Occhio per occhio

di General_Winter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: un buon motivo per morire ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Tributi, Alleati e Rivelazioni ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Le regole della sopravvivenza ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV: Aiutami ***
Capitolo 5: *** Capitolo V: Manca poco ***
Capitolo 6: *** Epilogo: E tutto ebbe fine ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: un buon motivo per morire ***


OCCHIO PER OCCHIO
 
CAPITOLO I: UN BUON MOTIVO PER MORIRE
 
Stava seduto nella stanza a girarsi i pollici. Sopra il destro, poi il sinistro, grattava la nocca destra.
Ludwig non aspettava nessuno, se non chi sarebbe venuto a prenderlo per portarlo a Capitol City e farlo diventare il fenomeno dello schermo, il concorrente di uno show mortale.
Si chiedeva se avesse un buon motivo per scegliere di morire.
Nessuno sarebbe giunto a dirgli addio, né amici, né famigliari. Dei primi non ne aveva; quasi  nessuno si era mai troppo avvicinato a lui, forse spaventati dal suo sguardo perennemente truce o infastiditi dalla sua, a volte eccessiva, serietà.
I suoi genitori, poi, erano morti cinque anni prima in un tragico incidente e suo fratello … beh, quello che era successo al suo consanguineo era storia. Presto gli avrebbe fatto compagnia …
La porta si schiuse e la voce di un pacificatore gli arrivò attutita alle orecchie « Due minuti »
Non fece in tempo ad associare quelle parole al loro effettivo significato che un piccolo uragano che piangeva disperato lo travolse in un abbraccio.
Ci mise qualche secondo a capire che la massa di capelli rossicci abbarbicata al suo petto era Feliciano. Le lacrime calde bagnavano la sua camicia « Perché?! Perché lo hai fatto?! Perché hai fatto una cosa così stupida?! Dovevo esserci io al tuo posto! Era il tuo ultimo anno, Ludwig, perché?! » nonostante quelle domande furono dette in una sola emissione di fiato, il biondo non ne perse nemmeno una parola.
Era tutto vero. Ludwig si era salvato quella volta, l’ultima della sua vita, nonostante la doppia possibilità di uscire.

Edizione della memoria, l’avevano chiamata a Capitol City: erano venticinque anni che quella barbarie esisteva e i potenti volevano commemorare la cosa. Quella era la scusa di facciata.
La verità era che troppi maschi erano nati in quegli anni e per evitare che quei giovani si unissero a possibili rivolte quella volta era stato deciso che i tributi sarebbero stati tutti uomini.
Le ragazze aveva tirato un profondo sospiro di sollievo quando l’accompagnatrice aveva dato quella notizia, mentre il cuore di ogni singolo ragazzo si era fermato per qualche secondo per poi tornare a battere con la velocità di un treno. La paura aveva attanagliato le membra dei presenti, prima di lasciare la presa di tutti tranne che di quattro persone.

Il primo tributo a cui la fortuna non era stata a favore fu un ragazzino di soli dodici anni, mandato letteralmente a morire nell’arena. Raivis Galante non sarebbe mai sopravvissuto, ognuno lì ne era consapevole. Quando il suo nome fu chiamato dalla mora accompagnatrice aveva cominciato a tremare e non aveva smesso nemmeno quando ormai era giunto sul palco. I suoi occhi, perfettamente visibili dalla terza fila, dove si trovava Ludwig, erano colmi di lacrime che non attendevano altro che un momento di solitudine per sgorgare copiose. Ludwig aveva chiuso gli occhi e pregato mentalmente per lui e per se stesso, implorando la fortuna che non venisse pescato lui per secondo.

Ma le sue silenziose suppliche di pietà furono bruscamente interrotte quando il successivo nome vibrò nell’aria immobile. Le pulsazioni del biondo sembravano aver deciso di fermarsi insieme al tempo; il sangue doveva aver scelto di abbandonare il cuore per spostarsi al cervello, cercando di farlo ragionare sulla realtà che il nome che era stato scelto avrebbe comportato: Feliciano Vargas.
Le ginocchia quasi gli cedettero, la testa cominciò a girargli e il fiato gli si fece pesante, cosa che accadde anche al gemello del neotributo, Lovino Vargas.
La buona sorte aveva preso in giro Ludwig, aveva risparmiato la sua vita, ma non la sua felicità. Aveva visto il moretto uscire dalla schiera in cui era disposto, facendosi avanti con passo lento e spaventato.
I cerulei occhi di Ludwig rischiarono di riempirsi di lacrime a quello spettacolo: l’unica persona che era riuscita a vedere oltre la sua maschera di rigidezza, che era riuscita a scrutare fino in profondità i suoi occhi azzurri, che gli era rimasta accanto in ogni momento che altrimenti avrebbe passato in solitudine gli stava venendo portata brutalmente via.

Le mani di Feliciano erano troppo delicate, molto più adatte ad impastare il pane che ad impugnare un’arma, e il suo spirito era troppo fragile per sottrarre la vita a qualcuno: non sarebbe riuscito ad arrivare in fondo ai giochi.
Così la mente del biondo aveva preso la sua decisione e il suo cuore non aveva avuto nulla da ridire o rimpiangere. Abbandonando il suo posto, evitando i pacificatori, si era portato davanti al moro, come a proteggerlo, tenendolo al sicuro dietro alla sua ampia schiena e aveva urlato parole mai dette in quel piazzale, in quel distretto prima di allora, gridate troppo velocemente e troppo seriamente per avere rimorsi « Mi offro volontario come tributo al posto di Feliciano Vargas! »
 
 
E, in quel momento, si trovava lì, abbracciato al ragazzo più piccolo che, piangendo, chiedeva spiegazioni. Stringendolo più forte, il biondo gliele diede « Perché è giusto così; perché non sopporterei di vederti in quella dannata arena, sporcandoti le mani di sangue, solo per divertire quei mentecatti di Capitol City. Quel compito lascialo a me … » sussurrò nel suo orecchio, giocando con il curioso ciuffo arricciato di Feliciano, che affondò il viso nel petto dell’altro « Ludwig, ti prego, vinci … e torna … » mormorò triste, alzando appena il volto, andando a cercare le labbra del ragazzo, trovandole immediatamente, disponibili e bisognose di affetto. Il bacio non mantenne la sua castità a lungo, diventando quasi subito una bollente danza di lingue che si rincorrevano e denti che mordevano, in un ultimo e disperato saluto.
Sì, la vita di Feliciano era un ottimo motivo per morire.
Subito si staccarono, quando sentirono la porta spalancarsi e videro entrare due pacificatori che presero per un braccio il più piccolo, trascinandolo via mentre lanciava un’ultima straziante occhiata al fidanzato.
« Tornerò, Feliciano …  lo giuro … »
 

Elizavetha Hèdervàry era una ragazza coraggiosa, intelligente e stanca. Stanca di indossare stupidi e appariscenti vestitini e truccarsi con colori sgargianti e improponibili; stanca di dover ubbidire così ciecamente agli ordini a lei impartiti da Capitol City; e stremata, soprattutto, di dover decantare le lodi e i privilegi che solo i tributi degli Hunger Games avrebbero potuto avere, ben consapevole che, accompagnandoli su quel treno, metteva probabilmente la parola “fine” alle loro giovani vite.

Per l’ennesima volta quei pensieri si affacciarono alla mente dell’accompagnatrice, mentre, con uno sguardo di falsissima felicità, invitava i due tributi del distretto 6 a salire sul mezzo che li avrebbe portati nella grande città in sole 12 ore.
Li squadrò qualche secondo: Raivis Galante, a meno che non fosse scappato immediatamente, non sarebbe sopravvissuto all’iniziale bagno di sangue della Cornucopia; quell’altro, invece, poteva avere molte più possibilità. Era robusto, spalle larghe, ben piantato. Si era presentato Ludwig Beilschmidt.

Elizavetha fece un piccolo sorriso: aveva avuto il piacere ( o il dispiacere, ancora non lo aveva capito ) di conoscere il fratello maggiore, Gilbert Beilschmidt.
Un vero peccato che ad entrambi i fratelli fosse toccata quell’orrenda sorte. Lo sondò un’ultima volta: sì, lui, forse, aveva buone possibilità di vincere.
La ragazza portò i tributi in un vagone arredato come un soggiorno di alta classe: moquette e tappeti di lusso color scarlatto ne ricoprivano il pavimento; mobili laccati di bianco, senza una macchia, percorrevano il perimetro delle pareti; il piano bar, in un angolo, era illuminato da luci soffuse; alcune poltroncine e due tavolini erano sparsi attorno « Accomodatevi pure, vado a cercare il vostro mentore » fece la mora, scoccando un’occhiata significativa a Ludwig.
 

Fecero come era stato a loro chiesto. Il diciassettenne si lasciò cadere pesantemente su una poltrona, coprendosi gli occhi con la mano e massaggiando appena le tempie. Sbirciò attraverso le fessure delle dita il suo compagno di sventura: il biondino si guardava intorno, preoccupato, spaventato e curioso insieme. Non aveva ancora smesso di respirare affannosamente.

Ludwig scosse la testa, distogliendo lo sguardo « Mi scusi » una vocina paragonabile al pigolio di un uccellino si levò alla sua destra. Il diciassettenne guardò sorpreso Raivis « Mi scusi, lei sa dove può essere il bagno? » chiese timido. Lo stupore per tutta quella formalità non scemò dal volto di Ludwig « N-no, sicuramente in un altro vagone, prova a cercare » gli consigliò, vedendolo alzarsi con passo malfermo e dirigersi verso la porta scorrevole, oltrepassandola.

« Lascia che ti dica che è stata una gran cazzata » la voce arrivò così improvvisa che il biondo sobbalzò, senza però guardare negli occhi il nuovo arrivato, il suo mentore.
Non aveva voglia di rispondere a quell’affermazione, forse perché, mentre una parte di lui era fermamente convinta della propria scelta, l’altra se ne stava già pentendo. Aveva paura, come era giusto che fosse, ma il pensiero che Feliciano fosse salvo non lo faceva annegare nel rimorso.
« No, non lo è stata. » affermò, prima di girarsi verso l’altro, alzando lo sguardo, contemplando ogni singolo particolare del ragazzo di fronte a lui, dagli stivali scuri con rinforzi metallici, risalendo per le gambe toniche fasciate da pantaloni neri, medesimo colore del trench di pura pelle decorato con borchie d’acciaio, come gli orecchini che portava al lobo sinistro.
Ludwig lo guardò in quegli occhi seri, pieni di sconforto e di color cremisi. Il biondo sorrise rassegnato « Ne sono sicuro, Gilbert »

Gilbert Beilschmidt, unico vincitore del distretto 6, fratello maggiore di Ludwig, conosciuto a Capitol City come “Il Magnifico”. Un titolo altisonante e ogni parola dell’albino ne aumentava la pomposità: tutte le sue frasi sottolineavano il suo egocentrismo. Ma, forse, un motivo per esaltarsi tanto ce l’aveva: sei anni prima, quando era stato scelto per gli Hunger Games, nessuno, all’inizio, aveva puntato un soldo su di lui, reputandolo morto già al secondo giorno, nonostante tutti gli sponsor che si era guadagnato con la sua presunta simpatia e presenza scenica. Poi, contro ogni aspettativa, si era ritrovato, al decimo giorno, a dover affrontare, tutti insieme, gli altri cinque sopravvissuti. E, in uno scatto di adrenalina fuso ad un miracolo, era riuscito ad eliminare gli altri concorrenti, uscendone gravemente ferito, ma vincitore. Le cicatrici erano ancora ben visibili sul suo corpo.

Il “Magnifico” si sedette, senza staccare gli occhi dal fratello minore « Vi aiuterò entrambi allo stesso modo, ma spero che se ne renda conto, l’altra pulce, che preferirò la sua morte alla tua … » fece serio.
Si sentì la porta scorrere e tutti e due i fratelli si voltarono di scatto verso il dodicenne appena rientrato che li guardava con un misto di adorazione e paura nei grandi occhi viola.
« Siediti, ragazzino, ti chiami Rauvi Galante, giusto? » chiese Gilbert, alzandosi e dirigendosi verso il piano bar, cominciando a prendere bottiglie di alcolici e mescolandoli apparentemente a caso in un bicchiere.
« R-Raivis Galante, in realtà, signore » lo corresse con la sua solita e immotivata formalità, sedendosi sulla poltroncina accanto a Ludwig.

Gilbert agitò una mano con un gesto di noncuranza, mentre con l’altra si portava un bicchiere alla bocca, bevendone un sorso « Non sono io che mi devo ricordare il tuo nome, ma loro » fece, guardando fuori dal finestrino una cittadina, vicino alla ferrovia dove passava il treno « È questa la verità degli Hunger Games. Per restare vivi, dovete piacere alla gente e, di conseguenza, agli sponsor. Tanti sponsor significano molti aiuti esterni, e senza di quelli non si sopravvive. Certo, ovviamente servono anche prestanza fisica e intelligenza, ma non sempre si può avere tutto come me. Quindi, il magnifico sottoscritto vi insegnerà i trucchi per piacere a tutta Panem! » concluse borioso, sotto lo sguardo sconcertato del fratello e ammirato del biondino.
Ludwig scosse la testa, quasi sconsolato: non sapeva quanto fidarsi dei consigli dell’albino.

Gilbert  parve intuire il significato di quel gesto e si affrettò ad aggiungere « Ma dovete ricordare un’altra cosa: gli sponsor non vi daranno l’input per andare avanti. Quello dovete cercarlo voi stessi. Dovete trovare una ragione per non farvi crollare o lasciarvi morire. Bisogna trovare un pretesto abbastanza forte da spingere voi stessi a togliere la vita ad un altro essere umano. Pensate a ciò che vi aspetta fuori dall’arena, e non intendo denaro, fama e gloria. Dovete ricordare cosa, di importante, avete lasciato indietro, cosa si può barattare per la vostra umanità. Se non avete nulla del genere, non uscirete mai da quel luogo … in poche parole, vi serve un buon motivo per continuare a vivere » disse, scoccando un’occhiata significativa al fratello.
Quelle parole lasciarono di sasso i due spettatori, soprattutto il più grande. Sì, lui ce l’aveva un buon motivo per tornare a casa.
 

Gilbert stava seduto in uno dei vagoni, con gli occhi rossi incollati agli ologrammi che gli scorrevano davanti, troppo impegnato a valutare quelle immagini per accorgersi della persona che era entrata.
Elizavetha si schiarì la voce per annunciare la sua presenza.
Non l’avesse mai fatto. Subito si ritrovò compressa contro una parete, con una lama sotto la giugulare: con uno scatto felino, Gilbert aveva afferrato il suo coltello, bloccando la ragazza, temendo fosse un nemico. Nonostante avesse vinto anni prima, la paura di essere perennemente messo in pericolo dalle persone che lo circondavano non era scomparsa.
Un moto di sorpresa scosse i lineamenti del vincitore « Dannazione, Vetha! Te l’ho già detto che non voglio avere nessuno alle spalle! »
Nonostante l’inconveniente, negli occhi della mora non si leggeva eccessivo timore « Sì, lo avevi fatto, ma solo ora ne comprendo il motivo » disse seria, ma con una vena di dolcezza e compassione.

L’albino scosse la testa, lasciandola andare per spegnere gli ologrammi, ma la ragazza non glielo permise « Cosa stavi guardando? » domandò curiosa, allungando il collo verso le immagini, per poi raggelarsi quando si accorse che erano le registrazioni delle fasi finali dei diciannovesimi Hunger Games, quando Gilbert aveva vinto « Perché continui a torturarti in questo modo? » chiese preoccupata, non riuscendo a distogliere gli occhi da quel grottesco spettacolo in cui l’albino, coperto di ferite, piantava il coltello nel collo di una ragazza bionda, diventando automaticamente vincitore.
« Non mi sto torturando, sto solo ammirando la mia magnificenza! » affermò spavaldo, prima di lamentarsi per il dolore quando l’accompagnatrice gli tirò l’orecchio, come faceva sempre il ragazzo mentiva o si esaltava troppo. Quella volta, visto che stava facendo entrambe le cose, lo strattone fu il doppio più forte.
« Comunque, perché sei qui, Vetha? » la interrogò, massaggiandosi la parte lesa.
« Sono venuta a chiederti che intenzioni hai per i due tributi, non credo proprio che manterrai un’equità …»
« Certo che lo farò! »
« Non ti credo »

Con quell’accompagnatrice era una battaglia persa in partenza, Gilbert lo sapeva già « Vetha, sappiamo perfettamente entrambi cosa accadrà in quell’arena » un moto di disgusto riempì di lacrime gli occhi dell’albino « Io … io avevo uno motivo per sopravvivere; io, quando ero là dentro, continuavo a ripetermi che dovevo tornare a casa, da Lud, che non potevo lasciarlo solo dopo quello che era capitato ai nostri genitori … per quello sono rimasto in vita! Ma Ludwig … non ha nulla di tutto questo! » urlò, chiudendo gli occhi e sbattendo le mani sui pannelli di comando degli ologrammi.

La ragazza le passò una mano sulla schiena, in un gesto rassicurante « Io non ne sono del tutto sicura » disse convinta, guardando di fronte a sé, con una scintilla di speranza e tenerezza negli occhi.
Anche il ragazzo alzò lo sguardo, notando che il suo movimento di poco prima aveva per sbaglio azionato la registrazione dell’estrazione dei tributi del distretto 6 di qualche ora prima.
Si vedeva, di continuo, la parte in cui Ludwig si proponeva volontario per salvare Feliciano « Intendi la sua amicizia con quel ragazzino? Non penso sia un pretesto abbastanza valido … » fece incerto, sentendo, però, Elizavetha fare una risatina « Credi davvero che tra di loro ci sia solo un’amicizia? Sei più ottuso di quanto pensassi, Gilbert Beilschmidt! »
Quello la guardò andarsene, perplesso « Cosa intendi dire? »
« Intuito femminile » rispose, mettendo ancora più in confusione “il Magnifico”.

LA TANA DEL LUPO:
Ditemi cosa ne pensate. Ho, ovviamente, tutti i capitoli completi e li posterò in breve tempo, poi mi concentrerò completamente sull'altra long.
Se avete domande non esitate a pormele e si chiedete il perché sulla scelta del distretto io rispondo: ONORE E GLORIA AI DISTRETTI DI CUI NON IMPORTA NULLA A NESSUNO! ok ora la smetto
Baci, Lupus.

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Capitolo 2
*** Capitolo II: Tributi, Alleati e Rivelazioni ***


CAPITOLO II: TRIBUTI, ALLEATI e RIVELAZIONI
 
Lo stilista aveva scosso la testa « Ma, tipo, non vi fidate di me? » chiese indignato, guardando infastidito i due tributi.
Gilbert aveva presentato loro colui che li avrebbe mostrati al mondo in tutto il loro splendore. E, se a Ludwig lo avessero chiesto, no, non si fidava.

Quell’uomo era molto strano, eccentrico più di tutti gli abitanti di Capitol City messi assieme, con una parlata altrettanto anormale.
I capelli di Feliks Łukasiewicz dovevano essere biondi alla sua nascita, ma in quel momento erano acconciati in modo assurdo e tinti di rosa acceso, medesimo colore dei suoi abiti.

Ludwig aveva dubitato seriamente delle sue abilità di stilista. Si era immaginato nel mezzo della parata, vestito di fucsia e coperto di paillette. Un brivido di disgusto lo aveva attraversato: piuttosto nudo.
Si era risollevato il morale quando aveva notato che i costumi erano dei trench e dei pantaloni di pelle nera, entrambi coperti di lucide placche di uno strano metallo. Questo, quando illuminato, rifulgeva di abbaglianti riflessi bianchi.
Erano meravigliosi, ma non erano abbastanza evidenti per essere notati da tutti gli spettatori. Sperò che gli sponsor più importanti sedessero in prima fila.
Quando si era vestito, aveva però sentito una strana pesantezza sulle spalle, magari un difetto di confezionamento.

Glielo fece notare, mentre saliva sulla biga « Cioè, ma come ti permetti? » domandò Feliks offeso « I miei abiti sono totalmente perfetti! Chiaro? » poi sorrise, quasi malizioso « Ho sentito che ti sei offerto volontario per salvare un tuo … “amico”. Cioè, un gesto tanto stupido quanto coraggioso, lo devo totalmente ammettere! Sembravi nobile quanto un’aquila! Oh, dovete, tipo, andare! Tieni » gli disse, consegnandoli un piccolo telecomando « Premilo quando siete, tipo, a metà percorso! Cioè, si mostrerà totalmente il mio genio stilistico! » esclamò orgoglioso, pizzicando una guancia a Raivis.
I due tributi si guardarono preoccupati, sentendo quella notizia.

Il luogo dove si svolgeva la parata era immenso.
Migliaia di persone tenevano gli occhi incollati ai carri, mentre le voci del maestro di cerimonie e del suo collega rimbombavano da tutte le parti.
« Ah! Meravigliosi! Meravigliosi come ogni anno! Gli stilisti sanno dare il meglio di loro stessi ogni volta! È come se avessero concentrato l’essenza di ogni distretto nei costumi di loro creazione! Non trovi, Antonio, mon ami? » domandò Francis, il conduttore, rivolto al compagno, spostando dietro all’orecchio una ciocca bionda con riflessi azzurri.
« Vale, amigo, hai perfettamente ragione! Oh, arrivano i distretti 4 e 5! E subito dietro il 6 … però, non mi sembra che questa volta lo stilista del distretto 6 si sia impegnato molto, non lo pensi anche tu, Francis? »

Quell’osservazione fece ridacchiare molti dei presenti e tendere la mascella di Ludwig, che guardò il piccolo telecomando che teneva in mano: stavano per raggiungere metà pista.
Premette il tasto, sperando ardentemente che qualsiasi cosa avesse architettato Łukasiwicz funzionasse. D’improvviso, il peso che sentiva sulla schiena sparì, o meglio, parve uniformarsi, non stando più concentrato in un unico punto.

Un boato di sorpresa si levò dalla folla.
Ludwig si guardò in giro, cercando in tutti i modi uno scorcio della sua immagine.
Si sorprese quando vide sulla sua schiena le due enormi ali dell’aquila di Panem fatte dello stesso materiale delle placche sul corpo. Si stagliavano per un paio i metri verso l’alto, incredibilmente leggere e lucenti; semplici, che gli davano però un aspetto quasi angelico.

Tutta la platea esultò « Credo che tu ti deva ricredere, mon cher » Francis punzecchiò il suo collega, mentre Antonio, con evidente imbarazzo per la gaffe, si passava una mano sulla nuca, facendo tintinnare i suoi molteplici orecchini al lobo.

Il tributo più grande sorrise compiaciuto mentre il volto di Raivis era coronato da una smorfia felice e molto confusa.
Quando la biga si fermò, entrambi alzarono il volto, incrociando, per un istante, lo sguardo del presidente August, un uomo non particolarmente vecchio, con i capelli chiari e delle trecce nella folta chioma, una capigliatura decisamente meno eccentrica di quella della gente che abitava a Capitol City. I suoi occhi color del cielo abbandonarono quelli di Ludwig, altrettanto blu.

Cominciò a parlare non appena ebbe il via dal primo stratega Octavianus « Tributi! Benvenuti alla prima edizione della memoria, in onore di tutti i giovani uomini come voi che diedero la loro vita nella guerra civile che fece nascere la nostra potente Panem. Felici venticinquesimi Hunger Games e possa la fortuna sempre essere a vostro favore! »

Il pubblico esplose in un applauso e lo stomaco di Ludwig si contrasse: loro non avrebbero mai capito cosa significava trovarsi al suo posto.

I due tributi scesero dalla biga, venendo riaccolti immediatamente da Gilbert, Elizavetha e Feliks, che si complimentarono con loro.
« Cioè, è stato totalmente fantastico! Io sono, tipo, il più grande genio della moda! »
« Feliks? »
« Sì, Elizavetha? »
« Piantala! »
Mentre le labbra dello stilista si schiudevano in modo buffo per la sorpresa e l’indignazione, quelle degli altri presenti si stirarono in sorrisi sinceri, probabilmente gli ultimi prima che iniziasse la tragedia.

Ma in quel momento, uno strano sentore sulla nuca fece smettere di sorridere Ludwig: una fastidiosa sensazione di essere osservato. Girò di scatto la testa, scrutando in giro i tributi degli altri distretti, alla ricerca della persona che così insistentemente aveva puntato il proprio sguardo su di lui: nessuno, tutti impegnati con i loro stilisti e mentori a discutere sulla parata appena avvenuta.
« Ehi, Lud, che ti prende? » sentì la voce del fratello al di fuori del proprio campo visivo tentare di riportarlo alla realtà. Il biondo scosse la testa senza guardare il suo mentore « Nulla, solo uno strano presentimento » si giustificò, tornando a guardare Gilbert, che sdrammatizzò « Non farti questi problemi adesso, nell’arena ne avrai tutto il tempo! Ora andiamo »
 

Ludwig doveva restare attento, ascoltare, ne andava della sua sopravvivenza, ma non ci riusciva, essendo troppo impegnato a squadrare e valutare coloro che sarebbero diventati suoi avversari.

S’impose di prestare attenzione alla guida, che stava insegnando loro ad accendere un fuoco; sì, era molto utile, ma non vi era nulla di più appariscente di una luce nell’oscurità notturna o di una colonna di fumo in pieno giorno; però la morte per assideramento si prospettava lenta ed agonizzante. Doveva guardare ed imparare, ai nemici avrebbe pensato dopo. Li aveva già studiati, in parte, con Raivis e Gilbert, la sera prima.

Finita la spiegazione, tutti i tributi presero le armi che meglio sapevano usare. Cominciava, per Ludwig, l’osservazione.
 
« Perché dobbiamo conoscere gli altri? » l’albino scosse la testa alla domanda di Raivis « Credete davvero di poter vincere da soli come il magnifico? Vi serviranno alleati, i migliori, e dovrete eliminarli non appena non vi saranno più utili. Dovrete dimostrarvi forti, nessuno vorrà allearsi con dei deboli … bene, cominciamo »

Cercava di ricordare nomi e caratteristiche sommarie di tutti i concorrenti, ma la confusione nella sua mente si faceva sempre più intensa e l’agitazione gli aveva annebbiato la memoria.
« Ricordate! Dovete trovare anche i loro punti deboli! »
Non appena un ragazzo biondo si fece avanti nella sua direzione, brandendo tra le mani una grossa ascia, parte della sua amnesia sparì, ricordando nome e distretto, come se lo stesso Gilbert glielo stesse sussurrando nell’orecchio.
Matthias Kølher, distretto 4.
Lo vide rigirarsi l’arma tra le mani, poi sopra la testa e infine, con tre colpi decisi, mozzare di netto le braccia e la testa ad un manichino di prova. Un brivido gli percorse la schiena, come al resto dei presenti che lo osservavano. Matthias sorrise compiaciuto. In quel momento, un ragazzo dai capelli biondo avorio e gli occhi blu affondò metà lama di un coltello nello stomaco del manichino mozzato. Soffiò delicatamente sul ciuffo ribelle prima di estrarre l’arma. Matthias gli diede una sonora pacca sulle spalle « Complimenti, Lukas, proprio bravo! » Lukas Bondevik, distretto 4.

Il più giovane guardò l’altro « Toccami ancora e sarai il primo che ucciderò nell’arena » fece mortalmente serio. Kølher rise sonoramente, come se non credesse a quelle parole.

Ludwig spostò lo sguardo: due ragazzetti orientali stavano apparentemente discutendo, ma non sembrava nulla di serio. Kiku Honda e Im Yoong Soo, distretto 3 snocciolò a mente Ludwig, prima di alzarsi, prendere una spada dal porta-armi lì vicino e imitare Matthias.

Piantò la lama in profondità nel ventre del manichino di prova. Estrasse l’arma, facendola ruotare velocemente e mozzando la gamba sinistra. Piroettò su se stesso, prendendo abbastanza velocità per staccare la testa del tutto, quando un sibilo fin troppo vicino al suo orecchio lo bloccò. Un secondo dopo vide una freccia spuntare dalla fronte della sagoma. Lentamente, a scatti, si voltò notando, alle sue spalle, un ragazzo di circa sedici anni impugnare un arco con un sorriso beffardo dipinto in viso. Non sembrava minimamente preoccupato di ciò che sarebbe successo se avesse ferito Ludwig, come se avesse la certezza che non avrebbe sbagliato il colpo. Un formidabile tiratore, senza ombra di dubbio. Il numero sul suo braccio indicava che il ragazzo era del distretto 1, ma anche senza quell’identificazione il biondo non aveva dubbi su chi si trovasse di fronte: Tino Väinämöinen.

« Togliti da lì, distretto 6 » l’ordine era stato impartito da un altro tributo che si era affiancato a Tino; non molto alto, con una massa di capelli biondo scuro e lo sguardo truce: Vash Zwingli, distretto 2.
« Ti ho detto di toglierti da lì » Vash estrasse un coltello, incurante che Ludwig era ancora al proprio posto. Lanciò la lama verso l’altro, che si tolse dalla traiettoria appena in tempo per vedere la lama colpire il bersaglio, insieme ad un’altra freccia lanciata nel medesimo istante. Vash e Tino si scambiarono un’intensa occhiata maligna. Su di loro erano puntati gli occhi di molti presenti, che ammutolirono nel notare la loro bravura.

In quel silenzio, però, un rumore metallico giunse alle orecchie di tutti. Si voltarono ed un grottesco spettacolo attese i loro sguardi. Tre ragazzi, tra i diciassette e diciotto anni, erano impegnati in un combattimento che, per quanto misurato, sembrava una danza. Un orientale impugnava un tridente che maneggiava alla perfezione. Deviava sinuosamente le lame degli altri due contendenti ed elargiva precisi affondi, che venivano abilmente evitati da un ragazzo biondo che brandiva due spade. I capelli mossi, il ciuffo e gli occhiali, che coprivano gli occhi azzurri, sobbalzavano ai movimenti, che sembravano sempre  dettati dall’istinto. Parava e colpiva furioso, senza pensarci due volte. L’ultimo, invece, faceva paura. Imponente, non vi era altro modo per descriverlo. Alto e biondo, teneva in mano un’enorme ascia con la quale si difendeva prontamente e attaccava con sguardo calcolatore e la forza di un toro.

Quando si fermarono, esausti e sudati, si osservarono in silenzio, prima di sorridere, ben consapevoli dell’attenzione che avevano attirato e del timore che avevano sparso. Lo stratega Octavianus li guardava con interesse.
Yao Wang, distretto 1; Alfred F. Jones, distretto 2; Ivan Braginski, distretto 10.
In quel momento, la paura pervase Ludwig. Se, magari, prima aveva una pallida speranza, dopo quella visione, la possibilità di uscire dall’arena si tramutava in un’utopia.
 

Tutti, in quell’appartamento, erano agitati. Tutti guardavano con apprensione lo schermo, dove Antonio, con il suo particolare ed esotico accento, leggeva i risultati che avevano ottenuto i tributi dopo tre giorni di allenamenti e osservazione. Feliks si mangiucchiava nervosamente le unghie, Raivis si guardava in giro con spaesato timore, Gilbert batteva il piede per terra, Elizavetha camminava quasi ossessivamente avanti ed indietro e Ludwig fissava intensamente il volto gioviale del presentatore, in quel momento serio e concentrato.

Il biondo aveva attentamente ascoltato i voti ottenuti dai suoi principali avversari e non l’avevano per nulla rassicurato: Tino e Yao, distretto 1, avevano ottenuto rispettivamente 9 e 10; stessa identica cosa per Vash e Alfred.

Quando Carriedo nominò Raivis, tutti trattennero il fiato. La voce del conduttore risuonò poi per tutta la stanza, menzionando un deprimente 5. Tutti guardarono il giovane tributo con tristezza e apprensione.
« Ludwig Beilschmidt, distretto 6, con un punteggio di nove » sentenziò Antonio dallo schermo e l’aria soffocante di prima si distese in esclamazioni di gioia da parte di tutti, anche dello stesso Raivis.

Il biondo guardava esterrefatto l’uomo nello schermo, che continuava a parlare, quasi sicuro che avesse commesso uno sbaglio. Come era possibile che avesse ottenuto l’identico punteggio dei tributi del primo e secondo distretto? Mentre si copriva con una mano la bocca spalancata per lo stupore, versi di approvazione e complimento si riversavano dalle bocche di tutti i presenti. Ma questi si ammutolirono quando il risultato di Ivan Braginski venne pronunciato dalle labbra di Antonio: undici.
La paura attanagliò di nuovo gli animi.
 

Ludwig si guardò allo specchio. Il suo abito non lo convinceva affatto. Quella serata non lo convinceva affatto. La trovava superflua ed ipocrita. Un ultimo saluto, sotto gli sguardi curiosi degli abitanti di Capitol City che godevano nel vederti fare battute stupide o rivelazione epocali solo per cercare di piacere loro.
Scosse la testa e, anche con quel minimo movimento, i minuscoli frammenti del materiale delle sue ali alla parata iniziale, rifletterono la luce, mandando piccoli bagliori verso lo specchio.

« Wow, Lud, sei magnifico quasi quanto me! » esclamò Gilbert, appena entrato nel camerino. Il minore scosse ancora il capo, per poi voltarsi verso il fratello « Odio tutto questo » sospirò con disappunto. Vedendo la faccia stranita del maggiore, cominciò a spiegare « Odio cercare di piacere alla gente. Non ne sono mai stato in grado. Eri tu quello che aveva sempre la cerchia attorno, quello bravo a farsi gli amici. Eri simpatico a Bonnefoy e lo sei tutt’ora. Io non ne sarò capace … » confessò affranto.

In un gesto fraterno, l’albino posò la mano sulla spalla del biondo « Non farti questi problemi. Rispondi alle domande e mostrati sicuro di te: al pubblico piacciono risposte strappalacrime e battute divertenti » disse con dolcezza e comprensione. Il più giovane lo ringraziò con lo sguardo, prima di sorridere nel veder tornare il ghigno spavaldo del fratello « Ora va’ e dimostra cosa significa essere fratello del Magnifico! »
 

Tutti i tributi erano in fila di fronte alla porta che dava sul palco. Udirono uno scroscio di applausi quando il maestro di cerimonia Francis fece il suo ingresso, mandando un caloroso bacio a tutte le ragazze tra il pubblico che scoppiarono in gridolini eccitati.
« Ah ah ah, buonasera signore e signori! » cominciò « Benvenuti a tutti a questa serata speciale! Come ben sappiamo, questa è l’ultima volta che potremo vedere i nostri amati tributi; infatti » il suo tono di voce divenne grave « entro due settimane moriranno tutti … tranne uno … » si mise a sorridere, prima di urlare « Facciamo loro sentire il nostro calore! »

Ludwig scosse la testa disgustato da tutta quella ipocrisia: loro stavano per morire e il pubblico si esaltava. Tino Väinämöinen andò sul palco, accolto dagli applausi di tutti.

Ludwig attese con pazienza il proprio turno, ascoltando con attenzione ogni intervista di Francis, per lo più domande sulla vita privata dei tributi. Perché chiedevano quello? Cosa importava delle loro relazioni? In che modo rispondere li avrebbe resi più simpatici e desiderabili al mondo?

Se lo chiedeva, il biondo, mentre osservava il conduttore rivolgere uno sguardo malizioso ad Arthur Kirkland, distretto 5, che lo guardava quasi schifato poiché Francis teneva una sua mano tra le proprie.

Arrivò poi il suo turno, dopo quello di Raivis, che aveva praticamente balbettato per tutto il tempo. Nonostante fino a quel momento fosse rimasto calmo, l’ansia gli attanagliò le viscere. L’imbarazzo lo prese completamente, finché una mano non si posò sulla sua spalla. Si voltò e vide gli occhi sicuri di Gilbert che lo incoraggiavano. Annuì non molto convinto, ma si avvicinò all’entrata del palco a testa alta.

Sentì le parole del maestro di cerimonia mentre lo presentava al pubblico « Il primo giorno in cui lo abbiamo visto ci ha letteralmente abbagliati. Vediamo se anche stasera si presenterà con la stessa energia: Ludwig Beilschmidt! »

Sentendo il suo nome, il ragazzo entrò, venendo subito accecato dai potenti fari che si puntarono immediatamente su di lui. I suoi abiti cominciarono a brillare e un applauso ancora più fragoroso di quello che lo aveva accolto rimbombò per tutta la sala.
Sentì la risata di Bonnefoy « Ah ah ah, magnifico! Semplicemente magnifico! » disse, invitandolo ad accomodarsi sulla poltrona accanto alla propria.
« Anche se credo che quello sia il titolo di Gilbert! Infatti, sei suo fratello giusto? Sei qui per eguagliarne le orme, mon cher? » domandò.

Ludwig sorrise: sì, quello era il momento giusto per far scendere un po’dal piedistallo il suo caro parente, anche se non era propriamente nel suo carattere.
« Eguagliarlo? Sono qui per diventare migliore di lui! » affermò sicuro, sentendo una risata riempire la sala. Quando anche Francis smise di sogghignare chiese ancora « È il tuo mentore, giusto? E com’è lavorare con lui? » Ludwig fece finta di pensarci « Fastidioso. Come se non fosse stato abbastanza sopportarlo quando ero a casa » un’altra risatina si alzò dalla folla.

Francis si fece d’un tratto serio « Ma, Ludwig, tutta Panem sa del tuo sacrificio per salvare il petit Felisién Vargàs. È tuo amico? »
E il ragazzo fu indeciso su cosa dire. Rivelare la sua relazione con Feliciano e rischiare di perdere i favori degli sponsor? Meglio di no « Sì, il mio migliore amico ».

Francis gli rivolse uno strano sguardo, come se non gli credesse, ma non volle approfondire la faccenda « Vuoi dirgli qualcosa? » il tributo annuì, volgendo lentamente la testa verso la telecamera.
Deglutì « Feliciano … te lo giuro: tornerò a casa! » un boato di approvazione accolse quella promessa.

Ludwig si alzò insieme al conduttore, che sollevò al cielo la sua mano, gridando ancora una volta il nome.
 

Tutti, compreso il piccolo Raivis, gli fecero i complimenti, nonostante Gilbert fosse alquanto infastidito per tutte le prese in giro.

Dallo schermo giunse l’annuncio di Francis dell’arrivo del ragazzo che aveva ottenuto il punteggio più alto tra i tributi: Ivan Braginski, distretto 10.
L’opinione di Ludwig non cambiava: Ivan sembrava molto più grande dei diciotto anni che dichiarava. Persino lo stesso maestro di cerimonie sembrava inquietato dal sorriso del ragazzo.

Francis tirò la bocca in quello che spacciò per sorridere « Allora, Ivan, benvenuto. Ti trovi bene a Capitol City o ti manca qualcuno al tuo distretto? Magari qualche bella ragazza; sembri una persona niente male, avrai schiere di donne che ti corrono dietro, dovrai stare attento! »
Il tributo scosse la testa, continuando a sorridere in modo agghiacciante « L’unica ragazza che mi corre dietro è mia sorella Natalia … anche se, in effetti, devo stare attento con lei … » il conduttore fece una risatina e così anche il resto della platea, ma Ivan sembrava invece incerto, come se fosse davvero infastidito dal pensiero della sorella. Francis scosse la testa, divertito « È più grande o più piccola, questa sorella? »
« Più piccola. Avevo una sorella maggiore, ma è morta sei anni fa negli Hunger Games. È stata uccisa da Gilbert Beilschmidt, durante le fasi finali » ammise grave il ragazzo.

Francis deglutì e, prima che potesse chiedere qualcosa, Braginski prese l’iniziativa, voltandosi verso la telecamera « Ricorda, Gilbert Beilschmidt: occhio per occhio »
A quelle parole, il mentore del distretto 6 fremette di paura. Rimase per un tempo interminabile con lo sguardo incollato allo schermo, mentre i suoi ricordi tornavano ancora una volta indietro, all’ultimo, fatidico giorno dei suoi Hunger Games. Teneva in mano il coltello e, animato unicamente dall’istinto di sopravvivenza, uccideva una bella ragazza, bionda e formosa, che solo in quel momento riacquistava un volto ed un nome: Katyusha Braginskaya.
E in quel momento, a sei anni di distanza, il fratello minore voleva vendetta.

Gilbert si voltò: tutti lo stavano fissando spaventati e preoccupati. Un ghigno teso comparve sulle sue labbra « Andate a dormire, domani sarà una giornata impegnativa »
Dentro di sé, l’albino era congelato dalla paura. Guardava i compagni di sventura con una spavalderia che in quel momento non gli apparteneva e faceva di tutto per nascondere il tremolio delle sue spalle e delle sue ginocchia, evitando in qualsiasi modo di incrociare lo sguardo con Ludwig « Allora? Su, via! » fece un gesto con la mano per dare ancora più enfasi alle parole.

Tutti, anche se parecchio perplessi, abbandonarono il mentore, che, dopo pochi istanti, nei quali chiuse gli occhi e fece un gran respiro, li seguì, tenendo la testa bassa.
Occhio per occhio: Braginski voleva portargli via il fratello.
 

Ludwig faticava a dormire. Poche ora dopo sarebbe cominciata la battaglia per la sopravvivenza e lui si sentiva tutt’altro che pronto. Stava a rigirarsi nel letto che sembrava per niente comodo. Si mise a sedere, guardando la stanza in penombra a causa della luce lunare. Si alzò, poi, controllando l’ora: due del mattino. Ancora sei ore e, forse, sarebbe morto. Scosse la testa a quel pensiero. No, avrebbe fatto di tutto purché non accadesse.

Uno strano rumore lo distolse dai suoi ragionamenti. Si avvicinò lentamente alla porta della camera, sbirciando nel corridoio e notando che la luce del bagno era accesa. La figura inginocchiata di Raivis faceva capolino dallo spiraglio della porta. Capendo improvvisamente cosa stava succedendo al giovane tributo, Ludwig corse alla toilette per aiutarlo.

Il dodicenne stava piegato sulla tazza del gabinetto a rimettere tutto ciò che aveva mangiato a cena. Il suo volto pallido era stravolto dall’ansia e dal dolore
« Raivis! Raivis! Che succede? » domandò preoccupato il tributo più grande, tenendogli una mano sulla fronte madida di sudore. Gli occhi chiari del più giovane erano appannati di lacrime e residui di bile gli colavano dagli angoli della bocca. Dopo che si fu sfogato del tutto, Ludwig lo rimise in piedi, prendendogli un bicchiere d’acqua e invitandolo a sciacquarsi la bocca « M-mi scusi … grazie, Ludwig … » disse flebile.

Il diciassettenne scosse la testa alla formalità del ragazzino « Ti sei sentito male, Raivis? »
« N-no è solo l’agitazione … e l’ansia … » mormorò mesto, distogliendo lo sguardo dagli occhi blu del biondo.
« Anch’io sono molto agitato per domani; penso lo siano tutti i tributi di questo palazzo »
« Tu non ne hai motivo … Sappiamo perfettamente cosa mi accadrà domani! » esclamò spaventato « Non ho possibilità di sopravvivere »
Ludwig incrociò le braccia « Hai sentito cosa ha detto il primo giorno Gilbert, no? Se hai un buon motivo, lotterai fino alla fine. E tu hai un buon motivo, vero? »

Raivis annuì, poco convinto per poi guardare Ludwig « Ma tu ne hai uno più grande: Feliciano, il figlio del fornaio. Se non sbaglio è tuo caro amico »
Il diciassettenne annuì lentamente, per poi scuotere la testa in un cenno di diniego « Non è esattamente solo un amico » ammise arrossendo e distogliendo lo sguardo; sentiva su di sé gli occhi sgranati dalla sorpresa del più piccolo « Ti senti meglio ora? Torniamo a dormire, domani dovremo essere al massimo delle nostre forze » disse Ludwig, continuando a non guardare Raivis, il quale se ne stava con la testa bassa e tremava impercettibilmente « Ludwig, mi puoi promettere una cosa? »

Il più grande si voltò, stranito da tali parole  e dal tono calmo del dodicenne « Cosa stai dicendo, Raivis? »
« Promettimi che domani, appena inizieranno gli Hunger Games, tu continuerai a correre e non ti volterai indietro, per nessun motivo »
« Raivis, ma cos-»
« Promettimelo! »
« Va bene, te lo prometto! » giurò, senza sapere per quale motivo stava dando la sua parola.


LA TANA DEL LUPO:
Ecco il secondo capitolo, più lungo del primo. Se avete domande, non esitate a farle!
Baci, Lupus.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III: Le regole della sopravvivenza ***


Vedo già le recensioni negatove per questo capitolo...non vogliatemene male. Se avete domande non esitate a chiedere


CAPITOLO III: LE REGOLE DELLA SOPRAVVIVENZA
 

Il localizzatore prudeva ancora nel braccio. Ludwig si passò una mano sul segno della puntura, frizionandolo.
Attendeva che il fratello gli porgesse la giacca per poi entrare nel tubo che lo avrebbe condotto all’arena. Non ascoltava le parole concitate dell’albino, tanto era sicuro che nemmeno lui sapesse cosa stesse dicendo, tanta era l’agitazione che permeava l’aria in quei momenti.

Gilbert lo invita ad avvicinarsi, aiutandolo ad infilare la giacca « Come puoi sentire è molto pesante e imbottita: ci sarà freddo nell’arena; non scendere dal piedistallo prima della fine del tempo: sai già cosa accadrebbe; appena si inizia, corri sempre in una direzione, se ti capita di trovare uno zaino per terra mentre corri, raccoglilo in fretta, ma non azzardarti a fermarti alla Cornucopia, è un bagno di sangue ogni volta » parlava concitato, senza fermarsi nemmeno per respirare e nemmeno per guardare Ludwig in faccia. Lo fece solo quando una voce annunciò che tutti i tributi dovevano entrare nei tubi.

Gli occhi cremisi tentavano di tutto pur di tenere intrappolate le lacrime che minacciavano di scappare. Lo fecero non appena lo sguardo del mentore incontrò quello blu e spaventato del più giovane. Gilbert passò entrambe le braccia intorno alle spalle di Ludwig, stringendolo a sé in un caloroso di abbraccio di buona fortuna e, forse, addio. Il biondo ricambiò, un po’ titubante la stretta, che si accentuò ancora di più quando alcune parole furono sussurrate al suo orecchio « Lud, fra poche settimane al massimo ti voglio a casa, è chiaro? » e al più giovane venne da ridere al pensiero che quella frase fosse stata sussurrata quasi con lo stesso tono con cui Gilbert, anni prima, lo ammoniva sull’ora in cui doveva ritornare la sera.

I loro sguardi si incatenarono l’ultima volta quando, nel tubo, il tributo veniva spinto nell’arena: sperava di poterlo rivedere, un giorno.
 
L’arena era abbagliante. E non per il sole. Quello faceva appena capolino tra la coltre di nubi.
È uno scherzo, vero?

Quello era l’unico pensiero che si aggirava tra le menti di tutti i tributi quando si ritrovarono immobili sui piedistalli, che erano bloccati all’interno di un lago ghiacciato. Tutt’intorno ( le alture, gli alberi, la Cornucopia ) era avvolto da uno spesso strato di candida neve. Il vento freddo tagliava le guance, lo strato di ghiaccio dell’acqua minacciava di rompersi da un momento all’altro.

I secondi che li separavano dall’inizio brillavano al di sopra della fredda Cornucopia e le collinette si estendevano al di là di questa.
Quindici secondi.
Forse i suoi ultimi attimi di vita. No, non doveva pensarci, doveva solo correre, afferrare uno zaino e correre di nuovo. Doveva essere veloce. Si guardò intorno: Raivis era qualche postazione più in là.

Dieci secondi.
Ripensò a Raivis, Gilbert, Elizavetha, Feliks … e Feliciano. Il suo amato moretto che forse in quel momento lo stava osservando o forse stava facendo di tutto per non guardare il suo fidanzato massacrato in quell’arena. Ripensò all’ultima volta che avevano fatto l’amore. A quelle labbra sottili che lo baciavano dappertutto, a quel corpo esile che si agitava ad ogni sua spinta.
Ludwig sorrise: se quelli erano i suoi ultimi pensieri prima di morire, allora era contento.

Cinque secondi.
Un urlo di una voce minuta squarciò l’aria: tutti i tributi, nello stesso istante si girarono verso il dodicenne del distretto 6 che gridava al cielo frasi a stento comprensibili « LUDWIG! RICORDA NOSTRA PROMESSA! »

Un moto di sorpresa invase i cuori di ogni singolo ragazzo lì in attesa che scoccasse anche l’ultimo secondo per iniziare la mattanza.
Quello del diciassettenne si fermò del tutto quando vide la gamba di Raivis lasciare il suo posto prima del tempo e l’altra seguirla.
L’esplosione arrivò sonora alle orecchie sconcertate e spaventate di tutti.
E Ludwig non capì il perché di quel rumore, sentiva solo il freddo.
Un corpicino esile, bruciato e con gli occhi vuoti cadde lento verso la superficie ghiacciata del lago.
E Ludwig non capì perché al posto di Raivis ci fosse quel fantoccio inanimato, sentiva solo le membra pesanti.
Tutti i tributi guardarono inorriditi il corpo carbonizzato di quello che era uno del distretto 6.

E Ludwig capì la promessa fatta la sera prima.
Ignorò il mondo intorno a sé. Dimenticò quello che era appena successo. Guardò avanti e, come mosso da un’entità superiore, cominciò a correre, mentre tutti gli altri lo fissavano sorpresi, ancora scossi da ciò che era avvenuto. Come appena risvegliati da una trance, si resero conto che gli Hunger Games erano iniziati e subito i ragazzi cominciarono a correre per raggiungere la cornucopia e Ludwig, che imperterrito aveva continuato ad avanzare, incurante delle crepe che si formano sotto i suoi piedi e del vento che gli schiaffeggiava il volto.

Quando raggiunse la terra ferma gli parve un miracolo. Doveva sbrigarsi, doveva fregarsene della neve che gli stringeva i piedi in una gelata morsa. Prese al volo uno zaino, pronto a scappare di nuovo, a fuggire da tutti gli altri tributi che lo avevano ormai raggiunto. All’improvviso una pessima idea gli balenò in mente. Di scatto, voltò la testa: lì, in bella mostra su un porta armi, stava una lucente spada.

Non ci rifletté a lungo, non poteva permetterselo, così seguì l’istinto che gli intimava di afferrarla e poi scappare. Era un bene che non riuscisse a sentire le maledizioni che venivano scagliate contro di lui dal fratello che, con il cuore in gola, osservava, al sicuro, l’inizio dei giochi.

Ludwig afferrò l’elsa dell’arma, pronto a fuggire, ma altri tributi, nella confusione generale, lo avevano raggiunto.
Grida di dolore e schizzi di sangue volavano nell’aria concitata. Gemiti di sforzo e ansiti di stanchezza gli perforavano l’udito. Doveva andarsene da lì il più in fretta possibile.

Il sibilo gli passò vicino all’orecchio, un deja vù. Troppo vicino. La freccia si piantò nella neve. Con timore, si girò lentamente, incontrando lo sguardo serio e quasi pentito di Tino. Sembrava addirittura scusarsi per le proprie azioni. Incoccò un’altra freccia nello stesso istante in cui una voce sprezzante gracchiò « Tanti saluti, distretto 6 » Vash, con gli occhi determinati, prendeva la mira tenendo stretta in mano una manciata di coltelli. Il lampo metallico si avvicinò al volto di Ludwig a grande velocità. Per mero istinto di sopravvivenza, agitò la lama di fronte a sé, serrando le palpebre.

Lo stridio di due corpi metallici che collidevano fece riaprire gli occhi al biondo: lo aveva deviato. Per puro miracolo, ma lo aveva fatto.

Non pensò ad altro e fuggì, sotto lo sguardo meravigliato di quella prodezza degli altri due, che immediatamente si ritrovarono gettati di nuovo nel caos del bagno di sangue.

Ludwig corse finché le gambe non lo ressero più in piedi. Su per l’altura, dentro la boscaglia innevata, con il gelo che dilaniava le vesti e la carne.

Si diede pace solo quando pensò di essere abbastanza lontano da tutti. Solo in quel momento la stanchezza e la consapevolezza di quello che era successo lo invasero: era sopravvissuto; Raivis si era sacrificato per quello; lui aveva una vita sulla coscienza e un ennesimo motivo per non crepare in quel luogo.

Doveva resistere fino alla fine. Doveva trattenere le lacrime, non era affatto il momento di mostrarsi deboli.
L’attenzione poi gli cadde sul suo bottino. Lo zaino era rimasto integro nonostante gli attacchi.

Lo aprì, ispezionandone il contenuto. I due massicci stivali gli saltarono immediatamente all’occhio. Più resistenti e imbottiti di quelli che indossava. Si cambiò subito e il caldo gli invase le gambe. Trovò inoltre un coltello da caccia, rampini e un accendino.

Si guardò intorno: sicuramente non ci sarebbero stati problemi di acqua; il vero guaio era il cibo.
Chiuse gli occhi, inspirando intensamente: a quello ci avrebbe pensato dopo.
Resta nascosto per alcuni giorni, non farti trovare da nessuno.
Gli insegnamenti che Gilbert aveva impartito ad entrambi i tributi gli tornarono in mente in quel momento.

Evita i sentieri che sembrano troppo battuti.
Il biondo cominciò a camminare, doveva allontanarsi dal lago e dalla cornucopia. Si strinse di più nella giacca per far fronte al freddo. Lentamente, mise un piede davanti all’altro, sentendo la neve scricchiolare sotto il suo peso.

Cammina sempre in una direzione, raggiungi i confini dell’arena e resta nelle loro vicinanze: sei per certo protetto alle spalle.
In quel preciso istante, i colpi di cannone vibrarono nell’aria. Ludwig si bloccò, restando in ascolto.
Quando l’ultimo risuonò, il biondo fece i calcoli: sette rimbombi, aveva altri sedici avversari da eliminare.
Riprese il suo cammino.

Camminò per due giorni, durante le quali il cannone tuonò un’ottava volta.
Ricorda, cerca alleati. Forma un’alleanza con altri tributi, uno, massimo due. Alleanze troppo numerose creano problemi fin da subito.

A quello ci avrebbe pensato il giorno dopo, ora doveva trovare del cibo. Forse ce n’era alla cornucopia, ma era troppo pericoloso tornare e rischiare di incappare in qualche avversario, magari tra i favoriti.

Il lago ghiacciato di apparente acqua dolce che trovò poco dopo gli sembrò perfetto: probabilmente, sotto la superficie gelata, si aggiravano dei pesci.
Incise il ghiaccio col coltello, aprendone un foro.

Mentre tentava in tutti i modi di procacciarsi qualcosa con cui cibarsi, intuiva che la difficoltà di quel gioco non erano gli altri tributi da cui difendersi; quello era solo un problema in più. Il vero ostacolo da superare era la sopravvivenza ad un terreno ostile a cui non erano minimamente preparati.

Sarebbe stato complicato, ma non si sarebbe arreso: aveva una promessa da mantenere.
 

I giorni successivi furono freddi e vuoti. La temperatura si stava abbassando sensibilmente.
Se cerchi un luogo per dormire, sali su un albero o nasconditi in una grotta. Rimani il più discreto possibile.

Con quel freddo, aveva evitato gli alberi. Era sicuramente più saggio cercare spaccature nelle rocce, il problema che sorgeva però era che probabilmente anche altri tributi avrebbero fatto il suo ragionamento. Doveva tenersi pronto ad un eventuale scontro con chiunque. Il cannone aveva tuonato un’altra volta, per un totale di nove caduti prima dello scadere della prima settimana.

La fortuna, anche quella volta, parve sorridergli: aveva trovato una grotta, che scendeva in profondità, completamente deserta. Si sistemò il più lontano possibile dall’entrata, sia per ripararsi dal vento freddo della notte sia per farsi notare di meno nel caso fosse arrivato un qualche altro tributo con la sua stessa idea.

Provò a chiudere gli occhi, ma si scoprì ancora incapace di dormire, nonostante la stanchezza che gli tormentava le ossa. Il pensiero che qualcuno potesse arrivare e tagliargli la gola mentre riposava lo costringeva a stare con un occhio aperto.

Sospirò, guardando il cielo scuro che si intravedeva dalla fenditura. All’improvviso cominciò ad illuminarsi: i volti di tutti i caduti cominciarono a comparire troppo velocemente perché Ludwig potesse riconoscerli tutti. Im Yong Soo, distretto 3; Lukas Bondevik, distretto 4; Matthew Williams, distretto 5; Raivis Galante, distretto 6; Eirik Stinnson. Distretto 8; entrambi i tributi del 9; Toris Lorinaitis, distretto 11; Heracles Karpusi, distretto 12.

Almeno sapeva che doveva ancora temere Vash, Tino e la pericolosa triade Yao, Alfred ed Ivan.
Tentò di nuovo di dormire, tenendo vicino a sé la spada, ricordando le notti di quando era piccolo e dormiva accanto al fratello maggiore, che lo sorvegliava nel sonno.
 

Non sapeva quanto quell’immagine fosse vicina alla realtà: infatti Gilbert, da quando erano cominciati i giochi, non aveva staccato gli occhi dallo schermo, intento a seguire ogni azione del minore, commentando le sue scelte sottovoce.

Non si era mosso dalla sua posizione per giorni e a niente erano valse le parole di Elizavetha che gli intimavano di riposare in quanto non potevano essere di aiuto ai tributi. Lui non l’aveva ascoltata, scacciandola pure in malo modo, con conseguente lite. In quel momento se ne pentiva, soprattutto per tutti i lividi che si ritrovava sul corpo.

Ed era ancora, in piedi, ad osservare ogni movimento del fratello, mentre un rumore di passi si avvicinava a lui. Non reagì male quando la suddetta persona gli comparve alle spalle, poiché l’aveva già riconosciuta. Avrebbe saputo capire a chi apparteneva quella camminata tranquilla e posata anche tra mille altre « Hai ancora intenzione di stare a guardare cosa succede in quell’arena, mon ami? » chiese in tono quasi preoccupato Francis Bonnefoy, guardando la schiena dell’albino « Sì. E sappi che lo farò finché Ludwig non tornerà a casa con il Magnifico »

L’uomo guardò le spalle del più giovane, passandogli un braccio intorno e mettendosi al suo fianco, cominciando a contemplare anche lui le immagini che gli scorrevano davanti.

Li legava una strana amicizia: quel ragazzo gli era simpatico sin da quando gli si era parato davanti all’ultima serata prima di entrare nell’arena. E quando gli aveva augurato di vincere lo aveva fatto davvero. Era stato sollevato quando lo aveva visto uscire vincitore e poche settimane dopo lo aveva chiamato. Era stata una telefonata lunga e, all’inizio, diffidente; poi, con il passare del tempo, più rilassata e tranquilla. La strana e solida amicizia alla fine era sbocciata.
« Gilbért! Reste tranquille! Il pubblico sembra adorare tuo fratello! Non verrà lasciato morire tanto facilmente! »

Il vincitore sembrò poco convinto, ma si abbandonò all’abbraccio fraterno elargito dall’uomo « Andiamo a dormire, mon ami » un sorriso tirato comparve sul volto di Gilbert, che seguì il conduttore fuori dalla stanza.
 

Erano passati sedici giorni. Il cannone aveva tuonato altre sei volte.
E Ludwig si stava maledicendo. Aveva fatto un errore madornale: le alleanze, nell’arena, si erano formate e lui era rimasto da solo. Sapevano che era ancora vivo, li aveva sentiti una notte.
 
« Deve per forza essere rimasto da solo, non è morto e non può essere uscito dall’arena. Allora dov’è?! »
« Calmati Alfred-aru! Urlare servirà solo a farci scoprire! » Ivan, seduto su un masso gelato, assisteva in silenzio al battibecco.
 
Le paure di Ludwig si erano rivelate fondate: Ivan, Yao e Alfred avevano formato un’alleanza; la stessa cosa, era venuto a sapere, era accaduta anche con Vash e Tino. Ed entrambi i gruppi lo stavano cercando ed era facile intuirne il motivo: era solo ed aveva ottenuto uno dei punteggi più alti. Era una minaccia, ma facilmente eliminabile. Poi entrambi avrebbero pensato ad eliminarsi a vicenda per poi prestare attenzione agli ultimi rimasti.

Alla mattina del diciassettesimo giorno, il biondo era distrutto: non aveva praticamente chiuso occhio per tutta la notte, troppo impegnato a captare qualsiasi movimento nelle vicinanze della grotta in cui si era spostato e troppo occupato a riflettere come agire, pensando seriamente di rimanere invisibile a tutti finché anche l’ultimo tributo non sarebbe deceduto.

Si alzò, distendendo i muscoli, pronto ad intraprendere una nuova giornata di sopravvivenza, ringraziando che, fino a quel momento, non si era dovuto sporcare le mani di sangue, ma ben consapevole che presto o tardi sarebbe diventato un assassino anche lui.

Uscì dalla grotta. Tutto si aspettava quella mattina, ma non di certo che la lama lunga e sottile di una spada gli desse il buongiorno « Muoviti e ti uccido » gli sussurrò all’orecchio una voce spaventata quasi quanto lo stesso Ludwig. Il biondo voltò lentissimamente la testa, riconoscendo immediatamente il suo futuro carnefice:
distretto 3, Kiku Honda.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV: Aiutami ***


CAPITOLO IV: AIUTAMI
 
Ludwig tratteneva il respiro. Se avesse anche solo provato ad espirare si sarebbe sgozzato. Si allontanò impercettibilmente con il capo dall’arma « Tu non vuoi uccidermi, Kiku: non ti saresti fermato a minacciarmi » se lo stava inventando. Forse l’orientale aveva semplicemente esitato perché troppo spaventato per uccidere una persona.
Intravide una scintilla di ammirazione brillare nei suoi occhi « Bravo. Ti ammiro, per questo voglio allearmi con te » ammise.

« E me lo chiedi puntandomi una lama alla gola? » domandò ironico.
Come se si fosse accorto solo in quel momento del proprio gesto, abbassò la spada, una katana, e si inchinò profondamente « Perdonami, hai perfettamente ragione »

Ludwig sgranò gli occhi per la sorpresa e l’unica cosa che gli venne da dire fu « Non dovresti fare così: ci metterei un secondo a tagliarti il collo »
« Giusto » disse, rialzandosi.

Se ne accorsero entrambi appena in tempo.
Dal di sopra della grotta, al loro fianco, una figura bionda balzò contro di loro. Si scansarono entrambi appena in tempo per evitare le lame di due spade che avrebbero aperto i loro crani a metà se non le avessero evitate.

Caddero tutti e due nella neve e Ludwig ebbe appena il tempo per raccogliere la sua spada che il loro aggressore giunse su di lui, pronto a finirlo. Parò il colpo dell’arma dell’altro con la sua spada e per un singolo istante gli occhi azzurri dei due contendenti si scontrarono in un altro duello.

In quel momento Kiku tornò alla carica, ma Alfred deviò con una facilità disarmante la katana dell’altro. I suoi movimenti erano ancora impetuosi e istintivi, ma sembrava aver affinato la tecnica: probabilmente molti tributi erano caduti per mano sua. E se non fossero cambiate immediatamente le cose, avrebbero fatto parte anche loro della lista.

Strinse l’elsa della sua spada, lanciandosi contro il nemico per salvare il neo-alleato.
Alfred si accorse di quell’assalto e, tenendo bloccato la spada dell’orientale con una sola mano, assestò una potente gomitata nello sterno di Ludwig. Questi si piegò, con le lacrime agli occhi, ma riuscì a vedere Alfred allontanarsi di
qualche metro dai due.

« Alfred F. Jones, distretto 2, non è così? Sei così incosciente da attaccarci tutti e due da solo? » domandò Kiku, alzando la propria arma di fronte a sé.

L’avversario sembrò sinceramente offeso da quelle parole « Come osi definire incoscienti le gesta di un eroe? » chiese indignato, portandosi una mano al petto nell’indicare se stesso come eroe. Ludwig pensò che il suo ego poteva essere tranquillamente paragonato a quello di Gilbert.

« In realtà » continuò, indicando Ludwig con la punta della spada « Ero venuto qui solo per il biondino. Ho impiegato così tanto tempo nel cercarlo che quando l’ho visto non ho esitato un attimo ad avvicinarmi, ma pensavo fosse solo; non avevo tenuto in conto te … beh, poco male! Vi ammazzo, cosi ci sono due minacce in meno! »
Le sue manie di protagonismo sembravano non avere limiti.

« Pensi davvero di poterci battere entrambi, Alfred? »
« Un eroe non si tira mai indietro di fronte alle sfide. E poi non penso siate un problema così grosso » ammise tranquillo, prima di lanciarsi ancora su Ludwig con una forza inaudita.

Il clangore delle armi vibrò nell’aria e il tributo del distretto 6 temette per un istante che la sua spada si spezzasse e che Jones lo uccidesse.
Un altro colpo che parò per miracolo.
La katana di Kiku intervenne e lo salvò da un terzo colpo.
Alfred la deviò, concentrandosi allora sull’orientale con l’altra spada. La sua abilità combattiva era impressionante, era capace di utilizzare due armi contemporaneamente.

Ma non era quello il momento per ammirare le capacità combattive del nemico.
Tentò di colpirlo alle spalle, ma Alfred se ne accorse.
Poi, come a rallentatore, Jones si spostò di lato, convergendo contemporaneamente le armi dei due tributi con le sue spade.

Un secondo dopo, la lama di Ludwig collise con quella di Kiku, nello stupore e nella paura di entrambi.
Come due lampi, le armi di Alfred, che stava al loro fianco, saettarono verso le loro gole.
In uno scatto adrenalina, l’orientale balzò indietro; il biondo si abbassò, ma uno strato di ghiaccio sottile lo fece scivolare e cadde con la schiena a terra.

Il pallido sole fu oscurato dalla sagoma del tributo del distretto 2 che stava per affondare la lama nel petto del biondo con misurata lentezza, come se volesse godersi ogni singolo istante dell’omicidio che stava per compiere.
Del tutto guidato dall’istinto, Ludwig calciò con forza lo stinco di Alfred, che perse l’equilibrio e cadde verso l’altro, che chiuse gli occhi, pronto a sentire la gelida lama trapassargli la carne mentre si faceva scudo con le mani.

Ma invece del freddo dell’arma che lo uccideva, avvertì il calore. Sentì un rivolo caldo accarezzargli lo zigomo e la pressione di un corpo esanime sul proprio.

Il rumore del cannone si propagò in tutta l’area.

Solo in quel momento si capì di cosa era accaduto: nel tentativo di fermare la caduta di Jones con le mani, non si era reso conto di tener ancora stretta in mano la sua spada. Poteva vederla brillare, al di sopra della spalla del’ormai defunto avversario, di sole e di cremisi, trapassando completamente la cassa toracica.

I conati di vomito tentarono prepotenti di risalire dal suo stomaco, mentre la consapevolezza prendeva possesso di lui: aveva ucciso.

Tutta Panem lo aveva visto, in diretta, diventare un assassino, sporcarsi finalmente le mani di sangue, magari esclamando pure di gioia, mentre si chiedevano perché ci aveva impiegato così tanto a fare la sua prima vittima.

Cominciò a girargli la testa, ad annebbiarsi la vista prima che il cadavere di Alfred venisse spostato dal pronto intervento di Kiku, che l’aiutò a rialzarsi « Tutto bene? Ti ha ferito? »

Il biondo scosse la testa, pallido come un cencio, mentre si teneva lo stomaco con un unico pensiero in mente: l’intero mondo lo aveva visto, anche il tenero, innocente e dolce Feliciano. Fu pervaso da un senso di disgusto, mentre continuava a ripetersi in testa frasi di scuse e richieste di perdono.
 

Altri tre giorni erano passati e non se ne era reso nemmeno conto. I ricordi dell’uccisione continuavano a farsi rivedere vividi nella sua mente in ogni secondo, chiudendolo in un innaturale mutismo. Kiku non aveva provato a spingerlo a parlare: nemmeno lui aveva provato cosa significava togliere la vita a qualcuno, quindi non poteva capire le sensazioni che agitavano l’animo del biondo.

Lo aveva però spronato a mangiare o a bere, prestandogli la propria borraccia, per recuperare le forze, poiché ne andava dell’interesse di entrambi.

Quando giunse la sera il cannone non aveva ancora suonato ed era facile intuirne il motivo: se i loro calcoli erano esatti, erano rimasti in nove e questi comprendevano loro due, Ivan, Yao, Vash, Tino, Matthias e Arthur.

Ma a Ludwig non riusciva più a pensare a nulla e Kiku se ne era accorto: un alleato con così tanti sensi di colpa per un’uccisione non sarebbe servito a molto.
Doveva distrarlo « Tu sei il fratello di Gilbert Beilschmidt, giusto? »

Quella domanda sembrò sortire l’effetto desiderato: un’espressione di sorpresa scacciò quella apatica e preoccupata che da tempo aleggiava sul volto del biondo « Sì, è proprio così » rispose, lievemente confuso.
« Allora vivi nella ricchezza »

Ludwig storse il naso: era ovviamente vero.
I soldi erano diventati fin troppi da quando Gilbert era tornato. Anche gli “amici” erano aumentati, ma era fin troppo chiaro perché si erano avvicinati, nonostante non lo avessero mai fatto. Solo Feliciano c’era sempre stato.

Kiku, non sentendolo rispondere, sospirò rassegnato « Dormi, farò io il primo turno di guardia, stanotte » avvisò, avvicinandosi al fuoco acceso, stringendo la katana.
Ludwig gli lanciò un’occhiata dubbiosa che l’orientale colse subito « Non ti preoccupare, Ludwig-san. Se volessi ucciderti lo farei quando sei rimasto tu da solo, non ora che sono rimasti in vita solo i più forti »

Annuì, sistemandosi meglio accanto alle fiamme, con le mani intirizzite dal freddo.
Scosse la testa: cosa credeva? Quelli erano gli Hunger Games! Pensava davvero di salvarsi senza sporcarsi le mani col sangue degli altri tributi? Quanto era ingenuo! Non poteva farsi prendere da tutte quelle preoccupazioni ogni volta che uccideva o non sarebbe uscito da quell’arena.

Il suo compagno ci aveva provato più volte, in quei giorni, a farlo pensare ad altro, ma aveva fallito ogni volta, poiché l’attenzione del tributo del distretto 6 era troppo concentrata sul corpo di Alfred, che, nella sua mente, ancora lo copriva.

Respirò profondamente « Sì, diciamo che i soldi non ci mancano. Però, oltre ai soldi, sono arrivate anche le amicizie indesiderate. Pochi sono gli amici fedeli … »

Nel sentire l’altro parlare, Kiku si voltò incuriosito « Tipo Feliciano? » chiese senza alcuna malizia, ma,anzi, quasi con candore infantile.
Ludwig sgranò gli occhi nel sentire quel nome e si girò verso l’alleato. Come faceva a saperlo? Poi, i ricordi dell’intervista dell’ultima serata gli affollarono la mente.

Sorrise lieve nel ricordare le parole della promessa fatta in mondovisione al moretto « Sì, come lui … »
Kiku sorrise « Deve essere una persona molto particolare »
« Lui è speciale, sorride in continuazione, vede il lato bello di ogni momento, trasforma l’arte in vit- » si bloccò all’improvviso, rendendosi conto solo in quel momento che le parole che aveva dedicato al moretto erano più per un’amante che per un amico.

Sentì di arrossire e si voltò velocemente dall’altra parte, sotto lo sguardo perplesso e sorpreso dell’altro « Potrei scrivere una storia su voi due » mormorò colpito e soprapensiero l’orientale.
Ludwig si augurò di aver capito male « Che hai detto scusa? »
Kiku scosse la testa ridacchiando composto « Nulla, pensa a dormire, ti chiamerò fra qualche ora »

Con un’ultima occhiata dubbiosa, Ludwig si sistemò meglio che poté, ringraziando che, per una notte, potesse dormire accanto al calore di un fuoco, che lo scaldava insieme al pensiero di Feliciano, nonostante le fastidiose folate di vento che arrivavano da spifferi del fondo della caverna.
 

Il calore lo opprimeva e lo coccolava insieme. Ansimava pesantemente, sdraiato sull’erba di un prato, in una notte di piena estate, con Feliciano seduto sulle sue cosce per la prima volta. Gli donava e riceveva piacere, sussurrava voluttuoso il suo nome. Ludwig lo strinse per i fianchi, andandogli incontro ancora un’ultima volta, prima di sentire il moretto raggiungere l’apice insieme a lui.
Sorrise quando sente l’amato esausto cadergli quasi letteralmente addosso. Il petto nudo di Feliciano appoggiava a quello altrettanto svestito di Ludwig. Il biondo lo abbracciò stretto, appoggiando la bocca al suo orecchio e sussurrando dolci parole. Il giorno dopo ci sarebbe stata la mietitura ed entrambi stavano pregando per se stessi e per l’altro di non venire pescati al loro penultimo anno. Non proprio allora che i loro reciproci sentimenti erano stati rivelati solo pochi mesi prima.

Sentì il moretto passargli una mano tra i capelli scompigliati « Lud, voglio restare qui, non voglio che arrivi domani, non voglio che il mio cuore si fermi per la paura che uno di noi due sia scelto » confessò con un fil di voce.
 « Anch’io ho paura » ammise. Ma purtroppo non si poteva fermare il tempo: il domani sarebbe arrivato e non si sarebbe mai potuto sapere se la fortuna avrebbe sorriso loro.
Non si poteva fare altro che attendere e pregare di non essere le vittime.
 Perché era così che funzionava: la morte di uno era la salvezza per qualcun altro e, per quanto a Ludwig dispiacesse per ogni tributo che veniva scelto, una parte di lui gioiva per essersi salvato ancora una volta.
U n ragionamento giusto e ipocrita allo stesso tempo, ma Ludwig teneva alla propria vita e temeva che, se fosse stato scelto, non avrebbe avuto la stessa fortuna che aveva avuto il fratello.
Be’… forse c’era qualcuno a cui teneva di più della sua stessa vita.
Baciò la testa a Feliciano, giocando con il suo ciuffo arricciato « Te prometto che non ti accadrà nulla, Feliciano »

L’interpellato lo guardò serio e un po’ spaventato « Ti prego, non fare pazzie, Ludwig » disse, prima di sdraiarsi di nuovo sul petto del suo amante. Rimasero immobili ancora per alcuni minuti, prima che la voce del moretto spezzasse ancora il silenzio « Lud? Ti va di farlo ancora? »
E, a quella domanda apparentemente innocente, il biondo non seppe dire di no.
 

Il tocco che lo svegliò, però, non era quello delicato e morbido di Feliciano. Era più deciso e sicuro, voleva farlo scattare in piedi e non avrebbe ammesso repliche.

Con uno scatto, afferrò la sua arma e la mosse con l’intenzione di tranciare la mano di chi lo aveva toccato, fermandosi appena in tempo quando si accorse che il braccio che voleva troncare era quello del suo alleato Kiku, il quale non aveva però spostato l’arto, quasi fosse sicuro che l’altro si sarebbe fermato.

Ludwig si girò a guardarlo: non vi era paura nei suoi occhi, solo serietà e fastidio « È il tuo turno di guardia, Ludwig-san » fece atono.

Il biondo cercò di collegare le parole al loro effettivo significato, prima di annuire e mettersi seduto compostamente.
Kiku stava per dire qualcosa, ma il biondo lo bloccò: per un secondo gli era parso di sentire qualcosa muoversi in mezzo alla neve, troppo grosso per essere un animale.

Qualcosa scintillò illuminato dal fuoco e Ludwig fece appena in tempo a spostare l’orientale dalla traiettoria di tiro che una freccia andò ad infrangersi contro le pareti della caverna.

Entrambi scattarono in piedi, evitando ancora due frecce che saettavano nella loro direzione. Strinsero le armi, mentre, nella fievole luce del fuoco, intravedevano la sagoma di Tino Väinämönen all’entrata della grotta con l’arco teso, la faretra piena e determinato a vincere.

Alle sue spalle, un’altra sagoma fece la sua comparsa « Questa volta è un addio, distretto 6 »
Una sola persona si ostinava a chiamarlo in quel modo: Vash prese la mira e il coltello volò nella direzione del volto di

Ludwig che spostò la testa di lato appena in tempo, ma la lama passò ghiacciata sulla guancia, aprendo un taglio dal quale colò il caldo liquido.

Si bloccarono tutti e quattro, guardandosi negli occhi, Vash e Tino con le armi puntate.
La realtà si palesò crudele di fronte agli occhi di entrambi i tributi nella grotta: erano in trappola; gli avversari avevano armi da lancio e loro non potevano scappare da nessuna parte.

Se fossero stati all’aperto, magari avrebbero avuto più possibilità.
Ma in quel momento era del tutto impossibile: per salvarsi avrebbero dovuto essere all’aperto e dubitava fortemente che li avrebbero lasciati uscire.

Abbassò appena lo sguardo sul fuoco: se non lo avessero acceso, nessuno si sarebbe accorto della loro presenza. Quello era l’unica luce tutt’intorno, l’unico motivo per cui potevano essere tenuti sotto tiro. Se solo avessero potuto spegnerlo avrebbero distratto abbastanza i nemici da spostarsi dalla traiettoria dei colpi e cercare di uscire dalla caverna. No, sarebbe stato troppo poco comunque, avrebbero potuto prendere di nuovo la mira facilmente.
« Qualche ultima parola, distretto 6? » domandò canzonatorio Zwingli.

Un’altra forte folata di vento soffiò dalle spalle di Ludwig, scompigliando i capelli dei presenti.
Se solo avessero … un’assurda idea catturò tutta l’attenzione di Ludwig.

Guardò ancora il fuoco e toccò la borraccia metallica che Kiku gli aveva prestato qualche ora prima.
Serviva qualcosa che li distraesse ancora qualche secondo e forse …

« Sì » affermò sicuro Ludwig, sorprendendo tutti i presenti, soprattutto Vash che lo aveva chiesto più per prassi che per reale interesse.

Beilschmidt sentì lo sguardo confuso dell’alleato su di sé, prima di parlare cauto « Posso bere un po’ d’acqua? » chiese.
« Che t’importa, distretto 6? Stai per morire! » sbottò Zwingli infastidito.
« Appunto » precisò Ludwig « Sto per morire: non vuoi soddisfare questa mia piccola richiesta? »

Con un grugno, il tributo del distretto 2 annuì.

Con studiata lentezza, Ludwig aprì la borraccia e se la portò alle labbra, attendendo il momento giusto per agire.
Sentì un’altra grossa folata di vento giungere dal fondo della caverna e chiuse gli occhi, pregando che la sua idea funzionasse nonostante le minime possibilità di riuscita.

Versò l’acqua gelida sui tizzoni ardenti e sulle fiammelle. Un denso fumo venne portato dal vento all’imbocco della caverna, entrando negli occhi dei due tributi li stanti.

Vash e Tino indietreggiarono di qualche passo, imprecando ad alta voce.
Ludwig scattò, seguito dopo qualche secondo a Kiku ed un unico rumore di metallo che si infrange si propagò tutt’intorno: Vash aveva estratto da dietro la propria schiena un machete, parando appena in tempo l’attacco di Ludwig.

Il tributo del distretto 2 digrignò i denti infastidito, osservando il ghigno compiaciuto dell’altro: non era un mistero che Zwingli fosse più bravo sulla lunga distanza. Forse Ludwig poteva farcela.

Si esibì in un affondo mirato alla gamba dell’avversario, ma questi lo deviò col machete, facendo scorrere entrambe le lame verso l’alto e ritirando la sua immediatamente per tentare di colpire Ludwig.

Il biondo ebbe abbastanza i riflessi pronti da deviarlo, tentando a sua volta di attaccare.
Vash si abbassò, evitando la spada che tentava di decapitarlo. Fece scorrere il machete con l’intenzione di tranciare la gamba dell’altro, che tentò di indietreggiare, ma non vi riuscì del tutto: avvertì la lama perforare la carne e uscire pochi istanti dopo. Un lungo squarcio si creò sulla coscia e copiosi fiotti di sangue presero a scendere, macchiando la candida neve.

Ludwig trattenne i gemiti di dolore che tentavano prepotentemente di uscire dalla sua gola.
Si piegò su se stesso, toccando la calda ferita, portando lo sguardo sul sangue che colava e distraendosi quel tanto che bastava per perdere d’occhio i movimenti dell’avversario.

Vash lanciò un coltello che Ludwig non riuscì ad evitare. Il dolore lancinante bloccò tutti i sensi, lasciando solo l’agonia.
Con la vista annebbiata vide che la lama era affondata per metà nel suo braccio.

La risata divertita e vittoriosa del nemico gli perforò le orecchie e la visione del machete che calava sulla sua faccia lo immobilizzò sul posto. La morte si faceva più vicina ogni istante. Essa parve, però, attendere, fermata dal suono di cannone nell’aria.

Zwingli commise il madornale errore di distrarsi, alzando lo sguardo verso l’altra battaglia che si combatteva a pochi metri di distanza.

Beilschmidt vide un’occasione d’oro da non sprecare: racimolò le poche forze che aveva in corpo, stringendo la spada e facendo un doloroso affondo contro l’altro. Sentì l’ovattato e raccapricciante rumore di carne recisa riempirgli le orecchie, mentre lo sguardo stupito e confuso di Vash squadrare stranito la lucida lama della spada dell’altro tributo trapassargli lo stomaco.

Il sangue colorò di scarlatto l’arma e la pelle del tributo del distretto due, che cadde a terra in sincronia con il colpo di cannone.

Ludwig non riusciva a tenersi nemmeno in piedi, era capace solo di pregare che il colpo di cannone che aveva distratto Vash fosse destinato a Tino.

Si voltò lentamente. Il grottesco spettacolo del cadavere del tributo del distretto 1 lo attese: un netto taglio rosso correva sotto la sua giugulare e Kiku si teneva in piedi ansimante, sostenuto dalla katana impiantata a terra.

Ludwig estrasse il coltello dal proprio muscolo, digrignando i denti per non far udire alcun lamento, mentre, zoppicante si avvicinava all’orientale.

Ma c’era qualcosa di strano, qualcosa che non doveva esserci e il biondo non capì finché un temerario raggio di luna, spuntato dalle nubi cariche di neve non illuminò il corpo di Kiku, delineando il profilo di una freccia scura che trapassava da parte a parte il suo fianco.

L’alleato si voltò, mostrando il viso pallido. La sua resistenza finì e crollò sul fianco ancora integro, trattenendo a stento un gemito di dolore.

Allarmato, Ludwig si chinò accanto a lui, cadendo sulle ginocchia, incerto sul da farsi. Grosse gocce di sudore imperlavano il volto stravolto di Kiku, che lo guardava con aria assente.

Provò a toccare la freccia, ma ricavò solo un gemito di dolore da parte dell’altro. La neve continuava a tingersi di vermiglio. Doveva rimuovere l’arma, ma non sapeva nemmeno da dove cominciare.

All’improvviso, uno strano ticchettio distrasse entrambi: dal cielo scese un piccolo paracadute con un contenitore metallico, che si posò ad un metro da loro.

Appena intuì cosa fosse, Ludwig ringraziò il cielo che gli sponsor si fossero degnati di aiutarlo almeno nelle fasi finali del gioco.

Il biondo la prese in mano: una borraccia d’acciaio con un biglietto legato intorno al collo. Con le mani che tremavano, Ludwig l’aprì, inalando immediatamente una zaffata dal forte odore: disinfettante.
Strappò il biglietto, ma, con la vista ancora appannata, riuscì a stento a leggere:
Spingila fuori. Ti aspetto a casa. G.

Capiva a stento le informazioni appena mandate dal fratello, ma quando lo sguardo gli cadde di nuovo sulla ferita dell’altro, intuì cosa doveva fare. Sfiorò le piume della freccia con le dita « Stringi i denti » l’orientale annuì lentamente, serrando labbra e occhi.

Un urlo riempì l’aria quando, con uno scatto, Ludwig spinse fuori la freccia, facendo passare la coda all’interno del fianco dell’alleato. Appena uscì, bagnò il taglio con abbondante liquido, cercando di ignorare gli strazianti lamenti.

Sentiva il disgusto attanagliargli le viscere. Si guardò in giro, pensando a cosa usare come benda, ma l’unica soluzione era la stoffa del piccolo paracadute. Lo tagliò con la spada, stringendolo delicatamente con le dita. Le lacrime di Kiku di confondevano con le gocce di sudore.

Avvolse al meglio le improvvisate bende sulla ferita, per poi portare il tremante corpo dell’alleato ancora dentro la caverna.


LA TANA DEL LUPO:
Ed ecco le prime battaglie, spero siano state di vostro gradimento. Comunque, giusto per dire, è vero che per togliere una freccia dal corpo, se questa ha trapassato da parte a parte, bisogna spingere e non tirare. 
Se avete domande non fatevi problemi a porle. 
A presto.
Lupus

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V: Manca poco ***


Ultimo capitolo, domani carico l'epilogo! 

CAPITOLO V: MANCA POCO
 
Passarono alcuni giorni. Le ferite di Ludwig avevano cominciato a fare meno male e il ragazzo aveva accudito l’orientale, cambiandogli e lavandogli più volte le rudimentali bende e facendogli impacchi con la neve per abbassare e fermare i deliri.

Al ventesimo giorno degli Hunger Games, Ludwig era pronto ad uscire di nuovo. Quel liquido era più di un semplice disinfettante. Le sue ferite si erano richiuse e quella dell’orientale era parecchio migliorata.

Strinse la sua spada, dirigendosi all’entrata della caverna, quando le flebili parole di un ancora debole alleato giunsero al suo orecchio « Perché tieni in vita un alleato ormai inutile? »

Le parole bloccarono il biondo. Era vero: se l’avesse ucciso, sarebbe stato uno di meno e ormai Kiku non sembrava più in grado di reggersi in piedi, non sarebbe stato molto d’aiuto.

Sorrise, nonostante i pensieri. Era da tempo che non considerava più la loro solo un’alleanza « Perché sei mio amico »
Solo quando se ne andò da solo si rese conto di quanto quella parola potesse risultare pesante e forzata in un luogo come quello.

Ludwig fece mente locale: erano rimasti in sei.

Dovette rifare i calcoli proprio in quell’istante. Il cannone tuonò ancora e la paura bloccò il tributo del distretto 6. Non potevano aver trovato Kiku. O forse si erano appostati poco distanti dalla grotta e avevano atteso che lui uscisse come ogni giorno per cercare del cibo.

Teorie sempre più allarmanti si accavallarono nella sua mente, che, però, furono bruscamente interrotte dall’arrancare di passi umani nella neve.

Si voltò, pronto e spaventato assieme, brandendo la sua spada, stringendone talmente forte l’elsa che il taglio sul braccio pulsò.

Lentamente, dalla boscaglia innevata si fece avanti una testa bionda, striata di rosso a causa del sangue raggrumato tra i capelli. Si fece avanti con una mano alzata, tenendo l’altra, la destra sul costato, ben intenzionato a mostrarsi innocuo.

Si accasciò al tronco di un albero, sempre sotto lo sguardo vigile del tributo del distretto 6.
Alzò il viso, mostrandogli due profondi occhi blu, una volta così vispi e attivi, ora così esausti e vuoti.
Matthias Kølher, distretto 4 « Tranquillo, non ti voglio uccidere … non riesco neanche a stare dritto … figurati, il prossimo colpo sarà il mio » ansimò stremato e privo di speranze.

Ludwig non disse nulla, continuando a non abbassare la guardia.
L’altro sembrò notarlo, poiché fece un sorriso tirato e riprese a parlare, nonostante ogni parola pronunciata sembrasse un’agonia « Sai, non avrei mai immaginato di essere scelto al penultimo anno, ma mi sentivo pronto … Pensavo che sarei tornato a casa … coperto di gloria. Ma ho smesso di sognare quando … quando hanno scelto come secondo tributo Lukas … ho smesso di pensare su tutto ciò che mi accadeva attorno e ho promesso a me stesso che lui avrebbe vissuto, al posto mio, che lo avrei protetto fino alla fine … io sono morto già dal primo giorno, quando l’ho visto cadere per colpa di quel … quel bastardo orientale col tridente … l’ho visto, mentre lo piantava nella sua schiena … »

Beilschmidt restò serio, abbassando però l’arma « Eravate molto amici? » chiese, giusto per riempire il silenzio che si era creato poiché Matthias sembrava aspettarsi un commento dopo il suo monologo.

Kølher rise sommessamente, scuotendo piano la testa « No, lui era il mio compagno, la mia ragione di vita … ed io ero la sua, credo … ma, a quanto pare, non ero abbastanza forte per … spronarlo a combattere fino alla fine … »

Ludwig sembrò abbassare del tutto la guardia « Perché mi dici tutto questo? » domandò sinceramente curioso.

L’altro sorrise, ma la curva delle labbra era più flebile di prima « Oh … non lo sto dicendo solo a te … tutta Panem mi sta ascoltando! … e poi … anche tu, mi sembra, hai una storia come la mia … »

Non si sorprese più di tanto, ma prontamente mentì, negando subito la relazione col suo amato Feliciano.
Matthias rise per quanto la sua ferita al costato gli permise « Puoi mentire al mondo … non a me … io ho capito subito! Se la mia situazione fosse stata … come la tua, avrei agito … anch’io così … solo per … amore si rischia la vita … quindi, non prendermi … per il culo … e non negare ciò che sei o … vivrai col rimpianto … torna a casa, Beilschmidt … tu hai un motivo per farlo … non far vincere uno di … quegli stronzi che … mi hanno fatto questo! » mormorò, indicandosi la ferita, che non smetteva di sanguinare « … se potessi scommettere, punterei tutto … su di te … ma fa attenzione! Sono parecchio forti … »

Ludwig annuì, pronto a partire di nuovo per porre fine a tutto, quando la fioca voce dell’altro tributo non lo fermò « Aspetta …! Non mi faresti compagnia fino … al mio rimbombo di … cannone? Non dovrebbe … mancarci … molto e … se parlo, non penso al … dolore »

Il biondo, all’inizio sorpreso, accettò quell’accorata e straziante richiesta.
Il cannone rimbombò qualche ora dopo.
 

Era stanco. Avrebbe concluso tutto quello e sarebbe tornato a casa. Aveva troppe vite sulle spalle e troppe promesse da mantenere per morire.

Seguì le indicazioni che, l’ormai morente, Matthias gli aveva dato: lo aveva informato che Ivan, Yao e Alfred, sin dall’inizio, non si erano mossi dalla Cornucopia, spostandosi da soli per eliminare i tributi.

Dopo ore di cammino, la dorata sagoma si stagliò nella neve.
Continuò a camminare in quella direzione, guidato dall’istinto.

Ludwig non sapeva nemmeno cosa stava facendo. La ragione prese il sopravvento nella sua mente troppo tardi. Era da solo, parzialmente ferito e i suoi avversari avevano dimostrato un’eccelsa abilità di combattimento. Si rese conto solo in quel momento della stupidità del proprio gesto, ma venne poi distratto da alcuni particolari che subito non aveva notato.

Il cielo aveva cominciato ad oscurarsi, non sapeva se per fatto naturale o volontà del primo stratega Octavianus.
Quindici indistinte sagome giacevano sdraiate sulla candida neve, disposte come raggi alquanto distanti dalla Cornucopia. Un orribile presentimento prese il biondo, che si avvicinò ancora.

Da distanza più ravvicinata, riconobbe i cadaveri dei giovani caduti, tutti probabilmente uccisi dalle implacabili armi di Alfred, Yao e Ivan, lasciati lì come monito per chiunque.

Si mise una mano davanti alla bocca per trattenere i conati, causati dal tanfo, che minacciavano di salire lungo la gola, chiedendosi il perché di quella esibizionistica violenza e rispondendosi subito: il pubblico amava quel genere di grottesco spettacolo.

Fece per allontanarsi, ma un lampo lo raggiunse. Indietreggiò appena in tempo quando un lungo tridente si conficcò nella neve nello stesso punto in cui era lui pochi istanti prima.

Yao balzò sulla sua arma, usandola come base d’appoggio, ruotando sull’asta del tridente per sferrare un poderoso calcio nel petto del biondo.

Ludwig cadde all’indietro, sentendo qualcosa ammorbidirgli la caduta, ma non fu la neve ma il congelato cadavere dagli occhi sbarrati di Arthur Kirkland.

Il biondo non fece in tempo ad inorridire  che la voce dell’orientale lo raggiunse « Beilschmidt!Tanto coraggioso quanto stupido-aru! »

Si alzò in fretta, riuscendo ad evitare per un soffio le tre lame che invece si piantarono nella carne del defunto Kirkland.

« È da un po’ che Ivan ti cerca-aru … è andato anche adesso » a quella notizia, internamente il biondo sospirò di sollievo: uno in meno a cui pensare.

Non riuscì nemmeno a formulare quella frase che avvertì un’enorme presenza alle proprie spalle « Kol kol kol » la profonda, baritonale voce di Ivan lo colse di sorpresa.

Sgusciò fuori dalla sua portata giusto in tempo per vedere l’immensa ascia fendere l’aria e spaccare la gelata terra. Non ebbe il tempo di riflettere sul possibile danno che il colpo avrebbe potuto causargli che l’insidiosa presenza dell’orientale si fece sentire alle sue spalle. Ludwig si maledì per aver essersi gettato di sua spontanea volontà nella tana di un lupo e una tigre che altro non volevano che banchettare con le sue carni.

« Pronto a morire, Beilschmidt? » domandò con fare quasi tranquillo, prima di scattare contro di lui brandendo la sua grossa arma.

Ludwig evitò un paio di affondi, ma un rapido sgambetto di Yao lo fece cadere. Prima che la lama di trovasse a pochi centimetri da proprio volto, il biondo rotolò di lato, mandando a vuoto l’ennesimo colpo.

Mentre era ancora a terra, un altro calcio del nemico orientale tirato sotto il mento lo fece contorcere dal dolore, mentre si domandava perché avesse fatto una cosa così stupida, perché avesse deciso all’improvviso di fare l’eroe.

La verità era che, dopo il dialogo avuto con Kølher, aveva solo voglia di uscire da quella dannata arena, tornare dal suo Feliciano, stringerlo tra le braccia e baciarlo teneramente, promettendogli che non l’avrebbe più lasciato.

Un’inaspettata forza nacque dal pensiero del sorriso del suo amato.
Con una promessa a sorreggerlo sulle sue malferme gambe, si rimise in piedi velocemente, evitando per un soffio l’ennesimo affondo dell’ascia di Ivan.

Aveva capito come uscirne vincitore, doveva solo prestare attenzione ai movimenti dell’orientale poco distante da lui.

Attese l’ennesimo affondo del tributo del distretto 10. Ed eccolo lì, il suo petto completamente scoperto da qualsiasi protezione mentre si apprestava a colpire.

Agì velocemente, Ludwig, facendo scorrere immediatamente scorrere l’affilata lama sulla tenera pelle del torace del nemico, aprendone una scia scarlatta.

L’avversario squadrò prima il ragazzo, poi la ferita sulle sue membra, prima di fare un sorriso sorpreso e inquietante, cadendo all’indietro.

Non c’era tempo per distrarsi, non c’era …
Troppo tardi. La carica di Yao era troppo serrata e il tributo troppo vicino per essere fermato.

Ludwig vide la sua vita scorrere davanti agli occhi e la morte venirgli incontro con la forza di una tigre e la velocità di un serpente …
 
Non lo salvò un miracolo, bensì la piatta e lucente lama di una katana piantata nel fianco dell’orientale arrivata al momento giusto.

Wang si fermò incredulo e spaesato a fissare la spada che lo trafiggeva da parte a parte allontanarsi stancamente dal suo corpo.

Con le poche energie che gli erano rimaste e lo sguardo colmo di rabbia, si voltò per conoscere il viso di ci aveva osato fargli un simile affronto, per poi stupirsi nello scoprire che era un orientale proprio come lui.

Ludwig fissò a bocca aperta un sorridente Kiku, un alleato ferito e contento di aver potuto aiutare colui che lo aveva chiamato amico. I suoi occhi scuri si posarono per un attimo in quelli celesti e, negli ultimi secondi di vita, con l’unico fiato rimanente in corpo, sussurrò all’alleato « Torna a casa » prima di perire, trafitto alla gola dalla triplice lama del tridente e scomparso nell’aria insieme al colpo di cannone.

La visione del suo collo insanguinato non fece nemmeno rendere conto a Ludwig delle sue azione.

Non si era accorto di aver stretto di più tra le falangi l’elsa della spada, né di essere corso in direzione di Yao e nemmeno di averlo bloccato per le spalle, mentre piantava la lama tra le sue scapole, il suo grido di dolore coperto dal secondo rimbombo di cannone.

Non se ne rese conto. Non lo fece e basta.
Come non realizzò immediatamente di aver vinto.
Di essere sopravvissuto alla prima edizione della memoria degli Hunger Games.

La gioia esplose nel petto per effimeri secondi di felicità, prima di essere coperta, soffocata dall’amara consapevolezza.
Aveva assaporato la vittoria per alcuni istanti.
Poi era arrivato il caldo.
Poi l’incubo.
Infine il tuono.

 

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Capitolo 6
*** Epilogo: E tutto ebbe fine ***


EPILOGO: E TUTTO EBBE FINE
 
Gilbert guardò con le lacrime agli occhi il vincitore, che salutava tutta la folla, apparentemente festoso, mentre si sistemava con una mano i capelli biondi, nel suo vestito bianco, con la corona da vincitore che brillava sulla fronte. Il suo candido sorriso quasi abbagliava, mentre le parole di congratulazioni del presidente rimbombavano per tutta l’area.
L’albino deglutì, ricordando le fasi finali della prima edizione della memoria degli Hunger Games.
 
Ludwig che estraeva la spada dalla schiena di Yao, l’ultimo sopravvissuto. Il tuono del cannone che annunciava un’ennesima morte. Il biondo che mollava l’arma a terra, esausto, distrutto, ma apparentemente vincitore. Ma poi il mondo era improvvisamente crollato. La consapevolezza aveva incatenato le viscere del tributo del distretto 6, che aveva realizzato una cosa: il cannone, per Ivan, non aveva sparato.
Quasi non se ne era reso conto e la sua arma era troppo distante dalla sua mano. Aveva smesso di combattere, allora, nonostante fosse così vicino alla vittoria, troppo stanco per opporsi.
Maledisse solamente la propria stoltezza per non aver prestato attenzione ad una cosa così banale, così stupida da passare inosservata.

E Ludwig si era lasciato morire prima ancora di avvertire le possenti braccia dell’altro prenderlo per le spalle, prima ancora di sentire il sangue caldo della ferita che lui stesso aveva aperto bagnargli la schiena.
E suoi pensieri erano volati al luminoso sorriso di Feliciano, chiedendogli di perdonarlo se non sarebbe tornato a casa, se non avrebbe potuto baciarlo ancora.
E tutto ebbe fine con il rumore di un collo spezzato ed un rombo di cannone.
 

Ivan, congedati il proprio mentore e il primo stratega, si diresse verso Gilbert, ancora immobile che lo guardava incredulo, come se non fosse possibile che non ci fosse il fratello al suo posto.
Si riscosse solamente quando, con il solito e agghiacciante sorriso, il biondo si rivolse a lui, tendendogli la mano « Non essere troppo triste, Beilschmidt, tuo fratello si è battuto con onore »
L’albino gli strinse la mano, lottando con tutto se stesso contro la voglia di vomitare, insultarlo o ucciderlo.
« Lo avevo detto, no? Occhio per occhio … » affermò con lo stesso sorriso, prima di allontanarsi e lasciare Gilbert solo coi propri rimorsi.

Avvertì una presenza dietro di sé, ma sapeva già chi fosse. Deglutì ancora, cercando di trattenere le lacrime e mostrarsi forte e spavaldo come sempre.
Ma ogni tentativo fu vano di fronte al visino triste di Feliciano che lo guardava chiedendo spiegazioni che il mentore non poteva dare.
Si limitò quindi a ricambiare l’abbraccio in cui il moretto lo strinse, mormorando al suo orecchio una sola parola: perdonami.

 

LA TANA DEL LUPO:
Vedo già i vostri visi sconvolti e le recensioni negative...
Ah, be', resta comunque la prima long che finisco quindi...*stappa lo spumante*
Un grazie infinito a tutti coloro che che hanno recensito ( siete stati molti di più di quanto immaginassi ) e a chi ha messo tra Seguite/Ricordate/Preferite. Grazie veramente!
Ora torno a concentrarmi su Familie...
A presto! Lupus

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