Cold Peek

di Naki94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Episodio 1 ***
Capitolo 3: *** Episodio 2 ***
Capitolo 4: *** Episodio 3 ***
Capitolo 5: *** Episodio 4 ***
Capitolo 6: *** Episodio 5 ***
Capitolo 7: *** Episodio 6 ***
Capitolo 8: *** Episodio 7 ***
Capitolo 9: *** Episodio 8 ***
Capitolo 10: *** Episodio 9 ***
Capitolo 11: *** Episodio 10 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Giornate fatte di niente. Mi alzo dal letto all'alba, con la consapevolezza amara di aver dormito solo due ore e trentacinque minuti. Mentre guardo Sarah al mio fianco, il gusto acido del Bourbon avanza violento dallo stomaco verso la bocca. Doccia, distintivo e Smith & Wesson nella fondina, pronto per il caffè disgustoso dell'ufficio e alle stronzate di Ed Green.

New York. New York City all'alba: la massima distanza dell'uomo dalle proprie origini. Tuttavia la moltitudine di persone che esce in strada scatena gli istinti più violenti e remoti del genere umano: quelli continuiamo a conservali. Evoluzione. Non è un fatto positivo a volte. La super coscienza che abbiamo sviluppato non farà altro che portarci gradualmente all'annichilimento globale. Guardandomi attorno, vedo il degrado. E le telefonate di quelle donne che denunciano i propri mariti, le urla strazianti delle bambine vittime di stupri violenti, la freddezza nella voce dell'uomo che confessa di aver massacrato la propria moglie e le altre milioni di telefonate anonime alla polizia. In ogni strada c'è un barbone che ogni giorno viene picchiato, in ogni strada un negozio rapinato, in ogni quartiere una banda che spaccia droga di merda agli adolescenti, in ogni palazzo una famiglia che sta soffrendo del male umano. Fino a prima di entrare all'FBI Accademy, mio padre mi chiedeva sempre. «Figliolo, dove sono gli eroi che ci salveranno da tutto questo?».

Rispondevo sempre che gli eroi erano le persone buone d'animo che commettevano atti caritatevoli e generosi verso le persone più bisognose. Erano i poliziotti come lui, che combattevano il crimine ogni giorno. Lui si limitava a scuotere la testa, e io non capivo.

Ora, entrando in questo ufficio, mi rendo conto di una cosa: non esistono gli eroi. Esistono persone molto cattive e persone cattive in grado di combatterle.

Il primo a salutarmi è Viennie Zegler. «Bentornato alla squallida realtà!». Lo dice notando il mio sguardo ancora perso nel brevissimo sonno di questa notte. Non sono ancora entrato in buoni rapporti con qualcuno in centrale, ma con Vienne ho abbastanza confidenza da alzare davanti a lui il dito medio per mandarlo a fanculo.

Appoggio la giacca alla sedia della scrivania. Sul tavolo ho già due fascicoli da riordinare. Sono appena entrato nella squadra omicidi e mi lasciano da sbrigar e da compilare tutte le scartoffie. Non ci posso fare niente, è la gavetta. Il fatto comunque di aver appeso alla gruccia dell'armadio quella fastidiosissima uniforme da agente mi solleva l'animo davanti a tutti quei fogli.

Passa forse mezzo minuto da quando ho appoggiato il culo sulla sedia che Ed Green, tenente capo dell'unità omicidi, mi chiama nel suo ufficio.

Quando entro nell'ufficio vengo bombardato dal terribile puzzo del sigaro. Quell'odore così forte impregna la stanza, mentre il fumo divampa dal posacenere sulla scrivania. «Sai cosa verrà scritto su tutti i giornali di New York nella stampa di domani mattina?».

Rimango un attimo stordito da quella domanda, e accenno un no con la testa.

«Bene! Domani verrà scritto che è stato arrestato l'uomo che ha ucciso quelle due persone a Central Park, quelle altre due a Battery Park e quella donna a Bryant Park. Hai fatto un ottimo lavoro con quelle prove. Sono state ben inserite e catalogate. Wexler e Beltran sono rimasti di merda quando hanno visto il profilo psicologico che hai tracciato per loro. Hai analizzato tutte le informazioni del medico legale collegandole coi vecchi casi. Se ora Wex e Beltran hanno in mano un mandato per catturare l'uomo che stavano cercando, è merito tuo. Congratulazioni Shown».

«Grazie tenente Green. Faccio il mio lavoro».

Nel brevissimo silenzio che trascorre osservo quell'ufficio. Ogni cosa sembra essere al suo posto, tutto è perfettamente in ordine. Tra i detective c'è la voce che Ed Green abbia fatto cambiare la serratura della porta. Sembrerebbe che la chiave ce l'abbia soltanto lui cosicché nemmeno la donna delle pulizie possa entrare qui dentro. Tuttavia la pulizia di quella stanza è impeccabile, questo mi fa pensare che sia Ed stesso a metterci le mani. Mi scappa un lieve sorriso quando penso a Ed che lucida la sua scrivania e spolvera gli scaffali. Da quando suo figlio più piccolo è morto, Ed si è separato dalla moglie e passa il suo tempo quasi sempre al dipartimento.

«Posso andare o aveva bisogno di altro?».

Ed cambia espressione mentre fa un tiro di sigaro. «Sì, scusa. Stavo pensando a una cosa». Nuvola di fumo grigio che volteggia nell'aria e una lunga pausa, ed io non ho ancora capito se posso andarmene oppure no da questo maledetto ufficio.

«Il fatto è che, prima di morire, tuo padre ha sempre insistito con me perché ti dessi più possibilità o che ti mettessi a capo di un caso. Shown, tu sei stato formidabile fino ad ora, ma temo di essere troppo avventato».

«Dica pure che non vuole che si mormori che lei ha preferenze sul personale». La mia risposta è abbastanza secca e non mi accorgo completamente con quale tono gliela spiattello in faccia.

Ed Green si alza dalla sedia e si affaccia alla finestra, mentre l'ombra delle persiane si stampa sul suo volto squadrato. Sorride. «Assomigli a tuo padre, con l'aggiunta che tu hai un ottimo talento per i particolari. Tuo padre era più impulsivo Tu noti i minimi dettagli, anche in una conversazione. Ma questo non è abbastanza, Jersey. Là fuori è una giungla e la lente di ingrandimento e il taccuino sono importanti tanto quanto la pistola e il giubbotto antiproiettile». Si volta di nuovo verso di me. «Tuo padre è stato un grandissimo detective e ha servito al meglio questo dipartimento e il Paese, mi fido del suo giudizio».

«Ha tutti gli elementi. Mi metta alla prova allora». Uso un tono serio e deciso. Cazzo! Dammi la possibilità di dimostrare quello che valgo!

«Ci penserò».

Esco dall'ufficio del tenente Green con un certo amaro in bocca. Raggiungo la scrivania e inizio a riordinare quei cazzo di fascicoli.

A metà giornata arriva la notizia ufficiale dell'arresto di Eddie Murple, l'assassino a cui davano la caccia Wexler e Beltran. Poche ore più tardi arriva un'altra notizia: il partner di Wex e' stato ferito nell'inseguimento ed ora è ricoverato al Roosevel Hospital.

«Sai qualcosa di Beltran?» chiedo a Viennie davanti al distributore del caffè.

«So che è stato ferito, ma niente di grave. Forse dovrà stare dentro una notte o due».

Penso a Wexler. Mio padre ha lavorato con lui. Anzi credo sia stato mio padre a formarlo quando Wex era ancora solo un agente. Ammiro molto quell'uomo, è un bravo detective, oltre che uno scatenato giocatore d'azzardo.

La gioia di tornare a casa da Sarah mi stordisce. Quella gattina bionda mi prepara la cena rendendomi l'uomo più felice del mondo.

Sa benissimo che non voglio parlare del mio lavoro, ma mi chiede lo stesso come è andata la giornata. Tutte le sere me lo domanda. Tutte le sere che torno presto e non mi fermo al Black Eye Jack a bere. Quelle sere nere arrivo in punta di piedi, appoggio le chiavi e cerco di prendere sonno guardandola dormire. Poi quei pensieri li accartoccio, gettandoli nel cestino. Le salto addosso come un felino e la stanchezza evapora alla visione di quel suo corpicino perfetto.

 

CONTINUA..

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Capitolo 2
*** Episodio 1 ***


Qualcosa mi strattona violentemente nella notte. Quando apro gli occhi vedo il volto preoccupato di Sarah, semi illuminato dalla luce fredda di un lampione che attraversa il vetro della finestra. Avverto un brutale brivido gelido che termina, quasi istantaneamente, quando le mani calde di Sarah afferrano le mie.
«Cos'è successo?». Chiedo allarmato mentre percepisco il sudore sulla fronte e attaccato alle lenzuola. 
«Doveva essere veramente un brutto incubo». La sua voce mi rilassa. Non ricordo alcuna immagine di quel sogno. Eppure questa reazione eccessiva non può essere stata causata da un sogno qualunque. Aggrotto la fronte e strizzo le palpebre tentando di ricordare. Niente. 
Sarah mi asciuga la fronte passandomi la manica del suo pigiama sul viso. «Beh, ora è passato».
Questa donna, l'unica luce nella tenebra. I mie pensieri vanno a lei finché non riprendo il mio sonno leggero. 
La sveglia suona metallica perforandomi i timpani fino al cervello. E' ora di andare in ufficio. Quando appoggio i piedi a terra un fulmine mi attraversa il cranio. E' un'immagine strana e bizzarra, forse frutto di quel sogno altrettanto strambo. Si tratta di un simbolo, per la precisione di un cerchio nero ed altre linee. Non ci penso e mi alzo.
Quando arrivo al dipartimento controllo e consegno quei cazzo di fascicoli a Harry Gilbert. Intanto vedo, attraverso il vetro offuscato dell'ufficio, Wexler discutere animatamente con il tenente Green. 
Faccio i cazzi miei cercando di riordinare questo schifo di scrivania completamente nel caos, quando Green apre la porta e mi chiama.
Raggiungo l'ufficio ed entro chiudendo la porta alle mie spalle. Green abbassa le tendine.
«Mi dica tenente Green». 
Wexler è seduto sulla poltrona accanto allo scaffale. Mentre Green raggiunge la sua scrivania, io rimango immobile e in piedi al centro della stanza.
«Detective Shown, alle sei di questa mattina è stato trovato un cadavere nelle campagne di Huntington nella contea di Suffolk. E' un caso molto delicato, la vittima sembrerebbe essere il prete della cittadina di Cold Peek. Questa tragedia è ora di competenza del nostro dipartimento. La stampa non sa ancora nulla e voglio che la cosa rimanga tale». Da un tiro a quel sigaro creando una nube che ricopre la stanza, poi continua rivolgendosi a Wex. «Ho deciso di affiancarti Shown in questo caso. Lo voglio vedere sul campo e non a compilare scartoffie. Ti avrei affiancato Beltran come partner, ma deve tenere quel fottuto gesso alla gamba ancora per un mese». Finalmente apre la finestra per fare uscire il fumo, quindi si rivolge a me. «Hai avuto la tua occasione, Shown. Coglila». Poi si rivolge di nuovo a Wex. «La sala operativa è tua, Wexler. Ora andate a dare un'occhiata al casino che è successo la giù, poi procediamo con l'indagine e il breafing». 
Wexler non sembra molto entusiasta di quell'insieme di decisioni, così si limita a rispondere. «D'accordo capo!». Si volta, mi guarda ed esce. Con lo sguardo ringrazio Ed Green e seguo Wex senza aggiungere una parola. 
Usciamo dal parcheggio sotterraneo all'interno di una Buick Berlina Roadmaster. I sedili interni sono sgualciti e puzzano. Non ci penso due volte e accendo una sigaretta, mentre l'aria fredda entra dalla fessura del finestrino che lascio aperto di un paio di dita. 
Apro il cruscotto e prendo la carta geografica della zona metropolitana di New York. «Sai dove si trova questa Cold Peek?».
«Non precisamente. Conosco la zona e credo che si trovi lungo la New York State Routh sulla 25A. Per strada troveremo le indicazioni per il paese».
Il viaggio lo passo riflettendo sul rapido cambiamento del paesaggio. La città di New York, con le sue trafficate strade fitte di palazzi, si assottiglia fino a diventare prima zona industriale, poi piccoli e radi agglomerati urbani e infine vegetazione e campagna. Cambia anche il tempo, una leggerissima pioggia inizia a macchiare il parabrezza mentre grosse nuvole grigie si caricano d'acqua sopra le nostre teste. 
Cold Peek: una cittadina posta nell'area centro-orientale di Long Island. Ci arriviamo dopo quasi due ore di viaggio. Le nuvole nel frattempo si sono spostate verso Ovest. C'è il sole quando parcheggiamo davanti alle centrale dello sceriffo. Un certo Teddy Miles, uomo alto e ben stazzato, anche se è evidente che col passare del tempo il grasso e la pancia hanno sostituito i muscoli.
Lo incontriamo lungo il corridoio, ancor prima di domandare alla segretaria dove poterlo trovare. 
Si presenta. «Sceriffo Teddy Miles, piacere di avervi qua detective». Mi piace perché arriva subito al punto con voce seria e potente. «Ho già cinque agenti sul posto a sorvegliare la zona. Hanno delimitato l'area con l'ordine di non toccare niente. Sanno che li mangio la testa se disubbidiscono a un mio comando». 
Gli stringo la mano dopo Wex. «Allora non perdiamo tempo, sceriffo. Ci accompagna li sul posto?».
«Sì, seguitemi con la vostra auto, non è lontano da qui».
«Chi è la vittima?». Domanda Wexler mentre usciamo di nuovo dalla struttura. 
«E' Joseph Bernard Salinger. Il prete della chiesa cattolica di Cold Peek. Non è stato ancora rivelato nulla, ma alcune persone già sospettano che gli sia accaduto qualcosa».
«Chi ha trovato il corpo?». Chiedo prima di aprire lo sportello dell'auto. 
Teddy Miles mi risponde da sopra il tettuccio della sua auto proprio parcheggiata accanto alla nostra. «L'ha trovato un tizio, un certo Gregory McNeil. Stava correndo in quella zona e ha trovato il corpo. Credo sia ancora là con i miei agenti, se volete fargli qualche domanda...».
«Certamente». Risponde Wexler entrando in macchina. 
A sportelli chiusi apro bocca. «Non c'è stata quindi nessuna denuncia per scomparsa, l'assassino deve aver fatto tutto in una notte». 
«Può darsi. Ma ricorda Jersey che non bisogna saltare troppo in fretta alle conclusioni. Si rischia di distorcere la realtà e compromettere l'indagine. Ora analizziamo la scena del crimine, chiediamo alla scientifica e al coroner cosa hanno scoperto, poi interroghiamo un po' di gente per sapere quand'è stata l'ultima volta che l'hanno visto. In questo modo possiamo tracciare un orario preciso sul quale indagare». 
Rifletto in silenzio su quella tabella di marcia, intanto Wexler inserisce retromarcia e prima ed esce dal parcheggio in coda al Mercedes di Teddy Miles.
«Te le ha insegnate mio padre queste cose?».
«Tuo padre ed io siamo rimasti insieme per un periodo abbastanza breve, ma mi ha insegnato cose molto importanti su questo mestiere. Era molto impulsivo, ma questo credo che tu lo sappia già. Nonostante questa esagerata impulsività, era molto determinato. Non lasciava mai alle spalle niente, affrontava tutto di petto finché non finiva per arrestare il colpevole. Un grande detective». 
Seguiamo lo sceriffo fino oltre i campi da golf parcheggiando sul confine di una fitta boscaglia in salita.
Ci addentriamo a piedi al suo interno, seguendo un piccolo sentiero che abbandoniamo poco dopo svoltando verso nord su per un altura fitta di rami ed alberi. 
Qui dentro c'è una cappa mostruosa di umidità e l'impressione è quella di avere una sporta di plastica sulla faccia che mi impedisce di respirare. 
All'arrivo sulla scena del crimine il sudore, che mi scendeva sul viso, si ghiaccia all'istante alla vista di quel teatro dell'orrore. E' un palcoscenico terribile. Partorirebbe rimorso e dolore quella mente che provasse solo ad immaginarlo. 
La disposizione del tutto è ben accurata e delineata secondo un preciso schema rituale. Circondato da quelle bizzarre pietre, il corpo seminudo del prete sta sdraiato di schiena su un tavolo o altare di tronchi d'albero ricoperto in più punti di sangue non ancora essiccato. Appena superata la striscia gialla che delimita l'area, risulta, già a questa distanza, molto ben visibile il profondo squarcio alla gola di Joseph Bernard Salinger, prete della chiesa cattolica di Cold Peek. 


CONTINUA...

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Capitolo 3
*** Episodio 2 ***


Mi lascio catturare da quello scempio. La nera talare strappata oscilla sul bordo di quell'altare, mentre Wexler rimane alle mie spalle.

«Hai mai visto niente di simile, Wex?».

«No, mai fino ad ora».

Mentre mi avvicino sento la voce di Wexler sempre più soffusa. Sta dicendo allo sceriffo Teddy Miles di radunare più uomini possibili per la perlustrazione del perimetro e delle strade. Intanto infilo i guanti e rifletto: ci sono quattro pietre interne che circondano l'altare e altre sette più esterne, sempre disposte in cerchio. Il cadavere del prete è bianco e sono ben visibile le macchie ipostatiche sulla schiena. La carotide è recisa e il sangue è ovunque.

«Cosa stai osservando?». E' la voce di Wexler.

«Dubito che sia morto per l'ostruzione della trachea in seguito all'emorragia. Deve essere morto quasi sul colpo, nel giro di pochissimi secondi». Osservo gli occhi vacui e disidratati ancora spalancati verso l'alto.

«Hai visto quei simboli sulle pietre?».

Getto lo sguardo sul cerchio di pietre che ci circonda. Ogni pietra, sia quelle esterne che quelle interne, ha disegnato un simbolo.

«Sembrerebbero i simboli dei segni zodiacali». Lascio che sia Wexler a scattare le foto, mentre mi concentro su quel simbolo ben più elaborato e complesso che si trova inciso sulla parte legnosa in basso dell'altare. Non mi è del tutto nuovo, forse l'ho visto in qualche documentario o quando studiavo a Quantico i profili dei criminali rituali.

«Credi sia la sua firma?».

«Può essere, Wex». Mi inginocchio per osservare meglio quel simbolo e continuo a parlare col mio collega alle mie spalle. «Una persona che organizza un omicidio così dettagliato non può che non piacergli farsi notare. E' orgoglioso del suo successo e sente il bisogno di firmare il suo capolavoro».

«Stai sempre attento a proposito delle conclusioni».

Non lo ascolto e continuo. «Una cosa è certa, lo rifarà di nuovo. Oppure l'ha già fatto. Quello che abbiamo davanti è la rappresentazione di un'idea che l'assassino aveva da tempo in mente. E' un omicidio rituale e iconografico».

«Va avanti...».

«La scelta della vittima in questo caso è molto importante e interessante. Un prete cattolico. Forse l'assassino non lo conosceva nemmeno questo Joseph Bernard Salinger. L'assassino vuole, con questo atto, condannare una particolare casta. Il motivo? Certamente, se sottoponessimo il killer a una psicoanalisi, uscirebbe alla luce una personale tragedia legata alla sua infanzia. Forse è stato vittima di uno stupro da parte di un..».

«Hey Hey! Fermati! Non va bene dire tutto quello che passa per la testa». Wex mi tappa la bocca guardandosi intorno. «Qui non siamo in città, cowboy! Qui siamo in un piccolo paese circondato dalla campagna e a nord dal mare. Non conviene gettare al vento certe supposizioni, per quanto ragionevoli siano. Stai attento e impara a conoscere i terreno sul quale sono appoggiati i tuoi stivali».

Un flash abbaglia il momento. Quella luce fredda e istantanea appare e svanisce dagli alberi fitti. Scatto allora in avanti come un felino, in direzione della preda che intanto fugge attraverso il fogliame.

Non ci metto molto a raggiungerlo ed agguantarlo. La macchina fotografica di quell'uomo smilzo va a finire contro il tronco di un albero. Il rumore dello scontro mi suggerisce che si sia disintegrata. L'uomo è a terra e disarmato. Alza le mani in segno di arresa ed io avito di spaccargli il setto nasale con un pugno. Intanto Wex e lo sceriffo mi raggiungono. «Che cazzo è successo?».

Estraggo dalla tasca interna del giubbotto di quel tizio il suo portafogli. «Sam Reyers. Lavora per il Long Island Press».

«Cazzo!». E' la disapprovazione di Terry Miles. «Ragazzi, portalo con voi in centrale. Dopo ci voglio fare due chiacchiere».

Aiuto a rialzare quel poveretto che ho schiacciato a terra. «Ti è andata bene, Sam! Potevo spaccarti il naso».

«Che fortuna allora, eh?». Si rialza e si ripulisce. Raccoglie i resti della macchina fotografica, mentre uno degli agenti si avvicina per portarlo fuori dalla zona.

Wex ed io ritorniamo sulla scena del crimine.

Lo sceriffo getta lo sguardo verso l'alto e si rivolge a noi. «Ragazzi, voi potete stare qui a masturbarvi con questa roba fino a domani mattina, ma il corpo dobbiamo portarlo via. Fra un po' farà buio».

«D'accordo».

Mentre due uomini vestiti di bianco inseriscono cautamente la salma nel sacco nero impermeabile, io disegno sul mio taccuino quel simbolo inciso sull'altare. Wex intanto infila in sacchetti trasparenti alcune prove che trova in giro.

«Si tratta di una o al massimo di due persone. Sul terreno non ci sono impronte di scarpe per colpa di queste maledette foglie. Ma ci sono alcuni rametti spezzati sui quali è chiaramente passato il nostro uomo». Wexler si ferma un attimo a pensare, poi riprende. «Era notte e quindi le probabilità di essere visto erano quasi nulle. Ma non può essere arrivato da dove siamo arrivati noi, sarebbe stato comunque troppo rischioso».

«Questo posto è veramente imbucato, Wex. E' già stata una fortuna che qualcuno l'abbia trovato!».

Ripongo il taccuino nella tasca interna del giubbotto mentre mi alzo in piedi. «Sceriffo, nelle altre direzioni opposte a quella dalla quale siamo arrivati noi, cosa c'è?».

«C'è solo boscaglia fino in cima. Poco più avanti da dove siamo ora, verso est c'è Grey Hills, il punto più alto di Cold Peek. Sul fondo della collina boscosa, a qualche chilometro a nord, c'è una stazione di servizio e un tavola fredda per i camionisti. E poi Cold Peek tutt'intorno».

Noto Wex che si guarda intorno preoccupato. «Dov'è finito McNeil, quello che ha trovato il cadavere?». Domanda.

«Ah, già, quel poveretto ha vomitato anche l'anima prima che voi arrivaste. Un mio agente l'ha riportato in centrale per vedere di calmarlo. Domani, quando sarà più tranquillo, gli farete tutte le domande che volete».

Mentre il cielo si riempe di nuvole rosse, il sole tramonta e ricopre l'atmosfera di una luce scarlatta.

«Dove alloggiamo stasera, sceriffo?» domanda Wexler.

«Daisy, la segretaria del nostro ufficio vi ha prenotato due stanze al Mellbrook&Son hotel. Non è niente male. Dovete sentire la torta di ciliegie che fanno per colazione alla mattina, è strepitosa».

Wex ed io ci lanciamo furtivi uno sguardo perplesso. Forse per la prima volta concordiamo su una questione: questo Terry Miles è davvero strambo.

Al ritorno, verso Cold Peek lascio che sia Wexler a guidare. Rimaniamo in silenzio, ognuno assorto nei suoi orribili pensieri. Non credo che siano tanto diversi. Entrambi abbiamo la mente su quella scena del delitto. Quell'uomo disteso sull'altare...mi si accappona la pelle a immaginare il tutto nel suo insieme: il cadavere disteso, mentre i rami degli alberi introno sussurrano tra loro mossi dal vento. Il freddo della morte che domina sul caldo umido della stagione.

«Wex, una cosa è certa: non è opera di un folle qualsiasi. C'è uno schema ben preciso e studiato dietro a tutto questo. Il nostro uomo è organizzato e conosce il suo obiettivo. Pensa alla costruzione di quell'altare e alla disposizione di tutte quelle pietre, ci sarà voluto un po' di tempo per organizzare tutto».

«Insomma non è un raptus omicida». Commenta Wexler.

Guardo fuori dal finestrino il buio che si addensa e rispondo. «No, assolutamente no».

 

CONTINUA...

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Capitolo 4
*** Episodio 3 ***


E' un buco d'albergo questo Mellbrook&Son Hotel. Da schifo. Almeno c'è il telefono in camera. Dopo aver salutato Wexler vado nella mia stanza. Si trova circa a metà del corridoio esterno del primo piano. Numero 107. Wex segue le scale fino al secondo piano e sparisce.

Quando entro penso a Sarah. Sola nell'appartamento a New York. Poso distintivo e pistola sul comodino e la chiamo.

«Ciao Sarah! Sono Io, Jersey!».

«Per fortuna mia hai chiamato, ero preoccupata. Dove sei ora?».

«Sono a Cold Peek ad Huntington. Stasera non torno».

«L'avevo immaginato». La sua risposta ha una punta d'amaro.

«Hey, cosa c'è?».

«Niente, è che mi manchi. Oggi sono andata da Beth a vedere come stava la bimba. E' veramente una bella bimba».

«Non so se tornerò presto, questo caso è pesante. Ma sono a due ore da New York, forse riesco a fare un salto da te fra un paio di giorni». Rimango in silenzio per qualche secondo. Rifletto a quello che mi ha appena detto Sarah sulla figlia della sua amica Beth. Cristo santo! So esattamente dove vuole andare a parare. Decido di non commentare e di non pensarci.

«Mi sento sola, Jersey. A volte ho paura a stare in casa sapendo che non ci sei te».

«Hai vissuto per due anni a Manhattan da sola».

«No, condividevo la stanza con la mia compagna di corso».

Sembriamo due ragazzini al telefono e quella conversazione mi annoia. Forse perché sono stanco. Cerco di deviare su i discorsi fino a quando non si raggiunge il saluto finale e la buona notte. «Ciao tesoro, ci sentiamo domani».

«A presto. Un bacio».

Quando appoggio la cornetta del telefono provo un raccapricciante disgusto provenire dallo stomaco. Mentre parlavo con Sarah la mia mente rievocava quelle fottutissime immagini della scena del crimine. Cazzo!

Rimango a sedere sul bordo del letto per un po' ad osservare il vuoto. La stanza puzza di fumo e le pareti bianche sono ingiallite nel tempo. Accendo una sigaretta e forse, non me accorgo, anche una seconda. Intanto la luce della lampada alle mie spalle allunga la mia ombra sulla moquette davanti a me. Prendo giubbotto, sigarette e chiavi ed esco dalla stanza. Istintivamente faccio tutto molto silenziosamente, come un ladro. Non voglio che Wexler mi veda o mi senta uscire. Raggiungo la Hall al piano terra e chiedo se il bar è aperto per bere qualcosa. Il tizio, un certo Frank Del Reyo mi dice che è chiuso. «Se vuole bere qualcosa a quest'ora trova aperto Hardbay, sulla Greenflower Street».

«E' molto lontano?».

«E' quasi nel centro di Cold Peek. Se vuole le chiamo un taxi».

Un quarto d'ora dopo mi trovo davanti al locale. Un postaccio illuminato da fatiscenti luci al led. Davanti ci sono alcune motociclette e il parcheggio sul retro e pieno di auto. Quando entro l'odore del fumo e dell'erba mi invade. La musica Country è accettabile ed è buffo pensare che, senza il rumore delle palle da bigliardo contro il bordo del tavolo e delle stecche, un locale del genere perderebbe il suo fascino. Il banco è umido e appiccicoso. Ordino un whiskey. Il barman mi propone una novità appena uscita. Prende in mano una bottiglia dalla scaffale e me ne versa un goccio in un bicchiere. Lo assaggio.

«Cazzo!». Il fuoco torbido scende giù per la gola. «Questo deve avere almeno otto anni!».

Il barista sogghigna e mi guarda. «No, ha solo tre anni, ma picchia come un adulto!». Sorride.

«Cos'è?». Chiedo, cercando di vedere, alla luce soffusa del locale, l'etichetta della bottiglia.

«E' un Clear Creek, McCarthy. Sta diventando roba che costa».

«Allora beviamo finché rimane a un prezzo ragionevole». Sorrido e il mostro si risveglia.

La mente viaggia sul caso del prete morto. Mi si crea nella narici il puzzo di quel sangue sull'altare e l'immagine statica del corpo all'obitorio si inchioda al cervello.

Non so perché sto bevendo. Dico sempre a me stesso che è una valvola di sfogo. Lo diceva anche mio padre quando andavo a bere con lui al Black Eye Jack.

«Tu sei nuovo di queste parti». Mi chiede un uomo col cappello, seduto su uno sgabello a un paio di metri da me.

Annuisco e accendo una sigaretta, l'ultima. Domani dovrò comprarle.

L'uomo col cappello si avvicina. «Piacere, mi chiamo Tom. Tom Anderson».

Gli stringo la mano, ma lo osservo dubbioso. Per capire bene che cazzo vuole e sopratutto chi è lo faccio parlare. «Piacere, signor Anderson. Sì, sono arrivato oggi pomeriggio.».

«Lo so, l'ho vista arrivare alla centrale di polizia di Cold Peek».

«Ah sì, beh sono di quel ramo e conosco bene lo sceriffo. Sono passato a salutarlo. Lei che cosa fa per campare?».

«Sono un fotografo, ho un piccolo negozio sulla Royal Way».

«Conosce allora un certo Sam Reyers di Cold Peek?».

Si incupisce, ma cerca di non farsi notare.«Perché dovrei conoscerlo?».

«Perché è un fotografo anche lui, lavora per il Long Island Press».

«Mi dispiace, non lo conosco». Finisce l'ultimo sorso dal boccale di birra. La schiuma bianca scivola sul bordo del bicchiere. «Non mi ha ancora detto il suo nome».

«Mi chiami Shown».

Accenna una smorfia inquieta. «E' un uomo molto in gamba, signor Shown. Ed ha anche bevuto parecchio, non immagino da sobrio».

Mi lascio sfuggire un sorriso di soddisfazione mentre osservo quell'uomo col cappello uscire dal locale. Di certo non me l'ha raccontata giusta su quel tizio, Sam Reyers. A giudicare dal tono di voce e dall'atteggiamento ha quasi sicuramente mentito sul fatto che non lo conosceva. Mi ha visto casualmente alla centrale? Non so cosa pensare.

Spengo il filtro nel portacenere di vetro sul bancone sudicio del bar. Ho la testa enorme e le gambe instabili quando mi alzo dallo sgabello. Ma sto bene. Niente di diverso dalle solite sbronze prima di tornare a casa a New York. Cerco le sigarette nel giubbotto e maledico il mondo al ricordo dell'ultima che ho appena fumato. Quando esco respiro aria fresca e chiamo un taxi.

Nell'attesa chiedo una sigaretta a una ragazza che è uscita dal parcheggio sul retro. Non è ubriaca, l'alito non puzza da alcol. Ma è certamente fatta, però ha un bel sorriso. Mi allunga volentieri una sigaretta che accendo respirando il fumo a pieni polmoni. Poi lei entra nel locale. Noto alcuni lividi sulla coscia destra. E' molto giovane per fare già la prostituta. Pensare di avere una figlia così mi manda su tutte le furie.

Il taxi arriva quando getto a terra la sigaretta. Raggiungo il Mellbrook&Son Hotel entrando nella mia stanza lentamente, senza rumori.

Quando mi sdraio sul letto sento gli uccelli cantare fuori dalla finestra. Non manca molto all'alba. Cazzo! Un altra notte insonne!

Il mio ultimo pensiero è quel prete disteso sul tavolo freddo del medico legale. Fra qualche ora sarò davanti al coroner con Wex, a discutere i dettagli della morte di quel poveretto.

 

 

CONTINUA...

 

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Capitolo 5
*** Episodio 4 ***


«Non ti vedo in forma oggi, cowboy!». Wexler parcheggia l'auto di fronte al dipartimento del coroner. Io non rispondo. Accendo la prima sigaretta del nuovo pacchetto appena comprato ed esco dall'auto.

O'Donnel ci aspettava in camice bianco al piano terra. «Buon giorno detective, prego, seguitemi». Intanto il whiskey della sera prima si fa sentire. 

Lo seguiamo fino alla camera dove è stata effettuata l'autopsia. O'Donnel scopre il cadavere del prete. Ecco, è qui davanti a me quell'uomo dalla gola tagliata, disteso sul freddo tavolo d'acciaio.

«Le analisi degli indumenti?». Chiede immediatamente Wex.

«Una comunissima talare nera da prete. E' rovinata e stracciata in più punti. I bottoni davanti sono stati strappati. E' molto sporca di terra e corteccia d'albero. Probabilmente è stato trascinato per un tratto del bosco fino in cima».

Mi volto verso Wexler. «Questo conferma l'ipotesi che era un solo uomo. In due l'avrebbero portato fino all'altare senza trascinarlo».

«Conferma anche il fatto che, se è stato trascinato, doveva essere già privo di conoscenza. Forse è stato sedato o drogato».

Rivolgo lo sguardo di nuovo verso il coroner. «Ora dicci del corpo».

«E' morto tra le due e le quattro del mattino. Questo l'avevo già detto allo sceriffo quando sono arrivato sulla scena del crimine. Il decesso è causato dal profondo taglio alla trachea. Dal segno lasciato sulla pelle sembrerebbe una lama molto più lunga e grossa di un coltello».

«Una spada?». Chiedo.

«Potrebbe. Intorno alla ferita ho riscontrato una denutrizione delle cellule per effetto osmotico, probabilmente sulla lama c'era del cloruro di sodio. Ho analizziamo meglio questa zona ed ho trovato anche residui di una sostanza simile al fiele».

«La lama era sporca di sale e bile». Concludo continuando a fissare quel taglio e la pelle bianca del morto.

«Sa dirci altro a proposito dell'arma utilizzata?». Domanda Wex estraendo il taccuino per gli appunti.

«No, purtroppo no». O'Donnel si permette una breve pausa, poi riprende. «E' stato sdraiato sulla schiena per un bel po' di tempo. A proposito della schiena, ho trovato questo simbolo dipinto sulla pelle verso la zona lombare». Si volta e prende, dal mobile affianco a lui, una fotografia. Wexler l'afferra tra le mani e la osserva. «Sembra la forma di un'aquila».

«E' stato disegnato con un indelebile nero». Aggiunge O'Donnel.

«Fa vedere, Wex». Prendo in mano la fotografia. La osservo attentamente per un minuto. «Assomiglia più a un avvoltoio, non vedi? Anche se il disegno è stilizzato è chiaro che il collo e la testa non hanno piumaggio. Non è un'aquila».

Wex mi guarda e cambia argomento. «Che ci dici di quei simboli sulle pietre?».

«Sembrerebbero i classici simboli utilizzati per identificare i segni zodiacali. Ma vi consiglio comunque di consultare un antropologo».

«Hai trovato delle impronte?». Wex è pronto a segnare la risposta sul suo taccuino.

O'Donnel si appoggia le mani sui fianchi e scuote la testa. «No, niente impronte».

«Cazzo, questa testa di cazzo è veramente malato!». E' la reazione di Wexler a un caso che sta prendendo una piega un po' troppo impegnativa e profonda. A me invece mi eccita l'idea di risolverlo e le mie energie sono tutte sul pezzo.

Osservo l'alone di luce neon che si stampa sul cadavere riflettendo infine sull'acciaio e penso a voce alta. «E' un follia perversa, questo è vero. Ma c'è un metodo ben specifico dietro, una mitologia e la ricostruzione di un rituale realmente esistente. Non può essersi inventato tutto questo. Ha fatto ricerca, ha studiato finché non si è sentito pronto per realizzarlo. Dobbiamo stare attenti, ma sopratutto dobbiamo studiare e fare ricerca anche noi per stare al suo passo».

«D'accordo, Shown, da dove suggerisci di partire?».

Prima che apro bocca entra, senza bussare, un altro medico della scientifica. Si affaccia oltre la porta rimanendo sulla soglia. «Detective Wexler! Detective Shown! Ho una chiamata urgente dalla centrale!».

«Chi è?» domanda Wex.

«E' lo sceriffo Teddy Miles! E' urgente!».

Usciamo dalla stanza dell'autopsia e ci dirigiamo verso la hall. Una donna alta e con gli occhiali ci passa il telefono allungando il filo fino al limite. Wexler prende in mano la cornetta e si mette ad ascoltare quello che gli viene detto dalla centrale. Si strofina le dita sugli occhi e aggrotta la fronte. Poi mette giù.

«Che cazzo è successo?».

«Quel coglione di Sam Reyers ha venduto alcune foto della scena del crimine al Long Island Press! Vaffanculo!».

«Ora avremo la stampa addosso prima del previsto!» tiro un pugno al legno del bancone su cui è appoggiato il telefono. Sento le nocche della mano destra friggere.

Ci avviamo, senza salutare nessuno, verso l'uscita e la macchina, mentre Wex borbotta qualcosa. «Ora dobbiamo andare alla centrale a parlare con lo sceriffo per una immediata conferenza stampa. Dobbiamo essere chiari e affrontare la cosa nel migliore dei modi».

Quando entriamo nell'ufficio, Terry Miles ha appena sbattuto giù la cornetta del telefono con un isterico. «Fottiti! Testa di cazzo!». Poi si alza di scatto dalla scrivania. Ha la camicia nella zona delle ascelle e del collo completamente madida di sudore. La cravatta è gettata contro la sedia alle sue spalle. «Io giuro che lo inchiodo quel figlio di puttana! Ma prima di inchiodare lui riempio di botte l'agente che l'ha perquisito prima di lasciarlo libero ieri! Cazzo!».

«Ora dovrai fare una conferenza stampa».

«Non solo! Questo non è un caso di omicidio come gli altri. E' stato ammazzato un fottutissimo prete! Avrò i cattolici alle calcagna e tutte quelle reti TV di protesta!».

Mi aggiungo alla conversazione guardando Wexler. «E noi due avremmo il tempo contato, la gente vorrà delle risposte e subito».

«Quel coglione di Sam Reyers era stato licenziato dal Long Island Press perché vendeva o passava alcune delle foto a qualcuno. Forse un investigatore privato».

«Quindi ha colto l'occasione per farsi reintegrare nel giornale. Era l'unico ad avere in mano quelle foto».E' la mia conclusione.

Terry Miles torna a sedersi sulla sedia della scrivania con un ferroso sospiro. Passa qualche secondo di silenzio prima che torni a parlare. «Io organizzo l'incontro con la stampa. Voi continuate a indagare. Poi vedremo come andranno le cose». 

 

CONTINUA...

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Capitolo 6
*** Episodio 5 ***


Seguo Wexler nell'ufficio affianco. Chiamo Ed Green, mentre Wex spedisce via Fax le foto e la descrizione di quei simboli ritrovati sulle pietre e sul corpo della vittima. Destinazione: dipartimento dell'FBI di New York City.
Al telefono cerco di migliorare la voce rauca e ardente. Devo smettere di fumare tutte queste cazzo di sigarette. «Tenente Green, sono Shown».
«Vi avrei chiamato questa mattina, ma poi ho ricevuto la telefonata dello sceriffo Miles che mi ha raccontato cosa è accaduto. Sono rimasto in contatto con lui».
«Bene, allora sai già tutto quello che c'è da sapere. Wexler ed io, se sei d'accordo rimaniamo qui a Cold Peek ancora per un po'. Stiamo indagando sul caso e Wex, in questo preciso istante, sta mandando via Fax delle prove da fare analizzare ad un antropologo, se riesci a darci una mano...».
«Certo! Vi chiamo Gabriel DeRio: è un esperto di antropologia e lavora per noi».
«Ottimo!».
Segue una brevissima pausa. Dal capo opposto della cornetta sento il click di un accendino. Immagino Ed Green, seduto sulla poltrona del suo ufficio, mentre si accende il solito sigaro giornaliero. «Avete già una pista?».
«No, abbiamo un prete cattolico morto e quei simboli occulti. Oggi interroghiamo le persone che frequentano la chiesa di Saint Rood». 
«Tenetemi informato». 
Non ci salutiamo nemmeno e metto giù la cornetta districandola dal filo attorcigliato. 
«Hai mandato quel cazzo di Fax?».
Wexler annuisce rimettendo i fogli e le foto nella cartella. «Sì, ora possiamo andare a interrogare un po' di gente».
«Partirei dal tizio che ha trovato il corpo e andrei a finire fino giù alla chiesa del prete». Suggerisco.
«Ah, già, McNeil! Sì, partiamo da lui, sai dove si trova adesso?».
«Abita a venti minuti da qui, sulla Pawtuxet Road. Me lo ha detto uno degli agenti prima di salire in macchina nel bosco».
«Cazzo! Che memoria!».
Non ribatto e seguo Wex fino all'auto parcheggiata. Non appena siamo a bordo Wexler accende la macchina, ingrana la prima e aggiunge. «Ti va se ci fermiamo a mangiar qualcosa prima? Io non ricordo dove abita McNeil, ma ricordo un fast food qua vicino alla centrale, poco dopo il distributore di carburante». Quell'improvviso tono simpatico nei miei confronti mi è nuovo. Ma non creo polemica e accetto. 
Il fast food è praticamente vuoto. E' un orario di merda per ordinare un cheesburger e una coca, ma abbiamo entrambi un po' di fame e sappiamo benissimo che ci aspetta una giornata molto impegnativa. La mente deve stare attenta ai dettagli. 
Ordiniamo e ci sediamo nei tavoli in fondo. Il bordo è unto e la puzza di patatine fritte è ovunque nell'aria. 
Dopo la prima boccata al panino, Wexler inizia a parlare. «Sai una cosa Shown? Quando ti ho conosciuto in ufficio ho subito capito che eri un tipo in gamba e per quel profilo psicologico hai dato un ottimo contributo. Ma quando Green ti ha buttato nelle mie mani come partner ho storto il naso. Ho pensato: cazzo un altro fottuto lattante da crescere!». Sfila la cannuccia del bicchiere di Coca-Cola e beve dal bordo. «Ti ho visto poi in azione e..vaffanculo! Ho capito che sei un pezzo da novanta! Tuo padre sarebbe fiero di te».
«Ti ringrazio, Wex! Ho fatto tutto questo per mio padre». Lo dico con tono sommesso e lui se ne accorge. 
«Cosa vorresti dire?».
Rifletto in silenzio per qualche istante, mentre osservo quella donna seduta due tavoli davanti a noi. E' obesa, sta mangiano un porzione doppia di patate fritte e sorride tra un boccone e l'altro. Poi rispondo. «Vedi, Wex, a volte mi domando se la vita che sto facendo è quelle che voglio veramente, capisci?».
«Capisco benissimo. Ci sono passato anch'io. Il lavoro che facciamo ci mette a dura prova e più migliori la tua carriera, più ti allontani dalla famiglia e dagli affetti. Finché non arriva la promozione. Quando arriva sai benissimo che hai già perso tutto quello che stava dall'altra parte della bilancia».
«Non intendo esattamente questo, anche se quello che dici temo si assolutamente vero».
«Allora cosa intendi?».
«Intendo dire che a volte facciamo delle scelte che crediamo nostre e invece sono dettate dagli altri». Faccio una breve pausa, poi riprendo. «Mio padre era un ottimo detective, voleva a tutti i costi che lo diventassi anch'io. Mi sono lasciato trascinare dagli eventi e dagli studi, ed ora sono qua».
«Ricordati una cosa Shown: quando una persona è in grado di ammettere e sopportare l'idea che la vita è comunque uno sbaglio, a prescindere dalle scelte che uno compie, allora vive in pace con sé stessa e gli altri, sapendo che non poteva andare altrimenti. Qualsiasi strada tu possa compiere sarà sempre ricca di pericoli e sofferenze, non c'è niente da fare». Richiude i i tovaglioli, che ha usato per pulirsi le mani, dentro la scatola di cartone vuota del panino. «Vuoi sapere il vantaggio di questo mestiere?».
Annuisco inghiottendo l'ultimo boccone.
«Capiamo prima di ogni altro il senso della vita».
«E quale sarebbe?».
«Che la vita non ha alcun senso».
Passa qualche istante e, per interrompere l'imbarazzante silenzio che si sta formando, gli chiedo. «Hey Wex, sei sposato?».
«Lo sono stato, poi ci siamo separati e prima del divorzio siamo tornati insieme per un po' di tempo, sai per il bambino. Poi la cosa non ha retto e lei se n'è andata da New York portandosi dietro Alex». 
«Tuo figlio?».
«Già...». 
«Mi dispiace». 
Wex non commenta e non aggiunge altro della sua storia personale, quindi passa la palla a me. E' giusto. «E tu? Sei sposato?».
«No, e credo di non volerlo». 
«Allora vivi a New York da solo?».
«Convivo in un appartamento a Manhattan con una donna, Sarah».
«Vuoi un consiglio? Non sposarti mai e sopratutto non avere mai figli. Sono entrambe due bellissime cose, sopratutto la seconda, di cui conosci però già il finale». 
«Quale sarebbe?».
«Il fallimento, Shown».
«Allora Wex siamo sulla stessa barca».
«Sbagliato! Io ho fallito e vivo col rimorso. Tu non hai ancora fatto questi errori». 
«Credo sia una forma di fallimento in entrambi i casi». La mia risposta è secca e dura. 
La discussione finisce lì e ognuno di noi rimane in silenzio nei suoi pensieri amari. Finché Wexler non termina anche l'ultima goccia di Coca-Cola nel bicchiere. «Non sei obbligato a rispondere, ma volevo sapere una cosa a proposito di tuo padre».
«Spara!». Sento già il metallo freddo della domanda che mi buca il torace come una pallottola. 
«Ci sono delle voci in giro, ma non ho mai capito come è morto tuo padre».
«Esatto, non sono obbligato a rispondere». Prendo il vassoio e mi alzo per gettare i rifiuti. Poi, mentre Wex è in bagno, mi accendo una sigaretta uscendo dal locale. Inspiro con forza tutto il fumo possibile, finché non sento i polmoni supplicare pietà. Solo così allontano il mostro.

CONTINUA..

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Capitolo 7
*** Episodio 6 ***


«Mi dispiace per prima. D'ora in avanti farò i cazzi miei». Wex sale in macchina al posto di guida, mentre io osservo Cold Peek da sopra il tettuccio. 
«Non c'entri niente tu. E' più una battaglia con me stesso, non farci caso». Chiudo lo sportello gettando il mozzicone di sigaretta sull'asfalto. 
La casa di McNeil si trova sulla Pawtuxet Road. Fa parte di una serie di case comunali, l'una attaccata all'altra. Al centro di tutti quegli edifici, di al massimo tre piani, si apre un parco con qualche passatempo per i bambini. Poco oltre questi appartamenti si stende la zona industriale. La fabbrica di tappi per bottiglie è una delle sagome più imponenti che si stampa all'orizzonte. Il fumo delle ciminiere accartoccia il cielo limpido e soleggiato, mentre Wexler bussa alla porta.
Un uomo pelato dagli occhi infossati ci apre. «Buonasera, chi siete?».
«Signor McNeil?». Domando. L'uomo si limita ad annuire. 
«Siamo della Omicidi, volevamo farle solo qualche domanda a proposito del ritrovamento del corpo?». Wexler non finisce la frase che McNeil spalanca la porta e ci fa entrare. 
Dentro quelle case sono molto più accoglienti che viste da fuori. E' un bell'ambiente, arredato con pochi soldi, ma con gusto. Ci sediamo al tavolo del salone e McNeil ci offre del caffè. Io accetto, Wexler no. 
«In realtà non c'è molto da raccontare». McNeil si siede al tavolo, di fronte a noi e mi passa la tazza di caffè bollente. «Alla mattina presto, almeno tre volte alla settimana, vado a correre. Sono più di venticinque anni che corro, è il mio passatempo. Un tempo preferivo su strada, ma mi sono distrutto completamente le ginocchia. Ora preferisco correre e camminare sulla terra battuta e su ghiaia».
«A che ora vai di solito a correre?».
«Di solito inizio il riscaldamento intorno alle sei del mattino. Faccio a piedi tutto il tratto da qui fino all'inizio di quegli alberi. Poi comincio a correre tra quelle stradine».
«Non ci sono stradine che arrivano fino alla scene del crimine, come hai fatto a scoprire il corpo?». Domando pronto e attento alla risposta. Dal tono e dai gesti capirò se mi mi sta mentendo. Intanto noto nello sguardo un velocissimo richiamo al terrore. Il ricordo di quello che ha vissuto si sta animando e rievocando dentro di lui. 
«La puzza. Non so da quanto tempo era morto Don Bernard, ma io sarò arrivato in cima che erano già passate le sette. E vi assicuro che l'odore di un cadavere, con quell'umidità tra gli alberi, si sente!». Si appoggia una mano sulla bocca. Trema. 
«Sì, abbiamo sentito anche noi quando siamo arrivati sul posto!». Dice Wex annotando qualcosa sul taccuino. 
McNeil continua. «Quando ho visto...quando ho visto...ho chiamato il 911». 
«E sei rimasto lì?». Chiedo appoggiando la tazza di caffè sul tavolo. 
«Assolutamente no! Mi sono allontanato il più possibile. Ho aspettato la polizia sulla strada». 
«A parte il corpo e quell'altare, hai notato qualcosa di strano?». Chiede Wex.
«Che cazzo di domanda è? Secondo voi non è abbastanza strano trovare il prete della città con la gola tagliata, sdraiato su un altare satanico in mezzo a un bosco? Ma vaffanculo!». 
Ci penso io a calmarlo. «Il mio collega non intendeva farti incazzare in questo modo. Ha però sbagliato a formulare la domanda. In questo momento Gregory siamo a caccia di dettagli, capisci? I dettagli sono fondamentali. Ora, quella scena nel bosco ha creato un trauma in te e questo lo capiamo, ma abbiamo bisogno del tuo aiuto per sapere se c'è qualche indizio in più che può esserci sfuggito nel macro insieme. Per esempio, quando sei tornato su con i poliziotti, hai notato qualcosa di diverso rispetto a prima?». 
Mentre il testimone riflette avverto l'occhiata interrogativa di Wexler perforarmi il cranio, come se improvvisamente mi considerasse pazzo. Me ne frego e tengo il contatto visivo con McNeil.
Gregory McNeil socchiude gli occhi stringendo le palpebre in cerca di ricordi. «C'era un oggetto vicino all'altare, appoggiato a terra». 
Wex alza lo sguardo dal taccuino e spalanca gli occhi. 
Io continuo a tenere lo sguardo fisso sul testimone. «Che cos'era?».
«Quando sono tornato con i due poliziotti non l'ho più vista. Era una specie di spada, una spada corta e un po' curva. Aveva l'impugnatura scura, forse di legno».
Osservo Wex che prende appunti, poi mi rivolgo di nuovo a McNeil. «Sei stato di grande aiuto, ottimo lavoro!».
Faccio capire a Wex che non possiamo fargli altre domande. Il testimone è stanco e ci manderebbe solo a fanculo. So che Wex gli avrebbe chiesto altri dettagli su quell'oggetto, ma penso che sia meglio non forzare il momento. 
«Grazie del caffè e se le viene in mente qualcos'altro chiami lo sceriffo Miles». 
Quando rientriamo in macchina Wexler scuote la testa e sorride. «“Macro sistema” Ma che cazzo?». 
Mi accendo una sigaretta e bestemmio all'idea che il gas dell'accendino sta per finire. 
«No, a parte gli scherzi: sei stato bravo». Il tono di Wex è più serio. «Ora sappiamo dell'arma del delitto. Coincide pure con la versione del coroner. Anche lui aveva detto che si trattava di un'arma simile a una spada».
«L'assassino non aveva finito il lavoro». Quasi sussurro tra me e me. 
«Come? Quello si è dimenticato l'arma sulla scena del delitto ed è tornato indietro a prenderla non appena ne ha avuto l'occasione». 
«E troppo preciso, organizzato e meticoloso per fare un'errore del genere. Credo invece che abbia sentito arrivare qualcuno e che si sia nascosto tra gli alberi. Quando McNeil se n'è andato ha recuperato l'arma ed è scappato».
«Ottima teoria, Shown. Ma perché pensi che non abbia finito il lavoro?».
«Don Bernard era già morto da più di un'ora: secondo il coroner è morto tra le quattro e le sei del mattino e McNeil ha appena detto che ha sentito la puzza del sangue e del cadavere dopo le sette. La spada che prima c'era e poi è sparita conferma che l'assassino è rimasto sulla scena del crimine per almeno un'altra ora prima di andarsene definitamente, ovvero finché non è arrivato McNeil con i due poliziotti. Perché restare lì dopo averlo ucciso? E' solo un rischio. Se non fosse arrivato quell'ospite inatteso, il nostro uomo avrebbe continuato a fare il suo banchetto di sangue. I suo rito è stato interrotto». Distacco lo sguardo da oltre il parabrezza gettando il mozzicone nel posacenere dell'auto. Mi sfrego le mani sudate sulla fronte, mentre mi passo i polpastrelli sulle occhiaie strofinandoli contro gli occhi. Ho mal di testa e la giornata non è ancora finita. 
«Puoi anche aver studiato, ma certi collegamenti possono nascere in testa solo a un certo tipo di anima. Ed io, amico, comincio ad avere paura della tua». Wex dice quella frase subito dopo aver ingranato la prima ed aver imboccato la strada principale. Il tono è serio e faceto allo stesso tempo, ma, per un istante, mi paralizza, ghiacciandomi il sangue nelle vene. 

CONTINUA...

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Capitolo 8
*** Episodio 7 ***


I'll see you in my dreams, there we'll be safe tonight...Le casse dello stereo dell'auto sono al minimo, ma gettano nell'aria il nuovo singolo dei Giant. Favoloso. Stacco il pensiero da quella musica mentre osservo, dall'alone lucido del parabrezza, la facciata esterna della chiesa di Saint Rood. Lo stampo gotico è chiaro. In cima c'è il piccolo rosone restaurato che crea un ottimo gioco di colori. Lascio la giacca sul sedile della macchina, il sole scalda abbastanza. 
Accanto al parcheggio ed oltre al ringhiera c'è un uomo di colore che spazza alcune foglie dal selciato ghiaiato. Lo salutiamo con un cenno e ci avviciniamo. 
Wex si appoggia al cancello. «Stiamo cercando qualcuno che conosca bene il parroco Joseph Bernard Salinger».
L'uomo alza lo sguardo da sotto il berretto yankee. «Qui tutti conoscevano Don Jo». 
Storgo il naso a quell'insieme di parole. Non mi convince affatto, ma continuo ad ascoltare. 
«Lei lo conosce bene, vero?».
«Abbastanza. Io qui curo solo il giardino e lo vedevo passeggiare nei dintorni al pomeriggio». Fa una breve pausa appoggiando la scopa alla ringhiera. «E' un po' che non lo vedo però. Voi chi siete?».
«Siamo della polizia». Rispondo aggiungendomi alla conversazione tra lui e Wex. 
«E' successo qualcosa a Don Jo?». 
«Forse. Come ti chiami?».
«Danny Mowry». Risponde il nero asciugandosi il sudore dalla fronte. 
«Bene, signor Mowry. Quand'è l'ultima volta che l'hai visto?». Mentre l'uomo pensa realizzo di aver utilizzato un'intonazione un po' dura, ma me ne frego. 
«Non so dire un preciso momento. Forse martedì sera. Quando è rientrato in parrocchia ci siamo incrociati e salutati».
«Ricordi l'ora?». Chiede Wexler. 
«Era già sera, forse le sei».
«Da dove tornava a quell'ora?».
«Non lo so! Io lo vedevo entrare e uscire. Ogni tanto ci incrociavamo, punto».
Allora Wexler domanda . «C'è qualcuno dentro la chiesa con cui parlare?». 
L'uomo riprende in mano la scopa. «Sì, credo che troverete suor Agatha». 
Lo ringraziamo ed entriamo nella chiesa. Dal momento che la porta si chiude, cigolando alle nostre spalle, rimpiango la giacca che ho lasciato nell'auto. Cazzo, fa un freddo cane! E' un freddo umidiccio e antico che ti entra nelle ossa. 
Suor Agatha deve aver sentito il rumore della porta perché qualche istante più tardi ci appare davanti come un fantasma. «Siete della polizia, vero?».
«Sì. Io sono il detective Wexler e lui è il detective Shown».
«Hanno mandato addirittura dei detective, dev'essere una cosa seria...» Il tono di Suor Agatha è amaro e pieno di sconforto. 
«Come faceva a sapere che siamo della polizia?». Chiede Wex. La sua voce è più grossa e profonda della mia ed echeggia per tutta la chiesa. 
«Vi ho visto arrivare dalla finestra, dall'atteggiamento ho tirato a indovinare». 
Stavolta sono io ad aggiungermi alla conversazione. «Perché crede sia una cosa seria?». 
«Don Jo, come tutti qui lo chiamiamo, manca ormai da tre giorni e la polizia di Cold Peek non si è mossa di un millimetro per cercarlo quando l'ho chiamata per denunciare la scomparsa. L'avete trovato?».
«Vedrà la notizia sui giornali domani, quindi possiamo dirglielo: Don Joseph Bernard Salinger è stato trovato morto mercoledì mattina». 
Suor Agatha appoggia le mani sulla testa stropicciando il velo. Come se qualcuno le avesse infilato una spada nello stomaco, assume un'improvvisa espressione di terrore. Poi riporta le mani al viso e sugli occhi in lacrime. Trema. Intanto io prendo la parola in quella tragica scena al lume delle candele e dei raggi del sole attraverso il rosone restaurato. «Sappiamo che ora è un momento molto fragile per parlarne, ma abbiamo bisogno di sapere qualcosa di più su Don Jo, capisce?».
La suora si fa il segno della croce e annuisce. 
«E' disposta a rispondere a qualche domanda?». 
Annuisce di nuovo. «Ho bisogno di sedermi». La voce è spezzata da un grosso nodo alla gola. 
«Ma certo» Wex la aiuta accompagnandola verso una delle sedie poste nella navata principale. 
Wexler e Suor Agatha si siedono su quelle scomode sedie di legno. Io rimango in piedi davanti a loro mentre Wex inizia a interrogarla. «Quando l'ha visto l'ultimo volta?».
«Ricordo di averlo salutato martedì pomeriggio dopo il pranzo. Come ogni martedì mi ha detto che sarebbe uscito un paio d'ore».
«Dove andava il martedì dopo pranzo?». 
«In realtà usciva spesso anche altri giorni durante la settimana. Ma il martedì era quasi sempre certo. Comunque andava all'oratorio in Evelyn Street».
«Cosa faceva all'oratorio?». Chiedo. 
La suora getta lo sguardo verso l'alto nella mia direzione e risponde. «Perlopiù seguiva e gestiva le attività dei ragazzi del campo».
Wexler riprende con le sue domande. «Martedì sera è poi tornato nel suo appartamento, qui alla chiesa di Saint Rood?». 
«L'ho aspettato per un po' di tempo, poi sono andata a dormire. Quando mi sono svegliata alla mattina presto non ho pensato a cercarlo».
«Come mai?». Domando.
«Perché avevo altro da fare e non ho pensato minimamente di cercarlo, non sono andata certo a pensare che...». Fa un lunga pausa e respira nell'aria umida della chiesa. «All'ora di pranzo ho bussato alla porta del suo appartamento. Ovviamente non mi ha risposto nessuno. Anche in quel caso non mi sono preoccupata più di tanto, certo non era una cosa normalissima, ma ho pensato che magari era già andato via senza che io lo vedessi uscire».
«Il signor Mowry qui fuori ha detto di averlo incrociato alla sera». Faccio notare alla suora. 
«Può essere. Io forse ero già a dormire. A volte Don Jo tornava tardi dall'oratorio».
«Ci può far vedere l'appartamento di Don Joseph Bernard Salinger?».
Suor Agatha è fisicamente fiacca e svigorita. Quella notizia le ha portato via tutte le forze che le erano rimaste. Ciononostante risponde con cordialità ed interesse per le indagini. «Ma certo, seguitemi detective». 
Quando Suor Agatha e Wexler si alzano in piedi, la sedia scricchiola echeggiando nel vuoto silenzio della chiesa di Saint Rood, mentre una candela, sotto l'arco della navata laterale alle loro spalle, si spegne generando un sottilissimo filo di fumo grigio che ondeggia nell'aria stagnante. Intanto penso a quello stronzo di Mowry e ai verbi al passato che ha usato nelle sue frasi. Come poteva sapere che Don Jo era morto e quindi parlarne già al passato? Nasconde forse qualcosa? 

CONTINUA...

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Capitolo 9
*** Episodio 8 ***


«Ho aperto la porta con una delle chiavi di scorta che teniamo giù». Ci informa Suor Agatha.

«La porta era chiusa a chiave?». Domando.

«Sì». Risponde la suora. «Non so se dall'interno o dall'esterno, ma l'abbiamo trovata chiusa a chiave. Don Jo comunque la chiudeva sempre prima di andare a dormire».

«La chiudeva a chiave anche quando usciva?». Domanda Wexler.

«Certamente!».

Entriamo nella stanza. L'odore di chiuso e di vecchio ci invade mentre osservo la finestra di fronte a noi. E' chiusa. «Qualcuno ha spostato qualcosa o è entrato a chiudere la finestra?».

Suor Agatha accenda la luce premendo il bottone a lato del muro. «Io non ho spostato e chiuso niente. Non credo sia entrato qualcun altro».

«La finestra è chiusa e la porta anche. Dev'essere uscito di spontanea volontà quella notte. Ma dove poteva andare un prete a quell'ora?». Rifletto ad alta voce, poi chiedo alla suora. «Ha sentito dei rumori la notte tra il martedì e il mercoledì?».

«Non ricordo dei rumori particolari, ma ho il sonno molto pesante». Risponde incrociando le braccia.

Wexler mi guarda e ragiona come me ad alta voce. «E' rientrato intorno alle sei di sera, secondo il signor Morwy. Tutto questo suggerisce che sia uscito più tardi chiudendo a chiave la porta. Ma è strano..».

Mi avvicino al centro della stanza. «Di certo nessuno è entrato dalla finestra o dalla porta per rapirlo. La stanza è in ordine. Non c'è segno di colluttazione o di aggressione. Sia la finestra che la porta non mostrano segni di forzatura». E' un stanza tutto sommato piccola. La libreria occupa tutta la parete sinistra. In fondo, sotto la finestra, c'è la scrivania. Il bagno e la camera da letto sono affianco, separati dal una porta e una parete. Entro nella camera da letto. Il letto è in ordine. «Non è nemmeno andato a dormire. E' entrato e dopo un po' uscito».

«Alla mattina si alzava molto presto. E' strano che sia uscito dal suo alloggio di sera». Aggiunge la suora.

«A meno che non avesse un appuntamento con qualcuno...». Rifletto.

«Cosa vorrebbe dire?».

«Niente, suor Agatha. Stavo riflettendo a voce alta. Comunque qualcosa l'ha spinto ad uscire in maniera straordinaria dal suo alloggio».

Sento Wex alle mie spalle che sfila alcuni libri dallo scaffale della libreria. Legge e sfoglia qualche pagina per rimetterli al loro posto.

Osservo la camera da letto in ogni prospettiva. Anche qui, appoggiata la muro, c'è un piccola scrivania. Frugo tra i cassetti. Non trovo niente di interessante. Nascosto sotto al tavolo c'è un cestino per la carta. Dentro qualche foglio e dei fazzoletti per il naso. Lo sposto verso la luce e frugo anche lì dentro. Una palla da demolizione mi sbatte a terra quando afferro tra le mani un foglio accartocciato su quale leggo: Ho le foto. Troviamoci davanti al luogo del peccato dopo le 10:00. Discuteremo di persona sulle condizioni.

«Wex!». Grido.

Wexler mi raggiunge. Gli mostro il foglio. Lo legge e lo infila in una busta di plastica che recupera dalla tasca interna del giubbotto.

«Ma che cazzo, giri con in tasca le buste di plastica per la scientifica?». Chiedo alzandomi dal pavimento.

«A qualcosa ogni tanto serve». Mi sventola davanti la busta chiusa. «Questa è la prova di un ricatto, Shown. La portiamo in centrale per l'analisi delle impronte».

«Avete trovato qualcosa?» chiede Suor Agatha alle nostre spalle.

«Più di quello che speravamo». Rispondo voltandomi nella sua direzione. «In queste righe è menzionato un certo “luogo del peccato”. Le dice niente?».

«No, assolutamente no».

Ringraziamo la suora e rientriamo in macchina.

«Secondo te a cosa si riferisce la lettera, Wex?».

«Come dicevi tu prima, è chiaro che si tratta di un ricattatore. Forse è lo stesso uomo che cerchiamo».

«Un ricattatore deve avere in mano degli strumenti con cui possa ricattare. In questo caso sembrerebbe materiale fotografico. Queste presunte foto testimoniano qualcosa, e temo che sia qualcosa di molto, molto brutto».

«Cosa intendi?».

Non rispondo e lascio scorrere l'immaginazione sperando nel possibile sbaglio della mia mente. Wexler continua. «Forse con l'espressione “luogo del peccato” il ricattatore intendeva il posto nel quale è stato fotografato il prete nel momento del presunto “peccato”».

«Può essere».

Giunti in centrale Wexler consegna la busta ad uno dei ragazzi della scientifica, mentre io mi dirigo verso l'ufficio dello sceriffo Miles. Cazzo! Entro senza bussare e lo vedo seduto dietro la sua scrivania col dito indice premuto sulla narice destra, mentre con la mano sinistra tiene insieme e arrotolata una banconota da un dollaro. Faccio finta di niente, come se fossi distratto. Gli do il tempo necessario per ripulire la scrivania. E lui nemmeno si incazza, anzi mi tratta come se fossi un attore di Hollywood. «Hey! Detective Shown! Allora? Novità sul caso del prete?». Si alza addirittura in piedi per salutarmi. Ha la fronte e le mani sudate, non solo per l'agitazione. Continuo a fregarmene elencandogli brevemente quello che abbiamo scoperto.

«Una specie di scimitarra?».

«Esatto. McNeil ha visto una scimitarra e poi quando è tornato su, insieme ai poliziotti, non l'ha più vista».

«Un prete ricattato per qualcosa! Cristo santo!».

Sospiro. «Sì, e la cosa puzza parecchio!».

«Mentre attendete il risultato sulle impronte, provate ad andare a fare qualche altra domanda in giro, per esempio in quell'oratorio».

«Sarà il nostro prossimo passo!». Mi volto verso la porta impugnando il pacchetto di sigarette con la mano destra.

«Ah, Shown!».

«Mi dica, sceriffo Miles».

«Circa un paio d'ore fa ha chiamato una donna da New York...».

Lo interrompo subito. «Sarah?».

«Sì, ha detto di chiamarsi così. Ti cercava e urgente».

Non lo saluto nemmeno quel figlio di puttana ed esco di corsa dall'ufficio imboccando il corridoio fino alla hall. Lì afferro il telefono sfregandomene dello sguardo impaurito e perplesso della segretaria. Compongo il numero e attendo.

«Jersey!». La voce di Sarah è spezzata in due.

«Cos'è successo amore, dimmi!».

«Oh, Jersey! Finalmente! Ho paura! Tanta paura!».

«Cos'è successo? Dimmi tesoro!».

«Stamattina al supermercato sono entrati dei tizi con delle pistole. Hanno sparato dei colpi al soffitto rapinando il negozio! Ero alla cassa che stavo per andarmene...».

«Oh Cristo! Come stai ora? Ci sono stati dei feriti?».

«No, nessun ferito. Avevo bisogno di te oggi e tu non c'eri. Sono rimasta un'ora sotto la doccia seduta a terra. Non riuscivo a muovermi, ero come paralizzata. Tremo e ho freddo».

Abbasso lo sguardo come un cane. «Dai tesoro, è tutto passato ormai. Vorrei tanto essere lì con te a scaldarti ed abbracciarti...».

«...ma non ci sei». Conclude Sarah interrompendomi.

«Dai, non fare così! Mi ferisci. E' questo caso...».

«Mi sento sola e ho bisogno di te, lo capisci?». Mi interrompe di nuovo.

«Anch'io ho bisogno di te, amore. Ma ora non posso, sto lavorando...».

«Fammi capire: io vengo quasi uccisa in un supermercato in mezzo a una cazzo di rapina e tu mi dici che stai lavorando?». Il tono si alza in posizione di attacco.

Rimango calmo e respiro, mentre la segretaria davanti a me mi osserva parlare al telefono. «Non intendevo dire questo. Stasera provo a venire a New York per stare un po' con te».

«Se devi sentirti così obbligato, fa lo stesso».

Cazzo! Penso al talento femminile della provocazione, in ogni senso. «Non mi sento obbligato. Ho voglia di vederti e mi dispiace per quello che è successo oggi, ma so che stai bene e questo è l'importante».

«Sì, non mi hanno ferita. Ma non riesco a bere nemmeno un bicchiere d'acqua da quanto mi tremano ancora le mani»

«Dai, tesoro, ora prova di rilassarti finché non arrivo. Farò il possibile!».

Quando appoggio la cornetta, un'incontrollabile voglia di bere sale dall'infimo mondo dentro di me. Stringo con forza i pugni sul bancone al quale è appoggiato il telefono, finché le nocche delle mani non diventano completamente bianche.

Allontano il mostro.

Quando rilasso i pugni mi accorgo di aver accartocciato il pacchetto di sigarette che tenevo ancora in mano. 

 

CONTINUA...

 

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Capitolo 10
*** Episodio 9 ***


Incontro Wex nel corridoio inferiore. «Hai consegnato il foglio per l'analisi delle impronte?». 
Lui annuisce. «Appena sanno dirci qualcosa ci chiamano. Tutto bene, Shown?».
«Insomma, per quanto possa andare bene la vita dell'uomo». Rispondo cercando di salvare qualche sigaretta dal pacchetto. Cazzo! Sono tutte da cacciare nel bidone! 
Quando entriamo di nuovo in macchina suggerisco a Wexler di fare qualche altra domanda partendo dall'oratorio. Così ci dirigiamo verso sud, verso Evelyn Street.
Wex inserisce la quarta e accelera. «Quel nero alla chiesa di Saint Rood ha parlato al passato, ci ha fatto caso anche tu?». 
Non rispondo e continuo a pensare a Sarah. 
«Credi anche tu che sappia qualcosa di più?».
Osservo il cielo che si annuvola e stavolta rispondo. «Sì, ci nasconde certamente qualcosa. Ma una persona che si incastra da solo e in quel modo non può essere il nostro uomo».
«Forse un complice allora». 
«O forse la persona sbagliata al momento sbagliato». Apro il cruscotto davanti alle mie ginocchia per vedere di trovare delle sigarette. Wexler non indaga e continua a guidare. Trovo solo carte e fogli inutili e mezzo pacchetto di preservativi. Certo che gli agenti di polizia di Cold Peek si tengono pronti per ogni evenienza. Richiudo tutto e mi rimetto a pensare a Sarah, alla nostra telefonata e al discorso che ho fatto con Wex al fast food. 
Il parcheggio dell'oratorio è il campo da basket del cortile. C'é qualche altra macchina oltre la nostra. Quando esco dall'auto sento in lontananza il fastidioso urlo dei bambini e dei ragazzi che giocano nel cortile sul retro. La struttura è moderna e su due piani. 
«Che pace! Manca a New York un posto così!». Il commento di Wex mi fa storcere il naso.
«E' dove tutto è tranquillo che il male si nasconde e si annida. Dove nessuno cerca e indaga».
«Perché devi essere sempre così cinico? Questa zona del Long Island è statisticamente considerata dal Bureau come la periferia di New York con il più basso tasso di criminalità, lo sapevi?».
«Intanto noi indaghiamo su un prete morto sgozzato in mezzo al bosco, trovato disteso su un altare, circondato da simboli satanici». 
Wexler non commenta e chiude con forza la portiera della macchina. Bussiamo alla porta un paio di volte. Nessuna risposta. Giriamo intorno alla struttura fino a raggiungere il cortiletto sul retro. 
«State cercando qualcuno?». Un uomo sulla trentina si affianca a noi sbucando dal nulla.
«Salve». Saluta Wexler. «Siamo agenti di polizia. Il mio collega è Shown ed io Wexler». Ci stringiamo la mano. Intanto il vento continua a soffiare più forte portandosi dietro alcune nuvole. 
«Volevamo chiederle qualcosa a proposito del parroco di Saint Rood. Lo conosceva bene?».
«Ma certo! Don Jo! Un grandissimo uomo! Lo stimo molto. Gli è successo qualcosa?».
«Non possiamo dire niente a riguardo per ora signor..?». Domando. 
«Ah, scusate! Non mi sono presentato, chiamateti pure Adam».
«Bene, Adam. Veniva spesso qua Don Jo?». Chiede Wex.
«Sono un po' preoccupato, non potete assolutamente dirmi nulla?».
Prendo in mano la situazione. «Ascolta Adam, siamo noi che facciamo le domande. Il mio collega ti ha già risposto: ora non possiamo dirti nulla, ma vedrai che al più presto saprai tutto quello che devi sapere. Ora rispondi alla domanda».
Adam allontana lo sguardo per un attimo. Controlla i ragazzi che giocano a calcio alle mie spalle. Incrocia le braccia e risponde. «Passa di qua almeno due volte alla settimana».
«Cosa fa quando viene a trovarvi?». Domanda Wexler. 
«Niente di importante. Controlla le presenze e gioca un po' con i ragazzi. A volte organizza dei gruppi di lettura nella sala del teatro». 
«Questi ragazzi e bambini chi sono?». Domando gettando lo sguardo poco oltre la siepe alla nostra sinistra. Riconosco un volto.
«Sono tutti ragazzi che vengono da situazioni famigliari complesse. Quelli dei servizi sociali spingono perché i bambini e i ragazzi passino più tempo con noi. Quelli che hanno famiglia tornano a casa alla sera. Abbiamo quattro casi di abbandono, due di loro hanno perso entrambi i genitori». 
Il mio sguardo si sposta velocemente da Adam a quella ragazza di cui il mio cervello riconosce il familiare profilo oltre la siepe. Non ricordo esattamente dove l'ho vista. Sta seduta su una panchina di ferro dipinta di verde. Accanto a lei un bimbo più piccolo con in mano una palla da baseball. Stanno parlando. Da quella distanza e con il casino alle mie spalle non riesco a sentire le loro voci. Nel frattempo Wex ha fatto qualche altra domanda a Adam, non ho seguito il discorso, così salto su e chiedo. «Martedì pomeriggio è venuto a farvi visita il parroco?». 
Wexler mi guarda strano. «Hey Shown, gliel'ho appena chiesto. Non hai sentito?». 
«No, scusa. Mi ero distratto un attimo. Allora?».
Adam ripete ciò che aveva appena detto. «Martedì l'ho visto entrare nell'oratorio. Verso le cinque l'ho cercato nella struttura convinto che ci fosse, ma non l'ho più visto. Forse è venuto solo un attimo e poi se n'è andato. Non l'ho nemmeno incrociato».
«Hai appena detto di averlo visto, come hai fatto a non incrociarlo?». Obbietto. 
«Nel senso che non ci siamo nemmeno parlati. L'ho visto dalla finestra del secondo piano che entrava dal quel cancello laggiù, sul retro».
Guardo il cancello e torno con lo sguardo su Adam. «Entrava sempre da quella parte?».
«Sinceramente, ora che ci penso, era la prima volta che lo vedevo entrare da la. In genere l'ho sempre incontrato all'ingresso principale».
«Quando l'hai visto dalla finestra, ha notato un atteggiamento strano?». 
Adam riflette un attimo prima di rispondere. «Si guardava un po' intorno, come se volesse accertarsi che nessuno lo seguisse, o qualcosa del genere. Ma sono solo impressioni».
«Un ultima cosa Adam, quella ragazza chi è?».
Adam si volta verso destra in direzione della siepe. «E' una di quelle ragazze che vi dicevo che sono rimaste orfane. E' davvero un bravissima ragazzina, si da da fare per gli altri ed ben educata, nonostante il suo passato». Fa una breve pausa poi urla in quella direzione per farsi sentire. «Angela! Vieni qua un attimo!». La ragazza si volta, dice qualcosa al bimbo che le sta affianco e ci raggiunge girando intorno alla siepe. Intanto Adam si rivolge di nuovo a noi. «Ve la presento». 
Quando la ragazza mi è ormai di fronte capisco finalmente dove l'avevo già vista. E' una ragazza alta, i capelli biondi sono lunghi e mossi dal vento. Ha un bellissimo sorriso. Porta dei pantaloncini molto corti che le arrivano a metà della coscia. 
«Angela, questo è l'agente Shown e questo è l'agente Wexler». Adam fa le presentazioni. 
I pantaloni che indossa la ragazza non sono comunque abbastanza lunghi da coprire i due lividi che ha sulla coscia destra. Ora ricordo quella sera all'Hardbay quando mi ha allungato una sigaretta in attesa del taxi che mi riportasse al Mellbrook&Son Hotel. 
Angela. Ha davvero un bel sorriso. Mentre la guardo lei mi riconosce, ma non fa intuire un bel niente. Rimane riservata e sulle sue. Un pò timida forse.
Angela. Davvero un bel sorriso. Ma dietro a quell'espressione gaia e tranquilla sembrerebbe celarsi una nera verità. Intanto il mio sguardo torna su quei lividi.

CONTINUA...

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Capitolo 11
*** Episodio 10 ***


«Come fai a capire così bene la gente che hai davanti?». Siamo in macchina che ci dirigiamo alla centrale di polizia di Cold Peek e Wexler salta su con questa domanda mentre imbocchiamo la Huston Road.
«Che intendi?». Rimango serio e continuo a guardare l'asfalto che sfreccia davanti al cofano dell'auto. 
«Lo sai che intendo. Hai visto qualcosa in quella ragazza». 
«Wex, io sono nuovo del mestiere. Sei tu che devi insegnarmi queste cose. Io ho visto quella ragazza perché era nella mia visuale e c'era la possibilità di avere qualche informazione in più sulla vittima».
«Che stronzata! Anche il bambino era nella tua visuale, stava accanto alla ragazza. Ma non l'hai nemmeno considerato. E' successo con McNeil e poco dopo anche con il nero, giù a Saint Rood».
«Cosa ho fatto, Wex?».
«Capisci quando la gente mente e, anche se non lo dici o non lo fai intendere, sai che è così. Sai come fargli sputare la verità senza torchiarli a sangue».
«Tutti dicono quello che vuoi sentirti dire se li minacci o li pesti. Quella non è la verità. E poi le tue sono domande del cazzo! Cosa vuoi che abbia studiato a Quantico?».
«No! No! Belle stronzate! Ho visto altri poliziotti usciti dal tuo stesso corso a Quantico. Tu hai talento ragazzo. Volevo solo sapere se avevi qualche tecnica particolare, tutto qua».
Lascio che il silenzio invada la vettura prima di replicare scocciato da quell'interrogatorio. «Parto del fatto che ogni persona ha un lato oscuro. E' una cosa inevitabile della coscienza umana. Qualsiasi persona che ti trovi davanti ha qualcosa da nascondere o una scomoda verità in tasca. E' un fardello che noi tutti portiamo. Una volta capito questo, non dico che è facile, ma sicuramente più semplice scavargli intorno». 
«Insomma usi il loro senso di colpa...»
«Esatto». 
Il parcheggio della centrale è pieno di furgoni bianchi con antenne sul tettuccio. «Ecco dunque la stampa!». Chiudo lo sportello dell'auto parcheggiata a bordo strada, mentre osservo tutte quelle persone con i loro microfoni saldi in mano e i cameraman che li seguono come cagnolini. Mentre passiamo tra di loro, cercando di non essere presi in considerazione, ascolto le stronzate che alcuni stanno sparando in diretta TV. Un inviato del Canale 6 sta annunciando convinto del ritrovamento del cadavere di una bambina. 
«Sorprendente! Come volano le notizie, eh Wex?». Nonostante il momento, l'ironia non mi manca. 
Quando entriamo troviamo tutto il piano terra in subbuglio. Non sono certo abituati a tutto questo trambusto o ad avere una caso nazionale sotto la porta di casa. Lo sceriffo Miles si sta aggiustando la cravatta davanti ad uno specchio, prima della conferenza stampa. Mi chiedo quante righe di cocaina si è appena fatto. 
Incrocio gli occhi dello sceriffo attraverso lo specchio. Non sono le pupille dilatate a spaventarmi, ma quello sguardo strano, indecifrabile. Non mi convince affatto. 
Si avvicina a Wexler una delle segretarie dell'ufficio, sulla camicetta bianca porta una spilla. Si chiama Daisy. Lascio perdere Miles e mi rivolgo alla segretaria. «Tu sei quella Daisy che ci ha prenotato le stanze al Mellbrook&Son Hotel, vero?».
«Io ho fatto la prenotazione...».
La interrompo. «Potevi scegliere di meglio».
Daisy risponde continuando la frase precedente. «Io ho fatto la prenotazione, ma l'albergo l'ha scelto lo sceriffo Miles».
«Capisco. Allora, dicci tutto».
«Un paio d'ore fa ha chiamato da New York un certo DeRio».
«Ah, Gabriel DeRio, l'antropologo. C'è un telefono lontano da tutta questa confusione?». Domando.
«Ma certo. Seguitemi». Daisy ci porta in un ufficio al primo piano, subito dopo le scale. Finalmente un po' di silenzio. 
«Lì c'è il telefono. Me ne sto qui fuori nel corridoio, se avete bisogno chiedete pure». Daisy chiude la porta alle sue spalle congedandosi con un sorriso.
Prendo in mano io la cornetta e chiamo all'ufficio di Green a New York. 
«Sono Shown...».
Ed Green mi interrompe immediatamente. «Ah, Shown! E' un bene che mi hai chiamato, mi avevano detto che eravate fuori per le indagini». Nella sua voce noto una serietà mostruosa. Da qui a poco sono certo che sgancerà dall'alto una notizia dal peso di un quintale, che finirà dritta sulla mia testa. Lo lascio continuare, intanto guardo Wexler al mio fianco e gli comunico con lo sguardo che c'è qualcosa che non va nell'aria. «C'è Wexler lì con te?». 
«Sì, ma le cose le puoi dire tranquillamente anche a me!».
«D'accordo. Potete tornare a New York, il caso non è più vostro. Non appena è saltata fuori la notizia di un prete assassinato, sono arrivati ordini da molto in alto. Non chiedermi da chi perché c'è stato un ordine che è passato da ufficio a ufficio, fino alla mia scrivania. Sta di fatto che chi gestisce e controlla questi affari ecclesiastici è stato molto chiaro in proposito: non vuole che le indagini, ma sopratutto la notizia, proseguino in questa direzione. Il caso è di loro competenza. Per quanto riguarda la diffusione della notizia ho già parlato io con lo sceriffo Miles e con alcuni giornali». 
«Che cazzo vuoi dire con questo?». 
«Voglio dire che non è una cosa giusta, ma gli ordini sono ordini. E ognuno deve stare al suo posto. Vi lascio a entrambi il week end libero. Vi aspetto lunedì mattina. Ripartiamo con la rotazione dei turni». 
Intanto Wex accende al TV sul mobile di fronte alla scrivania. In diretta c'è quella brutta faccia dello sceriffo Miles, che parla rivolta alla telecamera. «Sono qui per smentire alcune voci e per confermarne altre. E' vero che il parroco della nostra città, Joseph Bernard Salinger, è scomparso da alcuni giorni. I nostri agenti lo stanno cercando, ma dall'incrocio di dati telefonici e postali, siamo certi che non gli sia accaduto nulla di grave. Una cosa più grave è accaduta a Cold Peek martedì notte. Una bambina è rimasta vittima della natura nella zona di Grey Hills. Non possiamo rivelarvi altri dettagli. Da una prima analisi non si tratta però di omicidio...»
«Vaffanculo! Brutta testa di cazzo!» Esclama Wex spegnendo la TV.
Io intanto sono ancora al telefono con Green. «Non possono affossare tutto così! E' illegale».
«Hey ragazzo! Nessuno sta insabbiando niente. Quelli voglio fare un indagine per conto loro senza rompi palle intorno. La morte di un prete è una cosa molto più seria di quello che credi e se la vogliono gestire per conto loro». 
«E DeRio?».
«Gli ho fatto inviare le sue scoperte alla squadra speciale incaricata di indagare. Il caso non più vostro ragazzi». 
«Vaffanculo Ed!». Lancio cornetta e il telefono a terra. 
«La stronzata della bambina è per giustificare le foto scattate da quel fottuto giornalista». Il commento di Wexler rimbomba nell'ufficio. 
«E sopratutto per distrarre la gente dalla notizia della “scomparsa del prete”!».

CONTINUA...

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