Under the same sky, above the same sea

di Soly_D
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Zoro/Robin − Damn [irresistible] woman! ***
Capitolo 2: *** Rufy/Hancock − Love makes people better ***
Capitolo 3: *** Sanji/Nami − Love me like you do ***
Capitolo 4: *** Usop/Kaya − The triumphal return of a captain ***
Capitolo 5: *** Smoker/Tashigi − Beyond the work relationship ***



Capitolo 1
*** Zoro/Robin − Damn [irresistible] woman! ***


contest
Questa fanfiction partecipa alla challenge SCEGLI IL PAIRING, SCEGLI L’IMMAGINE indetta da Nami93 sul forum di EFP.


Under the same sky, above the same sea

#01. Zoro/Robin − Damn [irresistible] woman!

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Erano ben poche le cose in grado di distrarre Ronoroa Zoro dai suoi allenamenti: una bottiglia di sakè, il profumo del pranzo, il bisogno di dormire e l’arrivo del nemico contro cui mettere in pratica i frutti del suo duro lavoro. E Nico Robin non rientrava di certo tra quelle cose, o almeno era ciò che Zoro si ripeteva di continuo, cercando di auto convincersi. Ma sentire quei dannati occhi glaciali fissi sulla sua schiena mentre si allenava nella palestra della nave era quanto di più frustrante avesse mai provato in vita sua.
Lo spadaccino si lasciò sfuggire un ringhio di esasperazione mentre riprendeva a pompare più veloce di prima i muscoli del braccio con un grosso manubrio stretto nella mano. «Robin, so benissimo che sei lì», disse senza voltarsi, preferendo continuare a guardare il muro davanti a sé, il braccio teso in movimento e le vene ben visibili a causa dello sforzo. Si compiacque di se stesso: l’aveva colta sul fatto mentre lo spiava, si era mostrato per la prima volta più furbo, più matur
o di lei.
«Non mi stavo nascondendo», rispose l’interpellata, ferma sulla soglia della porta.
Zoro sbuffò contrariato: anche quando aveva la situazione in pugno, anche quando la fortuna sembrava girare a suo favore, quella donna riusciva sempre ad abbattere tutte le sue certezze, mostrandosi un gradino al di sopra di lui.
«Mi chiedevo solo per quanto ancora hai intenzione di rimanere chiuso qui dentro», disse Robin con la solita calma.
Zoro piegò le labbra in una smorfia. «Finché non cadrò per terra esausto».
A quel punto avvertì i passi lenti e cadenzati di Robin che attraversava la palestra, sorpassando elegantemente i manubri poggiati per terra. Quando la donna lo raggiunse da dietro, fermandosi ad un passo da lui, un panno morbido e asciutto si posò sul suo collo e un buon profumo di fiori gli invase le narici. Si voltò di scatto incrociando le iridi cerulee della donna: stava per incastrarlo un’altra volta, se lo sentiva.
«Sai, vorrei andare nella biblioteca del paese», cominciò Robin, e con la mano spostò il panno dalla nuca alle spalle di Zoro. «Nami è scesa dalla nave con il capitano e gli altri sono tutti impegnati. Mi chiedevo se tu...». Con lentezza disarmante, gli asciugò il sudore che ricopriva la pelle nuda e accaldata. «...mi chiedevo se ti andasse di venire con me».
Zoro boccheggiò per qualche secondo, completamente rapito dallo sguardo provocante di lei e da quei movimenti sensuali, poi si riscosse all’improvviso, assumendo il cipiglio più severo del suo repertorio.
«Come puoi ben vedere, ho da fare anche io», rispose indicando i manubri posati per terra.
«Peccato». Fu poco più di un sussurro, ma a Zoro non sfuggì.
Robin gli passò il panno sulla fronte, asciugando le ultime gocce di sudore, poi gli sorrise gentile. «Se cambi idea, sai dove trovarmi».
Infine si chinò a baciargli una guancia, pericolosamente vicino alle labbra, e Zoro sgranò impercettibilmente gli occhi per poi voltare lo sguardo, sentendosi arrossire come un bambino. Insomma, Robin credeva davvero che un bacetto avrebbe fatto la differenza? Be’, si sbagliava di grosso! Non poteva mica interrompere gli allenamenti solo per accompagnarla in una stupidissima biblioteca! Se voleva raggiungere il suo sogno, ogni minuto era prezioso per diventare più forte. Non poteva farsi battere da quel damerino del cuoco, e poi doveva essere uno spadaccino degno del suo capitano, e poi l’aveva promesso a Kuina e... e... e... E Robin gli aveva lasciato sulle spalle il panno con cui lo aveva asciugato, eppure l’odore di sudore non era riuscito a sopraffare il profumo di fiori. Quello era ancora lì, delicato, piacevole, irresistibile.
Zoro, semplicemente, non ce la fece. Se quella era una mattinata da passare da solo con Robin, allora non se la sarebbe lasciata sfuggire per nulla al mondo. Gli allenamenti potevano aspettare, lei no.
Con uno scatto fulmineo si sollevò in piedi e raggiunse a grandi falcate l’uscita della palestra. «Ohi, Robin!».
La donna, bloccandosi in mezzo al corridoio, si voltò nella direzione dello spadaccino, tutt’altro che sorpresa. A Zoro non rimaneva che rassegnarsi: Robin aveva tutta una sua strategia per convincerlo a fare ciò che voleva e, inutile negarlo, funzionava dannatamente bene.
«Io ti accompagno in biblioteca, ma poi cerchiamo un bar ‘che ho voglia di sakè, capito?».
Robin inarcò un sopracciglio, sorridendo in modo enigmatico.
Forse la proposta di Zoro gli era parsa più un invito a bere qualcosa insieme. Forse lo era davvero.
«Sarà meglio sbrigarsi allora».
O forse Zoro non l’avrebbe mai capita a pieno, Robin.
“Ah, dannata donna!”
Ma in fondo gli andava benissimo così.











Note dell'autrice:
Comincio una nuova raccolta multipairing nonostante quelle già in corso semplicemente perchè sto amando One Piece, sia grazie a queste bellissime challenges sia grazie al vostro sostegno. Ringrazio tutti coloro che mi seguono e che commentano le mie storie, spero che anche questa raccolta possa piacervi ♥
Chi mi conosce, dovrebbe già sapere quali coppie si succederanno nel corso dei capitoli, ma non vi nascondo che tenterò di cimentarmi con coppie nuove. Il titolo fa riferimento al fatto che tutte le coppie di One Piece, in un modo o nell'altro, sono legate allo stesso cielo (come Usop e Kaya, che vivono lontani) o allo stesso mare (come Rufy e Nami, o Zoro e Robin, che vivono su una nave). Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie ancora e alla prossima! :)

Soly Dea

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Capitolo 2
*** Rufy/Hancock − Love makes people better ***


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Questa fanfiction partecipa alla challenge SCEGLI IL PAIRING, SCEGLI L’IMMAGINE indetta da Nami93 sul forum di EFP.


Under the same sky, above the same sea

#02. Rufy/Hancock − Love makes people better


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Hancock, in piedi davanti ai fornelli da interminabili ore, allungò una mano verso il ricettario poggiato sul ripiano in marmo e voltò pagina. Poi, seguendo le indicazioni, mescolò il contenuto della pentola con il mestolo, mentre con l’altra mano si asciugava il sudore dalla fronte.
Non avrebbe mai creduto che cucinare potesse risultare così difficile, ma per Rufy avrebbe fatto quello e altro.
Quando si accorse che il riso era pronto, spense i fornelli e lasciò che la pentola si raffreddasse.
Era così stanca che quasi si reggeva in piedi, un minuto di pausa le avrebbe sicuramente giovato. Raggiunse la tavola apparecchiata e vi poggiò un gomito, sostenendosi il mento con una mano mentre riposava gli occhi. Senza quasi accorgersene, dopo un’intera giornata passata a cucinare, si accasciò lentamente sul tavolo sprofondando tra le braccia di Morfeo.


Hancock si arrotolò una ciocca di capelli scuri intorno al dito, sospirando languida in direzione di Rufy.
Al contrario del pirata, che si stava letteralmente ingozzando di carne, lei non aveva ancora assaggiato niente: in presenza di Rufy la fame si dissolveva nel nulla, sostituita da una morsa piacevole allo stomaco e dal desiderio di godersi a pieno quei pochi istanti con lui.

«Non lo mangi quello?», le chiese il pirata, indicando con lo sguardo il suo piatto ancora pieno.
Hancock scosse la testa e Rufy allungò un braccio per afferrare il piatto. «Se non ti dispiace, allora me lo mangio io!», esclamò con un sorriso, divorando in un sol boccone la porzione di riso che sarebbe spettata all’imperatrice.
Hancock sospirò ancora, guardando sognante il pirata. «Devo dedurre che... che questi piatti siano di tuo gradimento?».
Il futuro re dei pirati sollevò gli occhi dal pasto mentre addentava l’ennesima coscia di pollo e sorrise apertamente all’imperatrice.
«Shi shi shi, sono tutti buonishimi!», esclamò con le guance gonfie di cibo e la bocca cosparsa di salsa.

Il viso di Hancock si illuminò. Adorava l’ingenuità e la spontaneità di Rufy, per certi versi lo invidiava.
Essere un’imperatrice pirata implicava un sacco di responsabilità e convenzioni, mentre Rufy appariva sempre così libero di fare e dire qualsiasi cosa che Hancock, in cuor suo, sperava di poter partire con lui, un giorno, far parte della sua vita, condividere quella libertà. Ma sapeva che per il momento il suo posto era lì, sull’isola delle donne. Non poteva abbandonare le sue sorelle.

«Sai, ho preparato tutto io», ammise, studiando la sua reazione di sottecchi.
Rufy la guardò sorpreso mentre ingoiava il boccone. «Credevo che avessi dei cuochi tutti per te, qui a palazzo!».
«Be’, certo che ce li ho! Ma volevo cucinare io, per una volta. Insomma, una brava mogliettina deve saper fare questo genere di cose, no?».
Ad Hancock parve di sentire il pirata che ripeteva la parola “mogliettina?” con aria perplessa, ma non vi badò molto: ormai era finita in un altro mondo, un mondo dove Rufy le aveva dichiarato tutto il suo amore e l’aveva sposata, un mondo dove lei attendeva il ritorno di suo marito da lavoro indossando un grembiulino ricamato e canticchiando un
allegro motivetto davanti ai fornelli accesi.


Entrando nella cucina, le serve del palazzo di Boa Hancock non avrebbero mai immaginato di trovare la loro imperatrice appisolata sul ripiano in marmo, circondata da pentole sporche e piatti ricolmi di cibo. Proprio lei, la più superba, orgogliosa, vanitosa, viziata ed egoista donna del mondo, si era abbassata a cucinare per un uomo, mostrando umiltà e spirito di sacrificio.
E mentre la prendevano in braccio per portarla a letto, uno solo fu il pensiero comune alle serve.
“L’amore vi sta rendendo una persona di gran lunga migliore, imperatrice Boa Hancock”.












Note dell'autrice:
Se non si è capito, la parte in corsivo è un sogno. Ho voluto mantenere Rufy IC perchè mi piange il cuore a vederlo come se lo immagina Hancock nelle sue fantasie, quindi ho preferito accennare a queste ultime solo nel finale del sogno. La coppia in generale non mi fa impazzire, ma ne ho approfittato per sottolineare che l'amore rende le persone migliori e in questo caso Rufy rende Hancock più umile.
Spero che vi sia piaciuta, fatemi sapere cosa pensate! Grazie mille a tutti coloro che già seguono questa raccolta, alla prossima!

Soly Dea

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Capitolo 3
*** Sanji/Nami − Love me like you do ***


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Questa fanfiction partecipa alla challenge SCEGLI IL PAIRING, SCEGLI L’IMMAGINE indetta da Nami93 sul forum di EFP.


Under the same sky, above the same sea

#03. Sanji/Nami − Love me like you do


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La ciurma di Cappello di Paglia era sbarcata da pochi giorni su una piccola isola sperduta per fare rifornimento e lì aveva scoperto che la popolazione sottostava alle leggi di un gruppo di tiranni che, anni prima, avevano spodestato il re e catturato la principessa. Rufy, ovviamente, non ci aveva pensato due volte a sfidare i cattivi di turno e riportare sul trono i vecchi sovrani. Questi ultimi, in segno di riconoscenza, oltre a rifornire la ciurma di cibo – per la gioia del capitano – e di ricchezze – per la gioia della navigatrice – avevano anche invitato Rufy e i suoi al matrimonio della principessa.
«COOOSA?! Tra un’ora?! Non riuscirò mai a prepararmi in così poco tempo! Devo ancora farmi la doccia, lavarmi i capelli, truccarmi, scegliere il vestito e...». Nami si bloccò, passandosi una mano sul viso con aria esasperata. «Rufy, ti prego, lasciamo perdere... non abbiamo tempo per queste cose».
«Ma ai matrimoni ci sono montagne di cibo! Capisci, Nami? Non posso perdermi un’occasione del genere!».
Nami capiva, capiva eccome – bisogna approfittare di qualsiasi cosa fosse gratis – ma il problema era che quel dannatissimo matrimonio era previsto per le dieci di mattina e loro avevano ricevuto l’invito alle nove. Insomma, lei era la Gatta Ladra e non poteva di certo indossare la prima cosa che le capitava tra le mani. Aveva bisogno di più tempo per prepararsi, diamine!
L’unica alternativa sarebbe stata chiedere a Robin di aiutarla con un paio delle sue braccia, ma Nami l’aveva vista scendere dalla nave insieme a Zoro giusto pochi minuti prima – forse per comprare un vestito nuovo per il matrimonio, forse per altro. Quei due stavano ufficialmente insieme da qualche mese e, nonostante Nami fosse felice per loro, in cuor suo provava una punta di invidia: l’archeologa aveva avuto il coraggio di fare il primo passo con lo spadaccino, mentre lei non era nemmeno riuscita ad ammettere a se stessa i propri sentimenti... per il cuoco.
All’improvviso Nami seppe ciò che doveva fare e sorrise furbescamente: quel matrimonio, forse, era l’occasione giusta per cambiare le carte in tavola.



Non appena aveva saputo del matrimonio, Sanji era corso in bagno a farsi la doccia per rendersi presentabile agli occhi delle bellissime fanciulle che avrebbe incontrato quel giorno. In realtà avrebbe voluto far colpo su una fanciulla in particolare, ma da quando quel brutto idiota di Zoro era riuscito a conquistare Robin-chan, Sanji aveva perso parte delle sue speranze nei confronti di Nami-san. Se non l’aveva ancora notato in tutti quegli anni, probabilmente non lo avrebbe fatto più. Con un sospiro frustrato uscì dalla doccia e si avvolse nell’accappatoio, quando sentì bussare vigorosamente alla porta del bagno. «Sanji-kun, sono io!».
Oh, era la sua dea. Adorava la voce di Nami-san, così dolce, così melodiosa...
«Nami-swan, due minuti e sono subito da te~♥».
Era più forte di lui: nonostante si fosse ripromesso semplicemente di servirla e assecondarla come aveva sempre fatto, non poteva fare a meno di fantasticare su loro due insieme ogni volta che se ne presentava l’occasione. Insomma, se Nami-san aveva così tanta urgenza di parlare con lui, cosa poteva mai significare se non che si era pazzamente innamorata di lui?
«Sanji-kun, ti prego, non posso aspettare!».
Sì, doveva essere assolutamente così. «Nami-swan, dammi solo il tempo di vestirmi~♥». Si tolse l’accappatoio e si infilò i boxer, mentre con un sorriso estasiato immaginava la sua futura vita al fianco di Nami-san, il primo bacio, la prima volta, il matrimonio, i figli...
«Non c’è tempo, sto entrando!».
Sanji sgranò gli occhi in direzione della porta che si aprì lentamente, rivelando una Nami-san piuttosto spazientita, totalmente incurante del fatto che lui fosse ancora in boxer. Sanji si sentì quasi arrossire come un bambino: lei era l’unica in grado di metterlo in imbarazzo.
«Quel dannato matrimonio è tra meno di un’ora ed io ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a prepararmi», spiegò come se fosse la cosa più naturale del mondo. Sanji avvertì tutti i suoi castelli mentali sgretolarsi l’uno dopo l’altro, poi nella sua mente si delineò l’immagine di lui che strofinava la schiena di Nami-san seduta nella vasca da bagno piena d’acqua e bollicine, e rischiò seriamente di perdere sangue dal naso.
«N-Nami-swan, non puoi immaginare quanto questa proposta sia allettante~♥, ma... perché proprio io?».
Nami mise le mani sui fianchi e schioccò la lingua sul palato, vagamente infastidita.
«Robin non può aiutarmi perché è andata non so dove con Zoro e sinceramente di tutti voi l’unico che abbia un minimo di gusto mi sembri tu».
Sanji avrebbe acconsentito volentieri se solo il pensiero di lui e Nami-san da soli in bagno non gli provocasse pensieri poco casti. Insomma, era pur sempre un uomo − chiunque avrebbe pagato per passare del tempo con Nami in un contesto simile − ma lui l’amava praticamente dal giorno in cui l'aveva vista e non avrebbe mai fatto nulla senza il suo permesso. Perciò sarebbe stato meglio evitare qualunque tentazione.
«Mia adorata, sai quanto mi renda felice esserti utile, ma...».
«Vuoi per caso che chieda a qualcun altro, ad esempio... uhm, che ne so... Rufy?».
Sanji sgranò gli occhi. Al solo pensiero di Rufy che metteva le sue manacce sul bellissimo corpo di Nami-san sentiva una rabbia così forte da fargli venire voglia di prendere il capitano a calci, così, senza un vero motivo. Si arrese, lasciandosi sfuggire un sospiro. Sarebbe stato forte, avrebbe resistito in nome dello sconfinato amore che provava per Nami-san. «E va bene...».
«Oh, finalmente!», esclamò la navigatrice sorridendo, poi si fece improvvisamente seria. «Sanji-kun, ti avviso, questa cosa non ha nessunissimo doppio fine, capito?». No, solo lui e Nami-san mezza nuda chiusi in bagno. Quale doppio fine ci sarebbe potuto essere?



Nami lo fissava da un intero minuto con le braccia incrociate sotto il seno, un sopracciglio inarcato e il piede che batteva ritmicamente per terra. Sanji non capiva il perché di quell’atteggiamento. Non era forse stata lei a chiedergli di rimanere lì per aiutarla?
«Tutto a posto, Nami-san?», chiese vagamente preoccupato.
«La doccia me la posso fare anche da sola, idiota», sottolineò lei fulminandolo con lo sguardo. «Se non esci, non posso spogliarmi».
«A-ah, giusto», rispose il cuoco, sentendosi irrimediabilmente stupido. «Esco subito».
«Sarò veloce», gli assicurò Nami, «tu rimani dietro la porta ad aspettarmi. Appena ti chiamo entra».
«O-okay». Poi la navigatrice lo spinse fuori dal bagno e gli sbatté letteralmente la porta in faccia.
Sanji si accasciò lungo la superficie di legno, fino a sedersi per terra.
Nami-san nuda dall’altra parte della porta e lui all’esterno, con solo i boxer, che aspettava di poter entrare.
Peggio – o meglio? – di così, non poteva proprio andare.



«Sanji-kun, puoi entrare».
«Sicura sicura?».
«Ti ricordo che faccio ancora in tempo a chiamare qualcun altro...».
A quelle parole, Sanji scattò in piedi, spalancò di colpo la porta ed entrò, per poi richiudersela alle proprie spalle. Nami era in costume da bagno, pulita e asciutta, ma i capelli gocciolavano ancora umidi sulla schiena. Sanji si fece forza e ridusse la distanza che li separava: l’aveva vista tante volte in costume da bagno, perché questa volta avrebbe dovuto fare la differenza?
«Cosa devo fare, Nami-san?».
La navigatrice si sedette sul tappeto, davanti allo specchio, e gli indicò il phon. «Asciugami i capelli mentre mi trucco».
Sanji prese lo sgabello per sedersi dietro di lei, poi afferrò il phon e lo accese, avvicinando le mani tremanti alla testa della ragazza e cominciando a smuovere i lunghi capelli rossicci sotto il getto d’aria calda. Intanto la osservava frugare all’interno della sua trousse per estrarre tutti i cosmetici di cui aveva bisogno. ...Che poi Nami-san era bella anche senza trucco. Lei era bella sempre.
Sanji alzò lo sguardo sullo specchio, che gli restituì l’immagine di un giovane uomo intento ad aiutare la sua donna a farsi bella. Ma Nami-san non era sua, forse non lo sarebbe mai stata. Perché quel buzzurro di Zoro poteva stare con la donna che amava e lui no? Cosa aveva fatto di sbagliato per non meritarsi l’amore di Nami-san? Perché nonostante le moine, i complimenti e le faccende che sbrigava per lei, lo sguardo di Nami continuava inesorabilmente a passargli attraverso?
All’improvviso pensò di non fare abbastanza, pensò che Nami non aveva bisogno di uno schiavetto pronto a gettarsi in mare per lei, ma di un uomo in grado di dimostrarle tutto il suo amore. In fondo Zoro non aveva nulla di cavalleresco, anzi era un tipo piuttosto “diretto”, eppure era riuscito a far breccia nel cuore di Robin. Sanji si disse che forse aveva sbagliato a trattenersi: forse era proprio il contatto fisico – che lui aveva sempre evitato per paura di ferire Nami-san – l’unica soluzione al problema. Doveva farle capire che il suo amore non era platonico, che la desiderava ardentemente sotto ogni punto di vista: cuore, anima e anche corpo.
Doveva provarci, perlomeno. Nel peggiore dei casi, Nami l’avrebbe picchiato di santa ragione.
Continuando a reggere il phon con una mano, avvicinò l’altra al collo della navigatrice e spostò tutti i capelli sulla spalla destra, in modo da avere piena visione di quella sinistra. Sfiorò con le dita quella porzione di pelle così liscia e calda al contatto, mentre con lo sguardo scrutava l’immagine della navigatrice attraverso lo specchio per captare la sua reazione: la ragazza si stava passando il rossetto sulle labbra e sembrava non essersi accorta di nulla. Probabilmente aveva interpretato quello sfioramento come un gesto involontario.
Sanji si fece forza e poggiò le dita sul collo della navigatrice, scendendo con lentezza lungo la spalla e accarezzando il braccio fino al gomito. A quel punto Nami lo mosse un po’, senza però distogliere l’attenzione da ciò che stava facendo, e Sanji ritirò subito la mano, come scottato.
Deglutì, a disagio. Ci avrebbe provato un’ultima volta, poi avrebbe mandato tutto all’aria.
Spense il phon: i capelli di Nami erano perfettamente asciutti.
“O adesso o mai più” si disse. Si trascinò maggiormente in avanti con lo sgabello e si sporse verso di lei, poggiando il mento sulla sua spalla.
Nel guardarla da quella posizione, con il viso illuminato dal trucco, Sanji si lasciò sfuggire un sospiro sognante. «Sei meravigliosa, Nami-san».
Lei sorrise senza guardarlo e al cuoco parve quasi di vederla arrossire, ma forse doveva esserselo immaginato. Con un altro po’ di coraggio, avvicinò il viso al collo della navigatrice e percorse con la punta del naso la linea della mandibola, raggiungendo la guancia. A quel punto sollevò il viso e sfiorò con le labbra la tempia, lasciandole un piccolo bacio. Avrebbe volentieri proseguito di lato, scendendo verso il lobo dell’orecchio, se non si fosse ritrovato addosso i grandi occhi di Nami sgranati all’inverosimile. Sembrava che avesse appena visto un fantasma.
«C-cosa stai facendo?». Il suo tono di voce non era minaccioso, sembrava quasi... in imbarazzo.
Sanji la guardò negli occhi, cercando di leggervi dentro, e ricordò improvvisamente ciò che le aveva promesso mezz’ora prima.
“Sanji-kun, ti avviso, questa cosa non ha nessunissimo doppio fine, capito?”.

Come avrebbe potuto infrangere quella promessa? Lui era Sanji, comportarsi da gentiluomo era insito nella sua natura. Era pervertito solo a parole, ma non avrebbe mai e poi mai fatto qualcosa ad una donna contro il suo volere, per di più se si trattava della donna che amava. E se Nami gli aveva detto che in tutta quella faccenda non c’era nessun doppio fine, allora significava che non era interessata a lui.
Non poteva provarci con lei così spudoratamente. Un conto era decantarle tutto il suo amore, un conto era toccarla e baciarla senza il suo permesso. Quello non era un comportamento da Sanji. Non era quello il tipo di amore in cui lui credeva.
Deluso da se stesso, si allontanò velocemente dalla navigatrice e si mise in piedi, pronto ad uscire da quel maledetto bagno. Aveva appena fatto pochi passi in direzione della porta, quando la voce di Nami gli riempì le orecchie – e il cuore.
«OH, INSOMMA, NON CI POSSO CREDERE!».
Sanji si voltò allibito: Nami lo guardava rossa in volto con i pugni stretti lungo i fianchi.
«Io e te... chiusi da soli in un bagno... mezzi nudi... per mezz’ora... E quando stai per agire, ti alzi e te ne vai! Ma ti sei fumato il cervello?!».
Sanji si sentì mancare il respiro. «N-Nami-san», sussurrò. «Ma tu avevi detto...».
«E pensare che avevo programmato tutto nei minimi dettagli!», lo bloccò lei visibilmente infuriata. «Ero sicura che questa volta ti saresti dato una mossa e invece... invece no! A volte mi chiedo se sei veramente così tanto innamorato di me come dichiari di esser−».
Sanji, semplicemente, la baciò. Avvolse le braccia intorno ai fianchi della navigatrice e, stringendola contro il proprio petto, premette le labbra sulle sue, imprimendovi tutta la passione repressa fino a quel momento.
Quando lei rispose al bacio, cingendogli il collo e accarezzandogli i capelli, Sanji si sentì in paradiso.
La sua natura da gentiluomo, alla fine, aveva avuto gli effetti sperati.
«Nami-san, se mi sono trattenuto è proprio perché ti amo... troppo».
«Sta’ zitto e baciami, stupido cuoco».



«Mi aiuti a scegliere il vestito per il matrimonio?».
«A dire la verità ti preferisco senza».
«...».
«...».
«...Non sbilanciarti troppo ora».













Note dell'autrice:
Avevo in mente questo capitolo fin dall'inizio ma l'ho voluto pubblicare solo ora perchè continuavo a limarlo nel tentativo di imprimerci tutto l'amore che provo per questa coppia, la mia OTP in assoluto. Spero che questo amore sia arrivato anche a voi, io ho fatto del mio meglio ♥ ringrazio Nami93 per la bellissima immagine, l'ho adorata fin da subito. Tornerò con altri capitoli su Nami e Sanji, ma nei prossimi voglio dedicarmi a coppie nuove ;) grazie a tutti coloro che mi seguono e commentano, critiche e commenti sono sempre ben accetti. Alla prossima!

Soly Dea

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Capitolo 4
*** Usop/Kaya − The triumphal return of a captain ***


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Questa fanfiction partecipa alla challenge SCEGLI IL PAIRING, SCEGLI L’IMMAGINE indetta da Nami93 sul forum di EFP.


Under the same sky, above the same sea

#04. Usop/Kaya − The triumphal return of a captain


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Fin da quando si era unito alla ciurma di Cappello di Paglia, nonostante le continue paure e insicurezze che lo attanagliavano, Usop non aveva mai avuto dubbi sul fatto che prima o poi Rufy sarebbe diventato il re dei pirati, Zoro il miglior spadaccino del mondo, Sanji avrebbe trovato l’All Blue, Nami avrebbe completato la cartina del mondo e tutti avrebbero realizzato i loro sogni.
Eppure, tornando nel villaggio di Shirop nelle vesti di re dei cecchini, quasi Usop non riuscì a credere di aver fatto tutta quella strada in così poco tempo: solo pochi anni prima era un ragazzino smilzo, pauroso e bugiardo che partiva per il mare insieme ad uno sconosciuto col cappello di paglia, ed ora, diventato uomo, tornava nel suo paese con una tartaruga di muscoli che avrebbe fatto invidia a chiunque e una taglia enorme che gli pendeva sulla testa. Chi l’avrebbe mai detto?
Appena sbarcato, Usop rivolse gli occhi al cielo e inspirò l’aria familiare del paese in cui era nato e vissuto per anni, poi imboccò la strada che lo avrebbe portato da colei che ancora aspettava il suo ritorno. Era così emozionato di rivederla che non riusciva a smettere di sorridere. Certo, grazie alle lettere che si erano scambiati in tutti quegli anni, sapeva che lei stava bene e che sentiva la sua mancanza, ma rivederla dopo tanto tempo sarebbe stata tutta un’altra cosa.
Impaziente, accelerò il passo e in poco tempo arrivò a destinazione: il palazzo di Kaya si ergeva davanti ai suoi occhi, incorniciato dalle fronde degli alberi, così maestoso che sembrava quasi avvolto da un incantesimo. A quel punto gli venne spontaneo sollevare lo sguardo sull’albero che con i suoi rami raggiungeva il balcone, lì dove anni prima si appostava per raccontare a Kaya avventure straordinarie – nient’altro che bugie, lo sapevano entrambi, eppure andava benissimo così − mentre ora avrebbe avuto storie vere da raccontare e tutto sarebbe stato ancora più bello.
In passato non gli era stato permesso entrare nel palazzo di Kaya, per questo si era sempre accontentato di parlarle attraverso la finestra. Questa volta, invece, sarebbe entrato dalla porta, da vero uomo qual era.
Mentre rifletteva, vide quella stessa porta aprirsi lentamente, lasciando fuoriuscire una voce dolce ma decisa.
Oh
, Usop ricordava bene quella voce, l’avrebbe riconosciuta tra mille.
«Tranquilli, è solo un raffreddore. Vi basterà stare un po’ a riposo per guarire. La prossima volta evitate di giocare sotto la pioggia, okay?».
Altre voci provenienti dall’interno, maschili e decisamente più infantili, mormorarono in coro uno strascicato «Sì» accompagnato da una serie di starnuti.
Usop sorrise ancora. Kaya glielo aveva raccontato nelle lettere, ma in quel momento il cecchino ne ebbe la conferma: era guarita davvero ed era diventata un medico, realizzando così il suo più grande sogno, proprio come era successo a lui e alla sua ciurma.
Usop stava per rivelare la propria presenza, quando la porta si spalancò completamente e tre ragazzini in procinto di uscire si bloccarono sulla soglia, fissandolo a bocca aperta. Il cecchino li squadrò uno ad uno: il più alto aveva un codino ispido che lo rendeva simile ad una Carota, il secondo ricordava un Peperone per i capelli verdi, il più basso aveva un viso rotondo coronato da un ciuffo biondo per il quale era noto con il nome Cipolla.
Usop fece un passo avanti con un grosso sorriso stampato sul volto. Ah, i suoi piccoli pirati...
«Certo che siete proprio cresciuti, eh!».
I ragazzini si scambiarono occhiate perplesse, quasi non lo stessero riconoscendo, poi sgranarono gli occhi e urlarono «CAPITAN USOP!» scoppiando a piangere. Usop si batté orgogliosamente una mano sul petto. «E sì, sono proprio io! Dopo anni e anni di avventure ho deciso di−».
Non fece in tempo a terminare le frase che i ragazzini gli corsero incontro e lo abbracciarono stretto.
«Capitan Usop! Pensavamo che non saresti più tornato, ora che sei diventato importante!».
Usop scompigliò teneramente i capelli di tutti e tre. «Be’, un salto a casa me lo posso permettere ogni tanto, no?».
I ragazzini sorrisero asciugandosi le lacrime e si prepararono a tempestarlo di domande, quando la voce di Kaya giunse nuovamente alle loro orecchie.
«Ragazzi, che succede?! Cosa avete da urlar−».
Quando Usop sollevò lo sguardo, Kaya era ferma sulla soglia della porta. Lo stesso colorito pallido, gli stessi capelli biondi, ma era cresciuta in altezza e il vestitino azzurro evidenziava le sue forme ora più prosperose. Non era più una ragazzina. Sembrava più forte, più donna.
Il cecchino boccheggiò, letteralmente ammaliato.
«Usop...». La ragazza si portò una mano alla bocca per trattenere un singhiozzo.
«...Kaya», rispose lui, deglutendo a vuoto. Lei sorrise tra le lacrime, infine gli corse incontro.
Usop allargò le braccia per accoglierla, ma inaspettatamente le mani di Kaya si posarono sulle sue guance, i loro nasi si scontrarono – un giorno ne avrebbero riso – e le loro labbra cozzarono le une contro le altre, in un bacio che sapeva di attesa e immensa felicità.
Colto alla sprovvista, Usop si irrigidì, gli occhi spalancati e le braccia stese lungo i fianchi, poi ricordò che quella era la ragazza che amava da tutta la vita e la afferrò per i fianchi, sollevandola letteralmente da terra e ricambiando il bacio con la stessa passione.
Kaya si strinse maggiormente a lui, sorridendo contro le sue labbra. «Voglio sapere tutto, capito?».
Perché leggere le sue lettere era un conto, sentirsi raccontare quelle fantastiche avventure dal vivo era un altro.
Usop sorrise di rimando, completamente rosso in volto. «Servirà tempo».
Gli occhi di Kaya brillarono. «Abbiamo tutta la vita davanti, no?».
Ad Usop suonò come la più bella dichiarazione d’amore che Kaya avesse mai potuto fargli e questa volta fu lui a baciarla, sotto le urla e i fischi di Carota, Peperone e Cipolla, che si godevano emozionati il trionfale ritorno del loro capitano.












Note dell'autrice:
Mmm so che questo capitolo non è pienamente Usop/Kaya se non per l'ultima parte, ma mi andava davvero tanto di descrivere il ritorno a casa del re dei cecchini (e comunque ci saranno altri capitoli dove svilupperò meglio questa coppia). Spero che l'idea vi sia piaciuta, fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie a tutti coloro che seguono e commentano, alla prossima ♥

Soly Dea

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Capitolo 5
*** Smoker/Tashigi − Beyond the work relationship ***


contest
Questa fanfiction partecipa alla challenge SCEGLI IL PAIRING, SCEGLI L’IMMAGINE indetta da Nami93 sul forum di EFP.


Under the same sky, above the same sea

#05. Smoker/Tashigi − Beyond the work relationship

v


«Mi spiego, Smoker-san? La ciurma di Cappello di Paglia è stata avvistata qui vicino! É la mia occasione per riscattarmi. Farò finalmente vedere a Ronoroa Zoro di che pasta sono fatta!».
Tashigi parlava ormai da interi minuti. Si era sistemata gli occhiali tra i capelli, rivelando le iridi scure che brillavano di profonda determinazione, e teneva il dito puntato sulla cartina geografica ad indicare l’isola su cui erano sbarcati i pirati di Monkey D. Rufy.
Smoker aveva capito decisamente poco di quello che aveva detto la donna, più interessato alle sue ciocche corvine che, sfuggite alla crocchia morbida sulla testa, ciondolavano nella direzione del vento e le sfioravano delicatamente il collo niveo. Senza quasi essersene accorto, aveva allungato una mano verso la nuca della ragazza e aveva preso ad accarezzarle di tanto in tanto i capelli alla base del collo.
«S-Smoker-san», lo chiamò incerta Tashigi, sbattendo le palpebre perplessa.
L’uomo tolse la mano dalla sua nuca e riportò lo sguardo su di lei, palesemente imbarazzata per quel gesto tanto intimo quanto inaspettato.
«Sì?», le chiese con calma, aspirando un paio di boccate dai due sigari che aveva in bocca.
Tashigi abbassò gli occhi sulla cartina nautica. «Nulla di particolare, mi chiedevo solo se mi stesse ascoltando».
«Oh sì sì, continua pure. Dicevi che sei pronta per sconfiggere Ronoroa, no?».
Gli occhi di Tashigi si animarono di una nuova luce. «Assolutamente sì, mi sono allenata duramente in attesa del giorno in cui avrei potuto nuovamente battermi con lui. Non posso lasciarmi sfuggire un’occasione del genere. Dobbiamo raggiungere immediatamente Cappello di Paglia! Ronoroa se la vedrà direttamente con me!».
Smoker strinse i due sigari tra i denti, dimenticando per un attimo di aspirare il fumo.
«Ronoroa di qua, Ronoroa di là... Questo spadaccino desta particolarmente il tuo interesse, eh?».
Tashigi arrossì lievemente. «Cosa intende? Il mio interesse per lui rimane legato al combattimento. Ho cose ben più importanti a cui pensare e poi... poi Ronoroa non é il mio tipo».
«Interessante». Smoker riprese ad aspirare regolarmente il fumo dai sigari, le labbra piegate in un sorriso di sollievo.
«E dì un po’, quale sarebbe il tuo tipo?», domandò con un ghigno stampato sul volto.
Tashigi tossicchiò imbarazzata, riportando gli occhiali sul naso come per nascondersi dietro le lenti.
«N-non mi piace parlare di queste cose, Smoker-san. Avrei preferito nascere uomo, lo sa».
«Ma sei una donna, Tashigi, che tu lo voglia o no. Sei forte e testarda come un uomo, ma sei pur sempre donna. Dentro... e fuori».
A quel punto lo sguardo di Smoker ricadde sulle labbra di Tashigi, rosse e carnose, e seguendo la linea del collo giunse sul seno prosperoso, il cui taglio si intravedeva al di sotto della camicetta sbottonata, infine si soffermò sulla vita sottile e sui fianchi sinuosi. Tashigi, sentendosi squadrare dallo sguardo del viceammiraglio, si riabbottonò pudicamente la camicetta e si strinse il busto tra le sue stesse braccia, come per impedirgli di guardare troppo a lungo le sue forme generose. «Perché questi discorsi, Smoker-san?», chiese confusa.
Non voleva illudersi, eppure per un momento le era sembrato che il viceammiraglio fosse andato oltre il loro rapporto di lavoro e l’avesse guardata come si guarda una donna attraente e desiderabile. Era vero, Tashigi avrebbe voluto nascere uomo, ma mai come in quel momento ringraziava di essere donna. Lo sguardo di Smoker che vagava sul suo corpo e quella inaspettata curiosità di conoscere il suo tipo ideale erano cose che sì, la imbarazzavano, ma le rimescolavano tutto all’altezza dello stomaco in maniera tremendamente piacevole.
«Pure riflessioni in un momento di noia», si limitò a rispondere Smoker scrollando le spalle, eppure Tashigi seppe che c’era qualcos’altro e in cuor suo non si diede per vinta. Rimasero in silenzio, rivolgendosi occhiate furtive di tanto in tanto. Fu Smoker ad interrompere l’incontro.
«Va bene così, Tashigi, puoi andare».
«Buona giornata, Smoker-san».
Smoker fece un breve cenno della testa e Tashigi si alzò dalla sedia per allontanarsi, ma dopo aver fatto pochi passi si voltò nuovamente.
«E la sua donna ideale, Smoker-san?». Quella domanda le era uscita dalle labbra ancora prima di averla pensata ma, nonostante la vergogna di essersi appena intrufolata negli affari privati del viceammiraglio, Tashigi non se ne pentì.
Smoker sorrise, scandendo bene le parole: «La donna con le palle».
«Una donna che si sente un po’ uomo, insomma».
Smoker annuì, lasciando i due sigari appena finiti sul posacenere, per poi estrarne altri due dai pantaloni.
«Interessante», rispose Tashigi, le labbra piegate in un lieve sorriso.
Rimasero a guardarsi per qualche secondo, poi la donna si voltò e riprese a camminare prima che lui notasse l’intenso rossore sulle sue guance.
Accendendo i due nuovi sigari e osservando il sedere della bella Tashigi ondeggiare in lontananza, Smoker pensò che quella conversazione non l’avrebbe dimenticata tanto facilmente.











Note dell'autrice:
Aggiorno dopo interi mesi perché ho voluto dedicarmi ad altri fandom, ma finalmente trovo l'ispirazione per continuare questa raccolta. La coppia non è delle più gettonate (forse Smoker è un po' OOC, perdonatemi T.T), ma spero che il capitolo vi sia piaciuto almeno un po'
:) GRAZIE a tutti coloro che mi seguono e commentano, fatemi sapere ancora una volta cosa ne pensate e mi renderete l'autrice di EFP più felice del mondo :D alla prossima!

Soly Dea

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