Just Like A Dream.

di lavtingirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Ti va un po' di compagnia? ***
Capitolo 3: *** Thinking Out Loud. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Solite pareti bianche, soliti armadi verdi di fronte al mio lettino e solita aria fredda dentro quella piccola stanza in cui 'vivevo' da circa quattro anni. È così che mi sveglio io, ogni mattina. Guardando queste cose, osservando ogni particolare con la speranza che qualcosa cambi. La luce del sole filtrava dalle finestre, colpendomi in pieno viso e costringendomi ad alzarmi. Rabbrividì appena misi i piedi sul pavimento ghiacciato, sospirai rumorosamente e misi le ciabatte. Questa mattina c'era qualcosa di diverso in ospedale, c'era un'aria abbastanza strana. Un tic-toc suonò alla porta. "Mmh.. Avanti." Alzai gli occhi al cielo. "Buongiorno Leah, allora? Sei pronta?" Guardai l'uomo con il camice bianco, il Dr. Wilde. Era giovane, aveva circa 42 anni ed era un bravo medico. Ama il suo lavoro ed è grazie a lui se io sono ancora qui. "Ma la chemio è oggi pomeriggio alle 15." Lo guardai. Aveva in mente di farmi fare due flebo al giorno? Scherziamo? "Si, ma devi fare la risonanza, adesso." Mi guardò. "Oh si, vero. Mi vesto e arrivo." Accennai un sorriso, detto questo Wilde se ne andò. Presi un leggins e una felpa, che avrei dovuto togliere poco dopo. Misi le Nike, aprì la finestra e uscì dalla mia stanza. Affiancai l'infermiera che mi avrebbe dovuto accompagnare in sala risonanze. "I miei..?" Sospirai. "Verranno, non preoccuparti. Li chiamo appena sei dentro, se ti può consolare." Uf, mai una volta che sono in anticipo o in orario. "Va bene, grazie Margaret." Camminai per il lungo corridoio e vidi una famiglia, erano cinque. Tre ragazzi e due adulti. Magari erano una famiglia. Li guardai incuriosita. "Aspetta qui, arrivo." Mi disse Margaret, la guardai per poi annuire distrattamente. Continuavo a guardare quella famiglia, non avevano un'aria felice. Beh, chi l'avrebbe mai in un ospedale? I ragazzi erano molto carini, uno di loro due era castano, con gli occhi dello stesso colore dei capelli e sembrava avere circa diciassette anni, era abbastanza alto e magro. L'altro era medio di statura, capelli biondo platino e occhi marroni. Era muscoloso e il giacchetto di pelle gli stava alla perfezione, lasciava intravedere i bicipiti scolpiti. Notai che aveva la mascella contratta e le mani in tasca. E infine c'era la ragazza, era abbastanza alta e sembrava avere circa quindici anni. Bionda, occhi marroni ma sembrava avere delle chiazze di un colore diverso. Colore che non riuscivo a decifrare data la distanza tra me e loro. Era magra, un fisico perfetto. E poi infine c'erano i genitori, la donna era bassa con capelli lunghi e scuri, poi l'uomo alto, con spalle larghe e indossava una maglietta azzurra a mezze maniche che lasciava intravedere un tatuaggio sul braccio destro. Il biondo platino iniziò a guardarsi intorno, quando poi si fermò a me. Il cuore iniziò a battermi, senza motivo. Distolsi lo sguardo da loro e lo posai sul viso di Margaret che era tornata. "Andiamo?" Chiesi. "Certo." Mi sorrise e ripresi a camminare verso la sala dove dovevo fare la risonanza. Ero abbastanza nervosa. "Margaret, chi sono quelli?" Indicai con la sguardo la famiglia che stavo osservando pochi istanti prima. Forse non avrei dovuto chiederglielo ma l'ho fatto, cercavo di sviare in qualsiasi modo possibile il pensiero di quella specie di lettino su cui mi sarei dovuta sdraiare e stare chiusa per circa venti minuti. "È la famiglia Bieber, il ragazzo lì, quello castano ha ereditato dal nonno un problema al cuore. Forse lo operano." Sospirò amaramente, dispiaciuta probabilmente per ciò che quel ragazzo avrebbe dovuto affrontare. "È così giovane.. E.." Sospirai. "E non dovrebbe essere qua." Continuai. "Esatto Leah, come te." Mi disse Margaret aprendo la porta della sala risonanze dove si trovava il Dr. Wilde. "Puoi sdraiarti." Sorrise il dottore. "Okay." Tolsi le scarpe e salì su quella superficie dura e scomoda. Margaret avanzò verso di me. "Stai tranquilla, rilassati. Io chiamo i tuoi. D'accordo?" "Si, grazie." Chiusi gli occhi, cercando di rilassarmi al meglio e cercando anche di non tremare dal nervosismo. Il medico diede il comando elettronico e la macchina iniziò a fare un rumorino sottile e fastidioso, il lettino iniziò ad indietreggiare per poi fermarsi e posizionarsi ai lati dei due poli del macchinario. Chiusi gli occhi e mi rilassai al meglio, pensando alle poche cose positive che sono successe nella mia vita. Avevo finito la risonanza ed ero abbastanza tranquilla. Speravo solo bene per il risultato. "Il risultato lo avrai tra un paio di giorni, puoi andare Leah." Sorrisi. "Grazie dottore." Così detto, uscì dalla stanza dove trovai i miei genitori impazienti di vedermi. "Ciao tesoro." Squittì mia madre, abbracciandomi. "Ciao mami." Ricambiai l'abbraccio. "Scusaci per il ritardo ma Matt non aveva intenzione di andare dalla nonna e ha iniziato a fare i capricci." Disse mio padre baciandomi la tempia. "Non preoccupatevi, non importa." Sorrisi. "È andata bene la risonanza?" Mi chiede papà. "Si, credo di si." Dissi unendo i miei capelli in una crocchia abbastanza ordinata. "Noi andiamo a firmare un paio di moduli, tu va in camera e aspettaci lì." Disse mamma. "Okay." Detto questo si allontanarono, iniziai a camminare verso la mia camera quando vidi la famiglia Bieber. Si guardavano tutti intorno, chissà cosa stavano cercando. "Mamma, da quella parte non c'è." Sospirò il biondo platino camminando verso di loro. "Ho cercato nell'ala ovest dell'ospedale, ma niente." Continuò. "Pattie, ripeti il numero della stanza." Disse l'uomo, suppongo sia il padre. "Uhm 390" Disse la donna esasperata. Oh, stavano cercando la camera. Mi avvicinai. "Ehi scusate, ehm.." Dio Leah, che cazzo stai facendo? Beh, infondo io li volevo solo aiutare, pensai nella mia mente. Tutti iniziarono a fissarmi come fossi un aliena. "Non volevo origliare alla vostra conversazione.. Ma la stanza 390 è infondo a destra." Sorrisi piano. "Oh." Sospirò 'Pattie'. "Stavamo cercando la stanza da un quarto d'ora! Grazie mille, ragazza!" Sorrisi. "Di nulla, se volete posso accompagnarvi..io sono alla stanza 389." Il ragazzo biondo platino non distolse lo sguardo da me neanche un secondo, iniziavo a sentirmi in soggezione. "Beh, si grazie." Disse l'uomo. "Non ci siamo neanche presentati." Continuò. Uh finalmente questo passo, non vedevo l'ora di sapere il nome del ragazzo. "Beh, io sono Leah." Sorrisi. L'uomo iniziò a parlare. "Io sono Jeremy, lei mia moglie Pattie e i miei figli, la più piccola Jazmyn, quello di mezzo Jaxon e.. Il più grande si chiama Justin." Disse indicando ognuno di loro, strinsi la mano a tutti in segno di conoscenza. Ognuno di loro ricambiò il gesto, Justin sorrise per poi dirmi. "Piacere di conoscerti, Leah." Sorrise guardandomi negli occhi. Oh mio Dio che sguardo, che occhi, che sorriso, che voce. Sorrisi. "Piaceremio." "Beh, andiamo? Jaxon ha una visita e dobbiamo sistemare la stanza." Disse Pattie. Annuimmo tutti e iniziai a camminare seguita dalla famiglia Bieber verso la stanza da loro cercata da tanto. Arrivammo davanti alla stanza. "Ecco qua." Sorrisi. "Grazie mille, sei stata un tesoro ad accompagnarci." Disse Jeremy. "Di nulla, se avete bisogno beh.. Sono alla stanza accanto." Sorrisi e mi avviai verso camera mia. Aprì la porta. "Justin, su entra e chiudi la porta, non stare lì fuori." Lo richiamò la madre. Divertita da quella scena, spostai il mio sguardo dalla porta a lui. Notai che mi stava guardando. "Ciao." Mi disse per poi sorridere ed entrare nella stanza. Ricambiai il sorriso per poi entrare anche io nella mia.

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Capitolo 2
*** Ti va un po' di compagnia? ***


Ero in camera che aspettavo i miei genitori che erano andati a compilare dei moduli, forse per la chemio.
Sospirai rumorosamente. Avevo una paura tremenda, avevo già fatto tre cicli di chemio in passato, ma non era questo il problema. Quando finirà questo ciclo, dovrò operarmi una seconda volta e rischiare di morire? Avevo già detto ai miei che se avessi dovuto operarmi un'ennesima volta e poi ritornare a fare la chemio allora avrei fermato tutto. Mi sarei operata e poi, se il tumore al midollo osseo fosse del tutto scomparso allora bene, potrò finalmente essere una normale diciottenne e godermi la vita come Dio comanda; e se invece il tumore non fosse 'scomparso' totalmente allora basta, avrei smesso di imbottirmi di pillole ogni qualvolta che avevo dolori, avrei smesso di fare chemio, avrei smesso di fare risonanze e tac. Basta, nulla più.
Vivo così da quattro anni, non è facile, specialmente se sei un adolescente. Ti rende tutto molto più complicato, quando pensi di poter vivere la vita al meglio, quando pensi di poter fare le cazzate che solitamente si fanno a questa età, quando pensi di poterti innamorare follemente e poi capire che in realtà era solo una cotta passeggera, quando pensi di poter riuscire a fare qualsiasi cosa tu voglia, quando arriva il momento in cui tu puoi goderti la vita al cento per cento e sbagliare, sbagliare, sbagliare perché sono proprio gli errori che ti portano a non rifarli e a farti ragionare in modo diverso, quando pensi di poter vivere davvero.. Sbem! Arriva lui, come un razzo, è bastato un forte mal di testa, senso di stanchezza e un continuo calo di zuccheri per essere annunciato. Si, il tumore. Non amo chiamarlo così o 'cancro' dico sempre 'lui' o 'il grande capo', si perché non sai mai come ti svegli al mattino, se di buono o di cattivo umore, se ti svegli e stai bene o stai male.. Non lo sai e allora impari a vivere giorno per giorno, senza poter dire 'domani farò questo'. Non esiste quando hai una malattia devastante come questa. Per questo lo chiamo 'il grande capo', decide lui come farmi svegliare la mattina.
Poi, è ancora più difficile se tu sei come me, sono sempre stata una ragazza molto pimpante, solare e socievole. Ho sempre amato scherzare, passeggiare, stare con gli amici, insomma, fare tutto quello che riguarda stare all'aria aperta e adesso ci sto di rado. Ogni giorno mi affaccio al balcone di una delle hall dell'ospedale e guardo il grande giardino che lo circonda, non è ciò che vorrei davvero ma è comunque qualcosa e mi va bene così.
Papà entro di botto nella stanza. "Siamo tornati. Hai bisogno di qualcosa?" Mi sorrise. "No, grazie." Sorrisi leggermente e mi sedetti sul lettino, poi intervenne mamma. "Vuoi che ti accompagni oggi a fare la chemio? Ho portato parecchie riviste che potremmo sfogliare e potremmo chiacchierare magari di uhm.." Mamma era sempre molto premurosa, le ho sempre voluto bene e mi piaceva passare del tempo con i miei genitori ma molte volte preferivo stare da sola. "Uh, si.. Potremmo parlare del vestito di Angelina Jolie che ha messo agli Awards la scorsa settimana." Continuò, poi mi regalò un sorrisone, come per dire 'tranquilla, io sono con te se hai bisogno'. Sorrisi. "Lasciami il Vogue e il Cosmopolitan di questa settimana, così faccio un paio di cruciverba." Risi. "Comunque..no..ehm, oggi vorrei andare sola a fare la chemio. Sapete che non mi va di essere vista in quello stato più che pessimo." Sospirai prendendo una delle riviste che mi aveva portato mamma. "Tesoro, noi siamo qui per te. Sei nostra figlia e..sai che vogliamo stare con te il più possibile." Disse mio padre, con voce molto bassa. Quasi un sussurro. Alzai il viso verso di loro. "Sono abituata, lo sapete. Non preoccupatevi, sto bene." Mi alzai di scatto e li abbracciai entrambi. Li amavo. "Va bene, tesoro." Sibilò mamma prima di stamparmi un bacio sulla tempia. "Sono già le 12, dovete andare a prendere Matt. Magari vi chiamo quando ho finito la chemio." Sorrisi. "Va bene, sta attenta e per qualsiasi cosa, fatti aiutare da Margaret." Disse papà. "Si certo." Sorrisi. "Ciao." Stampai un bacio in guancia a tutti e due. "Non farmi stare in pensiero Leah, okay?" Mi raccomandò mamma. Annuì sicura di me, poi andarono via.

La giornata passò molto lentamente, erano le 5:30 e avevo finito la chemio da poco. Mi sentivo uno straccio come al solito, il dottore mi raccomandò di mangiare ma feci di testa mia e preferì stare a stomaco vuoto. Avevo sempre poca fame.
Non avevo voglia di tornare in stanza e stare sola, così mi avviai verso la fine del corridoio e uscì dalla porta-finestra che portava ad uno dei balconi che sporgevano sul retro dell'ospedale. Chiusi bene la giacca che avevo indosso e alzai il cappuccio. C'era un po' di freddo ma poco m'importava, mi piaceva quello che avevo davanti e il silenzio che c'era. Mi appoggiai lentamente alla ringhiera ghiacciata e iniziai a respirare profondamente quando qualcuno interruppe il mio momento di puro relax. "Ehi, ciao." Era una voce che già conoscevo, abbastanza famigliare. Mi girai e vidi il biondo platino di nome Justin davanti a me che mi sorrideva e in mano aveva un pacco di patatine. "Ciao." Sorrisi leggermente. "Ti va un po' di compagnia o.. Preferisci stare sola?"
Solitamente avrei risposto la seconda opzione ma lui mi interessava. Forse i tutti i sensi. Esitai - senza motivo - un po' a rispondere, poi sorrisi. Lui mi fissava. "No, rimani pure." Sorrisi.
Velocemente si avvicinò più a me e allungò il braccio sinistro verso di me. "Patatina?" Sorrise. Ridacchiai un po'. "Si, dai." Ne presi una e la mangiai. Detto questo, era calato completamente il silenzio, io mi ero rigirata verso il meraviglioso panorama marittimo e lui anche, ad eccezione che molto spesso potevo sentire i suoi occhi fissarmi intensamente. Odiavo sentirmi osservata. "Come mai sei qui? Cioè.. Forse non dovrei chiedertelo.. Ehm.. Beh.." Iniziò a grattarsi la nuca imbarazzato, forse pensava che io mi sarei offesa per la spontaneità con cui mi ha fatto quella domanda. Sorrisi. "Non.. Preoccuparti, va tutto bene." Lo guardai rassicurandolo. "Comunque.. Ho un tumore al midollo osseo da quattro anni e sono qui da tre." Deglutì rumorosamente, i miei occhi fissavano i suoi e i suoi fissavano i miei. Avevo paura della sua risposta, non so perché. "Mi dispiace.. Io non.." Sorrisi un po' sghemba e lo fermai alzando una mano all'altezza delle spalle. "Non preoccuparti. Non potevi saperlo, è ovvio." Silenzio, di nuovo. Così decisi di parlare io. "Tuo fratello? Come sta? Ho saputo che sta male." Lo guardai. "Oh beh.. Diciamo che.. Va avanti. Ha diciassette anni, non riesce ancora ad entrare nell'ottica di quella che è davvero la situazione." Sospirò e i suoi occhi passarono da me, al mare. Poi riprese parola. "Come biasimarlo, nessuno vorrebbe essere al suo posto. Spero solo che.. Lui riesca ad uscirne fuori al più presto. Odio vederlo in queste condizioni, è cambiato molto da quando abbiamo scoperto che sta male. Non riesce ad accettarlo, lui è fatto così. All'inizio sembra che se ne freghi, ma la realtà è che lui odia parlarne, poi scoppia e ti scaraventa tutto addosso. Come se la colpa fosse tua ma poi capisce che ha sbagliato, ti chiede scusa e scoppia a piangere." La sua voce era diventata roca, spezzata. Non avrei dovuto chiederglielo. "Mi dispiace, non avrei dovuto chiedertelo." Sospirai. "Non preoccuparti." Sorrise. "Grazie per avermi ascoltato, invece." Era così dolce. Sorrisi. "Sono fatta così, ascolto molto le persone ma poi nessuno ascolta me.. Come se solo gli altri avessero problemi." Iniziai a mordermi il labbro nervosamente, lo facevo 24h su 24. "Beh.. Io ci sono se vuoi, tutti mi dicono che sono un bravissimo baciatore e ascoltatore." Rise. 
Mi stava chiedendo di baciarlo? Ti prego Dio, fa che me lo chieda. 
Risi di gusto alla sua risposta.
"Inizia a fare troppo freddo. Ti va di entrare?" Sorrise ed io annuì. Questo ragazzo era di una gentilezza unica, ohw. Entrammo in ospedale e iniziammo a percorrere il lungo corridoio quando poi mi squillò il telefono. "Scusa." Sorrisi rivolgendomi a Justin. Presi il telefono e risposi. "Pronto?" "Signorina quando hai intenzione di avvertirmi che avevi finito? Io e tuo padre ci stavamo preoccupando!" Squillò mamma. Sospirai. "Scusa mamma, ero con un amico e ho scordato di chiamarti." Sbuffò. "Va bene, come stai? Tutto bene amore?" Era parecchio preoccupata. "Si, si tutto bene. Ci sentiamo stasera, ho mal di testa e vorrei dormire un po'." Sospirai. "Okay, baci. A stasera." Detto questo, riattaccai e rimisi il telefono in tasca e senza accorgermene arrivammo davanti le camere. "Io vado a riposare, ci si vede in giro allora, Justin?!" Sorrisi. "Oh sicuramente, ciao tesoro." Mi stampò un bacio in guancia ed entrò in stanza urlando a suo fratello "Uh ti sei svegliato finalmente!" Lo sentì ridere, chiuse la porta e di lui non si vide più nulla. Entrai in camera mia e chiusi la porta, mi sdraiai e iniziai a pensare. Aveva delle labbra così calde e morbide, era così carino e dolce.

Il mattino dopo mi svegliai peggio del solito. Avevo un forte mal di testa e mi sentivo la schiena a pezzi. Afferrai il mio telefono e lessi l'orario, 8:53. Ero in tempo per bere qualcosa di caldo e fare colazione. Mi alzai lentamente, le gambe non le sentivo nemmeno più. Mi vestì e misi le solite Nike. Desi una sistemata veloce ai capelli e poi mi fiondai fuori dalla porta, dove a mia sorpresa, trovai quasi tutta la famiglia Bieber. Mancavano Justin e Jaxon. Stavo per incamminarmi verso la mensa ma Jazmyn, la loro sorellina minore. "Ehi scusa.." Mi girai. "Si?"Aveva l'aria strana, sembrava un po' superficiale. "Per caso hai visto i miei fratelli?" "Veramente no, mi sono svegliata da poco e sono uscita adesso dalla mia stanza." Sospirò. "Va bene.. Se li vedi puoi dirgli di tornare qui per favore?" Annuì e poi andai via. Chissà dov'erano quei due. Passai davanti la mensa e notai che c'era troppa gente, non avevo voglia di fare la fila. Sbuffai e mi diressi verso l'ala est dell'ospedale. Lì c'era un'altra piccola mensa ma era per le neo mamme e per i bimbi appena nati. Andai al bancone, una signora sulla cinquantina mi guardò un po' male. "Ehm, buongiorno." Borbottai. "Cosa desideri da mangiare?" La signora arrivò dritta al punto, senza fare convenevoli e da un lato, meglio così. "Un mini cornetto e una cioccolata calda, per favore." La signora si allontanò per prendere la mia colazione. Tornò dopo dieci minuti circa con un piattino su cui c'erano poggiati la cioccolata calda fumante e il cornetto al lato della tazza. "Grazie." Presi il piattino e mi sedetti in un posto a cavolo. Mangiai in fretta il cornetto e dopo poco presi anche la tazza ed uscì dalla mensa, passeggiando per i corridoi con il calore provocato dalla cioccolata calda che mi circondava le mani. Iniziai a bere, poi vidi due ragazzi fuori dal balcone. Erano Justin e Jaxon, volevo evitarli.. Magari volevano stare soli, ma i suoi genitori li stavano cercando. Bevvi tutta la cioccolata, con un fazzolettino mi pulì le labbra sporche e poi poggiai la tazza su un mobiletto di piatti e bicchieri sporchi da lavare. Uscì sul balcone, Justin si voltò di scatto verso di me e sorrise flebilmente. "Ciao." Sorrise. "Ehi.."

Justin's Point Of View:

Jaxon non aveva voglia di starsene a letto, alle nove e un quarto aveva una visita e aveva paura. Voleva saltarla ed io feci finta di stare al gioco. Lo portai nell'area est dell'ospedale, poi l'avrei riportato indietro in tempo. Iniziammo a parlare del più e del meno, o meglio, io parlavo. Lui ascoltava e annuiva. Era distrutto, voleva solo compagnia, non voleva parlare. Parlavo, parlavo e notai che lui era completamente distratto. "Bro.. Bro ehi che c'è? Ti senti bene?" Lo guardai scuotendolo di poco. "Si, tutto ok." Mormorò. Sospirai e mi appoggiai alla ringhiera accanto a lui. "Diamine!" Urlò tirando un calcio alla ringhiera. "Justin, non ce la faccio più! Sono qua dentro da soli due giorni e mi sento impazzire." Portò le mani ai capelli. "Jaxon.. È solo l'inizio. Calmati.." Sospirai. "Sarà così per un bel po' e credimi, se potessi portarti via lo farei ma tu devi curarti." Mi guardò. "Sei serio Justin? Ho lo stesso problema del nonno, sono come lui. Io non guarirò mai! Mai! Smettetela di dirmi che qui mi cureranno, non ci credo! Il nonno ha la malattia da quando era giovane..E non è ancora guarito. Non guarirà mai, come me. Tu lo sai benissimo Justin, non riempirmi il cervello con queste stronzate." "Cazzo, Jaxon rifletti! Sono passati oltre cinquant'anni da quando il nonno ha scoperto della sua malattia, è vero, non è guarito. Ma ai suoi tempi non c'erano le soluzioni mediche che ci sono adesso! Hai qualche possibilità.. Jaxon non ti ho mai visto così a terra e lo capisco, capisco come tu possa sentirti.. Fa male.." Mi interruppe. "Non lo capisci invece! Sono io che sto male, non tu. Non sai quanto dolore ho dentro." Strinse i denti e gli presi il braccio facendolo girare verso di me. "Vuoi guarire, si o no?" Lui annuì. "Allora smettila di fare così, non andrai da nessuna parte. Sono qui per te, lo sai. Sono qui per aiutarti, ci sarò sempre. Tu guarirai Jaxon, te lo prometto. Tornerai a star bene, tornerai a giocare a basket e a hockey, ma prima devi curarti." Mi abbracciò molto forte e ricambiai l'abbraccio senza esitare. "Prometti che sarai forte?" Sussurrai. "Promesso." Sorrise leggermente. "Abbiamo ancora mezz'ora, poi fila dal dottore." Risi. Era scioccato. "Ma avevi detto che non ci sarei andato." Sorrisi. "Piccolo ingannobro." Rise. "Okay ci andrò." Ci rigirammo verso il mare, quando poi sentì la porta dietro di noi aprirsi e poi richiudersi. Mi girai e sorrisi. Era lei. "Ciao." Sorrisi. "Ehi." Aveva un sorriso splendido, lei era splendida. Jaxon si voltò. Lei sorrise ancora una volta. "I vostri genitori vi stanno cercando, sembravano preoccupati." Disse. Sorrisi. "Grazie Leah, Jaxon voleva nascondersi perché non voleva fare la tac." Rise. "Si ti capisco, anche io spesso mi nascondevo per non farla ma mi hanno beccata sempre, una volta mi ha scoperta un bambino di cinque anni." Risi di gusto al suo racconto, era così bella. Jaxon la guardò e poi sorrise. Poi riprese parola. "Dovresti andare Jaxon, non farla è molto peggio di farla. Si dura parecchio ed è snervante l'attesa ma falla. È importante." Era molto rilassata mentre parlava. "Grazie Leah, è quello che cerco di fargli capire io da un'ora." Sorrisi. Jaxon sbuffò innervosito. "Okay la farò, mi dovete un favore." Lo guardai. "Il favore lo stai facendo a te stesso Jax, non a noi." Detto quello, era calato il silenzio. "Sono le nove e un quarto." Sbottai. "Ti accompagno." Dissi a Jaxon. "Quando torno giochiamo a Monopoly?" Sorrise, era il suo gioco preferito. "Va bene." Mi voltai verso Leah che stava guardando il mare. "Leah, ti unisci a noi?" Sorrise. "Si, con molto piacere."

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Capitolo 3
*** Thinking Out Loud. ***


Detto questo ci avviammo tutti e tre dentro l'ospedale e poco dopo ci ritrovammo mamma e papà davanti. "Ragazzi! Ma che fine avete fatto?" Disse mamma abbracciandoci. "Lunga storia." Sorrisi. "Non sono molto sicura di volerla sapere." Rise. "Jaxon, hai la tac.." Sospirò. "Si vado." Mormorò. "A più tardi." "Ciao Jaxon." Disse Leah. "Oh Leah! Ciao." Disse mamma. "Salve signora Bieber." Sorrise. Aveva delle labbra perfette, rosa e carnose. Era splendida, ne ero quasi innamorato. "Adesso vado con Jaxon, ci vediamo più tardi." "Arrivederci." Disse Leah. "A dopo mamma." Sorrisi e detto questo mi girai totalmente verso la ragazza. "Che ti va di fare?" Le chiesi. "Oh ehm.. Ti va di giocare al biliardino? Ce n'è uno infondo a sinistra." Rise. "Va bene." Ci dirigemmo verso la sala a me sconosciuta, era molto grande con molto giochi. Alcuni per bimbi. "Sicura di voler giocare? Insomma, non amo vincere contro le ragazze." Risi sicuro di ciò che dissi. "Sei proprio vanitoso!" Sbottò lei ridendo. "Forse." Sorrisi e iniziammo a giocare, c'eravamo solo noi in quella sala. Stava vincendo, rullai in modo da prendere la palla e fare goal ma mi bloccò e fece punto. Giocammo per circa quindici minuti. "Ho vinto!" Sorrise lei contenta. "Ti ho fatto vincere, sei una ragazza." Mi diede un leggero colpetto con il gomito sul braccio. "Si certo, non sei abbastanza bravo da battermi. Mi dispiace." Rise. "Così mi offendi." Sbottai e lei non smise di ridere. Sorrisi. "Raggiungo i miei da Jaxon, ci vediamo dopo?" Chiesi. "Sicuro." Detto questo, le lasciai un bacio sulla guancia e poi iniziai ad incamminarmi verso la sala dove Jaxon teneva la visita.
Leah's POV
Oggi i miei genitori non sarebbero venuti a trovarmi, mamma mi aveva mandato un messaggio dicendo che Matt, mio fratello, aveva la febbre e papà ha avuto un contrattempo a lavoro. Decisi di andare in camera e di aspettare Justin e Jaxon, dato che dovevamo giocare a Monopoly. Erano due ragazzi molto belli, ma Justin aveva quel qualcosa che non si sa cosa in più. Dio, quel ragazzo era qualcosa di magnifico e quel sorriso, quel sorriso faceva invidia al mondo.
Entrai in stanza, avevo scordato la finestra aperta e lì dentro faceva un freddo cane. La chiusi e poi mi precipitai sul letto, accesi la TV e c'era Frozen. Amavo quel cartone.
Il film stava per finire e qualcuno bussò alla porta. "Avanti." Dissi raddrizzandomi sul letto. La porta si aprii lentamente, era Justin. "Disturbo?" Disse. "No, entra." Sorrisi. "Volevo chiederti se era ancora valida la partita a Monopoly." "Oh, certo." Mi alzai e spensi la TV. "Possiamo andare." Sorrisi. Uscimmo dalla mia stanza e chiusi la porta. Justin mi prese delicatamente il braccio e mi fece girare verso di lui. "Posso chiederti un favore?" Lo guardai. "Certo." "Non chiedere nulla della tac, a Jaxon.. Per favore, il dottore dice che forse qualcosa non va e non vuole parlarne." "Oh.. Mi dispiace, comunque si.. Non dirò nulla, tranquillo." Sorrisi ed entrammo in camera da Jaxon. "Ciaaaao." Dissi con un tono strano di voce, quasi acuto per far ridere un po' Jaxon (e ci riuscì), ma notai che in camera con lui c'erano i suoi genitori.
-Che bella figura di merda Leah. Mi congratulo con te.- disse la vocina dentro la mia testa.
-Sta zitta deficiente.- Risposi io, mentalmente.
-Ti sei data della deficiente da sola, lo sai vero?-
Oh ma vaffanculo e sta zitta!
Ok ero una vera idiota. "Ehm.." Iniziai. "Buonasera." Dissi seria. "Ciao Leah." Disse Jeremy sorridendomi. "Beh, allora noi andiamo Jaxon. Dobbiamo andare, i dottori non ci fanno stare dopo le 6:30." Disse Pattie sospirando amaramente. "Justin, sicuro di voler restare a dormire qui con Jaxon anche stasera? Può restare papà se vuoi." Continuò la donna. "Non preoccuparti mamma, mi fa piacere rimanere con Jaxon." Sorrise il biondo. "Okay, andiamo allora." Salutarono un'ultima volta i loro due figli e uscirono dalla porta. "Ciao anche a te Leah." "Buonasera." Risposi.
Mi rigirai verso i fratelli che stavano quasi per litigare. "Dammi le patatine." Disse Justin. "Quello che ha bisogno di cibo, sono io qui. Togliti di dosso." Rispose Jaxon ridendo con in mano un pacco di patatine. Oh, che fratelli uniti. "Mangiati lo yogurt, quello ti fa bene idiota." Rise Justin prendendogli il pacco di patatine." "Mangiatelo tu quel coso, cretino." E anche affettuosi. Scoppiai a ridere ricevendo la loro attenzione. "Siete due scemi." Dissi ricomponendomi. "Mi aveva preso le patatine, erano mie, pagate con i miei soldi." Contestò Justin. "Si ma io avevo fame e lui mi aveva detto che me ne avrebbe preso un pacchetto anche a me ma non l'ha fatto. Quindi ho preso il suo." "Ho scordato di prendertelo!" Sbottò Justin. "Ti scordi di tuo fratello?" Rise Jaxon. "Wowowo, basta!" Risi. "Giochiamo si o no? Perché se non volete torno da Olaf." Risi. "Okay." Si arrese Justin prendendo la scatola del gioco da tavolo. "Giochiamo su."
Giocammo per circa un'ora e mezza, Justin ha vinto, avevo due alberghi e otto case in svariati quartieri ma lui ne aveva di più e ha "sfrattato" me e Jaxon. In quest'ora e mezza ho imparato a conoscerli un po' meglio. Erano molto simili, simpatici e dolci. Ho scoperto anche che Jaxon ha una fidanzata, Hanna e Justin è single e forse potevo usarlo come vantaggio, semmai mi innamorassi di Justin.
"Adesso vado. Buonanotte ragazzi." Sorrisi e mi alzai. "Notte." Dissero all'unisono. Justin mi accompagnò fino alla porta di camera mia. "Grazie per avermi aiutato a farlo sorridere, gli ci voleva proprio." Sorrise. "Di nulla, quando vuoi." Sorrisi e gli baciai la guancia. "A domani Bieber." "A domani, tesoro."
Entrai in camera e chiusi la porta per poggiarmici sopra. Dopo il 'tesoro' il mio cervello andò completamente in tilt. Non capivo più nulla. Sorrisi a me stessa e poi mi sedetti sul letto e come al solito non avevo fame. Decidi di ascoltare un po' di musica, misi la riproduzione casuale e mi sdraiai sul letto. Iniziai a pensare a tante, tante cose. Passavo da quelle belle a quelle brutte, da quelle divertenti a quelle tristi.
Qualcuno mi scosse la gamba, sussultai un po' spaventata. Era Justin. Tolsi le cuffiette dalle orecchie. "Mi hai spaventata. Tutto bene Justin?" "Scusa, non volevo spaventarti. Ho bussato un paio di volte ma non mi hai sentito. Si tutto bene, volevo chiederti se potevo stare qui un paio di minuti." Resta qui adesso, resta qui stanotte, domani, dopodomani, sempre. "Certo, ma come mai?" "Mio fratello e Hanna stanno parlando al telefono e mi ha chiesto se potevo lasciarlo solo." Sorrise. "Oh, okay." "Cosa ascoltavi?" Chiese lui sedendosi sul lato del letto. "Ehm, prima ascoltavo Lego House e adesso Thinking Out Loud, di Ed Sheeran." "Amo quella canzone." Sorrise e portò una cuffia all'orecchio e così feci anche io con l'altra cuffia. Sorrisi guardandolo, canticchiava ed era adorabile. "Sai ballare?" Mi chiese. "No." Risi. Prese l'iPod e lo mise nella tasca della giacca, mi prese la mano e mi fece alzare dolcemente dal letto. Lo guardai sorridendo, stavamo quasi per ballare. Alzò il volume della musica, portandolo al massimo. "Balla con me." Sorrise e avvicinammo i nostri corpi. Misi le braccia intorno al suo collo scoperto, alzai di poco il viso per guardarlo bene in faccia, data la poca differenza di altezza che ci distingueva. Aveva le mani dietro la mia schiena, ci muovevamo a ritmo lento e rilassato. Strinse la presa delle sue braccia sulla mia schiena ancor di più, facendomi avvicinare di più a lui. Così tanto da sentire il suo respiro caldo sul mio collo. Appoggiai delicatamente la testa sul suo petto, il suo cuore aveva un ritmo abbastanza agitato. Forse era nervoso. Ricominciò a canticchiare e potei sentirlo alla perfezione, data la vicinanza del mio orecchio alla sua bocca. "Take me into your loving arms, kiss me under the light of a thousand stars, place your head on my beating heart. Thinking out loud that maybe.." Mi prese la mano, mi fece girare intorno a me stessa e poi mi ritrovai sempre con lui davanti a me. "..we found love right where we are." La canzone finì e noi eravamo perfettamente incollati l'un l'altro, con la fronte unita e con i respiri che si intrecciavano tra di loro. Solo sei centimetri di distanza, dalla mia bocca alla sua. Poi cinque..poi quattro..poi tre..

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