Il ragazzo che riusciva a vedere oltre le stelle

di MasterHope
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un sogno ***
Capitolo 2: *** Incontro ***



Capitolo 1
*** Un sogno ***


Era estate. Era mattina ed ero disteso nel mio letto, senza essere avvolto dalla morbidezza delle coperte, a causa del troppo caldo. Mi alzai e con mio stupore notai che erano già le undici di mattina. Mi vestii e pensai alle cose che potevo fare oggi: leggere qualche libro, guardare anime o uscire con i miei amici. In fondo avevo tempo per fare tutte e tre le cose, ma alla fine optai per leggere un libro. Uscii dalla camera da letto ed andai in salotto: non era molto grande. Aveva una tv ventisei pollici, un divano due posti ed un grande mobile pieno di libri che ricopriva quasi tutta la stanza. Da quel mobile presi un libro, e mi sdraiai sul divano, immergendomi nella lettura. Quando avevo raggiunto un punto cruciale nella lettura, sentii la voce di mia madre che mi chiamava per il pranzo. Allora rimisi il libro nello scaffale ed andai in bagno a lavarmi le mani. “Chissà che schifezze avrà cucinato” pensai nel mentre stavo uscendo dal bagno. Entrai nella sala da pranzo e mi sedetti a tavola. La tavola era rettangolare e non molto grande: d' altronde la nostra famiglia era composta solo da tre componenti: mio padre, mia madre e me. Prima avevo anche una sorella, ma adesso non c' era. Non sapevamo se era morta o se era viva visto che era scappata di casa. Lei adesso doveva avere diciotto anni. Aveva lunghi capelli mori, due lucenti occhi celesti ed una corporatura magrolina. Il suo aspetto fisico lasciava trasparire sicurezza e serenità: effettivamente non era così se era scappata. Quanto vorrei che lei fosse qui adesso; non glielo avevo mai detto ma i momenti più felici e spensierati della mia vita li ho passati con lei: quando ci facevamo gli scherzi, quando ci raccontavamo delle nostre prime cotte... Che bei ricordi, chissà se lei tornerà un giorno. Finito di mangiare andai a lavarmi i denti, successivamente mi immersi di nuovo nella lettura, sdraiato sul divano. Ad un certo punto sentii il telefono squillare: mi alzai, presi il telefono che avevo appoggiato sul mobile del salotto e risposi.

“Pronto?”

“Pronto, sono Davide.”

Davide era un mio grande amico dalle elementari. Ci frequentavamo spesso, ma adesso le superiori ci tenevano talmente impegnati che nel corso dell' anno scolastico non ci sentivamo, comunque di estate si usciva spesso insieme per il centro.

“Ciao Davide, è da molto che non ci sentiamo, come stai?”

“Bene bene e te?”

“Tutto a posto.”

“Senti mi chiedevo se ti andava di uscire stasera.”

“Veramente con questo caldo non è che avessi tanta voglia...”

“Dai che sono riuscito a raccattare anche qualche ragazza! Ci si diverte!”

Anche se non avevo voglia, mi scocciava dirgli di no; poi se c' era qualche ragazza potevo fare nuove conoscenze e attualmente avevo bisogno di fare nuove amicizie, visto che non avevo moltissimi amici.

“Va bene dove ed a che ora ci si ritrova?”

“Verso le nove davanti alla fermata vicino alla cartolibreria.”

“Ok ci vediamo stasera allora, mi ha fatto piacere risentirti.”

“Anche a me, ciao a dopo allora!”

Riattaccò.

Ero curioso di conoscere queste ragazze, anche se a dire la verità tutte le donne che avevo conosciuto mi avevano sempre deluso per la loro superficialità, nel come guardavano le cose di tutti i giorni con totale indiferrenza, senza ammirarle nella loro intera bellezza. Io adoravo guardare e osservare la maestosità e la magnificienza del mondo e ricordare di ogni cosa che avevo visto o ascoltato perché ero sicuro che Dio ci avesse dato la vita anche per questo motivo. “Chissà come saranno le ragazze di stasera, spero siano almeno simpatiche!” pensai ad alta voce.
Speravo con tutte le mie forze di trovare una persona particolare come me, perché tutti gli amici che avevo comunque non avevano mai compreso di come il mondo fosse meraviglioso. Noi si guarda sempre li aspetti negativi invece di guardare i lati positivi delle cose. Secondo me è sbagliato. Bisognerebbe essere felici per il fatto che ci sono anche gli aspetti positivi nelle cose. Mettendo da parte questi pensieri, mi sono rimesso a leggere il libro. Passate svariate ore, era ormai giunto il momento di prepararsi per uscire.

 

Erano le nove ed io mi trovavo davanti alla fermata vicino alla cartolibreria. Avevo un caldo tremendo e mentre aspettavo che gli altri arrivassero mi misi al telefono. Passato un quarto d' ora non si era ancora fatto vivo nessuno: stavo iniziando a preoccuparmi. Il tempo passava e loro non arrivavano. Distolsi un attimo lo sguardo dal telefono e guardai verso il cielo: a causa dell' inquinamento luminoso non riuscivo a vedere le stelle; ma in quell' istante, con mio stupore passò una stella cadente.

“Come sono belle stelle cadenti”, pensai ad alta voce.

“Ehilà!” sentii urlare dietro alle mie spalle.

Mi girai. Era il mio amico Davide. Aveva i cappelli mori, due bellissimi occhi celesti (glieli invidiavo), un naso a patata e i lineamenti del suo viso non erano molto marcati. Accanto a sé aveva due ragazze: a sinistra c' era una ragazza con i capelli rosso acceso e ricci, con due grandi occhi verdi e con una bocca fina. Lei mi sorrise e mi porse la mano:

“Piacere io sono Clara, sono una vecchia conoscenza di Davide: tu invece chi sei?”

Stringendole la mano risposi: “Sono Alessandro”.

Le lasciai la mano e lei mi continuò a sorridere: era davvero una bella ragazza. Gli ricambiai il sorriso.

“Ehi a me non saluti? Ma bada che roba!” disse Davide un po' risentito.

“Chi è quell' altra ragazza?” chiesi curioso.

“Non te l' avevo detto ma lei è la mia fidanzata: si chiama Claudia”

Mi presentai e le strinsi la mano. Aveva una presa molto forte: questa cosa mi colpì.

Lei era una ragazza davvero particolare: aveva i capelli celesti. Non avevo mai visto una ragazza con i capelli celesti se non negli anime che tanto adoravo: il pensiero mi aveva strappato un sorriso.

Dopo le presentazioni, decidemmo di andare insieme al cinema a vedere un film. Andammo a vedere un classico film poliziesco investigativo: mi era piaciuto molto.
Usciti dal cinema Davide ricevette una chiamata: era suo padre. Gli disse che doveva tornare subito a casa perché doveva aiutarlo a fare una cosa. Anche la sua ragazza voleva dare una mano e così Claudia e Davide andarono via. Ero rimasto solo con Clara. Nel corso della serata avevo potuto costatare che lei era una ragazza fenomale: faceva volontariato, aiutava in casa quando poteva ed ai miei occhi appariva dolce e adorabile. Mi sentivo strano accanto a lei. Non avevo mai provato quella sensazione: sentivo come se qualcosa bruciasse dentro di me. In quella serata avevamo riso e scherzato, ci eravamo parlati del nostro passato e dei nostri problemi, oltre che alle solite scemenze per farsi una risata.

 

Dopo quella uscita io e Clara siamo riusciti insieme molte volte. Vederla sorridere era ormai diventata la mia ragione di vita: non mi interessava più il mondo che mi circondava, né tutte le bellezze che poteva donare. Strano, visto che prima consideravo importante l' acute osservazione della Terra. Riflettendo arrivai alla conclusione che è proprio l' amore che ci priva di ogni interesse verso le cose che non sono soggette alla medesima intensità di passione. Ma in fondo è grazie a questo sentimento che il genere umano continua a esistere. Purtroppo l' esistenza del genere umano comporta guerre e controversie tra le persone del genere umano stesso. L' odio e il desiderio di potere sono le due cose che rovinano il genere umano. Ma questo è un altro discorso.

 

Una sera io e lei ci eravamo incamminati per mano fuori città e ci eravamo addentrati in un bosco. Ad un certo punto trovammo una panchina che era posta su uno spiazzo d' erba completamente privo di alberi e luci che potessero coprire le stelle. Ci sedemmo e appoggiai la testa sulla sua spalla

“Sai è curioso... è la prima volta che sono felice insieme ad una ragazza” le dissi.

Lei rise e mi disse : “Anche per me è la prima volta che un ragazzo mi rende felice”

Dopo questa frase ci fu un silenzio imbarazzante. Cercai il suo sguardo ma sembrava intento a guardare il cielo. Quando mi voltai però mi sentivo osservato e così rivolsi nuovamente il mio sguardo su di lei. Mi stava guardando e mi sorrise. Allora mi schiarii la gola e dissi:

“Sai” ripresi fiato e glielo rivelai:

“Io ti amo”.

Alchè lei mi disse: “Anch' io”.

Il mio cuore batteva forte, il mio sguardo era posato sui suoi bellissimi occhi verdi, che riflettevano il riflesso della mia anima. Il suo volto si avvicinava sempre di più al mio. Vedevo le sue pupille che si dilatavano. Il mio cuore batteva sempre più forte fino a che le nostre labbra non si incontrarono. Chiusi gli occhi. Restammo così per svariati secondi. Dopo averla baciata, la strinsi forte a me e avrei voluto dirle che non la avrei lasciata mai, che l' avrei aiutata ad affrontare tutti i suoi momenti più difficili e che avrei amato solo lei, ma qualcosa mi trattenne. Probabilmente era la timidezza. Restammo tutta la sera lì sulla panchina, ad osservare le stelle nella loro lucentezza, che risplendevano, illuminavano e riempivano di significato la nostra esistenza.

 

“Alessandro!” mi chiamò la professoressa nel bel mezzo dei miei sogni ad occhi aperti.

“Sì?” risposi un po' frastornato. Mi sentivo un po' perso: come se fossi stato buttato improvvisamente in un luogo dove non ero mai stato, senza alcun punto di riferimento. Era un mio brutto vizio quello di sognare ad occhi aperti: purtroppo mi succedeva spesso e venivo preso in giro per questo. Quello che volevo adesso era una vita felice e di riuscire a trovare una ragazza che mi amasse e che mi stesse accanto nei momenti più difficili: mi sentivo molto solo.

“Dimmi quello che stavo dicendo” disse la professoressa con un tono furioso.

“Professoressa non ne ho la minima idea” dissi con un po' di dispiacere.

“La prossima volta che ti vedo disattento ti metto una nota negativa sul registro!” urlò furiosa.

Ero nel bel mezzo di un' ora di matematica: che noia. L' insegnante era alta, ma anche di corporatura massiccia, aveva due occhi scuri come la pece, nascosti dietro ad un grande paio di occhiali.
Mi guardai intorno: la mia classe era formata da ventisette alunni. Era quasi finita la scuola, eppure non avevo ancora stretto amicizia con qualcuno. Ero riuscito a stringere amicizia solo con la mia compagna di banco: Clara, la ragazza vittima dei miei sogni romantici. Mi ero molto affezionato a lei, anche se non siamo mai usciti insieme, né ci siamo mai parlati più di tanto, però quelle sue poche parole rivolte verso di me per caso, i suoi meravigliosi occhi verdi che emanavano una bellezza indescrivibile, i suoi capelli rossi accesi che si spostava a volte distrattamente con la sua mano... Ero molto innamorato di lei, ma non avevo il coraggio di chiederle di uscire a causa della mia stupida timidezza: ogni giorno mi dicevo che gli avrei chiesto di uscire, ma ogni volta mi ritiravo per paura di un rifiuto. Ero già stato rifiutato così tante volte ed avevo sofferto così tanto che avevo paura di soffrire ancora... Mentre stavo pensando, la campanella suonò ed io mi diressi fuori dalla scuola nella mia più completa solitudine.

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N.d.A: è la mia prima storia, spero di riuscire a emozionare voi lettori... Continuate a seguirmi! Pubblicherò almeno un capitolo a settimana.

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Capitolo 2
*** Incontro ***


Io solitamente tornavo a casa a piedi dalla scuola: mi rifiutavo di prendere l' autobus perché era sempre troppo affollato e ci si respirava a stento. In fondo fare due passi non mi avrebbe fatto senz' altro male, visto che di attività fisica non facevo niente dalla mattina alla sera: ero una persona abbastanza pigra. Non avevo neanche la voglia di studiare, figuriamoci di fare esercizi all' aria aperta! Mentre stavo camminando, vedo ad un certo punto un ragazzo salutarmi da lontano con la mano. Non distinguevo bene chi fosse, ma avvicinandomi vidi che era una persona che conoscevo bene: il mio amico Davide.

“Allora Alessandro, come te la passi?” mi chiese battendomi energicamente la sua mano sulla mia schiena.

“Non molto bene” risposi tristemente.

“Davvero? Che problemi hai?” chiese preoccupato il mio amico. “Sappi che a me puoi dire qualunque cosa ti passi per la testa” disse con convinzione.

Davide era davvero una bravissima persona: nel momento del bisogno era sempre lì ad ascoltarti, a cercare di aiutarti, a tirarti su il morale quando eri triste...

In quel momento sentii il bisogno di abbracciarlo, di ringraziarlo per il fatto che si preoccupasse per me e lo feci. Lo strinsi a me, con le lacrime che scendevano dalla mia guancia e che ricadevano sulle sue spalle

“Grazie” gli dissi commosso.

Lui mi sorrise e mi disse: “ Non ti preoccupare finché ci sarò io non ti dovrai mai più sentire solo”.

“Senti, ti andrebbe di andare con me a mangiare da qualche parte?” gli proposi.

“Va bene, tanto non ho ancora mangiato” mi rispose sorridendomi.

Così ci incamminammo verso il locale dove di solito andavo a pranzare. Era un bel posticino, piccolo ma molto accogliente. Al bancone c' era la barista. Lei era un' amica di mia madre. Era molto bella, aveva i capelli ricci e biondi e due occhi celesti che osservavano con estrema accuratezza l' ambiente e le persone del locale. Alla mia vista mi salutò e io ricambiai il saluto.

“Come sta tua madre?” mi chiese.

“Bene grazie” risposi.

“Ricordati di salutarla da parte mia!” mi disse.

Presi una pizza per me e per il mio amico e ci incamminammo verso la strada di casa.

“Le persone continuano ad ignorarmi, come se non esistessi...” mi disse Davide in confidenza

“Non ti preoccupare. Io per te ci sarò sempre, ricordatelo” risposi guardandolo negli occhi. Erano lucidi. Poverino. Lui era messo peggio di me. Nessuno lo considerava. A nessuno importava di lui. Non aveva neanche dei genitori a cui voler bene. Era solo e abbandonato. Una volta mi disse che se non ci fossi stato io con lui, si sarebbe tolto la vita da molto. Spero non ripensi più a una cosa del genere...
Giunti a casa sua mi congedai da lui e presi la strada verso casa mia.

 

Tornato a casa, lasciai la cartella in soggiorno e mi sdraiai sul divano. Le palpebre si fecero subito pesanti ed il sonno mi aggredì.

 

Mi ritrovai improvvisamente a volare in uno spazio che sembrava infinito. Per quanto cercassi un' uscita per andarmene da quel luogo; io non la trovavo. Attorno a me era tutto bianco e luminoso. Passate varie ore a cercare un' uscita stavo per impazzire, pensando che non sarei mai scappato da quel luogo. Improvvisamente mi accorsi che lo spazio attorno a me si stava rimpicciolendo. Se continuava a rimpicciolirsi a quella velocità, presto io... Io...

 

Mi svegliai di soprassalto: era solo un incubo. Ero completamente sudato. Guardai l' orologio che avevo appoggiato sul divano: erano già le otto. Infatti la cena era già pronta ed i miei genitori erano già in sala da pranzo che mangiavano. Andai in bagno mi lavai le mani e li raggiunsi. La dormita di questo pomeriggio mi aveva reso ancora più stanco. Dopo essermi seduto, scoprii il mio piatto e a mio malincuore vidi che i miei avevano preparato il riso in bianco: lo odiavo. Lo mangiai ugualmente perché avevo molta fame. Alzato da tavola mi andai a lavare i denti e successivamente mi feci una doccia. Mentre ero sotto il getto dell' acqua calda, pensavo a come potevo apparire bello agli occhi di Clara. Non doveva essere molto facile, visto che, bella come era, era sicuramente esigente. Ma, alla fine pensare troppo crea solo insicurezza, quindi dovevo essere naturale con lei. Più facile a dirsi che a farsi. Messi questi pensieri da parte, chiusi gli occhi sotto il getto dell' acqua calda . Era come se l' acqua scaricasse, con il suo ticchettio sulla mia pelle, ogni preoccupazione. Era una sensazione molto piacevole. Dopo essermi lavato con cura, uscii dalla doccia tutto sgocciolante ma allegro: ero sempre di buon umore dopo una bella doccia calda.

 

I giorni seguenti furono molto noiosi e non successe niente di particolare, era sempre la solita routine, finché non arrivo quel giorno...
Era già febbraio inoltrato, quando al telegiornale spuntò la notizia del ritrovamento di una ragazza svenuta a Roma. Il problema era che quella ragazza era uguale identica a mia sorella. Noi però abitavamo a Bari. Ne aveva fatta molta di strada per arrivare là. Ero veramente preoccupato: che cosa le sarà successo?
Io e la mia famiglia scoprimmo che era stata ricoverata a Roma, così decidemmo di andare a trovarla.

 

L' ospedale nel quale si trovava era veramente immenso e accogliente. La sala di aspetto era piena di persone anziane ed altre con varie lesioni a diverse parti del corpo. Poi, come sempre, c' erano bambini che non avevano niente di meno che un piccolo taglio, ma che erano stati portate dai genitori per le loro classiche preoccupazioni inutili. Un bambino che correva su e in giù per la sala di aspetto attirò la mia attenzione: aveva i capelli ricci e castani, e la solita faccia paffutella di qualunque bambino. Indossava un piumino che era più grande di lui e le solite scarpine da bambini. Era parecchio buffo. I suoi genitori continuavano a richiamarlo ma lui li ignorava e continuava a scorrazzare e ad urlare nella sala di aspetto. A quel punto un signore si alzò e, perso la pazienza, gli urlò: “ Ragazzino questo è un ospedale, non un parco dei divertimenti!”.
Il bambino a quelle parole si mise a piangere e corse dai suoi genitori. I genitori sgridarono subito l' individuo che aveva rimproverato il bambino, prendendo le sue difese.
“Lo vede? L' ha fatto piangere. Si può essere anche più delicati con lui. É solo un bambino” disse, probabilmente la madre del piccoletto.
L' uomo non rispose e si rimise a sedere. Quest' uomo catturò la mia curiosità: aveva i capelli bianchi coperti da un gran cappello nero, ed aveva una benda che gli avvolgeva il braccio destro. Indossava un camice bianco e dava l' impressione di essere una persona importante.
Mentre guardavo l' ambiente che mi circondava, i miei genitori ed io ci eravamo messi già in fila, e finalmente arrivò il nostro turno. Mia madre chiese subito: “Come sta mia figlia Sara? Sta bene?”.
La persona al bancone chiese qual' era il suo cognome e la mamma glielo disse. A quel punto, lei cercò nella lista delle persone dell' ospedale. La trovò e disse che attualmente si trovava nella sala C15. Noi, accompagnati da un' infermiera, ci precipitammo lì. Lei si trovava sdraiata su un letto, in una piccola angusta stanza. Corsi verso di lei e la guardai: era cambiata molto da quando l' avevo vista l' ultima volta. Il suo volto sembrava molto più maturo, ma anche lacerato da diverse ferite: una di queste era abbastanza profonda e si trovava sulla guancia sinistra. Mi fece un po' impressione inizialmente. L' infermiera ci disse che probabilmente non si sarebbe più risvegliata: a quelle parole non riuscii a fermare le lacrime che presto mi bagnarono le guance. Mi sedetti accanto a lei e gli strinsi forte la mano: “Ti prego svegliati! Non voglio perderti sorellina!” dissi singhiozzando.
“Ti ricordi di quando eravamo bambini e giocavamo insieme sulla spiaggia e facevamo a gara a chi raccoglieva più conchiglie? Vincevi sempre te, era impossibile batterti! Oppure quando facevamo a battaglia con i cuscini, ricordi? Era così divertente giocare e stare insieme a te... Anche quando litigavamo, mi bastava il solo averti accanto per essere felice. Ti voglio bene, perciò vedi di svegliarti e di non lasciare solo tuo fratello, ok?”.
Non so se era una mia impressione ma mi parve che a quelle parole lei abbia sorriso. Lasciai la mano a mia sorella, e con i miei genitori eravamo usciti dall' ospedale.
Saliti su un autobus iniziammo a parlare riguardo a mia sorella:
“A quanto pare è poco probabile che la nostra figlia riesca a svegliarsi e ad uscire dall' ospedale...” disse mio padre.
“Già... E non sappiamo neanche chi o cosa l' ha ridotta così” disse mia madre.
Cadde subito l' argomento perché eravamo troppo addolorati e la domande a cui non avevamo risposta erano veramente troppe.

 

Passarono i giorni, lenti e dolorosi, nell' attesa che succedesse qualcosa, nell' attesa che lei si risvegliasse: ma niente di niente. Quei giorni a scuola erano freddi, noiosi, con i professori che ti spiegavano le solite cose che non interessavano a nessuno e che non avevano alcuna utilità: a chi poteva mai importare di Alessandro Magno o cose simili? Io volevo andare a lavorare, ma dovevo tenere duro, dovevo almeno prendere il diploma e fino ad allora andare bene a scuola. Io andavo bene a scuola, certo non ero il migliore della classe, ma i professori erano contenti del mio rendimento scolastico. Quella mattina faceva particolarmente freddo, ed io ero raggomitolato all' interno delle coperte che emanavano un piacevole tepore. Mi svegliai e guardai l' ora: erano le sette. Scesi dal letto, mi misi le pantofole e andai in bagno, ancora mezzo assonnato. Mi sedetti sulla tazza del gabinetto sbadigliando e feci i miei bisogni mattutini. Quando uscii dal bagno mi stiracchiai e sospirai. Non ne potevo più della scuola; ma oggi sentivo che sarebbe stato un giorno diverso, non so per quale motivo ma ero ottimista. Entrai in camera, mi vestii, presi lo zaino e uscii di casa. Io non facevo mai colazione a casa; andavo a farla sempre nel bar vicino alla scuola con il mio amico Davide. Ci si trovava lì sempre verso le sette e mezzo. Per andare a scuola a volte prendevo l' autobus, mentre a volte, quando i miei nonni potevano, mi accompagnavano loro: i miei genitori non avevano affatto voglia di portarmi a scuola e poi sostenevano che solo i bambini si facevano portare a scuola dai genitori. Quel giorno presi l' autobus e, sceso davanti alla scuola, mi incamminai verso il bar. Il locale era molto grande ed era sempre pieno di persone. Al centro della sala si trovavano i baristi che servivano i clienti ad un grande bancone circolare. I tavoli erano numerosi e rotondeggianti. Io odiavo i posti affollati, ma dovevo dire che i cornetti erano talmente buoni che ne valeva la pena. Non c' erano di più buoni a Bari. Mi avvicinai ad una delle bariste e chiesi un cornetto alla crema e, dopo aver pagato il conto mi sedetti. Le bariste del bancone erano tre, ed erano tutte e tre giovani, molto carine, gentili e sempre sorridenti. Quando cercavo posto tra i tanti tavoli, notai una faccia conosciuta al tavolo sulla destra, vicino alla porta. Era Clara. I suoi occhi erano intenti a leggere un libro, mentre sorseggiava un cappuccino. Alla sola vista, il mio cuore si mise subito a battere all' impazzata e il mio cervello sembrava come andato in corto circuito. Che dovevo fare? Una parte di me pensava che andando al suo tavolo non avrei fatto altro che disturbarla, l' altra parte mi diceva di andarla a salutare e di iniziare a farci conversazione. La timidezza purtroppo aveva avuto la meglio ed alla fine mi diressi verso un altro tavolo, cercando di ignorarla. Ma lei mi notò e mi salutò sorridendomi con un cenno della mano. Dopo aver ricambiato il saluto, mi chiese:

“Sei solo?”

“Sì...Perché?”

“Se sei solo potresti sederti un attimo qui insieme a me”

“Va bene”
Quando mi sedetti accanto a lei, arrossii. Ero molto agitato in quell' istante.

“Senti, potresti spiegarmi questa cosa di scienze? Non l' ho capita molto bene...” mi chiese supplicante. Così gli spiegai quello che mi aveva chiesto e, mentre glielo spiegavo, guardavo spesso i suoi occhi verdi, simili a prati rigogliosi pieni di vita. Sarei stato lì a spiegargli scienze e a parlare con lei per tutto il giorno. Volevo passare ogni giorno della mia vita con lei... Chissà lei cosa provava per me? Mi sarebbe piaciuto saperlo...
Finito di spiegargli scienze, ci avviammo insieme alla scuola.
“Senti, mi chiedevo se ti andrebbe tutte le mattine di trovarci al bar verso le sette e mezzo” mi propose lei, poco prima di entrare in classe.
Io rimasi molto colpito: non me la aspettavo. Conoscendo le donne, però, sarà stato sicuramente per farsi dare una mano con i compiti, di me in fondo forse non gliene importava niente...
Io risposi comunque di sì.
Entrati in classe mi misi al mio posto accanto a lei.
Un' altra noiosa giornata di scuola stava per cominciare...
Il tempo a scuola passò più veloce del solito, ed era già ora di uscire e tornare a casa. Mi incamminai e nella strada di casa incontrai Davide.

“Ehi, Davide! Come va?” salutai con il cenno della mano.

“Come sempre... Te?” mi chiese.

“Io tutto a posto” risposi.”

“Senti, ma perché oggi non sei venuto al bar?” chiesi preoccupato.

“Scusa è che oggi non avevo voglia di uscire di casa...” mi rispose dispiaciuto.

“Non ti preoccupare... Mi ha fatto compagnia una ragazza di classe mia”
Notai nascere un sorriso sul suo volto. All' improvviso si allontanò, senza neanche salutarmi.

 

N.D.A: Salve a tutti! Grazie a tutti coloro che leggono e seguono la mia storia! Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo, ma vi prometto che uscirà presto, probabilmente fra due settimane o forse prima non lo so neanche io. Continuate a seguirmi! Un bacione a tutti.

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