Io solitamente tornavo a casa a piedi dalla scuola: mi rifiutavo di prendere l' autobus perché era sempre troppo affollato e ci si respirava a stento. In fondo fare due passi non mi avrebbe fatto senz' altro male, visto che di attività fisica non facevo niente dalla mattina alla sera: ero una persona abbastanza pigra. Non avevo neanche la voglia di studiare, figuriamoci di fare esercizi all' aria aperta! Mentre stavo camminando, vedo ad un certo punto un ragazzo salutarmi da lontano con la mano. Non distinguevo bene chi fosse, ma avvicinandomi vidi che era una persona che conoscevo bene: il mio amico Davide.
“Allora Alessandro, come te la passi?” mi chiese battendomi energicamente la sua mano sulla mia schiena.
“Non molto bene” risposi tristemente.
“Davvero? Che problemi hai?” chiese preoccupato il mio amico. “Sappi che a me puoi dire qualunque cosa ti passi per la testa” disse con convinzione.
Davide era davvero una bravissima persona: nel momento del bisogno era sempre lì ad ascoltarti, a cercare di aiutarti, a tirarti su il morale quando eri triste...
In quel momento sentii il bisogno di abbracciarlo, di ringraziarlo per il fatto che si preoccupasse per me e lo feci. Lo strinsi a me, con le lacrime che scendevano dalla mia guancia e che ricadevano sulle sue spalle
“Grazie” gli dissi commosso.
Lui mi sorrise e mi disse: “ Non ti preoccupare finché ci sarò io non ti dovrai mai più sentire solo”.
“Senti, ti andrebbe di andare con me a mangiare da qualche parte?” gli proposi.
“Va bene, tanto non ho ancora mangiato” mi rispose sorridendomi.
Così ci incamminammo verso il locale dove di solito andavo a pranzare. Era un bel posticino, piccolo ma molto accogliente. Al bancone c' era la barista. Lei era un' amica di mia madre. Era molto bella, aveva i capelli ricci e biondi e due occhi celesti che osservavano con estrema accuratezza l' ambiente e le persone del locale. Alla mia vista mi salutò e io ricambiai il saluto.
“Come sta tua madre?” mi chiese.
“Bene grazie” risposi.
“Ricordati di salutarla da parte mia!” mi disse.
Presi una pizza per me e per il mio amico e ci incamminammo verso la strada di casa.
“Le persone continuano ad ignorarmi, come se non esistessi...” mi disse Davide in confidenza
“Non ti preoccupare. Io per te ci sarò sempre, ricordatelo” risposi guardandolo negli occhi. Erano lucidi. Poverino. Lui era messo peggio di me. Nessuno lo considerava. A nessuno importava di lui. Non aveva neanche dei genitori a cui voler bene. Era solo e abbandonato. Una volta mi disse che se non ci fossi stato io con lui, si sarebbe tolto la vita da molto. Spero non ripensi più a una cosa del genere...
Giunti a casa sua mi congedai da lui e presi la strada verso casa mia.
Tornato a casa, lasciai la cartella in soggiorno e mi sdraiai sul divano. Le palpebre si fecero subito pesanti ed il sonno mi aggredì.
Mi ritrovai improvvisamente a volare in uno spazio che sembrava infinito. Per quanto cercassi un' uscita per andarmene da quel luogo; io non la trovavo. Attorno a me era tutto bianco e luminoso. Passate varie ore a cercare un' uscita stavo per impazzire, pensando che non sarei mai scappato da quel luogo. Improvvisamente mi accorsi che lo spazio attorno a me si stava rimpicciolendo. Se continuava a rimpicciolirsi a quella velocità, presto io... Io...
Mi svegliai di soprassalto: era solo un incubo. Ero completamente sudato. Guardai l' orologio che avevo appoggiato sul divano: erano già le otto. Infatti la cena era già pronta ed i miei genitori erano già in sala da pranzo che mangiavano. Andai in bagno mi lavai le mani e li raggiunsi. La dormita di questo pomeriggio mi aveva reso ancora più stanco. Dopo essermi seduto, scoprii il mio piatto e a mio malincuore vidi che i miei avevano preparato il riso in bianco: lo odiavo. Lo mangiai ugualmente perché avevo molta fame. Alzato da tavola mi andai a lavare i denti e successivamente mi feci una doccia. Mentre ero sotto il getto dell' acqua calda, pensavo a come potevo apparire bello agli occhi di Clara. Non doveva essere molto facile, visto che, bella come era, era sicuramente esigente. Ma, alla fine pensare troppo crea solo insicurezza, quindi dovevo essere naturale con lei. Più facile a dirsi che a farsi. Messi questi pensieri da parte, chiusi gli occhi sotto il getto dell' acqua calda . Era come se l' acqua scaricasse, con il suo ticchettio sulla mia pelle, ogni preoccupazione. Era una sensazione molto piacevole. Dopo essermi lavato con cura, uscii dalla doccia tutto sgocciolante ma allegro: ero sempre di buon umore dopo una bella doccia calda.
I giorni seguenti furono molto noiosi e non successe niente di particolare, era sempre la solita routine, finché non arrivo quel giorno...
Era già febbraio inoltrato, quando al telegiornale spuntò la notizia del ritrovamento di una ragazza svenuta a Roma. Il problema era che quella ragazza era uguale identica a mia sorella. Noi però abitavamo a Bari. Ne aveva fatta molta di strada per arrivare là. Ero veramente preoccupato: che cosa le sarà successo?
Io e la mia famiglia scoprimmo che era stata ricoverata a Roma, così decidemmo di andare a trovarla.
L' ospedale nel quale si trovava era veramente immenso e accogliente. La sala di aspetto era piena di persone anziane ed altre con varie lesioni a diverse parti del corpo. Poi, come sempre, c' erano bambini che non avevano niente di meno che un piccolo taglio, ma che erano stati portate dai genitori per le loro classiche preoccupazioni inutili. Un bambino che correva su e in giù per la sala di aspetto attirò la mia attenzione: aveva i capelli ricci e castani, e la solita faccia paffutella di qualunque bambino. Indossava un piumino che era più grande di lui e le solite scarpine da bambini. Era parecchio buffo. I suoi genitori continuavano a richiamarlo ma lui li ignorava e continuava a scorrazzare e ad urlare nella sala di aspetto. A quel punto un signore si alzò e, perso la pazienza, gli urlò: “ Ragazzino questo è un ospedale, non un parco dei divertimenti!”.
Il bambino a quelle parole si mise a piangere e corse dai suoi genitori. I genitori sgridarono subito l' individuo che aveva rimproverato il bambino, prendendo le sue difese.
“Lo vede? L' ha fatto piangere. Si può essere anche più delicati con lui. É solo un bambino” disse, probabilmente la madre del piccoletto.
L' uomo non rispose e si rimise a sedere. Quest' uomo catturò la mia curiosità: aveva i capelli bianchi coperti da un gran cappello nero, ed aveva una benda che gli avvolgeva il braccio destro. Indossava un camice bianco e dava l' impressione di essere una persona importante.
Mentre guardavo l' ambiente che mi circondava, i miei genitori ed io ci eravamo messi già in fila, e finalmente arrivò il nostro turno. Mia madre chiese subito: “Come sta mia figlia Sara? Sta bene?”.
La persona al bancone chiese qual' era il suo cognome e la mamma glielo disse. A quel punto, lei cercò nella lista delle persone dell' ospedale. La trovò e disse che attualmente si trovava nella sala C15. Noi, accompagnati da un' infermiera, ci precipitammo lì. Lei si trovava sdraiata su un letto, in una piccola angusta stanza. Corsi verso di lei e la guardai: era cambiata molto da quando l' avevo vista l' ultima volta. Il suo volto sembrava molto più maturo, ma anche lacerato da diverse ferite: una di queste era abbastanza profonda e si trovava sulla guancia sinistra. Mi fece un po' impressione inizialmente. L' infermiera ci disse che probabilmente non si sarebbe più risvegliata: a quelle parole non riuscii a fermare le lacrime che presto mi bagnarono le guance. Mi sedetti accanto a lei e gli strinsi forte la mano: “Ti prego svegliati! Non voglio perderti sorellina!” dissi singhiozzando.
“Ti ricordi di quando eravamo bambini e giocavamo insieme sulla spiaggia e facevamo a gara a chi raccoglieva più conchiglie? Vincevi sempre te, era impossibile batterti! Oppure quando facevamo a battaglia con i cuscini, ricordi? Era così divertente giocare e stare insieme a te... Anche quando litigavamo, mi bastava il solo averti accanto per essere felice. Ti voglio bene, perciò vedi di svegliarti e di non lasciare solo tuo fratello, ok?”.
Non so se era una mia impressione ma mi parve che a quelle parole lei abbia sorriso. Lasciai la mano a mia sorella, e con i miei genitori eravamo usciti dall' ospedale.
Saliti su un autobus iniziammo a parlare riguardo a mia sorella:
“A quanto pare è poco probabile che la nostra figlia riesca a svegliarsi e ad uscire dall' ospedale...” disse mio padre.
“Già... E non sappiamo neanche chi o cosa l' ha ridotta così” disse mia madre.
Cadde subito l' argomento perché eravamo troppo addolorati e la domande a cui non avevamo risposta erano veramente troppe.
Passarono i giorni, lenti e dolorosi, nell' attesa che succedesse qualcosa, nell' attesa che lei si risvegliasse: ma niente di niente. Quei giorni a scuola erano freddi, noiosi, con i professori che ti spiegavano le solite cose che non interessavano a nessuno e che non avevano alcuna utilità: a chi poteva mai importare di Alessandro Magno o cose simili? Io volevo andare a lavorare, ma dovevo tenere duro, dovevo almeno prendere il diploma e fino ad allora andare bene a scuola. Io andavo bene a scuola, certo non ero il migliore della classe, ma i professori erano contenti del mio rendimento scolastico. Quella mattina faceva particolarmente freddo, ed io ero raggomitolato all' interno delle coperte che emanavano un piacevole tepore. Mi svegliai e guardai l' ora: erano le sette. Scesi dal letto, mi misi le pantofole e andai in bagno, ancora mezzo assonnato. Mi sedetti sulla tazza del gabinetto sbadigliando e feci i miei bisogni mattutini. Quando uscii dal bagno mi stiracchiai e sospirai. Non ne potevo più della scuola; ma oggi sentivo che sarebbe stato un giorno diverso, non so per quale motivo ma ero ottimista. Entrai in camera, mi vestii, presi lo zaino e uscii di casa. Io non facevo mai colazione a casa; andavo a farla sempre nel bar vicino alla scuola con il mio amico Davide. Ci si trovava lì sempre verso le sette e mezzo. Per andare a scuola a volte prendevo l' autobus, mentre a volte, quando i miei nonni potevano, mi accompagnavano loro: i miei genitori non avevano affatto voglia di portarmi a scuola e poi sostenevano che solo i bambini si facevano portare a scuola dai genitori. Quel giorno presi l' autobus e, sceso davanti alla scuola, mi incamminai verso il bar. Il locale era molto grande ed era sempre pieno di persone. Al centro della sala si trovavano i baristi che servivano i clienti ad un grande bancone circolare. I tavoli erano numerosi e rotondeggianti. Io odiavo i posti affollati, ma dovevo dire che i cornetti erano talmente buoni che ne valeva la pena. Non c' erano di più buoni a Bari. Mi avvicinai ad una delle bariste e chiesi un cornetto alla crema e, dopo aver pagato il conto mi sedetti. Le bariste del bancone erano tre, ed erano tutte e tre giovani, molto carine, gentili e sempre sorridenti. Quando cercavo posto tra i tanti tavoli, notai una faccia conosciuta al tavolo sulla destra, vicino alla porta. Era Clara. I suoi occhi erano intenti a leggere un libro, mentre sorseggiava un cappuccino. Alla sola vista, il mio cuore si mise subito a battere all' impazzata e il mio cervello sembrava come andato in corto circuito. Che dovevo fare? Una parte di me pensava che andando al suo tavolo non avrei fatto altro che disturbarla, l' altra parte mi diceva di andarla a salutare e di iniziare a farci conversazione. La timidezza purtroppo aveva avuto la meglio ed alla fine mi diressi verso un altro tavolo, cercando di ignorarla. Ma lei mi notò e mi salutò sorridendomi con un cenno della mano. Dopo aver ricambiato il saluto, mi chiese:
“Sei solo?”
“Sì...Perché?”
“Se sei solo potresti sederti un attimo qui insieme a me”
“Va bene”
Quando mi sedetti accanto a lei, arrossii. Ero molto agitato in quell' istante.
“Senti, potresti spiegarmi questa cosa di scienze? Non l' ho capita molto bene...” mi chiese supplicante. Così gli spiegai quello che mi aveva chiesto e, mentre glielo spiegavo, guardavo spesso i suoi occhi verdi, simili a prati rigogliosi pieni di vita. Sarei stato lì a spiegargli scienze e a parlare con lei per tutto il giorno. Volevo passare ogni giorno della mia vita con lei... Chissà lei cosa provava per me? Mi sarebbe piaciuto saperlo...
Finito di spiegargli scienze, ci avviammo insieme alla scuola.
“Senti, mi chiedevo se ti andrebbe tutte le mattine di trovarci al bar verso le sette e mezzo” mi propose lei, poco prima di entrare in classe.
Io rimasi molto colpito: non me la aspettavo. Conoscendo le donne, però, sarà stato sicuramente per farsi dare una mano con i compiti, di me in fondo forse non gliene importava niente...
Io risposi comunque di sì.
Entrati in classe mi misi al mio posto accanto a lei.
Un' altra noiosa giornata di scuola stava per cominciare...
Il tempo a scuola passò più veloce del solito, ed era già ora di uscire e tornare a casa. Mi incamminai e nella strada di casa incontrai Davide.
“Ehi, Davide! Come va?” salutai con il cenno della mano.
“Come sempre... Te?” mi chiese.
“Io tutto a posto” risposi.”
“Senti, ma perché oggi non sei venuto al bar?” chiesi preoccupato.
“Scusa è che oggi non avevo voglia di uscire di casa...” mi rispose dispiaciuto.
“Non ti preoccupare... Mi ha fatto compagnia una ragazza di classe mia”
Notai nascere un sorriso sul suo volto. All' improvviso si allontanò, senza neanche salutarmi.
N.D.A: Salve a tutti! Grazie a tutti coloro che leggono e seguono la mia storia! Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo, ma vi prometto che uscirà presto, probabilmente fra due settimane o forse prima non lo so neanche io. Continuate a seguirmi! Un bacione a tutti. |