Ecco il punto – annuì il biondo, portandosi davanti all’amico – non ci sono sufficienti prove per accusarlo, se ci ragioni a mente lucida capirai che dico il vero. Tuttavia, proprio come la sua squadra, verrà tenuto sotto sorveglianza fino a quando non si troverà il vero colpevole. Anzi, per ulteriore precauzione, il generale Mustang verrà tenuto cortesemente in un alloggio separato e controllato a vista. Capirà, generale, i suoi movimenti dovranno essere limitati, niente di personale.”
“Più che giusto…” annuì Roy con calma.
“Però così il generale non avrà modo di discolparsi – dichiarò Riza, facendosi avanti – Eccellenza, vorrei che concedesse a me e al resto della squadra la possibilità di indagare e trovare il vero colpevole.”
“Cosa? – esclamò Alexand – Non se ne parla nemmeno!”
“E perché no? – ribadì invece l’Autarca – ne hanno il pieno diritto… tu stesso con le tue guardie li controllerai a vista, pronto a cogliere il minimo sotterfugio ai miei danni. Direi che con te sono in una botte di ferro, vero, amico mio?”
Ancora una volta la mascella del giovane Anditev si serrò con forza, mentre Michael si limitava ad inarcare le sopracciglia davanti a quell’ennesima trovata del suo signore. In questo modo accontentava sia il suo campione che Riza, prendendo due piccioni con una fava.
“Bene – disse ancora – direi che per adesso è tutto: ciascuno si può ritirare nelle proprie sistemazioni.”
“Vorrei che i miei uomini venissero a stare con me nel palazzo Esdev, se è possibile!” chiese Riza, non volendo più esser separata dal resto della squadra.
“Accordato – annuì Derekj – tenente, vai pure con loro. La tua testimonianza è stata comunque preziosa.” Mise una mano sulla spalla di Fury, allontanandolo da Michael e sospingendolo verso il resto dei soldati di Amestris.
Riza nemmeno lo guardò negli occhi, anzi si trattenne dal colpirlo quando passò accanto a lei per andare verso Havoc e gli altri. Ma non venne accolto bene come sicuramente aveva sperato. Il biondo si scostò con disgusto da lui, Breda lo gratificò di un’occhiataccia e persino Falman lo guardò con aria di rimprovero, sebbene in maniera più pacata.
“Generale…” mormorò Riza, volgendosi verso Roy, ancora ammanettato.
“Mi fido di voi, tenente colonnello – sorrise il moro, annuendo – adesso hai tu il controllo della situazione, mi raccomando…”
“Farò del mio meglio, generale!” scattò sull’attenti lei, come se avesse la sua divisa.
Anche il resto della squadra la seguì in quel gesto di congedo e poi, con ordine, si ritirarono fuori dalla stanza delle piccole udienze, accompagnati dal principe Shao.
Per tutto il tragitto fino alla residenza Esdev ci fu un gravoso silenzio, la tensione che continuava a crescere. Fury camminava chiuso da tutto il resto della squadra, quasi fosse un prigioniero che poteva tentare la fuga. E nel frattempo l’ira della donna continuava a crescere, e più cresceva più lei si imponeva di controllarla.
“Per qualsiasi cosa sapete di poter contare su di me – disse il principe Shao, riportandola alla realtà – non dovete far altro che chiedere.”
“Lei si è esposto anche troppo, principe – mormorò Riza – non avrebbe dovuto.”
“Mio fratello, l’imperatore, ha un particolare debito con voi ed il generale – sorrise l’uomo – sarebbe sua volontà che io vi offrissi tutto il mio appoggio. Senza contare che l’avrei fatto in ogni caso…”
“Come mai?” Riza riuscì a sorridere lievemente.
“Non dimentichiamoci che a Xing si usa l’arte rentan che, a modo suo, è alchimia: mi sono sentito chiamato in causa con tutte quelle accuse… oh, ma lei sorride signora… sì, in effetti, eccetto queste questioni ufficiali e morali, voi avete appena trasformato questa ambasciata in un qualcosa di davvero intrigante. E non vedo l’ora di scoprire chi è il misterioso assassino dalla fiamme azzurre.”
“Potrebbe essere pericoloso, lo sa bene…”
“E lei ormai dovrebbe sapere quanto pericoloso posso essere io…” sorrise enigmatico Shao.
Preso congedo dal principe, l’anima un po’ più serena all’idea di aver quell’alleato, Riza fece cenno alla squadra di seguirla nei suoi alloggi. Solo quando la porta venne chiusa a chiave si girò verso Fury.
Ma prima che potesse dire qualcosa ci pensò Havoc a dare al ragazzo un pugno tale da mandarlo a terra.
“Che cazzo ti salta in mente, stronzo? – esclamò, afferrandolo per il colletto e obbligandolo a rialzarsi – Come hai potuto fare questo al generale? Ti sei bevuto il cervello per quella troietta che frequenti?”
“Buono, Jean…” cercò di calmarlo Breda.
“Il generale Mustang ti ha accolto in squadra che eri una larva piagnucolante – continuò il biondo, scrollandosi di dosso l’amico – ha fatto di te un soldato… almeno credevo! Non sei né un soldato né un uomo se ti comporti in maniera così vigliacca nei confronti di colui a cui devi tutto! Persino la tua inutile vita!”
“Maggiore! – pigolò Fury, piangendo senza parere – maggiore… mi sta… facendo male!”
“E ti farei ben altro!”
“Maggiore, la prego!” anche Falman arrivò a dare man forte a Breda.
“Havoc, basta!” fu la voce di Riza a porre fine a quel putiferio.
Il biondo la fissò con rabbia, ma annuì e lasciò andare il giovane soldato a cui sanguinava il labbro spaccato. Le gambe di Fury tremavano a tal punto che Falman lo aiutò a rimettersi ben dritto.
Una volta Riza avrebbe provato pietà e senso di protezione davanti ad una simile scena, ma il suo cuore era duro come la pietra nei confronti del tenente.
“Tenente Kain Fury – disse con voce piatta, desiderando a tutti i costi chiudere quella questione – da questo momento in poi sei confinato nelle tue stanze. Ti è proibito uscire a prescindere dal motivo, pena l’insubordinazione…”
“…ma… ma signora…” singhiozzò lui.
“… non osare interrompermi, sei un subordinato e devi stare in silenzio quando parlo io! – lo sgridò – Sei accusato di tradimento nei confronti del generale Mustang, rappresentante di Amestris qui a Drachma. Il tuo comportamento ha messo più volte in pericolo la missione e per questo verrai processato quando torneremo in patria. Posso già anticiparti che da parte mia proporrò la revoca dei tuoi gradi e forse anche una pena più severa. Non ho altro da dire, adesso ritirati nelle tue stanze e restaci!”
“Tenente colonnello…” mormorò Falman.
“Capitano, non ammetto repliche.”
Gli sguardi si spostarono quindi su Fury che, col viso cadaverico, continuava a fissare sconvolto la donna. Scosse lievemente il capo come se non riuscisse a credere a quanto era stato appena detto. Processo, revoca di gravi, pena più severa… aveva parlato di lui come il più infimo dei traditori.
Anni ed anni di legame sfumati nel nulla.
Tutti pensarono che il ragazzo scoppiasse in un pianto isterico, ma dopo qualche secondo si limitò a tirare su col naso e a mettersi come poteva sull’attenti.
“Sì, tenente colonnello.” annuì con un sussurro, prima di uscire da quella stanza con passo leggermente zoppicante.
 
Nel frattempo Roy, ignaro della rottura che si era appena verificata all’interno della sua squadra, si trovava ancora nella sala delle piccole udienze.
Dopo che i suoi uomini erano usciti, l’Autarca aveva congedato anche Michael e Alexand e poi aveva fatto cenno alle guardie di lasciarlo solo assieme al prigioniero.
Tutto sommato il generale non era rimasto molto sorpreso da quella situazione. Già durante quella prima forma di processo che aveva subito si era accorto che Derekj non credeva minimamente alle accuse che gli venivano mosse contro. La sua sembrava piuttosto una recita a favore di tutti gli altri presenti.
Se la cava con diplomazia, non c’è dubbio… ma vuole altro da me…
“Si sieda pure, generale – disse il biondo, recuperando il suo posto nella poltrona più pregiata che stava al grande tavolo – è stato in piedi fin troppo. Mi perdoni se non le ho fatto levare le manette, ma pare che Alexand e le altre guardie ci tengano abbastanza.”
“Grazie, eccellenza – annuì Roy con un sorriso disinvolto – a cosa debbo l’onore di questa udienza privata?”
“Avevo l’esigenza di fare il punto della situazione con lei – rispose al sorriso l’altro – della situazione nel complesso…” specificò.
“Non sono stato io ad uccidere il Patriarca, ma credo che lei lo sappia.”
“Lo so – scrollò le spalle – è palese, fin troppo… anche Alexand e Michael se ne renderanno conto quando sbolliranno. Le accuse non stanno minimamente in piedi e sono certo che Michael abbia in qualche modo giocato con le risposte del suo giovane tenente. Basta rigirare le cose e anche una frase banale può diventare un’accusa: è l’affascinante mondo della retorica.”
“E allora perché non mi avete scagionato subito se sapete della mia innocenza?”
“Perché mi siete più utile come apparente prigioniero, tutto qui.”
“Potreste essere più chiaro?” nonostante le manette Roy accavallò le gambe, curioso di sapere fino a che punto quel giovane sovrano avesse portato avanti i propri ragionamenti.
“Quest'ultimo assassino pone la questione in una luce del tutto nuova, generale – i begli occhi azzurri si fecero remoti – non è qualche soldato di Alexand o di Briggs, o un contadino di qualche remoto villaggio… sì, ci sono stati casi simili risalenti fino ad un anno fa, ne sono stato informato: la morte di qualcuno del popolino non interessa alla maggior parte dei nobili, ma ho imparato che sono anche queste piccole cose che aiutano a tenere saldo il potere.”
“Quanti casi?” chiese Roy, estremamente interessanto dai nuovi risvolti della questione.
“Almeno dieci, uno per ogni provincia è sicuro… mancava l’undicesima ed eccola qui, con l’assassinio della carica religiosa più importante del paese. No, non uccide a caso il nostro misterioso amico. Ed è chiaramente qualcuno che ha come scopo finale quello di far fuori me, ma non so perché non l’ha ancora fatto. Però ci sta mettendo in mezzo pure Amestris e la cosa dunque interessa pure voi.”
“Se lo sapeva da tempo perché non ha fatto le dovute indagini?”
“All’epoca dei primi casi era ancora in vita mio padre – scrollò le spalle Derekj – ormai era così convinto del suo potere che non ci prestò la dovuta attenzione. Ma io lo feci, eccome… mi recai personalmente a sentire le testimonianze: sempre la stessa storia senza nessun colpevole o testimone. Vidi anche i corpi e quei segni sempre più precisi man mano che si andava avanti, come se il misterioso assassino prendesse piano piano confidenza con quelle fiamme azzurre. Ma per il resto niente… ogni tanto saltava fuori una nuova uccisione, fino a quando sparirono non se ne ebbe notizia per diversi mesi. Nel frattempo morì mio padre e dunque la mia attenzione si rivolse alla successione: ritenni che, forse, l’assassino aveva deciso di finirla, ma eccolo di nuovo qui... con quegli uomini di Briggs e poi con i soldati di Alexand e infine col Patriarca. Una curiosa manovra d’accerchiamento a quanto pare.”
“E quindi? Alla luce di questo come pensate di procedere?”
“Me lo chiesi già all’epoca dei primi assassinii. Era chiaro che avevo a che fare con una forma di magia…? Alchimia? Non sapevo nemmeno io come definirla. Ma una cosa era certa: non potevo permettere che un simile pazzo facesse bello e cattivo tempo a Drachma. Però, al contempo, mi resi conto che nessuno, nemmeno Alexand, poteva affrontare un pericolo simile… del resto come attacca questa persona? Non c’era nessuno in quella grande piazza e dunque può attivare i suoi poteri da lontano, no?”
“Così pare…” annuì Roy, iniziando a capire.
“E così mi venne in mente che forse, ad Amestris, dato che l’alchimia è così diffusa, c’era qualcuno che poteva fare al caso mio. Tramite miei informatori venni a conoscenza dell’alchimista di fuoco e mi dissi che era la persona perfetta… un paio di indagini e scoprii che era un po’ il fiore all’occhiello del comandante supremo. Ah, per la cronaca, sapevo anche dell’identità del tenente colonnello, ma ho fatto finta di scoprirlo adesso, giusto per tenere le apparenze: non mi pareva il caso di indisporre di più Alexand e Michael.”
“E dunque è arrivato alla conclusione che, con molta probabilità…”
“… diciamo con certezza…”
“…sarei stato mandato io in ambasciata. Mi complimento, eccellenza.”
“Grazie – sorrise Derekj con disinvoltura – ovviamente aspettavo che il mio caro assassino facesse una nuova mossa ed eccola qua. E devo dire che è andata a mio favore, decisamente! Perché, lei, generale, è ancora accusato di assassino… e dunque ha tutto l’interesse per trovare il vero colpevole.”
“Diciamo che mi devo riguadagnare il ritorno a casa?” sorrise Roy.
“Mettiamola in questo modo.”
“Affare fatto…” mormorò l’alchimista.
“Farò in modo che lei e la sua squadra possiate comunque comunicare – Derekj si alzò dalla sedia e andò ad una delle ampie finestre – mi trovi questo traditore, generale, me lo renda innocuo. La pace con Drachma ha un prezzo e lei lo può facilmente pagare.”
Un vero e proprio paraculo – rifletté Roy – questo ne farà di strada, è sicuro.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15. Indagini ***


Capitolo 15.
Indagini



“Grandioso, neve fresca – sbottò Havoc, smuovendo con lo stivale un poco di materia bianca – e così questa piazza torna ad essere un foglio bianco, senza possibilità di trovare qualche traccia!”
“Sarebbe stato alquanto ingenuo pretendere che tutto fosse come ieri, Havoc – scosse il capo Breda – purtroppo non è la tipologia di scena del delitto su cui è facile lavorare. Allora, Falman, tu che ne pensi?”
Il capitano dai capelli bicolore si riscosse a quel richiamo e poi mosse qualche passo in quella piazza dove c’era un viavai continuo di curiosi e di fedeli che andavano alla Cattedrale per pregare il defunto Patriarca.
Si guardò attorno con aria perplessa e poi si mise a braccia conserte, in profonda riflessione, completamente dimentico dei curiosi sguardi che diverse persone gli rivolgevano.
“Se magari eviti di fare la bella statuina – suggerì Breda, accostandosi a lui e scrollandolo leggermente – cerchiamo di non dare troppo nell’occhio, capitano! A cosa stavi pensando?”
“Stavo pensando a questa piazza, signore, e agli eventuali posti dove l’assassino si possa esser rifugiato per  attivare il suo potere: si presume che dovesse avere la visuale sul Patriarca per poter agire.”
“Giusta osservazione – annuì Breda – però è una bella problematica: sia a destra che a sinistra ci sono tre filari d’alberi che possono offrire ampio nascondiglio e considerato questo viavai dubito che ci possano essere delle tracce ancora evidenti.”
“E se fosse stato dall’alto? – propose Falman, accennando all’edificio religioso proprio davanti a loro – non è da escludere a priori. Però è veramente difficile: in fondo abbiamo ben presente come funziona l’alchimia di fuoco e sappiamo come non lasci tracce… non di colui che la esercita.”
“Perché dobbiamo subito arrivare a dei parallelismi con il generale?” chiese seccato Havoc.
“Perché è l’unico con cui possiamo fare un minimo di confronto, scemo – lo reguardì Breda – sappiamo benissimo che non è stato lui.”
“Qualcuno pare non esserne così sicuro…” sibilò con stizza il biondo.
“Non pensare a lui – consigliò il rosso – riflettiamo invece su come poter…”
“E’ anche vero che Fury era l’unica persona presente oltre al generale – rifletté Falman – conoscere la sua versione dei fatti non sarebbe affatto male. Chissà…”
“Se vado in quella stanza gli estorco la confessione con metodi tradizionali – continuò Havoc schioccandosi le dita con aria significativa – ma avrà molte difficoltà a parlare!”
“Ti ho detto di finirla…” continuò Breda.
Mentre i due amici continuavano quel cupo battibecco, Falman sospirò lievemente: era dal giorno prima che ci rifletteva sopra e proprio quella storia non gli tornava. Poteva capire che Fury fosse in qualche modo turbato per quella sua strana forma di relazione con quella fanciulla e che, a rendere le cose più difficili, il generale ed il tenente colonnello gli avessero imposto di troncare quel rapporto. Tuttavia una reazione simile da parte del ragazzo era totalmente da escludere: non era da Fury comportarsi in un simile modo, soprattutto contro quei due che aveva sempre visto come figure di riferimento.
E sono sicuro che se Havoc e Breda si fermassero a pensarci sarebbero d’accordo con me.
E poi la reazione del tenente colonnello… una pena così severa proprio a Fury? Era vero che aveva in qualche modo mancato ai suoi doveri, però c’era dell’altro. E anche la risposta di Fury a quella sentenza non era stata da lui.
No, qui è successo qualcos’altro, è chiaro. E per far arrivare Fury e la signora ad una simile situazione si deve esser trattato di qualcosa di grave.
Considerate tutte quelle cose, era davvero curioso di sentire la versione del tenente.
 
“Vedrà che i ragazzi troveranno qualche indizio utile, generale.”
La voce di Riza, di nuovo così formale e pratica fece sorridere leggermente Roy. Per quanto, fino a quel momento, non avesse potuto fare a meno di ammirare quella curiosa versione borghese della sua assistente, non poteva negare di essere davvero felice di vederla di nuovo in divisa e al suo fianco. Era come se una strana e indefinibile storpiatura del mondo fosse stata rimessa a posto, facendogli ritrovare quel senso di tranquillità e completezza che solo la sua personale assistente poteva dargli.
Girandosi a guardarla, perfettamente dritta e composta nella sua posizione stante, il soldato notò come anche lei fosse estremamente sollevata da quel cambiamento. Sembrava che tutte le sue paure e timori fossero spariti grazie a quella divisa.
No, semplicemente sei brava a mascherarlo – rifletté Roy, tornando a guardare le fiamme del camino acceso dei suoi alloggi – prigione – del resto è un gioco di cui conosciamo le regole da sin troppo tempo.
Questo lo portò a riflettere sulla loro situazione attuale: non condivideva del tutto i provvedimenti presi nei confronti di Fury. Sapeva benissimo che buona parte di quella marzialità era dovuta a quella brutta scoperta e, sapeva altresì, che il ragazzo, sebbene confuso, non l’aveva certo tradito.
Ma vaglielo a spiegare… in questo momento non è disposta a sentire da quell’orecchio.
Lo si capiva bene: quegli occhi castani erano carichi di iniziativa, certo, ma Roy vi leggeva anche quella profonda ostinazione. La stessa che l’aveva obbligato a rivolgere le fiamme contro quella schiena perfetta.
A pensarci bene era da quella volta che non la vedeva. Com’erano diventate quelle ferite che, all’epoca, gli erano sembrate così tremende e impossibilitate a guarire? Quanta parte di quella meravigliosa pelle era stata effettivamente deturpata? Quanto del tatuaggio si vedeva ancora…
La tua pelle è ancora così calda al tatto?
Gli venne quasi da protendere la mano in avanti, alla ricerca delle schiena di una giovanissima Riza che, davanti a lui, si denudava timidamente per svelare la catena che li avrebbe uniti per sempre.
“Signore?” lo richiamò il tenente colonnello, facendo sparire quella visione.
“Niente – scosse il capo Roy, rimproverandosi per quel momento di debolezza – e così hai messo Fury in isolamento, eh? Non credi di esser stata troppo severa con lui?”
“No, signore – lei tornò ad essere impassibile… più del solito – il suo comportamento è stato oltremodo dannoso per tutti noi e non ha ascoltato quanto…”
“Se non avesse scoperto il tuo tatuaggio ti saresti comportata al medesimo modo?” fu una domanda che gli salì spontanea, anche se si pentì subito di averla posta. Che diritto aveva di trattare così alla leggera un argomento così delicato?
Tuttavia la donna parve non restare troppo turbata
“Certamente – annuì, esitando solo una frazione di secondo che un osservatore sconosciuto non avrebbe mai colto – la condotta di un soldato deve essere esemplare e la sua non lo è proprio stata.”
“Parli di condotta proprio tu che fai parte di una squadra dove ci siamo io, Havoc e Breda? – sogghignò d’impulso il generale – suvvia mi deludi. Però sei stata troppo severa con lui, non mi ha tradito, lo sai bene. Hai detto tu stessa che con molta probabilità mi ha ricollegato alla tua cicatrice ed è ovvio che si sia sentito confuso…”
“Insomma sono io che ho sbagliato? Non dovevo agire in quel modo dopo che le dichiarazioni di Fury hanno dato campo fertile ad Alexand e Michael?”
“Non volevo dire che sei stata tu a sbagliare, tenente colonnello – Roy si volse e andò accanto a lei – è che sono… dispiaciuto. Insomma tra te e il ragazzo c’è sempre stato un ottimo rapporto. Sono sicuro che Fury sarà il custode più discreto e affidabile del tuo… nostro segreto.”
Lei abbassò lo sguardo, ma non era per niente convinta, si capiva. Roy vedeva come stesse mantenendo un tono composto solo per la differenza di ranghi. E per un attimo desiderò che invece si sfogasse e gli dicesse tutto quello che pensava.
Suvvia, Riza, non ne vogliamo davvero parlare?
Perché, per quanto inizialmente aveva detestato Fury per quanto era successo, meditando era arrivato alla conclusione che forse era arrivato il momento di parlare per la prima volta di quella folle notte in cui le aveva ustionato la schiena. Perché lui, da estremo vigliacco, l’aveva lasciato dolorante e ferita, obbedendo alle sue richieste… mentre sarebbe dovuto starle accanto, curarla con tutte le premure, farle capire che era bellissima anche con quelle ustioni, forse ancora più bella, più…
No, non adesso… non mi pare proprio il caso.
“Comunque – disse, schiarendosi con aria significativa la voce – non credo che ci siano possibilità di trovare qualche indizio in quella piazza. Dobbiamo battere anche altre piste, non credi?”
“Sì, generale – annuì la donna con aria chiaramente sollevata dal cambiare argomento – ha in mente qualcosa?”
“Beh, direi che per iniziare dobbiamo riflettere su chi ha davvero interesse a rovesciare il potere dell’Autarca… e scoprire come ha fatto, in un paese dove l’alchimia è eresia, ad imparare una simile scienza.”
“E’ dunque proprio certo che fosse alchimia?”
“Decisamente – gli occhi scuri si socchiusero mentre tornava a riflettere sulla questione, scoprendosi davvero intrigato da quel caso, a prescindere da quello che c’era in gioco – e c’è qualcosa che mi sfugge, eppure ho visto la scena con i miei occhi. Ma è come se ci fosse un dettaglio che non mi torna alla mente.”
 “E’ anche vero che a Xing usano un’energia diversa – provò a dire Riza, cercando di offrirgli qualche spunto – sarà così anche a Drachma? Mi ricordo che una volta Alphonse parlò di flusso di chi o qualcosa di simile.”
“Sì, ad Amestris invece interviene la forza tettonica della crosta terrestre. E’ assai probabile che sia come dici tu, che questa diversità sia dovuta alle diverse tipologie di energia usate… però non ne posso avere la certezza. In ogni caso, se non ricordo male, il Patriarca mi parlò della religione di Stato come di un qualcosa nato per consolidare il potere dell’Autarca, ma pare che in diverse parti del regno, specie le più remote, i vecchi culti sopravvivano ancora… forse è da lì che dobbiamo partire. Potremmo scoprire qualcosa sulla forma di alchimia di questo paese: magari loro la vedono solo come forma di potere sacro, chissà.”
“Però dovremmo andare in quei posti – obiettò Riza – non credo che le verrà concessa una cosa simile e nemmeno agli altri.”
“Già – ammise Roy – vorrà dire che dobbiamo trovare gli esperti qui nella Cittadella, oppure nel resto della capitale. E sono fiducioso… se lo stesso patriarca mi ha fatto simili discorsi, vedrai che casi analoghi non mancheranno. Stasera voglio parlare anche con gli altri: dobbiamo approntare un piano di battaglia.”
“Sì, generale!” scattò sull’attenti la donna.
 
Non era nei modi di fare di Falman mentire ai propri superiori, specie su questioni delicate. E nemmeno questa volta era venuto meno a quello che reputava uno stile di vita. Certo, sarebbe stato più facile mentire al tenente colonnello e, con molta probabilità, se la sarebbe cavata, tuttavia il capitano riteneva che la fiducia all’interno del gruppo fosse qualcosa di imprescindibile.
Così, quel pomeriggio, si diresse verso le camere di Fury felice e allo stesso tempo turbato per aver ottenuto dal tenente colonnello il permesso di interrogarlo. Felice perché era comunque una piccola vittoria che aveva ottenuto ed, inoltre, voleva iniziare a capire cosa fosse successo al loro esperto di comunicazioni. Turbato perché aveva constatato che la donna continuava nel suo ostinato astio contro quello che una volta era stato il suo protetto… se doveva essere sincero, Falman aveva sperato che col passare delle ore quella brutta arrabbiatura fosse in parte scemata, un po’ come forse stava iniziando a succedere a Breda e Havoc, ma pareva che la donna non avesse nessuna intenzione di perdonare il ragazzo, nemmeno di concedergli la possibilità di spiegarsi.
Con questi cupi pensieri, arrivò davanti alle porte della camera che gli interessava, dove stavano di guardia due uomini, gentilmente concessi dal barone Anditev. Ma era solo un modo più carino per dire che erano comunque tenuti sotto controllo: Fury era quindi un doppio prigioniero, se si poteva usare un termine simile.
In ogni caso, per salvare le apparenze, quei due soldati nella divisa scura di Drachma non poterono impedirgli di passare quando si portò davanti a loro e fece un impeccabile saluto militare, dichiarando di voler vedere il recluso. Notando lo sguardo che si scambiavano, fu sicuro che questa visita sarebbe stata certamente riferita al barone Anditev.
Fate pure – si disse con noncuranza mentre la porta veniva aperta – siete la nostra ultima preoccupazione.
Come entrò e chiuse la porta alle sue spalle, la prima impressione che ebbe fu di un’evasione bella e buona: la grande finestra era aperta, le tende svolazzanti per la fresca brezza di quella giornata, il letto disfatto, la valigia buttata con noncuranza sul materasso. L’impulso del capitano fu di correre verso quella grande vetrata e controllare che non ci fosse un lenzuolo legato, nel più classico stile di fuga.
Ma poi il suo udito acuto colse alcuni rumori provenienti dall’altra parte del letto. Muovendosi con cautela si fece avanti e non poté far a meno di sorridere con indulgenza quando vide Fury, seduto per terra con la schiena posata contro il materasso, circondato da decine e decine di piccoli meccanismi elettronici. Le sue dita agili e snelle manovravano dei minuscoli attrezzi, costruendo chissà che piccolo prodigio di elettronica. Ma Falman capì subito che dietro quei gesti c’era una forma di difesa emotiva: semplicemente Fury, per estraniarsi da quella condizione di prigionia, si era rifugiato nell’unica cosa che non l’aveva mai tradito.
“Ehilà, tenente…” lo chiamò con gentilezza, spezzando quella situazione di trance.
Il ragazzo ebbe un sussulto di sorpresa e uno dei pezzetti che teneva in mano gli cadde sul pavimento.
Alzò gli occhi verso Falman e poi si mise a sedere sul letto, proprio come un carcerato si siede nella propria brandina, tralasciando qualsiasi formalità. Si era levato la giacca della divisa, restando solo in camicia a maniche lunghe.
Decidendo di seguire quel modus operandi, Falman si sedette accanto a lui, sperando che si decidesse a parlare per primo. Ma sembrava che Fury volesse proseguire nel suo ostinato silenzio, al pari del tenente colonnello Hawkeye.
“Posso farti qualche domanda?” chiese infine il capitano, mettendogli una mano sulla spalla.
“Certo, signore.” il tono di voce era piatto e lo sguardo rimase fisso in avanti.
Falman cercò di ignorare quella scarsa collaborazione e proseguì.
“Ti senti bene? – cominciò – Ti hanno già portato da mangiare?”
“Sì, signore, hanno anche portato via il vassoio poco fa.”
“E come va il viso? Il colpo preso da Havoc ti…”
“E’ guarito…” troncò il discorso lui, come se il taglio sul labbro non fosse evidente.
Falman rimase  deluso da quella poca collaborazione, ma ancora di più gli faceva male vedere il suo piccolo amico ridotto in questo modo. Da dieci anni che lo conosceva non l’aveva mai visto così. Fu tentato di far salire la mano ed accarezzargli la chioma arruffata, quasi a consolarlo, ma qualcosa gli disse che Fury avrebbe avuto difficoltà ad accettare quel gesto.
“Fury, ascoltami – disse, decidendo di andare al punto – secondo te è stato il generale a uccidere il patriarca? L’hai visto lanciare l’alchimia del fuoco?”
“No – scosse il capo lui con sincerità – non è stata l’alchimia del fuoco del generale ad uccidere.”
“Non è il tipo d’alchimia che usa lui, vero? Le fiamme azzurre non rientrano nel suo repertorio. Perché non l’hai detto con la medesima sicurezza quando sei stato interrogato?”
“Mi dispiace…” sospirò lui, sdraiandosi sul letto e raggomitolandosi su se stesso.
“Fury… che cosa è successo, eh? – gli chiese Falman con gentilezza – Non ne vuoi parlare? Eppure siamo amici, no? Sai che ti puoi fidare di me… di tutti noi, come sempre.”
A quell’ultima affermazione il giovane si irrigidì ed i suoi occhi chiusi divennero freddi e distanti.
“Ne è sicuro, signore?” mormorò.
“Certo, scusa perché mai…”
“Non è stato il generale ad uccidere il patriarca – disse Fury, rialzandosi a sedere – ho aperto la porta della cattedrale e ho visto quel povero uomo avvolto da quelle strane fiamme azzurre. Come tutto è finito ho notato il generale a pochi metri da lui, ma era chiaro che non si era avvicinato per attaccarlo… non aveva i suoi guanti! Non aveva la sua formula alchemica. Mi dispiace di esser stato così poco convincente quando mi hanno fatto quelle domande… è tutto quello che ho da dire, capitano.”
“Perché eri alla cattedrale?” chiese ancora Falman.
“Questioni personali, signore. Non sono tenuto a rispondere.”
“Non ti sto mica interrogando.”
“A me sembrava di sì… è tutto quello che so, basta così.”
“Capisco – sospirò il capitano, alzandosi in piedi – ti lascio stare. In ogni caso, io e gli altri stiamo svolgendo tutte le indagini possibili per tirare il generale fuori da questo guaio. Se volessi darci una mano sono sicuro che il tenente colonnello apprezzerebbe la buona volontà e ridurrebbe questa punizione.”
“Lei… no, non lo farà – sospirò Fury – e non lo so se voglio pure io… in questo momento non so proprio in cosa credere.”
“Puoi credere in noi, ragazzino – gli ricordò con gentilezza Falman – non dimenticarlo mai.”
Il tenente non rispose: si lasciò ricadere per terra e riprese in mano i suoi pezzetti meccanici, estraniandosi di nuovo dal mondo. Con un’ultima occhiata preoccupata, il capitano uscì dalla stanza.
Sì, decisamente è successo qualcosa di grave tra lui ed il tenente colonnello.
 
“Flusso del Drago o chi – annuì Shao Ming, muovendo con disinvoltura il suo ventaglio – in parole povere l’energia della vita che scorre dalle cime delle montagne giù per tutto il paese, proprio come fa il sangue nelle vene.”
“E qui a Drachma?” chiese Roy, mettendosi a braccia conserte.
“Il chi si trova ovunque, generale, basta solo saperlo percepire… come si potrebbe percepire anche la forza tettonica che è alla base dell’alchimia di Amestris. Potremmo anche ipotizzare che il nostro amico abbia imparato l’arte alchemica proprio nel vostro paese, chissà.”
“No, è diverso – scosse il capo il generale, iniziando a passeggiare avanti ed indietro per la stanza, mentre il principe e Riza lo osservavano – per imparare l’alchimia che usiamo noi ci vogliono dei maestri esperti e ad Amestris non ce ne sono, non che sappiamo usare un tipo di alchimia simile! Ne sarei venuto a conoscenza, ne sarei…”
“Domando scusa, generale… come avete incontrato il vostro maestro d’alchimia? – chiese con malizia Shao, accarezzando amorevolmente una delle piume del suo ventaglio – insomma, mi pare strano che King Bradley e gli homunculus non abbiano approfittato delle grandi conoscenze di un uomo che aveva tra le mani la formula di un’alchimia così potente e pregiata, non crede? Forse… nessuno lo conosceva?”
Roy si girò a fissare il suo regale alleato con aria di offesa sorpresa. Ma era innegabile che quell’osservazione fosse più che valida: Berthold Hawkeye non era per niente conosciuto, tutt’altro. Per trovare un maestro che riteneva alla sua altezza, lui aveva dovuto cercare e cercare sino a quando, grazie ai sempre numerosi informatori di sua zia, era arrivato davanti a quella vecchia villa in rovina.
“Principe, sapete? Avete la capacità di farmi sentire un vero stupido, non è da tutti.”
“Lo prendo come complimento, sia ben chiaro…” sorrise l’altro.
“Comunque sì, ammettiamo che il nostro assassino abbia imparato l’alchimia ad Amestris… questo mi farebbe già fare dei passi in avanti perché saprei che sta giocando con i soliti elementi che compongono la materia, senza tirare fuori niente che io non conosca.”
“Tra l’alchimia di Xing e quella di Amestris di certo la più sospetta e la seconda – ricordò il principe – la nostra è specializzata nella medicina e per arrivare a creare fiamme azzurre bisognerebbe manipolarla in maniera troppo innaturale, dubito che funzionerebbe.”
“Fiamme azzurre, già…” Roy mormorò ancora quelle due parole, sentendo che c’era qualcosa che non andava. Ma ancora una volta non arrivò a niente di concreto, solo quel presentimento che c’era qualcosa di sbagliato.
Ma le sue paranoie vennero interrotte dal bussare deciso alla porta, seguito dall’ingresso di Havoc, Breda e Falman che andarono subito vicino a lui.
“Fatemi indovinare – li apostrofò – niente di niente, vero?”
“No, signore – ammise Havoc per nulla turbato – niente di niente. La morte del Patriarca ha messo quella piazza a soqquadro, è proprio il caso di dirlo. Abbiamo ispezionato anche la cattedrale da cima a fondo, ma, come prevedibile, non c’era nessuna traccia che potesse aiutarci. Un buco nell’acqua, come in parte si era previsto… ma era sciocco non tentare.”
“Più che giusto – scrollò le spalle Roy – niente andava lasciato al caso. Ed i nostri amici che ci sorvegliano? Vi hanno creato problemi?”
“No, signore – rispose Breda – sanno essere discreti quando vogliono: suppongo che ci tengano anche loro a trovare quell’assassino. Ma forse hanno paura che li stiamo solo depistando.”
“Basta che ci lascino libertà di movimento, per il resto pensino quello che vogliono. Allora, vediamo di partire da qualche punto di partenza… idee?”
“Il Patriarca, signore – disse Riza dopo qualche secondo – da quanto ha detto, era una persona anziana e con difficoltà di movimento. Che cosa ci faceva in quella piazza da solo? Per giunta dopo una nevicata che gli rendeva ancora più difficile la camminata…”
“Ottima domanda, tenente colonnello – annuì Roy compiaciuto – ecco il nostro punto di partenza. E’ molto probabile che sia stato indotto ad uscire fuori: che cosa ne possiamo dedurre?”
“Che si trattava di qualcosa di urgente?” propose Havoc.
“Che chiunque l’abbia contattato era una persona di un certo rango, altrimenti non sarebbe mai potuto arrivare sino a lui…” aggiunse Breda.
“E se questo è vero – commentò Shao Ming – posso dirvi, amici miei, che siamo appena finiti dentro uno dei classici complotti della nobiltà di Drachma. Effettivamente mi sembrava strano che nessuna delle dieci famiglie si fosse opposta in maniera palese a Derekj.”
“In fondo lui è il sovrano legittimo – obbiettò Falman – non avevano motivo dato che mi pare un buon governante. E di certo ha l’età legale per poter prendere in mano il regno e…”
“… e ogni grande famiglia di Drachma aspira a quel posto, mio caro amico dagli occhi tremendamente xinghesi. Sicuro di non aver legami con qualche clan del mio paese? Scherzavo, non guardarmi male… dicevo, è quasi una tradizione che i passaggi di potere non siano mai tranquilli è sereni. E’ comunque un momento delicato in cui qualcuno potrebbe farsi avanti.”
“Ma con che diritto? – chiese Breda – Insomma anche se ci fosse una famiglia, ne restano nove contro, no?”
“Mh, dipende da che parte gira il vento… se l’Autarca venisse ucciso, non converrebbe onorare il nuovo usurpatore per evitare che la propria famiglia perda influenza? Lo so che per voi è strano, ma qui funziona in questo modo. Drachvoic, Esdev, Anditev… che importa? A turno quasi tutte le casate sono state su quello scranno.”
“Allora andiamo ad esclusione – propose Breda – principe, elencate le dieci famiglie di Drachma.”
“Drachvoic, Esdev, Ferstoj, Shintenov, Kyravic, Koradof, Vinkin, Tojanev, Lavined, Anditev…” ripeté a memoria l’uomo di Xing.
“Una famiglia ucciderebbe un proprio membro Patriarca?”
“No, assolutamente: una posizione come quella è troppo prestigiosa. Non ne avrebbero nessun vantaggio.”
“Allora escludiamo i Lavined e i Drachvoic… ne restano otto.”
“Escludete anche gli Anditev – continuò Shao, dopo aver riflettuto – sono assolutamente sicuro della fedeltà di Alexand nei confronti di Derekj, e lo stesso posso dire degli Esdev. Il campo è ridotto a sei… dubito che le famiglie del nord stiano complottando contro il nostro giovane erede, ma non sarebbe saggio escluderle a priori.”
“Sei bastano e avanzano – dichiarò Roy – abbiamo del materiale, dunque. E adesso… torniamo al nostro Patriarca: dobbiamo andare a controllare le sue stanze ed il suo studio. Può darsi che lì troviamo qualche cosa: Breda, Falman, voi siete i più attenti in queste investigazioni… vi affido il compito. Chiederò che possiate avere accesso a quei posti, non dovrebbero negarcelo.”
“Dovremmo anche interrogare un eventuale segretario, non crede, signore?” propose Havoc.
“Uh, capiti male, amico – inarcò le sopracciglia Shao – il segretario del Patriarca è il nostro caro Michael Esdev… non sarà molto felice di tutto questo.”
“Andiamo bene… una complicazione dopo l’altra – sospirò Roy – però quel dannato monaco può avere qualche notizia utile. Lui e la sua sorellastra mi hanno già spupazzato troppo il tenente: spero che l’abbiano finita di mettermi i bastoni tra le ruote.”
“Se permette, di lui mi occupo io, signore!” si fece avanti Riza con fare composto.
“Sicura? – la squadrò Roy con sorpresa – Quello è un osso duro… e se io per lui sono un eretico tu mi sei di poco inferiore considerato che sei una femmina ed indossi la divisa.”
“Ci sono situazioni di forza maggiore per cui queste cose non contano – disse lei con disinvoltura – persino Michael Esdev si deve arrendere alle circostanze: vedrà che si dimostrerà collaborativo.”
“Mi creda, generale – sorrise Shao – la signora è la persona più indicata per parlare con lui.”
 
Chiuso in camera sua, Fury si sentiva stranamente in pace.
Quel silenzio, quella solitudine, sembravano finalmente donare sollievo alla sua anima tormentata. Ai suoi piedi giacevano strane e piccole costruzioni, in teoria perfettamente funzionanti nei loro circuiti… peccato che non avessero uno scopo preciso. Semplicemente erano il risultato di ore di sfogo, di automatismo che lo spingeva a montare ancora e ancora.
“Puoi credere in noi, ragazzino, non dimenticarlo mai.”
Le parole del capitano Falman tornarono per la decima volta nella sua mente. Poteva fidarsi di loro?  E loro si sarebbero fidati del generale se avessero saputo quello che aveva fatto al tenente colonnello?
Certo, non è stato lui a uccidere il Patriarca… ma ha fatto qualcosa di orribile.
E lei? Perché lo seguiva con tale abnegazione dopo che le aveva bruciato la schiena in quel modo?
Perché? Perché non mi ha voluto dire niente, signora? Capisco che sono solo uno stupido, piccolo soldato, però…
“… però credevo che si fidasse di me…” mormorò con voce rotta.
Con un tremante sospiro si sedette di nuovo a terra e gattonò fino alla sua valigia, frugando per trovare le trasmittenti portatili che si era portato dietro da Amestris.
Forse non era il caso di abbandonare così i suoi amici, non era giusto.
Potrebbero averne bisogno…
Si alzò in piedi e si diresse verso la porta, ma come provò ad aprirla si scontrò con due grosse guardie che gli bloccarono la strada, dicendo che non gli era consentito uscire da quella stanza.
“Io… io vorrei vedere i miei compagni – mormorò, intimidito – devo dare loro delle cose…”
“Ordini specifici, soldato – ribatté una di esse, pronta a spintonarlo indietro – non puoi.”
“Che cosa succede?”
Tutti e tre si girarono e videro Kora che si faceva avanti nel corridoio. Era da qualche giorno che Fury non la vedeva e si era in parte dimenticato di quanto fosse splendente con quegli occhi azzurri e maliziosi.
“Niente, lady Kora – rispose con cortesia una delle guardie – non si preoccupi.”
“Ehi, soldatino – disse lei, andando incontro a Fury e posandogli l’indice nel naso – ma che ti è successo? Come mai sei finito in questo guaio? Vuoi che ti aiuti?”
Per un attimo Fury fu seriamente tentato di passarle le ricetrasmittenti e di farle consegnare da parte sua. Ma poi, d’impulso, le strinse a sé, quasi a proteggerle: le avrebbe affidate ad Havoc, Breda, Falman, il tenente colonnello… persino al generale, ma una voce dentro di lui diceva che le sue preziose apparecchiature elettroniche non potevano finire in mano a Kora Esdev.
“No, lascia stare, ti ringrazio…” mormorò con un lieve sorriso di scusa, tornando dentro la stanza e chiudendo la porta.
 
Qualche ora dopo, finita la cena, Riza sentì bussare alla porta e andò ad aprire con sospetto. Si trovò davanti ad una delle guardie che erano preposte a sorvegliare la stanza di Fury.
“E’ successo qualcosa?” chiese.
“Cambio di turno, signora – disse l’altro, mettendosi sull’attenti, sebbene in lieve imbarazzo per quella donna in divisa – ma mi è stato chiesto di fare una consegna. E’ da parte del soldato sotto custodia.”
Prima che lei potesse rispondere, le venne consegnato un pacchetto di carta e non fece in tempo a ringraziare che la guardia si era già allontanata, lieta di aver assolto quel compito così particolare.
Chiudendo la porta alle sue spalle, la donna svolse la stringa che teneva avvolto il pacchetto e rimase sorpresa nel trovarsi cinque ricetrasmittenti.
“Solito funzionamento. Raggio d’azione di circa tre chilometri. Mi dispiace, sul serio.”
L’ultima frase era scribacchiata con incertezza su quel foglio di carta stropicciato.
Gli occhi castani di Riza tornarono morbidi per qualche secondo, ma poi scosse il capo con durezza.
Sì, quelle ricetrasmittenti sarebbero tornate utili, ma del resto era un dovere che Fury desse il suo apporto alla missione. Quel “mi dispiace” era del tutto fuori luogo e non pertinente il lavoro.




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Mamma mia, quanto ho odiato questo capitolo! Proprio non voleva uscire!

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Capitolo 17
*** Capitolo 16. Oltre le apparenze ***


Capitolo 16.
Oltre le apparenze



Fra i due cugini, Riza si era sempre soffermata a guardare Alexand, trovandolo con lui una maggiore affinità, sebbene in parte rovinata da quegli atteggiamenti ostili. Tutto sommato un po’ si riconosceva nel barone Anditev: c’era la stessa testardaggine, sebbene lui non esitasse a manifestarla, mentre lei preferiva tenerla nascosta dietro un modo di agire più pacato ed educato.
Di conseguenza, quando la mattina successiva si trovò nella Cattedrale, davanti a Michael Esdev, si prese una decina di secondi buoni per studiare con attenzione quel viso dai lineamenti marcati e forti, quei capelli scuri e folti così simili a quelli di Alexand e quegli occhi profondi e impenetrabili. Persino la postura, rigida e fiera, raccontava di una persona che non concede molto agli altri, preferendo stare sulle sue.
“Signora – salutò con voce piatta il monaco – mi è stato riferito che volevate vedermi.”
C’era della disapprovazione in lui, ovvio: una donna in divisa era appena entrata in quel luogo sacro, sconvolgendo ancora una volta tutti gli schemi che si era costruito nella vita. Per qualche secondo Riza provò anche simpatia: la situazione che stava vivendo non era facile e quel piccolo smacco in più andava ad aggiungersi ad una serie di eventi che lo stavano mettendo a dura prova.
Attenta, Riza – si disse – non giudicarlo non colpevole così alla leggera. Ricorda che qui tutti sono sospetti ed ognuno può avere delle motivazioni personali più che valide.
Però, nonostante si mettesse in guardia da sola, una parte di lei non si poteva capacitare che quel monaco inflessibile ma comunque coerente con se stesso e con i suoi principi, per quanto aveva avuto occasione di dimostrare, fosse l’esecutore di un crimine così grave. E poi c’era l’alibi di essersi trovato qualche metro dietro a Fury mentre questi usciva dalla Cattedrale, il giorno dell’omicidio del Patriarca…
Comunque devo fare attenzione…
“Volevo scambiare alcune parole con voi, Michael – dichiarò con voce piatta, al pari dell’altro – siamo autorizzati a compiere indagini e dunque anche…”
“Ad interrogarmi?” chiese il monaco inarcando lievemente il sopracciglio.
“… a sentire eventuali testimonianze.” corresse Riza.
A quanto pare quell’analisi era reciproca perché anche gli occhi scuri la stavano osservando con attenzione. Come se si stesse chiedendo quanto e come si poteva fidare di lei e delle investigazioni che stavano svolgendo con tanta difficoltà.
“Presumo che vorrà anche vedere lo studio del Patriarca – sospirò lui – ma certo, se non lo fa adesso, poi verranno gli altri a chiederlo. Vogliamo andare? Queste sacre pareti non sono il posto adatto per simili discorsi, lui merita di essere vegliato in pace.”
Fece un lieve cenno al feretro che stava a una quindicina di metri da loro, proprio davanti all’altare. La bara intarsiata con legno dorato era pietosamente chiusa, ad evitare che si vedesse l’espressione che aveva contratto il viso del povero defunto. In quel momento l’edificio era chiuso ai fedeli per alcuni riti inerenti solo i monaci e avrebbe riaperto alla gente solo un’ora dopo.
Annuendo Riza iniziò a seguirlo oltre l’altare, fino a raggiungere una porta laterale che introduceva nel complesso monastico.  Vedendolo camminare davanti a lei, la donna non poté far a meno di notare come avesse delle spalle molto robuste e tutto il fisico, nel complesso, fosse snello e ben allenato: veniva quasi da pensare che accanto agli studi religiosi gli fosse stata impartita anche un’educazione più secolare.
Finalmente arrivarono alla porta di legno che introduceva negli appartamenti del Patriarca.
“Questo è lo studio – spiegò Michael – dietro quella tenda c’è la porta per la stanza da letto. Se la signora si vuole guardare attorno faccia pure.”
“Non sono io quella più adatta a indagare su queste cose – scosse il capo Riza – vorrei invece parlare con voi in qualità di segretario personale del Patriarca. In modo da scoprire che cosa lo avesse spinto a stare fuori in quella giornata di neve dove ha trovato la morte. Voi non trovate strano un simile comportamento?”
“Più che strano – annuì il monaco, fissando con aria riflessiva un ciocco nel camino che stava per cadere, mezzo consumato dal fuoco – crede che sia così ottuso da non essermi posto una simile domanda da solo? Il reverendo Lessand era ormai vecchio, le sue gambe avevano molta difficoltà a muoversi: spesso e volentieri dovevo aiutarlo io anche solo per spostarsi dalla camera da letto a questo studio… era ancora una mente lucida e brillante, assolutamente, ma il fisico stava cedendo gravemente. Molti di noi avevano anche paura che non riuscisse a reggere la cerimonia dell’incoronazione che, comunque, comporta stare in piedi per diverso tempo e con paramenti parecchio pesanti.”
“Quella mattina l’avevate visto?”
“Sì, l’avevo assistito come sempre per la corrispondenza giornaliera – continuò Michael, andando verso la scrivania e prendendo una cartelletta di pelle scura con dentro diverse carte – ma non c’era niente che andasse fuori dall’ordinario, direi che abbiamo fatto piuttosto in fretta… massimo quaranta minuti. Poi io sono andato in cattedrale per seguire alcune funzioni, mentre lui ha detto che sarebbe rimasto qui, in attesa dell’ora del desinare… è stata l’ultima volta che l’ho visto vivo. A portargli il pasto è stato il solito monaco che si occupa di questi servizi; io ho pranzato invece con Alexand e il mio sovrano, come loro stessi possono testimoniare. E poi sono tornato in cattedrale e, nemmeno cinque minuti dopo il mio arrivo, è arrivato il tenente Fury.”
“Quindi dopo il pranzo non l’avete visto?”
“No, non c’è stato tempo. Forse non sarei nemmeno andato: molto spesso il reverendo Lessand si addormentava accanto al fuoco dopo i pasti e non mi sembrava il caso di rischiare di disturbarlo.”
“Il monaco che gli ha servito il pranzo?”
“Al di sopra di ogni sospetto – scosse il capo il giovane – mi offro di garantire per lui se necessario.”
“Capisco – annuì Riza – negli ultimi giorni era successo qualcosa di sospetto? Di fuori dall’ordinario?”
“Solo la visita del generale Mustang, un qualcosa che io ritenevo e ritengo ancora poco appropriata: ma era stata la volontà del mio signore e anche il reverendo Lessand aveva approvato. Di conseguenza avevo solo presentato le mie rimostranze, ma non avevo impedito l’incontro.”
“Quindi non ha nessun sospetto?” chiese la donna.
“Il mio sospetto l’ho già dichiarato e c’era anche lei – scrollò le spalle Michael – del resto la dinamica dell’omicidio è molto particolare e capirà bene che ho tutti i diritti di ritenere il suo superiore il colpevole.”
Gli occhi scuri si puntarono su quelli castani di Riza: il suo ragionamento non faceva una piega. La donna per qualche secondo si trovò spiazzata davanti a quella sicurezza, dettata anche da quella forza religiosa così salda, ma poi provò ad usare un’altra strada. Michael era certo parecchio radicato nei suoi principi, tuttavia era anche intelligente e bastava farlo ragionare, almeno così le sembrava.
“Supponiamo che sia stato lui – propose con estrema serietà – che motivazioni avrebbe? E poi sarebbe davvero così stupido da farsi cogliere con le mani nel sacco?”
Una scintilla di dubbio apparve sul viso del monaco: Riza fu rapida a coglierla ed ebbe la certezza che non era la prima volta che faceva la sua comparsa. Anche se Roy Mustang era il colpevole perfetto per Michael Esdev, qualcosa nella dinamica non tornava nemmeno per lui.
“Supponiamo che non sia stato lui – ritorse Michael – chi è in grado di usare l’alchimia qui a Drachma? Chi è in grado di uccidere in un modo così terribile? Senza contare che ci sono quelle morti nella provincia di Alexand: soldati uccisi nel medesimo modo proprio quando la vostra ambasciata è giunta nel paese. E poi salta fuori che la nipote del comandante supremo è in realtà un soldato, quanti altri segreti, signora?”
“Nessuno, glielo garantisco – disse Riza, decidendo di giocare ad armi pari – ad Amestris una pace con Drachma conviene e, da quanto mi risulta, anche il vostro paese ha tutto l’interesse nell’avere il confine sud in pace – la sua voce si ammorbidì – voglio solo una possibilità, Michael Esdev… solo quel beneficio del dubbio che sono sicura che ha già dentro di sé.”
“Beneficio del dubbio, eh? – fece lui, andandole davanti e fissandola con tranquillità – significa mettere in dubbio quello in cui credo, signora, se ne rende conto? Mi è sempre stato insegnato che l’alchimia è il male, che è solo un modo in cui l’uomo, arrogantemente, si vuole sostituire a Dio.”
“E’ solo una scienza, signore – spiegò lei scuotendo il capo – e fa solo paura perché non la si conosce. E poi, proprio come un’arma, può essere usata per far del bene o del male. La spada che vostro cugino Alexand porta con orgoglio difende il popolo, ma in mano ad un pazzo ucciderebbe la gente.”
“Questo si chiama rendere le cose un po’ troppo semplici, signora.”
“Forse è bene che si faccia così – sorrise Riza, inclinando leggermente il capo – a volte ci complichiamo troppo la vita, a parer mio.”
“Un beneficio del dubbio – ripeté Michael – nel caso vorrebbe dire che a uccidere il Patriarca è stato qualcuno di Drachma. Se devo essere sincero la cosa mi fa inorridire ancora di più.”
“Che motivazioni ci possono essere alla base di un gesto simile? – chiese Riza – presumo che sia praticamente sacrilego commettere un simile atto.”
“Per me sì… però ammetto che, in una congiura politica, persino un’uccisione simile può essere contemplata. Nel corso dei secoli c’è stato più di un caso di tentato omicidio del Patriarca.”
“In questo caso chi poteva avercela con lui?”
“No – disse il monaco dopo qualche secondo di riflessione – con lui no. Era vecchio, non gli restava molto da vivere… era più comodo aspettare che la natura facesse il suo corso. Oppure, nel caso, si sarebbe optato per una morte meno… spettacolare. No, signora, qui si voleva semplicemente evitare la cerimonia d’incoronazione: non era il Patriarca l’obbiettivo finale, ma l’Autarca.”
“Non mi pare che il suo potere ne sia stato limitato…”
“Per ora no – il monaco scosse il capo con preoccupazione e si accostò al fuoco, osservando con aria malinconica la poltrona vuota che tante volte aveva ospitato l’anziano Patriarca. E Riza colse per la prima volta il sincero dolore che gli aveva provocato quella perdita – ma senza l’incoronazione religiosa, Derekj Drachvoic non è legittimamente Autarca. Non è stato ancora approvato da Dio, capisce? E questa è una grossa mancanza alla quale si possono aggrappare eventuali altri pretendenti al trono. Exauta deuriaxiat divicet rach’elistv perster’v… è l’antica lingua: Colui che governa deve salire al trono benedetto dalla mano di Dio. Derekj può anche governare, adesso, certo… ma prima che venga eletto un nuovo Patriarca ci vorranno almeno due mesi: in questo tempo l’eventuale congiura ha più possibilità di riuscita perché il vuoto di potere è ancora ufficialmente presente.
“Chiaro… e tra tutte le famiglie di Drachma…”
“… almeno un quattro o cinque potrebbero voler tentare il colpo a tal punto da giustificare un’azione simile. Le stesse che appoggerebbero Derekj una volta incoronato: sono intervalli di tempo di poche settimane, pochi giorni, ma tutti sanno che è in questi archi di tempo che si può cambiare la storia.”
“E che succederebbe a lei e Alexand se Derekj dovesse morire?”
“Alexand morirebbe prima o subito dopo – spiegò con semplicità lui – è il suo campione e dunque è troppo compromesso. Ma a prescindere da questo, farebbe di tutto per proteggere o vendicare il suo signore ed amico. Quanto a me… forse verrei ucciso, a quanto pare il saio non è certo una forma di protezione, o forse verrei in qualche modo obbligato a chiudermi in clausura a vita. Dipende da quanto mio padre potrà avere voce in capitolo… ma ritengo ben poco.”
“Derekj pare davvero fortunato a poter contare su voi due – sorrise Riza – un’amicizia così fedele è rara.”
“E’ una dote che apprezzo pure io – ammise il monaco girandosi a guardarla – e perché voi dubitate così tanto di quella di Kain, signora?”
Riza fu colta di sorpresa da quella domanda. Di colpo si irrigidì, tutta la buona impressione che aveva avuto di quel monaco che svaniva come neve al sole. Perché tirava fuori quell’argomento? Possibile che Fury fosse stato così sconsiderato da parlarne con lui?
“No, non mi ha detto nulla – ridacchiò il monaco, come se le avesse letto nel pensiero – ma è facile capire il cuore di quel ragazzo. Lui mi ha parlato di Kora, ma si capiva che c’era qualcosa di ben più grave che turbava il suo animo e mi è bastato guardare i vostri atteggiamenti durante quell’incontro immediatamente successivo alla morte del Patriarca per capire che qualcosa non andava tra di voi. C’entra Kora in parte, vero?”
“Tutto questo non è pertinente alle indagini, signore – ricordò Riza – e non mi pare la sede adatta per parlarne. Se vogliamo tornare all’argomento principale…”
“Come preferite, signora – scrollò le spalle lui – in che altro posso essere utile?”
 
“Qui niente di particolare, generale. Torniamo alla base?”
“No, fate ancora un giro in città – sospirò Roy – ci vediamo dopo.”
“Ricevuto, signore…”
La comunicazione si chiuse con un lieve fruscio e il generale si levò l’auricolare, riponendolo con cura nella custodia. Andò quindi alla finestra e spazzò via un poco di neve dal davanzale, in modo da poter posare le mani sulla fredda superficie di marmo.
“Ancora nessun rapporto dal tenente colonnello? – chiese Falman, affiancandosi a lui – eppure è con quel monaco già da un’oretta. Vuole che provi a contattarla?”
“No, meglio di no – scosse il capo il moro – non possiamo correre rischi con Michael Esdev. Se sapesse che il tenente è in contatto con noi si potrebbe indisporre e tutto andrebbe all’aria.”
“Capisco, signore. C’è qualcosa che posso fare per lei?”
Il capitano lo fissò con comprensione e Roy fu grato di vedere quell’atteggiamento. Già dal giorno prima aveva intuito che Falman aveva fatto in qualche modo centro: da persona sensibile qual’era aveva notato come tra Fury e il tenente colonnello ci fosse una crisi diplomatica anche se, ovviamente, non era arrivato a capirne l’origine.
“Prima mi avevi parlato di quella famiglia, gli Shintenov o qualcosa di simile… quanto credi che possa essere fondata la loro pretesa al trono?”
Falman ci rifletté per qualche secondo ma poi scosse il capo.
“Meno delle altre famiglie, signore. Sono l’ultima famiglia per importanza e su loro pende il disonore di aver tentato un colpo di stato andato male. Da quanto ho capito sono poco apprezzati anche dal resto delle casate, dubito che potrebbero tentare una mossa simile. E comunque non da soli.”
“Credi che li possiamo escludere?”
“Con buona possibilità, però non del tutto…”
“Insomma siamo sempre alla stessa storia: ci sono possibilità, ma mai tali da far escludere le sei casate rimaste in gioco. Proprio non riusciamo ad uscire da questo punto morto.”
“Beh, ne abbiamo già escluse quattro, signore…”
“Ma sei sono ancora troppe… e ho bisogno di capire cosa è successo davvero. Sto cercando di comprendere cosa sia stato quel fenomeno che ho visto: sono sicuro che sia alchimia ma mi sfugge il procedimento usato.”
“Ha usato la neve da quanto ha detto, signore – propose Falman – e la neve è acqua, no?”
“Sì, ci ho pensato pure io… è stato il mio primo ragionamento a dire il vero. Ma non è andata così: l’acqua per quanto manipolata non crea quelle ustioni da gelo. E’ fuori da qualsiasi discussione.”
Batté con rabbia il pugno sul davanzale: trovarsi davanti ad un simile avversario lo stimolava, certo, ma dall’altra lo irritava. Non aver ancora capito di che alchimia si trattava lo faceva sentire preso in giro. Lui era l’alchimista di fuoco, il più potente di tutti: la sua alchimia era la più effimera, quella più di classe… una sorta di livello superiore rispetto alle altre. Andava a sfiorare le molecole d’ossigeno, nel mondo impalpabile dell’aria. Il fuoco bruciava, purificava, faceva parte della sfera più sacra dell’uomo dalla notte dei tempi.
D’istinto si frugò in tasca e tirò fuori i suoi guanti: indossò il destro con calma e fece cenno a Falman di non preoccuparsi. Concentrandosi individuò e isolò una piccola striscia d’ossigeno a circa due metri da lui e poi schioccò le dita. E tutto avvenne come al solito: la fiamma divampò e rimase esattamente nel percorso che lui aveva prefissato, estinguendosi a poca distanza dal petto del capitano.
“L’alchimia funziona – commentò con rassegnazione – se anche c'è una fonte di energia diversa dalla mia non è questo il punto. Però almeno so che posso combatterlo con armi allo stello livello. Falman, hai con te il fascicolo dei casi di soldati deceduti a Briggs?”
“Sì, signore, l’ho portato proprio come aveva richiesto.”
“Voglio rivedere quelle foto: devo capire che cosa ha provocato quelle ustioni da gelo.”
“Ha qualche idea?”
“No, ma devo arrivare a comprendere quali elementi utilizza… qui stiamo parlando di un esteta o comunque uno molto intelligente ed esperto. Quest’alchimia che tiene sotto il suo controllo è forse tra le più notevoli che abbia mai visto. E da una mente simile mi aspetto grandi cose. Devo neutralizzare lui prima che accada il contrario.”
 
A conti fatti, Michael Esdev era solo una versione più pacata di Alexand.
Questa era la conclusione a cui era arrivata Riza dopo quell’ora e passa di colloquio.
Era una persona con un’intelligenza molto acuta, capace di ragionare e di fare ottime riflessioni… capiva le persone, almeno quando voleva, e questo di certo era una sorpresa dato che la prima cosa che colpiva di lui era l’estrema rigidità. Ma sembrava che Michael Esdev dovesse prima scegliere se fidarsi o meno di qualcuno o comunque decidere se ne valeva la pena.
E Riza confidava che, dopo questa chiacchierata, in parte l’avesse convinto.
Sì, ormai è quasi certo che non è stato il generale, anche se gli crea difficoltà ammetterlo.
Osservò ancora una volta il monaco che, con aria assorta, fissava le fiamme del camino.
“No, non mi viene in mente proprio niente… e sarei stato avvisato – mormorò infine – sono abbastanza sicuro che il Patriarca sia stato chiamato fuori mentre io non c’ero. Se proprio vogliamo circoscrivere l’arco di tempo, direi tra le undici e le quattro e mezza, ora dell’omicidio: è in queste cinque ore che deve aver ricevuto qualche messaggio che l’ha indotto ad uscire… ma non c’è alcuna traccia, ne sono certo: ho controllato personalmente la corrispondenza e le sue carte.”
“E se il messaggio fosse stato distrutto? – propose Riza, accennando alle fiamme del camino – non sarebbe poi così improbabile.”
“Già… e questo ci porta ad un punto fermo. Mphf, che beffa: ero il suo segretario e nemmeno mi sono accorto di quanto è successo!”
“E’ stata questione di cinque ore, l’avete detto voi stesso – si girò a guardarlo lei – il senso di colpa non vi sarà di molto aiuto. Però capisco il vostro dolore: era una persona a cui eravate affezionato, vero?”
“Lo ammiravo molto, sin da quando ero ragazzino. Non so per quale motivo ma mi aveva preso in simpatia e mi faceva andare spesso con lui… sapete, non è che mio padre fosse molto attento con me: mi vuole bene, certo, ma non abbiamo mai avuto un grande affiatamento. E’ mio fratello maggiore Andrej il suo pupillo dato che i loro caratteri sono simili. E poi io ero destinato al clero… in genere ai secondogeniti si cerca di non affezionarsi troppo.”
“Non è una bella cosa… e vostra madre?”
“E’ morta nel mettermi al mondo, chissà forse è stato anche questo ha creare il distacco con mio padre, ma in ogni caso non importa – scrollò le spalle lui – il Patriarca è sempre stato buono con me. Mi ha insegnato tantissime cose, sebbene avessimo delle idee spesso divergenti. Ma lui ha sempre rispettato la mia opinione, anche se spesso lo faceva per indulgenza, lo so bene.”
“E poi siete molto legato a vostro cugino e a Derekj…”
“Una famiglia alternativa? – propose lui – Probabile…”
“Non è poi così sbagliato crearsene una quando quella vera proprio non fa per noi…”
“E proprio per questo motivo si cerca di tenere strette a sé quelle persone, no? – lui la guardò di nuovo con comprensione – Kain è in un brutto momento per via di Kora, signora. E si capisce bene che il vostro legame è forte… non credo che meriti il vostro astio.”
Ancora una volta Riza si irrigidì, ma non cercò di evitare il discorso. Certo la questione del tatuaggio era ben differente e chissà se quella spaccatura si sarebbe mai potuta risolvere. Però c’era la questione di Kora che era stata l’inizio di tutto quanto.
“Volete bene a vostra sorella?” chiese con serietà.
“Mi preoccupo per lei, è diverso – rispose Michael con altrettanta sincerità – sua madre me la ricordo appena dato che pure lei morì di parto. Forse un po’ di empatia con lei ce l’ho per questo motivo… ma lei e Kyril sono cresciuti separati da me e mio fratello. Insomma, la loro madre era la sorella dell’Autarca e mio padre teneva questo in grande considerazione. Ma più che amarli credo che li adorasse e questo è molto differente: per quanto distratto l’amore di un padre lo conosco e non è per niente simile a quello che ha dato ai gemelli. Loro stavano soprattutto con Sarah, la loro levatrice: erano comunque di sangue Drachvoic, della famiglia reale, e dunque dovevano essere educati nell’immunizzazione delle droghe. I primi otto anni sono i più delicati da quanto ne so.”
“Kora mi ha drogato qualche giorno fa – confidò Riza – non credo fosse nelle sue intenzioni farmi davvero del male, ma… è assolutamente inconcepibile che usi queste sue doti per un capriccio.
“Vi ha drogato? – Michael le rivolse completa attenzione – dannazione, che stupida ragazzina! Eppure sa benissimo che con queste cose non si scherza. Mi dispiace tanto, signora: posso solo sperare che la droga non vi abbia fatto troppo male… Kora a volte non si rende conto delle dosi che usa. Crede che siccome a lei non fa effetto allora la quantità sia irrilevante.”
“Ho passato una mezz’ora poco piacevole, lo ammetto, ma il giorno dopo era tutto finito. Il tenente Fury mi ha… mi ha fortunatamente dato una mano.” lo disse con sincerità perché in fondo era vero: i suoi confusi ricordi parlavano di un Kain tra i più premurosi mentre cercava di portarla a letto e la rassicurava come poteva, cercando di non far trapelare le proprie paure.
Se solo non avesse scoperto la mia schiena…
“Kain lo sa?”
“No, non lo sa, ho preferito non dirglielo.”
“Comunque non si può andare avanti così: ormai il ragazzo è diventato l’arma di Kora, è chiaro…”
“Arma per cosa?” chiese Riza, colta di sorpresa da quella dichiarazione così preoccupata.
“Per la follia di quella sciocca! Cosa spera di ottenere, mi chiedo!”
“Arma per cosa?” chiese ancora la donna, prendendo il monaco per un braccio.
Michael la guardò per qualche secondo, soppesando sicuramente su quanto era il caso di dire su quella che era una chiara questione familiare. Tuttavia Riza non lasciò la stretta: anche se Fury aveva in qualche modo violato la sua fiducia, faceva comunque parte di quella famiglia alternativa che si era creata con tanta fatica, superando persino le sue barriere emotive, e che avrebbe protetto con tutta se stessa.
“Quanto sto per dire non deve uscire da questa stanza – concesse Michael – è una questione molto delicata e non deve diventare di dominio pubblico, sarebbe un vero e proprio disastro. Se la madre di Kyril e Kora fosse stata un’altra nobile non… era la sorella dell’Autarca, la zia di Derekj: lo scandalo potrebbe essere un’arma in più contro chi sta congiurando.”
“Non una parola – promise Riza – ma devo sapere che sta succedendo.”
“Kora non è proprio normale – confidò Michael con un sospiro – ha con molta probabilità una tara genetica che, a volte, compare tra i membri della famiglia Drachvoic. Voi sapevate che, spesso, in passato, si sposavano tra cugini o addirittura fratelli?”
“Ne ho sentito parlare…” annuì la donna, ricordandosi del discorso del principe Ming.
“Kora soffre di emofilia: è una malattia genetica per cui il sangue non si coagula. Anche un graffio può provocarle dei gravi problemi. Questo ha fatto sì che sin da piccolissima ci fosse su di lei grande attenzione, ma nonostante tutto questo sono innumerevoli le volte in cui si è provocata ferite da sola. Non per tentare di suicidarsi… lei… traeva estremo piacere nel vedere le persone attorno a lei andare nel panico. E che importava se stava morendo dissanguata? La vedevi lì, con quel sorriso beato, nonostante la debolezza, quasi a ridere di noi poveri sciocchi che ci dannavamo per farla sopravvivere.”
“Cielo…” scosse il capo Riza,  trovando un simile comportamento perfettamente in linea con Kora.
“Con le droghe poi ci andava matta: non so quanti membri della servitù abbiano avuto malori perché lei voleva collaudare gli effetti, per puro gioco. E sto parlando di quando era ragazzina. Per lei il gioco preferito era far andare nel panico la gente, non c’erano dubbi. Col passare del tempo sembrò darsi una regolata… cielo, che idioti siamo stati a pensare questo! Non avevo idea che andando in monastero avrei lasciato una famiglia nell’orlo del baratro!”
“Che è successo?”
“Me ne accorsi quando tornai a casa dopo il mio primo anno in convento, non mi ricordo nemmeno per quale occasione. Mi alzai la notte perché non riuscivo a dormire, abituato ormai com’ero al monastero, così decisi di scendere in biblioteca per leggere qualcosa. Il corridoio passava davanti alle stanze di Kora e vidi che erano socchiuse e la luce accesa… ne rimasi sorpreso visto l’ora tarda e così sbirciai, con l’intenzione di chiuderle subito…”
“E cosa ha visto?”
“Eravamo sempre e solo preoccupati per i colpi di testa di Kora, per le sue follie. Pensavamo che, al contrario, Kyril fosse un ragazzo a modo. Sempre calmo, composto, studioso, tranquillo… adorabile in una sola parola. L’unico a cui Kora dava un minimo di ascolto.”
“Lui non…”
“Lui teneva Kora in piedi contro il muro, con la camicia da notte alzata, e si stava accoppiando con lei. Mi rifiuto di usare la parola sesso o amore… e non perché sono un monaco. Ma perché in quella scena c’era un qualcosa di rivoltante ed animalesco, lo giuro! Sì, signora… sono gemelli e chissà quante volte sono andati assieme. Adesso inizia a capire?”
“Il fidanzamento di Kyril…”
“Appunto – annuì Michael – Kora è uno spirito fuori controllo, ma Kyril è invece razionale e sa quando e come fermarsi. Forse per lui è stato un gioco o uno sfogo, non voglio nemmeno pensare che cosa gli sia passato per la testa! Forse è semplicemente il sangue Drachvoic che a volte salta fuori nella sua parte peggiore, non lo so. Da quanto ho capito questa folle relazione è finita… ma Kora non è disposta ad accettarlo.”
“Sta usando Fury per far ingelosire il gemello?”
“Queste sono le sue intenzioni. All’inizio pensavo che il ragazzo fosse solo un temporaneo trastullo, ma gli ultimi eventi hanno messo la cosa sotto un’altra luce. Sono gesti troppo plateali, come quello del ballo: Kora vuole far vedere a Kyril che ha una strana forma di relazione seria. Fosse stato un nobile di Drachma la cosa forse non avrebbe avuto il medesimo effetto… ma con un soldato straniero, oh sì che ottiene attenzione!”
“E quando ho cercato di troncare la cosa mi ha voluta avvertire con quella droga.”
“I miei giochi non sono per niente infantili.”
Ecco spiegata quella frase, all’apparenza così insensata e spavalda. Ma era la pura verità: non era la ragazzina che non vuole essere privata del giocattolo… era la donna che non vuole che niente si metta in mezzo al suo piano per riprendersi ciò che è suo.
“E Kyril cosa ne pensa di tutto questo?” si sforzò di stare calma.
“Quando lo interrogai in merito mi disse che era stato solo un gioco e che non si sarebbe più ripetuto – scrollò le spalle Michael – ma parlo di anni fa. E’ anche vero che sono due personalità completamente diverse e dunque Kyril forse può essere affidabile… del resto sarebbe tipico di Kora: mostrarsi estremamente gelosa anche per una storia già terminata da tempo.”
“Del resto il fidanzamento di Kyril è recente e dunque può aver risvegliato una gelosia latente.”
“Probabile… ecco perché le dico di fare attenzione, signora – mormorò Michael – Kain non ha la minima idea di che folle sia Kora, è chiaro. Vuole vederci i lati positivi, quelli della ragazza sperduta e particolare, ma non sa che lucida follia possiede. Tenetelo alla larga da lei.”
E c’era un tono davvero preoccupato in quella voce.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17. Uscire dallo stallo ***


Capitolo 17.
Uscire dallo stallo



Dopo quella chiacchierata che Riza ebbe con Michael, fu come se il tempo avesse deciso di cristallizzarsi: i giorni passavano senza che le indagini portassero a qualche punto di svolta. Le casate sospettate erano sempre sei e nessun indizio permetteva di escluderne qualcuna; allo stesso tempo Roy non riusciva a fare passi avanti nello studio di quella forma di alchimia che aveva ucciso il Patriarca. Aveva persino provato a manipolare lui stesso la neve e l’acqua, ma non aveva avuto nessun successo: come se l’elemento opposto al fuoco si rifiutasse categoricamente di collaborare con lui.
“Merda!”  sibilò proprio questi, la mattina di otto giorni dopo, lanciando con disgusto una manciata di neve lontano dal davanzale della finestra. Prima gli era stata indifferente, persino piacevole, ma adesso iniziava ad odiarla con tutto se stesso: falsamente morbida, viscida, pronta a sciogliersi e a sfuggirgli di mano proprio come la situazione in cui era coinvolto. Per quanto cercasse di dimostrarsi tranquillo con il resto della squadra, iniziava a capire che quella missione era più difficile del previsto e che la loro situazione di prigionia poteva protrarsi più del previsto.
Perché è inutile negarlo, siamo prigionieri!
Derekj spesso passava a trovarlo o lo convocava e gli chiedeva dell’andamento delle indagini: si mostrava sempre disponibile, pronto a fornire dei mezzi e degli uomini, ma si capiva che pure lui era impaziente di venire a capo della faccenda. E aveva tutte le ragioni del mondo.
Havoc e Breda andavano spesso giù nella città e il popolino, per quanto relativamente tranquillo, iniziava a mormorare che forse il loro dio non era favorevole all’avvento del loro signore, considerato quello che era successo al Patriarca. Il funerale di quest’ultimo si era svolto due giorni prima, con grande commozione da parte di tutti quanti, ma anche con notevole clamore. Purtroppo la voce che non era stata una morte tranquilla aveva iniziato a serpeggiare, sebbene le versioni fossero le più disparate: del resto era prevedibile che qualche cosa riuscisse a filtrare oltre alla versione ufficiale data dalla corona.
Insomma siamo seduti sul coperchio di una pentola d’acqua che sta sopra un fuoco continuamente alimentato. Quanto ci vorrà prima che il troppo bollire la faccia esplodere?
Tornò alla scrivania e prese uno dei tanti fogli che vi erano sparsi: automaticamente con la penna tracciò il suo cerchio alchemico, rifugiandosi in quei tratti così familiari, come se da essi potesse ricavare la risposta sulla strana forma di manipolazione degli elementi che aveva visto operare solo una volta e di cui conosceva bene gli effetti.
Che aspetti? – chiese mentalmente al suo misterioso avversario – perché sei sparito dopo aver compiuto quell’assassinio? Che cosa stai tramando? Eppure hai il campo d’azione completamente libero… perché non hai ancora ucciso l’Autarca?
“O forse ti serviva solo prendere tempo? – propose, giocherellando con la penna per colorare l’interno della salamandra – adesso che il Patriarca è morto devono aspettare che venga nominato il nuovo e ci vorranno settimane, se non mesi. Del resto mi pari una mente molto raffinata…”
Continuò a riflettere per diverso tempo, cercando di entrare nella mente del suo fatidico avversario, cercando di dargli un volto, una personalità, di renderlo meno effimero di quanto fosse in quel momento.
Non si accorse nemmeno che qualcuno aveva bussato ed era entrato e dunque quasi sobbalzò dalla sedia quando una voce lo salutò con cortesia.
“Dannazione – ammise con un sorriso vergognoso – sei la mia guardia del corpo, tenente colonnello, se mi fai morire d’infarto resti senza lavoro.”
“Signore, lei dovrebbe stare più all’erta – dichiarò Riza con rimprovero, portandosi accanto a lui – non si dimentichi che è in territorio ostile e che deve fare estrema attenzione considerato che in giro c’è un potenziale assassino che…”
“Sì, sì, lo so… ti prego, evita di farmi la predica. Almeno a Drachma cerchiamo di apparire come persone serie e laboriose.”
“Io lo sono sempre, generale – ribadì la donna – al contrario di qualcun altro.”
I due si fissarono per qualche secondo e poi un complice sorriso non poté fare a meno di uscire: era sempre bello poter godere di quei momenti di intimo affiatamento, quelli dove mostravano di conoscersi davvero bene a prescindere dai gradi che li separavano. In quegli ultimi giorni Roy aveva notato come la donna si fosse in parte rilassata: in cuor suo sicuramente aveva iniziato a capire che la reazione che aveva avuto con Fury era stata esagerata e che poteva fidarsi di lui. Certo, il tenente restava ancora confinato nei suoi alloggi e sotto stretta sorveglianza, ma dopo quello che era venuto fuori a proposito di Kora Esdev era forse la soluzione migliore per lui: almeno era fuori dalla portata di quella piccola psicopatica.
Già, ci mancava solo lei a complicare le cose… spero che abbia capito che deve starsene alla larga.
“I ragazzi mi hanno appena fatto rapporto – spiegò Riza – ancora niente, ma anche stasera continueranno le loro indagini: Falman è sicuro che prima o poi le ricerche nella biblioteca dell’Accademia porteranno a qualcosa di buono.”
“Metti Falman davanti ai libri e lui vedrà tutto con grande ottimismo – sentenziò Roy con un sorriso – è lo stesso che dare ad Havoc una sigaretta o offrire un buon pranzo a Breda. Adoro i miei ragazzi anche per questo: sono molto prevedibili in certe cose… con Fury puoi anche puntare su più punti: radio, cuccioli, cioccolato, abbiamo ampia scelta. Ci hai parlato?”
Riza fece una lieve smorfia, ma il suo viso non si contrasse come i primi giorni successivi all’incidente, quando la sua espressione diventava gelida ed impenetrabile.
“No, signore, non ancora… e lei?”
“No, non dimenticare che sono tenuto abbastanza sotto controllo e non sarebbe saggio parlare con quello che comunque è uno dei testimoni chiave del teatrino che è stato ufficialmente montato in favore dei più scettici. In ogni caso… insomma ti senti meglio a proposito della questione?”
“Meglio – sospirò lei, riflettendoci per qualche secondo, ma non evitando l’argomento – non lo so… è una parola grossa meglio, ma effettivamente sto decisamente più calma rispetto a prima. Ammetto di aver perso il controllo e non è stato da me.”
Gli occhi castani si abbassarono con imbarazzo, la grande e marziale Riza Hawkeye che ammetteva di aver sbagliato. Roy la osservò, trovandola incredibilmente adorabile quando abbandonava quella scorza dura per lasciar trasparire la donna vulnerabile. Lui l’aveva vista diverse volte piangere, soffrire… ogni volta aveva avuto una fitta al cuore nel trovarla in simili condizioni. Eppure si era sentito anche privilegiato nel poter essere l’unico con cui si era lasciata andare. Riza era così: diversa da tutte le altre donne che aveva incontrato e con cui, occasionalmente era stato. Chiara e limpida, eppure un mistero… proprio come la ragazzina appena uscita dall’adolescenza che aveva svelato di essere la custode di una delle più potenti alchimie del mondo.
Com’è la tua schiena? Come si sono cicatrizzate quelle ferite? La tua pelle è ancora così perfetta dove il fuoco non l’ha lambita?
“Signore?” lei lo richiamò ancora una volta alla realtà.
“Perdonami…” mormorò.
“Per cosa?”
“Perché… eri svenuta quando… continuavo a chiederti scusa dopo che avevo… ma tu non mi sentivi, non…”
Si diede dello sciocco e scosse il capo con aria di scusa.
“Non c’era niente da perdonare, generale – rispose la donna con voce morbida – è stata una mia deliberata scelta. E non smetterò mai di ringraziarla per avermi esaudita, permettendomi di poter ricominciare.”
Rimasero a guardarsi per qualche secondo ancora, chiedendosi come sarebbe stato se si fossero lasciati andare. Se avessero permesso ai loro cuori di andare oltre i gradi, le regole anti fraternizzazione, ma soprattutto quella barriera che in qualche modo avevano eretto con la guerra di Ishval.
Poi Riza fece un sorriso di scusa e con un rapido saluto prese congedo.
“Tuo padre forse avrebbe capito – disse Roy, quando ormai lei era alla porta – forse sarebbe arrivato alla soluzione di questo enigma da subito.”
“Mio padre forse avrebbe capito – ammise la donna con serietà – ma il prezzo che ha pagato è stato davvero alto. Sono felice che lei non abbia risolto l’enigma da subito… perdoni la franchezza, signore.”
Roy annuì, ricordandosi lo sguardo febbrile del suo maestro: quegli occhi azzurri consumati dalla ricerca che non si erano rivolti che poche volte verso una figlia bisognosa d’amore. No, un prezzo simile non l’avrebbe mai voluto pagare, così come non avrebbe mai voluto pagare quello di Edward Elric.
L’ossessione non si deve impossessare di me… è questa la chiave della vittoria.
Qual era l’ossessione del suo misterioso avversario? Quella sì che era un’interessante domanda.
 
“Oh, suvvia, non mi piace vedervi così tristi, soprattutto te, Heymans!” Karla posò il vassoio sul tavolo e si sedette in grembo a Breda, cingendogli con affetto le braccia attorno al collo.
“Lascia stare, bambina – rispose Havoc, prendendo il boccale di birra e bevendone una generosa sorsata – i problemi dei soldati sono sempre complicati.”
“Drachma o Amestris voi soldati non cambierete mai – ridacchiò la cameriera – oh suvvia, Heymans, non essere geloso, ti prego. Finché sarai qui ti prometto assoluta fedeltà… tutti gli altri mi annoierebbero a letto dopo che sono stata con te.”
“Accidenti, amico mio! – commentò Havoc, con un’occhiata maliziosa – tu sì che sai come fare felice una donna. E per esperienza quelle come la nostra cara Karla sono parecchio esigenti.”
“Semplicemente abbiamo diverse storie alle spalle e quindi un buon metro di giudizio – ritorse lei – al contrario di qualche verginella che non sa cosa aspettarsi la prima notte di nozze. Io sono come una giovane Vinkin: la migliore razza che si possa trovare!”
“Vinkin? Una delle famiglie del nord?”
“Sì, mio bel soldato biondo: le donne sono la fortuna di quella famiglia, è risaputo! Piccole, brune, ma furbe e scattanti come furetti a letto! C’è chi ha soldi o prestigio, ma i Vinkin hanno una ricchezza ben più grande: sapete, si vociferava che l’Autarca avesse tutta l’intenzione di prendere in sposa una figlia del barone Vinkin. Però è sempre stata solo un pettegolezzo… anche perché non sono proprio tra le famiglie più potenti e ci si aspetta che l’Autarca abbia una moglie di prestigio.”
“La moglie del precedente Autarca di che famiglia era?”
“Laviden, signore! Beh, era nientemeno che la nipote del Patriarca se non è prestigio quello!”
“La storia è interessante, Karla – Breda le accarezzò i capelli scuri – e sentiamo… si vociferava di questa ragazza Vinkin. Invece chi sarebbero le famiglie di prestigio che avrebbero interesse a far sposare la propria figlia con il nostro nuovo Autarca?”
“Beh, teniamo conto che la figlia del duca Esdev è cugina di primo grado di Derekj, quindi lei no… per il resto solo i Tojanev hanno una figlia dell’età giusta. Tutte le altre famiglie, da quanto ne so, hanno donne o già maritate o troppo piccole per pensare al matrimonio. Ma i Vinkin… oh beh, loro sperano sempre di avere figlie femmine piuttosto che maschi – ridacchiò – mi piace quella famiglia, in fondo dà a noi femmine un’importanza che spesso ci viene negata! E tu, Heymans, mi ritieni importante?”
“Se vuoi te lo faccio scoprire questo pomeriggio in camera da letto…” le sussurrò lui all’orecchio.
“Sarà un discorso davvero interessante!”
“Ehi, Karla! Sei a lavoro, ragazza! Vieni a darmi una mano con i tavoli!”
“Il dovere chiama – sospirò lei, alzandosi dal grembo del rosso – ci vediamo, ragazzi miei!”
Breda la guardò allontanarsi con un sorriso furbo e malizioso che non poteva fare a meno di aleggiargli sulle labbra, ma poi tornò a rivolgersi ad Havoc che, intanto, trangugiava la sua birra con entusiasmo.
“Interessante come pettegolezzo, non credi?”
“Dici?” fece il biondo con aria distratta.
“Dico sì – annuì ancora – del resto mi pare di capire che le alleanze matrimoniali hanno un determinato peso. Se è vero quello che ci ha detto Karla allora direi che abbiamo una nuova pista da seguire.”
“Dovremmo prima trovare conferma su quanto ci ha detto – scrollò le spalle il biondo – ci vai tu da quel biondino a chiedergli chi preferisce scoparsi? Però se quello che ha detto Karla è vero, io punterei sulla Vinik o come cavolo si dice.”
“Vinkin… Vinkin e Tojanev: beh, in mancanza d’altro direi di parlarne con il generale e vedere se la traccia che abbiamo trovato vale la pena di essere seguita, non credi?”
 
In quel medesimo momento, Falman invece di fare affidamento su quanto dicevano le cameriere della taverna della città, si basava sulla sua memoria e sulla sua capacità logica.
Si trovava già da diverse ore all’Accademia: il barone Vinkin, la cui famiglia era stata tanto citata da Karla, si era dimostrato altamente disponibile e così gli aveva procurato un angolo appartato della grande biblioteca dove poter svolgere le sue ricerche.
A dire il vero il capitano aveva posto la sua attenzione su diversi fronti: la prima cosa che aveva fatto era stata quella di cercare eventuali spunti per capire l’alchimia di quel paese, se mai ne esisteva una. Però, come era prevedibile, testi di questo genere non esistevano o nel caso erano stati cancellati dalla religione di stato che tanto era contro questa pratica.
Di conseguenza, rassegnato dal fatto che, sotto quel punto di vista, il generale Mustang se la sarebbe dovuto cavare da solo, aveva spostato la sua ricerca sulle decine di volumi relativi alle famiglie nobiliari di Drachma, intenzionato a scoprire quali precedenti storici potessero far pendere il piatto della bilancia verso un determinato sospettato.
E proprio in quel momento, davanti alla cartina di Drachma*, con la divisione delle provincie, si stava dando mentalmente dello stupido per non aver pensato prima ad un dettaglio di fondamentale importanza.
“Ma certo! Ci sono stati dei morti anche a Briggs! – mormorò – e ci sono solo due provincie che confinano con Amestris!”
Una era quella di Alexand Anditev e l’altra… oh beh, sulla famiglia che governava l’altra Vato Falman sapeva più di qualcosa. Ancora una volta i ricordi tornarono prepotenti alla memoria: sepolti da anni, certo, una storia ormai vecchia e archiviata, ma era come se il destino l’avesse di nuovo messo davanti a quelle persone.
“Perché un passaggio segreto attraverso i monti di Briggs è un segreto di famiglia che viene gelosamente custodito, vero famiglia Tojanev?”
Recuperò i fogli dove aveva annotato alcuni dati ed effettivamente c’era da chiedersi come mai i sospetti non fossero subito caduti su di loro. Era la famiglia più ambigua di tutta la nobiltà di Drachma, sebbene mai nessuna accusa ufficiale fosse stata rivolta contro di loro. Erano stati annessi al regno verso il X secolo e si erano dimostrati subito maestri nelle raffinate arti della diplomazia, persuasione e soprattutto spionaggio. Per diverso tempo l’Autarca disponeva di una fidata spia Tojanev al suo fianco, proprio come aveva un personale corriere Esdev.
“Però non sono mai arrivati al vertice del potere…” Falman controllò ancora l’elenco di tutti gli Autarca che si erano succeduti nel corso dei secoli. Qualche volta la moglie del sovrano era di cognome Tojanev, ma niente più.
Che stiano tentando il colpo a questo giro?
Però c’era qualcosa che non tornava: una famiglia che basava il suo potere e prestigio proprio per la fama di essere particolarmente astuta sicuramente aveva avuto diverse occasioni nel corso dei secoli.
Qui ho bisogno di avere conferme esterne…
Ma era comunque un ottimo traguardo quello appena raggiunto.
 
“I Tojanev, eh? Ammetto che pure io mi ero fatto qualche domanda in merito…”
Roy squadrò con attenzione Derekj che si era alzato dalla sedia ed era andato davanti alla grande cartina di Drachma che stava nel suo studio privato. Osservandola, e notando quindi la divisione delle varie provincie, il generale si diede davvero dello stupido, proprio come aveva fatto Falman: era un dettaglio a cui dovevano pensare da subito; era chiaro che le famiglie che confinavano direttamente con Amestris avevano più possibilità di essere coinvolte.
“I sospetti ci sono – dichiarò – e sarebbe utile sapere se sua grazia è davvero impegnato con una fanciulla Vinkin. Da quanto ho capito è una notizia che non ha alcuna ufficialità.”
“Sì, c’è una fanciulla che ha ottime possibilità di diventare mia moglie – ammise Derekj scrollando le spalle con un sorriso – non ci siamo mai frequentati ufficialmente, ma è innegabile che ci sia affiatamento. Ovviamente con la morte di mio padre e quanto ne è conseguito ho preferito aspettare che ci fosse la mia incoronazione prima di prendere impegno serio, ma a quanto pare la cosa non è sfuggita a qualcuno.”
“La fortunata sta bene? Non ha subito minacce o altro in questi delicati giorni?”
“La fortunata sta benone nella capitale della sua provincia. Non era presente nemmeno al ballo, se proprio vogliamo dirla tutta: semplice prudenza, mettiamola così… ed ho fatto più che bene a quanto pare, sempre che questa teoria sia giusta.”
“La ragazza Tojanev non vi ha mai fatto avances sotto quel punto di vista?”
“No, assolutamente, ma non c’è da restarne sorpresi: con la mia figura non ci si può permettere gesti troppo plateali, si rischia di attirare l’attenzione delle altre famiglie, capite? Comunque da quanto mi è stato dato di capire, Lidia Tojanev si è fidanzata ufficialmente con mio cugino Kyril.”
“Ah, quindi è lei la fidanzata di Kyril Esdev – commentò Roy, ricordandosi quanto gli aveva confidato Riza diversi giorni prima – notevole.”
“Prego?”
“No, niente – dissimulò lui, capendo che Michael non aveva confidato quel segreto di famiglia nemmeno al suo signore – è curioso come tutte le famiglie siano collegate tra di loro.”
“E’ più che normale a Drachma –sorrise Derekj – ammetto che per un estraneo la cosa può sembrare un po’ frastornante. Ma alla fine tutto ruota intorno a circa un centocinquanta persone legate tra di loro da parentele più o meno alla lontana. Comunque risponderò anche ai dubbi che ha il vostro sottoposto circa il fatto che i Tojanev non hanno mai tentato la scalata al potere: semplicemente abbiamo bisogno di loro, ma nessuno si fida veramente, sono troppo propensi ai sotterfugi.”
“Non è certo una novità, vostra grazia – commentò il generale – del resto voi sapete giocare ai sotterfugi in maniera più che eccellente.”
“Sì, ma loro lo fanno troppo, con la variante che non si espongono mai apertamente. Insomma, è risaputo che dietro molti tentativi di colpi di stato ci sono loro, però non c’è mai uno straccio di prova. Preferiscono stare dietro le quinte… ma è anche vero che una volta al potere difficilmente avrebbero la lealtà della maggior parte delle casate. Guardate la loro posizione – indicò la cartina – si trovano tra la provincia di Alexand e quella degli Shintenov, loro ostili da tempo immemore: geograficamente sono davvero svantaggiati, capite? Non possono permettersi una guerra per tradimento.”
“Quindi, a conti fatti, questo fidanzamento della ragazza con Kyril Esdev può essere solo una copertura – sentenziò il generale – un modo per far capire che loro non erano davvero interessati a farla sposare con voi e quindi tirarsi fuori da quei sospetti.”
“Potrebbe essere più che plausibile – Derekj si mise a braccia conserte – però resta la problematica del pazzo che usa quei poteri: se non scopriamo chi è resta una tremenda falla in tutte le indagini… bisogna capire se è un Tojanev, qualcuno assoldato da loro… se è di Drachma, se è di Amestris o chissà di dove. Quello che è certo è che una mina vagante simile non può continuare a circolare impunemente.”
“E questo mi porta a chiedere a vostra grazia una gentile concessione – colse la palla al balzo il moro – come ben sapete l’alchimia è considerata eresia in questo paese. Ecco… non è che c’è qualche libro proibito o qualcosa di simile che parla della religione antica o comunque di eventuali rituali…”
“Michael vi vorrà mettere al rogo solo per aver posto una simile domanda…” sorrise ironicamente Derekj.
“Però potrebbe essere utile dare un’occhiata ad eventuali testi…”
Con un sospiro, l’Autarca andò alla sua scrivania e suonò un campanello.
Immediatamente un giovane servo fece la sua comparsa, chinandosi deferentemente davanti al suo signore.
“Vai a chiamare Michael Esdev e il barone Anditev – ordinò questi – devo parlare urgentemente con loro.”
 
Mentre Roy aspettava di vedere l’esito di quell’incontro, Fury dormiva nel suo letto.
Era diventato molto letargico negli ultimi giorni, forse in conseguenza al dover stare confinato in quella stanza. Avrebbe tanto voluto partecipare alle indagini, aiutare i suoi compagni, ma sembrava che non gli fosse concesso nessuno sconto di pena nemmeno in quella situazione. Si era dovuto accontentare di dare loro le ricetrasmittenti, sperando che fossero in qualche modo utili: diverse volte era tentato di mettere la sua e tentare di collegarsi con gli altri… ma la paura di indisporre ulteriormente il tenente colonnello l’aveva portato a più miti consigli e così l’apparecchio elettronico giaceva al sicuro in fondo alla valigia.
Quella sera tuttavia era agitato: forse quello che aveva mangiato a pranzo non era stato digerito bene; continuava a rigirarsi, cercando quel sonno profondo che proprio non ne voleva sapere di arrivare. Ogni tanto apriva gli occhi in uno strano stato di dormiveglia, ma non riusciva a capire dove finisse il sogno ed iniziasse la realtà.
“Sssh, non dire niente…” una voce gli sussurrò questa frase all’orecchio.
“Che…?” cercò di svegliarsi lui.
“No, non opporre resistenza – delle labbra dolci si posarono sulle sue e contemporaneamente sentì un peso salirgli sopra la pancia, accompagnato da uno strano profumo dolciastro ed inebriante – va tutto bene, soldatino… tutto bene…”
Delle mani fresche presero ad accarezzargli il viso ed i capelli, levandogli gli occhiali. Fury dentro di sé capiva che c’era qualcosa che non andava, ma era come se tutto il suo corpo si rifiutasse di tornare alla realtà e di reagire con forza a quella persona che stava sopra di lui.
Questa voce… questa voce… io la conosco…?
“Sssh – mormorò ancora la persona, baciandolo sulle labbra – non puoi svegliarti… non puoi…”
“T… tenente?” ansimò con disperazione, cercando di muovere le braccia verso l’alto.
“Oh no, piccolo soldato – di nuovo un bacio e questa volta le labbra umide scesero sul collo, fino alla camicia della divisa – lei non c’è… lei proprio non c’è…”
“No… no dai…” aprì gli occhi, ma vide solo colori sfocati… colori molto chiari tra il rosa ed il giallo, ma sopratutto due nitide pozze azzurro chiaro. Durò solo per un secondo, poi le palpebre divennero troppo pesanti e fu costretto a chiuderle, mentre il suo corpo subiva passivamente quelle attenzioni.
Era tutto stranissimo… bello ma estraneo, ma con un senso di sbagliato incombente perché lui capiva solo in maniera vaga quello che stava succedendo. Le sensazioni gli arrivavano ad intervalli irregolari, forti ed intense e ad esse si aggiungeva uno strano senso di nausea che però restava latente.
“Fai fare tutto a me…” la voce era cantilenante, con quel fastidioso senso di presa in giro che lui ricollegava a qualcuno ma che non riusciva a riportare alla memoria.
Sentì che i bottoni della camicia gli venivano aperti e poi quelle labbra roventi scesero nel suo petto lasciando una scia di fuoco.
“Mmhg…” serrò gli occhi con ancora più forza, non riuscendo ad accettare del tutto quello strano piacere.
“Stupidino, scommetto che non sei mai stato con una donna, eh?”
No, Fury non era mai stato con una donna… si chiese se era quello che stava accadendo in quel momento, ma non riusciva a capirlo davvero. E nel caso non doveva essere così.
Ma mentre la sua mente sfrecciava in questi assurdi pensieri, qualcosa dentro la sua biancheria pulsava con prepotenza, chiedendo di essere liberata. Una parte così intima ed… imbarazzante che non sapeva nemmeno come…
“Tranquillo… la droga non ti rende inerte fino a quel punto…”
Quelle mani erano rapidissime, andarono ai suoi pantaloni e li slacciarono, penetrando poi dentro la sua biancheria ed afferrando il suo membro con delicata forza.
“Ah…!” gemette, inarcando la schiena.
“Ecco, dai goditela anche tu… andrà tutto bene, soldatino, rilassati…”
Altri movimenti indefiniti, ma era impossibile provare a ragionare: il suo corpo era fuori controllo e decideva di recepire solo determinate sensazioni, quelle che avevano la capacità di fargli annebbiare completamente quel poco di lucidità che gli restava.
E poi all’improvviso sentì il suo membro venir afferrato… un peso gli scese sul grembo e la sensazione fu di caldo e morbido. Sentì tutto il suo corpo avvolto da una scarica elettrica, mentre iniziava un movimento lento e regolare… su e giù, su e giù… una, due… quante volte? Ma ciascuna era più bella dell’altra e lo faceva impazzire di piacere, escludendo persino il senso di malessere.
Ad un certo punto, riuscì ad ottenere collaborazione dalle braccia e tentò di andare a cercare la fonte di quel piacere. Ma subito venne bloccato: il dolce peso si spostò anche sul suo petto e qualcosa di morbido gli solleticò le narici.
“No, non abbiamo ancora finito – sussurrò la voce al suo orecchio – tu devi stare solo fermo e lasciare fare a me, soldatino… dovresti essere felice… ti sto regalando il più bel momento della tua vita!”
“Kora?” la chiamò con disperazione.
“E anche se fosse? Ti importa? Sei solo mio in questo momento...”
“Noi non… non…”
Stupido, pensavi davvero che bastassero delle guardie alla porta per fermarmi?”
“Non… non…” cercò di divincolarsi, ma quel piacere lo teneva imprigionato.
Dovette cedere del tutto davanti a quei movimenti che lo torturavano in maniera così deliziosa.
E quando raggiunse l’apice del piacere qualche minuto dopo, era completamente privo di lucidità, tanto da non sentire più nemmeno la voce di lei.
 
Ignara di quello che stava succedendo, poche stanze accanto alla sua, Riza guardava la finestra e si torceva le mani con estremo dubbio. I giorni passavano e lei vedeva il generale struggersi alla ricerca del segreto dell’alchimia sconosciuta.
Una situazione simile la destabilizzava più di quanto avesse mai osato credere perché, incredibilmente, si sentiva in difetto: le sembrava di non avergli dato tutti gli strumenti necessari, che nella sua schiena ci fossero sin da principio delle lacune che adesso lo stavano mettendo in difficoltà.
Era un ragionamento davvero stupido: lei era la prima a sapere che gli alchimisti, sebbene studiassero dei principi comuni, tendevano comunque a specializzarsi in manifestazioni del tutto diverse tra di loro.
Però…
Però c’era quella brutta sensazione che continuava a disturbare il suo sonno e proprio non riusciva a farsela passare.
Le mani smisero di torcersi e si avvolse le braccia attorno al busto, proteggendosi da un freddo che andava ben oltre quello che imperversava fuori dalla finestra. Con rabbia andò ad accostare le pesanti tende di velluto e poi si diresse verso il bagno, premurandosi di chiudere la porta a chiave.
Si portò davanti al grande specchio che stava davanti al lavandino, fissandosi impassibile per qualche minuto. Poi, con mosse decise iniziò a sbottonarsi la giacca della divisa: l’indumento cadde a terra, seguito dal maglione nero e dal reggiseno.
Rimase così, portandosi pudicamente le mani al seno, nonostante fosse sola in quel bagno.
Poi, con un sospiro, volse la schiena allo specchio e girò la testa in modo da poter sbirciare il riflesso.
Era raro che compisse un gesto simile: nelle prime settimane dopo che le era stata bruciata l’aveva fatto spesso, non solo per controllare le ferite, ma anche perché… era comunque sconvolgente rendersi davvero conto che la propria pelle non sarebbe più tornata come prima. Aveva visto giorno dopo giorno quelle ferite rimarginarsi, lasciando però la nuova pelle in rilievo e con uno strano colore rossastro che poi, col tempo, si era attenuato.
La sua mano andò oltre la spalla e toccò leggermente la parte alta della cicatrice: il tessuto al tatto era duro, un contrasto davvero forte rispetto alla pelle morbida che lo circondava. Dall’altra, quel punto non aveva la minima sensibilità… come tutta la parte bruciata. Aveva smesso di tirare, di prudere, di fare qualsiasi cosa: era come avere una specie di corpo estraneo di cui alla fine aveva accettato passivamente la presenza.
Gli occhi castani si spostarono quindi sulla parte del tatuaggio ancora integra.
Col tempo il colore si era sbiadito, ma era ancora tutto nitido e perfetto, tanto che allo specchio riusciva a distinguere le lettere delle parole. A volte si sorprendeva nel capire che lavoro certosino aveva fatto suo padre in quella notte: una mano perfetta che, però, non aveva fatto minimamente caso al dolore che stava infliggendo. Il centro della schiena… era stata quella la parte peggiore, specie quando si era avvicinato ai fianchi.
E non mi hai dato nemmeno una pausa… mi dicevi di mordere quella dannata stoffa e poi continuavi. L’unica tua preoccupazione era che io restassi ferma.
Rabbrividì a quel ricordo, ma anche per il freddo che le stava pizzicando la pelle nuda. Questo la indusse a recuperare i suoi indumenti e indossarli di nuovo. Di pessimo umore tornò in camera e si sdraiò sul letto senza troppe cerimonie.
Sì, Fury – pensò – questo tatuaggio è quello dei guanti del generale. Mio padre me l’ha fatto in una notte d’inverno, senza curarsi dei miei lamenti, lasciandomi con questa catena per tutta la vita. Io piangevo e lui nemmeno ascoltava. E quando tu accusi il generale… non capisci che quelle cicatrici sono state l’unica possibilità di libertà che avevo. E che lui fino all’ultimo ha cercato di farmi desistere… ma quella volta sono stata io a decidere di non fare caso al dolore.
“No, soldatino – mormorò dolcemente – anche se un giorno te lo spiegassi, tu non potresti mai capire.”






* per vostra comodità la cartina la trovate qui sulla mia pagina fb.
https://www.facebook.com/297627547093139/photos/pb.297627547093139.-2207520000.1433357343./330121777177049/?type=3&theater

le vicende a cui si riferisce Falman si trovano nella mia fic "The memory man"

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Capitolo 19
*** Capitolo 18. Questione di magnetismo ***


Capitolo 18.
Questione di magnetismo



Havoc entrò nella stanza di Fury con aria accigliata: tra le mani teneva la sua piccola ricetrasmittente che gli stava dando qualche problema. L’idea di aver a che fare con il ragazzo lo sfastidiava: ancora non l’aveva perdonato per quella strana forma di tradimento di cui era colpevole, però era necessario per fare quella riparazione. Il generale gli aveva chiesto di accompagnarlo in una missione speciale quel pomeriggio e dunque era necessario che tutto funzionasse alla perfezione.
Guardandosi attorno notò che il tenente non era visibile da nessuna parte. Il letto era sfatto, le finestre ancora chiuse, come se non si fosse nemmeno preso la briga di far arieggiare l’ambiente.
“Tenente, dove sei?” chiamò con voce calma, mentre si metteva la ricetrasmittente in tasca e la sua mano andava istintivamente alla pistola. Non che non si fidasse di Fury, però sentiva che qualcosa non andava.
Con passo felpato si accostò alla porta del bagno, notando che era socchiusa e la spinse delicatamente in modo da poter sbirciare dentro. Subito rimise la pistola nella fondina e si fece avanti.
“Ehi, nano, ma che ti succede?”
Si inginocchiò accanto a Fury che stava chinato sul gabinetto e vomitava con violenza. Sentendo l’odore di bile capì che non doveva essere la prima volta che rigettava e gli tirò indietro i capelli sudati.
“Fa male…” ansimò il tenente, recuperando il fiato e rimettendosi dritto. Il suo viso era pallido, con dei cerchi scuri attorno agli occhi, privi di occhiali. Era in chiara preda ad un forte malessere e questo spinse Havoc a prendere in mano la situazione. Lo sollevò da quella posizione inginocchiata e lo condusse al lavandino, aprendo immediatamente l’acqua fredda.
“Forza, bevi qualche sorso e sputa… più e più volte, mi raccomando – gli ordinò, tenendolo per le spalle, quasi avesse paura che si accasciasse sul pavimento, date le gambe che tremavano – e poi sciacquati il viso, coraggio. Non pare che ci sia febbre, ma sei messo davvero male. Che ti è successo?”
“Non so – mormorò il giovane dopo qualche minuto di quella terapia – mi… mi sono svegliato che stavo così male. Non… non ricordo.”
“Coraggio, vieni, ti riaccompagno a letto. Forse è il caso di chiamare un dottore, sei uno straccio.”
“La ricetrasmittente? – Fury si sedette sul materasso e notò il piccolo filo che pendeva dal taschino di Havoc – che succedere? Non va più?”
“Lascia stare, pensiamo a te piuttosto: ce le fai a bere acqua? Hai uno sguardo così febbrile… e poi perché hai i pantaloni slacciati e la camicia sbottonata?”
“Eh? – il soldato parve farci caso solo in quel momento – non… non so. Però adesso mi sento meglio, sul serio. Posso vedere?” tese una mano con impazienza, come un bambino che chiede con ansia il pupazzo per potersi tranquillizzare. Davanti a quello strano stato mentale Havoc si trovò obbligato a dargli retta.
Gli diede la ricetrasmittente e lo osservò mettersi a gambe incrociate sul letto ed iniziare a maneggiarla con destrezza, mormorando qualcosa a proposito di un cavetto allentato.
“Fury – gli si sedette accanto – perché hai esitato in quel modo quando si è trattato di difendere il generale?”
Il giovane parve riscuotersi a quella domanda, gli occhi che tornavano in parte presenti. Alzò il viso a fissare il suo superiore, ma poi scosse il capo.
“Mi dispiace, signore, ma non sono autorizzato a parlarne. Però, volevo… insomma, vorrei che vi fidaste ancora di me, sul serio. Non voglio che mi consideriate un traditore.”
“Ma no che non lo sei – ammise Havoc con un sospiro, evitando di prendere una sigaretta per paura di dargli fastidio dopo la crisi che aveva avuto – ma ti stai comportando in modo davvero strano, te ne rendi conto? Siamo tutti preoccupati per questo, anche io: mi sono arrabbiato con te e ti ho anche picchiato, ma lo sai come sono fatto. Kain, siamo amici da anni… mi vuoi almeno dire che ti è successo per stare così male tanto da vomitare?”
“Non lo so – ammise con sincerità – ho fatto uno strano sogno… sa, di quelli che sembrano estremamente veri… io ecco non so se… credo di… mi è parso di… quella… quella battuta che a volte fanno in caserma che – arrossì con violenza – che per un soldato è dura alzarsi la mattina…
“Ti sei fatto una sega nel dormiveglia? – Havoc non poté far a meno di scoppiare a ridere – Fury, niente di preoccupante, sei più maschio di quanto creda! Però vacci piano, nanetto! Se ci vai così pesante da avere reazioni simili devi controllarti! Ah, l’ho sempre detto: dobbiamo trovarti qualcuna con cui sverginarti, benedetto ragazzo! Appena torniamo ad Amestris ci penso io… qui sta diventando un’emergenza e non voglio che diventi un segaiolo incallito!”
“Ma signore!” Fury era paonazzo davanti a quei discorsi.
“Una sera, di nascosto da Rebecca ovviamente, ti porto in un locale e ti trovo una ragazza carina che sarà delicata e gentile. Vedrai che una bella scopata ti fa passare tutto quanto questo malumore! E non essere così imbarazzato: sono esigenze naturali, non puoi andare avanti così!”
“Se lo dice lei…”
“Bravo, nano, così mi piaci – gli arruffò i capelli con soddisfazione, tutta la rabbia che aveva provato per lui ormai svanita – e vedrai che risolviamo anche la storia con il tenente colonnello, promesso. Le indagini proseguono e le tue ricetrasmittenti sono davvero utili come al solito. Forse abbiamo una buona pista, teniamo le dita incrociate.”
“Vorrei poter aiutare di più…” sospirò il moro.
“La signora sta iniziando ad ammorbidirsi, mi pare: forza e coraggio, non ti terrà il broncio a vita. Siamo sempre una squadra e queste crisi passano. Ti posso dare un consiglio? Adesso stattene una decina di minuti a letto e poi fatti un bagno per rimetterti in sesto: mangia qualcosa di leggero e vedrai che sarai come nuovo… e apriti questa benedetta stanza, c’è un’aria viziata tipica di chi la notte si è dato da fare!”
“Ma dai! Signore non… non mi è mai successo di…”
“Sì sì, dicono tutti così – lo prese in giro il maggiore – ci vediamo più tardi, nano. Passeremo a trovarti, promesso!”
 
La missione speciale di cui parlava Havoc consisteva nell’accompagnare il generale a consultare quei famosi libri proibiti di cui aveva parlato il giorno prima con Derekj. Dopo qualche insistenza Michael Esdev aveva ceduto ed aveva ammesso che c’erano effettivamente  alcuni testi che la chiesa aveva ritenuto opportuno occultare. Sulle prime il biondo soldato si era chiesto come mai era stato ordinato a lui e non a Falman di accompagnare il generale, ma come aveva visto che oltre all’Autarca e al monaco era presente anche il barone Anditev, aveva capito che era necessaria una presenza più massiccia che portasse quell’uomo a più miti consigli.
All’ultimo, ed in maniera del tutto improvvisa, anche il principe Shao aveva chiesto di unirsi al gruppo: una simile richiesta aveva provocato un’occhiataccia da parte di Michael che non si aspettava un interesse simile da parte di una persona che la sua famiglia conosceva da anni. Era come se una nuova tegola gli fosse appena piombata in testa.
Tuttavia, per quanto ci fosse questa chiara componente di ostilità, Roy non aveva mancato di notare come il monaco fosse comunque in parte incuriosito da quello che stavano andando a recuperare, in quella zona più remota del monastero. Da un ambiente adiacente la sagrestia, erano passati tramite una porticina ad una ripida scala a chiocciola scavata nella roccia della collina della Cittadella, sicuramente risalente al primo impianto dell’edificio religioso. Da lì erano poi arrivati ad una specie di chiesa sotterranea, con tre navate le cui colonne erano mirabilmente ricavate dalla roccia stessa: lungo le pareti di questo curioso ambiente vi erano dei sarcofagi pregevolmente intarsiati, sebbene la polvere dei secoli ne nascondesse in parte lo splendore. Michael spiegò loro che era in questo posto che venivano sepolti i vari patriarchi che si succedevano nel corso degli anni. Poi, tenendo in mano una torcia, li guidò oltre quel posto, lungo altri cunicoli dove c’erano le sepolture più modeste di monaci che avevano servito con fedeltà la cattedrale: questa volta non c’erano sarcofagi, ma loculi, la maggior parte dei quali contenenti scheletri decorosamente composti, con pochi brandelli dei sai ancora attaccati a quei resti.
“Bella differenza…” commentò Havoc, portandosi una manica al naso per proteggersi da quell’odore di chiuso, muffa e decomposizione.
“Essere sepolti qui è un onore che hanno scelto loro – disse Michael con voce piatta – avrebbero potuto scegliere di essere sepolti presso le loro provincie o nel cimitero poco fuori la cattedrale, ma qui sono proprio sotto di essa e si sentono più vicini a dio.”
“E gli Autarca dove vengono sepolti?” chiese Roy.
“Sotto il palazzo c’è un ambiente simile a quello che abbiamo appena passato – spiegò Derekj – dopo i funerali che si svolgono in cattedrale, i corpi vengono deposti in dei sarcofagi di marmo in modo similare a quello dei patriarchi. Manca ancora molto, Michael?”
“No, mio signore – scosse il capo il monaco – eccoci arrivati.”
Gli altri sbirciarono con curiosità oltre la spalla del giovane, intravedendo una porticina di legno che interrompeva quel corridoio.
“Che succede?” chiese Derekj, notando che l’altro stava esitando.
“Qualcuno è stato qui – mormorò Michael, mentre la mano che reggeva la torcia iniziava a tremare lievemente. I lineamenti del viso si irrigidirono e i suoi occhi scuri si puntarono sulla serratura – la serratura non… qualcuno ha allontanato le ragnatele e la polvere per poterla aprire.”
“Come fai a dire che non è stato…”
“Solo il Patriarca e pochi altri monaci fidati sapevamo di questo posto… c’è solo una chiave per questa specifica serratura ed è quella che ho preso io dallo studio del reverendo Lessand e che ho in mano. Dannazione…”
“Apri questa posta!” consigliò Alexand, sguainando la spada, seguito da Havoc che tirò fuori la pistola, levando la sicura e facendo cenno agli altri di mettersi contro le pareti.
Il monaco tirò fuori una curiosa chiave d’ottone dalla tasca della sua veste e la infilò nella serratura. Si sentì un cigolio mentre gli ingranaggi si muovevano e poi la pesante porta di legno venne spinta e tutti si fecero avanti in quella nuova stanza. Anche questa era stata ricavata dalla roccia, persino gli scaffali dove stavano diversi volumi.
“Sì, qualcuno è stato qui ed ha consultato i volumi – annuì Michael – lo strato di polvere è minimo, mentre su questi altri è molto più spesso. Non mi pare manchi qualcosa…”
“Tu sapevi quanti libri ci sono?” chiese Roy.
“E’ mio compito in quanto assistente del patriarca – spiegò l’altro, toccando con aria perplessa la copertina di uno di quei tomi e notando come ci fosse poca polvere – ma ammetto che sono anni che non vengo qui sotto. Eppure questo ambiente viene aperto solo su direttiva del patriarca e non mi ha mai dato ordine simile in questi anni.”
“La serratura non è scassinata – commentò Havoc – sicuro che non esista copia della chiave?”
“No, che io sappia no…”
“Ma possono averla fatta – ammise Alexand, andando accanto al cugino e prendendogli dalla mano la chiave d’ottone – è una chiave molto particolare, bisogna riprodurla alla perfezione, guarda che dentellatura strana… oppure potrebbero averla presa e poi rimessa a posto. Dove veniva custodita?”
“In un fondo segreto di un cassetto dell’armadietto privato del patriarca. Praticamente inaccessibile.”
“Inaccessibile quanto doveva essere il patriarca stesso – disse Roy, andando a controllare quei volumi – eppure qualcuno l’ha convinto ad uscire in mezzo alla neve. Comunque se non manca niente è una buona cosa: ci sono i volumi meno impolverati da cui partire… sono quelli che il nostro omicida ha usato, ne sono più che sicuro.”
“Siete libero di consultarli, generale…” garantì l’Autarca.
“Posso portarli con me?”
“Dannazione…” sibilò Alexand, guardando con disgusto a terra davanti a quella situazione.
“Sì, potete – annuì Derekj, mettendo una mano sulla spalla dell’amico – quella polvere… Michael a quanto può risalire?”
“Sui libri non toccati direi decenni… su quelli usati qualche annetto, massimo due direi.”
“Coincide con i tempi, vero?” Roy guardò Derekj con eloquenza.
“Direi proprio di sì. Per me è una prova più che sufficiente per scagionarvi, generale. Alexand, tu che hai da dire in proposito?”
“Siamo proprio sicuri?” il barone aveva un’aria davvero torva, come se avesse appena ingoiato il più disgustoso rospo della sua vita.
“Sì, amico mio – sorrise mestamente Derekj – è giusto che ti renda partecipe di alcuni dettagli di cui non ti ho mai informato per paura di perderti… ma adesso mi pare il momento di parlare.”
“Io ed il principe, intanto, porteremo via questi tomi e ci dedicheremo alla lettura!” dichiarò Roy, facendo cenno ad Havoc di farsi avanti e prendere i volumi che gli stava porgendo.
In ogni caso quella scoperta andava a giocare a loro favore: se il misterioso omicida aveva davvero usato quei libri, voleva dire che erano sulla strada giusta per scoprire i segreti di quella forma d’alchimia.
 
Mentre Roy iniziava le sue ricerche, Riza approfittava di una visita di Lidia Tojanev a casa Esdev per dare un’occhiata a quella ragazza al centro di tante polemiche. Per l’occasione si tolse la divisa per rimettersi gonna e camicetta, rinunciando tuttavia a qualsiasi forma di abito.
Scese quindi nell’elegante salone, dove il duca stava amabilmente conversando con Kyril e la fidanzata. Ricordava molto Kora, su di questo non c’erano dubbi: anche lei era bionda e con gli occhi azzurri, ma era molto più slanciata e comunque più donna: negli atteggiamenti, nel corpo, tutta la sua persona emanava una maturità molto più marcata, sebbene dovessero essere più o meno coetanee.
La sua attenzione si spostò quindi su Kyril, ricordandosi di quanto le aveva raccontato Michael. Le sembrava inverosimile che quel giovane così composto, che sorrideva amabilmente alla fidanzata, si fosse lasciato coinvolgere dalle perverse idee di Kora. Certo all’epoca era molto più giovane e chissà come si era comportata la gemella, però le sembrava che tutta la questione fosse chiusa… almeno da parte sua.
Non ebbe tempo di pensare ad altro che la giovane Tojanev le venne presentata.
“Molto onorata, signorina – disse con voce musicale – si è parlato molto di voi e vi ho vista al ballo: avete fatto splendida figura con il barone Anditev.”
Voce musicale, viso grazioso, ma sguardo intelligente e scrutatore: Riza capì subito che quella fanciulla non era sprovveduta e che la stava studiando con attenzione. Del resto se proveniva da una famiglia propensa all’intrigo come quella dei Tojanev era ovvio che avesse imparato simili arti sin da piccola.
“Mia sorella non vuole raggiungerci?” chiese Kyril rivolgendosi al padre.
“No – rispose imbarazzato il duca – è leggermente indisposta.”
“Mi dispiace non incontrare lady Kora nemmeno questa volta…” mormorò con diplomazia Lidia, facendo un’espressione di neutro dispiacere. Una dissimulazione davvero perfetta, tanto che se Riza non avesse fatto attenzione e non avesse saputo i retroscena, l’avrebbe creduta completamente sincera.
“Siete amiche con lady Kora?” chiese con curiosità.
“Negli ultimi tempi ci frequentiamo poco – ammise lei, arricciandosi tra le dita una ciocca di capelli biondi: al contrario di Kora li aveva più ondulati e questo contribuiva a far risaltare di più il viso dai bei lineamenti – però fino a poco tempo fa eravamo abbastanza legate tra di noi. Veniva spesso a casa nostra… capisco che forse il fidanzamento tra me e Kyril l’ha sconvolta.”
“Non è il caso di parlarne – il giovane si fece incredibilmente serio – non dobbiamo dare retta ai suoi capricci, altrimenti non imparerà mai.”
“Forse servirebbe più comprensione – propose Riza, curiosa di vedere la reazione di Kyril a parlare così apertamente della sorella – da quanto mi è stato dato di capire vi è molto affezionata. E’ normale tra fratelli gemelli, no? Michael mi ha detto che sin da piccoli avete avuto un rapporto privilegiato.”
Ci fu un lampo di dubbio negli occhi di lui come venne pronunciato il nome del monaco? Riza non ne fu sicurissima, eppure per un secondo le parve che quella perfetta barriera di autocontrollo si spezzasse: sicuramente non si aspettava che venisse tirata fuori una cosa simile.
Sì, Kyril, lo so che sei stato assieme a Kora come mai due fratelli dovrebbero stare…
“Si tratta solo di saper affrontare la vita – ribadì infine lui con voce piatta – e Kora deve ancora imparare a farlo, tutto qui. Cara, posso versarti altro the?”
“Grazie, sei davvero gentile! Allora, signorina Riza, mi volete parlare un po’ di Amestris?”
 
Fury, intanto, nelle sue stanze, giochicchiava tranquillamente con i suoi marchingegni elettronici.
Seguendo il consiglio di Havoc si era fatto un bagno ed aveva mangiato leggero ed, effettivamente, si era sentito rinato: tutta la sensazione di malessere era svanita e si sentiva parecchio rilassato. A questo contribuiva anche il tono che aveva usato il maggiore: si intuiva che tutta l’ira era svanita e che l’antica amicizia aveva ripreso il sopravvento… e questo equivaleva ad una ventata di ottimismo non indifferente.
Havoc, Breda e Falman erano i suoi punti di riferimento, ormai era arrivato a questa conclusione: di certo loro non sapevano nulla del tatuaggio del tenente colonnello e dunque non andavano inclusi in quella brutta storia di mancanza di fiducia. Anzi, sotto questo punto di vista, si sentiva in difetto lui per averli in qualche modo inclusi nella sua prima reazione negativa.
Però un giorno dovrai anche affrontare il tenente colonnello ed il generale… con loro come la metterai?
Ancora non riusciva a darsi una spiegazione logica: ripensava al generale e a tutti gli anni passati assieme, alla grande stima che nutriva nei suoi confronti e che era stata sempre confermata dalle sue azioni. Era stato un superiore attento a tutti loro, arrivando ad instaurare un rapporto familiare che pochi altri gradi alti concedevano alla propria squadra. Non gli aveva mai fatto mancare la fiducia, l’aveva in qualche modo trattato come un figlio.
Insomma pare proprio inverosimile che proprio lui… ma perché poi al tenente colonnello?
Sicuramente riguardava il tatuaggio con quei simboli alchemici: l’ipotesi che avesse voluto cancellare quelle formule per non renderle accessibili a nessuno gli sembrava sempre più plausibile. Ma era orripilante che per farlo non si fosse fatto scrupoli di infierire così su una donna che gli era sempre stato accanto e che teneva a lui in maniera così encomiabile e fedele.
Allora si conoscevano prima che diventassero soldati?
Fu un pensiero assai strano: effettivamente dei suoi diretti superiori sapeva ben poco, le loro vite private erano abbastanza misteriosa. Della donna sapeva solo che era nipote del comandante supremo e, da quanto gli era dato di capire, non aveva altri familiari in vita. Di Roy Mustang sapeva ancora meno, solo di una zia che gestiva un locale non proprio raccomandabile.
“Forse non è giusto che mi faccia così tanti problemi – mormorò, posando il cacciavite sul letto – però…”
Però faceva male perché, nella sua personale considerazione, loro sei erano una famiglia e famiglia voleva dire fiducia. Lui aveva sempre confidato i suoi timori ed i suoi dubbi agli altri, molto spesso proprio a lei, ottenendo sempre conforto e comprensione, per quanto i ranghi della divisa lo consentissero. Sarebbe stato più che disposto a ricevere le confidenze di Riza Hawkeye, a poterla aiutare come poteva, anche solo ascoltando.
Perché lei si tiene sempre tutto dentro, lo so. Raramente si lamenta o dice qualcosa, eppure a volte i suoi occhi sono così tristi… è Ishval, certo, ma adesso comprendo che c’è anche altro. Però dubito che mi considererebbe degno di una simile fiducia…
Un forte rumore di qualcosa che si apriva lo fece girare di scatto verso la parete.
Sgranò gli occhi mentre vedeva una porzione di muro aprirsi per far entrare una furente Kora Esdev.
“Un passaggio segreto?” balbettò, alzandosi in piedi.
E questo gli fece tornare in mente lo strano incubo che aveva avuto quella notte e che gli era sembrato così reale. Insomma, gli era sembrato davvero strano che fosse arrivato a compiere un gesto simile, non l’aveva mai fatto…
No, dai… non è possibile che…
“Sai che sta succedendo? – sbottò Kora, interrompendo i suoi pensieri, e andando a sedersi accanto a lui nel letto – Quella falsa di Lidia è nel salone di casa mia, a conversare amabilmente con mio padre, il mio gemello – mise particolare enfasi in quell’aggettivo possessivo – e quella tua grande amica!”
“Kora, senti, ieri sera…” provò ad iniziare Fury. Una parte di lui gli diceva di chiamare le guardie e far presente che l’ingresso di quella ragazza da un passaggio segreto non era proprio una cosa prevista in una situazione d’isolamento. Però voleva anche chiarire quel tremendo dubbio che lo attanagliava.
Ma Kora lo prevenne e lo prese per mano.
“Adesso io e te andiamo di sotto e diciamo a tutti loro cosa abbiamo fatto ieri sera! Voglio proprio vedere la sua faccia, così impara!”
“Cosa? – lui si oppose a quell’incitamento ad alzarsi dal letto – No… da qui non posso uscire. E poi che avremmo fatto ieri sera?”
La ragazza interruppe i suoi tentativi di persuasione per fissarlo con perplessi occhi azzurri.
“Come, non ricordi? – chiese con malizia, dopo qualche secondo – eppure mi sembravi abbastanza cosciente, nonostante tutto…”
“Oh cielo – Fury sentì il mondo crollargli addosso: allora era vero quello che aveva immaginato. Non era stato un suo gesto solitario lui… aveva fatto davvero l’amore con Kora – allora sei… sei davvero…”
“Salita sopra di te? Sì, non ricordi male – ridacchiò – te la sei cavata bene per essere la tua prima volta: impacciato come pochi, ma forse era anche l’effetto della droga… a conti fatti hai goduto più tu che io.”
“Ma come ti è saltato in mente? – Fury era sconvolto – Drogarmi e sedurmi? Kora, tu hai qualcosa che non va, sul serio! Adesso… per favore, esci da questa stanza, non costringermi a chiamare le guardie!”
Era spaventato e stordito: non avrebbe mai immaginato che quella ragazza potesse arrivare a tanto. Drogarlo? Possederlo mentre era in quello stato? Con che razza di psicopatica era stato al gioco fino a quel momento? Si sentì un completo idiota per non aver ascoltato subito i consigli del tenente colonnello e del generale… per aver cercato in lei dei lati positivi che se anche c’erano erano nascosti da qualcosa di completamente perverso, almeno dal suo punto di vista.
Adesso li vedeva con chiarezza quegli occhi azzurri da predatrice: privi di qualsiasi scrupolo, senza alcun reale interesse per lui… era sempre stato un trastullo, un giochino per passare il tempo.
“No, non lo farai – disse lei con stizza – non chiamerai quelle stupide guardie fuori dalla tua porta! Verrai con me e andremo a dirgliene quattro a Kyril!”
“Non ha senso!”
“Sì che ne ha… non me ne importa niente se tu non capisci – si fece avanti e lo prese di nuovo per il braccio – adesso abbiamo perso anche troppo tempo!”
“Smettila! – si divincolò lui con rabbia – tu hai bisogno d’aiuto, Kora, sul serio!”
La ragazza lo guardò incredula, rifiutandosi di concepire che il suo personale animaletto si fosse ribellato in maniera così improvvisa. Per un attimo Fury si illuse di avere in mano la situazione e sperò di poterla ricondurre alla ragione: farla uscire dalla sua camera, chiudere in qualche modo quel passaggio segreto, magari mettendoci un mobile pesante davanti… e soprattutto dire tutto quanto ai suoi superiori non appena uno di loro fosse passato a trovarlo.
“Allora la metti così?” mormorò infine la giovane, abbassando lo sguardo.
“Torna nelle tue stanze, Kora – Fury cercò di mantenere il tono di voce più fermo che poteva – coraggio!”
“Non mi lasci altra scelta…” sospirò lei, avviandosi verso il passaggio ancora aperto e levandosi dai capelli chiari un fermaglio di vetro a forma di farfalla. Lo fece cadere a terra, frantumandolo in più schegge e si chinò a raccoglierne una abbastanza grande.
Fury la osservò con perplessità, non riuscendo a capire il significato di quel gesto.
“Se muoio sarà tutta colpa tua!" dichiarò con semplicità Kora, premendo la scheggia contro il suo braccio nudo, dato che la manica dell’abito le arrivava appena sopra il gomito. Fu questione di due secondi: si formò un piccolo filo rosso sulla pelle chiara e poi il sangue iniziò ad uscire.
“Ma che fai? – scosse il capo Fury, prendendo un fazzoletto dalla tasca – non è il caso di farsi un taglio con un simile oggetto. Aspetta te lo fascio e…”
Ma i suoi occhi scuri si sgranarono quando videro quell’uscita di sangue così anomala: nell’arco di pochi secondi dal braccio della giovane colava il fluido rosso come una piccola cascata, macchiando il vestito chiaro, il pavimento dove giacevano i resti del fermaglio.
Merda!” sibilò Fury, correndo ad afferrare il braccio e cercando di tamponare quella ferita che non gli era minimamente parsa così profonda.
“Il sangue non si ferma – cantilenò Kora, per nulla spaventata da quanto le stava accadendo – non basterà il tuo fazzoletto, stupido! Ed io morirò… morirò e sarà solo colpa tua! Colpa tua… colpa tua… tua, tua!”
Continuava a ridacchiare e canticchiare, incurante delle gambe che le avevano iniziato a tremare e dell’improvviso colorito cinereo che le era comparso nel viso. Sembrava che non le importasse altro che del panico che si era scatenato nel soldato che cercava in qualche modo di far fronte a quell’emergenza.
“Ma che hai? – si disperò Fury, prendendola in braccio e facendola sdraiare nel letto – perché non si ferma questo dannato sangue?”
“Tutta colpa tua! Tutta colpa tua!”
“Finiscila!” le serrò il fazzoletto attorno al braccio con forza e poi corse verso la porta.
Non gli importava di cosa avrebbero detto le guardie, di cosa avrebbero detto i suoi compagni.
Quella pazza stava morendo dissanguata e andava chiamato aiuto.
 
“Si chiama emofilia, Fury – spiegò Falman con gentilezza – è una malattia rara per cui il sangue non si coagula. Ma i medici hanno detto che la crisi è superata: dovrà stare a letto per diversi giorni, ma non è in pericolo di vita.”
“Santo cielo…” sospirò il giovane guardandosi le maniche della camicia ancora sporche di sangue.
“Vedrai che dopo esserti lavato e cambiato andrà meglio – lo consolò Breda, arruffandogli i capelli – è stato un brutto spavento e basta. Tu non hai colpa di niente.”
“Ho fatto l’amore con lei!” confessò tutto d’un fiato, alzando lo sguardo per incontrare quello dei suoi tre compagni che erano subito accorsi a confortarlo dopo che avevano saputo quanto era successo. In barba alle restrizioni, al confinamento… che cosa importava? Quando uno di loro era in crisi gli altri arrivavano.
“Che?” chiese Havoc, incredulo.
“Ieri notte, signore… in qualche modo mi ha drogato e… e a me è sembrato uno strano sogno, però mi ha detto che in realtà… non è come ha pensato lei, maggiore…”
Havoc lo guardò per qualche secondo e poi si sedette accanto a lui, passandogli il braccio attorno alle spalle in un gesto di comprensione.
“No, non va proprio bene – commentò – una prima volta non va proprio sprecata in questo modo.”
“Mi sento un mostro! Non avrei mai…”
“Eri drogato, stupido – lo rimproverò il biondo – e hai visto di che è capace quella pazza. Non temere: facciamo finta che non è successo niente e la prossima volta che farai l’amore la considereremo come la prima, va bene?”
“Mamma mia, voglio solo andare via di qui…”
“Tutti vogliamo andare via di qui.”
I loro discorsi vennero interrotti dalla porta che si apriva per far entrare il tenente colonnello. Tutti si alzarono in piedi, Fury compreso, osservando come la donna fosse di nuovo in divisa. Ma il suo sguardo non era freddo e ostile, quanto piuttosto preoccupato ed imbarazzato.
Si portò davanti a Fury e lo squadrò con attenzione.
“Quel sangue…” iniziò.
“Non è mio, signora – rispose prontamente lui – mi dispiace di non essere presentabile.”
“Ho saputo che ti ha drogato, come ti senti?”
“Molto meglio, non si deve preoccupare.”
“Sul serio, signora – annuì Falman, mettendo una mano sulla spalla di Fury – va tutto bene.”
“Tenente colonnello – iniziò il giovane – le giuro che non sapevo niente di quel passaggio segreto e non… non immaginavo che lei potesse arrivare a tanto. Ho fatto degli errori di valutazione molto gravi, adesso capisco che dovevo dare ascolto a lei e al generale sin da subito. Le chiedo perdono, anche se capisco perfettamente il provvedimento che è stato preso nei miei confronti.”
Gli occhi scuri e quelli castani si scrutarono per una decina di secondi prima che un pallido sorriso apparisse sul viso tirato della donna.
“Va tutto bene, tenente – dichiarò – l’importante è che l’emergenza sia finita. Qualunque cosa succeda, però, voglio che tu faccia immediatamente rapporto a me o agli altri, va bene?”
“Sono ancora in consegna…”
“Per ora il provvedimento è revocato – scosse il capo lei – trovo più sicuro che tu partecipi attivamente alle indagini. Si è visto che questi palazzi non sono assolutamente sicuri e dunque è meglio stare assieme.”
A Fury quella notizia mandò in visibilio: non sentiva nemmeno le pacche sulle spalle e le congratulazioni dei suoi compagni. Riusciva solo a vedere gli occhi castani di lei che gli concedevano di nuovo un minimo di fiducia e questo gli bastò.
 
“Magnetismo terrestre!” esclamò Shao con soddisfazione, chiudendo il libro che aveva davanti a sé.
“Magnetismo… ma certo – annuì Roy, mettendosi una mano sulla fronte – adesso sono chiari tutti quei riferimenti ai luoghi sacri dove l’attrazione divina era maggiore. Semplicemente sono posti dove ci sono anomalie magnetiche date dalla presenza massiccia di rocce magnetizzate!”
“Ed ecco perché sono luoghi molto più presenti nella fascia settentrionale – spiegò il principe, sventolandosi con soddisfazione – più a nord il magnetismo terrestre è maggiore.”
“Però una volta che si è imparato a riconoscerlo lo si può usare in ogni parte del mondo… anche se in alcune zone è più frequente. Ed ecco qui la fonte dell’alchimia di Drachma, se ne è mai esistita una: qui è tutto sotto forma di religione e antichi rituali… nemmeno si rendevano conto che era scienza.”
“E’ un processo naturale – ricordò Shao – quello che non si spiega spesso viene ricondotto al divino.”
“Bene, questa ricerca tutto sommato è stata facile, ma del resto sapevamo più o meno quello che stavamo cercando. Presumo che al nostro amico gli studi abbiano preso molto più tempo…”
“Facciamo un rapido punto della situazione: abbiamo una persona che usa un’alchimia che trae il suo potere dal magnetismo terrestre. Perfetto, e quindi? E’ come dire che la sua alchimia, generale, trae potere dai movimenti tettonici della crosta terrestre… ma questo non spiega il fatto che lei domini il fuoco: una simile conoscenza arriva da ben altro, no?”
“Come a dire che siamo di nuovo punto e accapo, vero? Principe, lei ha sempre la capacità di mettermi in imbarazzo.”
“Almeno si è in parte scagionato, generale, questa è una grande cosa.”
“Mphf! – sbuffò Roy, riprendendo a riflettere sul problema – magra consolazione. Oramai è una sfida personale con questo fantomatico personaggio. Un passo alla volta, principe, e arriverò a lui.”

 
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19. Oltre i confini ***


Capitolo 19.
Oltre i confini



Era l’alba, una fredda ed immobile alba contornata di neve e ghiaccio: la città era ancora addormentata, le persone che preferivano stare per quanto possibile al caldo, strette nelle proprie coperte. In quel silenzio così surreale dalla Cittadella uscirono due persone a cavallo, imbacuccate nei mantelli e chini sulle loro cavalcature per evitare il freddo vento che sferzava contro di loro.
Percorsero in fila indiana le vie dell’abitato, fidandosi più dell’istinto dei cavalli che della loro visuale ancora poco nitida e, dopo una ventina di minuti, finalmente giunsero alla porta nord della città, dove vennero fermati da una delle sentinelle a cui era toccato quell’ingrato turno di guardia. Uno dei cavalieri scese a terra, ebbe una lieve conversazione con il soldato che, alla fine, scattò sull’attenti e fece un breve cenno affinché il suo compagno all’interno del casotto lo aiutasse ad aprire la grata della porta di quel tratto di mura.
Così i due cavalieri si trovarono in aperta campagna, superando anche quelle piccole abitazioni rurali che stavano appena fuori città. Quasi a festeggiare l’evento, il sole finalmente comparve da est, regalando i primi raggi freddi al viso dei viaggiatori e rendendo la visuale molto più nitida.
“Spero che siate abituato ad andare a cavallo – commentò Alexand, tenendo con naturalezza le redini del proprio destriero nero che sbuffava con impazienza, smanioso di lanciarsi al galoppo per scaldarsi i muscoli – il viaggio durerà almeno una settimana.”
“Sapevo benissimo che non sarebbe stata una gita di piacere – rispose Roy, dando alcune pacche sul collo della sua cavalcatura grigia – e la vostra osservazione è stata più che corretta: con il treno avremmo guadagnato tempo, ma il nostro percorso sarebbe stato più difficile da rintracciare.”
“In ogni caso conosco diverse scorciatoie che ci faranno guadagnare tempo e risparmiare energia.”
Il silenzio cadde di nuovo tra i due viaggiatori e questo diede tempo a Roy di rimpiangere il bel letto caldo che aveva dovuto abbandonare all’ingrata ora delle quattro del mattino. Tuttavia la missione era tale che la discrezione data da una partenza antelucana era più che raccomandabile.
Lanciò un’occhiata al viso duro del barone Anditev e rifletté che non sarebbe stato un compagno di viaggio piacevole: onestamente avrebbe preferito portare con sé qualcuno della squadra, ma la loro assenza sarebbe stata notata più in fretta rispetto alla sua che, tutto sommato, era ancora ufficialmente recluso nei suoi appartamenti. E dunque per mantenere la segretezza non restava che affidarsi ad una delle altre tre persone, oltre i suoi uomini, che conoscevano tutti i fatti.
Certo che se vuole farmi secco nel sonno o farmi cadere in qualche burrone, facendo passare il tutto per un incidente, questo ci impiega ben poco.
Però era anche vero che il giovane campione aveva prestato giuramento davanti a Derekj e questo, conoscendone la fedeltà, costituiva una garanzia abbastanza solida.
 
Una settimana e oltre di assenza…
A Riza sembrava un periodo esageratamente lungo e continuava ad immaginarsi che le strade che avrebbero percorso sarebbero state piene zeppe di pericoli. E lei non si trovava accanto al generale, ma era rimasta lì, con il resto della squadra, ad aspettare impotente.
“Non si preoccupi, signora – la consolò il principe Shao, affiancandosi a lei e guardando il cortile innevato dalla balconata dove si trovavano – conosco Alexand e con lui il generale è in una botte di ferro.”
“Avrei preferito andare io con lui, o almeno che l’aveste accompagnato voi e le vostre guardie del corpo – ammise Riza – mi sarei sentita molto più sicura.”
“Per i pericoli che si possono incontrare a Drachma niente è più valido di Alexand Anditev: non sottovalutatelo solo perché lo vedete con quella spada a suo fianco al contrario di voi che usate quasi sempre le pistole. E’ rapido e preciso ed, inoltre, non è del tutto estraneo all’uso delle armi bianche.”
“Non metto in dubbio il valore del barone Anditev.”
“Questione di fiducia a livello personale? Oh, andiamo! Alexand, sebbene a malincuore, ha dovuto ammettere che non è stato il generale Mustang a commettere quegli omicidi. E’ un uomo onesto e sebbene con il broncio ha accettato la verità ed ora agisce di conseguenza. Farà di tutto per difenderlo da eventuali pericoli e guidarlo in questa missione.”
A Riza non restò che annuire, sperando che quell’assenza portasse a dei risultati. Tuttavia una parte di lei aveva la netta impressione che, ancora una volta, la risposta a quello che voleva Roy Mustang fosse nella sua schiena.
Ma perché penso cose simili? L’ha già visto, l’alchimia del fuoco è sotto il suo dominio… che cosa potrebbe ancora ottenere dalla mia schiena sfregiata?
Si chiese anche che commento avrebbe fatto nel vedere le sue cicatrici: lei stessa per diverso tempo non aveva fatto altro che provare ribrezzo nel vedersele allo specchio ogni volta che si spogliava. Per un uomo come lui, abituato alle belle donne, una visione simile…
“Lei intende proseguire le indagini qui in Cittadella?” la voce di Shao la riportò alla realtà.
“Sì – rispose laconica – io e gli altri abbiamo intenzione di approfondire la conoscenza della famiglia Tojanev e scoprire fino a che punto sono coinvolti in tutta questa storia. La giovane Lidia per ora è stata parecchio sulle sue, ma chissà che non si lasci andare a qualche chiacchierata più intima.”
“Se permette, signora, le suggerisco di cogliere il momento buono: in questi giorni Kyril è al capezzale della sorella molto spesso e penso che questo possa indispettire la giovane Tojanev. E si sa che in preda all’ira le persone possono dire più del previsto.”
“Specie se a parlarci è una delle persone che, a guardare bene, sono state vittime della follia di Kora.”
Gli occhi scuri del principe di Xing si illuminarono di malizia e la sua mano destra giocherellò amabilmente con il laccio del ventaglio.
“Signora, le assicuro che lei sarebbe un ottimo elemento nel mondo degli intrighi della corte di Xing – commentò – impara le regole del gioco con estrema facilità.”
 
La mattina del quarto giorno vide i due cavalieri uscire finalmente dalla catena montuosa che circondava le grandi vallate dove sorgeva la capitale. Guardando la mappa che gli era stata fornita, Roy intuì che ormai doveva mancare poco al confine di quella provincia, poi si sarebbero trovati in territorio Koradof. Da quanto aveva letto prima di partire si trattava della zona più inospitale dell’intera Drachma, con la popolazione che doveva convivere con un territorio davvero duro e sterile.
“Che cosa sperate di ottenere andando in quei posti?” chiese improvvisamente Alexand, fermando il cavallo per fissare quelle ultime vallate fertili che, già in lontananza, lasciavano il posto ad una steppa molto più secca.
“Sono posti dove si sono verificati dei decessi simili a quelli del patriarca – scrollò le spalle Roy, rimettendo la mappa dentro una delle sacche che pendevano dalla sella – se la gente del luogo ha notato qualche stranezza proprio in quel periodo, magari qualche viaggiatore particolare, possiamo arrivare più vicini all’identità dell’assassino… che, spero vivamente abbiate capito, non sono io.”
“Il mio signore non doveva tenermi nascoste tutte quelle informazioni – sbottò l’altro – è stata una mancanza di fiducia nei miei confronti: non mi ha ritenuto all’altezza della situazione.”
Certo – pensò ironicamente Roy – e ha visto bene. Ti ha salvato le penne e tu ti offendi. La tua spada e la pistola che tieni alla cintura non possono molto contro quello con cui abbiamo a che fare.
A conti fatti tra i due chi avrebbe protetto l’altro in caso di pericolo sarebbe stato proprio lui e non lo spadaccino. Magari contro comuni ladri di strada sarebbe bastato, però in un attacco alchemico…
Però con tutta questa umidità e questa neve non mi piace per niente…
Non che fosse inutile: i suoi guanti comunque erano in grado di produrre la scintilla e per precauzione si era fatto prestare da Havoc uno dei suoi accendini. Però con quella neve che ancora invadeva le valli e dunque con tutta quell’acqua, la percentuale d’ossigeno era davvero elevata ed era necessario procedere con la massima cautela. Decisamente la sua alchimia non era per un posto come Drachma, si prestava meglio a luoghi secchi come il distretto Est di Amestris.
“Sono sicuro che l’Autarca ha avuto le sue motivazioni – continuò – nemmeno io dico sempre tutto ai miei uomini, eppure mi fido ciecamente di loro.”
“Anche del più giovane? – chiese Alexand con aria incuriosita – Eppure lui non mi sembrava molto convinto nel prendere le vostre difese.”
“Sono dinamiche interne alla mia squadra, tutto qui. Comunque la mia fiducia nei confronti del ragazzo non è minimamente intaccata da quanto è successo. E la tua nei confronti del tuo sovrano?”
“La mia fedeltà nei confronti dell’Autarca è al di sopra di ogni sospetto.”
Roy sospirò mentre Alexand spronava il suo cavallo a riprendere il cammino: era davvero un compagno di viaggio difficile e soprattutto di poche parole. Gli faceva rimpiangere le battutacce di Havoc e Breda, i racconti di Falman, le ingenuità di Fury. Persino la presenza silenziosa e discreta del tenente colonnello era differente: in qualche modo comunicava ed in ogni caso non si sarebbe limitata a dieci frase messe in croce nell’arco di quattro giorni.
Tuttavia il barone Alexand Anditev aveva deciso di essere l’accompagnatore meno loquace della terra, nonostante Roy fosse sicuro che avesse diverse storie interessanti da raccontare: quando si erano conosciuti nel loro viaggio verso la capitale si era dimostrato ben diverso, ma poi aveva alzato un muro impenetrabile.
Proseguirono ancora per qualche ora, fermandosi solo per consumare un frugale pasto e far riposare i cavalli, secondo il rituale che si erano imposti negli ultimi giorni. Ormai erano arrivati in piena steppa ed il generale di Amestris sentì quasi di aver varcato un confine non solo fisico ma anche invisibile: era come se la tranquillità e la pace della capitale avessero appena lasciato il posto a qualcosa di più… arcano ed impalpabile. Sentiva il suo cavallo reagire a stimoli che prima non c’erano ed era la stessa aria ad essere carica di una strana forza innaturale che non riusciva a definire ma che aveva la capacità di fargli rizzare i peli dietro la nuca.
Siamo entrati nel territorio del vecchio culto? Dove le divinità antiche hanno ancora così tanto potere?
Non gli era mai successo di pensarla in simili termini: lui era un alchimista, uno scienziato, persino ad Ishval non aveva mai dato peso alla religione del popolo dagli occhi rossi se non per mero rispetto nei loro confronti. Ma qui era totalmente diverso: era come se la natura si presentasse a lui come un’entità potente ed immensa, quasi ad avvisarlo che la sua vita era nelle sue mani e al minimo capriccio poteva far scappare il suo destriero nella steppa e lasciarlo alla mercé del maltempo o di chissà che altro.
Si girò verso Alexand e fu preoccupato e allo stesso tempo sollevato nel notare che pure lui dava qualche lieve segnale di nervosismo.
“La strada di Karilla – disse, rispondendo alla tacita domanda che Roy gli poneva – non è segnata sulle mappe perché è il nome di una vecchia divinità di questa regione. Siamo a più di cento miglia rispetto alla linea ferroviaria.”
“Perché è così… strano?”
“Non chiedetemelo, è così da sempre. Karilla concede, Karilla prende… è questo che dice la popolazione locale. Spesso le persone vengono colte da improvvise tempeste e non ritornano più alle loro case, oppure bambini indifesi, che a rigor di logica dovrebbero morire di stenti, riescono a sopravvivere per giorni e vengono ritrovati in ottime condizioni…”
“Non è un discorso che vostro cugino apprezzerebbe.”
“Nemmeno io lo apprezzo – Alexand fece un gesto sprezzante con una mano guantata – ma riconosco che a Drachma, lontano dai centri abitati, la natura ha una forza e un dominio molto più potente rispetto a quello umano. E mio padre mi ha insegnato che rispettare questa forza non è debolezza ma saggezza: rispetta e conosci le montagne, non sfidarle… e così via.”
“L’alchimia ha lo stesso concetto, se ben ci penso – si trovò a dire Roy – molti dicono che andiamo contro la natura, ma in realtà non facciamo altro che imparare le leggi del mondo e degli elementi, riuscendo in qualche modo a dominarli. Ma se non si rispettano tali leggi le conseguenze sono nefaste.”
“Per esempio?” Alexand si girò verso di lui, sinceramente incuriosito.
“Trasmutazione umana – il generale decise di portare l’esempio più estremo e crudele – cercare di riportare in vita una persona usando gli elementi che compongono un corpo umano…”
“E’ impossibile!”
“Ma c’è chi l’ha tentata… ed è stato fortunato ad esserne uscito vivo per raccontarlo. Ma le conseguenze sul corpo erano state disastrose…” mormorò pensando alla drammatica vicenda di Edward e Alphonse. Non era il caso di introdurre altri argomenti come homunculus e Portale della Verità, avrebbe rischiato di perdere quella minima possibilità di dialogo che c’era con il barone e…
“Non siamo soli – dichiarò con tranquillità proprio il giovane Anditev, continuando a tenere l’andatura placida del suo destriero – in mezzo alla steppa, circa una decina: una delle bande di lupi selvaggi spinti dalla miseria e dal tempo inclemente. Uomini dal coltello facile, tagliagole… vogliono sicuramente i cavalli.”
Roy annuì impercettibilmente e portò la mano dentro il mantello che lo proteggeva dal vento, andando a sfiorare la pistola dentro la fondina.
“Ricordati, non lasciarti disarcionare né farti prendere le redini!” esclamò Alexand, spronando con un gesto secco la sua possente cavalcatura oltre il sentiero.
Fu come se si fosse lanciato su uno stormo di uccelli selvatici: improvvisamente dall’erba saltarono fuori almeno sei uomini. Vestiti di pelli o di poveri stracci, avevano i volti coperti da folte barbe e da lunghi capelli scarmigliati e sporchi: sembravano più bestie che uomini e anche la loro andatura era leggermente curva. Si lanciarono senza paura verso Alexand che, nel frattempo, aveva sguainato la spada: le loro espressioni erano distorte dalla fame, dalla disperazione, ma anche dall’eccitazione della caccia.
Roy non ebbe tempo di notare altri dettagli che si accorse che anche dall’altro lato del sentiero erano apparsi altri selvaggi: erano solo tre, ma correvano verso di lui lanciando grida beduine.
Sulle prime la mano del generale tornò alla pistola, ma poi l’istinto prese il sopravvento e le sue dita guantate schioccarono con forza, producendo la scintilla. Subito intrappolò sotto il suo controllo parte dell’ossigeno dell’aria, in modo da tracciare il sentiero che il fuoco avrebbe seguito.
Fu un attimo e quei tre uomini furono circondati da dei cerchi di fiamme: i loro occhi fissarono sgomenti quel prodigio che li aveva intrappolati, emettendo lamenti disperati in una lingua sconosciuta. Capendo di averli spaventati a dovere, Roy fece calare le fiamme fino a farle scomparire. Appena liberi quei selvaggi si diedero alla fuga, scomparendo ben presto tra le erbe alte della valle.
Girandosi verso il suo compagno, il moro vide che la spada di Alexand era macchiata di sangue e che dei suoi avversari solo due erano rimasti ad attaccarlo. Il giovane Anditev non sembrava minimamente turbato da quella situazione: dominava la sua cavalcatura con una sola mano, facendola girare continuamente su se stessa in modo da non offrire appigli agli avversari. Lo stallone nero eseguiva alla perfezione quella strana danza, scalciando regolarmente con gli zoccoli per tenere lontani eventuali attacchi.
“Demoni della steppa! – gridò infine, recidendo di netto la testa di uno dei due – Tornate nel vostro regno!”
Davanti a quell’uccisione l’unico superstite indietreggiò con rabbia, puntando il dito contro il nobile e lanciando maledizioni in qualche lingua sconosciuta. Poi, iniziò a correre lontano da loro, ad una velocità davvero invidiabile e curvandosi così tanto che, ad un certo punto, sparì nella vegetazione proprio come era successo ai suoi compagni.
“Tutto bene?” chiese Roy, vedendolo tornare nel sentiero.
“Con pochi accorgimenti non costituiscono un pericolo – dichiarò l’altro, chinandosi di sella quel tanto che bastava per strappare una manciata di erba alta con la quale pulì la spada – appena capiscono che la preda è più forte di loro lasciano perdere: sono rimasti a combattere solo i più arditi o folli.”
“I miei tre avversari sono scappati via dopo che hanno visto la mia alchimia all’opera.”
“Ho notato. Beh, questo ci dovrebbe garantire strada sicura per le prossime miglia.”
“Sì?”
“Dubito che abbiano voglia di affrontare quella che ritengono una creatura del demonio.”
“Se devo essere sincero la mia alchimia mi pare la cosa più normale in questo posto…” commentò Roy, fissando con estremo disappunto la steppa davanti a loro, con il sole che iniziava a calare verso ovest.
 
Le previsioni di Alexand si rivelarono esatte: non furono disturbati da altre bande di lupi della steppa, sebbene Roy avesse la netta impressione di esser tenuto d’occhio da decine e decine di occhi invisibili.
In ogni caso la notte ed il giorno successivi passarono senza troppi intoppi e finalmente arrivarono a destinazione: un piccolo centro abitato che nella cartina era stato segnato a penna dallo stesso Derekj tanto era poco importante.
Si trattava effettivamente di un piccolo agglomerato di case di legno e fango, con una strada principale di terra battuta che lo tagliava in due. La gente che vi abitava era poco più decente dei lupi della steppa: gli abiti poveri e pesanti, i visi consumati dal duro lavoro e dalle privazioni di una terra che concedeva assai poco. Come i due cavalieri entrarono in quel posto, subito i pochi bambini che giocavano nelle strade corsero dentro le proprie case e così fecero alcune donne. In compenso uscirono diversi uomini, con delle asce da taglialegna tenute strette, quasi fossero pronti a difendere quel poco che avevano con le unghie e con i denti.
“Korf!” disse Alexand, pronunciando quell’antico lemma che voleva dire pace. Contemporaneamente alzò le mani all’altezza del cuore e mostrò i palmi vuoti, ad indicare le sue intenzioni pacifiche. Con un cenno del viso invitò Roy a seguirlo in quel piccolo rituale e solo allora gli uomini annuirono debolmente e abbassarono le asce verso terra.
Spinti da quell’evoluzione, tutti quelli che erano rimasti a guardare dentro le loro case uscirono fuori ed i bambini furono così arditi da avvicinarsi ai cavalli, estasiati nel vedere delle bestie così magnifiche rispetto ai poveri animali da lavoro a cui erano abituati.
“Sono Alexand Anditev, campione dell’Autarca Derekj Drachvoic – disse il barone, scendendo abilmente da cavallo – siamo venuti in pace.”
“Lui è il demone del fuoco, vero? – disse uno degli uomini, con un forte accento che storpiava malamente la pronuncia – ha cacciato via i lupi della steppa con la magia.”
“Demone o uomo non ha importanza – disse Alexand, dimostrando di saper trattare con quella gente, un qualcosa che Roy non mancò di notare e apprezzare – i lupi delle steppe lo considerano nemico e questo è una tutela per la vostra gente. La vostra ospitalità li indurrà a non attaccarvi.”
“E’ un fuoco amico – disse una voce vecchia e stentorea – non brucerà la nostra gente.”
Roy e Alexand si girarono in tempo per vedere una vecchia, curvata dall’età, che si faceva avanti, sostenuta da una ragazzina dal viso sporco. Un nodoso bastone era tenuto stretto dalle mani pallide e callose e con esso la donna cercava di procedere più fermamente che poteva, sebbene facesse grande affidamento sulla sua accompagnatrice. Era vestita anche lei poveramente, ma c’era una strana dignità: come se la gente del villaggio le avesse riservato le stoffe migliori e più calde. Il viso era una foresta di rughe, ma gli occhi scuri erano lucidi e attenti come quelli di un animale selvatico.
Con qualche difficoltà la donna arrivò davanti a loro e disse:
“Possano le forze della steppa proteggere sempre il nostro signore. I suoi amici sono i benvenuti tra di noi.”
“Con che autorità parli, donna?” chiese Alexand. Non c’era stizza nella sua voce, solo profondo rispetto: stava semplicemente seguendo un rituale ben preciso.
“L’autorità di chi, umilmente, serve la propria gente guarendo e pregando.”
Roy non disse niente ma capì al volo: in un mondo ostile come quello una guaritrice era ritenuta di altissima importanza, alla stregua di un guerriero. La vita di quella povera gente dipendeva dalle sue conoscenze delle erbe: i bambini sopravvivevano ai mali stagionali grazie a lei e, sicuramente, dalla sua aveva delle nozioni che le consentivano di riconoscere diversi segnali della natura stessa, come i cambiamenti del tempo, della terra e così via.
Siamo a questo punto – rifletté – dalla potente e ricca Cittadella a questo posto arcano dove a farla da padrone è una donna di quasi cento anni. Dove siamo? Ai confini del mondo?
“Karilla concede, Karilla prende – disse la vecchia con aria solenne – oggi ha concesso la visita di due ospiti importanti. Il fuoco amico era stato predetto da tempo, da quando quello malvagio ha portato via il povero Krat.”
Alexand e Roy non poterono fare a meno di scambiarsi un’occhiata a metà tra il vittorioso e l’aspettativa: erano sicuramente nel posto giusto.
 
“La vita nelle steppe è molto difficile – spiegò Derekj – ma Alexand è una guida di cui ci si può fidare. Voi l’avete sempre visto vestito di tutto punto, ma ha passato molto tempo viaggiando e conoscendo anche le realtà più povere di questa terra.”
Con un sorriso mandò giù un sorso del vino che aveva accompagnato il dolce e riempì di nuovo il bicchiere, provvedendo poi a servire anche Riza. Quella sera aveva chiesto alla donna di cenare assieme a lei e a Michael nei suoi appartamenti privati, in modo del tutto informale. La donna era stata sorpresa da quell’invito, ma poi si era resa conto che l’Autarca stava solo cercando di mantenere unita la sua strana squadra d’investigazione: con due membri così importanti partiti per quello strano viaggio era ovvio che ci si sentisse leggermente spaesati.
Parlare con i Tojanev era ancora difficile: Lidia si era ritirata presso la sua famiglia e nessuno di essi si faceva trovare: erano dannatamente elusivi e lo facevano con estrema classe. Derekj avrebbe potuto convocarli come e quando voleva, ma era una mossa troppo azzardata: senza prove, con solo dei sospetti, si sarebbe messa quella famiglia sul chi vive più di quanto lo fosse già. E non era il caso di dare simili vantaggi.
“Non fare quella faccia, Michael – continuò il biondo – so bene che in quelle terre il credo ufficiale non ha molto attrito, ma sono realtà molto diverse e vanno rispettate. Sono certo che Alexand e il generale riceveranno tutto l’aiuto possibile.”
“L’aiuto delle superstizioni e delle credenze in divinità false e pagane…” borbottò l’altro rigirando la forchetta nel piatto mezzo pieno.
“Le stesse da cui è partito il nostro amico. Non ti preoccupare, non verranno certo corrotti o chissà che altro: semplicemente devi ammettere che qui la nostra religione può fare ben poco.”
“A questo punto preferisco davvero parlare di scienza!”
Riza non poté far a meno di ridacchiare, seguita quasi immediatamente da Derekj. Michael sembrava davvero un vecchietto bofonchiante con quel broncio degno di miglior causa.
“Lo trovate divertente?” chiese il monaco, rivolgendosi a Riza.
“Sì, perché in realtà voi siete molto più razionale e comprensivo di quando dimostriate, Michael.”
“Ahi ahi, qualcuno è arrivato a capirti meglio del previsto!” considero Derekj con un sorriso.
Sicuramente avrebbe aggiunto altro o comunque Michael avrebbe risposto a tono, ma proprio in quel momento bussarono alla porta ed un maggiordomo di mezz’età si chinò ad una perfetta angolazione davanti al suo sovrano.
“Mi duole interrompere la cena con i suoi ospiti – disse con voce calma – ma lady Valerya ha chiesto urgentemente di essere ricevuta.”
“Valerya? – Derekj si alzò dalla sedia con incredulità – è qui?”
“Pare che la lady sia appena arrivata, mio sovrano. E’ ancora in tenuta da viaggio.”
“Falla entrare, è ovvio!”
Riza notò come il volto del giovane sovrano si fosse illuminato di impazienza, ma anche di preoccupazione. Lanciò un’occhiata interrogativa a Michael ed il monaco rispose con una scrollata di spalle ed un mezzo sorriso, a dimostrare che quell’entusiasmo non gli era per niente nuovo.
Passarono solo pochi secondi e la giovane che aveva rubato il cuore al sovrano di Drachma entrò.
Lady Valerya Vinkin doveva avere poco più di vent’anni ed il primo pensiero che Riza ebbe fu quello di una bellezza in parte selvatica ed indomita. Non era molto alta ed il fisico era snello, tanto da sembrare ancora incerto tra l’adolescenza e l’età adulta. Il viso era leggermente affilato, ricordando in qualche modo quello di un furetto, ma armonioso e splendidamente incorniciato da folti capelli scuri e lisci. Tuttavia il tratto più notevole erano gli occhi: sotto delle sopracciglia eleganti e volitive, valorizzati da lunghe ciglia scure, erano grandi, neri ed incredibilmente espressivi. Sorridevano al mondo, ma allo stesso tempo parlavano di astuzia ed esperienza, quasi a mettere in guardia gli altri a non considerarla una sprovveduta.
“Mio signore!” sorrise la dama, con voce cristallina, mentre una graziosa fossetta le appariva sul mento e i denti candidi e piccoli facevano la loro comparsa. Una piccola fessura tra quelli di davanti contribuiva a dare un ulteriore tocco di bellezza particolare.
“Eppure vi credevo al sicuro nella tenuta di famiglia! – sorrise Derekj, accostandosi a lei e prendendole le mani – Ma dovevo immaginarmi che sareste venuta.”
“Non potevate chiedermi di restare così lontana in un momento simile!”
“Puzzate ancora di cavallo! Non mi dite che siete venuta…”
“Ovviamente! La carrozza avrebbe rallentato troppo con questo tempo che si prospetta. Ma non temete, ero ben protetta da fidate guardie del corpo e tutto è andato liscio come l’olio.”
“Santo cielo, Valerya, a volte siete proprio sconsiderata!”
“Mi piace esserlo per il mio signore…”
Quel sorriso, quella frase, quei sottintesi… a Riza fu fin troppo chiaro che i due giovani erano amanti da parecchio tempo. E così quella ragazzina dall’aria furba ed intrigante, i cui abiti da viaggio sebbene sporchi e puzzolenti stavano divinamente, era con tutta probabilità la futura regina di quel regno così grande e potente. Per qualche istante la bionda si chiese se ne era consapevole, ma poi si disse che niente sfuggiva a quella testolina così aggraziata.
“Michael – salutò quindi la giovane, lasciando la mano di Derekj e andando verso il monaco che, nel frattempo, si era alzato in piedi – è una gioia rivedervi. Confido che siate sempre vicino e fedele al mio amato signore.”
“Come sempre, mia lady – annuì Michael con un sorriso sincero che confermò a Riza come il monaco fosse a conoscenza di tutta la loro storia d’amore – sa bene che può contare su di me.”
“E Alexand?”
“E’ in missione – spiegò Derekj, riaccostandosi a lei – intanto ti vorrei presentare il tenente colonnello Riza Hawkeye. Fa parte dell’ambasciata di Amestris e lei e la sua squadra ci stando offrendo un grande aiuto in questa grave crisi che ha colpito il nostro regno.”
“Gli amici del mio signore sono miei amici – sorrise la ragazza porgendo la mano a Riza ed evitando così qualsiasi formalità – se si fida di voi e del vostro aiuto sono certa che siete persone fuori dal comune.”
Come te… - fu costretta a pensare Riza, mentre stringeva quella mano piccola ma forte.
“Mi dispiace di aver interrotto la cena – confessò Valerya – non pensavo ci fossero ospiti di riguardo.”
“Ma no, stavamo giusto terminando.”
Ci furono solo pochi minuti di convenevoli, il tempo per prendere congedo in maniera cortese, poi Michael e Riza si riavviarono verso il palazzo degli Esdev, camminando con tranquillità come se fossero amici di vecchia data. Alla luce delle torce che stavano nei corridoi, la donna si girò a guardare il monaco e si accorse che il suo viso era disteso come succedeva raramente da quando Kora aveva avuto quell’incidente che l’aveva quasi condotta alla morte: da allora era rimasto in casa, vegliandola per diverso tempo e chiudendosi in profondi silenzi.
“Mi pare proprio la persona adatta per Derekj – disse per fare conversazione – è molto diversa dalle altre nobili di Drachma che ho conosciuto fino ad adesso.”
“Oh, Valerya è speciale di sicuro – rispose lui – e non sottovalutatela: è molto intelligente e saggia e avete ragione nel dire che è la persona adatta per il mio signore.”
“Il suo arrivo qui ha sicuramente rasserenato il suo animo… e anche il vostro.”
“Si è capito così tanto? – Michael sorrise con aria colpevole – ha ragione Derekj quando dice che sono diventato molto prevedibile allora. Sì, sono molto rasserenato… finalmente vedo una relazione sincera e priva di qualsiasi interesse. Ed il fatto che si tratti di una delle persone a me più care non può che rendermi felice.”
Ovviamente fu chiaro il riferimento a quanto invece era accaduto a Kora.
“Ormai è solo questione di giorni prima che si riprenda del tutto – sorrise la soldatessa – è stato un brutto momento, ma è passato.”
“Solo l’ultimo di una serie troppo lunga di brutti momenti – scosse il capo il monaco, tornando ad indossare la solita maschera di durezza – il prossimo a quando? Santo cielo, se penso poi alla motivazione…”
“Anche Kyril è rimasto molto colpito da quanto successo: l’ho visto spesso andare nelle stanze della sorella. Spero che si siano chiariti.”
“Che cosa c’è da chiarire? Quella gelosia malsana proprio non riesce a passarle.”
“Secondo me non dovrebbe stare in questo posto – propose Riza – la presenza continua del fratello la mette in difficoltà, è chiaro. Dovrebbe essere mandata in campagna o comunque in un posto tranquillo e tenuta costantemente d’occhio.”
“E’ comunque la cugina dell’Autarca, la figlia di una principessa di sangue Drachvoic: un allontanamento simile sarebbe motivo di scandalo.”
“E così, per amor dell’apparenza, viene privata dell’aiuto di cui ha evidente bisogno.”
“Triste ma vero, io cerco di fare il possibile ma non basta, forse con Kora niente sarà mai sufficiente. E’ semplicemente deviata mentalmente e non c’è cura. L’unica cosa che vorrei  è che non fosse più coinvolta in tutta questa storia… spero che lei e Kain non si vedano più per tutto il resto della vostra permanenza qui.”
“E un qualcosa che mi auguro pure io… e credo anche il tenente.”
“I vostri problemi sono risolti, vero? Lo vedo dalla vostra espressione: prima non facevate nemmeno riferimento a lui.”
“C’è stato un chiarimento – ammise Riza – non è proprio il momento giusto per queste fratture nella squadra: è necessario essere compatti contro il nemico comune.”
“Certo…” annuì Michael con aria di chi invece la sapeva lunga.
“Ha visto che luna questa sera?” chiese la donna per cambiare argomento.
“Già, luna piena… sono sicuro che anche Alexand e il generale Mustang si stanno godendo questo spettacolo della natura. E nella steppa è tutta un’altra cosa.”

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Capitolo 21
*** Capitolo 20. Il colore del male ***


Capitolo 20.
Il colore del male



La vecchia si chiamava Marn e aveva visto un numero d’inverno così elevato da raggiungere quasi il secolo di vita. Viveva ai confini del villaggio, in una piccola e bassa capanna fatta di fango e paglia, con un buco nel tetto per far passare il fumo che proveniva dal piccolo fuoco che stava sempre acceso nel pavimento di terra battuta. Non c’era traccia di arredamento, se non una piccola stuoia e delle coperte usate per dormire e sedersi e alcuni utensili per cucinare o creare medicine.
Per una persona piccola di statura come Marn una sistemazione simile andava più che bene, ma per degli uomini alti come Roy ed Alexand stare seduti in quel posto era al limite della claustrofobia. Tuttavia erano stati ufficialmente invitati a dividere il magro pasto con lei e questo era un rituale di ospitalità talmente sacro che non poteva venir ignorato, nemmeno dall’Autarca in persona.
In quel momento la vecchia guardava le povere fiamme che scoppiettavano debolmente nella piccola fossa di terra che costituiva il loro nido: i suoi occhi scuri le scrutavano con attenzione quasi stesse chiedendo al fuoco di darle delle risposte. Il silenzio era quasi surreale tanto che, dopo qualche minuto, Roy si chiese se la donna non fosse caduta in una sorta di trance senza nemmeno averli avvisati di una simile eventualità. Tuttavia, lanciando un’occhiata ad Alexand, notò come questi fosse tranquillamente seduto a gambe incrociate ad attendere pazientemente e con grande rispetto.
“Il fuoco – iniziò la vecchia con voce roca, senza smettere di fissare le fiamme – è il più grande dono che Karilla ha concesso all’uomo. Senza fuoco la gente muore per il freddo, non può cucinare il cibo, non può vedere la notte, non può proteggersi dalle bestie: esso è bene, ma è anche pericoloso – i suoi occhi scuri si volsero quindi verso Roy – l’uomo che sa evocare il fuoco è potente, esso compare a suo piacimento e lo scaglia contro i nemici… il cuore di quest’uomo è buono, siamo fortunati.”
Roy annuì debolmente, non sapendo come rispondere a quella strana forma di complimento.
“Il mio fuoco è rosso, come questo – si trovò a dire, indicando col mento le fiamme – ma esiste un altro fuoco, di color azzurro…”
“Un fuoco azzurro non è bene – commentò la vecchia – non è il dono di Karilla. E’ fuoco malato, fuoco degli spiriti del male: non riscalda, ma assorbe la vita e la porta via. L’uomo che lo domina ha perso la ragione: usare una cosa simile non è bene, è risaputo.”
“L’hai visto quest’uomo? – chiese Alexand – prima hai parlato della morte di un tuo paesano, un certo Krat.”
“Krat non era un uomo buono, cercava di ingannare il prossimo – sospirò la vecchia, lanciando una manciata di erbe sul fuoco che subito sprigionò uno strano ed inebriante odore – ma non faceva male alla gente. L’inverno scorso arrivò qui un uomo giovane che ha posto diverse domande alla gente del villaggio. Cercava un posto proibito, un posto dove solo Karilla ha il diritto di stare… nessuno di noi lo volle accompagnare, tranne Krat.”
“Scommetto che è un posto dove ci sono pietre particolari…” mormorò Roy, riflettendo su quanto aveva letto assieme al principe Shao. Era chiaro che quelle persone lo considerassero un posto dagli strani poteri divini date le reazioni di magnetismo che dovevano svolgersi: attrezzi di metallo in qualche modo alterati, strani suoni dovuti al contrasto delle diverse forze magnetiche… c’erano motivi più che sufficienti perché la gente se ne stesse alla larga.
Invece il nostro amico è andato per usare il flusso di potere nella sua forma più potente. Evidentemente era una delle prime volte che utilizzava la sua alchimia e aveva bisogno di un sostegno simile.
“Le pietre di Karilla…” confermò la donna con un sospiro stanco.
Roy annuì, confermando la sua ipotesi: ogni posto che gli era stato indicato da Derekj corrispondeva sicuramente a qualche santuario di questa tipologia.
“E poi che è successo?” chiese Alexand, interrompendo quelle riflessioni.
“Avevo avvisato Krat di non andare in quel luogo, sfidando così le ire di Karilla, ma lui non mi ha voluto ascoltare: lo straniero gli aveva promesso molti soldi se gli avesse fatto da guida… e sicuramente Krat aveva intenzione di rubargli tutto quel denaro. Ma la punizione è stata orribile… oh, se lo è stata!”
“Fuoco azzurro?” domandò Roy, pur conoscendo già la risposta.
“Gli uomini mandati a cercarlo raccontarono di aver visto delle fiamme azzurre in lontananza e poi lo straniero che si allontanava a cavallo. E steso a terra, sulla neve, c’era Krat con il corpo pieno di quelle orribili ferite e con l’espressione di orrore assoluto. Non hanno osato toccarlo fino a quando non ho fatto su di lui i rituali per mandare l’anima nell’altro mondo.”
“Quindi è stata quella persona ad evocare le fiamme azzurre che hanno ucciso Krat…” disse Alexand.
“Il fuoco emana calore, ha i colori caldi… le fiamme fredde non sono del mondo, sono della morte!” completò la frase con un gesto di scongiuro e lanciando sul fuoco un’altra manciata di erbe aromatiche, quasi ad allontanare la malasorte.
“Le ustioni… le ferite di Krat – proseguì Roy – erano le stesse di quando le mani si congelano, vero?”
“Le ferite del gelo, esatto… capisci quando è sbagliato, signore? Il fuoco protegge dal gelo! Non ferisce come lui!”
“Sì, capisco…” annuì il generale.
Ma mi ritrovo sempre al punto di partenza… anche se so che fonte di energia ha usato, non riesco ancora a capire il ragionamento alchemico che ci sta alla base.
“Ci potrebbe descrivere questo straniero?” chiese Alexand, mettendosi a braccia conserte.
“Signore… l’uomo viaggiava a volto coperto, non si è mai levato la sciarpa ed il cappuccio in nostra presenza. Ma aveva gli occhi del medesimo colore delle sue fiamme demoniache…”
 
Quattro giorni dopo, Riza e gli altri erano seduti al tavolo della camera di lei e ascoltavano attentamente la conversazione nei piccoli auricolari che portavano all’orecchio.
“Davvero non ci volevo credere quando sono tornata e ho saputo della notizia!”
La voce di Valerya risuonava chiara negli auricolari di Riza e del resto della squadra, tanto che Fury fece un gesto di vittoria nel constatare che i suoi apparecchi funzionavano a meraviglia anche a grande distanza.
“I medici dicono che oramai è fuori pericolo, è solo ancora molto debole… però Kyril non fa che passare il tempo al suo capezzale, a me non mi considera più! Sono parecchio tentata di dirlo a mia nonna e farle cambiare idea su questo fidanzamento, così imparerebbe la lezione! Una Tojanev non si tratta in questo modo!”
Lidia Tojanev era oggettivamente furente contro il suo fidanzato: il piano stava avendo pieno successo ed erano bastate solo poche frasi, subito dopo i convenevoli, prima che la giovane bionda iniziasse il suo sfogo.
“Sembra Rebecca quando si incazza…” commentò Havoc con un sorrisino.
“Smettila!” sibilò Riza con un’occhiataccia.
“Non parli, signore – ammonì Fury – altrimenti potremmo disturbare lady Valerya.”
“Suvvia, non mi pare il caso di farne un dramma… non è un mistero che Kyril sia tremendamente affezionato alla sua gemella e quello che è successo non è uno scherzo!”
Ci fu un borbottio irritato in risposta e poi silenzio, segno che le due giovani avevano ripreso la loro passeggiata. Tuttavia Riza era fiduciosa che nell’arco dei prossimi minuti ci sarebbe stato un nuovo sfogo.
Se doveva essere sincera era rimasta molto sorpresa quella mattina quando lady Valerya si era presentata nelle sue stanze offrendosi volontaria per parlare con Lidia Tojanev: ovviamente Derekj l’aveva messa al corrente di tutta la situazione e lei non aveva perso tempo per diventare parte attiva di quella missione. Per qualche minuto la soldatessa si era chiesta se era il caso di fidarsi di lei a tal punto, ma poi si era resa conto che quella ragazza le era piaciuta sin da subito e quando accadeva una cosa simile era sempre il caso di fidarsi di quello strano sesto senso che possedeva.
E così, nell’arco di nemmeno venti minuti, la giovane Vinkin si era trovata fornita di auricolare e microfono, sapientemente nascosti nell’abito color vinaccia, e aveva proposto alla ragazza Tojanev di fare una passeggiata nei grandi cortili della Cittadella,approfittando di quella bella mattinata di sole.
“Lo so che è tremendamente affezionato a lei… ma adesso esagera! Insomma si presume che nel momento in cui si prende un impegno ufficiale come un fidanzamento, certe cose passino in secondo piano. E poi sappiamo bene come è fatta Kora! Siete mancata molto da corte lady Valerya, ma vi assicuro che non ha perso occasione per dare scandalo con un soldato dell’ambasciata di Amestris!”
“Mi è giunta voce anche di questo… e come ha reagito Kyril a tutta questa storia?”
“Faceva finta di niente, ma io lo capivo che in realtà era molto contrariato… sin troppo! Insomma, non voglio assolutamente che la nostra sia una relazione a tre!”
“Lady Lidia, per favore! Che insinuazioni pericolose…”
“Oh, avete l’orecchio troppo protetto essendo una Vinkin – la voce della Tojanev era leggermente divertita – non siete per niente al corrente delle voci che giravano qualche anno fa a proposito di loro due.”
“Sono fratelli, sarebbe estremamente scandaloso!”
“Che siano vere o meno chissà! Sta di fatto che una gelosia simile da parte di entrambi è fuori luogo… sì, proprio così! Kora sarà anche stupida e tendente a fare gesti eclatanti, ma pure Kyril non scherza con queste manifestazioni di gelosia… perché è gelosia, anche se lui lo nega. Ma se vuole l’appoggio della mia famiglia si deve dimenticare di qualsiasi cosa abbia legato lui e Kora che non vada oltre un semplice rapporto fraterno! Non accetterò nessun compromesso sia chiaro!”
“Appoggio della famiglia? E per cosa?”
“Per tutto, chiaro! L’appoggio dei Tojanev non è cosa da poco… oh, beh, del resto sono cose a cui voi Vinkin non pensate molto spesso! Siete persino mancata ad un ballo importante come quello della fine del periodo di lutto: si vede che la vita in società non vi interessa più di tanto, vero?”
“Se fossimo tutti uguali sarebbe una bella noia, non trovate? – al sarcasmo non troppo velato della compagna, Valerya rispose con altrettanta ironia – E poi siete proprio voi Tojanev che insegnate come molto spesso le cose più importanti non avvengono alla luce del sole, no?”
“Lady Valerya si sta riferendo a qualcosa in particolare?”
“Suvvia non è una domanda degna di una Tojanev: siete voi quelli che sapete tutto di tutti! Ma forse siete ancora troppo giovane e vostro padre non vi coinvolge ancora più di tanto… ma presumo che almeno il fidanzamento con Kyril ve lo gestiate voi da sola, vero?”
“Più che vero! Vi ho già detto dell’ultimatum che ho intenzione di porgli! Vedrete come cederà!”
La conversazione poi tornò su argomenti più banali fino a quando, dopo una decina di minuti, le due si separarono con cortesia.
“E’ andata benissimo, signora – disse Fury al proprio microfono – non si preoccupi, torni qui e penserò io a spegnere tutto quanto.”
“Arrivo, tenente!” la voce di lei era estremamente soddisfatta, tanto che stava certamente reprimendo una risatina divertita.
“Che ne pensa di questa conversazione, signora?” chiese Breda, rivolgendosi a Riza.
“Non lo so, ammetto che sono abbastanza perplessa – ammise lei – dalle informazioni che avevo ricevuto sembrava che fosse solo Kora quella ossessivamente gelosa del fratello, ma pare che anche Kyril non scherzi, per quanto riesca a nasconderlo molto meglio. Eppure… lui stesso sembrava sinceramente esasperato da questa situazione: voleva che Kora si staccasse da lui e lo lasciasse in pace nel suo fidanzamento.”
“Può essere semplice finzione…” propose Falman.
“Nel caso finge molto bene.”
“Senza contare che vedere la propria gemella in punto di morte per dissanguamento non è una bella cosa. Può darsi che in un simile frangente abbia in parte rivisto la sua posizione – commentò Havoc, accendendosi una sigaretta – anche se Lidia Tojanev fa tanti proclami non può negare la gravità di quanto è successo. Certo, sarebbe davvero interessante approfondire meglio i precedenti che ci sono stati tra loro due, non credete?”
Riza annuì, ripensando alle confidenze che le aveva fatto Michael e che lei aveva riferito solo al generale. Certo, poi la relazione tra Kora e Kyril era in parte saltata fuori grazie alla furente gelosia di lei, però non aveva la stessa validità della testimonianza del monaco. Le parole di lady Kora Esdev andavano sempre prese con le pinze a prescindere dal fondo di verità che contenevano.
“E tu, tenente, che cosa ne pensi?” gli occhi castani si volsero verso Fury, impegnato a rimettere a posto i suoi auricolari in modo che i fili non si attorcigliassero.
Il giovane soldato sussulto lievemente a quella domanda, mostrandosi in imbarazzo nel venir chiamato in causa sull’argomento. Si vergognava profondamente, Riza questo lo capiva, e per quanto le avesse chiesto più volte scusa ancora non riusciva a recuperare la spensieratezza di sempre.
Una volta ti saresti confidato con me, ma adesso non è più così – rifletté la donna con un briciolo di malinconia – davvero il nostro rapporto è andato così a rotoli?
Dovette trattenersi per non portarsi una mano alla spalle e toccare l’inizio del tatuaggio: la stava perseguitando, in quei giorni era tornato ad essere la sua maledizione dopo anni che era stato praticamente nel dimenticatoio. Era come se Fury, scoprendolo, gli avesse dato nuova linfa vitale, come se l’inchiostro fosse tornato nitido ed il dolore dell’ago fosse ancora fresco.
Una simile consapevolezza bastò a farle riprendere un tono più sbrigativo.
“Lasciamo stare, adesso va pure a riprendere l’auricolare da lady Valerya. Ci aggiorniamo qui, signori – dichiarò, alzandosi in piedi, imitata dagli altri – a breve tornerà il generale, ne sono certa. Nel frattempo continuate le indagini come al solito.”
 
Quella sera, l’ora di cena era ormai passata da diverse ore, quando ormai tutti erano a dormire, Fury stava sistemando le sue apparecchiature radio in ordine, un piccolo rituale che serviva a rilassarlo. Si sentiva abbastanza tranquillo, sebbene si rendesse conto che le indagini erano ad un punto fermo e c’era bisogno di scavare oltre nel rapporto tra i due gemelli per capire se fossero in qualche modo collegati a quanto era successo al patriarca. E, se doveva essere sincero, sperava di continuare a svolgere un ruolo marginale in tutta quella vicenda, senza venir più coinvolto in una maniera così brutta.
Non la voglio più vedere in vita mia… mi dispiace, sul serio, ha dei problemi che non dipendono tutti da lei, però io non ci posso fare niente.
Si sentiva in parte vigliacco a pensarla in quella maniera, ma era stato ferito in maniera davvero profonda da quella ragazza che l’aveva usato in maniera così bieca. Per come la vedeva lui l’amore era tutta un’altra cosa e non corrispondeva minimamente a quanto gli aveva offerto Kora Esdev. Persino quei baci che si erano scambiati non avevano niente a che vedere con quel sentimento che, in teoria, doveva essere bellissimo e privo di qualsiasi ripensamento o dubbio.
A questo punto non so se ho davvero intenzione di innamorarmi prima o poi…
Ma forse era una decisione troppo drastica, presa quando ancora la situazione era troppo calda. Di sicuro ad Amestris, col tempo, avrebbe ripreso a vedere le cose in una giusta prospettiva.
Rimise a posto la sua ultima ricetrasmittente e poi si alzò in piedi stiracchiandosi, con l’intenzione di mettersi il pigiama ed andare a dormire. Tuttavia, proprio in quel momento, sentì un forte rumore nel corridoio, come se qualcuno fosse caduto rovinosamente.
Andò ad aprire la porta e vide Kyril Esdev che, con il viso angosciato, si rialzava in piedi.
“Che è successo?” chiese Fury, accostandosi a lui e aiutandolo. Era la prima volta che lo vedeva così sconvolto: il viso in genere così calmo e pacato era devastato dall’angoscia e dalle lacrime, tanto che gli occhi azzurro chiaro, erano sfumati in una tonalità molto simile all’argento.
“Kora! – mormorò tra le lacrime – santo cielo! E’ sparita… è andata a suicidarsi nel fiume!”
“Che cosa?” Fury rimase paralizzato a quella dichiarazione.
“Sono… sono andato a controllare se dormisse… e ho trovato questo biglietto! – gli mostrò un foglio stropicciato con una scrittura malferma e l’inchiostro sbavato dalle lacrime – cielo! Lei non doveva nemmeno alzarsi da quel letto! Eppure sembrava ormai tranquilla! Devo andare!”
“Diamo subito l’allarme!”
“Già fatto… mio padre è andato ad allertare la servitù, ma impiegherà del tempo a svegliarli e ad organizzare tutto… io inizio ad andare, non posso attendere oltre!”
Divincolandosi dalla stretta del soldato, continuò la sua corsa per il corridoio.
Fury si passò una mano tra i capelli con estrema angoscia. Che cosa doveva fare? Non poteva lasciarlo andare da solo considerato che era notte fonda. Senza pensarci oltre, iniziò a correre sulla scia di Kyril Esdev.
 
Il principe Shao era seduto a gambe incrociate sul pavimento della sua stanza: indossava ancora gli abiti da giorno e teneva gli occhi chiusi in quella che sembrava meditazione. In realtà aveva passato l’ultima ora a scrivere una lunga lettera per suo fratellastro, l’imperatore Ling Yao, descrivendo dettagliatamente la situazione che si stava vivendo a Drachma in quel momento: non aveva dubbi che il suo regale parente sarebbe stato ansioso di ricevere un resoconto dal vivo, ma per quello avrebbe dovuto attendere. Shao Ming non aveva nessuna intenzione di andare via da quel posto fino a quando le acque non si fossero calmate: non avrebbe abbandonato i suoi amici ed, inoltre, non voleva assolutamente perdersi l’evolversi di quella storia così particolare.
Tuttavia la pergamena per l’imperatore era stata arrotolata già da parecchio, con Mio che aveva provveduto a deporla con cura in un contenitore di legno che sarebbe stato poi affidato a qualche mercante fedele al clan Ming, dopo che lui o il gemello l’avessero portato fino ai confini del regno di Drachma con l’impero di Xing.
Davanti al principe Shao stava un nuovo foglio di pergamena che però non vedeva la solita scrittura ordinata e leggermente inclinata del giovane reale: il suo pennello sottile vi aveva tracciato diversi ideogrammi, senza un ordine preciso, seguendo soltanto quello che l’istinto e la meditazione gli suggerivano. Suo nonno materno gli aveva insegnato sin da piccolo che la meditazione poteva essere accostata all’arte della scrittura, portando corpo e mente a collaborare tra di loro in perfetta armonia, estraniandosi da tutti i fattori del mondo che potevano velare quella che era la verità.
Fuoco e acqua, erano questi i due ideogrammi scritti più grossi di tutti gli altri, nelle estremità opposte della pergamena. Poi l’ideogramma che rappresentava la pantera, quello della religione, quello del tradimento e tanti altri che insieme andavano a comporre l’intricato rompicapo di quel mistero.
Fratelli gemelli…
L’ultimo esercizio di respirazione gli fece scrivere anche quell’ideogramma e poi aprì gli occhi per osservare il suo operato.
“Il simbolo dei gemelli è molto simile a quello dell’armonia – mormorò, rivolgendosi alla sua guardia del corpo che stava in diligente silenzio vicino a lui – è con l’armonia che tu e tuo fratello riuscite a collaborare in battaglia e a capire quando uno ha bisogno dell’altro, no?”
“Sì principe – annuì il guerriero chinando leggermente il capo – ci è stato insegnato a collaborare e che dall’astio tra di noi nasce solo sconfitta.”
“Anche se non è un combattimento vero e proprio la situazione dei due gemelli Esdev è davvero strana – commentò ancora Shao, battendo con la punta del pennello sul quell’ideogramma che, curiosamente, era venuto molto vicino a quello della pantera e del serpente – sento che qualcosa mi sfugge.”
Mio stava per rispondere, ma alzò lo sguardo verso la finestra dove la sagoma del fratello era appena comparsa, accucciata sul davanzale.
“Altezza – disse il giovane, con la voce leggermente alterata dalla maschera cerimoniale che indossava – Kyril Esdev è appena uscito di corsa dal palazzo, seguito a poca distanza dal giovane soldato di Amestris.”
“Il soldato era solo?” chiese Shao, arrotolando con grazia la pergamena e alzandosi in piedi.
“Sì, principe, solo loro due. E sembrava proprio un cacciatore che si assicura che la preda lo segua. Andavano verso il fiume, non posso sbagliare.”
“Non ne sono nemmeno troppo sorpreso, a pensarci bene. Mio, tuo vai subito ad avvisare la signora; Sin, noi andiamo a seguire preda e cacciatore: ho un brutto presentimento!”
 
Drachsjna era ormai vicinissima e questo spinse sia Roy che Alexand a spronare le loro cavalcature in quell’ultimo sforzo. Avevano percorso al galoppo il tratto finale di strada, non appena la via era tornata più agevole e compatta, andando oltre un misero sentiero: non importava se era notte, i cavalli erano addestrati ad andare anche al buio e conoscevano bene quella strada.
“Dannazione, speriamo che nel frattempo non sia successo niente di grave!” sbottò Alexand, incitando ulteriormente con le redini il suo destriero nero.
Roy nemmeno rispose: continuava a tenere le redini del suo cavallo lasciando fare tutto alla sua esperienza.
Gli occhi azzurri erano l’unico dettaglio che avevano di quella persona, peccato che un simile colore si adattasse alla perfezione a decine di nobili di Drachma, specie ai Tojanev che erano biondi e con gli occhi azzurri per tradizione.
Così come i Drachvoic… a questo punto perché non mettere in mezzo anche Derekj? Oh, ma che cosa sto andando a dire? Dannazione, queste informazioni così frammentarie mi mettono sui nervi.
Arrivarono ad una delle porte della città, fermando le loro cavalcature il tempo necessario perché Alexand li identificasse. Poi continuarono la loro corsa verso la Cittadella.
“Conviene passare dalla parte nord – disse Alexand, facendo girare il suo destriero in una strada laterale – accorceremo il percorso di quasi un chilometro.”
“A settentrione non c’è il fiume?” chiese Roy
“La strada ci passa a poca distanza ma non lo tocca, non ci saranno problemi!”
“Dannazione, ma quando è caduta tutta questa neve?”
“A breve inizierà anche una tempesta!” chiuse la conversazione Alexand.
E a Roy non restò che seguirlo.
 
“Ouch!”
Fury cadde pesantemente sulla neve, ferendosi il viso con alcuni rovi che stavano ai lati del sentiero che credeva di seguire. Credeva perché di quel sentiero ormai aveva perso qualsiasi traccia coperto com’era dalla neve che aveva ripreso a cadere.
Si guardò attorno con disperazione, non riuscendo nemmeno più a vedere le luci della Cittadella per quanto si era addentrato nella boscaglia. Da lontano, dalla visuale che aveva dalla finestra di camera sua, gli era sempre sembrata una sorta di pineta, ma sembrava che fosse un bosco vero e proprio, pieno di rovi e chissà… magari anche con qualche lupo selvatico.
No, dai, che sciocchezze dici? Non ci possono essere animali feroci in un posto così vicino alla Cittadella! Adesso non farti prendere dal panico.
“Kyril?” chiamò con voce roca, cercando di farsi sentire oltre quel vento che ululava davvero forte tra gli alberi.
Ma nemmeno questa volta il nobile rispose, era come se si fosse volatilizzato. Sulle prime si era girato più volte per assicurarsi che lui lo stesse seguendo, ma poi la sua falcata si era fatta molto più rapida e dopo qualche minuto che si erano addentrati nella boscaglia l’aveva completamente perso di vista.
“Kyril?” chiamò con voce più flebile, quasi a farsi compagnia in quella solitudine.
Alzandosi in piedi proseguì a passo più lento in quell’intrico di alberi di cui vedeva pochissimo, tanto che teneva le mani in avanti per evitare di incappare in altri ostacoli. Era corso via con tale impeto da non pensare nemmeno di prendere una torcia.
Oh, dai, poco male… a breve arriveranno il duca con i suoi uomini e loro ne avranno diverse.
Già, il duca… gli sembrava strano che nessuno avesse fatto ancora la sua comparsa. Eppure Kyril gli aveva detto che si stavano già organizzando le squadre di ricerca: una perdita di tempo simile non trovava spiegazione.
“Kyril…”
Continuò ad avanzare, nella speranza che il suo compagno lo trovasse.
 
“Da questa parte, mia signora!” esclamò Mio, oltrepassando il cortile degli Esdev per andare verso lo stretto sentiero che portava verso la boscaglia.
“Aspettami, non ci vedo!” lo richiamò Riza, incespicando malamente data la mancanza d’illuminazione.
Fu solo questione di due secondi prima che un’abbagliante luce iniziasse ad ardere a pochi metri da lei, rendendo finalmente visibile la guardia del corpo del principe Shao.
“Va meglio? – chiese Mio, tenendo quella strana torcia scoppiettante – cerchi di tenere il mio passo, signora. Dobbiamo raggiungere il principe e mio fratello.”
Riza annuì e riprese a correre, seguendo quel segnale luminoso che si muoveva davanti a lei. Sapeva benissimo che il giovane guerriero stava tenendo un'andatura al di sotto delle sue possibilità, ma non ci poteva fare niente.
Quella sveglia improvvisa, con Mio in perfetto equilibrio sul cassettone ai piedi del suo letto l’aveva letteralmente fatta sobbalzare. Per un attimo era rimasta interdetta dall’assoluto silenzio con cui era riuscito ad entrare nella sua stanza: i suoi sensi non si erano accorti di niente e non aveva fatto nemmeno in tempo a tirare fuori la pistola che teneva prudentemente sotto il cuscino.
Le spiegazioni erano state rapide ed avevano avuto il potere di svegliarla del tutto: aveva indossato pantaloni e stivali senza nemmeno preoccuparsi della presenza dell’altro e poi si era sfilata la maglia del pigiama sotto la quale indossava il suo comodo maglione scuro data la temperatura fredda di quella notte. Nell’arco di un minuto era pronta e correva dietro quella figura agile e sottile, impalpabile come l’aria, mentre i suoi capelli biondi le svolazzavano dietro.
Si era chiesta se era il caso di chiamare anche gli altri, ma poi si era resa conto che sarebbe stata una perdita di tempo prezioso e, in quel frangente, ogni secondo era vitale. Perché non aveva dubbi che Kyril Esdev stesse attirando Fury in una trappola: non sapeva i dettagli, non sapeva le modalità, ma improvvisamente quel giovane così calmo e pacato gli sembrava la persona più pericolosa del mondo.
E’ solo una follia diversa da quella della sorella… come abbiamo fatto a non capirlo?
 
Il passo successivo fu nel vuoto e si trovò a franare in un misto di neve e fango. Fury non ebbe nemmeno il tempo di gridare per la sorpresa.
Non fu una caduta dolorosa,piuttosto una scivolata fino a…
Il fiume…
Doveva trovarsi proprio sulla riva del fiume perché sentiva le acque rombare a pochi passi da lui e qualche schizzo di acqua gelida gli arrivava in viso, bruciando i tagli che si era appena fatto. Guardando con attenzione si accorse che lo spazio di cielo tra le due sponde lasciava passare la fioca luce della luna, in quel momento libera dalle nubi: poter vedere qualcosa gli diede un minimo di sollievo. Almeno aveva un punto di riferimento a cui aggrapparsi.
“Kora… devo trovarla – mormorò a se stesso, non riuscendo nemmeno a sentire la sua voce per quel rumore di acqua che scorreva – Kora?! Kora! Dove sei?”
Gli venne da piangere al pensiero che si fosse già buttata: debole com’era non avrebbe avuto nessuna possibilità di salvezza contro una simile corrente.
Siamo arrivati troppo tardi? Oh no, ti prego…
Iniziò a camminare con attenzione con quella riva, alla ricerca di chissà quale indizio.
Non si accorse minimamente che due occhi azzurri lo stavano fissando a una ventina di metri di distanza e che la neve attorno a lui aveva iniziato a muoversi in modo strano.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21. Cicatrici ***


Capitolo 21.
Cicatrici



La figura comparve in mezzo alla strada così improvvisamente che i cavalli impennarono e nitrirono per lo spavento, tanto che Roy rischiò seriamente di essere disarcionato e anche Alexand dovette fare appello a tutta la sua esperienza per mantenere il controllo del suo focoso destriero.
“Giusto in tempo, signori – dichiarò Sin, andando tra le due bestie e posando una mano sul collo di ciascuna per calmarle – dovete venire immediatamente con me. Sta per succedere qualcosa di grave vicino al fiume ed il giovane soldato è nei guai, ne siamo convinti.”
“Fury? – chiese Roy interdetto, scendendo da cavallo – dannazione, andiamo subito!”
“Che cosa è successo?” Alexand imitò il generale, consapevole che in mezzo a quella boscaglia si procedeva meglio a piedi che a cavallo.
“Il nobile Kyril Esdev l’ha portato con sé – spiegò la guardia del corpo del principe di Xing, mentre iniziava a correre verso la deviazione che portava al il bosco – come un predatore attira la preda nel proprio territorio di caccia.”
“Kyril… Kyril! – Alexand sibilò quel nome – ma certo, gli occhi azzurri…”
Roy nemmeno gli rispose: seguiva la sagoma di Sin pregando con tutto se stesso di arrivare in tempo. Continuava a dirsi che, anche se Kyril Esdev aveva gli occhi azzurri, non poteva essere lui e che dunque Fury non stava correndo quel pericolo. Ma mentre cercava di rassicurarsi, il suo cuore aveva iniziato a battere a mille mentre il ricordo delle espressioni di dolore che avevano i cadaveri delle fiamme azzurre continuava a sfrecciare nella sua mente.
La boscaglia era tremendamente fitta e gli alberi spesso avevano rami così bassi da costituire un ostacolo nell’avanzata: il suo mantello si impigliò più volte che alla fine decise di liberarsene, restando solo con la divisa. Ormai abituato a vederci al buio dopo tutte quelle giornate di viaggio, continuava a procedere mentre la neve attorno a lui sembrava in qualche modo brillare della luce riflessa della luna costituendo una strana forma di illuminazione.
“Fratello! Dov’è sua altezza?” una nuova voce li raggiunse e il giovane Sin venne accostato dal gemello.
“E’ andato avanti, dobbiamo sbrigarci! – rispose l’altro, prima di rivolgersi agli altri e dire – Verso il fiume!”
A quel richiamo Mio consegnò una torcia accesa ad Alexand e poi i due guerrieri di Xing scattarono in avanti, dando sfogo a tutta la loro agilità e lasciando dunque Roy ed il compagno indietro. Proprio nel medesimo istante, dalla direzione dove era arrivato Mio, fece capolino Riza, ansimante per la corsa.
“Generale?” quasi andò a sbattere contro Roy che fu pronto a sostenerla.
“Tenente, che diavolo sta succedendo?”
“Non lo so… mi hanno svegliato all’improvviso e mi hanno detto che Fury è in pericolo!”
“Al fiume – li incitò Alexand proseguendo – non siamo lontani!”
Annuendo all’unisono Riza e Roy si accodarono al barone.
 
“Kora…”
L’ultimo richiamo lanciato da Fury fu così debole che nemmeno lui riuscì a sentirlo.
Il soldato rinunciò a qualsiasi tentativo di procedere lungo quella sponda scivolosa e si strinse le braccia attorno al corpo tremante. Aveva tanto freddo, man mano che il tempo passava si rendeva conto che era uscito vestito in maniera troppo leggera per una notte come quella; ma soprattutto sentiva una sgradevole sensazione di incombenza da parte di quella natura nera e minacciosa: era come se tutta la boscaglia si stesse avvicinando a lui, chiudendolo in una prigione dalla quale era impossibile fuggire.
“Tenente…” si ritrovò ad invocare, facendo un piccolo passo indietro e desiderando ardentemente che qualcuno arrivasse a salvarlo, a portarlo via da quel posto.
Scivolò all’indietro su quella neve umida, tanto che per poco non cadde a terra. Ritrovò a malapena l’equilibrio tanto quella sostanza sembrava viva e viscida, sentendo ogni muscolo del suo corpo che si paralizzava in preda ad un primordiale terrore. Solo i suoi occhi continuavano a muoversi disperatamente a destra e a sinistra, alla ricerca di un pericolo che intuiva senza però riuscire a vedere.
Le sue labbra si schiusero appena in un ultimo richiamo d’aiuto che però non ebbe la forza di uscire.
E poi accadde l’impensabile: gli mancò letteralmente il terreno sotto i piedi.
Non riuscì nemmeno a capire cosa stava succedendo, ebbe solo la facoltà di rendersi conto che la neve, che aveva assunto un bagliore biancastro particolarmente intenso, si stava muovendo verso l’alto e attorno a lui, a formare le grate di una stretta gabbia.
Fu un istinto quasi animalesco quello che lo salvò: vedendo che le spire di quella prigione si stavano per chiudere del tutto, riuscì a scuotersi da quella paralisi e fiondarsi verso la via d’uscita che si faceva sempre più stretta. La neve gli bruciò il viso e il torace quando la sfiorò, ma ignorò il dolore e si buttò in avanti, cadendo proprio in riva al fiume.
“Tenente!” chiamò con tutto il fiato che aveva in corpo, cercando di rialzarsi in piedi e scappare via da quella boscaglia maledetta per tornare verso la Cittadella.
Ma non ebbe tempo di fare un secondo richiamo: qualcosa lo colpì da dietro, all’altezza della spalla sinistra. Fu un impatto violento, tagliente, che ebbe il potere di mozzargli il respiro e fargli inarcare la schiena per il dolore. Il relativo buio lasciò il posto ad una luce accecante quando il dolore arrivò al suo cervello, esplodendo in tutta la sua intensità.
Perse qualsiasi contatto con i suoi sensi, non riuscendo a vedere, sentire, percepire altro che non fosse il dolore lancinante che in una maniera tremenda gli ricordava quello della granata che l’aveva colpito il trincea anni prima. Fu l’ultimo bizzarro pensiero prima di trovarsi immerso in un qualcosa di liquido e freddo che gli penetrava in bocca e nel naso, impedendogli di respirare.
 
Roy si fermò inorridito assieme ai suoi compagni quando vide la neve comportarsi in maniera così anomala: riusciva solo a osservare quei serpenti vivi di materia bianca e liquida che muovevano le loro spire per aria, all’evidente ricerca di una preda che era loro sfuggita.
Era uno spettacolo così surreale che per diversi istanti non ebbero la forza di prendere l’iniziativa.
Tuttavia, all’improvviso, una di quelle spire bianche e spettrali venne spezzata a metà da un lampo metallico che le passò attraverso: la parte superiore perse quella strana lucentezza e tornò ad essere semplice neve, cadendo miseramente a terra. Il resto del mostro, invece, continuava a dimenarsi, alla ricerca del nemico che l’aveva ferito. Un altro proiettile sibilante tagliò un'altra spira di quell’idra paurosa che continuava a rigenerarsi.
“Ma che mostro sarebbe?” chiese Alexand, impietrito.
“Non è una bestia, è neve manipolata dall’alchimia! – esclamò Roy, riuscendo finalmente a riscuotersi – adesso è il momento di finirla!”
Non ci pensò oltre, non razionalizzò più: sapeva soltanto che un suo sottoposto era in gravissimo pericolo e con molta probabilità era stato colpito da quella cosa. Questo bastò a fargli divampare il fuoco nell’anima: non gli importava se si trovava in ambiente aperto e umido e quindi il controllo dell’ossigeno fosse tremendamente difficile perché legato all’idrogeno. Diede una rapida occhiata alla torcia che teneva Alexand e poi schioccò le dita della mano sinistra.
La fiammata si sprigionò violenta e improvvisa, illuminando a giorno quella piccola parte di boscaglia. Come un ondata impazzita corse verso il mostro di neve, impattando contro di esso e generando un’esplosione tremenda che lo fece cadere a terra assieme ai suoi compagni.
“Generale! – Riza gli gattonò vicino – Generale! Si sente bene? E’ ferito?”
“State lontani da quelle fiamme!” gridò Roy, scostandosi da lei e mettendosi carponi, cercando di recuperare il controllo di quel fuoco che continuava ad ardere dove in teoria non c’era niente da bruciare.
Ansimando, sentendo ogni goccia di sudore che gli si gelava sul collo, si concentrò sul cerchio alchemico che aveva nei guanti ed iniziò a prendere il controllo delle singole molecole di ossigeno, separandole da quelle d’idrogeno, molto più pericolose: fu un lavoro attento e certosino che richiese tutta la sua buona volontà. Durò soltanto una quindicina di secondi, ma fu sufficiente a stremarlo.
Ma alla fine, l’unica fiamma presente in quel luogo fu quella della torcia di Alexand che ancora ardeva, nonostante fosse caduta a terra durante l’esplosione.
“Fury…” chiamò, sospirando nervosamente e rivolgendosi a Riza.
“Cielo, Fury! – si riscosse lei, rialzandosi e correndo verso l’argine del fiume – Fury!”
Venne subito affiancata da Mio, Sin ed il principe Shao e questo fece sentire il generale estremamente sollevato.
“E’ ancora da queste parti?” chiese rivolgendosi ad Alexand.
“No, non credo – mormorò il barone, aiutandolo a rialzarsi in piedi – conosco Kyril abbastanza bene per affermare che una sorpresa simile non se l’aspettava. Sicuramente è scappato per cercare di riordinare le idee… mi dispiace.” l’ultima frase fu appena sussurrata, ma venne sottolineata dalla mano che strinse leggermente il braccio di Roy.
“Fa niente…” sospirò questi, liquidando così la questione.
 
Riza sentiva il suo cuore battere all’impazzata mentre osservava con impotenza quel fiume che scorreva con forza. Fury doveva esserci caduto dentro, spinto da quelle spire di neve.
Forse era ferito… incosciente… non era in grado di combattere contro una corrente simile… cielo… cielo, piccolo soldato… dove sei?
“Fury!” chiamò con le lacrime agli occhi, facendo i primi passi i quell’acqua gelida e cercando di ignorare la corrente forte che già cercava di trascinarla via, nonostante fosse immersa solo fino al ginocchio.
“No, signora! – la trattenne una delle guardie di Shao, non seppe nemmeno riconoscere quale, disperata com’era – La corrente è molto forte e la trascinerebbe via!”
“Lasciami! – si dimenò, mentre veniva riportata a riva – Devo trovarlo! Ha bisogno d’aiuto!”
Le lacrime ormai le offuscavano la vista e non riuscì ad opporre resistenza mentre veniva fatta sedere in quell’argine umido e scivoloso. Vide solo degli strani bagliori e sentì l’odore di fumo e fuoco che arrivava alle sue narici: notando che quelle luci si muovevano una piccola e razionale parte di lei capì che erano state accese altre torce e che le ricerche di Fury stavano continuando.
Non posso stare qui senza fare niente – singhiozzò, asciugandosi le lacrime – devo cercare di stare calma… rifletti, Riza… non lasciarti andare alla disperazione!
Ma se cercava di calmarsi, dall’altra il suo cuore gridava di disperazione. Era proprio come quando aveva temuto di aver perso per sempre il generale per colpa dell’homunculus Lust: l’idea che un componente della sua preziosa famiglia fosse morto la faceva impazzire. Che poi si trattasse di Fury non faceva altro che farla sentire ancora più lacerata: perché era il più piccolo, perché l’aveva sempre protetto.
Se solo non l’avessi trattato così… se solo fossi stata più comprensiva con lui… se solo… ti prego, ti prego non esser morto, soldatino… non lasciarmi!
“Forza, tenente – delle braccia la strinsero con forza – vedrai che è vivo!”
“Il fiume poco più avanti fa una curva e l’acqua è più calma – un’altra voce si aggiunse a quelle che sentiva attorno a lei – forse si è bloccato in quella risacca.”
“Ci guidi, barone – questa era la voce del principe Shao – Mio, Sin, voi continuate a controllare bene il percorso fino alla risacca: seguite il corso delle correnti, mi raccomando.”
“Può essere ferito…” mormorò la donna, rivolgendosi al generale che continuava a tenerla stretta.
“Ssssh, tranquilla – le rispose lui, incitandola a camminare – vedrai che lo portiamo in salvo. Fidati di lui: sai bene che è piccolo ma ha la pelle dura.”
La voce di Roy continuava a cullarla penetrando oltre il terrore e la sofferenza: riprese il contatto con la realtà, riuscendo di nuovo a vedere quel fiume vagamente illuminato dalle torce che si muovevano come insetti impazziti. Sentì di nuovo il freddo sulla sua pelle, specie nelle gambe dove l’acqua aveva bagnato i pantaloni della divisa. I suoi sensi di soldato tornarono a farla da padrone, costringendola a non lasciarsi andare alla disperazione. Sì, una delle persone a cui teneva di più era in serio pericolo; sì, restava davvero poco tempo per fare qualcosa.
Restare a piangere e disperarsi era l’ultima cosa da fare.
 
Roy continuava a guardare con ansia quel fiume, cercando di individuare la sagoma di Fury, pregando con tutto se stesso che la corrente non l’avesse spinto troppo a fondo e che l’ingombro della divisa non avesse fatto il resto. Cercava di ignorare il conto alla rovescia che era iniziato nella sua mente, quello che gli ricordava che, anche ad essere ottimisti, una persona non poteva sopravvivere troppo a lungo in quelle acque gelide: annegamento, ma anche ipotermia… c’erano tantissimi rischi che il ragazzo stava correndo, senza contare la possibilità che fosse ferito gravemente per colpa di quelle dannate fiamme azzurre.
“Fury!” chiamò per l’ennesima volta, sentendo la gola raschiata per lo sforzo.
Guardò speranzoso il principe Shao che, assieme alle sue guardie del corpo, balzava agilmente da un ramo all’altro degli alberi lungo il fiume per avere una visuale migliore.
“Nella risacca c’è un tronco d’albero caduto da diversi giorni – annunciò Alexand raggiungendoli – sicuramente bloccherebbe il ragazzo se la corrente lo portasse sino a quel punto. Dobbiamo continuare a cercare nel tratto da dove è avvenuto l’attacco sino a lì.”
“Quanto è profondo il fiume?” chiese Shao, scendendo accanto a loro.
“In questa parte raggiunge anche i tre metri e mezza. La problematica è la corrente: il tempo di questi giorni non è stato sufficiente a far gelare il torrente, ma l’ha fatto ingrossare parecchio. Ma come vi ho detto ci sono delle zone dove la corrente è meno forte, ci sono molti fattori in gioco e questo buio certo non aiuta.”
“Chiamare i soccorsi non servirebbe – scosse il capo Shao – sarebbe comunque troppo tardi e…”
“Trovato, mio signore!”
Il richiamo di Mio fece sobbalzare tutti quanti.
Alzando lo sguardo verso l’alto, videro il guerriero lanciare uno dei suoi pugnali, a cui era attaccato un sottile cavo di metallo, verso un albero dell’altra sponda. Con un agile mossa, facendo leva su quel sostegno, si catapultò verso la riva incriminata, seguito immediatamente dal gemello.
I due si scambiarono un cenno d’intesa e poi sempre Mio si levò la sua maschera cerimoniale e affidò il cavo di metallo recuperato alle mani del fratello.
“No, la temperatura è proibitiva!” esclamò Alexand.
“Non se l’azione è rapida e precisa – scosse il capo Shao, guardando con estrema soddisfazione il giovane che si tuffava in quelle acque torbide, scomparendo alla visuale di tutti – ha il margine di tempo sufficiente per recuperare il ragazzo senza avere conseguenze.”
Roy annuì distrattamente a quelle parole: continuava a tenere Riza stretta a sé, sentendo che quel contatto fisico era strettamente necessario. Nel frattempo contava i secondi da quando il giovane xinghese era scomparso tra le acque del fiume, mentre solo quel sottile spago di metallo che si muoveva indicava che era ancora vivo.
E poi il miracolo.
Con un’enorme quantità di spruzzi, Mio riemerse tenendo per il colletto della divisa Fury.
“Portalo subito qui!” ordinò Shao, correndo verso la riva, seguito immediatamente dagli altri.
Annuendo debolmente il guerriero iniziò a lottare contro la corrente e contro il peso morto di Fury: fortunatamente il gemello fu pronto ad aiutarlo. Lanciò il pugnale con il filo di metallo al principe e poi si tuffò a sua volta andando a dare manforte. In questo modo la corrente venne sconfitta e nell’arco di quindici secondi erano già sulla riva opposta.
A quel punto Roy si fece avanti, recuperando il corpo inerme di Fury dalle braccia dei gemelli. Dire che era gelato era un eufemismo, ma la cosa peggiore era che non dava segni di vita, nemmeno tremava. Il viso era cadaverico, la corrente che aveva portato via gli occhiali, e i capelli fradici erano appiccicati sulla fronte.
“Fury… coraggio, ragazzino, rispondi – lo chiamò con disperazione, adagiandolo sul mantello che Alexand aveva deposto a terra – dai, reagisci!”
“Fury! – Riza si accostò immediatamente a loro, prendendo il viso del soldato tra le mani e accostando la fronte alla sua – Piccolo soldato… ti prego… non…”
“Non respira – constatò Roy, tastando la carotide – merda… merda! Fury, coraggio, non puoi farmi questo!”
Iniziò a massaggiargli febbrilmente le braccia ed il torace, cercando di stimolare la minima reazione a quel corpo apparentemente senza vita. Ma dentro di sé si diceva che era stato in quelle acque gelide per troppo tempo e che dunque, forse, non c’era più niente da fare.
“Mi dispiace…” mormorò Alexand.
“Non dirlo!” strillò Riza, furente.
“Scostatevi da lui – ordinò Shao con voce impassibile – posso tentare il tutto per tutto!”
Il tono usato era quello del comando e questo indusse Roy a guardarlo attentamente: il principe aveva tirato fuori dalla sua ampia veste il suo ventaglio e ora fissava Fury con estrema attenzione. Ricordandosi delle capacità mediche dell’alchimia di Xing, di come la principessa Chang avesse salvato Riza tempo prima, il generale prese proprio la sua assistente per le spalle e la indusse ad allontanarsi di qualche metro.
Con il campo d’azione libero, Shao si inginocchiò accanto a Fury e accostò l’orecchio al cuore del giovane.
Rimase in quella posizione per diversi secondi, tenendo gli occhi chiusi.
“E’ ancora vivo, ma il suo sangue non scorre praticamente più, dannazione! – disse alla fine, alzandosi in piedi – Coraggio, tenente, vediamo che si può fare!”
Prese il suo ventaglio ed iniziò a levare le piume, una per una, tutte e sei. In quel momento Roy si rese conto che alla base di ciascuna di esse c’era un piccolo stiletto acuminato: un’arma micidiale nascosta in quell’oggetto che sembrava avere uno scopo puramente ornamentale.
Con fare impassibile Shao Ming lanciò ad uno ad uno quelle piccole armi che andarono ad infilzarsi sul terreno, proprio sopra la testa e attorno al corpo di Fury, fino all’altezza del torace. L’ultima piuma la tenne in mano per qualche secondo in più come se la soppesasse.
Un attimo dopo l’aveva lanciata proprio sul cuore del giovane.
“No!” esclamò Riza
“Ferma!” la bloccò Roy, tenendola più stretta che poteva.
“Il sangue non scorre più perché il cuore per il gelo ha rallentato i suoi battiti – disse Shao dolcemente, posando una mano sopra il cuore del ragazzo, proprio accanto alla piuma – devo obbligarlo a riprendere a funzionare con più forza.”
A quelle parole un cerchio alchemico si formò tra quelle piume, illuminandosi fiocamente all’ordine del principe di Xing. La sua mano premette con decisione sul petto di Fury, più volte, sempre ad intervalli regolari di qualche secondo, come se stesse imponendo al cuore il giusto ritmo da recuperare.
“Forza!” esclamò infine dando una pressione molto più forte.
A quell’impatto Fury ebbe un piccolo conato e dell’acqua uscì dalla sua bocca.
Contemporaneamente il chiarore di quel cerchio alchemico terminò, lasciando solo quelle piume conficcate a terra.
“Fury! – ansimò Riza, catapultandosi su di lui e aiutandolo a girarsi di lato per vomitare altra acqua – Coraggio… coraggio, soldatino…”
“Piano, signora – consigliò il principe di Xing, accostandosi a loro e provvedendo a levare delicatamente quella piuma residua dal petto del giovane – è comunque molto debole.”
“Allora non perdiamo tempo – dichiarò Roy, accostandosi a sua volta e avvolgendo meglio Fury nel mantello prima di prenderlo in braccio come se fosse un bambino – portiamolo subito al sicuro.”
 
“Meglio farlo stare prono – consigliò il medico, coprendo delicatamente Fury con la coperta – la ferita non deve subire troppa pressione.”
“E’ praticamente un’ustione da gelo, vero?” chiese Roy a braccia conserte.
“Senza dubbio, anche se non ho mai visto un’ustione dai contorni così perfetti come questa.”
Il generale annuì con noncuranza, mentre tutto il resto della squadra stava in silenzio ad attendere che quella discussione terminasse. Erano tutti sconvolti da quanto era successo e scoprire le reali condizioni del tenente era stato tremendo.
Il cuore aveva ripreso a battere con relativa regolarità, ma il principio di congelamento era comunque presente e ci sarebbero voluti diversi giorni di assoluto riposo prima che si riprendesse del tutto. Ma se il bagno nel fiume, grazie all’intervento del principe Shao, aveva avuto solo quella conseguenza, dall’altra c’era quella bruttissima ferita.
Era lì, all’altezza della spalla sinistra: lunga una ventina di centimetri e larga circa cinque… come se una lama tagliente l’avesse colpito in pieno. La perdita di sangue era stata copiosa: quando l’alchimia di Xing aveva riattivato la circolazione in maniera così improvvisa le ferite ne avevano pagato le conseguenze.
“Merda! – esclamò con rabbia Havoc, quando finalmente il medico fu uscito – devo solo mettere le mani addosso a quel pezzo di merda e lo faccio fuori!”
“Calmati adesso – lo bloccò Breda – non mi pare il caso di usare un tono di voce così alto con Fury in queste condizioni… e non solo lui…” mormorò appena quell’ultima frase, ma fece col mento un gesto verso Riza che, seduta accanto al letto, teneva la mano del malato tra le sue.
Da quando si erano riuniti lei non aveva detto nessuna parola: era stata accanto al soldato durante tutta la medicazione, come la più sollecita delle infermiere. Ma il suo viso parlava di un dolore e di un trauma davvero tremendi, come se si sentisse ferita lei stessa nel profondo dell’anima. Evidentemente il rimorso per quanto era successo nei giorni precedenti pesava come un macigno.
“Si riprenderà, signora – disse Falman con gentilezza – ci prenderemo tutti cura di lui.”
Nemmeno a quella dichiarazione la donna alzò il capo verso i suoi compagni.
“Bene, direi che per ora non si può fare altro per lui – dichiarò Roy, prendendo in mano la situazione – Havoc, Breda, Falman, andiamo: raggiungiamo il barone Anditev e vediamo come procedono le ricerche di Kyril Esdev: abbiamo il nostro colpevole, ma è ancora in piena libertà e questo non va bene.”
Solo quando dopo qualche secondo la porta si chiuse alle spalle della squadra, Riza si concesse di scoppiare a piangere. Si sentiva distrutta, affranta, non riuscendo a credere a quello che vedeva davanti a sé.
Il destino era già stato crudele con lei, ma una simile beffa non se la poteva aspettare: Fury per il resto della vita avrebbe portato una cicatrice tremenda nella medesima zona in cui ce l’aveva lei. Per Riza Hawkeye era stato il fuoco alchemico di Roy Mustang, per Kain Fury le fiamme gelate dell’alchimia di Kyril Esdev.
Perché proprio a te, piccolo mio? – si chiese – Perché stai pagando… il prezzo per aver scoperto la mia schiena?
Era un pensiero assurdo, ma oramai non sapeva più cosa pensare. Tuttavia le pareva una coincidenza troppo perfetta per non essere vera: la concatenazione degli eventi era stata così…
“Mi dispiace, avrei dovuto parlartene – ammise infine, accarezzando quei capelli neri arruffati e ancora leggermente umidi – non avrei dovuto zittirti in modo così brusco. Non meritavi un simile… perdonami, Kain, sul serio…”
Adesso il suo tatuaggio le sembrava più pesante che mai: un peso tutto nuovo che aveva ben poco a che fare con il rimorso della guerra. Ora lo sentiva pesante perché l’aveva tenuto nascosto per troppo tempo alle persone che invece meritavano di sapere la verità.
Sentendo un lieve lamento riportò la sua attenzione sul ferito, chiamandolo per nome e continuando a vezzeggiarlo con dolcezza.
“Kain, coraggio, svegliati… sei al sicuro adesso, va tutto bene…”
“Tenente?” pigolò debolmente lui aprendo gli occhi e cercando di metterla a fuoco.
“Ehilà, ciao! – Riza dovette trattenere nuove lacrime di commozione – Come ti senti?”
“La… la spalla… non…”
“Sssh, lo so – abbasso lo sguardo colpevolmente, posandogli una mano sulla guancia – farà male ancora per diversi giorni, il tessuto deve cicatrizzare. Ma vedrai, la terrò sotto controllo e guarirà in fretta: a quanto pare qui fanno degli unguenti molto utili per questo tipo di ferite.”
“Anche a lei ha…?” la voce di Fury era flebile, quasi impercettibile. Eppure quegli occhi scuri continuavano a fissarla con dolcezza, preoccupandosi ancora per lei, cercando di darle conforto per un dolore che aveva sofferto anni e anni prima.
“E’ stato diverso, soldatino – sospirò – ha fatto male come ne fa a te, ma io ero pronta ad accettare quel dolore. E’ stata una mia scelta, non so se potrai mai capirlo.”
“E’ stato…”
“Sì, è stato il generale a bruciare parte della mia schiena e sono stata io a chiederlo… e non fare quello sguardo – adesso le parole le scorrevano come un fiume in piena – la situazione era davvero difficile e quello che provavo in quel momento era tremendo.”
“Poteva dirmelo – Fury cercò di guadagnare una posizione semiseduta, ma venne prontamente bloccato da Riza. Mentre veniva riadagiato sul cuscino fu chiaro che lo sforzo era stato spropositato – poteva… noi… noi siamo una squadra… no?”
“E la squadra è un po’ come una famiglia, vero?” concluse Riza, ripetendo una delle frasi che Fury era solito dire per definire il loro gruppo.
E quanto c’è di vero in queste parole? Santo cielo, loro sono i miei amici, la mia vera famiglia: in tutti questi anni quando ho avuto bisogno di loro ci sono sempre stati, senza che dovessi chiedere qualcosa… semplicemente lo capivano perché mi conoscono da tempo. Loro… loro hanno sempre capito che non avevo altre persone a cui aggrapparmi. Eppure nonostante tutto non mi hanno mai chiesto niente in cambio: hanno rispettato i miei silenzi ed i miei segreti come… come mai nessuno saprebbe fare.
“Io… io volevo solo…”
“Aiutarmi, lo so – sospirò Riza, accarezzandogli la guancia – come del resto hai sempre fatto.”
Fury respirò profondamente e chiuse gli occhi, esausto per quel minuto di coscienza troppo prematuro. Nell’arco di pochi minuti era scivolato in un sonno profondo, ma, nonostante tutto, Riza si rifiutò di lasciare il suo capezzale.
Lo so… lo so è difficile da capire… ma non aver dato le spiegazioni a Fury ha portato a tutto questo. E voi? Amici miei, voi siete in grado di capirci? Di… di poterlo accettare?
Una cosa era certa, se non ne parlava con gli altri rischiava di impazzire.
 
“Non c’è traccia di lui, ma le indagini proseguono – disse Roy quella sera – ha sicuramente trovato rifugio da qualche parte nella capitale. Tutte le porte sulle mura sono controllate con estrema severità e chiunque vi passi attraverso è perquisito.”
Riza lo ascoltava appena: continuava a fissare con aria assente la neve che cadeva dalla finestra della sua stanza.
“Kora è ancora nelle sue stanze e non sa nulla – proseguì il generale continuando a guardarla con imbarazzo – riteniamo che nemmeno fosse al corrente di quello che aveva intenzione di fare il gemello e per ora abbiamo preferito non parlargliene. Per quanto riguarda Lidia Tojanev, pare che anche lei non sapesse…”
“Signore, se è d’accordo, vorrei raccontare al resto della squadra le vicende del mio tatuaggio.”
La frase di Riza cadde pesante, interrompendo il suo resoconto.
Il cuore dell’uomo smise di battere per tre secondi buoni: mai e poi mai da Riza Hawkeye si sarebbe aspettato una decisione del genere. Quel tatuaggio era un segreto che aveva custodito con una ferocia fuori dal comune: la legava a suo padre, a lui, era una catena che, tutto sommato, lei non era mai riuscita a spezzare del tutto, nemmeno dopo averne bruciato una porzione.
e adesso lo vuoi tirare fuori in un simile modo? Ti rendi conto della prova emotiva che sarà per te?
“… sì, mi rendo conto che non sarà facile – Riza rispose a quella silenziosa domanda. Si era girata verso di lui e lo fissava con un tenero sorriso – ma è un atto di fiducia nei confronti dei ragazzi che non posso più permettermi di rimandare. Quanto è successo con Fury mi ha… fatto riflettere profondamente su tutta la questione e credo che sia arrivato il momento…”
“Il momento, dici?”
Cercò di prendere tempo: quella dichiarazione l’aveva completamente spiazzato. Perché adesso doveva dirlo a tutti quanti? Se doveva essere sincero, ora che era arrivato il momento, si sentiva leggermente geloso di quella situazione: quel tatuaggio era una cosa in fondo intima tra loro due.
“Signore…?”
“Io… io non so nemmeno come… non ho nemmeno visto come sono guarite le tue ferite – sospirò dopo qualche secondo di silenzio – in fondo mi sento un vigliacco ad averti lasciata sola ad affrontare quella sofferenza.”
“Sono stata io a chiederle tutto questo, generale – lei era tornata ad essere quella dolce e forte creatura pacata che, in quella villetta isolata dal mondo, gli chiedeva di eliminare per sempre i segreti di quel tatuaggio – lei ha solo esaudito i miei desideri… in fondo mi capiva, no?”
“No, ad essere sincero non ho mai capito – sospirò Roy, decidendo di essere sincero – se ben ricordi ho cercato in tutti i modi di persuaderti e ancora oggi mi chiedo perché non me ne sono andato da casa tua lasciandoti la schiena illesa.”
“Perché, come ho detto, in fondo mi capiva. Generale, la prego, questo tatuaggio è tornato a ripresentarsi in maniera così violenta in tutta questa storia che… forse è un segno di…”
“Avevi tutto il diritto di essere felice – la interruppe Roy – ho odiato tuo padre quando mi hai fatto vedere il tatuaggio per la prima volta. Mi sono detto che lui non aveva nessun diritto di importi un peso del genere, un qualcosa che ti avrebbe segnata per tutta la vita…”
“Sono riuscita ad andare avanti con la mia vita, signore – scosse il capo lei – non deve pensare che…”
“Certo, andare avanti nascondendo per sempre la tua schiena al mondo. Non ti sei potuta mai mettere un abito un minimo scollato… non hai potuto… diamine Riza, forse tu ormai non ci fai caso, ma ti sei privata di tantissime cose più che normali per colpa di quel tatuaggio.”
Nel mezzo di quello sfogo l’aveva presa per le braccia scuotendola leggermente.
Finita la frase si fermò: non si era nemmeno reso conto che la rabbia che provava fosse così intensa. Perché adesso non vedeva la donna marziale e pacata di sempre, ma la ragazza a cui era stata levata la possibilità di una vita vera e propria. E lui in parte aveva contribuito a tutto questo.
“Sono cose che non contano davvero…” cercò di dire lei, arrossendo.
“Hai mai baciato un uomo?” le chiese a bruciapelo.
“Generale!”
“Non conta davvero? Anche l’amore è una cosa di cui ti sei dovuta privare per quel tatuaggio, lo sai bene! Anche questo è diventato un modo per espiare quella guerra, Riza?”
“E’ stata… solo una mia scelta, non…”
Una prima lacrima le brillava all’estremità dell’occhio destro, restando impigliata tra le ciglia.
Era tremendo toccare corde così sensibili, Roy se ne rendeva conto, ma sapeva benissimo che se Riza davvero voleva parlare di quel tatuaggio, doveva venire a patti anche con quello che le era stato davvero negato.
“Sei bella, te l’hanno mai detto? – le disse con tenerezza – o forse hanno sempre avuto paura di te per la maschera di freddezza che hai indossato con il resto del mondo?”
“No… non me l’hanno mai… – adesso la lacrima colava sulla guancia – mai detto….”
“E ti hanno mai detto che con i capelli sciolti sei ancora più bella?” sorrise Roy, asciugandole quella lacrima con un dito.
“No…”
“E ti hanno… ti ho mai detto… che sei la persona più meravigliosa che abbia mai incontrato? E che hai – si chinò sul suo viso – delle… labbra stupende?”
Sentì l’ansito di lei, il tremito che le pervadeva tutto il corpo: era una ragazzina che impazziva all’idea di ricevere il primo bacio, era una donna che trovava surreale che in fondo pure a lei fosse concesso l’amore.
Concesso… perché deve essere una concessione? – si chiese Roy mentre la baciava con tenerezza e sentiva le sue braccia che si stringevano attorno al suo collo, quasi aggrappandosi – Ne abbiamo tutto il diritto, Riza. Quella guerra, questa divisa… non possono privarci di quello che proviamo davvero.
“No… no – balbettò lei, dopo qualche secondo, staccandosi – non… non possiamo…”
“Sei bellissima – le ripeté Roy, riprendendola tra le braccia – ti amo… te l’ho mai detto?”
“No…”
“Ti amo…”
Quelle due parole vinsero qualsiasi resistenza.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22. Confessioni a cuore aperto ***


Capitolo 22.
Confessioni a cuore aperto



Da quell’ingenua che era in materia amorosa, Riza pensava che il bacio tra due innamorati fosse bello soprattutto per via dei sentimenti che ciascuno provava per l’altro. Scoprire che invece anche la componente fisica aveva un’importanza consistente fu una vera e propria sorpresa.
I baci di Roy Mustang erano tremendamente passionali: sembrava che le sue labbra sapessero esattamente come farle provare i brividi più piacevoli della sua vita, lasciandola sospesa in un limbo perfetto, dove era lei stessa a lasciarsi trasportare da quei gesti tipici della passione.
Tuttavia, nonostante l’innegabile piacere che le percorreva ogni singola vena del corpo, si accorse di avere anche una tremenda paura. Sapeva benissimo delle voci che giravano attorno al generale e sapeva altrettanto bene che diverse di quelle storie c’erano davvero state. Roy Mustang era comunque un dongiovanni, un uomo ricercato dalle donne come un fiore particolarmente inebriante che attira le api. Era bello, elegante, con quel qualcosa in più nei modi di fare che lo rendeva irresistibile.
Ma lei, fino a quel momento, non ci aveva mai fatto troppo caso: Roy Mustang era stato idealizzato, diventando veicolo di tutte le sue speranze, la persona per cui premere il grilletto, quella da proteggere a tutti i costi. La sua bellezza ed il suo fascino erano passati in secondo piano di fronte a una condivisione di ideali che, in fondo, lo rendeva esclusivamente suo in una maniera del tutto particolare.
“Riza… Riza, sei meravigliosa – mormorò lui, scostando leggermente il viso dal suo per poterla guardare – mi sono sempre chiesto se mai un momento simile sarebbe arrivato. Per tutti questi anni…”
Le venne da piangere, non credendo possibile di sentire finalmente quelle parole: perché se qualcosa tra di loro c’era, come aveva diverse volte sospettato dopo il Giorno della Promessa, aveva sempre ritenuto che la situazione non si sarebbe mai evoluta, imprigionata per sempre nei gradi dell’esercito e nel loro instancabile lavoro di redenzione.
“Generale…” lo chiamò, cercando di asciugarsi le lacrime che stavano ormai uscendo con troppa facilità.
“Roy, ti prego, chiamami per nome…”
“Non potrei mai darle del tu, signore…”
“Sì che puoi… Riza, dai – la baciò dolcemente sul naso – almeno una volta. Non credo di averti mai sentito pronunciare il mio nome in tutti questi anni…”
“Roy…” lo sussurrò appena, accorgendosi di quanto era meraviglioso poterlo pronunciare: lo rendeva suo in una maniera del tutto nuova.
“Adesso… adesso, io non posso più fare a meno di te – dichiarò l’uomo, riprendendo a darle baci sulle labbra – abbiamo aspettato anche troppo.”
“Signore… Roy, le regole antri fraternizzazione dell’esercito…” Riza si appigliò a quel briciolo di razionalità che le restava. Il suo istinto di protezione tornò a farla da padrone: doveva prendersi cura di lui, sia come guardia del corpo, ma anche in una maniera del tutto nuova e sottile.
“Faremo attenzione – scosse il capo lui, fermandosi a guardarla e recuperando fiato – possiamo contare sulla discrezione dei ragazzi, ne sono certo. Proprio come saranno discreti per il tuo tatuaggio lo saranno anche per noi due. E poi…”
La frase rimase in sospeso, mentre gli occhi scuri fissavano quelli castani in attesa di una risposta. E poi fare come Rebecca che aveva lasciato l’esercito per sposare Havoc?
Ma lei scosse mosse impercettibilmente la testa in un gesto di diniego: come poteva? Si era sentita completamente snaturata quel breve periodo in cui aveva vestito il ruolo di nipote del comandante supremo. Abbandonare realmente la divisa le appariva qualcosa di intollerabile: anche se era a causa di essa che aveva ucciso così tanto, era comunque la sua vita, il suo modo di essere. Era forse l’unica rinuncia a cui non era pronta, non in un simile momento.
“Non mi prenda per egoista, signore… Roy – si corresse – ma in questo momento non credo di essere in grado di capire cosa sia giusto o meno. Anche io la… ti amo, non è questo il problema, però mi pare che stiamo correndo veramente troppo e… mi fa abbastanza specie. Credo che… dovremmo andare per gradi fino a quando non capiamo bene come comportarci, non crede?”
Si sentiva una completa sciocca: non riusciva nemmeno a dargli o del tu o del lei all’interno della stessa frase. Per un attimo, vedendo l’inizio di un sorrisino comparirgli sull’angolo della bocca, temette che l’avrebbe presa in giro per quelle sue parole e che l’avrebbe considerata così infantile da mandare all’aria qualsiasi possibilità di relazione.
“Ah, tenente colonnello – scoppiò a ridere Roy – sei fantastica! Ammetto che ho avuto paura che mi uccidessi seduta stante dopo il primo bacio. Ma no, nonostante tutto tu continui ad essere la donna più incredibile del mondo: sempre a ricordarmi in qualche modo il mio dovere. Del resto è un bene che almeno uno dei due nella coppia tenga in mano le redini della situazione, no?”
A Riza il cuore smise di battere a quelle parole: dietro quella lieve presa in giro, che alla fine faceva perfettamente parte di lui, c’era la piena accettazione delle sue richieste, se così si potevano definire. Davvero era tutto così semplice? Davvero bastava la discrezione giusta per poter finalmente iniziare una relazione che, dentro al suo cuore, aveva sempre desiderato?
“E’ una follia…” si trovò a sussurrare con un timido sorriso, sentendosi arrossire.
“Ah, benvenuta finalmente nel mio mondo – le accarezzò la guancia lui – una follia ogni tanto non può che fare bene Riza Hawkeye, te lo garantisco!”
Per una risposta simile, il tenente colonnello Hawkeye avrebbe scosso il capo con disappunto e avrebbe intimato al generale di tornare con i piedi per terra e pensare al suo dovere e alle sue responsabilità. Ma dopo quei baci e quelle parole, Riza aveva scoperto che, in fondo, anche lei voleva fare una follia.
Quella di crederci.
 
La mattina successiva Riza si ritrovò nella stanza di Fury assieme al generale e al resto della squadra.
Si sentiva incredibilmente bene dopo quanto era successo la sera prima: aveva dormito profondamente cullata dalle piacevoli sensazioni che aveva provato con quei baci, per una volta fiduciosa in quello che sarebbe stato il futuro della sua persona.
E guardando i suoi compagni di squadra capiva una cosa fondamentale: anche loro la pensavano come il generale. Le avevano sempre augurato tutto il meglio del mondo, anche se non gliel’avevano mai detto esplicitamente: e se la felicità per lei era una relazione con Roy Mustang, sarebbero stati pronti ad aiutarla in tutto e per tutto, doveva essere così.
Consapevole per la prima volta in modo completo di questi sentimenti, capiva che era davvero arrivato il momento di raccontare quanto era successo. Kyril Esdev e tutta la vicenda in cui erano coinvolti potevano, anzi dovevano esser messi da parte per qualche ora per affrontare quella vicenda interna alla squadra.
Certa dello sguardo sostenitore del generale, posò gli occhi su ciascuno di loro in particolare su Fury che, nonostante la debolezza, si era ripreso abbastanza per poter stare seduto, sebbene pesantemente posato sui cuscini: per uno strano miracolo i suoi occhiali, quella stessa mattina, erano stati ritrovati illesi in riva al fiume dalla squadra di ricognizione guidata da Alexand e dal principe Ming, e adesso ci vedeva di nuovo bene.
“Ci sono novità, signore?” chiese Havoc a nome di tutta la squadra.
“Non ancora – rispose Roy con calma – come vi ho detto, Kyril Esdev si è saputo nascondere molto bene e temo che queste ricerche non avranno esito nell’immediato. Tuttavia, non è per questo che siete stati convocati tutti qui: io ed il tenente colonnello dovremmo parlarvi di qualcosa di importante… soprattutto lei, credo.”
A quelle parole Riza si fece coraggio, ma non poté far a meno di notare come Fury stringesse convulsamente l’orlo delle coperte avendo capito che argomento si stava per trattare.
“Non… se non se la sente…” disse con voce flebile.
“No, Fury, nessuno mi sta obbligando – rispose – è un qualcosa che forse avrei dovuto fare tempo fa. L’incidente che c’è stato fra di noi mi ha fatto capire che voi siete le persone che più meritano di sapere.”
“L’avevo detto che era successo qualcosa tra voi due – dichiarò Havoc, mettendosi a braccia conserte – mi sembrava strano l’atteggiamento del nano negli ultimi tempi.”
Tutti volsero lo sguardo sulla donna, chiedendosi chiaramente che cosa potesse esser mai successo per scatenare reazioni simili in una personalità calma e razionale come la sua. A dire il vero la stessa Riza si accorse di provare leggera vergogna per essersi lasciata andare in un simile modo.
Però è inutile piangere sul latte versato, me ne rendo conto.
“Da dove iniziare…? – si torse le mani con leggera ansia e poi decise di partire da principio: saltare la prima parte avrebbe solo confuso gli animi. Anche se parlarne voleva dire ritirare fuori quegli orribili ricordi della sua figura paterna – Mio padre si chiamava Berthold Hawkeye – pronunciare quel nome le provocò un brivido freddo lungo la schiena – era un alchimista, sebbene non abbia mai preso il titolo di stato… quando ero una ragazzina, con mia somma sorpresa data la vita solitaria che conducevamo dopo la morte di mia madre, prese un allievo con sé… quell’allievo si chiamava Roy Mustang.”
Alzò gli occhi per vedere la reazione di ciascuno di loro: erano tutti abbastanza increduli, ma era come se in fondo si aspettassero che il legame tra lei e Roy risalisse a prima della guerra.
Vi conoscono meglio del previsto…
“Mio padre aveva dedicato l’ultima parte della sua vita a perfezionare l’alchimia del fuoco – proseguì – era la sua ricerca personale, il suo unico scopo: quando ci riuscì fu come se… se avesse perso qualsiasi altro interesse, persino per la vita stessa. E’ inutile negare che fosse ossessionato dall’alchimia. In quel momento, quando portò a compimento la sua opera, il suo allievo non c’era più: era andato via dopo aver imparato le basi dell’alchimia per via di profondi disguidi tra di loro, una cosa che io venni a sapere solo più tardi. In mancanza di un allievo doveva trovare il modo di tramandare la sua ricerca a qualcuno di fidato…”
La sua voce era tornata pratica e decisa, come sempre, però teneva le mani in grembo, continuando a tormentarsele di tanto in tanto. Si  girò verso Fury, inducendolo ad alzare lo sguardo su di lei.
“Kora aveva drogato anche me, giusto a titolo dimostrativo, del resto ormai sappiamo quanto quella ragazza sia folle: niente di grave, ma stavo davvero male ed il tenente è corso in mio aiuto… ero praticamente incosciente e lui per facilitare la respirazione mi ha slacciato l’abito dalla parte della schiena e ha scoperto… non è il caso di mostrarvelo, ma… tatuata su tutta la schiena ho la formula dell’alchimia del fuoco. Una parte di questo tatuaggio la conoscete anche voi, è la stessa che c’è nei guanti del generale.”
“Oh cazzo…” mormorò Havoc, scuotendo il capo con aria nauseata.
“E lei… lei era consenziente, signora?” chiese Falman con voce grave.
“Ero una ragazzina, non avevo nemmeno sedici anni – sospirò lei mentre il ricordo di quell’orribile notte tornava a presentarsi – mio padre era l’unica famiglia che conoscevo e la situazione era tale che… non mi sono ribellata, ecco, forse è questa la frase migliore per spiegare quanto è successo.”
“Che grandissimo pezzo di merda – sibilò Breda – con tutto il rispetto, signora…”
“Basta così – consigliò Roy, posandole una mano sulla spalla – non mi pare il caso di proseguire.”
“No, signore – scosse il capo – voglio arrivare sino in fondo…”
“Mi dispiace… mi dispiace tanto – Fury piangeva discretamente – non si meritava una simile cosa… era l’ultima a meritare una simile violenza.”
A Riza si aprì il cuore nel sentire in maniera così tangibile tutte quelle manifestazioni di solidarietà: aveva sempre accettato passivamente quanto le aveva fatto suo padre, senza nemmeno più chiedersi se era stata violenza o meno, se era stato giusto o sbagliato. Quella figura così pesante le aveva in parte annullato la volontà e imponendole quel segreto le aveva in qualche modo negato la possibilità di sentirsi dire se era stata una cosa buona o meno.
Violenza… sì, è stata violenza – dovette trattenere le lacrime – adesso a trent’anni lo riconosco con me stessa! Solo adesso mi sento dire che… che non lo meritavo…
“Se ci fossi stato io avrei sistemato quell’uomo con un paio di cazzotti – dichiarò Havoc, rosso in viso – che razza di padre!”
“Però la storia non è finita, vero signora?” chiese dolcemente Falman.
“No, non è finita – sospirò Riza, passandosi una mano tra i capelli e sedendosi sul bordo del letto di Fury, non fidandosi del tutto delle proprie gambe – quando mio padre era ormai consumato dalla malattia che l’avrebbe portato a morire, l’allora soldato semplice Roy Mustang venne a fargli visita… il loro colloquio fu molto breve dato che mio padre gli morì praticamente tra le braccia. Quell’uomo, perché ormai era un uomo, fu molto gentile e si occupò del funerale dato che io non potevo provvedervi… davanti alla tomba di mio padre mi parlò dei suoi sogni, delle sue speranze e mi dissi che… che lui avrebbe usato i segreti incisi nella mia schiena nel modo giusto, per aiutare il paese. Poteva dare un senso a quello che avevo passato. E così gli ho mostrato il tatuaggio, creando l’alchimista di fuoco.”
“Adesso capisco – sospirò Breda – Ishval le pesa in maniera doppia sulle spalle, presumo.”
Riza annuì e allungò una mano per posarla sopra quella di Fury che, tra le lacrime, teneva lo sguardo rivolto sulle coperte.
“Nella mia spalla sinistra c’è una cicatrice che poi scende verso il basso, andando così a cancellare parte del tatuaggio – spiegò – fu il generale a bruciarmi la schiena in quel modo, su mia richiesta, appena finita la guerra. E’ stato questo a traumatizzare Fury in un simile modo.”
Quella dichiarazione provocò lo sconcerto più totale: tutta la squadra, eccetto Fury, sgranò gli occhi fissando con incredulità prima Riza e poi Roy.
“Ha usato… la sua alchimia contro  la signora? – Havoc alla fine fece un passo avanti verso quest’ultimo con aria infuriata – Come diamine ha potuto?! Un gesto così vigliacco…!”
“Piano, Havoc – disse il moro a braccia conserte – non credere che abbia fatto un gesto simile alla leggera!”
Il biondo si trattenne a stento, ma batté ferocemente il pugno contro il palmo della propria mano quasi a sfogare la rabbia repressa. Breda, accanto a lui, fu rapido a mettergli una mano sulla spalla per invitarlo a calmarsi, ma anche la sua espressione era cupa, sebbene non proprio accusatoria.
Falman, dal canto suo, restava impassibile come meglio poteva, anche se era chiaro il turbinio di emozioni che tormentava la sua persona.
“Doveva rifiutarsi – disse infine Fury con voce flebile, alzando gli occhi sul suo superiore – doveva… non poteva farla soffrire in questo modo atroce!”
“Ragazzo mio – fu Roy a parlare, precedendo Riza che aveva già aperto bocca per difenderlo – quando la guerra finì tu avevi quindici anni ed eri al sicuro a casa tua, in un paese che non ha subito danni. Le trincee che hai visto non possono minimamente sfiorare l’orrore di Ishval e della strage di civili compiuta. Quando venne dichiarata la fine della guerra non eravamo nemmeno più in grado di definirci esseri umani… le scelte fatte in un simile frangente non possono essere giudicate a posteriori o da chi non ha vissuto quell’inferno. Il tenente colonnello Hawkeye aveva fatto la sua scelta, che io la condividessi o meno: non potevo negarle quanto mi aveva chiesto.”
“Ci sono diversi tipi di sofferenza, Fury – aggiunse Riza con pazienza – e a volte quella fisica è la meno importante. Quella cicatrice che hai visto è stata la mia liberazione, capisci? Non ci sarà nessun alchimista di fuoco dopo il generale.”
“Ma non è detto che non ci saranno altre guerre, signora – la corresse Breda – l’alchimia del fuoco ha fatto una strage, certo, ma se non era il fuoco erano le armi e chissà che altro.”
Riza abbassò lo sguardo davanti a quell’impietosa dichiarazione più che veritiera.
“Almeno dal mio punto di vista mi sono… in qualche modo purificata… per causa del mio segreto non morirà più nessun innocente – disse flebilmente –  Me lo devo far bastare: Ishval mi basta, le altre guerre non… non mi riguardano in maniera così diretta. Quello che vi chiedo… quello che vorrei veramente è che tutti voi pensaste a quanto vi ho detto. Ne ho parlato con il generale prima di prendere la decisione di confidarmi con voi perché comunque vi riteniamo degni di fiducia. E proprio per la stima che nutriamo nei vostri confronti, capiremo anche se questa scoperta in qualche modo metterà in discussione il rapporto che c’è tra di noi… è successo con Fury e può succedere con tutti voi. Solo che, prima di giudicare, era necessario che conosceste tutti i fatti.”
“E voi, signora? – chiese Falman con pacatezza – dite che quella cicatrice vi ha purificato. Davvero la vostra vita è cambiata? Io sto riflettendo su quanto, a partire dal momento in cui vostro padre vi ha fatto quel tatuaggio, la vostra vita sia stata in parte compromessa. Penso a mia figlia che è ancora una bambina, pensò alla figlia del maggiore Havoc… un giorno saranno delle ragazzine e poi delle donne. Come padre la sola idea di vederle marchiate in un modo simile mi dà i brividi, perché mi rendo conto di quanto la loro vita ne sarebbe condizionata… Più che con il generale Mustang, io mi ritrovo ad avercela con quella persona che non oso nemmeno definire genitore, mi scusi se mi permetto l’ardire.”
Oh, Falman – Riza si dovette trattenere dall’alzarsi in piedi ed abbracciarlo: sapere che lui ed Havoc mai e poi mai avrebbero fatto del male alle proprie figlie in nome di chissà cosa, era di estremo sollievo, come se in qualche modo stessero salvando pure lei – sei una persona stupenda…
“La mia vita? – disse riuscendo a sorridere leggermente – In questo momento non potrebbe andare meglio, te lo giuro. Solo, quello che mi preme, è sapere quanto le persone in questa stanza, che sono quelle che considero la mia vera famiglia, sono disposte ad accettare me ed il generale dopo aver saputo della nostra storia. Capisco che non è una risposta da dare a cuor leggero, quindi vorrei che ci pensaste seriamente, almeno per qualche ora. Anche tu, Fury, ora che hai tutti i dettagli puoi rifletterci meglio.”
“Lei, signore, ha qualche dichiarazione da fare?” chiese Breda con calma.
“Niente di più rispetto a quello che ha detto il tenente colonnello – disse Roy con altrettanta pacatezza, mentre Riza si alzava in piedi – ora siamo in pace con noi stessi sotto questo punto di vista. Posso capire che il mio gesto abbia suscitato reazioni più che negative in voi e non pretendo che capiate sino in fondo le varie implicazioni.”
I due si avviarono verso la porta, con Riza che si fermò un secondo per stringere con estremo affetto la mano di Falman. Poi chiusero l’uscio alle loro spalle, lasciando la squadra ad assimilare le nuove scoperte.
Più di quello non potevano fare.
“Non abbiamo detto di noi due…” constatò Riza.
“Dagli tempo, se gli dicevamo anche quello Fury moriva d’infarto.”
La donna stava per sorridere a quella battuta, ma poi si accorse che il generale non aveva l’aria spensierata.
“E’ successo qualcosa?”
“No, niente.”
 
“Merda, merda, merda… grandissima merda!” Havoc si frugò nel taschino della divisa alla ricerca frenetica delle sigarette. La mano gli tremò leggermente quando usò l’accendino, tanto che la fiamma comparve solo al quarto, nervoso, tentativo.
“Che commento costruttivo – commentò Breda, mettendosi a braccia conserte e sedendosi nel letto dove, fino a poco prima stava Riza – datti una calmata, amico mio. E tu, Fury, asciugati quelle lacrime, dai! Non sei più un bambino, da bravo!”
“Non è giusto – singhiozzò il tenente, adagiato sui cuscini e completamente esausto – non doveva succedere a lei! Non meritava assolutamente tutto questo! Lei è… è la persona più buona e gentile che conosca!”
“E’ la vita, ragazzo – lo consolò il rosso, arruffandogli i capelli – dovresti aver imparato che non risparmia solo perché una persona è buona. Certo che vorremmo tutti aver conosciuto suo padre per dargli la lezione che meritava, ma credo che a lei non importi più di tanto, non credi?”
“Che famiglia di merda che ha avuto!” sbottò Havoc.
“E questo spiega anche perché è così legata a noi, anche se non l’ha mai detto esplicitamente. Capite le conseguenze della mia frase?”
“Certo – annuì Falman – lei vorrebbe che tutto filasse come al solito, anche dopo che abbiamo saputo del suo passato e di ciò che è successo con il generale.”
“Su suo padre c’è ben poco da fare – ammise Breda – e sul generale? Voi che ne pensate?”
Tutti rimasero in silenzio, nessuno che osava parlare per primo. Un gesto così orribile poteva essere condannato a priori, e quello era il primo istinto, tuttavia Ishval metteva tutto su una luce differente. Adesso i quattro soldati capivano maggiormente il legame che univa il generale ed il tenente colonnello, i rimorsi legati a quella guerra, il sentirsi in fondo complici della strage effettuata dall’alchimia del fuoco, l’esigenza di redenzione…
“Ci doveva essere un altro sistema – mormorò Fury, prendendo stranamente la parola per primo. I suoi compagni si girarono a guardarlo e notarono il viso pallido, ma gli occhi scuri e risoluti – lui avrebbe dovuto trovare un altro sistema. Sapevo che ad Ishval ha fatto cose orribili, ma… per tutti questi anni… ho preferito non pensarci e vedere la parte migliore di lui… però… anche se è il tenente colonnello stesso a darmi una spiegazione… io non ci riesco… non posso perdonare…”
“Fury, ragiona…” iniziò Breda.
“No! Se mio padre mi dicesse che ha dovuto ferire gravemente mia madre, causandole una simile sofferenza, perché non c’era altra scelta io non gli crederei mai! Mai! Mio padre non… non farebbe mai una cosa simile a mia madre!”
“Fury, loro non sono sposati né hanno una relazione – gli ricordò Falman – quello che li lega adesso è differente da quello che li univa anni prima, cerca di capire.”
“Lei… lei lo giustifica, capitano?” chiese il giovane, interdetto.
“Ritengo che la signora abbia ponderato con estrema attenzione le sue scelte…”
“Certo, con tutta la razionalità che ci può essere a guerra appena finita – la risata di Havoc trasudava un feroce sarcasmo – la stessa razionalità per la quale decine e decine di soldati si sono suicidati! Ma fammi il favore, Falman! Era tutto meno che lucida quando ha chiesto a Mustang una cosa simile… e lui, dato che era più grande e più freddo, avrebbe dovuto imporsi! Da parte mia, mi trovo d’accordo con Fury.”
“Io sto con Falman – scosse il capo Breda – è una questione loro e se la signora ha preso quelle decisioni è stata una scelta sua e ne ha pagato le conseguenze. Così come quando noi siamo entrati nell’esercito l’abbiamo fatto con la consapevolezza che prima o poi ci sarebbe toccato sparare, anche lei sapeva a quali rischi correva incontro mostrando quel tatuaggio a Mustang. Quello che è successo dopo, quell’ustione è stato il suo modo di espiare e di mettere al sicuro il mondo da un nuovo alchimista di fuoco. E vi prego di considerare una cosa… non sono andati ciascuno per la sua strada: hanno combattuto assieme dopo la guerra e guardate dove sono arrivati. Non credo che lei provi qualche rimorso nei confronti di Mustang, credo anzi che tra i due quello che abbia patito di più nel fare quel lavoro sporco sia stato lui.”
“E quindi…?” chiese Fury.
“Quindi lei ci ha chiesto di ponderare il tutto e di dirle che cosa ne pensiamo. Ma in realtà ci stava chiedendo di accettare lei ed il generale per quello che è successo: è stato un gesto di fiducia da parte loro, potevano benissimo non dirci niente e lasciare te, Fury, con il silenzio imposto. Davanti ad una simile situazione io rinnovo la mia fiducia ai miei superiori… mi prenderò ancora un paio di ore per pensarci, come mi hanno chiesto, ma non credo che cambierò opinione.”
“Stessa cosa per me – annuì Falman con gravità – e spero che anche voi farete altrettanto. Per la signora vorrebbe dire davvero tanto. Come ha detto il maggiore Breda noi siamo la sua vera famiglia: non possiamo voltarle le spalle in quel modo… e lo faremmo anche se condannassimo il generale.”
“Fa malissimo… malissimo…  e il dolore non ti abbandona per un secondo!sibilò Fury toccandosi la spalla – e la sua ferita è anche più grande della mia! Non riesco nemmeno ad immaginare la sofferenza che deve aver provato!”
“Piuttosto era meglio darle un paio di sberle per farla rinsavire! – disse Havoc, gettando la sigaretta ancora a metà a terra e pestandola con furia, ignorando di rovinare così il tappeto – Dannazione a lei, so bene che a volte sragiona completamente con queste idee di castigo e chissà che altro! Se la fosse scopata a sangue invece che bruciarla! Sarebbero stati meglio entrambi e non…”
“E sei proprio un porco!” Breda si alzò per spintonarlo.
“Maledizione a loro, quanto si complicano la vita!” Havoc restituì la spinta e poi uscì dalla stanza con rabbia, sbattendo la porta dietro di sé.
“Stupido zuccone – sospirò Breda, mettendosi a braccia conserte – il primo impatto per lui è sempre il peggiore, gli venisse un colpo!”
“Andrà a parlare con lui, signore?” chiese Falman.
“No, a questo giro non mi ascolterebbe, deve sbollire da solo – scosse il capo l’altro – meglio lasciarlo ai suoi pensieri e alle sue sigarette!”
“Potrei chiedere ad entrambi di lasciarmi solo? Sono stanco… ho mal di testa.” chiese docilmente Fury.
“E tu, ragazzo? – gli disse dolcemente Breda, aiutandolo a sistemarsi meglio – Vuoi davvero darle una così grande delusione? A te tiene in maniera molto speciale, lo sai bene… riflettici con attenzione. Dici che merita solo il meglio, però il tuo atteggiamento non farà altro che ferirla.”
“Voglio stare solo…” serrò gli occhi lui, mentre nuove lacrime colavano sulle guance.
“Come preferisci – annuì Breda, levandogli gli occhiali e posandoli sul comodino – cerca di riposare un poco, allora. Ci vediamo dopo; andiamo, Falman.”
 
Mentre la squadra si divideva in quel modo, Roy era tornato nelle sue stanze e si era seduto al tavolo mettendosi a controllare alcune mappe di Drachma senza però nutrire reale interesse: il suo sguardo era fisso in un punto fermo e chiaramente era immerso nei suoi pensieri.
La conversazione che c’era stata con gli altri no gli era piaciuta più di tanto e un po’ se l’era aspettato. Non era tanto preoccupato per Falman e Breda che avevano già dimostrato di aver compreso pienamente la situazione, quanto per Havoc e Fury. E sapeva benissimo che il problema non era Riza ma lui stesso.
E una squadra che non si fida del proprio superiore non ha più delle solide basi.
Ma soprattutto gli dispiaceva a livello personale.
Havoc ormai era un amico, a prescindere dai gradi: vedere il suo sguardo furente era stato più doloroso di quanto ritenesse. Forse con lui c’erano buone possibilità di riappacificazione una volta che avesse sbollito, però era comunque una brutta situazione.
E Fury? Oh beh, con lui è anche peggio…
Perché a Fury dovevi davvero farcelo arrivare ad essere arrabbiato… e questo succedeva solo quando gli toccavano le persone a cui teneva. Fury, come se non bastasse, era la sua personale creatura: l’aveva praticamente tirato su lui come soldato, e anche un po’ come persona. Con lui sentiva maggiormente la responsabilità di avere dei sottoposti, ma sentiva anche qualcosa di simile ad una responsabilità paterna anche se ormai gli anni erano passati.
Era stato lui ad ordinargli di prendere parte alla sua prima missione.
Era stato lui ad ordinargli di sparare per la prima volta, uccidendo una persona.
Sono stato io a chiedere a Riza di prenderlo sotto la sua ala protettiva quando gli altri ancora dubitavano di lui per la sua giovane età e per il suo aspetto.
E adesso quello strano cerchio di fiducia dove, nonostante tutto, Fury non aveva mai smesso di considerarlo una sorta di eroe, era irrimediabilmente spezzato.
“Signore – disse Riza andandogli accanto – va tutto bene?”
“Signore? – fece lui, senza però levare gli occhi da quel punto preciso della provincia Anditev – Santo cielo, almeno quando siamo soli ce la puoi fare a darmi del tu?”
“Scusami… va tutto bene, Roy? Così va meglio?”
“Decisamente – stavolta sorrise, seppur stancamente, e si posò allo schienale della sedia – comunque va tutto bene. Aspetto solo il verdetto dei miei uomini, anche se lo temo, devo essere sincero.”
Non le mentì, non avrebbe avuto senso.
In fondo pensano le stesse cose che ho pensato io per mesi e mesi… che ci doveva essere un altro modo. Che non avrei dovuto in ogni caso. Mi stanno accusando di essere un vigliacco e forse non posso dare loro completamente torto.
“Santo cielo – sospirò Riza – possibile che Ishval deve ancora pesare tanto su di noi?”
“Guarda il lato positivo: ti amano a tal punto da volerti proteggere anche contro qualcosa successa anni prima. Penso che Havoc per qualche secondo abbia pensato anche di resuscitare tuo padre per ammazzarlo di botte lui stesso. Comunque ti ribalto la domanda… come ti senti tu?”
“Io? – Riza ci rifletté a lungo – meglio… in parte liberata da un peso… come se un’altra catena fosse stata recisa, non so se rendo l’idea. Però ammetto che anche a me le reazioni di Fury e Havoc mi hanno un po’ lasciata perplessa. Ma forse per loro ci vuole più tempo… specie per Fury.”
“Oh dai, si risolverà – sorrise lui, cercando di mettere da parte i suoi dubbi, alzandosi in piedi e prendendola tra le braccia – magari con Fury ci parlerò da solo e con Havoc… beh, con Havoc…”
“Credo che parlerò io con lui.”
“Va bene, come ritieni giusto… però dimmi che sei felice adesso. Voglio sentirmi dire che ne sta valendo davvero la pena.”
“Sì, sono felice – rispose lei senza alcuna esitazione – e fiduciosa. Voglio esserlo per una volta tanto! Almeno su di noi e sulla nostra squadra.”
Roy la guardò leggermente stranito: era la prima volta che vedeva una versione di Riza così candida e fiduciosa nel futuro. Se non fosse stata così rigida nei modi, era sicuro che si sarebbe anche messa con le mani dietro la schiena, in una posa al limite dell’infantilismo.
E’ così… è così che dovresti essere!
Avrebbe voluto stringerla ancora e baciarla all’infinito, recuperando tutto il tempo che avevano perso in quegli anni dove si erano silenziosamente girati attorno senza però palesare i propri sentimenti. Tuttavia lei fece un passo indietro, come se avesse intuito le sue intenzioni: con gli occhi castani accennò alla cartina, ricordandogli che comunque dovevano anche pensare alla loro missione.
Ci sarà tempo – era questo che promettevano quegli occhi così grandi. E per qualche secondo Roy si trovò a chiedersi se ci sarebbe stato tempo anche per andare oltre quei baci che ben presto non gli sarebbero bastati più.
Comunque, per darle retta, tornò a prestare attenzione a quella cartina, cercando di trovare un qualcosa di utile quando in realtà per la testa aveva altri pensieri.
Eccoli tornati ad essere generale ed assistente, la loro routine perfetta.che in fondo li proteggeva dai dubbi.
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23. Regolamenti di conti ***


Capitolo 23.
Regolamenti di conti



Da quando era diventato padre, Havoc molto spesso trovava conforto oltre che nelle sigarette nel pensiero dei suoi figli. Spesso gli piaceva sedersi da qualche parte e riflettere sulle differenze che intercorrevano tra i gemelli, o pensare ai bei momenti che aveva passato con loro in quei due anni da quando erano nati. Jilly voleva sempre essere presa in braccio da lui per andare a fare la nanna, Jody invece doveva essere recuperato già addormentato sul divano dopo che aveva corso come un demonio per tutta la casa. Lui era più coccolone ed espansivo, Jilly faceva più la preziosa. Jody indossava ancora il pannolino la notte, Jilly invece stava già venendo a patti con il vasino…
Ormai siamo a maggio inoltrato… per l’estate ho promesso di portarli in campagna dai nonni almeno per qualche settimana.
Si ricordò della promessa fatta prima di partire e di come Jody si fosse messo a saltare felice all’idea di poter andare sul carro dei nonni e di come Jilly gli avesse chiesto di essere portata a cavallo come nelle favole con il principe azzurro. Sì, non vedeva l’ora di accontentare i suoi piccoli e poi, per il loro compleanno, a novembre, avrebbero fatto una festa in grande, tutti quanti loro: avrebbe fatto in modo che persino Falman e la sua famiglia potessero venire.
Rebecca si sarebbe data da fare: quando c’erano simili eventi voleva sempre che le cose venissero fatte in grande, mettendo a soqquadro la casa da almeno dieci giorni prima e diventando praticamente isterica. La sua compagna gli mancava da morire e in un momento simile avrebbe voluto sentire il suo parere. Sicuramente lei gli avrebbe detto che era stato uno stupido ad avere una simile reazione, che non era proprio il caso di mettere altri problemi a quei due… altrimenti chissà quando si sarebbero decisi a dichiararsi l’uno con l’altro.
Eppure qualcosa non mi torna – ammise, grattandosi con confusione i capelli biondi.
Qualcuno si sedette sulla panchina dove ormai stava da diverso tempo, come testimoniavano le diverse cicche che giacevano per terra. Non era Heymans, di questo ne fu certo: conosceva abbastanza bene il suo miglior amico per sapere che in simili frangenti preferiva lasciarlo sbollire da solo. Sapeva bene che si trattava proprio di lei, in fondo un po’ se l’era aspettato. Anche se c’erano diversi gradi di differenza erano riusciti ad instaurare un bel rapporto, in parte basato sulle loro gare al poligono di tiro, un momento esclusivamente loro che riuscivano a ritagliarsi almeno una volta al mese.
“Si deve stare davvero bene in questa panchina – disse la voce pacata di Riza – sei qui da parecchio tempo e non ti sei praticamente mosso.”
“Vorrei che ci fosse un bel poligono di tiro per sgranchirmi un po’ le ossa: sono fuori allenamento, mi sa – commentò Havoc, senza girarsi a guardarla – ma qui a Drachma le cose dell’esercito le tengono ben nascoste. Chissà dove stanno i loro centri d’addestramento.”
“Mi piacerebbe fare una delle nostre sfide, ne sento la mancanza. Ma forse tu sei così nervoso che avrei vittoria facile, anche con uno scarto notevole.”
“Questo si chiama provocare…” sorrise stancamente il biondo facendo l’ultimo tiro prima di spegnere la cicca e posandosi pigramente allo schienale di quella panchina di marmo.
“Avevi detto a Rebecca che la smettevi con tutte queste sigarette.”
“Quando torneremo a casa non ne fumerò così tante, promesso.”
“Forse oggi ne stai fumando così tante per colpa mia, vero?”
Finalmente Havoc si girò a guardarla.
Era raro che Riza Hawkeye assumesse atteggiamenti così rilassati: in genere anche quando stava seduta su una panchina, come in quel caso, teneva sempre una composta rigidità. Invece, ora, era posata pure lei sullo schienale e fissava con serenità il suo compagno di squadra.
“Ehilà, signora – il soldato non poté far a meno di sorriderle – scommetto che adesso mi dirai che sono uno stupido e che non me la devo prendere con il generale, vero? Mi ricorderai che sono il solito scemo impulsivo e che le mie reazioni sono sempre esagerate, no?”
“Invece ti dirò che ti ringrazio con tutta me stessa… non capita tutti i giorni di avere come amico una persona che è disposta a difenderti anche per torti che si sono subiti in un tempo ormai lontano.”
“Accidenti – arrossì il biondo – adesso ci andiamo giù pesante, signora.”
“Jean, sai… in questo momento mi sento molto felice. Voglio essere sincera con te, prima di dirlo a tutti gli altri… diciamo che, ecco, se Rebecca fosse qui, credo che starebbe festeggiando come una matta!” arrossì pure lei, in maniera estremamente deliziosa, facendo finalmente capire quanto fosse bella Riza Hawkeye non appena si andava oltre la solita corazza di marzialità.
“Ma dai! – Havoc non poté far a meno di sgranare gli occhi con incredulità, mentre quel qualcosa che non gli tornava trovava finalmente risposta – lei ed il generale? Diamine, oramai ci avevo messo una pietra sopra! Ammetto che io e gli altri più di una volta abbiamo pensato che, per come eravate, avreste finito la vostra vita senza fare il fatidico passo in più!”
“Havoc!”
“Signora, mi perdoni – stavolta ridacchiò maliziosamente – ma voi non vi siete mai resi conto del teatrino assurdo a cui assistiamo da anni a questa parte. Persino quell’ingenuotto di Fury ha capito che tra voi doveva prima o poi nascere qualcosa.”
“E allora perché non vuoi esserne felice? Almeno per me…” Riza gli prese la mano e la strinse con gentilezza ed aspettativa.
“Ahi ahi, eccoci al punto, bambina – sospirò il biondo, passando al tu come succedeva in rarissime occasioni in cui era il caso di ricordare che, tra loro due, era il maggiore d’età – mi chiedi di far finta di niente davanti a quello che hai subito. Ti conosco, so quanto sei testarda e sicuramente sei stata brava a convincere il generale a bruciarti la schiena…”
“Appunto, io sono stata brava. Lui ha solo fatto quello che gli chiedevo.”
“A mio parere non è una scusa: un cervello per pensare ce l’ha pure lui. E tu, stupidina, perché devi sempre avere delle idee così malsane, eh? Mi dispiace di non essere stato lì a farti cambiare idea…”
“Jean, ti prego – sospirò Riza – eppure lo conosci da anni… conosci anche me. Sta andando tutto alla perfezione con lui, non mi sembra vero. Abbiamo voluto essere sinceri con voi perché ci sembrava giusto rendervi partecipi di tutto. Jean, ascolta…”
“Beh, del resto quello stupido mi ha aspettato in cima quando io ero in sedia a rotelle… porca troia, ma perché ci mettete sempre in situazioni così difficili?”
“Perché in fondo sappiamo che voi sarete sempre dalla nostra parte – Riza si posò contro la sua spalla per qualche secondo – come una vera famiglia.”
“Insomma, in conclusione questo stupido soldato non deve pensare al passato e a quanto è successo ed essere felice per voi due, eh?” le scostò una ciocca dalla fronte in un gesto fraterno.
“Esattamente – Riza si alzò in piedi – questa soldatessa… questa amica ne sarebbe contenta perché tiene veramente a tutti quanti voi.”
Havoc rimase in silenzio per diversi minuti, fissandola con attenzione.
Sentiva di odiare profondamente Mustang per quanto aveva fatto e si chiedeva l’entità della cicatrice sotto quella divisa. Sotto un certo punti di vista li odiava entrambi, con quei loro rimorsi che si portavano dietro da così tanto: sapeva bene che non li poteva capire del tutto, ma era sempre dell’opinione che due persone non potevano rovinarsi la vita in quel modo.
Soprattutto lei… l’ha fatto per così tanto tempo negandosi ancora di più la felicità che merita.
E forse, proprio per questo, a prescindere dalla grande cavolata che avevano fatto anni addietro, non poteva permettersi di tenere il broncio contro di loro. Del resto li rimproverava sempre di esser troppo legati al passato… se ci si metteva anche lui a condannare una storia risalente alla fine della guerra, non avrebbe fatto altro che alimentare quel circolo vizioso.
“Rebecca sarà la damigella d’onore, va bene? – disse con aria seccata, alzandosi a sua volta in piedi – altrimenti non te lo perdonerebbe mai.”
“Non corriamo troppo, suvvia!” Riza arrossì, ma non mancò di sorridere.
E Havoc sentì di aver fatto la scelta giusta nel perdonare tutto nell’arco di così poco tempo.
 
Mentre Riza otteneva una vittoria tutto sommato facile con Havoc, Roy osservava Fury che, ostinatamente, se ne stava sdraiato di lato con lo sguardo fisso verso la finestra.
Alla fine aveva deciso di non rimandare di troppo quell’incontro: lasciar bollire il giovane nel suo brodo era più che altro controproducente. Se doveva sbattere la faccia contro la realtà dei fatti che lo facesse subito piuttosto che perdere tempo.
Ed eccolo lì, un bambino profondamente offeso che nemmeno osava alzare gli occhi davanti al proprio superiore. Era un atteggiamento che Roy detestava profondamente: sin da quando era entrato in squadra aveva cercato di insegnare al ragazzo di guardare negli occhi il proprio interlocutore, ma c’erano determinate occasioni in cui Fury si rifugiava ancora in quell’automatismo infantile.
“Da un tenente dell’esercito mi aspetterei un atteggiamento più adulto, sai – fece Roy, mettendosi a braccia conserte – specie nei confronti del proprio superiore.”
Non ci fu nessuna reazione: gli occhi scuri, privi di occhiali, rimasero puntati nel vuoto ed il viso, in genere così espressivo, restò chiuso in un’espressione impassibile, la mascella contratta visibilmente.
“Senti, Fury – continuò Roy, sedendosi accanto a lui – questo mutismo non ti porterà lontano: il tatuaggio e la cicatrice di Riza non spariranno in nessun caso, che tu faccia l’offeso o meno. Ti ha già raccontato di come sono andate le cose e ti ha chiesto di passare oltre, perché non vuoi darle retta?”
Nessuna reazione, forse la mascella si serrò di più ma fu un cambiamento impercettibile.
“Credi che mi sia piaciuto indirizzare l’alchimia del fuoco contro di lei? – Roy sentì la rabbia montargli dentro davanti a quell’apatia. Che cosa ne poteva sapere Fury di quanto aveva provato quella tremenda notte? Che diritto aveva di tenere il broncio per qualcosa che non conosceva minimamente? – come credi che mi sia sentito a raccoglierla da terra praticamente priva di sensi? A vedere quelle orrende ferite sulla sua schiena e…”
E allora non doveva farlo, dannazione!”
Fu come un’improvvisa detonazione.
Fury abbandonò di colpo la sua posizione sdraiata: con tutte le forze che aveva in corpo si avventò contro Roy, incurante delle coperte che gli intralciavano i movimenti. Il generale rimase così paralizzato da quell’improvviso attacco che fu come viverlo a rallentatore. Vide il viso di Fury perdere la sua impassibilità per contrarsi in una furia impotente e carica di dolore; colse persino la lieve smorfia di sofferenza per la ferita che veniva strattonata in maniera così violenta.
Se non fosse stato per la sincera rabbia messa in quel gesto, la scena sarebbe apparsa anche ridicola per l’esito. La debolezza, infatti, non concesse nessun miracolo al soldato: perse l’equilibrio in quell’attacco e, trovandosi sul lato del letto, il passo per cadere sul pavimento fu rapido.
Roy ebbe solo la prontezza di afferrarlo per il braccio sinistro, in modo da attenuare in qualche modo la caduta, ma quel gesto istintivo non fece che tirare ulteriormente la ferita. Con un grido di dolore Fury si accasciò al suolo, mentre la giacca del suo pigiama si chiazzava di rosso all’altezza della spalla sinistra.
“Merda! – sibilò Roy, sollevandolo e rimettendolo a letto – No, Fury, così proprio non va! Ma che ti salta in mente? Ti rendi conto che…”
“… continua a bruciare… capisce? – ansimò lui, con le lacrime agli occhi, cercando di respingerlo – non… non riconosci più la pelle, la senti… impazzire di dolore… eppure è così estranea! Non è più… più tua… e fa male… non… non è sopportabile! E lei… lei ha sofferto tutto questo in forma maggiore! Doveva impedirlo! Doveva salvarla!”
“Piano… piano, ragazzo! Si sta riaprendo tutta la ferita, dannazione…”
Ma Fury continuava a dimenarsi da quella stretta, come un cucciolo impazzito incapace di mordere, peggiorando ancora di più la sua situazione.
“La odio! La odio con tutte le mie forze!” guaì serrando gli occhi.
“Basta comportarsi da idiota!”
Il ceffone arrivò sulla guancia destra, volutamente forte, ed ebbe l’effetto desiderato di calmare quel chiaro attacco d’isteria. Gli occhi scuri di Fury si puntarono su quelli del generale con incredulità, mentre il respiro rotto era l’unico suono udibile in tutta la stanza.
“Riza ti adora, stupido soldato – lo rimproverò Roy, iniziando a sfilargli la casacca del pigiama per poi buttarla a terra – sei quasi un figlio per lei e so benissimo che tu ricambi la cosa. Ma non credere che questo vostro rapporto ne precluda altri… ho cercato in tutti i modi di farla desistere quella sera, capisci? Solo il cielo mi è testimone… e sarei anche potuto andare via da quella casa, lasciandola sola e con la schiena intatta. Ma non l’ho fatto, va bene? Ed è inutile che mi guardi così, ragazzino… non l’ho fatto perché era l’unico modo in cui potevo davvero aiutarla in quel momento! E se avesse tentato da sola? E se avesse deciso di suicidarsi perché non le avevo dato retta? Come la mettiamo, eh? Guarda che casino hai fatto… girati prono, piccolo idiota che non sei altro… ci credo che ti fa male…”
Andò alla cassettiera e recuperò dei nuovi asciugamani che provvide a bagnare con l’acqua della bacinella che stava sopra il mobile. Tornato accanto al malato iniziò a passarli con delicatezza sopra la ferita.
Dannazione… è così simile a quella di Riza anni fa… perché devo sopportare di nuovo tutto questo?
“Per me… lei era il mio eroe…” la voce di Fury era poco più di un pigolio, ovattata com’era dal cuscino dove era immerso il viso.
“Ne abbiamo già parlato – scosse il capo Roy, cercando di fare il più piano possibile nel punto dove i lembi di pelle, debolmente attaccati, lasciavano il posto alla carne viva – stringi i denti, ma non ti muovere. Fury, il titolo di Eroe di Ishval è solo una menzogna, te l’ho detto più volte. Ti ho anche raccontato alcuni episodio che fanno tutto di me meno che un eroe…”
“Per me lo era lo stesso – le mani pallide del soldato strinsero le coperte con forza mentre un gemito gli sfuggiva dalle labbra – io… io per lei sarei andato in capo al mondo… ma adesso… adesso…
Roy non rispose, non cercò nemmeno di controbattere a quelle parole, sinceramente dispiaciuto. La fiducia di Fury gli era sempre stata cara perché era libera da qualsiasi preconcetto: effettivamente per lui gli era piaciuto far finta di essere, in qualche strano modo, un eroe della giustizia.
Ma l’eroe non fa mai del male alle persone che conosce, anzi le salva quando sono in difficoltà.
“Io e il tenente colonnello Hawkeye abbiamo deciso di iniziare una relazione – disse con calma, decidendo di fargli bere il calice amaro fino in fondo – credo che in fondo tutti voi sospettavate che prima o poi tra noi sarebbe successa una cosa del genere.”
Fury girò di scatto la testa, fissandolo con incredulità mista a rabbia: chiaramente adesso non poteva vedere quella relazione che come un perverso legame tra vittima e carnefice.
“Riza è felice – continuò Roy – e lo sono pure io. Anche Havoc sono sicuro che passerà oltre la prima arrabbiatura, come è tipico di lui… resti solo tu, tenente, lo so che è praticamente un ricatto, ma se vuoi bene a Riza cerca di fare buon viso a cattivo gioco, almeno per questi primi tempi. Una volta guarito, una volta ad Amestris, potremmo…”
“Starò tranquillo e non dirò niente – lo bloccò Fury con voce raschiata – ma una volta ad Amestris… io lascerò la squadra, generale.”
Roy stava per ribattere, ma delle urla provenienti dal corridoio lo fecero sobbalzare.
“Resta immobile – mormorò, rivolgendosi al ragazzo e frugandosi nelle tasche per cercare i guanti – se è ancora quel bastardo che tenta di farti fuori lo polverizzo.”
Lanciò una rapida occhiata a Fury e vide che annuiva, appiattendosi più che poteva nel letto.
Prima di infilarsi il guanto non poté far a meno di arruffare quei capelli scuri e dritti in un gesto rassicurante.
Devi solo provarci, Kyril… devi solo varcare quella porta!
 
Riza ed Havoc si trovavano in cima alla rampa di scale: erano appena tornati al palazzo degli Esdev con l’intenzione di comunicare al generale che quel malinteso tra di loro era stato risolto.
Come sentirono quelle grida d’allarme si scambiarono un rapido cenno d’intesa ed iniziarono a correre nell’ampio corridoio, nella direzione da cui proveniva quel trambusto. Istintivamente le loro mani erano andate alla cintura dove stava la fondina e le pistole erano state estratte con estrema rapidità.
“Mi copra!” esclamò Havoc, facendo un agile scatto per superare la curva del corridoio.
Riza annuì e lo seguì con rapidità: si conoscevano bene, sapevano che tra loro due quello adatto alle azioni di sfondamento era Havoc, mentre lei dava il meglio come cecchino o comunque in ruoli di copertura.
Trattenne il fiato, pronta a trovarsi faccia a faccia con Kyril Esdev e intenzionata a sparargli prima che potesse attivare chissà quale pericolosa alchimia.
Tuttavia quello che vide la lasciò interdetta.
I nemici erano quattro e per qualche secondo la donna ebbe il terrore che si trattasse di combattenti di Xing: avevano dei vestiti molto simili a quelli delle guardie del corpo del principe Ming, tuttavia i loro volti non erano coperti da maschere cerimoniali, ma da delle bende che lasciavano intravedere solo la fessura degli occhi.
Combattevano contro alcune guardie di Drachma e come arma usavano dei lunghi bastoni di metallo, terminanti da entrambi i lati con delle punte acuminate. La loro gittata era tale che, roteandoli in aria, impedivano di avvicinarsi a chiunque ci provasse, come dimostrava un soldato che si contorceva a terra con una tremenda ferita al ventre che inzuppava di sangue il pavimento.
L’arrivo di Havoc e Riza portò l’attenzione di due di quei guerrieri vestiti di grigio verso di loro. Immediatamente iniziarono letteralmente a saltare da una parte all’altra del corridoio, in una folle danza tesa a confondere l’avversario.
Entrambi i soldati rimasero assolutamente impietriti davanti a quei bersagli così mobili e irrequieti tanto da sembrare degli animali impazziti che andavano da una parte all’altra della gabbia. Tuttavia, all’improvviso, uno di loro balzò in avanti tentando un rapido affondo con la sua lancia.
Havoc fu salvato dal suo istinto che lo fece scostare di lato e reagì sparando contro l’avversario che, tuttavia, evitò senza problemi il proiettile.
“Fate attenzione, signori! – esclamò uno dei soldati di Drachma – sono guerrieri Ileti!”
“Guerrieri Ileti? – sibilò il biondo – e che cavolo sarebbero questi funamboli?”
“Havoc, attento! – esclamò Riza, cercando un maledetto punto fermo dove sparare – Sono velocissimi!”
Ed erano anche perfettamente coordinati tra di loro: dalla giostra dei due combattenti, improvvisamente ne sbucò fuori un terzo, passando incredibilmente a pochissima distanza da quelle lame in movimento, come se fosse tutto perfettamente calcolato.
Questa volta il bersaglio fu Riza e anche lei riuscì a schivare all’ultimo la lama che si piantò a terra, lasciando un profondo solco sul tappeto verde che copriva la parte centrale del pavimento. Con tutta la prontezza di cui era capace, la donna si chinò sui talloni e allungò la gamba sinistra per fare lo sgambetto al suo avversario. Le parve quasi di vederlo sorridere beffardamente mentre si scostava da lei e recuperava la sua lancia.
Peccato che non hai visto il cenno che ho fatto ad Havoc!
Il colpo di pistola partì immediatamente non da lei, ma dalla pistola del biondo, andando a colpire l’avversario al braccio che teneva quell’arma micidiale. Considerata la distanza ravvicinata l’impatto fu tale che il guerriero venne sbattuto contro il muro.
Come se un componente di un balletto fosse appena caduto, i restanti si fissarono con perplessità per qualche secondo, indecisi se continuare o meno lo spettacolo senza quel componente fondamentale. Quell’esitazione fu sufficiente a Riza per puntare con precisione a quello che stava davanti a lei e colpirlo questa volta alla gamba.
“Non perdete tempo, idioti! – esclamò Havoc ricaricando in fretta l’arma – sparate!”
I soldati di Drachma parvero riprendersi dallo stordimento di quell’azione e recuperati i loro fucili iniziarono a sparare, con Havoc e Riza che corsero subito dietro la curva del corridoio in modo da essere protetti contro l’eventuale rischio del fuoco amico.
“Ferito?” chiese lei, accostandosi alla parete.
“No, e lei?”
“Nemmeno!”
Non ebbero tempo di dire altro che uno degli avversari tentò la fuga dalla loro parte del corridoio.
Ancora una volta a farla da padrone fu l’intesa vincente dei due soldati: un rapido scambio di sguardi e questa volta fu Havoc a sparare, colpendo l’avversario sul fianco e arrestandone così la fuga.
“E ne resta solo un altro…” sospirò Riza andando davanti al guerriero che si contorceva a terra e allontanando con un calcio quella micidiale lancia.
“No… presi tutti! – dichiarò Havoc, sentendo i richiami vittoriosi dei soldati di Drachma – anche se mi pare che resti solo questo vivo: gli altri anche se feriti hanno ripreso ad attaccare… sono tutti e tre a terra.”
“Allora accertiamoci che questo sia ben curato – disse la donna – dovrà rispondere di parecchie accuse.”
“Signora, tutto bene?” due guardie li raggiunsero e subito presero puntarono i loro fucili contro il ferito.
“Sì, tutto bene – rispose Riza – ma chi sono? Qualcuno di voi ha parlato di guerrieri Ileti…”
Isshen sisset y’rest! Silkasey darrosch yenta’s me!” sibilò il ferito con stizza, serrando gli occhi.
“Guerrieri delle paludi dell’ovest, al confine col regno di Rosha – ringhiò un soldato – Selvaggi maledetti!”
“Ma che ci facevano così lontani dal loro territorio? – chiese l’altra guardia – non escono mai di loro iniziativa, è risaputo!”
“Non lo so, ma questo risponderà alle domande del barone Anditev!”
“Che parte del palazzo stavano attaccando? – chiese Riza, mentre arrivavano anche altri soldati richiamati dalle voci degli altri – le stanze del nostro ferito?”
“No, signora – scosse il capo la guardia, guardando con preoccupazione il ferito di Drachma che veniva portato via in barella: il viso cinereo faceva presagire che sarebbe morto a breve – erano entrati nelle stanze di lady Kora.”
 
Alexand Anditev si rigirava la pesante lancia di metallo tra le mani, osservandola con attenzione nei minimi dettagli. I suoi occhi scuri accarezzavano l’arma come solo un intenditore poteva fare e non mancò di sorridere lievemente quando arrivò al nastro giallo che stava proprio all’inizio dell’estremità appuntita.
Le prigioni della Cittadella si trovavano nei sotterranei, e proprio come le cripte della Cattedrale, erano interamente scavate nella roccia, in un sapiente lavoro d’ingegneria che aveva saputo trovare il perfetto equilibrio tra scavo e statica di quello che stava sopra. Le gallerie erano ben costruite, con il soffitto abbastanza alto da permettere anche ad una persona alta di camminare con estrema disinvoltura; lo stesso si poteva dire per buona parte delle celle anche se, mano a mano che si andava verso l’interno, queste diventavano sempre più strette e umide, o almeno così sembrava da quanto si intravedeva dalle grate di metallo sulle porte.
La stanza dove si trovavano non era una vera e propria cella, ma un luogo adibito agli interrogatori: al contrario di quello che ci si poteva immaginare non era una stanza buia e lugubre, ma un ambiente le cui pareti di roccia viva erano state intonacate di bianco, in modo da far risultare in maniera particolare la luce delle varie torce appese ad anelli lungo le pareti.
Sulla parete di fondo stava incatenato il prigioniero: gli erano stati levati i vestiti, lasciandolo solo con i larghi pantaloni grigi in parte sporchi di sangue. Il torso era stato fasciato dopo aver estratto la pallottola ed il medico aveva garantito che nessun organo vitale era stato toccato. Era giovane, sebbene il suo volto fosse così segnato dalle cicatrici e da un non so che di selvaggio da dargli un’età indefinibile. I capelli castani erano lunghi e arruffati, alcune ciocche intrecciate in disordinate trecce, e uno strano tatuaggio tribale partiva dalla guancia destra per scendere sul collo e poi sul petto.
Falman lo fissò con attenzione, estremamente incuriosito da quel nuovo elemento: c’era un qualcosa di incredibilmente ancestrale negli occhi castani che continuavano a guardare impassibili tutti quanti loro. Ma era soprattutto su Alexand che continuavano a puntarsi ad intervalli irregolari e allora si socchiudevano con feroce odio, tanto che se lo sguardo avesse potuto uccidere, il barone sarebbe stato ridotto in polvere già da diverso tempo.
“Clan She’t, non posso sbagliarmi – disse proprio Alexand, posando con disinvoltura la lancia contro la parete e mettendosi a braccia conserte – come confermano anche i tatuaggi sul suo corpo. Gli Ileti sono divisi in clan spesso in guerra tra di loro, ed il loro senso di appartenenza è molto forte: ricevere i tatuaggi del proprio clan è praticamente il rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta. Alle bambine viene fatto alla comparsa del menarca, ai maschi quando superano alcune prove rituali. Il clan She’t è quello più vicino al confine con Drachma e mi è capitato di sedare una loro incursione alcuni anni fa… credo che il nostro amico mi riconosca.”
Falman restò affascinato da quella spiegazione, così come il resto della squadra che, assieme a Derekj, si trovava in quella prigione. Non c’erano altre guardie, persino il solito carceriere era stato mandato via. Ma del resto erano presenti soldati d’eccezione come Riza ed Havoc: a conti fatti nessuno di loro era sprovvisto di difese e il prigioniero era saldamente incatenato alla parete, le braccia tenute sollevate, ma non il tanto da dare troppo fastidio alla ferita, una chiara precauzione presa per l’interrogatorio.
“Ity’s meth!” ringhiò l’Ileta, prima di sputare a terra con disgusto.
“Non parla la nostra lingua?” chiese Breda.
“No, solo pochi di loro conoscono i termini sufficienti per fare una conversazione: in genere sono i più anziani o i detentori delle tradizioni del clan. Ma io conosco bene la loro lingua: alcuni prigionieri di quella spedizione mi aiutarono a capire bene i meccanismi della loro parlata. Adesso, per esempio, mi ha appena lanciato una maledizione… è più o meno come il nostro che tu sia maledetto.”
“Sei in grado di gestire l’interrogatorio?” chiese Derekj, inclinando il capo con curiosità.
“Non è la lingua il problema, mio signore – sospirò il moro, girandosi verso di lui – questo non parlerà, è garantito. Anche sotto tortura un Ileta non pronuncerà parola o se lo farà sarà solo per gridare, è un codice molto rigido, in particolare per i guerrieri come lui. Thisle s’orlars me’rs, dij’es?”
“Es’r!”
“Gli ho appena chiesto se mai avesse parlato e lui mi ha risposto mai, come vi avevo preannunciato. In altre occasioni direi di ucciderlo seduta stante e non perdere troppo tempo con lui…”
“No, non ci siamo – scosse il capo l’Autarca – se gli Ileti si sono spinti fino alla Cittadella un motivo ci sarà. Voglio i dettagli, voglio sapere cosa c’è dietro: Alexand tu sei quello che li conosce meglio, cerca di ricavarne quello che puoi, anche solo con la deduzione.”
“Beh, partiamo dalle basi – si intromise Breda – sembrava che avessero un obbiettivo specifico, ossia Lady Kora.”
“Già, è qui c’è il primo interrogativo – lo bloccò Alexand – dal resoconto delle guardie questo Ileta ed i suoi compagni sono entrati dalla finestra, passando per il cortile: come hanno fatto irruzione hanno evitato per un pelo che lady Kora venisse uccisa… non la stavano rapendo, su questo i miei uomini sono pronti a giurare. Ed io conosco quelle guardie e sono certo della loro lucidità, garantisco per loro.”
“Tentato omicidio? – Roy scosse il capo – no, non torna assolutamente… a meno che non avesse paura che Kora potesse rivelarci qualcosa. Del resto se è consapevole della sua instabilità emotiva non poteva essere sicuro del suo silenzio.”
“Già, potrebbe essere un’ipotesi – ammise Derekj – però se è stato talmente geloso da rischiare l’attacco al vostro uomo… no, non credo che sia da lui tentare di eliminare la gemella.”
Alexand riprese a camminare davanti al prigioniero, scrutandolo con attenzione.
“Perché…? – mormorò – Perché diamine hai affrontato un viaggio così lungo lontano dalla sicurezza delle tue paludi? Che cosa può averti spinto ad un gesto temerario simile? Tomhis l’aphut ‘ers… la tua terra è lontana.”
L’Ileta non rispose, rimase impassibile a fissare il vuoto: i suoi occhi scuri erano così remoti che sembrava in preda a chissà quale trance, completamente estraniato dal resto del mondo.
“E se fosse stata quella che lui ritiene magia?” propose Falman.
“In che senso?” chiese Roy.
“Signore, dal resoconto del vostro viaggio, avete detto che la gente delle campagne è molto superstizione e ha visto nella vostra alchimia e in quella di Kyril Esdev qualcosa di magico. Supponiamo che Kyril abbia in qualche modo ammaliato questa gente e l’abbia convinta di essere una sorta di dio… del resto si è scoperto che durante tutti questi anni lui ha viaggiato parecchio. Potrebbe aver stretto qualche rapporto anche con questa popolazione, ottenendone in qualche modo i servigi.”
“Come un dio, dici? – mormorò Roy – vediamo pure se gli faccio lo stesso effetto… barone, per favore, scostatevi da lui.”
Come Alexand ebbe fatto diversi passi indietro, Roy si mise i guanti e schioccò le dita, generando una piccola scintilla che subito tramutò in una fiamma abbastanza grossa: tenne quindi la mano aperta a palmo, in modo che sembrasse che quel fuoco traesse forza da lui, cosa in effetti vera dato che le molecole d’ossigeno venivano fatte confluire in quel piccolo spazio.
Ovviamente quella dimostrazione d’alchimia non lasciò indifferente l’Ileta: i suoi occhi si sgranarono di stupore ed iniziò a sibilare nella sua strana lingua.
“Vi ritiene uno sciamano – disse Alexand ascoltandolo con attenzione – crede che il fuoco evocato possa venire dal regno dei morti e dunque prosciugargli l’anima. Sta lanciando una strana forma di formula scaramantica. Axist’el, fe? Loes’el nou?”
Nissh! Nissh! – ansimò il prigioniero – El millas’t! El dorta’s!”
“Che dice?” chiese Havoc.
“Ne è terrorizzato – spiegò il barone, facendo cenno a Roy di spegnere la sua fiamma – gli ho chiesto se conosceva il fuoco azzurro, ma tutto quello che mi ha detto è che il fuoco magico è fuoco malvagio. No, se avesse conosciuto le fiamme di Kyril la reazione sarebbe stata ben differente.”
“Quindi Kyril non c’entra – constatò Derekj – però mi stava venendo in mente un’altra idea. Alexand, era il 1917 quando hai bloccato l’incursione, vero?”
“Sì, mio signore: l’estate di quell’anno, per ordine di vostro padre.”
“Eri solo a guidare la spedizione?”
Alexand fece un sorriso furbo e annuì lentamente.
“Ero accompagnato da Leto Tojanev, ma certo: le terre del clan She’t confinano direttamente con la provincia Tojanev.”
“E Kora Esdev non è un personaggio abbastanza scomodo per i Tojanev dati i precedenti tra lei e Kyril. Del resto Lidia non si era dimostrata molto decisa nel porre fine a questa storia?” chiese l’Autarca con aria seria.
“Si stanno dimostrando davvero audaci – ammise Riza – però, come sempre non ci sono tracce che conducano a loro. Lei stesso, barone, ha detto che questo guerriero non parlerà.”
“E non parlerà nemmeno se gli portassi Leto Tojanev qui – annuì Alexand – l’unica cosa che abbiamo potuto ricavare da lui è escludere il coinvolgimento di Kyril.”
“E quindi quale sarà il suo destino?” chiese Falman con aria cupa.
“Lui ed i suoi compagni hanno ucciso un soldato di Drachma, ed inoltre hanno tentato di uccidere mia cugina che, sino a prova contraria, non è coinvolta direttamente nei complotti di Kyril. Solo per questo secondo reato, il tentato omicidio di un membro della famiglia reale, la pena è la morte.”
La voce di Derekj suonò fredda ed impietosa in quella stanza e Roy non se ne sorprese affatto. Ecco di nuovo davanti a lui il sovrano che non si faceva scrupoli a guardare morire, tra atroci agonie, un servo che aveva tentato di avvelenarlo.
Ma è la loro legge… non posso fare niente.
“Adesso, mio signore?” chiese Alexand.
“La sua utilità è finita – l’Autarca scrollò le spalle – che raggiunga i suoi compagni.”
I soldati di Amestris non obbiettarono: la disciplina dell’esercito aveva fatto assistere più volte a plotoni d’esecuzione, specie durante la guerra civile. Quell’uccisione, in fondo, non era diversa dalle impiccagioni che si svolgevano nella prigione di Central City.
Quanto al processo… – si disse Roy – probabilmente questo guerriero sapeva di venire qui già condannato. Non potevano sperare davvero di uscirne vivi.
La sua attenzione si spostò quindi su Alexand che aveva ripreso in mano la lunga lancia di metallo.
Accostandosi all’Ileta disse:
“Ihith mih l’aph.”
“Ihith mih l’eth…” sussurrò l’altro.
Poi la lancia lo trafisse rapidamente all’altezza del cuore e nell’arco di tre secondi tutto finì.
“Che gli hai detto?” chiese Derekj, mentre il barone posava la lancia ai piedi del morto.
“La formula rituale per i guerrieri che muoiono… la palude ti benedica e lui ha risposto la palude mi accolga.”
E la voce di Alexand Anditev era tutto sommato carica di rispetto.
 
Una volta tornati al palazzo Esdev, tutti i soldati si radunarono nelle stanze di Riza per fare il punto della situazione. Prima, però, dovettero attendere che la donna andasse a controllare le condizioni di Fury.
“Povero soldatino – mormorò con aria triste, quando tornò da loro – era sotto sonniferi e la sua ferita era così malconcia…”
“Purtroppo ha fatto dei movimenti molto bruschi e l’ha fatta riaprire – le spiegò Roy – l’ho medicato subito come potevo, ma era chiaro che ne sarebbe uscito distrutto.”
Non ebbe la forza di dirle delle intenzioni del giovane.
A dire il vero sperava con tutto se stesso che fosse solo una dichiarazione dettata dall’angoscia del momento e dal dolore delle ferite.
Lasciare la squadra? No, dai, Fury, non puoi arrivare a questo…
“Beh, dopo quanto è successo direi che è il momento di qualche bella notizia, no?” annunciò Havoc battendo le mani con entusiasmo e ammiccando in direzione di Riza.
“Che sei rinsavito? – lo prese in giro Breda – sapevo che avresti messo un po’ di sale in zucca dopo qualche sigaretta!”
“Più che altro credo che Havoc accenni al fatto che io ed il generale… ecco noi due, avremmo un annuncio da fare a tutti voi.”
“Vi siete decisi?” strizzò l’occhio il rosso.
“Sono felice per voi, signori – sorrise Falman – a dire il vero un po’ ce l’aspettavamo da tempo.”
“Così ci fate sentire degli stupidi – arrossì profondamente Riza – però era giusto che lo sapevaste… e speriamo di poter contare sulla vostra discrezione.”
“Non c’è nemmeno bisogno di chiedere! – ridacchiò Breda – Al diavolo i gradi per una volta tanto: vieni, ragazzina, ti devo proprio abbracciare!”
E per Riza quell’abbraccio a nome di tutta la squadra, fu il più bel momento di quella serata.

 
 



Il territorio degli Ileti lo potete vedere nella nuova versione della cartina nella mia pagina fb 
https://www.facebook.com/297627547093139/photos/a.298237483698812.1073741828.297627547093139/385391748316718/?type=1&theater

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Capitolo 25
*** Capitolo 24. Melodia di carillon ***


Capitolo 24.
Melodia di carillon



Nel suo grande letto a baldacchino, sprofondata tra cuscini e coperte, Kora Esdev sembrava molto più piccola dei suoi venticinque anni. I lunghi capelli biondi e serici erano sparsi attorno al viso affilato e pallido, dandole l’aspetto, assieme alla camicia da notte di pizzo immacolato, di una preziosa bambola di porcellana.
Nonostante fossero passati già dieci giorni dall’incidente che aveva provocato quella crisi d’emofilia, e le sue condizioni fisiche fossero ormai ritenute stabili dai medici, restava molto debole e affaticata, tanto da non riuscire a tenere la posizione seduta a letto per troppo tempo. L’aggressione subita dagli Ileti, per quanto non avesse avuto ripercussioni fisiche, aveva ulteriormente debilitato le sue condizioni nervose e questo aveva spinto chi la curava a metterla di nuovo sotto sedativi, in modo da evitare crisi isteriche che avrebbero ulteriormente ritardato la riabilitazione.
Anche quella mattina il respiro della giovane era abbastanza tranquillo e Riza, passata a vedere le sue condizioni per la prima volta, spinta da uno strano impulso, ebbe quasi l’impressione che quella serenità fosse data in parte da Michael Esdev che, inginocchiato accanto al letto della sorellastra, pregava silenziosamente. La sua devozione era tale che Riza aspettò rispettosamente che lui finisse le sue orazioni prima di schiarirsi gentilmente la gola.
Il giovane monaco aprì gli occhi e la accolse con un lieve cenno del capo, provvedendo poi ad alzarsi in piedi con un movimento fluido, dettato dall’abitudine.
“Come va?” chiese la donna, andando dall’altra parte del letto.
“Meglio del previsto considerato quanto è successo – sospirò Michael – le cameriere mi hanno detto che si è svegliata qualche ora fa ed è riuscita a bere un po’ di brodo prima di ripiombare nel sonno. Almeno la ferita è quasi del tutto guarita: i medici contano di levare la fasciatura entro i prossimi quattro giorni: l’emergenza più grave è rientrata.”
“Venite a trovarla ogni volta che potete, vero?”
“Sembra che io sia rimasto l’unico a preoccuparmi un minimo per lei – sorrise sarcasticamente il monaco scrollando le spalle – Da quando ha saputo che è Kyril l’assassino, mio padre ne è rimasto così costernato che evita l’argomento Kora per quanto gli è possibile. Ma non ne sono troppo sorpreso…”
“E vostro fratello maggiore?
“Andrey è sempre nei possedimenti di famiglia a Esdev: penso che sia fin troppo contento di stare lontano da tutta la faccenda: in questo lui e mio padre si assomigliano davvero tanto. Come sta il vostro uomo?”
“Adesso è sveglio anche se ha passato la notte sotto sedativi – spiegò Riza incupendosi – purtroppo la ferita si è riaperta malamente per via di un brusco movimento ed il tessuto ne ha risentito molto. Dopo pranzo gli verrà messo nuovo medicamento e poi verrà di nuovo sedato perché faccia ben effetto. Tuttavia la guarigione sarà un processo lungo, non è il caso di illudersi.”
Michael annuì e andò alla finestra, fissando distrattamente il cortile sottostante. Riza lo raggiunse e lo fissò con curiosità, notando come il suo viso mostrasse lievi cenni di stanchezza e cedimento: piccole occhiaie sotto i bei occhi scuri, un tenue pallore, ma soprattutto un’espressione stanca che non riusciva a nascondere continuamente. Più che su Derekj e Alexand, la tragedia stava pesando sulla sua persona.
“Mio fratello verrà condannato a morte non appena verrà catturato – disse improvvisamente – per anni ed anni sapevo che il rapporto tra lui e Kora non era normale, eppure per stupidità o paura ho voluto chiudere gli occhi, dicendomi che era stato solo un momento di debolezza. Se fossi andato più a fondo forse avrei scoperto in anticipo quando profondo e perverso era il pozzo e avrei evitato tante morti.”
“I rimorsi non fanno per una persona come voi. Avevamo già parlato di famiglie alternative, no? Certe volte è necessario ammettere che non c’era niente da fare su determinate faccende. In fondo sappiamo bene che Kora e Kyril avrebbero in qualche modo aggirato i vostri controlli, specie lui: abbiamo a che fare con un personaggio di notevole furbizia ed intelligenza.”
“E’ un vero e proprio genio – ammise Michael – all’Accademia i suoi studi sono riconosciuti tra i migliori: è stato un bambino precoce, sapeva leggere e scrivere già a quattro anni. Non mi sorprendo affatto che abbia appreso chissà quale tecnica dai vecchi testi religiosi. E ora è nascosto, in attesa di compiere la prossima mossa.”
“La sorella è stata la causa della sua unica mossa falsa: la sua gelosia l’ha spinto a svelarsi.”
“Credete che tornerà a riprendersela? No – scosse il capo con un sorriso – non lo farà, non adesso. Lo conosco abbastanza per sapere che non commetterà lo stesso errore una seconda volta: tanto è sicuro che non ce la prenderemo con Kora ed in qualche modo è consapevole che lei è al sicuro sotto la nostra sorveglianza. Il mio sovrano non la userà come ricatto, non è nel suo stile.”
“Gli fa onore.”
“E’ comunque sua cugina, la questione è molto delicata. Già sarà difficile poter fare indagini sui Tojanev: anche solo interrogarli farebbe scoppiare uno scandalo assoluto. E se loro sono davvero coinvolti farebbero in modo di rivoltare la cosa a loro favore.”
Riza annuì, sapendo bene quanto in difficoltà si trovasse Roy con il resto della squadra: la sola idea di andare dai Tojanev e fare alcune domande era stata brutalmente troncata da Derekj. A conti fatti era già tanto se avevano ottenuto qualcosa da Lidia, anche se si trattava di informazioni molto labili che potevano benissimo essere le vanterie di una ragazzina gelosa.
Con aria cupa si girò di nuovo verso la stanza e verso la dormiente Kora, cercando un argomento con cui spezzare quel fastidioso silenzio.
“Oh, ma dai, un carillon – notò, accostandosi al comodino vicino al letto – mia madre ne aveva uno simile… però questo è molto più pregiato.”
“Credo fosse della madre di Kora – Michael inarcò il sopracciglio davanti a quel cambiamento di argomento così brusco – dovrebbe essere uno di quelli a molla. A volte le cameriere lo azionano: pare che abbia un effetto molto rilassante su di lei.”
La donna sorrise, ricordandosi di come pure lei avesse sempre trovato bellissima e calmante la melodia del carillon di sua madre, specie dopo che era morta. Spesso era arrivata a costituire l’unico suono che voleva udire nelle sue giornate di solitudine. Incuriosita aprì la scatola laccata di bianco e con motivi floreali a rilievo, notando come sul coperchio fosse inciso lo stemma dei Drachvoic. Come il coperchio venne sollevato subito si sprigionarono le prime note, una melodia che Riza non conosceva, ma che in qualche modo associò ai paesaggi innevati di Drachma.
Dora Misel – spiegò Michael – è una vecchia ballata tradizionale.”
“E’ molto bella…” commentò, intenzionata a chiudere il coperchio per evitare di dare fastidio alla ragazza addormentata. Tuttavia, quando la sua mano era già posata sull’oggetto, notò un dettaglio che la incuriosì notevolmente. All’interno del carillon vi erano diversi gioielli, sicuramente appartenenti a Kora, e sotto di essi si intravedeva il ripiano, decisamente troppo alto, tanto che alcuni ninnoli disturbavano sicuramente la chiusura della scatola che, tuttavia, esternamente risultava molto più profonda.
Due ripiani come quello della mamma? – rifletté la soldatessa, iniziando a cercare con le dita l’incavo giusto per aprire il fondo – certo che i gioielli li potrebbe sistemare meglio…
Quel piccolo automatismo di mettere le cose in ordine le provocò una strana sorpresa: come trovò l’alloggiamento giusto per fare leva con l’indice, si accorse che il meccanismo era bloccato. Il ripiano di legno faceva sì un piccolo movimento, ma poi si ostinava a non andare oltre.
“Che succede?” chiese il monaco avvicinandosi e guardandola con curiosità.
“C’è il fondo chiuso – spiegò Riza, levando i gioielli e posandoli sul comodino – strano…”
Prese il carillon tra le mani e lo scosse, per vedere se dentro c’erano altri gioielli, tuttavia il rumore che sentì fu differente. Nello scomparto chiuso c’era sì altro, ma non faceva il caratteristico rumore dei monili che venivano mossi.
“Sembra… qualcosa tipo carta – propose – forse delle lettere.”
In altre occasioni una scoperta simile non l’avrebbe minimamente turbata: avrebbe pensato a chissà quale corrispondenza segreta tra una giovinetta ed il suo innamorato o chissà che altro segreto innocente. Tuttavia, considerato che in Kora Esdev c’era ben poco d’innocente, poteva trattarsi di qualcosa che poteva tornare utile alle loro indagini.
Evidentemente lo stesso pensiero passò per la mente di Michael perché pure lui iniziò a controllare il carillon cercando di capire il meccanismo d’apertura. Tuttavia, per quanto cercassero, quel doppio ripiano sembrava sigillato con il miglior collante di questo mondo.
Alla fine Riza scosse il capo e disse
“Basta così, non otterremo nulla…”
“Romperlo?” chiese Michael con aria sconsolata.
“No, abbiamo ancora una risorsa…”
 
Fury si rigirò la scatola di legno tra le mani.
Il suo viso era pallido e sofferente, tuttavia i suoi occhi non potevano fare a meno di tradire la curiosità ed il fascino per l’oggetto che gli era stato consegnato. Davanti a una simile situazione persino la sua rabbia contro il generale Mustang passava in secondo piano. Da quanto aveva capito dentro quel carillon ci potevano essere degli indizi importanti per le indagini e l’urgenza con cui il tenente colonnello gli aveva chiesto di aprirlo non faceva che confermare le sue intuizioni.
“Ci vuole la chiave…” dichiarò infine con voce leggermente roca.
“La chiave? – chiese Riza, andando subito verso il comodino e versando un bicchiere d’acqua che gli fece bere con la stessa sollecitudine di un’infermiera – Ma non vedo serratura.”
“Perché non è una chiave normale – scosse il capo il giovane – mi servirebbe qualcosa di piccolo… una forcina qualcosa di simile.”
“Te la procuro subito.” annuì Riza uscendo per andare nelle sue stanze.
“E dove sarebbe la serratura?” chiese Michael incuriosito, accostandosi a Fury.
“Qui – Fury indicò il coperchio, proprio sulla bocca del serpente. Sulle prime sembrava solo un particolare dei colori della decorazione, ma ad occhio attento risultava esserci un foro molto piccolo – è cavo, mi pare di capire… la chiave scende fino al primo ripiano e gli dà la giusta pressione per attivare il meccanismo. E’ fantastico, non credo di aver mai visto una cosa simile!”
Proprio in quel momento tornò la donna con la forcina richiesta.
Fury fece una lieve smorfia di disappunto nel vedere che era seguita dal generale, ma poi decise di non pensarci. Lo odiava, certo, ma quell’uomo gli aveva salvato la vita diverse volte e a conti fatti il suo lavoro era teso a far bene alla gente, bastava pensare a New Ishval. Ma per quanto ci fossero quelle realtà oggettive ormai la sua presenza lo metteva profondamente a disagio.
Ma lei è felice… sul serio… anche gli altri non fanno che dirlo, non posso che arrendermi all’evidenza. Però non potrò mai perdonare davvero quello che ha fatto.
“Allora?” chiese Riza, passandogli la forcina.
Traendo un profondo respiro Fury aprì la forcina e ne infilò l’estremità sulla bocca del serpente, incontrando una lieve resistenza. Dovette armeggiare per qualche minuto per cercare di adattare quel pezzetto di metallo al delicato meccanismo, ma alla fine sentì con soddisfazione un lieve scatto e capì di avercela fatta.
Sentendo gli sguardi di tutti sulla sua piccola persona intuì di dover essere lui ad aprire quel curioso scomparto segreto: rialzò quindi il coperchio e, inserito l’indice nell’alloggiamento, riuscì a sollevare il ripiano di legno scuro.
“Sembrano lettere – ammise, tirando fuori dei fogli accuratamente piegati – ce ne sono parecchie… ci credo che questa scatola era così profonda.”
Passò i fogli a Riza che subito venne affiancata da Roy e Michael.
“… 24 gennaio.
A prescindere da quello che può succedere quello che siamo non finirà mai. Perché dobbiamo nascondere il nostro amore? Perché non possiamo vivere alla luce del sole? Questa situazione mi logora e adesso oltre alla menzogna dobbiamo soffrire anche la lontananza. Questo tuo viaggio era proprio necessario, fratello mio?”
“Lettere a Kyril?” chiese Roy.
“Pare proprio di sì – ammise Riza – pare una specie di corrispondenza che però non ha mai spedito al fratello. Sicuramente lui non avrebbe mai approvato, se venivano scoperti sarebbero stati guai.”
Passò le lettere a Michael che ne prese una a caso, prima di passare le restanti a Roy.
Fury osservò ciascuno di loro, notando come l’imbarazzo la facesse da padrone. Kora e Kyril, quale follia. Adesso non riusciva proprio a pensare di aver in qualche modo preso parte alle schermaglie amorose di quel rapporto incestuoso. Anche se era figlio unico il pensiero di una simile relazione gli dava l’idea di qualcosa di profondamente sbagliato. Poteva benissimo capire l’imbarazzo di tutti, specie di Michael Esdev.
Scommetto che preferiva di gran lunga che Kora avesse avuto davvero una semplice relazione con me…
“Pare completamente un’altra persona – ammise il generale dopo qualche minuto, arrivando alla fine di un foglio – nonostante la chiara impazienza e delusione pare comunque molto razionale. Forse sono precedenti al fidanzamento di Kyril con Lidia e…”
“Non è Kora – lo interruppe Michael scuotendo il capo – proprio no…”
Fury, così come Roy e Riza, si girò a fissare il monaco. Il suo bel viso era contratto in una smorfia di scioccata sorpresa e le mani che tenevano la lettera tremavano leggermente.
“Come no?” chiese Riza.
“Non è la scrittura di mia sorella, assolutamente. Se volete possiamo fare dei confronti, ma non è lei, sono pronto a giurarlo.”
Fury, incuriosito, allungò la mano e prese alcuni dei tanti fogli che Riza teneva. Osservò con attenzione quelle parole, quella scrittura elegante ed inclinata che, effettivamente, non gli dava proprio l’idea di appartenere ad una persona impulsiva come Kora. Iniziò a leggere a voce bassa
“… una profonda tristezza alberga nel mio cuore. So che dovrei rallegrarmi della nascita di tuo figlio…”
“Figlio?” Roy scosse il capo, ma Fury proseguì.
… so che non è giusto che mentre tutta Drachma gioisce la nascita dell’erede al trono, proprio io provo solo immenso dolore. Sei felice di tenere tra le braccia un figlio, lo so bene, è più che normale… ma non è nostro. Il nostro è stato ucciso dalla segale cornuta nemmeno un anno fa, in nome del tuo regno, in nome di un paese che non l’avrebbe mai accettato.”
“L’erede al trono? – Riza si accostò a Fury per leggere quelle righe – Si riferiva a Derekj?”
“La madre di Kora non era la sorella del padre di Derekj?”
“… 24 febbraio 1890…” lesse Fury a fine pagina.
“E’ la data di nascita di Derekj…” la voce di Michael era appena un sussurro.
Nella stanza si fece silenzio totale: quei fogli avevano appena rivelato una realtà dei fatti che nessuno si aspettava. Fury spostò lo sguardo sul carillon ormai vuoto, allungando una mano per muovere leggermente il coperchio.
Il motivo di Dora Misel iniziò a risuonare nella stanza.
 
Doris Drachvoic era stata una donna estremamente bella ed il grande ritratto che stava appeso in una stanza del palazzo privato dell’Autarca le rendeva perfettamente giustizia.
Era la prima volta che Roy aveva occasione di vederla e si rese conto di quanto somigliasse alla figlia: stessi capelli biondi, stesso viso affilato, stessi occhi di un azzurro che sconfinava nel grigio. Tuttavia la defunta principessa di Drachma aveva un fascino molto più evidente: stava tutto nell’atteggiamento, in quel lieve sorriso, nell’espressione. Regalità e bellezza erano gli aggettivi che suscitava in chi guardava quel ritratto.
Quella giovane donna seduta sulla pregiata poltrona, le mani composte in grembo, osservava lo spettatore come una vera e propria sovrana, come se sul suo capo fosse posta una corona e non una piccola tiara di cristallo ad indicare il suo rango di sorella del sovrano.
“Ho pochissimi ricordi di lei – disse Derekj, fissando a sua volta quel ritratto, come del resto stavano facendo tutti i presenti – Quando andò in sposa al duca Esdev io avevo da poco compiuto quattro anni.”
“E così la storia si ripete ancora una volta – commentò il principe Ming, sventolandosi pensosamente – fratello e sorella che diventano amanti… la stirpe Drachvoic a intervalli irregolari torna sempre a cadere su quella pratica ormai illecita.”
“Non erano gemelli, vero?” chiese Havoc.
“No – scosse il capo l’Autarca – mio padre aveva diversi anni in più, almeno cinque se non sbaglio.”
La voce del giovane sovrano era calma, nascondendo l’eventuale nervosismo che provava dopo quella scoperta. Roy l’aveva osservato con attenzione leggere una dopo l’altra quelle lettere che erano state messe in ordine cronologico e che parlavano di una relazione che era durata anni ed anni, interrompendosi solo al matrimonio col duca Esdev. Lettere che parlavano di un amore appassionato, almeno da parte di lei, della dolorosa consapevolezza di non poter mai stare veramente al fianco dell’uomo che si amava. Dall’entusiasmo iniziale, quasi adolescenziale, si sfumava verso un amore più maturo, adulto, sempre più intriso di rassegnazione e sofferenza. Una donna che era vissuta all’ombra della rivale, la moglie legittima dell’Autarca, sentendosi usurpata del posto che le spettava di diritto… di sovrana, moglie e madre.
“Non credo che Kora sia al corrente di queste lettere…” ammise Riza dopo che il silenzio si fu protratto per qualche secondo.
“No, sicuramente se lo sarebbe fatto sfuggire – annuì Michael – non sarebbe stata capace di mantenere un simile segreto. Può non aver mai fatto caso alla questione del ripiano chiuso del carillon.”
“Derekj…” Valerya, prese la mano del fidanzato e la strinse con affetto.
“Mia madre era la nipote del Patriarca, era un matrimonio combinato, lo sapevano tutti – scrollò le spalle il giovane – tra lei e mio padre c’era una cordiale forma d’affetto, tutto qui. Però come genitori non mi hanno fatto mai mancare la serenità, è tutto quello che posso dire. Non ho mai avuto sospetto che mio padre potesse avere una relazione… non con mia zia.”
“Purtroppo noi eravamo troppo piccoli, o addirittura non ancora nati – sospirò Alexand con impazienza – certo che questa nuova scoperta non fa altro che aggiungere legna sul fuoco. Figuriamoci! Una relazione incestuosa come la loro sarebbe stata immediatamente condannata dalla chiesa.”
“Addirittura mio padre avrebbe potuto perdere il diritto al trono – annuì Derekj con calma – inutile negarlo, sarebbe stato un qualcosa che molti avrebbero accolto come avvoltoi. Hanno rischiato parecchio a portare avanti la relazione per così tanto tempo… Ovviamente chiedo a tutti voi di tenere il massimo riserbo per queste informazioni.”
Mentre tutti annuivano e continuavano a scambiarsi pareri su quanto era stato scoperto, Riza tornò al tavolo e prese in mano quelle lettere così sconvolgenti. Lanciò un’occhiata al ritratto che mostrava quella principessa così bella ed orgogliosa e si sentì estremamente in pena per lei: dietro quella facciata regale c’era una donna imprigionata in una relazione illecita che mai e poi mai avrebbe visto realizzato il suo sogno d’amore.
E quanto le è costato tutto questo? Vedere l’amore della propria vita sposarsi, avere un figlio… patire invece la perdita del proprio in modo così segreto. Quanto deve aver sofferto…
A prescindere che quell’amante fosse suo fratello o meno, non poteva fare a meno di provare estrema pietà.
“…non può essere sempre così, mi rifiuto – lesse distrattamente – non voglio che la gioia mi venga di nuovo negata. Sono una Drachvoic ma sono anche una donna, non mi si può negare un diritto a cui ho già rinunciato con tanto dolore…”
Rimase per qualche tempo incantata su quelle righe, laddove la scrittura ordinata era diventata furente e tremante, l’inchiostro in parte sbavato da qualche lacrima. Quanto rancore in quelle parole, sembrava quasi di vederla, con i capelli scarmigliati ed il viso gonfio di lacrime, che scriveva in quei fogli, pur sapendo che non li avrebbe mai fatti leggere a nessuno.
“… 30 ottobre 1894…”
L’occhio le cadde quasi per caso sulla data.
Un diritto a cui ho già rinunciato con tanto dolore…
Riza rifletté profondamente su quelle parole e, dopo qualche minuto, sgranò gli occhi.
“Michael – chiamò, andando vicino al monaco – quando si sono sposati vostro padre e la principessa? Intendo la data precisa.”
“Non vorrei sbagliarmi, direi a inizio novembre 1894.”
“E quando sono nati i gemelli?”
“A giugno dell’anno successivo… perché?”
“Novembre… dicembre – iniziò a contare – gennaio… all’ottavo mese?”
“Essendo gemelli può succedere – commentò Valerya – niente di eccezionale che nascano con anticipo.”
“Già… che ipotesi interessante – disse Breda, guardando Riza con aria furba – e se il matrimonio con il duca Esdev fosse stato solo una facciata per nascondere una gravidanza?”
“Cosa? – Michael si irrigidì – No! Mi rifiuto di credere che mio padre si sia prestato ad una cosa simile. Non è persona da comportarsi in un modo così disonorevole! E’ un’offesa sia a lui che a mia madre!”
“Però tua madre era morta appena l’anno prima – ammise Alexand – la velocità con cui si sono succeduti questi eventi lascia molto da pensare, è innegabile…”
“E’ innegabile che mio padre amasse sinceramente mia madre – sbottò il monaco – e non accetterò altre illazioni che offendano entrambi! E adesso chiedo scusa a tutti: è necessario che io vada a controllare le condizioni di salute di mia sorella!”
Fu strano vederlo prendere congedo in una maniera così furente, che sarebbe calzata meglio ad Alexand. Tuttavia né questi né Derekj parvero troppo sorpresi da una mancanza di etichetta simile.
E nemmeno Riza ne rimase troppo sconvolta.
La sua famiglia sta venendo mano a mano distrutta…
 
Quella sera Riza non riusciva a dormire: aveva cenato assieme a tutti gli altri, riflettendo su tutte le implicazioni della nuova scoperta fatta. Se l’ipotesi della paternità dei gemelli era vera, allora non solo venivano spiegate in maniera seria le problematiche di Kora, ma si dava anche una giustificazione plausibile alle azioni di Kyril.
“Se in qualche modo è venuto a conoscenza di questo particolare è chiaro che può essersi messo in testa di avere delle pretese sul trono… oppure chissà, è spinto da qualche forma di risentimento e quindi vuole mettere in difficoltà il suo presunto fratellastro… o entrambe le cose…”
Le parole di Roy le tornavano continuamente in mente, assieme all’espressione distrutta di Michael Esdev. Non aveva osato andare a cercare il religioso, ma una cameriera gli aveva detto che, dopo esser andato a trovare Kora, era uscito dal palazzo per andare al monastero, sicuramente a chiudersi in preghiera.
Alzandosi dal letto, si infilò la vestaglia e uscì dalla sua stanza. Le sarebbe piaciuto andare a trovare Roy che, era sicura, non dormiva neppure lui; tuttavia il generale ancora si trovava in un altro palazzo e non poteva certo andare fuori a quell’ora e con quell’abbigliamento.
Fu quindi inevitabile trovarsi davanti alla camera di Fury.
Ma sicuramente dorme… - si disse, mentre apriva delicatamente la porta.
Effettivamente il giovane pareva dormire, nonostante la luce del comodino fosse ancora accesa. La pezza bagnata che teneva sulla fronte era scivolata sul cuscino e questo indusse Riza ad avvicinarsi e sistemargliela con maggior cura, sapendo quanto quel rimedio fresco fosse di sollievo. Non poteva dimenticarsi di come si sentisse sempre troppo accaldata durante quelle notti dopo le bruciature. Almeno Fury poteva godere di un clima più fresco ad aiutarlo.
“Però scoprirti così non va bene – mormorò, rimboccandogli il lenzuolo fino al petto – va bene scostare la coperta, ma almeno un po’ devi stare protetto, soldatino.”
“Mh?” mormorò Fury, aprendo debolmente gli occhi.
“Scusa, ti ho svegliato – sorrise Riza – ero solo venuta a vedere come stavi… riprendi a dormire.”
“Difficile – sospirò lui – tira e pizzica e mi sento bollire…”
“Lo so, è normale: vuoi acqua?”
“Per favore…”
Lo aiutò a bere ben due bicchieri d’acqua, lieta che l’organismo stesse comunque reagendo nel modo giusto. Finite quelle cure pensò di andare via, ma non poté fare a meno di sedersi accanto a lei, in silenzio: non le andava di restare sola quella notte.
“Qualcosa non va?” chiese Fury, accorgendosi della sua espressione malinconica.
“Niente di particolare, solo una notte in cui è difficile prendere sonno… succede. Sai, mi manca Hayate che si addormenta ai piedi del mio letto.”
Fury sorrise nel sentire nominare il cane.
“Manca anche a me…”
“Fury…”
“Sì?”
“I tuoi genitori… sai, li ho visti solo quando sono venuti per la tua promozione quando eri diventato sergente maggiore, ma poi solo poche altre volte.”
“Lo so – sorrise lui – è che a mia madre non piace molto lasciare il paese. E poi preferisco sempre tornare io a casa, in campagna. Come mai mi chiede di loro?”
“Ma niente, pensavo solo che… mi sono sempre sembrati molto innamorati, sai? Sono davvero belli assieme, mi è venuto spontaneo pensarlo ogni volta che li ho visti.”
“Molto innamorati? – Fury alzò debolmente la mano per grattarsi il naso – Direi di sì: mio padre chiama sempre mia madre meraviglia mia, si tengono per mano quando vanno a fare una passeggiata, si danno sempre un bacio la mattina come si incontrano per la colazione… a me piace molto vederli così uniti, non li trovo per niente sdolcinati.”
“Dev’esser stato bello crescere in campagna con due genitori così affettuosi.”
“Sì, è stato bello… non sempre facile, ma bellissimo. Non cambierei una virgola della mia famiglia.”
“Come mai non hai fratelli?”
“Il mio è stato un parto difficile – spiegò dolcemente lui, con un mesto sorriso – sia io che mia madre abbiamo rischiato di morire e lei non ha più potuto avere figli.”
“Scusa, non dovevo…”
“Fa niente, mia madre dice sempre che la cosa più importante è che io sia cresciuto e guarito… sa, da piccolo ero molto debole e mi ammalavo spesso in maniera grave.”
“Immagino che si preoccupi ancora molto per te.”
“Come ogni madre del mondo… un figlio è la cosa più importante per una madre, no?”
“Già…”
Però una madre è spesso costretta a rinunciare al proprio figlio in nome di qualcosa di più grande di lei. E allora cosa succede? Alcune subiscono passivamente… altre si aggrappano con le unghie e con i denti alla volontà di non far succedere più una cosa del genere.
Così era stato per Doris Drachvoic.
“Mia madre dice che mettere al mondo un figlio è il gesto d’amore più profondo del mondo.”
“Un gesto d’amore… è una bellissima definizione.”
“Era molto bella…”
“Che cosa?”
“La canzone di quel carillon… anche se aveva un non so che di malinconico. Mi è venuto da pensare che la persona che la ascoltava doveva essere in qualche modo triste.”
“I carillon a volte sono tristi, non credi?”
“Forse, non sempre però… quello che ho a casa mia ha una musichetta molto dolce. Era di mia madre: pensi che ha persino i pulcini di ceramica che si muovono attorno ad un fiore. Ne trovassi uno simile mi piacerebbe regalarlo alla figlia del capitano Falman… lo regalerei anche a Jilly, ma sono sicuro che tra lei e Jody durerebbe ben poco.”
“Verissimo – ridacchiò Riza – Lo sai, Kain? Mi mancava poter parlare con te… in questo periodo ci siamo così allontanati.”
Lui esitò per qualche secondo, come se stesse riflettendo su cosa dire: a Riza parve quasi di vedere i suoi occhi incupirsi ancora di più. Si chiese se era il caso di tirare fuori l’argomento cicatrice, ma Fury la prevenne.
“Io le auguro tutta la felicità del mondo, signora. Il bene che le voglio non è cambiato, su questo non deve avere dubbi… e per lei?”
“Anche per me l’affetto che provo nei tuoi confronti è sempre lo stesso, non dubitarne.”
Si aggrappò alla certezza di quell’affetto, a quello della sua squadra, a quel legame che era stato semplicemente taciuto, senza doverlo per forza nascondere al resto del mondo. Si chiese come si sarebbe sviluppata la sua relazione con Roy, se si sarebbe arrivati ad un epilogo come quello di Doris Drachvoic. Improvvisamente capì che era quello il turbamento che le aveva impedito di prendere sonno: quello che aveva subito quella donna era stato tremendo e mai e poi mai avrebbe voluto vivere una situazione simile.
Fino a quel momento il suo essere soldato l’aveva protetta dal suo essere donna, ma ora non più.
Aveva scoperto l’amore e con esso, inevitabilmente, arrivavano i rischi di una relazione clandestina.
Sentiva di nuovo il suono di quella melodia così triste, quasi fosse un brutto presagio.
“Ehi…” la richiamò Fury, prendendole la mano.
“Pensavo… la melodia del carillon che regalerai a Lisa deve esser dolce e allegra, va bene? Niente cose tristi o malinconiche, non vanno bene.”
“Proprio no.” la rassicurò lui.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25. Il punto di vista di Drachma ***


Capitolo 25.
Il punto di vista di Drachma



Valerya aprì gli occhi e si stiracchiò pigramente sotto le calde coperte, girandosi poi sul grande letto per andare ad accoccolarsi alla schiena nuda di Derekj. Amava sentire i loro corpi a contatto e, secondo consuetudine, come sentì l’amante girarsi verso di lei, fu rapida ad intrufolarsi tra le sue braccia. Alla luce soffusa del primo mattino che passava attraverso le tende il viso addormentato di Derekj Drachvoic le appariva ancora più bello: con le labbra gli sfiorò il naso e le palpebre per poi posarsi placidamente contro di lui, il viso sull’incavo tra spalla e collo.
Quella notte Derekj l’aveva amata in un modo del tutto intenso e, non credeva di sbagliarsi, disperato: come se avesse avuto bisogno di sfogarsi in qualcosa di sicuro dopo aver scoperto che molte certezze della sua vita erano solo menzogne. Valerya Vinkin aveva solo ventun’anni, ma conosceva abbastanza bene l’animo umano, soprattutto conosceva alla perfezione quello del suo fidanzato.
Fidanzato… ancora non lo sei ufficialmente – rifletté, pensando alla tragica storia di Doris Drachvoic – ma per noi sarà diverso, amore mio. Come tutto finirà e tu sarai sul trono, non ci dovremo più nascondere.
Non ne vedeva l’ora: per quanto i Vinkin raramente arrivassero a posizioni di potere molto alte, l’idea di diventare la consorte dell’Autarca di Drachma non la spaventava per niente. Sostenere e stare accanto a Derekj era tutto quello che desiderava e con la sua intelligenza ed arguzia sapeva perfettamente giostrarsela con i vari cortigiani. E se il suo aspetto infantile ed ingenuo a volte ingannava tutto tornava a suo vantaggio: le donne Vinkin erano furbe e spietate come le lupe appena diventate madri e lei non era da meno.
Rimase a crogiolarsi nell’abbraccio del suo uomo ancora per qualche minuto prima di sciogliersi delicatamente da quella presa e uscire dalle coperte, per niente intimorita dall’aria fresca del mattino che le solleticava la pelle nuda: dove era nata, nell’estremo nord, simili temperature erano considerate quasi estive.
Andò alla finestra e scostò lievemente la tenda: il suo orecchio acuto durante la notte aveva colto il soffice cadere della neve e dunque non rimase sorpresa di vedere un nuovo strato immacolato sul cortile.
Come la neve… nuovi strati nascondono i vecchi, così come le verità vengono nascoste dietro falsi strati come un matrimonio di facciata.
Perché lei non aveva alcun dubbio: Kyril e Kora erano figli di Dars III e non del duca Esdev. Ci sarebbe dovuta arrivare da tempo: per quanto il sangue Drachvoic fosse dominante, nessuno dei gemelli aveva la minima caratteristica degli Esdev. Non funzionava il quel modo: per quanto Derekj fosse biondo, con gli occhi azzurri e con i lineamenti di famiglia, aveva comunque ereditato qualcosa anche dalla madre, come le labbra piene ed il bel sorriso.
Si voltò verso il giovane sovrano che ancora dormiva: si era girato supino, scoprendo il braccio snello e muscoloso. A quella visione la giovane desiderò tornare tra quelle coperte, svegliarlo con impazienti baci e tornare a far l’amore con lui, con tutta la passione di cui erano capaci.
Tuttavia gli eventi della sera precedente imponevano che lei si desse da fare: Michael e Derekj erano stati in qualche modo colpiti da quelle scoperte, sebbene il secondo lo dissimulasse meglio del previsto, e restava una sola persona a cui fare affidamento.
Con un sospiro malinconico iniziò a cercare i suoi indumenti che, la sera prima, erano finiti sparsi per la camera da letto.
 
Alexand Anditev si stava allenando con la spada al centro di un grande cortile appena fuori dal suo palazzo.
Provava affondi e parate come se fossero passi di un balletto, mettendoci impegno e concentrazione tali da far sembrare realistica l’idea di un avversario invisibile che stesse duellando con lui. Nonostante le temperature rigide della prima mattina, il giovane indossava solo calzoni e stivali, per il resto era a torso nudo ed il calore provocato dall’allenamento formava diverse nuvolette di vapore acqueo.
Nonostante per queste sessioni di allenamento molto spesso si avvalesse di qualche soldato come spalla, quella mattina aveva deciso di stare in completa solitudine: aveva bisogno di sfogarsi e liberare la mente da tutti i pensieri negativi che l’affollavano. Doveva ritrovare il proprio equilibrio, ne sentiva l’esigenza, altrimenti non sarebbe potuto essere d’aiuto al suo sovrano al meglio delle possibilità.
Delle stille di sudore brillarono nell’aria tersa del mattino quando fece un affondo contro l’immaginario nemico: si immaginò di avere davanti Kyril Esdev… anzi, Kyril Drachvoic, e desiderò ucciderlo una volta per tutte. Si sentiva preso in giro da quel ragazzo che per anni aveva sottovalutato, ritenendolo solo un accanito studioso: era come se quel maledetto si fosse fatto beffe di tutti loro, intessendo una rete di intrighi che avevano scoperto troppo tardi.
“Dannato!” sbottò, facendo sibilare la spada in un ennesimo perfetto affondo. Tutta la foga tipica degli Anditev trovò sfogo in quel gesto e Alexand rimase fermo in quella posizione, ansando lievemente: contò mentalmente i secondi, aspettando che la pesante spada di famiglia iniziasse a diventare troppo grave per essere tenuta in quella posizione. Osservò con aria critica i muscoli del suo avambraccio iniziare a tremare dopo un arco di tempo che riteneva soddisfacente e solo allora tornò in posizione eretta e posò l’arma a terra.
“Se la signora voleva parlare con me poteva anche avvicinarsi prima – disse, andando verso la panca di legno dove erano posati, oltre che i vestiti, anche un asciugamano di stoffa grezza – non è bello attendere con un tempo simile.”
Iniziò ad asciugarsi le braccia e le spalle, mentre osservava Valerya che si faceva avanti: notò come indossasse solo l’abito e fosse priva di qualsiasi mantello ma non glielo fece notare. Sapeva bene che per una Vinkin una simile temperatura era perfettamente primaverile.
“Non volevo interrompere la tua sessione d’allenamento – sorrise la giovane, accostandosi a lui – eri talmente concentrato che sarebbe stato un peccato.”
Alexand annuì, indossando la larga camicia nera che era solito portare sotto la tunica.
Sapeva benissimo che se Valerya era venuta da lui c’era un motivo ed immaginava anche quale.
“Adesso abbiamo qualche indizio in più con cui procedere – dichiarò – sicuramente i Tojanev sapevano delle vere origini di Kyril ed è per questo che l’hanno appoggiato nel suo piano di ascesa al potere: non sarebbe stato da loro rischiare così tanto per qualcosa di irrealizzabile.”
“Certo che comunque sarebbe difficile far valere i diritti di Kyril – ammise la ragazza, scrutando pensierosa la spada che Alexand andava a rimettere nel fodero – la chiesa ha condannato i rapporti tra consanguinei quasi quarant’anni fa, e anche prima avevano iniziato ad essere malvisti.”
“Ufficialmente è comunque figlio della principessa Doris, in mancanza di eredi diretti è lui il prossimo in linea di successione dopo Derekj. La risolverebbero in questo modo senza incontrare troppa resistenza.”
La giovane rifletté per qualche secondo sulla questione e poi fissò Alexand.
“A quanto pare per Kyril è fondamentale l’aiuto dei Tojanev: con loro alle spalle è sicuro di potercela fare. Non so se nella tua provincia ci sono i branchi di lupi come nella mia.”
“Certo che ce ne sono: le foreste costituiscono buona parte del territorio Anditev.”
“Allora saprai come cacciano, no? – sorrise maliziosamente lei – individuano la preda e poi la separano dal branco in modo che non abbia più aiuti. E’ così che riescono a prevalere anche su animali forti e fieri come le renne.”
Alexand annuì pacatamente, consapevole di quanta verità ci fosse in quelle parole. Era così: dovevano in qualche modo isolare Kyril da qualsiasi forma d’aiuto esterno, portarlo all’angolo.
“Ha già fatto un passo falso con la storia di Kora e Fury – disse – con molta probabilità i Tojanev sono già indisposti nei suoi confronti. Però dobbiamo trovare il modo di metterli definitivamente fuori gioco ed in questo Derekj non può esporsi troppo spudoratamente, lo sai.”
“Già… lord Iretev Tojanev è comunque uno dei membri più influenti del consiglio: lanciare accuse alla sua famiglia vuol dire rendere la situazione ancora più precaria. Tuttavia…”
“Tuttavia?”
“…l’irruenza degli Anditev può essere facilmente giustificabile, no?”
 
Qualche ora dopo Derekj era nella stanza del Consiglio dei Dieci ed osservava i suoi consiglieri raccogliere i propri appunti dopo quella seduta mattutina per l’ordinaria amministrazione del regno. Prendere parte a quelle riunioni gli sembrava inverosimile: era come se una parte di Drachma si rifiutasse di credere di essere in una situazione precaria. Tasse, concessioni, multe, raccolti… era come se ai suoi consiglieri importasse solo che la ruota della normalità continuasse a girare. Meglio far finta di niente che il seggio del Patriarca fosse desolatamente vuoto e listato a lutto, meglio ignorare che in realtà, chi sedeva sul seggio dell’Autarca, non era ancora ufficialmente incoronato, come testimoniava anche la pesante bandiera con la pantera che ancora pendeva sola sulla parete di fondo, senza quella di qualche casata a farle da compagna come era giusto che fosse.
Mi considerano reggente, certo, ma quando posso essere certo della loro fedeltà?
La verità era che lui stesso, in simili frangenti, si sentiva poco sicuro di se stesso: preferiva di gran lunga avere a che fare con il generale Mustang, la sua squadra ed il principe Shao Ming. Paradossalmente si fidava più di loro che di tutti quei nobili.
Durante la riunione non aveva fatto altro che scrutare ciascuno dei suoi consiglieri, in particolare quelli che in qualche modo erano coinvolti nelle indagini.
Iretev Tojanev, nonostante i suoi ottantadue anni, aveva svolto il suo compito di duca dell’erario con grande efficienza: nel suo rendiconto non c’era cifra che non quadrasse, tutto era in perfetto ordine. Nessuna parola che non fosse inerente il suo compito… eppure Derekj intuiva che sapeva più del previsto e gli stava deliberatamente mentendo: in quel volto segnato dalle rughe e ormai calvo, gli occhi grigi brillavano di un’astuzia fuori dal comune.
E poi il duca Esdev, il grande amico di suo padre, che aveva detto poco o niente: la sua figura robusta sembrava svuotata, come se improvvisamente gli fossero caduti addosso decine e decine di anni. La notizia che Kyril era l’assassino del Patriarca l’aveva distrutto, sebbene avesse mantenuto il riserbo richiesto e avesse partecipato alla riunione come era suo dovere. Davvero una persona così buona e tranquilla si era prestata ad un matrimonio di facciata con simile facilità? Oppure suo padre l’aveva in qualche modo messo alle strette pur di garantire alla sorella che il figlio che portava in grembo potesse nascere?
Giusto… poi devo parlare con Michael – si ripromise – ieri aveva una faccia che non gli ho mai visto…
Gli dispiaceva enormemente per il suo amico: il monaco era quello più disteso tra lui e Alexand, colui che sapeva mettere pace tra i loro caratteri spesso cozzanti. Derekj sapeva che dietro la scorza di durezza e rigidità si nascondeva un animo gentile e comprensivo. Un animo che, ovviamente, era stato profondamente scosso dalla scoperta che buona parte della sua famiglia in realtà non era imparentata con lui.
Già… sono miei fratellastri oltre che cugini.
Come si sentiva a quell’idea? Non lo sapeva nemmeno lui, nonostante avesse passato diversa parte della notte a rifletterci, quando ormai Valerya dormiva. Era abituato ad essere figlio unico e se c’erano delle persone che aveva considerato fratelli erano Alexand e Michael, non certo Kora e Kyril. Voleva bene alla ragazza come cugina, per quanto i loro rapporti fossero poco stretti e lei fosse davvero strana; con Kyril aveva sempre avuto delle conversazioni tranquille, ma l’aveva sempre ritenuto su un piano completamente diverso dal suo: interessi, passioni, modo di agire… e non era come per Alexand e Michael i cui modi di fare in qualche modo completavano i suoi. No, Kyril era semplicemente diverso e non aveva mai trovato motivo per stringerci chissà quale amicizia.
In fondo è stato un bene… già mi dispiace per Kora. Ma l’idea del suo tradimento mi avrebbe fatto davvero male. Che venga giustiziato non mi fa né caldo né freddo… anzi credo che proverò un acido compiacimento nel vedere la sua testa recisa. Sporco traditore…
Doveva trovare il modo di stringere il cerchio attorno a lui: era sicuro che il generale Mustang potesse in qualche modo fare fronte a quel potere delle fiamme azzurre. Era imperativo risolvere la questione prima che la permanenza dell’ambasciata di Amestris sfociasse in crisi diplomatica: eccetto il principe Ming, rara e lodevole eccezione, le altre ambasciate erano tornate ai loro paesi con la promessa di tornare non appena fosse stato eletto il nuovo Patriarca e ci fosse stata possibile l’incoronazione ufficiale.
Se tutto va liscio l’incoronazione sarà tra oltre un mese… non posso permettermi di trattenerli così tanto. So benissimo che la generalessa di Briggs sta aspettando l’occasione buona per troncare l’accordo e non posso far trapelare la crisi interna al mio regno. Devo trovare un modo… un dannato modo per arrivare a Kyril prima che sia troppo tardi e…
“….a questo punto pretendo delle spiegazioni!”
La voce proveniente appena fuori dalle grandi porte di legno scolpito ancora aperte lo fece sobbalzare. Riconobbe immediatamente Alexand, assente ingiustificato alla riunione, e si alzò in piedi per andare a vedere quanto stava succedendo.
Varcate le grandi porte rimase sconcertato nel vedere il suo focoso campione che aggrediva verbalmente il duca Tojanev: il viso del bruno era contratto per la rabbia e nella mano destra teneva la lancia a due punti con la fascetta gialla con la quale due giorni prima aveva ucciso l’Ileta.
Alexand, ma che combini? Avevamo deciso di tenere nascosto l’attacco!
“…barone, vi prego di calmarvi…” stava cercando di dire il duca Tojanev, palesemente sconcertato davanti a quella furia.
“Signori, per cortesia – si fece avanti con voce pacata e autoritaria, notando con sollievo che tutti gli altri consiglieri erano ormai andati via e non c’erano orecchie troppo indiscrete ad ascoltare – non mi pare il caso di fare simili scenate in simile sede, suvvia!”
Lanciò una rapida occhiata interrogativa ad Alexand, intercettando subito la sua che gli segnalava di reggergli il gioco.
“Mi creda, eccellenza – sospirò con impassibilità il duca Tojanev – non capisco che cosa succede. Stavo andando via quando il barone Anditev è venuto verso di me con quella lancia e dicendo cose senza senso…”
“Non sono cose senza senso! – Alexand gettò la lancia ai piedi del duca con mossa teatrale – degli Ileti si sono intrufolati nella Cittadella e hanno ferito delle guardie! Degli Ileti, mio signore! Il popolo che confina con la provincia del duca Tojanev! Ma io dico: come cavolo tenete sicuri i confini se questi barbari passano come vogliono!?”
Derekj capì immediatamente il gioco di Alexand: stava mettendo il duca Iretev davanti a delle mancanze inconfutabili a cui non poteva fare a meno di rispondere.
E se devi rispondere ad una domanda poi ti possiamo cercare anche per altre: ecco l’armatura che viene finalmente scalfita.
“Duca, l’accusa è molto grave – disse mettendosi a braccia conserte – sapete pure voi le difficoltà che presto ci saranno nei confini nord. Non possiamo permetterci simili distrazioni: confidavo che vostro figlio Leto avesse sotto controllo la situazione!”
“Sono sicuro che si è trattato di un caso isolato…”
“Quattro guerrieri Ileti non sono uno scherzo! – protestò Alexand, accennando alla lancia – una guardia è morta e altre sono state ferite. Solo una grazia ha concesso che nessun civile venisse coinvolto: diamine erano vicino alle zone dove le dame sono solite passeggiare! Anche la vostra stessa nipote Lidia!”
“Contatterò immediatamente mio figlio e gli chiederò spiegazioni – borbottò l’uomo, cercando di restare impassibile – lo avviserò di quanto è successo e gli farò serrare ulteriormente la guardia sui confini. Non capisco, pensavo che questi selvaggi fossero ormai rintanati nei loro territori dopo che voi stesso avevate sedato le loro incursioni, barone!”
“Già… e avevo lasciato tutti nelle capaci mani di vostro figlio – ribatté Alexand – come duca dell’esercito forse ho fatto il grave errore di sopravvalutarlo!”
“Oh, andiamo Alexand – si intromise Derekj, intuendo che era arrivato il momento di pressare – conosciamo tutti il valore e la scrupolosità militare di Leto. Non è possibile che abbia permesso che qualcuno di questi Ileti sconfinasse: se ne sarebbe accorto.”
“Allora li ha lasciati passare di proposito?”
Fu una battuta ironica, ma sia Alexand che Derekj erano pronti a cogliere la minima reazione del duca. E ci fu, un minimo sussulto che, tuttavia, per chi era addestrato alla politica di Drachma era evidente come una chiazza di sangue in un tessuto bianco.
“Sono sicuro che c’è una spiegazione…” disse infine l’anziano duca con voce calma.
“Perfetto – annuì Derekj – l’attenderemo con impazienza. Per ora direi che la questione è chiusa: non è il caso di continuare simili discussioni in un corridoio. Duca, lei ovviamente rimane a disposizione per qualsiasi domanda, vero? Capisce che la questione non va presa alla leggera…”
“Ma certo, eccellenza… ma certo…”
L’uomo colse l’occasione per defilarsi con un lieve inchino di congedo, scomparendo rapidamente oltre il corridoio. Derekj rimase impassibile, facendo poi cenno ad Alexand di raccogliere la lancia e seguirlo nella sala del consiglio. Aspettò che il moro chiudesse le porte alle sue spalle prima di andare a sedersi sul suo trono, permettendosi una posa poco elegante con una gamba allegramente accavallata sul bracciolo.
“Alexand Anditev, sei un grandissimo attore, fattelo dire – dichiarò con una risatina – non ti credevo capace di una recita simile.”
“Era necessaria per far smuovere il duca: come mi ha fatto notare lady Valerya, l’irruenza ed il brutto carattere della mia famiglia sono ben noti. Una lancia come oggetto di scena ed il gioco era fatto: sono stato anche uno stupido a non pensarci prima.” Alexand ridacchiò a sua volta, sedendosi al suo posto, alla destra del sovrano e giochicchiando col nastrino della lancia.
“Avevamo deciso di tenere tutto nascosto – scrollò le spalle Derekj – ma a conti fatti è stato un bene far trapelare la notizia a modo nostro. Che scaltra ragazza Valerya, effettivamente mi ero chiesto come mai non avesse fatto ancora alcuna considerazione in merito…”
“Lady Valerya sa bene quanto non sia il caso che voi vi esponiate, mio signore.”
“Dov’è adesso?”
“Ha detto che sarebbe andata a cercare Lidia per vedere se da lei riusciva a ricavare ancora qualche altra informazione: ora che Kyril è sparito anche lei pare eclissata… ma sappiamo quando la vostra lady sa essere testarda e persuasiva.”
“Sarà un’ottima sovrana, non credi?”
“Di sicuro vi proteggerà le spalle, mio signore, in determinati frangenti sarà anche meglio di me.”
“E i nostri figli saranno sani… sai, ammetto che molto spesso i problemi di Kora mi impensierivano: credevo che in qualche modo le tare genetiche di famiglia si sarebbero ripresentate in me o nei miei figli. Adesso che ho la spiegazione della sua follia devo ammettere che mi sento sollevato… sebbene sia dispiaciuto per lei. Alla fine presumo che sia stato Kyril a plagiarla e non viceversa.”
“Probabilissimo – sospirò Alexand mentre i suoi occhi si incupivano ancora di più – piuttosto… sai che Michael si è ritirato in monastero da ieri sera e non ne è ancora uscito? I monaci mi hanno detto che si è chiuso nella sua cella e non vuole vedere nessuno.”
“Davvero? In parte dovevo aspettarmelo… credi che sarebbe saggio andare a parlargli?”
“No, non possiamo fare nulla: adesso non ci ascolterebbe chiuso com’è nel suo dolore. Io credo che oltre che sconvolto sia anche profondamente dispiaciuto dall’aver scoperto che tra lui e Kora non c’è alcun legame di sangue: le ha sempre voluto bene anche se era così severo con lei.”
Derekj annuì con aria triste, ma poi non seppe che altro aggiungere sull’argomento: purtroppo, per come era fatto, Michael doveva venire a patti con i suoi fantasmi da solo.
“Pensiamo piuttosto a questo incontro con i Tojanev – proseguì – credo che sarebbe interessante coinvolgere uno degli uomini del generale Mustang a cui questa famiglia non è del tutto nuova: sono venuto a sapere cose davvero interessanti, sai.”
Alexand annuì e si apprestò ad ascoltare.
 
Dio dammi la forza, illumina la mia mente oscurata dal dolore… aiutami, guidami… non lasciarmi solo in questo momento di confusione. Dimmi che cosa devo fare!
Michael serrò gli occhi nell’ennesima preghiera, ma ancora una volta il suo dio non gli venne in aiuto. Scoprire che la propria fede non poteva niente contro l’abisso di smarrimento e dolore che provava era davvero sconcertante, tuttavia si rifiutava di cedere. Almeno quelle preghiere così familiari costituivano un rifugio contro la realtà esterna che di colpo si era accanita contro di lui.
Pregò e pregò ancora… ma non era la preghiera serena a cui era abituato: col passare del tempo un forte mal di testa lo pervase, unito al dolore alle ginocchia per essere stato troppo in posizione genuflessa in quella rigida panchetta di legno che, assieme al letto, costituiva l’unico arredo di quella cella buia e fredda.
“Perché mi hai voluto fare questo…? Perché proprio a me?” mormorò infine, permettendo ad una singola lacrima di uscire dagli occhi.
Si alzò in piedi, vacillando pericolosamente: era da quasi un giorno che non mangiava e non beveva e quel movimento fu sufficiente a provocargli un’ondata di vertigini. A tentoni raggiunse il letto e ci si buttò sopra con gratitudine, cercando di ignorare le luci colorate che gli danzavano davanti agli occhi chiusi, effetto collaterale di quel calo di pressione.
Avrebbe dovuto mangiare qualcosa o almeno bere dalla brocca scheggiata che stava poco distante dal letto, ma non ce la fece: rimase ancora a ripensare alla sua situazione, con il perverso gusto di un malato che si tocca il dente dolorante con la lingua.
Che cosa speravi di salvare? Non era nemmeno tua sorella… avevi perso in partenza…
Adesso Kora gli appariva come una sconosciuta, un’estranea per la quale si era affannato per tutta la vita. Nemmeno lui sapeva perché, non riusciva ancora a spiegarsi come quella bambina dai capelli biondi che nella sua infanzia vedeva poche volte durante la settimana, fosse piano piano entrata nel suo cuore. Perfida, smaliziata, approfittatrice… eppure lui ci aveva visto una bambina sperduta da proteggere, da tenere lontano dai pericoli. E lui aveva cercato di fare l’eroe, ma in modo totalmente diverso da quello canonico: aveva pensato che con la fede e con la severità l’avrebbe preservata dal male che intuiva attorno a lei, ma era stato solo uno sciocco.
Sciocco… sciocco e presuntuoso. Non ha avuto il minimo interesse per te, come del resto nessuno l’ha avuto per tua madre.
Anche lì era stata colpa sua? Del resto era morta per metterlo al mondo… era stato lui a provocare il disastro di quel matrimonio combinato per proteggere la gravidanza segreta di Doris Drachvoic. Se solo non l’avesse uccisa alla nascita…
Merda – si lasciò andare a quella parolaccia – ma come hai potuto, padre!?”
Continuò a porsi domande simili fino a scivolare in un dormiveglia tormentato, costellato di incubi dove Kora continuava a prenderlo in giro salvo poi morire dissanguata tra le sue braccia, accusandolo di non esser stato in grado di fare nulla.
Venne svegliato da una mano che lo scuoteva con gentilezza.
“Fratello – lo chiamò un giovane novizio – vi sentite bene? Vi ho portato qualcosa da mangiare…”
Michael aprì gli occhi e fissò stordito il ragazzino: aprì bocca per cacciarlo via, ma l’odore della semplice minestra che proveniva dal vassoio posato a terra gli fece capire che era necessario mangiare. Così annuì con calma e si fece aiutare a mettersi seduto nel letto prima di farsi portare quel pasto, completato da una forma di pane.
Sono solo debole carne – si disse con amarezza mentre mandava giù con avidità quella minestra – sono solo un essere imperfetto che non ha nessuna possibilità… nessuna.
Terminò il pasto e fece cenno al ragazzo di andare via: mentre usciva vide l’espressione sollevata in quel viso ancora infantile. Evidentemente si sentiva assai fiero per essere riuscito a far mangiare uno dei monaci più importanti del monastero.
Anche io avevo la stessa espressione quando credevo di aver in qualche modo aiutato quella ragazza?
Rimase sdraiato in quel duro letto ancora per diverso tempo, non seppe quantificare quanto. Sentiva che il suo corpo traeva giovamento per il pasto consumato, ma per il resto si sentiva completamente svuotato.
Ad un certo punto gli parve di impazzire se restava ancora in quella stanza: non stava pregando, non stava ottenendo niente da quell’apatia.
Si alzò in piedi con impazienza ed uscì fuori, iniziando a percorrere a passo rapido i corridoi, ignorando tutti i monaci che incontrava. Arrivò fino al cortile interno, socchiudendo gli occhi quando la luce forte del sole lo colpì in pieno viso; respirò a pieni polmoni quell’aria pura e fredda, sentendosi in parte rigenerato, come se nella sua mente devastata ci fosse finalmente un po’ di pace.
Si sedette in una delle panchine di marmo, svuotando del tutto il cervello, non pensando a niente, ritagliandosi finalmente un attimo di pace. Sperava che gli altri monaci, vedendolo così assorto, lo lasciassero in pace, come sempre succedeva: immaginava che fossero preoccupati per lui ed il suo comportamento, ma non aveva alcuna voglia di dare spiegazioni.
“Posso sedermi accanto a te?”
Aprendo gli occhi si sorprese nel vedere Valerya che lo fissava con espressione tranquilla.
“E’ successo qualcosa? – chiese Michael facendole spazio nella panchina – Derekj ha…”
“No, va tutto bene: lui ed Alexand non sarebbero mai venuti a vedere come stavi per paura della tua reazione e così ho preso l’iniziativa.”
A quella dichiarazione il monaco non poté far a meno di sorridere: una sfrontatezza simile era degna di Kora, ma Valerya riusciva ad addolcirla e a renderla piacevole.
“Insomma è entrata nella tana dell’orso tutta sola, mia signora? – sorrise – Un bel coraggio…”
“Oggi non sei andato a trovare Kora?”
Quella domanda giunse come una stilettata: immediatamente l’incubo ritornò assieme al senso di colpa che, ad onor del vero, sapeva essere in parte ingiustificato. Però non poteva fare a meno di pensarla in quel modo e andare a vedere la ragazza non avrebbe fatto che acuire quel groviglio di emozioni.
“No, non ci sono andato: non credo di essere nelle condizioni giuste.”
“La ritieni ancora tua sorella?”
“Non lo è, mi pare un dato di fatto.”
“Nemmeno Alexand e Derekj sono tuoi fratelli, anche questo è un dato di fatto.”
Si girò a guardarla di nuovo, perdendosi in quegli occhi neri e grandi che avevano un non so che di selvaggio che rimandava alle grandi e sconfinate steppe del nord. Al contrario delle altre fanciulle di corte, Valerya non si nascondeva dietro giri di parole: se c’era qualcosa da dire non rimandava.
“E’ diverso…”
“Nemmeno i lupi di un branco sono tutti fratelli di sangue, sai? Secondo te lei è consapevole che non è tua sorella?”
“Lo ignoro – ammise Michael – forse Kyril non ha ritenuto prudente dirglielo.”
“Nel caso non lo verrà mai a sapere – dichiarò Valerya alzandosi in piedi – Kyril verrà imprigionato e condannato e lei sarà libera dal suo marchio, sebbene resterà comunque gravata dalle tare della famiglia Drachvoic. Continuerai ad essere il suo fratellastro e lei ci crederà, alla fine è questo che conta, no?”
“Credere… oggi non vado molto d’accordo con questo verbo.”
“Non è una grande affermazione per un monaco che ha fama di essere uno dei più devoti.”
“Diciamo che le ultime ore mi hanno portato a rivedere un po’ di cose, tra cui la mia fede…”
“Dici? – chiese la fanciulla – mi pare una dichiarazione troppo azzardata: le ore in cui sei arrivato ad una simile conclusione sono davvero poche.”
“E tu a che conclusione sei arrivata?” le chiese con curiosità.
“Alla conclusione che Derekj e Alexand hanno bisogno del loro amico in questo momento difficile. E soprattutto tu hai bisogno di loro, non credi? – gli tese la mano con un gesto gentile – Però prima credo che dovresti andare a trovare tua sorella, ti pare?”
Michael fissò quella mano con aria dubbiosa per qualche secondo: prenderla voleva dire lasciarsi tutti i dubbi alle spalle, una cosa per la quale non sapeva se sentirsi pronto o meno. Non stava prendendo una simile decisione troppo in fretta?
“Credo che Alexand abbia trovato il modo di mettere alle strette i Tojanev…” continuò Valerya.
“Il mio signore ha bisogno di me – sospirò Michael, decidendosi a prendere quella mano e ad alzarsi – non c’è altro da dire.”
Quello era un ottimo punto fermo a cui aggrapparsi.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26. Il ballo della pernice ***


Capitolo 26.
Il ballo della pernice



“Confido nelle tue capacità, capitano: sono sicuro che saprai gestire la situazione in maniera più che egregia. Io aspetterò qui con gli altri in attesa di buone nuove.”
Le parole che gli aveva rivolto il generale Mustang quella mattina risuonavano ancora nella mente di Falman mentre, assieme al barone Anditev, si dirigeva verso la residenza dei Tojanev, al margine est della Cittadella. Era fiero della fiducia che gli era stata accordata, ma ancora di più era contento di poter dare alla missione un contributo importante, se non fondamentale. A dire il vero sin da quando l’ambasciata aveva iniziato a degenerare dopo l’assassinio del Patriarca ed erano saltati fuori i Tojanev aveva avuto la certezza che, prima o poi, avrebbe avuto a che fare con loro… ancora una volta.
“Come mai li conosci?” gli chiese Alexand, quasi avesse letto nei suoi pensieri.
“Diciamo che si sono saputi nascondere bene ed arrivare ad Amestris parecchio tempo fa… in un’indagine che feci, che mi riguardava in maniera particolarmente vicina, venni a scoprire che chi era dietro a tutta la faccenda aveva sangue Tojanev nelle vene, tutto qui.”
“Davvero?” Alexand inarcò il sopracciglio con sorpresa.
“Sì, signore… e questo torna a nostro vantaggio: credo di avere l’asso nella manica per far confessare tutto quanto quello che vogliamo sapere.”
Alexand inarcò il sopracciglio a quella dichiarazione, ma poi annuì con approvazione: una simile determinazione doveva riuscirgli più che gradita.
Falman era il primo ad ammettere che non era il tipo da lasciarsi andare a frasi così spavalde, ma era sicurissimo di non sbagliarsi. A dire il vero era da quando il generale era venuto a prenderlo a North City che quel pensiero non l’aveva lasciato per un attimo: era come se il passato avesse deciso di fargli quella strana sorpresa, permettendogli di chiudere in una maniera ancora più definitiva quel capitolo della sua vita, a distanza di oltre quindici anni. Gli sembrava che il libro del tempo fosse tornato indietro con le pagine, quando ancora non era nemmeno entrato nella squadra dell’allora colonnello Mustang, quando la sua fedeltà andava ad un’altra persona.
Già… chissà come la prenderà il maggiore Mc Dorian quando glielo racconterò…
“Quindi presumo che tu sappia nel territorio di chi ci stiamo addentrando…” disse Alexand.
“Sono abbastanza documentato, barone.” annuì Falman, ripassando mentalmente quanto aveva appreso dai libri sulla nobiltà e sull’araldica di Drachma.
Al contrario di altre famiglie che avevano come stemma della propria casata un animale possente e feroce, i Tojanev avevano scelto la pernice. Tuttavia questo dettaglio rivelava molte cose: quello che all’apparenza poteva sembrare un volatile inoffensivo e addirittura codardo, rispetto per esempio al falco degli Anditev, era in realtà simbolo di astuzia.
Senza contare quello sfondo color viola… un colore che in periodo antico veniva considerato particolarmente ambiguo.
La pernice era astuta perché sapeva sfuggire al cacciatore e insegnava ai suoi piccoli come nascondersi. Proprio come i Tojanev: mai ufficialmente accusati di niente, capaci di nascondere tutti i loro intrighi, specialità in cui erano maestri. Eppure tutti sapevano, tutti non avevano dubbi sulla loro impronta nei più grandi scandali nella storia di Drachma, solo che non c’era mai e poi mai uno straccio di prova.
Più che normale che per secoli l’Autarca li abbia usati come spie personali…
Un rapporto assai pericoloso, un’arma a doppio taglio: inevitabilmente, con il ruolo di spie, essi venivano a conoscenza di segreti di stato e non con i quali potevano fare il bello ed il cattivo tempo persino con il loro stesso sovrano.
“Come mai il loro ruolo di spie del regno è decaduto?” chiese.
“E’ stato un processo naturale – spiegò il giovane – man mano che l’Autarca riusciva a guadagnarsi la fedeltà delle varie famiglie e a consolidare i confini, i loro servigi divennero sempre meno utili. Un po’ come è successo per la carica di campione… era da diverse generazioni che non ne veniva proclamato uno: certo non ho il ruolo che avevano i miei predecessori, però è comunque un segno di fedeltà nei confronti del mio signore. Bene, eccoci arrivati.”
I due si fermarono nella piazza che dava sulla facciata del palazzo nobiliare.
Falman notò immediatamente delle differenze rispetto allo stile degli altri edifici presenti nella Cittadella: c’era molto meno sfarzo nelle decorazioni, le linee erano molto più semplici e pulite, con la monocromia del marmo che solo di rado veniva spezzata da qualche dettaglio come lo stemma di famiglia. Era come se pure in questa manifestazione esterna i Tojanev cercassero di passare inosservati.
“Bene, il tuo generale si fida di te e lo farò pure io… allora, adesso ti spiego brevemente come funziona la famiglia Tojanev – incominciò Alexand fissando quelle finestre dalle tende viola – sì… sono sicuro che ci stanno osservando. Comunque, il capofamiglia è Iretev ed è quello con cui presumibilmente parleremo. Suo figlio Leto è nelle terre di famiglia, come da tradizione, ed è lui la persona che è maggiormente accusata di aver lasciato passare gli Ileti; Lidia è sua figlia… poi ci sono diversi altri nipoti e così via, come ogni famiglia nobiliare. E poi c’è il vero capo di tutto il clan: Elina Tojanev.”
“Elina…” Falman quasi assaporò quel nome.
“Già, la sorella maggiore di Iretev… credo che ormai sia sugli ottantacinque anni, ma è ancora lucidissima e astuta come pochi: in quanto donna non ha mai ricoperto alcun incarico o altro, ma tutti sanno che è lei a reggere le redini della famiglia da quando è morto suo padre una trentina di anni fa.”
Forse il nobile avrebbe aggiunto anche altro, ma la porta principale del palazzo si aprì per far uscire un giovane servitore, indossante una livrea con i colori di famiglia e fece loro un riverente e perfetto inchino, invitandoli ad entrare.
 
“Credete davvero che riusciranno a ricavare qualcosa? – chiese Michael con aria dubbiosa – Ottenere informazioni dai Tojanev è praticamente impossibile, è risaputo.”
“Confido che Alexand sappia gestire bene il vantaggio che abbiamo guadagnato – dichiarò Derekj, fissando a braccia conserte la grande cartina di Drachma appesa alla parete – ed inoltre il capitano Falman sembra avere delle informazioni abbastanza imbarazzanti su quella famiglia. Una vecchia storia, come mi ha raccontato, ma davvero molto succulenta: fra me, lui e qualche altro informatore abbiamo ricostruito l’andamento dei fatti… sarebbe una cosa davvero scandalosa se venisse fuori. Ah, l’irruenza dell’amore giovanile! Persino una Tojanev ci può cascare!”
A quella dichiarazione Michael guardò con curiosità il suo signore, ottenendo solo un’occhiata maliziosa in cambio. Anche Mustang, presente nella stanza, non poté far a meno di scuotere la testa con indulgenza; tuttavia si fece di nuovo serio e prese anche lui a guardare quella mappa.
“E così con tutta probabilità a quegli Ileti era stato promesso di riavere indietro delle vecchie terre…”
“Già – annuì l’Autarca – l’idea di Alexand di controllare le vecchie cartine è stata fondamentale: nemmeno cinquant’anni prima il territorio degli Ileti penetrava per diverse miglia all’interno della provincia Tojanev. C’era un confine naturale dato da un fiume che poi si è prosciugato del tutto… con una simile proposta sono riusciti a stanare fuori persino un popolo restio ai contatti come gli Ileti, davvero considerevole.”
“Davvero audace – commentò Roy – forse fin troppo… le possibilità di fallimento erano davvero tante così come quelle di scoprire i retroscena. Una simile imprudenza stona con quello che si sa dei Tojanev…”
“Non tutte le ciambelle riescono con il buco – ribatté Derekj – e forse qualcuno ha fatto il passo più lungo della gamba. Non tanto il duca Iretev, quanto suo figlio Leto… ma per questo credo che dovremmo aspettare il ritorno di Alexand e del suo uomo, generale.”
“Lidia è molto impulsiva – disse Valerya che per tutta la durata della discussione era stata in disparte assieme a Riza – può darsi che abbia preso dal padre.”
“Staremo a vedere…”
 
Proprio come il sangue Anditev si caratterizzava per i colori scuri di occhi e capelli, quello Tojanev aveva come tratti dominanti i capelli biondi, il fisico slanciato e gli occhi chiari, non importava se verdi, azzurri o grigi.
Iretev era un perfetto esponente della famiglia: ad ottantadue anni compiuti aveva il fisico ancora tonico ed asciutto, le spalle snelle e dritte. Vestiva in maniera molto semplice, quasi anonima, e anche i suoi modi di fare, sebbene eleganti, erano tesi a passare inosservati. Aveva accolto i suoi due ospiti in una sorta di salotto privato che fungeva anche da studio: era stato estremamente cortese, lasciando però che fossero gli altri a parlare, come se non volesse dare alcuna informazione a meno che non ci venisse costretto.
“Mi auguro che abbiate avuto modo di indagare su quanto è successo – disse Alexand ad un certo punto, chiaramente stufo di quei convenevoli – vostro figlio ha fatto sapere qualcosa?”
“Dovete avere pazienza, barone – rispose l’uomo con voce piatta, riempiendo un calice di vino e bagnandosi le labbra – il momento che vive il paese è difficile e anche le comunicazioni ne risentono, voi capite.”
Mente – capì subito Falman, rimasto un passo dietro il barone come se fosse un suo semplice sottoposto – sa benissimo cosa ha combinato suo figlio… e sa benissimo che noi sappiamo che sta mentendo.
Era quello il gioco che i Tojanev sapevano condurre meglio: portare gli interlocutori a non avere più argomenti, a passare inevitabilmente dalla parte del torto. Ed il capitano intuiva che, con una personalità focosa come quella di Alexand Anditev, il rischio di fare un passo falso era molto elevato: già si notavano i segni d’irritazione del giovane barone, per esempio la mano che tamburellava nervosamente sull’elsa della spada, oppure la mascella che continuava ad irrigidirsi ogni volta che Iretev ne usciva fuori con qualche frase estremamente impersonale.
Per evitare che il piano andasse in malora, Falman azzardò ad avvicinarsi di un piccolo passo al suo compagno e a sfiorargli lievemente il mantello con un braccio. Alexand gli lanciò subito un’occhiata ed annuì impercettibilmente, traendo al contempo un lieve respiro per calmarsi.
Ce l’aspettavamo un atteggiamento simile – cercò di comunicare mentalmente al suo compagno, con un lieve cenno del capo – direi che possiamo passare al contrattacco dato che da lui non otterremo nulla.
Ed evidentemente Alexand non desiderava altro: nell’arco di due secondi cambiò completamente espressione, mostrando un viso amabile ed interrompendo la frase di Iretev a metà.
“Come sta la vostra illustre sorella?”
“… eh? Mia sorella? Bene, barone, la ringrazio…”
Irritazione per esser stato interrotto? Sorpresa e sospetto per quel brusco cambio d’argomento?
Falman non seppe dire con esattezza quale emozione prevalse per l’arco di mezzo secondo su quel viso così perfettamente cesellato anche dalle stesse rughe dell’età. Rughe che, per l’esattezza, non erano d’espressione, segno che quell’uomo raramente cadeva in fallo come in quel momento.
“Non l’ho vista al ballo di qualche settimana fa…” proseguì Alexand.
“Ormai la duchessa Elina non se la sente più di partecipare a questi eventi mondani: troppo lunghi e stancanti e si sa, alla nostra età la stanchezza e le ore tarde si fanno sentire molto in fretta.”
“L’Autarca mi ha detto di porgerle personalmente i suoi saluti, se è possibile – continuò il barone – a dire il vero vorrei anche presentarle il signore che è venuto con me, sono sicuro che sarebbe molto interessata a conoscerlo.”
“Non so se mia sorella è disposta ad una visita così improvvisa.”
“Se c’è da attendere non c’è problema – parlò Falman per la prima volta – ma forse è bene che la signora sapesse che volevo parlarle a proposito di un certo Trevor Leon.”
E se un nome aveva il potere di mettere in crisi una persona fu quello.
 
“Questa storia non la conosco – ammise Fury adagiato sui cuscini, ma con aria vigile – il capitano Falman non me l’ha mai raccontata.”
“Ne parla poco perché da quanto ho capito è una cosa che lo coinvolse in maniera molto personale… familiare oserei dire – spiegò Breda, strizzando con cura la pezzuola appena bagnata nel catino e posandola sulla fronte del tenente – è accaduto quando si era nel mezzo della guerra civile e lui era stato trasferito a Central City con la sua squadra di allora… facevano parte del reparto investigativo, erano tra i migliori.”
Havoc trattenne un sorriso nel vedere come il piccolo della squadra fosse estremamente interessato, come ogni volta che gli si raccontava qualcosa. Era questo il Fury che gli piaceva vedere: curioso, attento, pronto a dare attenzione a chi parlava. Sicuramente per lui era difficile stare sdraiato in quel letto a dover sopportare un dolore che nemmeno gli unguenti di Drachma potevano lenire del tutto: quei momenti di distrazione dovevano essere una manna dal cielo per lui.
“E quindi che è successo? – chiese Fury con impazienza – Oh, la prego, signore, mi racconti! Voglio sapere!”
“Era una storia di traffico illecito d’armi: era partita da New Optain per allargarsi persino a Central City – spiegò il rosso – la squadra del nostro capitano era stata chiamata apposta nella capitale per risolvere questo caso dato che diverse persone erano morte… e alla fine saltò fuori che a reggere i fili di tutto questo gioco era un certo Trevor Leon, tenente dell’esercito, anche se da quanto ho capito prima era poliziotto.”
“Niente di eccezionale – commentò Havoc, mettendosi a cavalcioni su una sedia – durante la guerra il traffico d’armi era garanzia di profitto.”
“E come è finita la storia?” chiese Fury.
“Pare che a un certo punto il nostro Falman si sia trovato con la pistola di quell’uomo puntata alla fronte – Breda ci aveva preso gusto nel raccontare, la voce che aveva assunto un tono cospiratorio – di notte, in un vicolo buio tra due magazzini dell’esercito… aveva scoperto troppo, chiaramente, e lo voleva far fuori.”
“Oh, caspita! Proprio lui? Proprio il capitano Falman?”
“Già… ma per fortuna le cose si sono rivolte a suo vantaggio e lui se l’è cavata solo con una ferita non grave. A perderci la pelle è stato quell’altro.”
“Avrei proprio voluto vedere la scena! – ammise Fury – crede che il capitano sarà disposto a raccontarmi la storia per intero?”
“Può darsi.”
“Però c’è un dettaglio che non capisco – continuò il giovane – che cosa c’entra Drachma?”
“Oh… c’entra in modo davvero particolare…” sogghignò Breda.
 
Gli occhi verdi erano gli stessi di Trevor Leon, sebbene leggermente appannati dalla vecchiaia. E anche nei lineamenti c’era molto del defunto tenente dell’esercito di Amestris.
Falman dovette fare uno sforzo per non fissare troppo quell’anziana signora davanti a lui, non sarebbe stato cortese.
Elina Tojanev aveva ottantacinque anni, ma si intravedeva ancora la splendida donna che era stata: alta, dritta, il corpo perfettamente snello racchiuso con eleganza in un abito di velluto color crema, i capelli bianchissimi raccolti in una treccia che le incoronava il viso assai bello, nonostante le rughe. Il portamento era regale, sicuro, quello di una persona abituata a tenere in mano le redini di famiglia.
E notando come il fratello minore stesse in disparte con aria deferente, Falman non ebbe dubbi che, proprio come gli aveva detto Alexand, era quella donna a dominare sul clan Tojanev.
“Il capitano Vato Falman fa parte dell’ambasciata di Amestris – presentò cortesemente Alexand – è un onore per me introdurlo alla vostra presenza, mia signora.”
La donna squadrò Falman con i suoi penetranti occhi verdi, chiedendosi sicuramente come mai avesse tirato fuori il nome di Trevor Leon come il fratello le aveva sicuramente riferito.
“Non capisco che interesse possa avere un soldato di Amestris ad incontrare proprio me – disse con voce bassa e musicale – non credo di conoscerla, capitano.”
“Non ci conosciamo personalmente, signora – annuì Falman educatamente – ma ho avuto l’onore di conoscere in maniera abbastanza approfondita vostro figlio, Trevor Leon.”
Gli occhi verdi si dilatarono e qualsiasi traccia di colore sparì dal viso della donna, tanto che per qualche secondo Falman ebbe paura che avesse un cedimento. Alexand fu più lesto e la sorresse per un braccio.
“Si vuole sedere, duchessa?”
“Perché siete qui? – chiese lei rifiutando con orgoglio quell’aiuto – Che cosa volete da me? Io non conosco nessun Trevor Leon. Mi sono sposata con un Ferstoj e alla sua morte ho ripreso il cognome di famiglia: i miei figli sono Ferstoj: un maschio e due femmine… entrambi grandi e sposati.”
 “Ma io mi riferivo al suo primo figlio, signora – scosse il capo Falman – quello avuto dal vostro primo matrimonio… ma credo che qui a Drachma ben pochi lo sappiano, vero? Del resto sarebbe stato così scandaloso con un bambino nato prima del tempo, no? E voi eravate ancora minorenne, mi pare… o forse la maggiore età l’avevate appena raggiunta?”
“Tutto questo è oltraggioso! – il duca Iretev si fece avanti – Non permetterò che si insulti oltre mia sorella, una nobile! Barone, voi stesso dovreste impedire al vostro accompagnatore di dire menzogne così abominevoli! Stiamo parlando dell’onore di una signora tra le più stimate di Drachma.”
“Trevor Leon era un tenente dell’esercito di Amestris, nato nel 1854 – continuò Falman con decisione – dai registri risulta figlio di Elina Tojanev, nobile di Drachma, e di Timothy Leon, allora alto funzionario del governo e ambasciatore presso Drachma… sì, proprio così: anche se nessun'ambasciata di Amestris è mai stata nella capitale fino ad adesso, nel secolo scorso i rapporti erano abbastanza buoni per avere dei funzionari nelle provincie confinanti, tra cui quella dei Tojanev.”
“Sono solo menzogne!” la donna si scostò da loro e a grandi passi raggiunse una delle grandi finestre, guardando fuori con aria impassibile.
Falman si chiese se era il caso di continuare, ma poi si accorse che, nonostante tutto, quella donna non era per niente debole: anche in un simile momento cercava di dissimulare, cercando di uscire dall’angolo in cui la stavano piano piano rinchiudendo.
“Ci siamo premurati di fare delle ricerche anche qui a Drachma – continuò andandole vicino, mentre Alexand faceva cenno al duca di non intervenire – e quel matrimonio c’è stato sebbene sapientemente occultato. Voi avete addirittura soggiornato a North City, ad Amestris, dove avete dato alla luce vostro figlio. Certo, poi dopo la morte di vostro marito vi siete risposata con un nobile di Drachma come era giusto che fosse… però, signora, quel figlio resta.”
“Smettetela…” sibilò lei, mentre qualcosa le brillava sull’angolo dell’occhio destro.
“No, continuiamo… – sibilò di rimando Falman, per niente impietosito: i ricordi erano tornati a farsi troppo dolorosi per provare pietà per quella donna – sa di che altro siamo a conoscenza? Che suo figlio dopo esser entrato prima nella polizia e poi nell’esercito, durante la guerra civile del 1901-8, era a capo di un traffico d’armi di proporzioni incredibili… traffico d’armi che vedeva coinvolta anche Drachma, o meglio i Tojanev.”
“Lei è impazzito…”
“Oh no – sorrise Alexand, intervenendo – un traffico d’armi da cui i Tojanev traevano grandi benefici. Ed il passaggio verso Amestris era garantito da un passo montano nei monti di Briggs. Adesso la vostra provincia non confina più con quei monti, in favore della mia, ma fino a dieci anni fa non era così… una contesa durata quasi un secolo: adesso capisco perché la vostra famiglia era così legata a quel tratto di foreste e montagne innevate. C’era una delle sue più grandi fonti di ricchezza.”
“Non ci sono prove…” protestò il duca.
“Posso ordinare ai miei uomini di cercare quel passaggio – ribatté Alexand guardandolo torvo – e se salta fuori, cosa che succederà lo garantisco, allora dovrete risponderne personalmente all’Autarca, ed avrete contro la mia testimonianza… davvero vogliamo rischiare così tanto?”
“Questa è…”
“Zitto, Iretev – lo bloccò Elina, girandosi verso di loro e fissando con severità tutti i presenti – non peggiorare la situazione. Bene, barone, supponiamo che abbiate fatto centro… cosa volete dai Tojanev?”
“Tutto quello che sapete a proposito di Kyril Esdev – disse con calma Alexand – tutte le motivazioni che stanno dietro il suo fidanzamento con vostra nipote Lidia… ogni minimo dettaglio del piano che avete progettato con lui. Perché lo state abbandonando, vero? – si avvicinò alla duchessa e la fissò dritta negli occhi – avete capito che l’ambizioso progetto di metterlo sul trono non può andare oltre… quando Kyril ha iniziato a mostrare la sua gelosia per la sorella le cose hanno iniziato a sfuggirvi di mano, avete capito che non vi potevate fidare troppo di lui…”
“Possono essere solo illazioni, barone – ribadì con calma la donna, per nulla intimorita – supponiamo che siano vere, supponiamo che i Tojanev abbiano inizialmente appoggiato i piani di un traditore… supponiamo che vi aiutino dandovi le informazioni che cercate.”
“Elina!”
Ma Alexand ignorò quel richiamo e si rivolse ancora alla duchessa
“In quel caso, se ci date le informazioni che cerchiamo e vi tirate fuori dalla vicenda, non vedo alcun motivo per cui la famiglia Tojanev ne debba esser coinvolta – disse con aria furba – semplicemente Lidia ha fatto un fidanzamento sfortunato e nessuno di noi poteva sapere che Kyril Esdev fosse un traditore.”
“Quella sciocchina ci resterà male, ma capirà – annuì Elina – la discrezione della famiglia la aiuterà a riprendersi dalle brutte notizie.”
Il tono di voce di quelle ultime parole era freddo e tagliente, tanto che Falman ebbe un brivido.
“Non solo sul tradimento di Kyril, vero?” fece Alexand con voce cupa.
“No, anche sulla morte accidentale di suo padre… povera bimba, ma mi occuperò io di lei.”
“Non puoi condannare a morte Leto per…” protestò Iretev, mettendosi in mezzo tra loro due e fissando con odio la sorella.
“Ha preso l’iniziativa da solo ed ha fallito! – lo zittì la donna – Lui e la stupida smania di accontentare quella sciocca di Lidia! Se la giocherà, fratello, avrà la possibilità di salvarsi, ma non avrà il nostro appoggio: i rami cadenti vanno recisi, è la regola.”
Zittiti per sempre – capì Falman.
“Nel caso ci fosse la dipartita di Leto Tojanev sarà per uno sgradevole incidente – garantì Alexand, per niente sconvolto da quanto aveva appena sentito – la famiglia ne piangerà la morte come si conviene dato che nessuna macchia penderà su di lui.”
Ci furono due minuti di silenzio… minuti interminabili mentre ciascuno fissava gli altri, come a chiedersi quanto ci si potesse fidare di quanto era appena successo.
“E’ destino che i nostri primogeniti facciano una brutta fine – sospirò Elina alla fine, rivolgendosi al fratello – ma le pernici che non sanno nascondersi dal cacciatore hanno un simile destino. Molto bene, barone, le dirò quanto vorrà sapere… un’ultima cosa, però…”
“Mi dica, signora.”
“Queste brutte storie che mi sono state dette a proposito di un mio matrimonio, di un passaggio segreto, di un traffico d’armi…”
“Stupide illazioni, signora – rispose con disinvoltura Alexand – è chiaro che il capitano Falman è stato vittima di un terribile ed increscioso equivoco.”
 
Quella sera, come c’era d’aspettarsi, l’ambasciata di Amestris aveva molto da festeggiare
“Falman, sei l’uomo del giorno!” Roy era così entusiasta che diede un forte scappellotto al capitano, non riuscendo a smettere di ridere.
“La ringrazio per il complimento, generale…” arrossì Falman, per niente avvezzo, nonostante gli anni passati in squadra, a questo tipo di manifestazioni.
Però, a dare manforte al generale arrivarono subito Breda e Havoc.
“E lo sapevo che ce lo dovevamo portare dietro – sogghignò Breda, pungolandogli il torso magro – il nostro uomo della memoria è sempre utile!”
“Ma quando mai doveva marcire a North City?! – Havoc arruffò la chioma bicolore – Falman, ti offro da bene non appena ti decidi a scendere in città con me e Breda!”
Il povero capitano cercò di divincolarsi da quei gesti, non riuscendo a smettere di ridacchiare imbarazzato, ma liberarsi dalla presa dei compagni era pressoché impossibile. In momenti simili la squadra si comportava sempre in maniera tutto meno che formale.
Alla fine, dopo qualche minuto di strapazzamento obbligatorio, venne finalmente lasciato andare.
Ma non era per niente scontento di quei festeggiamenti: avevano fatto centro questa volta, le loro indagini avevano subito un’accelerata incredibile.
E tutto grazie a quella vecchia storia, mi sembra incredibile…
“Bene! – annunciò Roy, battendo le mani per riportare l’ordine – Vado subito a parlare con l’Autarca ed il barone: bisogna stabilire un piano nel più breve tempo possibile.”
Tornando seri Havoc e Breda si accodarono subito al generale, anche se la loro andatura baldanzosa testimoniava ancora l’euforia del momento. Falman fece per seguirli, ma poi ci ripensò e rimase fermo al suo posto, assaporando la stanza improvvisamente silenziosa.
E così era fatta, non gli sembrava vero: aveva incontrato la madre di quello che era stato il suo peggior nemico ed aveva chiuso in maniera definitiva i conti con il suo passato.
Credevo che fosse tutto concluso anni fa… però, venire qui mi ha fatto capire che in fondo c’era ancora un qualcosa che potevo fare. Spero che in qualche modo lui sarà fiero di me anche per questo.
“Ehi…” una mano gentile si posò sulla sua spalla e solo allora il capitano si accorse che nella stanza era rimasto il tenente colonnello. Riza lo fissava con un sorriso gentile e comprensivo, come se avesse in parte intuito che quanto aveva fatto andava ben oltre la missione.
“Signora?”
“Tutto bene?”
“Splendidamente – sorrise di rimando – vogliamo andare a raggiungere gli altri.”
“Andiamo pure.”





La maggior parte degli avvenimenti a cui si riferisce Falman sono tratti dalla mia fiction "The memory man" che parla proprio di lui, dall'infanzia fino agli avvenimenti del manga compresi. Anche se vi ho anticipato qualcosa vi assicuro che la storia è molto più complessa, quindi, se vi fa piacere, vi consiglio di leggerla (tra le altre cose c'è anche l'incontro e la relazione con Elisa, sua moglie, che avete visto nei primi capitoli)

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Capitolo 28
*** Capitolo 27. Il segreto delle fiamme azzurre ***


Capitolo 27.
Il segreto delle fiamme azzurre



Lo studio privato dell’Autarca era diventato la sede improvvisata per il consiglio di guerra: eccetto Fury erano presenti tutti i coinvolti, compresa Valerya. Grazie alle confessioni di Elina Tojanev era stato possibile fare un quadro più definito della situazione, ma a conti fatti Kyril Esdev restava una preda difficile da catturare.
“Era più che chiaro che si sarebbe rifugiato in un posto simile – dichiarò Alexand, indicando un punto preciso nella mappa nella parte ovest del sistema montuoso che circondava la vallata dove sorgeva la capitale – neve perenne a disposizione e un rudere di cui pochi ricordano l’esistenza. Era una vecchia torre di guardia ai tempi delle contese tra le varie famiglie: saranno almeno due secoli che non viene utilizzata.”
“Proprio perché nessuno ci faceva più caso ne ha fatto la sua base per tutti questi anni – commentò Derekj – non è certo uno stupido: ha dalla sua la posizione soprelevata, un sentiero impervio che l’avversario deve attraversare e, soprattutto, un sacco di neve a disposizione per le sue fiamme azzurre.”
Gli sguardi di tutti quanti i presenti si spostarono su Roy, in piedi davanti a quel tavolo a braccia conserte. Era chiaro che l’unica persona che si poteva occupare di quel particolare dettaglio era lui.
“Parliamoci chiaro – disse Alexand, rivolgendosi al generale – io mi posso occupare di Leto Tojanev… non hanno uomini con loro, me l’hanno garantito. Probabilmente lo sfiderò a duello e sono abbastanza sicuro di vincere… ma quel duello deve esser fatto ad armi pari, senza che io corra il rischio di venir ucciso dal fuoco azzurro.”
“Come se la cava Kyril con la spada?” chiese Havoc.
“Ha ricevuto l’addestramento solito – rispose Michael – ma non ha mai brillato in maniera eccessiva: i suoi maestri erano discretamente soddisfatti di lui da quanto ricordo. Ma se lui è discreto Alexand è eccellente… non si arrischierebbe mai a sfidarlo a duello. Dubito anche che voglia usare le pistole. Punterà tutto sulla sua arma segreta, ne va troppo fiero ed è chiaramente il suo punto di forza.”
“Si sposteranno da quella torre?” chiese Mustang con voce quieta.
“No – disse Alexand dopo qualche secondo di riflessione – non hanno dove andare, sarebbe pericoloso mettersi in giro mentre le acque sono ancora così movimentate. Non dimenticate che loro ancora non sanno che i Tojanev si sono tirati indietro.”
“Non ancora – annuì Valerya – ma non sarà per molto, ci scommetto: Leto è comunque un Tojanev, in qualche modo riceverà queste notizie, ed in ogni caso si renderà conto lui stesso di esser andato contro le disposizioni della sua famiglia.”
“Di conseguenza è imperativo approfittare di questi momenti di vantaggio!” dichiarò Alexand.
“Tenete conto che per arrivare in quel posto ci vuole un giorno buono di viaggio facendo andare i cavalli ad andatura sostenuta…” ricordò Derekj, rivolgendosi ad Alexand e Mustang, chiaramente proclamati campioni di quella particolare missione.
“Da soli?” chiese Breda incrociando le braccia con aria dubbiosa.
“Sì, da soli – annuì Mustang con serietà – non è il caso di offrire a quel pazzo più bersagli.”
Disse quelle parole con la calma che di solito assumeva quando una decisione era inequivocabile: tuttavia per tutta la durata di quella riunione fu consapevole degli occhi della sua squadra, soprattutto quelli di Riza, puntati su di lui.
 
“Generale, lei è uno sconsiderato se pensa di andare da solo in quel posto!” esclamò Riza, non appena si ritirarono nella stanza di lei.
Ovviamente tutta la squadra aveva fatto opposizioni a quel piano, in particolare lei ed Havoc che avevano insistito per accompagnarlo. Tuttavia Roy era stato irremovibile: non aveva alcuna intenzione di rischiare la vita dei suoi uomini in quello che si prospettava essere un duello alchemico all’ultimo sangue; già la presenza del barone Anditev lo metteva in leggera difficoltà, e mai e poi mai avrebbe permesso che quei pazzi dei suoi uomini lo seguissero.
“Non questa volta, Riza – puntò il dito contro la donna con aria seccata – non mi puoi seguire, te lo proibisco nella maniera più assoluta. E’ un ordine diretto.”
“Un ordine a cui io non ho intenzione di obbedire – scosse il capo lei, andandogli vicino e fissandolo con sfida, le mani tese lungo i fianchi – ha a che fare con un pazzo omicida che usa…”
“… usa l’alchimia – la interruppe l’uomo – e fino a prova contraria io sono l’alchimista di fuoco! Nel resto della squadra non mi pare ci sia nessun altro specialista in questa scienza, o mi sbaglio?”
“E sbaglio o lei non ha ancora scoperto il segreto dell’alchimia di Kyril, generale Mustang? Giuro che a volte è davvero così irresponsabile da farmi diventare furiosa! Non pensa minimamente alla sua incolumità!”
Roy la fissò con stizza, infuriato che fosse andata a toccare proprio il tasto dolente: era vero, dannatamente vero, lui non aveva ancora scoperto il ragionamento alchemico che stava dietro quelle fiamme azzurre e, di conseguenza, non era affatto sicuro di poterle bloccare.
“Permetta a me ed Havoc di accompagnarla, signore – continuò la donna – staremo ben nascosti, ma si deve rendere conto che la nostra mira potrebbe salvarle la vita.”
“Non dire sciocchezze: quell’uomo è in grado di controllare la neve da distanze molto elevate! Sicuramente starà fuori dalla vostra portata.”
“Generale, io sono venuta in questo paese per proteggerla: sono la sua assistente, ma prima di tutto la sua guardia del cor…”
“Sei la mia donna adesso – si intromise lui con più dolcezza – non voglio mettere a repentaglio la tua vita. Riza, per tutta questa discussione mi hai chiamato generale e mi hai dato del lei…”
Lei arrossì profondamente a quella leggera accusa e per qualche istante rimase in silenzio. Tuttavia poi alzò la testa con risolutezza e disse:
“Quello che siamo non può compromettere quello che io sono, Roy. Ti amo, davvero, voglio proteggerti… lo sento come un mio dovere personale. Avere una relazione non vuol dire privarmi del mio ruolo.”
“Non ti farei venire anche se tra di noi ci fosse un normale rapporto di lavoro… non faccio venire né te né Havoc, mi capisci. Sono cose dove i vostri proiettili non possono vincere!”
“E vincerà la spada del barone Anditev? Per favore, signore!”
“Il barone è una cosa differente – sbuffò Roy, mettendosi a braccia conserte – farei a meno anche di lui, ma… è comunque il rappresentante dell’Autarca, non ho autorità di impedirgli una cosa simile. Dovrà occuparsi di quell’altro, non di Kyril.”
“E’ una follia – sibilò Riza – e non pensi che la sua squadra se ne stia a guardare…”
“Se necessario chiederò all’Autarca stesso di rinchiudervi – sibilò Roy di rimando, andando verso la porta – e adesso scusami, tenente colonnello, ho altro a cui pensare. E riflettici bene prima di accusare Fury di insubordinazione… dopo una simile discussione la cosa risulta abbastanza ipocrita!”
Uscì da quella stanza sentendosi un po’ vigliacco, ma sapendo benissimo che per certe cose era una battaglia persa discutere con Riza. Testarda com’era credeva che la sua presenza fosse sempre fondamentale, senza rendersi conto dei rischi che andava a correre.
Lo so, vuole solo proteggermi… ma se permette questa volta proteggo io… a lei e agli altri.
Aveva già rischiato di perdere Fury per colpa di quel matto: aveva visto all’opera quell’alchimia per ben due volte. Non aveva la minima intenzione di vedere Riza, Havoc… nessun altro, colpiti da quelle dannate fiamme azzurre.
“Generale!” lo chiamò una voce, fermando la sua camminata spedita nel corridoio.
“Principe – si girò Roy – posso essere utile?”
“Solo un avviso – sorrise Shao, sorridendo e sventolando amabilmente il suo ventaglio – verrò con lei ed il barone: ho già avvisato l’Autarca e non ha fatto obiezioni.”
“Non credo che…”
“Quelle montagne sono impervie: la mia alkaestry potrebbe servire a qualcosa… non la applico solo in campo medico. Stia comunque sicuro che non ho alcuna intenzione di rubarle la scena…”
“Le mie manie di protagonismo non arrivano sino a questo punto, suvvia.”
“Non ha ancora trovato la spiegazione a quelle fiamme azzurre, vero? – il volto dell’uomo di Xing si fece pensieroso: chiuse il ventaglio e si picchiettò leggermente il naso con l’impugnatura – assai strano, sono rimasto molto perplesso nel vederle all’opera.”
Roy cercò di restare impassibile, nonostante gli sembrasse che pure il principe sembrasse mettere in dubbio le sue capacità di affrontare un simile nemico. Ma poi, dopo qualche secondo, si rese conto che la perplessità di Shao Ming era sincera e questo lo portò a riflettere realmente sul problema.
“Sì, c’era qualcosa che non andava – ammise Roy – ma ancora mi sfugge cosa… sento che sono vicinissimo alla soluzione eppure ancora non ci sono arrivato.”
“Partiremo domani mattina…”
“In qualche modo farò, principe, non ne dubiti… porterà con sé le sue guardie del corpo?”
“Certo: più che altro loro non lascerebbero partire solo me. Lei non farà lo stesso, vero?”
“Quelle fiamme azzurre hanno già colpito gravemente uno dei miei uomini…”
“Quegli uomini hanno giurato di difenderla sino alla morte.”
“No, non è così – sbottò Roy – le loro vite sono importanti quanto le mie, se non di più. Sono compagni, subordinati solo per questi gradi che ho in più nella spallina… ma oggettivamente mi rendo conto che sono delle persone migliori di me e meritano tutta la mia protezione.”
“Una fedeltà reciproca encomiabile, generale – annuì Shao – ecco perché il mio signore, imperatore e fratello, ha tanta stima di voi. Ma fate attenzione: spesso una simile confusione di ruoli può creare delle incomprensioni e dei problemi… domani non possiamo permetterceli.”
“Domani non ce ne saranno.” garantì Roy.
                                                      
“Li seguiremo a un dieci minuti di distanza – dichiarò Riza, iniziando a smontare la sua pistola e deponendo i pezzi sul tavolo – ci faremo dare dei cavalli e resteremo di copertura: tra quelle montagne non ci dovrebbe essere difficoltà a rimanere riparati.”
“Come desidera, signora – annuì Havoc, anche se, dopo il primo entusiasmo, non appariva più del tutto convinto – però non abbiamo le armi giuste, se lo ricordi: le nostre pistole non hanno la gittata dei fucili da cecchino che abbiamo dovuto lasciare a casa. Dobbiamo tenere conto che ci dobbiamo avvicinare più del previsto a…”
“Lo so, maggiore! – sbottò lei – non prendermi per una sprovveduta: agiremo solo se necessario… ci sono notevoli possibilità che il generale nemmeno si accorga che lo seguiremo.”
“Certo, come no… signora, non prenda in giro se stessa e me, per favore!”
“Dannazione, Havoc! – sospirò lei, battendo la mano sul tavolo – tu non hai visto quelle dannate fiamme azzurre in azione… è stato orribile… orribile! Non posso permettere che il generale… capisci, Jean? Lui non ha ancora il modo per contrastarle… non posso lasciarlo andare così scoperto!”
“Se non ce l’ha lui il modo, come possiamo pensare di averlo noi? Non è che ci stiamo tirando indietro, però... – provò a farla ragionare il biondo – Signora, cerchi di calmarsi e guardi la cosa con lucidità: le nostre pistole possono davvero qualcosa contro quel tipo? Dovremmo essere a meno di cento metri dal bersaglio per poterlo colpire e, come ha potuto sentire, lui sarà probabilmente in posizione soprelevata: non possiamo fare praticamente nulla!”
“Lo lasceresti andare da solo? Il tuo superiore?”
“Sì, lo lascerei andare da solo… perché capisco le situazioni dove sono più d’intralcio che d’aiuto: è come se volessi aiutare Fury a riparare una radio, capisce? Anche se mi chiedesse di passargli gli attrezzi andrei in pallone se mi chiedesse qualcosa di diverso da un cacciavite.”
“Non ha ancora la risposta a quell’alchimia – la voce di Riza era rotta – non ce l’ha… mi sento così impotente, non ne hai idea.”
“Ehi, tenente, ma che ti disperi? – Havoc le andò vicino e le mise una mano sulla spalla in gesto di conforto – è Roy Mustang… quello che ama i colpi di scena e le cose all’ultimo secondo. Ancora non hai imparato a fidarti del tutto di lui?”
“Dovrei – ammise Riza – però non ci riesco! E’ che… in simili frangenti mi sento davvero impotente, come se non gli potessi dare davvero una mano.”
“Suvvia che idiozie! – la prese in giro il compagno – Gli dai sempre una mano… però sai, stando assieme a Reby ho imparato una cosa fondamentale: spesso il miglior modo di aiutare il proprio compagno è avere fiducia in lui… sai, avevo un terrore di prendere i bimbi in braccio appena nati, avevo timore che cadessero che piangessero, che non gli piacesse… e anche lei ne aveva paura, si vedeva. Però mi ha spronato a farlo, capisci? Si è fidata di me…”
“Non stava rischiando la vita nessuno…”
“Già, in un caso come questo la fiducia è ancora più difficile e necessaria… ce la farai, tenente colonnello.”
Riza annuì debolmente: Havoc aveva ragione, certo. Adesso l’idea di accompagnare il generale in quella spedizione le appariva più dannosa che altro… ed era chiaro che, dopo quanto era accaduto a Fury, Roy era ancora più teso in materia di sicurezza dei suoi sottoposti.
Però quest’impotenza finirà per ammazzarmi…
 
Le ore intanto continuavano a passare e Roy impazziva nel risolvere quel rompicapo di cui aveva tutti i pezzi ma che ancora non riusciva a collocare al posto giusto. Ripensava continuamente a quello che aveva letto in quei libri antichi, a quanto aveva visto, ma non riusciva a cavare ragno dal buco.
“Dannazione!” sbottò con rabbia, facendo volare dal tavolo i fogli dove aveva scarabocchiato le formule alchemiche del fuoco nella speranza di intuire qualcosa.
Si alzò dalla sedia con impazienza, l’immobilità che non faceva altro che provocargli insofferenza.
Uscì dalla sua stanza ed iniziò a percorrere i diversi corridoi del palazzo degli Anditev, fino ad uscirne. I suoi passi continuarono imperterriti fino alla dimora degli Esdev e si fermarono soltanto quando arrivò davanti alla camera di Fury.
Perché? – si chiese quando fu davanti all’uscio.
Che senso aveva affrontare ancora il ragazzo? Sarebbe stato come battere su un ferro ancora troppo caldo. Anche se gli avesse detto che l’indomani sarebbe andato ad affrontare Kyril probabilmente Fury non si sarebbe nemmeno smosso.
Oh dai, lo giudichi così male? Non può arrivare a tanto… e poi mica stai andando a morire.
Se lo disse per la prima volta e la cosa gli fece davvero uno strano effetto. Come soldato aveva sempre dato per scontato che la morte fosse sempre dietro l’angolo, ma l’idea di andarci incontro in maniera così spudorata raramente l’aveva sfiorato.
Venne quasi istintivo aprire la porta ed entrare, quasi che Fury potesse costituire una certezza in quel piccolo momento di crisi che, non dubitava, sarebbe passato presto.
“Ehi, tenente, come andiamo?” chiese con calma, notando come il ragazzo fosse sveglio e vigile.
“Generale…” si irrigidì Fury, assumendo un’espressione impassibile.
Si accostò al letto e rimase a fissarlo con intensità per una decina di secondi, notando come l’espressione gelida mal si adattasse a quei lineamenti così dolci.
“Domani mattina partirò con il barone Anditev ed il principe Ming per andare a sistemare quel pazzo che ti ha ridotto in questo modo – disse con voce piatta – ammetto di non aver ancora trovato un modo per contrastarlo con efficienza, spero che mi venga l’illuminazione strada facendo.”
Le mani di Fury serrarono per qualche istante il lenzuolo, ma non alzò lo sguardo sul suo superiore.
“Nel caso dovesse succedermi qualcosa voi tornerete ad Amestris, farò in modo che l’Autarca segua queste mie volontà e vi garantisca di tornare fino a Briggs incolumi.”
“Perché mi dice queste cose?” chiese infine il tenente con voce piatta.
“Non lo so – ammise Roy – non mi andava di dirle davanti a Riza… forse con te, dato che mi odi, era più facile pronunciare simili frasi.”
“Odio…” Fury sospirò e si appoggiò sui cuscini ancora più pesantemente.
“Disprezzo?”
“Delusione…”
“Beh, è già un passo in avanti – disse con un mezzo sorriso – da una delusione piano piano ci si riprende, non credi?”
Stava tentando di nascondere un sorriso? Sì, certo, come poteva essere il contrario? Era Fury, non poteva odiarlo per un periodo di tempo troppo lungo: era solo sconvolto, doveva ritrovare la via, a chi non era successo di avere un momento di sbandamento simile?
“Come vanno le ferite?” chiese per continuare la conversazione.
“Al solito…”
“Spero che ti brucino meno rispetto a quando sei stato colpito…”
Fury stava per rispondere ma rimase con le labbra appena socchiuse, come se gli fosse appena venuto in mente un pensiero improvviso. Rimase a rifletterci per diverso tempo, tanto che Roy si chiese se avesse fatto male a porgli una domanda simile.
“Non ha bruciato…” dichiarò infine il giovane con voce sorpresa.
“Scusa? – il generale si accostò maggiormente a lui, sedendosi sul bordo del letto – Come non ha…”
“No – scosse il capo Fury, portandosi una mano alla spalla ferita ben protetta dal pigiama e dal bendaggio – è stato come… come una lama. Calore è l’ultima parola che userei per descrivere quell’urto. Freddo… ho avuto gelo, come se mi avesse risucchiato tutto il calore… però – esitò – forse era perché sono caduto quasi subito nel fiume.”
“Non hai sentito calore…” Roy ripeté quella frase quasi assaporandola.
Era vicinissimo alla soluzione, se lo sentiva: adesso aveva la chiave di lettura corretta.
 
Il fatto di aver disegnato così tante volte il proprio cerchio alchemico non era dovuto ad un puro automatismo: nella sua mente aveva capito che c’era qualcosa che collegava la sua alchimia del fuoco a quella delle fiamme azzurre.
No… non sono davvero fiamme… è solo apparenza, è chiaro.
E non era nemmeno manipolazione dell’acqua, ormai ne aveva la certezza assoluta: ripensando bene al momento in cui aveva opposto le sue fiamme a quelle azzurre, durante il salvataggio di Fury, aveva notato che qualcosa non andava. Si era generata un’esplosione.
Ossigeno ed ossigeno non creano una simile reazione, ne sono certo!
Si catapultò nelle sue stanze, cercando di richiamare alla memoria le vecchie formule alchemiche del suo maestro, sperando che con un foglio ed una penna davanti gli tornasse tutto con più facilità. Aprì la porta con foga e quasi andò a sbattere contro Riza.
“Generale, eccola!” esclamò la donna, facendo un piccolo salto indietro per la sorpresa.
“E’ successo qualcosa?” le chiese con impazienza, sperando che la preziosa intuizione gli sfuggisse via.
“Volevo parlarle a proposito di domani – iniziò lei con lieve imbarazzo – sul fatto che non le ho dato la fiducia che invece merita.”
Questa frase lo fece fermare ad osservare la sua compagna. Vedere Riza Hawkeye che retrocedeva su qualcosa non era uno spettacolo da tutti i giorni, specie su questioni estremamente importanti come la sua sicurezza fisica. Ed era imbarazzata per una simile marcia indietro, si vedeva: teneva lo sguardo basso, le guance leggermente arrossate, in un atteggiamento quasi infantile che la rendeva ancora più affascinante perché andava a contrastare con la divisa in perfetto ordine e la posa marziale con la schiena dritta.
Donna… ragazzina… soldatessa…
Tutte queste sfaccettature erano inebrianti agli occhi di Roy: per qualche secondo tutto quello che desiderò fu prenderla tra le braccia e baciarla con foga. Però poi l’urgenza tornò a farla da padrone e decise, a malincuore, di spezzare quel momento perfetto.
“Ho trovato la base della sua alchimia – le disse con calma – posso contrastarlo: non sarà facile, ma sono sicuro di potercela fare.”
“Davvero, signore?”
“L’idrogeno! Come ho fatto a non pesarci prima? – annuì Roy con entusiasmo – C’è stata quell’esplosione perché il fuoco ha reagito con l’idrogeno! Lui non usa la neve… usa l’idrogeno presente in essa, lasciando da parte l’ossigeno! Ecco perché Fury non ha sentito bruciare come è stato colpito!”
“Idrogeno?” Riza rimase interdetta davanti al nome di quell’elemento.
“La formula dell’acqua è due parti di idrogeno e una d’ossigeno – continuò a spiegare il soldato con grande entusiasmo – l’idrogeno è un gas altamente infiammabile ma praticamente inodore! Ecco cosa non mi tornava: non c’era nessun odore! Dannazione… è incredibile: riesce a manipolare le particelle d’idrogeno fino a renderle liquide! Le concretizza in quelle che abbiamo sempre visto come fiamme azzurre ma che vere e proprie fiamme non sono.”
“Ma allora la schiena di Fury…?” chiese lei confusa.
“E’ un qualcosa di molto strano – si impose di calmarsi e di continuare a riflettere – in qualche modo isola le parti colpite e assorbe tutto il calore provocando le ustioni da gelo… ha un controllo incredibile. Idrogeno… idrogeno… ci devo riflettere bene su come agire.”
“Mio padre ti aveva già parlato dell’idrogeno?” chiese Riza con voce sommessa.
Davanti a quella domanda Roy perse tutto il suo entusiasmo: i ricordi tornarono a presentarsi con violenza.
“Alla fine hai scelto di diventare un soldato. Certo, è troppo presto perché tu possegga l’alchimia del fuoco… è uno spreco insegnare anche solo le basi a qualcuno che si abbassa a diventare un cane dell’esercito.”
No, il maestro Hawkeye non gli aveva parlato dell’idrogeno… non nei termini relativi all’alchimia del fuoco. L’aveva lasciato con le sole basi e poi era stato lui a dover ricostruire tutto quanto con l’ausilio del tatuaggio.
Ed era lì, a pochi passi da lui, nascosto da qualche strato di stoffa… ma era deturpato da tremende cicatrici. Proprio la parte relativa all’idrogeno, quella che aveva reputato la più pericolosa in tutta quella formula alchemica che occupava la schiena di Riza.
Non disse niente, rimase a fissarla con doloroso amore.
 
Davanti a quello sguardo Riza si sentì impazzire mentre un brivido le percorreva tutta la schiena, propagandosi fino alle estremità del tatuaggio. Persino la parte con la cicatrice, ormai insensibile, parve di colpo riprendere vita.
Adesso capiva perché per tutte quelle settimane la sua schiena aveva ripreso a tormentarla come ormai non accadeva da tempo. Era come se tutto fosse stato un lungo e surreale iter per arrivare a quel momento. Dopo dodici anni, dodici lunghissimi anni
Assurdamente si ricordò la campagna illuminata dalla luce rossastra del tramonto che vedeva dalla finestra della sua vecchia casa. Prati poveri ed incolti, con qualche albero all’orizzonte, tutto velato dal rosso fuoco del tramonto. E lei si era ostinata a fissare quel panorama desolato mentre si sbottonava la modesta giacchetta e la camicetta per mostrare all’allievo di suo padre la schiena con incisi i segreti dell’alchimia del fuoco.
Poi quella campagna svanì e la finestra mostrava solo il buio della notte che nemmeno la luce della luna si degnava di illuminare un pochino. Ma comunque lei fissava sempre quella finestra, sempre con ostinazione, mentre portava le mani al suo maglioncino per sfilarselo… per farsi bruciare la schiena.
In quel momento, in quelle stanze nella Cittadella di Drachma, non c’erano campi desolati da guardare fuori dalla finestra.
Le mani di Riza andarono tremanti alla giacca della divisa, sbottonandosela e lasciando dunque vedere il maglioncino scuro. Questa volta guardò in faccia quell’uomo, il suo uomo, non si rifugiò in altre visioni: puntò gli occhi su di lui mentre faceva scivolare a terra la giacca.
“E’ nella mia schiena…” mormorò con voce più tremante di quanto desiderasse.
Perché lo sapeva, conosceva quell’uomo come le sue tasche per sapere che aveva bisogno di rivedere quel tatuaggio. L’alchimia del fuoco era impressa nella sua mente, ma quanto aveva inciso suo padre rivelava anche altro… qualcosa che Roy aveva sempre cercato di evitare.
Lui ha cancellato la parte più pericolosa…
“Riza, non devi – cercò di bloccarla lui, mettendole le mani sulle spalle – mi ricorderò senza problemi… non devi esporti in questo modo per me…”
“Me lo dici ancora?” si trovò a chiedere arrossendo, mentre quell’esigenza di mostrare la schiena assumeva un nuovo e profondo significato.
“Cosa?”
“Che… che sono bella… che il mio corpo è… è bello… nonostante…” si sentì impazzire, dovette trattenere le lacrime colta da un’ondata emotiva che non si aspettava.
Le braccia di lui l’avvolsero con dolcezza e si trovò con la testa affondata nella sua divisa che sapeva di buono, di quel profumo che metteva sempre che tuttavia si sentiva appena e solo se si era vicini a lui.
“Sei bellissima – le sussurrò all’orecchio – la tua schiena è meravigliosa, amore mio…”
 La baciò sulle guance, sulla bocca, sul collo… le sue labbra sembravano non saziarsi mai di lei. Ed in tutto questo non poteva altro che stare ferma, con gli occhi chiusi, crogiolandosi in quella felicità ed in quel compiacimento fisico che aveva segretamente temuto e bramato per tempo. Non ricambiò l’abbraccio: le sue mani erano serrate al petto, troppo impegnate a stare aggrappate alla divisa di lui.
“Riza…” sussurrò ancora.
E questa volta le sue mani sciolsero l’abbraccio per andare alla sua vita per sfilarle il maglioncino scuro dai pantaloni. Sentendo l’aria fredda sulla pelle Riza si tirò leggermente indietro: che cosa voleva farle? Voleva arrivare fino in fondo? A quel pensiero il terrore prese a farla da padrone: era Roy Mustang, aveva avuto diverse donne… lei non aveva la minima idea di come comportarsi e per l’educazione che aveva ricevuto da bambina…
Ho paura…
“Solo se lo vuoi… solo se… – lui la baciò sul lobo dell’orecchio, parlando con voce sensuale – se lo vuoi.”
Ma intanto le sue mani non avevano mollato la presa sui lembi del maglioncino e le dita si erano insinuate dolcemente sulla pelle della schiena, risalendo verso l’alto. Erano fresche eppure allo stesso tempo sembravano lasciarle una scia di fuoco.
“La schiena! – ansimò lei, girandosi di colpo per evitare che si andasse troppo avanti: non era pronta, non potevano in un momento simile, al preludio di una missione così gravosa – hai… hai bisogno del mio tatuaggio, no?”
Lo sentì esitare e se ne dispiacque: stava facendo una figura pessima, lo sapeva benissimo.
Ma le sue labbra si posarono sul suo collo, come se quell’interruzione non ci fosse mai stata…
Il maglioncino venne sollevato con una semplicità disarmante e pochi secondi dopo era a terra.
Le vede… le sta guardando – Riza dovette trattenere le lacrime – oh cielo, ti prego… fa che non gli facciano troppo schifo!
Quella scia di baci roventi sulla schiena non si arrestava: era imprigionata tra le sue braccia che la tenevano stretta, praticamente impossibilitata a muoversi. E le sue labbra continuavano a farle scoprire sensazioni assurde e meravigliose… le sentì avvicinarsi sempre di più alle cicatrici e poi ebbe la certezza che le stava baciando. Fisicamente non sentiva niente, ma il brivido emotivo che provava non poteva trarla in inganno.
“Hai una schiena stupenda…” le disse di nuovo lui.
Le mani sciolsero l’abbraccio e andarono alla schiena, alla fascia di stoffa del reggiseno.
“Roy…!” ansimò sospesa in quel limbo.
“Solo quello che vuoi, amore mio… solo quello che vuoi…” le sussurrò.
Fu solo questione di qualche minuto prima che fossero nel letto di lui.
 
Coloris fluxus in vultus rectus cuantum indissolubili qualitas reverto…*
Roy passò l’indice lungo la schiena di Riza, leggendo quella scritta.
In realtà c’era solo la cicatrice rossastra ma lui aveva ben impressa nella mente ogni singola parola e segno di quella schiena. Adesso che la riguardava era come se la memoria avesse ripreso a funzionare nel modo giusto: non c’era più la cicatrice ma quelle scritte perfette su quel supporto meraviglioso.
E aequal MC2 Mm C2 aequale Mm C2 et ½ Ms V2…
E poi le possibili reazioni di una pompa di fusione all’idrogeno.
La parte più pericolosa degli studi di Berthold Hawkeye, quelli che parlavano di un’arma di distruzione di massa. Pensare di avere tra le mani un potere ben superiore a quello della solita alchimia del fuoco faceva davvero paura: adesso capiva bene l’ansia di Riza nel voler cancellare per sempre quelle formule.
Kyril tuttavia non è arrivato a queste intuizioni – rifletté – lui tende ad usarlo come una fiamma, non ha la minima idea di che cosa potrebbe fare.
E così il mistero era svelato.
Certo non rendeva più facile il suo compito di domani: il duello con quel pazzo sarebbe stato comunque assai difficile considerate le sue capacità di dominio.
Riza mormorò qualcosa nel sonno e questo gli fece completamente dimenticare l’incombente missione. Era così perfetta con la schiena, in parte coperta dai capelli biondi, che sporgeva fuori dalle coperte, pronta per essere di nuovo abbracciata.
Non aveva assolutamente pensato che avrebbero fatto l’amore così presto.
Aveva messo in conto che sarebbe successo una volta tornati a casa, ad Amestris, ma le cose erano andate diversamente dai suoi piani. Ma non importava.
Con un sospiro si strinse a quella schiena perfetta, trovandola incredibilmente tiepida e morbida.






*le formule e le scritte sono quelle davvero presenti nel tatuaggio di Riza

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Capitolo 29
*** Capitolo 28. Il volo del falco ***


Capitolo 28.
Il volo del falco



Il solitario sistema montuoso che circondava la vallata della capitale aveva la maggior parte delle vette ricoperte da nevi perenni. In tutti i punti cardinali vi erano dei valichi abbastanza agevoli che avevano consentito, tra le altre cose, la costruzione della linea ferroviaria. Tuttavia diversi tratti di quelle montagne erano difficilmente accessibili e le poche costruzioni ivi presenti risalivano ad epoche antiche dove una simile posizione faceva comodo contro le avanzate nemiche.
“La montagna del Serpente – dichiarò Alexand, fermando il suo cavallo ai limiti della vallata ed accennando col mento al massiccio roccioso che si ergeva davanti a loro – per secoli baluardo della famiglia Drachvoic nella difesa di questa parte di confine.”
“E’ davvero ripido – commentò Roy, fissando con aria critica la montagna – dubito che i cavalli ce la possano fare. Non avrà intenzione di farcela scalare a piedi, barone.”
“C’è un sentiero il cui accesso è occultato ai più: è ben nascosto dalle rocce ma è facilmente praticabile dai cavalli ben addestrati come i nostri. Tenete salde le briglie e lasciate fare a loro: l’istinto li guiderà nelle parti più sicure della pista, non c’è nulla da temere.”
“Non è tanto la pista a preoccuparmi quando Kyril – commentò Shao, mentre Mio e Sin affiancavano le loro cavalcature immediatamente dietro quella del loro signore – appena si accorgerà della nostra presenza sono certo che ci darà il benvenuto a modo suo.”
“Allora ci conviene essere discreti il più possibile: la torre si trova circa a milleottocento metri d’altezza… vediamo dove riusciamo ad arrivare.”
Batté appena gli stivali sul fianco del suo destriero e si avviò verso quella parte di montagna che sembrava inaccessibile.
“L’alkaestry può agire sulla neve?” chiese Roy.
“Posso fare in modo di muoverla in maniera discreta, ma devo sempre far ricorso al cerchio per il flusso di potere…” e accennò al ventaglio che portava appeso alla cintura.
“Certo che richiede…”
“Oh, suvvia generale, non mi sottovaluti – sorrise – lei pensi alla sua parte e lasci il resto a me. Usare l’alkaestry sulla neve o sulle sabbie del deserto non mi cambia molto.”
 
“Sembrano così inaccessibili – ammise Riza, fissando dalla finestra le montagne che si vedevano in lontananza – e non è che siamo abituati a simili terreni.”
“Non sarà una vera e propria battaglia, signora – le ricordò Breda – non è necessario che il terreno abbia determinate caratteristiche. Certo, il generale dovrà fare parecchia attenzione con la sua alchimia, ma sono sicuro che saprà come meglio agire.”
Riza abbandonò quella postazione davanti alla finestra e tornò verso la stanza di Fury, andando a sedersi sul letto del ferito. Il tenente in quel momento dormiva per via dei sedativi che gli erano stati ancora somministrati dopo una notte non proprio facile a causa del dolore. Cercando di pensare ad altro, la donna gli sistemò meglio le coperte, evitando di incontrare lo sguardo del resto della squadra che, per istinto, si era riunita nella stessa stanza ora che il loro leader era in missione, come a farsi forza a vicenda e cercare di mascherare le proprie apprensioni.
“Ma sì – proseguì Havoc, accendendosi una sigaretta – e poi con loro c’è anche il principe di Xing: da quanto mi avete raccontato quello lì mica è uno sprovveduto. E anche le sue guardie del corpo non devono essere male.”
“Non mi pare il caso di fumare in una stanza dove c’è un ammalato, signore…” gli ricordò Falman.
“Vado vicino alla finestra, ho capito – sospirò il biondo, aprendo appena una vetrata per buttare fuori il fumo – cavolo! Oggi è proprio una giornata fredda, spero che il generale si sia coperto bene.”
 
Qui si sta peggio che a Briggs!
Nonostante fosse vestito in maniera più che pesante e sopra indossasse uno spesso mantello foderato di pelliccia, Roy sentiva che il vento gelido di quella montagna riusciva comunque ad arrivare al suo corpo. Quella montagna sembrava essere il regno del freddo e quel sentiero era come una galleria per l’aria gelida che proveniva dalla vetta. Doveva tenere lo sguardo basso, altrimenti gli occhi avrebbero iniziato a lacrimare e sicuramente qualche pezzetto di neve l’avrebbe colpito: la sua visuale era ridotta alle sue mani guantate strette spasmodicamente attorno alle redini della sua cavalcatura, il cui manto scuro era in parte coperto da particelle bianche.
Con uno sforzo di volontà alzò appena la testa per cercare di intravedere la sagoma di Alexand che procedeva a qualche metro da lui.
“A che altezza siamo?” gridò, per farsi sentire.
“Quasi seicento metri – esclamò di rimando l’altro, la sua voce trasportata dal vento – per ora è andata tutta liscia. C’è una sorta di bivio poco più avanti, con una pietra miliare a segnare il percorso da seguire…”
“Potrebbe essere il luogo ideale per un primo attacco?”
“Non è da escludere!”
“Sentito principe?” chiese Roy, girandosi verso Shao che chiudeva la piccola carovana assieme alle sue guardie del corpo.
“Assolutamente – annuì l’altro – Mio, Sin… precedeteci!”
Senza che ne Roy ed Alexand avessero tempo di obbiettare, i due guerrieri scesero dalle loro cavalcature, legando le redini e poi passandole al loro signore, e con agili balzi corsero in avanti per precedere il gruppo. Dopo dieci secondi erano già scomparsi dalla visuale di Roy.
Mai… mai e poi mai avrei mandato i miei uomini allo sbaraglio!
“Si fidi, generale – Shao gli si affiancò per quanto permetteva il sentiero – li lasci fare!”
 
Come se quell’annuncio di Alexand e l’allontanamento dei gemelli fossero stati uno strano ed oscuro presagio, Roy iniziò a sentire il pericolo incombere in maniera seria sopra di loro. Non si trattava di una vera e propria manifestazione fisica: il sentiero era sempre lo stesso, così come il vento freddo, però avvertiva la sensazione di esser tenuto d’occhio mano a mano che il suo cavallo procedeva, come se un invisibile nemico stesse calcolando in che punto esatto fargli cadere addosso una valanga.
Cercò di far finta di niente, di non farsi prendere dal panico: quando sentì il suo destriero sbuffare con impazienza gli posò una mano sul collo per calmarlo.
Eppure quella sensazione continuava ed era sicuro che anche Alexand e Shao Ming la sentissero, sebbene pure loro procedessero senza esitazioni.
In fondo ce lo dovevamo aspettare: siamo in territorio nemico… siamo osservati speciali. Siamo come soldati che sono usciti dalle trincee per avanzare carponi.
“Ecco il bivio…”
Probabilmente Alexand aveva pronunciato quella frase tra sé e sé, ma il vento l’aveva fatta arrivare alle orecchie di Roy. Alzando lo sguardo il generale vide come, poco più avanti, c’era una sorta di spiazzo innevato parzialmente preservato dalla tempesta di vento e nevischio che imperversava.
Il barone fermò il suo cavallo nel punto in cui il sentiero si allargava e permise agli altri due di affiancarsi.
“Lì c’è la pietra miliare – disse, indicando un cippo alto quasi un metro parzialmente nascosto dalla neve – siamo a ottocento metri, praticamente a metà strada per arrivare alla vecchia torre di guardia. Dopo questo bivio il sentiero si fa ancora più ripido, quindi conviene procedere con cautela…”
Si fermò senza terminare la frase, iniziando a fissare con sospetto il paesaggio circostante.
A quel punto l’intuito del soldato avvisò Roy che il pericolo si stava avvicinando molto in fretta, come se avesse deciso di smettere di osservare per passare all’attacco.
“Quindici… no, venti! – annunciò Shao a voce bassa, recuperando il suo ventaglio – e stanno scendendo in fretta dal versante.”
“Non dovevano essere solo Kyril e Leto Tojanev?” sibilò Roy, mentre i cavalli iniziavano ad intuire il pericolo e scartavano nervosamente.
“Si muovono velocemente – avvisò il principe scendendo dalla sua cavalcatura – Mio, Sin, tenetevi pronti!”
“Sono Ileti!” esclamò Alexand, sguainando la spada con ferocia mentre i primi nemici comparivano sulla radura.
Anche se Roy non li aveva mai visti combattere, aveva sentito il resoconto di Riza ed Havoc. Tuttavia vedere dal vivo quelle lance che si muovevano a velocità vertiginosa era sconcertante ed ipnotico. Era una spettacolare danza di equilibrio e coordinazione in cui sembrava che quei guerrieri non avessero rivali: persino gli spruzzi di neve che sollevavano facevano da perfetta scenografia per i loro movimenti.
“Li lasci a noi, generale!” disse Alexand scendendo da cavallo e facendosi avanti a spada sguainata.
“Mot'end exe! Non lasciatene vivo nemmeno uno!” esclamò una voce da più in alto.
“Leto – gridò il barone – non nasconderti dietro a loro e vieni a batterti da vero nobile!”
“E’ riuscito a farsi l’esercito personale!”
Roy si tirò meglio il guanto  destro pronto a scatenare l’alchimia del fuoco: certo all’aria aperta e con tutta quella neve in movimento sarebbe stato ben difficile ottenere il giusto controllo.
No, non posso… dannazione! – rifletté, vendendo che ormai sia il principe Ming che il barone erano troppo vicino ai nemici – Rischio di colpire pure loro e…
Un boato interruppe i suoi pensieri e, quasi simultaneamente, un forte getto di neve uscì dal terreno, andando a colpire due guerrieri Ileti che vennero sbalzati contro la parete rocciosa. Sconcertato da quel geyser inconsueto, Roy dovette mettere tutta la sua buona volontà per calmare il suo destriero che stava impennando e nitriva dallo spavento
“Barone si tenga lontano!” esclamò Shao, lanciando con rapidità le piume del suo ventaglio al suolo e mettendo una mano sopra il cerchio alchemico creato. Passarono solo due secondi prima che altri getti di neve si creassero proprio in mezzo ai nemici.
Solo allora Roy notò come, un decimo di secondo prima che la neve esplodesse in simili getti, sul terreno si illuminava qualcosa di vagamente simile ad un cerchio. E capì finalmente quale era stato lo scopo dell’avanzata delle due guardie del corpo: l’avanscoperta era servita a piazzare degli stiletti nascosti nella neve in modo da creare dei cerchi alchemici attivati successivamente dal principe.
Ovviamente una simile strategia ebbe il potere di mettere nel panico gli Ileti che, già in un territorio a loro estraneo, ora si trovavano ad avere a che fare anche con qualcosa di soprannaturale e al di fuori della loro portata.
Approfittando della confusione generata dall’ultima esplosione, Alexand si scagliò in avanti e piantò la sua spada nel fianco dell’avversario più vicino, facendogli sfuggire di mano la sua temibile lancia. Con una smorfia il barone rigirò la lama nel corpo del nemico e poi la estrasse con uno spruzzo di sangue che andò a macchiare la neve immacolata vicino a loro. Quella macchia rossa, che risaltava brutalmente in un paesaggio dove a farla da padrone erano il bianco e l’azzurro del cielo, stranamente visibile nonostante la tempesta, ebbe il potere di far retrocedere gli Ileti.
“Esitano – commentò Shao, accostandosi al barone ed evitando con cura il corpo agonizzante dell’Ileta – forse è troppo per loro.”
“Di certo non si aspettavano l’alchimia, ma mi hanno anche riconosciuto – spiegò Alexand, leccandosi le labbra – diversi di loro sono stati feriti da quei getti di neve… senza contare che non sono assolutamente abituati ad un simile clima rigido. Quante volte potete ripetere ancora quel giochetto?”
“Altre quattro – rispose il principe – ma Mio e Sin sono pronti ad intervenire.”
“Non si arrenderanno… il loro onore gli imporrà di morire a prescindere dalle circostanze…”
“Se è questa la loro scelta non vedo il motivo di esitare ancora… capiscono la nostra lingua?”
“No.”
“Molto bene, allora tenetevi sulla sinistra mentre combattete… Mio, Sin: ultimi quattro e poi attaccate senza pietà!”
 
Quello che successe nei minuti successivi fu davvero difficile da comprendere.
Dopo gli ultimi quattro getti di neve si scatenò un vero e proprio inferno, con i due guerrieri di Xing che apparvero all’improvviso dalle rocce come felini impazziti e si buttarono in mezzo agli Ileti. A quel punto, istigati dal nuovo pericolo incombente, un pericolo questa volta accettabile e conosciuto, gli abitanti delle paludi ripresero coraggio e le loro lance iniziarono a muoversi con destrezza, cercando di colpire quegli elusivi avversari.
Roy, costretto a stare in disparte, poté solo estrarre la pistola e tenerla pronta, anche se dubitava di poter far partire il colpo per paura di colpire i suoi alleati: i movimenti erano troppo rapidi ed era difficile anche solo poter seguire l’azione.
Merda… merda, che rapidità!
Per lui, avvezzo ai combattimenti militari dove la rapidità molto spesso consisteva nell’estrarre l’arma, quel tipo di corpo a corpo era davvero inconcepibile. Si convinse rapidamente che solo le arti marziali di Xing potevano competere contro quei rapidi uomini dalle lunghe lance. Però si rese subito conto di sbagliarsi: il suo sguardo corse ad Alexand che con rapida precisione recideva un braccio ad un avversario. Quella pesante spada di famiglia che, molto spesso, aveva ritenuto meramente ornamentale, si era all’improvviso trasformata in un’arma letale che non aveva nulla da invidiare ai pugnali utilizzati dagli uomini di Xing.
Ed il conto dei morti e dei feriti parlava di una netta supremazia del barone e dei suoi alleati: a terra giacevano i cadaveri di almeno dodici Ileti, mentre altri tre erano agonizzanti ed impossibilitati a combattere.
“Alexand!” esclamò Roy, notando all’ultimo un movimento alle spalle del barone.
Fece partire il colpo di pistola e questo, effettivamente, ebbe il potere di salvare la vita del nobile Anditev. La lancia Ileta penetrò nel braccio sinistro ma non ebbe modo di affondare in maniera grave. Lo sparo riecheggiò per diversi, interminabili secondi, mentre l’Ileta si accasciava al suolo con il cranio fracassato dal proiettile, i suoi arti che si muovevano convulsamente per i chiari danni al cervello spappolato.
Quel rumore fu sufficiente a far fermare tutti quanti per qualche secondo: si guardarono tutti increduli e fu solo una mera questione di chi era più rapido a recuperare il controllo della situazione. E a farlo furono le due guardie del corpo del principe Ming: con una coordinazione e delle piroette che non avevano niente da invidiare a quelle dei guerrieri Ileti, si scagliarono contro gli ultimi quattro avversari, riuscendo a recidere la gola ai primi tre e piantando i pugnali nel petto del quarto con un’azione simultanea.
Quello spiazzo ormai di bianco aveva ben poco.
 
Per quanto Alexand cercasse di negarlo la situazione del suo braccio era seria.
Il principe Shao aveva immediatamente provveduto a denudare l’arto, tagliando con un pugnale la tunica e la camicia sottostante del barone. Sulla pelle chiara spiccava la lancia, penetrata poco sopra il gomito: la fuoriuscita di sangue era minima, ma attorno all’asta si era formato uno strano alone violaceo.
“Bisogna estrarla immediatamente – sibilò Shao – sta infettando…”
“No – scosse il capo Alexand, con voce calma – con molta probabilità è veleno del cobra di palude… alcuni guerrieri ottengono dai sacerdoti l’onore di usarlo nelle loro lance… di.. di che colore è la striscia sul bastone?”
“Nera.”
“Veleno – confermò Alexand, chiudendo gli occhi – ci impiegherà una decina di ore ad agire del tutto e uccidermi… posso ancora combattere, tanto la spada la uso con la destra.”
“Parole davvero spavalde, mio signore – dichiarò Shao, prendendo il bastone nel punto più vicino alla ferita ed estraendolo con un unico, brusco movimento che fece ringhiare di dolore il nobile e provocò la fuoriuscita di diverso sangue – ma quello che più preme è salvarvi la vita. L’alkaestry può in qualche modo contrastare il veleno almeno temporaneamente, ma è necessario che torniate subito alla Cittadella: sicuramente l’Autarca conosce l’antidoto che fa al caso vostro.”
“Preparo i cavalli.” dichiarò Roy.
“No!” sbottò Alexand, alzandosi in piedi con rabbia.
“Il solito sangue caldo Anditev, barone? – chiese Shao, fasciandogli strettamente la ferita e bloccando così quella piccola emorragia – Mi pare il caso di tenerlo sotto controllo almeno questa volta.”
“Passatemi la spada.”
“Barone – iniziò Roy – non…”
“Vieni avanti, Leto Tojanev – esclamò Alexand a voce roca, mentre Sin gli passava l’arma dopo averla rispettosamente pulita su un nemico ucciso – hai evitato per troppo tempo il duello.”
Tutti gli altri si girarono nella direzione dove gli occhi febbrili di Alexand guardavano.
Leto Tojanev era sceso in campo.
 
Il figlio maggiore di Iretev Tojanev era alto, biondo, snello, proprio come i membri della sua famiglia. Aveva circa quarantacinque anni e già i capelli iniziavano ad arretrare all’altezza delle tempie, facendo presagire che da anziano sarebbe somigliato tantissimo al padre.
Tuttavia, al contrario del genitore, Leto sembrava non aver ereditato l’impassibilità dei Tojanev. Il suo viso invece di essere calmo ed impassibile, lasciava trasparire le emozioni in maniera abbastanza chiara: quello che Roy vide nel volto di quell’uomo, che si avvicinava a loro, vestito con una semplice tunica viola sopra i pantaloni scuri e gli stivali neri, fu la certezza di avere la vittoria in pugno.
Questo lo spinse a correre verso Shao e afferrarlo per la manica.
“Impedisci questo duello, principe… sarebbe pura follia farlo combattere così.”
“Troppo tardi, generale – scosse il capo l’altro, con aria cupa – è una tradizione così antica che non oso intromettermi. Il giovane Alexand ha preso questa decisione in quanto campione dell’Autarca: impedirgli di combattere sarebbe insultarlo a morte.”
“E allora lo facciamo morire? Hai parlato tu stesso del sangue caldo degli Anditev: quello non sta ragionando a sangue freddo. Ha il braccio sinistro fuori uso!”
“Io, Alexand Frederick Anditev, barone di Anditev, campione dell’unico vero erede al trono di Drachma, Derekj Dars Drachvoic, accuso te, Leto Tojanev, di alto tradimento, complotto contro il nostro legittimo sovrano e supporto ad un usurpatore… in nome delle antiche tradizioni ti sfido a duello per eseguire la tua sentenza.”
“Ed io Leto Tojanev, accetto questo duello, barone – disse l’altro con voce melliflua – tenendo conto che siete stato voi a voler combattere nonostante le ferite.”
“State indietro!” ringhiò Alexand, rivolgendosi a Roy e agli altri.
“Principe di Xing – esclamò Leto – voi ed il generale di Amestris siete testimoni di questo duello e del suo verdetto.”
“E sia…” annuì Shao con voce ferma, facendo cenno a Mio e Sin di non intervenire.
E a Roy non restò che osservare quello che ai suoi occhi era un duello chiaramente impari.
 
Per quanto il veleno impiegasse diverse ore prima di fare effetto in maniera davvero drastica, Alexand sapeva che era già entrato in circolo. La cosa migliore da fare sarebbe stata sdraiarsi e calmare il respiro in modo da evitare che il sangue scorresse troppo in fretta facendosi così veicolo delle tossine.
Tuttavia ormai l’adrenalina si era impossessata del barone Anditev: nonostante sentisse il braccio sinistro pesante e formicolante e ogni tanto la vista gli si velasse, non aveva la minima intenzione di cedere davanti a quello che era il suo obbiettivo.
Per tutto quel tempo dalla morte del Patriarca si era sentito estremamente impotente, alla ricerca di un nemico che fosse alla sua portata, senza alcuna alchimia o altra diavoleria. Gli serviva un colpevole che andasse bene per i suoi canoni e finalmente aveva trovato Leto Tojanev.
Era lui il suo obbiettivo, non gli importava più di Kyril Esdev o di tutto quello che ruotava attorno a lui: il suo mondo si era ridotto a quel duello, questione di vita o di morte.
Si mise a gambe larghe sulla neve, cercando di tenere un equilibro che, di secondo in secondo, diventava sempre più precario. La parte militare della sua persona lo avvisò che doveva chiudere quel duello nel più breve tempo possibile, altrimenti la spada sarebbe diventata troppo pesante per esser maneggiata con decenza. Già dover far a meno della statica fornita dal braccio sinistro, che gli sembrava un peso morto, comprometteva le sue capacità.
Non importa… non importa… sei più giovane di lui, più allenato: per i primi minuti puoi ancora far affidamento ai riflessi.
Rimase fermo, osservando con calma il suo avversario che si muoveva attorno a lui come un animale incerto su come attaccare. Serrò maggiormente la mano sull’elsa della spada, cercando rassicurazione in quel freddo metallo che conosceva a memoria, in ogni sua singola scalfittura o decorazione. Gli Anditev erano troppo pragmatici per pensare ad una spada puramente cerimoniale: per quanto decorata e pesante la sua era una vera e propria arma… un maschio Anditev sin da ragazzino si allenava con spade di legno di peso molto superiore alla media.
Ha solo una normale spada – valutò – lui è mancino… devo fare attenzione.
Sollevò leggermente la sua arma, provocando una lieve esitazione nel suo avversario. Questo lo confortò: il fatto che Leto lo vedesse ancora come un pericolo gli dava un certo vantaggio.
“Preferisci che sia il veleno ad uccidermi?” chiese con un sorriso sarcastico, ignorando una lieve ondata di vertigine che salì improvvisa.
“Potrei…” disse Leto che in quel momento si trovava dietro di lui.
L’istinto fece quello che la mente non era in grado di fare: condizionato da anni ed anni di allenamenti e combattimenti avvertì il movimento della spada avversaria non appena questa venne alzata più del previsto. Con una manovra che conosceva a memoria si girò di lato e parò quel lieve affondo, respingendo poi l’avversario qualche metro più indietro.
Quel semplice movimento, praticamente una delle basi del combattimento, gli costò una nuova ondata di vertigine e questo gli fece capire che il tempo a disposizione era meno del previsto. Probabilmente anche Leto intuì la medesima cosa, perché il sorriso che apparve sul suo viso affilato era quello di un predatore che ha appena capito di aver messo la sua pericolosa preda all’angolo.
Ma tu… tu sei solo una stupida pernice… ed io un falco…tra noi non sono io la preda!
Ebbe appena il tempo di pensare questa frase che dovette parare un nuovo attacco da parte di Leto.
Iniziò così una sfilza di botta e risposta in cui tutto quello che riusciva a fare era parare, con sempre più difficoltà quei fendenti che sembravano provenire da tutte le parti, instancabili e rapidissimi. Era una tortura automatica, con il suo braccio destro che si sentiva sempre più intorpidito per quella spada che, secondo dopo secondo, si faceva più pesante… solo una primordiale forza di volontà lo obbligava a tenere salda la presa e a muovere l’elsa come aveva imparato col tempo.
Non smettere o muori!
Era questo il messaggio che gli inviava l’adrenalina ogni volta che era sul punto di cedere, come se una scossa elettrica gli desse ancora energia per il movimento successivo.
Le sue gambe, tuttavia, ad un certo punto non ce la fecero più e con un balzo indietro cadde in ginocchio.
“Suvvia, barone, tutto qui?”
La voce di Leto era carica di velenoso sarcasmo e questo ebbe il potere di far imbestialire Alexand. Tuttavia come provò ad alzarsi un conato di vomito lo colse improvvisamente e si dovette piegare di lato per vomitare bruciante bile.
Merda… merda…
Sentì, in un angolo remoto della sua mente, che il generale Mustang ed il principe Ming stavano dicendo qualcosa, probabilmente lo incitavano. E lui voleva davvero alzarsi… non tanto per loro, ma per Derekj: l’aveva nominato suo campione, gli aveva dato l’onore di essere il responsabile della sua protezione… non poteva fallire in una maniera così misera.
Non contro… una dannata pernice!
“Possiamo concludere qui il duello – dichiarò la voce di Leto – la vita del barone è mia.”
“Non mi pare il caso di dargli il colpo di grazia, non è in grado di combattere! E’ stata tutta una farsa, prendo io il suo posto!”
“Non esiste una possibilità simile, Amestriano! Un nobile di Drachma non duella con gente di rango inferiore! Principe, trattenete le vostre guardie del corpo!”
“Non… non è finita…”
Alexand rimase sorpreso nel sentire la voce trovare la forza di pronunciare quelle parole. Ma ce la fece e, contemporaneamente, facendo leva sulla spada posata verticale sul terreno, riuscì ad alzarsi in piedi sebbene con le gambe tremanti.
“L’ultimo sprizzo di orgoglio, barone? – Leto lo osservava con scherno, ma con una prima nota di preoccupazione negli occhi azzurri – Eppure mi pare chiaro che non c’è più alcuna forza nel tuo corpo…”
“Fino a prova contraria… non sono stato minimamente ferito… dalla vostra spada. Il duello si vince… o al primo sangue o all’ultimo… non vedo nessuno dei due…”
“Che patetica tragedia… il sangue Anditev è spesso stato la rovina della vostra famiglia.”
L’ultimo sprizzo d’orgoglio misto a ferocia arrivò, violento ed improvviso che nemmeno Alexand se lo aspettò. Seppe solo che, in un secondo, una nuova vampata di forza gli era penetrata fino alla più piccola fibra del suo essere. Non si fermò a chiedersi come o perché… il falco non si poneva domande quando scendeva in picchiata, affidandosi alle forze del vento
Solo due elementi: lui e la preda.
Proprio come l’orgoglioso volatile, anche lui si affidò al suo corpo a quella spinta energica che lo fece balzare improvvisamente in avanti e gli fece sollevare di nuovo la sua pesante spada. Un unico affondo, era tutto quello che cercava: il falco aveva bisogno solo di un unico, perfetto, affondo degli artigli sulla preda.
Ed arrivò.
Perché una pernice non era in grado di salvarsi dal falco una volta uscita allo scoperto.
La lama della spada della famiglia Anditev trovò il fianco di Leto, lasciato imprudentemente scoperto nella vanagloria di una facile vittoria. Affondò nella carne con tutto il peso che il giovane barone riuscì a mettere: Alexand la sentì recidere carne, organi e chissà che altro… sentì qualcosa di viscido e caldo che gli bagnava la mano… sentì il gusto della vittoria penetrare ancora una volta nella sua anima.
“Primo e ultimo sangue – sibilò – hai perso, Tojanev.”
E poi il mondo iniziò a vorticagli attorno prima che tutto diventasse scuro.
 
Roy fissò con apprensione Shao che continuava a tenere le mani sopra il braccio di Alexand.
Ormai era da diversi minuti che il principe stava intervenendo sul ferito, il viso teso e concentrato, mentre il cerchio alchemico fatto con le piume del suo ventaglio continuava ad emanare luce. Accanto a lui Mio e Sin stavano in attento silenzio, ma il generale intuiva che pure loro erano preoccupati per la durata di quell’intervento.
Finalmente il cerchio si spense e Shao si posò sui talloni, emettendo un sospiro di stanchezza.
“Dannazione a lui, è stato davvero folle a voler combattere in quelle condizioni… il veleno ha avuto occasione di propagarsi più del previsto.”
“Ce la farà? – chiese Roy, prendendo tra le mani la testa dello svenuto Alexand – siete riuscito ad annullare almeno in parte gli effetti tossici?”
“Dobbiamo portarlo subito alla Cittadella… abbiamo poco tempo. Mio, Sin, caricatelo a cavallo!”
Subito i due guerrieri si fecero avanti e presero il corpo inerme del barone provvedendo a portarlo verso le cavalcature in obbediente attesa.
“Siete sfinito anche voi – commentò Roy, aiutando Shao ad alzarsi – questo intervento vi ha distrutto.”
“Ho dovuto lottare contro ogni singola tossina, lo ammetto – sospirò Shao, scuotendo il capo – ha richiesto molta più concentrazione ed energia rispetto a quando ho guarito il vostro uomo.”
“Dovete tornare in Cittadella pure voi – dichiarò il generale sostenendolo e andando verso i cavalli – avete bisogno di riprendervi. Sono sicuro che le vostre guardie del corpo si prenderanno cura di voi e del barone per il viaggio di ritorno… in discesa sarà più agevole e dovreste farcela.”
“Oh certo… voi volete proseguire – Shao lo guardò con attenzione – è davvero prudente?”
“Ormai è solo – Roy accennò ai cadaveri di Leto Tojanev e degli Ileti – non ha più alleati.”
“Sarete solo anche voi, ve ne rendete conto?”
“Non posso rimandare, lo sapete bene. Non possiamo lasciargli nessun margine di vantaggio.”
Il principe di Xing lo fissò per una decina di secondi, sicuramente soppesando tutte le implicazioni di quella scelta. Roy fu anche sicuro che stesse per offrigli l’aiuto delle sue guardie e lo prevenne.
“I vostri uomini devono pensare a voi e al barone.”
“E sia, generale Mustang – annuì infine – proprio come Alexand anche voi siete un uomo molto testardo che vuole portare a tutti i costi a compimento il suo compito, a prescindere dalle conseguenze. Spero di vedervi tornare presto: farò venire una squadra qui, a questo bivio, così troverete soccorso nel caso vi feriste durante lo scontro con Kyril.”
“Affare fatto: adesso andate… e tranquillizzate i miei uomini.”
“Lo farò. Xeseld mes…che il cielo vi assista, amico mio.”
“Spero sarà così.” annuì Roy, stringendo la mano che gli veniva offerta.
Osservò con un briciolo di malinconia il principe che veniva aiutato a salire a cavallo da Mio. Poi, il quartetto si allontanò a ritroso nel sentiero da dove erano arrivati, lasciandolo solo con la sua cavalcatura nera.
“Bene – mormorò, salendo in sella e risistemandosi il mantello – andiamo pure.”
Anche se… dannazione, adesso vorrei davvero che ci fossero Riza ed i ragazzi con me…
 

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Capitolo 30
*** Capitolo 29. Le ragioni dell'altro ***


Capitolo 29.
Le ragioni dell'altro



Continuava a correre in quella trincea, gli stivali che affondavano sempre di più nel fango.
Le bombe e le granate scoppiavano attorno a lui, rischiando ogni volta di colpirlo, di dilaniarlo: ogni volta, seguendo l’istinto, si buttava a terra, serrando gli occhi quando il rumore del botto gli perforava i timpani. Era una trappola… una trappola fatta di pareti di terra dalle quali era impossibile uscire. E lui, come un topo in un labirinto di cartone, cercava affannosamente una via di fuga: era rimasto solo, l’unico che ancora sopravviveva in quel luogo di morte.
E poi la sua corsa si arrestò bruscamente: davanti a lui era comparso un muro di fuoco che gli impediva di proseguire. Sgranò gli occhi e arretrò, sentendo quel calore troppo intenso scaldargli il viso. E adesso? Come poteva andare avanti? Eppure lui doveva farlo! Le bombe l’avrebbero raggiunto, l’avrebbero ucciso… lui non voleva finire come tutti quei cadaveri dilaniati che aveva visto lungo quei corridoi di terra.
“Kain…” lo chiamò una voce.
“Chi è?” chiese lui, disperato, guardandosi attorno.
“Kain…” ancora un richiamo e questa volta capì che veniva oltre il muro di fuoco. Era una voce dolce, quasi angelica, prometteva salvezza, conforto… oltre quelle fiamme.
“Brucerò… –  singhiozzò, cadendo in ginocchio – non voglio morire!”
Dietro di lui il rumore delle granate era sempre più forte: era solo questione di mezzo minuto.
“Kain…”
Gli parve quasi di vedere una mano che si tendeva verso di lui, superando le fiamme.
Aggrappandosi a quel surreale brandello di speranza si alzò in piedi e si gettò in quel muro rovente…
“Kain…”
“Le fiamme…” ansimò, aprendo gli occhi.
“No, non ci sono fiamme – disse Riza, passandogli una pezzuola umida sulla fronte – è stato solo un sogno.”
“Le trincee non… non ci sono?” si guardò attorno, riconoscendo i volti preoccupati dei suoi compagni. Iniziò a prendere consapevolezza del posto dove si trovava e del dolore alla schiena. Il fuoco l’aveva dentro di sé, in quel bruciore che lo stava consumando.
“Hai la febbre alta, soldatino – la mano della donna si posò sulla sua fronte rovente – stai reagendo peggio del previsto alle ferite. Coraggio, bevi dell’acqua.”
Havoc fu costretto a sorreggerlo per aiutarlo a bere. Sentì il liquido fresco che scendeva nella gola, dandogli un minimo di sollievo. Ma era solo temporaneo, dopo qualche secondo fu assalito di nuovo da quel calore insopportabile, tanto che scostò coperte e lenzuola con grande affanno.
“Falman, apri la finestra – ordinò Riza – l’aria fresca lo aiuterà un minimo… forza, Fury, alzati un pochino, così sistemiamo il letto.”
Sempre Havoc lo prese tra le braccia come fosse un bambino, andando a deporlo nel divano che stava poco distante. Questo spostamento bastò a provocargli una forte ondata di vertigini, tanto che gli sembrò di precipitare in quelle trincee.
“Dov’è… dov’è il colonnello?” chiese con ansia, aggrappandosi alla manica di Havoc, cercando di tenersi ancorato alla realtà.
“Il colonnello? – il biondo lo fissò stranito – Fury… è generale adesso, non ricordi? Noi siamo…”
“Noi… noi dobbiamo andare da lui! – ansimò – Dobbiamo… dobbiamo farlo! Non può affrontare Bradley da solo… è pericoloso! Noi siamo una squadra… una famiglia…”
“Sei in pieno delirio, soldatino…”
L’aria gelida gli investì il viso, dandogli uno strano sollievo.
Rifletté che la cosa migliore era cercare di contattarlo via radio… sicuramente il colonnello Mustang aveva bisogno del suo esperto in comunicazione.
 
Maledizione… quando finisce questo dannato sentiero?
Roy sbuffò quando, superata l’ennesima curva, si trovò davanti ad ancora l’infinta pista che si snodava verso la vetta della montagna. Il vento gelido gli sferzò contro con maggior violenza e fu costretto ad incitare il cavallo a continuare a procedere. Ormai aveva perso la cognizione del tempo e della distanza percorsa: i minuti sembravano tutti uguali trascorsi con il lento camminare del destriero che sondava cautamente ogni passo da fare.
Il generale ringraziava il cielo che quell’animale fosse davvero affidabile e ben addestrato, tanto da sopportare la guida di uno non proprio esperto d’equitazione come lui. Tutto quello che doveva fare era impegnarsi a restare in sella e proteggersi come poteva dal freddo.
Ogni tanto i suoi pensieri correvano anche ad Alexand e al principe Ming: si chiedeva a che punto del viaggio di ritorno fossero e confidava che il loro percorso fosse molto più agevole e rapido del suo.
Il cavallo svoltò l’ennesima curva e si fermò.
Questo indusse Roy ad alzare lo sguardo e vide che era arrivato ad una sorta di piano particolarmente ampio. Per quanto la montagna proseguisse verso l’alto, in quella parte si era venuta a creare una sorta di zona riparata di oltre un centinaio di metri quadri, in parte protetta dal restante versante della montagna.
Ed in fondo a quella piana, proprio attaccata alla parete, ma con ottima visuale sul panorama circostante, vi era una torre.
Dovette sforzare la vista per poter distinguerne le linee: era praticamente mimetizzata con la roccia della montagna e persino la sua stessa struttura e le decorazioni preferivano uscire dall’architettura canonica per cercare elementi che favorissero un tale fenomeno. Il tempo e l’abbandono sicuramente avevano fatto la loro parte: una porzione dell’edificio, alto una ventina di metri, era crollata su se stessa, sul lato dove era maggiormente esposta agli elementi. In generale tutta la facciata presentava dei cedimenti e delle parti mancanti, ma sembrava che l’impianto fosse ancora staticamente sicuro.
Il cavallo drizzò le orecchie e sbuffò per il nervosismo.
Per evitare impennate o gesti inconsulti, Roy preferì scendere e lasciarlo lì all’imbocco del sentiero, quasi fosse un punto di riferimento per trovare la via d’uscita nel caso di pericolo.
E’ così è questa la sua roccaforte…
Cercò di immaginarsi il giovane Esdev all’interno di quella torre, intento a scrutare le sue mosse. Era così difficile: non gli aveva mai dato nessun sentore di pericolo nelle occasioni in cui aveva parlato con lui. Non aveva percepito la minaccia… il potere che invece si aspettava da chi deteneva un controllo così impressionante sugli elementi.
“Allora… devo entrare io o vieni tu?” mormorò, studiando ancora l’edificio e chiedendosi se fosse il caso di cercare altre entrate che non fossero quella principale.
Ma non ebbe il tempo perché avvertì il pericolo attorno a lui.
Questa volta sapeva cosa aspettarsi e non era impreparato: sentì che qualcosa si distorceva negli elementi chimici dell’ambiente attorno a lui. Fu come se all’improvviso la concentrazione d’ossigeno si facesse molto più importante e questo gli fece intuire che buona parte di esso derivava dalla neve, dopo esser stato slegato dall’idrogeno. Intuendo di avere pochissimo tempo a disposizione prima della comparsa delle fiamme azzurre o prima che di perdere i sensi per una così elevata quantità di ossigeno, si concentrò sul cerchio alchemico dei suoi guanti chiuse gli occhi. Immediatamente l’ossigeno cadde sotto il suo controllo e con la maggior parte di esso creò una spessa ed invisibile barriera attorno a lui, una gabbia che gli lasciasse una bolla d’aria sana dove poter respirare.
Dopo qualche secondo sentì una forza inusuale cercare di forzare quel muro invisibile: per quanto ancora non si fossero concretizzate le fiamme azzurre, le particelle d’idrogeno tentavano di raggiungerlo. E qui Roy fece un grossissimo azzardo che, tuttavia, aveva studiato nei minimi dettagli.
Cercò il controllo anche dell’idrogeno.
 Era un’impresa estremamente difficile dato che era un elemento molto più tosto rispetto all’ossigeno con cui aveva maggior confidenza, senza contare che quelle particelle erano già sotto il dominio di Kyril. Sentì le molecole cercare di ribellarsi come se venissero tirate da due forze di volontà differenti.
No, non te le voglio rivoltare contro, tranquillo!
Semplicemente recuperò anche l’ossigeno e cercò di riformare l’acqua.
Due parti d’idrogeno e una d’ossigeno, un’operazione ripetuta miliardi di volte nello stesso arco di tempo: pochi secondi.
Fu un effetto ottico strano: essendoci anche la forza di Kyril a manipolare l’idrogeno non riuscì a creare l’acqua, cosa che, onestamente, non aveva mai fatto. Quello che ottenne fu uno strano spettro trasparente al limite tra il gassoso ed il liquido… uno strano muro che distorceva il paesaggio circostante e sembrava lottare contro se stesso per decidere quale forma tenere.
Forza, dannato, cedi!
Quello strano scontro durò altri trenta, interminabili, secondi prima che finalmente la forza estranea cedesse. Quasi colte di sorpresa da quell’improvvisa libertà le molecole impattarono tra di loro, ma non ebbero il tempo di creare dei danni perché anche Roy mollò la presa e, riprendendo il loro normale funzionamento, andarono a mischiarsi nella neve circostante.
Solo a quel punto, quando capì che tutto aveva ripreso a funzionare secondo i ritmi della natura, Roy si concesse un respiro di sollievo. Tuttavia rimase estremamente guardingo, aspettandosi un secondo attacco da un momento all’altro. Con prudenza, sperando che il gesto fosse visto solo come un normale modo per proteggersi dal freddo, strofinò i palmi delle mani guantate tra di loro, sentendo con soddisfazione che, nonostante il clima umido, lo sfrigolio per creare la scintilla era ancora funzionante.
Preferirei evitare… qui se si crea un’esplosione crolla tutto e…
Un applauso interruppe i suoi pensieri e lo fece girare verso l’ingresso della torre.
La porta di legno marcio era stata aperta e una snella figura stava scendendo i tre gradini di pietra.
Roy ricordava Kyril Esdev come un giovane sempre vestito comodo, lontano dagli sfarzi di altri suoi coetanei. Anche in quell’occasione non aveva smentito la sua natura: indossava dei pesanti calzoni scuri nascosti in buona parte dagli stivali foderati di pelliccia e poi un ampia tunica, forse un po’ troppo grande per lui. Man mano che si avvicinava, sempre battendo le mani in gesto d’approvazione, Roy notò come il suo viso non fosse per niente minaccioso… anzi, avesse un’espressione particolarmente entusiasta, come una persona che ha finalmente trovato qualcuno degno di considerazione.
“Eccellente, davvero eccellente, generale Mustang! – esclamò infatti quando arrivò davanti a lui – non credo di aver mai visto niente di simile!”
Roy non rispose a quei complimenti tutto sommato sinceri; si limitò a stare fermo e ad osservarlo con aria impassibile, rifiutandosi anche di rispondere a quella mano che gli veniva tesa.
“Capisco – commentò Kyril con un sorriso lievemente contrito – è più che naturale, siete venuto qui con l’intenzione di sconfiggermi. Il fatto che siate arrivato fino alla torre mi fa pensare che il povero Leto ed il suo gruppo di Ileti siano stati sconfitti… del resto con il barone Anditev e con il principe Ming non bisogna mai scherzare.”
Roy si controllò per evitare di sgranare gli occhi per la sorpresa. Si disse che era più che naturale che fosse stato in qualche modo informato della spedizione che era partita dalla Cittadella: anche se i Tojanev avevano formalmente abbandonato il loro familiare di certo non disdegnavano di mandare dei minimi aiuti.
Oppure ancora hanno uno spiraglio di speranza per te?
“Dato che le mie intenzioni vi sono chiare… mi seguirete senza fare storie oppure vogliamo di nuovo confrontarci?”
Kyril lo fissò con i suoi bei occhi azzurri che, in quel momento, probabilmente riflesso dell’eccitazione che stava provando, sconfinavano nel grigio argento.
“Un altro confronto sarebbe interessante, lo ammetto: in tutti questi anni ho sempre agito su delle persone che non capivano niente di alchimia. Potermi cimentare con uno dei maggiori alchimisti di Amestris sarebbe un grandissimo onore. Però ammetto che in questo frangente preferirei invitarvi nel mio piccolo rifugio per fare quattro chiacchiere con voi… poi, una volta finito, potrete decidere come agire, non vi pare una proposta ragionevole, generale?”
Con un gesto elegante della mano indicò la torre.
Il primo pensiero di Roy fu che Kyril sarebbe stato senza dubbio un eccellente diplomatico: era stato gentile e garbato, tuttavia le sue parole avevano fatto sottintendere che un duello con lui non era assolutamente da sottovalutare. Un vero e proprio ambasciatore che, con modi cortesi, fa presente al nemico che una guerra sarebbe molto sconveniente.
Questo ha in mente qualcosa…
Tuttavia annuì impercettibilmente e iniziò a seguirlo verso una torre: sapeva benissimo che poteva essere una trappola, ma al momento non vedeva alternative. Certo, avrebbe potuto scatenare contro di lui l’alchimia del fuoco, minacciarlo con la pistola, agire da soldato… ma stupidamente una parte sciocca ed orgogliosa di lui si era ancora scoperta assetata di conoscenza ed in parte gelosa nel sapere che qualcun altro oltre a lui possedeva simili segreti.
Forse aveva ragione il tuo maestro, Roy: non sei mai stato pronto.
 
I corridoi della sede di Radio Capital sembravano non finire mai.
Lui continuava a correre, più veloce che poteva, spinto dall’urgenza. Cercava di ignorare il dolore alle gambe e tutta la stanchezza che provava dopo quel viaggio estenuante che dai confini con Aerugo l’aveva riportato a Central City per il giorno della Promessa.
Doveva sbrigarsi, doveva fare in tempo!
Non importava se l’edificio era circondato dai soldati di Central, non importava se ad ogni finestra rischiava di venir colpito da qualche proiettile. Lui aveva un unico grande obbiettivo, sebbene sembrasse irraggiungibile ad ogni passo che faceva.
Cadde a terra e l’impatto gli levò il fiato già difficile da trovare nei suoi polmoni. Tossì e cercò di rialzarsi, ma la stanchezza gli fece venire un forte attacco di vertigini.
“No – scosse il capo, posandosi contro la parete – non cedere… devi dirglielo, devi…!”
Trovò la forza di alzarsi e riprendere a camminare con passo barcollante.
E poi, dopo tempo indefinito, il miracolo! Ecco la sala delle trasmissioni, con la spia rossa accesa ad indicare che il programma era in onda.
Quasi cadde sulla porta, spalancandola… si guardò attorno, notando gli sguardi attoniti dei presenti. Alcuni era anche sicuro di averli visti da qualche parte, specie quello robusto con i capelli rossicci. Ma non importava: aveva visto la radio: stava lì, nell’altra stanza, oltre quel vetro.
Si catapultò verso la porta dove c’era la scritta di non entrare, ignorando tutte le esclamazioni di sorpresa e le voci che cercavano di fermarlo. Entrò in quella stanza dove stava parlando una signora dai capelli castani, ormai spenti, ed il viso solcato dalle lacrime. Ma non badò nemmeno a quello.
Prese il microfono, prima che fosse troppo tardi.
“Colonnello! Colonnello, non deve! Scappi! Scappi!”
“Smettila di dimenarti così – qualcuno lo scosse con violenza fino a fargli aprire gli occhi – Fury!”
“Sottotenente?”
“Scemo, guarda che sono maggiore adesso! – esclamò Havoc – forza, apri questa bocca e prendi la medicina: ti darà una calmata per questi incubi.”
“Coraggio, soldatino – lo incitò Riza, porgendo un cucchiaio pieno di uno strano liquido denso – è solo questione di un attimo. Poi ti potrai riaddormentare e vedrai che il tuo sonno sarà molto più tranquillo…”
“No… no – ansimò – io… io devo avvisarlo… devo avvisarlo! Lui non deve!”
“Non deve cosa? Era solo un sogno…”
“Io… non lo so – ammise, non rendendosi conto di dire cose senza senso – però… però… noi dobbiamo stare assieme, vero? Vero…?” la frase venne interrotta dal cucchiaio che gli venne messo tra le labbra: il liquido era amarognolo e pastoso.
“Certo, soldatino, stiamo assieme… lo vedi pure tu.”
No… no… dov’è il colonnello?
 
Era chiaro che Kyril Esdev aveva fatto di quella torre il suo rifugio da parecchio tempo. Anche se buona parte della struttura era inutilizzata, aveva risistemato alcuni ambienti fino a renderli parecchio confortevoli. Per esempio la stanza dove si trovavano, al primo piano, aveva il pavimento interamente ricoperto di morbidi tappeti, un camino perfettamente funzionante, del mobilio di buona qualità che, tra le altre cose, comprendeva anche una libreria piena di diversi volumi.
“Allora, cosa ne pensa del mio rifugio, generale? – chiese Kyril, prendendo da una piccola credenza dei calici d’argento ed una bottiglia di cristallo – ammetto che non è stato facile portare tutta questa roba qui, ma nel corso del tempo l’ho reso abbastanza confortevole. Vino speziato? Considerato il freddo che deve aver preso in queste ore le farà più che bene.”
“Speziato e avvelenato?” chiese Roy con circospezione. Si era levato il mantello e, se doveva essere sincero, era veramente lieto di potersi scaldare davanti a quel fuoco. Quel vino gli avrebbe fatto davvero piacere, peccato che il suo ospite non fosse il massimo dell’affidabilità.
“Vuole che beva prima io?” chiese Kyril, versando il liquido rosso nelle due coppe.
“Suvvia, so benissimo che siete immune ai veleni… vostra madre era la sorella dell’Autarca e in virtù di questo sia voi che vostra sorella siete stati mitridatizzati sin dalla più tenera età.”
“Vero, ammetto che non sarei un assaggiatore credibile… e presumo che la mia parola non basti.”
“Farò a meno del vino, grazie comunque. Allora, a cosa devo l’onore di questo invito?”
Kyril sorrise e andò a sedersi su una morbida poltrona accanto al fuoco, facendo cenno a Roy di occupare quella gemella dall’altra parte del caminetto. Quando il soldato si fu accomodato, studiò per qualche secondo l’orlo del suo calice, chiaramente intenzionato a trovare un punto da cui iniziare la sua storia.
“Avete detto che mia madre era sorella dell’Autarca… sapete anche chi era mio padre?”
“L’Autarca stesso – annuì Roy impassibile – abbiamo ritrovato delle lettere di vostra madre e da lì è stato facile ricostruire la prima parte della vicenda.”
“Le mie vere origini le ho sapute a quindici anni – spiegò Kyril, osservando con aria pensosa le fiamme – la nutrice che aveva accudito me e Kora, colei che ci aveva iniziato alle droghe e ai veleni, era stata anche la nutrice di mia madre. Si fidavano molto l’una dell’altra… tanto che mia madre le affidò una lettera dove raccontava tutta la verità: si raccomandò con Sarah, è questo il nome della donna che ci ha allevato, di darcela quando fossimo diventati abbastanza grandi per capire. E Sarah decise che quel giorno era arrivato quando ormai la vecchiaia la portava a poche ore dalla morte.”
“Non dev’esser stato facile scoprire una cosa simile…” commentò Roy.
“Scoprire che gli Esdev non erano la mia famiglia? – Kyril sorrise sarcasticamente – a dire il vero fu un sollievo. Non capivo come una persona ottusa come il duca potesse esser imparentato con me… lui mio padre? Il solo pensiero mi aveva dato fastidio per anni ed anni! Il suo primogenito era più o meno la sua copia… solo per Michael avevo un certo rispetto, ma la cosa finiva lì: era il più decente della famiglia… ma poi è andato in convento e l’ho perso di vista. Avevo ben altro a cui pensare.”
“Per esempio vostra sorella?”
“Quello è un particolare di cui parlerò dopo… la questione era questa: a quindici anni scoprì di essere figlio dell’Autarca. Adesso lasciate che vi racconti un po’ di storia di famiglia: i Drachvoic sono il clan più antico di Drachma ed è da loro che iniziò l’espansione che portò alla conquista di tutti gli altri. Il titolo d’Autarca comparve verso il 1206 e a rivestire questo ruolo, per diverse generazioni, fu sempre un Drachvoic… fino al 1453 il nostro potere non venne minimamente messo in discussione.”
“E cosa successe nel 1453?”
“Ci fu una crisi dinastica… l’Autarca morì senza una discendenza maschile: solo tre figlie femmine. Per mantenere il controllo sulle altre provincie la figlia maggiore del defunto sovrano venne concessa in sposa ad un Esdev, il clan più vicino al nostro. Nonostante questo salvataggio in extremis da quel momento le altre famiglie si fecero più insistenti  per ottenere maggiore potere. E così, nell’arco di una o due generazioni, i matrimoni dinastici assunsero un ruolo fondamentale per poter partecipare alla successione al titolo d’Autarca.”
“Mi pare un’evoluzione abbastanza sensata.”
“Certo, ma quest’evoluzione, dovuta tutto sommato ad un incidente di percorso, non esclude il fatto che i Drachvoic abbiano comunque un diritto superiore alle altre famiglie. La maggior parte delle persone che si sono sedute su quel trono avevano sangue del serpente nelle vene.”
“Vostro cugino Derekj, o fratellastro che dir si voglia, ha il sangue del serpente… la cosa vi dovrebbe soddisfare, no?”
“Sua madre era una Laviden, non una Drachvoic… forse non ve ne hanno parlato, ma nella nostra famiglia per diverso tempo si è cercato di mantenere la purezza di sangue con matrimonio tra consanguinei: cugini, ma anche fratelli. Capisce quello che voglio dire, generale?”
“Certo – capì Roy – vi ritenere un pretendente al trono più valido di Derekj, nonostante lui sia maggiore d’età, perché avete il sangue più puro.”
“E secondo i vecchi criteri questo mi qualifica come vero erede al trono di Drachma.”
Roy evitò di scuotere il capo per evitare di peggiorare la situazione: era chiaro che Kyril era estremamente convinto di quello che diceva. E la cosa preoccupante era che in lui non c’era la minima irrazionalità che faceva presupporre la giustificazione di una tara genetica: semplicemente si era fatto i suoi calcoli e, storicamente, aveva trovato degli appigli più che validi.
Peccato che…
“… peccato che la vostra religione di stato abbia condannato questi rapporti tra consanguinei – ricordò – i vostri genitori non si poterono sposare perché oramai una simile pratica era malvista. Come pensate di venire a patti con una simile questione? Avete per caso intenzione di usare Lidia Tojanev per un matrimonio di facciata… ripercorrere le orme del vostro stesso padre?”
“Lidia? – sbottò lui – Quella sciocca era solo una facciata per questo delicato momento… e poi mi serviva qualcosa per legare a me i Tojanev, almeno fino a quando non sarò salito al trono. Sapete, i tentativi di avvelenare un’Autarca non mancano mai… che ci vada di mezzo la sua fidanzata è un disdicevole imprevisto del tutto plausibile.”
“E voi pensate anche che i Tojanev vi crederebbero?”
“A quel punto sarei in una posizione di estremo vantaggio su di loro, non rischierebbero così tanto i privilegi che otterrebbero con me.”
“Per esempio riavere il passaggio che attraversa i monti di Briggs e porta ad Amestris.”
“Già, che ci sia pace o guerra è sempre utile…”
“L’avete utilizzato voi stesso quando avete ucciso quei soldati di Briggs, vero? – lo accusò Roy con voce cupa – e poi avete fatto lo stesso con gli uomini del barone Anditev.”
“Quelle ultime morti sono state accidentali: mi avevano scoperto in mezzo alla boscaglia ed il mio passaggio in quella provincia doveva restare segreto.” scrollò le spalle Kyril.
“Immagino… ma torniamo a noi: una volta Autarca avete intenzione di prendere Kora in sposa.”
“Ovviamente: è la mia gemella, nessun’unione sarà mai più perfetta.”
“Quella ragazza non è normale, lo sapete bene! Ha problemi mentali, per non parlare dell’emofilia. Un parto le sarebbe certamente fatale.”
“Nel caso morirà facendo il suo dovere di sovrana – ammise Kyril, anche se questa volta i suoi occhi azzurri si velarono di malinconia – ah, la mia gemella! E’ da quando avevamo quindici anni che ci conosciamo carnalmente. E’ folle? Forse un poco, ma non importa… lei è mia e di nessun’altro.”
“Con una religione di stato che non l’accetterà mai e poi mai: i legami tra consanguinei…”
“… erano stati condannati ufficialmente dal Patriarca Lessand Laviden… e lui ha pagato questa colpa. Lui sapeva benissimo delle origini mie e di Kora… sapeva del legame tra i miei genitori. E’ stato lui a convincere mio padre a sposare quella donna, casualmente sua nipote! Ma le cose cambieranno: prima andava bene… il popolo tornerà ad accettare la purezza della famiglia Drachvoic.”
“Il popolo non accetterà mai un usurpatore… non dopo la morte di Derekj. Perché per arrivare al trono dovete prima eliminare lui, lo sapete.”
“Il popolo ama, il popolo odia – Kyril liquidò la questione con un gesto – il popolo seguirà l’andamento della storia, come è sempre successo.”
Il piano era chiaro, semplice, preciso… quello di una persona che vuole raggiungere il vertice del potere per compensare sicuramente quello che gli era stato negato durante l’infanzia.
Roy sospirò, indeciso se ridere o piangere davanti a quella situazione.
Avanti, vieni al dunque… non mi stai raccontando queste cose per niente.
“Chi ti ha insegnato l’alchimia?”
Fu lui a parlare e gli diede del tu. Evitò qualsiasi formula di cortesia perché era arrivato il momento di chiedere a quel folle bambino troppo cresciuto dove avesse carpito i segreti dell’idrogeno.
Kyril si girò a guardarlo, sicuramente conscio di quella mancanza d’educazione. Gli occhi neri e quelli azzurri si scrutarono per diverso tempo prima che il giovane si decidesse a parlare.
“I libri, ovviamente…”
“Menti – scosse il capo Roy – quei libri non ti insegnano certo come manipolare l’idrogeno. Chi stai proteggendo?”
“Nessuno… quella persona è morta…”
“Fammi indovinare… uccisa dall’allievo?”
“Pretendeva di farmi la morale – ammise Kyril senza nessun rimpianto – è incredibile quanto quella guerra civile abbia lasciato il segno su voi alchimisti.”
“Ishval? – Roy sgranò gli occhi, mentre quella rivelazione gli arrivava come un pugno nello stomaco – come… chi?”
“Non mi ha mai detto il suo vero nome – scrollò le spalle l’altro, alzandosi in piedi – attraverso degli informatori dei Tojanev venni a sapere che a North City c’era un alchimista che si era ritirato a vivere lì dopo la guerra civile del vostro paese. Io avevo da poco scoperto le meraviglie dell’idrogeno, ma volevo trovare un’applicazione differente… ed ammetto che l’alchimia di Amestris mi aveva sempre affascinato, sebbene ne sapessi assai poco. Trovai quell’uomo e lo convinsi a seguirmi nei miei studi… credo che fosse felice – ammise con aria riflessiva – forse cercava una redenzione e gli davo l’idea di un bravo ragazzo che voleva fare del bene al mondo, chissà. Nonostante la sua alchimia fosse in tutt’altro ramo, tra me e lui riuscimmo a creare qualcosa di nuovo… io avevo la conoscenza dell’idrogeno, lui mi diede le basi per sfruttarlo con il cerchio alchemico. Un notevole passo in avanti rispetto ai meri studi meccanici dell’Accademia.”
Roy lo ascoltava incredulo, mentre la sua mente cercava di capire chi potesse essere lo sfortunato alchimista: l’aveva incontrato ad Ishval? Forse… ma erano così tanti, in zone diverse della città…
No, probabilmente non l’ho mai visto in faccia e non doveva essere certo uno dei più temibili altrimenti Scar l’avrebbe cercato per la sua epurazione.
“Bene – si costrinse a dire – così conosci l’alchimia… e cosa vorresti da me?”
“Ovvio… i segreti di quella del fuoco. Vogliamo definirlo… uno scambio di vedute?”
E continuava a sorridere… perché era ovvio che lui una proposta simile l’avrebbe accettata al volo.
“E questo scambio di vedute che cosa mi garantisce?” chiese Roy.
“L’incolumità sua e della sua squadra e la possibilità di tornare ad Amestris illesi.”
Incolumità
Roy sorrise amabilmente e si fissò le unghie, considerato che si era levato i guanti in precedenza.
“Incolumità – mormorò infine, fissando il fuoco nel caminetto – e dimmi, piccolo bastardo, il fatto di aver tentato di far fuori un mio sottoposto rientra nella tua definizione di incolumità? Credi forse che io sia così marcio da passare sopra un fatto simile? Sei più fuori di testa di quanto pensassi!”
Quasi urlò quelle ultime frasi, sentendo la rabbia che saliva al ricordo del corpo apparentemente senza vita di Fury che aveva tenuto tra le braccia in quella notte tremenda.
Pensa alla tua incolumità, Kyril Esdev… perché non ho intenzione di avere pietà con te.
 
“Li proteggerà?”
“Chi?”
“Quegli innocenti che sono ancora vivi.”
“Sì, Fury, li proteggerò con l’aiuto tuo e degli altri. Non permetterò una nuova guerra con un nuovo Eroe di Ishval.”
“Allora lei… lei può ancora essere il mio eroe, signore.”*
Fu l’ultimo sprazzo di sogno prima che Fury cadesse nel sonno profondo imposto dalla medicina.




*Le ultime frasi di Fury sono riprese dalla mia one shot "A hero and a boy"
 
 
 
 

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Capitolo 31
*** Capitolo 30. Scontro finale ***


Capitolo 30.
Scontro finale



“Accidenti, generale, la credevo una persona più ragionevole…”
Kyril sospirò con malinconia, alzandosi in piedi e posando il calice d’argento sulla mensola sopra il camino.
Anche Roy si alzò, perfettamente consapevole che quella strana tregua era appena terminata: non avevano più niente da dirsi e solo uno dei due sarebbe uscito vivo da quel posto.
Il cerchio alchemico… devo trovare il suo cerchio alchemico.
Fu un pensiero febbrile che lo indusse a scrutare il giovane con estrema attenzione. L’aveva già fatto durante la loro conversazione, ma non aveva trovato niente nell’abbigliamento o nelle parti visibili del suo corpo. Purtroppo nemmeno questa nuova analisi portò a dei risultati. Si chiese se ce l’avesse tatuato da qualche parte, oppure se, come lui, l’avesse in qualche elemento del suo vestiario.
In ogni caso doveva trovarlo e distruggerlo: doveva levargli temporaneamente la chiave tramite cui poteva operare con l’idrogeno. Solo rendendolo inerme avrebbe potuto procedere alla cattura.
“Sono davvero interessanti i guanti che indossa…”
Roy sorrise con sarcasmo: sapeva benissimo che Kyril li aveva notati sin da quando si erano incontrati fuori dalla torre. Non aveva dubbi che il giovane avesse visto il cerchio alchemico e avesse pensato di aver fatto centro… effettivamente era stato un gesto davvero spudorato quello di tenerli in bella vista per tutto quel tempo.
“E il tuo cerchio alchemico, invece? – chiese allontanandosi di qualche passo, quasi stessero creando uno strano campo dove duellare – Non mi sembra simpatico che tu abbia visto il mio e non mi mostri il tuo.”
“Si è precluso questa possibilità rifiutando la mia proposta, signore – sorrise Kyril – io non dovrò far altro che sfilarle i guanti una volta che sarà privo di sensi!”
Il suo braccio scattò in avanti, la mano aperta in un silenzioso cenno di comando.
Roy si guardò attorno alla ricerca della fonte d’idrogeno che sarebbe stata usata contro di lui, ma la sua attenzione venne immediatamente catturata da un qualcosa che si illuminava fiocamente all’altezza del suo polso destro, ben coperto da una specie di fasciatura che si intravedeva appena da sotto la tunica.
Bingo! – pensò il generale.
Ma quel piccolo senso di vittoria venne immediatamente cancellato dal proiettile liquido che gli giunse da sinistra e che riuscì ad evitare per un pelo solo grazie alla sua prontezza di riflessi. Con incredulità guardò quella strana forma rossastra che si contorceva nel muro dove era andata a sbattere per poi risollevarsi e puntare di nuovo verso di lui.
“Vino?” sibilò.
“Vino allungato con acqua… ossia con molecole d’ossigeno e d’idrogeno. E ho scoperto che con l’alcool e con una particolare sostanza sono così consolidate tra di loro che restano attaccate anche se io comando solo l’idrogeno… interessante, vero?”
“Molto…” Roy fissò con preoccupazione il calice d’argento dal quale stavano uscendo dei nuovi proiettili gemelli e un lieve tintinnio lo avvisò che anche dalla bottiglia di cristallo qualcosa stava lottando per liberarsi.
Ancora una volta cercò di prendere lui stesso il controllo dell’idrogeno, ma si accorse che non era possibile. Più chiedeva a quelle molecole di staccarsi e passare sotto il suo dominio, più esse sembravano consolidarsi con il resto degli elementi del vino.
Dannazione, se non ne conosco alla perfezione la composizione chimica non serve.
“Come, generale? Non ci riesce questa volta?” la voce di Kyril era beffarda.
“A quanto pare no…” Roy fece un sarcastico sorriso e indietreggiò ancora di un passo, in modo da avere sott’occhio tutti gli elementi dove era contenuto il vino
“Che peccato!”
I proiettili rossastri sfrecciarono contemporaneamente contro di lui. Persino quelli ancora dentro la bottiglia di cristallo riuscirono a rompere il loro contenitore, con un sordo rumore, e a scagliarsi contro il bersaglio, trasportando con loro anche alcune schegge appuntite.
Ancora una volta Roy fu lesto ad evitarle, anche se per farlo dovette letteralmente gettarsi a terra e rotolare sul pavimento. Gli arti indolenziti da tutte quelle ore a cavallo protestarono con vivacità, ma lui serrò i denti e non ci fece caso: doveva passare all’azione o sarebbe stato troppo tardi.
Si concentrò sulla linea d’aria tra il caminetto ed il braccio di Kyril e scatenò l’alchimia del fuoco. Immediatamente una fiammata uscì dal camino e, seguendo la strada tracciata dalla concentrazione d’ossigeno, si rivolse contro Kyril.
Il giovane indietreggiò con lieve sorpresa, tirando la mano indietro e sgranando gli occhi azzurri davanti a quella manifestazione che, per la prima volta, era rivolta direttamente contro di lui.
Sentendo che i proiettili di vino cascavano a terra privi di comando, Roy non perse tempo e allungò la strada d’ossigeno fino a dove il suo avversario si era rifugiato, tenendo sempre il polso come suo obbiettivo primario.
“Che cosa nascondi sotto quelle bende? – chiese con rabbia – qualcosa che se bruciato non ti può più aiutare a manipolare l’idrogeno?”
Kyril annaspò e cadde a terra, vicino a dei pesanti tendaggi di velluto.
Per evitare che il fuoco lambisse pure quelli, generando così un incendio, Roy raccolse da terra uno dei frammenti della bottiglia di cristallo e si diresse verso l’avversario, ancora minacciato dalle fiamme.
“Mi dispiace per te – dichiarò, afferrandogli il polso ed incidendolo con forza con quella lama improvvisata – ma il tuo gioco finisce qui.”
Kyril urlò di dolore quando il cristallo affilato gli tagliò la carne ed il sangue cominciò ad uscire. Cercò di dimenarsi da quella presa, ma era come se fosse un bambino che cerca di opporsi ad un adulto.
Roy proseguì impassibile nella sua operazione chirurgica fino a quando fu sicuro che qualunque disegno ci fosse sotto quelle bende fosse ormai cancellato in maniera sufficiente.
“Ci fosse del vino te lo verserei sopra – sbottò con rabbia – forza, se stringi le bende fermi l’emorragia, piccolo idiota che non sei altro.”
Kyril lo guardò con estrema sorpresa.
“Sì, non ti sto uccidendo – dichiarò Roy, alzandosi in piedi con disgusto – ma solo perché devi essere processato dal tuo amato cugino che non vede l’ora di mettere le mani su di te. Sono certo che il barone Anditev troverà le forze per eseguire la tua sentenza. E a conti fatti ti va bene… dopo quello che hai fatto al mio uomo ti avrei riservato la peggiore delle morti, credimi!”
“Quale grazia…” sibilò Kyril ingoiando le lacrime.
“Nel tuo caso lo è – gli ritorse Roy, con il medesimo tono di voce – e adesso fermo qui… direi che, in assenza di manette, i cordoni di queste tende andranno più che bene.”
Fece giusto in tempo ad afferrare il cordone più vicino, iniziando a chiedersi come tagliarlo, che un proiettile di una strana consistenza lo colpì all’altezza della nuca. Il dolore fu sordo e, per qualche decimo di secondo di folle lucidità, si disse che l’osso del collo era stato spezzato.
Poi cadde a terra, gli occhi aperti… riusciva stranamente a vedere bene il pavimento accanto a lui, però era come se tutto si riducesse a quell’elemento.
“Mi dispiace, generale – disse la voce di Kyril, ancora leggermente ansimante – non ho nessuna intenzione di diventare suo prigioniero. Diciamo che invece, adesso, è lei ad essere nelle mie mani.”
Il cerchio alchemico… dove… dove…? – pensò Roy prima che tutto si facesse nero.
 
Riza aprì gli occhi, non ricordandosi assolutamente di essersi addormentata.
Si sentiva stranamente riposata, evidentemente il sonno era stato così profondo da farle recuperare tutte le energie che aveva perso in quelle ore di snervante attesa. Tuttavia una parte di lei era profondamente delusa e infuriata: come aveva potuto addormentarsi in un frangente simile? Mentre Roy e gli altri erano in una situazione di pericolo così grave.
A che ora…? – si chiese, girandosi di lato – Quando ho ceduto…?
Si fermò di colpo quando si trovò a una decina di centimetri dal viso di Fury, profondamente addormentato. Solo in quel momento realizzò di trovarsi sopra il letto del tenente.
“Va tutto bene, signora – disse la voce di Falman – stanotte stava praticamente crollando dal sonno e l’abbiamo fatta sdraiare nel letto di Fury.”
“Quanto ho dormito?” chiese, mettendosi a sedere e accarezzando la coperta che qualcuno le aveva drappeggiato sopra.
“Adesso saranno le dieci di mattina circa… lei ha preso sonno verso le quattro di notte: direi quasi sei ore e ne aveva bisogno, signora. Non si preoccupi, io e gli altri abbiamo fatto dei turni per controllare che fosse tutto in ordine.”
“Lui come sta?” domandò ancora, accarezzando con dolcezza la chioma arruffata di Fury che sorrise leggermente a quel gesto.
“Ha dormito pure lui come un sasso e la febbre è calata parecchio. Per le prossime ore starà decisamente meglio. Adesso conviene che mangi qualcosa: Havoc e Breda sono andati a sentire se ci sono novità e a procurare qualcosa per la sua colazione.”
Quasi fossero stati evocati, i due soldati entrarono con aria trafelata.
“Stanno tornando! – esclamò Havoc – Presto, pare ci sia un ferito!”
A Riza bastò quella frase per farle crollare il mondo addosso.
 
Derekj esaminò attentamente la piccola quantità di sangue che stava sul minuscolo piattino d’oro: la annusò, la prese col dito e ne provò la consistenza ed infine la leccò, tastandone il sapore. Dopo qualche secondo fissò Alexand che giaceva nel letto, il viso ormai esangue, ed il respiro ridotto al minimo. Michael stava seduto accanto al cugino e salmodiava debolmente chissà quale preghiera.
“Allora? – chiese Valerya, finendo di fasciare la piccola ferita sul braccio sano del barone – Il veleno…?”
“No, leva la fasciatura – la bloccò Derekj, scuotendo il capo – Michael richiama il medico, deve assolutamente salassarlo: deve depurare il sangue.”
“Ma con il salasso...” provò a dire Falman.
“Con il salasso perderà molto sangue infetto – spiegò l’Autarca – in quantitativo troppo elevato non si potrebbe fare niente. Gli preparo subito l’antidoto: impedirà al nuovo sangue di essere contaminato dalle tossine e così piano piano il suo corpo verrà pulito.”
“Bisognerà fare estrema attenzione - ammise Shao con aria cupa – bisogna trovare il perfetto equilibrio tra il sangue salassato e quello che si riforma. Rischierebbe di morire dissanguato ed è molto debole.”
“Dobbiamo rischiare – scosse il capo Derekj, osservando il medico che entrava con un inchino – non c’è altra soluzione: procedete col salasso, almeno una bacinella di sangue per iniziare. Io torno tra un paio di minuti con l’antidoto. Principe, le consiglio di andare a sdraiarsi, anche lei è molto provato.”
“Sì, forse è meglio – annuì pacatamente Shao, prendendo Riza a braccetto – venga, signora, mi accompagni: stare in questa stanza non fa bene pure a lei.”
La donna si lasciò trascinare via, troppo sconvolta per poter opporre resistenza.
Da quando ciò che restava della spedizione era tornato alla Cittadella e aveva scoperto che Roy era andato a sfidare da solo Kyril Esdev, con ancora buona parte della montagna da affrontare, gli scenari più catastrofici si erano succeduti nella sua mente.
“Non doveva… non doveva assolutamente correre un rischio simile – mormorò – è stata pura follia lasciarlo andare.”
“Non eravamo in condizioni di opporci – spiegò Shao – la sua scelta è stata sicuramente dettata dal voler evitare che Kyril si potesse riorganizzare o addirittura scappare. Sarei andato con lui, signora, sinceramente… ma non ero nelle condizioni di proseguire. Come vede, nonostante abbia recuperato in parte le energie durante il viaggio di ritorno, sono ancora provato… la lotta contro quel veleno è stata tremenda ed il barone ancora deve vincere la sua personale battaglia.”
“Non la sto accusando, signore…”
“Accusa se stessa? – sospirò lui – Mia signora, capisco che l’amore spesso ci faccia fare azioni sconsiderate, ma si fermi a riflettere… in uno scontro alchemico lei davvero avrebbe potuto aiutarlo?”
Riza scosse il capo con rabbia: ancora quella storia, ancora quella dannata spiegazione razionale che la metteva con le spalle al muro.
“… e se vi avesse presa come ostaggio? Eppure lei ha visto cosa è successo al giovane soldato, no?”
“Non importa! – esclamò lei, lasciando quel braccio così gentile – Sono la guardia del corpo di quell’uomo, a prescindere dai sentimenti che posso provare per lui. Voi non avete fatto a meno delle vostre guardie, principe.”
“Mio e Sin hanno un addestramento ben diverso da voi soldati di Amestris. Voi avreste potuto fare ben poco contro gli Ileti in un simile frangente. Sparare? Certo… ma per uno sparo una lancia sarebbe stata gettata contro i cavalli. Serviva un combattimento corpo a corpo, quello che voi non potevate offrire.”
“Adesso non ci sono più né Ileti né Leto Tojanev!”
“E dunque che avete intenzione di fare?”
“Havoc! – la donna chiamo il maggiore che proprio in quel momento stava venendo verso di loro – Vai a chiamare Breda e prepariamoci: serve una squadra di soccorso per il generale.”
“Che? – sgranò gli occhi il biondo – Ma signora…”
“Falman resterà qui con Fury – disse lei con voce impassibile – arriveremo fino al campo di battaglia e attenderemo il generale. Non voglio sentire discussioni in merito: chiedi all’Autarca di procurarci al più presto cavalli e magari una guida per arrivare in quel posto.”
Questa volta niente l’avrebbe fermata.
Non permetterò a nessuno di farlo.
 
Diverse ore dopo Roy venne svegliato da un improvviso crampo al braccio che lo obbligò ad alzarsi di scatto e tirare con forza l’arto. Gli venne un forte senso di nausea dato il movimento brusco e per i successivi trenta secondi dovette sforzarsi di rimanere immobile, ad occhi chiusi, e respirare con calma.
Il suo corpo riprese consapevolezza mano a mano che procedeva con quella respirazione: il dolore alla base del collo, i muscoli ancora intorpiditi per il viaggio a cavallo, la schiena dolorante perché chiaramente aveva passato diverso tempo sdraiato su quella superficie dura.
Prigioniero? Sembra proprio di sì…
Aprì gli occhi e capì di trovarsi in un’altra stanza di quella torre, stavolta più fredda e molto più decaduta. C’era un piccolo caminetto con un fuocherello che ardeva a pochi metri da lui, ma si capiva che era stato acceso per la prima volta dopo tanto tempo per l’occasione. Il resto del povero mobilio, illuminato da quella fioca luce, era completamente marcio.
Gli erano stati levati i guanti, fu questo il primo dettaglio che notò e che non lo lasciò per niente sorpreso: era ovvio che Kyril gli togliesse il suo cerchio alchemico e sicuramente stava cercando di carpirne i segreti.
Povero scemo… l’alchimia del fuoco è la più complessa: senza tutta la formula non arriverai a niente.
E tutta la formula ormai era andata perduta: restava solo nella sua mente e sarebbe morta con lui.
Mi dispiace per te, ma è stato promesso che non nascerà nessun altro alchimista di fuoco.
Fatta quella considerazione provò ad alzarsi in piedi e ad esplorare la sua piccola prigione la cui porta era ovviamente chiusa a chiave. Doveva trovarsi in un piano superiore della torre, questo era chiaro: il cielo era maggiormente visibile dall’unica alta feritoia che stava al lato della stanza e dal quale entrava un fastidioso vento freddo, misto a qualche fiocco di neve.
Pare che l’unica via d’uscita sia la porta – ammise il soldato, considerando che quell’apertura era davvero troppo stretta per far passare un uomo adulto – dannazione a lui, vorrei proprio sapere come ha fatto…
Perché Roy era certo di avergli deturpato il cerchio alchemico tatuato nel polso. L’unica soluzione possibile era che Kyril ne avesse anche un altro a disposizione e che lui non era riuscito ad individuare.
Ma dove? Mi rifiuto di credere che se ne sia tatuati diversi…
Era pura questione di sicurezza: tatuarsi le formule se da una parte era comodo dall’altra voleva dire che il proprio corpo veniva utilizzato come veicolo per l’alchimia. Sovrapporre dei carichi simili significava rischiare delle distorsioni vere e proprie che potevano portare a forti crisi di rigetto man mano che si utilizzava la propria arte. Era una lezione che gli aveva insegnato il vecchio Hawkeye, una delle prime.
Certo, poi lui l’ha tatuata sulla figlia la formula… ma sapeva benissimo che Riza non era assolutamente in grado di usarla. Ha protetto i suoi segreti doppiamente…
Gli tornarono in mente le braccia di Scar, ma scosse il capo: era un caso troppo particolare perché un arto non era veramente suo.. ed inoltre c’era uno strano miscuglio di alchimia e alkaestry che forse aveva portato ad un equilibrio perfetto.
No… l’altro cerchio alchemico non era nel suo corpo, ne sono certo.
“Ben svegliato, generale, vi piace la vostra nuova stanza?”
Kyril entrò e fissò il prigioniero.
Si era cambiato la tunica sporca di sangue e ora dalla camicia scura si intravedeva il gonfiore di una fasciatura dove il polso era stato ferito. Per il resto sembrava non aver risentito minimamente di quanto era successo e questo fece chiedere a Roy per quanto tempo fosse rimasto privo di sensi.
“Quasi un giorno – disse Kyril, rispondendo a quella tacita domanda – si vede che eravate anche stanco per il viaggio. Mi sono anche preoccupato della vostra cavalcatura, come vedete sono un ospite premuroso.”
“Questa sistemazione non è il massimo dell’ospitalità.”
“E voi non siete il massimo della gentilezza, no? Avete fame? Potrei portarvi un pasto caldo e dell’acqua…”
“… in cambio di…?”
“Di alcune spiegazioni sui vostri guanti, ovviamente – sorrise l’altro – ho capito che la stoffa serve a generare la scintilla, ma il cerchio alchemico è davvero difficile da interpretare.”
“Mi dispiace per te, ma non ho nessuna intenzione di dirti qualcosa – sorrise sarcasticamente Roy – quindi mettiti l’anima in pace.”
Kyril fece una smorfia contrariata davanti ad una simile risposta, ma poi scrollò le spalle.
“Molto bene, del resto il tempo per riflettere non ci manca… forse la fame e la sete vi faranno cambiare idea. E anche se manderanno delle squadre di ricerca sarò pronto ad accoglierle come si deve: come vedete sono in una botte di ferro.”
Affogati in quella botte di merda… - gli augurò Roy mentre la porta si chiudeva e la chiave girava con un fastidioso rumore metallico nella serratura arrugginita.
 
Tic tac tic tac tic tac…
L’orologio d’alchimista di stato continuava implacabile ad andare avanti, eppure ogni volta che si girava a guardarlo a Roy sembrava che le lancette si fossero mosse di pochissimo. Era come se il tempo in quella cella venisse in qualche modo annullato e forse era quello che succedeva quando ci si trovava in una situazione come la sua.
Ora che ci pensava non era mai stato veramente prigioniero. Persino quando era tenuto sotto torchio da Bradley aveva comunque avuto una certa libertà di movimento che aveva saputo ben sfruttare.
Ma qui? – si chiese mettendosi a sedere – come posso fare?
Il tempo passava ma lui ancora non aveva trovato una soluzione. Sapeva bene che prima o poi Kyril sarebbe tornato a fargli una nuova proposta, magari facendo leva sui morsi della fame che si facevano sempre più forti. Non aveva dubbi che il suo carceriere aveva tutto l’interesse a tenerlo in vita, però sapeva anche che lo poteva tenere in condizioni non proprio eccellenti.
Senza contare che prima o poi verrà una squadra di ricerca e saranno problemi seri!
Lo dava per scontato: non appena Riza e gli altri avessero saputo della sua idea di proseguire da solo sarebbero immediatamente accorsi… ed era quello che Kyril voleva e che Roy  desiderava evitare con tutto se stesso.
E allora cerca di riflettere, stupido! Devi trovare quell’altro cerchio alchemico.
Perché era quello il suo problema: doveva neutralizzare Kyril, altrimenti non avrebbe avuto molto senso uscire da quella prigione. Si trovava in territorio nemico e doveva esser certo di chiudere la missione in poche precise mosse, altrimenti il suo avversario avrebbe certamente reagito e preso il soppravvento.
Alzò lo sguardo alla feritoia che stava a quasi due metri d’altezza e sospirò: il sole stava per tramontare, lo si capiva dalla luce rossastra che stava colorando il cielo.
Saranno le sei… - pensò automaticamente. E poi, con gesto altrettanto automatico, dettato da tutte le volte che in ufficio non vedeva l’ora che arrivasse il tanto sospirato momento dell’uscita, prese l’orologio d’argento e controllò.
Le due? No, non può essere…
Con aria seccata girò la carica, però poi si accorse di un interessante dettaglio. Le lancette dei secondi si muovevano… solo che per cinque movimenti in avanti ne facevano due indietro.
Si sarà rotto? Mi pare davvero strano, forse è il freddo, però…
“Però…” sussurrò sgranando gli occhi e iniziando ad avere un’intuizione.
Con aria trafelata si guardò attorno e trovato un vecchio baule che ancora sembrava reggere il peso di una persona, lo portò sotto la feritoia e ci si arrampicò sopra per poter sbirciare fuori. Spinse lo sguardo fino a dove poteva, specie sulle rocce che stavano al di sotto, nella piana dove sorgeva la torre.
Ma certo… è un punto di magnetismo!
Ecco un fattore interessante che andava a giustificare maggiormente la scelta di Kyril nel porre il suo rifugio in un luogo così difficile da raggiungere. In un posto simile poteva ulteriormente ampliare il potere della sua alchimia.
Batté il pugno sul muro con soddisfazione: sentiva che si stava avvicinando alla soluzione.
A pensarci bene pure io avevo sentito strane vibrazioni quando abbiamo avuto il nostro primo scontro fuori dalla torre… un cerchio… la torre… ma certo!
Cercò di fare mente locale, mentre l’eccitazione gli faceva girare la testa, complice anche l’assenza di cibo da diverso tempo. La torre era di forma circolare, poteva benissimo essere la base del cerchio alchemico… un enorme cerchio alchemico.
Del resto i gemelli di Shao non hanno fatto la stessa cosa? Hanno nascosto gli stiletti nella neve così che nessuno potesse vederli.
E in quella piana la neve ricopriva il terreno per tutto l’anno, quindi nessuno poteva sospettare che nel terreno fossero tracciate le formule che completavano il cerchio. E bastava spezzare quest’ultimo per far crollare il potere di Kyril… e presumibilmente anche la torre. Forse c’era una base alchemica che la teneva in piedi nonostante le intemperie ed il tempo: a pensarci bene era abbastanza surreale che fosse stata creata una stanza come quella dove si era trovato ore prima.
Bene l’abbozzo del piano ce l’hai, Roy Mustang… la domanda è: lo saprai portare a termine?
 
Kyril Esdev era seduto al tavolo e scrutava con estrema attenzione il guanto davanti a lui, cercando di confrontarne il disegno con alcuni che erano su un grande volume aperto alla sua destra. Il bel viso era concentrato e si capiva che non stava giungendo a nessuna conclusione.
Ogni tanto prendeva un calice d’argento e beveva un sorso di vino, ma poi tornava alacremente a lavoro, cercando di carpire i segreti dell’alchimia del fuoco.
Era così preso da quello studio che non sentì la prima lieve scossa; fu solo quando arrivò la seconda, molto più forte e prolungata che levò lo sguardo dai libri e si alzò con preoccupazione.
E poi ci fu l’esplosione della porta.
“Ciao, infame! – salutò Roy con un sorriso amabile, chiara imitazione di quello che l’avversario gli aveva rivolto precedentemente – Allora, hai decifrato qualcosa?”
“Cos…?” iniziò Kyril sorpreso.
Tuttavia la sua indecisione durò solo per un secondo: subito allungò la mano per prendere di nuovo controllo delle molecole d’idrogeno dei liquidi presenti nella stanza.
Ma non accadde nulla.
“No, caro mio – il generale proseguì verso di lui – purtroppo per te una delle basi dell’alchimia è che ci deve essere un cerchio alchemico. Ora, come la mettiamo?”
“Come avete fatto ad uscire? Quella porta era bloccata…”
“Sì, con l’alchimia – lo anticipò Roy – ho dovuto lottare un po’ per aprirla, ma è una mia carenza personale: non mi sono mai applicato in quel campo.”
“Dove? – sibilò irato il giovane Esdev – Dove avete nascosto il cerchio alchemico?”
“Da nessuna parte – scosse il capo Roy, inducendo le fiamme del camino a spostarsi fino a circondare l’altro in una piccola e strana prigione – piuttosto notevole l’idea di creare il cerchio usando come base la torre stessa… peccato che basta distruggerne una parte e tutto va alla deriva!”
Quanto ci godeva a guardarlo raccapezzarsi, cercare di trovare una spiegazione logica a quanto stava succedendo. Ma che ne poteva sapere quell’idiota del Portale della Verità? Del fatto che a lui non serviva minimamente il cerchio alchemico per operare le trasmutazioni… e che usava i guanti solo per abitudine e mera comodità?
“Allora – continuò – sappiamo benissimo che questa torre, una volta privata dell’alchimia, rischia di crollare da un momento all’altro: mi segui senza fare storie o vuoi che ti faccia qualche ustione? Giusto per provare l’ebbrezza di quanto hai fatto passare a Fury...”
Quasi a confermare la minaccia indusse una fiamma a lambirlo lievemente. Vedere quel viso distorto dalla paura era un vero piacere.
“E i guanti? – chiese il ragazzo, trovando il coraggio di andare un passo indietro e di prenderli dalla scrivania – ci rinunciate?”
“Non hai idea di quanti ne ho a casa…” sogghignò Roy
Kyril fu rapidissimo: prese il pesante segnalibro e aprì il grosso volume sul tavolo ad una determinata pagina che subito prese a brillare. Nel medesimo istante in cui si accorgeva di quel gesto, Roy scagliava le fiamme contro di lui, incurante di lasciarlo vivo o meno.
L’idrogeno, tuttavia, aveva già iniziato a scomporsi e impattò con il fuoco.
L’esplosione iniziò a provocare il definitivo crollo della torre.
 
I cavalli si impennarono con frenesia, tanto che Riza dovette tirare con forza le redini del suo per non farsi disarcionare.
Gli uomini che stavano recuperando il cadavere di Leto Tojanev si guardarono attorno timorosi, probabilmente temendo un’improvvisa valanga. Effettivamente tutta la montagna prese a tremare con violenza e diversa neve cadde dai versanti.
“Tutti lungo la parete! – gridò la guida – Presto! Presto!”
Tutti i membri della spedizione si affrettarono ad eseguire quell’ordine.
Riza sentì le briglie che le venivano prese di mano e vide Havoc che la incitava a scendere da cavallo. Seguendo l’ordine si fece condurre lungo la parete e si trovò stretta tra lui e Breda che l’abbracciarono con forza per proteggerla da quanto poteva cadere dal versante.
Quanto durò quella specie di terremoto? Le parve un’eternità mentre quel rombo assordante continuava a perforarle i timpani e tutte quelle particelle di neve le sbattevano con violenza sul viso. Per qualche orrendo secondo fu anche certa che sarebbero morti sepolti lì, che nessuno li avrebbe mai trovati imprigionati com’erano nella neve. In quel momento così disperato, intuendo che non avrebbe mai più visto Roy, tremando all’idea che la sua vita fosse ormai alla fine, come quella dei suoi due amici, si strinse convulsamente a quello che stava di fronte a lei, nascondendo il viso nel suo petto come una bambina.
Quelle braccia robuste la cinsero ancora di più e sentì una voce che le diceva qualcosa all’orecchio, sicuramente per calmarla… ma il rumore della neve le impediva di capire le parole.
Breda.. Breda… ti prego… ti prego, non voglio morire! Non dobbiamo…!
Poi, improvviso come era iniziato, quel finimondo terminò.
Il silenzio fu tale che riuscì persino a distinguere il respiro sommesso suo e dei suoi compagni.
“E’ finita?” osò chiedere Havoc, senza alzare troppo la voce.
“Coraggio, signora – mormorò Breda – è andata… pare che non ci siano danni.”
Solo a quel punto Riza si arrischiò a guardare verso la pista, notando con sollievo che la guida e gli altri uomini si stavano muovendo con cautela per recuperare i cavalli, pure essi premuti contro la parete rocciosa.
“Che cosa è successo, capitano?” chiese, facendosi avanti e andando incontro alla guida.
“Non era una valanga normale – scosse il capo l’uomo, un esperto ranger che Derekj aveva messo a loro disposizione assieme alla sua squadra – sicuramente dev’essere successo qualcosa più a monte, dove c’è la vecchia torre. A questo punto ci conviene proseguire per vedere quanto è successo, sperando che la strada sia sempre praticabile. Voi due! Prendete il corpo del nobile Tojanev ed iniziate a portarlo in Cittadella come ha ordinato sua eccellenza… noi altri proseguiamo.”
Havoc si accostò a Riza tenendo le redini della sua giumenta.
“Coraggio – le disse, aiutandola a salire in sella – non è da lui morire in modo così idiota…”
Riza non trovò nemmeno la forza di rispondere.
Voleva solo ritrovare Roy… ritrovarlo vivo.

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Capitolo 32
*** Capitolo 31. Salvati e non ***


Capitolo 31.
Salvati e non



L’ultima cosa che ricordava era un rumore sordo e assordante seguito quasi subito da un forte dolore alla spalla destra. Poi il nulla, nemmeno il tempo di pensare a quello che stava succedendo.
Adesso, per la prima volta, un briciolo di coscienza faceva la sua ricomparsa, destandolo da quel limbo grigio dove era caduto per un tempo indefinito.
Finalmente il suo corpo recuperò sensibilità e così si accorse di essere sdraiato su un letto, con delle coperte sopra di lui a premergli fastidiosamente sul petto.
No, troppo pesanti… via…
Sollevò il braccio destro, o almeno ci provò… si accorse subito che era più pesante del previsto e irrigidito.
Però quel tentativo di movimento aveva avuto una conseguenza: dalla parte sinistra qualcuno si mosse con un mormorio, posandosi con il braccio… qualcosa di morbido, setoso, solleticante… dei capelli.
A quel punto Roy Mustang aprì gli occhi, restando sorpreso quando riconobbe il soffitto della sua camera da letto della Cittadella. Rimase qualche secondo a fissare interdetto quegli intarsi nel legno e quegli stucchi, prima di girarsi di lato e scorgere Riza, profondamente addormentata accanto a lui.
“Ehi…” dovette schiarirsi la gola prima di riuscire a pronunciare quel semplice richiamo.
Si accorse di avere una tremenda sete… doveva procurarsi dell’acqua.
Si dimenò come poteva da quelle coperte, capendo finalmente che l’ingombro al braccio destro era dovuto ad una pesante fasciatura. Riuscendo a mettersi seduto si accorse che tutto il suo corpo protestava vivacemente e non solo per l’indolenzimento del cavallo…
Cavallo…? Ma io ero già arrivato alla torre…
Finalmente tutto gli tornò in mente: quell’ultimo duello alchemico, il crollo, il dolore e poi il vuoto totale.
Guardando Riza, così bella nella luce soffusa del sole che entrava dalle tende tirate, si rese conto che doveva esser arrivata qualche squadra di soccorso a recuperarlo da quelle macerie.
Ti è andata di lusso, Roy… un braccio fasciato e dei dolori sono delle bazzecole per aver vissuto così da vicino il crollo di quella struttura.
Provò a rifletterci e arrivò alla conclusione che il pavimento doveva aver ceduto, facendolo cadere al piano di sotto, dove qualche parte del soffitto l’aveva in qualche modo protetto dai detriti.
“Roy…” Riza aprì gli occhi, probabilmente svegliata da tutto quel movimento. Rimase a guardarlo incredula per qualche secondo, come a sincerarsi che fosse effettivamente desto e vigile, poi delle lacrime scesero sulle guance.
“Da quanto…?” chiese il generale.
“Questo è il quarto giorno…” singhiozzò lei, alzandosi a sedere e prendendogli il viso tra le mani per baciarlo sulla fronte. Era nuda, completamente, e Roy ebbe la certezza che avesse dormito ogni notte così, quasi a dargli forza con il semplice contatto tra i loro corpi.
Con il braccio sano le cinse i fianchi robusti, attirandola a sé: sentire quel profumo, quella morbidezza, lo faceva tornare piano piano alla vita. Se il suo corpo avesse avuto le energie necessarie avrebbe fatto l’amore con lei seduta stante.  Ma tutto quello che quei giorni di incoscienza e digiuno gli permettevano era di cercare le sue labbra in un tenero bacio.
Sono vivo… vivo… sono tornato da te.
Durò dieci, splendidi secondi, poi la donna si staccò da lui e lo guardò con rimprovero.
“Generale, lei è stato un mostro d’imprudenza! Non ha idea di quanto ci siamo preoccupati io ed il resto della squadra! Si dovrebbe vergognare per un comportamento così sconsiderato!”
E di colpo ecco tornata la solita Riza: subito si districava dalle coperte per alzarsi, andando a recuperare i suoi indumenti ed iniziando a vestirsi. E mentre la predica continuava Roy non poteva che restare imbambolato a fissare quel corpo perfetto che, con suo sommo disappunto, veniva mano a mano coperto.
“… tra lei ed il barone non so proprio chi vincerebbe il premio per la testardaggine, mi creda…”
“Il barone? Allora ce l’ha fatta!”
“Sì – sospirò Riza, chiudendo il fermaglio sui capelli biondi. Si accostò al letto e versò un bicchiere d’acqua, porgendolo al malato – per fortuna Derekj è riuscito ad intervenire in tempo. Adesso sta decisamente meglio ed entro la fine della settimana conta di stare in piedi, nonostante il parere negativo dei medici. Non ha idea di quanto sangue gli hanno salassato… è stato un vero miracolo.”
“E Kyril?”
“Morto nel crollo della torre – ci fu una nota di sollievo nella voce di Riza – abbiamo trovato il suo corpo. E’ stato davvero fortunato, signore: questione di un metro e mezza e si è salvato. Adesso vado immediatamente a chiamare il medico e ad avvisare gli altri.”
“Ehi! – la chiamò Roy, prima che potesse uscire – aspetta un secondo!”
“Che altro c’è?”
“Ti amo, lo sai?” sorrise con malizia.
Un sospiro rassegnato, un sorriso felice… era così bella Riza Hawkeye quella mattina.
 
La tragica morte di Kyril aveva in qualche modo posto la parola fine a tutta la vicenda.
Fosse stato vivo sarebbe stato necessario procedere col processo, con la sentenza, con tutta una serie di conseguenze che avrebbero solo lasciato l’amaro in bocca alle persone coinvolte. Invece i giorni ripresero a scorrere tranquilli nella Cittadella, nell’attesa che finalmente venisse eletto il nuovo Patriarca e si potesse così procedere con l’incoronazione. Dopo quello strano periodo di tempo in cui tutti sembravano aver intuito che qualcosa non andava, nobili e cittadini avevano ripreso la loro ronzante e felice organizzazione dei festeggiamenti.
“E’ veramente un piacere rivedere la gente così felice – ammise Breda – ieri alla locanda di Karla era festa grande, dico davvero! Persino il nostro Falman si è divertito!”
“Fury la prossima volta devi venire pure tu – dichiarò Havoc – non è possibile che non sia sceso nemmeno una volta in città in tutto questo tempo. Ormai ti sei ripreso abbastanza mi pare… sperando che il tenente colonnello non faccia troppe storie.”
Fury sorrise imbarazzato, comodamente seduto in una delle panchine del giardino, intento a godersi quella mattinata di sole assieme ai suoi compagni. Era vero, stava decisamente meglio: la febbre ormai era sparita da una settimana buona e questo gli aveva permesso di recuperare buona parte delle energie, tanto da potersi permettere delle passeggiate in giardino sempre più lunghe. Il pallore sulle sue guance diminuiva sempre di più e anche la ferita iniziava a guarire in maniera sensibile, con il dolore finalmente diventato molto più tollerabile.
“Nah – scosse il capo Breda – mammina non lo farà uscire la sera per almeno un’altra decina di giorni, fidati di me. Non credo di aver mai visto un’infermiera più spietata e severa di lei.”
“Non è vero – protestò il giovane – la signora è semplicemente molto premurosa e si preoccupa per me ed il generale, tutto qui.”
“E fa bene – annuì Falman – le loro ferite non sono certo uno scherzo. Oh, ma quella non è lady Kora?”
Tutti loro si girarono e videro la giovane, scortata da alcune guardie, che tornava al palazzo.
Era così diversa dalla ragazza così spavalda e sicura di sé del passato: adesso indossava il nero del lutto e il viso pallido e tirato era rivolto a terra. Leggermente dietro quel gruppetto, con aria estremamente cupa e contrariata, veniva Michael.
“Ma che è successo?” chiese Fury.
“Ah già – ricordò Breda – oggi l’Autarca l’ha interrogata a proposito dei piani del gemello per capire quanto lei ne fosse a conoscenza. E, a giudicare la faccia di Michael, le cose si devono esser messe davvero male per lei.”
“Che cosa rischia?”
“Non te lo so dire con certezza, soldato – rispose impassibile il rosso – a seconda di quello che ha detto è innegabile che possa anche andare incontro alla condanna a morte. Sarebbe comunque complotto contro l’autorità costituita e Derekj non potrebbe ignorare una cosa simile, a prescindere dal legame di parentela… anzi, questa sarebbe un’ulteriore aggravante.”
“E’ alto tradimento, tenente – gli ricordò Falman, sedendosi accanto a lui – il reato più grave di cui una persona si possa macchiare.”
“Capisco…” mormorò il giovane.
“Come tornano il generale ed il tenente colonnello chiederemo a loro.”
 
“Il duca Esdev era davvero sconvolto…” commentò Riza con aria triste.
“Beh, non è stato un periodo facilissimo per lui… forse ha ragione Michael quando dice che si ritirerà nelle tenute della sua provincia e lascerà il posto al figlio maggiore – rispose Roy, osservando Derekj e Alexand che parlottavano tra di loro – sono state ritirate fuori delle vecchie e sgradevoli storie. E la condanna di Kora è stata solo l’ultimo tassello che gli ha straziato l’anima.”
Riza annuì, ma non poteva fare a meno di provare grande pena per quell’uomo così buono e gentile. Alla fine era stato costretto ad ammettere di essere a conoscenza che i due gemelli non erano figli suoi e di essere stato praticamente obbligato a quelle nozze per proteggere i nascituri.
“Tuo padre me l’ha chiesto come favore personale, mio signore… non potevo disobbedire agli ordini del mio Autarca, specie se si trattava di proteggere la principessa Doris.”
“Anche Michael era sconvolto – continuò – ma non si poteva fare altro. Kora ha non ha minimamente negato di essere a conoscenza dei piani del fratello. Secondo me in qualche modo ha cercato lei stessa la condanna a morte… da quando ha saputo della sorte di Kyril è letteralmente impazzita dal dolore e non deve aver trovato altra ragione per andare avanti. Anzi, sono sorpreso che non abbia tentato il suicidio.”
“Mi dispiace che abbiate dovuto assistere a questo interrogatorio – si avvicinò Derekj, seguito da Alexand – ma era corretto che ci fossero dei testimoni fidati.”
“Nessun problema, eccellenza – rispose Roy – ci dispiace piuttosto per voi: non è stato un momento piacevole e penso che in fondo tutti avessimo sperato fino all’ultimo che lady Kora desse delle risposte differenti.”
Riza annuì a quelle parole. Per quanto avesse odiato profondamente quella ragazza per tutto quello che aveva fatto, non poteva fare a meno di provare in parte pena per lei: non era mentalmente stabile ed era stata biecamente manipolata dal fratello, arrivando ad essere estremamente dipendente da lui. Semplicemente nessuno l’aveva aiutata quando era stato il momento opportuno.
“Vogliamo andare, miei signori? – chiese il principe Shao, avvicinandosi a loro – Credo che non sia più il caso di stare qui.”
Evidentemente erano tutti desiderosi di lasciare quel posto perché nessuno oppose resistenza. Ben presto l’Autarca ed il suo campione presero un’altra strada, mentre Roy e Riza rimasero con il principe.
“Comunque – si schiarì la gola quest’ultimo, per cambiare argomento – i Tojanev hanno ammesso di essere a conoscenza della vicenda da molto vicino. Pare che fossero venuti a conoscenza della relazione tra l’Autarca e la sorella sin da tempi non sospetti… e che fossero perfettamente consapevoli della vera identità dei gemelli. E’ chiaro che sono rimasti ad aspettare, per vedere se la situazione si poteva evolvere in loro favore.”
“Una storia simile non rischia di poter essere ritirata fuori a scopo ricattatorio?” chiese Roy.
“Non se vogliono che noi ritiriamo fuori lo scomodo incidente in cui è morto Leto Tojanev – rispose il principe – è uno dei pochi segreti che non potranno mai usare a loro favore. Ah, a proposito, sapete che adesso si parla di un fidanzamento tra Lidia ed il primogenito dei Koradof?”
“Così presto? – Riza scosse il capo – non hanno un minimo di rispetto per i sentimenti di quella ragazza! Le è appena morto il padre del resto…”
“E’ sempre cresciuta all’ombra della nonna, il padre non lo vedeva quasi mai. I Tojanev sono così: vanno avanti per la loro strada senza guardare troppo ad uno scomodo passato. Non credo di essere lontana dalla verità dicendo che a Lidia brucia di più il fidanzamento rotto con Kyril… scommetto che si era già fatta dei grandi progetti su come diventare futura regina.
“Fortunatamente la regina sarà Valerya… lei e Derekj saranno una splendida coppia di sovrani, ne sono certa. Pare che abbiano intenzione di annunciare il loro fidanzamento subito dopo l’incoronazione fra qualche settimana, almeno così mi ha detto lei!” sorrise Riza.
“Doppia festa nel regno, allora.” constatò Roy.
“Direi che ce la meritiamo dopo tutto quello che è successo, non credete?” ridacchio Shao.
 
La mattina successiva il sole si vedeva appena, coperto com’era da delle nubi grige che minacciavano pioggia. Faceva freddo, parecchio, non si vedeva nessuno in giro nei grandi cortili nella cittadella.
L’unica eccezione era costituita da un soldato vestito con la divisa blu di Amestris, seduto in una panchina, le mani serrate in grembo, che guardava desolato il sentiero di ghiaia davanti a lui.
Era lì già da diverso tempo, da circa un’ora dopo l’alba.
“Ti ho cercato a lungo, tenente – dichiarò Roy, sedendosi accanto a lui – ma dovevo pensarci che avessi voglia di stare solo.”
Fury annuì impercettibilmente, ma non alzò gli occhi sul suo superiore.
“Non potevi salvarla, soldato – disse il generale con un sospiro – ma il tuo è stato davvero un bel gesto, non posso che essere fiero di te.”
“Davvero non si poteva? – chiese flebilmente Fury – forse… se non avessi agito da solo…”
La scena del giorno prima, quando aveva trovato la forza di andare dall’Autarca in persona, gli tornò alla memoria.
 “Mio signore – la sua voce era rotta e trafelata, mentre cadeva letteralmente in ginocchio davanti a Derekj – so che non ho nessuna autorità in merito, so benissimo che non dovrei nemmeno esser qui in un simile momento… però vi imploro una grazia. Ve ne prego, eccellenza io… lo so che quanto ha commesso è grave. Ma… dovrebbe esserle concessa un’altra possibilità, lei non… non poteva capire che…”
“Mi commuovi, soldato, davvero – l’aveva interrotto Derekj, posandogli una mano sulla spalla – tu che sei la persona che avrebbe più ragioni al mondo per avercela con lei, adesso sei qui a chiedermi di risparmiarla. Michael mi aveva già detto del tuo buon cuore e adesso me ne dai nuova conferma.”
A quelle parole Fury aveva sorriso timidamente, sperando di aver ottenuto qualcosa, ma subito il viso del giovane sovrano si era indurito.
 “Kora è già morta, ragazzo mio – aveva spiegato – la sua condanna è già stata eseguita da quando le è stata annunciata la morte del gemello. Lei non può… non vuole avere una seconda possibilità, ed io non posso dargliela. Era a conoscenza di tutto e non mi ha mai detto nulla: accecata da quel folle amore per il fratello si è macchiata di gravi crimini… è stata lei a scrivere la missiva con la quale il Patriarca è stato attirato fuori dalla Cattedrale il giorno della sua uccisione…”
“Ma lei…”
“Se ci fosse stata possibilità l’avrei salvata – aveva continuato Derekj – ma in un frangente simile non posso concedere una grazia. Ne sono rammaricato perché la colpa è in parte anche nostra, che non abbiamo mai fatto nulla per lei, ma non posso cambiare le cose. Domani prima dell’alba verrà giustiziata tramite decapitazione.”
“Decapitazione…”
“Sarà rapido ed indolore – gli aveva detto Alexand, anche lui presente in quel momento – sarò io stesso ad eseguire la sentenza, senza che nessuno vi assista. Sarà sepolta accanto alla madre, nessun disonore cadrà sulla sua memoria.”
“No, non potevi – disse con gentilezza Roy – e, ad essere sincero, avrei preferito che tu stamane non andassi ad assistere all’esecuzione.”
Ma Fury scosse il capo: non avrebbe mai potuto mancare ad un momento simile. Forse aveva voluto vederla per un’ultima volta, dirle addio, dirle che… che gli dispiaceva.
E così, quella mattina gelida era andato… si era unito a Michael ed Alexand nell’accompagnare Kora Esdev nella cella dove era stata eseguita la sua sentenza.
“Mi dispiace…”
“Ti dispiace di cosa, soldatino? – aveva detto lei, alzando per quell’unica volta gli occhi azzurri su qualcuno – Come può dispiacerti per qualcosa che non capisci?”
Non aveva avuto paura, non aveva pianto né si era lamentata… Alexand la teneva per un braccio, ma era solo un gentile accompagnamento: non erano state necessarie altre guardie. Si era inginocchiata da sola davanti a quel ceppo, dove spiccavano ancora macchie di sangue di precedenti condanne, aveva scostato con eleganza i suoi bei capelli biondi dal collo, posando poi la testa sul legno.
A quel punto Michael aveva pronunciato una brevissima preghiera… alla fine della quale Alexand aveva alzato la sua bella spada.
Cinque secondi? Nemmeno.
Il tutto così preciso, proprio come era stato promesso.
E lui non aveva girato lo sguardo: aveva visto il sangue sprizzare da quel collo, sporcare quei capelli così belli, la pelle chiara. Tanto sangue, proprio come quando si era ferita il braccio.
Non si era sentito nauseato, eppure avrebbe avuto tutto il diritto di esserlo dato che non aveva mai assistito ad una morte per decapitazione… solo pervaso da una profonda tristezza.
“L’Autarca ha detto che in realtà era già morta – disse infine, girandosi a guardare Roy – davvero una persona può non volere una seconda possibilità?”
“La mente di Kora era complessa e difficile, lo sai – Roy gli arruffò i capelli – e Kyril l’ha ulteriormente traviata. Ma ti posso dire che ho conosciuto persone che non hanno voluto una seconda possibilità… soldati forti e coraggiosi che dopo Ishval si sono levati la vita per l’orrore che avevano vissuto.”
“Ma lei poteva essere aiutata… se solo…”
“Fury, sul serio pensavi di poterla aiutare?”
“Non lo so – scosse il capo – però se non facevo qualcosa…”
“Non te lo saresti mai perdonato, lo so.”
Il giovane soldato rimase in silenzio per qualche altro minuto, alzando lo sguardo a fissare il cielo, cercando un piccolo squarcio d’azzurro in quelle nubi così cupe.
“La signora… dopo Ishval… insomma, è stata aiutata in quel modo, vero?”
“E’ stato il suo modo di darsi una seconda possibilità, sebbene in pochi lo possano capire.”
“Mi dispiace – sospirò Fury, girandosi finalmente a guardare il suo superiore – signore, le ho detto delle cose che non… non avrei mai dovuto…”
“Finiscila, tenente – Roy sorrise sollevato, arruffandogli di nuovo i capelli – se tu non ti fossi rivoltato in quel modo contro di me non saresti stato tu. So bene che quando ti toccano il tenente colonnello diventi un gatto furente… è la stessa cosa che succede a lei quando qualcuno tocca te.”
“Gatto furente?” Fury arrossì.
“Hai ragione: gattino… calza meglio su di te. Hai presente i cuccioli di gatto che quando vengono presi per la collottola iniziano a soffiare e ad agitare le zampette?”
“Sono stato davvero così patetico?”
“Fisicamente sì, ma ammetto che il disprezzo che ho visto nei tuoi occhi mi ha fatto seriamente stare male, ragazzo mio. Tengo molto alla stima di tutti voi, ma ammetto che per la tua ho una predilezione particolare… spesso ti ritengo il mio metro di giudizio più valido, sai?”
“Non penso di meritare…”
“No? Lascia giudicare a me, tenente – sorrise Roy, fissando il cielo a sua volta – sai una cosa? Non vedo l’ora che Derekj venga incoronato… poi torneremo a casa, ci pensi? Da quanto manchiamo?”
“Quasi tre mesi mi sa.”
“Tanto, vero?”
“Troppo, signore.”
“Forza, andiamo a cercare gli altri, ti va?”
Fury annuì, alzandosi dalla panchina.
Si sentiva stranamente bene, le nubi di tristezza che lasciavano il posto ad una dolce rassegnazione. Forse per Kora non si poteva fare davvero nulla, nemmeno con tutta la buona volontà di questo mondo. Forse era perduta sin da quando l’aveva conosciuta, da quando aveva iniziato a prenderlo in giro.
Però…
“Aspetta! Perché correre? Non penso che si possa…”
“Proprio perché non si può! Proprio perché non vogliono!”

Però quella risata cristallina, quella corsa nel corridoio, parlavano di una ragazza che se voleva poteva essere felice.
“E’ stata fortunata ad incontrare te – disse Roy, quasi avesse intuito i suoi pensieri – forse in questi mesi l’hai salvata più tu di quanto abbiano fatto gli altri in tutti questi anni.”
 
Sedici giorni dopo la Cattedrale maggiore era riempita fino all’ultimo banco, mentre un silenzio solenne accompagnava il momento in cui veniva incoronato il nuovo Autarca di Drachma.
Il nuovo Patriarca, un serio uomo di mezza età della famiglia Kyravic, si avvicinò a Michael e prese dal cuscino di velluto che il giovane teneva, la splendida corona d’oro e gemme. Si avvicinò quindi a Derekj, solennemente inginocchiato davanti all’altare, e la tenne sollevata sopra la sua testa bionda.
La voce forte e chiara recitò la formula di rito nell’antica lingua di Drachma e finalmente la corona si posò sul capo del giovane Drachvoic.
A quel punto Derekj, splendido nei suoi vestiti bianco e oro, si alzò e si girò verso la folla.
“Drachma – esclamò Alexand, in piedi un gradino sotto il suo signore – Saluta il tuo sovrano!”
A quel punto la folla proruppe in un festoso applauso, mentre le campane iniziavano a suonare a festa, seguite immediatamente da quelle di tutte le altre chiese nella capitale. Decine e decine di colombe vennero liberate come segno di buon augurio per il regno appena iniziato, riempiendo il cielo azzurro di quel giorno di maggio come tanti piccoli coriandoli bianchi.
Mentre il coro cantava un inno sacro, Derekj scese i gradini e arrivò all’inizio della navata, proprio davanti al tappeto rosso che doveva percorrere per uscire fuori dalla cattedrale e presentarsi alla folla nella grande piazza. Tuttavia, invece di iniziare a camminare, con un sorriso tese una mano verso il banco alla sua destra in un chiaro segno d’invito.
Allora, tra i mormorii della folla, Valerya si alzò, incantevole nel suo abito color grigio perla, ed accettò la mano che le veniva offerta, chinandosi profondamente davanti al suo nuovo signore. Poi con un lieve sorriso, si rialzò ed iniziò a camminare accanto a lui, come una vera regina, mentre Alexand chiudeva la piccola processione.
Tutta l’ambasciata di Amestris ed il principe Ming si scambiarono un’occhiata eloquente davanti a quel gesto, ma non rimasero per niente sorpresi quando sentirono il boato gioioso della folla nella piazza.
Un matrimonio imminente era sempre motivo di gioia.
 
E così iniziarono i festeggiamenti: banchetti, balli, spettacoli… non c’era angolo della capitale e del regno dove non si brindasse alla salute del nuovo sovrano.
Durante il ballo ufficiale, tenutosi nella medesima sala dove si era svolto quello per la fine del lutto, l’ambasciata di Amestris ebbe finalmente occasione di porgere i suoi saluti ufficiali al nuovo Autarca, così come le altre delegazioni. E poi nobili, funzionari, uomini di chiesa… tutte le alte cariche di Drachma prestarono giuramento di fedeltà a Derekj Dars Drachvoic, primo del suo nome e alla sua promessa sposa.
Accanto al sovrano, vestito di nero e argento, Alexand, campione dell’Autarca, stava in piedi con estremo orgoglio, l’espressione seria che non riusciva a nascondere del tutto la grande soddisfazione che stava provando in quel momento.
Terminato quel momento ufficiale, l’orchestra iniziò a suonare un lento motivo che preludeva l’inizio delle danze.
“Mi dispiace che tu sia in divisa, tenente colonnello – sospirò Roy – avrei tanto voluto invitarti a ballare.”
“Generale, le voglio ricordare che non è l’occasione adatta – rispose lei con aria seria – siamo in servizio, non se lo dimentichi.”
“Allora festeggiamo dopo in camera?” le chiese all’orecchio con malizia.
“Generale!”
“Generale Mustang! – Valerya si accostò a loro – I primi tre balli li devo al mio signore, ovviamente, ma poi sarei lieta di fare un giro di valzer anche con lei!”
“Riscuote sempre successo, generale!” ridacchiò Havoc.
“Oh, poi vi presento le mie sorelle – sorrise maliziosamente la ragazza – hanno tutte sentito parlare delle prodezze dell’ambasciata di Amestris e non vedono l’ora di poter fare un ballo con voi.”
Riza ridacchiò nel vedere gli uomini della sua squadra messi in difficoltà da quella dichiarazione. Fortunatamente lei, grazie alla sua divisa, era esclusa da simili proposte.
Con la coda dell’occhio notò un movimento alla sua destra e questo la fece andare verso quella direzione, riuscendo a raggiungere quella persona poco prima che raggiungesse la porta.
“Andate già via? – chiese con gentilezza, sorridendo a Michael – Eppure dovreste esserci pure voi in quel palco: siete parte fondamentale del gruppo.”
Il monaco sorrise lievemente, ma scosse il capo.
“E’ un bene che ci sia sempre un consigliere discreto, mia signora – dichiarò – ho ancora molta strada da fare nella mia vita, me ne sono reso conto in questi mesi.”
“Credo che un giorno accanto al campione ci sarà anche un Patriarca particolarmente vicino a Derekj.”
“Chissà… ultimamente ho riflettuto sul fatto che forse non è quello a cui aspiro veramente. Patriarca o meno i miei consigli per Derekj non mancheranno mai.”
Riza lo osservò con attenzione: era così cambiato da quel monaco così rigido e cupo che aveva conosciuto. Adesso il suo viso aveva una nuova espressione che parlava di maggior saggezza ed esperienza, fattori che riuscivano a mitigare i duri lineamenti degli Anditev. Per quanto la vicenda dei gemelli l’avesse addolorato lui era riuscito ad andare avanti, sapendo bene di poter contare sull’appoggio della seconda famiglia, forse quella più vera che possedeva.
“Dove andate?”
“A casa, da mio padre: è rimasto giusto per la cerimonia, ma poi ha preferito ritirarsi… gli è costato anche venire qui dalla tenuta in provincia. Tanto ci penserà Andrey a fare gli onori per gli Esdev.”
Riza si girò verso la direzione che le veniva indicata e scorse un uomo molto simile a Michael, anche se era evidente anche la somiglianza con il duca Esdev.
“Siete un figlio devoto.”
“Diciamo che la famiglia si sta riprendendo piano piano… vi auguro una buona serata, mia signora.”
Con un rapido cenno di congedo, il monaco raggiunse l’uscita, lasciando Riza da sola.
 “Un amico fidato è un qualcosa di davvero prezioso – commentò il principe Shao, accostandosi a lei – e Derekj è davvero fortunato in materia di amicizie. Può dire lo stesso anche lei, signora?”
“Decisamente – sorrise Riza – e tra le mie spero di poter contare anche la vostra, principe.”
“L’amicizia tra Amestris e Xing è ben salda – dichiarò lui, prima di aprire il ventaglio con malizia – ma ancora più salda è quella di questo principe dell’est con la squadra del generale Mustang, in particolare con la sua fidata guardia del corpo.”
“Le dobbiamo tanto, non ne ha idea…”
“Oh, sciocchezze! – sorrise Shao – E’ stata un’ambasciata movimentata, tutto qui.”
“Un giorno dovreste venire a trovarci ad Amestris.”
“Dicono che New Ishval sia un piccolo gioiello… per non parlare delle grandi città. Chissà, tra qualche anno potrei seriamente pensarci. Allora, che ne pensa della festa? Certamente più rilassata da quella di qualche mese fa, vero?”
“Decisamente – sorrise Riza, mentre osservava la sua squadra circondata da almeno quattro graziose ragazze assai somiglianti a Valerya – Povero Fury, spero che non coinvolgano anche lui… oh no! E’ stato letteralmente trascinato!”
“Oh, ma dubito che quella ragazzina di quindici anni possa provocargli qualche guaio.”
“No – ridacchiò lei – proprio no!”
Adesso sapeva di potersi godere la festa senza alcun pensiero.

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Capitolo 33
*** Capitolo 32. Sprazzi di fine missione ***


Capitolo 32.
Sprazzi di fine missione



La mano di Derekj era rapida e precisa nel stilare la propria firma nel fondo di quella lunga pergamena: alla fine fece uno svolazzo e poi passò la penna a Roy che firmò appena sotto, in qualità di ambasciatore di Amestris.
“E con questo trattato, per la prima volta da quando sono state fondate, Amestris e Drachma sono in pace – dichiarò l’Autarca, prendendo in mano la pergamena e passandola al notaio affinché ci mettesse i dovuti sigilli – abbiamo scritto una pagina di storia, generale, ne dobbiamo essere più che fieri.”
“Posso considerare la mia missione felicemente riuscita.” si limitò a commentare Roy con un lieve sorrisetto, cercando di non tradire la propria soddisfazione.
Quella l’avrebbe esternata direttamente a Central City, davanti a tutti gli altri componenti dello stato maggiore e ancora prima ed in maniera del tutto particolare quando sarebbe tornato a Briggs, davanti alla cara Olivier Armstrong.
La sua faccia sarà la ricompensa più grande dopo tutti questi mesi di missione…
Quasi gongolava all’idea, tanto che una secca gomitata di Riza dovette ricordargli che si trovava nella stanza consiliare dell’Autarca, alla presenza di tutto il Consiglio dei Dieci. Si schiarì quindi la gola con noncuranza e tornò serio, ascoltando Derekj che faceva un piccolo discorso per suggellare ulteriormente quel grande passo diplomatico che era stato appena compiuto.
Certo Briggs non sarebbe stato smilitarizzato, la cosa non era da prendere nemmeno in considerazione, tuttavia era prevista l’apertura di ambasciate stabili in ogni paese, l’apertura di rotte commerciali, l’alleanza in caso di attacchi da paesi confinanti e tutta un’altra serie di clausole più che convenienti che avrebbero portato grande prosperità ad entrambi i paesi.
E soprattutto una pace più che duratura – rifletté il soldato – senza contare che adesso abbiamo letteralmente messo a posto pure Creta: non tenterà più mosse false con noi quando verrà a conoscenza di questa alleanza.
Certo, sarebbe rimasto il confine caldo con Aerugo, ma a conti fatti per Amestris si prospettava un periodo di grande pace e tranquillità… e Roy Mustang aveva messo la propria personale impronta in un simile processo, un fatto che gli avrebbe dato una grande spinta verso una carica molto più importante, ovviamente a tempo debito.
“Generale – lo chiamò Derekj – vuole dire pure lei qualche parola?”
Roy annuì e si fece avanti: benedetto Falman che aveva pensato a stilare un discorso per l’occasione durante la scorsa settimana. Lui non ne avrebbe avuto mai voglia.
 
***

“E così presto partirai – sospirò Karla, quella sera stessa, posando pigramente la testa sul petto di Breda – ammetto che mi ero abituata alla tua compagnia, soldato…”
Breda annuì lievemente, ammettendo pure lui che la compagnia di quella ragazza così arguta e sagace gli sarebbe mancata, specie nei primi tempi. La missione si era prolungata più del previsto e questo aveva significato anche che la sua relazione si era sviluppata più del dovuto. Tuttavia, per quanto doloroso, restava una persona pragmatica e sapeva benissimo che certe cose erano destinate a concludersi spontaneamente.
“Senti, e Amestris è così diverso da qui?”
“Decisamente diverso – confermò – a partire dal clima. Poi, dove sto io, la neve si vede davvero raramente: non credo che sia il posto giusto per una piccola e scattante creatura della neve come te.”
La piccola e scattante creatura arricciò il naso con disappunto, pure lei sorpresa nel trovarsi coinvolta emotivamente più di qualsiasi altra relazione avesse intrattenuto.
“Presumo quindi che le olive che faccio io…”
“Manco l’ombra… e lascia che ti dica – con mossa abile la rovesciò sotto di lui – che nessuna donna con cui sono stato sa fare l’amore come te.”
“Senti – mormorò lei, prima di gemere con forza quando le venne morsicato un seno – e se… diciamo… un giorno volessi passare a ricambiare la visita?”
Breda si bloccò: stava per entrare dentro di lei, ma quella domanda l’aveva spiazzato.
Gli occhi grigi scrutarono quelli scuri e grandi di lei, cercando di capire quanto un’idea simile potesse esser realizzabile. Certo, Karla era una donna che gli andava a genio: intelligente, sapeva cucinare divinamente, stimolava la sua arguzia… e chi se ne importava se era una cameriera e prima di lui aveva avuto diversi uomini? Quando c’era un’alchimia così perfetta simili dettagli non importavano, e lui era il primo a non curarsi di dettagli come il ceto di provenienza.
Però…
“Facciamo così – mormorò, riprendendo la manovra e strappandole un gridolino di sorpresa – ti lascio il mio indirizzo e se avrai bisogno di me – la penetrò con maggior forza – saprai dove trovarmi.”
“Dannazione, soldato – ansimò Karla, aggrappandosi alle sue spalle con foga – se continui così prenderò quel maledetto treno assieme a te.”
Breda non rispose.
Forse perché era troppo impegnato nel fare l’amore.
O forse perché per una volta tanto non voleva pensare al domani.
 
***

E così, una tiepida mattina di giugno, arrivò il momento della partenza.
La piccola fermata ferroviaria che si trovava all’interno della Cittadella brulicava di paggi e servitori che provvedevano a caricare i bagagli e a sistemare le ultime cose per il viaggio.
Solo una persona non era lì, a sovrintendere a tutto quanto, a porgere gli ultimi calorosi saluti con le persone che ormai erano diventate amiche.
Fury infatti aveva approfittato di quegli ultimi momenti nella Cittadella per andare nelle cripte sotto il palazzo a visitare la tomba di Kora. Non l’aveva mai fatto da quando era stata sepolta ed un po’ se ne vergognava: erano passate settimane e lui non aveva mai trovato la spinta giusta per andare… o forse il coraggio.
Il sarcofago di marmo bianco era veramente bello, senza però troppe decorazioni che l’avrebbero reso pesante da osservare: stava accanto a quello più grosso della principessa Doris, e sembrava in qualche modo protetto da quella stazza più grossa, come se anche nella morte quella madre cercasse di proteggere la figlia.
Era inevitabile che prima o poi ci si chiedesse se c’è qualcosa dopo la morte: Fury l’aveva fatto diverse volte nella sua vita, ma poi, com’era naturale, non si era soffermato troppo a pensare. Sperava sinceramente che esistesse un aldilà, un posto dove tutti loro potessero rincontrarsi dopo aver lasciato il mondo dei vivi: gli piaceva l’idea di poter stare veramente per sempre con le persone che amava, senza nessuna delle sofferenze che li aveva tormentati in vita.
Nel silenzio di quella cripta si sorprese a desiderarlo ancora di più, ma questa volta per Kora. Voleva sinceramente che la ragazza fosse al sicuro, con la madre, priva di quella follia che aveva reso la sua vita un vero e proprio tormento.
Una mano si posò sulla sua spalla e per qualche istante Fury fu certo che si trattasse di qualcuno dei suoi compagni che era venuto a cercarlo data la partenza imminente. Fu quindi sorpreso quando si girò e vide Michael che gli sorrideva gentilmente.
“Sei venuto a salutarla?” gli chiese il monaco.
“Sì, presumo di sì…”
Rimasero diversi minuti in silenzio, ciascuno immerso nei suoi ricordi e rimpianti per quella figura così tormentata che, in modi così differenti, aveva scosso le loro vite.
“La vostra religione crede in un aldilà?” chiese Fury all’improvviso.
“Sì – annuì Michael – le anime delle brave persone vanno sempre in un paradiso: è la ricompensa per essere stati buoni e puri in vita…”
Non finì la frase e si morse il labbro inferiore: effettivamente quella definizione stonava davanti alle tombe di due persone che avevano avuto un’esistenza non proprio perfetta. E soprattutto sembrava profondamente ingiusta perché diverse situazioni non le avevano create loro, ma si erano trovate in mezzo, lottando con le unghie e con i denti per salvare quello che ritenevano importante.
“Credo che… – il monaco riprese a parlare dopo qualche secondo, facendo una lieve smorfia – spesso una religione si rinchiuda da sola in regole che forse non sono proprio giuste… non per tutte le occasioni.”
“Anche la tua?”
“Credo che… voglio credere che il mio Dio sappia giudicare caso per caso e non sia così rigido nelle sue decisioni, come invece sono stato io troppe volte. A questo proposito ti stavo proprio cercando, Kain: volevo chiederti scusa.”
“Scusa? – Fury arrossì – e per cosa?”
“Per aver messo in dubbio la fiducia che ti lega al tuo superiore, quando ancora ritenevo che fosse un eretico e una persona malvagia.”
“Oh – il giovane soldato non sapeva come rispondere – ecco… io… non devi assolutamente… in fondo credevi di fare del bene.”
“E’ forse questo il problema – sospirò Michael – molto spesso si crede di fare del bene senza soffermarsi a pensare se è davvero quello che facciamo. Con le mie parole credo di averti messo in crisi.”
“No, non era per quella – scosse il capo lui – sono subentrate altre questioni… molto più personali, diciamo così. Proprio come hai detto tu, ossia che non sempre si fa del bene anche quando si è in buona fede… a volte anche delle azioni che in apparenza appaiono sbagliate hanno una loro spiegazione.”
Michael annuì lievemente, come se avesse intuito quello che Fury voleva dire.
Rimasero qualche altro minuto ad osservare quel sarcofago di marmo e alla fine voltarono le spalle a quella sepoltura, in un ultimo silenzioso saluto a Kora Esdev.
 
***
 
Il treno viaggiava a velocità sostenuta mentre le placide pianure di Drachma scorrevano davanti ai finestrini. La prima volta che Riza le aveva viste, durante il viaggio d’andata, erano tutte coperte da un manto di neve di almeno un metro che le aveva fatte sembrare estremamente monotone e alienanti; adesso invece, con l’erba alta e macchie di fiori sparse, erano brulicanti di vita ed era un vero e proprio piacere osservare nell’attesa di vedere qualche mandria di mucche al pascolo o gli stormi di uccelli selvatici che si alzavano all’improvviso in volo.
La donna passava diverse ore al finestrino, felice di vedere quel panorama, ma un po’ malinconica nel pensare che quel treno la stava portando via da quello strano sogno che era stata la Cittadella di Drachma. Un mondo incantato che l’aveva fatta sentire più volte come una principessa, sebbene poi la sua vera natura di soldato avesse sempre preso il sopravvento. Però quelle strane ed inebrianti esperienze le avrebbe sempre portate con piacere nel suo cuore perché, diciamolo… non a tutte le ragazze di Amestris capita di ballare con il campione dell’Autarca in un salone da favola e con un vestito meraviglioso, o ancora di cavalcare con il sovrano di quella nazione ed un principe di Xing, o ancora chiacchierare allegramente con la futura regina di un regno così vasto.
Persone splendide che aveva lasciato con rimpianto, ma anche con la promessa di rivederle prima o poi.
“Tra poco giungeremo al confine della provincia di Alexand – disse Roy, accostandosi a lei – conviene che tieni il mantello a portata di mano perché come inizieranno le montagne la temperatura si abbasserà di diversi gradi: è praticamente certo che ci sarà la neve.”
Riza annuì mentre il generale si sedeva al suo fianco. Non c’era nessun altro in quel vagone e così non si pose nessun problema a posarsi con disinvoltura alla sua spalla, sentendo con piacere il braccio che l’avvolgeva con protezione.
Voleva godersi quei momenti più che poteva: sapeva bene che una volta ad Amestris sarebbe stato molto difficile concedersi simili libertà. Avrebbero dovuto calcolare ogni mossa, ogni sguardo, ogni parola… si sarebbero dovuti nascondere dietro quelle divise come in fondo avevano sempre fatto.
“Tuo nonno sarà estremamente felice del trattato di pace che abbiamo concluso – commentò Roy, giocherellando con una ciocca dei capelli biondi – non penso che una missione abbia mai avuto simile successo.”
“Godiamo dell’amicizia personale dell’Autarca di Drachma e dell’imperatore di Xing: quanti altri possono vantare una cosa simile?”
“Già... considerati questi successi prima o poi ci dovremmo prendere anche qualche soddisfazione personale, non credi?”
“Generale…” sospirò lei, alzando lo sguardo su quel viso affascinante, su quegli occhi neri che la fissavano con aria interrogativa.
“Lo so, è prematuro: cercare di rendere ufficiale la nostra relazione adesso vorrebbe dire far esplodere una bomba vera e propria. Presumo che ci vorranno anni, però credo che a breve dovremmo parlarne con tuo nonno: se iniziasse lui il progetto di abrogazione delle leggi anti fraternizzazione sarebbe molto meglio.”
“Credi che lo farà senza troppi problemi?”
“E’ da quando ero colonnello che mi chiede di prenderti in sposa, lo sai bene… allora lo diceva sapendo bene che non avresti mai lasciato la divisa. Ma allora c’era anche una situazione ben diversa, con Bradley al potere, ed arrivare così in alto sembrava molto difficile. Ma ora le cose sono cambiate ed è più fattibile… e poi, diciamolo, allora le cose tra di noi non erano mature.”
“Però non conviene correre troppo.”
“No, tranquilla, basterà essere discreti… possiamo contare sui ragazzi per questo. Male che vada, quando ci va, facciamo finta che ci sia bisogno di noi a Drachma e facciamo una fuga romantica tra la neve.”
“Tutte scuse per non lavorare, signore, la conosco bene!”
Forse avrebbe aggiunto anche altro, ma le labbra di Roy le impedirono di continuare il discorso.
In fondo era bello poterci credere… poter sperare che un giorno il loro amore avrebbe potuto esser espresso alla luce del sole, senza che le divise costituissero un problema.
 
***
Due giorni dopo una piccola carovana di cavalli giunse in prossimità della fortezza di Briggs.
Immediatamente vennero lanciati dei richiami che riecheggiarono nel silenzio delle montagne e poi i viaggiatori si disposero ad attendere che le porte venissero aperte.
“Non dovevate prendervi il disturbo di venire sino a qui – disse Roy, smontando da cavallo come tutti gli altri e rivolgendosi ad Alexand – non è un posto…”
“Mio padre è morto qui… non c’ero ancora stato in tutti questi anni, lo ammetto – dichiarò il giovane campione, fissando i relitti di quell’ultimo scontro tra Amestris e Drachma – era l’occasione per chiudere finalmente i conti con il passato. Quanto al venire fino a questo punto… beh, generale, dobbiamo così tanto a lei e alla sua squadra che mi pareva il minimo. Al mio signore è dispiaciuto non poter venire di persona e doversi limitare a salutarvi in Cittadella.”
“Tornerete subito lì?”
“Starò un paio di settimane nei possedimenti di famiglia a sistemare alcune cose: manco da diverso tempo e comunque devo occuparmi anche delle mie terre. Ma avrò buona compagnia: ho promesso al principe Ming di mostrargli la provincia.”
Entrambi si girarono a guardare il nobile xinghese che parlava con Riza e Fury, sventolandosi con il suo solito ventaglio come se il paesaggio nevoso e selvaggio attorno a lui non esistesse.
Forse Roy avrebbe fatto qualche commento in merito, ma proprio in quel momento le porte si aprirono e lui si godette la scena di un’impassibile Olivier Armstrong che si faceva avanti con un plotone dietro le sue spalle.
Oh sì – gongolò Roy, assumendo la sua espressione più professionale – mi vorresti sparare, vero? O meglio ancora infilzarmi con la tua spada. Quanto ti sta bruciando che io sia qui con il campione di Drachma a sventolarti davanti un trattato di pace?
“Generale! – salutò con voce entusiasta – Eccoci di ritorno! Permettete? Il campione dell’Autarca, il barone Alexand Anditev, signore di questa provincia… è stato così gentile da voler accompagnare tutti noi fino a Briggs: sapete, l’Autarca voleva essere sicuro che il viaggio andasse bene…”
“Mustang…” sibilò lei, mentre la mano che stringeva l’elsa della spada iniziava a tremare per la rabbia.
“… del resto portiamo con noi un trattato di pace niente male – continuò Roy, implacabile – bisogna proteggere in tutti i modi un simile pezzo di storia!”
“Ma certo… certo! – ringhiò lei, rivolgendo appena un’occhiataccia ad Alexand, l’unico benvenuto che era capace di dargli. Un’occhiataccia che il barone fu rapido a restituire – Vogliamo andare?”
“Più che volentieri! – sogghignò Roy – Sentito, truppa? Torniamo a casa!”
La frase “io ti sventro” fu fortunatamente sibilata così piano che nessuno, eccetto l’interessato, la sentì.
 
***

Due giorni dopo Rey Falman stava finendo un disegno di cui era particolarmente orgoglioso.
Ci stava lavorando dal giorno prima e a dispetto dei suoi quattro anni gli stava uscendo davvero bene: non poteva essere altrimenti dato tutto l’impegno che ci aveva messo.
“E’ papà!” esclamò Lisa, arrampicandosi sulla sedia accanto alla sua e gattonando poi sopra il tavolo.
“Sì, è papà – annuì il bambino, levando prudentemente il foglio dalla portata della sorellina – ma tu non lo devi toccare: è per lui, quando ritorna!”
“E quando torna?” chiese la bambina, tendendo una mano per avere il foglio.
“Non si sa – spiegò Rey con aria importante, mostrandole il disegno a distanza di sicurezza – la sua è una missione speciale e le missioni speciali durano tanto tempo.”
“Quanto tempo?”
“Ti ho detto che non lo so… ora scendi dal tavolo! Mamma non vuole!”
Rey cercò di usare il tono più autoritario che poteva: la mamma si stava facendo il bagno e gli aveva affidato la responsabilità della casa e della sorellina mentre lei era impegnata. Una responsabilità che Rey sentiva più che mai dato che, in assenza del padre, era lui l’uomo di casa.
“Papà non ha quei pallini gialli!” disse Lisa mentre scivolava di nuovo sulla sedia e poi per terra.
“Non sono pallini! Sono i gradi della divisa! Vedi… sono le stellette: perché è capitano dell’esercito! Oh no, dammelo!”
Rapidissima Lisa aveva afferrato il foglio che il fratello aveva imprudentemente avvicinato per far vedere quell’importante dettaglio del disegno. Soddisfatta di quella conquista iniziò a correre via dalla cucina, cercando un rifugio dove potersi godere quella strana e curiosa forma del suo adorato genitore.
Tuttavia il suo passo traballante la tradì e all’altezza dell’ingresso di casa cadde rovinosamente a terra.
“Ahia… bua…! – iniziò a singhiozzare, anticipando il vero e proprio strillo – Bua! Bua! Mammaaaa!”
“Oh no! – Rey le fu subito accanto – Non piangere, dai, non è niente!”
Stava per risollevarla da terra, lieto di vedere che non ci fossero macchie di sangue a segnalare una ferita seria, quando qualcuno busso alla porta, proprio a pochi passi da loro.
“Mamma non vuole che apri…” mormorò Lisa con timore, nascondendosi dietro il fratello.
Rey annuì, indeciso sul da farsi e leggermente impaurito: chi mai poteva essere? La mamma non riceveva delle visite… forse la cosa migliore era stare zitti e far finta che in casa non ci fosse nessuno. Anzi la cosa migliore sarebbe stata correre in bagno e chiamare la mamma: almeno con lei sarebbero stati certi che dietro la porta non ci fosse alcun mostro.
Ci fu un lieve brusio e delle voci provenienti da dietro l’uscio.
“Papà! – esclamò Lisa, correndo alla porta e battendo con la manina – Papà!”
“Papà?” ansimò Rey.
Il dilemma di venire meno a quella regola di non aprire la porta se si era soli durò solo qualche istante: pure lui sentì la voce del genitore. Due secondi dopo armeggiava con la chiave, le mani tremanti e le lacrime agli occhi.
“Ehilà, bambini!” esclamò Falman, chinandosi per prenderli in braccio.
“Papà! – gioì Lisa – allora è finita la missione speciale! Vero?”
“Verissimo, principessa – la baciò il capitano – e sono subito tornato da voi… la mamma?”
“A fare il bagno – spiegò Rey, la voce soffocata dall’aver il viso nascosto nella spalla paterna – lo so che non dovevo aprire la porta, però…”
“Oh, lascia stare, Rey – lo consolò il padre – per questa volta hai fatto più che bene.”
Non era da poco tornare a casa dopo così tanto tempo.
 
***

Fury osservava le rotaie che venivano lasciate indietro dal treno: teneva le mani posate contro la ringhiera della passerella posteriore dell’ultimo vagone e si perdeva nella strana continuità di quelle strisce nere costellate di marrone che scorrevano sotto i suoi occhi.
E così tra qualche ora sarebbero arrivati a casa, ad East City.
Tutto sarebbe tornato normale, tutto come prima… di nuovo una squadra senza Falman, di nuovo il solito avanti e indietro tra la città e New Ishval. In parte avrebbe dovuto essere felice di tutto ciò, ma era come se quella vecchia realtà non gli andasse più a genio.
Forse in parte dipendeva dalla ferita alla spalla e tutto quello che era legato ad esso.
Non lo sapeva, ma sentiva di essere in qualche modo diverso.
“Nano – lo raggiunse Havoc – pensieroso?”
“In parte…” ammise.
“Dai che i gemelli vorranno rivedere anche lo zio Kain – gli batté una mano sulla spalla provocando un lieve pizzicore che però svanì subito. Davvero entro poco quella zona sarebbe diventata completamente insensibile come gli avevano annunciato i medici? La cosa lo spaventava non poco – la versione col broncio non piacerebbe per niente.”
“Non si deve preoccupare, signore… è solo un attimo – sorrise debolmente lui – è stanchezza per il viaggio, tutto qui. Non vedo l’ora di essere a casa, lo ammetto.”
“Ci aspettano almeno due settimane di vacanza, non ne sei felice? Che farai?”
“Credo tornerò in paese – lo disse con sincera aspettativa. Forse quello di cui aveva bisogno davvero era staccare la spina per qualche tempo anche dalla sua squadra in modo da metabolizzare veramente il tutto. E il luogo ideale era la sua meravigliosa e pacifica campagna – non vedo i miei da tempo.”
“Benissimo… e come torni ci penserò io a te!”
“Pensare a me…?” Fury alzò lo sguardo verso il suo compagno di squadra, sentendo un lieve brivido lungo la schiena.
“Ma certo – Havoc sghignazzò, accendendosi una sigaretta – ormai l’operazione Perdita della verginità è diventata un vero e proprio imperativo. Cazzo, non va bene che tu fossi drogato e che quella matta furiosa ti abbia cavalcato privandoti di tutto il piacere che…”
“Sei un idiota!” esclamò Breda, arrivando giusto in tempo per sentire l’ultima parte del discorso.
Mentre i due compagni di squadra litigavano, Fury ne approfittò per dileguarsi dentro il vagone. Raggiunse Riza che stava seduta a leggere alcuni documenti, giusto per portarsi avanti con il lavoro, e si accomodò accanto a lei.
“Tutto bene, tenente?” chiese la donna senza nemmeno alzare lo sguardo da quei fogli.
“Sì, tutto bene…” rispose di nuovo lui, rifugiandosi dietro quella frase che voleva dire tutto o niente.
“Forza e coraggio, ancora qualche ora – sorrise Riza, mettendo un appunto sul lato del foglio che leggeva – scommetto che Rebecca ed i gemelli avranno portato anche Hayate alla stazione.”
E per la prima volta in quel giorno Fury sorrise davvero con sincerità.




Ehilà, salve a tutti!
Eccomi tornata ad aggiornare questa fic dopo le vacanze.
Nonostante vi avessi promesso l'epilogo per i primi di agosto, diversi imprevisti mi hanno impedito sia di scrivere che di connettermi e così ho rimandato tutto al mio ritorno a casa. Come avevo già anticipato nella mia pagina fb, prima dell'epilogo è venuto fuori questo capitolo, un po' striminzito e frammentario, ma era davvero diffcile fare una cosa uniforme tenendo conto che dovevo chiudere la trama di molti punti di vista.
A breve l'epilogo vero e proprio e poi mi potrò dedicare alle altre opere che ho in mente!
Besos!

Laylath

 
 

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Capitolo 34
*** Epilogo. ***


Epilogo



East City, Novembre 1920.

Quando Rebecca era nervosa pure Jean Havoc lo era: non per solidarietà, ma perché diventava l’inevitabile valvola di sfogo della moglie che strillava contro di lui le peggio cose con un volume di voce che spesso e volentieri si sentiva in tutto il palazzo. E niente rendeva più nervosa Rebecca Catalina dell’organizzare la festa per il compleanno dei gemelli: mancava ancora una settimana, ma lei era già partita di testa già da quella prima. Liste, inviti, cose da preparare, cucinare, appuntamenti con metà dei negozi di East City… tutte cose che avevano il potere di farla entrare in un circolo vizioso di stress, ansia ed impazienza.
E tutta la squadra, quando arrivava Havoc la mattina, capiva subito se le commissioni del giorno fossero andate bene o male… e quasi sempre era la seconda.
“Il colore dei confetti… non le andava bene lo stramaledettissimo colore dei confetti! – sbottò Havoc per la centesima volta, sbattendo con rabbia il dossier sulla sua scrivania – ma da quando in qua può fregare a qualcuno del colore dei confetti… eh no! A quanto pare il rosa era troppo rosa e l’azzurro poco azzurro! Che cazzo ci deve fare? Un dipinto da appendere in una galleria d’arte?”
“Adesso passa alla tovaglia…” ridacchiò discretamente Breda, rivolgendosi a Riza, seduta nella scrivania davanti a lui.
“… e la tovaglia? – continuò appunto Havoc, accendendosi una sigaretta – mi dite perché se la tovaglia è un centimetro più lunga del previsto non va bene? Non mi pare che il nostro tavolo sia così pretenzioso!”
Riza sorrise con indulgenza davanti a quella sfuriata: sapeva benissimo che Rebecca voleva sfoggiare le sue doti di perfetta casalinga… anche se perfetta non era proprio il termine giusto. Semplicemente non si sentiva ancora a suo agio in quel ruolo, specie dopo aver indossato la divisa per così tanto tempo, e così quegli eventi diventavano dei banchi di sfida in cui voleva strafare.
“Stasera passerò da voi, maggiore – dichiarò con calma – vedrò di parlare con Rebecca.”
“Grazie di esistere, tenente colonnello – sospirò Havoc – almeno per qualche ora mi darà tregua quell’arpia. Piuttosto, ma Falman non doveva tornare oggi? Se non torno a casa con la notizia del suo arrivo Rebecca mi spara!”
“Effettivamente il capitano aveva annunciato che sarebbe arrivato col treno di oggi – ammise Fury, levandosi le cuffie – però ci sono stati alcuni ritardi e treni soppressi per via dei lavori che stanno facendo nel tratto di linea appena fuori Central City e…”
“Anche i treni si mettono contro di me! – inveì Havoc – Possibile che nessuno capisca la gravità della situazione?”
“Fai che arrivi Falman… fai che arrivi Falman – iniziò a pregare Roy, seduto alla sua scrivania con aria esasperata ed una forte emicrania che lo tormentava da quella mattina: sembrava che la pastiglia che gli aveva procurato Riza ci mettesse più tempo del previsto per fare effetto… e certo lo sbraitare di Havoc non rendeva le cose più semplici – ti prego… ti prego! Concedimi un minimo di tregua!”
Quasi le sue suppliche avessero avuto successo, non passarono nemmeno due minuti che bussarono alla porta e un sorridente capitano Falman fece il più formale dei suoi saluti.
“Capitano Vato Falman a rapporto, generale! – salutò l’uomo – Perdoni il ritardo, ma ho dovuto prima sistemare la famiglia in albergo.”
Furono le uniche frasi che riuscì a dire prima di venire sommerso dai saluti del resto della squadra. Persino Roy si dimenticò del suo mal di testa per alzarsi dalla scrivania e stringere con affetto la mano del suo sottoposto.
“Ci mancavi, capitano – dichiarò – la tua assenza si faceva sentire.”
Sarebbero stati solo dieci giorni, lo sapevano tutti quanti, ma il senso d’unione e di famiglia che c’era in quel momento era troppo bello per indulgere in altri dettagli. Anche se Falman era lì in forma più ufficiosa che ufficiale, dato che il vero motivo della sua presenza era il compleanno dei gemelli Havoc, non c’era nessun motivo che gli impedisse di stare in ufficio con tutti quanti loro.
Ovviamente, come c’era d’aspettarsi, quell’arrivo fu un’occasione perfetta per andare a festeggiare con una pausa fuori programma, nonostante quella giornata il lavoro da fare fosse quantitativamente notevole. Ma quando Breda e Havoc prendevano in mano la situazione c’era poco da fare e così, nell’arco di tre minuti, Roy e Riza si trovarono da soli, con la promessa di raggiungere gli altri al bar che stava appena fuori dal Quartier Generale.
“Addio mattinata di lavoro – sospirò con rassegnazione la donna, guardando con malinconia i vari dossier sparsi sulle scrivanie degli assenti – e presumo che per il resto del tempo si cercherà di fare delle pause ben oltre il consentito…”
Avrebbe aggiunto anche altro, ma le labbra di Roy le sfiorarono il collo con sensualità, facendola rabbrividire.
“Stasera presumo che ci sarà una cena di squadra – dichiarò il generale – ma poi possiamo andare a casa mia, non ti pare una buona idea?”
Riza arrossì, come sempre succedeva quando riceveva simili proposte.
Ormai era da quasi cinque mesi che la loro relazione procedeva ad Amestris e tutto andava per il meglio. Avevano subito imparato ad essere discreti, a contare sulla fedeltà dei loro sottoposti: incredibilmente si erano adattati a questa nuova situazione con notevole disinvoltura. A lavoro ben pochi gesti espliciti, certo, anche per rispetto nei confronti degli altri…
Oh, ma di notte…
Riza fremette d’aspettativa. Roy era capace di amarla come nessun altro, ne era certa: le sue mani, la sua bocca, il suo corpo… era tutto estremamente perfetto, ogni volta: che si trattasse dell’amore dolce, lento e romantico o di quello più sfrenato. Quell’uomo aveva la grande dote di farla perdere in un mondo di estasi e piacere… ma soprattutto era in grado di darle una sicurezza emotiva che le era sempre mancata.
Perché la faceva sentire bella, amata, desiderata: in poche parole una vera donna.
“Credo che… mio nonno – come sempre cercò di cambiare argomento – forse, nell’ultima visita, ha capito qualcosa… ne dovremmo parlare con lui…”
“Riza – la canzonò il moro, sistemandole una ciocca bionda sulla fronte – quello ha capito tutto dal primo momento che ci ha visti tornare da Drachma… e mi è sembrato estremamente compiaciuto.”
“Dice davvero?”
“Dico – inarcò il sopracciglio nel sentire che era scivolata nel “lei” d’ufficio, ma non ci fece caso: faceva parte del fascino tutto particolare di Riza Hawkeye. La abbracciò con sensualità sfiorandole la fronte con un bacio che chiaramente sarebbe voluto andare oltre – vedrai che alla prossima visita vorrà parlarne in maniera più specifica. Comunque… sai che la pastiglia per il mal di testa ha funzionato? Adesso ho proprio voglia di prendere qualcosa al bar, senza contare che gli altri ci staranno di certo aspettando.”
Quasi a conferma la porta si aprì ed entrò Fury che arrossì e fece un passo indietro nel vederli impegnati in simili effusioni.
“Ecco io… io – balbettò con imbarazzo – noi vi stiamo aspettando, signori…”
“Arriviamo…” annuì Riza, approfittandone per sciogliersi da quella presa poco professionale durante l’orario lavorativo e portarsi accanto a Fury.
I tre si scambiarono un rapido giro d’occhiate: ogni tanto i due di grado maggiore si chiedevano se il piccolo della squadra stesse assimilando bene l’idea che tra loro ci fosse una relazione, ma sembrava che ormai Fury avesse superato del tutto la prima fase d’assestamento.
In particolare Roy ne era sollevato: non solo perché vedeva Riza felice, ma anche perché Fury stesso lo era… ed era un po’ come un figlio che approva la nuova relazione dei genitori, in una maniera del tutto confusa e diversa dall’ordinario, ma il paragone poteva calzare.
La mia squadra senza Fury? – pensò, mentre gli tornava alla memoria quei tragici giorni in cui aveva rischiato di perderlo – manco a pensarci. La mia squadra non fa a meno di nessuno dei suoi membri… e Falman è solo questione di tempo prima che torni in pianta stabile da me. Adesso che l’alleanza con Drachma è una realtà il controllo sulla Armstrong potrà diventare mano a mano meno serrato…
“Forza, andiamo – dichiarò, avviandosi assieme agli altri – ho proprio fame!”
 
L’arrivo di Falman e famiglia sembrò segnare una svolta nel dramma della preparazione della festa di compleanno dei gemelli: Elisa si propose subito di dare una mano a Rebecca e questa iniziativa riuscì a far entrare un minimo di buon senso e di tranquillità in casa Havoc.
Peccato che venga coinvolto pure io nei preparativi di questo compleanno… almeno che la torta sia decentemente buona e grande per tutti!
Breda, qualche giorno dopo, maledì mentalmente il suo miglior amico e la consorte: il suo giorno libero era stato biecamente sfruttato per mandarlo a fare commissioni che, a detta di Rebecca, non potevano essere rimandate e lei aveva altre diecimila cose da fare assieme ad Elisa.
E ovviamente era più che lecito sfruttare il miglior amico del marito… nonché padrino dei gemelli, una cosa che veniva astutamente tirata fuori quando più faceva comodo,come in quel caso.
“E ora basta! – sbottò, chiudendo con un sospiro la porta di casa sua e crollando senza troppe cerimonie sul divano – Non voglio sentire parlare né di pasticcerie, né di panifici o qualsiasi altra cosa che riguardi quella festa! Basta! Amen! Ho fatto la mia parte!”
Si allentò il colletto della camicia e chiuse gli occhi aspettando che quel momento di sfinimento finisse: erano le  sette e mezza di sera… tutto sommato aveva ancora il tempo di rilassarsi. Accendere la radio? No, non ne aveva voglia: quel divano e quel silenzio erano tutto quello che desiderava in quel momento. Alla cena avrebbe pensato più tardi, dopo un bel pisolino.
Il sonno stava proprio per arrivare, lo sentiva: un bel riposo ristoratore che avrebbe cancellato tutta la stanchezza e l’irritazione per quella giornata…
“Oh no – sospirò, sentendo qualcuno che bussava alla porta – vi prego no! Che altro volete da me?”
Si immaginava già che si trattasse di Havoc o Rebecca che venivano a dirgli che qualcosa nelle commissioni che aveva fatto non andava bene e che bisognava tornare ai negozi prima della chiusura, ossia tra nemmeno un quarto d’ora, per rimediare.
Non apro… non apro… non apro! La risolvo così – si disse, prendendo uno dei cuscini del divano e premendoselo sulle orecchie – Vai via, Havoc, Rebecca… chiunque tu sia!
Il bussare comunque proseguiva e questo lo spinse a buttare via il cuscino e ad alzarsi con un grugnito di rabbia. Doveva finirla di essere così tenero con Havoc… doveva metterlo in riga almeno sul non rompere le scatole a certi orari.
“Allora… che cosa è successo? – chiese, andando ad aprire la porta – non mi dire che ti sei ricordato di una nuova…”
La frase si fermò a metà quando si ritrovò una sorridente Karla sulla soglia.
Per un attimo strabuzzò gli occhi, credendo che quella visione drachmiana sparisse all’improvviso, ma lei continuava a stare lì e a fissarlo con i suoi grandi occhi scuri ed il viso gaio. Vestiva una semplice gonna lunga e una camicia, come se il clima di novembre di East City fosse uno scherzo per lei.
“Ehilà, soldato – lo salutò con la sua voce musicale – come stai?”
“Bene – si riprese Breda – però non mi aspettavo di aprire la porta e trovare te.”
“Aspettavi visite?”
“Temevo visite, è diverso – si fece di lato per farla entrare, notando come avesse due pesanti valige con sé – ma è una storia lunga. Allora, che si dice a Drachma? Derekj si sta comportando da bravo Autarca?”
“Ovvio, è un Drachvoic…a primavera prossima si sposerà con lady Valerya! Ci sarà grande festa e voi non potrete mancare – lei si guardò attorno – e così… questa è casa tua.”
“Casa da scapolo, scusa il disordine… sono appena tornato da una giornata pesante di commissioni.”
“Scusa, non ti ho nemmeno avvisato – sospirò lei, andandogli davanti e prendendogli il viso tra le mani – però… sai, ero lì, che lavoravo alla taverna come sempre… e dieci minuti dopo stavo facendo i bagagli. Per fortuna i collegamenti col treno sono molto più semplici adesso e di soldi ne avevo da parte.”
“Sarai esausta – sorrise lui accarezzandole i capelli scuri e mossi – è più di una settimana di viaggio.”
“Oh, sono giovane ed in forze! E poi è stata una bella esperienza: non avevo mai preso un treno in vita mia e poi… indovina! Ti ho portato le mie olive! Il barattolo tanto è sigillato e le ha conservate benissimo!”
E continuava a parlare, parlare, sebbene si capisse che fosse tremendamente stanca.
E Breda continuava ad ascoltare, facendole cenno di seguirlo nella sua stanza, non ponendosi nessuna domanda sul che cosa fare davanti ad una situazione simile che non rientrava in quello che era solito pensare di una relazione con una donna. Ma in quei momenti non gli importava altro che stendersi sul letto assieme a lei, abbracciarla e sentire il suo respiro che si faceva più calmo mentre si addormentava placidamente con il viso posato contro il suo collo.
Dovrò chiedere ad Havoc se posso portare anche lei alla festa…
Fu l’unico pensiero che gli venne in mente.
 
Il compleanno dei gemelli era il giorno dopo.
Fury correva come un disperato verso la stazione, pregando di arrivare in tempo: pensava ormai di essersi liberato dei diecimila compiti che gli aveva affibbiato Havoc, ma a quanto sembrava ne aveva trovato uno last minute, proprio a cinque minuti dall’uscita da lavoro.
Al contrario di Breda, tuttavia, l’indole buona del tenente Fury non lo faceva imprecare contro il biondo. Sperava solo di fare il più in fretta possibile, per quanto non fosse mai stato un fulmine nella corsa.
Attraversò la strada di corsa, rischiando quasi di essere investito da una macchina e poi quasi inciampò in un gruppetto di bambini che stavano giocando a campana sul marciapiede. Sentiva i polmoni esplodergli nel petto, ma tutto era preferibile a subire le ire del maggiore Havoc.
Quando vide l’edificio della stazione ferroviaria esultò interiormente: almeno era arrivato.
Salì i gradini due a due, notando con timore come il flusso delle persone che uscivano fosse davvero poco. E questo voleva dire che il treno delle diciannove e quaranta era già arrivato da un pezzo.
“Binario due…? Vero? Era il due? – ansimò cercando di orientarsi – Ha detto il due… ah ecco!”
Adesso doveva cercare la sorella di Havoc… e solo davanti a quel dettaglio Fury si ricordò di averla vista appena al matrimonio del suo amico anni prima. A pensarci bene non ci aveva nemmeno mai parlato.
“Signorina Janet?” chiamò, osservando quella banchina desolatamente vuota.
Iniziò a camminare con aria perplessa, chiedendosi se la giovane avesse preso l’iniziativa di andare a casa del fratello maggiore da sola: osservando l’orologio appeso alla parete notò che aveva fatto ben oltre mezz’ora di ritardo e sarebbe stato più che lecito che lei avesse pensato che nessuno era venuto a prenderla.
Con un sospiro sconsolato andò fuori dalla stazione, sedendosi su uno dei gradini e concedendosi di riprendere fiato: ormai era scontato che il maggiore l’avrebbe fatto nero.
“Speriamo che non se la prenda troppo…” mormorò, chiudendo gli occhi e arruffandosi i capelli scuri.
Ultimamente Havoc gli aveva procurato solo grane… a partire dal fatto di volerlo per forza sverginare per bene, come aveva gentilmente definito. Fury capiva la buona volontà dell’amico, ne era anche commosso, ma tutti quegli appuntamenti si erano sempre conclusi nel peggiore dei modi… e l’ipotesi bordello sembrava avvicinarsi sempre di più. Ed una cosa del genere Fury non la poteva sopportare: non avrebbe mai potuto guardare in faccia i suoi genitori o il tenente colonnello dopo aver fatto sesso a pagamento.
E se doveva essere sincero… dietro tutte quelle ragazze che aveva incontrato c’era sempre l’ombra di Kora a tormentarlo.
Se solo…
“Ah, ma mi ricordo di te! – esclamò una voce allegra – Eri al matrimonio di mio fratello! Allora è davvero venuto qualcuno a prendermi!”
Fury alzò lo sguardo,colto di sorpresa da quel richiamo e rimase impietrito.
Davanti a lui c’era la più bella ragazza del mondo… la treccia color del grano, gli occhi color cielo, le guance rosse e un sorriso che ebbe il potere di fulminarlo.
“Sono Janet Havoc – spiegò lei, porgendo la mano abbronzata – perdonami, ma non ricordo il tuo nome! A dire il vero dei colleghi di Jean conosco bene solo Heymans… tu sei…?”
“Kain… cioè, tenente Kain Fury, signorina –  balbettò, alzandosi in piedi e mettendosi sull’attenti – mi… mi perdoni per il ritardo ma…”
“Che? Tutta questa formalità? – lo bloccò lei, arricciando il naso – No, non va bene, suvvia! Manco fossi chissà quale personalità: direi che Kain e Janet vanno più che bene!”
“Bene…” annuì lui.
“Allora, vogliamo andare?” chiese Janet, indicando la sua valigia.
“Ma certo!”
E quando dopo una decina di passi lei infilò il braccio sotto il suo, il fantasma di Kora sparì definitivamente dalla mente di Kain Fury.




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Ed eccoci arrivati anche alla fine di questa fic! (evvai, ce l'ho fatta entro agosto!!) :)
E' stato un viaggio lungo, per me iniziato molto prima da quando iniziai ad abbozzare il regno di Drachma nei vari fogli sparsi della mia scrivania. Sono molto contenta di quello che è venuto fuori, compresi i diversi personaggi originali creati per l'occasione e per tutto lo svolgersi della vicenda. Da tempo avevo in mente di far scoprire a Fury il segreto di Riza e più di una volta mi ero chiesta quale sarebbe stata la sua reazione. Ne è venuto fuori che il punto di vista del piccolo della squadra è quasi importante come quello di Roy e Riza, ma per chi legge le mie storie sa che non è questa grande novità.
Per quanto riguarda questo epilogo era già deciso che Kain dovesse incontrare Janet, chiudendo così il cerchio di collegamenti con Un anno per crescere. Su di Breda invece sono stata indecisa fino all'ultimo, ma Karla era un bel personaggio ed è da lei fare un'improvvisata simile: se poi son rose fioriranno anche per il nostro soldatone rosso ^_^

Spero che la fic vi sia piaciuta: ringrazio in primis tutti quelli che l'hanno recensita, quelli che l'hanno messa tra le preferite, le ricordate e le seguite. E' certamente una delle mie produzioni che avete apprezzato di più.
Se anche i silenziosi lettori vogliono lasciare un pensierino finale ne sarò più che lieta, anche poche righe ^___^

Per quanto riguarda i progetti futuri, sui quali vi terrò aggiornati anche sulla mia pagina fb ( https://www.facebook.com/pages/Laylath-Efp/297627547093139?ref=aymt_homepage_panel ), sappiate che ho già iniziato con la creazione del regno di Xing per lo spin off dedicato al principe Shao, uno degli OC più apprezzati della storia (merito di Green Star che mi ha praticamente chiesto ad ogni recensione una storia su di lui).
E poi si vedrà con gli altri che bollono in pentola

A presto!


Laylath

 

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