Under the same sky, above the same sea di Soly_D (/viewuser.php?uid=164211)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Zoro/Robin − Damn [irresistible] woman! ***
Capitolo 2: *** Rufy/Hancock − Love makes people better ***
Capitolo 3: *** Sanji/Nami − Love me like you do ***
Capitolo 4: *** Usop/Kaya − The triumphal return of a captain ***
Capitolo 5: *** Smoker/Tashigi − Beyond the work relationship ***
Capitolo 1 *** Zoro/Robin − Damn [irresistible] woman! ***
contest
Under
the same
sky,
above the same
sea
#01.
Zoro/Robin − Damn [irresistible] woman!
Erano ben poche le cose in
grado di distrarre Ronoroa Zoro dai suoi allenamenti: una bottiglia di
sakè, il profumo del pranzo, il bisogno di dormire e
l’arrivo del nemico contro cui mettere in pratica i frutti
del suo duro lavoro. E Nico Robin non rientrava di certo tra quelle
cose, o
almeno era ciò che Zoro si ripeteva di continuo, cercando di
auto convincersi. Ma sentire quei dannati occhi glaciali fissi sulla
sua schiena mentre si allenava nella palestra della nave era quanto di
più frustrante avesse mai provato in vita sua.
Lo spadaccino si lasciò sfuggire un ringhio di esasperazione
mentre
riprendeva a pompare più veloce di prima i muscoli del
braccio con un grosso manubrio stretto nella mano. «Robin, so
benissimo che sei lì», disse senza voltarsi,
preferendo continuare a guardare il muro davanti a sé, il
braccio teso in movimento e le vene ben visibili a causa dello sforzo.
Si compiacque di se stesso: l’aveva colta sul fatto mentre lo
spiava, si era mostrato per la prima volta più furbo,
più maturo di lei.
«Non mi stavo nascondendo», rispose
l’interpellata, ferma sulla soglia della porta.
Zoro sbuffò contrariato: anche quando aveva la situazione in
pugno, anche quando la fortuna sembrava girare a suo favore, quella
donna
riusciva sempre ad abbattere tutte le sue certezze, mostrandosi un
gradino al di sopra di lui.
«Mi chiedevo solo per quanto ancora hai intenzione di
rimanere chiuso qui dentro», disse Robin con la solita calma.
Zoro piegò le labbra in una smorfia.
«Finché non cadrò per terra
esausto».
A quel punto avvertì i passi lenti e cadenzati di Robin che
attraversava la palestra, sorpassando elegantemente i
manubri poggiati per terra. Quando la donna lo raggiunse da dietro,
fermandosi ad un passo da lui, un panno morbido
e asciutto si posò sul suo collo e un buon profumo di fiori
gli
invase le narici. Si voltò di scatto incrociando le iridi
cerulee della
donna: stava per incastrarlo un’altra volta, se lo sentiva.
«Sai, vorrei andare nella biblioteca del paese»,
cominciò Robin, e con la mano spostò il panno
dalla nuca alle spalle di Zoro. «Nami è scesa
dalla nave con il capitano e gli altri sono tutti impegnati. Mi
chiedevo se tu...». Con lentezza disarmante, gli
asciugò il sudore che ricopriva la pelle nuda e accaldata.
«...mi chiedevo se ti andasse di venire con me».
Zoro boccheggiò per qualche secondo, completamente rapito
dallo sguardo provocante di lei e da quei movimenti sensuali, poi si
riscosse all’improvviso, assumendo il cipiglio più
severo del suo repertorio.
«Come puoi ben vedere, ho da fare anche io»,
rispose indicando i manubri posati per terra.
«Peccato». Fu poco più di un sussurro,
ma a Zoro non sfuggì.
Robin gli passò il panno sulla fronte, asciugando le ultime
gocce di sudore, poi gli sorrise gentile. «Se cambi idea, sai
dove trovarmi».
Infine si chinò a baciargli una guancia, pericolosamente
vicino alle labbra, e Zoro sgranò impercettibilmente gli
occhi per poi voltare lo sguardo, sentendosi arrossire come un bambino.
Insomma, Robin credeva davvero che un bacetto avrebbe fatto la
differenza? Be’, si sbagliava di grosso! Non poteva mica
interrompere gli allenamenti solo per accompagnarla in una stupidissima
biblioteca! Se voleva raggiungere il suo sogno, ogni minuto era
prezioso per diventare più forte. Non poteva farsi battere
da quel damerino del cuoco, e poi doveva essere uno spadaccino degno
del suo capitano, e poi l’aveva promesso a Kuina e... e...
e... E Robin gli aveva lasciato sulle spalle il panno con cui lo aveva
asciugato, eppure l’odore di sudore non era riuscito a
sopraffare il profumo di fiori. Quello era ancora lì,
delicato, piacevole, irresistibile.
Zoro, semplicemente, non ce la fece. Se quella era una mattinata da
passare da solo con Robin, allora non se la sarebbe lasciata
sfuggire per nulla al mondo. Gli allenamenti potevano aspettare, lei no.
Con uno scatto fulmineo si sollevò in piedi e raggiunse a
grandi falcate l’uscita della palestra. «Ohi,
Robin!».
La donna, bloccandosi in mezzo al corridoio, si voltò nella
direzione dello spadaccino, tutt’altro che sorpresa. A Zoro
non rimaneva che rassegnarsi: Robin aveva tutta una sua strategia
per convincerlo a fare ciò che voleva e, inutile negarlo,
funzionava dannatamente bene.
«Io ti accompagno in biblioteca, ma poi cerchiamo un bar
‘che ho voglia di sakè, capito?».
Robin inarcò un sopracciglio, sorridendo in modo enigmatico.
Forse la proposta di Zoro gli era parsa più un invito a bere
qualcosa insieme. Forse lo era davvero.
«Sarà meglio sbrigarsi allora».
O forse Zoro non l’avrebbe mai capita a pieno, Robin.
“Ah, dannata
donna!”
Ma in fondo gli andava benissimo
così.
Note dell'autrice:
Comincio una nuova raccolta multipairing
nonostante quelle già in corso semplicemente
perchè sto amando One Piece, sia grazie a queste bellissime
challenges sia grazie al vostro sostegno. Ringrazio
tutti coloro che mi seguono e che commentano le mie storie, spero che
anche questa raccolta possa piacervi ♥ Chi mi
conosce, dovrebbe già
sapere quali coppie si succederanno nel corso dei capitoli, ma non vi
nascondo che tenterò di cimentarmi con coppie nuove. Il titolo fa riferimento al fatto che tutte le
coppie di
One Piece, in un modo o nell'altro, sono legate allo stesso cielo (come
Usop e Kaya, che vivono lontani) o allo stesso mare (come Rufy e Nami,
o Zoro e Robin, che vivono su una nave).
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto,
fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie ancora e alla prossima! :)
Soly Dea
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Capitolo 2 *** Rufy/Hancock − Love makes people better ***
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the same
sky,
above the same
sea
#02.
Rufy/Hancock − Love makes people better
Hancock, in piedi davanti ai
fornelli da interminabili ore, allungò una mano verso il
ricettario poggiato sul ripiano in marmo e voltò pagina.
Poi, seguendo le indicazioni, mescolò il contenuto della
pentola con il mestolo, mentre con l’altra mano si asciugava
il sudore dalla fronte.
Non avrebbe mai creduto che cucinare potesse risultare così
difficile, ma per Rufy avrebbe fatto quello e altro.
Quando si accorse che il riso era pronto, spense i fornelli e
lasciò che la pentola si raffreddasse.
Era così stanca che quasi si reggeva in piedi, un minuto di
pausa le avrebbe sicuramente giovato. Raggiunse la tavola apparecchiata
e vi poggiò un gomito, sostenendosi il mento con una mano
mentre riposava gli occhi. Senza quasi accorgersene, dopo
un’intera giornata passata a cucinare, si accasciò
lentamente sul tavolo sprofondando tra le braccia di Morfeo.
Hancock si
arrotolò una ciocca di capelli scuri intorno al dito,
sospirando languida in direzione di Rufy.
Al contrario del pirata, che si stava letteralmente ingozzando di
carne, lei non aveva ancora assaggiato niente: in presenza di Rufy la
fame si dissolveva nel nulla, sostituita da una morsa piacevole allo
stomaco e dal desiderio di godersi a pieno quei pochi istanti con lui.
«Non lo mangi
quello?», le chiese il pirata, indicando con lo sguardo il
suo piatto ancora pieno.
Hancock scosse la testa
e Rufy allungò un braccio per afferrare il piatto.
«Se non ti dispiace, allora me lo mangio io!»,
esclamò con un sorriso, divorando in un sol boccone la
porzione di riso che sarebbe spettata all’imperatrice.
Hancock
sospirò ancora, guardando sognante il pirata. «Devo dedurre che...
che questi piatti siano di tuo gradimento?».
Il futuro re dei pirati
sollevò gli occhi dal pasto mentre addentava
l’ennesima coscia di pollo e sorrise apertamente
all’imperatrice.
«Shi shi shi, sono tutti buonishimi!»,
esclamò con le guance gonfie di cibo e la bocca cosparsa di
salsa.
Il viso di Hancock si
illuminò. Adorava l’ingenuità e la
spontaneità di Rufy, per certi versi lo invidiava.
Essere un’imperatrice pirata implicava un sacco di
responsabilità e convenzioni, mentre Rufy appariva sempre
così libero di fare e dire qualsiasi cosa che Hancock, in
cuor suo, sperava di poter partire con lui, un giorno, far parte della
sua vita, condividere quella libertà. Ma sapeva che per il
momento il suo posto era lì, sull’isola delle
donne. Non poteva abbandonare le sue sorelle.
«Sai, ho
preparato tutto io», ammise, studiando la sua reazione di
sottecchi.
Rufy la
guardò sorpreso mentre ingoiava il boccone. «Credevo che avessi
dei cuochi tutti per te, qui a palazzo!».
«Be’,
certo che ce li ho! Ma volevo cucinare io, per una volta. Insomma, una
brava mogliettina deve saper fare questo genere di cose, no?».
Ad Hancock parve di
sentire il pirata che ripeteva la parola “mogliettina?” con aria perplessa, ma non vi
badò molto: ormai era finita in un altro mondo, un mondo
dove Rufy le aveva dichiarato tutto il suo amore e l’aveva
sposata, un mondo dove lei attendeva il ritorno di suo marito da lavoro
indossando un grembiulino ricamato e canticchiando un allegro
motivetto davanti ai fornelli accesi.
Entrando nella cucina, le serve del palazzo di Boa Hancock non
avrebbero mai immaginato di trovare la loro imperatrice appisolata sul
ripiano in marmo, circondata da pentole sporche e piatti
ricolmi di cibo. Proprio lei, la più superba, orgogliosa,
vanitosa, viziata ed egoista donna del mondo, si era abbassata a
cucinare per un uomo, mostrando umiltà e spirito di
sacrificio.
E mentre la prendevano in braccio per portarla a letto, uno solo fu il
pensiero comune alle serve.
“L’amore
vi sta rendendo una persona di gran lunga migliore, imperatrice Boa
Hancock”.
Note dell'autrice:
Se non si è capito, la parte in corsivo
è un sogno. Ho voluto mantenere Rufy IC perchè mi
piange il cuore a vederlo come se lo immagina Hancock nelle sue
fantasie, quindi ho preferito accennare a queste ultime solo nel finale
del sogno. La coppia in generale non mi fa impazzire, ma ne ho
approfittato per sottolineare che l'amore rende le persone
migliori e in questo caso Rufy rende Hancock più umile.
Spero che vi sia piaciuta, fatemi sapere cosa pensate! Grazie mille
a tutti coloro che già seguono questa raccolta, alla
prossima!
Soly Dea
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Capitolo 3 *** Sanji/Nami − Love me like you do ***
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above the same
sea
#03.
Sanji/Nami − Love me like you do
La ciurma di Cappello di Paglia era sbarcata da pochi
giorni su una piccola isola sperduta per fare rifornimento e
lì aveva scoperto che la popolazione sottostava alle leggi
di un gruppo di tiranni che, anni prima, avevano spodestato il re e
catturato la principessa. Rufy, ovviamente, non ci aveva pensato due
volte a sfidare i cattivi di turno e riportare sul trono i vecchi
sovrani. Questi ultimi, in segno di riconoscenza, oltre a rifornire la
ciurma di cibo – per la gioia del capitano – e di
ricchezze – per la gioia della navigatrice –
avevano anche invitato Rufy e i suoi al matrimonio della principessa.
«COOOSA?!
Tra un’ora?! Non riuscirò mai a prepararmi in
così poco tempo! Devo ancora farmi la doccia, lavarmi i
capelli, truccarmi, scegliere il vestito e...». Nami si
bloccò, passandosi una mano sul viso con aria esasperata.
«Rufy, ti prego, lasciamo perdere... non abbiamo tempo per
queste cose».
«Ma ai matrimoni ci sono montagne
di cibo! Capisci, Nami? Non posso perdermi un’occasione del
genere!».
Nami capiva, capiva eccome – bisogna approfittare di
qualsiasi cosa fosse gratis
– ma il problema era che quel dannatissimo matrimonio era
previsto per le dieci di mattina e loro avevano ricevuto
l’invito alle nove. Insomma, lei era la Gatta Ladra e non
poteva di certo indossare la prima cosa che le capitava tra le mani.
Aveva bisogno di più tempo per prepararsi, diamine!
L’unica alternativa sarebbe stata chiedere a Robin di
aiutarla con un paio delle sue braccia, ma Nami l’aveva vista
scendere dalla nave insieme a Zoro giusto pochi minuti prima
– forse per comprare un vestito nuovo per il matrimonio,
forse per altro.
Quei due stavano ufficialmente insieme da qualche mese e, nonostante
Nami fosse felice per loro, in cuor suo provava una punta di invidia:
l’archeologa aveva avuto il coraggio di fare il primo passo
con lo spadaccino, mentre lei non era nemmeno riuscita ad ammettere a
se stessa i propri sentimenti... per il cuoco.
All’improvviso Nami seppe ciò che doveva fare e
sorrise furbescamente: quel matrimonio, forse, era
l’occasione giusta per cambiare le carte in tavola.
Non appena aveva saputo del matrimonio, Sanji era corso in bagno a
farsi la doccia per rendersi presentabile agli occhi delle bellissime
fanciulle che avrebbe incontrato quel giorno. In realtà
avrebbe voluto far colpo su una
fanciulla in particolare, ma da quando quel brutto idiota
di Zoro era riuscito a conquistare Robin-chan, Sanji aveva perso parte
delle sue speranze nei confronti di Nami-san. Se non l’aveva
ancora notato in tutti quegli anni, probabilmente non lo avrebbe fatto
più. Con un sospiro frustrato uscì dalla doccia e
si avvolse nell’accappatoio, quando sentì bussare
vigorosamente alla porta del bagno. «Sanji-kun, sono
io!».
Oh, era la
sua dea. Adorava la voce di Nami-san, così dolce,
così melodiosa...
«Nami-swan, due minuti e sono subito da
te~♥».
Era più forte di lui: nonostante si fosse ripromesso
semplicemente di servirla e assecondarla come aveva sempre fatto, non
poteva fare a meno di fantasticare su loro due insieme ogni volta che
se ne presentava l’occasione. Insomma, se Nami-san aveva
così tanta urgenza di parlare con lui, cosa poteva mai
significare se non che si era pazzamente innamorata di lui?
«Sanji-kun, ti prego, non posso aspettare!».
Sì, doveva essere assolutamente così.
«Nami-swan, dammi solo il tempo di
vestirmi~♥». Si tolse l’accappatoio e si
infilò i boxer, mentre con un sorriso estasiato immaginava
la sua futura vita al fianco di Nami-san, il primo bacio, la prima
volta, il matrimonio, i figli...
«Non c’è tempo, sto entrando!».
Sanji sgranò gli occhi in direzione della porta che si
aprì lentamente, rivelando una Nami-san piuttosto
spazientita, totalmente incurante del fatto che lui fosse ancora in
boxer. Sanji si sentì quasi arrossire come un bambino: lei
era l’unica in grado di metterlo in imbarazzo.
«Quel dannato matrimonio è tra meno di
un’ora ed io ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a
prepararmi», spiegò come se fosse la cosa
più naturale del mondo. Sanji avvertì tutti i
suoi castelli mentali sgretolarsi l’uno dopo
l’altro, poi nella sua mente si delineò
l’immagine di lui che strofinava la schiena di Nami-san
seduta nella vasca da bagno piena d’acqua e bollicine, e
rischiò seriamente di perdere sangue dal naso.
«N-Nami-swan, non puoi immaginare quanto questa proposta sia
allettante~♥, ma... perché
proprio io?».
Nami mise le mani sui fianchi e schioccò la lingua sul
palato, vagamente infastidita.
«Robin non può aiutarmi perché
è andata non
so dove con Zoro e sinceramente di tutti voi
l’unico che abbia un minimo di gusto mi sembri tu».
Sanji avrebbe acconsentito volentieri se solo il pensiero di lui e
Nami-san da soli in bagno non gli provocasse pensieri poco casti.
Insomma, era pur sempre un uomo − chiunque avrebbe pagato per
passare del tempo con Nami in un contesto simile − ma lui
l’amava praticamente dal giorno in cui l'aveva vista e non
avrebbe mai fatto nulla senza il suo permesso. Perciò
sarebbe stato meglio evitare qualunque tentazione.
«Mia adorata, sai quanto mi renda felice esserti utile,
ma...».
«Vuoi per caso che chieda a qualcun altro, ad esempio... uhm,
che ne so... Rufy?».
Sanji sgranò gli occhi. Al solo pensiero di Rufy che metteva
le sue manacce sul bellissimo corpo di Nami-san sentiva una rabbia
così forte da fargli venire voglia di prendere il capitano a
calci, così, senza un vero motivo. Si arrese, lasciandosi
sfuggire un sospiro. Sarebbe stato forte, avrebbe resistito in nome
dello sconfinato amore che provava per Nami-san. «E va
bene...».
«Oh, finalmente!», esclamò la
navigatrice sorridendo, poi si fece improvvisamente seria.
«Sanji-kun, ti avviso, questa cosa non ha nessunissimo doppio
fine, capito?». No,
solo lui e Nami-san mezza nuda chiusi in bagno. Quale doppio fine ci
sarebbe potuto essere?
Nami lo fissava da un intero minuto con le braccia incrociate sotto il
seno, un sopracciglio inarcato e il piede che batteva ritmicamente per
terra. Sanji non capiva il perché di
quell’atteggiamento. Non era forse stata lei a chiedergli di
rimanere lì per aiutarla?
«Tutto a posto, Nami-san?», chiese vagamente
preoccupato.
«La doccia me la posso fare anche da sola, idiota»,
sottolineò lei fulminandolo con lo sguardo. «Se non
esci, non posso spogliarmi».
«A-ah, giusto», rispose il cuoco, sentendosi
irrimediabilmente stupido. «Esco subito».
«Sarò veloce», gli assicurò
Nami, «tu rimani dietro la porta ad aspettarmi. Appena ti
chiamo entra».
«O-okay». Poi la navigatrice lo spinse fuori dal bagno e gli
sbatté letteralmente la porta in faccia.
Sanji si accasciò lungo la superficie di legno, fino a
sedersi per terra.
Nami-san nuda dall’altra parte della porta e lui
all’esterno, con solo i boxer, che aspettava di poter
entrare.
Peggio – o
meglio? – di così, non poteva proprio
andare.
«Sanji-kun, puoi entrare».
«Sicura sicura?».
«Ti ricordo che faccio ancora in tempo a chiamare qualcun
altro...».
A quelle parole, Sanji scattò in piedi, spalancò
di colpo la porta ed entrò, per poi richiudersela alle
proprie spalle. Nami era in costume da bagno, pulita e asciutta, ma i
capelli gocciolavano ancora umidi sulla schiena. Sanji si fece forza e
ridusse la distanza che li separava: l’aveva vista tante
volte in costume da bagno, perché questa volta avrebbe
dovuto fare la differenza?
«Cosa devo fare, Nami-san?».
La navigatrice si sedette sul tappeto, davanti allo specchio, e gli indicò il phon. «Asciugami i capelli mentre mi
trucco».
Sanji prese lo sgabello per sedersi dietro di lei, poi afferrò il phon e lo accese, avvicinando le mani tremanti alla testa
della ragazza e cominciando a smuovere i lunghi capelli rossicci sotto
il getto d’aria calda. Intanto la osservava frugare
all’interno della sua trousse per estrarre tutti i cosmetici
di cui aveva bisogno. ...Che poi Nami-san era bella anche senza trucco.
Lei era bella sempre.
Sanji alzò lo sguardo sullo specchio, che gli
restituì l’immagine di un giovane uomo intento ad
aiutare la sua donna a farsi bella. Ma Nami-san non era sua, forse non
lo sarebbe mai stata. Perché quel buzzurro di Zoro poteva
stare con la donna che amava e lui no? Cosa aveva fatto di sbagliato
per non meritarsi l’amore di Nami-san? Perché
nonostante le moine, i complimenti e le faccende che sbrigava per lei,
lo sguardo di Nami continuava inesorabilmente a passargli attraverso?
All’improvviso pensò di non fare abbastanza,
pensò che Nami non aveva bisogno di uno schiavetto pronto a
gettarsi in mare per lei, ma di un uomo in grado di dimostrarle tutto
il suo amore. In fondo
Zoro non aveva nulla di cavalleresco, anzi era un tipo piuttosto
“diretto”, eppure era riuscito a far breccia nel
cuore di Robin. Sanji si disse che forse aveva sbagliato a trattenersi:
forse era proprio il contatto fisico – che lui aveva sempre
evitato per paura di ferire Nami-san – l’unica
soluzione al problema. Doveva farle capire che il suo amore non era platonico, che la desiderava ardentemente sotto ogni punto di vista: cuore, anima e anche corpo.
Doveva provarci, perlomeno. Nel peggiore dei casi, Nami
l’avrebbe picchiato di santa ragione.
Continuando a reggere il phon con una mano, avvicinò
l’altra al collo della navigatrice e spostò tutti
i capelli sulla spalla destra, in modo da avere piena visione di quella
sinistra. Sfiorò con le dita quella porzione di pelle
così liscia e calda al contatto, mentre con lo sguardo
scrutava l’immagine della navigatrice attraverso lo specchio
per captare la sua reazione: la ragazza si stava passando il rossetto
sulle labbra e sembrava non essersi accorta di nulla. Probabilmente
aveva interpretato quello sfioramento come un gesto involontario.
Sanji si fece forza e poggiò le dita sul collo della
navigatrice, scendendo con lentezza lungo la spalla e accarezzando il
braccio fino al gomito. A quel punto Nami lo mosse un po’,
senza però distogliere l’attenzione da
ciò che stava facendo, e Sanji ritirò subito la
mano, come scottato.
Deglutì, a disagio. Ci avrebbe provato un’ultima
volta, poi avrebbe mandato tutto all’aria.
Spense il phon: i capelli di Nami erano perfettamente asciutti.
“O adesso o
mai più” si disse. Si
trascinò maggiormente in avanti con lo sgabello e si sporse
verso di lei, poggiando il mento sulla sua spalla.
Nel guardarla da quella posizione, con il viso illuminato dal trucco,
Sanji si lasciò sfuggire un sospiro sognante. «Sei
meravigliosa,
Nami-san».
Lei sorrise senza guardarlo e al cuoco parve quasi di vederla
arrossire, ma forse doveva esserselo immaginato. Con un altro
po’ di coraggio, avvicinò il viso al collo della
navigatrice e percorse con la punta del naso la linea della mandibola,
raggiungendo la guancia. A quel punto sollevò il viso e
sfiorò con le labbra la tempia, lasciandole un piccolo
bacio. Avrebbe volentieri proseguito di lato, scendendo verso il lobo
dell’orecchio, se non si fosse ritrovato addosso i grandi
occhi di Nami sgranati all’inverosimile. Sembrava che avesse
appena visto un fantasma.
«C-cosa stai facendo?». Il suo tono di voce non era
minaccioso, sembrava quasi... in imbarazzo.
Sanji la guardò negli occhi, cercando di leggervi dentro, e
ricordò improvvisamente ciò che le aveva promesso
mezz’ora prima.
“Sanji-kun, ti
avviso, questa cosa non ha nessunissimo doppio fine, capito?”.
Come avrebbe potuto infrangere quella promessa? Lui era Sanji,
comportarsi da gentiluomo era insito nella sua natura. Era pervertito
solo a parole, ma non avrebbe mai e poi mai fatto qualcosa ad una donna
contro il suo volere, per di più se si trattava della donna
che amava. E se Nami gli aveva detto che in tutta quella faccenda non
c’era nessun doppio fine, allora significava che non era
interessata a lui.
Non poteva provarci con lei così spudoratamente. Un conto
era decantarle tutto il suo amore, un conto era toccarla e baciarla
senza il suo permesso. Quello non era un comportamento da Sanji. Non
era quello il tipo di amore in cui lui
credeva.
Deluso da se stesso, si allontanò velocemente dalla
navigatrice e si mise in piedi, pronto ad uscire da quel maledetto
bagno. Aveva appena fatto pochi passi in direzione della porta, quando
la voce di Nami gli riempì le orecchie – e il cuore.
«OH, INSOMMA, NON CI POSSO CREDERE!».
Sanji si voltò allibito: Nami lo guardava rossa in volto con
i pugni stretti lungo i fianchi.
«Io e te... chiusi da soli in un bagno... mezzi nudi... per
mezz’ora... E quando stai per agire, ti alzi e te ne vai! Ma
ti sei fumato il cervello?!».
Sanji si sentì mancare il respiro.
«N-Nami-san», sussurrò. «Ma tu
avevi detto...».
«E pensare che avevo programmato tutto nei minimi
dettagli!», lo bloccò lei visibilmente infuriata.
«Ero sicura che questa volta ti saresti dato una mossa e
invece... invece no!
A volte mi chiedo se sei veramente così tanto innamorato di
me come dichiari di esser−».
Sanji, semplicemente, la baciò. Avvolse le braccia intorno
ai fianchi della navigatrice e, stringendola contro il proprio petto,
premette le labbra sulle sue, imprimendovi tutta la passione repressa
fino a quel momento.
Quando lei rispose al bacio, cingendogli il collo e
accarezzandogli i capelli, Sanji si sentì in paradiso.
La sua natura da gentiluomo, alla fine, aveva avuto gli effetti sperati.
«Nami-san, se mi sono trattenuto è proprio
perché ti amo... troppo».
«Sta’ zitto e baciami, stupido cuoco».
«Mi aiuti a scegliere il vestito per il matrimonio?».
«A dire la verità ti preferisco senza».
«...».
«...».
«...Non sbilanciarti troppo ora».
Note dell'autrice:
Avevo in mente questo capitolo fin dall'inizio ma l'ho
voluto pubblicare solo ora perchè continuavo a limarlo nel
tentativo di imprimerci tutto l'amore che provo per questa coppia, la
mia OTP in assoluto. Spero che questo amore sia arrivato anche a voi,
io ho fatto del mio meglio ♥ ringrazio Nami93
per la bellissima immagine, l'ho adorata fin da subito.
Tornerò con altri capitoli su Nami e Sanji, ma nei prossimi
voglio dedicarmi a coppie nuove ;) grazie a tutti coloro che mi seguono
e commentano, critiche
e commenti sono sempre ben accetti. Alla prossima!
Soly Dea
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Capitolo 4 *** Usop/Kaya − The triumphal return of a captain ***
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the same
sky,
above the same
sea
#04.
Usop/Kaya − The triumphal return of a captain
Fin da quando si
era unito alla ciurma di Cappello di Paglia, nonostante le continue
paure e insicurezze che lo attanagliavano, Usop non aveva mai avuto
dubbi sul fatto che prima o poi Rufy sarebbe diventato il re dei
pirati, Zoro il miglior spadaccino del mondo, Sanji avrebbe trovato
l’All Blue, Nami avrebbe completato la cartina del mondo e
tutti avrebbero realizzato i loro sogni.
Eppure, tornando nel villaggio di Shirop nelle vesti di re dei cecchini,
quasi Usop non riuscì a credere di aver fatto tutta quella
strada in così poco tempo: solo pochi anni prima era un
ragazzino smilzo, pauroso e bugiardo che partiva per il mare insieme ad
uno sconosciuto col cappello di paglia, ed ora, diventato uomo, tornava
nel suo paese con una tartaruga di muscoli che avrebbe fatto invidia a
chiunque e una taglia enorme che gli pendeva sulla testa. Chi l’avrebbe mai
detto?
Appena sbarcato, Usop rivolse gli occhi al cielo e inspirò
l’aria familiare del paese in cui era nato e vissuto per
anni, poi imboccò la strada che lo avrebbe portato da
colei che ancora aspettava il suo ritorno. Era così
emozionato di rivederla che non riusciva a smettere di sorridere.
Certo, grazie alle lettere che si erano scambiati in tutti quegli anni,
sapeva che lei stava bene e che sentiva la sua mancanza, ma rivederla
dopo tanto tempo sarebbe stata tutta un’altra cosa.
Impaziente, accelerò il passo e in poco tempo
arrivò a destinazione: il palazzo di Kaya si ergeva davanti
ai suoi occhi, incorniciato dalle fronde degli alberi, così
maestoso che sembrava quasi avvolto da un incantesimo. A quel punto gli
venne spontaneo sollevare lo sguardo sull’albero che con i
suoi rami raggiungeva il balcone, lì dove anni prima si
appostava per raccontare a Kaya avventure straordinarie – nient’altro che bugie,
lo sapevano entrambi, eppure andava benissimo
così − mentre ora avrebbe avuto storie vere da
raccontare e tutto sarebbe stato ancora più bello.
In passato non gli era stato permesso entrare nel palazzo di Kaya, per
questo si era sempre accontentato di parlarle attraverso la finestra.
Questa volta, invece, sarebbe entrato dalla porta, da vero uomo qual
era.
Mentre rifletteva, vide quella stessa porta aprirsi lentamente,
lasciando fuoriuscire una voce dolce ma decisa.
Oh, Usop ricordava bene quella voce,
l’avrebbe riconosciuta tra mille.
«Tranquilli, è solo un raffreddore. Vi
basterà stare un po’ a riposo per guarire. La
prossima volta evitate di giocare sotto la pioggia, okay?».
Altre voci provenienti dall’interno, maschili e
decisamente più infantili, mormorarono in coro uno
strascicato «Sì» accompagnato da una serie di
starnuti.
Usop sorrise ancora. Kaya glielo aveva raccontato nelle lettere, ma in
quel momento il cecchino ne ebbe la conferma: era guarita davvero ed
era diventata un medico, realizzando così il suo
più grande sogno, proprio come era successo a lui e alla sua
ciurma.
Usop stava per rivelare la propria presenza, quando la porta si
spalancò completamente e tre ragazzini in procinto di uscire
si bloccarono sulla soglia, fissandolo a bocca aperta. Il cecchino
li squadrò uno ad uno: il più alto aveva un
codino ispido che lo rendeva simile ad una Carota, il secondo
ricordava un Peperone
per i capelli verdi, il più basso aveva un viso rotondo
coronato da un ciuffo biondo per il quale era noto con il nome Cipolla.
Usop fece un passo avanti con un grosso sorriso stampato sul volto. Ah, i suoi piccoli pirati...
«Certo che siete proprio cresciuti, eh!».
I ragazzini si scambiarono occhiate perplesse, quasi non lo stessero
riconoscendo, poi sgranarono gli occhi e urlarono «CAPITAN USOP!» scoppiando a piangere. Usop si batté orgogliosamente una
mano sul petto. «E sì, sono proprio io! Dopo anni
e anni di avventure ho deciso di−».
Non fece in tempo a terminare le frase che i ragazzini gli corsero
incontro e lo abbracciarono stretto.
«Capitan Usop! Pensavamo che non saresti più
tornato, ora che sei diventato importante!».
Usop scompigliò teneramente i capelli di tutti e tre.
«Be’, un salto a casa me lo posso permettere ogni
tanto, no?».
I ragazzini sorrisero asciugandosi le lacrime e si
prepararono a tempestarlo di domande, quando la voce di Kaya giunse
nuovamente alle loro orecchie.
«Ragazzi, che succede?! Cosa avete da
urlar−».
Quando Usop sollevò lo sguardo, Kaya era ferma sulla soglia
della porta. Lo stesso colorito pallido, gli stessi capelli biondi, ma
era cresciuta in altezza e il vestitino azzurro evidenziava le sue
forme ora più prosperose. Non era più una
ragazzina. Sembrava più forte, più donna.
Il cecchino boccheggiò, letteralmente ammaliato.
«Usop...». La ragazza si portò una mano
alla bocca per trattenere un singhiozzo.
«...Kaya», rispose lui, deglutendo a vuoto. Lei
sorrise tra le lacrime, infine gli corse incontro.
Usop allargò le braccia per accoglierla, ma inaspettatamente
le mani di Kaya si posarono sulle sue guance, i loro nasi si
scontrarono – un giorno ne avrebbero riso – e le
loro labbra cozzarono le une contro le altre, in un bacio che sapeva di
attesa e immensa felicità.
Colto alla sprovvista, Usop si irrigidì, gli occhi
spalancati e le braccia stese lungo i fianchi, poi ricordò
che quella era la ragazza che amava da tutta la vita e la
afferrò per i fianchi, sollevandola letteralmente da terra e
ricambiando il bacio con la stessa passione.
Kaya si strinse maggiormente a lui, sorridendo contro le sue labbra.
«Voglio sapere tutto, capito?».
Perché leggere le sue lettere era un conto, sentirsi
raccontare quelle fantastiche avventure dal vivo era un altro.
Usop sorrise di rimando, completamente rosso in volto.
«Servirà tempo».
Gli occhi di Kaya brillarono. «Abbiamo tutta la vita davanti,
no?».
Ad Usop suonò come la più bella dichiarazione
d’amore che Kaya avesse mai potuto fargli e questa volta fu
lui a baciarla, sotto le urla e i fischi di Carota, Peperone e Cipolla,
che si godevano emozionati il trionfale ritorno del loro capitano.
Note dell'autrice:
Mmm so che questo capitolo non è pienamente
Usop/Kaya se non per l'ultima parte, ma mi andava davvero tanto di
descrivere il ritorno a casa del re dei cecchini (e comunque ci saranno
altri capitoli dove svilupperò meglio questa coppia). Spero
che l'idea vi sia piaciuta, fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie a tutti
coloro che seguono e commentano, alla prossima ♥
Soly Dea
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Capitolo 5 *** Smoker/Tashigi − Beyond the work relationship ***
contest
Under
the same
sky,
above the same
sea
#05. Smoker/Tashigi
− Beyond the work relationship
«Mi spiego,
Smoker-san? La ciurma di Cappello di Paglia è stata
avvistata qui vicino! É la mia occasione per riscattarmi.
Farò finalmente vedere a Ronoroa Zoro di che pasta sono
fatta!».
Tashigi parlava ormai da interi minuti. Si era sistemata gli occhiali
tra i capelli, rivelando le iridi scure che brillavano di profonda
determinazione, e teneva il dito puntato sulla cartina geografica ad
indicare l’isola su cui erano sbarcati i pirati di Monkey D.
Rufy.
Smoker aveva capito decisamente poco di quello che aveva detto la
donna, più interessato alle sue ciocche corvine che, sfuggite
alla crocchia morbida sulla testa, ciondolavano nella direzione del
vento e le sfioravano delicatamente il collo niveo. Senza quasi
essersene accorto, aveva allungato una mano verso la nuca della ragazza
e aveva preso ad accarezzarle di tanto in tanto i capelli alla base del
collo.
«S-Smoker-san», lo chiamò incerta
Tashigi, sbattendo le palpebre perplessa.
L’uomo tolse la mano dalla sua nuca e riportò lo
sguardo su di lei, palesemente imbarazzata per quel gesto tanto intimo
quanto inaspettato.
«Sì?», le chiese con calma, aspirando un
paio di boccate dai due sigari che aveva in bocca.
Tashigi abbassò gli occhi sulla cartina nautica.
«Nulla di particolare, mi chiedevo solo se mi stesse
ascoltando».
«Oh sì sì, continua pure. Dicevi che
sei pronta per sconfiggere Ronoroa, no?».
Gli occhi di Tashigi si animarono di una nuova luce.
«Assolutamente sì, mi sono allenata duramente in
attesa del giorno in cui avrei potuto nuovamente battermi con lui. Non
posso lasciarmi sfuggire un’occasione del genere. Dobbiamo
raggiungere immediatamente Cappello di Paglia! Ronoroa se la
vedrà direttamente con me!».
Smoker strinse i due sigari tra i denti, dimenticando per un attimo di
aspirare il fumo.
«Ronoroa di
qua, Ronoroa di là... Questo spadaccino desta
particolarmente il tuo interesse, eh?».
Tashigi arrossì lievemente. «Cosa intende? Il mio
interesse per lui rimane legato al combattimento. Ho cose ben
più importanti a cui pensare e poi... poi Ronoroa non
é il mio tipo».
«Interessante». Smoker riprese ad aspirare
regolarmente il fumo dai sigari, le labbra piegate in un sorriso di
sollievo.
«E dì un po’, quale sarebbe il tuo
tipo?», domandò con un ghigno stampato sul volto.
Tashigi tossicchiò imbarazzata, riportando gli occhiali sul
naso come per nascondersi dietro le lenti.
«N-non mi piace parlare di queste cose, Smoker-san. Avrei
preferito nascere uomo, lo sa».
«Ma sei una donna, Tashigi, che tu lo voglia o no. Sei forte
e testarda come un uomo, ma sei pur sempre donna. Dentro... e fuori».
A quel punto lo sguardo di Smoker ricadde sulle labbra di Tashigi,
rosse e carnose, e seguendo la linea del collo giunse sul seno
prosperoso, il cui taglio si intravedeva al di sotto della camicetta
sbottonata, infine si soffermò sulla vita sottile e sui
fianchi sinuosi. Tashigi, sentendosi squadrare dallo sguardo del
viceammiraglio, si riabbottonò pudicamente la camicetta e si
strinse il busto tra le sue stesse braccia, come per impedirgli di guardare troppo a lungo le sue forme generose.
«Perché questi discorsi, Smoker-san?»,
chiese confusa.
Non voleva illudersi, eppure per un momento le era sembrato che il
viceammiraglio fosse andato oltre il loro rapporto di lavoro e
l’avesse guardata come si guarda una donna attraente e
desiderabile. Era vero, Tashigi avrebbe voluto nascere uomo, ma mai
come in quel momento ringraziava di essere donna. Lo sguardo di
Smoker che vagava sul suo corpo e quella inaspettata curiosità di conoscere
il suo tipo ideale erano cose che sì, la imbarazzavano, ma
le rimescolavano tutto all’altezza dello stomaco in maniera
tremendamente piacevole.
«Pure riflessioni in un momento di noia», si
limitò a rispondere Smoker scrollando le spalle, eppure
Tashigi seppe che c’era qualcos’altro e in cuor suo non si
diede per vinta. Rimasero in silenzio, rivolgendosi occhiate furtive di
tanto in tanto. Fu Smoker ad interrompere l’incontro.
«Va bene così, Tashigi, puoi andare».
«Buona giornata, Smoker-san».
Smoker fece un breve cenno della testa e Tashigi si alzò
dalla sedia per allontanarsi, ma dopo aver fatto pochi passi si
voltò nuovamente.
«E la sua donna ideale, Smoker-san?». Quella
domanda le era uscita dalle labbra ancora prima di averla pensata ma,
nonostante la vergogna di essersi appena intrufolata negli affari
privati del viceammiraglio, Tashigi non se ne pentì.
Smoker sorrise, scandendo bene le parole: «La donna con le
palle».
«Una donna che si sente un po’ uomo,
insomma».
Smoker annuì, lasciando i due sigari appena finiti sul
posacenere, per poi estrarne altri due dai pantaloni.
«Interessante», rispose Tashigi, le labbra piegate
in un lieve sorriso.
Rimasero a guardarsi per qualche secondo, poi la donna si
voltò e riprese a camminare prima che lui notasse
l’intenso rossore sulle sue guance.
Accendendo i due nuovi sigari e osservando il sedere della bella Tashigi ondeggiare in lontananza,
Smoker pensò che quella conversazione non
l’avrebbe dimenticata tanto facilmente.
Note dell'autrice:
Aggiorno dopo interi mesi perché ho voluto
dedicarmi ad altri fandom, ma finalmente trovo l'ispirazione per
continuare questa raccolta. La coppia non è delle
più gettonate (forse Smoker è un po' OOC,
perdonatemi T.T), ma spero che il capitolo vi sia piaciuto almeno un po' :) GRAZIE
a tutti coloro che mi seguono e commentano, fatemi sapere ancora una
volta cosa ne pensate e mi renderete l'autrice di EFP
più felice del mondo :D alla prossima!
Soly Dea
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