sono giovani...sono carini...saranno assassini

di Goran Zukic
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premesse e regolamento ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Il giorno della mietitura (parte 1) ***
Capitolo 4: *** Il giorno della mietitura (parte 2) ***
Capitolo 5: *** Il giorno della mietitiura (parte 3) ***
Capitolo 6: *** Il treno, direzione Capitol City ***



Capitolo 1
*** Premesse e regolamento ***


Premesse
Volevo creare una storia interattiva, dove voi avreste potuto emozionarvi ancora di più nel leggere questa nuova Fanfiction sugli Hunger Games. Non volevo però farla classica e come tutte le altre storie interattive, ma volevo creare qualcosa di più interessante e nuovo.
Voi sarete gli sponsor, i mentori e tutto quello che sta attorno ai tributi, sarete voi a determinare la loro vita o la loro morte, perché secondo me lavorare con un tributo che conoscete è facile, ma lavorare con uno che non conoscete è decisamente più reale e interessante. Voi imparerete a conoscere il ragazzo o la ragazza che sceglierete, voi dovrete studiare la giusta strategia per sfruttare al meglio le sue caratteristiche, il suo comportamento, i suoi punti di forza. Sarete voi a determinare la sua vittoria o la sua sconfitta, basta un errore di tattica o un consiglio sbagliato che il vostro protetto finirà infilzato sopra una lancia.

Regolamento
Sceglierete, tra i 24 tributi disponibili, due di loro,appartenenti allo stesso distretto, i nomi sono già disponibili e potete scegliere i vostri preferiti o quelli che vi intrigano di più completamente alla cieca, nello spirito degli Hunger Games.
Insieme ai tributi sceglierete il nome del mentore, che di fatto sarete voi e che inventerete voi, mi farebbe anche piacere se mi mandaste anche una breve descrizione (Ad esempio quando ha vinto la sua edizione degli Hunger Games) così posso soffermarmi anche con attenzione sui personaggi dei mentori.
Una volta scelto mandatemi tutto in un messaggio privato così potrò prenotare i vostri tributi.
Alla fine dei capitoli di presentazione dei tributi, dove entrerete per la prima volta in contatto con i ragazzi che imparerete a conoscere e amare, iniziano i giochi veri e propri, le interviste, gli allenamenti e sarete voi a decidere la tattica e cosa dire ai tributi prima dell’arena, e nell’arena sarete voi a proteggerli dalla morte.
Ringrazio tutti quelli che parteciperanno e spero che insieme potremo emozionarci e divertirci, un saluto a tutti e possa la fortuna sempre essere a vostro favore.

Lista tributi

1 Anastasia Izmailov 1 Willoughby Crawley OCCUPATO .

2 Nadia Dumitrache 2 Mikhail Zorenic OCCUPATO

3 Annie Bridge           3 Vincent Van Damme OCCUPATO .

4 Pinkie Coleman      4  Viktor Truvicius OCCUPATO

5 Jennifer Twilight    5  Riether Tonev OCCUPATO .

6 Petra Arcanegrin    6  Milan Milnic OCCUPATO.

7 Maira Turan       7  Ethan Rom OCCUPATO

8 Nelli Nurmi              8  Geoffrey Kovalainen OCCUPATO

9 Eris Seleniov            9  Drazen Czibor OCCUPATO

10 Carrie Fluttershy  10 Ivan Sionko OCCUPATO

11 Samantha Dawson   11 Orozco OCCUPATO

12Elspeth Puskas       12 Demetrio Vyras OCCUPATO

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Capitolo 2
*** Prologo ***


Prologo

I suoi passi echeggiarono per tutto il corridoio mentre camminava, ad ogni passo che si avvicinava la sua paura saliva e le mani tremavano sempre di più.
Aveva paura, una grande paura.
"Perché era lì?" pensò lui.
"Perché gli veniva a fare visita senza preavviso?, Cosa poteva aver fatto di male?"
Il rumore dei passi si fece più forte tanto forte che sembrava potesse entrare da un momento all’altro.
Poi…silenzio, un silenzio inconsueto, quasi abissale, in cui tutto gli sembrò diverso e lontano.
Sentì i suoi occhi su di lui, il suo sorriso maligno e arcuato, il suo inconfondibile odore di sangue.
Una goccia di sudore gli cadde dalla fronte direttamente per terra e nel silenzio che lo circondava gli parve di sentirla, cadere e rompersi sul pavimento.
I suoi occhi erano fissi e vuoti, le sue membra rigide, il suo corpo sudato, il suo cuore batteva come un rullo compressore.
“Signor Band, devo parlarle”
Un tremito gelato lo percorse lungo la schiena, gli occhi si spalancarono e il tremito lo invase anche in tutto il resto del corpo.
Si girò e lo vide davanti a sé, immobile, il suo sguardo era freddo e accusatorio, la sua bocca leggermente arcuata, la sua voce calda e forte.
“Quale onore presidente Snow, sono a sua disposizione” esclamò lui inchinandosi e cercando di essere il più naturale possibile.
Sapeva che qualcosa non andava, che qualcosa non gli era piaciuto, che qualcosa lo aveva fatto innervosire.
"Ma cosa poteva averlo innervosito? Non gli sembrava di aver fatto errori, e allora perché era lì?" pensò lui.
“Volevo farle i complimenti Dave…una grande edizione, davvero grande. A dirla tutta non mi aspettavo che uno come lei soddisfacesse le mie aspettative, ma le ha pienamente superate” disse Snow sorridendo.
Dave dovette trattenersi dallo svenire, tirò un infinito sospiro di sollievo e sorrise ringraziando il presidente per gli elogi.
“Continui così Band e faremo grandi cose insieme, l’edizione 48 verrà ricordata negli annali”





Note dell'autore

Questo è il prologo che non avevo fatto nel precedente capitolo.
Dal prossimo capitolo inizieranno le mietiture che ho già scritto, ma non posso pubblicarle se non ho tutte le iscrizioni.
Ci sono ancora 6 posti liberi per i mentori del 6,8,9,10,11,12.
Vi ringrazio in anticipo, per il regolamento dell'interattivo è tutto scritto nel capitolo prima.
Ciao a tutti!!
Goran

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Capitolo 3
*** Il giorno della mietitura (parte 1) ***


Il giorno della mietitura (parte 1 di 3)

Distretto 11
La campana suonò e continuò a suonare ininterrotamente.
Tutti i raccoglitori di ortaggi si alzarono, posarono gli attrezzi e spostarono lo sguardo verso la torre bianca che davanti a loro svettava illuminata dal sole.
“Muoviti!” esclamò un pacificatore tirando una frustata a Steven che si inginocchiò a terra dal dolore “E’ l’ora alzati!”
Orozco andò da lui e lo aiutò ad alzarsi sorreggendolo sulle sue spalle e aiutandolo a camminare verso la piazza.
“Me la pagherà un giorno” esclamò Steven con rabbia e dolore.
“Sì…forse non oggi eh?” esclamò Orozco sorridendo.
“E’ arrivata anche quest’anno, ma non mi interessa…a volte penso di offrirmi volontario e andare via da questo postaccio” disse Steven sputando a terra.
Nessun pacificatore per fortuna lo stava guardando, mentre lasciavano il campo per entrare nella via delle baracche.
Al loro passaggio le donne e le anziane giravano lo sguardo e continuavano con i loro lavori senza degnare loro attenzione.
I pacificatori erano dietro di loro e non mancavano gli insulti che ogni volta gli accompagnavano: “Più veloce stupido idiota!” “Su quelle spalle negro!”
Orozco ci aveva fatto l’abitudine ormai, più volte aveva rischiato la vita rispondendo a queste provocazioni e di giorni in prigione ne aveva fatti abbastanza.
Era alto e robusto, era il più forte del suo gruppo di raccoglitori e più volte gli facevano arare il campo a causa della sua forza fisica.
Aveva degli occhi sottili e neri, come la sua pelle, ma molto profondi, ricchi di tutte le violenze e gli insulti che lo avevano accompagnato per tutta la sua vita.
Era forte anche di tempra, era intelligente anche se non era mai andato a scuola e sotto sotto anche lui desiderava partecipare agli Hunger Games, lasciare il distretto, vivere libero, anche per poco tempo, ma libero.
“Ce la faccio ora, grazie Oro” gli disse Steven e Orozco lo lasciò proseguire da solo. Erano amici e avevano preso tante frustate insieme, così tante che erano diventati come fratelli.
Steven era tutto il contrario dell’amico, magro, bianco, capelli rossicci, ma come lui aveva il desiderio di vendetta e una grande forza di volontà.
Superarono le baracche bianche e raggiunsero la piazza con al torre davanti a loro che non smetteva di scampanare.
I pacificatori li misero in fila per il prelievo di sangue.
“Che lo show abbia inizio” sussurrò Steven all’orecchio di Orozco che sorrise.
“Un'altra parola e ti faccio saltare quel sorriso dalla faccia, rosso!” esclamò il capitano dei pacificatori, il Capitano Clint, un uomo rude e brutale che non guardava in faccia nessuno, girava voce nel distretto che avesse persino frustato la figlia.
Finito il prelievo vennero condotti nella piazza dove a breve sarebbe iniziata la Mietitura.
Orozco guardava intorno a sé i suoi coetanei ed era il più alto di tutti.
Il sindaco Martin si alzò dalla sua sedia e fece il suo discorso, come ogni anno pieno di finzioni e scritto da Capitol City.
Spostò lo sguardo su Clint, i suoi occhi si muovevano su tutte le persone presenti come il gatto guarda il topo.
I loro occhi si incrociarono e Clint gli rivolse un sorriso maligno, segno che sarebbero stati tempi duri per lui.
Non si accorse nemmeno che avevano estratto la tributo femmina che timidamente camminava verso il palco.
Era bassina, i capelli neri stretti in una treccia, e avrà avuto si e no 12 anni. Orozco non riuscì a trattenere la rabbia.
“Un’altra volta, perché ancora un dodicenne? Bastardi!” pensò lui serrando i pugni.
Steven se ne accorse e invitò Orozco a mantenere la calma.
All’improvviso però venne chiamato anche il ragazzo maschio.
“Samuel Coman” esclamò l’accompagnatrice.
All’improvviso un ragazzino di dodici anni iniziò a correre verso l’uscita della piazza, incurante che i pacificatori erano armati e incurante che fuggire dagli Hunger Games è impossibile.
Clint lo vide, corse verso di lui e lo abbatté con una scarica elettrica.
La gente urlò, ma i pacificatori puntarono i fucili e subito si ristabilì il silenzio.
Fu allora che Orozco esplose, in men che non si dica alzò la mano e con voce forte e furiosa esclamò: “Mi offro volontario!”


Distretto 7
Il suo nome venne pronunciato a gran voce e le ultime sillabe del suo cognome sibilarono più volte nella sua testa prima di rendersi conto che l’avevano chiamata.
Sussultò di colpo, gli occhi sgranati verso il palco, i segni indelebili delle occhiaie, frutto di un po’ troppe notti insonni.
“Maira Turan” esclamò ancora Scarpel, con tono leggermente impaziente.
Maira si guardò intorno, come per vedere se era vero o era solo frutto della sua immaginazione, magari faceva solo parte di uno di quei sogni ad occhi aperti che la colpivano ripetutamente.
Le sue amiche la guardavano avvilite, ma sotto sotto soddisfatte che non fossero uscite loro, dopotutto perdere un amica è meglio di perdere loro stesse.
“Maira!” esclamò a gran voce Scarpel, facendo rimbombare le sue parole nella piazza.
“Sono qui” esclamò lei che era ritornata in sé.
Alzò la mano e subito intorno a lei si aprì la folla per permettere ai pacificatori di venirla a prendere.
Sapeva che poteva essere sorteggiata, era preparata a questo, di lacrime ne aveva già versate abbastanza, di incubi ne aveva fatti abbastanza e ora voleva solo godersi il suo momento di gloria, se così si può chiamare.
I pacificatori la afferrarono perle braccia e la condussero sul palco, poggiandola alla sinistra di Scarpel.
I loro occhi si incrociarono e entrambi lessero nello sguardo dell’altro una profonda sensazione di odio nascosto.
Scarpel era sempre la stessa, come tutti gli anni, nel suo vestito verde smeraldo, i suoi tacchi altissimi e la sua orrenda parrucca verde.
Maira era alta per la sua età, indossava il suo vestito preferito, quello arancione e azzurro che le aveva regalato papà, gli orecchini della mamma e le sue scarpette da danza, una delle poche cose che le era concesso fare oltre al lavoro nel distretto 7.
Scarpel si avvicinò all’urna con all’interno i nomi dei ragazzi, con passo affannato dai tacchi, prese un bigliettino, lo aprì e disse: “E il tributo maschio del distretto 7, per i 48esimi Hunger Games è…Ethan Rom”
Ethan alzò lo sguardo verso Scarpel e uscì dalla fila.
Era tranquillo, anzi sembrava sereno, non poteva nascondere una certa amarezza, ma il suo sguardo era fermo e non tremava di paura come la maggior parte dei tributi che venivano estratti alla mietitura.
Aveva i capelli castani pettinati all’indietro, una camicia a quadri, simile a quella che indossava in segheria e un paio di jeans; non si poteva certo dire che si fosse vestito elegante.
Dei pacificatori lo accompagnarono sul palco e lo condussero fino a portarlo accanto a Maira.
I due non si sfiorarono nemmeno.
Maira arricciò leggermente il naso, mentre Ethan un sorriso nervoso.
“Sorpresa di vedermi?” chiese Ethan sottovoce.
“Sì…felice, no” rispose secca Maira.


Distretto 12
Betty Boulevard si fece avanti sul palco fino ad arrivare al centro.
Era vestita completamente di rosso e indossava una parrucca rossa che minacciava di cadere ad ogni suo passo.
“Benvenuti, come ogni anno alla Mietitura, alla mietitura del distretto 12 per i 48esimi Hunger Games” esclamò lei estasiata, ma le facce smunte e spente del pubblico non le diedero alcun sostegno.
Lei, visibilmente imbarazzata, allora continuò a parlare: “Ok…ehm…bando alle ciance allora e passiamo subito all’estrazione. Come sempre, prima le signore” Betty si avvicinò all’urna ed estrasse dopo qualche giro di mano il bigliettino con il nome della ragazza.
“Elspeth Puskas” esclamò a gran voce.
La folla si allargò intorno ad una ragazza. Aveva i capelli castani, lisci che le arrivavano alle spalle, gli occhi grandi e marroni in cui si leggeva lo shock del momento.
Indossava un vestito azzurro ed era bassina e magra, come tutti nel distretto 12.
Si sentì un pianto di donna poco distante, delle urla di amarezza che rimbombarono in tutta la piazza.
Una donna serrò i ranghi e corse verso la ragazza, ma venne fermata dai pacificatori che la fermarono in tempo, era sua madre.
Elspeth non ci fece caso, era completamente paralizzata dal terrore, i suoi occhi erano spalancati e mostravano incredulità e sgomento, la bocca era semiaperta e stava sospirando affannosamente.
“No! No! Lasciatemi!” esclamò ancora sua madre, mentre veniva portata via dai pacificatori.
“Su vieni cara” disse Betty con voce teatrale.
Elspeth fece un passo avanti tremante, gli occhi ancora spalancati, le mani tremanti e venne accompagnata sul palco da dei pacificatori.
Guardò le persone che aveva davanti, vide Demetrio, il suo migliore amico che le faceva segno di essere forte, ma non riusciva a nascondere la rabbia, vide la sua amica Lara che era andata a consolare sua madre e sua sorella, che piangevano e poi vide suo padre.
Ferenc la guardava, i suoi occhi marroni come quelli della figlia erano grandi e non toglievano lo sguardo da lei, la bocca era serrata, tremante e le guance rigate dalle lacrime.
“Mi dispiace papà” disse sottovoce Elspeth, senza farsi sentire e una lacrima le rigò la guancia.
“Ed ora passiamo agli uomini” esclamò Betty e si avvicinò all’urna.
Estrasse un biglietto e lesse: “Demetrio Vyras”
I loro occhi si incrociarono, uno sguardo rassegnato, incredulo, a lui scappò un sorriso e imprecò sottovoce.
“Demetrio?” chiamò ancora Betty.
“Sono io” disse lui e uscì dalla fila.
Non era alto, ma era un ragazzo sportivo e ogni anno vinceva la gara di corsa dei giochi estivi, aveva i capelli castani, occhi verdi ed era vestito come tutti i giorni.
La raggiunse sul palco anche Demetrio stava tremando, ma Elspeth stava piangendo e a volte le usciva qualche singhiozzo.
“Ce la faremo Elsepth…insieme” le disse lui.
Lei singhiozzò e questa volta si sentì in tutta la piazza.


Distretto 3
Gli occhi azzurri di Annie scintillarono illuminati da un raggio di sole, mentre la ragazzina tremava nervosa sul palco.
I suoi occhi si muovevano in tutte le direzioni, guardavano la gente, la sua famiglia che piangeva, le sue amiche che la guardavano con occhi pietosi, ma pieni di sostegno e speranza e Thomas.
Thomas invece non la guardava, aveva gli occhi fissi a terra, si guardava le scarpe, non aveva la forza di vedere la sua migliore amica condannata a morte.
Annie si toccò la cicatrice sull’occhio sinistro, poi quella sul suo orecchio destro e infine si sistemò i capelli biondi che erano legati in due codini con dei nastri blu.
Guardò quindi Jonathan, bello e fiero nel suo completo nero e nella sua barba scura, l’unico accompagnatore maschio di Capitol City, mentre presentava in piedi sul palco i tributi.
La sua voce risuonava forte e risoluta, , quando parlava avresti potuto ascoltarlo per ore; era per questo che Capitol City lo aveva scelto come accompagnatore.
La sua sobrietà, naturalezza e grande parlantina gli aveva permesso di scalare le gerarchie e da accompagnatore del distretto 12 si era ritrovato in due anni nel distretto 3, decisamente più prestigioso.
Jonathan si mosse in avanti sul palco e pescò dall’urna, lesse mentalmente e disse: “Oggi è un giorno che mette paura, che porta terrore nei vostri cuori, ma è anche un giorno di grande gioia perché oggi qui si fa la storia, una pagina che rimarrà impressa nelle menti di tutti noi. E’ con grande onore e rispetto che chiamo qui, il tributo maschio del Distretto 3…Vincent Van Damme” esclamò Jonathan.
“Sono io” esclamò un ragazzo sulla destra, alzando le mani.
Uscì dai ranghi e si incamminò da solo verso il palco.
Aveva i capelli biondi e pettinati in un ciuffo, era magrolino, ma sembrava sicuro di sé e non lasciò trapelare un grammo di insicurezza o paura.
Vincent passò davanti a Annie e i loro occhi azzurri si incrociarono, per un attimo sembrarono trovare una speciale empatia, ma poi senza dire una parola Vincent la superò e si mise al sua fianco.
Annie alzò lo sguardo e guardò Thomas, i suoi capelli neri come la pece erano sudati e spettinati, ma i suoi occhi la guardavano e sembravano chiamarla, pregarla di non andare, di scappare, come le aveva proposto tante volte dopo l’incidente.
Annie si toccò la cicatrice, Vincent la notò e strinse i pugni nervosamente poi Jonathan finì il discorso e vennero portati nel palazzo di giustizia.


Note dell'autore

Ciao a tutti!
Finalmenti sono riuscito a pubblicarla, è stato molto difficile trovare tutti i partecipanti, ma sono riuscito alla fine a trovare una soluzione.
Questo è il primo di tre capitoli sulla mietitura dove voi mentori conoscerete i vostri tributi e comincerete già a farvi qualche idea su come confrontarvi su di loro.
Alla fine del terzo capitolo sulla mietitura vi scriverò in modo dettagliato quello che dovrete fare, ora vi lascio ai tributi e al loro piccolo "momento di gloria".

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Capitolo 4
*** Il giorno della mietitura (parte 2) ***


Il giorno della mietiturs (parte 2)

Distretto 1
Non fece in tempo neanche a dire il nome che tre voci si accavallarono tra la folla, ergendosi sopra le parole di Nancy.
“Mi offro volontaria!”
“Mi offro volontario!”
“Mio offro volontario!”
Nancy per poco non cadde a terra, come assalita dalle voci dei ragazzi.
I ragazzi continuavano a parlare, la gente intanto iniziava a rumoreggiare, alcuni applaudivano, altri commentavano, alla fine si fece un gran caos.
I pacificatori entrarono in azione, ma non riuscirono a sedare il caos.
“SILENZIO!” urlò Nancy nel microfono, con una voce così acuta che molte persone in piazza dovettero tapparsi le orecchie.
Il silenzio e la calma ritornarono nella piazza e Nancy con un sorrisino soddisfatto disse: “Adesso chiunque si voglia offrire volontario alzi la mano, senza parlare”
Tre ragazzi, due maschi e una femmina, alzarono la mano e intorno a loro la folla si allargò per far loro spazio.
I tre ragazzi si guardarono negli occhi.
Lei era bella, bellissima, capelli marrone chiaro, occhi scuri, in un vestito bianco che le arrivava alle ginocchia.
I suoi occhi incontrarono quelli di uno dei due ragazzi e i due si sorrisero annuendo.
Lui era alto, aveva i capelli biondi e lunghi, cotonati e pettinati, gli occhi azzurri, un sorrisino furbo sulle labbra.
Indossava un completo lilla e osservava tutti con sguardo altezzoso e superiore.
I loro occhi puntarono allora sull’altro ragazzo, era alto, forte, aveva i capelli neri e sotto il vestito fatto su misura, si potevano vedere dei grandi muscoli ed una grande massa fisica.
Entrambi lo gelarono con lo sguardo, quasi volessero mangiarlo con gli occhi, ucciderlo all’istante.
Il ragazzo li guardò per un attimo e poi si rivolse a Nancy.
“Scusatemi, ci ho ripensato. Non intendevo…” disse lui nervoso e abbassò il braccio.
“E bravo Clay” pensò tra sé e sé la ragazza.
Si voltò ancora verso l’altro ragazzo, quello con i capelli biondi che le strizzò l’occhio.
“Sembra che abbiamo i nostri campioni” esclamò Nancy con voce viscida, acuta e sdolcinata. “Su, venite qui e presentatevi al mondo”
I due ragazzi uscirono dalle file e camminarono verso il palco e arrivati al microfono il ragazzo iniziò a parlare.
“Siamo Willoughby Crawley e Anastasia Izmailov e saremo i vostri campioni. Non vi deluderemo distretto 1” disse lui causando l’applauso e l’isteria generale.
Willoughby e Anastasia si guardarono negli occhi, entrambi con sorriso beffardo e maligno, poi si presero per mano e si baciarono.


Distretto 5
Gli occhi di lui non l’avevano mai sfiorata, si chiedeva se sapesse quello che aveva intorno, il suo sguardo era vacuo, vuoto, privo di empatia.
Riether era lì, fermo immobile, in parte a lei, gli occhi fissi davanti a lui, le mani ferme lungo i fianchi, le gambe rigide, quasi sull’attenti.
Jennifer invece tremava, non riusciva a nascondere la paura e l’inquietudine per quello che le era appena successo, non ci credeva, non voleva crederci, ma era successo, ora era un tributo, che le piacesse o no.
Cercò di distrarsi, si sistemò i capelli lunghi e castani, girò due e tre volte i pollici con le mani dietro la schiena, a volte batté qualche colpetto sul legno del palco, ma non riusciva a stare calma.
Lui invece era calmo, freddo, rigido, non aveva mai lasciato trapelare alcuna emozione.
Jennifer era un po’ innervosita da questo fatto.
“Come faceva? Qual era il suo segreto? Ha 14 anni, per la miseria, come fa a non aver paura?” pensava lei, di tanto in tanto guardandolo.
La presentatrice finì di parlare e invitò i ragazzi a seguirla dentro il palazzo di giustizia.
I ragazzi la seguirono e videro la folla spegnersi via via dietro una porta che si chiudeva.
“Avete 10 minuti per parlare con le vostre famiglie, poi si va in stazione, mi sono spiegato?” “Sì mi sono spiegato” disse il capitano dei pacificatori rispondendosi da solo.
Jennifer venne condotta verso la sua stanza.
Si girò ancora una volta verso Riether e questa volta non aveva lo stesso sguardo freddo e distante, la fissava con le sopracciglia aggrottate e con un sorrisino maligno.
Jennifer ebbe un tremito e girò lo sguardo a terra, poi si chiuse la porta alle spalle e vomitò.


Distretto 10
“Perché proprio tu?! Non poteva uscire qualcun altro!?” esclamò a gran voce Robert sbattendo a terra un vaso.
“Aspetta” disse lei sottovoce, tremante e nervosa, aveva i capelli biondi chiarissimi, gli occhi chiari, il naso all’insù ed era piccola e snella.
“No! Loro vogliono lo spettacolo! Non importa a nessuno se hai dodici anni! Fottuti stronzi!” continuò Robert come se non l’avesse sentita.
“Aspetta” ripeté lei, ma non la ascoltava continuava a borbottare e bestemmiare.
Carrie spalancò i suoi occhi azzurri e si sedette allora sulla sedia, rassegnata, triste e terrorizzata.
Si spalancò la porta e un pacificatore disse: “E’ finito il tempo signor Fluttershy”
“No. Mi dia qualche minuto per salutarla”
“E’ finito il tempo”
Robert si girò verso Carrie e mentre varcava la porta le disse: “Ti voglio bene”
A Carrie queste parole entrarono in un orecchio e uscirono dall’altro come se fosse caduta in uno stato di trance da dove non riusciva più ad uscire.
“Aspetta” esclamò lei con un fil di voce verso la porta che si chiudeva, ma la porta si chiuse con un tonfo.
Carrie sospirò di amarezza e si appallottolò con le ginocchia al petto piangendo sulle sue braccia.

“Sta piangendo. E’ troppo fragile, troppo fragile per queste cose, non si dovrebbero permettere certe cose” esclamò Ivan contrariato.
“E che ne sai tu. Non la conosci nemmeno, non ha amici, ha paura persino quando deve parlare” replicò un uomo seduto su una sedia.
“Appunto. Non è fatta per gli Hunger Games; la faranno fuori se non si ucciderà prima. Cosa pensa che dovrei fare?” chiese allora il ragazzo.
“Sei tu che ti sei offerto volontario, non è un problema mio” esclamò il signor Burchet innervosito.
“Non devo essere io a dirti ciò che devi fare, se non ti sentivi pronto dovevi pensarci prima”
Ivan rimase scioccato da quelle parole, si mise le mani nei capelli biondi, e iniziò a camminare in cerchio, sbuffando e tremando, era la prima volta che si sentiva così insicuro.
Era alto, molto alto, spallato e robusto, muscoli che si era costruito sollevando e trasportando la carne del bestiame e i sacchi di prosciutti.
Aveva i capelli biondi, corti, gli occhi azzurri e la mascella larga e scolpita.
“Il tempo è scaduto” disse un pacificatore da dietro la porta.
“Ci vediamo Ivan” disse Burchet uscendo.
“Ci vediamo sul treno” disse Ivan la cui voce si era fatta più grave e nervosa.
“No, non sarò io il tuo mentore, d’ora in poi dovrai cavartela da solo” replicò lui e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Ivan guardò ancora per qualche secondo la porta chiusa, poi preso dalla rabbia e dal nervosismo, tirò un pugno sul tavolino accanto a sé, che si frantumò a terra, spaccandosi in quattro.


Distretto 6
Milan era seduto sul divano, ora molto più tranquillo dato che Adrian gli era venuto a fare visita.
Adrian era, possiamo dire il suo datore di lavoro, era l’uomo che lo aveva preso in custodia e di fatto gli aveva offerto l’opportunità di far vivere la sua famiglia da benestanti.
Milan aveva 18 anni e non credeva potesse essere estratto per gli Hunger Games. All’inizio era rimasto scioccato e furioso, ma alla fine si era calmato, poteva vincere, lo sapeva e la sua famiglia sarebbe stata ancora meglio.
“Se andasse male ti prenderai cura tu della mia famiglia?” chiese Milan ad Adrian che camminava in cerchio.
“Hai ripagato la mia fiducia in questi anni e penso sia il minimo che io possa fare” rispose l’uomo sorridendo al ragazzo.
Milan annuì e ringraziò Adrian.
“Sei il padre che non ho mai avuto” disse Milan.
Adrian allora prese per le spalle il ragazzo e gli disse: “Ti ho solo dato una possibilità per diventare un uomo e non mi hai mai deluso. Se questo significa essere per te un padre, ne sono orgoglioso”
Milan si sistemò i capelli neri, sul braccio aveva ancora l’ustione che gli aveva causato l’ultimo colpo, quello alla fabbrica delle rotaie, a volte gli doleva, ma si era potuto permettere la miglior cura disponibile.
Adrian era pelato e aveva gli occhi verdi, indossava il suo completo viola e fumava la pipa.
“E’ finito il tempo” esclamò il pacificatore aprendo la porta.
“Grazie Adrian” disse Milan.
“Sembrerò banale, ma possa la fortuna essere a tuo favore, amico mio” replicò Adrian e uscì dalla stanza.
Nella stanza accanto l’atmosfera era molto meno tranquilla.
“Il tempo è scaduto” disse il pacificatore e la madre e il padre della ragazza si staccarono dall’abbraccio con qualche fatica, piangendo.
I genitori non ebbero la forza di dire addio alla loro bambina che piangeva e tremava.
La porta si chiuse davanti a lei e rimase sola insieme alla sua paura nella stanza.
“Tutto bene?” esclamò una voce dall’altra parte del muro.
Petra, quello era il suo nome, bloccò il pianto strozzato e rispose: “Chi sei?”
“Sono Milan, il tuo compagno di distretto, qualcosa non va?” chiese Milan da dietro il muro.
“Tutto non va” rispose lei leggermente innervosita dalla domanda così naturale.
“Capisco” disse lui e ci fu un attimo di silenzio “Io ci sono se vuoi parlare”
“Ok” replicò lei, ma proprio in quel momento si aprì la porta e un pacificatore di colore irruppe nella stanza.
“Il treno è arrivato, dobbiamo andare”

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Capitolo 5
*** Il giorno della mietitiura (parte 3) ***


Il giorno della mietitura (parte 3)

Distretto 2
“Non mi aspettavo che ti saresti offerta volontaria, non ti facevo così orgogliosa” le disse Mikhail sorridendo.
Nadia lo fissò con i suoi profondi occhi marroni e gli rispose: “Sono la migliore, perché non mi sarei dovuta offrire”
Mikhail la guardò ridendo e annuì.
“Mi piaci Nadia. Sento che potremmo collaborare” le disse lui.
Lei alzò lo sguardo per incrociare il suo e sorridendo disse: “Sì, potrebbe andarmi bene”
Avevano entrambi gli occhi scuri, i capelli castani e se uno li avesse visti insieme senza conoscerli avrebbe pensato che fossero fratelli.
Lui era alto circa un metro e ottanta, era magro, ma scolpito e fisicamente prestante, indossava un abito blu che faceva risaltare il suo fisico sportivo.
Lei invece non era ne alta ne bassa, aveva i capelli pettinati in una frangia che le copriva le sopracciglia, ma pur essendo bassina e magra era forte e slanciata.
Indossava un vestito rosso e giallo che le arrivava alle ginocchia e delle calze rosse che le scolpivano i polpacci muscolosi.
Il pullman che li doveva portare alla stazione girò a destra e la parrucca di Jenny, la loro accompagnatrice cadde a terra.
Mikhail e Nadia si misero a ridere.
“Ehi Jenny, troppa poca colla?” chiese Mikhail scoppiando a ridere.
“Sempre così insolenti voi del due” replicò la donna con tono irritato.
“Tanto a te cosa te ne frega, ti pagano per accompagnarci e quando moriamo, ce ne sono sempre dei nuovi” disse allora Nadia con un leggero tono di critica.
Jenny si sedette gelando con lo sguardo la sua nuova protetta che la guardò con altrettanta freddezza.
“Ti ho vista sai…alle gare, l’estate scorsa…hai vinto tutte le prove” le disse Mikhail.
“E tu hai vinto le tue” replicò lei.
“Commodo dice che siamo la miglior coppia dai tempi di lui e Arianna” disse allora lui.
“Ti ha detto anche chi sarà il nostro mentore?” chiese lei.
“La signorina Evans” rispose lui con un leggero riguardo.
Gli occhi di Nadia si spalancarono, le pupille dilatate, dal suo sguardo si leggeva una certa nota di preoccupazione e di rabbia.
Nadia sospirò e disse: “La odio e lei odia me, non poteva capitarmi di peggio”
Mikhail allora la guardò negli occhi, proprio mentre il pullman frenava, il loro sguardo si incrociò e per la prima volta non si guardarono l’un altro con superiorità.
“Andiamo” disse lei e lui annuì.


Distretto 9
Appena mise il piede sul treno sentì un tremito percorrerlo lungo tutta la spina dorsale.
Si girò verso la gente che invadeva la stazione e cercò la sua famiglia per salutarla un’ultima volta, ma proprio mentre aveva avvistato sua madre ecco che venne strattonato per la maglia e tirato dentro il treno.
La porta davanti a lui si chiuse e il treno si mise in moto lasciando la stazione del distretto 9.
Drazen si girò, leggermente innervosito, ma davanti a lui vedeva solo la sua compagna di distretto, Eris, che lo fissava storto.
“Che c’è?” chiese lei vedendo il suo compagno innervosirsi.
“Ti ho solo portato dentro, il treno doveva partire”
Lui la guardò male, e dandole un leggero spintone la sorpassò nella carrozza.
Lei ricambiò lo sguardo, ma non si soffermò molto sulla cosa e lo seguì.
Era alto, robusto, fisico che si era costruito arando i campi del distretto 9, aveva i capelli corti e neri, e una barba incolta che gli circondava il viso.
Lei invece era snella e slanciata, era alta per la sua età, aveva dei lunghi capelli biondi che le arrivavano alle spalle e gli occhi marrone chiaro, quasi arancioni.
I loro caratteri però erano totalmente differenti.
Drazen si mostrava scontroso e nervoso, non aveva paura, ma era ansioso e la situazione lo innervosiva.
Lei invece non era nervosa, non aveva paura e non era ansiosa, ma non era nemmeno lei molto loquace.
Cercava qualche volta di parlare con Drazen, ma il suo tono era presuntuoso, critico e fastidioso.
Si conoscevano Drazen e Eris, erano compagni di scuola, avevano entrambi 17 anni e non si erano mai sopportati, non si parlavano mai e non avevano la minima intenzione di farlo ora.
“Vuoi dello zucchero? Qua c’è di tutto e di più” esclamò lei guardando a bocca aperta le tonnellate di cibo che c’erano in un armadietto.
Drazen la guardò storto, ma poi chiese con tono quasi rassegnato: “Cosa c’è?”
“Ah. Ti è tornata la voce. Allora…abbiamo…mele caramellate, pacchetti di patatine, popcorn, gelato, panna, biscotti. Cosa ti do?” rispose lei.
“Dammi i popcorn, grazie”
“Di mais ne ho mangiato abbastanza, io mi strafaccio di gelato” replicò lei portando i popcorn a Drazen.
I due iniziarono a mangiare, mentre i campi di grano si facevano sempre più lontani.


Distretto 4
Non aveva mai smesso di parlare, non aveva ancora chiuso bocca da quando erano saliti sul treno, a Victor stava scoppiando la testa a furia di sentirla.
Non riusciva più a reggerla, a volte annuiva per farle credere che la stava a sentire, altre volte le faceva capire che non voleva ascoltarla e mangiava qualcosa, ma niente riusciva a fermarla.
Victor non si spiegava perché non avesse paura, perché quella ragazza così minuta e gioiosa non mostrasse alcun segno di timore o nervosismo.
“E’ una squilibrata” pensò Victor tra sé e sé, mentre la ragazza continuava a ridere e parlare.
“Sai non vedo l’ora di poter andare a Capitol City per sputare sui loro marciapiedi e essere irrispettosa. Ah! E poi voglio farmi tanti amici, mangiare tanti dolci, vestirmi bene, ridere. Tu sei mio amico vero?” chiese lei.
Lui la guardò, ma non aveva sentito quello che aveva detto, o meglio non aveva voluto sentire.
Lei lo fissò con un sorriso a trentadue denti e due occhi blu-rosato che attendevano impazienti una risposta.
Victor non sapendo che fare annuì e la ragazza fece un versetto acuto e lo abbracciò.
Victor rimase scioccato e non riusciva proprio a capire quale problema mentale girasse nel cervello di questa ragazza, per comportarsi in questo modo così strano.
Aveva i capelli bordeaux, erano ricci e le arrivavano alle spalle, aveva il naso all’insù ed era molto carina, nel suo vestito rosa.
“Io sono Pinkie” esclamò lei allungando la mano.
Victor osservò la mano della ragazza con sospetto e timore, poi la strinse e le disse: “Victor”
“E’ un piacere poterti conoscere, sai sono così emozionata, ho anche un po’ paura, ma sai sono esperienze, non possono fare altro che migliorarmi” esclamò lei.
“Non…hai paura?” chiese lui confuso.
“No. Non bisogna avere paura, se hai paura hai già perso in partenza, io so che posso vincere, perché sono mentalmente più forte di tutti gli altri” rispose lei sorridendo.
Victor la guardò sorpreso, ma per la prima volte da quando sentiva Pinkie capì che la ragazza era intelligente e il suo comportamento era interessante.
Non a caso la maggior parte dei tributi vincitori venivano dai distretti 1 e 2, loro erano più preparati psicologicamente e forse era proprio quella la chiave della vittoria.
Victor sorrise e annuì.
“Hai ragione Pinkie. Non bisogna avere paura”
Gli occhi di Pinkie si illuminarono ed esclamò con voce estasiata: “Grazie Victor”
E poi fissando l’immensa torta in mezzo al tavolo “Mi passi una fetta?”


Distretto 8
I loro occhi non si incrociavano, l’uno guardava il finestrino, l’altra la tazza di latte che aveva davanti a sé.
Lui era bello, biondo, occhi azzurri, aveva uno sguardo nervoso, quasi arrabbiato, arricciava il naso mentre il treno superava i boschi del distretto 8 a grande velocità.
Lei aveva i capelli neri, gli occhi neri, leggermente a mandorla, era bassina, ma nei suoi occhi traspariva una grande sicurezza e determinazione, cosa che non si leggeva negli occhi del ragazzo.
“Dovremmo pur parlare prima o poi” esclamò lei senza spostare gli occhi dal latte.
Il ragazzo sospirò e le disse: “Non vedo di cosa potrei parlare con una come te”
“Cosa intendi con “una come me”?” chiese lei irritata.
Lui non spostò lo sguardo dal vetro e rispose: “Lo sai cosa intendo, tu una Nurmi, io un Kovalainen e si aspettano che collaboriamo, ma mi facciano il piacere”
“Non ho intenzione di collaborare con te”
“Nemmeno io voglio collaborare con una Nurmi schifosa”
“Un’altra parola sulla mia famiglia e ti stacco quella testa da piccolo lord” esclamò lei irritata fissandolo con sguardo torvo.
“Devi solo provarci inutile Nurmi” disse allora lui.
Lei si avventò su di lui e lo gettò sul pavimento, iniziando a menarlo con dei pugni ai fianchi.
Lui allora le tirò un pugno sulla guancia e con uno strattone si liberò di lei.
“Che state facendo animali! Volete farvi fuori prima del dovuto? Levale le mani di dosso Geoffrey!” esclamò una voce alle loro spalle.
Entrò nel vagone una donna, era alta, aveva i capelli biondi e gli occhi marroni.
Prese per le spalle i due e li staccò.
La ragazza aveva un livido sulla guancia, mentre Geoffrey si toccava lo stomaco dolorante.
“Siete impazziti per caso?” esclamò la donna furioso.
“Ha iniziato lei” disse lui.
“No! E’ lui che mi ha chiamato sporca Nurmi!” replicò lei.
“Zitta stupida Nurmi!” esclamò lui.
“Adesso Basta!!” urlò la donna facendoli tacere.
“Il primo che pronuncia un’altra volta Nurmi o Kovalainen, giuro su dio lo uccido personalmente, che sia l’ultima cosa che faccio”
I due si zittirono e abbassarono il capo.
“D’ora in poi vi chiamerete con i vostri nomi, Nelli e Geoffrey, sono stato chiaro?” chiese la donna.
I ragazzi annuirono con le teste basse.
“Io sono Eleanor e sono il vostro mentore” si presentò l’uomo.
“E Paavo che fine ha fatto? Perché non è lui il mentore?” chiese Nelli sorpresa.
“Perché ha deciso di affidare l’incarico a me, mi ha detto che siete dei buoni elementi e che con la mia esperienza posso farvi vincere, non vorrete deludere la sua parola, picchiandovi già il primo giorno?”
I ragazzi scossero la testa.
“Le vostre famiglie non esistono ora, so che fate parte di famiglie rivali, ma ora non importa. Siete solo voi due e siete compagni e dovrete collaborare, da questo momento ci siete solo voi, io e gli Hunger Games”

Note dell'autore

Ciao a tutti!
Ecco qua, la mietitura è finita, le pedine sono ormai posizionate sulla posizione di partenza e pronte a cominciare.
Dai prossimi capitoli si fa sul serio.
Mentori, ora tocca a voi, nei prossimi capitoli entrerete fisicamente in contatto con i tributi e li conoscerete di persona.
Mi dovete inviare, se volete, altrimenti ci penso io,via messaggio privato, come volete approcciarvi con loro e che conscigli dar loro come prime direttive.
Per qualsiasi chiarimento scrivete.
Vi invito a recensire e ci tengo a ringraziare per le belle recensioni che mi state inviando, continuate così.
Grazia ancora, alla prossima
Goran

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Capitolo 6
*** Il treno, direzione Capitol City ***


Il treno, direzione Capitol City


Distretto 12
I suoi occhi erano fissi, freddi, come privi di empatia o sentimento; fissavano davanti a lei e nelle pupille scure non si riusciva a intravedere nessun sentimento.
Sul tavolino di legno c’era un oggettino di metallo, un grazioso ciondolo apribile a forma di stella.
“Prendilo” le aveva detto suo padre Ferenc piangendo “Portalo sempre con te, perché io, qualsiasi cosa accadrà, sarò lì, saremo insieme e ti abbraccerò”
Quelle parole le scorrevano davanti agli occhi mentre osservava con occhi fissi il ciondolo aperto con all’interno, sui due lati, le foto dei genitori e della sorellina Annina.
Demetrio la guardava con apprensione, poco distante, appoggiato alla credenza, con le braccia conserte.
Elspeth non aveva parlato più, non aveva più aperto bocca da quando aveva lasciato la stanza del palazzo di giustizia, prima di dirigersi alla stazione e salire sul treno, che sfrecciava ora tra i distretti di Panem, direzione Capitol City.
Demetrio era preoccupato, non aveva mai visto Elspeth, la sua migliore amica, così spenta e vuota e la cosa non lo faceva stare tranquillo, non aveva chiuso occhio tutta notte pensando a lei e questo silenzio infinito lo metteva a disagio.
Le si avvicinò e si sedette proprio di fronte a lei, ma la ragazza non alzò lo sguardo dal tavolo, né mosse un muscolo.
Demetrio si morse il labbro nervosamente, la guardò come pregandola di parlargli, ma niente, solo il silenzio sembrava ascoltarlo, ma il silenzio non poteva rispondergli.
“Elspeth…io” accennò lui, ma lei aveva alzato lo sguardo e lo fissava con i suoi occhi marrone scuro, quasi nero, la bocca rosata e rigida, i capelli castani, lisci che le arrivavano alle spalle, ma nel suo sguardo Demetrio non trovava alcun cambiamento.
I due ragazzi si guardarono per qualche secondo, gli occhi fissi l’uno con l’altro e poi Demetrio le prese la mano e la strinse nella sua.
Una lacrima le scese lungo la guancia sinistra e rimbalzò sulla foto del padre Ferenc e per un attimo sembrò che i suono si fosse sentito, un debole tintinnio sul vetro immobile.
All’improvviso la porta scorrevole si aprì e i ragazzi saltarono in aria dallo spavento, quando videro Alisya Collins, la loro mentore, comparire da dietro il muro.
Aveva gli occhi grigi, che sembravano scrutarli in ogni singolo dettaglio, la pelle ambrata e i capelli marroni, con qualche spruzzata di nero, segno che prima degli Hunger Games, aveva vissuto nel giacimento.
Ci fu un momento di silenzio in cui tutti guardarono tutti poi la donna sorrise e disse loro: “Sono Alisya Collins e sarò la vostra mentore per gli Hunger Games e vi prometto che farò il possibile per tirarvi fuori vivi”
Era l’unica vincitrice degli Hunger Games per il distretto 12, nessuno prima aveva mai vinto questa competizione per i distretto più infimo e sottovalutato di Panem.
Aveva vinto la trentaseiesima edizione, dimostrando grandi doti di furtività e ingegno, qualità che le avevano permesso di uccidere tre favoriti su cinque, in un agguato notturno.
La donna li superò, dirigendosi verso il tavolo, riccamente apparecchiato di cibi e bevande.
“E’ ora di colazione, dovete mantenervi in forze” disse loro la donna sedendosi.
Demetrio si alzò immediatamente, aveva una fame da lupi e aveva già adocchiato da qualche minuto il cioccolato, che solo una volta aveva assaggiato nel distretto 12, ma quella gli era bastata per innamorarsi per sempre di tale delizia.
Elspeth lo seguì, prese il ciondolo dal tavolo e se lo mise nella tasca dei pantaloni, sedendosi accanto all’amico e prendendo timidamente una pagnotta al latte.
“Penso che un approccio diretto sia il metodo migliore e credo che dobbiamo iniziare subito a conoscerci perché un buon rapporto e la chiave di tutto negli Hunger Games, perciò voglio sapere tutto il possibile su di voi” disse Alysia.
Demetrio e Elspeth si guardarono nervosi e poi il ragazzo prese la parola: “Vuole sapere…tipo…le nostre doti?”
“Esattamente” rispose la donna addentando un cupcake.
“Beh…io corro” disse allora Demetrio, con la bocca piena di cibo.
“Corri?”
“Sono campione dei giochi estivi nei cento e nei mille metri” rispose lui con un certo tono di orgoglio.
La donna annuì, sfoggiando un sorriso a trentadue denti, visibilmente soddisfatta del talento di Demetrio.
“E tu?” chiese poi ad Elspeth.
Elspeth la guardò nervosamente e mordendosi il labbro: non sapeva cosa dire, non aveva un talento, non eccelleva come Demetrio in qualcosa e aveva leggermente paura di quella donna che si comportava in modo così naturale.
“Beh…io…non so” rispose Elspeth.
Alysia aggrottò la fronte e la guardò leggermente irritata.
“Sa giocare a calcio” intervenne Demetrio.
“Cosa c’entra questo?” chiese Elspeth gelando con i suoi occhi marroni l’amico “Non credo che un pallone mi aiuterà negli Hunger Games”
“E che ne sai?” chiese Demetrio con tono contrariato.
“Oh sì, allora secondo te, quando incontrerò il ragazzo del due gli dirò: “Ehi, che ne dici, ce la giochiamo a rigori?” esclamò allora Elspeth con rabbia.
“State zitti!” disse con rabbia la loro mentore “L’unica cosa che può far vincere un distretto minore è la collaborazione tra i tributi e non voglio che vi mettiate a litigare proprio ora, sono stata chiara?”
I ragazzi annuirono con i capi bassi.
“Non importa che tu sia una campionessa di corsa o lotta, voglio sapere cosa ti piace e in cosa sei brava” disse poi Alysia ad Elspeth.
Elspeth la guardò con i suoi occhi marrone scuro e annuì deglutendo nervosamente.
“Io so giocare a calcio…so…lavorare a maglia e poi sono discreta nell’atletica e nella lotta” disse allora Elspeth.
“Discreta?!” esclamò Demetrio confuso “E’ la campionessa di pentathlon del distretto”
A queste parole gli occhi di Alysia scintillarono ed esclamò: “Perfetto! Siete tra i ragazzi più forti che abbia mai avuto e penso davvero che potremmo fare grandi cose”


Distretto 10
La donna prese una fetta di pane dolce e ci spalmò sopra del burro, con calma e tranquillità.
Aveva i capelli castani, lunghi e fluenti, che le arrivavano a metà busto, due grandi e penetranti occhi verdi che fissavano il cibo, ma sembrano cogliere ogni singolo movimento intorno a sé e aveva una cicatrice, una grande cicatrice che le tagliava il viso trasversalmente, dal sopracciglio destro fino al lato sinistro della bocca.
Ivan la osservava dall’altra parte del tavolo; era innervosito dal comportamento della donna, che non li aveva quasi neanche guardati da quando l’avevano incontrata.
“Quando inizieremo a discutere dell’arena?” chiese Ivan con tono aggressivo.
Non era solo il comportamento della sua nuova mentore ad innervosirlo, ma soprattutto, era furioso per la discussione che aveva avuto con il signor Burchet, l’uomo che l’aveva spinto a offrirsi volontario e che lo aveva allenato per gli Hunger Games, l’uomo che lo aveva abbandonato al suo destino, lasciandolo nelle mani di una donna sconosciuta e in compagnia di una dodicenne ai suoi occhi inutile e piagnucolosa.
Carrie era seduta accanto a lui, aveva gli occhi bassi e solo ogni tanto alzava lo sguardo timidamente per prendere un torsolo di pane e bere un po’ di latte.
Sulle guance e sotto gli occhi si notavano i segni delle lacrime che aveva versato per tutta la notte, la più lunga e terribile di tutta la sua vita, in cui incubi di ogni genere e forma le avevano perseguitato il sonno.
“Allora?” chiese nuovamente Ivan impaziente, ma la donna, come per la prima domanda, non batté ciglio e continuò a spalmare il suo panino.
Ivan allora non ci vide più dalla rabbia, tirò un forte pugno sul tavolo, si alzò violentemente dalla sedia e si accinse a parlare, ma all’improvviso si fermò, perché sentì qualcosa di metallico che entrò in contatto con il suo torace.
La donna impugnava un coltello da cucina e lo puntava direttamente al torace di Ivan, che ora era fermo immobile, sospirando affannosamente e sudando.
“Comincia col diventare più veloce” gli disse secca la donna guardandolo negli occhi e mollando la presa.
Ivan tirò un grande sospiro di sollievo e si accasciò sulla sedia.
“Puoi uscire ora” disse allora la donna e Ivan la guardò confuso, ma poi, voltando lo sguardo alla sua destra, dove prima c’era Carrie non vide nessuno.
Un ciuffo di capelli biondi spuntò da sotto il tavolo, poi un occhio azzurro come il lapislazzulo e infine Carrie, tremante e spaventata, si rimise sulla sedia con gli occhi bassi e pieni di vergogna.
“Mi chiamo Arrow e sarò la vostra mentore e come tale ci tengo a mettere in chiaro un paio di cose” disse la donna fissando intensamente negli occhi Ivan che ora non riusciva quasi a parlare “Qui comando io, sono io che vi dico cosa dovete fare, non voi, non voglio sentire nessuno provare a darmi ordini. Decido io quando si comincia e se si comincerà tra un’ora o tra una settimana sarò solo io a deciderlo. Sono stata chiara?”
Entrambi i ragazzi la guardavano smarriti e nervosi, Carrie tremava e avrebbe voluto tornare sotto il tavolo, Ivan la scrutava con le sopracciglia aggrottate e lo sguardo irrigidito dall’ira.
“Sono stata chiara?” chiese ancora Arrow.
Ivan e Carrie si guardarono e poi annuirono.
“Bene” disse allora lei e continuò a mangiare il suo cibo; per tutto il tempo non aveva mai sorriso, mai sorriso, né mai aveva cambiato espressione.


Distretto 4
Fu l’abbraccio più lungo della sua vita, il più caldo, il più vero, il più amaro.
Sentiva le sue lacrime calde che gli scivolavano sulla spalle e i sussulti dei suoi singhiozzi che si facevano sempre più forti e sempre più frequenti.
Strinse tra le sue dita i suoi capelli dorati e crespi, come se fosse l’ultima volta che li toccasse, sentiva il loro profumo di rosa e per un attimo credette che il loro abbraccio potesse durare per sempre, che potessero stare per sempre insieme.
Ma come il più bello dei sogni era destinato a finire.
La porta si aprì e l’uomo disse loro che il tempo era scaduto.
Sentì le mani di lei stringersi nella sua maglietta e i suoi singhiozzi raggiungere il massimo dell’intensità.
Anche lui allora si lasciò andare e una lacrima gli scese dall’occhio per cadere a terra e frantumarsi sulla moquette.
Il pacificatore la prese per la vita e la tirò via dall’abbraccio che si spezzò come un ramo.
“No! No! Victor! No!” piangeva lei, guardandolo negli occhi.
Lui la guardò, i suoi occhi erano rossi di lacrime e le disse: “Tornerò, Emma, tornerò per te”
La porta si chiuse e Victor aprì gli occhi, ritrovandosi nella sua cabina nel treno che sfrecciava lungo i binari di Panem.
Si alzò dal letto, negli occhi gli balenava ancora l’ultimo sguardo della sua Emma, mentre veniva portata via, ma intorno a lui ora c’era solo il buio della notte.
Un sogno, o un incubo, Victor non sapeva se vederlo in un modo o nell’altro, sapeva solo che non era reale e che aveva bisogno di bere.
Scese dal letto e camminò lentamente verso la porta che al suo passaggio si aprì di scatto, scorrendo verso destra.
Si ritrovò nel buio corridoio del treno e lo percorse fino a raggiungere la sala da pranzo.
Fece qualche passo nel buio fino a raggiungere il frigorifero, ma venne interrotto da una voce, acuta e squillante alle sue spalle.
“Ciao. Anche tu non hai sonno? Io non riesco a dormire, fa troppo caldo e quelle coperte sono strette come una camicia di forza” esclamò Pinkie, che era seduta sul divanetto in pelle dietro di lui.
Victor si girò di scatto e le fece segno di abbassare la voce, dato che prima aveva quasi urlato, con la sua voce squillante e leggermente fastidiosa.
“Scusa” sussurrò lei sorridendo.
I suoi occhi blu-rosato scintillavano illuminati dalla luna piena che era alta nel cielo e il suo riflesso penetrava dal finestrino, indossava una camicia da notte rosa e i capelli biondi le scendevano lungo le spalle.
“Cosa fai qui?” le chiese Victor sorseggiando un po’ d’acqua.
“Non riuscivo a dormire, così sono venuta di qua. Guarda cosa ho trovato!” rispose lei alzando nuovamente la voce.
Victor le fece segno ancora di abbassare la voce, ma aveva capito ormai che era una causa persa, si avvicinò alla compagna di distretto e notò che aveva davanti a sé una decina di dvd e nastri registrati.
“Cosa sono?” chiese Victor prendendone uno e osservandolo attentamente.
“Edizioni passate…potremmo vedere qualcuna, potrebbe essere utile” rispose Pinkie sorridendo a Victor.
IL ragazzo annuì e porse il primo dvd che ebbe a tiro.
Pinkie avvicinò il dvd ai suoi occhi per cercare di leggere quale edizione fosse, ma era troppo buio.
“Prova a metterlo nel televisore” disse allora Pinkie, dando il dvd in mano a Victor.
Victor accese il bottone del televisore che scintillava con il suo colore rosso nel buio e inserì il disco nel apposito scomparto sulla destra.
All’improvviso lo schermo si accese e venne proiettata la panoramica di una giungla tropicale con al centro dello schermo la scritta: “Edizione 9”
I due ragazzi si misero comodi e Pinkie appoggiò la testa sulla spalla di Victor e insieme iniziarono a guardare il video.


Distretto 7
Maira uscì dal bagno, chiusa nel suo accappatoio personale color lilla, un colore che odiava; aveva appena finito la doccia e ora, più di ogni altra cosa, desiderava fare colazione.
Girò la testa verso destra e vide Ethan, che leggeva un libro nella sua cabina, vestito della sua camicia a quadretti verdi e rossi con i suoi capelli sempre ben pettinati e ordinati.
Ethan alzò lo sguardo e le sorrise con i suoi occhi arancioni e la sua espressione beffarda.
Maira ricambiò il suo sorriso con un’occhiataccia gelida, per poi voltarsi e incamminarsi verso la sala da pranzo.
Arrivata nella sala da pranzo venne subito accolta dai saluti teatrali e fastidiosi di Scarpel che era seduta su una poltrona rossa con in mano una tazza di tè, dall’altra parte del tavolo c’era invece Luis Wolf, il suo mentore, che non l’aveva neanche guardata.
L’avevano visto pochissime volte e quando l’avevano visto non aveva rivolto loro alcuno sguardo o parola, era sempre rimasto nella sua espressione fredda, dietro i suoi folti baffi bianchi e i suoi verdi occhi inespressivi e rigidi come l’acciaio.
Non appena Maira ebbe fatto un passo verso il tavolo, per sedersi e fare colazione ecco che Scarpel subito la fermò e le chiese con tono sconvolto: “Cosa sono quei capelli?!”
“I miei capelli” rispose Maira confusa, ma non troppo, dato che ormai ci aveva fatto l’abitudine all’ignoranza e al carattere della sua accompagnatrice.
“Sono orrendi, tesoro” disse allora sconfortata Scarpel.
“Grazie del complimento…e non mi chiami tesoro”
Maira si sedette, sbuffando di rabbia e arricciando il naso.
Buttò uno sguardo a Luis Wolf dall’altra parte del tavolo, ma l’uomo rimaneva impassibile, dietro la sua armatura dall’acciaio e Maira prese un bignè alla crema.
I suoi capelli biondo cenere erano ancora bagnati, aveva gli occhi marrone scuro, le orecchie leggermente a sventola, un bel nasino all’insù e delle labbra rosate e sottili; era molto carina, la più bella ragazza della sua età del distretto 7.
Fu allora che entrò Ethan nella sala, a passo deciso e con il suo solito sorrisino sulle labbra.
“Ehi. Ho letto che a Capitol City ci sono ancora quadri dei secoli antichi, avremo la possibilità di vederli?” chiese lui.
“No, mio caro, purtroppo sono tutti nella residenza privata del presidente e nessuno ha accesso ai suoi appartamenti senza il suo permesso” rispose Scarpel “Maira, guarda il tuo compagno com’è ben pettinato e tenuto, dovresti prendere esempio da lui”
“Hai capito, Maira? Prendi esempio da me” le disse allora lui sorridendole.
“Non ci tengo, grazie” replicò secca lei, con gli occhi ridotti a fessure.
Ethan si sedette in parte a lei e iniziò a prendere del formaggio di capra e a spalmarlo sulla fetta biscottata.
“Buongiorno signor Wolf” disse lui al suo mentore, ma l’uomo non batté ciglio. “E’ sempre un piacere parlare con lei”
Maira gli diede una gomitata alla costola, invitandolo a stare zitto.
All’improvviso però l’uomo scrocchiò il collo, prima a destra e poi a sinistra e disse a Maira con una voce severa e grave: “Rilassa quelle spalle, tieni la schiena dritta, non sarai mai rapida e veloce se sei rigida”
I loro occhi si incrociarono e nello sguardo del signore lei rivide i suoi alberi, i boschi dietro le capanne del settore cinque, i suoi boschi, dove tagliava la legna con suo padre e i suoi fratelli; erano di un verde scuro intenso e sembrava che potessero leggere nel pensiero.
Maira si sistemò come le aveva detto Luis, mentre Ethan rideva sotto i baffi e guardava la scena divertito.
“Tu” disse allora il signor Wolf a Ethan “Tu che ti diverti tanto, ti consideri veloce?”
“Sicuramente più veloce di te, vecchio” rispose Ethan con tono di sfida.
“Vieni qui allora”
Ethan si alzò dalla sedia, guardando Maira con le sopracciglia alte e il suo solito sorriso beffardo sul volto, e andò dall’altro lato del tavolo.
“Cosa vuole che faccia?” chiese lui.
“Lo vedi questo tappo? Voglio che tu me lo prenda” rispose il mentore con un tono di voce grave e severo.
“Tutto qui?” chiese Ethan perplesso e divertito.
“Tutto qui. Io poggerò qui il tappo e tu dovrai prenderlo prima di me” rispose l’uomo poggiando il tappo sul tavolo.
Ethan guardò il tappo e si mise a ridere.
“Quando vuoi, puoi prenderlo”
Ci fu un momento di silenzio in cui i due si fissarono negli occhi, poi Ethan allungò la mano per afferrarlo, ma prima che potesse anche solo avvicinarsi, il tappo era già nella mano del mentore.
Il volto di Ethan si fece più cupo e le sopracciglia si aggrottarono.
“Lei ha barato” disse lui puntando il dito.
“Io non baro e ora vattene da questa sala”
“Cosa?”
“Ti voglio fuori di qui entro due secondi o ti caccio fuori io” rispose il signor Wolf con un tono che ora era molto più minaccioso.
“Vorrei vedere…”
L’uomo si alzò di scatto dalla sedia e sovrastò Ethan con la sua incredibile mole.
Il ragazzo allora si voltò e si incamminò a passo veloce verso la sua cabina, sbattendosi la porta alle spalle.
“Era proprio il caso?” chiese Scarpel contrariata.
Luis la guardò e le rispose con freddezza: “Sì”

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