The Capitol Tales.

di thecapitolFB
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** O1 • Primo turno • Il prompt ***
Capitolo 2: *** O2 • Secondo turno • La canzone ***
Capitolo 3: *** O3 • Turno Bonus • Tutti i grandi sono stati bambini, una volta... ***
Capitolo 4: *** O4 • Terzo turno • Il genere ***
Capitolo 5: *** O5 • Turno Bonus • Amici a quattro zampe ***



Capitolo 1
*** O1 • Primo turno • Il prompt ***


Premessa: Le seguenti storie sono state scritte da alcune utenti del gruppo facebook The Capitol. La sfida era a turni e consisteva nello scrivere una storia in circa dieci minuti in base ad un prompt estratto in maniera casuale.
Nel corso delle settimane precedenti ci siamo divertiti a proporre diverse sfide. Durante ogni serata di gioco, i partecipanti avevano la possibilità di chiedere un bonus di 5 minuti in più o di cambiare il prompt. Tuttavia, questa richiesta poteva essere fatta solo due volte per partita.
Questo che vi stiamo proponendo adesso è stato il primissimo turno. Se vi va di giocare con noi, venite a trovarci nel gruppo Facebook 
The Capitol
Buona lettura!




 
The Capitol Tales



 
Primo Turno – Il Prompt.
 
In questo turno, i partecipanti dovevano scrivere in circa dieci minuti una storia ispirata al seguente prompt: "Guardami negli occhi. No, PIÙ SU. Non sono quelli i miei occhi!" preso in prestito dai prompt orfani della community “Piscina di Prompts”.
 


 
Giraffetta.

[Gale/Johanna; Post-Mockingjay]

 
"Mi hai sentito, Johanna?" sbottò Gale, cercando di attirare l'attenzione della donna e passandosi un asciugamano tra i capelli umidi.
"Non sono sorda, Hawthorne." ribatté infastidita. "Posso ascoltarti e guardare la tv allo stesso momento."
"Preferirei che mi ascoltassi davvero, sono serio." continuò Gale.
Johanna sbuffò e spense la tv con uno sbadiglio. Si voltò verso Gale e attese.
"Guardami negli occhi" sussurrò l'uomo, allungando il braccio a sfiorare la mano della donna. Johanna prese a fissarlo intensamente, ammiccando.
"NO, PIÙ SU! Non sono quelli i miei occhi!" la riprese, mentre Johanna sorrideva maliziosa.
"Oh, avanti Hawthorne! I tuoi pettorali sono molto più appetitosi dei tuoi occhi a volte!" esclamò, avvicinandosi a toccarlo.
Gale scosse la testa e si rassegnò: cercare di conversare seriamente con Johanna quando usciva dalla doccia era del tutto inutile!



 
Tinkerbell92.

[Glimmer/Marina (tributo del Distretto 4 nella 74esima edizione degli HG|Missing Moment Hunger Games]
 
- C’è qualcosa che devi dirmi?
Glimmer aggrottò la fronte confusa, indagando sullo sguardo della ragazza come per trovare un indizio: - Che vuoi dire?
Marina alzò gli occhi al soffitto, incrociando le braccia con fare autoritario: - Domani cominceranno i giochi, no? Non so quante occasioni avremo per parlare, quindi, se vuoi dirmi qualcosa, credo che questo sia il momento giusto.
La bionda si morse il labbro, distogliendo lo sguardo con fare imbarazzato. Non si sentiva pronta, non aveva idea di cosa dire.
-Glimmer – chiamò la ragazza del Quattro con voce ferma e severa – Guardami. Non sei una ragazzina, voglio che mi guardi negli occhi. No, più su! – intimò, portando d’istinto la mano a coprire la collana che aveva indossato per l’intervista – Questi non sono i miei occhi, sono solo diamanti.
Arrossendo lievemente, la bionda riuscì finalmente a sostenere lo sguardo dell’altra: - Io credo… che non ci sia poi così tanta differenza.
Marina rimase in silenzio per un secondo, dopodiché abbozzò un sorriso: - Va bene. Mi basta.




 
Macy MacLaughlin.

[Annie/Finnick| Missing Moment di Mockingjay]

 
Macy ha utilizzato un ‘cambio prompt’ e ha dunque avuto la possibilità di far estrarre un prompt diverso: il prompt che ha utilizzato è “Sussurri e Grida”, sempre appartenente ai prompt orfani della community livejournal “Piscina di Prompt”.

Sussurrano le voci nella sua mente che la cullano, una ninnananna di ricordi lontani che le fanno arricciare le labbra.
Ride, Annie, quando i suoi pensieri mormorano per lei.
Nei sussurri rimbomba l’eco delle onde che si placano e riposano sulla spiaggia, il fruscio del vento che solleva la sabbia, la voce di Finnick che risuona per lei e per lei soltanto.
Bisbigliano parole di conforto, le voci.
La guidano lungo il labirinto dei suoi ricordi, distorti e dolorosi e letali; le mostrano la strada, indicandole la direzione che non la porterà alla deriva.
Sono conforto e sicurezza e casa.
Annie chiude gli occhi, e ascolta la voce di Finnick sussurrarle promesse di conforto e amore.
I suoi sussurri la guidano a casa.

 
*
 
Gridano le voci nella sua mente che squarciano i suoi pensieri.
‘Non lo rivedrai più’
‘Morirai, lontana da lui’
Urlano e urlano, dilaniando, frammento a frammento, il suo mondo.
Urlano tutti, attorno a lei, mentre la mente di Annie si sgretola sotto la forza delle grida.
Rinchiusa, sola con le urla dell’universo.
Le urla che rimbombano nella sua cella e nella sua testa la distruggeranno.




 
Kary91.

[Johanna /Rory/Gale; Post-Mockingjay]
 
La flash-fiction è ambientata nel periodo post-mockingjay. Johanna Mason è fidanzata con Gale Hawthorne e Rory avrà ormai una ventina d’anni. Lui e Johanna sono come cane e gatto, bisticciano spesso e volentieri.

“Ehi, tu… Marmocchio…”
Johanna inarcò un sopracciglio in direzione di Rory.
“Guardami negli occhi quando ti parlo” ordinò, indicandosi il volto.
Il ragazzo la squadrò con fare perplesso.
“Che cosa?”
“No, più su” sbottò ancora la donna, mettendosi a braccia conserte. “Non sono quelli, i miei occhi.”
Rory aprì la bocca per ribattere, visibilmente in imbarazzo.
“Ti sto guardando negli occhi!” ribatté, indirizzando un’occhiata sbigottita alla porta che si apriva: Gale s’intrufolò nella stanza con un’espressione indecifrabile dipinta in viso.
“Non le stavo guardando le tette, Gale, te lo giuro!” cercò ancora di difendersi il giovane, alzando entrambe le mani.
Il fratello maggiore fece scorrere lo sguardo da lui alla fidanzata, che annuì con un irritante sorrisetto sardonico dipinto in viso.
“Ma non è vero!” esclamò ancora Rory. Arretrò con la sedia quando Gale si avvicinò pericolosamente a lui. “Lo sta facendo apposta per farmi menare da te.”
Gale gli rivolse un’occhiata attenta, come se stesse cercando di decidere se credergli o meno. Infine, gli diede un coppino dietro la testa, facendolo imprecare. Dopodiché, tornò in salotto come se nulla fosse, sotto lo sguardo soddisfatto di Johanna e quello offeso di Rory.
“Sei una stramaledetta stronza!” borbottò il ragazzo, fulminando la donna con gli occhi.
Johanna ghignò, prima di scrollare le spalle.
“Grazie per il complimento, Hawthorne-scemo.”




 
 _The Little Dreamer_

[Haymitch/Katniss/Peeta| Post-Mockingjay]

 
La ragazza sbatté una mano sul tavolo con furia, era decisa.
"Guardami negli occhi, Haymitch, voglio davvero che ci faccia da testimone."
L'uomo aveva un aspetto strano, rosso in viso anche se sobrio, girovagava gli occhi da una parte all'altra senza mai fermarli.
"Non so, non ti prometto nulla dolcezza!"
Katniss iniziò a camminare da una punta all'altra.
"Ci hai visti due volte su un'arena, per un pelo non morivamo.." Fece una lunga pausa, in un gran sospiro "Ci hai visti terribilmente vicini quanto lontani, voglio che tu ci sia al nostro matrimonio, il giorno più felice delle nostre difficili vite."
Haymitch giocava ancora con le sue orbite oculari, quando finalmente soffermò lo sguardo su un punto.
Katniss divenne tutta rossa dalla vergogna, capì dove aveva rivolto la sua attenzione.
"Guardami negli occhi, no, più su, non sono quelli i miei occhi." Disse in un urlo strozzato la ragazza.
Haymitch fissò quei occhi così grigi che adesso erano fermi e decisi.
"Adesso va meglio, ora vado, fammi sapere la decisione che hai preso."
All'improvviso entrò Peeta.
"Ciao Haymitch, sai dov'è Katniss?"
Non fece in tempo a finire la frase che se li ritrovò davanti.
"Ah, sei qui..."
"Sisi, andiamo che ho molto da fare." disse fulminando con gli occhi l'ex-mentore.
"A proposito, ricordami di rifare il guardaroba, fa un tantino freddo. Bisogna mettere cose più accollate in questo periodo, vero Haymitch?"

 

 
Kyrean is on Fire.

[Johanna/Finnick]


Johanna Mason era sempre stata una bella ragazza. Capelli neri, occhi a mandorla, sorriso beffardo... E una bella quarta. Finnick Odair le aveva subito notate: per un maschiaccio del genere, o almeno così pensò lui, aveva due belle bocce. Pensa a quello, Finnick. Lei parla.
《Odair. Ascoltami. Odair. Guardami negli occhi, imbecille. No, PIÙ SU. Non sono quelli i miei occhi!》
Lo schiaffo vola, il sorriso di Finnick si trasforma in una risata.
《Nella mia situazione avresti fatto lo stesso.》




 
The_Monster.

[Johanna/Finnick|What-if?]

 
Non sapevi se ridere o piangere, quel giorno.
Primo: non ti saresti mai immaginata in un abito da sposa.
Secondo: dovevi complimentarti con Cinna per avertene confezionato uno così adatto a te.
Terzo: Finnick non faceva altro che guardarti le tette.
《Sirenetto, guardami negli occhi》sussurrasti con un sorriso malizioso sulle labbra.
Finnick fece scorrere lo sguardo oltre, sulla linea del tuo collo, dove una collana di pizzo ornava la pelle non più candida.
《NO, PIÙ SU!》 Sbottasti infastidita: 《Non sono quelli i miei occhi!》
Volevi vederli, gli occhi verdemare, volevi essere sicura.
Il suo sguardo incontrò il tuo.
E per la prima volta, dopo molto tempo, fu un sorriso timido ad incresparti le labbra.




 
Alaska__
 
[Niklas/Chloe (OCs) - Pre!Hunger Games]
 
La storia seguente è incentrata su due OC miei (Alaska__), Niklas e Chloe, del Distretto 9. La Karen nominata ad un certo punto è il tributo femmina dello stesso Distretto durante i settantacinquesimi Hunger Games; Heiko, invece, è il fratellino di Niklas. 
 
Come ogni sabato pomeriggio – o meglio, come ogni giorno – Niklas stava seduto comodamente sul divano, guardando distrattamente la televisione e lanciando, di tanto in tanto, un’occhiata ad uno dei tanti libri di fantascienza che era appartenuto a suo nonno.
Sospirò, passandosi una mano tra i capelli biondi.
Un altro, noioso sabato pomeriggio. Non aveva di meglio da fare, ormai. Non avrebbe mai pensato – prima di partecipare agli Hunger Games – che vincere sarebbe stata una tale pacchia. Aveva visto la vita di altri Vincitori, prima – del resto, aver convissuto per dieci anni con suo zio avrebbe dovuto fargli apprendere qualche cosa a riguardo – ma si stupiva sempre più di quella noia che provava quotidianamente.
Un sorriso gli increspò le labbra, mentre pensava a quello che era accaduto la sera prima.
Si era divertito. Eccome se si era divertito.
La tanto presuntuosa, antipatica, rompiscatole Chloe era finalmente caduta tra le sue braccia… e, per quanto gli era sembrato, le era anche piaciuto.
Come se solo il pensiero avesse chiamato la ragazza, ecco che Niklas sentì bussare alla porta. I colpi non erano di certo tranquilli; sembrava, anzi, che qualcuno stesse prendendo a pugni la superficie lignea per sbatterla a terra.
Con un sogghigno, il ragazzo si alzò dal divano. Non aveva dubbi: chi poteva essere, se non Chloe? Del resto, nessuno si sarebbe preso la briga di bussare a quel modo per chiedergli di entrare. Suo zio probabilmente era a casa in uno stato semicomatoso – oppure a divertirsi con il suo amato Henry – e Karen non si sarebbe mai permessa di picchiare a quel modo la porta. Non poteva essere nemmeno Heiko, perché era entrato in casa un’ora prima e si era buttato sul letto di Niklas, al piano di sopra, con la scusa che la sera prima non aveva dormito perché sua madre aveva portato a casa un altro dei suoi clienti con cui se l’era spassata tutta la notte.
Niklas lanciò un’occhiata veloce allo specchio nell’atrio; non sapeva perché ci tenesse tanto, ma voleva che quella specie di esplosione che aveva in testa al posto dei capelli stesse almeno a posto.
«Chi è?» chiese poi, ridacchiando e ben sapendo quale sarebbe stata la risposta.
«Io» ringhiò una voce femminile dall’altro lato. Il ragazzo ghignò, contento di aver azzeccato la previsione.
« “Io” chi?» domandò, solo per il gusto di poter far arrabbiare la ragazza.
«Chloe. Chi cazzo vuoi che sia?»
«Qualcuno di più educato, per esempio».
«Da che pulpito viene la predica».
«Da che pulpito viene la risposta».
«Apri questa cazzo di porta o vuoi lasciarmi qui fuori ancora un po’?» sbottò infine la ragazza.
Niklas si avvicinò al legno, sussurrando: «Devi dirmi la parolina magica».
« “Vaffanculo” ti basta?»
«Nah. Inizia con “Per”».
Niklas sentì un sospiro esasperato dall’altra parte e non poté trattenere una risata.
«Per favore, signor Brauer, aprirebbe questa porta?» si arrese poi la ragazza, al che Niklas ritenne saggio farla entrare.
Con un sogghigno, aprì e un tornado biondo fece irruzione nella sua casa.
«Allora?» domandò Niklas dopo un istante, vedendo che la giovane non accennava a parlare.
«Allora cosa?»
«Perché sei qui?»
Chloe strinse le labbra. «Volevo solo dirti… quello che è successo ieri sera… non vuol dire nulla, okay?»
«Oh, certo» ridacchiò il giovane, abbassando lo sguardo.
«Non ridere, idiota» ringhiò la ragazza. «E guardami negli occhi». Niklas alzò di poco lo sguardo, ma i suoi occhi azzurri non si fermarono sul volto della ragazza. «Negli occhi! Più su! Questi non sono gli occhi» strillò Chloe, portando le braccia al seno e coprendolo, come se Niklas avesse la vista a raggi X.
«Tanto ho già visto, dolcezza» sussurrò lui, abbassandosi verso la ragazza e appoggiando piano le sue labbra su quelle di lei.

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Capitolo 2
*** O2 • Secondo turno • La canzone ***


 




The Capitol Tales


Secondo Turno – La canzone.
In questo turno, i partecipanti dovevano scrivere in circa dieci minuti una storia ispirata alla canzone "Dream” degli Imagine Dragons.
 

 
Giraffetta.

[Peeta Mellark|Missing Moment di Mockingjay]

 
Peeta batté un pugno contro il muro, incurante del dolore e del sangue che giá gli macchiava le nocche.
Era stanco e confuso.
Desiderava solo riposare ma, ogni volta che provava a chiudere gli occhi, immagini dolorose gli si paravano dinanzi agli occhi improvvise, scavandolo dentro.
In quella cella bianca, che era diventata la sua casa, sentiva che la vita gli stava sfuggendo dalle mani e che i suoi sogni si stavano lentamente trasformando in incubi.
Sognare.
Avrebbe voluto che almeno gli avessero lasciato i sogni, una piccola consolazione. Invece, lo avevano privato prima dei ricordi e poi dei sogni, della speranza, della voglia di vivere.
Presto sentiva che gli avrebbero tolto anche la sua misera vita.
Eppure, continuando a battere il pugno sanguinante contro il muro, Peeta desiderava solo una cosa: che lo lasciassero di nuovo sognare.
 
"But I wanna dream
I wanna dream
Leave me to dream..."
 

 
Macy MacLaughlin.

[Primrose Everdeen|Missing Moment di Mockingjay]

 
Non ha mai smesso di sognare, vero, Prim?
Hai stretto il tuo sogno fra le braccia e non l’hai lasciato svanire.
Ha tremato, sussultato, vacillato, ma non si è mai spezzato.
Non hai smesso di immaginare una vita migliore, una vita vera, quando tua sorella ha rinunciato a ogni cosa – a se stessa, anche a se stessa, e al rimanere al tuo fianco – per salvare la tua vita.
Non hai smesso di sognare quando tutti erano sicuro, così sicuri, che Katniss sarebbe morta in quell’Arena.
Tu non hai mai permesso a te stessa di crederlo.
Non hai smesso di sognare neanche quando lei ti è stata strappata la seconda volta.
Non è accaduto quando lei non è tornata a casa, e quando poi non c’è più stata nessuna casa alla quale ritornare, perché le fiamme hanno divorato ogni strada, ogni risata, ogni ricordo.
Non ti sei arresa quando hai dovuto abbandonare il cielo e l’aria fresca e gli alberi per affondare nelle profondità del Distretto 13.
Hai sempre creduto, fino alla fine, che il mondo che sognavi potesse esistere.
Hai combattuto, con il desiderio di aiutare e la forza della tua mente, quelle tue armi così poco ordinarie, perché questa realtà facesse un po’ di spazio al tuo sogno.
Ma la vita vera non è così, e lo vedi ogni giorno.
È così difficile e dolorosa e devastante, questa vita vera che ti fa crescere così in fretta, che ti strappa i giorni spensierati dei tuoi anni migliori e non ti dà nulla in cambio.
Ti dà forza vedere che non sei sola a vivere in un sogno.
Lo fanno tutti, attorno a te. Si aggrappano all’idea di un mondo migliore, un mondo senza Capitol City, o di un frammento di pace in un mondo così caotico, così folle.
La realtà sembra non voler fare altro che distruggere il vostro sogno, ma tu non ti arrenderai.
Vuoi solo sognare, e continuerai a farlo.
Fino alla fine.


 
 
_The Little Dreamer_

[Peeta Mellark|What-if?|Everlark]

 
Le sue mani come piume si posavano sopra quella tela candida.
L'aveva sempre fatto, quel gesto lo accompagnava ormai da una vita, anche nei momenti più difficili.
Bastava impugnare un pennello e il gioco era fatto, pronto per rinchiudersi nel suo mondo,
fatto solamente di colori, felicità, creatività e tutto quello che lo tranquillizzava.
Bastava aprire il cuore e lasciarsi andare in una via senza ritorno, pieno di sfumature e sogni, solo lì poteva farlo.
Usciva dal suo mondo consapevole di ciò che era veramente quello reale.
Incubi notturni, Pericoli in agguato, Paura, Sangue, Ricordi tormentati, Morte.
Quanti orrori aveva visto quel ragazzo biondo dagli occhi cielo, quanti?
E ormai era stanco, perché lui voleva sognare, solo sognare, niente più.
Lo aveva fatto, un attimo e della sua amata ragazza solo un corpo inerme, gelido.
Le mani strette al collo e il niente per lei.
Era stato lui, era solo un incubo, doveva essere così.
Ma lui voleva sognare, solo sognare, niente più.
Voleva un mondo fatto di colori, odore di cannella, tramonti infiniti da vedere con lei, la sua Katniss.
Una lacrima gli rigò il viso al ricordo triste.
Era morta, per colpa sua.
Si chiese se lassù c'era un forno dove sfornare pane dalla mattina alla sera e non sentire mai la stanchezza.
Era questo che voleva fare, ma ormai non c'era più nessuno per cui farlo.
E in un attimo quel viso si illuminò in una forte risata.
L'avrebbe saputo se c'era un forno dove cucinare lassù, tra poco tempo l'avrebbe visto con i suoi occhi cielo.
Prese un coltello dal cassetto, uno sguardo alla finestra e mai più nessun ripensamento.
Sicuro di ciò che stai facendo Peeta?
Sempre.


 
Kyrean is on Fire.

[Juliette Elain| Tributo (OC) del Distretto (73esima edizione)]

It’s not what you painted in my head
There’s so much there instead of all the colors that I saw
 
Julie posò il pennello. Le immagini dei suoi incubi erano lì, a prenderla in giro lentamente, in agonia.
Era sempre stata una pessima pittrice, ma dopo l'Arena inspiegabilmente era migliorata.
Ed ecco lì gli ibridi rinoceronti che le avevano rubato via Leilani. Gli elefanti di pietra.
Gli orsi sui palloni.
Eppure c'era così tanto da ritrarre, non solo ciò che la Capitale le aveva messo davanti agli occhi. C'erano i colori del sole, l'assoluta immensità del cielo.
Alberi. Persone. Cose.
Poteva dipingere di tutto.

 
We all are living in a dream,
But life ain’t what it seems
Oh everything’s a mess
And all these sorrows I have seen
They lead me to believe
That everything’s a mess
 
È tutto un mistero, un caos, un disordine attorno a sè.
C'era tanto dolore anche. Troppo, per lei.
La Capitale le faceva dipingere orsi danzanti e la inducevano a credere che tutto fosse un caos irreparabile.
Ma ciò non era male, secondo lei.
Meglio il caos ad altri incubi.
 
But I wanna dream
I wanna dream
Leave me to dream
 
Voleva vivere nel mondo dei sogni. In quelli piacevoli. Quelli felici.
Dormiva ma non sognava i vecchi sogni, no. C'era solo tanto sangue.
Decise che avrebbe sognato fino al raggiungimento della felicità.
Voleva sognare.
 
Lasciatela sognare.

 
« And all these sorrows I have seen
They lead me to believe
That everything’s a mess
But I wanna dream
I wanna dream
Leave me to dream ».
 
 
Alaska__

[Jonathan Kidman Junior (OC)| Distretto 6| Post!72nd Hunger Games]

Jonathan è un mio OC. Figlio della Vincitrice dei cinquantaseiesimi Hunger Games; è stato estratto a sedici anni per partecipare alla settantaduesima edizione, durante la quale ha trionfato.

 
Jonathan si siede sul letto nell’Officina Abbandonata.
Non è un gran bel posto, è pieno di spifferi e puzza un po’, ma ormai per lui è diventato un rifugio e l’unico luogo dove stare quando si sente triste e ha bisogno di pensare. La sua vera e nuova casa è troppo falsa, troppo bella, troppo da Capitol City. Lui non la vuole. Vorrebbe tornare indietro di un anno, riavvolgere il nastro e non aver mai partecipato agli Hunger Games. Vuole tornare a vivere nella sua vecchia casa, con sua madre; anche quella è stata costruita da Capitol City, ma lì c’è la sua famiglia, c’è la sua infanzia, la sua vita precedente, quella in cui lui era solo un ragazzino che amava giocare a calcio.
Jonathan desidera solo sognare; far finta che tutto ciò sia stato un brutto, un orribile incubo. Non passa giorno senza che non pensi all’Arena, al sangue dei suoi alleati, all’orribile suono del suo naso che si spezza e il sangue che gli cola sulle labbra, mentre i tributi del Distretto 2 lo osservano minacciosi.
Passa distrattamente il dito sul lenzuolo sporco di quel letto, che non dovrebbe stare all’Officina, ma c’è comunque.
Avanti e indietro. Indietro e avanti. Lo aiuta a distrarsi. Lo aiuta a non pensare. Lo aiuta a sognare.
Gli manca la sua vecchia vita; era un po’ incasinata, ma non c’erano gli incubi, non aveva vite sulla coscienza, non vedeva la gente trafitta dalle sue frecce.
Vuole tornare bambino solo per sperare in un mondo migliore. Ma tutti i dolori che ha visto, la paura, il sangue, la morte lo portano a pensare che non può cambiare nulla. È tutto un disastro, tutto un casino.
Non gli resta che chiudere gli occhi.
E sognare.



 
Kary91.

[Sawyer Mason, Pre-Saga]

La flash-fiction è ambientata durante i primi Hunger Games di Johanna. Sawyer è il fratello minore di Johanna Mason e ha 12 anni. Ama molto fabbricare origami.

 
Oh everything’s a mess
And all these sorrows I have seen
They lead me to believe
That everything’s a mess
 
Si sveglia di soprassalto, ascoltando il rumore dei fogli di carta che cadono a terra; si è addormentato cercando di costruire qualche origami, ma non è riuscito a produrre nulla.
Adesso è circondato da strisce di carta appallottolate e da fogli strappati. C’è solo confusione dentro la stanza ma anche dentro di lui, in un angolo dove fino a qualche giorno prima regnavano solo le fantasticherie di un ragazzino come tanti.
Un tempo, quando non riusciva a prendere sonno, immaginava di piegare fogli fino ad addormentarsi. Sognava di sentire le pieghe formate dalla carta sotto le sue dita e di dare vita a figure bellissime, che avrebbero fatto a sorridere al solo guardarle.
Ci prova anche in quel momento, Sawyer, a piegare fogli con la mente. A sognare, nell’unico modo in cui gli è sempre piaciuto sognare. Tuttavia non ci riesce.
La carta si macchia di sangue – il sangue di sua sorella Johanna. Si sporca di terra e di sudore e qualcuno la graffia, la strappa, la uccide.
Non riesce più a sognare, Sawyer. Non quando, svegliandosi, si accorge che il letto di Johanna è vuoto e la paura gli vibra con violenza nelle ossa ogni volta che passa di fronte al televisore.
Non può più modellare la carta per fabbricare sogni, anche se vorrebbe.
Così apre gli occhi, si alza e solleva uno dei fogli stropicciati che gli sono caduti.
Quello che produce ripiegandolo con cura non è un sogno:  è appuntito da un lato e ha un manico, come quello dell’arnese che utilizza ogni giorno per tagliare la legna.
Sawyer sbadiglia e si lascia cadere nel letto, stringendo forte la sua ascia di carta.
Vorrebbe sognare, ma quei fogli che un tempo l’aiutavano a farlo l’hanno tradito.
E adesso, anche le sue mani fabbricano incubi.
 


 
Tinkerbell92.

[Morfaminomane maschio (Heath)|Distretto 6]

Rain è la fidanzata di Heath.

 
Io continuo a sentirli, Rain. Urlano, soffrono. Le loro grida strazianti squarciano il silenzio della notte. Hai serrato le finestre, chiuso le tende. Lo so, vuoi solo aiutarmi. Ma le finestre continuano ad aprirsi, le tende fluttuano violentemente sulle ali del vento. E le grida ritornano. Continui a fare di tutto per tenermi attaccato alla realtà, lotti al posto mio contro i miei incubi. Sai bene che io ormai non ho più la forza di oppormi, sai bene che cercare di soffocare i miei ricordi più dolorosi è totalmente inutile. Sei tenace, sei generosa. E mi ami. Capisco perché ti affanni così tanto per alleviare il mio dolore. Puoi farmi chiudere gli occhi per un po’, ma quando li aprirò di nuovo i mostri saranno ancora lì. Eri consapevole di quello che avrebbe comportato una relazione con uno come me, con un ragazzo distrutto, devastato, completamente spezzato dentro. Non vorrei provocarti tutto questo dolore, non lo meriti. Non voglio che tu sia “spezzata” come me. I sogni sono un rifugio temporaneo dal dolore, dal casino che è la nostra vita. Certe volte, vorrei semplicemente continuare a sognare.


 
The_Monster

[Beetee & Felix Felicis (OC)| Distretto 3]

Felix è stata una dei tributi di Beetee. Jack era il compagno di distretto della ragazzina.

 
《Cosa fai, Felix?》 Il suo mentore doveva averla seguita fino alla spiaggia, l'aveva spaventata. Ma certo, lei era "mentalmente instabile", aveva appena vinto gli Hunger Games e perso il suo ... e perso ...
《Come possiamo andare avanti così?》 Sussurrò lei osservando il meraviglioso tramonto davanti a sè: 《Come abbiamo potuto per sessantanove anni andare avanti così?》
Beetee sospirò, avvicinandosi a lei, scuotendo la testa:《 perchè altrimenti ucciderebbero tutti coloro che amiamo》
《E che cosa potrebbero farmi, allora!?》 Strillò lei allontanando da sè la mano che Beetee stava poggiando sulla propria spalla. 《Jack è morto, Maya è morta, Lucy è morta e io non ho fatto niente per impedirlo! Cos'altro potrebbe accadere!》
Urlò con rabbia, pestando una mano sul pontile.
《C'è tuo padre ancora. Isaac. Non vorresti lasciarli vivere?》 Chiese Beetee pazientemente, sedendosi accanto a lei.
《Voglio Jack, Beetee. Non voglio altro》 rispose lei con gli occhi velati di lacrime.
《Felix ...》
《Quando ero piccola mi piaceva uscire con lui. Ogni tanto immaginavamo un mondo senza Hunger Games, senza tutto questo orrore. Sai, gli avevo raccontato di quella volta che sei venuto al negozio e ti ho battuto a scacchi》lo interruppe lei, continuando a parlare: 《Eri così triste ... ci chiedevamo se potevamo fare qualcosa: dopotutto eri sopravissuto, non avevi ferite e stavi già con Wiress ... perchè non eri felice?》
《Lo sai, ora.》
《Lo so.》
《C'e ancora quella possibilità, sai? Quel mondo senza Hunger Games. Se continui a pensarci, non svanirà.》
《È solo uno stupido sogno, Beetee.》
《Non vuoi sognarlo?》 Chiese lui :《Non vivere in quel mondo?》
Felix non rispose, ma l'uomo conosceva la risposta.
《Le ferite non spariranno mai, vero?》
《No.》
Felix chiuse gli occhi.

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Capitolo 3
*** O3 • Turno Bonus • Tutti i grandi sono stati bambini, una volta... ***


 

 
 
The Capitol Tales
 
 
Turno Bonus – Tutti i grandi sono stati bambini una volta…
In questo turno, i partecipanti dovevano scrivere in circa dodici minuti una storia ambientata durante l’infanzia di un personaggio sorteggiato casualmente. 

 
 
Alaska__

[Haymitch e sua madre]

 
Il Forno era tutto un brulicare di persone.
Haymitch entrò con fare sospettoso nell’enorme locale, guardandosi intorno; la sua mano era saldamente intrecciata a quella di sua madre.
Non era la prima volta che vi si recava. Già altre volte, la donna o suo marito erano andata lì per fare compere e baratti, portandosi dietro il bambino.
Haymitch, però, non amava molto il Forno. Tanto per cominciare, puzzava da morire. Non c’era un solo angolo in cui non si sentisse quel fastidioso tanfo, che lui nemmeno riusciva a decifrare. Era un misto di escrementi, alcool e del cibo improponibile che cucinava un’anziana signora, mescolando il contenuto di un enorme pentola con un cucchiaio in legno ormai tarlato.
Inoltre, le persone che trovava sempre erano strane e lanciavano delle occhiate curiose a sua mamma, come se fossero innamorati di lei.
Non gli piacevano, quegli sguardi. Nessuno poteva guardare così sua madre, solo lui e suo padre potevano permettersi di osservarla come un oggetto di rara bellezza. E quelli non erano né lui, né suo padre, per cui non dovevano toccarla neanche con un dito.
«Ciao, Robert!»
La donna si avvicinò ad un uomo seduto ad un bancone; in mano reggeva un bicchiere sbeccato che conteneva un liquido color ambra.
Haymitch guardò l’uomo con circospezione. Era grosso e aveva mani callose e sporche; mani da minatore. Erano gli stessi palmi del suo papà, quelli: rovinati dal troppo lavoro. Una barba ispida gli copriva le guance rubiconde e – tra i peli color pece – spuntavano le sue labbra, incurvate in un sorriso.
Il bambino si rilassò. Non sembrava tanto antipatico, quel Robert. E soprattutto, non guardava in modo strano la sua mamma.
«Haymitch, saluta Robert. Non fare il maleducato» lo rimproverò la donna, scompigliandogli i capelli scuri.
«Ciao» disse semplicemente il bambino, continuando a fissare il bicchiere che l’uomo non aveva mollato nemmeno per un istante. Lo incuriosiva il liquido che c’era dentro: non ne aveva mai visti, di simili.
«Ciao a te, giovane uomo!» lo salutò a sua volta Robert. Aveva una voce profonda e cavernosa, e anche molto alta, come se sentisse la costante necessità di urlare.
«Che cos’è questa roba?» Haymitch non riusciva più a trattenere la curiosità. Doveva sapere cosa stava bevendo quel signore.
Robert fece un’improvvisa risata; sembrava un tuono. «Liquore, mio caro ragazzo!»
«E che cos’è?»
«Una bevanda, tesoro» rispose sua madre, passandogli una mano tra i ricci. «Un po’ come l’acqua che bevi tu. Solo che ha un sapore di diverso».
«Posso assaggiarla?» domandò. Voleva sapere cosa intendesse sua madre per “sapore diverso”.
«Certo che no!»
«Ma dai!» tuonò Robert. «Bisogna svezzarli, questi giovani!»
«No, no e no! Non vorrai mica che diventi un ubriacone».
 


 
M4rt1

[Annie Cresta]
 
Annie si alza presto, il giovedì. E' ancora buio quando cammina fino alla cucina, i piedini scalzi e la camicia da notte svolazzante, e si siede al suo posto. La pelle d'oca le ricopre le caviglie esili, ma non le importa.
Il giovedì è un giorno speciale, per lei. Corre in bagno dopo aver bevuto il latte caldo e si veste di corsa, indossando quello che sua madre le ha preparato ai piedi del letto la sera precedente. Si pettina con calma, come le è stato insegnato, sciogliendo ogni nodo color fuoco e sistemandosi la frangia. Poi esce e siede sulle scale, in attesa.
Suo padre la segue. Sono le cinque quando camminano insieme, mano nella mano, fino al vecchio molo. Sono le cinque e dieci quando le barche ritornano e l'uomo, insieme a una decina d'altri, comincia a sgusciare i molluschi da inviare alla Capitale entro le undici.
 
E' un giorno speciale, il giovedì. Annie siede in silenzio accanto al padre, osserva le sue mani grandi e nodose farsi agili per lavorare il più in fretta possibile. Si aggiusta i capelli, ogni tanto. Poi comincia il suo, di lavoro: a quattro zampe, strisciando sulla sabbia ancora umida di ruggiada, raccoglie i gusci vuoti in una busta. Ne prende a manciate - devono mangiare molti molluschi, alla Capitale - e li custodisce come tesori. Ce ne sono di tutte le tinte: la maggior parte sono violacee o marroncine, ma ne trova di rosa, rosse, color prugna o bianco latte. Alcune, quando è fortunata, sono già bucate. Le altre le sistema lei come le ha fatto vedere il nonno.
 
Annie adora il giovedì, perché all'uscita da scuola corre a casa e comincia il suo lavoro. Prende un filo sottile e crea i suoi gioielli, con cura e attenzione. Bracciali, collane, ciondoli e piccoli orecchini prendono forma sotto le sue dita sottili e pallide, sotto il suo sguardo vigile e curioso. Adora creare le cose, Annie. Ha deciso che da grande aprirà una bottega come quella che hanno i genitori della sua migliore amica, Sarah.
Per fare esperienza, la domenica arriva presto in piazza, trascinandosi dietro una borsa e un vecchio telo da mare. Alle nove in punto sistema tutte le sue creazioni sulla stoffa, esponendole con cura e gusto, e aspetta. E' una venditrice nata, secondo il signor McLean - è lui a esortare i suoi clienti a passare dalla bambina. Qualche volta vende molte cose, altre volte torna a casa riportando tutta la mercanzia.
Un giorno, poi, le si avvicina un ragazzino: è più grande di lei e sta osservando un ciondolo.
"Quanto costa?" le chiede. Ascolta il prezzo e scuote i capelli dorati. "Non posso comprarlo, mi dispiace" sussurra poi. Abbassa il suo sguardo celeste, in disappunto. Lei gli sorride: sa che è vero, che non sta mentendo come fanno certe volte i bambini per costringerla a regalare le sue cose.
"Tieni, prendilo pure!" gli dice. Afferra il ciondolo (è una specie di grossa conghiglia creata con dei rametti intrecciati) e glielo porge. "E' tuo".
Lui le sorride, poi corre via. Il ciondolo gli penzola dal collo.


 
Giraffetta.

[Annie Cresta #2]

 
Una bambina di circa cinque anni camminava lentamente sul bagnasciuga. Ogni tanto si fermava sorridente a raccogliere un sasso o una piccola conchiglia, che poi gettava birichina nell'acqua, battendo le mani e rimanendo ad osservare la linea dell'orizzonte in lontananza.
Aveva sempre amato il mare, Annie, quella distesa salata ed immensa che sembrava non avere mai fine. Sarebbe rimasta ore a passeggiare sulla sabbia o a contemplare il frangersi delle onde sugli scogli, sotto lo sguardo vigile di sua madre.
Era una bambina strana, Annie, sempre solitaria ed immersa in un mondo tutto suo, un mondo che spesso lasciava fuori anche sua madre e persino se stessa.
Non poteva ancora comprenderlo, Annie, ma a volte la sua mente si smarriva, persa in pensieri turbinosi che appartenevano solo a lei. Fissava le onde e si perdeva, prigioniera della sua testa e spettatrice assente dei suoi sogni.
Era felice a modo suo, Annie, che premeva con forza i piedi sulla sabbia bagnata per lasciare le impronte, subito spazzate via dal mare, proprio come i suoi pensieri di bambina.
 
 
Kary91.

[Katniss Everdeen & suo padre]

 
Le urla straziate dell’uomo ferito riempirono la cucina, facendo rabbrividire la bambina.
Katniss si premette le mani sulle orecchie e strizzò gli occhi, cercando di concentrarsi su qualsiasi rumore al di fuori di quelle grida. Pensò alle mani delicate di sua madre, impegnate a sistemarle i capelli in due trecce e non a cercare di guarire un paziente. Pensò alla neve quando cadeva morbida sul prato dietro casa e alla lepre di legno che suo padre aveva intagliato per lei qualche giorno prima, per il suo quinto compleanno.
Si soffermò soprattutto sul pensiero del signor Everdeen; si raccontò in silenzio il suo sorriso gentile, l’odore pungente dei suoi vestiti, dei suoi abbracci.
Le urla del signore malato in cucina si attenuarono, quando Katniss incominciò ad accoccolarsi dentro al pensiero del padre.
Fu in quel momento che una presa robusta, ma docile, le sfilò le mani dalle orecchie. Qualcuno la prese in braccio, mentre una voce profonda e incantatrice canticchiava in un soffio, cancellando i gemiti addolorati sullo sfondo.
Katniss riaprì gli occhi e puntò esitante gli occhi in quelli altrettanto chiari ed espressivi del signor Everdeen. Il canto continuò a scivolare fuori dalle labbra dell’uomo, inarcate a formare un sorrisetto. La bambina si accoccolò al petto del padre e si lasciò cullare; le urla, tutto a un tratto, sembrarono meno cupe e minacciose. I rumori si fecero ovattati e danzarono intorno alla melodia di Caleb Everdeen, appoggiandosi alle sue note. Anche la paura di Katniss li seguì, schiava di quella nenia cadenzata.
Finalmente la bambina azzardò un sorriso e tornò a incrociare lo sguardo del padre.
"Va meglio?" domandò a quel punto l'uomo, sfiorandole i capelli con un bacio.
Katniss annuì; stava sempre meglio, quando arrivava suo padre a confondere i rumori brutti e la paura con un canto: la voce sapeva sempre come cacciarli via.

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Capitolo 4
*** O4 • Terzo turno • Il genere ***





 
The Capitol Tales
 
 
Terzo turno – Il genere
In questo turno, i partecipanti dovevano scrivere in circa dodici minuti una storia di genere introspettivo su di un personaggio a scelta. 

 
 
Kyrean is on Fire

[Beetee]
 
La tecnologia andava usata solo per i scopi più nobili, raccontava suo padre a Beetee. Andava usata per salvare e aiutare, non uccidere.
Lui poi era scomparso in circostanze non chiarissime e Beetee era entrato nell'Arena. Aveva usato la tecnologia, vinto, ucciso, disobbedito.
Lo aveva deluso: il suo primogenito, tanto amato, lo aveva tradito e ucciso due volte.
Sarebbe dovuto morire in quell'arena -fogne grigiastre e maleodoranti. Non ne era valsa la pena. Non avrebbe mai più rivisto suo padre.
E Beetee lo aveva tradito".
 
 
Alaska__

[Aaron Kidman, OC (Distretto 6)]

 
Questa storia è ambientata durante i cinquantaseiesimi Hunger Games. Aaron è stato mandato come tributo su "gentile invito" del Presidente Snow per la sua attività come ribelle, idem la sua ragazza, Franziska.
 
Il silenzio dell’Arena sembra più opprimente di minuto in minuto.
Ad Aaron il silenzio non ha mai dato fastidio; di solito ama stare nell’assoluta assenza di suoni, senza niente e nessuno che lo disturbi. Ha imparato che lo può riempire con quello che vuole lui. Può immaginare la voce di sua mamma che lo chiama, la risata di suo padre e i suoi borbottii imbarazzati, la risata di Brenton da piccolo, Franziska che gli canta una canzone, Jonathan e i suoi versetti tipici da bambino appena nato.
Ma il silenzio dell’Arena è diverso. È fastidioso. Gli fa sentire il fiato della morte sul collo; la paura aumenta, può quasi sentire il ritmo veloce dei suoi battiti cardiaci.
Ha paura, Aaron. È ora di ammetterlo a se stesso.
Ha il terrore di morire, di veder morire la ragazza bionda che dorme, rannicchiata accanto a lui.
Il diciottenne allunga una mano verso il suo volto. Sembra così tranquilla, nel sonno. Sembra tornare la ragazzina di quattordici anni che ha conosciuto quattro anni fa, quando ancora non sapeva che sarebbe diventata la madre di suo figlio e una delle sue ragioni di vita.
Aaron scosta una ciocca di capelli color del grano dal volto della sua ragazza.
All’improvviso vorrebbe svegliarla, darle un bacio; se non ci fossero le telecamere e Erykah, forse, gli piacerebbe fare l’amore con lei, come quella volta all’Officina Abbandonata.
Per un istante, Aaron si abbandona alla dolcezza dei ricordi della sua vita prima degli Hunger Games. Ripensa a quando lui e Franziska si baciavano, ai suoi capelli che gli solleticavano il volto; ripensa alla risata di Jimmy e al volto un po’ truce di Igor. Gli tornano in mente i suoi zii; Keegan con l’abito del matrimonio; i suoi cugini e i loro scherzi.
Gli mancano tutti.
La sua mano si ferma sulla guancia di Franziska. La accarezza, piano, come se fosse il più delicato dei fiori.
Ha paura di morire, Aaron.
Ma per lei morirebbe anche mille volte.

Brenton è il fratellino di Aaron; Jonathan è il figlioletto appena nato dei due tributi del 6; Erykah, dal Distretto 7, è l'alleata dei due nell'Arena; Jimmy è il migliore amico di Aaron; Igor è il fratello gemello di Franziska, mentre Keegan è uno dei cugini di Aaron. 


 
Macy McLaughlin

[Peeta Mellark]
 
Tutto è crollato.
Ogni cosa è scivolata e caduta attraverso le tue dita e si è infranta a terra, come cercare di afferrare al volo i frammenti della tua vita che ti crolla addosso e rendersi conto di avere le mani legate.
Anche tu sei crollato, Peeta, ed è come se qualcuno avesse tentato di rimettere insieme i cocci ma l’avessi fatto in modo così sbagliato, così innaturale. Come se il mondo si fosse capovolto, e tu con lui.
Cos’è rimasto, di te?
Tutto quanto.
Non hai perso nulla, eppure tutto è così surreale, così sbagliato.
Le persone si succedono davanti ai tuoi occhi, e sono tutte così diverse nel loro scopo comune.
Tutti vogliono aggiustarti, guarirti.
Non vedono che non c’è nulla da guarire in te?
Sei intero, ti dici.
E allora perché ti senti così spezzato?
Dev’essere stata la morte di Katniss.
No, non è morta.
È morta?
Ti hanno detto…
No.
Tu ricordi…
La tua mente vacilla sotto il peso dei ricordi.
Katniss è morta.
No, è viva. L’hai salvata. La ami.
No, non è lei. Devi ucciderla. La detesti.
I tuoi pensieri si infrangono.
Le persone si succedono nella tua stanza – no, nella tua cella – e ti vogliono salvare.
Si renderanno conto che la persona che vogliono salvare non c’è più.
Tu sei qualcuno.
Esisti.
Non sei chi eri prima.
Non sai più chi sei.


 
The_Monster

[Felix Felicis, OC (Distretto 3)]
 
 
 
Felix sapeva che non doveva sentirsi così. Erano passati anni da che uno del 3 avesse vinto i Giochi, tantissimi anni. E ora lei era una star! Vincitrice a 15 anni, una delle più giovani, rappresentante di una delle edizioni più esaltanti della storia dei Giochi della Fame. Avrebbe dovuto sentirsi felice per la sua vittoria, o per lo meno sollevata. Invece non sentiva altro che il senso di colpa, rimbombando nella sua testa come il martello del fabbro sull'incudine di ferro. Ma più di tutti, più del senso di colpa e dell'incredulità del momento, perfino più forte del dolore che le dilaniava l'anima, più forte di tutto era la rabbia.
Un'ira cieca e furibonda, un'ira repressa e ingabbiata per il bene suo e della propria famiglia, un silenzio per una vita. Lei li voleva uccidere tutti. Tutti.
Non le era bastato urlare contro Lucy prima di iniziare il combattimento, non le era bastato inveire contro di lei e massacrare il cadavere della ragazza, non sfuggito alla sua ira cieca, no. Non bastava. Li voleva tutti morti.
Perché lei voleva non morire. Senza Jack i suoi scopi non avevano senso. Doveva vincere lui, lo aveva deciso lei, lo avevano fatto insieme, e invece gli Strateghi li avevano separati.
Morti. Tutti.
Felix giurò a se stessa che avrebbe avuto la sua vendetta.
 
 
Giraffetta.
 
[Alvin Lorxan Theraux, (Distretto 1)]
 
Alvin è affetto da un disturbo della personalità.
 
Alvin strinse le mani a pugno e digrignò i denti, sentendo la mascella tendersi allo spasmo.
La rabbia si impossessò di lui come un fulmine, portandolo a scagliare la sedia contro il muro.
Si avvicinò al tavolo e con una manata spazzò via tutto quello che vi era sopra, frantumando al suolo anche il barattolo con le biglie colorate di suo fratello.
Pochi secondi, e un paio di cuscini strappati, dopo, la rabbia era già scemata, sostituita da un lento pulsare alla tempia destra.
Alvin si guardò intorno confuso, prendendosi la testa tra le mani.
Era successo ancora.
Ogni volta che una crisi lo sorprendeva, non poteva far niente per evitarla, se non abbandonarsi ad essa sperando, al suo "ritorno", di non aver fatto troppi danni.
Esausto, si gettò sul letto e chiuse gli occhi, un braccio steso sul viso come a volersi celare al mondo.
Era stanco, Alvin.
Stanco di essere considerato diverso.
Stanco di considerarsi diverso.
Un piccolo fremito gli increspò le labbra ma il giovane si trattenne, deciso.
Piangere non sarebbe servito a niente.
Alvin sarebbe rimasto Alvin, e un paio di lacrime avrebbero solo mostrato ciò che lui non era e non sarebbe mai stato.
Un debole.
 
 
_The Little Dreamer_
 
[Gale Hawthorne]
 
Sta diventando un'abitudine quella di venire qui, tirare uno, due, tre sassi in questo lago pieno di ricordi.
Sta diventando quasi un obbligo venire qui e pensare a lei, mentre si trova in un treno, chissà in quale distretto a dire chissà quali false parole
Sta diventando un ossessione sognarla la notte stretta tra le braccia sue, di quel ragazzo che neanche considerava tempo fa.
Sapere in cuor tuo che non sei il prescelto fa male, vederlo ancora di più.
Ma in fondo cosa vuoi ancora da lei Gale Hawthorne, se non una semplice passeggiata nel bosco come i vecchi tempi.
Ormai non l'avrai più vicina a te come una volta.
Ormai sai anche tu di non capirla come un tempo, è entrato lui in quella arena, non tu.
Solo lui può capire quello che prova realmente, ormai.
Non tu.


 
Tinkerbell92
 
[Laura Blaze, OC (Distretto 7)]
 
Non aveva mai voluto essere madre.
Fin dal giorno del matrimonio, Laura aveva messo le cose bene in chiaro riguardo il desiderio di non avere bambini, e Blight aveva immediatamente acconsentito.
Lei era priva di istinto materno, lui voleva evitarsi l’angoscia di vedere i propri figli gettati nell’Arena.
Eppure, alla fine, era successo. Assenza di ciclo, gonfiore… e per finire, la notizia che per molti sarebbe stata “lieta”. Ma per lei no.
Seduta sulla panchina in legno, nel cortile dell’ospedale, Laura serrò le dita sui documenti che avrebbero potuto sollevarla dallo sgradito incarico della maternità.
Una semplice firma avrebbe cancellato per sempre ogni traccia della minuscola vita che cresceva in lei.
Sapeva che Blight non si sarebbe opposto, non l’avrebbe mai costretta a portare avanti qualcosa che non voleva. La decisione era unicamente sua.
Con un sospiro, Laura si alzò, avanzando verso l’entrata dell’ospedale a passo spedito. Ancora questione di poco tempo, dopodiché quella piccola fiammella sarebbe stata spenta.
Ad un certo punto, la ragazza avvertì un leggero senso d’oppressione al petto, che la soffocava con maggiore insistenza man mano che si avvicinava alla soglia dell’edificio. E fu allora che un dubbio si insinuò in lei.
Dopo un attimo di riflessione, le sue labbra si piegarono in un lieve sorriso. Senza pensarci, girò i tacchi, lasciando cadere i documenti nel primo cestino che trovò.
 
 
Kary91.

[Mr. Hawthorne (Joel)]
 
Caleb Everdeen è il padre di Katniss. “Quattro” è il soprannome di mr. Hawthorne.
 
Comincia tutto con un canto.
È un verso stridulo, così diverso dal tono melodico delle ghiandaie che ha sentito così tante volte nei boschi.
È il canto di chi sa di essere in gabbia come lo è sempre stato, ma per l’ultima volta, perché da questa gabbia non ne uscirà più.
Joel  avverte in quel verso acuto l’esplosione prima ancora di sentire il boato, prima di venire scaraventato contro le rocce.
Per Caleb Everdeen, al suo fianco, è lo stesso: lo sa, perché lo legge nei suoi occhi. Si guardano come due cacciatori che scoprono di avere il fucile scarice di fronte a una preda pericolosa, che non ne vuole sapere di soccombere.
Si guardano con lo sguardo di chi ce l’ha messa tutta per evadere dalla gabbia, ma improvvisamente si rende conto che quel tutto non sarà mai sufficiente: perché la gabbia sta esplodendo, sì, ma con loro all’interno.
Si stanno ancora guardando, quando il boato ghermisce la miniera, divorandosi anche il canto propiziatorio dei canarini.
Joel si sente scaraventare a terra, mentre una pioggia di rocce gli rovina addosso e la polvere di carbone lo soffoca, impedendogli di esplodere in un ultimo grido di rabbia e rivolta.
Cerca di urlare, di chiamare Caleb, di muovere le braccia e lottare contro la gabbia, come ha sempre fatto. Cerca di uscirne, perché non sa cosa significhi arrendersi e non lo farà nemmeno in quel momento. Perché ‘gabbia’ non ha quattro lettere e quindi quella di rocce che gli è appena piovuta attorno non può fregarlo, come direbbe suo figlio Rory.
Ed è quello a dilaniarlo, a perforarlo con spuntoni di dolore. Non l’esplosione, le ossa frantumate dalle rocce, il sangue che cola a fiotti dal suo corpo martoriato. Ma il fatto di non essere riuscito a ribattere contro qualcosa di ingiusto, come ha sempre cercato di fare.
Soffre, perché la gabbia è riuscita a strappargli via le forze di dosso e quel papà testardo e temerario, che i suoi figli credono invincibile, quella sera non tornerà a casa per spronare il primogenito ad annientare quelle sbarre e i due di mezzo a credere che un domani le gabbie saranno vuote e loro ci saliranno sopra in piedi, per riuscire a guardare più lontano. Per accarezzare il pancione di sua moglie, dove un germoglio sta crescendo lentamente. Quel germoglio che non dovrà mai subire la prigionia avvertita dai suoi genitori.
Soffre, ma non per questo si arrende. Chiude gli occhi, piuttosto, e infila una mano fra le sbarre di quella gabbia, per sfidarla un’ultima volta: lo fa sorridendo. Lo fa pronunciando le quattro parole che un giorno, ancora sogna, avrebbero abbattuto ogni prigione. Le parole che più ama al mondo.
“Gale... Rory. Vick… Posy.”
E, disegnando a mente il profilo elegante di un albero di nocciolo – Hazelle[1] -, Quattro Hawthorne smette di lottare.
 
 

[1] Il nome ‘Hazelle’ significa Albero di nocciolo. Mr. Hawthorne nel mio head-canon era un appassionato di nomi e del loro significato. 

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Capitolo 5
*** O5 • Turno Bonus • Amici a quattro zampe ***



The Capitol Tales
 
 
Turno Bonus – Amici a Quattro Zampe
In questo turno, i partecipanti dovevano scrivere in circa dodici minuti una storia in cui faceva comparsa un animale selezionato casualmente da un sito apposito.
 
 
M4rt1
 
[Oca – Haymitch/Effie]
 
Quella sera, Haymitch era ubriaco.
Aveva bevuto qualcosa, poi qualcos'altro e infine un altro paio di bicchierini. Si era ritrovato chino sul water a vomitare anche l'anima in meno di due ore. Eppure, nonostante il velo dell'alcool e la bocca pastosa, si era reso conto che c'era qualcosa di diverso, qualcosa come una mano fresca che gli teneva la fronte e una bocca che emetteva suoni acuti e fastidiosi.
 
Effie.
 
E si era ritrovato seduto sul pavimento del bagno accanto a lei - lei, che nonostante il vestito rosso porpora costosissimo, si tolse i tacchi e gli si inginocchiò accanto provando a non far entrare le gambe a contatto con le piastrelle bianco lucido. E parlava, ovviamente, perché Effie non era Effie se non chiacchierava ininterrottamente.
"Sembri un'oca" aveva sbottato l'uomo all'improvviso. "Starnazzi come un'oca".
La donna aveva trattenuto rumorosamente il fiato, l'espressione offesa. Non aveva detto nulla, ma si capiva che stava meditando un'atroce vendetta: si era aggiustata la parrucca e aveva fatto per alzarsi, riinfilandosi le scarpe e sistemandosi come se dovesse partecipare a un galà.
Era quasi sulla porta quando la voce di Haymitch gli era giunta di nuovo, questa volta un po' più acuta.
 
"Io ho paura delle oche".
 
A quel punto, Effie aveva riso. "E' assurdo! Come si fa ad aver paura delle oche?"
 
L'uomo teneva lo sguardo fisso in avanti, perso. Si grattò la fronte.
 
"Ho paura degli uccelli, sai? Di tutti gli uccelli".
 
Effie aveva alzato gli occhi al cielo. "Se è un doppio senso, Haymitch-" aveva cominciato, ma era stata subito interrotta.
"Loro hanno ucciso Maysilee".
 
Lo sapeva. Aveva visto i video di molte Edizioni degli Hunger Games, tra cui quella. Sapeva dei fenicotteri che avevano sgozzato la sua Alleata, la sua migliore amica in quell'Arena.
"Scusa, non ci avevo pensato" aveva quindi mormorato, tornando indietro. Senza pensarci, aveva teso una mano (dotata di unghie lunghe cinque centimetri color rosa shocking) verso l'uomo, gli aveva accarezzato la testa. "Non tutti gli uccelli sono cattivi, però" aveva aggiunto. Si era tirata su la gonna e aveva preso posto sul bidet, le gambe da un lato come in un'assurda cavalcata - sarà pur stata in un bagno, ma doveva mantenere un contegno, lei.
"I fenicotteri sì" aveva risposto Haymitch. "E anche le oche come te".
Effie aveva incassato il colpo. "Haymitch, sei ubriaco" aveva invece osservato, provando a tirarlo in piedi.
 
"Lo so".
"Perché non vai a letto?"
"Perché sono ubriaco".
 
A quel punto, Effie si era alzata con decisione e gli aveva stretto le mani, trascinandolo per qualche centimetro. "Vieni a letto, altrimenti domani le oche te le trovi in giardino".
Lui si era mosso appena, trascinandosi verso il corridoio.
"Almeno ci faccio uno stufato decente" aveva borbottato, mentre la seguiva in camera.

 
 Giraffetta
 
[Oca – Haymitch/Effie]
 
Haymitch sprofondò ancor di più nella poltrona e scolò d'un fiato il sesto bicchiere di liquore come fosse acqua fresca.
Si stropicciò gli occhi con una mano e si voltò verso la finestra, soffermandosi ad osservare la stramba parrucca di Effie. Non riusciva a ricordare quando la donna l'avesse lasciata a casa sua, ma era decisamente troppo sbronzo per pensarci.
Era davvero una delle più brutte parrucche che avesse mai visto: completamente bianca, tonda e con una specie di tubo flessibile che oscillava ritmico.
Haymitch si grattò la testa, sghignazzando e versandosi un altro bicchiere.
A guardare meglio quella stramba acconciatura, pareva che fosse viva, che si muovesse quasi.
L'uomo provò ad alzarsi per raggiungere la finestra ed osservare da vicino quella cosa, ma barcollò e quasi cadde a terra.
 
"Ma cosa, cosa stai facendo?" lo apostrofò Effie, entrando nella stanza in quel momento.
Il mentore si girò e le scoppiò a ridere in faccia, gorgogliando parole insensate.
 
"Sei ubriaco, tanto tanto ubriaco!" lo rimbeccò la donna con espressione corrucciata. Si avvicinò per aiutarlo a stare in piedi e Haymitch si appese con forza al suo braccio.
 
"Hai...hai lasciato...la...la parrucca...lì! Sembra...viva!" le biascicò all'orecchio con voce impastata.
Effie lo guardò come se fosse ammattito e poi seguì la direzione del suo sguardo, verso la finestra.
 
"La...la vedi? Agita...agita quella specie di... di tubo!" continuò Haymitch.
 
Una risata fragorosa riempì la stanza prima che Effie esclamasse: "Certo che è viva, stupido. Non è affatto una parrucca, ma una delle tue oche! E quel tubo, è il suo collo, il suo collo, testone!"
 
 
 
Alaska_
 
[Cane - Niklas Brauer & Heiko (OCs|D9)]

La scena è ispirata ad una di "Sono il numero Quattro", libro di Pittacus Lore, da cui è stato tratto l'omonimo film. 

 
 
«L’hai sentito?»
Heiko balzò a sedere sul divano, guardandosi intorno. I suoi occhi verdi erano sbarrati, come se qualcuno gli avesse appena dato una scossa.
Niklas gli rivolse un’occhiata. «Sentito cosa?» domandò, abbassando il volume del televisore per poter udire meglio. Fu un gesto abbastanza inutile, perché il temporale all’esterno non consentiva di sentire granché, a parte la pioggia che si abbatteva contro le imposte serrate.
«C’è un rumore!» esclamò Heiko. Scese dal divano con un salto e andò verso la porta.
Niklas sbuffò, alzandosi per seguire il bambino. Spense la televisione e la faccia sorridente di Caesar Flickerman sparì con un guizzo, insieme all’immagine di un tributo moribondo alle sue spalle.
Il diciannovenne deglutì e scosse la testa, per cacciare via il corpo agonizzante di quel ragazzo dalla sua mente.
«Heiko…» chiamò debolmente il bambino, «stai fermo due secondi».
Il più piccolo si fermò davanti alla porta. Sbarrò ancora gli occhi, come se fosse successo qualcosa di grave e tornò verso il ragazzo.
«E se ci fosse un ladro?» bisbigliò.
Niklas alzò gli occhi al cielo. «Se ci fosse un ladro, non gli apriremmo».
«E se non fosse un ladro?»
«Non apriremmo comunque perché non ho voglia di vedere casa mia tutta bagnata».
Heiko strinse le labbra. Poi, si girò e aprì la porta.
«Heiko!»
Niklas era abituato al fatto che il bambino continuasse a disobbedire, ma, a volte, l’avrebbe volentieri legato ad una sedia e lasciato lì.
Se pensava che quella sera sarebbe stato a dormire da lui, sentiva solo i brividi al pensiero che potesse sentirlo urlare, o che potesse fare qualche cavolata e mettergli in disordine la casa – già non messa in buono stato.
«Heiko, cosa cazzo…» mormorò a mezza voce, uscendo fuori. Il bambino era sotto la pioggia, accanto ad un cespuglio nel giardino.
Niklas corse verso di lui, lo afferrò per la maglietta e lo costrinse ad alzarsi.
«Guarda!» esclamò Heiko, trionfante. Tra le mani aveva un cagnolino.
«Ma cosa cazzo ci fa un cane nel mio giardino?» sbottò Niklas, rivolgendosi a nessuno di preciso – le sue parole vennero coperte dall’ennesimo tuono.
Il ragazzo trascinò il più piccolo dentro casa; erano rimasti fuori pochi secondi, ma ormai erano fradici e avevano i corpi scossi dai brividi.
Niklas chiuse la porta dietro di sé.
«Guarda… sei tutto bagnato» commentò, tirando indietro i capelli biondi di Heiko, che gli si erano appiccicati alla fronte.
«Anche tu» replicò il bambino, inarcando un sopracciglio. Tra le braccia stringeva ancora l’animale.
Niklas si abbassò verso di lui. «Hai intenzione di tenere questa bestiaccia in casa mia?» domandò, sottolineando bene le ultime parole, mentre osservava l’animale trovato da Heiko. Non era molto bello, a parer suo: aveva il pelo bianco con macchie marroni e le orecchie – dello stesso colore delle macchie – afflosciate.
«Perché no?» Heiko fece spallucce. «Non possiamo mica lasciarlo lì fuori».
«Io un cane non lo tengo» replicò Niklas, alzandosi e spostandosi un ciuffo di capelli fradici. «Devo già curare te, un animale basta e avanza. E c’è pure quello squinternato di mio zio. Un cane è solo un altro impiccio».
«Ma è carino!» Heiko lo alzò, avvicinandoglielo al viso. L’animale lo guardava con aria supplichevole e per un istante – un brevissimo lasso di tempo che svanì com’era arrivato – Niklas provò pena per lui.
Scrollò le spalle. «Casa mia è già sporca, non mi serve anche lui» disse, indicandolo con un cenno del mento. «E tua madre non credo che te lo farà tenere. Le dà fastidio mentre sta con i suoi amichetti a divertirsi». Ormai commenti del genere non facevano più né caldo né freddo ad Heiko; Niklas lo capì dal modo in cui alzò le spalle con noncuranza.
«Magari potrebbe mordere le palle ad uno di loro» aggiunse il più grande, sogghignando. Si immaginò la scena e dovette trattenersi dal prorompere in una grassa risata.
Heiko fece un sorrisino. «Un giorno proviamo. Che ne dici, Bernie Kosar?» domandò, guardando il cane negli occhi.
«Bernie Kosar?» Niklas aggrottò la fronte.
«È il nome che voglio dargli».

 
 
Kary91

[Panda - Gale Hawthorne & Haley Mellark (figlioletta di Katniss e Peeta)]

 
 
“Ehi, papà di Joel!”
Haley Mellark saltellò fino al divano e si arrampicò su uno dei braccioli, per sedersi di fianco a Gale. Indicò il televisore, che in quel momento stava mandando in onda un documentario sui genitori delle varie specie animali. Joel e sua cugina Prim stavano seguendo con attenzione il filmato, ma Haley continuava a fare avanti e indietro dal tappeto di fronte allo schermo al divano, per poter riempire Gale di domande.
“Secondo te a quale animale assomiglio?”
Il pilota aggrottò perplesso le sopracciglia, prima di abbozzare un mezzo sorriso.
“A un pappagallino” la prese in giro, intrecciando le dita dietro la nuca. “Uno di quelli che parlano in continuazione.”
La bambina si strinse nelle spalle.
“Allora vuol dire che posso volare, mica male! E tu sai a chi somigli?” continuò, indirizzandogli un’occhiata malandrina.
Gale scosse la testa di malavoglia.
“A un capitano dell’aeronautica militare?”
“Macché! A quello!” esclamò la ragazzina, indicando il televisore: lo schermo stava mostrando l’immagine di un panda seduto a gambe divaricate, intento a sgranocchiare un germoglio di bambù.
I tre bambini ridacchiarono, sotto l’espressione interdetta di Gale.
“Zio Gale non è così grosso!” esordì a quel punto Prim, appoggiando la testa al ginocchio dell’uomo. Lo zio le fece una carezza.
“Però l’occhio nero qualche volta ce l’ha avuto…” osservò in risposta Joel, continuando a seguire il documentario con lo sguardo. “… Giocare alla lotta con Johanna è molto pericoloso!”
“No che non sei grosso!” intervenne in quel momento Haley, tornando a rivolgersi a Gale. “Però hai tanti muscoli, quindi hai le braccia come quelle di un panda, e sei anche alto. E poi loro sono un bellissimi, ma un po’ musoni, proprio come te” aggiunse, arrossendo leggermente. “Sei proprio un panda, papà di Joel” concluse, dandogli un colpetto sulla spalla.
L’espressione perplessa dell’uomo si spostò dal sorriso birichino della bambina al suo pugno.
“Non assomiglio per niente a un panda. Ma neanche se mi osservassi a trenta metri di distanza ci assomiglierei…” asserì infine, afferrandola per i fianchi. “I panda, secondo te, fanno questo?” chiese, facendole il solletico. La bambina rise, incominciando a divincolarsi.
“Nossignore!” concluse infine, stringendosi le ginocchia al petto per difendersi. “Però secondo me danno tanti abbracci caldi e stretti stretti. E io amo i caldi abbracci… ” ammise infine, allungandosi per  allacciare le braccia al collo dell’uomo. “… Che bello! Sto abbracciando un panda!” esclamò a quel punto, tornando a sorridere malandrina.
Gale sospirò con fare rassegnato, prima di abbozzare un breve sorriso.
“Ed io un pappagallino.”
La bambina scoppiò a ridere.
 
 

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