Night Club.-Leonetta

di love_gold
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo. ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo. ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo. ***


Primo Capitolo.

Un mese prima

-Federico, non posso. Mio padre è qui. La mia famiglia è qui. Tu non sei niente.- Non volevo dirlo, ma fui costretta. Ruggero, mio fratello, arrivò fino a Corto Maltese e provò a portarmi a Starling City, la città dove ho vissuto dalla mia nascita. Cinque mesi prima avevo scoperto che mia madre mi aveva tenuto nascosta tutta la verità, io sono la figlia di Malcom Merlyn, l’uomo che uccise milioni di persone per i suoi scopi. Dopo questo avevo lasciato tutti e tutto, scomparsi per un po’ di tempo, mi serviva il tempo di riflettere. Riflettere sulla mia vita, quella vera e quella falsa. Quando seppi tutto il mio mondo crollò e con lui tutti i miei ‘eroi’, mio fratello, il mio Fede, mi aveva tenuta nascosta una cosa del genere, non potevo perdonarlo.

 –Si che puoi. German, anche se non era il tuo padre biologico, si è sacrificato per te. Si è suicidato per farti vivere, la stessa cosa che ha fatto mamma qualche mese fa, si è fatta uccidere per far vivere noi. Tutto quello che hanno fatto, lo hanno fatto solo per noi. Io sono tuo fratello, quello che ti ha sempre sostenuto in ogni cosa che facevi. Ma ora non ti appoggio, sei scappata da tutto e da tutti e mentre io ho faticato per riavere il Verdant e rimetterlo in funzione, lasciare a te la proprietà e poi, dopo aver assicurato un futuro a te, ho pensato a me. Ho ripreso il controllo della Castillo Consolidated e ho ripreso il controllo della città.- lo guardai negli occhi e capii che stava dicendo la verità più assoluta. Per un attimo pensai a quello che aveva fatto per me, si era dato da fare per mesi e aveva pensato a me. Io, la sua sorellina adorata, la stessa che lo aveva abbandonato.

-Se tornassi a Starling City…che accadrebbe?- domandai scrutandolo. Sorrise e mi rispose con una frase semplicissima.

-Quello che tu vuoi.-

Era fatta, sarei tornata nella mia amata città, con mio fratello al mio fianco che non mi avrebbe mai abbandonato di fronte alle difficoltà.

 

Un mese dopo.

-Fede, dove hai messo il caffè?- urlai nella speranza che mi sentisse. La nostra casa era enorme, rivestita di legno ma fortissima e inattaccabile. Non avevamo i soldi per pagarci la servitù e ci dovevamo arrangiare come potevamo. La mattina era un incubo per me, non essendomi ancora abituata a quella routine, era difficile trovare quello che mi serviva senza il minimo aiuto. Ero come una bambina che stava imparando a camminare.

Lo vidi entrare dalla porta principale con in mano due bicchieri di plastica  provenienti da Starbucks, che si trovava proprio vicino casa nostra. Oltre i bicchieri c’era anche un piattino di plastica bianca, dentro c’era qualcosa da mangiare. Allora si sfamava bene quando non c’ero io lì, con lui.

-Buon giorno Vilu. Ti ho portato la colazione.- mi lasciò un bacio sulla fronte, cosa che faceva sempre, fin da quando ero piccola. Ci sedemmo sul divano color crema del salotto e facemmo colazione. Ogni tanto mi sorrideva e io lo ricambiavo.

-Oggi devi andare al Verdant, ricordatelo.- mi rammendò e si fermò sull’uscio della porta. –Ah, ho lasciato il comando ad un ragazzo, lavorerete insieme al locale.- e andò via.

Bene, mi spettava una giornata favolosa. Fino alle sette di sera sarei dovuta rimanere lì con lui perché dovevo firmare i vari documenti da acquisizione del locale.

Quando tornai nella mia stanza capì quanto tutto quello mi era mancato. Violetta Castillo aveva bisogno di tutte quelle cose per sentirsi a casa, abiti firmati, incontri tra imprenditori e guardie del corpo. Non che fossi una che se la tirava, ma io avevo sempre vissuto così non potevo rimanere senza tutta questa ricchezza. A Colto Maltese non avevo tutto questo, con lo stipendio come cameriera potevo comprarmi si e no due o tre magliette e due pantaloncini, non potevo vivere per sempre in quel modo. Con la mano toccai tutti i vestiti che avevo, andavano da un vestiti color prugna corto a metà coscia, fino ad arrivare ad un abito lungo di raso rosso che avevo indossato per la festa di capodanno della mia famiglia. Ad occhi chiusi scelsi un vestito blu con uno scollo a V, sia davanti che da dietro. Arrivava poco prima del ginocchio, non era né tanto formale, né tanto da discoteca, era giusto per un’occasione del genere. Non mi truccai più di tanto, solo un po’ di mascara e di matita nella parte interna degli occhi.

-Violetta Castillo, è ora di tornare al lavoro.- e uscì di casa a testa alta, nessuno mi poteva più ostacolare.

 

-Ehilà…c’è qualcuno?- chiesi a voce alta per farmi sentire, da quello che mio fratello mi aveva detto un ragazzo dirigeva il mio locale ora.

–Noi apriamo alle dieci stasera, perché sei qui?- domandò scrutandomi dall’alto verso il basso.

 –Sono Violetta Castillo, la sorella di Federico Castillo.-

-Oh, scusami tanto. Io sono Leon Vargas, dirigo questo posto ora.-

-Lo vedo- dissi guardandomi intorno curiosa. Qualche mese prima il locale era rosso, nonostante il nome fosse ‘Verdant’ ora invece era verde smeraldo. Il bancone bianco e una manciata di sgabelli bianchi illuminati da una luce blu, fantastici. Le scale avevano una fascia rossa davanti, una zona privata…intelligente il ragazzo. Anche se non riuscivo a vedere bene, al sul secondo piano c’erano dei tavolini e delle sedie, illuminati proprio come il bancone e gli sgabelli, con delle luci blu.

–Carino.- esclamai guardando lui, questa volta.

–Modestamente…grazie.-

-Che fine ha fatto il mio ufficio?-

-Bhè ora è il nostro ufficio, visto che  comandiamo entrambi.- annuii e salimmo le scale. Dall’alto era tutto più bello, ora aveva veramente le sembianze di un Night Club.

–Hai fatto un ottimo lavoro. Mi piace tantissimo.-

- Ero venuto diverse volte con i miei amici qui, l’anno scorso. Anche tu avevi fatto un buon lavoro.- entrammo in ufficio e mi sembrò molto diverso dall’ultima volta. C’erano due scrivanie bianche, con il ripiano in vetro trasparente, l’una di fronte all’altre. Sopra ognuna di queste c’erano due iMac, anche questi bianchi. Le sedie andavano in contrasto, erano nere. Si poteva vedere l’interno del locale con una vetrata oscurata all’esterno quindi era impossibile vedere dentro del centro del club, ottimo.

– E’ proprio bello.- dissi meravigliata. Non potevo credere che il ragazzo che mi si era presentato davanti con una felpa rossa e un paio di jeans aderenti, avesse fatto tutto quello. –Chi ti ha aiutato? Voglio dire i tuoi genitori avranno pagato tanto per tutto questo, e non parlo solo dell’ufficio, ma del locale intero.- mi guardò male, ma non rispose. Si sedette alla sua scrivania, almeno credo che fosse la sua, e io mi accomodai di fronte a lui.

–Il computer è un iMac di ultima generazione e può fare tutto. Siccome non possiamo rimanere aperti ogni giorno, direi che nel weekend e il mercoledì ci sarà la discoteca con il Dj. Mentre gli altri giorni possiamo fittare il primo piano per feste private… che ne dici?-

-Ottima idea, andiamo a risparmiare di meno alla fine, vero?-

-Certo, ecco perché te l’ho proposto.- Sorridemmo entrambi e poi ci mettemmo a lavorare sui nostri computer.

 

Dopo due ore avevo capito che avevo fatto male a lasciare gli occhiali a casa. In quel momento non vedevo più nulla, solo immagini sfocate.

–La prossima volta porta gli occhiali…sto scherzando, ovviamente.- mi sorrise.

–Dimmi che abbiamo finito. Ti supplico.- lui annuì e spense il suo computer, di conseguenza io.

–Stasera ti va se mangiamo insieme?-

-Non hai amici con cui andare a rimorchiare ragazze?-

-Purtroppo i miei amici non rimorchiano ragazzi, spacciano…droga.- rimasi in silenzio aspettando il continuo della frase, che arrivò poco dopo.

–Ho un lavoro, e guadagno bene…sto cercando di chiudere con loro.- annuii e non solo a quello.

–Stasera a casa mia alle nove…puntuale. Porta tu qualcosa da mangiare.- presi la borsa ed uscii dal locale. La mia Lancia Delta era lì ad aspettarmi, bianca come non mai e odorava di nuovo. Era il regalo di compleanno di mia madre per i miei diciott’anni. Mi ricordo della mia sorpresa quando la trovai fuori casa, stringevo così forte mia madre che credevo di strozzarla da un momento all’altro. Sorrisi malinconicamente a quel pensiero ed entrai in macchina.

 

-Fede…ti ho detto di non preoccuparti…ci vediamo dopo…si, rimaniamo a casa.- chiusi la chiamata e gettai il cellulare sul letto. Il mio armadio era spalancato e i vestiti tutti per aria, alla fine avevo deciso di indossare una maglia sbracciata con delle frange sulla pancia, perciò quando mi muovevo e mi sedevo quelle si spostavano scoprendomi quella parte del corpo. Sotto di essa un paio di jeans neri aderenti, ma comodi e un paio di Vans che andavano dal blu al viola, le mie preferite; anche se in casa preferivo rimanere scalza, mi sentivo più libera. Stavo per cambiarmi la maglia quando il campanello suonò, era arrivato Leon.

-Bene, la pizza…mi piace questa idea!- esclamai sorridendo. Entrò in casa e si posizionò di fronte a me.

-Dove mangiamo?-

-Ti risponderei in camera mia, però è in disordine. Quindi…in salotto?- le sue labbra si incurvarono in un sorriso.

-E se ti aiuto a mettere tutto in ordine?-

-Andata, lascia le pizze in cucina e seguimi-

 

-Davvero tu indossi queste cose?- rise, di nuovo. Il mio limite di sopportazione era arrivato alle stelle per colpa sua. Lo guardai e lo fulminai. Aveva in mano un top nero, che quelle poche volte indosso a me mi aveva fatta sembrare un’altra persona. L’avevo abbinato con un paio di pantaloncini corti e un paio di Converse nere.

-Si, l’ho indossato a volte, qual è il tuo problema?- mi guardò e lo poggiò al suo posto nell’armadio.

-Vorrei vedertelo addosso al club qualche volta. Magari domani, le serata dedicata a te.-

-Oh, no. Non lo farò mai. Sei un pervertito di prima categoria.- lo schernii dandogli uno schiaffetto sulla spalla destra.- I tuoi genitori ti hanno dato la serata libera?- lui non rispose, ma si allontanò da me.- I-io non volevo o-offenderti. Lascia stare.- uscii dalla camera e andai a prendere le pizze dalla cucina.

Chissà perché si rabbuiava quando gli parlavo dei suoi genitori, avrò evitato l’argomento sapendo la sua reazione. Sapevo cosa si provava a perdere i proprio familiari davanti ai propri occhi.

-Perché stai piangendo?- per poco non ebbi un infarto a causa dello spavento. Leon era dietro di me e poi si spostò davanti.

-Mi hai fatto spaventare!- disse cercando di sviare l’argomento. Mi guardò e intuì dal mio sguardo che non volevo parlarne.

-Ok, lasciamo stare l’argomento. Andiamo a mangiare?- annuii e salimmo tra risate e battute.

 

Durante la cena non spiccammo parola, ma capii dal suo sguardo che aveva qualcosa di dirmi, una domanda probabilmente.

-Che cosa devi dire?- lui si accigliò –Capisco dal tuo sguardo che c’è qualcosa che devi dire. Dì-

-Promettimi di non arrabbiarti.- annuii nuovamente e lui proseguì –Che cosa provi ad essere figlia di Malcom Merlyn?-

Lo guardai per qualche secondo e poi risposi:-Bhè…di certo non ne sono fiera. Sono rimasta per cinque mesi su un’isola, avevo bisogno di riflettere su tutto. I miei genitori mi hanno mentito per diciannove anni, decisamente troppo tempo. Anche il mio padre biologico si e nascosto e quando è morto ha lasciato in eredità a me soldi che ha guadagnato uccidendo persone innocenti…mi sento molto male.- piangevo a dirotto mentre dicevo tutto questo. Finalmente avevo parlato con qualcuno di tutto quello che mi era successo, finalmente mi ero aperta a qualcuno che non facesse parte della mia famiglia.

-Vieni qui.- mi disse prendendomi tra le sue braccia. Il pezzo di maglia sotto al mio viso, nel giro di qualche minuto, divenne fradicio. –Liberati, sono qui per questo.- sorrisi e lo strinsi maggiormente a me.

 

Leon continuava ad accarezzarmi i capelli, eravamo stesi sul mio letto da qualche minuto. Dopo il mio sfogo di quasi un’ora, mi fece stendere su di lui in modo che potesse asciugarmi il viso, rigato dalle lacrime.

-Sono soffici.-

-Si, lo sono.-

-A che pensi?-

-A niente.- dissi voltandomi verso di lui. Annuì e si avvicinò a me, chiusi gli occhi. Sentivo il suo fiato caldo sul mio collo, si stava avvicinando alle mie labbra e io non avrei fatto nulla per fermarlo.

 

 

 

Angolo Autrice:

Salve a tutti, sono nuova in questa categoria. L’ispirazione mi è venuta guardando Arrow…amo questo telefilm.

Ora devo andare, ma fatemi sapere, con una recensione, che ne pensate.

Vi amo tutti.

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Capitolo 2
*** Secondo Capitolo. ***


Secondo Capitolo.

-Mmh…- qualcuno mi stava scuotendo con il solo scopo di svegliarmi. Quel ‘qualcuno’ era mio fratello Federico del quale percepivo la presenza al mio fianco e mi stava sussurrando dolci parole all’orecchio, parole che solo un fratello poteva dire. –Fede…altri cinque minuti.- dopo questa richiesta sentii i suoi passi allontanarsi e la porta essere chiusa.

Finalmente un po’ di pace, ero stesa e sentivo ancora il fiato di Leon sul mio collo. La sera prima ci eravamo baciati per ore, fino a quando non aveva ricevuto una telefonata dai suoi ‘amici’, lo volevano con loro per fare un lavoretto. Ovviamente ero arrivata anche a capire di cosa si trattava, doveva spacciare droga in uno dai locali più importanti a Starling City. Ero certa del fatto che lui non volesse andarci, voleva migliorare per la sua famiglia e guadagnare dei soldi. Mi aveva raccontato che quando mio fratello gli aveva offerto quel posto di lavoro, lui pensava fosse una burla. Invece ora si ritrova con uno stipendio a cinque zeri e poteva comprarsi una macchina e una casa per vivere. Ero felicissima per lui, insomma si era impegnato molto per avere una vita degna di questo nome.

Avevo richiuso gli occhi, e stavo per riprendere a dormire quando un cuscino mi colpii in faccia facendomi svegliare del tutto.

-Ma sei scemo?!- gli urlai contro. Si sedette su di me e iniziò a lanciarmi cuscini sulla faccia. Dopo un momento di smarrimento, presi quello che stava sotto la mia testa e lo colpii in piena faccia facendogli perdere l’equilibrio. Cadde accanto a me e si stese passandomi sulle spalle un braccio.

-Com’è andata ieri sera con il tuo ‘socio’?- inutile dire che alla parola socio ci aveva aggiunto uno sguardo e un tono maliziosi.

-Abbiamo mangiato e basta.- e ci eravamo baciati fino allo sfinimento e ci eravamo rotolati tra le lenzuola per due ore. Ma non avevamo fatto sesso.

-E quindi il rumore del letto…era la mia immaginazione?- domandò squadrandomi. Il mio letto non aveva fatto tanto rumore, quanto il suo.

-Sono certa che Ludmilla ce lo saprà dire con precisione…o possiamo chiedere al mio ‘socio’. Come lo chiami tu.- rimase interdetto per un momento ma poi si alzò di scatto e mi trascinò con sé in cucina.

 

-Sono contenta del fatto che oggi mi accompagni tu a lavorare.- dissi guardandolo mentre guidava. Non avevo ricevuto nessuna telefonata da Leon, né tantomeno un messaggio. Avevo un brutto presentimento, ma non sapevo perché. Forse gli era successo qualcosa, anche se si sapeva difendere molto bene da quello che mi aveva raccontato Federico. Non sapevo cosa pensare in quel momento. O forse si era stancato di me? Di già?

-Vilu…siamo arrivati.- mi guardai intorno e notai che era vero. Il Verdant era ancora spento, strano. Era mezzogiorno e di Leon neanche l’ombra, forse si era veramente già stancato di me, oppure su era ricreduto sulla nostra amicizia.

Con lo sguardo perso nel vuoto e con gli occhi tristi entrai nel locale e aprii il nostro ufficio. Mi sedetti alla mia scrivania e notai che c’era un post-it attaccato sul monitor del mio computer.

‘Buongiorno Vilu, se stai leggendo questo foglietto significa che non sono arrivato a lavoro oggi. Oggi ci sarà la consegna dei cocktail e degli stuzzichini per stasera. Ti prego pensaci tu.

Ti voglio bene, Leon.’

Rilessi quel messaggio un centinaio di volte, o almeno fino a quando non sentii una presenza dietro di me. Mi voltai di scatto e vidi un ragazzo biondo, sulla ventina che mi guardava. Aveva in mano una console da DJ, dal quale deducevo fosse un dipendente del locale.

-Tu devi essere Violetta Castillo.- disse baciandomi la mano destra, che eravamo nell’Ottocento?

-E tu sei, invece?- chiesi focalizzandolo meglio. I capelli erano lunghi e gli occhi verdi, ma non aveva nulla a che vedere con Leon. Già Leon, chissà dov’era e con chi era.

-Sono il DJ del locale, mi ha assunto Leon. Piacere.-

-Doveva stare proprio male per assumerti. Comunque vai a fare il tuo lavoro e non importunarmi mai più.- sorrisi falsa e tornai a lavoro. Lui uscì dall’ufficio e si mise a provare delle canzoni per stasera.

 

Avevo finito. Erano arrivati i fornitori e avevano scaricato il carico. Li avevo pagati  ed erano andati via. Ma di Leon non c’era la minima traccia. Ogni volta che il mio cellulare squillava speravo fosse lui, e invece era mio fratello Federico. Guardavo fuori dalla finestra e speravo di vedere il suo SUV spuntare dell’angolo, ma ciò non accadeva. Io e quel DJ, del quale non avevo ancora capito il nome, stavamo per tornarcene a casa quando una macchina rossa si era avvicinata a noi e spenta poi. Dal sedile posteriore uscii Leon. Aveva la faccia livida, sembrava che l’avessero preso a pungi a lungo. Mi avvicinai a lui e lo poggiai a me.

-Leon. Che ti è successo?- gli domandai portandolo nel locale.

Lo feci sedere su uno sgabello e andai a prendere la valigetta del pronto soccorso dal piano di sopra. Ero confusa per quanto era appena accaduto, se fossimo andati via prima lui sarebbe rimasto solo qui in mezzo alla strada. Ringrazio quel ritardo nella consegna dei cocktail di oggi.

-Mi spieghi come hai fatto?- chiesi medicandogli alcune delle ferite. La sua faccia era ancora livida, dal sopracciglio usciva del sangue e non si fermava. Abbassai lo sguardo e notai che anche la maglietta era sporca.

-Leo. Mi dici che succede?- sbuffò e smise di guardarmi negli occhi.

- Quando sono andato via da casa tua, non sono andato da loro. Sono tornato a casa però c’erano anche loro. Ho rifiutato di andare con loro e mi hanno picchiato, ho cercato di difendermi ma erano sei contro uno. Prima sono andato a casa tua però non c’eri allora sono venuto qui.- lo ascoltai in silenzio mentre continuavo a medicargli le varie ferite sulle braccia e sulle mani. Forse aveva cercato di dare dei pugni però non c’era riuscito.

-Ce ne sono anche sotto la maglia, ma…sono profonde-

-In che senso sono profonde?- mi guardò e si alzò la maglia.

-Me le hanno fatte con un coltellino…ho bisogno dei punti.- presi la borsa e lo presi per mano. Uscimmo dal locale e lui iniziò a fare domande.

-Andiamo in ospedale.-

 

-Sei fortunato ad avere un’amica come Violetta.- disse il medico guardando Leon, lui si girò verso di me e mi sorrise, forse riconoscente.

-Lo so.-  il dottore si alzò dalla sua sedia e si diresse verso il suo carello.

-Roy, hai visto che…ma che ti prende? Leo?- lui guardava nella direzione opposta. Fissava la siringa che aveva in mano l’uomo dal camice bianco.

-Non capisco perché mi debba fare un’iniezione se è solo un taglio superficiale.-

-Hai paura di un piccolo ago…perché dai non è possibile.- mi misi a ridere pensando fosse solo uno scherzo, invece non era così. Quando il dottore si avvicinò a lui s’irrigidì subito. Non ci pensai due volte e feci voltare la sua testa verso la mia, la seconda volta in due giorni. Lo baciai e cercai di non fargli pensare al ago nella sua pelle.

-Fatto.- disse il dottore, prese un batuffolo d’ovatta e glielo sfregò su punto dove aveva fatto la puntura. Lo ringraziammo e uscimmo dal suo studio.

-Hai paura degli aghi?- domandai, non pensavo minimamente che una persona come lui, potesse avere un timore simile.

-Se ti rispondo che si, cosa penserai di me?- rispose guardandomi di sottecchi. Si poggiò allo sportellino della macchina con cui eravamo arrivati.

-Penserei che sei un ragazzo che sta lavorando per avere un futuro e che sei molto coraggioso.- dissi fissandolo negli occhi. Rimanemmo in silenzio per quelli che mi sembravano anni infiniti, invece erano pochi secondi.

-Che ne dici di andare a mangiare qualcosa a casa tua?-  scossi la testa sorridendo.

-Se non ti conoscessi, direi che vuoi venire a rubare a casa mia, e fai così per conoscerla meglio.- entrammo in macchina, lui alla guida e io accanto a lui.

-Chi ti dice che non lo farò?- ci guardammo, di nuovo, e poi scoppiammo a ridere entrambi e insieme.

 

Una volta a casa notammo che Federico era già arrivato e stava cucinando, o meglio Ludmilla lo stava facendo. Lasciai Leon con mio fratello a parlare di calcio e io raggiunsi la Lance in cucina, ma mi accorsi che c’era anche Francesca.

-Ciao.- dissi dando un bacio sulla guancia a testa, loro mi sorrisero e risposero con un –Ehi.- sincronizzato.

-Chi è quel ragazzo?!- gridò, sottovoce, Ludmilla. Guardai Francesca e ci mettemmo a ridere.

-Si chiama Leon ed è mio socio al Club.- risposi osservando in sua direzione. Vedevo come parlava agilmente con Federico e Diego, era presente anche lui, il ragazzo che mi piaceva fin da quando avevo una decina d’anni. Lui e Fede sono come fratelli e quindi passavano molto tempo in casa nostra; mi ricordo di quando mi nascondevo dietro la porta della loro stanza e spiavo ciò che facevano. Ritornando a Leon, si stava divertendo e se lo meritava dopo quello che aveva passato tra ieri e oggi.

-Ti piace tanto vero?- sentii la voce di Francesca abbastanza vicina al mio orecchio, mi voltai di scatto e le sorpresi ad osservarmi insistentemente.

-E’ carino, ma è troppo presto per dire se me ne sono innamorata o meno.- risposi semplicemente, prendendo il primo piatto e portandolo in tavola. Ci sedemmo tutti quanti; io e Fede a capo-tavola, vicino a me Francesca e Leon, e accanto a lui Ludmilla e Diego. Le ragazze avevano preparato un antipasto di noci, ostriche e salmone crudi. Amavo tutto questo, ma preferivo cenare con una pizza o con un hamburger. Era calato un silenzio, interrotto solo dalla suoneria del cellulare di mio fratello, sempre lui; anche quando cenavamo con la nostra famiglia non lo spegneva mai e si prendeva molti rimproveri da German e mamma, quanto mi mancavano.

-Pronto… si, domani mattina… riferirò… buona serata anche a te.- chiuse la telefonata e sbuffò sonoramente.

-Che succede?- domandò Ludmilla prendendo una forchettata di salmone, accompagnato da un pezzo di pane.

-Cose di lavoro.- liquidò velocemente il discorso facendo ricadere il silenzio a tavola.

 

Appena finita la cena, io e Leon andammo a passeggiare in giardino per lasciare gli altri da soli a parlare di affari loro.

-Piaciuta la cena?- scherzai mentre camminavamo mano nella mano. Sembravamo due fidanzati, ma non lo eravamo; almeno non credevo che lo fossimo.

-Non so come fai a sopravvivere. Ma dico seriamente.- sorrise.

-Io e mio fratello non siamo amanti della vita mondana, ma quando dobbiamo dare feste o cose del genere siamo costretti.- feci spallucce e mi sedetti sull’erba, invitandolo a fare lo stesso.

-Sai mi piace molto questo giardino.- disse guardandosi intorno. Presa non so da quale istinto, poggiai la mia testa nell’incavo del suo collo. Lui mi cinse le spalle con il suo braccio e, rilassata, socchiusi gli occhi. Leon mi lasciò un tenero bacio sulla fronte e accostò la sua con la mia.

-Dove vivi?- non so perché gli feci quella domanda, ma lo volevo sapere ad ogni costo. Lui era rimasto da me per una notte e sapeva dove abitavo, ma io non sapevo nulla su di lui e sulla sua storia.

-T’importa così tanto?- chiese, quasi rude. Alzai di scatto la testa e l’osservai, era serio e aveva la mascella contratta.

-Stai scherzando?! M’importa perché siamo amici e sai tutto di me, mi pare ovvio conoscere qualcosa di te.- mi alzai e mi pulii i jeans sporchi di terreno, e iniziai a camminare verso l’entrata della villa, velocemente. Sentivo i suoi passi dietro di me, speravo che non mi raggiungesse perché non volevo che mi vedesse piangere, non volevo pensasse che fosse diventato importante per me nel giro di due giorni.

-Fermati Vilu! Non volevo offenderti!- con uno strattone mi tirò all’indietro e mi fissò attentamente. Forse notò che avevo gli occhi lucidi, o forse no; ma fatto sta che mi abbracciò e io mi sfogai sulla sua spalla.

-Non volevo risponderti così, è solo che non parlo mai di me. Con nessuno. Non vorrei che tu andassi via. Una cosa te la posso dire, abito a The Glades.- la sua voce  s’incrinò nell’ultima frase e fu lì che capii i non dover andare oltre, il resto poi sarebbe venuto da se.

-Grazie.- disse e a quel punto, dopo esserci sorrisi, rientrammo in casa.

Federico e Diego erano seduti sul divano del grande salotto e stavano vedendo una partita di calcio; entrambi erano patiti di sport, li seguivano tutti, dal tennis al calcio. Io invece odiavo l’attività sportiva e mi ricordo che quando frequentavo la scuola superiore durante l’ora di educazione fisica andavo in giro per la scuola. Ludmilla e Francesca, invece, erano nella mia stanza, lo capii dal biglietto che mi avevano lasciato: ‘Parliamone! Nella tua stanza.’ Sorrisi e le raggiunsi. Mentre camminavo Leon mi prese per i fianchi e mi baciò, un bacio dolce e casto.

-Mi mancavano le tue labbra.-

A quel punto non potei fare altro che sorridere e ribaciarlo a mia volta.

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