Ti sei mai sentito vivo?

di Kyokushu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vi presento ciò che ero ***
Capitolo 2: *** La Chiamavano "Alias the Riddler" ***
Capitolo 3: *** Banale ***



Capitolo 1
*** Vi presento ciò che ero ***


Vi presento ciò che ero

È fatto noto che il genere umano sia una razza di idioti.

Quelli che farebbero meglio a parlare se ne stanno muti, spaventati da quelli che, se invece rimanessero in silenzio, farebbero un favore a buona parte dell'umanità.

Ci lamentiamo per cose stupide, superflue, insignificanti rispetto al quadro generale che desideriamo tanto raggiungere per sentirci completi.

Nasciamo con il mito del sogno nel cassetto da realizzare assolutamente, ma siamo talmente tanto spaventati da ciò che potrebbe accadere dopo – perdere tutto, rimanere delusi, restare senza obiettivi – che invece ci trasformiamo in omini in smoking e cravatta che marciano in una disordinata routine quotidiana verso aziende che sembrano campi di battaglia, armati di una ventiquattrore.

Ribadisco il punto: siamo una razza di idioti.

<< Mi scusi, non ho afferrato bene il concetto. >> Esclamò di colpo Kevin interrompendo la lezione e riportandomi alla realtà dalla quale mi ero discostata già da una ventina di minuti, ma non fece tempo a terminare con una delle sue solite battute, che il suono della campanella terminò l'ora di filosofia, con ringraziamento da parte di tutti.

Mi alzai facendo forza sulle braccia e raccattai la mia roba sparsa sul banco, infilandola nello zaino di marca Eastpack; svegliai Marla, poiché il trillo prolungato della campanella su di lei non aveva avuto alcun effetto, e poi entrambe ci dirigemmo pigramente fuori da scuola.

<< Certo che quella di filosofia è proprio pazza! >> Ridacchiò, mentre camminavamo lentamente verso i cancelli che ci separavano dal resto del mondo. << "Siete tutti degli idioti!" >> la scimmiottò, facendo una faccia buffa e togliendosi gli occhiali da sole per imitare lo sguardo tremolante della professoressa Russo. Io risi di gusto.

<< Che poi, cioè, se siamo tutti degli idioti anche lei dovrebbe essere idiota, quindi perché dovremmo prendere seriamente quello che ci dice? >> Esclamai, gesticolando per spiegarmi meglio. Marla allora si fermò di colpo e mi guardò da sopra le lenti scure, a bocca aperta, inclinando la testa per potermi vedere senza doversi togliere gli occhiali. Apparentemente l'avevo colpita.

<< Cazzo, amica, questo si che è un pensiero profondo! >> Esordì, riprendendo a camminare. << A proposito di pensieri profondi: l'altro giorno Kevin mi ha portato della roba nuovissima che ti fa volare! >> Sussurrò, venendomi più vicino e guardandosi attorno con fare sospetto, come se in tutto il casino che si creava durante l'uscita qualcuno potesse udirla. << Se oggi sei libera, mi trovi al parco! >> Mi fece l'occhiolino. Le ammiccai, allontanandomi, in segno di aver capito, e poi mi diressi lungo il marciapiede che portava a casa mia, ma appena mi fui girata uno mi mancò di un pelo con il motorino. Iniziai a sbraitargli dietro sventolando un dito medio nella sua direzione.

<< Hei, >> Mi disse una ragazza di un anno più grande di me. << ti sei sporcata le scarpe! >> Ridacchiò con le sue amiche. Lei doveva essere la leader di quel gruppetto di smorfiose. Abbassai lo sguardo sulle mie Jordan e notai che tre gocce di fango mi avevano macchiato la punta della scarpa destra.

<< Merda... >> Sussurrai tra me e me, abbassandomi e pulendomi con pollice il tessuto bianco, rimasto illeso per fortuna.

Ritornai a camminare, imprecando mentalmente verso il tipo del motorino, ed arrivai a casa. Appena aprì la porta trovai mia madre che mi lanciò un'occhiata di sufficienza mentre passava per il salotto, in cerca dei piatti di ceramica bianca che teneva nella credenza.

<< Sei andata a scuola conciata in quel modo? >> Mi chiese, mentre tornava in cucina con tre piatti tra le mani.

<< Ciao anche a te, mamma. Bello vederti. Andata bene la giornata? >> Ribattei io in tono prepotente.
Non rispose.

Andai in camera mia. Entrai e lasciai subito il mio zaino affianco alla porta, poi mi sedetti sulla sedia girevole e rimasi lì a contemplare la mia camera: le pareti rosa shocking erano appena coperte da qualche poster di band che ascoltavo e due o tre foto mie e di Marla; i mobili bianchi erano lucidi e ordinanti, e subito a fianco vi era il letto, con lenzuola bianche e pulite, perfettamente rifatto.

Ecco ciò che ero. Io ero ordine. Io ero colori vivaci. Io ero alla moda.

Mia madre mi chiamò per il pranzo.

La raggiunsi in cucina.

Mamma stava impiattando un'omelette con pomodori ed insalata.

Iniziammo a mangiare in silenzio. Lei stava leggendo il quotidiano che quel lecchino del portiere le lasciava sempre sullo zerbino (quasi sperasse in qualcosa), mentre io stavo messaggiando con Kevin al cellulare.

<< Questo pomeriggio vado al parco con Marla. >> Annunciai di colpo. Lei alzò lo sguardo dal giornale, posandolo su ti me.

<< Oh, bene. >> Mi sussurrò, per poi incrociare le braccia sotto il seno. << E che cosa farete? O meglio, DI che cosa VI farete? Acidi o solo cose naturali stavolta? >> Aveva iniziato ad urlare.

<< Non lo so. >> Le sorrisi, sfidandola. << Marla ha trovato qualcosa di nuovo! >> Mi dovetti alzare per schivare uno schiaffo, facendo cadere la sedia a terra, dunque lanciai un'occhiata di odio a mia mamma ed imboccai la direzione della porta digrignando i denti. La spalancai e poi mi fermai senza voltarmi.

<< Non aspettarmi alzata stasera. >> Detto ciò me ne andai, ignorando le urla e le minacce di mia madre.

Non ne potevo più di lei. Del fatto che non si facesse mai gli affari suoi. Era la mia cazzo di vita, non la sua!

Raggiunsi il parco. Marla era già lì, nonostante ci fossimo salutate neanche un'ora prima. Ma lei lì ci viveva, ci mangiava, ogni tanto ci dormiva pure quando i suoi genitori dovevano partire per lavoro. La trovai seduta per terra, sul prato, che prendeva il sole mentre fumava.

<< Hei! >> Mi salutò, togliendosi la sigaretta dalle labbra.

Ricambiai il saluto con un cenno della testa.

<< Non è che possiamo migliorare questa giornata in fretta? >> Dissi, avvicinandomi. << No, perché fin'ora è stata una merda! >>

<< Si, a proposito di quello... >> Prese tempo, iniziando a strappare fili d'erba a caso. << Kevin se l'è ripresa. >> Io la guardai per un attimo, non capendo. << L'ha rivoluta indietro. >>

<< Come mai? >> Chiesi, tentando di non esplodere dalla rabbia.

<< Beh, sai come funziona qui nel nostro gruppo, no? >> Iniziai a dubitare che fosse la verità dal modo in cui gesticolava. << Bob stava andando in astinenza e così Kevin se l'è ripresa. >> Mi guardò.

<< Ti ha almeno ridato i soldi? >> Chiesi in tono piatto.

<< Si, e ci ho anche guadagnato, perché Bob ha dovuto pagare di più e quindi... >> Spiegò.

<< Si, lo so come funziona. >> La interruppi.

Ci fu un attimo di silenzio, mentre io pensavo a come quella giornata sarebbe potuta peggiorare ulteriormente. Poi di colpo Marla sbottò:

<< Però se vuoi nel capanno è rimasta quella dell'altra volta. >>

<< Andiamo. >>

Rimanemmo nel capanno fino a sera tarda. Ci facemmo qualche canna e parlammo delle cose che ci parevano.

<< Hai visto le scarpe di Sabrina? >>

<< No, ma lo zaino di Kevin!? >>

<< Deve rendersene conto: l'arancione non è proprio il suo colore! >>

Poi Marla ricevette una chiamata.

Impiegò un bel po' a trovare il suo cellulare, frugando nella borsa con insistenza per poi scoprire che lo aveva nella tasca dei pantaloni. Poco male, la sua suoneria mi piaceva.

Rispose: << Pronto? ... Si... Va bene... No, la cena è in frigor, vuoi che venga a casa? ... Hai controllato se hai la febbre? ... Va bene, arrivo. >> Chiuse la comunicazione, incrociando poi il mio sguardo interrogativo.

Le chiesi che succedeva: suo fratello di sette anni era stato male e i suoi genitori sarebbero rientrati solo all'alba.

<< Vai, spero che Malcolm stia bene! >> Le dissi, seguendola fuori dal capanno. Ci salutammo velocemente, mentre lei inviava un messaggio per avvertire i suoi ed io imboccavo il vialetto.

Era molto buio, non vedevo nulla perché il lampione ad angolo con la strada si era fulminato, ragion per cui non mi accorsi di una pozzanghera nel bel mezzo delle strisce pedonali, nella quale per poco non immersi il piede.

<< Merd... >> Ci era mancato poco che, per evitarla con il piede, ci cadessi dentro con tutto il resto. Tirai un sospiro di sollievo e mi guardai i piedi: uno schizzo di fango segnava tutto il fianco della scarpa destra.

Alzai gli occhi al cielo mentre mi frugavo nelle tasche, trovandoci un fazzoletto, per poi abbassarmi a levare la macchia che, nonostante il buio, si distingueva più che bene sulla scarpa bianca.

Ero così concentrata che non notai la luce farsi sempre più intensa.

Non sentì il rumore delle ruote che si avvicinavano.

E quando sentì il clacson fu troppo tardi, perché tutto era già diventato buio.

Allora, in quel preciso istante che sembrò durare anni, mi tornò in mente qualcosa che non pensavo di ricordare, ma che avevo sentito, durante la lezione di filosofia:

E ora dimmi: se in mezzo a questo esercito di idioti ci fosse un individuo intelligente che finge di essere idiota, tu, in quanto idiota, riusciresti ad accorgertene?


Angolo Autrice:

Dopo secoli che non pubblicavo nulla (dico sul serio, sono tipo mesi) sono finalmente ritornata.

Ci tengo a dirvi un paio di cosette su questo primo capitolo: 1) Ho odiato scriverlo. Ho odiato il personaggio sul quale ho scritto. Ho odiato come si comporta. E sinceramente ne sono molto felice, entustiasta direi; 2) Nulla è come sembra, presto tutto cambierà, ogni dettaglio di questo capitolo (anche il fatto che sia stato scritto male e i personaggi non siano stati ne presentati ne caratterizzati bene) è fatto apposta, quindi vi prego di non giudicare la mia storia in base a questa prima presentazione.

Detto ciò vi lascio e vi auguro una buona serata!

Kyokushu

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Capitolo 2
*** La Chiamavano "Alias the Riddler" ***


La Chiamavano"Alias the Riddler"

 

Mi svegliai.

O forse no, forse non mi ero mai addormentata.

Non capì subito dove mi trovavo, ma appena riuscì appena a mettere a fuoco ciò che mi circondava, riconobbi un letto d'ospedale, sul quale ero sdraiata, ed un televisore, attaccato alla parete bianca.

Non sentivo nulla: il mio corpo era assente, i miei sensi non funzionavano; era come se io fossi sveglia, ma solo mentalmente.

Nella mia testa si susseguivano pensieri sconnessi e senza senso, che sembravano volermi portare ad un unico concetto di fondo che li collegava tutti, lontanamente, come una piuma bianca in mezzo al mare.

Tentai di pensare e, di colpo, venni risucchiata nella realtà che mi circondava: vedevo una stanza d'ospedale, pareti bianche, il mio corpo steso sul letto e la luce che filtrava dalla finestra; udivo il suono snervante di un elettrocardiogramma e il distante vociare delle persone proveniente dall'atrio; sentivo odore di medicinali e disinfettante; in bocca avevo un sapore amaro e disgustoso.

Allora nella mia mente tutto risultò più chiaro:

<< Ho bisogno di vomitare. Ora. >>

Feci per alzarmi dal letto, in preda alla necessità istantanea di rigettare qualsiasi cosa ci fosse nel mio organismo, ma appena spostai il peso sul piede che poggiava al pavimento, il mio ginocchio cedette e io caddi per terra.

Urlai. Urlai sia per lo spavento, sia per il fatto che avevo realizzato fosse l'unico modo nel quale avrei potuto ricevere aiuto, e in mezzo secondo infatti vidi comparire un'infermiera, che mi raggiunse cercando ci farmi alzare per rimettermi sul letto, ma io la fermai.

<< Vomito... >> Cercai di spiegarle, gesticolando. << Io devo... >> Lei mi passò subito una bacinella di metallo (da dove l'avesse presa poi non ne ho idea), per poi raccogliermi saldamente i capelli dietro la schiena mentre io venivo scossa dai conati.

Quando ebbi finito, dopo avermi fatto riprendere fiato, lei mi prese in braccio e mi rimise sul letto. Solo allora notai di avere una fasciatura stretta attorno alla caviglia sinistra.

<< Che... >> Sospirai, schiarendomi la voce. << Che mi è successo? >> Chiesi.

<< Sei stata investita da un'auto. >> Mi informò. << Saresti messa molto peggio se una ragazza non ti avesse spinta via poco prima dell'impatto. >> Si guardò nervosamente le scarpe.

<< Oh... >> Una ragazza mi aveva salvato la vita? Cercai di immaginare chi potesse essere. << Come si chiama? >> Lei prese un fazzoletto pulito dalla sua tasca e mi asciugò le lacrime che avevo agli angoli degli occhi, sospirando.

<< Si chiamava Alice Riddle >> Sussurrò, sedendosi sul copriletto a fianco a me.

Alice Riddle? Avevo già sentito questo nome: era una ragazza che frequentava la mia scuola, doveva avere la mia età, ma spesso non veniva a lezione e quando veniva se ne stava sempre in disparte; c'erano delle voci su di lei.

Mi mise in ordine i capelli e mi aggiustò le coperte, chiedendomi come mi sentissi.

<< Io sto... >> Me ne resi conto solo in quel momento. << Non lo so. >> Sussurrai incredula, più a me stessa che all'infermiera. Lei mi sorrise.

<< Stai tranquilla, è normale che tu ti senta un po' scossa nei primi giorni. >> Lanciò poi un'occhiata alle flebo che avevo attaccate al braccio, facendo in modo che anche io me ne accorgessi. << Inoltre tu sei sotto antidolorifici adesso, quindi riposati e stai tranquilla. >>

Si chinò a raccogliere la bacinella, che era rimasta a terra per tutto il tempo, dando uno sguardo al rivoltante contenuto.

<< Cavolo... >> Fece una smorfia. << Adesso ti porto dell'acqua per la gola, qua dentro c'è solo acido. >> Mi disse alludendo alla bacinella, per poi scomparire fuori dalla porta, seguita dal mio sguardo.

Solo allora, voltandomi, mi accorsi che, a fianco al mio, vi era un altro letto dove qualcuno stava dormendo. Il suo respiro era flebile, coperto dal rumore dell'elettrocardiogramma, e dalle gambe pareva una persona piuttosto minuta (una ragazza supposi), ma appena cercai di girarmi per poterla guardare in faccia la mia colonna vertebrale venne percorsa da una scarica di dolore che mi fece sorgere il terrificante dubbio di essere rimasta paralizzata.

Rientrò l'infermiera.

<< No, no! Non girarti! >> Si precipitò da me, posando il bicchiere che stringeva fra le mani sul comodino accanto al mio letto. << Il tuo fisico non ha ancora smaltito il colpo, mi chiedo come, prima, tu sia riuscita a buttarti giù dal letto senza farti male. >> Mi rimise la testa dritta e poi mi porse il bicchiere di carta, pieno fino all'orlo di acqua. Ne bevvi un sorso.

<< Quella ragazza... Alice, >> La voce mi tremava. << Ha dei capelli neri, lunghi, con un ciuffo che le copre un occhio? >> Lei annuì.

<< La conoscevi? >>

<< No. >> Presi un altro sorso dal bicchiere. << Cosa mi è successo alla caviglia? >> Mossi piano il dito del piede.

<< Te la sei slogata: ha battuto contro il paraurti dell'auto. >> Gesticolò.

<< Ho altri danni? >>

<< No. Almeno, non fisicamente. >> Mi sorrise. La guardai per un attimo: “non fisicamente”, cos'era? Una minaccia?

<< Mi... sento un po' strana. >> Le dissi.

<< Lo so, capita a tutti dopo un incidente. >> Il suo tono era calmo e rassicurante. << Parlarne con qualcuno che ha avuto la stessa esperienza può essere d'aiuto. >> Poi qualcuno urlò che c'era un'emergenza e lei se ne andò, dicendomi che se avessi avuto bisogno di altro mi sarebbe bastato chiamare.

Calò il silenzio, interrotto solo dal suono dell'elettrocardiogramma, un suono tanto fastidioso quanto rilassante e che mi portò alla decisione di chiudere gli occhi e tornare a riposare, abbandonandomi al sonno.

<< She was wrong. >>

Aprì gli occhi di scatto.

Avevo sentito veramente quella voce o me l'ero sognata? Gli antidolorifici mi stavano facendo una reazione allergica e ora avevo le allucinazioni? Dovevo rispondere?

<< Che!? >> Si, avrei dovuto, perché tanto non c'era nessun'altra persona cosciente a parte me in quella stanza.

<< She was wrong. >> Scandì. Era una voce femminile. << Lei ha sbagliato. >> Tradusse poi.

<< Si, lo so cosa vuol dire, ma in che senso? >> Chiesi spiegazioni.

<< Lei ha detto che hai solo la caviglia slogata, ma non è vero. >>

Silenzio.

<< Ehm... ok, non è che mi dici che altro ho? >> Era la conversazione più strana della mia vita. << Sarebbe d'aiuto. >>

Ed eccola partita in quarta spiegandomi cose su di me che nemmeno io avrei immaginato:

<< Hai tre ferite superflue alla gamba sinistra, cinque sul braccio destro, un livido sulla spalla destra e sul collo hai un'ustione da sfregamento. >> Concluse, con una leggera nota di compiacimento nel suo tono. << Ah, e poi ti sei bruciata l'esofago con gli acidi del tuo stomaco. >>

Silenzio.

<< Ma chi diavolo sei tu!? >> Esclamai ad un certo punto.

<< Chi diavolo pensi che io sia? >> La sua voce era talmente tanto calma da farmi rabbia.

<< Come diavolo faccio a saperlo!? >>

<< Andiamo, ragiona: hai parlato di me poco fa. >> Provocatoria.

<< … Alice Riddle? >>

<< “Alias the Riddler” per gli amici. >>

<< Ah, perché ora siamo amiche!? >>

<< No, io non sono tua amica, ma tu faresti meglio a diventare una delle mie visto che ti ho letteralmente salvato il culo. >>

Silenzio.

<< Come facevi a sapere tutte quelle cose su di me? >>

<< Ho letto la tua cartella clinica. >>

<< Non pensavo che ce la facessero tenere in camera. >>

<< Infatti non lo fanno. >>

Silenzio.

<< Sarebbe troppo per te spiegarti senza che io debba specificatamente chiedertelo!? >> Parlavo con quella ragazza da meno di tre minuti e già la trovavo estenuante. Sospirai. << Come hai avuto la mia cartella? >>

<< La ho rubata. >>

<< La hai rub... >> Stavo per esplodere. << Aspetta un attimo: vuoi dire che tu ti reggi in piedi? >>

Seguì un momento di silenzio. Intendo VERO silenzio: l'elettrocardiogramma aveva smesso di funzionare. Subito dopo Alias comparì davanti ai miei occhi, reggendosi perfettamente sulle sue gambe.

<< Apparentemente. >> Esclamò con il suo tono strafottente, facendo una giravolta su se stessa.

Era una ragazza stranissima: per prima cosa aveva gli occhi viola, il sinistro era coperto da un ciuffo dei suoi lunghi capelli neri, le labbra erano scure, anche se sospettavo che fosse per via del trucco, e aveva un naso a punta e all'insù.

<< Ok. >> Respirai. << Perchè hai rubato la mia cartella clinica? >> Lei fece spallucce.

<< Mi annoiavo. >>

Silenzio.

<< Quindi... perchè l'hai fatto? >> Lei mi guardò confusa.

<< Te l'ho appena detto: mi annoiavo. >>

<< No, non quello. >> Gesticolai un po'. << Intendo: perchè mi hai salvata? >>

<< Ah. >> Esclamò lei, stupefatta. << Io... non lo so a dire in verità. >> Mi sorrise.

<< Ah... grazie comunque, per fortuna non ti sei fatta male... >>

<< Non era il mio primo incidente. >> Rimasi a bocca aperta. << Sapevo come cavarmela. >> Lo disse come se fosse la cosa più naturale del mondo.

<< Quindi tu non sei svenuta? >>

<< Non subito. Ma neanche tu. >> Mi indicò. << Non ricordi nulla? >> Scossi la testa.

<< Tu si? >> Lei allora fissò lo sguardo in un punto indefinito e sospirò, pensierosa, come se stesse ripensando a qualcosa di bello.

<< Diamine si... >> Disse sognante. << Le sirene delle ambulanze, le luci dei lampioni, le grida della gente che usciva fuori dalle case... ma la cosa più bella è stata la scarica di adrenalina che si dissolveva nel silenzio.. e poi tu! >> Rise tra se e se.

<< Io? >> Mi guardò come se fossi io la strana della situazione.

<< Ma allora non ricordi proprio nulla... >> Scossi la testa.

<< N-no... perché? Che ho fatto? >> Sentì di nuovo il bisogno di vomitare.

<< Tu ridevi. >>

 

Angolo Autrice:

Secondo capitolo! Ora si che ci si inizia a divertire u.u

Allora, se qualcuno vuole recensire, voglio chiedere cosa ne pensa del personaggio di Alias, io sinceramente ho adorato creare questo personaggio.

Ringrazio quei pochi che leggono e vi dico che, chi mi recensisce, sarei felice di leggere le vostre storie, quindi basta chiedermelo anche in privato u.u

Vi auguro una buona serata, notte!

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Capitolo 3
*** Banale ***


Banale

Ero stata ricoverata per sei giorni, quattro se non contiamo i due per i quali ero rimasta in coma.
Alias, invece, se n'era andata la sera che avevamo avuto la nostra prima ed ultima conversazione: non l'avevo neanche salutata perchè erano venuti a prenderla mentre io stavo dormendo.
Non ricordo molto di quei giorni, ero costantemente sotto farmaci, ma ad un certo punto doveva essere arrivata la mamma a portarmi una borsa con i vestiti e poi non se n'era più andata, dato che per i minorenni c'era un servizio che permetteva alle madri di rimanere anche la notte, dormendo su dei lettini pieghevoli.
Quando ero stata dimessa era venuta anche Marla a riportarmi a casa, ma non era stata di molto aiuto: appena mi aveva vista era scoppiata a piangere e poi non aveva più smesso, pure mentre mamma l'accompagnava alla porta la sentivo singhiozzare.
Sentì la serratura scattare due volte e poi i passi leggeri di mia madre che si avvicinavano.
<< Come stai tesoro? >> Non l'avevo mai vista così dolce.
<< Strafatta di antidolorifici. >> Sorrisi. Lei ridacchiò un pò, anche se tristemente.
<< Domani starai bene, oggi era l'ultimo giorno di prescrizione. >> Mi rassicurò dandomi una carezza sulla fronte. Era tutta zuccherosa.
Mi squadrò ancora un attimo, dall'alto del suo stare in piedi, per poi chinarsi a raccogliere la borsa con dentro i vestiti che mi aveva portato all'ospedale, poggiata a fianco del divano sul quale ero sdraiata.
<< Vado in camera tua a metterti a posto i vestiti. >> Annunciò, per poi scomparire sulle scale, gradino dopo gradino.
Tirai un sospiro di sollievo. Quegli antidolorifici erano una bomba, molto meglio della maria di Kevin!
Rimasi a godermi quella sensazione di leggerezza finchè mamma non tornò e mi aiutò a salire le scale, per poi lasciarmi seduta sulla mia poltroncina di finta pelle bianca, in camera mia.
Poi andò in camera sua, si vestì e si preparò ad andare al lavoro.

<< Mi raccomando: se hai bisogno di qualcosa, chiama! >> Mi urlò una volta scesa al piano di sotto, prima di uscire di casa per andare a fare il turno di notte alla farmacia.
Non le risposi, tanto non mi avrebbe sentita, ma mi limitai ad osservare la perfezione immobile della mia camera.
Tirai un sospiro.
Mi decisi a fare qualcosa, così ruotai sulla sedia girevole fino a ritrovarmi di fronte al computer, causandomi però un giramento di testa talmente tanto forte da farmi salire la nausea; fu allora, mentre rimettevo a fuoco, che notai che sulla mia scrivania perfettamente bianca vi era una macchia violacea.
Appena la vista mi permise di distinguere cosa fosse, capì che si trattava di una pila di block notes, uno appiccicato all'altro, con sopra delle scritte in una grafia rapida e pulita.

Hei, ti ricordi di me?


Lessi il primo: inchiostro nero e fluente, una china probabilmente. Lo strappai e passai al secondo.

Certo che ti ricordi di me!


Fatemi indovinare: quella stronza di Alias?

Sono, come diresti tu, "quella stronza di Alias"


Fissai la frase con un'espressione di stupore dipinta in faccia.

Dicevamo: dato che avrai bisogno di me,


E perchè mai dovrei aver bisogno di te?

"E perchè mai dovrei aver bisogno di te?"


Ma che diavolo...?

"Ma che diavolo...?"


Ma come cazzo ci riesce?!

Ci riesco perchè sei prevedibile.
Comunque, eccoti qui il mio numero:
3924583633


Rimasi un attimo a fissare l'ultimo bigliettino che mi ero ritrovata in mano, leggendo più volte il numero che ci era stato scritto, chiedendomi se dovessi conservarlo o no.
Decisi che no, non dovevo.

Il giorno dopo era sabato.
Sabato, per me, significava "dormi quanto vuoi": passavo tutta la mattina a rigirarmi tra le coperte, facendo volare la fantasia in un meraviglioso dormi-veglia che mi portava dalle 7:00 alle 13:00 in pochi minuti.
Ma quella mattina mi svegliai e l'unica cosa che sentì fu un immenso senso di oppressione, che mi frenava il respiro e mi faceva venire un senso di nausea.
Provai a richiudere gli occhi, sperando di riaddormentarmi.
Devi andartene di qui.
Spalancai le palpebre e mi alzai di scatto, non facendo caso alla caviglia che mi faceva male. Scesi di corsa le scale ed arrivai in cucina, quasi con il fiatone, dove, inaspettatamente, trovai mia mamma e Marla sedute al tavolo che facevano colazione.
Appena mi videro mi salutarono calorosamente.
<< Indovina? >> Mi fece poi Marla, bloccando mia mamma sull'inizio di un discorso sul perchè non dovrei andare in giro in piagiama. << Ti porto a fare shopping con Beth: iniziano i saldi! >>
La guardai per un attimo e poi le sorrisi. Shopping con Marla e Beth: mi tirava sempre su il morale, era un metodo che non poteva fallire!

Fallì.
Il solo fatto che fossi rimasta a fissare il mio armadio esterrefatta, quasi non riconoscendomi in ciò che ci vedevo dentro, doveva farmi avere qualche segnale sul come sarebbe andata la giornata.
Ogni vestito che vedevo, maglietta color evidenziatore, pantalone con strappo sul ginocchio, cose che normalmente avrei comprato subito, mi sembravano insulse, poco personali, innaturali.
<< Guarda che bella questa maglietta! >> Mi aveva detto Beth, la sorella bianca e adottiva di Marla. << Dai provala! >> Ed eccomi catapultata in un camerino ancor prima che potessi aprire bocca.
Rimasi a fissare le tendine che mi separavano dal resto del mondo, e poi tirai un sospiro.
Mi tolsi la maglietta che avevo addosso e provai quella che mi avevano dato le mie amiche: era bianca con il segno "Hollister" poco sopra il seno sinistro. Mi misi a posto e poi mi girai verso lo specchio.
Quella non sono io.
Mi ritrovai a guardare il riflesso di una ragazza dai capelli castani, occhi nocciola, magra e fasciata in un paio di jeans a vita bassa e in una maglietta bianca. Il suo aspetto era semplice, la sua immagine quasi sfocata.
Io ero ordine. Io ero colori sbiaditi. Io ero noiosa.
<< Hei ragazza! Questa t-shirt ti sta divinamente! >> Esclamò Marla, comparendo da dietro la tendina e squadrandomi.
Non le risposi. Rimasi immobile.
<< Hei? >> Mi chiamò. << A che pensi? >> Chiese, entrando del tutto nel camerino e chiudendosi dietro la tenda.
<< Che fa male... >> Ormai non fissavo più lo specchio, il mio sguardo si era perso nel vuoto.
<< Ah, lo sapevo che avresti dovuto stare di più in ospedale! >> Esclamò lei, mettendomi un braccio dietro la schiena. << O almeno non ti avrebbero dovuto togliere il gesso così presto! >>
<< Era una fasciatura... >>
<< Ah, stessa cosa! >> Gesticolò, per poi tirare fuori un rosseto color rosso acceso e rifarsi il trucco. << Beh? Allora la compri? >> Chiese, con uno strano luccichio negli occhi.
Tornai a fissare il mio riflesso.
<< ... No, non ne ho bisogno. >>
Mi ricambiai e uscì in tutta fretta dal camerino. Alla radio davano la mia canzone preferita.
...Banale.
Dissi a Marla che dovevo andare a casa perchè mi ero appena ricordata di un impegno con mia mamma.
Scusa banale.
Persi il bus, così ne aspettai un altro, nonostante l'attesa sarebbe stata di venti minuti mi sembrava la cosa più sensata da fare.
La cosa più banale.
Tornai a casa, mamma non c'era, salì le scale e arrivai in camera mia.
Una camera banale. Con mobili banali. E vestiti banali. Appartenenti a me: una ragazza banale.
Le cose che fino a poco prima ritenevo importanti, si stavano rivelando inutili e noiose, il mio mondo mi stava crollando addosso, pezzo dopo pezzo, schiacciandomi sempre più.
Iniziai a respirare sempre più velocemente, senza riuscire a controllare il mio battito. Mi appoggiai al muro, cercando di calmarmi, ma fu inutile: la stanza girava, vorticava, attorno a me, con me. Scivolai lentamente a terra, la testa mi girava e io stavo iperventilando, ma nonostante ciò non riuscivo a respirare.
Dov'è?
Mi trascinai a fatica fino al cestino, rovesciandolo con una mano per frugarci dentro: vuoto. L'attacco di panico diventò più violento.
Ricorda, dannazione, ricorda!
Presi il cellulare dalla scrivania, tirandolo giù a tentoni, facendolo schiantare a terra e rompendo lo schermo. Aprì la tastiera e iniziai a comporre: 3924583633.
Poi mi misi il telefono all'orecchio, con mano tremante, cercando di fermare l'attacco di panico in corso.
Suonò una volta.
Rispondi...
Suonò due volte.
Ti prego, rispondi!
<< Pronto? >> Disse una voce, annoiata. << Chi è? >> Chiese, subito dopo.
<< Alias... >>

Angolo Autrice:
Eccomi, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, anche se scriverlo è stata un pò una tortura, ma va beh! Dunque, dicevamo: stavolta vorrei (per quei pochi santi che recensiranno) che voi mi diceste cosa ne pensate del cambiamento della protagonista, cosa credete che le stia succedendo e come pensate che si evolverà il tutto, in ogni caso buona serata!

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