Il fine non giustifica i mezzi

di Jiuliet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La decisione di Daisy ***
Capitolo 3: *** é cominciata così... ***
Capitolo 4: *** Jackal Harrison ***
Capitolo 5: *** A volte è più facile confidarsi con gli estranei ***
Capitolo 6: *** L'ultima gara ***
Capitolo 7: *** All'ospedale. ***
Capitolo 8: *** La lite ***
Capitolo 9: *** Incontro ***
Capitolo 10: *** La scelta ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


IL FINE NON GIUSTIFICA I MEZZI.


            Ci si sente soli dalla parte del bersaglio
E diventi un appestato quando fai uno sbaglio
                            (Jovanotti- Fango)
                                                                                                                                      
PROLOGO

DICEMBRE

Bo entrò in casa, dopo una lunga giornata di lavoro.
…..“Casa”…..
Poteva chiamarla casa quella?
Poteva, un ragazzo nato e cresciuto in campagna, abituato agli spazi apparentemente infiniti, sentirsi a casa in un monolocale di trentacinque metri quadrati nella città di Atlanta, in Georgia?
Sospirò.
Non gli erano mai piaciute le grandi città.
Gli sembrava di soffocare, l’aria era pesante, quasi irrespirabile.
C’era troppo traffico, troppo rumore, poco spazio e a nessuno importava nulla dei propri simili (Bhè, magari quella era una caratteristica che, almeno per il momento, gli faceva comodo. Non aveva alcun bisogno di qualcuno che gli facesse delle domande a cui non voleva rispondere!)

“Non è il caso di lasciarsi andare a ripensamenti né di farsi prendere dalla nostalgia e da stupidi sentimentalismi – si disse – hai fatto la scelta giusta. Ora è questa la tua vita ed è meglio che cerchi di ricavarne il massimo”

Si avvicinò al frigorifero e prese una birra. Sarebbe stata la sua cena per quella sera; non aveva voglia di cucinare né tantomeno di uscire.
Voleva solo dormire e desiderava ardentemente che,almeno per una notte,i terribili incubi che avevano ricominciato a perseguitarlo non lo tormentassero.






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Capitolo 2
*** La decisione di Daisy ***


1° capitolo: La decisione di Daisy

Dicembre

                        Forse non sai quel che darei
Perché tu sia felice
Piangi lacrime di aria
Lacrime invisibili
Che solamente gli angeli
san portar via
(Elisa-Una poesia anche per te)



Hazzard

Daisy osservò lo zio Jesse.
Benché cercasse di non darlo a vedere era preoccupata per lui.
Non era la sua salute a farla stare in pensiero, quanto piuttosto il suo umore.
“Io e Melany andiamo in città  domani. Hai bisogno di qualcosa?” gli chiese.
Lo zio, che era seduto sulla sua poltrona preferita, di fronte al camino acceso, le rivolse un’occhiata amorevole prima di rispondere “No, tesoro, grazie, ma non mi serve nulla.”
“Sei sicuro?” insistette lei, cercando di scuoterlo dal suo torpore e di coinvolgerlo nella conversazione.
“Si” affermò brevemente lui, tornando a rivolgere la propria attenzione alle fiamme crepitanti.
“Starò via tutto il giorno. Vogliamo fare acquisti per cui partiremo presto, prima che il caos ed il traffico diventino insopportabili” spiegò lei, sedendosi sul bracciolo della sua poltrona e accarezzandogli affettuosamente la spalla.
“Passa una bella giornata, con la tua amica” disse lo zio.
Daisy, che aveva voglia di piangere e di gridare con tutto il fiato che aveva in gola, si limitò ad annuire e rivolgergli un piccolo sorriso, prima di alzarsi e andare in cucina.

“Zio Jesse dove sei? Dove sei?
Per favore, Signore, ridammi mio zio: brontolone, polemico, testardo, a volte burbero, ma tenero,sempre indaffarato, affettuoso, ottimista…
Mi mancano i suoi rimproveri tanto quanto le sue risate…
Perché non può tornare tutto come prima?” si chiese Daisy mentre ricacciava indietro le lacrime che le pungevano gli occhi e apparecchiava la tavola per la cena.



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Daisy uscì di casa presto per andare a prendere la sua amica.
Non le piacevano i mezzi pubblici e, come tutti i Duke, amava guidare per cui aveva deciso di andare ad Atlanta in macchina.
Sarebbe stato sicuramente più comodo non dover camminare da una parte all’altra della città ingombre di buste e pacchi, se lei o Melany avessero fatto degli acquisti, ma poterli depositare in auto e spostarsi rapidamente da un negozio all’altro e non dover aspettare l’autobus per tornare ad Hazzard, una volta finite le loro spese.

“Ci voleva proprio! - esclamò Melany, prendendo posto accanto a Daisy che l’aspettava fuori casa – una giornata tutta per noi, è un secolo che non passiamo del tempo insieme!” Melany Peterson era un’amica di Daisy dai tempi della scuola. Era una ragazza semplice ed allegra con capelli chiarissimi, grandi occhi nocciola e una spruzzata di minuscole efelidi sul naso.
“Già” convenne Daisy, senza aggiungere nient’altro.
 “Hai già qualcosa in mente?” chiese Melany
“Riguardo cosa?” rispose Daisy
“Pensavo volessi acquistare qualcosa in particolare….”
“No…nulla, in realtà…Ma sono contenta di passare una giornata diversa, mi ci vuole un breck e se dovessi trovare qualcosa di carino non mi dispiacerebbe”
“È dura, eh?” domandò Melany
“Abbastanza. Pensavo che col tempo le cose sarebbero migliorate….speravo che le cose potessero tornare a posto…” ammise Daisy, a malincuore
“E non è stato così, vero?” chiese, ancora, Mel.
“No, affatto”
“Non si è fatto più sentire?”
“Nemmeno una telefonata, Mel. È sparito dalle nostre vite, da un giorno all’altro. E nessuno ne parla più…” mormorò Daisy
“Ci conosciamo da quando eravamo bambine, so di poter essere sincera con te.
 Da Luke me l’aspettavo, sai? Davvero pensavi che avrebbe agito diversamente?
E tuo zio? Dopo tutto quello che è successo…come si può dargli torto?”
“Hai ragione, ma questo non rende le cose più semplici…”
Melany osservò l’amica intenta ad scrutare, con esagerata attenzione, la strada davanti a loro.
Da tempo un velo di malinconia offuscava la luce solitamente brillante dei suoi occhi ed il suo sorriso vivace.
“Facciamo un patto: oggi dobbiamo pensare solo a ciò che ci fa stare bene,goderci questa meravigliosa giornata e divertirci, senza permettere a niente e a nessuno di fare il contrario, ok?” propose allegramente Melany.
“Ci sto!” rispose Daisy con convinzione.
Sentiva di aver bisogno (e diritto) di un po’ di svago!


Atlanta.

“Non ne posso più, sono sfinita!!!” esclamò Daisy
“Però ci siamo divertite!” constatò Melany
“Parecchio!” convenne Daisy.
Le due ragazze erano cariche di pacchi, perché, contrariamente alle loro previsioni, avevano fatto molti acquisti.
“Oh, no!” esclamò improvvisamente Melany, alzando gli occhi al cielo
“Che c’è?” chiese Daisy, preoccupata.
“Ho promesso a James che sarei andata a ritirare per lui dei francobolli che ha richiesto da tempo ad un negoziante qui in città. Mi ha chiesto di farlo appena ha saputo che saremmo venute ad Atlanta…Sai com’è fissato con i francobolli! Sono la sua passione da quando era piccolo! -  spiegò Melany (James era il suo fratellino e benché avesse già sedici anni lei, che si era sempre divertita a fargli da mammina, non sapeva rifiutargli niente!) – saresti così gentile da accompagnarmi, per favore? So che volevi tornare a casa, prima che facesse buio, ma James non mi perdonerà mai se torno a casa senza i suoi amatissimi quadratini di carta!”
Daisy sorrise all’amica, quindi disse “Ok, ma in cambio dovrai offrirmi un caffè e, forse, anche una fetta di torta”.
“Sapevo che eri un’amica. Avrai il tuo caffè, la torta e tutta la mia riconoscenza. James mi avrebbe reso la vita impossibile se fossi tornata senza francobollo, ne sono certa!” rispose Mel, scuotendo la testa, con finta irritazione.
Daisy sapeva benissimo che Melany e sua sorella Lucy adoravano il giovane James.
“Conosci l’indirizzo almeno?” le chiese
“Certo, figurati! Mio fratello mi ha dato istruzioni precise – ribatté Melany, battendo una mano sulla propria borsa – Ho due biglietti: uno per il negoziante, perché sa perfettamente che io non capisco nulla di francobolli, né m’interessa…e uno per noi con l’indirizzo!”
“Ragazzo previdente! - dichiarò Daisy – ora sii gentile, leggi l’indirizzo così cominciamo ad avviarci, altrimenti non torneremo più ad Hazzard!”


Il negozio a cui si riferiva James si rivelò essere la polverosa bottega di un rigattiere che però si dimostrò capace di soddisfare tutte le richieste del ragazzo.
“Ora non hai scampo: mi devi un caffè!” dichiarò Daisy, appena uscirono.
“Sempre che troviamo un posto adatto – rispose Mel – non mi sembra che qui intorno ci sia granchè…”
“Guarda laggiù – ribatté Daisy – quella è una tavola calda o qualcosa di simile…. Avranno del caffè, credo”
“Ci sto amica mia. Torta e caffè e possiamo tornare a casa!” dichiarò Melany.
Entrambe le ragazze sentivano la necessità di riposarsi un po’ prima di riprendere la strada del rientro, perché, a parte un veloce panino all’ora di pranzo, avevano passato l’intera giornata a camminare e fare acquisti.

“Buongiorno belle signorine, cosa posso portarvi?” chiese un uomo.
Non doveva avere neppure quarant’anni, ed era decisamente sovrappeso, ma aveva un viso aperto e simpatico e modi gentili.
“Caffè, per cominciare, e, magari, torta?” rispose Melany.
“La mia Meg prepara la torta di mele migliore della città!” dichiarò orgogliosamente lui, indicando con lo sguardo una donna che trafficava alacremente dietro il bancone del bar.
“Perfetto!” dichiarò Daisy e poco dopo due fumanti tazze di caffè e altrettante fette di torta erano sul loro tavolo.
“Grazie” dissero le ragazze all’unisono e lui rispose con un sorriso soddisfatto.
Mezz’ora dopo uscirono dal locale decisamente ritemprate.


“Oh, no! Ho dimenticato la busta con i francobolli di James! – esclamò Mel – torno subito!”
“Ti aspetto in macchina” rispose Daisy, ma prima che potesse raggiungere l’auto qualcuno attirò la sua attenzione, facendole sgranare gli occhi.
“Bo! Bo!” gridò ed il ragazzo alto e biondo si voltò, istintivamente, prima di affrettare il passo.
Daisy lo rincorse e, raggiuntolo, lo tirò per una manica della giacca.
“Bo Duke, non provare a sfuggirmi!” gli ordinò.
Lui si fermò e si voltò.
Lei non disse nulla, ma si buttò tra le sue braccia e lo strinse forte.


“Che ci fai qui?” gli chiese, un attimo dopo, senza staccare la braccia dalla vita del ragazzo.
“Daisy, per favore….”  mormorò lui, evitando i suoi occhi.
“Cosa Bo? Cosa?” domandò ancora Daisy.
“Non avresti dovuto venire qui, lo sai…” ribatté Bo.
“Non sono venuta per te, ma sono felicissima di avresti ritrovato. Ora devi tornare a casa con me” dichiarò lei, con decisione.
“No” rispose lui, semplicemente.
“Perché no?” insistette Daisy.
“Non voglio. Non posso.” affermò lui.
“Perché? Orgoglio o solo sciocca testardaggine? Spiegamelo, perché io non ci arrivo davvero” disse lei, con veemenza.
“Va’e lasciami vivere la mia vita” disse Bo, allontanandola bruscamente.
“Questa non è la tua vita e se tu non fossi così cocciuto lo ammetteresti e torneresti con me alla fattoria senza battere ciglio. Ti vogliamo bene e ci manchi.” asserì Daisy.
“Questa è la mia vita. E se è vero che mi vuoi bene, torna a casa e non parlare con nessuno di questo incontro” rispose Bo.
I suoi grandi occhi celesti erano offuscati di tristezza, nonostante il tono duro della voce e l’ostentata indifferenza.

Daisy sospirò, quindi disse “Se è quello che vuoi lo farò, ma sappi che a casa ti aspettiamo tutti”
“Non è vero, e lo sai” ribatté Bo.
“Siete peggio dei muli!” esclamò lei, quindi si voltò per tornare alla macchina.
“Daisy – la richiamò lui e le domandò in un sussurro – come sta zio Jesse?”
“La sua salute è quella di sempre; non sta male, ma gli manchi. Gli manchi tantissimo” ammise sinceramente lei.


Melany, di ritorno dalla tavola calda, trovò l’amica che l’aspettava, seduta in macchina.
Aveva gli occhi rossi, come se avesse pianto.
“Cosa è successo? Sembra che tu abbia visto un fantasma! ”  disse, allarmata
“Nulla, non preoccuparti – mentì Daisy – mi è solo entrato qualcosa negli occhi. È incredibile quanta polvere ci sia in questa città!”
“Su, torniamo a casa, allora!” ribatté Mel e le due ragazze partirono velocemente verso Hazzard.




Sono umane situazioni
quei momenti fra di noi
i distacchi e i ritorni
da capirci niente poi
(Eros Ramazzotti - Cose della vita)

Hazzard

Daisy, carica di borse e pacchetti, entrò in casa facendo attenzione a non inciampare e a non far cadere nulla.
“Ti serve una mano?” le chiese Luke, vedendola in difficoltà.
“Ho paura di perdere l’equilibrio, se sposti qualcosa…ma puoi aprirmi la porta della mia stanza” rispose.
Lui le fece strada e Daisy depositò (miracolosamente senza fare alcun danno!) ogni cosa sul pavimento, quindi si lasciò cadere sul letto e si sfilò le scarpe.
“Sono sfinita!” esclamò, in maniera teatrale.
“Immagino! – ribatté Luke – voi signore dovete esservi lasciate un po’ trasportare dalla foga degli acquisti…. Ho sentito dire in giro che lo shopping fa questo effetto alla maggior parte delle donne…”
Lei ignorò la benevola presa in giro del cugino e, fattasi improvvisamente seria, lo guardò in faccia e disse:
“Ho incontrato Bo”

Vide gli occhi di Luke farsi di ghiaccio ed il suo viso diventare inespressivo.

“La cosa non m’interessa” dichiarò Luke, con voce atona.
“Non dici sul serio! – lo contraddisse lei, con veemenza – Non ci credo! Noi tre, tu, io e Bo  siamo come fratelli. Non si dimentica un fratello, Luke, anche se ha sbagliato, anche se avete litigato! Oh, andiamo: non è la prima volta che voi due litigate e, credimi, spero con tutto il mio cuore che non sia nemmeno l’ultima; siete già arrivati a mettervi le mani addosso….
Io non capisco perché la facciate tanto lunga e come abbiate potuto alla vostra stupidissima cocciutaggine di arrivare fino a questo punto! E sai una cosa? Mi domando anche come zio Jesse abbia potuto permettervelo! Credo sia successo tutto solo perché lui non stava bene….e non poteva farvi ragionare: è l’unico al mondo in grado di farvi ritornare in voi, quando perdete di vista le cose!”
Luke fu investito dal fiume di parole della cugina, ma, com’era sua abitudine, cercò di mantenere la calma, almeno apparentemente.
“Non credo sia il caso che venga a parlarmi di zio Jesse, sai? Anzi ti proibisco di fargli parola di tutta questa storia! Sta’ bene ora e non voglio assolutamente che gli succeda qualcosa, sono stato chiaro?” disse, bruscamente.
Daisy si alzò dal letto e, postasi di fronte al cugino, rispose, senza sforzarsi affatto di mantenere sotto controllo i propri nervi o il tono della voce:
“Tu cosaaa? Credo di aver capito male….Zio Jesse sta bene?   Ma non lo vedi?   Ti fermi mai a guardarlo?    O il rancore ti ha accecato davvero Luke?    Zio Jesse non sta bene, non starà mai più bene se non riportiamo Bo a casa. Oh, certo, fisicamente si è ripreso: è un leone e ci vuole ben altro per metterlo K.O., ma….Fa’attenzione ai suoi occhi….quando, involontariamente, osserva le nostre foto, qui in casa, o quando è certo che nessuno se ne accorga e apre la porta della vostra stanza per richiuderla immediatamente, o ancora quando, a tavola, squadra quel posto vuoto…..     Non te ne sei accorto o fingi semplicemente di non vedere perché è più comodo?”
“Non hai il diritto di parlarmi così! Io ho sempre fatto ciò che dovevo per zio Jesse e per la nostra famiglia!” ribatté lui, sdegnato.
“Ah, no? Non ne ho il diritto? E chi ce l’ha questo diritto? Io ti parlo così perché ti voglio bene, così come ne voglio allo zio Jesse e a Bo…. Noi siamo una famiglia e una famiglia deve restare unita!” disse  Daisy.
Il tono della sua voce era notevolmente diminuito,mentre pronunciava le ultime parole.
“Te lo ripeto: non sono io che ho cominciato. Per me è un discorso chiuso!” affermò Luke, con decisione.
“Non puoi parlare così…Non è da te….” obbiettò lei, incredula.
“Perché? Mi conosci abbastanza bene per sapere che non mento e dico sempre ciò che penso.” ribadì lui.
“Non stavolta….Tu…tu sei arrabbiato, e probabilmente hai ragione. E sei ferito, anche se non vuoi ammetterlo…” replicò Daisy.
“Ciascuno di noi è responsabile delle proprie azioni, proprio come ci ha sempre insegnato zio Jesse” affermò Luke.
“Io……Tu…dici che ti conosco, ma giuro che mi sembra di non conoscerti affatto, non più…Cosa ti è successo?” domandò lei, sconcertata.
“Che vuoi dire?” chiese lui, per tutta risposta.
“Te l’ho già detto: noi tre – io, tu e Bo – siamo come fratelli. Siamo cresciuti insieme e nessuno ci ha mai diviso. Luke, per me e Bo, sei sempre stato un eroe, un modello, un esempio…..ma anche il nostro migliore amico…..eri sempre lì, pronto a tenderci la mano quando ne avevamo bisogno, ad abbracciarci e confortarci quando eravamo spaventati, a proteggerci…ci sei sempre stato, anche quando eri in guerra riuscivamo a sentirti vicino… Cosa è successo ora? Dove sei?” disse Daisy.
“Le cose cambiano, è la vita. Anche noi siamo cresciuti e cambiati. Ma sappi che io per te ci sarò sempre. Potrai sempre contare su di me” dichiarò lui, pacatamente.
“Certe cose non cambiano mai, non devono cambiare….Non  pensi a zio Jesse?” chiese lei.
“Sai bene che farei qualsiasi cosa per lui” rispose Luke, ed era sincero, perché amava suo zio come un padre e non c’era niente al mondo che non avrebbe fatto per lui.
“E Bo? Su chi potrà contare?” domandò ancora Daisy, senza curarsi di trattenere le lacrime che, oramai, scendevano copiose sul suo viso.
“Ti si sciupa il trucco, Daisy” mormorò Luke, cercando evidentemente di cambiare argomento ed eludere la domanda, ma lei insistette e ripeté : “Luke: su chi potrà contare Bo?”
“Non lo so e non credo mi riguardi. Non sono stato io ad andar via e a chiudermi tutto alle spalle” disse Luke, prima di lasciare la stanza.


Daisy rimase sola a domandarsi che fine avesse fatto la famiglia Duke, quella in cui era cresciuta, che amava e che avrebbe difeso con le unghie e con i denti, se necessario.
“Ok – pensò – ho davanti a me tre uomini in gamba che si comportano come bambini. Che faccio? Me ne sto qui con le mani in mano a piangere come una sciocca? E no!
Daisy Duke: discendi da una stirpe di donne determinate e tenaci; dai tempi dei pionieri le donne Duke sono state accanto ai loro uomini nella buona e nella cattiva sorte!
Sei stata allevata dalla zia Martha che, Dio la benedica, era una forza della natura: non puoi tirarti indietro!”

Così Daisy decise di dare una mano al destino.







Grazie a tutti coloro che oltre al prologo leggeranno anche questo primo capitolo.
Un ringraziamento speciale a chi mi ha lasciato una graditissima recensione: Thia, Lella, Lu e Marzia.
Ragazze spero che questo capitolo stimoli ancor più la vostra curiosità (per lo meno il mio intento sarebbe questo...) e che continuerete a seguire la fic.
Vi prometto che dal prossimo cap le cose comiceranno a chiarirsi!
A presto, Jiuliet.




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Capitolo 3
*** é cominciata così... ***


2° Capitolo: È cominciata così…


You're still young, that's your fault
There's so much you have to know
[Sei ancora giovane, questa è la tua colpa
Hai ancora molte cose da conoscere]
(Cat Stevens - Father and son)



SETTEMBRE


“Sei sicuro di non voler venire?” chiese Bo a Luke.
“Si. Questo raffreddore non mi dà tregua. Non sarei comunque una buona compagnia…” rispose Luke sollevando gli occhi dalla rivista che, fino a quel momento, aveva catturato tutta la sua attenzione.
Aveva preso un raffreddore estivo, uno di quegli sciocchi malanni a cui nessuno dà importanza, l’aveva trascurato e si era trasformato in una sorta di infreddatura.
Niente di grave, certo, ma naso chiuso, mal di testa e stanchezza non fanno piacere e sicuramente non mettono addosso né allegria né voglia di uscire a divertirsi.
Luke preferiva di gran lunga trascorrere la serata a casa, in compagnia di zio Jesse e di qualcosa da leggere.
Bo sorrise, perché era strano vedere Luke malato, capitava davvero raramente, ma accettò di buon grado il suo rifiuto, prese le chiavi del Generale e si avviò verso la porta.
“Mi raccomando non fare troppo tardi” gli raccomandò lo zio Jesse.

Non gli piaceva Bo andasse in giro da solo.
Quel ragazzo era temerario sino all’imprudenza e spericolato fin quasi all’incoscienza.
Non che con Luke al suo fianco scansassero le grane, anzi!
Quei due erano finiti in ogni genere di pasticci! Pareva che l’unica cosa che riuscisse a correre veloce quanto loro sul loro amato Generale (se non di più!) fossero i guai!
Già: Luke, Bo e i guai arrivavano sempre pari al traguardo!
Jesse non riusciva nemmeno a ricordare quante volte aveva dovuto tirarli fuori dai problemi.. o dalla prigione!!!
Fortunatamente, un po’ per la loro buona sorte, un po’ perché non sempre erano colpevoli di ciò di cui venivano accusati, nella maggior parte dei casi riuscivano a cavarsela (anche se, alcune volte, proprio per il rotto della cuffia!).
Che fossero insieme era una cosa che, senza un motivo apparente o plausibile, rassicurava lo zio, convinto che “l’unione fa la forza”, che “due Duke sono sempre meglio di uno solo” e che se fosse successo qualcosa, per lo meno, ciascuno di loro avrebbe potuto contare sull’altro.

“Non preoccuparti non farò tardi….almeno credo” rispose Bo, strizzando l’occhio allo zio.
“Finiscila, con me non attacca! Non sono una delle tue ragazze!” borbottò zio Jesse.
“No, hai ragione, ma sei il mio zio preferito!” ribatté ancora il ragazzo.
“Sono l’unico”
“Zio Jesse: se non ti conoscessi penserei che sei permaloso!” esclamò Bo, sorridendo.
Jesse scosse la testa, riconoscendo l’ilarità nella voce del nipote, e ricambiò il sorriso, ma non rispose.
Dopotutto, anche se era il più giovane della famiglia, Bo aveva ventun anni, era abbastanza grande per cavarsela da solo e quella non era certo la prima volta che usciva senza Luke né sarebbe stata l’ultima!


                                                 ___________________________________________________________________________



Bo entrò al Boar’s nest con un sorriso di trionfo dipinto sul viso.
Aveva seminato Enos e Rosco che, mentre tentavano d’inseguirlo, erano finiti l’uno contro l’altro, producendo parecchie ammaccature alle auto e all’orgoglio.
Gli dispiaceva per loro e per le macchine, ma non poteva negare a se stesso che lasciarsi indietro quei due, ogni volta che provavano a rincorrerlo, era uno dei suoi più grandi divertimenti.
“Ciao cugino. Hai l’aria piuttosto soddisfatta”
Bo si voltò e vide Daisy che gli offriva una birra
“Ciao cugina…Ho lasciato Enos e Rosco che litigavano su chi dei due si fosse fatto scappare l’occasione di acchiapparmi” rispose Bo, accettando la birra.
“E di chi era la colpa?” chiese lei, incuriosita.
“Di entrambi, ovviamente. No, anzi, poveretti, di nessuno. Il Generale è imbattibile, lo sai: quei due non possono nemmeno sperare di avvicinarlo!” ribatté lui, allegramente.
“Bo Duke, sei incorreggibile!” dichiarò Daisy, divertita.
Conosceva suo cugino e sapeva che ad Hazzard non c’era nessuno in grado di eguagliarlo, tranne Luke, ma non avevano mai gareggiato l’uno contro l’altro e Daisy era certa che non l’avrebbero mai fatto perché c’era troppa complicità tra di loro:
Bo aveva una macchina spettacolare (a cui lui e Luke avevano dedicato tantissime energie),  coraggio, talento e una buona dose di incoscienza.
Tutti i Duke amavano i motori e la velocità, Daisy compresa, per cui non poteva biasimare il giovane cugino.
“Come sta Luke?” chiese, cambiando discorso.
“Meglio credo. Quando sono uscito stava leggendo…” rispose Bo.
“È strano vedere Luke che sta male…”  dichiarò Daisy, pensosa.
“Già, ho pensato la stessa cosa oggi…” concordò Bo.
“Questo dimostra che il nostro caro cugino non è indistruttibile….contrariamente a ciò che pensa” ribatté Daisy, affrettandosi ad aggiungere “ Torno al mio lavoro o Boss mi licenzia! A dopo”
“A dopo” ripeté Bo.


                           ________________________________________________________________________________________



Mentre i cugini Duke chiacchieravano tranquillamente due tipi dall’aria tutt’altro che raccomandabile erano seduti in un tavolo piuttosto defilato al Boar’s nest e discorrevano tra loro, sottovoce.
“L’hai sentito no?”
“L’ho sentito, non sono sordo!”
“E allora?”
“Allora cosa? Il fatto che uno sbarbatello si vanti di essere il miglior pilota di questo paese dimenticato da Dio non significa assolutamente nulla”
Uno dei due, magro e dall’aria infida, si agitò nervosamente sulla sedia prima di rispondere.
“Non mi sembra che abbiamo molta scelta. Sai bene che Mr. Roger si aspetta che troviamo un concorrente per Roy….e fin’ora non abbiamo avuto fortuna. Non possiamo tornare a mani vuote senza nemmeno provarci!” disse
L’altro, robusto e con l’aria di uno che è più abituato a tirare cazzotti che a parlare, emise una specie di grugnito che venne evidentemente interpretato come un si, perchè lo smilzo si alzò e andò a sedersi accanto a Bo, al bancone del bar.
“Ehi – gli disse – ho sentito che ti piace correre”
Bo lo guardò, sorpreso, per un attimo, ma continuò a bere la propria birra.
“Sto parlando con te!” insistette l’uomo, quindi Bo si voltò verso di lui e rispose:
“Dalle mie parti si saluta e ci si presenta, quando si vuole parlare con qualcuno”
L’uomo gli rivolse uno sguardo truce, ma ribatté semplicemente:
“Ti va di scherzare, vero? Bhè, come vuoi. Io, comunque, sono Al Emerson e ho sentito che al volante te la cavi”
“Io mi chiamo Bo Duke e si: diciamo che in macchina me la cavo”
“Ho una proposta da farti” dichiarò Al, abbassando il tono di voce.
“Dimmi ”
“Non qui. Andiamo fuori ed il mio amico ed io – disse Al, indicando il suo compagno che era ancora seduto al tavolo – ti spiegheremo di che si tratta”
Bo era sospettoso, quel tipo non gli ispirava alcuna fiducia, ma non era mai riuscito a resistere all’allusione, sia pure indiretta, ad una corsa in macchina, quindi lo seguì, senza fare altre domande.




“I giri di parole non mi piacciono, quindi andrò dritto al punto,d’accordo? – disse Al, appena raggiunsero l’esterno del locale - È abbastanza semplice da capire: il nostro capo Mr. Roger – Jackal - Harrison cerca qualcuno in grado di sfidare Roy Holmes in una gara.
Puoi provarci, ma ovviamente prima dei dimostrarci di saper guidare. Il mio amico Rolf, qui presente, sarà felice di fare una corsetta contro di te sempre se te la senti….”
Bo stava per rispondere che non temeva nessuno, ma il suo buonsenso prevalse e rispose
“È giusto che anch’io vada dritto al sodo: è una corsa clandestina, giusto? Allora non se ne fa niente.”
“Nemmeno mezz’ora fa ti abbiamo sentito vantarti con la cameriera di aver seminato lo sceriffo ed il suo vice……Non pensavo avessi paura di loro…O forse hai paura di noi? Meglio saperlo prima, comunque. Non abbiamo tempo da sprecare con i ragazzini: torna pure dalla mamma!” rispose Al, sferzante.
Bo strinse i pugni ed ammise, a denti stretti:
“Sono in libertà vigilata. Se mi beccano mi mandano in galera con un biglietto di sola andata”
Rolf gli rivolse quello che, assurdamente, sembrava uno sguardo di rispetto, quindi chiese “Cos’hai combinato?”
Quel ragazzo non aveva l’aria di un criminale.
“Whiscky. Io e mio cugino siamo stati beccati a fare contrabbando e mio zio ha stipulato un patto col Governo” spiegò Bo.
“Nessuno ti prenderà, su questo puoi stare tranquillo. Mr. Jackal non ha nessuna intenzione di finire dentro, e nemmeno noi altri, se è per questo. Vogliamo solo fare un po’ di quattrini e divertirci. Mi sei simpatico, quindi ti do ventiquattro ore di tempo per rispondermi, ok? Ci vediamo qui domani alla stessa ora. Sappi che la tua percentuale, in caso di vincita, sarebbe di tremila dollari” affermò Al
Bo scosse la testa
“Non credo ci ripenserò, comunque” disse
Tremila dollari erano una cifra enorme, ma aveva la netta sensazione che il gioco non valesse la candela.
“Noi ci saremo” dichiarò Al, quindi lui e Rolf tornarono dentro e Bo si diresse verso il Generale.


          ______________________________________________



Alla fattoria Bo trovò solo lo zio Jesse che, seduto in cucina, consultava delle carte.
“Sei tornato presto…”  gli disse
“Ti avevo promesso di non fare tardi” rispose Bo, sinceramente.
“Già” ammise lo zio.
Per un momento Bo fu tentato di raccontargli lo strano incontro che aveva fatto al Boar’s nest perché era estroverso, quindi non riusciva a tenersi le cose dentro e perché era giovane e spesso sentiva ancora il bisogno di un consiglio o di un po’ di conforto,
ma l’espressione preoccupata sul viso dello zio lo convinse che sarebbe stato meglio tacere
“C’è qualcosa che non va?” gli chiese, invece.
“Non più del solito, perché?” ribatté lo zio, contemplando con uno sguardo orgoglioso il nipote.
“Mi sembri preoccupato…e…sì…non mi sembra giusto che…se ci sono  dei problemi… li affronti da solo…..Noi siamo adulti, ormai….” Spiegò Bo, ingarbugliandosi un po’ con le parole.
“Lo so. So di poter contare su di voi, in caso di bisogno – dichiarò zio Jesse, posando una mano su quella del ragazzo – ma non c’è nulla di diverso dal solito, davvero. Quella canaglia di J.D. Hogg ha aumentato l’ipoteca e  la vuole in anticipo, ma troverò, come sempre, il modo di farcela. Non preoccuparti: la fattoria sarà sempre la nostra casa e, finché avrò vita, non permetterò a nessuno di portarmela via!”
“Può farlo?” domandò Bo, ansioso.
“Può farlo,sì, ma ora va’ a letto. Domani dobbiamo alzarci presto…” dichiarò lo zio.
“Buonanotte”
“Buonanotte figliolo”

Jesse guardò il nipote lasciare la cucina.
“Ce la farò anche stavolta – pensò – come sempre. Ho tre splendidi nipoti al mio fianco. Insieme possiamo conquistare il mondo”
E quella riflessione gli diede la speranza che, in un primo momento, sembrava quasi sul punto di perdere.





Bo entrò nella propria stanza e si accorse immediatamente che suo cugino dormiva.
Si spogliò e si stese sul proprio letto cercando di fare il minor rumore possibile, per non disturbarlo.
Luke riposava, tranquillo nonostante il raffreddore, almeno all’apparenza, ma Bo non riusciva a prendere sonno.
Sentiva troppe parole rimbombargli in testa.
“…Quella canaglia di J.D. Hogg ha aumentato l’ipoteca e  la vuole in anticipo……  
…Nessuno ti beccherà, su questo puoi stare tranquillo……
…Ho sentito che al volante te la cavi…...sfidare Holmes, in una gara…
…La tua percentuale, in caso di vincita, sarebbe di tremila dollari…
…So di poter contare su di voi, in caso di bisogno….”
La voce di zio Jesse si mescolava confusamente a quella di Al Emerson e alle sue riflessioni
“Non pensarci nemmeno! Anche ammesso che vinca se zio Jesse venisse a sapere da dove provengono i soldi non li accetterebbe mai! Bhè…Potrei evitare di farglielo sapere…In fondo lo faccio per la fattoria…Lui ha fatto tanto per noi…Per una volta potrei fare qualcosa io, alleggerirgli il carico……Non è una cosa di cui andare fiero, ma......il fine giustifica i mezzi, no?......Bisogna che tenga questa cosa per me, però…Non voglio che Luke rischi la sua libertà condizionata e sono fin troppo sicuro che se scoprisse qualcosa cercherebbe d’impedirmelo…”

Così, durante la notte, e senz’altro stimolato dalla sua impulsività, Bo, quasi inconsciamente prese la propria decisione.




Ok: il secondo capitolo è finito.
Grazie a chiunque ha letto la mia storia fino ad ora, spero che vi stia piacendo e continuerete a seguirla.
Grazie alle mie care "recensitrici" (si può dire "recensitrice" in Italiano o mi sono inventata un nuovo termine?): Lella, Thia, Lu; Marzia e i1976.
Spero che questo capitolo abbia soddisfatto, almeno in parte, la vostra curiosità...
Non vi ho fatto aspettare troppo, vero?
A presto, allora....


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Capitolo 4
*** Jackal Harrison ***


3° capitolo: Jackal Harrison.


Io non voglio alibi, scuse da perdenti.
Io non voglio essere quello che non sono.
C'è un'aquila in me
che grida libertà,
(G. Panceri – Il nido)



“Esci anche oggi?” chiese Luke , vedendo Bo che prendeva le chiavi della macchina.
“Si. Vuoi venire?”
“No. Credo stia meglio stare a casa. Alla fattoria c’è bisogno di tutte le braccia disponibili. Non voglio rischiare una ricaduta proprio ora che sto decisamente meglio”
“E bravo il mio saggio cugino! Vorrà dire che porterò i tuoi saluti a Loraine Gray, casomai dovessi vederla in giro…”
Le parole di Bo erano accompagnate da un sorriso sbarazzino.
“Non ci provare, cugino. Anzi fammi un grosso favore se davvero vedi Loraine, ok? Un piccolo ciao-ciao con la mano sarà più che sufficiente.” Rispose vivacemente Luke.
“E privarla della mia compagnia?” chiese ancora Bo, falsamente sorpreso e inquieto.
“Vedrai che Loraine continuerà a respirare, nonostante la grave perdita”
“Lo spero, altrimenti l’avrai sulla coscienza!” ribatté Bo con ilarità.
Luke scosse la testa, ma il suo volto esprimeva serenità e divertimento.
Nessuno dei due aveva mai fatto il galletto con la ragazzo dell’altro, nonostante gli scherzi e le battute.



Bo salì sul Generale e raggiunse in breve il Boar’s nest.
“Strano che né Enos né Rosco fossero nei paraggi…Solitamente non hanno nulla di meglio da fare che seguire me e Luke…quando non sono impegnati a truffare la città…” pensò, entrando nel locale.
Vide immediatamente Al e Rolf seduti allo stesso tavolo della sera prima.
Ok. Ho preso la mia decisone. È inutile tergiversare. Quei due non mi piacciono, questo è certo, ma non devono diventare i miei migliori amici. Mi basta che mantengano i patti” pensò e le parole “migliori amici” lo riportarono immediatamente a Luke.
Era assolutamente certo che se suo cugino avesse  scoperto qualcosa avrebbe usato ogni mezzo a sua disposizione per impedirglielo, forse avrebbe anche provato a chiuderlo nel granaio o nella loro stanza, come faceva quando erano più giovani.




“Ehi amico, devo dedurre che ci hai ripensato” lo apostrofò Al , non appena Bo arrivò al loro tavolo.
“Buonasera anche a voi” rispose lui.
La parola amico sulle labbra di quel tipo gli provocarono un fastidiosissimo brivido d’irritazione lungo la spina dorsale, ma era deciso a non farsi coinvolgere da quei due e a mantenere la calma ed il sangue freddo.
“Siediti con noi, beviamo una birra per brindare all’accordo” propose Rolf
Bo prese posto accanto a loro e Al ordinò un’altra birra per lui.
Daisy, arrivata al loro tavolo per servire da bere, indirizzò al cugino un’occhiata alquanto stupita, vedendolo seduto accanto a quei due, ma si astenne, saggiamente, dal fare commenti.
“La conosci?” chiese Al
“È mia cugina” rispose Bo
La loquacità ed il buonumore che lo contraddistinguevano abitualmente, parevano abbandonarlo nel momento stesso in cui vedeva quei brutti ceffi.
“Carina! Carina davvero” borbottò Al
“Senti. Te lo dico una volta e non lo ripeterò più: lascia in pace mia cugina! Non parlarle, non guardarla, dimentica che esiste. Voglio che la mia famiglia, tutta la mia famiglia, stia fuori da questa storia. Non devono sapere nulla. Questa è la mia condizione per accettare la vostra proposta” affermò Bo con decisione.
Rolf guardò il suo compagno che assentì, quindi dichiarò, a nome di entrambi:
“Affare fatto”
“Naturalmente resta il fatto che dovrai dimostrarci di saper correre, prima che ti portiamo da Jackal. Al capo non piace perdere tempo” aggiunse Al
“Non c’è alcun problema. Io so correre” rispose Bo, tranquillamente, prima di iniziare a bere la propria birra.



Daisy osservò da lontano il cugino seduto allo stesso tavolo di due loschi tipi che, da qualche giorno, frequentavano assiduamente il Boar’s nest.
Non la stupiva vedere persone del genere perché Boss Hogg era disposto a fare affari con chiunque  gli facesse guadagnare qualcosa e il suo locale era aperto a tutti purché avessero i soldi per pagare.
La sorprendeva, invece, vedere Bo in loro compagnia, perché i suoi cugini ne avevano combinate di tutti i colori sin da quando erano bambini, ma, solitamente, non frequentavano gente di quel tipo.
“Non so perché, ma non mi piacciono – pensò – non hanno l’aria di essere persone per bene. Oh, certo non ho alcun motivo di dubitare di loro, perché hanno sempre pagato le loro consumazioni e non mi hanno mai mancato di rispetto, ma ho una strana sensazione. Il mio sesto senso mi dice che nascondono qualcosa e che non è niente di buono. Speriamo solo che Bo non si cacci in qualche guaio!”
Sapeva benissimo che se avesse parlato col cugino lui le avrebbe risposto che le sue erano solo sciocche paure femminile e che in ogni caso lui era abbastanza grande per badare a se stesso.
“Il guaio è che è tutto vero! – considerò Daisy – le mie sono paure femminili, non sciocche, ma solo dettate dall’intuito che in noi donne è innegabilmente molto più sviluppato e più sensibile che negli uomini che spesso sono ottusi e non riescono a vedere oltre il proprio naso!
Ed è vero, ahimè, che Bo è grande ed in grado di cavarsela senza che qualcuno si occupi di lui, ma che ci posso fare se non riesco a stare tranquilla?Quei due si sono cacciati nei guai talmente tante volte che, ormai, è quasi un’abitudine!
Per me sono dei veri e propri fratelli, come faccio a non preoccuparmi?
Ora poi, con la libertà vigilata e quel delinquente di Boss che cerca in ogni modo di fregarli…No, non se ne parla proprio!!!
Del resto loro fanno lo stesso con me………E nessuno può dire che è perché io sono una ragazza, perché  sono loro che finiscono continuamente nei  pasticci , non io!”
Cresciuta dallo zio Jesse ed insieme ai cugini Daisy non era mai stata come la maggior parte delle altre ragazze. Aveva un animo romantico, era più femminile, generosa, dolce e affascinante di molte ma aveva grinta da vendere, era competitiva, cavalcava e guidava meglio di tanti uomini e, all’occorrenza,era in grado di sparare bene quanto loro, se non meglio!
Non si aveva mai permesso che la lasciassero indietro perché era una donna, né mai l’avrebbe fatto!
Bo, poi, era il suo cuginetto, ed anche ora che era alto un metro e ottanta ed era un uomo fatto,  non riusciva a smettere di pensare che il suo compito era prendersi cura di lui!
Del resto lo zio Jesse li aveva cresciuti così: tutti per uno ed uno per tutti, esattamente come i tre moschettieri!
Daisy sorrise, tra sé, a quel pensiero e decise che avrebbe tenuto d’occhio la situazione da lontano, senza farne parola con nessuno, neppure con Bo, almeno per il momento.
Poteva anche sbagliarsi, in fondo era solo una supposizione, non la verità rivelata!




“Bene , quando volete io sono pronto” disse Bo ad Al e Rolf che sembravano più interessati a tracannare birra e ad occuparsi delle donne di Hazzard che alla gara.
“Ok. Dovrebbe essere già buio, quindi possiamo andare. Come ti ho già spiegato ieri nessuno di noi vuole correre rischi inutili” ribadì Al.
A Bo sembrava il classico tipo che fa il prepotente con i più deboli, che agli estranei vuole dimostrare di essere potente, ma che con i più forti è sempre servile ed ossequioso; uno che cambia posizione come cambia il vento, a seconda del proprio tornaconto personale. Ed improvvisamente, ed inspiegabilmente, Al gli fece un po’ pena, perché uno così doveva essere proprio un piccolo uomo….



“Ok. Tu conosci i dintorni senz’altro meglio di noi. Abbiamo bisogno di un posto sicuro in cui fare una piccola corsa, niente d’impegnativo, una cosetta tra noi…” borbottò Rolf, non appena fuori.
Bo si soffermò a pensare qualche secondo, poi disse:
“Ci sarebbe la vecchia statale ventisei. Orami non ci passa più nessuno…c’è qualche curva, però, che se non la si conosce potrebbe creare qualche problema…Ma se ve la sentite…”
“Ok. Facci strada” ribatté Rolf.


In macchina, da solo, Bo cominciò a mormorare qualcosa. Non era impazzito, non parlava da solo: si rivolgeva al mitico Generale che considerava molto più di una semplice, banale auto.
“Su, amico, so che non sei abituato a queste cose, ma in fondo è una corsa come le altre! Non puoi tradirmi! Lo facciamo per lo zio Jesse, per la fattoria, e ho bisogno di te. So che sei il migliore: io e Luke abbiamo controllato ogni tuo bullone !”
Ancora Luke nei suoi pensieri!
Per quanto facesse non riusciva a tener fuori il cugino.
Come potrei riuscirci? – si chiese – Non ce la farei, Luke è in tutti i ricordi della mia vita”
E gli tornarono in mente le ore impiegate per il Generale…..
Il Generale che era nato, prima ancora che ciascuno dei due avesse l’età per guidare, nei loro sogni di bambini, nei disegni e nei progetti di cui parlavano per ore.
Il Generale Lee chiamato così in onore ai racconti di fiero orgoglio sudista che lo zio Jesse faceva loro quando erano ancora troppo piccoli per comprendere.
E quando, finalmente, l’avevano trovata, quando ancora era solo una Dodge Charger del ’69, avevano speso tutti i loro soldi per farla diventare quello che era: ogni pezzo montato con cura, fino alla saldatura delle portiere (tipico particolare da gare Nascar, che però costringeva chiunque volesse salire a passare dai finestrini) e alle rifiniture (bandiere, numeri e tutto quanto!) sulla carrozzeria arancione.
Già, il Generale Lee che non aveva eguali nella contea di Hazzard!
Bo faceva affidamento sulla macchina quasi quanto su se stesso.

La corsa, in effetti, si rivelò piuttosto semplice. Non ci volle un grosso impegno perché Bo e il Generale seminassero Rolf e Al.

“Ok. Domani possiamo andare da Jackal così ti farà sapere quando e dove avverrà la gara” dichiarò Al, quando scesero scesero dalle rispettive auto.
“Domani?  - chiese Bo – Non possiamo andarci oggi stesso?”
“Come mai hai tanta fretta?” chiese Rolf
“Perché mi hanno insegnato che non ha senso rimandare a domani quello che si può fare oggi e perché non capisco perché non possiamo andare ora dal vostro capo” rispose prontamente Bo.
Al e Rolf si guardarono dubbiosi, quindi quest’ultimo disse “A Mr. Jackal non piacciono le sorprese….eravamo d’accordo che saremmo arrivati domani…”
“Oh, andiamo, non stiamo uccidendo nessuno…” insistette Bo.
Cominciava a diventare realmente impaziente e, nella sua incoscienza, era anche un po’ curioso di vedere in faccia il fantomatico Mr. Roger – Jackal – Harrison di cui Rolf ed Al parlavano in continuazione.
“Lascia qui la tua macchina, darebbe troppo nell’occhio e vieni con noi” dichiarò Al.
Bo non avrebbe voluto separarsi dal Generale, ma capì immediatamente che i due non sarebbero scesi a patti quindi li seguì sulla loro auto.

La sensazione di fastidio e disgusto che aveva provato, sin dal primo incontro, nei confronti di quei loschi individui non accennava a diminuire.
Fattela passare! – ordinò Bo a se stesso – Non puoi tornare sui tuoi passi! Sei un uomo, non un bambino piagnucoloso! Hai preso la tua decisone. Non è facile? Non hai mai pensato che lo fosse, ma devi comunque andare fino in fondo, per il bene di zio Jesse e della fattoria!”


Impiegarono ben poco tempo ad arrivare. Rolf era un discreto autista e il posto non era lontano.

Non appena si trovò di fronte a Mr. Roger Harrison Bo ebbe la netta sensazione che se anche l’avesse visto per strada, tra centinaia di persone, avrebbe capito immediatamente di trovarsi di fronte ad un delinquente.
Jackal era un uomo di media altezza, con i capelli, legati in uno striminzito codino, più grigi che neri, un viso affilato, quasi emaciato, pallido, con occhi piccoli, furbi e freddi, naso lungo e bocca stretta.
 Il suo volto aveva un’espressione dura e furba.

“Tu devi essere Bo Duke – disse - io sono Jackal Harrison”
Bo strinse la mano che gli porgeva; aveva una stretta ferma e vigorosa.
“Si, sono io” rispose brevemente.
“Al e Rolf mi hanno parlato di te. Dicono che ci sai fare, al volante, e non sono gli unici a quanto pare….”
“Come fa a saperlo?” chiese Bo, curioso e deciso a non farsi intimidire da quel tipo.
“Non penserai che scommetta sul primo arrivato!? Mi sono informato… - spiegò Harrison, quindi aggiunse – Al e Rolf ti hanno già spiegato di che si tratta, no? Una gara con un tale, Roy Holmes. Se vinci, e naturalmente devi vincere perché io non ho intenzione di rimetterci dei soldi, la tua percentuale sarà di tremila dollari: prendere o lasciare!”
“Ci sto” dichiarò velocemente Bo, prima i ripensarci e suggellarono l’accordo con una stretta di mano, prima che Rolf lo riportasse indietro.

Era stata una faccenda un po’ troppo rapida, ma a Bo andava bene.
Non voleva soffermarsi a riflettere, perché, in cuor suo, sapeva che ci avesse pensato su si sarebbe reso conto che si stava cacciando nel guaio peggiore della sua giovane vita, che se qualcosa fosse andato storto sarebbe stato come cadere da un elicottero senza paracadute.


Andrà tutto bene: ho corso migliaia di volte e ho sempre vinto. Perché stavolta dovrebbe essere diverso?.......




I miei ringraziamenti vanno come sempre a chi legge e, in particvolare, a chi lascia puntulamente una recensione.
Spero vi piaccia anche questo capitolo.

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Capitolo 5
*** A volte è più facile confidarsi con gli estranei ***


 4: A volte è più facile parlare con gli estranei .


Dimentica quello che è stato comunque non ritornerà
dimentica le mie parole se puoi perdonaci
non sempre c’è un lieto fine
(Raf – Dimentica)

Dicembre

Hazzard.
“Buongiorno zio Jesse! Come va stamattina?” chiese Daisy.
Lo zio la guardò e pensò che, con indosso quella morbida vestaglia rosa, la sua adorata nipote somigliava incredibilmente alla bambina che era stata.
“Bene tesoro. Luke è già fuori, ma non c’è molto da fare, in questo periodo dell’anno, lo sai…” rispose lui.
La ragazza si versò una tazza di caffè caldo. Benché il clima, lì al Sud, non fosse eccessivamente rigido i tepori dell’autunno ed il caldo dell’estate, in Dicembre apparivano solo un ricordo, pallido come il sole che , quella mattina, faceva timidamente capolino dietro le nuvole.
“Io torno ad Atlanta questo pomeriggio… Devo cambiare delle scarpe che ho comprato…” raccontò allo zio.
Non poteva né voleva raccontargli il vero scopo del suo viaggio.
Era stata in città pochi giorni prima, a fare shopping con Melany per cui la scusa delle scarpe le sembrava plausibile.
Odiava mentire, in particolare allo zio Jesse, ma stavolta preferiva non metterlo al corrente dei propri progetti.
“Cosa potrei dirgli, del resto? – pensò – Che ho visto Bo e voglio provare a riportarlo a casa? Già, ma a che pro se io per prima non credo di riuscire a riportarlo qui….non oggi almeno, visto che non so nemmeno se riuscirò ad incontrarlo. Una cosa però è certa: dovessi setacciare tutta quanta Atlanta non me lo lascerò sfuggire, questo è poco ma è sicuro! E una volta che sarò riuscita a farmi ascoltare da Bo farò la stessa cosa con Luke. Se non riescono a trovare da soli un punto d’incontro…bhè…basterà dar loro una mano, no?!”



                        ___________________________________________________________________________________




Atlanta.
Daisy aveva preferito recarsi ad Atlanta da sola.
Non desiderava raccontare a nessuno ciò che aveva intenzione di fare ed era certa che , se fosse stata sola, avrebbe avuto maggiori probabilità di farsi ascoltare da Bo.
“In fondo anch’io devo farti le mie scuse, cugino, e non so nemmeno se le accetterai, anche se spero con tutto il cuore che lo farai……Ho capito di aver sbagliato e anche tu devi capire che non è tropo tardi e che agli errori si può sempre rimediare….Tutti noi ci siamo comportati male, ma siamo una famiglia ed io sono sinceramente convinta che possiamo superare anche questo se stiamo uniti.Rifletté .
Aveva parcheggiato la macchina di fronte alla tavola calda in cui si era fermata con Melany, sperando di riuscire ad incontrare il cugino, ed era lì già da quasi due ore.
Quando stava per perdere definitivamente la pazienza fece, spontaneamente, quello che lo zio Jesse aveva sempre suggerito ai suoi nipoti, cominciò a pregare, e la sua voce non era che un sussurro
Ho bisogno del tuo aiuto Signore, sul serio. Non so che fare. Qui non siamo ad Hazzard, cercare Bo in una città come questa è come cercare un ago in un pagliaio. Aiutami a trovarlo, per favore!!! E, magari, a farlo ragionare….Solo Tu sai quanto possano essere testardi gli uomini Duke……Da sola non so se ce la faccio…..”




Bo Duke stava tornando a casa a piedi dopo un’intensa giornata trascorsa  a lavorare sodo.

Aveva imparato in fretta ad apprezzare quelle frenetiche giornate, tanto diverse dalla vita a cui era abituato, perché gli permettevano di concentrarsi sul lavoro e di ignorare i propri problemi.
Già i suoi tormenti lo perseguitavano solo nel sonno, ormai…
Ma cercava di scacciare ogni accenno sia pur vago appena si affacciava nella sua mente.

Faceva piuttosto freddo, ma lui sembrava non farci caso.
Camminava speditamente, le mani in tasca e la  testa alta.



Non appena vide il ragazzo biondo dall’altra parte del marciapiede Daisy ebbe quasi l’impressione che il suo cuore smettesse di battere.
Bo!!! Era davvero lui.
Prese la borsetta e saltò giù dalla macchina più velocemente possibile.

“Bo! Bo!” gridò.
“Daisy, che ci fai qui?” le domandò lui, fermandosi immediatamente.
“Sono venuta a cercare te, mi sembra ovvio, no?” rispose lei, sinceramente.
“Ti avevo chiesto di non farlo, mi sembra…”
“Lo so quello che hai detto, ma…. Non puoi volere davvero questo Bo. Non ci credo!” ribatté Daisy, scuotendo la testa.
“Devi crederci, invece. Come posso convincerti che è davvero questa la vita che fa per me?”
Prima che Daisy potesse rispondere improvvisamente cominciò a piovere forte.
“Vieni” disse Bo e, prendendola per mano, la fece correre fino ad un portone .
A Daisy sembrava di essere tornata bambina.
“Saliamo” aggiunse Bo, precedendola fino ad una porta.
Prese una chiave e aprì.

Daisy si guardò intorno, cercando di non darlo a vedere.
L’appartamento era piccolissimo e abbastanza disordinato.
“Così vivi qui?” chiese a Bo che annuì.
“Sei fradicia. Vuoi qualcosa di asciutto?” le domandò lui
“Credo di si..” ammise lei, rabbrividendo.
“Ecco, prendi questi - ribatté Bo, porgendole alcuni vestiti – il bagno è di là…”

Daisy uscì pochi minuti dopo ed era davvero buffa, perché lo spesso maglione blu che il cugino le aveva prestato era caldo e pulito, ma le arrivava alle ginocchia e le maniche le pendevano ben oltre le mani, così le aveva arrotolate intorno ai polsi.

Bo sorrise, suo malgrado.

“Lo so, non sono esattamente presentabile” dichiarò lei, divertita.
“No, tu sei sempre bellissima, lo sai. E così non rischierai di prendere un raffreddore…” rispose lui.
“Piove ancora?” chiese Daisy.
“Parecchio” ammise Bo.
“Devo chiederti un favore. Non me la sento di guidare fino a casa con questo tempaccio, potresti ospitarmi per stanotte?”
Bo guardò la cugina. Era combattuto. Aveva paura che lei potesse scalfire la corazza che si era faticosamente costruito e che gli permetteva di andare avanti giorno dopo giorno, ma nello stesso tempo l’ultima cosa che avrebbe voluto era farle del male, sia pure involontariamente.
“Dio solo sa che ho combinato più casini io fin ora di una decina di uomini normali…Non voglio aggiungere anche un possibile incidente a Daisy……” pensò.
“A casa staranno in pensiero per te” le disse
“Già – ammise la ragazza – ma posso sempre telefonare”
“Non voglio che sappiano dove sei”
“Non vuoi che sappiano di te, vorrai dire”
“Esatto.”
“Non c’è un telefono qui?” domandò Daisy.
Bo fece cenno di no, con la testa, poi disse “Puoi chiamare dalla tavola calda che c’è all’angolo della strada. Hanno un telefono a gettoni”
“Farò così. E porterò anche qualcosa da mangiare” dichiarò lei.

Incurante del fatto che fossero ancora bagnati prese tra le braccia i propri vestiti, tornò in bagno e quando uscì aveva l’aria di un pulcino.
“Torno tra dieci minuti” disse al cugino ed uscì di corsa, senza dargli il tempo di rispondere.

Pioveva ancora, ma a Daisy non importava nulla.
Era felice, per la prima volta, dopo mesi, sentiva di avere una possibilità. Aveva quasi paura a sperare, ma voleva provarci. Avere di nuovo la sua famiglia era la sola cosa che desiderasse realmente.

Entrò alla tavola calda con un’espressione radiosa e, dopo aver avvisato lo zio Jesse (una piccola bugia “Si, piove a dirotto, ma ho incontrato un’amica che non vedevo da anni. Si è trasferita qui e mi ha invitato a trascorrere la notte da lei. Ho accettato perché non posso viaggiare così, ma domani sarò a casa. Buonanotte zio. Ti voglio bene”) comprò qualcosa da mangiare per lei e Bo.
Non voleva sprecare nemmeno un minuto, aveva cose più importanti da fare che pensare a cucinare!
C’era lo stesso uomo corpulento che l’aveva servita la volta precedente.
“Ma…noi ci siamo già visti o mi sbaglio? “ le chiese, mentre le porgeva il sacchetto
“Sì, sono stata qui qualche giorno fa con una mia amica…Non pensavo si ricordasse di me” rispose lei, sorridendo.
“Non si dimenticano le belle ragazze come lei….. signorina?” ribatté l’uomo.
“Daisy”
“Io sono Franck. Spero di rivederla ancora Daisy. Buona serata”
“Grazie Franck, buon lavoro.”

Daisy corse da Bo il più velocemente possibile.

“Ho portato la cena.” disse al cugino, porgendogli il sacchetto e, pochi minuti dopo, indossato di nuovo il suo enorme maglione, si sedette a tavola con lui.

Mangiarono in silenzio e Daisy osservò con attenzione il cugino.
Fisicamente era sempre lo stesso Bo, anche se più magro,  ma l’espressione sul suo viso non era quella allegra, schietta e spensierata a cui era abituata.
Gli occhi di Bo erano freddi, duri ed al contempo smarriti.
Le ricordarono lo sguardo di un animale braccato, impaurita e feroce insieme, e la cosa la spaventò.


                    ---------------------------------------------------------------------------------------



Bo aveva ceduto a Daisy quello che di giorno era un divano e di notte diventava un letto e si era sistemato sulla poltrona.
Era una sistemazione scomoda, specie per un uomo alto come lui, ma non gli importava.

La guardò dormire e, prima che potesse rendersene conto, una lacrima scivolò per tutta la lunghezza del suo naso.

Dio come gli mancava la sua famiglia, tutta la sua famiglia! Gli mancavano così tanto da star male….

Ma, proprio perché voleva più bene a loro che a se stesso, aveva deciso di lasciarli.

Ne hai combinato una di troppo – si disse – è meglio per loro che tu stia lontano, fuori dalle loro vite. Andranno avanti, possono sempre contare l’uno sull’altro”



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Daisy si svegliò di soprassalto, svegliata da un suono strozzato.
Le ci volle qualche secondo per capire perché non si trovava a casa, ad Hazzard, ma quando vide Bo che si agitava convulsamente sulla poltrona, mormorando freneticamente qualcosa, ricordò dov’era.
Daisy saltò immediatamente giù dal letto e gli si avvicinò.
Tese istintivamente la mano, per svegliarlo, ma si fermò quando sentì le sue parole:
“No......volevo……Giuro……non...volevo……Io…Mi dispiace……Per favore……Stanne fuori!!! Non sono cose che ti riguardano!!!
Daisy rabbrividì e si morse le labbra.
Quando era piccolo Bo aveva spesso degli incubi, ma erano gli zii o Luke a consolarlo, lei non l’aveva mai visto in quello stato.
E quelli che vedeva non erano certo i sogni di un bambino che ha paura del buio, ma le angosce e i sensi di colpa che turbavano un uomo.

“Bo…Bo…svegliati…per favore” sussurrò più volte, senza avere il coraggio di toccarlo.
Lui sui svegliò sorpreso e confuso.
“Ti ho svegliato?” le chiese, preoccupato.
“Non preoccuparti.” rispose lei.
“Scusami” continuò lui.
“Ti ho detto che non devi scusarti. Hai fatto un brutto sogno e mi sa che non è la prima volta...” ribatté Daisy.
“Non credo che la cosa ti riguardi…” dichiarò lui, alzandosi per andare a prendere un bicchiere d’acqua.
“Io credo di si, invece. Non sono un’estranea, sono Daisy, tua cugina, ricordi? Siamo cresciuti insieme, ti conosco da quando sei nato. Puoi confidarti con me, se ti va… Non sei mai stato il tipo che si tiene tutto dentro…
Sai, Bo, io ero venuta qui per chiederti di perdonarmi e di tornare a casa con me”
“È questa la mi casa, te l’ho già detto”
“Non è vero! Per prima cosa tu odi le grandi città. E hai lasciato a casa il Generale…oltre a tutta la tua famiglia…” insistette lei
Bo sospirò, poi le chiese:
“Mi sto abituando a vivere qui e poi non credi che io e il Generale abbiamo già fatto abbastanza? Cos’altro deve succedere, Daisy, perché tu ti convinca che la mia è la scelta giusta?”
“Hai commesso degli errori, tutti noi abbiamo sbagliato…Ma siamo una famiglia…può tornare tutto come prima, se lo vogliamo”
“No, le cose cambiano, e  a volte non basta volerlo per aggiustare tutto…”
Nella voce di Bo c’era un tono amareggiato che Daisy non aveva mai sentito.
“Io sono convinta che basterebbe parlare…”
“Io invece non ne voglio parlare e non voglio nemmeno litigare con te, quindi smettila, per favore. Tu non c’entri nulla in tutto quello che è successo, è solo colpa mia, ok? Non hai nulla da farti perdonare” Disse Bo, con decisione.
“Come puoi chiedermelo? E come puoi anche solo pensare che acconsenta? È innaturale…Non è giusto!” ribatté Daisy, con foga.
“Ti sbagli: è la sola cosa giusta da fare” affermò lui, quindi si passò distrattamente le mani fra i capelli ed aggiunse “Io esco. Domani mattina va’ via e non tornare più. Non mi troveresti.”
Ed usci, chiudendosi la porta alle spalle.

Daisy lo guardò andar via, incapace di parlare con quel Bo che le sembrava, sinceramente, di non conoscere più.
Pianse tutte le sue lacrime e si addormentò, stremata, poco prima dell’alba.



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“Buongiorno Daisy. Oh…dunque è qui che ha passato la notte”
Daisy si voltò, sentendosi chiamare e vide Franck, l’uomo della tavola calda.
“Già” ammise.
“Le va di venire da noi a fare colazione. A quest’ora non  c’è praticamente nessuno, ma abbiamo caffè caldo a volontà e , mi scusi se mi permetto, lei ha tutta l’aria di averne bisogno…” le propose.
Daisy lo guardò con riconoscenza e rispose:
“Accetto, ma la smetta di darmi del lei! Io sono solo Daisy,ok?”
Non se la sentiva di rimettersi in macchina immediatamente e di tornare ad Hazzard, dopo quello che era successo con Bo, quella notte.
“Ok, andiamo allora, così finalmente posso presentarle la mia Meg!”



Meg era una donna robusta con una massa di riccioli scuri ed allegri occhi azzurri su un viso ridente.
Mentre suo marito sparì nel retro servì a Daisy una tazza di caffè fumante.
“Grazie, è proprio quello che ci vuole” disse la ragazza.
Quella donna le ispirava istintivamente simpatia e fiducia.
“È dura, eh?” chiese Meg
Il locale era deserto, quindi si sedette di fronte a Daisy.
Il suo sesto senso le suggeriva che quella  non era una delle tante sciacquette che Bo portava spesso a casa sua.


Oh, certo, anche Bo le piaceva.
Benché lo conoscesse solo da pochi mesi gli  era affezionata.
Quando era arrivato Franck gli aveva affittato l’appartamento senza chiedergli alcuna garanzia, semplicemente perché sentiva di potersi fidare di lui, poi l’aveva aiutato a trovare un lavoro.
Bo era un ragazzo di poche parole, ma era educato e onesto e Peter, il loro bimbo di dieci anni, aveva sempre avuto per lui una vera simpatia che si era trasformata in sincera ammirazione quando, un giorno, Bo gli aveva costruito un aquilone e gli aveva insegnato ad usarlo.
Spesso insisteva perché mangiasse qualcosa lì ed alcune volte il ragazzo accettava.
Non aveva mai raccontato nulla di sé, se non che veniva dalla campagna e non gli piaceva granchè vivere ad Atlanta.
“Ma allora perché ci stai?” gli aveva chiesto Peter, una volta.
“È una lunga e brutta storia, credimi” aveva risposto laconicamente Bo.
Peter, che era un bambino sensibile, non aveva insistito.



“Perdonami la franchezza, ma mi sembri una ragazza in gamba. Forse faresti meglio a lasciarlo perdere. Meriti di più di quello che lui può darti ”  disse Meg.
Daisy la guardò con espressione triste.
“Non posso lasciarlo perdere” mormorò
“Ma certo che puoi! Non è un cattivo ragazzo, ma attraversa un brutto momento” insistette Meg, versandole dell’altro caffè.
“No, davvero. Anche volendo non potrei…lasciarlo perdere - ribatté Daisy - Bo  è mio cugino. Siamo cresciuti insieme io, lui e Luke, dopo che i nostri genitori sono morti. Lo amo come un fratello…Non posso lasciare che distrugga la sua vita”
“Non sapevo che Bo avesse una famiglia” dichiarò Meg, stupita.
“Lo immagino! È scappato via ed è deciso a non voltarsi indietro, ma così sarà infelice per il resto della sua vita e lo saremo anche noi!” affermò Daisy, senza alzare gli occhi dalla propria tazza di caffè.
“Posso chiederti cos’è successo di tanto grave da aver spinto Bo a fare una cosa del genere? Lo conosco poco, è vero e non parla volentieri di sé, ma mi sembra un bravo ragazzo…” disse Meg
Prima di poterci riflettere Daisy cominciò a confidarsi con quella donna.

A volte è più facile parlare con gli estranei che con i conoscenti.




Grazie mille, ancora una volta, a chiunque stia leggendo questa fic e , soprattutto, a chi recensisce ogni capitolo (Lella, Thia, Marzia, Lu, i196).


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Capitolo 6
*** L'ultima gara ***


5: L’ultima gara.


Perché la vita è un brivido che vola via,
è tutto un equilibrio sopra la follia
(Vasco Rossi – Sally)


Vivi, corri per qualcosa, corri per un motivo…
Che sia la libertà di volare o solo di sentirsi vivo…
Corri per qualcosa, corri per un motivo…
(Nomadi - La libertà di volare)

Atlanta, Dicembre

“Vieni con me, non è il caso che rimaniamo qui – disse Meg a Daisy, poi si rivolse al marito appena ricomparso – noi andiamo sul retro. Fa’ in modo che non ci disturbino, per favore.”
Daisy notò immediatamente che quello in cui si trovava non somigliava neppure lontanamente al buio, umido e polveroso magazzino del Boar’s nest!
Quella era una stanza luminosa, di fronte alla porta d’ingresso c’era una stufa a legna, affiancata da un piccolo divano dall’aria consunta, coperto di cuscini colorati e piuttosto malridotti in un angolo e dalla parte opposta una sorta di piccolo ufficio, con uno scaffale di registri colorati ed un’ordinatissima scrivania, mentre al centro c’era un tavolo tondo con delle sedie tutte diverse.
Meg posò il vassoio che aveva portato con sé.
“Qui staremo più tranquille. Ho la sensazione che la tua non sia una storia piacevole.” Disse.
“Io non so come ringraziarti, davvero. Non mi conosci nemmeno e mi stai aiutando più di quanto immagini. Io non ho mai parlato con nessuno di questa storia, e, credimi, farlo non è per niente facile . Noi viviamo ad Hazzard che non è nemmeno una città,  è un paese in cui ci conosciamo tutti e ognuno sa cosa capita agli altri….Quello che non si sa viene inventato dai pettegoli del posto… Per cui non ho avuto bisogno di spiegare nulla a nessuno….In effetti non avevo neppure voglia di parlare di tutta quella orribile storia…Ma ora mi sembra di non riuscire più a trattenermi…Ho paura perché ho trovato Bo e non voglio perderlo di nuovo, non credo che potrei sopportarlo” dichiarò Daisy.
“Sono qui per questo. Sfogati pure, sempre se ti va. Qui non siamo ad Hazzard, ci siamo solo noi due e ti do la mai parola che le tue parole non lasceranno questa stanza. Spesso è più facile confidarsi con un estraneo che con un amico. Ma se vuoi che ti aiuti devi aiutarmi a capire” rispose Meg, versando ad entrambe un’altra tazza di caffè.
“Già, hai ragione. Bhè, vedi, prima che succedesse tutto questo pasticcio  io, Bo e Luke abbiamo sempre avuto un legame speciale. Siamo cresciuti tutti insieme alla fattoria con lo zio Jesse e la zia Martha, che ormai non c’è più purtroppo, perché i nostri genitori sono morti. Siamo più fratelli che cugini.
Luke è il maggiore, Bo il più piccolo…bhè, ormai dovrei dire il più giovane, visto che non è certamente un bambino.... Loro due sono sempre stati più che cugini, sono fratelli ed amici, per scelta. Sono spiriti affini, si sono sempre capiti con uno sguardo e sono sempre stati pronti a rischiare anche la vita l’uno per l’altro”

Mentre Daisy parlava Meg sentì un'enorme dispiacere nel proprio cuore, per quella bellissima ragazza che aveva negli occhi un’infinita tristezza, per Bo, a cui, nonostante tutto, era affezionata e per quella famiglia divisa.
Cosa è successo di tanto grave per produrre un simile disastro?” Si chiese, fra sé, senza avere il coraggio di esternare la domanda, certa che Daisy sarebbe arrivata al punto prima o poi.



Hazzard  - Settembre

“Stasera ho bisogno della macchina, Luke. Da solo…” disse Bo.
Evitava di guardare in faccia il cugino che, da sempre, sapeva leggergli dentro solo guardandolo negli occhi.
Luke se ne accorse immediatamente e pensò fosse imbarazzo.
“Non c’è problema – rispose, ammiccando – una nuova ragazza? Non mi dici chi è?”
Ecco, lasciamo che creda si tratti di una donna!” pensò Bo, cogliendo immediatamente la palla al balzo.
“Per ora no…Voglio vedere come vanno le cose…” borbottò Bo, cacciandosi in tasca le chiavi del Generale ed uscendo velocemente.

Daisy , che aveva osservato la scena in silenzio fino a quel momento, si rivolse a Luke non appena Bo se ne fu andato.

“Ti sembra strano?” gli chiese
“Chi?” domandò Luke, sorridendo all’ansia di Daisy
“Bo! Chi sennò?!” ribatté lei
“Perché? A me sembra sempre lo stesso….Secondo te c’è qualcosa che non va?” chiese lui
“No…Non dico questo, ma mi sembra strano, distratto….”
“Mi ha detto che ha una nuova ragazza…”  
“Magari è innamorato….” Ipotizzò Daisy, certa, in cuor suo, che non fosse quella la causa dell’insolito comportamento del cugino minore.
“Daisy: Bo è sempre innamorato! -  esclamò Luke – E comunque sta’ tranquilla; nostro cugino non è in grado di nascondere nulla. Se ci fosse qualcosa che non va sono certo che ce ne avrebbe parlato” dichiarò Luke.
“Già” mormorò Daisy.



Bo guidò velocemente fino a casa.
Era stanco e arrabbiato.
Aveva vinto la prima gara per Jackal Harrison e non era stato nemmeno difficile, ma la cosa non gli dava alcuna soddisfazione, anzi, tutt’altro.
Mentire a Luke era stato facile.
O meglio era stato fin troppo semplice far sì che Luke gli credesse, perché ingannarlo  e fare i conti con la propria coscienza era terribile.
Lo fai per la fattoria. Zio Jesse ha fatto di tutto per me. Ora spetta a me fare la mia parte!”
Doveva ripeterselo in continuazione per tenerlo a mente e riuscire ad andare avanti, a perseguire il proprio scopo.

Lasciò il Generale Lee a godersi il riposo che meritava e ringraziò, silenziosamente, che lo zio ed i cugini fossero già andati a letto.
Affrontare zio Jesse o Luke o persino Daisy, sarebbe stato davvero troppo.



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“Esci anche stasera?” chiese Luke a Bo.
Era la quarta sera  di fila che suo cugino usciva col Generale.
Qualche giorno prima aveva confessato di avere una nuova ragazza, ma Luke cominciava a nutrire qualche dubbio.
“Si, perché c’è qualche problema? Hai bisogno della macchina?” domandò Bo, rivolgendogli una strana occhiata.
“No…posso prendere il furgone, ma…mi chiedevo quando mi presenterai la tua bella misteriosa” rispose Luke.
“Non è il momento…non sono sicuro che la cosa funzioni…” borbottò Bo.
“È strano…Non hai mai fatto tanti misteri…” insistette Luke.
Il suo tono era tranquillo, ma dentro di sé sentiva crescere il nervosismo.
“C’è sempre una prima volta, Luke. Non c’è assolutamente niente di strano. Se non ti serve la macchina, non capisco perché tu stia facendo tante storie…” ribatté Bo.
“Non sto facendo storie….cerco solo di capire…”
“Non c’è nulla da capire e non credo di doverti rendere conto dei miei spostamenti. Sono abbastanza grande per uscire senza la babysitter, no?”
“Assolutamente…Non c’è bisogno che ti arrabbi!”
“Non mi sto arrabbiando; sono solo convinto di poter uscire senza informare nessuno…”
Bo stava tentando di mantenere la calma. Non voleva litigare con Luke, ma nemmeno dargli spiegazioni.
Mancava una sola gara, poi tutto sarebbe finito poi le cose, con un po’ di fortuna, sarebbero tornare alla normalità e zio Jesse non avrebbe dovuto preoccuparsi della maledetta ipoteca pretesa da quella canaglia di Boss Hogg!
“Puoi fare tutto quello che vuoi. Cerca solo di stare attento e di non cacciarti nei guai”  gli raccomandò Luke.
Bo sorrise alle parole del cugino.
Ci sto provando Luke, te lo giuro. Ci sto provando con tutto me stesso” pensò, ma disse:
“ Tranquillo. Ci vediamo stasera, ok?”
“Ciao”
“Ciao”



Luke seguì con lo sguardo il Generale che si allontanava velocemente.
Perché ho la sensazione che mi nasconda qualcosa, cugino?” si chiese.
Conoscendo Bo, probabilmente, avrebbe dovuto dar retta al proprio istinto, ma decise di credere a quanto gli aveva detto.
Hai ragione. Sei grande. Puoi badare a te stesso” pensò, prima di uscire.
Aveva promesso a Loraine di raggiungerla al Boar’s nest e non voleva certo farla aspettare!



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“Bene ragazzo, fin’ora hai fatto esattamente quello che mi aspettavo da te. Mi dispiace, sai, che non voglia continuare a lavorare per me, sono soddisfatto di te. Oggi ti aspetta l’ultima gara, la più importante. Mi aspetto che vinca, ovviamente. Roy Holmes è un osso duro, sta’ attento, e la corsa è diversa dalle altre…” disse Jackal Harrison a Bo.
Erano soli, in quello che lui chiamava “il mio studio”, ma che, in realtà era solo la stanza più decente della baracca che avevano scelto, per non dare nell’occhio, come quartier generale ad Hazzard.
Jackal era rimasto sinceramente stupito la prima volta che aveva visto correre Bo. Quando Al e Rolf gli avevano portato quel ragazzo aveva pensato di trovarsi di fronte ad contadino strafottente, troppo giovane per sapere, realmente, cosa volesse dire correre e soprattutto correre in quel modo, ma Bo l’aveva stupito: non solo sapeva guidare ma lo faceva come un diavolo. Nessuno riusciva a tenergli testa!|

Peccato credesse ancora alle favole!
Voleva smettere dopo la gara con Holmes, correva solo perché gli servivano i soldi per aiutare la famiglia…
La famiglia?
Con i soldi si può comprare tutto, pensava Jackal, e Bo Duke se avesse voluto avrebbe potuto fare un mucchio di quattrini gareggiando per lui.
Stupido! Non capiva che aveva una dote e che doveva sfruttarla finché ne avesse avuto la possibilità!
Battere il ferro finché è caldo, questo pensava lui, non fare il bravo bambino obbediente.
Ti accorgerai che la virtù non paga, e quando lo farai, finalmente, tornerai a correre per me….

“Perché questa gara è diversa dalle altre?” chiese Bo.
Jackal sospirò, poi disse:
“Il salto. Non è come sempre. Dovrai superare il fuoco, fuoco vero.”
Bo deglutì, nervosamente.
È un salto, esattamente come gli altri. Andrà tutto bene. Deve essere così!” pensò.
“Ce la farò” dichiarò con decisione.
“È esattamente quello che mi aspetto da te” ribatté Harrison.



Bo salì in macchina.
“Ehi, Generale, siamo all’ultima gara. Dobbiamo farcela: per zio Jesse e per la fattoria, ok? Andrà tutto bene. Non finiremo arrosto, te lo prometto!” sussurrò.
Parlare al Generale Lee era una tradizione che lo aiutava a calmarsi nei momenti di tensione.



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“Luke devo parlarti. Ciao Loraine.”
Cooter era corso al Boar’s nest il più velocemente possibile.

Luke gli lanciò un’occhiataccia.
Era seduto ad un tavolo appartato con Loraine e non gradiva affatto l’interruzione dell’amico.
“Non puoi aspettare a domani Cooter?” gli chiese, bruscamente.
“No non posso e nemmeno tu puoi. Ora usciamo di qui. Sbrigati!” rispose Cooter, altrettanto bruscamente.
Luke non aveva mai visto l’amico in quello stato.
“Loraine, devi scusarmi….Ti chiamo domani?” mormorò alla ragazza seduta di fronte a lui.
“Luke Duke se esci da quella porta e mi pianti qui non sognarti nemmeno di rivedermi!” dichiarò lei, seccata.
Luke lasciò correre lo sguardo dalla ragazza all’amico.
Cooter aveva l’aria stravolta.
Non poteva negargli il proprio aiuto.
“Arrivederci Loraine” disse, prima di prendere la giacca ed uscire rapidamente.


“Spero che abbia un ottimo motivo per aver rovinato la mia serata, amico” affermò nel momento in cui si trovarono fuori faccia a faccia.
“Luke…Non so da dove iniziare….Credimi…Non vorrei essere io a dirtelo….Ma Jesse è in ospedale.”
“Cosa stai dicendo??? Che vuol dire che zio Jesse è in Ospedale??? Sono uscito qualche ora fa e stava benissimo……” farfugliò Luke.
Era sconvolto.

Zio Jesse in ospedale? Zio Jesse stava male?
Gli sembrò che il mondo gli crollasse addosso.
Zio Jesse era la sola presenza costante della sua vita, l’unico a cui si era sempre appoggiato, il solo a cui avesse mostrato le proprie debolezze e che conoscesse le sue paure….
Zio Jesse era un leone…Cosa poteva essergli successo?

“Bisogna avvertire Bo e Daisy oggi non era al lavoro…” borbottò
“Luke, vieni con me – disse Cooter – stavolta guido io. Sono tutti al Tre county hospital. Jesse, Daisy e anche Bo”
Luke seguì l’amico e prese posto accanto a lui, sul furgone.
Non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
Che ci facevano i suoi cugini all’ospedale?
Bo gli aveva detto di avere un appuntamento con una ragazza….
“Cooter, cosa è successo?” domandò, sottovoce.
“Non ti piacerà per niente quello che sto per dirti, amico….” Cominciò Cooter, ma Luke lo interruppe immediatamente:
“Daisy…Bo…loro stanno bene?” chiese.
“Sì, stanno bene….”
Luke sospirò.
Per lo meno i suoi cugini erano sani e salvi.
“Avanti: parla” ordinò, pregando, tra se e se, che non fosse successo nulla d’irreparabile.





Ecco: ho finito il quinto capitolo. Ora le cose cominciano ad essere più chiare, no?
Grazie, come sempre, a chi legge ciò che scrivo e, ancor più, a chi, oltre a leggere, mi lascia la propria recensione: Marzia, Thia, Lella, i1976 e Lu.

Che ne dite?



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Capitolo 7
*** All'ospedale. ***


6: All’ospedale


Un passo indietro ed io già so
di avere torto
(Negramaro - Un passo indietro)



Non sto chiedendo una seconda possibilità
sto urlando a squarciagola
dammi una ragione,
non darmi la possibilità di scegliere
perchè farei ancora lo stesso sbaglio
(Traduzione Same Mistake , James Blunt)


Atlanta – Dicembre

Daisy si fermò un attimo prima di ricominciare a parlare. Aveva bisogno di una pausa.
Meg approfittò per uscire e tornare, poco dopo, con una tazza ed una teiera.
“Sei già abbastanza agitata; credo sia meglio evitare il caffè. Ti ho portato del the; bevi; qualcosa di caldo ti farà bene.” Le disse.
“Sei davvero gentile…..Io non so come ringraziarti…..E ti sto facendo perdere un sacco di tempo…..” rispose Daisy, cominciando a sorseggiare la calda bevanda.
“Hai passato dei brutti momenti. È normale che sia turbata. Non preoccuparti per me, Franck se la cava benissimo anche da solo.” ribatté Meg, liquidando le proteste di Daisy con un sorriso affettuoso e comprensivo.


Hazzard – Settembre

“Questo ferrovecchio non può andare un po’ più veloce?!” chiese Luke.
Cooter scosse la testa.
“Prima di arrivare in ospedale è bene che tu sappia qualcosa” gli disse, ignorando la sua protesta.
“Cos’altro c’è? Hai detto che Daisy e Bo stanno bene…Zio Jesse…Cooter…mio zio è….è….vivo vero?” domandò Luke, mentre un terribile sospetto gli attraversava la mente.
“Ma certo che è vivo! Sono sicuro che se la caverà, come sempre! Ci vuole ben altro per mettere a tappeto Jesse Duke!” dichiarò Cooter. Aveva sempre provato una sincera ammirazione per quell’uomo che aveva superato tante avversità, riuscendo a conservare il sorriso, l’ottimismo e la fede.
“Allora?” insistette Luke.
“Vedi…Se tuo zio sta male…ecco, in un certo senso, è anche colpa mia….” Ammise Cooter.
“Tua? -  ripeté Luke, incredulo – che c’entri tu in tutto questo? Non capisco”
“Capirai – disse Cooter – Capirai, credimi e, come ti ho già detto, non ti piacerà per niente....”
“Parla! Sto perdendo la pazienza! Dimmi un volta per tutte che diavolo è successo!!!” ordinò Luke.
“Qualche ora fa è venuto in tizio al garage. Mi ha chiesto di aiutarlo con una macchina. È lavoro, no? Ho accettato e mi sono trovato davanti una vera bellezza; un’auto stupenda, credimi amico. Ma non è questo il punto. Mentre riparavo la macchina lui ha cominciato a chiacchierare….Mi ha detto che doveva fare una gara ed ho capito che non era una cosa molto pulita, così ho finto interesse e sono riuscito a farmi raccontare di che si trattava.
Era una corsa in cui avrebbe dovuto saltare del fuoco.
sono state le sue parole…”
Luke cominciò a sudare freddo e sentì un brivido di terrore lungo la schiena.

“Quanti piloti ci sono ad Hazzard in grado di fare una cosa del genere?
E, soprattutto, chi può avere il coraggio e l’incoscienza di fare una cosa del genere?” si chiese Luke ed ebbe paura di darsi una risposta.

Cooter riprese il suo racconto, dopo una brevissima pausa per riprendere fiato:
“Luke sai che, naturalmente, gli ho chiesto chi fosse il pilota e quando ha risposto Bo Duke ho pensato di correre immediatamente alla fattoria ad avvisarti.
Non sapevo fossi al Boar’s nest, credimi, altrimenti ti avrei cercato lì…
Sono arrivato a casa tua e non so come tuo zio mi ha costretto a raccontargli tutto….Sai com’è testardo quando si mette in testa qualcosa…..
Sarei corso da te, te lo giuro, se solo avessi potuto immaginare cosa sarebbe successo…
ha detto.
Siamo corsi sul luogo della gara e, nel momento stesso in cui siamo arrivati, tuo cugino stava saltando quel maledetto incendio.
Non ricordo come sono andate le cose. So che ho sentito Daisy urlare, ho visto Jesse che si accasciava al suolo e Bo che correva verso di noi, senza prestare alcuna attenzione alle persone  intorno a noi che se la filavano il più velocemente possibile.
Abbiamo portato Jesse al Tre county e io sono corso da te”

Luke chiuse gli occhi e respirò a fondo.
Aveva bisogno di tempo per riuscire a metabolizzare le parole di Cooter.
Cooter rispettò il suo silenzio e continuò a guidare.
Conosceva Luke da tanto tempo, sapeva che non si sarebbe confidato con lui, non era il tipo che esternava le proprie emozioni, ma sapeva anche che gli occorreva un po’ per riacquistare il pieno controllo di sé e delle sue emozioni.



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Daisy guardò il cugino.
Da quando erano arrivati all’ospedale non si erano rivolti una parola.
Aspettavano che il medico avesse finito di visitare lo zio, mentre Cooter era andato a prendere Luke al Boar’s nest.
Bo aveva un’aria talmente abbattuta; avrebbe sicuramente avuto bisogno di qualche di qualche parola di conforto, ma Daisy era troppo preoccupata per lo zio e arrabbiata con lui per riuscire a  farlo.
“Perché devi sempre cacciarti nei guai!? Non riesci a fare a meno di combinare pasticci?! Dio mio spero che tutto questo non faccia del male allo zio, Bo, perché, altrimenti non so davvero cosa succederà” pensò.


Arrivati al parcheggio Cooter non aveva quasi fatto in tempo a fermare la macchina che Luke saltava giù per correre all’ospedale.
Cooter lo guardò allontanarsi e decise che quella era una faccenda che riguardava solo la famiglia Duke.
Avrebbe avuto tutto il tempo per parlare con l’amico, in seguito, quindi fece inversione di marcia per tornare a casa.



Luke vide Daisy e Bo nella sala d’aspetto.
Daisy era seduta mentre Bo camminava avanti e indietro, visibilmente nervoso.
Luke si avvicinò loro.
“Cosa dice il medico?” chiese, con voce atona.
“Nulla, ancora. Lo stanno visitando…” rispose Daisy, ma fu interrotta dall’arrivo di un medico.
“Siete i familiari di Jesse Duke?” domandò
“Si, siamo i suoi nipoti - rispose Daisy – come sta?”
“Bene, tutto sommato – disse il medico – Io sono il dottor Ridley, il cardiologo che ha in cura il signor Duke. Vostro zio ha una certa età, ha avuto quello che potremmo chiamare impropriamente , ma, fortunatamente, è forte e se la caverà. Tra qualche giorno sarà come nuovo e potrete portarlo a casa. Ovviamente non è uno scherzo, è un malore da non sottovalutare. Dovrete offrirgli un ambiente sereno ed evitare le fatiche fisiche e, cosa altrettanto importante, lo stress psicologico. Da quanto ho capito è stata una forte emozione a causare il malore di oggi”

I ragazzi tirarono un sospiro di sollievo: zio Jesse era salvo e presto sarebbe potuto tornare a casa!

“Possiamo vederlo?” chiese Luke
“Entrate a turno, solo per un attimo e non fate troppo chiasso. Vostro zio ha bisogno di riposo! - ordinò loro il medico – la stanza 82 ok?”

I ragazzi entrarono uno per volta, come aveva detto il dottore.

Prima Daisy che dovette trattenere le lacrime, vedendo tutti quei fili e quei macchinari intorno allo zio.
“Ciao tesoro” mormorò lui.
“Ciao zio. Il dottore ha detto che devi riposare e che tra pochi giorni potrai tornare a casa….”
“Lo so, andrà tutto bene, non preoccuparti”
“Ne sono sicura. Ora devo andare. Il tuo medico ci ha ordinato di entrare a turno e di non farti stancare. Ci vediamo domani, ok? Ti voglio bene”
“Anch’io, bambina mia. A domani”

Poi fu il turno di Luke.
“Ciao Luke”
“Zio Jesse, cosa mi combini?”
“Non sono ancora pronto per andare a conoscere di persona nostro Signore, ho ancora qualcosa da fare quaggiù”
“Oh, lo so. L’erba cattiva non muore mai”
“Lukas Duke! Come ti permetti?!”
Luke sorrise. Se lo zio aveva voglia di scherzare con lui e rispondeva alle sue battute significava sicuramente che non stava tanto male….
“Luke…potresti dire a Bo di passare a salutarmi prima di andar via?” chiese Jesse.
Luke annuì, poi, salutato lo zio con una lieve pacca sulla spalla, uscì.

“Zio Jesse vuole vederti” disse a Bo che era ancora fuori dalla porta.

Bo entrò nella stanza.
C’era un pungente odore di medicinali e di disinfettanti, ma la cosa che lo spaventò fu il viso dello zio, pallido e stanco.
“Ciao Bo”
“Zio Jesse…..io…..mi dispiace…..voglio spiegarti…..” farfugliò Bo
“Ti credo; ti conosco come le mie tasche e so come ti senti. Sta’ tranquillo. Potremo parlare di tutto quando uscirò di qui e stai sicuro che dovrai darmi un bel po’ di spiegazioni”
Disse Jesse e allungò una mano fino a sfiorare la guancia del ragazzo con una leggera carezza.
Bo era sempre stato, tra i suoi nipoti, il più veloce a cacciarsi in ogni genere di guaio, sin da bambino, ma era anche il più estroverso e, sebbene fosse praticamente un uomo, era sempre il più piccolo della famiglia.
“Grazie” mormorò Bo, ricacciando indietro le lacrime.
“L’ultima cosa di cui zio Jesse ha bisogno è  preoccuparsi per me” pensò, sforzandosi di sorridere, prima di uscire.


“Torniamo a casa?” chiese Daisy.
“Ho lasciato il furgone al Boar’s nest...” rispose Luke.
“Il Generale , però, è qui fuori” ribatté Bo.
“Andiamo allora. Io sono stanca morta.” Dichiarò Daisy.

Fu un viaggio silenzioso, in cui nessuno di loro, insolitamente, disse nulla.





Ecco il sesto capitolo: non vi ho fatto aspettare troppo vero?
Grazie a chiunque legga questa fic.
Un grazie speciale a tutte le mie meravigliose recensitrici: Lu, Marzia, Thia, i1976 e Lella.
A presto, Jiul.

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Capitolo 8
*** La lite ***


7: La lite.
How can I try to explain
When I do he turns away again
And it's always been the same
Same old story
From the moment I could talk
I was ordered to listen
Now there's a way and I know
That I have to go away

Come posso provare a spiegare,
quando lo faccio, si volge altrove di nuovo
È sempre la stessa vecchia storia
Dal momento in cui potevo parlare,
mi fu ordinato di ascoltare
Ora c'è una strada e so
che devo andarmene
(Cat Stevens -  Father and son)

Hazzard - Settembre
Appena arrivati a casa i ragazzi Duke si stupirono, quasi, di trovarla vuota e silenziosa.
Sapevano che lo zio Jesse era l’anima della casa e della famiglia, ma vedersi quasi sbattere in faccia la sua assenza era tutt’altra cosa.

Luke era scuro cin viso e Daisy chiusa in un ostinato silenzio.
Bo sapeva che ce l’avevano con lui.
“Ok – considerò – tanto vale che affronti subito la cosa. Aspettare non cambierebbe assolutamente nulla”

“So che siete arrabbiati. Mi dispiace per quello che è successo. Non volevo fare del male a nessuno. Era una cosa che riguardava solo me” disse, guardando i cugini.
“Siamo una famiglia. Quello che ti succede riguarda anche noi!” dichiarò Daisy.
“Non questa volta…” mormorò Bo.
“Perché? Perché l’hai fatto Bo? Io davvero non capisco…” rispose lei
“Vuoi la verità? Eccola! Qualche giorno fa due tizi mi hanno proposto una corsa clandestina ed io ho rifiutato, ma poi sono tornato a casa e zio Jesse mi ha detto che Boss Hogg ha aumentato la rata della nostra ipoteca e la vuole in anticipo. Il premio per quella corsa erano tremila dollari. Ho pensato che potevo offrire un po’ di tranquillità allo zio facendo la sola cosa che mi riesce veramente bene” spiegò Bo.
Daisy spalancò la bocca, sorpresa.
Certo Bo aveva fatto un’enorme, colossale sciocchezza, ma aveva agito a fin di bene, le sue intenzioni erano buone.
La ragazza sentì il proprio cuore sciogliersi e la rabbia cedette immediatamente il passo al dispiacere.

Luke non la pensava allo stesso modo.
Sino ad allora si era limitato ad ascoltare lo scambio di battute tra i cugini, ma in quel momento decise d’intervenire
“Tu non hai pensato!!! Nemmeno per un  minuto!!! – gridò al cugino – perché se l’avessi fatto ti saresti reso conto che stavi per fare un’idiozia! Come ti è saltato in mente? Sai che se la polizia ti avesse scoperto saresti finito dritto in prigione?! Devi saperlo! Siamo in libertà vigilata… di cosa’altro hai bisogno, eh? Boss e Rosco non aspettano altro che sbatterci dentro, ci provano ogni giorno con in ogni modo e tu stavi per servirgli la tua testa su un piatto d’argento! Devi essere pazzo per fare una cosa del genere!”
“Luke…Io sono certa che Bo abbia agito in buona fede….”
Daisy provò a calmare il cugino più grande.
“Non è una giustificazione!” ribatté Luke.
“Forse ti sfugge il punto: io non devo giustificarmi con te! Non ti devo nessuna spiegazione! Ti ho tenuto fuori da questa storia appunto per questo, sapevo che non avresti capito!” dichiarò Bo.
“Non c’è nulla da capire. Ti sei comportato da sciocco irresponsabile! Non c’è niente da aggiungere!”
“In ogni caso non ti riguarda!”
“Mi riguarda eccome! Hai visto cosa hai combinato? Zio Jesse è in ospedale e ha rischiato sul serio! Sta male ed è solo colpa tua!”

Daisy capì che la situazione stava precipitando; i suoi cugini non avevano mai litigato così prima d’allora.
“Ragazzi io credo che sia meglio parlarne domani mattina, quando saremo tutti riposati. Dormirci su ci farà bene” disse, ma nessuno dei due le prestò attenzione.

“Non volevo certo fare del male a zio Jesse. Sai che non lo farei mai!!!”
“L’hai fatto! Io non so davvero come tu abbia potuto, ma l’hai fatto…..Come hai potuto non fermarti a riflettere per un minuto?! Un minuto solo!?”
“Ora basta Luke, non hai il diritto di parlarmi in questo modo!”
“Ce l’ho eccome! Se tu ti comporti da ragazzino immaturo e irresponsabile devi aspettarti che gli altri ti trattino come tale!”
“Si dà il caso che io non sia un ragazzino!”
“Allora comportati da uomo!”
“Vuoi fare a pugni con me Luke?”
“Sai che non ti conviene”
“Andiamo fuori” sibilò Bo. Non avrebbe mai permesso a nessuno, nemmeno a Luke d’insultarlo in quel modo.

Daisy sentì che i presentimenti di qualche attimo prima si trasformavano in certezze e la prospettiva di una lite tra cugini la terrorizzava.
Conosceva Luke: testardo, introverso, a tratti persino scontroso e sapeva che vedeva le cose bianche o nere, senza nessuna sfumatura intermedia. Luke, intransigente prima di tutto con se stesso, non avrebbe mai perdonato chi , anche involontariamente, avesse fatto del male allo zio Jesse, nemmeno se quel qualcuno fosse stato Bo, di questo Daisy era assolutamente certa.
Ma Daisy conosceva Bo altrettanto bene: impetuoso, temerario e ostinato, agiva d’impulso, senza fermarsi a rifletterci su, nemmeno per un attimo.
Era sicura che Bo si sentisse tremendamente in colpa per ciò che accidentalmente aveva causato, che fosse convinto che la colpa fosse interamente sua, ma non l’avrebbe mai ammesso, non davanti a Luke che lo aggrediva in quel modo.
La situazione le appariva senza via d’uscita; anche volendo non sarebbe mai riuscita a fermare i suoi cugini; ognuno era evidentemente convinto di avere ragione e non avrebbero smesso fino quando l’altro non avesse ammesso di avere torto.
Non succederà mai! Finiranno col farsi male sul serio e continueranno finché avranno un filo di fiato” considerò tra sé, desiderando ardentemente che quello non fosse che un brutto sogno da cui si sarebbe svegliata al più presto.
Daisy corse fuori appena in tempo per vedere i primi pugni.
Benché non fossero dei santi era capitato raramente, anche in passato, che Luke e Bo arrivassero alle mani, vuoi perché, quando erano bambini, bastava uno sguardo della zia o un rimprovero dello zio a raffreddare gli animi,  vuoi perché Luke aveva parecchi anni più di Bo e riusciva a tenergli testa con le parole o  perché il loro era un rapporto speciale e, solitamente, non c’erano gravi motivi di scontro fatto sta che quella era la prima volta che li vedeva  litigare in quel modo.
“Ricorderò questa scena finché vivrò, ne sono sicura” pensò Daisy che, senza nemmeno rendersene conto, piangeva e gridava ai ragazzi di smetterla.

Luke e Bo si fermarono, ma solo quando non avevano più fiato e nessuno dei due riusciva a rialzarsi in piedi, e rimasero stesi sull’erba, davanti a casa.

“Spero che ora sarete fieri di voi stessi. Siete davvero un bello spettacolo! Complimenti! - disse loro, quando li raggiunse. La luna piena le permetteva di vedere che entrambi erano conciati piuttosto male - Zio Jesse sarà davvero fiero di voi due quando vi vedrà. Darvele come due bambini mentre lui è in ospedale….Non ho parole, ragazzi! Dovreste vergognarvi!”

Bo non rispose. Non aveva neppure la forza di aprire gli occhi. Si sentiva come se fosse stato investito da una mandria di bufali.
Il famoso destro di Luke gli era arrivato dritto nello stomaco, e ora il dolore gli impediva quasi di respirare, figurarsi se poteva pensare o addirittura rispondere alla cugina!

“È colpa sua se zio Jesse è in ospedale” borbottò Luke.
Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per riuscire ad articolare le parole in  maniera comprensibile.
Non avrebbe mai immaginato che suo cugino picchiasse tanto forte.
Aveva male dappertutto…

“Smettetela subito! – ribatté Daisy che era furiosa con loro e non cercava certo di nasconderlo – Io me ne vado a letto e voi fareste bene a fare altrettanto!  Sapete dove sono cerotti e disinfettante o qualsiasi altra cosa vi possa servire! Buonanotte.”


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Luke non aveva nessuna intenzione di passare la notte all’addiaccio, ma dovette provarci diverse volte prima di riuscire ad alzarsi e ad incamminarsi, barcollante, verso casa.
Daisy aveva lasciato le luci accese.
Almeno eviterò di inciampare in qualcosa!” pensò, mentre andava in bagno.
Si tolse la camicia e lo specchio, casomai ce ne fosse stato bisogno, gli confermò che era ridotto piuttosto male: oltre al labbro spaccato aveva diverse escoriazioni sul torace e sulle braccia e parecchi lividi.
Prese il disinfettante dall’armadietto e provò a sistemare un po’ le cose, prima di andare a letto.



Bo aspettò che le luci fossero spente, prima di alzarsi.
Non voleva vedere nessuno ed era certo che Luke non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di attaccarlo di nuovo se si fossero trovati faccia a faccia.
Seduto sull’erba, con i grilli e la fresca brezza della sera come unica compagnia cominciò a pensare.
Che cosa ho fatto? No, come ho fatto ad arrivare qui? Zio Jesse è in ospedale….Si è sentito male vedendo il salto sulle fiamme…..Come ha fatto ad arrivare là? Nessuno avrebbe dovuto sapere niente……E Daisy è furiosa con me, per quello che ho fatto allo zio e per la rissa con Luke…..Luke, già, Luke…..So che non mi perdonerà mai per tutto quello che è successo……”



Atlanta – Dicembre
“Questo è tutto – disse Daisy a Meg – La mattina dopo di Bo non c’era più alcuna traccia. Ha lasciato solo un biglietto per lo zio in cui diceva di avergli fatto già abbastanza male, anche se involontariamente e che quindi preferiva evitare di fare altri danni. Due stupidissime righe, capisci? Se n’è andato senza nemmeno provare a spiegare e a chiarire le cose….”
“E tuo zio? Tuo cugino? Come mai non l’hanno cercato?” chiese Meg.
“La convalescenza di zio Jesse è stata più lunga del previsto; il fatto che Bo se ne sia andato non l’ha certamente aiutato, credimi. E Luke…Bhè, Luke è Luke…...Se lo conoscessi capiresti perché ha agito così. È un uomo buono, ma vede tutto bianco o nero. Per lui una cosa è giusta o sbagliata, non conosce mezze misure e far ammalare zio Jesse è il peggior crimine che chiunque possa commettere, per lui.
Vedi i miei cugini sono bravi ragazzi, ma niente può fermarli, non accettano di rendere conto a nessuno, eccetto lo zio Jesse…Non so se riesco a spiegarmi…” rispose Daisy.
“Ho capito perfettamente, credimi. Ma ora dobbiamo trovare un modo per riunire la tua famiglia. Anche Bo sta male, senza di voi” ribatté Meg.
Daisy capì di aver trovato un alleato nel cuore generoso e romantico di quella donna gentile e generosa.
“Tu…conosci bene mio cugino?” le chiese
“Franck l’ha aiutato a trovare casa e lavoro e io non so resistere ai cuccioli smarriti, così abbiamo fatto il possibile, ma Bo non permette a nessuno di avvicinarsi troppo a lui. Noi abbiamo un figlio, Peter, che ha dieci anni, una volta gli ha costruito un aquilone e gli ha insegnato ad usarlo ed è l’unico con cui tuo cugino sembra parlare volentieri.
Alcune volte riesco a convincerlo a mangiare qualcosa qui o gli mando qualcosa, ma, ti ripeto, tiene tutti a distanza…bhè quasi tutti, perché, sai….c’è una processione praticamente ininterrotta di donne che entrano ed escono da casa sua…..ma non penso che si confidi con loro, sai, è davvero raro vedere la stessa ragazza per due volte di fila…” raccontò Meg
Daisy era un  po’ imbarazzata. Sapeva che i suoi cugini avevano sempre riscosso i favori dell’altro sesso, ma avevano mantenuto una certa discrezione…evidentemente ora, Bo non si preoccupava più di farlo.
“Mi spiace dirti queste cose, evidentemente ti infastidiscono.....lo faccio solo perché, vedi, io come ti ho detto ho un figlio.....e penso che se tra dieci anni capitasse la stessa cosa a Peter mi piacerebbe che ci fosse qualcuno disposti ad aiutarlo…..So che Bo è convinto di essere perfettamente in grado di badare a se stesso, ma io sono convinta che se stesse bene non avrebbe quell’aria smarrita ed i suoi occhi non avrebbero quell’espressione turbata . Mia madre mi ha sempre detto che gli occhi sono lo specchio dell’anima e quelli di tuo cugino raccontano cose che cerca di nascondere con troppa cura”
“È la stessa cosa per noi credimi. A nessuno piace questa situazione: io, zio Jesse che ha sempre ripetuto che i ragazzi non vanno tenuti nella bambagia e che un uomo dev’essere libero di fare le proprie scelte, anche se commette degli errori e poi si strugge per la mancanza di Bo e soprattutto Luke che, da quando Bo se n’è andato, è cambiato completamente” disse Daisy
“Troveremo un modo per aggiustare le cose, te lo prometto” dichiarò Meg, posando una mano sulla sua.
“Già, lo troveremo. Ora non sono più sola” ribatté Daisy, con fiducia.




Come avevo promesso ho postato velocemente il 7° capitolo.
Spero vi piaccia.
Grazie a chi recensisce puntualmente questa storia, ma anche a chi la legge semplicemente.

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Capitolo 9
*** Incontro ***


8: Incontro

Non si può
fare quello che si vuole
non si può spingere
solo l'acceleratore.
Guarda un po’
ci si deve accontentare.
( Vasco Rossi – Il mondo che vorrei)


Come due fratelli veri che fanno un po’ per uno di metà
Nella stessa casa io e te rinchiusi in una sola libertà
(O.R.O. -  A mio fratello)


Atlanta - Dicembre
“Bo ho bisogno di te…per favore….”
Bo era davvero sorpreso di sentire la voce della cugina, per diversi motivi:
in primo luogo era andata via da Atlanta, una settimana prima, e, proprio come lui le aveva chiesto esplicitamente, non si era più fatta viva.
Secondariamente non ricordava di averle mai detto dove lavorava, figurarsi poi averle dato il numero di telefono della ditta!
Terzo aveva tagliato i ponti da mesi con il suo passato, perché mai Daisy si rivolgeva proprio a lui, anziché a qualcun altro della famiglia?
Tuttavia, ancora una volta, non seppe resistere alla voce implorante della cugina
“Cosa è successo?” le chiese, le altre risposte potevano aspettare.
“Mi sono fatta male…” piagnucolò Daisy, all’altro capo dell’apparecchio.
“Che significa che ti sei fatta male?” domandò ancora lui, allarmato.
“Esattamente quello che ti ho detto Bo! Mi sono fatta male e ho bisogno di te!” ripeté lei, spazientita.
“Io sto per uscire dal lavoro, dove sei?”
“Sono alla tavola calda vicino a casa tua…Muoviti, ti aspetto qui” dichiarò lei, prima di interrompere la conversazione.





Luke Duke guidava come un matto.
Correre per le strade di Atlanta non era certo come farlo negli spazi aperti delle amate campagne di Hazzard o nelle sue strade polverose, ma Luke era disposto a fare qualsiasi cosa per raggiungere l’indirizzo che Daisy gli aveva dato nel minor tempo possibile.
Quando sua cugina aveva chiamato per dirgli che si era fatta male e aspettava in un locale che andasse a prenderla si era davvero spaventato.
Daisy era andata in città a trovare una sua amica, ma evidentemente qualcosa era andato storto.
C’erano mille ragioni che mettevano Luke in ansia:
-    l’incidente di Daisy
-    il fatto che lo zio Jesse si trovasse anche lui fuori città, a far visita alla cugina Lavinia; non sapeva se considerarlo una fortuna, visti i precedenti, o meno…
-    e l’auto che guidava.   Lo zio Jesse aveva preso il suo furgone e  Daisy aveva portato la macchina da Cooter, quindi lui era stato costretto ad usare il Generale.
Il vecchio Generale Lee ( l’auto dei suoi sogni, che lui e Bo avevano costruito e reso membro affettivo di tutte le loro avventure) e che era rimasto chiuso nel granaio per due lunghi mesi.

Luke sentì una dolorosa fitta di amarezza, pensando al cugino,ma la ricacciò indietro con forza.
“Non sono stato io a scappare” pensò, indirizzando immediatamente le proprie considerazioni ad altri argomenti e stringendo il volante talmente forte che le nocche gli diventarono bianche.





Bo corse velocemente verso la tavola calda di Franck e Meg.
“Che diavolo ci fai qui Daisy? Cosa sei venuta a fare ad Atlanta?” si domandò, sapendo che, in realtà, la sola cosa che gli importava veramente era il benessere della cugina.
Spalancò la porta e si stupì di trovarla deserta.
“Daisy? Franck? Meg? C’è nessuno? Dove siete?” gridò. “Siamo nel retro Bo, vieni” rispose Meg  e lui non se lo fece ripetere due volte.





Luke parcheggiò il Generale e lesse per l’ennesima volta l’indirizzo che Daisy gli aveva dato e che aveva scarabocchiato frettolosamente su un pezzo di carta.
Entrò nell’unica tavola calda dei paraggi.
“Buonasera, sono Luke Duke, cerco mia cugina” disse alla donna indaffarata dietro il bancone del bar.
“Oh, certo, venga pure, l’abbiamo fatta sistemare nel retro, pensando sarebbe stata più comoda, vada pure” rispose lei con un sorriso.
“Grazie mille. Scusate per il disturbo…” ribatté lui
“Ma si figuri, vada, vada…Non faccia aspettare sua cugina” ribadì la donna.




Luke si ritrovò improvvisamente in una stanza buia.
“Ma che succede? – chiese, cominciando ad allarmarsi – Daisy dove sei?”
Sentì una porta chiudersi alle proprie spalle e, nello stesso momento, si accese la luce.
Quello sembrava, realmente, il retrobottega, anche piuttosto confortevole, di un locale, ma non c’era alcuna traccia di sua cugina e lui era chiuso là dentro.
Provò a buttare giù la porta, ma era robusta e chiusa dall’esterno per cui ogni tentativo fu inutile.
“Che significa?” gridò ed inaspettatamente  sentì la voce di Daisy
“Significa che sono stanca di sopportarvi! Che vi state comportando come bambini capricciosi! E siccome siete cocciuti come muli e non riuscite a mettere da parte il vostro stupidissimo orgoglio ci ho pensato io! È ora che affrontiate la situazione!”
Luke non capiva assolutamente nulla di ciò che stava succedendo.
“Che vuoi dire? Daisy apri immediatamente questa porta!” ordinò, ma non ottenne alcuna risposta.

“Che ci faccio qui? Perché Daisy ha organizzato tutta questa storia?” si chiese, ispezionando la stanza.
Vide un’altra porta e non esitò un attimo ad aprirla.
Ciò che si trovò di fronte lo lasciò senza fiato.

All’interno di un piccolo sgabuzzino c’era Bo, imbavagliato e legato ad un sedia.

Involontariamente Luke cominciò a ridere di cuore, mentre si affrettava a liberarlo.
“Chi è stato?” gli chiese.
Bo fece un lungo respiro, poi rispose “Ha organizzato tutto Daisy! Quando usciremo di qui la strozzerò, lo giuro!”
Luke continuò a ridere.
“Io non ci trovo nulla di divertente! - sbottò Bo, seccato – mi ha detto che era stufa di sopportare di avere a che fare con uomini sciocchi e testardi e che aveva deciso di risolvere la cosa a modo suo…”
“Ha detto la stessa cosa anche a me” ammise Luke, facendosi serio.
I due ragazzi, che non si vedevano da mesi, si guardarono con circospezione, per qualche minuto.
Erano impacciati e nessuno di loro sapeva che dire.
Fu Luke a rompere il silenzio.
“Stai bene?” chiese.
“Si” fu la lapidaria risposta di Bo.
“Come mai Daisy è qui?” domandò ancora Luke.
Bo gli raccontò brevemente i precedenti incontri con la cugina.
“Quando usciremo di qui tornatevene ad Hazzard e dimenticatevi di me!” dichiarò, deciso.
“È questo quello che vuoi eh? Te ne sei andato buttandosi tutto alle spalle e ora non vuoi che nulla interferisca con la tua nuova vita, no?” disse Luke, sarcasticamente.
“Come ti permetti di dire una cosa del genere? Forse non ricordi che sei stato tu a dirmi che avevo mandato zio Jesse in ospedale!” ribatté Bo, con rabbia
“Dimmi che avevo torto, se ne hai il coraggio!” berciò Luke.

Erano in piedi e la loro presenza sembrava riempire la piccola stanza.
Occhi negli occhi,fiammeggianti di collera, mascelle serrate, mento proteso e pugni chiusi entrambi sembravano pronti a scontrarsi di nuovo, come due mesi prima.

“Non servirebbe a nulla! Tu non vuoi ascoltare nessuno, me meno che mai…..Sei chiuso nelle tue assurde convinzioni deciso a non cambiare idea per nulla al mondo. Qualsiasi cosa possa dire o fare sarebbe inutile” dichiarò Bo.

Luke fece per rispondere, ma sentirono della voci, provenire dal locale.
“Non è la voce di Franck – sussurrò Bo sottovoce, facendo cenno a Luke di tacere – spegni la luce”

Luke non pensò neppure per un momento di obbiettare.

“Ehi Jim, non vedo nulla, accendi quella maledettissima torcia!”
“Fa’ piano, sei cretino e vuoi che ci senta tutto il palazzo?”
“Ho detto accendi quella torcia!”
“Ecco sei contento ora?”
“Certo, almeno vedrò dov’è la cassa e potrò prendere i soldi, tu sei troppo stupido per farlo!”
“Finiscila di cercare rogne e muoviti! Non vorrai che quel tipo ci trovi qui per colazione o che qualcuno avverta la polizia,vero?”
“Certo che no! Sbrighiamoci!”


“Hai sentito?” chiese Bo.
“Ma certo che ho sentito. Sai dove posso trovare un coltello qui dentro?” domandò Luke.
“No che non lo so! Ma ho visto un tagliacarte sulla scrivania, credo vada bene ugualmente…” rispose Bo che aveva capito immediatamente le intenzioni del cugino.
Luke armeggiò con la serratura della porta per pochi secondi e si ritrovarono faccia a faccia con i due ladri che cercavano di svaligiare la tavola calda.

Quella che seguì fu una lite in piena regola.
E durante ogni rissa, da sempre, Bo guardava le spalle a Luke e Luke guardava le spalle a Bo, ciascuno dei due pronto a spalleggiare l’altro.
“Luke!”
Il pronto avvertimento di Bo salvò Luke da una sedia in testa, ma la distrazione gli costò una rovinosa caduta contro una delle finestre e permise ai due malviventi di scappare.

In un attimo Luke fu accanto al cugino.
“Tutto bene? chiese.
“Si - rispose brevemente Bo – Dobbiamo chiamare Franck”
“Chi?”
“Meg e Franck Jones, sono i padroni di questo posto. Il loro numero dev’essere sull’elenco; ce n’è uno accanto al telefono, laggiù – Bo indicava un apparecchio, all’angolo del locale – potresti chiamarli, per favore?”
Luke non se lo fece ripetere due volte.

Quando si voltò vide suo cugino che cercava maldestramente di fasciarsi una mano con uno straccio.

“Che fai?” gli chiese, sinceramente preoccupato.
“Nulla” borbottò Bo.
“Fammi vedere la mano!” gli ordinò.
“Smettila Luke! Non è nulla!” ribatté.
“Se non è nulla perché non posso vederlo? Mi sembra che stia sanguinando…” insistette Luke.
“Mi sono tagliato con il vetro… - ammise Bo -  ma non è niente!”
“Fammi vedere la mano!” ripeté Luke, perentorio.
Bo, se pure controvoglia, gli porse la mano.
“Non credo ci vorranno dei punti, ma devi comunque disinfettarla… - disse – credi che avranno qualcosa qui?”
“Cosa ha detto Franck?” chiese Bo, cambiando discorso.
“Sta arrivando – rispose Luke – tu sta’ fermo, io vedo se riesco a trovare qualcosa per quel taglio”
“Puoi farne a meno. Contrariamente a quello che pensi so cavarmela anche da solo. Anzi, ora che ci penso, non c’è bisogno che resti qui.” Ribatté Bo, in tono duro.
Luke guardò il cugino negli occhi, quegli stessi occhi che si erano rivolti fiduciosamente a lui per ventun’anni e quello che vide lo spaventò.
Non c’era fiducia, né ammirazione né gioia di vivere, divertimento o felicità in quegli occhi azzurri e il viso di Bo non aveva la solita espressione scanzonata, un po’ irriverente e allegra.
“Cosa ti ho fatto?” pensò, terrorizzato.
E la rabbia nei confronti del cugino, la rabbia che per mesi l’aveva tenuto chiuso nel proprio dolore, assurdamente puntato sulla propria posizione che considerava quella giusta, si trasformò in rimorsi e ripianti.
Quando Bo era arrivato alla fattoria aveva voluto prenderlo in braccio ad ogni costo, tormentando lo zio Jesse e la zia Martha che, alla fine avevano ceduto alle sue insistenze. Luke si era ritrovato tra le braccia un fagottino scalpitante di pochi mesi che l’aveva conquistato con un sorriso senza denti e due limpidi occhi celesti.
Bo aveva imparato a parlare imitando Luke e a camminare per stargli dietro.
Luke gli aveva insegnato a guidare e, prima ancora, ad andare in bicicletta, a sparare, a nuotare, a cacciare, a cavalcare, a pescare…
Avevano vissuto sempre insieme, condividendo ogni cosa…….

Luke andò nel retro per tornare, poco dopo, con una cassetta del pronto soccorso.
“Ho trovato questa, dovrebbe bastare… - disse – dammi la mano”
“Luke…ti ho già detto che me la caverò. Vattene!” ripeté Bo.
“Ok. Per me non è facile, parlare di certe cose. Non lo è mai stato, ma ora per favore, ascoltami. Daisy ha ragione,sai? Ci siamo comportati come bambini viziati e capricciosi e nessuno dei due ha più l’età per i capricci. Io non avrei dovuto aggredirti in quel modo, la notte in cui zio Jesse è stato male. Non ti ho dato la possibilità di spiegarti,hai ragione…. Ho deciso a priori che tutto quello che successo era colpa tua perché avevo bisogno di un capro espiatorio…Sai zio Jesse malato…..io credo di aver avuto paura perché…non è mai stato male prima di allora ed l’unico…l’unico punto fermo nella mia vita….Non ho pensato che tu sicuramente provavi le stesse cose e per questo ti chiedo scusa. E anche prima, con quei due…mi hai salvato, come hai vecchi tempi. Grazie.” rispose Luke.
Bo guardò il cugino, incredulo.
“Mi stai chiedendo scusa? Mi sembrava di essere stato io a combinare quell’enorme casino… Perché questo cambiamento improvviso?” gli chiese.
Luke sospirò.
“Sei una testa dura eh? Ma di cosa mi stupisco, lo sei sempre stato! Tu sei stato irresponsabile, ma hai agito a fin di bene. Se le cose sono degenerate la colpa è di entrambi. Non avrei dovuto parlarti in quel modo né tanto meno colpirti, quel giorno”
“Non devi chiedermi scusa. Ho combinato un disastro e, sai una cosa? Quella sera…bhè…io credo che tu avessi ragione. È stata tutta colpa mia…”
“No, non è vero. Hai commesso uno stupido errore, ma non sei stato tu a far star male zio Jesse.”
“Lo pensi sul serio?”

Dio quanto era sempre stata importante per Bo, l’approvazione di Luke!!!

E quanto si sentiva stupido, Luke, per avere lasciato che Bo se ne andasse e non averlo cercato e riportato a casa!

“Mai stato più serio di così”  dichiarò Luke, mentre medicava la mano del cugino.
“Ecco fatto. Non sono bravo come zio Jesse, ma dovrebbe andar bene comunque” disse.

“Dimmi che mi hai perdonato” ribatté Bo, inaspettatamente.
“È tanto importante ciò che penso io?” domandò Luke, per tutta risposta
“Lo è sempre stato” ammise, sinceramente, Bo.
“Ok io ti perdono, ma solo se tu perdoni me” ribatté Luke
“Questo pareggia i conti?” chiese Bo
“Immagino di si… Solo una cosa, cugino…” borbottò Luke
“Dimmi”
“Se ti salta in mente di fare di nuovo una cosa così stupida fai in modo che io non ne venga mai a conoscenza, perché se dovessi scoprirla giuro che ti chiudo nel granaio fino a quando non riacquisterai la ragione!” dichiarò Luke.
Bo sorrise, ricordando le volte in cui suo cugino l’aveva fatto sul serio.
“Promesso”



Ecco qui il penultimo capitolo.
Come sempre spero vi piaccia.
Un grazie speciale a chi mi lascia un commento (Lella, Lu, Marzia e i1976), ma anche a chi legge soltanto.
A presto col 9° e ultimo capitolo, Jiul.













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Capitolo 10
*** La scelta ***


9: La scelta.

"La vita è come un circuito, devi continuare a girare senza mai fermarti. Chiaro, puoi perdere il controllo e schiantarti, ma
se non affronti quella curva, non imparerai mai a superarla".
("Hazzard ")


                               Si può essere amici per sempre,
anche quando le vite ci cambiano,
ci separano e ci oppongono / Puoi alzare barriere, litigare con dio,
cambiare famiglia e città,
strappare anche foto e radici, ma tra amici
non c'è mai un addio. (Pooh – Amici per sempre)


Atlanta – Dicembre


Franck e Daisy si erano precipitati al locale immediatamente dopo aver ricevuto la telefonata di Luke.
Avevano lasciato Meg a casa, con Peter, preferendo non spaventare il bambino.

Trovarono Luke e Bo seduti ad uno dei tavoli.

“Io non so davvero come ringraziarvi…” disse Franck.
“Non deve ringraziarci. In fondo non è merito nostro ma suo e di Daisy che ci avete chiuso qui” rispose Luke con un sorriso sincero che gli illuminava il viso.
“Io…bhè….grazie comunque… -  ribadì Franck – dovrò passare la notte qui; non posso lasciarlo col vetro in quelle condizioni, quindi gradite un caffè?”
“No grazie. Io voglio solo tornare a casa. Ci vediamo Franck - rispose Bo, poi si rivolse ai cugini – Voi venite con me?”
“No, io resterò ad aiutare Franck, per ora. Poi voglio tornare da Meg e tranquillizzarla, non mi va che stia sola; casomai vi raggiungo più tardi” rispose Daisy.
Le era bastato un attimo e un’ occhiata per capire che i suoi cugini avevano ricominciato a parlarsi e le parole di Bo, involontariamente, l’avevano confermato, ma sapeva anche che ci sarebbe voluto del tempo ed intendeva approfittare di qualsiasi occasione per velocizzare la cosa.
I ragazzi annuirono, senza pensare neppure lontanamente di obbiettare: primo perché conoscevano la cugina e avevano imparato da tempo che nulla riusciva a farle cambiare idea, quando era determinata a fare qualcosa, secondo perché sentivano di aver lasciato il discorso in sospeso: c’erano ancora troppe cosa da chiarire, tra loro.


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Luke seguì Bo all’interno del minuscolo appartamento.
Com’era diverso dalla casa in cui erano cresciuti.
La fattoria non era certo un’abitazione signorile (anzi!), eppure era calda, spaziosa, luminosa e profumata.
Quella non sembrava nemmeno una casa, ma una scatola, tanto era piccola; e poi era disordinata con il letto sfatto e bottiglie sparse un po’ ovunque.
“C’è stato un tornado e sei stato investito dai rifiuti di uno negozio di liquori?” provò a scherzare Luke.
“Non sei divertente. Lo so che qui è terribile, ma non ho avuto tempo di mettere in ordine…Non aspettavo visite…” rispose Bo.
Luke deglutì. Voleva sapere cosa era successo, era terribilmente curioso, diamine per oltre vent’anni aveva saputo tutto ciò che riguardava suo cugino ed ora, improvvisamente, gli sembrava quasi di non conoscere il ragazzo che gli stava di fronte.
“Bene  – pensò – se voglio che le cose tornino come prima devo fare come ho sempre fatto!”
“Vuoi farmi credere che, in questi due mesi, quel letto non ha visto nessun’altro oltre te?”
Lo stava provocando, volutamente; era sempre stata una loro abitudine, quasi un gioco, scherzare sulle donne.
“Non credo che la cosa ti riguardi, sai..” ribatté Bo.
Non sembrava disposto a scherzare.
“OK, cugino, è chiaro che c’è qualcosa che non va. Non sei mai stato bravo a nascondere le cose. Di che si tratta?” chiese Luke, sedendosi su una sedia, stranamente libera.
“Già quella è la tua specialità. Bhè sai che c’è? Le cose cambiano e anche le persone. Io sono cambiato in questi mesi!” dichiarò Bo.
Sembrava pronto a ricominciare a litigare, come se la chiacchierata alla tavola calda e i loro chiarimenti non fossero mai esistiti.
Luke si ripropose di mantenere la calma e di comportarsi in maniera matura e responsabile.
“È quello che ho sempre fatto – considerò – niente di più. So come trattare Bo, devo solo ritrovare le vecchie abitudini!”
“Lo immagino. Non dev’essere stato facile. Ma sai una cosa è stato difficile per tutti…Si tratta solo di capire se vogliamo che le cose tornino com’erano o rimangano come sono” disse, semplicemente.
Bo tacque, per alcuni minuti, poi si sedette di fronte a lui, buttando per terra i giornali che occupavano la sedia.
“Io non lo so, Luke. Non so che fare” ammise.

Per una volta Bo, sempre così espansivo e disposto a comunicare, non riusciva a trovare le parole giuste.

Scappare da Hazzard non era stata un’idea geniale e tante , troppe volte aveva desiderato tornare indietro, ma non l’aveva fatto, per orgoglio, ma anche per paura di fare ancora del male alla propria famiglia e si era consolato con una donna, con una bottiglia o con entrambe.
Aveva perso il conto di quante “amiche” occasionali erano entrate nella sua vita e nel suo letto e ne erano uscite velocemente, senza riuscire a colmare il vuoto che si portava dentro.
Non avrebbe mai saputo dire quante sere aveva trascorso davanti alla televisione con una birra, due birre, tre birre, o quante volte avesse tentato di scacciare i suoi incubi con una bottiglia di liquore….
Eppure era riuscito a mantenersi a galla, a dare alla sua vita, se non un senso, una certa stabilità: aveva trovato un lavoro e si era allontanato dal vizio del bere con la stessa rapidità con cui aveva cominciato.
Aveva capito che accettare il lavoro sporco che Jackal Harrison gli aveva proposto non era stata una mossa intelligente, ma aveva paura di pensarci perché in fondo al cuore sapeva che l’avrebbe fatto di nuovo, per aiutare lo zio Jesse, se solo fosse stato sicuro di non farlo star male…
Sì: vivere da solo, camminare con le proprie gambe, senza avere nessuno, senza volere nessuno accanto era stato tremendo, specie per un tipo come Bo, abituato ad avere intorno una famiglia, diversa da quelle tradizionali, ma affettuosa e soprattutto estremamente unita.

“Cosa vuol dire che non sai che fare?” chiese Luke allibito.
“Ho bisogno di tempo. Per pensare. Mi hai sempre detto che non rifletto mai su ciò che faccio, bhè, dovresti essere fiero di te, perché ho imparato la lezione cugino. Stavolta ci penserò bene, prima di fare qualcosa!” dichiarò Bo.
Luke si alzò.
“A questo punto non ha più senso che io resti qui. Vado a prendere Daisy e me ne vado. Se vuoi tornare a casa…bhè…conosci la strada e sai che la porta è sempre aperta” disse.

Sentiva di dover rispettare la scelta del cugino, anche se gli faceva un male cane.

“Abbi cura di te” gli disse, prima di andar via, chiudendosi la porta alle spalle.


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“Così tu l’hai lasciato lì, da solo?!”
Il tono di Daisy era tutt’altro che amichevole.
“Cos’altro avrei dovuto fare secondo te? Prenderlo per un orecchio e portarlo via per forza? Nel caso non te ne fossi accorta nostro cugino non è più un bambino, anzi è maggiorenne e ha diritto di vivere la propria vita come vuole!” rispose Luke.
È un uomo! – ribatté Daisy – Ma davvero sei così ottuso Luke! Cavoli sei sempre stato il più sveglio ed ora proprio non ci arrivi, vero? Se Bo non vuole tornare  a casa è perché ha paura!”
“Paura? E di cosa mai dovrebbe aver paura?” domandò.
Non gli piaceva essere ripreso dalla cugina, ma proprio non capiva dove volesse andare a parare.
“Paura! Ah, scusa, gli uomini forti e virili non hanno mai paura; quella è un cosa riservata alle donne, non è vero? Specialmente gli uomini Duke….Bhè vi sbagliate e di grosso! – dichiarò lei decisa – e ti giuro che se Bo non tornerà a casa al più presto ti renderò la vita impossibile, fino a quando non verrai ad Atlanta a riprenderlo, chiaro? Sai che ne sono capace perché tu sarai anche un Duke, mio caro, ma sai cosa c’è di peggio di un Duke arrabbiato? Una Duke arrabbiata!”

Luke sbuffò, irritato, sapendo che Daisy non parlava a vanvera ed prima entrò nel Generale per raggiungere Hazzard nel più breve tempo possibile!



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Hazzard, 24 Dicembre.

Era già passata una settimana da quando Daisy e Luke l’avevano incontrato ad Atlanta e Bo non si era ancora fatto vivo.
Avevano deciso di non raccontare nulla allo zio che in quel periodo appariva davvero sereno, quasi felice, per evitargli ulteriori dispiaceri.

“Stasera a cena saremo solo noi tre, non sembrerà neppure un vero Natale…” borbottò Daisy, mentre apparecchiava svogliatamente la tavola.
“Smettila di lamentarti. Sappiamo che sta bene ed e abbiamo deciso che è giusto rispettare la sua scelta!” la rimproverò Luke, sebbene l’assenza di Bo fosse un enorme buco, non solo a tavola, ma dentro di lui.
“Tu hai deciso!” ribatté lei, visibilmente contrariata.
“Deciso cosa?” chiese lo zio Jesse, arrivato in quel momento in cucina.
“Nulla, zio” rispose Luke, lanciando un’occhiataccia alla cugina.
“Daisy, tesoro, aggiungi quattro posti, ho invitato qualche amico a cena -  disse lo zio, sorridendo ai nipoti -  anzi, vorrei che veniste di là a salutarli”
“Subito” risposero i due all’unisono.

In salotto troneggiava lo splendido albero di Natale che Jesse aveva addobbato con le decorazioni che appartenevano alla famiglia da sempre; qualcuna era sciupata, qualcun’altra incollata, ma a nessuno sarebbe mai venuto in mente di buttarle via, perché facevano parte delle loro tradizioni!
“Ho un regalo per voi, nipoti, anzi, per noi!” dichiarò lo zio.
Sul divano erano seduti i Jones: Franck, Meg ed il giovane Peter ed in piedi, accanto al camino, c’era Bo.
Lo zio Jesse scambiò uno sguardo d’intesa col nipote più giovane e sorrise, sornione, agli altri due: era chiaro che era fiero dello splendido scherzo che aveva organizzato.
Daisy corse verso Bo e si strinse forte a lui e se Luke li separò fu solo per abbracciare, a sua volta, il cugino.

“Sono tornato a casa” disse Bo e nessuno aggiunse nulla a quella semplice frase che diceva tutto.





Alza gli occhi
e guarda lassù,
è Natale non soffrire più.
(Bianco Natale)



_ The (happy) End -


Eccoci alla fine della storia.!
Lo so, l'happy end, probabilmente era un po' troppo scontato, ma che volete farci? Io adoro il lieto fine e poi siamo sotto Natale, non potevo mica terminare con una strage, no?!
Scherzi a parte, grazie sinceramente, a chi ha impiegato un po' del suo tempo per leggere questa fic e grazie alle mie care amiche - Lella, Marzia, i1976, Lu e Thia -  per le loro graditissime recensioni.









 




















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