Il fine non giustifica i mezzi di Jiuliet (/viewuser.php?uid=53229)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La decisione di Daisy ***
Capitolo 3: *** é cominciata così... ***
Capitolo 4: *** Jackal Harrison ***
Capitolo 5: *** A volte è più facile confidarsi con gli estranei ***
Capitolo 6: *** L'ultima gara ***
Capitolo 7: *** All'ospedale. ***
Capitolo 8: *** La lite ***
Capitolo 9: *** Incontro ***
Capitolo 10: *** La scelta ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
IL
FINE NON GIUSTIFICA I MEZZI.
Ci si sente soli dalla parte
del bersaglio
E diventi un
appestato quando fai uno sbaglio
(Jovanotti- Fango)
PROLOGO
DICEMBRE
Bo
entrò in casa, dopo una lunga giornata di lavoro.
…..“Casa”…..
Poteva
chiamarla casa quella?
Poteva, un
ragazzo nato e cresciuto in campagna, abituato agli spazi
apparentemente infiniti, sentirsi a casa in un monolocale di
trentacinque metri quadrati nella città di Atlanta, in
Georgia?
Sospirò.
Non gli erano
mai piaciute le grandi città.
Gli sembrava
di soffocare, l’aria era pesante, quasi irrespirabile.
C’era
troppo traffico, troppo rumore, poco spazio e a nessuno importava nulla
dei propri simili (Bhè,
magari quella era una caratteristica che, almeno per il momento, gli
faceva comodo. Non aveva alcun bisogno di qualcuno che gli facesse
delle domande a cui non voleva rispondere!)
“Non
è il caso di lasciarsi andare a ripensamenti né
di farsi prendere dalla nostalgia e da stupidi sentimentalismi
– si
disse –
hai fatto la scelta giusta. Ora è questa la tua vita ed
è meglio che cerchi di ricavarne il massimo”
Si
avvicinò al frigorifero e prese una birra. Sarebbe stata la
sua cena per quella sera; non aveva voglia di cucinare né
tantomeno di uscire.
Voleva solo
dormire e desiderava ardentemente che,almeno per una notte,i terribili
incubi che avevano ricominciato a perseguitarlo non lo tormentassero.
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Capitolo 2 *** La decisione di Daisy ***
1°
capitolo: La
decisione di Daisy
Dicembre
Forse
non sai quel che darei
Perché tu sia felice
Piangi lacrime di aria
Lacrime invisibili
Che solamente gli angeli
san portar via
(Elisa-Una poesia
anche per te)
Hazzard
Daisy osservò lo zio Jesse.
Benché cercasse di non darlo a vedere era preoccupata per
lui.
Non era la sua salute a farla stare in pensiero, quanto piuttosto il
suo umore.
“Io e Melany andiamo in città domani.
Hai bisogno di qualcosa?” gli chiese.
Lo zio, che era seduto sulla sua poltrona preferita, di fronte al
camino acceso, le rivolse un’occhiata amorevole prima di
rispondere “No, tesoro, grazie, ma non mi serve
nulla.”
“Sei sicuro?” insistette lei, cercando di scuoterlo
dal suo torpore e di coinvolgerlo nella conversazione.
“Si” affermò brevemente lui, tornando a
rivolgere la propria attenzione alle fiamme crepitanti.
“Starò via tutto il giorno. Vogliamo fare acquisti
per cui partiremo presto, prima che il caos ed il traffico diventino
insopportabili” spiegò lei, sedendosi sul
bracciolo della sua poltrona e accarezzandogli affettuosamente la
spalla.
“Passa una bella giornata, con la tua amica” disse
lo zio.
Daisy, che aveva voglia di piangere e di gridare con tutto il fiato che
aveva in gola, si limitò ad annuire e rivolgergli un piccolo
sorriso, prima di alzarsi e andare in cucina.
“Zio Jesse dove sei? Dove sei?
Per favore, Signore, ridammi mio zio: brontolone, polemico, testardo, a
volte burbero, ma tenero,sempre indaffarato, affettuoso,
ottimista…
Mi mancano i suoi rimproveri tanto quanto le sue risate…
Perché non può tornare tutto come
prima?” si chiese Daisy mentre ricacciava indietro le lacrime
che le pungevano gli occhi e apparecchiava la tavola per la cena.
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Daisy uscì di casa presto per andare a prendere la sua
amica.
Non le piacevano i mezzi pubblici e, come tutti i Duke, amava guidare
per cui aveva deciso di andare ad Atlanta in macchina.
Sarebbe stato sicuramente più comodo non dover camminare da
una parte all’altra della città ingombre di buste
e pacchi, se lei o Melany avessero fatto degli acquisti, ma poterli
depositare in auto e spostarsi rapidamente da un negozio
all’altro e non dover aspettare l’autobus per
tornare ad Hazzard, una volta finite le loro spese.
“Ci voleva proprio! - esclamò Melany, prendendo
posto accanto a Daisy che l’aspettava fuori casa –
una giornata tutta per noi, è un secolo che non passiamo del
tempo insieme!” Melany Peterson era un’amica di
Daisy dai tempi della scuola. Era una ragazza semplice ed allegra con
capelli chiarissimi, grandi occhi nocciola e una spruzzata di minuscole
efelidi sul naso.
“Già” convenne Daisy, senza aggiungere
nient’altro.
“Hai già qualcosa in mente?”
chiese Melany
“Riguardo cosa?” rispose Daisy
“Pensavo volessi acquistare qualcosa in
particolare….”
“No…nulla, in realtà…Ma sono
contenta di passare una giornata diversa, mi ci vuole un breck e se
dovessi trovare qualcosa di carino non mi dispiacerebbe”
“È dura, eh?” domandò Melany
“Abbastanza. Pensavo che col tempo le cose sarebbero
migliorate….speravo che le cose potessero tornare a
posto…” ammise Daisy, a malincuore
“E non è stato così, vero?”
chiese, ancora, Mel.
“No, affatto”
“Non si è fatto più sentire?”
“Nemmeno una telefonata, Mel. È sparito dalle
nostre vite, da un giorno all’altro. E nessuno ne parla
più…” mormorò Daisy
“Ci conosciamo da quando eravamo bambine, so di poter essere
sincera con te.
Da Luke me l’aspettavo, sai? Davvero pensavi che
avrebbe agito diversamente?
E tuo zio? Dopo tutto quello che è successo…come
si può dargli torto?”
“Hai ragione, ma questo non rende le cose più
semplici…”
Melany osservò l’amica intenta ad scrutare, con
esagerata attenzione, la strada davanti a loro.
Da tempo un velo di malinconia offuscava la luce solitamente brillante
dei suoi occhi ed il suo sorriso vivace.
“Facciamo un patto: oggi dobbiamo pensare solo a
ciò che ci fa stare bene,goderci questa meravigliosa
giornata e divertirci, senza permettere a niente e a nessuno di fare il
contrario, ok?” propose allegramente Melany.
“Ci sto!” rispose Daisy con convinzione.
Sentiva di aver bisogno (e diritto) di un po’ di svago!
Atlanta.
“Non ne posso più, sono sfinita!!!”
esclamò Daisy
“Però ci siamo divertite!”
constatò Melany
“Parecchio!” convenne Daisy.
Le due ragazze erano cariche di pacchi, perché,
contrariamente alle loro previsioni, avevano fatto molti acquisti.
“Oh, no!” esclamò improvvisamente
Melany, alzando gli occhi al cielo
“Che c’è?” chiese Daisy,
preoccupata.
“Ho promesso a James che sarei andata a ritirare per lui dei
francobolli che ha richiesto da tempo ad un negoziante qui in
città. Mi ha chiesto di farlo appena ha saputo che saremmo
venute ad Atlanta…Sai com’è fissato con
i francobolli! Sono la sua passione da quando era piccolo! -
spiegò Melany (James era il suo fratellino e
benché avesse già sedici anni lei, che si era
sempre divertita a fargli da mammina, non sapeva rifiutargli niente!)
– saresti così gentile da accompagnarmi, per
favore? So che volevi tornare a casa, prima che facesse buio, ma James
non mi perdonerà mai se torno a casa senza i suoi amatissimi
quadratini di carta!”
Daisy sorrise all’amica, quindi disse “Ok, ma in
cambio dovrai offrirmi un caffè e, forse, anche una fetta di
torta”.
“Sapevo che eri un’amica. Avrai il tuo
caffè, la torta e tutta la mia riconoscenza. James mi
avrebbe reso la vita impossibile se fossi tornata senza francobollo, ne
sono certa!” rispose Mel, scuotendo la testa, con finta
irritazione.
Daisy sapeva benissimo che Melany e sua sorella Lucy adoravano il
giovane James.
“Conosci l’indirizzo almeno?” le chiese
“Certo, figurati! Mio fratello mi ha dato istruzioni precise
– ribatté Melany, battendo una mano sulla propria
borsa – Ho due biglietti: uno per il negoziante,
perché sa perfettamente che io non capisco nulla di
francobolli, né m’interessa…e uno per
noi con l’indirizzo!”
“Ragazzo previdente! - dichiarò Daisy –
ora sii gentile, leggi l’indirizzo così cominciamo
ad avviarci, altrimenti non torneremo più ad
Hazzard!”
Il negozio a cui si riferiva James si rivelò essere la
polverosa bottega di un rigattiere che però si
dimostrò capace di soddisfare tutte le richieste del ragazzo.
“Ora non hai scampo: mi devi un caffè!”
dichiarò Daisy, appena uscirono.
“Sempre che troviamo un posto adatto – rispose Mel
– non mi sembra che qui intorno ci sia
granchè…”
“Guarda laggiù – ribatté
Daisy – quella è una tavola calda o qualcosa di
simile…. Avranno del caffè, credo”
“Ci sto amica mia. Torta e caffè e possiamo
tornare a casa!” dichiarò Melany.
Entrambe le ragazze sentivano la necessità di riposarsi un
po’ prima di riprendere la strada del rientro,
perché, a parte un veloce panino all’ora di
pranzo, avevano passato l’intera giornata a camminare e fare
acquisti.
“Buongiorno belle signorine, cosa posso portarvi?”
chiese un uomo.
Non doveva avere neppure quarant’anni, ed era decisamente
sovrappeso, ma aveva un viso aperto e simpatico e modi gentili.
“Caffè, per cominciare, e, magari,
torta?” rispose Melany.
“La mia Meg prepara la torta di mele migliore della
città!” dichiarò orgogliosamente lui,
indicando con lo sguardo una donna che trafficava alacremente dietro il
bancone del bar.
“Perfetto!” dichiarò Daisy e poco dopo
due fumanti tazze di caffè e altrettante fette di torta
erano sul loro tavolo.
“Grazie” dissero le ragazze all’unisono e
lui rispose con un sorriso soddisfatto.
Mezz’ora dopo uscirono dal locale decisamente ritemprate.
“Oh, no! Ho dimenticato la busta con i francobolli di James!
– esclamò Mel – torno subito!”
“Ti aspetto in macchina” rispose Daisy, ma prima
che potesse raggiungere l’auto qualcuno attirò la
sua attenzione, facendole sgranare gli occhi.
“Bo! Bo!” gridò ed il ragazzo alto e
biondo si voltò, istintivamente, prima di affrettare il
passo.
Daisy lo rincorse e, raggiuntolo, lo tirò per una manica
della giacca.
“Bo Duke, non provare a sfuggirmi!” gli
ordinò.
Lui si fermò e si voltò.
Lei non disse nulla, ma si buttò tra le sue braccia e lo
strinse forte.
“Che ci fai qui?” gli chiese, un attimo dopo, senza
staccare la braccia dalla vita del ragazzo.
“Daisy, per favore….”
mormorò lui, evitando i suoi occhi.
“Cosa Bo? Cosa?” domandò ancora Daisy.
“Non avresti dovuto venire qui, lo sai…”
ribatté Bo.
“Non sono venuta per te, ma sono felicissima di avresti
ritrovato. Ora devi tornare a casa con me”
dichiarò lei, con decisione.
“No” rispose lui, semplicemente.
“Perché no?” insistette Daisy.
“Non voglio. Non posso.” affermò lui.
“Perché? Orgoglio o solo sciocca testardaggine?
Spiegamelo, perché io non ci arrivo davvero” disse
lei, con veemenza.
“Va’e lasciami vivere la mia vita” disse
Bo, allontanandola bruscamente.
“Questa non è la tua vita e se tu non fossi
così cocciuto lo ammetteresti e torneresti con me alla
fattoria senza battere ciglio. Ti vogliamo bene e ci manchi.”
asserì Daisy.
“Questa è la mia vita. E se è vero che
mi vuoi bene, torna a casa e non parlare con nessuno di questo
incontro” rispose Bo.
I suoi grandi occhi celesti erano offuscati di tristezza, nonostante il
tono duro della voce e l’ostentata indifferenza.
Daisy sospirò, quindi disse “Se è
quello che vuoi lo farò, ma sappi che a casa ti aspettiamo
tutti”
“Non è vero, e lo sai”
ribatté Bo.
“Siete peggio dei muli!” esclamò lei,
quindi si voltò per tornare alla macchina.
“Daisy – la richiamò lui e le
domandò in un sussurro – come sta zio
Jesse?”
“La sua salute è quella di sempre; non sta male,
ma gli manchi. Gli manchi tantissimo” ammise sinceramente lei.
Melany, di ritorno dalla tavola calda, trovò
l’amica che l’aspettava, seduta in macchina.
Aveva gli occhi rossi, come se avesse pianto.
“Cosa è successo? Sembra che tu abbia visto un
fantasma! ” disse, allarmata
“Nulla, non preoccuparti – mentì Daisy
– mi è solo entrato qualcosa negli occhi.
È incredibile quanta polvere ci sia in questa
città!”
“Su, torniamo a casa, allora!” ribatté
Mel e le due ragazze partirono velocemente verso Hazzard.
Sono
umane situazioni
quei
momenti fra di noi
i
distacchi e i ritorni
da
capirci niente poi
(Eros
Ramazzotti - Cose della vita)
Hazzard
Daisy, carica di borse e pacchetti, entrò in casa facendo
attenzione a non inciampare e a non far cadere nulla.
“Ti serve una mano?” le chiese Luke, vedendola in
difficoltà.
“Ho paura di perdere l’equilibrio, se sposti
qualcosa…ma puoi aprirmi la porta della mia
stanza” rispose.
Lui le fece strada e Daisy depositò (miracolosamente senza
fare alcun danno!) ogni cosa sul pavimento, quindi si lasciò
cadere sul letto e si sfilò le scarpe.
“Sono sfinita!” esclamò, in maniera
teatrale.
“Immagino! – ribatté Luke –
voi signore dovete esservi lasciate un po’ trasportare dalla
foga degli acquisti…. Ho sentito dire in giro che lo
shopping fa questo effetto alla maggior parte delle
donne…”
Lei ignorò la benevola presa in giro del cugino e, fattasi
improvvisamente seria, lo guardò in faccia e disse:
“Ho incontrato Bo”
Vide gli occhi di Luke farsi di ghiaccio ed il suo viso diventare
inespressivo.
“La cosa non m’interessa”
dichiarò Luke, con voce atona.
“Non dici sul serio! – lo contraddisse lei, con
veemenza – Non ci credo! Noi tre, tu, io e Bo siamo
come fratelli. Non si dimentica un fratello, Luke, anche se ha
sbagliato, anche se avete litigato! Oh, andiamo: non è la
prima volta che voi due litigate e, credimi, spero con tutto il mio
cuore che non sia nemmeno l’ultima; siete già
arrivati a mettervi le mani addosso….
Io non capisco perché la facciate tanto lunga e come abbiate
potuto alla vostra stupidissima cocciutaggine di arrivare fino a questo
punto! E sai una cosa? Mi domando anche come zio Jesse abbia potuto
permettervelo! Credo sia successo tutto solo perché lui non
stava bene….e non poteva farvi ragionare: è
l’unico al mondo in grado di farvi ritornare in voi, quando
perdete di vista le cose!”
Luke fu investito dal fiume di parole della cugina, ma,
com’era sua abitudine, cercò di mantenere la
calma, almeno apparentemente.
“Non credo sia il caso che venga a parlarmi di zio Jesse,
sai? Anzi ti proibisco di fargli parola di tutta questa storia!
Sta’ bene ora e non voglio assolutamente che gli succeda
qualcosa, sono stato chiaro?” disse, bruscamente.
Daisy si alzò dal letto e, postasi di fronte al cugino,
rispose, senza sforzarsi affatto di mantenere sotto controllo i propri
nervi o il tono della voce:
“Tu cosaaa? Credo di aver capito male….Zio Jesse
sta bene? Ma non lo vedi? Ti
fermi mai a guardarlo? O il rancore ti ha
accecato davvero Luke? Zio Jesse non sta
bene, non starà mai più bene se non riportiamo Bo
a casa. Oh, certo, fisicamente si è ripreso: è un
leone e ci vuole ben altro per metterlo K.O.,
ma….Fa’attenzione ai suoi
occhi….quando, involontariamente, osserva le nostre foto,
qui in casa, o quando è certo che nessuno se ne accorga e
apre la porta della vostra stanza per richiuderla immediatamente, o
ancora quando, a tavola, squadra quel posto
vuoto….. Non te ne
sei accorto o fingi semplicemente di non vedere perché
è più comodo?”
“Non hai il diritto di parlarmi così! Io ho sempre
fatto ciò che dovevo per zio Jesse e per la nostra
famiglia!” ribatté lui, sdegnato.
“Ah, no? Non ne ho il diritto? E chi ce l’ha questo
diritto? Io ti parlo così perché ti voglio bene,
così come ne voglio allo zio Jesse e a Bo…. Noi
siamo una famiglia e una famiglia deve restare unita!”
disse Daisy.
Il tono della sua voce era notevolmente diminuito,mentre pronunciava le
ultime parole.
“Te lo ripeto: non sono io che ho cominciato. Per me
è un discorso chiuso!” affermò Luke,
con decisione.
“Non puoi parlare così…Non è
da te….” obbiettò lei, incredula.
“Perché? Mi conosci abbastanza bene per sapere che
non mento e dico sempre ciò che penso.”
ribadì lui.
“Non stavolta….Tu…tu sei arrabbiato, e
probabilmente hai ragione. E sei ferito, anche se non vuoi
ammetterlo…” replicò Daisy.
“Ciascuno di noi è responsabile delle proprie
azioni, proprio come ci ha sempre insegnato zio Jesse”
affermò Luke.
“Io……Tu…dici che ti conosco,
ma giuro che mi sembra di non conoscerti affatto, non
più…Cosa ti è successo?”
domandò lei, sconcertata.
“Che vuoi dire?” chiese lui, per tutta risposta.
“Te l’ho già detto: noi tre –
io, tu e Bo – siamo come fratelli. Siamo cresciuti insieme e
nessuno ci ha mai diviso. Luke, per me e Bo, sei sempre stato un eroe,
un modello, un esempio…..ma anche il nostro migliore
amico…..eri sempre lì, pronto a tenderci la mano
quando ne avevamo bisogno, ad abbracciarci e confortarci quando eravamo
spaventati, a proteggerci…ci sei sempre stato, anche quando
eri in guerra riuscivamo a sentirti vicino… Cosa
è successo ora? Dove sei?” disse Daisy.
“Le cose cambiano, è la vita. Anche noi siamo
cresciuti e cambiati. Ma sappi che io per te ci sarò sempre.
Potrai sempre contare su di me” dichiarò lui,
pacatamente.
“Certe cose non cambiano mai, non devono
cambiare….Non pensi a zio Jesse?” chiese
lei.
“Sai bene che farei qualsiasi cosa per lui” rispose
Luke, ed era sincero, perché amava suo zio come un padre e
non c’era niente al mondo che non avrebbe fatto per lui.
“E Bo? Su chi potrà contare?”
domandò ancora Daisy, senza curarsi di trattenere le lacrime
che, oramai, scendevano copiose sul suo viso.
“Ti si sciupa il trucco, Daisy” mormorò
Luke, cercando evidentemente di cambiare argomento ed eludere la
domanda, ma lei insistette e ripeté : “Luke: su
chi potrà contare Bo?”
“Non lo so e non credo mi riguardi. Non sono stato io ad
andar via e a chiudermi tutto alle spalle” disse Luke, prima
di lasciare la stanza.
Daisy rimase sola a domandarsi che fine avesse fatto la famiglia Duke,
quella in cui era cresciuta, che amava e che avrebbe difeso con le
unghie e con i denti, se necessario.
“Ok – pensò – ho davanti a me
tre uomini in gamba che si comportano come bambini. Che faccio? Me ne
sto qui con le mani in mano a piangere come una sciocca? E no!
Daisy Duke: discendi da una stirpe di donne determinate e tenaci; dai
tempi dei pionieri le donne Duke sono state accanto ai loro uomini
nella buona e nella cattiva sorte!
Sei stata allevata dalla zia Martha che, Dio la benedica, era una
forza della natura: non puoi tirarti indietro!”
Così Daisy decise di dare una mano al destino.
Grazie a tutti coloro che oltre al prologo leggeranno anche questo
primo capitolo.
Un ringraziamento speciale a chi mi ha lasciato una graditissima
recensione: Thia, Lella, Lu e Marzia.
Ragazze spero che questo capitolo stimoli ancor più la
vostra curiosità (per lo meno il mio intento sarebbe
questo...) e che continuerete a seguire la fic.
Vi prometto che dal prossimo cap le cose comiceranno a chiarirsi!
A presto, Jiuliet.
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Capitolo 3 *** é cominciata così... ***
2°
Capitolo: È cominciata
così…
You're
still young, that's your fault
There's
so much you have to know
[Sei
ancora giovane, questa è la tua colpa
Hai
ancora molte cose da conoscere]
(Cat
Stevens - Father and son)
SETTEMBRE
“Sei sicuro di non voler venire?” chiese Bo a Luke.
“Si. Questo raffreddore non mi dà tregua. Non
sarei comunque una buona compagnia…” rispose Luke
sollevando gli occhi dalla rivista che, fino a quel momento, aveva
catturato tutta la sua attenzione.
Aveva preso un raffreddore estivo, uno di quegli sciocchi malanni a cui
nessuno dà importanza, l’aveva trascurato e si era
trasformato in una sorta di infreddatura.
Niente di grave, certo, ma naso chiuso, mal di testa e stanchezza non
fanno piacere e sicuramente non mettono addosso né allegria
né voglia di uscire a divertirsi.
Luke preferiva di gran lunga trascorrere la serata a casa, in compagnia
di zio Jesse e di qualcosa da leggere.
Bo sorrise, perché era strano vedere Luke malato, capitava
davvero raramente, ma accettò di buon grado il suo rifiuto,
prese le chiavi del Generale e si avviò verso la porta.
“Mi raccomando non fare troppo tardi” gli
raccomandò lo zio Jesse.
Non gli piaceva Bo
andasse in giro da solo.
Quel ragazzo era
temerario sino all’imprudenza e spericolato fin
quasi all’incoscienza.
Non che con Luke al suo
fianco scansassero le grane, anzi!
Quei due erano finiti in
ogni genere di pasticci! Pareva che l’unica cosa che
riuscisse a correre veloce quanto loro sul loro amato Generale (se non
di più!) fossero i guai!
Già: Luke, Bo
e i guai arrivavano sempre pari al traguardo!
Jesse non riusciva
nemmeno a ricordare quante volte aveva dovuto tirarli fuori dai
problemi.. o dalla prigione!!!
Fortunatamente, un
po’ per la loro buona sorte, un po’
perché non sempre erano colpevoli di ciò di cui
venivano accusati, nella maggior parte dei casi riuscivano a cavarsela
(anche se, alcune volte, proprio per il rotto della cuffia!).
Che fossero insieme era
una cosa che, senza un motivo apparente o plausibile, rassicurava lo
zio, convinto che “l’unione fa la forza”,
che “due Duke sono sempre meglio di uno solo” e che
se fosse successo qualcosa, per lo meno, ciascuno di loro avrebbe
potuto contare sull’altro.
“Non preoccuparti non farò
tardi….almeno credo” rispose Bo, strizzando
l’occhio allo zio.
“Finiscila, con me non attacca! Non sono una delle tue
ragazze!” borbottò zio Jesse.
“No, hai ragione, ma sei il mio zio preferito!”
ribatté ancora il ragazzo.
“Sono l’unico”
“Zio Jesse: se non ti conoscessi penserei che sei
permaloso!” esclamò Bo, sorridendo.
Jesse scosse la testa, riconoscendo l’ilarità
nella voce del nipote, e ricambiò il sorriso, ma non rispose.
Dopotutto, anche se era il più giovane della famiglia, Bo
aveva ventun anni, era abbastanza grande per cavarsela da solo e quella
non era certo la prima volta che usciva senza Luke né
sarebbe stata l’ultima!
___________________________________________________________________________
Bo entrò al Boar’s nest con un sorriso di trionfo
dipinto sul viso.
Aveva seminato Enos e Rosco che, mentre tentavano
d’inseguirlo, erano finiti l’uno contro
l’altro, producendo parecchie ammaccature alle auto e
all’orgoglio.
Gli dispiaceva per loro e per le macchine, ma non poteva negare a se
stesso che lasciarsi indietro quei due, ogni volta che provavano a
rincorrerlo, era uno dei suoi più grandi divertimenti.
“Ciao cugino. Hai l’aria piuttosto
soddisfatta”
Bo si voltò e vide Daisy che gli offriva una birra
“Ciao cugina…Ho lasciato Enos e Rosco che
litigavano su chi dei due si fosse fatto scappare l’occasione
di acchiapparmi” rispose Bo, accettando la birra.
“E di chi era la colpa?” chiese lei, incuriosita.
“Di entrambi, ovviamente. No, anzi, poveretti, di nessuno. Il
Generale è imbattibile, lo sai: quei due non possono nemmeno
sperare di avvicinarlo!” ribatté lui, allegramente.
“Bo Duke, sei incorreggibile!” dichiarò
Daisy, divertita.
Conosceva suo cugino e sapeva che ad Hazzard non c’era
nessuno in grado di eguagliarlo, tranne Luke, ma non avevano mai
gareggiato l’uno contro l’altro e Daisy era certa
che non l’avrebbero mai fatto perché
c’era troppa complicità tra di loro:
Bo aveva una macchina spettacolare (a cui lui e Luke avevano dedicato
tantissime energie), coraggio, talento e una buona dose di
incoscienza.
Tutti i Duke amavano i motori e la velocità, Daisy compresa,
per cui non poteva biasimare il giovane cugino.
“Come sta Luke?” chiese, cambiando discorso.
“Meglio credo. Quando sono uscito stava
leggendo…” rispose Bo.
“È strano vedere Luke che sta
male…” dichiarò Daisy,
pensosa.
“Già, ho pensato la stessa cosa
oggi…” concordò Bo.
“Questo dimostra che il nostro caro cugino non è
indistruttibile….contrariamente a ciò che
pensa” ribatté Daisy, affrettandosi ad aggiungere
“ Torno al mio lavoro o Boss mi licenzia! A dopo”
“A dopo” ripeté Bo.
________________________________________________________________________________________
Mentre i cugini Duke chiacchieravano tranquillamente due tipi
dall’aria tutt’altro che raccomandabile erano
seduti in un tavolo piuttosto defilato al Boar’s nest e
discorrevano tra loro, sottovoce.
“L’hai sentito no?”
“L’ho sentito, non sono sordo!”
“E allora?”
“Allora cosa? Il fatto che uno sbarbatello si vanti di essere
il miglior pilota di questo paese dimenticato da Dio non significa
assolutamente nulla”
Uno dei due, magro e dall’aria infida, si agitò
nervosamente sulla sedia prima di rispondere.
“Non mi sembra che abbiamo molta scelta. Sai bene che Mr.
Roger si aspetta che troviamo un concorrente per Roy….e
fin’ora non abbiamo avuto fortuna. Non possiamo tornare a
mani vuote senza nemmeno provarci!” disse
L’altro, robusto e con l’aria di uno che
è più abituato a tirare cazzotti che a parlare,
emise una specie di grugnito che venne evidentemente interpretato come
un si,
perchè lo smilzo si alzò e andò a
sedersi accanto a Bo, al bancone del bar.
“Ehi – gli disse – ho sentito che ti
piace correre”
Bo lo guardò, sorpreso, per un attimo, ma
continuò a bere la propria birra.
“Sto parlando con te!” insistette l’uomo,
quindi Bo si voltò verso di lui e rispose:
“Dalle mie parti si saluta e ci si presenta, quando si vuole
parlare con qualcuno”
L’uomo gli rivolse uno sguardo truce, ma ribatté
semplicemente:
“Ti va di scherzare, vero? Bhè, come vuoi. Io,
comunque, sono Al Emerson e ho sentito che al volante te la
cavi”
“Io mi chiamo Bo Duke e si: diciamo che in macchina me la
cavo”
“Ho una proposta da farti” dichiarò Al,
abbassando il tono di voce.
“Dimmi ”
“Non qui. Andiamo fuori ed il mio amico ed io –
disse Al, indicando il suo compagno che era ancora seduto al tavolo
– ti spiegheremo di che si tratta”
Bo era sospettoso, quel tipo non gli ispirava alcuna fiducia, ma non
era mai riuscito a resistere all’allusione, sia pure
indiretta, ad una corsa in macchina, quindi lo seguì, senza
fare altre domande.
“I giri di parole non mi piacciono, quindi andrò
dritto al punto,d’accordo? – disse Al, appena
raggiunsero l’esterno del locale - È abbastanza
semplice da capire: il nostro capo Mr. Roger – Jackal -
Harrison cerca qualcuno in grado di sfidare Roy Holmes in una gara.
Puoi provarci, ma ovviamente prima dei dimostrarci di saper guidare. Il
mio amico Rolf, qui presente, sarà felice di fare una
corsetta contro di te sempre se te la senti….”
Bo stava per rispondere che non temeva nessuno, ma il suo buonsenso
prevalse e rispose
“È giusto che anch’io vada dritto al
sodo: è una corsa clandestina, giusto? Allora non se ne fa
niente.”
“Nemmeno mezz’ora fa ti abbiamo sentito vantarti
con la cameriera di aver seminato lo sceriffo ed il suo
vice……Non pensavo avessi paura di
loro…O forse hai paura di noi? Meglio saperlo prima,
comunque. Non abbiamo tempo da sprecare con i ragazzini: torna pure
dalla mamma!” rispose Al, sferzante.
Bo strinse i pugni ed ammise, a denti stretti:
“Sono in libertà vigilata. Se mi beccano mi
mandano in galera con un biglietto di sola andata”
Rolf gli rivolse quello che, assurdamente, sembrava uno sguardo di
rispetto, quindi chiese “Cos’hai
combinato?”
Quel ragazzo non aveva l’aria di un criminale.
“Whiscky. Io e mio cugino siamo stati beccati a fare
contrabbando e mio zio ha stipulato un patto col
Governo” spiegò Bo.
“Nessuno ti prenderà, su questo puoi stare
tranquillo. Mr. Jackal non ha nessuna intenzione di finire dentro, e
nemmeno noi altri, se è per questo. Vogliamo solo fare un
po’ di quattrini e divertirci. Mi sei simpatico, quindi ti do
ventiquattro ore di tempo per rispondermi, ok? Ci vediamo qui domani
alla stessa ora. Sappi che la tua percentuale, in caso di vincita,
sarebbe di tremila dollari” affermò Al
Bo scosse la testa
“Non credo ci ripenserò, comunque” disse
Tremila dollari erano una cifra enorme,
ma aveva la netta sensazione che il gioco non valesse la candela.
“Noi ci saremo” dichiarò Al, quindi lui
e Rolf tornarono dentro e Bo si diresse verso il Generale.
______________________________________________
Alla fattoria Bo trovò solo lo zio Jesse che, seduto in
cucina, consultava delle carte.
“Sei tornato presto…” gli disse
“Ti avevo promesso di non fare tardi” rispose Bo,
sinceramente.
“Già” ammise lo zio.
Per un momento Bo fu tentato di raccontargli lo strano incontro che
aveva fatto al Boar’s nest perché era estroverso,
quindi non riusciva a tenersi le cose dentro e perché era
giovane e spesso sentiva ancora il bisogno di un consiglio o di un
po’ di conforto,
ma l’espressione preoccupata sul viso dello zio lo convinse
che sarebbe stato meglio tacere
“C’è qualcosa che non va?” gli
chiese, invece.
“Non più del solito, perché?”
ribatté lo zio, contemplando con uno sguardo orgoglioso il
nipote.
“Mi sembri
preoccupato…e…sì…non mi
sembra giusto che…se ci sono dei
problemi… li affronti da solo…..Noi siamo adulti,
ormai….” Spiegò Bo, ingarbugliandosi un
po’ con le parole.
“Lo so. So di poter contare su di voi, in caso di bisogno
– dichiarò zio Jesse, posando una mano su quella
del ragazzo – ma non c’è nulla di
diverso dal solito, davvero. Quella canaglia di J.D. Hogg ha aumentato
l’ipoteca e la vuole in anticipo, ma
troverò, come sempre, il modo di farcela. Non preoccuparti:
la fattoria sarà sempre la nostra casa e, finché
avrò vita, non permetterò a nessuno di portarmela
via!”
“Può farlo?” domandò Bo,
ansioso.
“Può farlo,sì, ma ora va’ a
letto. Domani dobbiamo alzarci presto…”
dichiarò lo zio.
“Buonanotte”
“Buonanotte figliolo”
Jesse guardò il nipote lasciare la cucina.
“Ce la
farò anche stavolta – pensò – come sempre. Ho tre
splendidi nipoti al mio fianco. Insieme possiamo conquistare il
mondo”
E quella riflessione gli diede la speranza che, in un primo momento,
sembrava quasi sul punto di perdere.
Bo entrò nella propria stanza e si accorse immediatamente
che suo cugino dormiva.
Si spogliò e si stese sul proprio letto cercando di fare il
minor rumore possibile, per non disturbarlo.
Luke riposava, tranquillo nonostante il raffreddore, almeno
all’apparenza, ma Bo non riusciva a prendere sonno.
Sentiva troppe parole rimbombargli in testa.
“…Quella
canaglia di J.D. Hogg ha aumentato l’ipoteca e la
vuole in anticipo……
…Nessuno ti
beccherà, su questo puoi stare
tranquillo……
…Ho sentito
che al volante te la cavi…...sfidare Holmes, in una
gara…
…La tua
percentuale, in caso di vincita, sarebbe di tremila dollari…
…So di poter
contare su di voi, in caso di bisogno….”
La voce di zio Jesse si mescolava confusamente a quella di Al Emerson e
alle sue riflessioni
“Non pensarci
nemmeno! Anche ammesso che vinca se zio Jesse venisse a sapere da dove
provengono i soldi non li accetterebbe mai!
Bhè…Potrei evitare di farglielo
sapere…In fondo lo faccio per la fattoria…Lui ha
fatto tanto per noi…Per una volta potrei fare qualcosa io,
alleggerirgli il carico……Non è una
cosa di cui andare fiero, ma......il fine giustifica i mezzi,
no?......Bisogna che tenga questa cosa per me,
però…Non voglio che Luke rischi la sua
libertà condizionata e sono fin troppo sicuro che se
scoprisse qualcosa cercherebbe
d’impedirmelo…”
Così, durante la notte, e senz’altro stimolato
dalla sua impulsività, Bo, quasi inconsciamente prese la
propria decisione.
Ok: il secondo capitolo
è finito.
Grazie a chiunque ha letto la mia storia fino ad ora, spero che vi stia
piacendo e continuerete a seguirla.
Grazie alle mie care "recensitrici" (si può dire
"recensitrice" in Italiano o mi sono inventata un nuovo termine?):
Lella, Thia, Lu; Marzia e i1976.
Spero che questo capitolo abbia soddisfatto, almeno in parte, la vostra
curiosità...
Non vi ho fatto aspettare troppo, vero?
A presto, allora....
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Capitolo 4 *** Jackal Harrison ***
3°
capitolo: Jackal
Harrison.
Io
non voglio alibi, scuse da perdenti.
Io
non voglio essere quello che non sono.
C'è
un'aquila in me
che
grida libertà,
(G.
Panceri – Il nido)
“Esci anche oggi?” chiese Luke , vedendo Bo che
prendeva le chiavi della macchina.
“Si. Vuoi venire?”
“No. Credo stia meglio stare a casa. Alla fattoria
c’è bisogno di tutte le braccia disponibili. Non
voglio rischiare una ricaduta proprio ora che sto decisamente
meglio”
“E bravo il mio saggio cugino! Vorrà dire che
porterò i tuoi saluti a Loraine Gray, casomai dovessi
vederla in giro…”
Le parole di Bo erano accompagnate da un sorriso sbarazzino.
“Non ci provare, cugino. Anzi fammi un grosso favore se
davvero vedi Loraine, ok? Un piccolo ciao-ciao con la mano
sarà più che sufficiente.” Rispose
vivacemente Luke.
“E privarla della mia compagnia?” chiese ancora Bo,
falsamente sorpreso e inquieto.
“Vedrai che Loraine continuerà a respirare,
nonostante la grave perdita”
“Lo spero, altrimenti l’avrai sulla
coscienza!” ribatté Bo con ilarità.
Luke scosse la testa, ma il suo volto esprimeva serenità e
divertimento.
Nessuno dei due aveva mai fatto il galletto con la ragazzo
dell’altro, nonostante gli scherzi e le battute.
Bo salì sul Generale e raggiunse in breve il
Boar’s nest.
“Strano che
né Enos né Rosco fossero nei
paraggi…Solitamente non hanno nulla di meglio da fare che
seguire me e Luke…quando non sono impegnati a truffare la
città…” pensò,
entrando nel locale.
Vide immediatamente Al e Rolf seduti allo stesso tavolo della sera
prima.
“Ok. Ho preso
la mia decisone. È inutile tergiversare. Quei due non mi
piacciono, questo è certo, ma non devono diventare i miei
migliori amici. Mi basta che mantengano i patti”
pensò e le parole “migliori amici”
lo riportarono immediatamente a Luke.
Era assolutamente certo che se suo cugino avesse scoperto
qualcosa avrebbe usato ogni mezzo a sua disposizione per impedirglielo,
forse avrebbe anche provato a chiuderlo nel granaio o nella loro
stanza, come faceva quando erano più giovani.
“Ehi amico, devo dedurre che ci hai ripensato” lo
apostrofò Al , non appena Bo arrivò al loro
tavolo.
“Buonasera anche a voi” rispose lui.
La parola amico
sulle labbra di quel tipo gli provocarono un fastidiosissimo brivido
d’irritazione lungo la spina dorsale, ma era deciso a non
farsi coinvolgere da quei due e a mantenere la calma ed il sangue
freddo.
“Siediti con noi, beviamo una birra per brindare
all’accordo” propose Rolf
Bo prese posto accanto a loro e Al ordinò un’altra
birra per lui.
Daisy, arrivata al loro tavolo per servire da bere,
indirizzò al cugino un’occhiata alquanto stupita,
vedendolo seduto accanto a quei due, ma si astenne, saggiamente, dal
fare commenti.
“La conosci?” chiese Al
“È mia cugina” rispose Bo
La loquacità ed il buonumore che lo contraddistinguevano
abitualmente, parevano abbandonarlo nel momento stesso in cui vedeva
quei brutti ceffi.
“Carina! Carina davvero” borbottò Al
“Senti. Te lo dico una volta e non lo ripeterò
più: lascia
in pace mia cugina! Non parlarle, non guardarla, dimentica
che esiste. Voglio che
la mia famiglia, tutta
la mia famiglia, stia fuori da questa storia.
Non devono sapere nulla.
Questa è la mia condizione per accettare la vostra
proposta” affermò Bo con decisione.
Rolf guardò il suo compagno che assentì, quindi
dichiarò, a nome di entrambi:
“Affare fatto”
“Naturalmente resta il fatto che dovrai dimostrarci di saper
correre, prima che ti portiamo da Jackal. Al capo non piace perdere
tempo” aggiunse Al
“Non c’è alcun problema. Io so
correre” rispose Bo, tranquillamente, prima di iniziare a
bere la propria birra.
Daisy osservò da lontano il cugino seduto allo stesso tavolo
di due loschi tipi che, da qualche giorno, frequentavano assiduamente
il Boar’s nest.
Non la stupiva vedere persone del genere perché Boss Hogg
era disposto a fare affari con chiunque gli facesse
guadagnare qualcosa e il suo locale era aperto a tutti
purché avessero i soldi per pagare.
La sorprendeva, invece, vedere Bo in loro compagnia, perché
i suoi cugini ne avevano combinate di tutti i colori sin da quando
erano bambini, ma, solitamente, non frequentavano gente di quel tipo.
“Non so
perché, ma non mi piacciono – pensò – non hanno
l’aria di essere persone per bene. Oh, certo non ho alcun
motivo di dubitare di loro, perché hanno sempre pagato le
loro consumazioni e non mi hanno mai mancato di rispetto, ma ho una
strana sensazione. Il mio sesto senso mi dice che nascondono qualcosa e
che non è niente di buono. Speriamo solo che Bo non si cacci
in qualche guaio!”
Sapeva benissimo che se avesse parlato col cugino lui le avrebbe
risposto che le sue erano solo sciocche paure femminile e che in ogni
caso lui era abbastanza grande per badare a se stesso.
“Il guaio
è che è tutto vero! – considerò
Daisy – le mie
sono paure femminili, non sciocche, ma solo dettate
dall’intuito che in noi donne è innegabilmente
molto più sviluppato e più sensibile che negli
uomini che spesso sono ottusi e non riescono a vedere oltre il proprio
naso!
Ed è vero,
ahimè, che Bo è grande ed in grado di cavarsela
senza che qualcuno si occupi di lui, ma che ci posso fare se non riesco
a stare tranquilla?Quei due si sono cacciati nei guai talmente tante
volte che, ormai, è quasi un’abitudine!
Per me sono dei veri e
propri fratelli, come faccio a non preoccuparmi?
Ora poi, con la
libertà vigilata e quel delinquente di Boss che cerca in
ogni modo di fregarli…No, non se ne parla proprio!!!
Del resto loro fanno lo
stesso con me………E nessuno
può dire che è perché io sono una
ragazza, perché sono loro che finiscono
continuamente nei pasticci , non io!”
Cresciuta dallo zio Jesse ed insieme ai cugini Daisy non era mai stata
come la maggior parte delle altre ragazze. Aveva un animo romantico,
era più femminile, generosa, dolce e affascinante di molte
ma aveva grinta da vendere, era competitiva, cavalcava e guidava meglio
di tanti uomini e, all’occorrenza,era in grado di sparare
bene quanto loro, se non meglio!
Non si aveva mai permesso che la lasciassero indietro perché
era una donna, né mai l’avrebbe fatto!
Bo, poi, era il suo cuginetto, ed anche ora che era alto un metro e
ottanta ed era un uomo fatto, non riusciva a smettere di
pensare che il suo compito era prendersi cura di lui!
Del resto lo zio Jesse li aveva cresciuti così: tutti per uno ed uno per tutti,
esattamente come i tre moschettieri!
Daisy sorrise, tra sé, a quel pensiero e decise che avrebbe
tenuto d’occhio la situazione da lontano, senza farne parola
con nessuno, neppure con Bo, almeno per il momento.
Poteva anche sbagliarsi, in fondo era solo una supposizione, non la
verità rivelata!
“Bene , quando volete io sono pronto” disse Bo ad
Al e Rolf che sembravano più interessati a tracannare birra
e ad occuparsi delle donne di Hazzard che alla gara.
“Ok. Dovrebbe essere già buio, quindi possiamo
andare. Come ti ho già spiegato ieri nessuno di noi vuole
correre rischi inutili” ribadì Al.
A Bo sembrava il classico tipo che fa il prepotente con i
più deboli, che agli estranei vuole dimostrare di essere
potente, ma che con i più forti è sempre servile
ed ossequioso; uno che cambia posizione come cambia il vento, a seconda
del proprio tornaconto personale. Ed improvvisamente, ed
inspiegabilmente, Al gli fece un po’ pena, perché
uno così doveva essere proprio un piccolo uomo….
“Ok. Tu conosci i dintorni senz’altro meglio di
noi. Abbiamo bisogno di un posto sicuro in cui fare una piccola corsa,
niente d’impegnativo, una cosetta tra
noi…” borbottò Rolf, non appena fuori.
Bo si soffermò a pensare qualche secondo, poi disse:
“Ci sarebbe la vecchia statale ventisei. Orami non ci passa
più nessuno…c’è qualche
curva, però, che se non la si conosce potrebbe creare
qualche problema…Ma se ve la sentite…”
“Ok. Facci strada” ribatté Rolf.
In macchina, da solo, Bo cominciò a mormorare qualcosa. Non
era impazzito, non parlava da solo: si rivolgeva al mitico Generale che
considerava molto più di una semplice, banale auto.
“Su, amico, so che non sei abituato a queste cose, ma in
fondo è una corsa come le altre! Non puoi tradirmi! Lo
facciamo per lo zio Jesse, per la fattoria, e ho bisogno di te. So che
sei il migliore: io e Luke abbiamo controllato ogni tuo bullone
!”
Ancora Luke nei suoi pensieri!
Per quanto facesse non riusciva a tener fuori il cugino.
“Come potrei
riuscirci? – si chiese – Non ce la farei, Luke
è in tutti i ricordi della mia vita”
E gli tornarono in mente le ore impiegate per il Generale…..
Il Generale che era nato, prima ancora che ciascuno dei due avesse
l’età per guidare, nei loro sogni di bambini, nei
disegni e nei progetti di cui parlavano per ore.
Il Generale Lee chiamato così in onore ai racconti di fiero
orgoglio sudista che lo zio Jesse faceva loro quando erano ancora
troppo piccoli per comprendere.
E quando, finalmente, l’avevano trovata, quando ancora era
solo una Dodge Charger del ’69, avevano speso tutti i loro
soldi per farla diventare quello che era: ogni pezzo montato con cura,
fino alla saldatura delle portiere (tipico particolare da gare Nascar,
che però costringeva chiunque volesse salire a passare dai
finestrini) e alle rifiniture (bandiere, numeri e tutto quanto!) sulla
carrozzeria arancione.
Già, il Generale Lee che non aveva eguali nella contea di
Hazzard!
Bo faceva affidamento sulla macchina quasi quanto su se stesso.
La corsa, in effetti, si rivelò piuttosto semplice. Non ci
volle un grosso impegno perché Bo e il Generale seminassero
Rolf e Al.
“Ok. Domani possiamo andare da Jackal così ti
farà sapere quando e dove avverrà la
gara” dichiarò Al, quando scesero scesero dalle
rispettive auto.
“Domani? - chiese Bo – Non possiamo
andarci oggi stesso?”
“Come mai hai tanta fretta?” chiese Rolf
“Perché mi hanno insegnato che non ha senso
rimandare a domani quello che si può fare oggi e
perché non capisco perché non possiamo andare ora
dal vostro capo” rispose prontamente Bo.
Al e Rolf si guardarono dubbiosi, quindi quest’ultimo disse
“A Mr. Jackal non piacciono le sorprese….eravamo
d’accordo che saremmo arrivati domani…”
“Oh, andiamo, non stiamo uccidendo
nessuno…” insistette Bo.
Cominciava a diventare realmente impaziente e, nella sua incoscienza,
era anche un po’ curioso di vedere in faccia il fantomatico
Mr. Roger – Jackal – Harrison di cui Rolf ed Al
parlavano in continuazione.
“Lascia qui la tua macchina, darebbe troppo
nell’occhio e vieni con noi” dichiarò Al.
Bo non avrebbe voluto separarsi dal Generale, ma capì
immediatamente che i due non sarebbero scesi a patti quindi li
seguì sulla loro auto.
La sensazione di fastidio e disgusto che aveva provato, sin dal primo
incontro, nei confronti di quei loschi individui non accennava a
diminuire.
“Fattela
passare! – ordinò Bo a se stesso
– Non puoi
tornare sui tuoi passi! Sei un uomo, non un bambino piagnucoloso! Hai
preso la tua decisone. Non è facile? Non hai mai pensato che
lo fosse, ma devi comunque andare fino in fondo, per il bene di zio
Jesse e della fattoria!”
Impiegarono ben poco tempo ad arrivare. Rolf era un discreto autista e
il posto non era lontano.
Non appena si trovò di fronte a Mr. Roger Harrison Bo ebbe
la netta sensazione che se anche l’avesse visto per strada,
tra centinaia di persone, avrebbe capito immediatamente di trovarsi di
fronte ad un delinquente.
Jackal era un uomo di media altezza, con i capelli, legati in uno
striminzito codino, più grigi che neri, un viso affilato,
quasi emaciato, pallido, con occhi piccoli, furbi e freddi, naso lungo
e bocca stretta.
Il suo volto aveva un’espressione dura e furba.
“Tu devi essere Bo Duke – disse - io sono Jackal
Harrison”
Bo strinse la mano che gli porgeva; aveva una stretta ferma e vigorosa.
“Si, sono io” rispose brevemente.
“Al e Rolf mi hanno parlato di te. Dicono che ci sai fare, al
volante, e non sono gli unici a quanto pare….”
“Come fa a saperlo?” chiese Bo, curioso e deciso a
non farsi intimidire da quel tipo.
“Non penserai che scommetta sul primo arrivato!? Mi sono
informato… - spiegò Harrison, quindi aggiunse
– Al e Rolf ti hanno già spiegato di che si
tratta, no? Una gara con un tale, Roy Holmes. Se vinci, e naturalmente devi vincere
perché io non ho intenzione di rimetterci dei soldi,
la tua percentuale sarà di tremila dollari: prendere o
lasciare!”
“Ci sto” dichiarò velocemente Bo, prima
i ripensarci e suggellarono l’accordo con una stretta di
mano, prima che Rolf lo riportasse indietro.
Era stata una faccenda un po’ troppo rapida, ma a Bo andava
bene.
Non voleva soffermarsi a riflettere, perché, in cuor suo,
sapeva che ci avesse pensato su si sarebbe reso conto che si stava
cacciando nel guaio peggiore della sua giovane vita, che se qualcosa
fosse andato storto sarebbe stato come cadere da un elicottero senza
paracadute.
Andrà tutto
bene: ho corso migliaia di volte e ho sempre vinto. Perché
stavolta dovrebbe essere diverso?.......
I
miei ringraziamenti vanno come sempre a chi legge e, in particvolare, a
chi lascia puntulamente una recensione.
Spero
vi piaccia anche questo capitolo.
|
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Capitolo 5 *** A volte è più facile confidarsi con gli estranei ***
4: A volte
è più facile parlare con gli estranei .
Dimentica
quello che è stato comunque non ritornerà
dimentica
le mie parole se puoi perdonaci
non
sempre c’è un lieto fine
(Raf
– Dimentica)
Dicembre
Hazzard.
“Buongiorno zio Jesse! Come va stamattina?” chiese
Daisy.
Lo zio la guardò e pensò che, con indosso quella
morbida vestaglia rosa, la sua adorata nipote somigliava
incredibilmente alla bambina che era stata.
“Bene tesoro. Luke è già fuori, ma non
c’è molto da fare, in questo periodo
dell’anno, lo sai…” rispose lui.
La ragazza si versò una tazza di caffè caldo.
Benché il clima, lì al Sud, non fosse
eccessivamente rigido i tepori dell’autunno ed il caldo
dell’estate, in Dicembre apparivano solo un ricordo, pallido
come il sole che , quella mattina, faceva timidamente capolino dietro
le nuvole.
“Io torno ad Atlanta questo pomeriggio… Devo
cambiare delle scarpe che ho comprato…”
raccontò allo zio.
Non poteva né voleva raccontargli il vero scopo del suo
viaggio.
Era stata in città pochi giorni prima, a fare shopping con
Melany per cui la scusa delle scarpe le sembrava plausibile.
Odiava mentire, in particolare allo zio Jesse, ma stavolta preferiva
non metterlo al corrente dei propri progetti.
“Cosa potrei
dirgli, del resto? – pensò
– Che ho
visto Bo e voglio provare a riportarlo a casa? Già, ma a che
pro se io per prima non credo di riuscire a riportarlo
qui….non oggi almeno, visto che non so nemmeno se
riuscirò ad incontrarlo. Una cosa però
è certa: dovessi setacciare tutta quanta Atlanta non me lo
lascerò sfuggire, questo è poco ma è
sicuro! E una volta che sarò riuscita a farmi ascoltare da
Bo farò la stessa cosa con Luke. Se non riescono a trovare
da soli un punto
d’incontro…bhè…basterà
dar loro una mano, no?!”
___________________________________________________________________________________
Atlanta.
Daisy aveva preferito recarsi ad Atlanta da sola.
Non desiderava raccontare a nessuno ciò che aveva intenzione
di fare ed era certa che , se fosse stata sola, avrebbe avuto maggiori
probabilità di farsi ascoltare da Bo.
“In fondo
anch’io devo farti le mie scuse, cugino, e non so nemmeno se
le accetterai, anche se spero con tutto il cuore che lo
farai……Ho capito di aver sbagliato e anche tu
devi capire che non è tropo tardi e che agli errori si
può sempre rimediare….Tutti noi ci siamo
comportati male, ma siamo una famiglia ed io sono sinceramente convinta
che possiamo superare
anche questo se stiamo uniti.” Rifletté
.
Aveva parcheggiato la macchina di fronte alla tavola calda in cui si
era fermata con Melany, sperando di riuscire ad incontrare il cugino,
ed era lì già da quasi due ore.
Quando stava per perdere definitivamente la pazienza fece,
spontaneamente, quello che lo zio Jesse aveva sempre suggerito ai suoi
nipoti, cominciò a pregare, e la sua voce non era che un
sussurro
“Ho bisogno
del tuo aiuto Signore, sul serio. Non so che fare. Qui non siamo ad
Hazzard, cercare Bo in una città come questa è
come cercare un ago in un pagliaio. Aiutami a trovarlo, per favore!!!
E, magari, a farlo ragionare….Solo Tu sai quanto possano
essere testardi gli uomini Duke……Da sola non so
se ce la faccio…..”
Bo Duke stava tornando a casa a piedi dopo un’intensa
giornata trascorsa a lavorare sodo.
Aveva imparato in fretta ad apprezzare quelle frenetiche giornate,
tanto diverse dalla vita a cui era abituato, perché gli
permettevano di concentrarsi sul lavoro e di ignorare i propri problemi.
Già i suoi tormenti lo perseguitavano solo nel sonno,
ormai…
Ma cercava di scacciare ogni accenno sia pur vago appena si affacciava
nella sua mente.
Faceva piuttosto freddo, ma lui sembrava non farci caso.
Camminava speditamente, le mani in tasca e la testa alta.
Non appena vide il ragazzo biondo dall’altra parte del
marciapiede Daisy ebbe quasi l’impressione che il suo cuore
smettesse di battere.
Bo!!! Era davvero lui.
Prese la borsetta e saltò giù dalla macchina
più velocemente possibile.
“Bo! Bo!” gridò.
“Daisy, che ci fai qui?” le domandò lui,
fermandosi immediatamente.
“Sono venuta a cercare te, mi sembra ovvio, no?”
rispose lei, sinceramente.
“Ti avevo chiesto di non farlo, mi
sembra…”
“Lo so quello che hai detto, ma…. Non puoi volere
davvero questo Bo. Non ci credo!” ribatté Daisy,
scuotendo la testa.
“Devi crederci, invece. Come posso convincerti che
è davvero questa la vita che fa per me?”
Prima che Daisy potesse rispondere improvvisamente cominciò
a piovere forte.
“Vieni” disse Bo e, prendendola per mano, la fece
correre fino ad un portone .
A Daisy sembrava di essere tornata bambina.
“Saliamo” aggiunse Bo, precedendola fino ad una
porta.
Prese una chiave e aprì.
Daisy si guardò intorno, cercando di non darlo a vedere.
L’appartamento era piccolissimo e abbastanza disordinato.
“Così vivi qui?” chiese a Bo che
annuì.
“Sei fradicia. Vuoi qualcosa di asciutto?” le
domandò lui
“Credo di si..” ammise lei, rabbrividendo.
“Ecco, prendi questi - ribatté Bo, porgendole
alcuni vestiti – il bagno è di
là…”
Daisy uscì pochi minuti dopo ed era davvero buffa,
perché lo spesso maglione blu che il cugino le aveva
prestato era caldo e pulito, ma le arrivava alle ginocchia e le maniche
le pendevano ben oltre le mani, così le aveva arrotolate
intorno ai polsi.
Bo sorrise, suo malgrado.
“Lo so, non sono esattamente presentabile”
dichiarò lei, divertita.
“No, tu sei sempre bellissima, lo sai. E così non
rischierai di prendere un raffreddore…” rispose
lui.
“Piove ancora?” chiese Daisy.
“Parecchio” ammise Bo.
“Devo chiederti un favore. Non me la sento di guidare fino a
casa con questo tempaccio, potresti ospitarmi per stanotte?”
Bo guardò la cugina. Era combattuto. Aveva paura che lei
potesse scalfire la corazza che si era faticosamente costruito e che
gli permetteva di andare avanti giorno dopo giorno, ma nello stesso
tempo l’ultima cosa che avrebbe voluto era farle del male,
sia pure involontariamente.
“Dio solo sa
che ho combinato più casini io fin ora di una decina di uomini normali…Non
voglio aggiungere anche un possibile incidente a
Daisy……” pensò.
“A casa staranno in pensiero per te” le disse
“Già – ammise la ragazza – ma
posso sempre telefonare”
“Non voglio che sappiano dove sei”
“Non vuoi che sappiano di te, vorrai dire”
“Esatto.”
“Non c’è un telefono qui?”
domandò Daisy.
Bo fece cenno di no, con la testa, poi disse “Puoi chiamare
dalla tavola calda che c’è all’angolo
della strada. Hanno un telefono a gettoni”
“Farò così. E porterò anche
qualcosa da mangiare” dichiarò lei.
Incurante del fatto che fossero ancora bagnati prese tra le braccia i
propri vestiti, tornò in bagno e quando uscì
aveva l’aria di un pulcino.
“Torno tra dieci minuti” disse al cugino ed
uscì di corsa, senza dargli il tempo di rispondere.
Pioveva ancora, ma a Daisy non importava nulla.
Era felice, per la prima volta, dopo mesi, sentiva di avere una
possibilità. Aveva quasi paura a sperare, ma voleva
provarci. Avere di nuovo la sua famiglia era la sola cosa che
desiderasse realmente.
Entrò alla tavola calda con un’espressione radiosa
e, dopo aver avvisato lo zio Jesse (una piccola bugia “Si, piove a dirotto, ma ho
incontrato un’amica che non vedevo da anni. Si è
trasferita qui e mi ha invitato a trascorrere la notte da lei. Ho
accettato perché non posso viaggiare così, ma
domani sarò a casa. Buonanotte zio. Ti voglio bene”)
comprò qualcosa da mangiare per lei e Bo.
Non voleva sprecare nemmeno un minuto, aveva cose più
importanti da fare che pensare a cucinare!
C’era lo stesso uomo corpulento che l’aveva servita
la volta precedente.
“Ma…noi ci siamo già visti o mi
sbaglio? “ le chiese, mentre le porgeva il sacchetto
“Sì, sono stata qui qualche giorno fa con una mia
amica…Non pensavo si ricordasse di me” rispose
lei, sorridendo.
“Non si dimenticano le belle ragazze come lei…..
signorina?” ribatté l’uomo.
“Daisy”
“Io sono Franck. Spero di rivederla ancora Daisy. Buona
serata”
“Grazie Franck, buon lavoro.”
Daisy corse da Bo il più velocemente possibile.
“Ho portato la cena.” disse al cugino, porgendogli
il sacchetto e, pochi minuti dopo, indossato di nuovo il suo enorme
maglione, si sedette a tavola con lui.
Mangiarono in silenzio e Daisy osservò con attenzione il
cugino.
Fisicamente era sempre lo stesso Bo, anche se più
magro, ma l’espressione sul suo viso non era quella
allegra, schietta e spensierata a cui era abituata.
Gli occhi di Bo erano freddi, duri ed al contempo smarriti.
Le ricordarono lo sguardo di un animale braccato, impaurita e feroce
insieme, e la cosa la spaventò.
---------------------------------------------------------------------------------------
Bo aveva ceduto a Daisy quello che di giorno era un divano e di notte
diventava un letto e si era sistemato sulla poltrona.
Era una sistemazione scomoda, specie per un uomo alto come lui, ma non
gli importava.
La guardò dormire e, prima che potesse rendersene conto, una
lacrima scivolò per tutta la lunghezza del suo naso.
Dio come gli mancava la
sua famiglia, tutta la sua famiglia! Gli mancavano così
tanto da star male….
Ma, proprio perché voleva più bene a loro che a
se stesso, aveva deciso di lasciarli.
“Ne hai
combinato una di troppo – si disse – è meglio
per loro che tu stia lontano, fuori dalle loro vite. Andranno avanti,
possono sempre contare l’uno sull’altro”
----------------------------------------------------------------------------------
Daisy si svegliò di soprassalto, svegliata da un suono
strozzato.
Le ci volle qualche secondo per capire perché non si trovava
a casa, ad Hazzard, ma quando vide Bo che si agitava convulsamente
sulla poltrona, mormorando freneticamente qualcosa, ricordò
dov’era.
Daisy saltò immediatamente giù dal letto e gli si
avvicinò.
Tese istintivamente la mano, per svegliarlo, ma si fermò
quando sentì le sue parole:
“No......volevo……Giuro……non...volevo……Io…Mi
dispiace……Per favore……Stanne fuori!!! Non sono cose
che ti riguardano!!!”
Daisy rabbrividì e si morse le labbra.
Quando era piccolo Bo aveva spesso degli incubi, ma erano gli zii o
Luke a consolarlo, lei non l’aveva mai visto in quello stato.
E quelli che vedeva non erano certo i sogni di un bambino che ha paura
del buio, ma le angosce e i sensi di colpa che turbavano un uomo.
“Bo…Bo…svegliati…per
favore” sussurrò più volte, senza avere
il coraggio di toccarlo.
Lui sui svegliò sorpreso e confuso.
“Ti ho svegliato?” le chiese, preoccupato.
“Non preoccuparti.” rispose lei.
“Scusami” continuò lui.
“Ti ho detto che non devi scusarti. Hai fatto un brutto sogno
e mi sa che non è la prima volta...”
ribatté Daisy.
“Non credo che la cosa ti riguardi…”
dichiarò lui, alzandosi per andare a prendere un bicchiere
d’acqua.
“Io credo di si, invece. Non sono un’estranea, sono
Daisy, tua cugina, ricordi? Siamo cresciuti insieme, ti conosco da
quando sei nato. Puoi confidarti con me, se ti va… Non sei
mai stato il tipo che si tiene tutto dentro…
Sai, Bo, io ero venuta qui per chiederti di perdonarmi e di tornare a
casa con me”
“È questa la mi casa, te l’ho
già detto”
“Non è vero! Per prima cosa tu odi le grandi
città. E hai lasciato a casa il Generale…oltre a
tutta la tua famiglia…” insistette lei
Bo sospirò, poi le chiese:
“Mi sto abituando a vivere qui e poi non credi che io e il
Generale abbiamo già fatto abbastanza? Cos’altro
deve succedere, Daisy, perché tu ti convinca che la mia
è la scelta giusta?”
“Hai commesso degli errori, tutti noi abbiamo
sbagliato…Ma siamo una famiglia…può
tornare tutto come prima, se lo vogliamo”
“No, le cose cambiano, e a volte non basta volerlo
per aggiustare tutto…”
Nella voce di Bo c’era un tono amareggiato che Daisy non
aveva mai sentito.
“Io sono convinta che basterebbe
parlare…”
“Io invece non ne voglio parlare e non voglio nemmeno
litigare con te, quindi smettila, per favore. Tu non c’entri
nulla in tutto quello che è successo, è solo
colpa mia, ok? Non hai nulla da farti perdonare” Disse Bo,
con decisione.
“Come puoi chiedermelo? E come puoi anche solo pensare che
acconsenta? È innaturale…Non è
giusto!” ribatté Daisy, con foga.
“Ti sbagli: è la sola cosa giusta da
fare” affermò lui, quindi si passò
distrattamente le mani fra i capelli ed aggiunse “Io esco.
Domani mattina va’ via e non tornare più. Non mi
troveresti.”
Ed usci, chiudendosi la porta alle spalle.
Daisy lo guardò andar via, incapace di parlare con quel Bo
che le sembrava, sinceramente, di non conoscere più.
Pianse tutte le sue lacrime e si addormentò, stremata, poco
prima dell’alba.
------------------------------------------------------------------------------------------------
“Buongiorno Daisy. Oh…dunque è qui che
ha passato la notte”
Daisy si voltò, sentendosi chiamare e vide Franck,
l’uomo della tavola calda.
“Già” ammise.
“Le va di venire da noi a fare colazione. A
quest’ora non c’è praticamente
nessuno, ma abbiamo caffè caldo a volontà e , mi
scusi se mi permetto, lei ha tutta l’aria di averne
bisogno…” le propose.
Daisy lo guardò con riconoscenza e rispose:
“Accetto, ma la smetta di darmi del lei! Io sono solo
Daisy,ok?”
Non se la sentiva di rimettersi in macchina immediatamente e di tornare
ad Hazzard, dopo quello che era successo con Bo, quella notte.
“Ok, andiamo allora, così finalmente posso
presentarle la mia Meg!”
Meg era una donna robusta con una massa di riccioli scuri ed allegri
occhi azzurri su un viso ridente.
Mentre suo marito sparì nel retro servì a Daisy
una tazza di caffè fumante.
“Grazie, è proprio quello che ci vuole”
disse la ragazza.
Quella donna le ispirava istintivamente simpatia e fiducia.
“È dura, eh?” chiese Meg
Il locale era deserto, quindi si sedette di fronte a Daisy.
Il suo sesto senso le suggeriva che quella non era una delle
tante sciacquette che Bo portava spesso a casa sua.
Oh, certo, anche Bo le piaceva.
Benché lo conoscesse solo da pochi mesi gli era
affezionata.
Quando era arrivato Franck gli aveva affittato l’appartamento
senza chiedergli alcuna garanzia, semplicemente perché
sentiva di potersi fidare di lui, poi l’aveva aiutato a
trovare un lavoro.
Bo era un ragazzo di poche parole, ma era educato e onesto e Peter, il
loro bimbo di dieci anni, aveva sempre avuto per lui una vera simpatia
che si era trasformata in sincera ammirazione quando, un giorno, Bo gli
aveva costruito un aquilone e gli aveva insegnato ad usarlo.
Spesso insisteva perché mangiasse qualcosa lì ed
alcune volte il ragazzo accettava.
Non aveva mai raccontato nulla di sé, se non che veniva
dalla campagna e non gli piaceva granchè vivere ad Atlanta.
“Ma allora perché ci stai?” gli aveva
chiesto Peter, una volta.
“È una lunga e brutta storia, credimi”
aveva risposto laconicamente Bo.
Peter, che era un bambino sensibile, non aveva insistito.
“Perdonami la franchezza, ma mi sembri una ragazza in gamba.
Forse faresti meglio a lasciarlo perdere. Meriti di più di
quello che lui può darti ” disse Meg.
Daisy la guardò con espressione triste.
“Non posso lasciarlo perdere” mormorò
“Ma certo che puoi! Non è un cattivo ragazzo, ma
attraversa un brutto momento” insistette Meg, versandole
dell’altro caffè.
“No, davvero. Anche volendo non potrei…lasciarlo
perdere - ribatté Daisy - Bo è mio
cugino. Siamo cresciuti insieme io, lui e Luke, dopo che i nostri
genitori sono morti. Lo amo come un fratello…Non posso
lasciare che distrugga la sua vita”
“Non sapevo che Bo avesse una famiglia”
dichiarò Meg, stupita.
“Lo immagino! È scappato via ed è
deciso a non voltarsi indietro, ma così sarà
infelice per il resto della sua vita e lo saremo anche noi!”
affermò Daisy, senza alzare gli occhi dalla propria tazza di
caffè.
“Posso chiederti cos’è successo di tanto
grave da aver spinto Bo a fare una cosa del genere? Lo conosco poco,
è vero e non parla volentieri di sé, ma mi sembra
un bravo ragazzo…” disse Meg
Prima di poterci riflettere Daisy cominciò a confidarsi con
quella donna.
A volte è più facile parlare con gli estranei che
con i conoscenti.
Grazie mille, ancora una
volta, a chiunque stia leggendo questa fic e , soprattutto, a chi
recensisce ogni capitolo (Lella, Thia, Marzia, Lu, i196).
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Capitolo 6 *** L'ultima gara ***
5:
L’ultima gara.
Perché la vita è
un brivido che vola via,
è tutto un equilibrio sopra
la follia
(Vasco Rossi – Sally)
Vivi, corri per qualcosa, corri per un
motivo…
Che sia la libertà di volare
o solo di sentirsi vivo…
Corri per qualcosa, corri per un
motivo…
(Nomadi - La libertà di
volare)
Atlanta, Dicembre
“Vieni con
me, non è il caso che rimaniamo qui – disse Meg a
Daisy, poi si rivolse al marito appena ricomparso – noi
andiamo sul retro. Fa’ in modo che non ci disturbino, per
favore.”
Daisy notò
immediatamente che quello in cui si trovava non somigliava neppure
lontanamente al buio, umido e polveroso magazzino del Boar’s
nest!
Quella era una stanza
luminosa, di fronte alla porta d’ingresso c’era una
stufa a legna, affiancata da un piccolo divano dall’aria
consunta, coperto di cuscini colorati e piuttosto malridotti in un
angolo e dalla parte opposta una sorta di piccolo ufficio, con uno
scaffale di registri colorati ed un’ordinatissima scrivania,
mentre al centro c’era un tavolo tondo con delle sedie tutte
diverse.
Meg posò il
vassoio che aveva portato con sé.
“Qui staremo
più tranquille. Ho la sensazione che la tua non sia una
storia piacevole.” Disse.
“Io non so
come ringraziarti, davvero. Non mi conosci nemmeno e mi stai aiutando
più di quanto immagini. Io non ho mai parlato con nessuno di
questa storia, e, credimi, farlo non è per niente facile .
Noi viviamo ad Hazzard che non è nemmeno una
città, è un paese in cui ci conosciamo
tutti e ognuno sa cosa capita agli altri….Quello che non si
sa viene inventato dai pettegoli del posto… Per cui non ho
avuto bisogno di spiegare nulla a nessuno….In effetti non
avevo neppure voglia di parlare di tutta quella orribile
storia…Ma ora mi sembra di non riuscire più a
trattenermi…Ho paura perché ho trovato Bo e non
voglio perderlo di nuovo, non credo che potrei sopportarlo”
dichiarò Daisy.
“Sono qui
per questo. Sfogati pure, sempre se ti va. Qui non siamo ad Hazzard, ci
siamo solo noi due e ti do la mai parola che le tue parole non
lasceranno questa stanza. Spesso è più facile
confidarsi con un estraneo che con un amico. Ma se vuoi che ti aiuti
devi aiutarmi a capire” rispose Meg, versando ad entrambe
un’altra tazza di caffè.
“Già,
hai ragione. Bhè, vedi, prima che succedesse tutto questo
pasticcio io, Bo e Luke abbiamo sempre avuto un legame
speciale. Siamo cresciuti tutti insieme alla fattoria con lo zio Jesse
e la zia Martha, che ormai non c’è più
purtroppo, perché i nostri genitori sono morti. Siamo
più fratelli che cugini.
Luke è il
maggiore, Bo il più piccolo…bhè, ormai
dovrei dire il più giovane, visto che non è
certamente un bambino.... Loro due sono sempre stati più che
cugini, sono fratelli ed amici, per scelta. Sono spiriti affini, si
sono sempre capiti con uno sguardo e sono sempre stati pronti a
rischiare anche la vita l’uno per l’altro”
Mentre Daisy parlava
Meg sentì un'enorme dispiacere nel proprio cuore,
per quella bellissima ragazza che aveva negli occhi
un’infinita tristezza, per Bo, a cui, nonostante tutto, era
affezionata e per quella famiglia divisa.
“Cosa è successo di
tanto grave per produrre un simile disastro?” Si
chiese, fra sé, senza avere il coraggio di esternare la
domanda, certa che Daisy sarebbe arrivata al punto prima o poi.
Hazzard
- Settembre
“Stasera ho
bisogno della macchina, Luke. Da
solo…” disse Bo.
Evitava di guardare in
faccia il cugino che, da sempre, sapeva leggergli dentro solo
guardandolo negli occhi.
Luke se ne accorse
immediatamente e pensò fosse imbarazzo.
“Non
c’è problema – rispose, ammiccando
– una nuova ragazza? Non mi dici chi è?”
“Ecco, lasciamo che creda si
tratti di una donna!” pensò Bo,
cogliendo immediatamente la palla al balzo.
“Per ora
no…Voglio vedere come vanno le cose…”
borbottò Bo, cacciandosi in tasca le chiavi del Generale ed
uscendo velocemente.
Daisy , che aveva
osservato la scena in silenzio fino a quel momento, si rivolse a Luke
non appena Bo se ne fu andato.
“Ti sembra
strano?” gli chiese
“Chi?”
domandò Luke, sorridendo all’ansia di Daisy
“Bo! Chi
sennò?!” ribatté lei
“Perché?
A me sembra sempre lo stesso….Secondo te
c’è qualcosa che non va?” chiese lui
“No…Non
dico questo, ma mi sembra strano, distratto….”
“Mi ha detto
che ha una nuova ragazza…”
“Magari
è innamorato….” Ipotizzò
Daisy, certa, in cuor suo, che non fosse quella la causa
dell’insolito comportamento del cugino minore.
“Daisy: Bo
è sempre innamorato! - esclamò Luke
– E comunque sta’ tranquilla; nostro cugino non
è in grado di nascondere nulla. Se ci fosse qualcosa che non
va sono certo che ce ne avrebbe parlato” dichiarò
Luke.
“Già”
mormorò Daisy.
Bo guidò
velocemente fino a casa.
Era stanco e
arrabbiato.
Aveva vinto la prima
gara per Jackal Harrison e non era stato nemmeno difficile, ma la cosa
non gli dava alcuna soddisfazione, anzi, tutt’altro.
Mentire a Luke era
stato facile.
O meglio era stato fin
troppo semplice far sì che Luke gli credesse,
perché ingannarlo e fare i conti con la propria
coscienza era terribile.
“Lo fai per la fattoria. Zio
Jesse ha fatto di tutto per me. Ora spetta a me fare la mia
parte!”
Doveva ripeterselo in
continuazione per tenerlo a mente e riuscire ad andare avanti, a
perseguire il proprio scopo.
Lasciò il
Generale Lee a godersi il riposo che meritava e ringraziò,
silenziosamente, che lo zio ed i cugini fossero già andati a
letto.
Affrontare zio Jesse o
Luke o persino Daisy, sarebbe stato davvero troppo.
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“Esci anche
stasera?” chiese Luke a Bo.
Era la quarta sera
di fila che suo cugino usciva col Generale.
Qualche giorno prima
aveva confessato di avere una nuova ragazza, ma Luke cominciava a
nutrire qualche dubbio.
“Si,
perché c’è qualche problema? Hai
bisogno della macchina?” domandò Bo, rivolgendogli
una strana occhiata.
“No…posso
prendere il furgone, ma…mi chiedevo quando mi presenterai la
tua bella misteriosa” rispose Luke.
“Non
è il momento…non sono sicuro che la cosa
funzioni…” borbottò Bo.
“È
strano…Non hai mai fatto tanti
misteri…” insistette Luke.
Il suo tono era
tranquillo, ma dentro di sé sentiva crescere il nervosismo.
“C’è
sempre una prima volta, Luke. Non c’è
assolutamente niente di strano. Se non ti serve la macchina, non
capisco perché tu stia facendo tante
storie…” ribatté Bo.
“Non sto
facendo storie….cerco solo di capire…”
“Non
c’è nulla da capire e non credo di doverti rendere
conto dei miei spostamenti. Sono abbastanza grande per uscire senza la
babysitter, no?”
“Assolutamente…Non
c’è bisogno che ti arrabbi!”
“Non mi sto
arrabbiando; sono solo convinto di poter uscire senza informare
nessuno…”
Bo stava tentando di
mantenere la calma. Non voleva litigare con Luke, ma nemmeno dargli
spiegazioni.
Mancava una sola gara,
poi tutto sarebbe finito poi le cose, con un po’ di fortuna,
sarebbero tornare alla normalità e zio Jesse non avrebbe
dovuto preoccuparsi della maledetta ipoteca pretesa da quella canaglia
di Boss Hogg!
“Puoi fare
tutto quello che vuoi. Cerca solo di stare attento e di non cacciarti
nei guai” gli raccomandò Luke.
Bo sorrise alle parole
del cugino.
“Ci sto provando Luke, te lo
giuro. Ci sto provando con tutto me stesso”
pensò, ma disse:
“
Tranquillo. Ci vediamo stasera, ok?”
“Ciao”
“Ciao”
Luke seguì
con lo sguardo il Generale che si allontanava velocemente.
“Perché ho la
sensazione che mi nasconda qualcosa, cugino?” si
chiese.
Conoscendo Bo,
probabilmente, avrebbe dovuto dar retta al proprio istinto, ma decise
di credere a quanto gli aveva detto.
“Hai ragione. Sei grande. Puoi
badare a te stesso” pensò, prima di
uscire.
Aveva promesso a
Loraine di raggiungerla al Boar’s nest e non voleva certo
farla aspettare!
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“Bene
ragazzo, fin’ora hai fatto esattamente quello che mi
aspettavo da te. Mi dispiace, sai, che non voglia continuare a lavorare
per me, sono soddisfatto di te. Oggi ti aspetta l’ultima
gara, la più importante. Mi aspetto che vinca, ovviamente.
Roy Holmes è un osso duro, sta’ attento, e la
corsa è diversa dalle altre…” disse
Jackal Harrison a Bo.
Erano soli, in quello
che lui chiamava “il mio studio”, ma che, in
realtà era solo la stanza più decente della
baracca che avevano scelto, per non dare nell’occhio, come
quartier generale ad Hazzard.
Jackal era rimasto
sinceramente stupito la prima volta che aveva visto correre Bo. Quando
Al e Rolf gli avevano portato quel ragazzo aveva pensato di trovarsi di
fronte ad contadino strafottente, troppo giovane per sapere, realmente,
cosa volesse dire correre e soprattutto correre in quel modo, ma Bo
l’aveva stupito: non solo sapeva guidare ma lo faceva come un
diavolo. Nessuno riusciva a tenergli testa!|
Peccato credesse
ancora alle favole!
Voleva smettere dopo
la gara con Holmes, correva solo perché gli servivano i
soldi per aiutare la famiglia…
La famiglia?
Con i soldi si
può comprare tutto, pensava Jackal, e Bo Duke se avesse
voluto avrebbe potuto fare un mucchio di quattrini gareggiando per lui.
Stupido! Non capiva
che aveva una dote e che doveva sfruttarla finché ne avesse
avuto la possibilità!
Battere il ferro
finché è caldo, questo pensava lui, non fare il
bravo bambino obbediente.
Ti accorgerai che la
virtù non paga, e quando lo farai, finalmente, tornerai a
correre per me….
“Perché
questa gara è diversa dalle altre?” chiese Bo.
Jackal
sospirò, poi disse:
“Il salto.
Non è come sempre. Dovrai superare il fuoco, fuoco
vero.”
Bo deglutì,
nervosamente.
“È un salto,
esattamente come gli altri. Andrà tutto bene. Deve essere
così!” pensò.
“Ce la
farò” dichiarò con decisione.
“È
esattamente quello che mi aspetto da te” ribatté
Harrison.
Bo salì in
macchina.
“Ehi,
Generale, siamo all’ultima gara. Dobbiamo farcela: per zio
Jesse e per la fattoria, ok? Andrà tutto bene. Non finiremo
arrosto, te lo prometto!” sussurrò.
Parlare al Generale
Lee era una tradizione che lo aiutava a calmarsi nei momenti di
tensione.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
“Luke devo
parlarti. Ciao Loraine.”
Cooter era corso al
Boar’s nest il più velocemente possibile.
Luke gli
lanciò un’occhiataccia.
Era seduto ad un
tavolo appartato con Loraine e non gradiva affatto
l’interruzione dell’amico.
“Non puoi
aspettare a domani Cooter?” gli chiese, bruscamente.
“No non
posso e nemmeno tu puoi. Ora usciamo di qui. Sbrigati!”
rispose Cooter, altrettanto bruscamente.
Luke non aveva mai
visto l’amico in quello stato.
“Loraine,
devi scusarmi….Ti chiamo domani?”
mormorò alla ragazza seduta di fronte a lui.
“Luke Duke
se esci da quella porta e mi pianti qui non sognarti nemmeno di
rivedermi!” dichiarò lei, seccata.
Luke lasciò
correre lo sguardo dalla ragazza all’amico.
Cooter aveva
l’aria stravolta.
Non poteva negargli il
proprio aiuto.
“Arrivederci
Loraine” disse, prima di prendere la giacca ed uscire
rapidamente.
“Spero che
abbia un ottimo motivo per aver rovinato la mia serata,
amico” affermò nel momento in cui si trovarono
fuori faccia a faccia.
“Luke…Non
so da dove iniziare….Credimi…Non vorrei essere io
a dirtelo….Ma Jesse è in ospedale.”
“Cosa stai
dicendo??? Che vuol dire che zio Jesse è in Ospedale??? Sono
uscito qualche ora fa e stava
benissimo……” farfugliò Luke.
Era sconvolto.
Zio Jesse in ospedale?
Zio Jesse stava male?
Gli sembrò
che il mondo gli crollasse addosso.
Zio Jesse era la sola
presenza costante della sua vita, l’unico a cui si era sempre
appoggiato, il solo a cui avesse mostrato le proprie debolezze e che
conoscesse le sue paure….
Zio Jesse era un
leone…Cosa poteva essergli successo?
“Bisogna
avvertire Bo e Daisy oggi non era al lavoro…”
borbottò
“Luke, vieni
con me – disse Cooter – stavolta guido io. Sono
tutti al Tre county hospital.
Jesse, Daisy e anche Bo”
Luke seguì
l’amico e prese posto accanto a lui, sul furgone.
Non riusciva a capire
cosa stesse succedendo.
Che ci facevano i suoi
cugini all’ospedale?
Bo gli aveva detto di
avere un appuntamento con una ragazza….
“Cooter,
cosa è successo?” domandò, sottovoce.
“Non ti
piacerà per niente quello che sto per dirti,
amico….” Cominciò Cooter, ma Luke lo
interruppe immediatamente:
“Daisy…Bo…loro
stanno bene?” chiese.
“Sì,
stanno bene….”
Luke
sospirò.
Per lo meno i suoi
cugini erano sani e salvi.
“Avanti:
parla” ordinò, pregando, tra se e se, che non
fosse successo nulla d’irreparabile.
Ecco:
ho finito il quinto capitolo. Ora le cose cominciano ad essere
più chiare, no?
Grazie, come sempre, a chi legge ciò che scrivo e, ancor
più, a chi, oltre a leggere, mi lascia la propria
recensione: Marzia, Thia, Lella, i1976 e Lu.
Che ne dite?
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Capitolo 7 *** All'ospedale. ***
6:
All’ospedale
Un passo indietro ed
io già so
di avere torto
(Negramaro - Un passo
indietro)
Non sto chiedendo una
seconda possibilità
sto urlando a
squarciagola
dammi una ragione,
non darmi la
possibilità di scegliere
perchè
farei ancora lo stesso sbaglio
(Traduzione Same
Mistake , James Blunt)
Atlanta –
Dicembre
Daisy si fermò un attimo prima di ricominciare a parlare.
Aveva bisogno di una pausa.
Meg approfittò per uscire e tornare, poco dopo, con una
tazza ed una teiera.
“Sei già abbastanza agitata; credo sia meglio
evitare il caffè. Ti ho portato del the; bevi; qualcosa di
caldo ti farà bene.” Le disse.
“Sei davvero gentile…..Io non so come
ringraziarti…..E ti sto facendo perdere un sacco di
tempo…..” rispose Daisy, cominciando a sorseggiare
la calda bevanda.
“Hai passato dei brutti momenti. È normale che sia
turbata. Non preoccuparti per me, Franck se la cava benissimo anche da
solo.” ribatté Meg, liquidando le proteste di
Daisy con un sorriso affettuoso e comprensivo.
Hazzard
– Settembre
“Questo ferrovecchio non può andare un
po’ più veloce?!” chiese Luke.
Cooter scosse la testa.
“Prima di arrivare in ospedale è bene che tu
sappia qualcosa” gli disse, ignorando la sua protesta.
“Cos’altro c’è? Hai detto che
Daisy e Bo stanno bene…Zio
Jesse…Cooter…mio zio
è….è….vivo vero?”
domandò Luke, mentre un terribile sospetto gli attraversava
la mente.
“Ma certo che è vivo! Sono sicuro che se la
caverà, come sempre! Ci vuole ben altro per mettere a
tappeto Jesse Duke!” dichiarò Cooter. Aveva sempre
provato una sincera ammirazione per quell’uomo che aveva
superato tante avversità, riuscendo a conservare il sorriso,
l’ottimismo e la fede.
“Allora?” insistette Luke.
“Vedi…Se tuo zio sta male…ecco, in un
certo senso, è anche colpa mia….”
Ammise Cooter.
“Tua? - ripeté Luke, incredulo
– che c’entri tu in tutto questo? Non
capisco”
“Capirai – disse Cooter – Capirai,
credimi e, come ti ho già detto, non ti piacerà
per niente....”
“Parla! Sto perdendo la pazienza! Dimmi un volta per tutte
che diavolo è successo!!!” ordinò Luke.
“Qualche ora fa è venuto in tizio al garage. Mi ha
chiesto di aiutarlo con una macchina. È lavoro, no? Ho
accettato e mi sono trovato davanti una vera bellezza;
un’auto stupenda, credimi amico. Ma non è questo
il punto. Mentre riparavo la macchina lui ha cominciato a
chiacchierare….Mi ha detto che doveva fare una gara ed ho
capito che non era una cosa molto pulita, così ho finto
interesse e sono riuscito a farmi raccontare di che si trattava.
Era una corsa in cui avrebbe dovuto saltare del fuoco.
sono state le
sue parole…”
Luke cominciò a sudare freddo e sentì un brivido
di terrore lungo la schiena.
“Quanti piloti
ci sono ad Hazzard in grado di fare una cosa del genere?
E, soprattutto, chi
può avere il coraggio e l’incoscienza di fare una
cosa del genere?” si chiese Luke ed ebbe paura di darsi una
risposta.
Cooter riprese il suo racconto, dopo una brevissima pausa per
riprendere fiato:
“Luke sai che, naturalmente, gli ho chiesto chi fosse il
pilota e quando ha risposto Bo Duke ho pensato di correre
immediatamente alla fattoria ad avvisarti.
Non sapevo fossi al Boar’s nest, credimi, altrimenti ti avrei
cercato lì…
Sono arrivato a casa tua e non so come tuo zio mi ha costretto a
raccontargli tutto….Sai com’è testardo
quando si mette in testa qualcosa…..
Sarei corso da te, te lo giuro, se solo avessi potuto immaginare cosa
sarebbe successo…
ha detto.
Siamo corsi sul luogo della gara e, nel momento stesso in cui siamo
arrivati, tuo cugino stava saltando quel maledetto incendio.
Non ricordo come sono andate le cose. So che ho sentito Daisy urlare,
ho visto Jesse che si accasciava al suolo e Bo che correva verso di
noi, senza prestare alcuna attenzione alle persone intorno a
noi che se la filavano il più velocemente possibile.
Abbiamo portato Jesse al Tre county e io sono corso da te”
Luke chiuse gli occhi e respirò a fondo.
Aveva bisogno di tempo per riuscire a metabolizzare le parole di Cooter.
Cooter rispettò il suo silenzio e continuò a
guidare.
Conosceva Luke da tanto tempo, sapeva che non si sarebbe confidato con
lui, non era il tipo che esternava le proprie emozioni, ma sapeva anche
che gli occorreva un po’ per riacquistare il pieno controllo
di sé e delle sue emozioni.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Daisy guardò il cugino.
Da quando erano arrivati all’ospedale non si erano rivolti
una parola.
Aspettavano che il medico avesse finito di visitare lo zio, mentre
Cooter era andato a prendere Luke al Boar’s nest.
Bo aveva un’aria talmente abbattuta; avrebbe sicuramente
avuto bisogno di qualche di qualche parola di conforto, ma Daisy era
troppo preoccupata per lo zio e arrabbiata con lui per riuscire
a farlo.
“Perché
devi sempre cacciarti nei guai!? Non riesci a fare a meno di combinare
pasticci?! Dio mio spero che tutto questo non faccia del male allo zio,
Bo, perché, altrimenti non so davvero cosa
succederà” pensò.
Arrivati al parcheggio Cooter non aveva quasi fatto in tempo a fermare
la macchina che Luke saltava giù per correre
all’ospedale.
Cooter lo guardò allontanarsi e decise che quella era una
faccenda che riguardava solo la famiglia Duke.
Avrebbe avuto tutto il tempo per parlare con l’amico, in
seguito, quindi fece inversione di marcia per tornare a casa.
Luke vide Daisy e Bo nella sala d’aspetto.
Daisy era seduta mentre Bo camminava avanti e indietro, visibilmente
nervoso.
Luke si avvicinò loro.
“Cosa dice il medico?” chiese, con voce atona.
“Nulla, ancora. Lo stanno visitando…”
rispose Daisy, ma fu interrotta dall’arrivo di un medico.
“Siete i familiari di Jesse Duke?”
domandò
“Si, siamo i suoi nipoti - rispose Daisy – come
sta?”
“Bene, tutto sommato – disse il medico –
Io sono il dottor Ridley, il cardiologo che ha in cura il signor Duke.
Vostro zio ha una certa età, ha avuto quello che potremmo
chiamare impropriamente , ma, fortunatamente,
è forte e se la caverà. Tra qualche giorno
sarà come nuovo e potrete portarlo a casa. Ovviamente non
è uno scherzo, è un malore da non sottovalutare.
Dovrete offrirgli un ambiente sereno ed evitare le fatiche fisiche e,
cosa altrettanto importante, lo stress psicologico. Da quanto ho capito
è stata una forte emozione a causare il malore di
oggi”
I ragazzi tirarono un sospiro di sollievo: zio Jesse era salvo e presto
sarebbe potuto tornare a casa!
“Possiamo vederlo?” chiese Luke
“Entrate a turno, solo per un attimo e non fate troppo
chiasso. Vostro zio ha bisogno di riposo! - ordinò loro il
medico – la stanza 82 ok?”
I ragazzi entrarono uno per volta, come aveva detto il dottore.
Prima Daisy che dovette trattenere le lacrime, vedendo tutti quei fili
e quei macchinari intorno allo zio.
“Ciao tesoro” mormorò lui.
“Ciao zio. Il dottore ha detto che devi riposare e che tra
pochi giorni potrai tornare a casa….”
“Lo so, andrà tutto bene, non
preoccuparti”
“Ne sono sicura. Ora devo andare. Il tuo medico ci ha
ordinato di entrare a turno e di non farti stancare. Ci vediamo domani,
ok? Ti voglio bene”
“Anch’io, bambina mia. A domani”
Poi fu il turno di Luke.
“Ciao Luke”
“Zio Jesse, cosa mi combini?”
“Non sono ancora pronto per andare a conoscere di persona
nostro Signore, ho ancora qualcosa da fare quaggiù”
“Oh, lo so. L’erba cattiva non muore mai”
“Lukas Duke! Come ti permetti?!”
Luke sorrise. Se lo zio aveva voglia di scherzare con lui e rispondeva
alle sue battute significava sicuramente che non stava tanto
male….
“Luke…potresti dire a Bo di passare a salutarmi
prima di andar via?” chiese Jesse.
Luke annuì, poi, salutato lo zio con una lieve pacca sulla
spalla, uscì.
“Zio Jesse vuole vederti” disse a Bo che era ancora
fuori dalla porta.
Bo entrò nella stanza.
C’era un pungente odore di medicinali e di disinfettanti, ma
la cosa che lo spaventò fu il viso dello zio, pallido e
stanco.
“Ciao Bo”
“Zio Jesse…..io…..mi
dispiace…..voglio spiegarti…..”
farfugliò Bo
“Ti credo; ti conosco come le mie tasche e so come ti senti.
Sta’ tranquillo. Potremo parlare di tutto quando
uscirò di qui e stai sicuro che dovrai darmi un bel
po’ di spiegazioni”
Disse Jesse e allungò una mano fino a sfiorare la guancia
del ragazzo con una leggera carezza.
Bo era sempre stato, tra i suoi nipoti, il più veloce a
cacciarsi in ogni genere di guaio, sin da bambino, ma era anche il
più estroverso e, sebbene fosse praticamente un uomo, era
sempre il più piccolo della famiglia.
“Grazie” mormorò Bo, ricacciando
indietro le lacrime.
“L’ultima
cosa di cui zio Jesse ha bisogno è preoccuparsi
per me” pensò, sforzandosi di
sorridere, prima di uscire.
“Torniamo a casa?” chiese Daisy.
“Ho lasciato il furgone al Boar’s
nest...” rispose Luke.
“Il Generale , però, è qui
fuori” ribatté Bo.
“Andiamo allora. Io sono stanca morta.”
Dichiarò Daisy.
Fu un viaggio silenzioso, in cui nessuno di loro, insolitamente, disse
nulla.
Ecco
il sesto capitolo: non vi ho fatto aspettare troppo vero?
Grazie a chiunque legga questa fic.
Un grazie speciale a tutte le mie meravigliose recensitrici: Lu,
Marzia, Thia, i1976 e Lella.
A presto, Jiul.
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Capitolo 8 *** La lite ***
7:
La lite.
How
can I try to explain
When I do he turns away again
And it's always been the same
Same old story
From the moment I could talk
I was ordered to listen
Now there's a way and I know
That I have to go away
Come posso provare a spiegare,
quando lo faccio, si volge altrove di nuovo
È sempre la stessa vecchia storia
Dal momento in cui potevo parlare,
mi fu ordinato di ascoltare
Ora c'è una strada e so
che devo andarmene
(Cat Stevens - Father and son)
Hazzard - Settembre
Appena arrivati a casa
i ragazzi Duke si stupirono, quasi, di trovarla vuota e silenziosa.
Sapevano che
lo zio Jesse era l’anima della casa e della famiglia, ma
vedersi quasi sbattere in faccia la sua assenza era
tutt’altra cosa.
Luke era scuro
cin viso e Daisy chiusa in un ostinato silenzio.
Bo sapeva che
ce l’avevano con lui.
“Ok –
considerò –
tanto vale che affronti subito la cosa. Aspettare non cambierebbe
assolutamente nulla”
“So
che siete arrabbiati. Mi dispiace per quello che è successo.
Non volevo fare del male a nessuno. Era una cosa che riguardava solo
me” disse, guardando i cugini.
“Siamo
una famiglia. Quello che ti succede riguarda anche noi!”
dichiarò Daisy.
“Non
questa volta…” mormorò Bo.
“Perché?
Perché l’hai fatto Bo? Io davvero non
capisco…” rispose lei
“Vuoi
la verità? Eccola! Qualche giorno fa due tizi mi hanno
proposto una corsa clandestina ed io ho rifiutato, ma poi sono tornato
a casa e zio Jesse mi ha detto che Boss Hogg ha aumentato la rata della
nostra ipoteca e la vuole in anticipo. Il premio per quella corsa erano
tremila dollari. Ho pensato che potevo offrire un po’ di
tranquillità allo zio facendo la sola cosa che mi riesce
veramente bene” spiegò Bo.
Daisy
spalancò la bocca, sorpresa.
Certo Bo aveva
fatto un’enorme, colossale sciocchezza, ma aveva agito a fin
di bene, le sue intenzioni erano buone.
La ragazza
sentì il proprio cuore sciogliersi e la rabbia cedette
immediatamente il passo al dispiacere.
Luke non la
pensava allo stesso modo.
Sino ad allora
si era limitato ad ascoltare lo scambio di battute tra i cugini, ma in
quel momento decise d’intervenire
“Tu
non hai pensato!!! Nemmeno per un minuto!!! –
gridò al cugino – perché se
l’avessi fatto ti saresti reso conto che stavi per fare
un’idiozia! Come ti è saltato in mente? Sai che se
la polizia ti avesse scoperto saresti finito dritto in prigione?! Devi
saperlo! Siamo in libertà vigilata… di
cosa’altro hai bisogno, eh? Boss e Rosco non aspettano altro
che sbatterci dentro, ci provano ogni giorno con in ogni modo e tu
stavi per servirgli la tua testa su un piatto d’argento! Devi
essere pazzo per fare una cosa del genere!”
“Luke…Io
sono certa che Bo abbia agito in buona fede….”
Daisy
provò a calmare il cugino più grande.
“Non
è una giustificazione!” ribatté Luke.
“Forse
ti sfugge il punto: io non devo giustificarmi con te! Non ti devo
nessuna spiegazione! Ti ho tenuto fuori da questa storia appunto per
questo, sapevo che non avresti capito!” dichiarò
Bo.
“Non
c’è nulla da capire. Ti sei comportato da sciocco
irresponsabile! Non c’è niente da
aggiungere!”
“In
ogni caso non ti riguarda!”
“Mi
riguarda eccome! Hai visto cosa hai combinato? Zio Jesse è
in ospedale e ha rischiato sul serio! Sta male ed è solo
colpa tua!”
Daisy
capì che la situazione stava precipitando; i suoi cugini non
avevano mai litigato così prima d’allora.
“Ragazzi
io credo che sia meglio parlarne domani mattina, quando saremo tutti
riposati. Dormirci su ci farà bene” disse, ma
nessuno dei due le prestò attenzione.
“Non
volevo certo fare del male a zio Jesse. Sai che non lo farei
mai!!!”
“L’hai
fatto! Io non so davvero come tu abbia potuto, ma l’hai
fatto…..Come hai potuto non fermarti a riflettere per un
minuto?! Un minuto solo!?”
“Ora
basta Luke, non hai il diritto di parlarmi in questo modo!”
“Ce
l’ho eccome! Se tu ti comporti da ragazzino immaturo e
irresponsabile devi aspettarti che gli altri ti trattino come
tale!”
“Si
dà il caso che io non sia un ragazzino!”
“Allora
comportati da uomo!”
“Vuoi
fare a pugni con me Luke?”
“Sai
che non ti conviene”
“Andiamo
fuori” sibilò Bo. Non avrebbe mai permesso a
nessuno, nemmeno a Luke d’insultarlo in quel modo.
Daisy
sentì che i presentimenti di qualche attimo prima si
trasformavano in certezze e la prospettiva di una lite tra cugini la
terrorizzava.
Conosceva
Luke: testardo, introverso, a tratti persino scontroso e sapeva che
vedeva le cose bianche o nere, senza nessuna sfumatura intermedia.
Luke, intransigente prima di tutto con se stesso, non avrebbe mai
perdonato chi , anche involontariamente, avesse fatto del male allo zio
Jesse, nemmeno se quel qualcuno fosse stato Bo, di questo Daisy era
assolutamente certa.
Ma Daisy
conosceva Bo altrettanto bene: impetuoso, temerario e ostinato, agiva
d’impulso, senza fermarsi a rifletterci su, nemmeno per un
attimo.
Era sicura che
Bo si sentisse tremendamente in colpa per ciò che
accidentalmente aveva causato, che fosse convinto che la colpa fosse
interamente sua, ma non l’avrebbe mai ammesso, non davanti a
Luke che lo aggrediva in quel modo.
La situazione
le appariva senza via d’uscita; anche volendo non sarebbe mai
riuscita a fermare i suoi cugini; ognuno era evidentemente convinto di
avere ragione e non avrebbero smesso fino quando l’altro non
avesse ammesso di avere torto.
“Non succederà mai!
Finiranno col farsi male sul serio e continueranno finché
avranno un filo di fiato” considerò
tra sé, desiderando ardentemente che quello non fosse che un
brutto sogno da cui si sarebbe svegliata al più presto.
Daisy corse
fuori appena in tempo per vedere i primi pugni.
Benché
non fossero dei santi era capitato raramente, anche in passato, che
Luke e Bo arrivassero alle mani, vuoi perché, quando erano
bambini, bastava uno sguardo della zia o un rimprovero dello zio a
raffreddare gli animi, vuoi perché Luke aveva
parecchi anni più di Bo e riusciva a tenergli testa con le
parole o perché il loro era un rapporto speciale
e, solitamente, non c’erano gravi motivi di scontro fatto sta
che quella era la prima volta che li vedeva litigare in quel
modo.
“Ricorderò
questa scena finché vivrò, ne sono
sicura” pensò Daisy che, senza
nemmeno rendersene conto, piangeva e gridava ai ragazzi di smetterla.
Luke e Bo si
fermarono, ma solo quando non avevano più fiato e nessuno
dei due riusciva a rialzarsi in piedi, e rimasero stesi
sull’erba, davanti a casa.
“Spero
che ora sarete fieri di voi stessi. Siete davvero un bello spettacolo!
Complimenti! - disse loro, quando li raggiunse. La luna piena le
permetteva di vedere che entrambi erano conciati piuttosto male - Zio
Jesse sarà davvero fiero di voi due quando vi
vedrà. Darvele come due bambini mentre lui è in
ospedale….Non ho parole, ragazzi! Dovreste
vergognarvi!”
Bo non
rispose. Non aveva neppure la forza di aprire gli occhi. Si sentiva
come se fosse stato investito da una mandria di bufali.
Il famoso
destro di Luke gli era arrivato dritto nello stomaco, e ora il dolore
gli impediva quasi di respirare, figurarsi se poteva pensare o
addirittura rispondere alla cugina!
“È
colpa sua se zio Jesse è in ospedale”
borbottò Luke.
Gli ci volle
tutta la sua forza di volontà per riuscire ad articolare le
parole in maniera comprensibile.
Non avrebbe
mai immaginato che suo cugino picchiasse tanto forte.
Aveva male
dappertutto…
“Smettetela
subito! – ribatté Daisy che era furiosa con loro e
non cercava certo di nasconderlo – Io me ne vado a letto e
voi fareste bene a fare altrettanto! Sapete dove sono cerotti
e disinfettante o qualsiasi altra cosa vi possa servire!
Buonanotte.”
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Luke non aveva
nessuna intenzione di passare la notte all’addiaccio, ma
dovette provarci diverse volte prima di riuscire ad alzarsi e ad
incamminarsi, barcollante, verso casa.
Daisy aveva
lasciato le luci accese.
“Almeno eviterò di
inciampare in qualcosa!” pensò,
mentre andava in bagno.
Si tolse la
camicia e lo specchio, casomai ce ne fosse stato bisogno, gli
confermò che era ridotto piuttosto male: oltre al labbro
spaccato aveva diverse escoriazioni sul torace e sulle braccia e
parecchi lividi.
Prese il
disinfettante dall’armadietto e provò a sistemare
un po’ le cose, prima di andare a letto.
Bo
aspettò che le luci fossero spente, prima di alzarsi.
Non voleva
vedere nessuno ed era certo che Luke non si sarebbe lasciato sfuggire
l’occasione di attaccarlo di nuovo se si fossero trovati
faccia a faccia.
Seduto
sull’erba, con i grilli e la fresca brezza della sera come
unica compagnia cominciò a pensare.
“Che cosa ho fatto? No, come ho
fatto ad arrivare qui? Zio Jesse è in
ospedale….Si è sentito male vedendo il salto
sulle fiamme…..Come ha fatto ad arrivare là?
Nessuno avrebbe dovuto sapere niente……E Daisy
è furiosa con me, per quello che ho fatto allo zio e per la
rissa con Luke…..Luke, già, Luke…..So
che non mi perdonerà mai per tutto quello che è
successo……”
Atlanta
– Dicembre
“Questo
è tutto – disse Daisy a Meg – La mattina
dopo di Bo non c’era più alcuna traccia. Ha
lasciato solo un biglietto per lo zio in cui diceva di avergli fatto
già abbastanza male, anche se involontariamente e che quindi
preferiva evitare di fare altri danni. Due stupidissime righe, capisci?
Se n’è andato senza nemmeno provare a spiegare e a
chiarire le cose….”
“E
tuo zio? Tuo cugino? Come mai non l’hanno cercato?”
chiese Meg.
“La
convalescenza di zio Jesse è stata più lunga del
previsto; il fatto che Bo se ne sia andato non l’ha
certamente aiutato, credimi. E Luke…Bhè, Luke
è Luke…...Se lo conoscessi capiresti
perché ha agito così. È un uomo buono,
ma vede tutto bianco o nero. Per lui una cosa è giusta o
sbagliata, non conosce mezze misure e far ammalare zio Jesse
è il peggior crimine che chiunque possa commettere, per lui.
Vedi i miei
cugini sono bravi ragazzi, ma niente può fermarli, non
accettano di rendere conto a nessuno, eccetto lo zio
Jesse…Non so se riesco a spiegarmi…”
rispose Daisy.
“Ho
capito perfettamente, credimi. Ma ora dobbiamo trovare un modo per
riunire la tua famiglia. Anche Bo sta male, senza di voi”
ribatté Meg.
Daisy
capì di aver trovato un alleato nel cuore generoso e
romantico di quella donna gentile e generosa.
“Tu…conosci
bene mio cugino?” le chiese
“Franck
l’ha aiutato a trovare casa e lavoro e io non so resistere ai
cuccioli smarriti, così abbiamo fatto il possibile, ma Bo
non permette a nessuno di avvicinarsi troppo a lui. Noi abbiamo un
figlio, Peter, che ha dieci anni, una volta gli ha costruito un
aquilone e gli ha insegnato ad usarlo ed è l’unico
con cui tuo cugino sembra parlare volentieri.
Alcune volte
riesco a convincerlo a mangiare qualcosa qui o gli mando qualcosa, ma,
ti ripeto, tiene tutti a distanza…bhè quasi
tutti, perché, sai….c’è una
processione praticamente ininterrotta di donne che entrano ed escono da
casa sua…..ma non penso che si confidi con loro, sai,
è davvero raro vedere la stessa ragazza per due volte di
fila…” raccontò Meg
Daisy era
un po’ imbarazzata. Sapeva che i suoi cugini
avevano sempre riscosso i favori dell’altro sesso, ma avevano
mantenuto una certa discrezione…evidentemente ora, Bo non si
preoccupava più di farlo.
“Mi
spiace dirti queste cose, evidentemente ti infastidiscono.....lo faccio
solo perché, vedi, io come ti ho detto ho un figlio.....e
penso che se tra dieci anni capitasse la stessa cosa a Peter mi
piacerebbe che ci fosse qualcuno disposti ad aiutarlo…..So
che Bo è convinto di essere perfettamente in grado di badare
a se stesso, ma io sono convinta che se stesse bene non avrebbe
quell’aria smarrita ed i suoi occhi non avrebbero
quell’espressione turbata . Mia madre mi ha sempre detto che
gli occhi sono lo specchio dell’anima e quelli di tuo cugino
raccontano cose che cerca di nascondere con troppa cura”
“È
la stessa cosa per noi credimi. A nessuno piace questa situazione: io,
zio Jesse che ha sempre ripetuto che i ragazzi non vanno tenuti nella
bambagia e che un uomo dev’essere libero di fare le proprie
scelte, anche se commette degli errori e poi si strugge per la mancanza
di Bo e soprattutto Luke che, da quando Bo se n’è
andato, è cambiato completamente” disse Daisy
“Troveremo
un modo per aggiustare le cose, te lo prometto”
dichiarò Meg, posando una mano sulla sua.
“Già,
lo troveremo. Ora non sono più sola”
ribatté Daisy, con fiducia.
Come avevo promesso ho postato
velocemente il 7° capitolo.
Spero vi piaccia.
Grazie a chi recensisce
puntualmente questa storia, ma anche a chi la legge semplicemente.
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Capitolo 9 *** Incontro ***
8: Incontro
Non
si può
fare
quello che si vuole
non
si può spingere
solo
l'acceleratore.
Guarda
un po’
ci
si deve accontentare.
(
Vasco Rossi – Il mondo che vorrei)
Come
due fratelli veri che fanno un po’ per uno di metà
Nella
stessa casa io e te rinchiusi in una sola libertà
(O.R.O.
- A mio fratello)
Atlanta
- Dicembre
“Bo
ho bisogno di te…per favore….”
Bo era davvero
sorpreso di sentire la voce della cugina, per diversi motivi:
in primo luogo
era andata via da Atlanta, una settimana prima, e, proprio come lui le
aveva chiesto esplicitamente, non si era più fatta viva.
Secondariamente
non ricordava di averle mai detto dove lavorava, figurarsi poi averle
dato il numero di telefono della ditta!
Terzo aveva
tagliato i ponti da mesi con il suo passato, perché mai
Daisy si rivolgeva proprio a lui, anziché a qualcun altro
della famiglia?
Tuttavia,
ancora una volta, non seppe resistere alla voce implorante della cugina
“Cosa
è successo?” le chiese, le altre risposte potevano
aspettare.
“Mi
sono fatta male…” piagnucolò Daisy,
all’altro capo dell’apparecchio.
“Che
significa che ti sei fatta male?” domandò ancora
lui, allarmato.
“Esattamente
quello che ti ho detto Bo! Mi sono fatta male e ho bisogno di
te!” ripeté lei, spazientita.
“Io
sto per uscire dal lavoro, dove sei?”
“Sono
alla tavola calda vicino a casa tua…Muoviti, ti aspetto
qui” dichiarò lei, prima di interrompere la
conversazione.
Luke Duke
guidava come un matto.
Correre per le
strade di Atlanta non era certo come farlo negli spazi aperti delle
amate campagne di Hazzard o nelle sue strade polverose, ma Luke era
disposto a fare qualsiasi cosa per raggiungere l’indirizzo
che Daisy gli aveva dato nel minor tempo possibile.
Quando sua
cugina aveva chiamato per dirgli che si era fatta male e aspettava in
un locale che andasse a prenderla si era davvero spaventato.
Daisy era
andata in città a trovare una sua amica, ma evidentemente
qualcosa era andato storto.
C’erano
mille ragioni che mettevano Luke in ansia:
-
l’incidente di Daisy
-
il fatto che lo zio Jesse si trovasse anche lui fuori
città, a far visita alla cugina Lavinia; non sapeva se
considerarlo una fortuna, visti i precedenti, o meno…
-
e l’auto che guidava. Lo zio
Jesse aveva preso il suo furgone e Daisy aveva portato la
macchina da Cooter, quindi lui era stato costretto ad usare il Generale.
Il vecchio
Generale Lee ( l’auto dei suoi sogni, che lui e Bo avevano
costruito e reso membro affettivo di tutte le loro avventure) e che era
rimasto chiuso nel granaio per due lunghi mesi.
Luke
sentì una dolorosa fitta di amarezza, pensando al cugino,ma
la ricacciò indietro con forza.
“Non sono stato io a
scappare” pensò, indirizzando
immediatamente le proprie considerazioni ad altri argomenti e
stringendo il volante talmente forte che le nocche gli diventarono
bianche.
Bo corse
velocemente verso la tavola calda di Franck e Meg.
“Che diavolo ci fai
qui Daisy? Cosa sei venuta a fare ad Atlanta?”
si domandò, sapendo che, in realtà, la sola cosa
che gli importava veramente era il benessere della cugina.
Spalancò
la porta e si stupì di trovarla deserta.
“Daisy?
Franck? Meg? C’è nessuno? Dove siete?”
gridò. “Siamo nel retro Bo, vieni”
rispose Meg e lui non se lo fece ripetere due volte.
Luke
parcheggiò il Generale e lesse per l’ennesima
volta l’indirizzo che Daisy gli aveva dato e che aveva
scarabocchiato frettolosamente su un pezzo di carta.
Entrò
nell’unica tavola calda dei paraggi.
“Buonasera,
sono Luke Duke, cerco mia cugina” disse alla donna
indaffarata dietro il bancone del bar.
“Oh,
certo, venga pure, l’abbiamo fatta sistemare nel retro,
pensando sarebbe stata più comoda, vada pure”
rispose lei con un sorriso.
“Grazie
mille. Scusate per il disturbo…”
ribatté lui
“Ma
si figuri, vada, vada…Non faccia aspettare sua
cugina” ribadì la donna.
Luke si
ritrovò improvvisamente in una stanza buia.
“Ma
che succede? – chiese, cominciando ad allarmarsi –
Daisy dove sei?”
Sentì
una porta chiudersi alle proprie spalle e, nello stesso momento, si
accese la luce.
Quello
sembrava, realmente, il retrobottega, anche piuttosto confortevole, di
un locale, ma non c’era alcuna traccia di sua cugina e lui
era chiuso là dentro.
Provò
a buttare giù la porta, ma era robusta e chiusa
dall’esterno per cui ogni tentativo fu inutile.
“Che
significa?” gridò ed inaspettatamente
sentì la voce di Daisy
“Significa
che sono stanca di sopportarvi! Che vi state comportando come bambini
capricciosi! E siccome siete cocciuti come muli e non riuscite a
mettere da parte il vostro stupidissimo orgoglio ci ho pensato io!
È ora che affrontiate la situazione!”
Luke non
capiva assolutamente nulla di ciò che stava succedendo.
“Che
vuoi dire? Daisy apri immediatamente questa porta!”
ordinò, ma non ottenne alcuna risposta.
“Che ci faccio qui?
Perché Daisy ha organizzato tutta questa storia?” si
chiese, ispezionando la stanza.
Vide
un’altra porta e non esitò un attimo ad aprirla.
Ciò
che si trovò di fronte lo lasciò senza fiato.
All’interno
di un piccolo sgabuzzino c’era Bo, imbavagliato e legato ad
un sedia.
Involontariamente
Luke cominciò a ridere di cuore, mentre si affrettava a
liberarlo.
“Chi
è stato?” gli chiese.
Bo fece un
lungo respiro, poi rispose “Ha organizzato tutto Daisy!
Quando usciremo di qui la strozzerò, lo giuro!”
Luke
continuò a ridere.
“Io
non ci trovo nulla di divertente! - sbottò Bo, seccato
– mi ha detto che era stufa di sopportare di avere a che fare
con uomini sciocchi e testardi e che aveva deciso di risolvere la cosa
a modo suo…”
“Ha
detto la stessa cosa anche a me” ammise Luke, facendosi serio.
I due ragazzi,
che non si vedevano da mesi, si guardarono con circospezione, per
qualche minuto.
Erano
impacciati e nessuno di loro sapeva che dire.
Fu Luke a
rompere il silenzio.
“Stai
bene?” chiese.
“Si”
fu la lapidaria risposta di Bo.
“Come
mai Daisy è qui?” domandò ancora Luke.
Bo gli
raccontò brevemente i precedenti incontri con la cugina.
“Quando
usciremo di qui tornatevene ad Hazzard e dimenticatevi di
me!” dichiarò, deciso.
“È
questo quello che vuoi eh? Te ne sei andato buttandosi tutto alle
spalle e ora non vuoi che nulla interferisca con la tua nuova vita,
no?” disse Luke, sarcasticamente.
“Come
ti permetti di dire una cosa del genere? Forse non ricordi che sei
stato tu a dirmi che avevo mandato zio Jesse in ospedale!”
ribatté Bo, con rabbia
“Dimmi
che avevo torto, se ne hai il coraggio!” berciò
Luke.
Erano in piedi
e la loro presenza sembrava riempire la piccola stanza.
Occhi negli
occhi,fiammeggianti di collera, mascelle serrate, mento proteso e pugni
chiusi entrambi sembravano pronti a scontrarsi di nuovo, come due mesi
prima.
“Non
servirebbe a nulla! Tu non vuoi ascoltare nessuno, me meno che
mai…..Sei chiuso nelle tue assurde convinzioni deciso a non
cambiare idea per nulla al mondo. Qualsiasi cosa possa dire o fare
sarebbe inutile” dichiarò Bo.
Luke fece per
rispondere, ma sentirono della voci, provenire dal locale.
“Non
è la voce di Franck – sussurrò Bo
sottovoce, facendo cenno a Luke di tacere – spegni la
luce”
Luke non
pensò neppure per un momento di obbiettare.
“Ehi
Jim, non vedo nulla, accendi quella maledettissima torcia!”
“Fa’
piano, sei cretino e vuoi che ci senta tutto il palazzo?”
“Ho
detto accendi quella torcia!”
“Ecco
sei contento ora?”
“Certo,
almeno vedrò dov’è la cassa e
potrò prendere i soldi, tu sei troppo stupido per
farlo!”
“Finiscila
di cercare rogne e muoviti! Non vorrai che quel tipo ci trovi qui per
colazione o che qualcuno avverta la polizia,vero?”
“Certo
che no! Sbrighiamoci!”
“Hai
sentito?” chiese Bo.
“Ma
certo che ho sentito. Sai dove posso trovare un coltello qui
dentro?” domandò Luke.
“No
che non lo so! Ma ho visto un tagliacarte sulla scrivania, credo vada
bene ugualmente…” rispose Bo che aveva capito
immediatamente le intenzioni del cugino.
Luke
armeggiò con la serratura della porta per pochi secondi e si
ritrovarono faccia a faccia con i due ladri che cercavano di svaligiare
la tavola calda.
Quella che
seguì fu una lite in piena regola.
E durante ogni
rissa, da sempre, Bo guardava le spalle a Luke e Luke guardava le
spalle a Bo, ciascuno dei due pronto a spalleggiare l’altro.
“Luke!”
Il pronto
avvertimento di Bo salvò Luke da una sedia in testa, ma la
distrazione gli costò una rovinosa caduta contro una delle
finestre e permise ai due malviventi di scappare.
In un attimo
Luke fu accanto al cugino.
“Tutto
bene? chiese.
“Si
- rispose brevemente Bo – Dobbiamo chiamare Franck”
“Chi?”
“Meg
e Franck Jones, sono i padroni di questo posto. Il loro numero dev’essere
sull’elenco; ce n’è uno accanto al
telefono, laggiù – Bo indicava un apparecchio,
all’angolo del locale – potresti chiamarli, per
favore?”
Luke non se lo
fece ripetere due volte.
Quando si
voltò vide suo cugino che cercava maldestramente di
fasciarsi una mano con uno straccio.
“Che
fai?” gli chiese, sinceramente preoccupato.
“Nulla”
borbottò Bo.
“Fammi
vedere la mano!” gli ordinò.
“Smettila
Luke! Non è nulla!” ribatté.
“Se
non è nulla perché non posso vederlo? Mi sembra
che stia sanguinando…” insistette Luke.
“Mi
sono tagliato con il vetro… - ammise Bo - ma non
è niente!”
“Fammi
vedere la mano!” ripeté Luke, perentorio.
Bo, se pure
controvoglia, gli porse la mano.
“Non
credo ci vorranno dei punti, ma devi comunque disinfettarla…
- disse – credi che avranno qualcosa qui?”
“Cosa
ha detto Franck?” chiese Bo, cambiando discorso.
“Sta
arrivando – rispose Luke – tu sta’ fermo,
io vedo se riesco a trovare qualcosa per quel taglio”
“Puoi
farne a meno. Contrariamente a quello che pensi so cavarmela anche da
solo. Anzi, ora che ci penso, non c’è bisogno che
resti qui.” Ribatté Bo, in tono duro.
Luke
guardò il cugino negli occhi, quegli stessi occhi che si
erano rivolti fiduciosamente a lui per ventun’anni e quello
che vide lo spaventò.
Non
c’era fiducia, né ammirazione né gioia
di vivere, divertimento o felicità in quegli occhi azzurri e
il viso di Bo non aveva la solita espressione scanzonata, un
po’ irriverente e allegra.
“Cosa
ti ho fatto?” pensò, terrorizzato.
E la rabbia
nei confronti del cugino, la rabbia che per mesi l’aveva
tenuto chiuso nel proprio dolore, assurdamente puntato sulla propria
posizione che considerava quella giusta, si trasformò in
rimorsi e ripianti.
Quando Bo era
arrivato alla fattoria aveva voluto prenderlo in braccio ad ogni costo,
tormentando lo zio Jesse e la zia Martha che, alla fine avevano ceduto
alle sue insistenze. Luke si era ritrovato tra le braccia un fagottino
scalpitante di pochi mesi che l’aveva conquistato con un
sorriso senza denti e due limpidi occhi celesti.
Bo aveva
imparato a parlare imitando Luke e a camminare per stargli dietro.
Luke gli aveva
insegnato a guidare e, prima ancora, ad andare in bicicletta, a
sparare, a nuotare, a cacciare, a cavalcare, a pescare…
Avevano
vissuto sempre insieme, condividendo ogni cosa…….
Luke
andò nel retro per tornare, poco dopo, con una cassetta del
pronto soccorso.
“Ho
trovato questa, dovrebbe bastare… - disse – dammi
la mano”
“Luke…ti
ho già detto che me la caverò.
Vattene!” ripeté Bo.
“Ok.
Per me non è facile, parlare di certe cose. Non lo
è mai stato, ma ora per favore, ascoltami. Daisy ha
ragione,sai? Ci siamo comportati come bambini viziati e capricciosi e
nessuno dei due ha più l’età per i
capricci. Io non avrei dovuto aggredirti in quel modo, la notte in cui
zio Jesse è stato male. Non ti ho dato la
possibilità di spiegarti,hai ragione…. Ho deciso
a priori che tutto quello che successo era colpa tua perché
avevo bisogno di un capro espiatorio…Sai zio Jesse
malato…..io credo di aver avuto paura
perché…non è mai stato male prima di
allora ed l’unico…l’unico punto fermo
nella mia vita….Non ho pensato che tu sicuramente provavi le
stesse cose e per questo ti chiedo scusa. E anche prima, con quei
due…mi hai salvato, come hai vecchi tempi.
Grazie.” rispose Luke.
Bo
guardò il cugino, incredulo.
“Mi
stai chiedendo scusa? Mi sembrava di essere stato io a combinare
quell’enorme casino… Perché questo
cambiamento improvviso?” gli chiese.
Luke
sospirò.
“Sei
una testa dura eh? Ma di cosa mi stupisco, lo sei sempre stato! Tu sei
stato irresponsabile, ma hai agito a fin di bene. Se le cose sono
degenerate la colpa è di entrambi. Non avrei dovuto parlarti
in quel modo né tanto meno colpirti, quel giorno”
“Non
devi chiedermi scusa. Ho combinato un disastro e, sai una cosa? Quella
sera…bhè…io credo che tu avessi
ragione. È stata tutta colpa mia…”
“No,
non è vero. Hai commesso uno stupido errore, ma non sei
stato tu a far star male zio Jesse.”
“Lo
pensi sul serio?”
Dio
quanto era sempre stata importante per Bo, l’approvazione di
Luke!!!
E
quanto si sentiva stupido, Luke, per avere lasciato che Bo se ne
andasse e non averlo cercato e riportato a casa!
“Mai
stato più serio di così”
dichiarò Luke, mentre medicava la mano del cugino.
“Ecco
fatto. Non sono bravo come zio Jesse, ma dovrebbe andar bene
comunque” disse.
“Dimmi
che mi hai perdonato” ribatté Bo, inaspettatamente.
“È
tanto importante ciò che penso io?”
domandò Luke, per tutta risposta
“Lo
è sempre stato” ammise, sinceramente, Bo.
“Ok
io ti perdono, ma solo se tu perdoni me” ribatté
Luke
“Questo
pareggia i conti?” chiese Bo
“Immagino
di si… Solo una cosa, cugino…”
borbottò Luke
“Dimmi”
“Se
ti salta in mente di fare di nuovo una cosa così stupida fai
in modo che io non ne venga mai a conoscenza, perché se
dovessi scoprirla giuro che ti chiudo nel granaio fino a quando non
riacquisterai la ragione!” dichiarò Luke.
Bo sorrise,
ricordando le volte in cui suo cugino l’aveva fatto sul serio.
“Promesso”
Ecco qui il penultimo
capitolo.
Come sempre spero vi piaccia.
Un grazie speciale a chi mi lascia un commento (Lella, Lu, Marzia e
i1976), ma anche a chi legge soltanto.
A presto col 9° e ultimo capitolo, Jiul.
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Capitolo 10 *** La scelta ***
9: La scelta.
"La vita è
come un circuito, devi continuare a girare senza mai fermarti. Chiaro,
puoi perdere il controllo e schiantarti, ma
se non affronti
quella curva, non imparerai mai a superarla".
("Hazzard ")
Si può essere amici per sempre,
anche quando le vite
ci cambiano,
ci separano e ci
oppongono / Puoi alzare barriere, litigare con dio,
cambiare famiglia e
città,
strappare anche foto
e radici, ma tra amici
non c'è
mai un addio. (Pooh – Amici per sempre)
Atlanta – Dicembre
Franck e Daisy si erano precipitati al locale immediatamente dopo aver
ricevuto la telefonata di Luke.
Avevano lasciato Meg a casa, con Peter, preferendo non spaventare il
bambino.
Trovarono Luke e Bo seduti ad uno dei tavoli.
“Io non so davvero come ringraziarvi…”
disse Franck.
“Non deve ringraziarci. In fondo non è merito
nostro ma suo e di Daisy che ci avete chiuso qui” rispose
Luke con un sorriso sincero che gli illuminava il viso.
“Io…bhè….grazie
comunque… - ribadì Franck –
dovrò passare la notte qui; non posso lasciarlo col vetro in
quelle condizioni, quindi gradite un caffè?”
“No grazie. Io voglio solo tornare a casa. Ci vediamo Franck
- rispose Bo, poi si rivolse ai cugini – Voi venite con
me?”
“No, io resterò ad aiutare Franck, per ora. Poi
voglio tornare da Meg e tranquillizzarla, non mi va che stia sola;
casomai vi raggiungo più tardi” rispose Daisy.
Le era bastato un attimo e un’ occhiata per capire che i suoi
cugini avevano ricominciato a parlarsi e le parole di Bo,
involontariamente, l’avevano confermato, ma sapeva anche che
ci sarebbe voluto del tempo ed intendeva approfittare di qualsiasi
occasione per velocizzare la cosa.
I ragazzi annuirono, senza pensare neppure lontanamente di obbiettare:
primo perché conoscevano la cugina e avevano imparato da
tempo che nulla riusciva a farle cambiare idea, quando era determinata
a fare qualcosa, secondo perché sentivano di aver lasciato
il discorso in sospeso: c’erano ancora troppe cosa da
chiarire, tra loro.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Luke seguì Bo all’interno del minuscolo
appartamento.
Com’era diverso dalla casa in cui erano cresciuti.
La fattoria non era certo un’abitazione signorile (anzi!),
eppure era calda, spaziosa, luminosa e profumata.
Quella non sembrava nemmeno una casa, ma una scatola, tanto era
piccola; e poi era disordinata con il letto sfatto e bottiglie sparse
un po’ ovunque.
“C’è stato un tornado e sei stato
investito dai rifiuti di uno negozio di liquori?”
provò a scherzare Luke.
“Non sei divertente. Lo so che qui è terribile, ma
non ho avuto tempo di mettere in ordine…Non aspettavo
visite…” rispose Bo.
Luke deglutì. Voleva sapere cosa era successo, era
terribilmente curioso, diamine per oltre vent’anni aveva
saputo tutto ciò che riguardava suo cugino ed ora,
improvvisamente, gli sembrava quasi di non conoscere il ragazzo che gli
stava di fronte.
“Bene
– pensò – se voglio che le cose tornino
come prima devo fare come ho sempre fatto!”
“Vuoi farmi credere che, in questi due mesi, quel letto non
ha visto nessun’altro oltre te?”
Lo stava provocando, volutamente; era sempre stata una loro abitudine,
quasi un gioco, scherzare sulle donne.
“Non credo che la cosa ti riguardi, sai..”
ribatté Bo.
Non sembrava disposto a scherzare.
“OK, cugino, è chiaro che c’è
qualcosa che non va. Non sei mai stato bravo a nascondere le cose. Di
che si tratta?” chiese Luke, sedendosi su una sedia,
stranamente libera.
“Già quella è la tua
specialità. Bhè sai che c’è?
Le cose cambiano e anche le persone. Io sono cambiato in questi
mesi!” dichiarò Bo.
Sembrava pronto a ricominciare a litigare, come se la chiacchierata
alla tavola calda e i loro chiarimenti non fossero mai esistiti.
Luke si ripropose di mantenere la calma e di comportarsi in maniera
matura e responsabile.
“È
quello che ho sempre fatto – considerò
– niente di
più. So come trattare Bo, devo solo ritrovare le vecchie
abitudini!”
“Lo immagino. Non dev’essere stato facile. Ma sai
una cosa è stato difficile per tutti…Si tratta
solo di capire se vogliamo che le cose tornino com’erano o
rimangano come sono” disse, semplicemente.
Bo tacque, per alcuni minuti, poi si sedette di fronte a lui, buttando
per terra i giornali che occupavano la sedia.
“Io non lo so, Luke. Non so che fare” ammise.
Per una volta Bo, sempre così espansivo e disposto a
comunicare, non riusciva a trovare le parole giuste.
Scappare da Hazzard non
era stata un’idea geniale e tante , troppe volte aveva
desiderato tornare indietro, ma non l’aveva fatto, per
orgoglio, ma anche per paura di fare ancora del male alla propria
famiglia e si era consolato con una donna, con una bottiglia o con
entrambe.
Aveva perso il conto di
quante “amiche” occasionali erano entrate nella sua
vita e nel suo letto e ne erano uscite velocemente, senza riuscire a
colmare il vuoto che si portava dentro.
Non avrebbe mai saputo
dire quante sere aveva trascorso davanti alla televisione con una
birra, due birre, tre birre, o quante volte avesse tentato di scacciare
i suoi incubi con una bottiglia di liquore….
Eppure era riuscito a
mantenersi a galla, a dare alla sua vita, se non un senso, una certa
stabilità: aveva trovato un lavoro e si era allontanato dal
vizio del bere con la stessa rapidità con cui aveva
cominciato.
Aveva capito che
accettare il lavoro sporco che Jackal Harrison gli aveva proposto non
era stata una mossa intelligente, ma aveva paura di pensarci
perché in fondo al cuore sapeva che l’avrebbe
fatto di nuovo, per aiutare lo zio Jesse, se solo fosse stato sicuro di
non farlo star male…
Sì: vivere da solo, camminare con le proprie gambe, senza avere nessuno, senza
volere nessuno accanto era stato tremendo, specie per un
tipo come Bo, abituato ad avere intorno una famiglia, diversa da quelle
tradizionali, ma affettuosa e soprattutto estremamente unita.
“Cosa vuol dire che non sai che fare?” chiese Luke
allibito.
“Ho bisogno di tempo. Per pensare. Mi hai sempre detto che
non rifletto mai su ciò che faccio, bhè, dovresti
essere fiero di te, perché ho imparato la lezione cugino.
Stavolta ci penserò bene, prima di fare qualcosa!”
dichiarò Bo.
Luke si alzò.
“A questo punto non ha più senso che io resti qui.
Vado a prendere Daisy e me ne vado. Se vuoi tornare a
casa…bhè…conosci la strada e sai che
la porta è sempre aperta” disse.
Sentiva di dover rispettare la scelta del cugino, anche se gli faceva
un male cane.
“Abbi cura di te” gli disse, prima di andar via,
chiudendosi la porta alle spalle.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
“Così tu l’hai lasciato lì,
da solo?!”
Il tono di Daisy era tutt’altro che amichevole.
“Cos’altro avrei dovuto fare secondo te? Prenderlo
per un orecchio e portarlo via per forza? Nel caso non te ne fossi
accorta nostro cugino non è più un bambino, anzi
è maggiorenne e ha diritto di vivere la propria vita come
vuole!” rispose Luke.
“È
un uomo! – ribatté Daisy –
Ma davvero sei così ottuso Luke! Cavoli sei sempre stato il
più sveglio ed ora proprio non ci arrivi, vero? Se Bo non
vuole tornare a casa è perché ha
paura!”
“Paura? E di cosa mai dovrebbe aver paura?”
domandò.
Non gli piaceva essere ripreso dalla cugina, ma proprio non capiva dove
volesse andare a parare.
“Paura! Ah, scusa, gli uomini forti e virili non hanno mai
paura; quella è un cosa riservata alle donne, non
è vero? Specialmente gli uomini
Duke….Bhè vi sbagliate e di grosso! –
dichiarò lei decisa – e ti giuro che se Bo non
tornerà a casa al più presto ti
renderò la vita impossibile, fino a quando non verrai ad
Atlanta a riprenderlo, chiaro? Sai che ne sono capace perché
tu sarai anche un Duke, mio caro, ma sai cosa c’è
di peggio di un Duke arrabbiato? Una Duke arrabbiata!”
Luke sbuffò, irritato, sapendo che Daisy non parlava a
vanvera ed prima entrò nel Generale per raggiungere Hazzard
nel più breve tempo possibile!
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Hazzard,
24 Dicembre.
Era già passata una settimana da quando Daisy e Luke
l’avevano incontrato ad Atlanta e Bo non si era ancora fatto
vivo.
Avevano deciso di non raccontare nulla allo zio che in quel periodo
appariva davvero sereno, quasi felice, per evitargli ulteriori
dispiaceri.
“Stasera a cena saremo solo noi tre, non sembrerà
neppure un vero Natale…” borbottò
Daisy, mentre apparecchiava svogliatamente la tavola.
“Smettila di lamentarti. Sappiamo che sta bene ed e abbiamo
deciso che è giusto rispettare la sua scelta!” la
rimproverò Luke, sebbene l’assenza di Bo fosse un
enorme buco, non solo a tavola, ma dentro di lui.
“Tu hai deciso!” ribatté lei,
visibilmente contrariata.
“Deciso cosa?” chiese lo zio Jesse, arrivato in
quel momento in cucina.
“Nulla, zio” rispose Luke, lanciando
un’occhiataccia alla cugina.
“Daisy, tesoro, aggiungi quattro posti, ho invitato qualche
amico a cena - disse lo zio, sorridendo ai nipoti -
anzi, vorrei che veniste di là a salutarli”
“Subito” risposero i due all’unisono.
In salotto troneggiava lo splendido albero di Natale che Jesse aveva
addobbato con le decorazioni che appartenevano alla famiglia da sempre;
qualcuna era sciupata, qualcun’altra incollata, ma a nessuno
sarebbe mai venuto in mente di buttarle via, perché facevano
parte delle loro tradizioni!
“Ho un regalo per voi, nipoti, anzi, per noi!”
dichiarò lo zio.
Sul divano erano seduti i Jones: Franck, Meg ed il giovane Peter ed in
piedi, accanto al camino, c’era Bo.
Lo zio Jesse scambiò uno sguardo d’intesa col
nipote più giovane e sorrise, sornione, agli altri due: era
chiaro che era fiero dello splendido scherzo che aveva organizzato.
Daisy corse verso Bo e si strinse forte a lui e se Luke li
separò fu solo per abbracciare, a sua volta, il cugino.
“Sono tornato a casa” disse Bo e nessuno aggiunse
nulla a quella semplice frase che diceva tutto.
Alza gli occhi
e guarda lassù,
è Natale non
soffrire più.
(Bianco Natale)
_ The (happy) End -
Eccoci alla fine della storia.!
Lo so, l'happy end,
probabilmente era un po' troppo scontato, ma che volete farci? Io adoro
il lieto fine e poi siamo sotto Natale, non potevo mica terminare con
una strage, no?!
Scherzi a parte, grazie
sinceramente, a chi ha impiegato un po' del suo tempo per leggere
questa fic e grazie alle mie care amiche - Lella, Marzia, i1976, Lu e
Thia - per le loro graditissime recensioni.
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