Are you hallucination or reality?

di RebsGnaf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


Capitolo uno.

Sono nel parco.

Cammino, non ho meta o meglio la mia meta prevista tra un po' è il 221b di Baker Street, la mia casa, ma sto facendo un giro per il parco di Londra senza ricordarmi il perché, sono in mezzo a persone di cui posso dedurre tutto, per esempio una donna alta con la carnagione pallida e i capelli mori sta chiamando suo marito (lo si capisce dal fatto che i suoi occhi verdi guardano la fede come per ricordarsi che è ancora lì e da come con quella mano minuta riesca ad avere una presa così salda sul telefono) per parlare a proposito del tumore che ha appena scoperto di avere (ha una cartellina medica e la sta stringendo come per sperare che non sia così, non la vuole lasciare come se fosse sia una speranza e insieme un delitto) ma non sa come parlargli (le sue carnose labbra rosee si stringono riducendosi a due sottili linee) per quello che può accadere, perché la sua paura è che la lasci per quelle "sgualdrine" (lei le chiama così, lo si capisce da come si formino delle rughe sulla fronte); forse oggi non voleva nemmeno uscire, pensa di averne troppo per una sola vita e come la capisco.

In effetti ora che ci penso, quando sono uscito di casa?

Qualcuno me lo avrà detto o ordinato, forse è meglio che vada a comprarmi una dose, almeno non penso più. Quell' uomo invece oggi ha appena capito che ha trovato l'amore (so cosa si prova, ma non so come sia averlo al suo fianco).

Il suo viso è pieno di amore sorride senza motivo ma so che vuole fare (sta guardando da lontano la vetrina di orificeria, fa una piccola smorfia di assenso con le labbra, ha paura di questo salto gli occhi grigi si posano sul negozio di fiori chiamato:"Flower street" ha cambiato idea e ora punta sul negozio diretto) le prenderà un mazzo di rose e dei cioccolatini (lo si capisce da come si lecca i baffi), non sorrido quando passa e mi sorride per cortesia.

Senza preoccuparmi di quanto accade attorno e del tempo che è passato mi ritrovo davanti la porta del 221b, apro la porta e la signora Hudson mi saluta con cortesia, (lo capisco che mi sorride e leggo il suo labbiale:"Buongiorno, bella passeggiata?" Non le rispondo ormai è da tempo che non riesco ad ascoltarla, sono ritanato nel mio Mind Palace 24 ore su 24, dormo lo stretto necessario, mangio così poco che se non fosse che sono io cadrei a terra senza nemmeno riuscire ad alzarmi più.

Salgo le scale e entro in casa quella casa, che è stata la mia vera casa per un po', ma ora non la guardo nemmeno e non faccio altro che drogarmi o stare nel mio Mind Palace.
Prendo quella vestaglia blu scuro piena dell' odore che so riconoscere benissimo, mi metto in maglietta e boxer per poi mettermi su quella, inspiro l' odore dei miei ricordi di quel profumo che ora riconosco solo come mio, mi sdraio su quel divanetto e non faccio altro che stare zitto a pensare.
Non sento la porta che si apre e Lestrade che entra con Anderson, quello non sa nemmeno cosa fare, guarda la casa sorridendo e leggo il labbiale di Lestrade che mi dice:" No, tranquillo non dobbiamo guardare che hai in casa, siamo solo passati per vedere come stai", scuoto la testa e poi indico la porta, con la voce rauca di chi non parla più da molto dico: "Uscite e ti prego non portartelo a dietro la prossima volta o in questa casa si vedrà calare il quoziente intellettivo in modo così affrettato che nessuno lo potrà capire, anzi tu puoi rimanere. Ma Anderson se ne può andare."

"Ok, Anderson esci"

"Ma voglio parlare con.."

"Anderson!"

"Va bene."


Anderson ha i capelli lunghi e mori ma sembrano unti, sporchi anche se so per deduzione che li lava spesso, la barba incolta mezza rossa e mezza grigia è davvero orrenda.

Se ne va guardandomi di sottecchi, lo trovo davvero irritante il fatto che si permetta di entrare qui e alla fine punto gli occhi addosso a Lestrade.

"Allora?"

"Sei stato al lavoro anche sta notte, mentre venivi qui ti sei bevuto un caffè in tutta velocità, hai cambiato il cerotto anche se in tasca hai un pacchetto di sigarette, potrei averne una? 

Tornando a noi, oggi devi parlare con Microft della mia situazione, dì a quella "regina" di non preoccuparsi so badare a me stesso, prima che tu possa aggiungere altro ti dico che se cerci qualcosa da sgranocchiare in questa casa non c'è e io se fossi in te leverei quella fede, ormai è da non so quanto ma posso ricordarmi il fatto che hai divorziato, quindi quel ricordo ti fa solo stare male levarlo sarebbe un buon passo.
Si, parlo io che sono in queste condizioni ma Lestrade io e te non siamo la stessa persona, buona giornata"

Lestrade boccheggiando mi da una sigaretta e un accendino, mi porto la sigaretta tra le labbra, l' accendo, la nicotina mi fa rinchiudere nel mio Mind Palace ancora di più, sento la porta che sbatte passi veloci che scendono le scale, un saluto e la porta principale che si chiude.

Già non mi sembra vero, ho bisogno della mia dose, prendo la siringa che è sotto il teschio e il laccio che è sulla libreria nascosto dai libri.
Mi faccio il nodo sul braccio con il laccio e aspetto di riuscir a vedere la mia vena e finalemente mi buco con l' ago, spingo lo stantuffo, mi è concessa un po' pace e confusione voluta nella mia mente.

Mi immagino quella faccia, gli zigomi affilati, le labbra carnose a cuore, tutto così perfetto lui è perfetto, poi sento o almeno i miei sensi immaginano di sentire la porta aprirsi, ma è impossibile nessuno oggi verrebbe da me, le persone di cui ho accettato la presenza sono poche, ma poi lo vedo davanti a me, sicuramente un' allucinazione, sento una mano che mi accarezza la guancia, sollevo gli occhi per fissare quelli di ghiaccio del mio coinquilino immaginario e poi lo sento dire:"John".

Si, sono io, il blogger innamorato perso del suo coinquilino nonché migliore amico Sherlock Homles.
È passato un anno o forse di più ma non me lo ricordo e non penso che in questo momento potrei ricordare.
Ma si, sono io John Watson.

*Angolo dell' autrice*
Ciao sono Rebs!
Spero che questa mia fanfiction vi piaccia, ci ho lavorato un giorno intero senza quasi nessuna sosta, questa trama mi è venuta in mente una sera fa e senza accorgermi ero nel mio mind fanfiction palace e per Gallefrey non ci potevo credere, le scene che ho scritto le vedevo perfettamente nella mia testa scorrevano senza sosta e naturalmente io dovevo trascriverle con un senso compiuto.
Spero davvero che vi piaccia mi sono impegnata al massimo.
Un salutone Rebs!

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


Capitolo due.

"Che hai fatto John?"
Questa domanda che sembra così concreta,
ma so di sicuro che non lo è.

Ho voglia di rispondergli, quindi apro la bocca e con la voce roca dico:"Deducilo consulente detective"
Lui lo fa, aggrotta le sopraciglia come per osservarmi meglio, d' un tratto spalanca gli occhi sorpreso e come mi manca la sua presenza nella mia vita.

Quest' allucinazione sembra che esista, ma lo so è la dose sparata nelle mie vene e lo guardo mentre lui finisce di dedurre.
"John perché?"
Mi chiede con la voce che sembra un lamento debole, io mi alzo tremolante, vado a prendere il pacchetto di sigarette, ne prendo una poi la poso sulle mie labbra e sfilo l' accendino dalla tasca.
Con un solo aggraziato movimento accendo la sigaretta, poi gli offro il pachetto come per chiedere se ne vuole una, scuote la testa i suoi magnifici ricci oscillano, Dio, mi formicolano le dita in questo momento vorrei passarle tra i suoi capelli e non lasciarlo più.

Ma è solo una finzione causata dalla mia mente confusa, devo razionalizzare e in questo momento penso solo alla risposta che voglio dare.

"Perché?"
Chiede di nuovo, questa volta non lascio che il silenzio cada tra me e lui.
"Mi manchi, lo sai? Ho paura di scordarti, sei il mio ricordo più bello e senza di te non riesco ad andare avanti"

Lo sguardo di Sherlock si addolcisce ma è anche preoccupato.

Non mi ricordo fosse così emotivo è sempre stato così freddo e calcolatore che mi sorprende il fatto di vedere le emozioni che non ha mai voluto far vedere, se non in quei pochi momenti intimi tra noi e cazzo li rivoglio indietro.


È fermo, non sa cosa fare, intanto senza grazia mi sdraio sul divanetto, senza più dire una parola, tengo lo sguardo fisso su un punto lontano perdendomi nel mio Mind Palace e lui se ne va.
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Appena esco di casa mando un messaggio a Mycroft.

- Perché non mi hai informato che John ha iniziato a fare uso di droghe? S.H.

La risposta mi arriva poco dopo sottoforma di chiamata a cui rispondo, sono sul marciapiede ed è appena arrivato un taxi, la destinazione è Scotland Yard.
Intanto inizio a conversare con mio fratello e lui è il primo a parlare.
"Ciao fratellino, scusa cosa fa John?"

Chiede in un tono freddo.

"Si droga, l'ho appena trovato sul divano, credeva fossi un allucinazione e sinceramente non mi piace esserlo"
Dico con una punta di frustrazione nella voce che fa trapelare quel poco delle mie emozioni che ho sempre nascosto.

"Io non lo sapevo, devi credermi sai che te lo avrei detto e poi tu più di chiunque altro sai quanto è difficile uscirne. Quindi sarai tu a prenderti cura di lui."

Sbuffo irritato come al solito quando parlo con lui ma subito riprendo il discorso.
"Poi dici di essere più intelligente di me, ma era ovvio che sarei stato al suo fianco, il punto è che rimarrà rinchiuso in casa per un bel po' e quindi sembra uguale a ciò che fa adesso. Ora vado a parlare con Lestrade"

Scendo dal taxi, lo pago, entro a Scotland Yard, mi fa pensare a quanti casi ho risolto partendo da qua e tornare in questo posto dove sono stato assente per due anni è strano.

Due anni dove John ha iniziato a drogarsi, è insopportabile il fatto che abbia iniziato a far uso di cose che lui prima odiava con tutto se stesso e non posso credere che non lo sapesse nessuno e insomma qualcuno andava pure a trovarlo!

Tutta questa rabbia da dove viene?

Sono stato arrabbiato molte volte ma non ho mai provato tanta rabbia crescermi così velocemente nel petto, stringo le labbra che diventano due righe sottili, vado verso l' ascensore senza nemmeno guardare le persone che sbalordite mi fissano ad occhi e bocche spalancate.

Oh, giusto io dovrei essere morto, ma non mi importa, sono così arrabbiato per quello che non ho saputo in questi anni di assenza l'ho saputo e premo il pulsante per salire al quinto piano dove c'è Lestrade, aspetto irrequieto, per due anni mi sono domandato che cosa provassi per Watson, ora ne sono più che sicuro, ma dirlo mi fa spaventare e quindi nemmeno ci penso.

Di nuovo altre persone a bocca aperta, la mia rabbia non si attenua e vedo Anderson che si avvicina sorridendo.

"Lo sapevo! Sei vivo!"

Lo dice con le lacrime agli occhi come una scusa supplicata silenziosamente, non gli rivolgo una sola parola ma vado dritto nel ufficio di Lestrade, apro la porta con una forza che nemmeno immaginavo di avere e lo trovo difronte a me.

Mi guarda e dice: "Ti aspettavo, Mycroft mi ha detto tutto lo immaginavo che saresti venuto a chiedere e si lo sapevo."

"Allora come hai potuto permettere che accadesse?!"
Urlo sobbalzando per il tono alto della mia voce, ma non mi fermo e scandisco le parole: "Come. Hai. Potuto?!"
Ho stretto i pugni e la mia lingua con le sue parole sono diventate taglienti.

"Credevo fosse tuo AMICO!"

Lo dico in un solo fiato, poi ne faccio uno ancora più profondo, mi calmo consapevole del fatto di aver appena perso le staffe e una sola domanda mi affolla la mente: " Perché?"

Lestrade mi guarda sorpreso, poi apre la bocca mi guarda dritto negli occhi e mentre lo analizzo lui dice: "Parli tu?! Non dovevi essere morto?!"
Anche il detective parla in modo tagliente, così tanto che se mi fosse vicino potrei perdere sangue, ma non mi importa e con una fredda calma gli dico :"Questi non sono affari tuoi, tu non sai nulla di quello che è successo realmente"

Accenna a un sorriso sghembo che mi fa capire che lui pensa di averla vinta, ma non è così riapro la bocca per esprimermi di nuovo ma lui mi interrompe prima che possa iniziare.
"Non capisci? Io ci ho provato, ho anche fatto esaminare la casa per trovare le prove ma ogni volta era pulita e lui diventava sempre meno lucido, Sherlock lui è impazzito dopo la tua morte, non riusciamo a capire come fermarlo molti di quelli che gli sono rimasti affianco non riescono ad avvicinarsi, io sono uno dei pochi a cui lo ha permesso e non so nemmeno io il perché."


*Angolo dell' autrice*
Hello!
Probabilmente questo capitolo è corto, ma mi sono impegnata affinché fosse perfetto sia per me e per chi legge questa Fanfiction.
Ehm, non so che altro dire quindi vi saluto!
Rebs

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Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***


Capitolo tre

Scuoto la testa facendo oscillare i miei riccioli ribelli, qui non c'è più nulla da dire e da fare.
"Ora vado, devo prendermi cura di lui."
Lestrade annuisce piano come un cucciolo bastonato, non sono io a dovergli dire il perché John abbia permesso che si avvicinasse.
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Da quanto tempo sono su questo divano? Ho perso la cognizione del tempo come sempre, ma non importa la mia allucinazione mi ha abbandonato quindi è tempo che mi concentri su altro, poggio i piedi a terra un po' intorpiditi per non aver fatto nulla se non stare sul divano e mi alzo velocemente mettendo un piede davanti l' altro in procinto di salire nella mia stanza.

Ora sono al piano di sopra poggio la mano sulla maniglia, apro la porta entrando nell' oscurità, i miei occhi si abituano dopo poco e mi avvicino alle tende scostandole.
Entra luce, mostrando a me tutte le mie opere, i miei disegni e dipinti, prendo una tela vuota la poggio sul cavalletto, prendo lo sgabello e lo avvicino.
Raccolgo le tempere, i vari pennelli e mi siedo aspettando l' idea che dopo poco mi viene in mente, la sera della fuga, intingo il pennello nella tempera, inizio a dipingere le nostre mani unite dalle manette, sorrido di sbieco al passaggio del ricordo nella mia mente, in quel momento non ero certo di cosa provavo, volevo comunque tenergli la mano e non la manica come ho fatto invece.
Timoroso dell' amore che provavo, ma ora non importa più, lui non c'è, quella mano non mi darà una seconda possibilità di stringerla e io non posso farci nulla.

Lacrime calde mi colano sul viso, mi annebbiano la vista, perché non l' ho salvato?
Potevo farlo.
Faccio un respiro profondo con la manica mi asciugo le lacrime, mi rimetto a dipingere quel noi che non è mai esistito e che non esisterà mai.
Sento al piano di sotto la porta che si apre, sarà Miss Hudsone, poi questa si riapre di nuovo, passi veloci sulle scale che arrivano fino a qui, si spalanca la porta ed ecco la mia allucinazione, sarò ancora sotto effetto della droga, si avvicina piano scrutando ogni dipinto poi apre la bocca, la richiude e sorride.
Dio!
Che bello il suo sorriso, ci farei l'amore, ma è solo un effetto collaterale della dose quindi punto gli occhi di nuovo sul dipinto, accorgendomi del fatto che si sono spostati e sento la voce dell' effetto collaterale che dice: "John da quanto sai dipingere?
Sono bellissimi, la tua tecnica è mediocre ma rendono bene l' idea"

Non capisco se sia un complimento celato dalla sua fredda vista obbiettiva, ma non rispondo perché sinceramente non mi ricordo quando ho iniziato, con la coda dell'
occhio l' osservo mentre si avvicina a osservare ogni sfumatura di ogni dipinto, lo lascio fare, mentre silenziosamente scompaio scendendo le scale cambiandomi nel mentre i vestiti, mettendomi il parka, lasciando quelli che indossavo prima in sala e esco.
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Da quanto saprà dipingere così?
Ho detto mediocre perché mi vergognavo a dire che sono perfetti, ogni sfumatura rappresenta un' emozione, mi sono sempre chiesto come facessero gli artisti a sfogarsi attraverso i dipinti e ora ne ho uno addirittura in casa.

Ogni momento, ogni luogo meticolosamente disegnato, ci sono pure io in molti quadri, vedo le mie espressioni rivelate da John, sono perfetti così tanto che vorrei tenermeli tutti per me anche se sono suoi e in questo momento vorrei suonare per lui, ma per lui sarebbero altri effetti collaterali e io non voglio esserlo.
"John non hai mai pensato di fare una mostra?"
Ma a questa mia domanda non giunge risposta, mi giro sperando di trovarlo ancora sullo sgabello, ma naturalmente non c'è già più.
Stupido!
Stupido Sherlock!
Come hai fatto a perderlo di vista se era qui con te?

Scendo le scale con molta fretta con la stessa andatura di come le ho salite, praticamente volo in sala e vedo solo i panni che John ha indossato quando ero con lui, sull' appendi abiti manca il parka, deve essere uscito, ma dove sarà andato?
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Aria fresca entra nei miei polmoni.
Prendo nuovamente una sigaretta, sto per finire il pacchetto quindi mi avvierò al tabacchi, probabilmente pioverà, ma poco mi importa voglio solo stare lontano da casa, lontano dai ricordi, dal sorriso di quel ricordo, fa tutto così male che ho bisogno di un po' di pace.
Pace.
Analizzo questa parola, quando ho avuto pace nella mia vita? Non quando sono andato in Afganistan, non quando nella mia vita è comparso Sherlock, non a casa mia con Harry che beveva e tutt' ora beve come se non ci fosse un domani.

Ma adesso non posso dirle nulla pure io ho le mie dipendenze, forse sono anche peggiori delle sue; finalmente sono arrivato al tabacchi, apro la porta, il commesso come da sua solita tiritera mi dice buongiorno di malavoglia e io sorrido piano.
Ha litigato con la moglie sul viso si notano le rughe contratte ancora in segno di disapprovazione, io smetto con le deduzioni per un attimo così da poter chiedere le sigarette senza doverlo analizzare.
"Un pacchetto di Philip Morris grazie"
Il commesso si gira, prende il pacchetto dallo scaffale per poi ritornare verso di me, fa un sorriso tirato appoggia con le mani rugose il pacchetto sul bancone, pago e prendo le sigarette.
Esco e mi incammino verso il 221b.

*Angolo dell' autrice*

Ciao ed eccoci al terzo capitolo, sì è molto lento come scrivo scusatemi.
Chissà che potrei scrivere nel prossimo, John capirà che Sherlock è tornato?
Chissà Chissà.
Un abbraccio, Rebs

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro. ***


Capitolo quattro


Apro gli occhi lentamente, alzo la testa e questa mi da una fitta lancinante.
Che cosa è successo?
Non ricordo.
L' ultima cosa che ricordo è che stavo salendo sulle scale, ero arrivato in casa e poi tutto nero.
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"Porca miseria"
Sono in casa ad aspettare che torni, so che lo farà e per quanto sia dura ammetterlo ho anche paura che non torni.

Un semplice piccolo rumore, la porta che si apre con molta lentezza John entra ha un aria peggiore di quanto avessi notato prima, fa un passo poi un altro e alla fine crolla a terra svenuto.
"JOHN!"
Corro da lui anche se la distanza è minima visto che sono seduto sulla mia poltrona, sono anche contento che sia ancora qui ma non è questo a cui devo pensare ora e mi abbasso verso John poi allungo le braccia verso di lui e lo tiro su.

"Sh.. Sherlock!"
Lo fisso, ma lui non da segno di risvegliarsi, inizia ad agitarsi tra le mie braccia, quindi mi affretto a portarlo nella mia camera, lo poggio sul letto togliendoli il giaccone e buttandolo su una sedia a caso.
"Perché sei morto?
Potevi rimanere con me"
Bisbiglia nel sonno sempre più agitato.
"Io non sono morto"
Gli sussurro nel orecchio poi esco dalla stanza, vado a prendere il violino e inizio a suonare per lui.
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"Io non sono morto"
Queste parole mi rimbombano nella testa, è stato solo un sogno?
Mi alzo lentamente e riconosco la stanza.

È quella di Sherlock, forse mi sono ripreso e sono venuto a dormire qui.
Esco dalla stanza, vado in cucina a prepararmi un tè, dopo averlo preso mi siedo sulla mia poltrona e sento un respiro leggero che proviene dal divano.
"SH... SHERLOCK?!"
Forse sto ancora sognando, mi pizzico la spalla ma lo scenario non cambia, invece la figura sul divano si muove, si mette a sedere e si gira verso di me.
"John ti sei svegliato, bene vedo che sei tornato in te."
Lo guardo confuso, poi la rabbia di quegli anni inqualificabili arriva come un bel pugno ben assestato sullo zigomo sinistro.
Ma il pugno non arriva, non sento la pelle morbida del mio coinquilino, sento il vuoto intorno al pugno solo un respiro lieve si abbatte contro.
Il mio pugno che pian piano si scioglie e la mia mano va ad accarezzare quel viso che da tanto non vedo.


Poi mi sporgo di più sono piegato su di lui, mi sorride, fanculo, mi accascio, la mia faccia è sulle sue gambe, le lacrime cadono calde sui suoi pantaloni bagnandoli.
Per dio sono un militare dovrei darmi contegno, non dovrei piangergli addosso.
Sento una mano che mi accarezza lieve la testa e inizio a singhiozzare.

“Sono qui John, sono qui non ti lascio più, te lo prometto.”
Chiudo gli occhi cullato da quelle carezze e dalla sua voce.
-
Non capisco la reazione al fatto che io sono qui, ci sono da ieri e ora non mi reputa un’ allucinazione ma so che alla prossima dose (so che non può farne a meno, nessuno smette subito e io lo so per esperienza.) ritornerà tutto come prima.
“John?”
Lui alza il viso sorridendo i suoi occhi blu mare mi osservano mentre tenta di capire se è meglio che si alzi o no.
Ai miei occhi è ancora un libro aperto, è un sollievo per me, so che ci riabitueremo ad averci intorno, alle battute sul fatto che io sia vestito o no sotto il mio lenzuolo.
Poi riappoggia la testa sulle mie gambe, come un ancora che mi tiene attaccato a lui e lo guardo perso in quei campi di grano che sono i suoi capelli.
“John così sei scomodo”
Borbotta qualcosa, si alza e poi si sdraia vicino a me, per sapere che sono qui e che non lo lascio.
“Scusami John per il dolore che ti ho causato”
“Sta zitto.”
Lo guardo spiazzato questa risposta non me la aspettavo, mi aspettavo il pugno e l’ ho schivato ma non questo.
Cosa mi nascondi ancora John?
Ma non mi importa, siamo tornati insieme lui è ancora qui e io pure.

Questa volta però sarò io quello che si prende cura non lui o per lo meno quando ci saranno ferite gravi lascio fare che sia lui con le sue mani ferme e calme ad aiutare.
Sorrido fissando il suo volto, la sua espressione è cambiata ora non mi sta guardando mi sta osservando, so benissimo che non sa dedurre o per lo meno lo spero.
Perché ci sono segreti che non voglio rivelare facendomi osservare.


*Angolo dell' autrice*
Hello!
I'm here!
Spero che questo capitolo vi piaccia, il prossimo sarà più movimentato ve lo assicuro.

Per ora bye!

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque. ***


Capitolo cinque.

Non ci potevo credere erano già passate due settimane, John si sforzava di non ricadere in ciò che ha sempre odiato, ma di tanto in tanto lo osservavo, capivo che non era lui, era la droga e io gli stavo vicino.

I suoi disegni aumentavano e ormai doveva occupare anche l’ altro appartamento della casa, alla fine li abbiamo spostati tutti li così che potesse dormire nella sua stanza.

La cosa strana è che non dorme più tanto, fa i miei stessi orari, dorme e mangia come me.
Che cosa è cambiato nella tua mente sentimentale?
Sono in cucina a preparare il pranzo per lui, io ho sbocconcellato qualcosa ma non troppo per farmi sentire assonnato.
-

Sherlock esiste o no?
Questo attanaglia sempre di più la mia mente, io scappo molte volte dalla paura di svegliarmi o girarmi e non trovarlo più lì a scrutarmi con quegli occhi glaciali.

La gamba inizia a farmi di nuovo male o è solo un effetto collaterale?

Con tutto quello che ho nel sangue non riesco a capirci nulla e il mio Mind Palace si sta sgretolando.
Ho bisogno di fare qualcosa, ma so che se devo impegnarmi in un lavoretto questo non è il momento adatto, devo riprendermi ma ho paura, questa rimane lì attaccata al mio petto e non si scolla più.

“John tieni ecco il tuo pranzo”
Mi avvicina un piatto con delle uova e delle salsicce.
“Non ho fame grazie, da quando cucini?”
Sorrido timidamente, nel mio stomaco tutto quel cibo non ci deve stare, mi fa solo sentire pieno di vuoto e non lo voglio.
“John devi mangiare quanto te lo devo ripetere?”
Non ci posso credere ora le parti sono cambiate, il dottore è lui e io sono... Io chi sono?
-

Si è perso un’ altra volta nei suoi pensieri, non riesco a distrarlo, deve mangiare e deve farlo subito prima che svenga.

“John”
Non mi risponde, cosa devo fare?
Devo riuscire a entrargli in testa lui è l’ unico che ci è riuscito con me, ma io non so da dove iniziare, ora siamo entrambi persi nei pensieri e non facciamo caso a Miss Hudsone che entra con il suo solito: “Cucù”

Passa davanti ai nostri occhi vitrei, si domanda quando ci accorgeremo di lei, non lo sappiamo nemmeno noi e a dirla tutta vorrei che John la vedesse così da chiamare me.
Ma Miss Hudson ha deciso in quanto più lucido di chiamare me.
“Sherlock?”
Mi passa una mano davanti al volto, sbatto le palpebre per un paio di secondi e poi mi riprendo.
“Mi scusi tentavo di entrare nella mente di John, sa alle volte non riesco a farlo mangiare e questo non va bene.”

Miss Hudson ridacchia e poi schiocca le dita davanti al viso di John che si contrae con una smorfia e poi le sorride gentilmente.
“John mangia è buono e il tuo corpo ne ha bisogno ascoltalo”
Lui annuisce, prende la forchetta, il coltello e poi inizia a mangiare.
“Grazie”
Lei esce salutandoci calorosamente come sempre e io sono felice che abbia iniziato a mangiare.
-
Sherlock non mi ha visto, annegato nel suo mind palace, non posso farci niente, quindi gli passo davanti, vado alla libreria prendo l’ occorrente per offuscarmi la mente e le paure.

Vado in bagno non chiudo la porta, tanto Sherlock se vuole entrare entra e faccio il solito giro: laccio, siringa con la dose e il mio braccio.

Sto sudando freddo, anche se Sherlock è tornato io non posso smettere ormai ho sviluppato una dipendenza.

Forse questa volta era troppa per il mio corpo stremato, inizio a tremare forte non riesco a controllarmi, ho paura, tanta e non posso fermarla.

“JOHN! "
"John..”

Una voce lontana si instaura nella mia mente, così lontana e sfumata.
“John rimani con me, non mi lasciare”

È un sentimento questo che sento nella voce solitamente fredda della persona che amo così tanto?
È triste, non voglio sentirlo così, sento sul mio viso che sembra stare a milioni chilometri di distanza delle lacrime, voglio rimanere con lui ma non solo oggi, non solo ieri, sempre, è lui che scelgo e che sceglierò sempre.
-

Vedo gli occhi di John riaprirsi, ho una patina che non mi fa vedere né bene né male solo sfocato.
“MISS HUDSON CHIAMI UN AMBULANZA!”
Sento uscire dalla mia gola, sembro disperato ma non mi importa John non deve andarsene.
Questo è un sentimento?
È amore?
Non lo so.

Non so quanto tempo è passato, ho fatto rimanere John cosciente con tante domande che non me ne ricordo una, perché lo ha fatto?
Sono tornato.
Doveva assumerne per forza così tanta?
Cosa non mi lasci osservare?
-

Le sirene dell’ ambulanza mi sembrano lontane, non così tanto, so bene che sono sotto casa e stanno venendo a prendermi.
“H.. Ho paura Sherlock.”
“Lo so, sai te lo leggo in faccia ricordati che per me sei come un libro aperto.”
-

John è ancora sdraiato nel bagno, non riesco a pensare ad altro se non :”Ti prego rimani con me”
John mi osserva piano e poi dalle sue labbra esce un :”Sì.”
Spalanco gli occhi come ha fatto?
Nessuno mi legge, al contrario sono io che leggo loro è cambiato qualcosa?
John.
Lui è cambiato eppure rimane il solito, il mio John.
“Signore si sposti dobbiamo metterlo sulla barella”
Scivolo via dal fianco di quel uomo che mi fa provare emozioni, quel uomo che rende più umano anche me.

*Angolo dell' autrice*
So che lo scorso capitolo era noioso e statico.
Spero che questo migliori tutto, non sono molto brava ma sono all' inizio e vorrei migliorare.
Giur
o che c'è la sto mettendo tutta, spero di ricevere qualche commento da parte vostra e ora vi saluto.
Byeeee Rebs.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei. ***


Capitolo sei

Sono in ambulanza, sembra passato poco tempo da quando al posto di John ci stavo io.

Ho mandato un messaggio a Jeff ( o come si chiama), a Molly e a Mycroft.

John è andato in apnea due volte, l’ hanno attaccato a un respiratore, io alla sua mano, non deve nemmeno pensare o sperare di andarsene, perché a quel punto io non vorrei più vivere, siamo io e lui contro tutto e tutti.

Sembra passata un’ eternità da casa nostra al Bart’s anche se è propio qui vicino, prima fanno uscire lui, la mia mano lascia la sua, poi esco io, lo portano via mentre io salgo normalmente e vado in sala di attesa.
Dopo un paio di ore mi chiamano, è andato tutto bene ma John è ancora addormentato, quante ore di sonno avrà saltato in questi due anni?

Vado nella stanza che per pura coincidenza è la 221, mi fiondo diretto sulla sedia e gli prendo la mano.
Faccio brevi carezze con il pollice sulla sua pelle, mi rilassa, mi sento sfinito come se tutto quello che è accaduto mi avesse svuotato e devo riprendermi.
Ma Morfeo mi chiama tra le sue braccia, io poggio la testa sulla sua mano e chiudo definitivamente gli occhi lasciando che Morfeo mi catturi.
-

Quanto tempo è passato?
Un’ ora?
Un giorno?
Non lo so, ma quando apro gli occhi è come un sollievo, sento una lieve pressione sulla mia mano quindi giro la testa e vedo i riccioli neri del mio amore.
“Sherlock.. Sherlock quanto tempo è passato?”

Alza la testa, mi sorride e devo ripetermi?
Tanto si sa già cosa penso.
“ Un giorno.
Sei un idiota John e hai fatto spaventare gli altri.”

L’ osservo meglio e so che non solo gli altri si sono preoccupati.
-

Mi sento nudo sotto il suo sguardo e spero solo che non veda oltre a quello che voglio far capire.

Non posso permettermi che lo usino un’ altra volta per far male a me, Moriarty lo aveva capito subito, gli è bastato uno sguardo e ha saputo.

Gli bacio lievemente la mano, gli sorrido, lui mi risponde con un sorriso calmo che ha l’ effetto della nicotina su di me.
“Vado ad avvisare gli altri” 
Esco da quella stanza, mi rendo conto di aver tenuto il fiato sospeso, faccio un paio di respiri e mando i messaggi.

Vado al distributore di bevande, prendo un caffè e un tè.

Torno in stanza John ha chiuso gli occhi probabilmente si è nascosto nei suoi pensieri, poggio il bicchierino sul comò della stanza, sinceramente non ho fatto caso a com’ era la stanza, sono rimasto semplicemente al suo fianco.
-

Sono nel mio mind palace ma so che succede intorno a me, so che Sherlock è tornato in stanza e sta osservando tutto.

Non c’è altra ragione per pensare in questo momento, apro gli occhi, lui è ancora lì fermo a guardare la stanza è una come tutte in questo ospedale, ma almeno posso guardarlo senza venir scoperto e inizio proprio dalle cose che mi hanno colpito la prima volta quando l’ ho visto.

Gli occhi.
Non sono per nulla uguali a quelli che si vedono in giro, il ghiaccio e l’ acqua marina si sono scontrati.
Questi sono i suoi occhi, il freddo e la calma di un mare.
Salgo un po’ più su, i capelli corvini, ricci così ribelli che vorrei passarci la mano tra essi.
Ma non posso perché lui è troppo lontano da me.
Quelle labbra, sono a forma di cuore così belle e perfette sotto il mio sguardo.
Le bacerei sempre, quando ride, quando sorride, quando fa le smorfie per un litigio avuto con suo fratello, quando sono contratte per lo sforzo di ricordare ogni minimo dettaglio. 
Sono perfettamente ricamate su di lui e vorrei che fossero ricamate sulle mie.
-

Mi riprendo da quel momento di: concentriamoci sulla stanza di John.

Noto che John ha smesso di fissarmi, voglio portarlo a casa, vorrei non essere andato ovunque per togliere il segno di Moriarty nel mondo e non aver abbandonato John.

Una creatura affascinante, non posso considerarlo un normale umano, perché quelli normali li conosco loro mi allontanano, lui no, per questo è affascinante, è stato al mio fianco anche quando non c’ ero al suo, ha creduto incessantemente a me, così tanto da finire in questo modo e non voglio vederlo più ridotto a queste condizioni.

Lui non è solamente un uomo coraggioso, è il più coraggioso, leale dolce, sensibile, amichevole idiota che abbia mai visto ma è per questo che sta al mio fianco.

Entrano nella stanza l’ infermiera che sicuramente ha appena avuto una sveltina con il dottore di John, come sono noiosi, smetto di ascoltare perché so che lo farà lui.

Finita la lunga filippica del dottore guardo John, aspetto che quei due idioti escano e mi faccio dire tutto.
-

Stiamo percorrendo i corridoi del Bart’s, posso già uscire, non voglio guardare le persone che mi conoscono con quello sguardo come per dire: “Grazie al cielo non ha operato nessuno, avrei comunque rimediato io al suo errore e avrei preso con successo un bel posto.”

Arriviamo subito alla reception e firmo.
Ora posso davvero abbandonare quel posto, non vorrei tornarci con tutti quegli sguardi accusatori, sono un cazzo di umano insomma!
Ho tutto il permesso di decidere per me il modo in cui voglio lasciare il mondo.

“John non serve ucciderli con lo sguardo basta fare così.”
Si avvicina a una dottoressa, si avvicina tanto e le dice qualcosa all’ orecchio.

Mentre lui si avvicina io la osservo, ha i capelli un po’ spettinati, sarebbe normale se fosse nel turno di notte, ma si può notare dalla mancanza delle occhiaie che non è così, quindi da tutto ciò si può dedurre che sia stata da qualche parte che non era l’ ospedale, ha un leggero tremore alla mano destra solita ad essere utilizzata alla chirurgia, cerca in tutti i modi di controllarla ma quando è sorpresa o concentrata su altro non può tenere ferma la mano, non dovrebbe operare, l’ anello portato all’ anulare è lindo e pulito ma questo è normale.

Tutto questo mi fa capire che lei ha una malattia del morbo di Parkinson?
Probabilmente.
Sono passati solo due secondi le labbra di Sherlock non sono ancora abbastanza vicine all’ orecchio della dottoressa.
I suoi occhi sono pieni di paura di essere scoperta, ha un po’ di sudore che le scende sulla tempia destra, la mano sinistra tiene una piccola valigetta, che fa uscire un angolo del contenuto, sono dei soldi buttati alla rinfusa, qualcuno l’ ha scoperta oltre a noi e questo mi fa sorridere un po’.

Smetto di osservare quando vedo le labbra di Sherlock vicine al suo orecchio sinistro, le muove caute e le dice quello che sa e che sappiamo.

*Angolo dell' autrice*
Ehi detective!
Come state?
Vi ho fatto aspettare troppo?
Scusatemi sono piena di verifiche in questi giorni!
Spero che vi sia piaciuto, io mi sono divertita a scriverlo anche tanto, tra poco "partorirò" anche il settimo e vi lascio così.
Un abbraccio <3

 

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Capitolo 7
*** Capitolo sette. ***


Capitolo sette.

“Invece di farsi ricattare farebbe prima a dare le dimissioni con la sua malattia, perché se non viene scoperta ora, a breve lo sarà.”
Le soffio nell’ orecchio, so benissimo che adesso è preoccupata, ma annuisce e entra all’ ospedale.

Io ritorno cauto da John che sorride, come se sapesse quello che ho detto a lei e quello che ho dedotto.

Sorrido di rimando, poi diamo le spalle all’ ospedale e andiamo a prendere un taxi.

Entriamo e subito dico la destinazione senza nemmeno pensarci, voglio tornare a casa e ne ho piene le provette chimiche del Bart’s.

“Spero tu abbia capito del tutto che non sono un’ allucinazione e che non ti abbandonerò più a te stesso.”

Dico in tono freddo anche se so benissimo che le mie parole suonano calde all’ orecchio di John, sa guardarmi meglio di chiunque.

Voglio vedere se veramente sa osservare e troverò un caso banale da sei.

Per lui, per me e per noi.

-

Siamo nel taxi che culla i nostri corpi.

“Grazie, ma sei un bastardo, come hai fatto a sopravvivere?
Io ero lì ti ho visto cadere, ho visto il tuo corpo senza vita con il sangue che colava, non avevi più il battito cardiaco.
HO VISTO TE MORTO TRA LE MIE BRACCIA!”

Tutta questa rabbia è scatenata da una mente lucida e consapevole.

Lo so che mi ha visto mentre morivo e venivo riportato in vita.

“Diciamo che siamo pari, comunque tempo al tempo, ora non vorresti saperlo, non pensare che abbia fatto male solo a te, per me è stata la cosa più difficile da fare ma era per salvarti, salvare Lestrade e Miss Hudson.”

È vero siamo pari, ma io non mi sono finto morto e nemmeno l’ avrei fatto.

“Grazie ancora allora.”

La chiacchierata tra coinquilini è finita, posso pensare a qualcosa di nuovo, come il prossimo quadro che posso fare e so che cosa disegnerò.

Siamo arrivati, scendiamo, paghiamo l’ autista e andiamo in casa.

“Oh John!”

Sento Miss Hudson che mi chiama appena lo scricchiolio della porta principale fa rumore, ha l’ orecchio fine per la sua età ma ha anche vissuto con Sherlock ed è abituata a visite non gradite.

“Ci hai fatto prendere un colpo! Siamo stati tutti preoccupati per te.”

“Mi scusi Miss Hudson, non volevo farvi preoccupare, sono tornato più o meno in me e tornerò a lavorare.”

“Tornerà all’ ospedale?”

“No, non ancora aiuterò Sherlock nei casi e farò qualche lavoretto partime così potrò pagare l’ affitto.”

Così la congediamo e saliamo.

Voglio andarmi a sedere sulla mia poltrona, è da tanto che non la uso, ma ora che c’è anche Sherlock posso avere il mio posto e sapere che lui è difronte a me.

-

Apre la porta, ci intrufoliamo velocemente in casa e lasciamo le nostre giacche sul divano.
Non importa che non siano in ordine entrambi abbiamo bisogno di far qualcosa.

Inizio a girare per la casa cercando il nascondiglio della roba maledetta che si è ficcato in vena, voglio distruggerla e distruggere chi gli ha procurato tutta questo schifo.

Lui si è seduto sulla sua poltrona, quindi mi sposto in cucina, cercherò dopo, prima una bella tazza di tè fumante, voglio pure suonare per lui quindi inizio a far bollire l’ acqua prendere le bustine del te, lo zucchero, il latte e due tazze.

Preparato e fatto il tutto lo raggiungo in sala.

La testa di lato coi capelli biondi a contatto con la luce del sole, si è addormentato, quanti notti avrà passato sveglio?

Poggio la sua tazza sul tavolino e vado a prendere un piattino da poggiarci sopra per tenere al caldo il tè.

Appena torno vedo che inizia a tremare, a stringere sia denti che pugni, un incubo da sette e mezzo.

Corro e prendo il mio bel violino, quanto mi è mancato quasi non mi ricordavo il suo suono, inizio con le prime melodie, vedo che si tranquillizza un po’, continuo tranquillamente quando...
“SHERLOCK! NON FARLO!
Andrà tutto bene, non ti buttare, fallo per me..
SHERLOCK!”

Si sveglia ma io sono ancora disorientato, doveva tranquillizzarsi non peggiorare la situazione.

Era da questo che sfuggiva con tutte le dosi e il poco sonno?

“Tutto bene John?”

“Si, scusa se ho urlato non mi accadeva da tanto”

“Più o meno da quanto?”

“Non lo so, penso da quando ho iniziato a prendere le dosi, quando dormivo quel poco cadevo in un sonno senza sogni.”

-

Vengo fermato.

Il cellulare di Sherlock inizia a squillare, lui si allontana un attimo e risponde.
Io giro la testa verso il tavolino, trovo una tazza con un piattino sopra, lo tolgo e prendo la tazza.

Sorseggio un po’ di tè, poi lo vedo tornare, è entusiasta si può dedurlo dal sorriso e dal fatto che sembra quasi saltellare.

“Andiamo John! Abbiamo un caso!”

Poggio la tazza mi alzo velocemente, prendo il parka lo indosso, lui indossa velocemente il suo cappotto e usciamo.

Arrivati alla scena del crimine non mi lascio sfuggire nulla, vedo il sangue che non mi ha mai turbato, il cadavere e Sherlock.

“Salve ragazzi, John sei un pezzo di idiota!”

Dice Lestrade avvicinandosi a noi.

“Non quanto Anderson”

Sherlock ride, la sua risata è un dono per le mie orecchie e non posso far altro che girarmi verso di lui sorridendo.

-

Osservo tutto come ho sempre fatto ma sto zitto, voglio vedere che uscirà dalla bocca e la mente di John.

“Anderson ti prego so che sei lì, spostati che primo non aiuti, secondo fai rumore e sai benissimo come.”

Sento uno sbuffo, dei passi e la porta chiudersi.

Siamo in una palestra, l’ uomo disteso aveva vent’anni, un cuore che funzionava bene, sulla testa c’è un colpo e sanguina.

“L’ assassino è ancora qui, precisamente è l’ unico testimone, il cassiere, se guardate sulla maglietta ci sono qualche gocce di sangue ancora fresche, non ha avuto il tempo di cambiarsi, il movente è che quest’ uomo si scopava sua moglie e la sua amante.”

Dice John.

Aspetta!

JOHN?!

“L’ arma del delitto è l’ asta per i pesi, la troverete nello sgabuzzino ancora sanguinante e lì ci saranno le sue impronte.”

Dice ancora, analizzo la scena sono sorpreso questo caso era da sei, lo avrei risolto pure io così velocemente ma John mi ha veramente lasciato a bocca aperta.

“Ha ragione, arrestate quel’ uomo”

Anche Lestrade ne è rimasto un po’ sbalordito, sapeva che John deduceva ma ha dedotto sempre e solo quello che le persone facevano durante la giornata.

Quindi usciamo dalla palestra, lo osservo ha un sorriso compiaciuto sul volto e mi scopro ad averlo pure io.

“Allora John sei diventato pure te un consulente investigativo?”

“No, ma tu volevi mettermi alla prova e io ti ho dato ciò che volevi.
Un caso da sei risolto.”

Rimango di stucco, poi mi avvicino e lo abbraccio.

“Da quando così affettuosi?”

Chiede sbalordito.

“Da quando tu sei diventato così osservatore?”

Poi non so come accade ma sento una mano di John che prende la mia e intreccia le sue dita con le mie.

-

Chiamo un taxi sciogliendo l’ abbraccio ma non lasciando la mano di Sherlock che per tutta risposta rimane intrecciata alla mia.

Arrivato il taxi dico la direzione da prendere, poi tutti zitti tranne la radio della macchina, in quel momento danno una canzone degli U2 e in silenzio l’ ascoltiamo.

*Angolo dell' autrice*
Siamo arrivati al sette, scusate per il ritardo non ho avuto tempo e testa.
Tranquilli il capitolo otto è già pronto devo solo rileggere!
Byeeeee c:

 

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Capitolo 8
*** Capitolo otto. ***


Capitolo otto.

Il primo muro è crollato nella mia mente e si è creata un’ esplosione per quel contatto così prezioso. 
Arrivato spontaneo da John; ora ne sono certo.

Questo è amore.

Il mio cuore di ghiaccio si sta sciogliendo ma un po’ aveva già iniziato farlo stando a stretto contatto con lui.

Ora ho anch’io ho delle emozioni, anche se le ho sempre reputate stupide e ingombranti.

Ma lui è mio, nessuno e niente altro dovrà portarlo via da me.

Se una bella donna lo facesse scappare da me?

Lui prova ciò che provo io?
Sì, ne sono del tutto consapevole e ciò mi fa esprimere quel che accade con un sorriso.

Smetto di pensare e mi faccio cullare dalla canzone.

Stavo inseguendo i giorni della paura
Stavo rincorrendo un sogno prima che sparisse
Soffrivo perché volevo stare da qualche parte lì vicino
La tua voce era tutto ciò che sentivo
Ero scosso da una tempesta interiore
Perseguitato dai fantasmi che dovevamo vedere
Si, volevo essere la melodia
Oltre il rumore, oltre il dolore

Ero giovane
Non stupido
Desideravo solo essere accecato
Da te
Nuovo di zecca
Ed eravamo pellegrini in cammino

Mi svegliai nel momento in cui avvenne il miracolo
Sentii una canzone che dava un qualche significato al mondo
Tutto quello che avevo perso, ora mi veniva restituito
Nel più bel sound che avessi mai sentito

Abbiamo il linguaggio, così non possiamo comunicare
La religione, così posso amare e odiare
La musica, così posso esagerare il mio dolore, e dargli un nome.”

Da lì in poi non ascolto.

Non la conosco, ma mi piace perché ha detto tutto quello che penso.

John è il mio miracolo, la migliore persona che avessi mai avuto intorno.
-

Non riesco a decifrare a cosa stia pensando, so solo che la mia e la sua mano sono unite insieme.
Quella mano che pensavo non desse più una seconda possibilità e ora mi ricredo.

Dopo tutto con Sherlock qualunque cosa è possibile.

Arrivati a destinazione c’è il solito giro, saliamo in casa con le mani ancora intrecciate.

Miss Hudson è fuori, sta iniziando a diventare sera, non ho fame e nemmeno lui.

Siamo ancora pieni di adrenalina per il caso risolto come ogni volta che ne risolviamo uno e soprattutto io per il fatto di aver appena lasciato di stucco il grande consulting detective: Sherlock Holmes.

Ci separiamo per appendere le giacche e poi ci sediamo nelle nostre poltrone.

Ho un idea migliore voglio brindare con lui per le nostre scoperte.
Mi alzo e vado a prendere del vino.

Riempio due bicchieri e torno in sala, non ho voglia di risedermi sulla mia poltrona, vorrei stargli più vicino ma mi accontenterò della poltrona.

Prima do a Sherlock il suo bicchiere, mi sta sorridendo poi mi siedo, poggio la bottiglia di vino sul tavolino e mi muovo per prendere un sorso dal mio bicchiere per poi ricordami che è un brindisi.

“A noi, al tuo ritorno e al mio nuovo palazzo mentale”

Lui ridacchia, facciamo scontrare i bicchieri.

Emettono il loro “tin” allo scontro riporto il bicchiere tra le labbra e bevo un po’ di vino.
-

Sono felice di poter festeggiare con lui, non sa quanto mi è mancato durante i due anni e mi ricordo che all’ inizio continuavo a dire:”John smettila” mentre lo immaginavo lì con me.

Poi i miei tratti si sono fatti ancora più affilati e il mio viso si stava trasformando per diventare ancora più freddo.

Mi stavo trasformando in una macchina e il motivo era sempre stato lì.

Eri tu John.

Volevo tornare a casa e non solamente l’ appartamento 221b.

Volevo tornare da te e ci ho messo due anni.

I due anni più lunghi delle nostre vite.

Così iniziano i festeggiamenti tra noi due, ogni bicchiere che bevo in più inizia a farmi girare la testa, ho le guance bollenti e John è meraviglioso anche ubriaco.

“Sherlock! Mi annoio”
Dice biascicando e capisco che è la mia stessa noia.

“Poniamo rimedio subito, che cosa vorresti fare?”

“Facciamo il gioco, dove io scrivo un nome senza che tu lo veda, mentre naturalmente tu fai lo stesso senza far vedere a me ciò che scrivi.”

Pausa singhiozzo.

“Poi io il mio lo appiccico sulla tua fronte e be’ insomma.. Hai capito.
Si possono solo fare domande a cui si può rispondere con un sì o un no”

“Va bene, anche da ubriaco riesci a dirmi tutto?”

Sorrido nel mio stato di ebrezza.

Ma lui ha preso un post-it ed ha già iniziato a scrivere.

In questo momento non posso dedurre, non riesco a capire che nome scrive anzi quasi mi si sdoppiano le lettere.

Però non è importante.

Prendo un post-it pure io, ma non so che nome mettere, guardo il giornale e prendo il primo nome a caso: Madonna.

-

Inizio a osservarlo senza che se ne accorga, i suoi capelli sono una cascata di ricci neri, il suo viso è nascosto mentre scrive sul post-it che ha appena iniziato a scrivere.

Quando finisce alza la testa facendo ondeggiare la marea di ricci, io allora mi sporgo e gli attacco ciò che ho che ho scritto io sulla fronte.

Fa la stessa cosa con me e quel tocco così prezioso è leggero e delicato.

Poco importa ora, inizia lui e quindi deve fare la prima domanda.

“Non sono una donna vero?”

Chiede lui.

“Si”

Si mette nella solita posizione da pensatore, vorrei fargli una foto ma tanto ogni giorno lo vedo.

“Sono umano?”

A questa domanda non esiste risposta decente.

“Non sempre.”

Sono consapevole delle mie gote rosse causate dal vino in eccesso, ora abbiamo cambiato liquido.
È il whiskey.

“John devi dirmi si o no”

“Si”

*angolo dell' autrice*
Ciao! Sono di nuovo qui, scusate il ritardo, ho avuto un bel po' di cose da
 fare e ora sono tornata!
Cercherò di essere più presente, almeno lo spero, come spero che vi piaccia il capitolo.
Ciao!

 

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Capitolo nove

Sono ad un funerale.

Quale però ora non mi viene in mente.

Fa freddo, sento l’ aria che cerca di passarmi attraverso il cappotto e io non faccio altro che stringermi in esso.

C’è una chiesa alle mie spalle e sono presenti solo poche persone.

Sento le lacrime sgorgarmi dagli occhi e non posso farci nulla.

Fisso l’ erba ai miei piedi, piegata dal vento e da quella pioggerella che c’è.

Alzo un po’ lo sguardo, ma le lacrime offuscano la vista, sento una mano sulla spalla, non mi volto, non do il permesso a nessuno di vedermi così e non faccio altro che cercare di alzare ancora di più lo sguardo.

Qualcosa mi blocca: sarà paura o incredulità?

Alla fine decido di alzare la testa. Fisso una lapide nera, non riesco a leggere il nome ma mi è molto famigliare e mi avvicino.

“Fai un ultimo miracolo, Sherlock, per me.”

Il mio cuore perde un battito, si spezza, sento chiaramente qualcosa di rotto in me e la mia voce esce a spasmi.

“ Non. Essere. Morto.”

Le mie ginocchia cedono, sento un tonfo provenire da lontano, so di essere io, crollato a terra, di fronte a quella tomba, ora riesco a leggerne il nome.

“Sherlock Holmes”

Sento due braccia passarmi sotto le ascelle.
Mi alzano.

Ma mi pare di essere ancora in ginocchio, lì davanti a quel nero lucente e ora mi sento morto anch’io.

Mi giro con occhi pieni di rabbia, dopo la sua morte c’è stato un titolo in prima pagina sul giornale:
“Suicidio di un finto genio.”

È stata una tortura, due giorni dopo hanno scoperto il trucco, ora tutti sanno che Sherlock era un genio e ora lui non c’è più.

Una morsa stringe il mio cuore.

La rabbia si fa largo dentro di me.

So che ci sono quelli che gli hanno puntato il dito contro e ora sono al funerale come per scusarsi.

Io non riesco a far altro che andare verso chi era invidioso delle meraviglie che il MIO uomo sapeva fare.

“ANDERSON!”

Mi sento urlare.

Lui alza il viso mi guarda, poi apre gli occhi sorpreso e un pugno gli arriva in faccia.

Cade a terra e io da bravo soldato lo blocco sotto di me.

Continuo a prenderlo a pugni mentre, nessuno cerca di fermarmi.

Sanno che potrei rivolgere a loro quella rabbia, sanno che devo sfogarmi su qualcuno che ha provocato la sua morte anche se non per primo.

Tutti mi stanno lontani, spaventati.

Quando non riesco più a tirare pugni, perché le mie nocche sanguinano, mi blocco e inizio a piangere di nuovo.

Urlo e in quel momento mi spostano.

Non dicono nulla, non fanno nulla se non guardare le condizioni di quell’ uomo che ha aiutato Sherlock a buttarsi.

Ha il viso gonfio, il naso rotto e l’ occhio violaceo.

Urlo di nuovo, urlo finché non ho più voce, poi sento una mano leggera che fa pressione sulla mia spalla sinistra, è Miss Hudson.

Mi sorride triste, mi guarda e mi offre un aiuto.

“John caro accompagnami a casa.”

-

John si muove nel letto, apro gli occhi e vedo molta luce passare attraverso la finestra.

Mi giro sull’ altro fianco, vedo John tremare e sudare.

“John svegliati”

Inizio a scuoterlo, poi dopo la seconda spinta apre gli occhi, anzi li spalanca e si mette a respirare lentamente.

“John stai tranquillo era solo un sogno”

Senza nemmeno accorgermene passo una mano sulla sua guancia sudata, voglio solo calmarlo ma fa l’ effetto contrario.

“Sogno un cazzo! Sherlock arrivaci!”

Detto questo mi scarica, senza nemmeno notare che abbiamo passato la notte sul mio letto, certo non abbiamo fatto nulla ma è comunque il mio letto.

Sento i suoi passi che vanno verso la cucina, poi inizia ad aprire tutte le ante, a quel punto mi alzo e lo raggiungo.

“John vai a farti una doccia il tè lo faccio io”

Si ferma e ci pensa su.

Annuisce e va in bagno.

“Lascia la porta aperta!”

Gli urlo dietro.

“Non ti fidi ancora di me?”

“Fammici pensare mmh... No!
Sono passati pochi giorni da quando ti ho trovato steso per terra e quindi ora mi fai la cortesia di lasciare aperta la porta”

“Aargh”

Tira un pugno alla cornice della porta, silenzio, l’ acqua inizia a scendere e aspetto qualche minuto prima di andare da lui.

“Bene, non ti vedo steso per terra, quindi posso chiederti di farti vedere?”

“Sherlock.”

“Su fammi vedere la tua faccia da idiota Watson.”

John sposta la tendina e mi mostra la sua faccia e le braccia.

“Ottimo, ora posso tornare in cucina e comunque mi dispiace che al mio funerale tu abbia sofferto così tanto.

Però non mi ha dato fastidio il fatto che tu abbia picchiato Anderson”

“Levati dalle palle Sherlock, voglio farmi la doccia”

Me ne vado via con un sorrisino compiaciuto.

-

Aspetto che sia in cucina per appiattirmi contro il muro e scivolare giù.

“Cazzo”

Inizio a piangere in silenzio.

È il ricordo più brutto che io abbia perché non voglio mai più rivedere la tomba.

Non voglio sopravvivere a lui e so già come posso andare avanti a sopravvivere.

La sua tomba.

Mai più.

Angolo dell' autrice

Rieccomi dopo taaaaaaanto tempo.
Non ho molto da dire, solo che mi dispiace aver aggiornato solo ora, ho avuto vari problemi e quindi scusatemi.
RebsGnaf

 

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