Viaggio a Sinnoh

di Persej Combe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. Come uno spettro che ritorna ***
Capitolo 3: *** II. Un aiuto dall'alto ***
Capitolo 4: *** III. Vortice ***
Capitolo 5: *** IV. Fine del mondo ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



.Prologo.
 

«Sei impazzito?!» gli gridava cercando di trattenerlo, ma quello non ne voleva sapere e ogni volta che lui cercava di bloccarlo per guardarlo in faccia e farlo ragionare si strattonava dalla sua presa «Vuoi veramente andare laggiù da solo?! Per favore, fermati!»
E lo rincorreva per il corridoio di casa ripetendogli di aspettarlo, che ciò che stava per fare poteva essere pericoloso, e gli chiedeva perché non lo avesse avvisato prima e perché avesse aspettato l’ultimo minuto per metterlo al corrente. Nel momento in cui lo vide chinarsi di fronte alla porta di casa e avvolgere le dita intorno al manico della valigia - quella valigia che per tutto il tempo che era stato ospite lì da lui quella mattina si era domandato a che cosa servisse - in una presa severa, sentì il cuore cominciargli a battere più forte e salirgli alla gola.
«Ti prego, ripensaci! Non è sicuro andare a Sinnoh con quello che sta succedendo!» urlò, sperando inutilmente di riuscire a convincerlo a non partire. Lo rincorse giù per le scale, piano dopo piano, non si era neanche rimesso le scarpe e ora correva scalzo, coi calzini ai piedi. L’altro raggiunse il portone e si fermò un istante per girarsi e guardarlo. Poi con forza aprì la porta e uscì fuori a passo spedito, lungo il ciottolato del cortile, fino al cancello. Ma quello sguardo inespressivo – sì, quello sguardo che era sempre così luminoso ed entusiasta adesso pareva vuoto -  che gli aveva rivolto non era bastato ad acquietare il suo inseguitore, anzi, questo adesso stava correndo ancora più veloce con i piedi che gli facevano male a calpestare i sassi bitorzoluti. Bloccò con una mano il cancello di ferro che si stava per richiudere alle spalle dell’amico e gridò il suo nome.
Ma non lo ascoltava. Frugò con le dita nella tasca del pantalone in cerca delle chiavi della macchina. Le tirò fuori con un tintinnio secco.
Lo slancio con cui si era messo a rincorrerlo lo aveva sorpreso. Doveva essere seriamente preoccupato per lui, e molto anche.
L’uomo lo chiamò di nuovo, e di nuovo, e di nuovo ancora, ripeté il suo nome finché non sentì un brivido lungo la schiena nel fronteggiare i suoi occhi, spenti eppure così accesi di rabbia, di disperazione, di rancore, di tutte quelle emozioni invalicabili che gli tormentavano la testa.
«Non andare.» gli disse, come a volerlo proteggere, riconoscendo nella remissività a quelle sensazioni il suo carattere fragile.
«Non posso non andare.» si allontanò da lui di un passo «A Sinnoh sta per succedere l’inferno, e il Professor Rowan è lì... Ero il suo assistente, non posso stare fermo a non fare nulla! Devo sapere come sta, devo capire che sta succedendo, devo aiutarlo!»
Si girò dall’altra parte e infilò la chiave nella serratura, più che deciso a non pronunciare altro. Era certo che avesse capito, non c’era bisogno di sprecare altre parole.
Elisio lo guardò in silenzio aprire lo sportello posteriore della macchina. Capiva le sue intenzioni, ma non aveva alcuna voglia di lasciarlo partire. Si spinse in avanti e gli afferrò una mano.
«Allora io vengo con te.» dichiarò senza peli sulla lingua.
Quegli occhi grigi si voltarono di scatto verso di lui e lo scrutarono a lungo.
«Hai bisogno di qualcuno che ti sostenga. E io ho promesso al Professor Rowan che lo avrei fatto.» aggiunse, aspettando che l’altro gli desse un cenno di qualsiasi tipo in risposta. E invece nulla. Si limitò a scostarsi da lui e a togliere mollemente le dita dalla sua presa. Poi buttò la valigia sul sedile posteriore, chiuse la portiera, aprì l’altra e salì in macchina. Abbassò il finestrino per far passare un po’ d’aria, infilò la chiave, mise in moto, strinse il volante tra le mani. Fece per guardarsi intorno per uscire dal parcheggio. In realtà cercava di prendere tempo per fare una decisione. Portarlo con sé o no?
“Dannazione, che se dovesse succedere qualcosa anche a te, non me lo perdonerei mai... Qui a Kalos saresti al sicuro...” pensò stringendo i denti. Gli rivolse un’occhiata di sfuggita e vide che stava per appoggiarsi con una mano al tetto della macchina per chinarsi e dirgli qualcosa. Sapeva che quando Elisio si metteva in testa un’idea, difficilmente la lasciava andare. Anche stavolta non avrebbe cambiato posizione, e avrebbe insistito finché non avesse acconsentito a farlo andare con lui. Il rosso aprì bocca, ma Platan, rassegnato, parlò prima che potesse farlo lui: «Vai a preparare una valigia. Chiudi bene casa, poi scendi e monta su. Ti do cinque minuti, non di più.»


 



Ciao a tutti! 
Era da un po' di tempo che avevo questa storia in mente e finalmente sono riuscita a trovare la motivazione per scriverla! È collegata alla long che ho iniziato quest'estate ("Risplenderemo insieme nell'eternità di un mondo perfetto") e di preciso si colloca tra i capitoli 7 e 8. Ma nonostante questo spero che piaccia anche a coloro che non la stanno seguendo ^^
Grazie per essere passati, ci vediamo al primo capitolo!
~
Persej Combe
 
 

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Capitolo 2
*** I. Come uno spettro che ritorna ***



I
.Come uno spettro che ritorna.

 

Era stato un inizio un po’ burrascoso, senza dubbio.
La corsa in aeroporto, l’ansia di riuscire a trovare un posto per Elisio, l’angoscia nello scoprire che quello che avrebbero preso sarebbe stato l’ultimo aereo diretto a Sinnoh per l’intera settimana.
«Una settimana intera...» bisbigliò Platan sovrappensiero mentre guardava fuori dal finestrino. Elisio tuttavia ebbe l’impressione che in realtà del paesaggio di fuori non gliene importasse nulla. Non aveva nemmeno commentato quanto Kalos sembrasse piccola da lassù, come invece si era aspettato che avrebbe fatto. Di solito di considerazioni di questo genere ne faceva a bizzeffe.
«Signori, posso servirvi qualcosa?» una hostess si fermò accanto ai loro sedili con il carrello pieno di bibite, panini e dolciumi. Il rosso girò il viso verso di lei. Era una ragazza giovane, più giovane di loro due sicuramente. Due occhi verdi e dallo sguardo gentile campeggiavano sul suo viso rotondo tempestato di lentiggini. Era molto carina.
«Platan, tu vuoi qualcosa?» chiese al compagno, ma non ottenne risposta. Quello stringeva forte tra le dita il cappotto marrone scuro che aveva poggiato sulle ginocchia e continuava a fissare il finestrino, o forse il cielo, non sapeva di preciso dove stesse posando lo sguardo. Probabilmente neanche si era accorto del fatto che la ragazza si era rivolta a loro.
«Un caffè e un succo di frutta, grazie.» disse Elisio accompagnandosi con un sospiro un po’ fiacco. Pagò la hostess e la ringraziò con un sorriso. Poi tese a Platan il brik di succo.
«Perché io il succo?» brontolò aprendo l’involucro della cannuccia.
«Sei già nervoso di tuo, se bevi caffè è peggio.» asserì.
«Però viene un profumo...»
Reclinò la testa all’indietro e chiuse gli occhi con uno sbuffo.
«Quando arriviamo vorrei passare un attimo a Sabbiafine, se non ti dispiace.» disse «Speriamo che anche in albergo ci sia posto per te, con l’aereo siamo stati fortunati... Accidenti, Elisio, mi hai sconvolto tutti i piani...»
«Nel peggiore dei casi potrei anche dormire in macchina. Non è un problema.»
«Andiamo, non dire sciocchezze...»
Per la prima volta in tutta la mattinata, Elisio lo vide accennare un sorriso. Platan si girò subito dalla parte opposta per nasconderlo. Ancora non era sicuro di aver scelto in modo giusto decidendo di portarlo con sé, tuttavia doveva riconoscere che come al solito la sua compagnia lo rallegrava e lo aiutava almeno un po’ a staccare la spina da quei pensieri cupi che lo attanagliavano. Ciò nonostante si ripeté, come già si era detto durante la corsa in macchina, che se se ne fosse presentata l’eventualità non avrebbe esitato a muovere un dito per proteggerlo.
«Com’è Sabbiafine?»
«Non ci sei mai stato?»
«Purtroppo no.»
«È un posto bellissimo. Quando cammini per strada, nell’aria c’è sempre il profumo del mare, e se tendi un po’ le orecchie, in lontananza riesci a sentire il rumore delle onde... È molto tranquillo. Rispetto a Luminopoli è un vero paradiso.»
«Penso che qualsiasi luogo rispetto a Luminopoli si possa considerare un vero paradiso. Per carità, è una città meravigliosa, ma spesso la trovo fin troppo caotica.»
«Concordo con te. Quando mi sono trasferito ci ho messo un po’ ad abituarmi ai suoi ritmi frenetici. Poi avendo vissuto una vita intera in un paesino di campagna come Ponte Mosaico... Mi sentivo un Magikarp fuor d’acqua. Spesso mi sono sentito un Magikarp fuor d’acqua, in verità...» le parole gli si erano affievolite in un sussurro.
Elisio smise di bere il suo caffè. Si girò verso Platan e lo osservò, impensierito da quella frase.
 
Quella goccia di caffè rimase intatta nella tazzina per tutta la durata del viaggio.
 
Sei del pomeriggio. I numeri lampeggiavano sul display dell’automobile. Il sole stava tramontando in fretta. Platan frenò all’improvviso di fronte ad un palazzo, lasciando dietro alle ruote una scia di sabbia dorata. Si slacciò la cintura di sicurezza ed aprì lo sportello.
«Elisio, vieni anche tu.»
L’uomo annuì e fece per seguirlo. Non appena Platan fu fuori dalla macchina, avvertì un brivido di gelo lungo le braccia. Ci sfregò sopra le mani per riscaldarsi e si guardò attorno. In un certo senso, Sabbiafine sembrava diversa. Faceva freddo, un freddo fuori luogo per una città così accogliente e familiare come quella. Ma il profumo del mare che tanto adorava c’era ancora, e c’era ancora anche il mormorio delle onde che in quei cinque anni di apprendistato aveva acquietato le sue notti insonni, quando non riusciva a dormire.
«Platan, la mia giacca è più pesante, se vuoi...» disse Elisio notando il modo in cui si stava stringendo nelle braccia.
«Non ce n’è bisogno. Sto bene.» replicò di getto. Neanche lo guardò in faccia. Si accarezzò il colletto del cappotto come a volerselo stringere davanti alla bocca, ma cacciò via quel desiderio malamente con una scossa di testa. Si carezzò un ciuffo di capelli, ed Elisio riusciva a percepire da quel tremolio delle sue dita l’inquietudine che lo stava assalendo. Gli si avvicinò in silenzio, come a fargli intendere di non doversi preoccupare, che lui era lì, pronto a sostenerlo. Platan recepì il messaggio. Prese la valigia e guardò intensamente l’uomo.
«Andiamo.» disse dopo un lungo silenzio.
Percorsero quei pochi metri che li separava da quello che Elisio più tardi scoprì essere il Laboratorio di Rowan con fare deciso. Prima di aprire la porta, tuttavia, Platan ebbe un ulteriore indugio. Per la testa gli passò qualche idea vaga, non sapeva come comportarsi e che cosa doveva fare. Chiuse la mano in un pugno e la avvicinò alla porta. La sfiorò impercettibilmente con le nocche per pochi secondi, poi allontanò di scatto le dita. Ci riprovò, ma si fermò di nuovo. E se Rowan non fosse stato lì? E se invece sì? Ma davvero in una situazione come quella poteva permettersi di bussare e chiedere il permesso per entrare? Ma sul serio, dopo cinque anni passati lì come se fosse stata casa sua, adesso si sentiva in dovere di bussare? Poi si ricordò che dietro aveva Elisio, quel povero, stupido, carissimo Elisio che aveva deciso di seguirlo in quella pazzia improvvisa senza batter ciglio. Cercò di atteggiarsi in un certo modo: non voleva fare brutta figura, nonostante di brutte figure fatte davanti a lui ne avesse già raccolta una lista lunghissima e interminabile nel corso di quegli anni; poi prese coraggio e senza badare più a niente aprì la porta con una forte spinta, precipitandosi dentro.
«Dov’è il Professor Rowan?» tuonò, il viso contratto in un’espressione severissima. Con gli occhi corse in ogni angolo della stanza con il cuore che batteva all’impazzata, riconoscendo quel posto e notando che non era cambiato di una virgola, finché ad un tratto s’incrociò di sbieco con quello di un uomo che lo stava fissando, con una cartella gialla fra le mani e gli occhiali sul naso: probabilmente lo aveva interrotto nella lettura. Platan si girò verso di lui e mantenne il suo sguardo rigido, rimanendo in attesa.
Il cappotto marrone, la valigetta stretta in mano, le sopracciglia corrugate in un atteggiamento austero. Trovava curioso quanto in quel frangente gli assomigliasse. L’uomo con gli occhiali sorrise in silenzio, sorpreso e felice insieme.
Elisio, ancora fermo dietro al compagno, osservava tutto senza fiatare.
«Non ci posso credere!» l’assistente finalmente si decise a parlare e si tolse le lenti, rivelando due occhi neri ed entusiasti «Platan, sei proprio tu? Rosabella! Rosabella, presto!» chiamò concitatamente la moglie che stava lavorando nella stanza vicina.
«Arrivo, arrivo! Ma insomma, cosa c’è?» la donna accorse mentre si stava legando i capelli verdi con un fermaglio dietro la testa. Non appena vide Platan si lasciò scappare un’esclamazione di stupore.
«Ma non mi dire! Platan, guarda come ti sei fatto bello!» gli andò incontro e lo abbracciò affettuosamente, lasciandolo disorientato: non aveva considerato neanche lontanamente l’eventualità di potersi ritrovare in quella situazione «Come stai? Ah, è passato tantissimo tempo!»
Alzò la testa dal suo petto e oltre le sue spalle scorse la figura di Elisio: «A quanto pare non sei da solo. Lui è un tuo amico?» chiese sistemandosi meglio gli occhiali rossi per osservarlo.
Elisio e Platan si scambiarono uno sguardo.
«Aspetta, aspetta!» Rosabella bloccò l’uomo prima che potesse risponderle «Preparo un po’ di tè e ci sediamo di là a berlo, così intanto ci racconti tutto con calma.» poi sorrise ad entrambi e se ne andò.
Edwin, l’altro assistente, si accostò a Platan e gli fece una pacca sulla spalla.
«Anche a Kalos è arrivata la notizia, non è così? Eri preoccupato per il Professore?» gli chiese facendo cenno ai due di accomodarsi.
«Sì, esatto.» annuì mentre si toglieva il cappotto e poggiava a terra la valigia «E già qua fuori ho sentito che la temperatura è molto più bassa di quella a cui ero abituato.» prese la giacca di Elisio e la appese assieme alla sua all’attaccapanni di legno là vicino.
«In realtà sono parecchi mesi che stiamo registrando questo abbassamento anomalo delle temperature, ma negli ultimi tempi la situazione ha cominciato a peggiorare. Pensa, addirittura a Duefoglie ha nevicato varie volte!»
Si incamminarono verso l’altra stanza.
«Duefoglie? Ma non è quella città che si trova qui vicino? Accanto al Lago Verità?»
«Già, proprio così. E a proposito del Lago Verità, di recente ci sono stati alcuni episodi riguardo ai tre laghi... Sembra che i Guardiani si siano rivelati.»
«I Guardiani?» si fermò in mezzo alla stanza e lo guardò sconvolto «Intendi dire Azelf, Mesprit e Uxie?»
«Secondo la leggenda, essi furono creati affinché mantenessero l’equilibrio fra gli uomini.» intervenne Elisio ad un tratto, da sempre affascinato dalle leggende e che per questo motivo sapeva qualcosa al riguardo «Se si sono rivelati, questo vorrebbe dire che...»
Platan si girò allarmato verso di lui, comprendendo ciò che stava cercando di spiegare.
«Mia figlia e il Professor Rowan giurano di averli visti con i propri occhi. Girano voci secondo cui gli uomini del Team Galassia si stiano impegnando per sottrarli al fine di raggiungere i loro scopi. Lucinda e un suo amico stanno cercando di fare in modo che questo non accada, affinché l’equilibrio di Sinnoh non venga compromesso.»
Mentre Edwin chiedeva a Elisio come si chiamasse, Platan pensò con orrore a ciò che stava accadendo. La situazione era molto più grave di quello che aveva intuito. La perturbazione che aveva colpito Sinnoh non era soltanto dovuta ad un casuale susseguirsi di eventi. I Pokémon Leggendari ne erano la causa. E se c’entravano i Pokémon Leggendari, allora non riusciva ad immaginarsi cosa sarebbe potuto accadere. Stando così le cose, erano in serio pericolo. Il Professor Rowan era in pericolo. Elisio era in pericolo. Lui stesso era in pericolo, ma di questo non gli importava poi granché. E poi c’era Lucinda.
Se la ricordava, Lucinda, piccina piccina, minuta, col viso rotondo e paffuto e due occhi grandi e curiosi, che gli correva incontro e si addormentava in braccio a lui mentre le raccontava di Kalos, delle cascate di Ponte Mosaico, della Torre Prisma che di notte splendeva più delle stelle. Quanti anni aveva adesso? Dieci? Dodici? Si vergognava ad ammettere che non se lo ricordava più.
«Il tè è pronto!» era Rosabella che li avvertiva.
Entrarono nell’altra stanza e si sedettero sui cuscini sul tappeto, attorno al tavolino di legno. La donna versò il tè in quattro tazze e portò qualcosa da sgranocchiare. In un primo momento Platan non disse nulla, ancora preso da quei ragionamenti che lo mettevano sotto pressione – Lucinda contro il Team Galassia? Ma Lucinda era una bambina! E il Professor Rowan stava davvero permettendo che una ragazzina potesse correre un rischio così grande? - , allora fu Elisio a parlare, a raccontare qualche episodio che avevano vissuto insieme e di se stesso. Sorprendentemente i due scienziati pendevano dalle sue labbra, Rosabella in particolare, e ascoltavano con attenzione ogni sua parola. Mandando giù un sorso di tè verde, Platan sorrise lievemente: Elisio era davvero un oratore, mai gli era capitato di incontrare qualcuno che, intento a sentire ciò che aveva da dire, si fosse annoiato. Aveva un sacco di ottime qualità, sapeva porre su di sé la giusta attenzione in modo strabiliante. E poi era bello, era proprio bello, con quegli occhi azzurri, quelle labbra piccole e rosee che tante volte avrebbe desiderato baciare, le spalle larghe, le braccia forti da vero maschio, non come le sue che erano così sottili, e poi...
E poi c’erano talmente tantissime altre cose che adorava di lui, troppe. Smise di pensarci nel momento in cui, nel lato opposto della stanza, poggiata su una cassettiera, vide qualcosa che rapì la sua attenzione.
Si alzò, muto, non emetteva neanche un respiro, come se l’unica cosa degna di importanza fosse diventata la vista. E dopo la vista fu il tatto, quando con le dita carezzò la superficie liscia della valigia.
“Se l’è dimenticata un’altra volta, come al solito...” pensò, e senza rendersene conto abbozzò un sorriso. Prese la borsa e rimase a contemplarla, rigirandosela nelle mani. Poi se la mise sulla testa e gli scivolò una lacrima dal viso.
Elisio aveva smesso di parlare, anche i due coniugi si erano voltati verso di lui. Il rosso si tirò su, sentendo il bisogno di dirgli qualcosa, pur non sapendo che gli era preso.
«Ma insomma, si può sapere dov’è? Io non ho ancora ricevuto una risposta...»
«Platan,»
«Si può sapere dov’è lui?! Dov’è?!» alzò la voce coprendo il tono tranquillo di Elisio e si girò, fissando i due assistenti. Rosabella abbassò la testa con fare colpevole, guardando il marito di sottecchi e pregandolo con lo sguardo di dirglielo lui. Platan mise la valigia a posto e sospirò.
«Vorrei una risposta. Soltanto una risposta.» disse cercando di calmarsi, scorgendo una punta di spavento negli occhi di Elisio.
«È sul Monte Corona.» rispose Edwin.
«Monte Corona? Cioè, vorreste dirmi che in una situazione come questa il Professor Rowan così dal nulla ha lasciato tutto qui e se n’è andato su una montagna a fare meditazione? Ma fatemi il piacere!» concluse con una risata acida che squarciò l’aria.
A Elisio tremò una mano. Immediatamente la chiuse in un pugno sperando che non si notasse. Quel lato di Platan lo inquietava. Neanche nelle litigate ingaggiate fra loro – che seppur rare c’erano – l’aveva mai visto comportarsi in quel modo. Sembrava vuoto. Vuoto di speranza. Vuoto di vita. Non gli piaceva, non gli piaceva affatto.
«No, Platan.» disse severamente Edwin, come a volerlo rimproverare per la sfacciataggine che aveva appena mostrato «È la perturbazione stessa che ha avuto origine dal Monte Corona. Il Professore è lì per questo. Ora smetti di fare il ragazzino e torna qui.»
Lo fulminò con lo sguardo e Platan sentì la schiena vibrare. Prese a fissarlo con due occhi gelidi, stizziti, collerici, indignati. Poi di nuovo soggiunse il pensiero di Elisio, che lo esortava a non dare in escandescenze di fronte a lui. Lo guardò con la punta degli occhi, poi gli si sedette accanto cingendo la tazza con le dita, lo sguardo di nuovo spento e calato sul liquido chiaro del tè.
«Scusatemi, giuro che non volevo... È soltanto che...» mormorò provando a giustificarsi. Allentò la presa e fece scivolare le mani sulla superficie del tavolo, sentendo dopo un po’ che Elisio gliene stava accarezzando una, chiudendola piano nel suo palmo.
«Va tutto bene. Non preoccuparti.» disse Elisio.
Rosabella li osservò, studiando i loro sguardi e il modo in cui essi si erano venuti incontro. Nascose un sorriso dietro le dita intrecciate davanti alla bocca e annuì.
«Platan, non tormentarti. Capiamo bene il tuo stato d’animo... Stiamo tutti come te, credimi.» disse dolcemente, come una mamma che consola il proprio bambino.
«Il Professor Rowan non ha voluto che lo seguissimo, nonostante ad un certo punto addirittura lo avessimo quasi costretto a portarci con lui.» aggiunse Edwin «Siamo tutti molto preoccupati. Ogni giorno la situazione sembra peggiorare sempre di più, eppure non riusciamo a trovare nulla che possa migliorarla.»
«Forse il Professore ha ragione: l’unico modo per cambiarla è affrontarla.» commentò la donna a bassa voce.
Per un lungo minuto rimasero in silenzio, rimuginando su quella frase.
A quel punto Platan sentì che non avrebbe smesso di perseguire il suo obiettivo, che anche lui avrebbe fatto qualcosa, che nonostante il Professore avesse deciso di andare da solo, lui avrebbe comunque continuato a cercarlo e che, quando lo avrebbe trovato, lo avrebbe aiutato a risolvere quell’arcano, perché dopotutto ancora si sentiva suo apprendista e forse non aveva mai smesso di esserlo.
Rosabella domandò ai due se volessero fermarsi a cena. Avevano finito di prendere il tè da un pezzo, ormai, e stavano passando il tempo a chiacchierare senza curarsi del tempo che passava.
«Beh, certo, mi farebbe piacere passare qualche altra ora con voi, dopotutto era da molto tempo che non ci vedevamo.» Platan accolse la richiesta «Tu che ne dici, Elisio? Ti va? Magari prima chiamo l’albergo per avvisare che arriveremo più tardi del previsto.»
“E soprattutto che siamo diventati due.” aggiunse nei suoi pensieri, perché nonostante se lo fosse ripetuto più e più volte, ancora non lo aveva fatto.
Quindi pochi minuti più tardi, prima di uscire per andare a casa di Edwin e Rosabella, si relegò in un angolo della stanza con il telefono in mano, ad aspettare che qualcuno dall’altro capo rispondesse.
«Quindi vorrebbe cambiare stanza?»
«No, non necessariamente. È che c’è stato un imprevisto e perciò mi chiedevo se vi potesse essere un’altra camera disponibile per il mio amico.»
La ragazza dall’altra parte cercava sul computer una stanza libera e si sentiva il rumore delle sue dita che battevano sui tasti.
«Mi dispiace, ma abbiamo terminato le camere singole. Però ci sarebbe una bellissima camera doppia che si è liberata proprio stamattina, potrebbe andare bene per voi?»
In quel momento soggiunse Elisio, che posò piano una mano sulla spalla dell’uomo. Platan allontanò la cornetta del telefono e disse: «Ah, arrivi proprio in tempo... È un problema per te se dormiamo nella stessa stanza?»
Elisio per pochi secondi s’irrigidì.
«No, figurati.» rispose poi, nascondendo un leggero imbarazzo dietro un sorriso «Trovato qualcosa?»
«A quanto pare sì, meno male... Anche stavolta ce la siamo cavata. Pronto?» riportò il telefono all’orecchio «Sì, va bene. Perfetto. Oh, la ringrazio molto, che gentile! Certo, buona serata.»
Presero le proprie cose e si mossero alla volta della casa dei due assistenti.
«Per lei questo e altro, Professor Platan!» mentre guidava per cercare parcheggio mimò la voce smancerosa della ragazza «Certe volte è davvero una fortuna essere il Professor Platan.» commentò.
«E quelle altre volte no?» domandò sarcasticamente.
Entrambi sapevano la risposta molto bene, perciò dato che nessuno trovava necessario approfondire l’argomento, si limitarono a scambiarsi un’occhiata complice. Platan scorse il tetto della casa dei suoi vecchi amici e la indicò a Elisio.
«Sai, ritornarci dopo tanto tempo mi sembra così strano...»
 
Seduti alla tavola rettangolare, erano tutti in silenzio a bere la zuppa calda dalla ciotola: ognuno aveva bisogno di riscaldarsi dopo il freddo provato fuori. Elisio e Platan sedevano su uno dei due lati lunghi, dal lato opposto invece vi erano i due coniugi. Sul fianco più stretto, vicino al Professore, stava una bambina di quattro anni, la sorella di Lucinda che era nata dopo il suo ritorno a Kalos e che aveva appena conosciuto; ormai stava cominciando a mangiare da sola, ma ogni tanto ancora chiedeva alla mamma che la imboccasse. Di fronte a lei c’era il nonno. Non appena aveva visto Platan fare il suo ingresso in casa, l’aveva abbracciato e aveva pianto qualche lacrima di gioia. Teneva gli occhi su Elisio perché la nuora lo aveva informato di alcuni comportamenti che intercorrevano tra i due e la faccenda lo aveva incuriosito. Quindi ogni volta che Platan cercava di spiegare a Elisio come doveva tenere le bacchette in mano, si faceva scappare una risata bonaria ed esclamava: «Ma guardate questi bei giovanotti!»
E Platan sapeva, sapeva perfettamente che prima o poi sarebbe arrivata quella domanda. Elisio non sospettava minimamente, ma Platan sì, perché il nonno tutte le volte che era tornato a notte fonda, il giorno seguente a colazione glielo aveva domandato, facendogli puntualmente andare di traverso il riso che stava masticando. Sempre. Mai una volta che non se ne fosse accorto, il nonno, di quelle scappatelle notturne. Si era messo l’anima in pace e tra una scodella di verdure e un piatto di pollo fritto che si svuotavano, aspettava che gli venisse posta la domanda. Mentre parlavano di Sinnoh, di Kalos e di quegli anni che erano stati lontani, Platan ogni tanto si rivolgeva al suo compagno e lo vedeva che aveva ancora qualche difficoltà alle prese con le bacchette, quindi ogni tre per due gli prendeva le dita e gli rifaceva vedere il modo in cui doveva metterle sulla posata.
«Ti ricordi quando era Lucinda ad insegnarti?» gli chiese Edwin.
«Eccome se me lo ricordo!» sorrise, ricordando le ore passate a fare pratica, e la bambina che ridacchiando gli diceva: «Ma non così, così!» e gli faceva vedere il modo in cui le teneva lei «Hai capito?». Il giorno in cui finalmente aveva imparato, gli aveva regalato un disegno che aveva fatto a scuola di loro due che mangiavano noodles. Lo teneva ancora nel cassetto della scrivania della sua stanza nel Laboratorio.
«Quando tornerà le diremo che con Elisio sei stato un bravo insegnante!» esclamò l’uomo.
«Sì, ma ci sarà molto lavoro da fare...» sorrise divertito, ma non in modo maligno «Elisio, sei proprio un pessimo allievo...»
Si rassicurò nel vedere che stava ricambiando il suo sorriso.
«Lucinda si è proprio fatta grande, Platan, non immagini nemmeno.» Edwin intanto stava pulendo le lenti degli occhiali con un panno.
«È diventata una giovane donna, ormai.» commentò il nonno con un sospiro.
La piccolina, con la testa poggiata sul tavolo, con gli occhietti stanchi e le braccia incrociate sotto la guancia, emise uno sbuffo a sentire il nome della sorella che da tanto tempo non vedeva e di cui sentiva la mancanza.
«Tu ancora non hai pensato a metter su famiglia?» domandò di nuovo Edwin.
«Tesoro, come vai di fretta!» s’intromise la moglie «È diventato Professore da qualche anno e già dovrebbe pensare ai figli? Lascia che prima possa vivere pienamente questo momento!»
«Beh, ma almeno la fidanzata ce l’hai?»
Platan e il nonno si guardarono. Il vecchio sorrideva con gli occhi che gli si stringevano in due fessure, confusi fra le numerose rughe che aveva in viso.
«Mi ha preceduto.» sussurrò ridendo. Poi si alzò, fece il giro del tavolo e gli diede una pacca sulla spalla. Prese la bambina in braccio e si avviò per portarla a letto.
«Andiamo, gnometta, che è tardi...» le disse mentre le accarezzava la testa.
«No, non ho una fidanzata.» rispose l’uomo, che s’era preparato la risposta già da qualche quarto d’ora.
«Allora un fidanzato, magari?» chiese la donna con un sorrisetto, osservando Elisio di sottecchi.
«Un fidanzato?!» la sorpresa squillava nella vocina della bimba, che si dimenava fra le braccia del nonno «Ma zio Platan è un maschio! I maschi non possono stare insieme!»
«Ma certo che possono.» le disse pacatamente il nonno mentre saliva le scale «Giocano con le macchinine tutto il giorno e se le scambiano senza chiedere il permesso perché le condividono. E poi, quando se ne rompe una, l’aggiustano insieme.»
Platan sorrise, ricordando affettuosamente quanto adorasse le metafore del nonno. Poi scosse la testa facendo segno di “no”.
«Mi spiace deludervi, ma non ho neanche un fidanzato.» rispose.
«La verità è che Platan è innamorato unicamente del suo lavoro.» aggiunse Elisio «Aiutare gli uomini e i Pokémon a incontrarsi fra loro è qualcosa che lo gratifica molto. Non è vero?»
«Sì, Elisio, è una cosa che mi emoziona tantissimo!»
Decisero che anche per loro si era fatta l’ora di ritirarsi, così si apprestarono a distribuire gli ultimi saluti, a echeggiarsi a vicenda i “Buonanotte” e i “Sogni d’oro”, a raccogliere le proprie cose ed uscire di casa. Edwin, Rosabella e il nonno si affacciarono alla finestra per salutarli ancora, più che felici di aver potuto rivedere il loro rampollo e di aver conosciuto il suo amico.
«Ho vissuto cinque anni a casa loro e da allora non è proprio cambiato nulla...» pensò ad alta voce Platan, alzando lo sguardo al cielo. La perturbazione sembrava avesse voluto acquietarsi almeno un po’ e ora tra le nuvole diradate si poteva vedere la luna piena, bianchissima in quel cielo nero.
«Sono molto simpatici.» anche Elisio si era messo a guardare in alto. Poi, abbassando la testa, aveva scorto un piccolo sentiero che s’infilava nella macchia.
«Dove porta quella strada?» domandò.
«Ah, quella? Porta alla spiaggia.»
«Possiamo andarci un attimo?»
 
«E così è questa la famosa spiaggia...»
«Già.»
«Me ne hai parlato tantissime volte, avevo proprio voglia di vederla!»
Qui l’odore salino del mare era ancora più forte, ed Elisio inspirò profondamente, sentendo l’aria fredda bruciargli nelle narici e riscaldarsi nel petto.
«Che buon profumo...»
«Ti va di fare qualche passo? A stare fermi qui mi viene freddo.»
Camminando lasciavano le impronte delle scarpe sulla sabbia, che subito venivano coperte da altri granelli trasportati da un vento leggero. Passeggiavano lentamente, dopotutto erano stanchi e non volevano fare troppa strada per tornare indietro.
«Come ti senti?»
«Come mi dovrei sentire?»
Platan si tirò indietro i capelli con una mano.
«Non ne ho idea. È tutto strano. Tornare qui, vedere questi posti, cenare di nuovo con loro... È come uno spettro che ritorna.»
«Un déjà vu?»
«No, non un déjà vu. Le esperienze e i luoghi sono gli stessi di quei cinque anni, però» alzò la testa verso l’altro «è come se avessero un significato diverso, adesso.»
Elisio guardò dall’altra parte, si sistemò la sciarpa di lana davanti alla bocca e se la tirò su fino alle punte delle orecchie.
«Passeggiavate qui tutte le sere?» chiese.
«La maggior parte. Verso il tramonto, quando le lezioni erano finite o se ci prendevamo una pausa dalle nostre ricerche, venivamo qui e parlavamo. Ogni tanto confrontavamo le nostre opinioni su dei fenomeni che avevamo osservato in Laboratorio, oppure ci fermavamo a guardare qualche Finneon che faceva capolino dall’acqua, o semplicemente ci scambiavamo due parole sulla nostra vita privata. E anche se eravamo stanchi e non ci dicevamo niente, per me quelle passeggiate avevano un valore più prezioso dell’oro. Devo tante cose al Professor Rowan. Stare con lui mi ha aiutato a crescere, in un certo senso. Avevo solo diciassette anni quando mi sono trasferito qui a Sinnoh per studiare, ero proprio un ragazzino...»
«Secondo me sei ancora un ragazzino...» ridacchiò «Ma è una parte di te che apprezzo molto, a dire il vero.»
«Tu invece sembra che non lo sia mai stato e che sia nato già adulto,» ricambiò la presa in giro «però anch’io apprezzo questa tua maturità d’essere.»
«A volte capita di essere trascinati a forza in ruoli che non sentiamo nostri, ma che con il tempo malgrado tutto diventano la nostra stessa essenza, al punto che non sentiamo più di doverci ribellare ad essi. A me è accaduto molto presto.»
Platan lo osservò con la punta dell’occhio e vide che ancora si ostinava a non voler incrociare lo sguardo con il suo. Si chiese a cosa si riferisse con quella frase, ma non aveva intenzione di chiedere spiegazioni. Elisio sorrise, si era accorto che lo stava osservando, e finalmente si girò verso di lui.
«Non farci caso. Sono solo parole buttate al vento, tutto qui.»
«Come ti pare.»
Arrivarono di fronte ad un arbusto e tornarono indietro. Avevano le scarpe e i calzini pieni di sabbia, che per quanto fastidiosa riuscivano a sopportare. Per metà del percorso rimasero zitti, intenti ad ascoltare il suono delle onde che si abbattevano sulla costa e il fruscio degli alberi proveniente dal sentiero lì accanto. Ad un tratto Platan si fermò. Abbassò la testa e guardò l’acqua che gli bagnava la punta di una scarpa. Ripensò a tutte quelle scarpe che aveva rovinato passeggiando sull’orlo del mare, rapito dai discorsi del suo maestro. L’altro aspettava pazientemente.
«Elisio, ascolta.» alzò la testa verso di lui per assicurarsi di avere la sua attenzione. Lo vide annuire e continuò: «Ho intenzione di raggiungere il Professore sul Monte Corona, perciò già da domani vorrei mettermi in moto. Non so quanto tempo ci sia rimasto, quindi è necessario agire al più presto. Ma avrò bisogno dell’aiuto di qualcuno. Che ne dici?» gli tese la mano «Saresti disposto a seguirmi?»
Elisio guardò sorpreso la sua mano. Era proprio lui a chiedergli di stargli accanto, lui stesso che quella mattina lo aveva cercato di respingere. Sorrise e gli strinse la mano, sentendo che era fredda e rabbrividiva proprio come la sua.
«Non pensare alle mie dita che tremano, perché non è per incertezza: sono più che sicuro della mia decisione e ti seguirò dovunque tu voglia andare. Anch’io voglio ritrovare il Professor Rowan, e questo è il minimo che posso fare.»
Continuarono a tenersi le mani qualche secondo in più del dovuto per offrirsi reciprocamente un po’ di calore. La temperatura era scesa di molto, ed entrambi pensarono che era giunto il momento di andare in albergo a coricarsi, al caldo, al riparo dal gelo che imperversava fuori. Era stata una lunghissima giornata, eppure anche le giornate che paiono non finire mai durano ventiquattr’ore come tutte le altre. Fra le strade di Sabbiafine il vento era meno forte, ma il freddo persisteva comunque. Cercarono di ricordarsi dove avevano parcheggiato la macchina e vi si diressero a passo svelto.
«Se vuoi guido io, mi sembri un po’ stanco.» propose il rosso vedendolo stropicciarsi un occhio per la stanchezza.
«Grazie per l’interessamento, ma la macchina è mia e la guido io.» ribatté.
«Come vuole lei, Professore...» alzò la testa in alto e roteò gli occhi a sinistra.
Oltrepassarono il Centro Pokémon, venendo abbagliati per qualche secondo dall’insegna luminosa che invitava i giovani Allenatori in viaggio a fare una pausa lì per riprendere le energie. Platan la guardò distrattamente, finché non udì una voce femminile provenire dal lato opposto della strada.
«Andiamo a casa, Clefairy. Ci facciamo una camomilla con un po’ di miele e poi ci mettiamo a nanna.»
Il Professore si voltò e osservò insistentemente la donna che stava camminando nella direzione inversa alla loro, riconoscendo il viso roseo di Clefairy incorniciato dalle braccia di lei, strette amorevolmente attorno al Pokémon. La donna alzò lo sguardo e si girò a sua volta, sentendo i suoi occhi addosso. Mentre allungava il collo, una ciocca di capelli le cadde sul viso, sfuggita alla lenta presa del fermaglio chiuso in cima alla testa. Rimasero a contemplarsi per lunghi secondi, e lei arrossì. Platan no, Platan la guardava e basta, come incantato. Oltre la corta frangetta, gli occhi le cominciarono a brillare e le labbra piccole e un po’ carnose le si dischiusero, lasciando fuoriuscire un sospiro incredulo. Sbatté le ciglia e lo guardò ancora. Poi fece scorrere lo sguardo fino ad incrociare il volto di Elisio. Ritornò su quello di Platan. Sorrise. Gli rivolse uno sguardo tenero e pieno di speranza. Infine se ne andò, riprendendo la propria strada.
Platan non si muoveva e continuava a guardarla. Sospirò.
«La conosci?» chiese Elisio.
«Sai, Elisio, nel corso della nostra vita incontriamo infinite persone. Alcune restano, altre se ne vanno. Ma per quanto la loro assenza possa farci stare male dobbiamo continuare ad andare avanti.»
E continuarono ad andare avanti fino a quando raggiunsero l’automobile. Elisio si fermò accanto allo sportello e mise la mano sulla maniglia, pronto per entrare.
«Platan, apri?» gli chiese, dato che nemmeno aveva ancora messo la mano in tasca per prendere le chiavi.
«Scusami.» disse scuotendo un po’ la testa «Scusami, mi ero distratto. Ecco, ora le prendo.» e si metteva a frugare nelle tasche dei pantaloni. Tuttavia non le riuscì a trovare, quindi ricontrollò un paio di volte, tastandosi sulle cosce e scavando più affondo nelle tasche ma sentendo il vuoto.
«Forse nel taschino del cappotto?» suggerì Elisio mentre si strofinava le mani.
«Santo cielo, è vero...» bisbigliò distrattamente. Le tirò fuori e sospirò.
«Elisio, forse è meglio che guidi tu.» aprì la macchina e poi gli diede le chiavi «In effetti non me la sento. Però la strada te la indico io.»
Nella mezz’ora che seguì non si dissero molto. Platan apriva bocca soltanto per far sapere a Elisio quando e dove svoltare, se prendere un bivio oppure un altro, o al massimo per fare qualche vaga considerazione: «Rosabella non usava quella tovaglia molto spesso, soltanto nelle occasioni importanti. Il nostro ritrovo dev’essere stato molto importante.», «Mi ricordo che il nonno aveva quei vestiti anche allora. Chissà se se ne sarà comprati di nuovi? Qualche Natale fa volevo spedirgli una sciarpa che avevo visto alla Boutique di Luminopoli, ma alla fine non ero più riuscito a trovare il tempo per andare in negozio. Mi dispiace.», «Lei era così dolce... Aveva delle maniere talmente gentili, e i suoi occhi erano bellissimi.», «È come uno spettro che ritorna...». Elisio provava a fargli qualche domanda incuriosito da quei numerosi spunti che gli stava offrendo, ma presto il discorso andava scemando perché Platan era restio a rispondere, e alla fine a parlare rimaneva soltanto il ticchettio della freccia inserita.
Arrivarono a Giubilopoli che, scesi dalla macchina, non riuscivano a tenersi in piedi. Giunti in albergo e ritirata la chiave, per salire in camera presero l’ascensore, nonostante a piedi fossero solo due rampe di scale. Elisio aprì la porta e Platan si precipitò sul letto più vicino.
«Questo è mio!» disse buttando a terra la valigia e accucciandosi contro il cuscino.
Elisio non lo contestò, stanco com’era non riusciva più a emettere una parola. Silenziosamente fece il giro della stanza e si fermò di fronte all’armadio che aveva accanto al letto. Sistemò velocemente le proprie cose e si preparò per andare a dormire. Si diresse verso quello che doveva essere il bagno, aprì la porta e vi guardò dentro.
«Mi lavo i denti, poi te lo lascio.» disse a Platan facendo uno sforzo. L’altro annuì, alle prese con i propri vestiti che stava infilando alla rinfusa dentro l’armadio. Quando si ritrovò da solo prese dalla borsa un’agenda dove da un po’ di tempo si era appuntato qualche notizia sulle condizioni di Sinnoh. Scorse qualche pagina e nel momento in cui trovò uno stralcio di spazio da riempire, si appuntò velocemente quello che era venuto a sapere da Edwin, sperando che l’indomani sarebbe riuscito a decifrare la propria scrittura. Poi chiuse il quadernino, lo mise sul comodino, si infilò sotto le coperte. E si addormentò come un sasso. Elisio tornò in camera e si apprestò a fare lo stesso, non aveva neanche la forza di accendere il lumetto per continuare il libro che aveva iniziato qualche sera prima. Che tanto se anche lo avesse fatto, nemmeno sarebbe riuscito a mettere a fuoco la vista per leggere, probabilmente. Tuttavia si svegliò un paio di volte perché dalla finestra vicina s’imbucava un fastidiosissimo spiffero di vento che ogni volta lo faceva tremare dal freddo. Inizialmente sorvolò, ma dato che la cosa si ripeteva, alla fine si vide costretto ad alzarsi per prendere una delle coperte più pesanti che l’albergo aveva messo a disposizione degli ospiti. Ma mentre stava per rimettersi a dormire, qualcos’altro lo bloccò, perché aveva sentito che Platan lo aveva chiamato: «Elisio, abbracciami...»
Elisio rabbrividì, fissandolo con uno sguardo turbato. Non essendo sicuro di ciò che aveva sentito, disse: «Platan, che cosa...?»
Vedendo che non rispondeva si alzò di nuovo, preoccupato che gli potesse essere accaduto qualcosa. Si accostò silenziosamente al suo letto e lo osservò per una decina di secondi. Dormiva.
Altre volte era successo che in quelle sere, assai rare, passate a dormire insieme, lo avesse sentito parlare nel sonno. Non gli aveva mai dato tanto peso perché non era mai riuscito a cogliere un senso in quelle frasi spezzate e lasciate in sospeso nel silenzio della notte, ma in quel momento, che per la prima volta si era sentito chiamare, che si era sentito al centro dei suoi sogni, non era in grado di ignorare quella preghiera.
E sulla sua faccia, tra le sue labbra e nelle palpebre serrate, scorgeva quell’inquietudine che per tutto il giorno non lo aveva mai abbandonato, nonostante nel corso della serata sembrava fosse scomparsa, come se neanche nel sonno riuscisse a trovare pace. Quell’immagine gli faceva pena, e se ne rattristava. Fosse stato per lui, l’avrebbe sempre voluto vedere felice. Perché era bello quando era felice, ed era innamorato del suo sorriso e del suo sguardo ridente.
Gli posò una mano sulla spalla e lo accarezzò con lentezza. Lo sentì tremare sotto le sue dita. Era così nervoso, così teso, così... fragile nella sua sicurezza apparente. Si era accorto perfettamente che nel corso della giornata aveva cercato di mostrarsi risoluto nelle sue azioni di fronte ai suoi occhi, ma sapeva bene che il suo animo in realtà era continuamente pervaso da dubbi e incertezze.
Che peccato.
Lo guardò ancora, non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Poi di nuovo sentì la sua voce sussurrare la richiesta.
E ricordandosi di tutte quelle richieste che lui stesso aveva fatto in un tempo lontano e che non erano mai state esaudite, decise di accontentarlo.
Si infilò tra le coperte, piano, e titubante si strinse a lui, poggiando la testa contro la sua schiena. Venne pervaso dal suo profumo, un profumo che sapeva di mare, di sabbia, di conchiglie, e dal calore del suo corpo. Sentì Platan ammorbidirsi a contatto con il suo abbraccio, rilassando la schiena e le spalle.
«Elisio...»
«Sono qui, Platan...» bisbigliò in risposta, ricordandosi che stava dormendo e che non poteva sentirlo solo qualche istante dopo aver chiuso bocca.
«Sono qui.» ripeté però.
Strofinò la testa sulla sua schiena e in poco tempo si addormentò, cadendo in un sonno profondo e dolcissimo, come da tanto tempo non gli accadeva.


 



Eccoci al primo capitolo!
Come forse avrete notato sto cercando di fare un po' un'unione tra le storie di Pokémon Perla/Diamante e Platino. Sinnoh mi è sempre sembrata una regione simil giapponese-asiatica...
Per il momento non ho molto da dirvi, spero che come primo capitolo vi sia piaciuto!
A presto! :D
Persej Combe
 

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Capitolo 3
*** II. Un aiuto dall'alto ***



II
.Un aiuto dall'alto.

Platan si trovava in quello stato in cui la mattina presto, appena ci si sveglia, si rimane con gli occhi chiusi a rimuginare sui sogni appena fatti dimenticandosi della vita reale, coccolati dal tepore delle coperte e dalla morbidezza del cuscino. Sentiva qualcosa poggiata intorno alla vita che lo stringeva debolmente. Poi si accorse che qualcos’altro gli premeva lungo la schiena, che soffiava stancamente accanto alle sue spalle. Si raggomitolò su se stesso, sentendo la cosa cercare il suo corpo e accoccolarsi di nuovo contro di lui. Provava appagamento dal calore e dal senso di dolcezza che gli trasmetteva. Allungò una mano e distrattamente tastò quello che sembrava... un braccio, forse. Sì, doveva essere un braccio, pensò. Ecco, infatti qui c’è una mano, si sentono i peli sul dorso, e poi ci sono le nocche e le dita, pensò ancora. Quelle dita le strinse teneramente, lasciandosi andare a un sospiro trasognato. Se la mano di Elisio era unita alla sua, allora era al sicuro, e nessun pericolo li avrebbe potuti separare.
Socchiuse leggermente gli occhi e si ritrovò in una camera d’albergo. Sulla parete c’era l’armadio e accanto al bordo del letto c’era il comodino con il lumetto e l’agenda dove si era appuntato qualche nota riguardo agli ultimi avvenimenti di Sinnoh.
Ecco. Sinnoh.
Improvvisamente si ricordò tutto, che lui in quel momento era a Sinnoh per cercare il Professor Rowan, che i Guardiani dei Laghi si erano mostrati, che il Team Galassia stava per rompere l’equilibrio dei Pokémon Leggendari, che però in quel viaggio spericolato non era da solo, no, che Elisio, quel testardo di Elisio, si era impuntato perché voleva venire con lui, che lo aveva rincorso scalzo come un disperato per le scale perché lo doveva sostenere, che lo aveva promesso al Professor Rowan, che gli aveva comprato il succo di frutta invece del caffè, che la sera prima aveva passeggiato con lui in riva alla spiaggia, che avevano fatto quel patto e poi erano venuti in albergo, che gli aveva anche fatto guidare la sua macchina perché in quel momento era troppo perplesso e aveva bisogno di riflettere su ciò che era accaduto in quella serata.
Elisio, che in quel momento era nel letto con lui, che stavano abbracciati tenendosi per mano.
Gli ci volle qualche secondo per realizzare che quella parte dei suoi pensieri non si trattava di un sogno; quindi con un guizzo fulmineo si mise a sedere e prese a osservare la faccia addormentata di Elisio con un’espressione confusa. La sua mano ancora lo sfiorava, posata sul suo fianco. Un po’ rosso in viso la prese e la allontanò piano perché non voleva svegliarlo, poi uscì dal letto e senza fare tante cerimonie andò in bagno a farsi una doccia. Il romanticismo era l’ultimo dei suoi pensieri in quelle circostanze. Tuttavia, sotto il getto d’acqua che gli punzecchiava le spalle, non poté fare a meno di domandarsi come avesse fatto Elisio a finire nel suo letto. Gli era già capitato qualche volta di dormire assieme, anche nello stesso letto, ma mai così vicini. Gli era successo qualcosa, forse? Qualcosa che gli aveva fatto sentire il bisogno di dormire accanto a lui? Era un comportamento un po’ strano da parte sua, per lui che non dipendeva da nessuno se non da se stesso, si disse.
«Bah.» sbuffò sciacquandosi i capelli ricoperti di schiuma.
Qualsiasi cosa fosse successa non era di suo interesse.
Chiusa definitivamente questa parentesi, passò alle cose importanti: si mise a riflettere sulle mosse che avrebbero dovuto compiere quel giorno e studiò uno schema preciso di luoghi dove andare e cose da fare nel corso della mattina e del pomeriggio.
Tornato in camera da letto si vestì, dando le spalle a Elisio, sempre stando attento a non fare rumore nell’aprire l’armadio e i cassetti. Nonostante questo, Elisio si svegliò comunque. Lo vide coi jeans addosso e la schiena contro cui si era appoggiato per tutta la notte nuda. Rimase a fissarla in silenzio per non intromettersi nella sua intimità. Con gli occhi ne percorse ogni linea, ogni curva, gli accarezzò le scapole e lo baciò sulle spalle. Poi, quando si infilò la canottiera e coprì tutto, sospirò, non sapeva neanche lui se di delusione o compiacimento. Platan mise addosso una maglietta nera e girò di poco la testa, richiamato da quel sospiro. Si accorse che Elisio era sveglio e si voltò di nuovo.
«Buongiorno.» disse con voce calma inzeppando la maglia nei pantaloni «Dormito bene?»
«Sì, grazie.» rispose Elisio passandosi una mano sulla nuca «E tu?»
Lo vide accarezzarsi i capelli e notò che sulle punte erano umidicci.
«Sì.» si era preso un po’ di tempo prima di rispondere «Bene.»
Chiuse la cinta e ripose il pigiama nell’armadio, poi si sedette sul bordo del letto.
«Allora, Professore, cosa facciamo oggi?» domandò il rosso osservandolo dal basso.
«Pensavo di andare a Canalipoli. Lì c’è la biblioteca più importante della regione di Sinnoh.»
«Ho capito. Ed è molto lontana?»
«No, non molto. Saranno un paio d’ore in macchina.»
«Perfetto. E poi? Sai già cosa faremo dopo?» si tirò su e incrociò le gambe.
«Poi andremo a Memoride. È un po’ distante, perciò sarebbe meglio se riuscissimo a partire subito dopo pranzo.»
Lo sguardo di Elisio si fece un po’ incerto.
«Scusa, Platan, potresti prendermi la Mappa Città, per favore? Dovrei averla messa nella tasca della giacca.»
Platan gliela andò a prendere, poi Elisio la distese sul materasso e la studiò qualche minuto.
«Noi siamo qui, giusto? A Giubilopoli.» mise un dito sul punto della carta in cui si trovava la città.
«Sì. Memoride è qui.» si risedette vicino a lui e gli indicò il pallino azzurro che contrassegnava Memoride. Elisio allontanò la mano e se la portò al mento, accarezzandosi la barba arruffata, ancora fresca di dormita, col pollice.
«Perciò dovremmo attraversare il Monte Corona.» disse infine. Rivolse lo sguardo a Platan e si rimise a riflettere.
«Che c’è?» chiese quello, incuriosito dal suo atteggiamento.
«L’altra sera Edwin ha detto che la fonte della perturbazione è situata in cima al Monte Corona. Se la zona non è sicura, potrebbero aver già chiuso ogni passaggio.»
«Forse non proprio tutti i passaggi.» ribatté, e, indicando di nuovo la cartina, spiegò meglio ciò che intendeva «Anni fa sono stato con il Professor Rowan sul Monte Corona. Secondo una leggenda è proprio in questo luogo che si sarebbe formata l’intera regione di Sinnoh. Avendo sentito questa storia, il Professore stava cercando qualche traccia che potesse testimoniare qualche forma primitiva di Pokémon... Fossili, pitture rupestri... Aveva scoperto per caso questo passaggio nascosto durante una delle nostre spedizioni e aveva cercato di mantenerlo segreto. Diceva anche che c’erano buone probabilità che potesse portare fino alla Vetta Lancia: in alcuni punti avevamo visto delle rovine di edificazioni che le popolazioni più antiche avevano costruito per onorare Dialga e Palkia. Migliaia di anni fa era stato battuto un cammino che potesse portare fino alla cima della montagna, che si riteneva essere la dimora dei due Pokémon, e raggiungendola la gente poteva portargli dei doni per onorarli. Il Professor Rowan riteneva che quelle macerie potessero essere i resti di quel percorso. Comunque sia, il passaggio porta fino a Memoride, perciò potrebbe tornarci utile.»
Guardò Elisio accarezzarsi i capelli spettinati e sperò di essere stato chiaro. Il rosso se ne accorse e annuì, facendogli cenno di aver inteso tutto. Gli diede una pacca sulla spalla e scese giù dal letto.
«Mi lavo e mi vesto. Cerco di sbrigarmi così possiamo partire subito.» disse stirando la schiena. Prese qualche vestito dall’armadio e si diresse verso il bagno.
«Elisio, ti ringrazio per quello che stai facendo per me. Lo apprezzo molto, ecco.»
Non sapendo che cosa dire in risposta, Elisio si limitò a guardarlo negli occhi e a rivolgergli un sorriso. Chiuse la porta e lo lasciò da solo. Platan ne approfittò per mettere in ordine in una borsa ciò di cui avrebbe avuto bisogno, poi chiamò fuori dalle Poké Ball Bulbasaur e Garchomp per fargli qualche coccola e assicurarsi che dopo quella giornata frenetica stessero bene.
Garchomp infilò la punta del muso fra i suoi capelli ed emise un leggero brontolio. Platan sorrise perché il vibrare della sua gola gli faceva il solletico. Gli accarezzò il petto e ci poggiò la testa. Il Pokémon cinse le braccia attorno a lui in modo protettivo, mentre Bulbasaur, in braccio al Professore, strofinava la fronte contro lo scollo della maglia. Platan gli diede un bacio in mezzo alle orecchie e lo sentì mugghiare contento. Anche lui era felice di avere i suoi Pokémon con sé. Insieme a Elisio gli facevano compagnia e gli infondevano un po’ di fiducia in se stesso.
Quando tutti furono pronti, scesero in salone per fare colazione. Mentre beveva un sorso di caffè, Elisio guardava incuriosito gli altri ospiti seduti ai tavoli vicini.
«Anche tu mangiavi riso e pesce a colazione quando studiavi qui?» chiese a Platan.
«Sì, tutte le mattine. Mi ricordo che mi alzavo sentendo l’odore del pesce che Rosabella cucinava alla griglia. Ci ho messo un po’ ad abituarmi...» spalmò della marmellata su una fetta di pane «All’inizio mi sembrava più un pranzo che una colazione.»
«Professor Platan, vuole altro caffè? O un po’ di latte?» la cameriera che li aveva serviti poco prima si riavvicinò al tavolo, tenendo in una mano una brocca di latte caldo e nell’altra una caffettiera con del caffè bollente. Sentendo il profumo del liquido nero e forte, il Professore alzò la testa, pronto a chiedere che gliene versasse ancora qualche goccia nella tazza; tuttavia uno sguardo al modo in cui Elisio lo stava guardando gli fece subito cambiare idea. “Pas de café” dicevano le sue labbra silenziosamente, per non farsi capire dalla ragazza: ne aveva già bevuto abbastanza.
«Sto bene così, la ringrazio.» rispose Platan sorridendole. Quella arrossì pesantemente e dopo essersi piegata in un piccolo inchino fece per andarsene, ignorando completamente Elisio, il quale però la fermò prima che si allontanasse troppo.
«Mi scusi, signorina,» la chiamò.
«Sì?» si girò e tornò indietro, cercando di non pensare a quel bel sorriso che il Professore di Kalos le aveva appena regalato.
«Posso farle qualche domanda? Io e il Professore stiamo viaggiando insieme e avremmo bisogno di qualche informazione.»
«Certamente, dica pure.» poggiò la caraffa e la caffettiera sul tavolo e congiunse le mani di fronte al grembiule bianco, ascoltando l’uomo con interesse.
«Stavo notando che nonostante la forte perturbazione, in albergo ci sono molti ospiti...»
«Ah, le sembra strano? In effetti parecchi non sono qui per turismo. Da ieri pomeriggio ogni collegamento all’esterno di Sinnoh è stato interrotto. Alcuni hanno dovuto prolungare qui il loro soggiorno a causa dell’allerta.»
«E quest’allerta fino a quando durerebbe?»
«Per ora hanno detto che secondo le previsioni la situazione potrebbe peggiorare in questa settimana. Infatti da ciò che ho sentito gli aeroporti di tutta la regione saranno chiusi fino a mercoledì prossimo.»
Platan annuì, di questo erano già stati avvisati.
«Ma bisogna precisare che è solo una data provvisoria, l’allerta potrebbe continuare anche dopo. È successo varie volte in questi mesi che avessero dato l’allarme per un certo periodo di tempo e poi lo avessero prolungato.»
«Capito. C’è qualche zona in particolare che rischia di essere colpita?»
«Stamattina al telegiornale hanno detto che il centro della perturbazione si concentrerebbe sulla zona del Monte Corona e che le autorità si sarebbero impegnate a chiudere l’area in giornata.»
«Se le cose stanno così, allora dobbiamo fare in fretta.» Elisio si rivolse a Platan con voce decisa. L’amico annuì e alzandosi disse: «Finisci il caffè, io vado a prendere la macchina. Ti aspetto fuori.»
«Comunque, qualsiasi cosa abbiate intenzione di fare, vi consiglierei di non allontanarvi troppo da qui. Se dovesse succedere qualcosa potremmo sempre venire in vostro soccorso.» la cameriera fece un passo in avanti verso il Professore. Lui la guardò e le sorrise un’altra volta.
«Grazie mille, signorina.» le disse, poi vedendo che Elisio aveva già fatto lo esortò a raggiungerlo.

Salirono in macchina e imboccarono la strada verso il Percorso 218. In un primo momento non ebbero difficoltà, nonostante il tempo capriccioso, ma quando uscirono dal tratto che passava in mezzo al bosco e si ritrovarono di fronte al ponte che li avrebbe condotti alle porte della città, si dovettero fermare. Elisio si sporse fuori dal finestrino e vide il mare in tempesta di fronte a loro, con le onde che si scagliavano violentemente sulle piastre di legno, facendo vacillare pericolosamente la passerella.
«C’è qualche altro passaggio per raggiungere Canalipoli?» domandò, ritirando la testa all’interno dell’auto e stropicciandosi i capelli bagnati dalla pioggia.
«No.» rispose Platan tenendo gli occhi fissi sul ponte e le dita avvinghiate al volante.
«Allora non possiamo proseguire.»
Si girò verso il compagno e lo vide digrignare un poco i denti.
«Torniamo indietro. Non è sicuro.» gli disse ancora.
Platan non lo ascoltò. Osservò il ponte che avevano di fronte sballottare a causa dei colpi delle onde. Era l’unica strada che si poteva percorrere. Ed era tutta dritta.
“Il Professor Rowan. Devo raggiungere il Professor Rowan.” pensò.
Abbassò lo sguardo sul pedale dell’acceleratore. Ci mise su il piede, senza spingere. Alzò di nuovo la testa e ad occhio calcolò quanto sarebbe potuta essere la distanza che li separava dall’altra sponda.
Nella mente intanto gli si imprimeva l’immagine del Professore che lo accoglieva a braccia aperte.
«Vieni, Platan. Ti sto aspettando.» gli stava dicendo.
Con un po’ di rincorsa era sicuro che ce l’avrebbe potuta fare. Sì, non aveva dubbi. Fece retromarcia, ed Elisio credette che stesse facendo manovra per fare inversione e tornare indietro come gli aveva consigliato.
«Hai la cintura ben allacciata?» gli chiese Platan.
Rispose di sì, ma solo dopo si rese conto di che cosa si stavano accingendo a fare.
«Platan!»
Spinse il piede sull’acceleratore con tutta la forza che aveva e si buttò a capofitto contro la passerella. Il rombo dell’auto insieme a quello dei tuoni e a quello delle onde che si schiantavano intorno a loro gli trapanava le orecchie. Stringeva le dita sul volante e sudava freddo, mordendosi le labbra quasi a sangue. Schivarono miracolosamente di pochi metri un cavallone enorme, sentendosi dondolare insieme al ponte.
«Ci siamo quasi.» sibilò l‘uomo spostandosi a destra e sinistra con la macchina per rimanere in equilibrio. Ecco, riusciva a vedere il portale di Canalipoli. Spinse ancora più forte il piede sul pedale, ma un grido di Elisio lo fece distrarre. Si girò verso di lui, allarmato. Indicava fuori, in alto, e gli urlava di stare attento. La voce gli si spezzò nel momento in cui si sentirono scaraventati in basso. Erano stati travolti da un’onda e stavano affondando. L’acqua cominciò a entrare nella macchina, e Platan si guardò attorno, roteando gli occhi nel buio, spiazzato, finché non si accorse che il liquido gli era ormai arrivato alla gola.
«Trattieni il respiro!» gli disse Elisio guardandolo negli occhi e facendogli cenno di mantenere la calma. Poi cercò di slacciargli la cintura di sicurezza, che si rifiutava di collaborare. Quando ci riuscì l’auto si era completamente riempita d’acqua e stavano galleggiando all’interno dell’abitacolo. Elisio provò ad aprire lo sportello, ma vedendo che non voleva saperne, afferrò un oggetto a caso che si trovava dentro la macchina e cominciò a colpire ripetutamente il vetro del finestrino finché non si scheggiò. Spinse più forte e dopo un paio di botte riuscì a romperlo. Tirò Platan per un braccio e nuotarono fuori. Lo strinse a sé e battendo le gambe cercarono di portarsi il più in alto possibile, nonostante la corrente li spintonasse con violenza da una parte all’altra. Il rosso diede un’occhiata al viso di Platan per assicurarsi che stesse bene, ma dalla sua espressione capì che non sarebbe riuscito a trattenere l’aria ancora per molto. Nuotò più veloce che poté, tuttavia si rese conto che anche lui fra poco avrebbe ceduto. Chiamò Gyarados fuori dalla Poké Ball e si aggrappò alle sue pinne, stringendo Platan ancora più forte e sentendolo avvolgere le braccia attorno al suo collo. Si lasciarono trascinare dal Pokémon e in pochi secondi si ritrovarono a riva, distesi sul prato di fronte alle porte di Canalipoli, ancora stretti l’uno all’altro. Non avevano alcuna intenzione di separarsi, e boccheggiando e tossendo si abbracciarono, bagnati come stracci, sconvolti e increduli, con il cuore che batteva all’impazzata al pensiero del rischio che avevano appena corso.
«Sei un incosciente...» ansimò Elisio spingendo la testa di Platan contro il suo petto, che gli si contraeva affannosamente. L’altro non disse nulla, perché era palese che avesse ragione, e si sentiva uno stupido per averlo messo in un simile pericolo. Tirò su il viso e gli accarezzò i capelli, sentendo il suo fiato sulle guance.
«Stai bene...?» gli chiese timidamente, spostandogli una ciocca da davanti agli occhi.
«Non sono ancora morto...» sbuffò, passandogli una mano su una guancia. Era estremamente sollevato di sentirlo parlare ancora. Strinse le braccia attorno a lui in un secondo abbraccio, che Platan non esitò a ricambiare.
«Gyaaaaa!» Gyarados era nuovamente emerso dalle profondità marine e stava spingendo con la fronte la macchina sulla riva. Il Professore si alzò, correndo verso di essa.
«Gyarados, dovevi lasciarla dov’era.» Elisio rimproverò il Pokémon, il quale tuttavia non se ne curò.
Platan aprì uno sportello facendo uscire l’acqua che era rimasta all’interno, poi si precipitò dentro a controllare se c’era stato qualche danno.
«Platan, che cosa vuoi fare? Fermati, potrebbe essere pericoloso...» si tirò su un po’ a fatica, poi si avvicinò alla sponda dove Gyarados stava posando la testa per riposarsi e lo accarezzò sul corno in mezzo al muso per ringraziarlo dell’aiuto. Il Pokémon strofinò la guancia contro di lui per riscaldarlo.
«Platan, mi hai sentito?» cercò di ottenere la sua attenzione, ma vedendo che aveva la testa da tutt’altra parte sbuffò.
L’uomo uscì dall’auto con uno sguardo misto fra la delusione e l’orrore, stringendo tra le mani tremanti una poltiglia di carta. Fece cadere i resti della sua agenda sull’erba, lasciando che si bagnassero ancora di più sotto la pioggia. Tanto non avrebbe potuto recuperare nulla. L’inchiostro si era intriso nelle pagine mischiato all’acqua e i fogli si erano appiccicati tra loro, non si potevano staccare senza rovinarli, gli appunti erano diventati pressoché illeggibili, e in quelle condizioni non se ne sarebbe più potuto servire. Gli diede un calcio trattenendo le lacrime. Frugò nella borsa zuppa e vide che gli altri attrezzi erano per la maggior parte rotti e inutilizzabili. L’Holovox non dava segni di vita e i circuiti elettrici si erano completamente bruciati. Lo buttò a terra e Elisio si mosse in avanti, come offeso. Gyarados lo bloccò.
«Tanto non si può riparare.» fu la giustificazione di Platan. Sospirò, poi guardò il volante. C’era soltanto una cosa che rimaneva da controllare. Si sedette sul sedile e inserì la chiave. Elisio sobbalzò e gli corse in contro. Gli afferrò il braccio prima che potesse girare la chiave.
«Come sono saltati i circuiti dell’Holovox, potrebbero averlo fatto anche quelli della macchina.» gli disse.
«Prima fammi vedere se ho distrutto anche questa, poi potrai dirmi che sono un emerito cretino.»
«Potresti correre un rischio ancora più grande di quello di poco fa, non lo capisci?! Platan!»
La macchina tremò con un rombo e si accese senza fare danni.
«Funziona.» sibilò Platan incredulo. Mosse subito le dita in direzione della radio e del pulsante di accensione dei fanali evitando le mani di Elisio e sussultò, sentendo la musica provenire a palla dagli altoparlanti.
Si scambiarono uno sguardo.
«Prova a fare manovra.» disse Elisio sedendosi vicino a lui e richiudendo lo sportello.
Fecero avanti e indietro, girarono più volte intorno ad un albero senza intoppi. I pedali funzionavano. Le marce erano a posto. I finestrini si alzavano e si abbassavano, anche quello che Elisio aveva spaccato. Il tergicristalli faceva il suo lavoro e scacciava dal parabrezza le gocce di pioggia che picchiettavano sul vetro. I fari parevano accendersi più di quanto avessero fatto in precedenza. Sembrava che la macchina non si fosse fatta nulla.
«È possibile una cosa del genere?» Platan boccheggiava come un Magikarp, echeggiato dai mille rumori che l’automobile produceva.
«È assurdo.» asserì Elisio, che non aveva mai visto una cosa simile e che non aveva idea di come potesse essere accaduto.
«Assurdamente assurdo.» concordò. Spense la radio e rimase in silenzio mentre Elisio richiamava Gyarados nella Sfera Poké. Lo osservò a lungo, preoccupato. Si morse un labbro e si voltò dall’altra parte.
«Ma che cosa pensavo di fare? Cosa cavolo mi è preso?» sussurrò stringendosi nel cappotto intriso d’acqua. Si girò di nuovo verso Elisio, pronto a fargli le sue scuse più sincere, ma la vergogna per quell’azione avventata ebbe il sopravvento. In silenzio mise in moto la macchina e si avviò oltre il portale della città. Percorsero la galleria di Canalipoli in pochi minuti e finalmente arrivarono a destinazione. Nonostante l’auto avesse funzionato alla perfezione fino a pochi secondi prima, svoltata la prima curva cominciò a fermarsi. Un gruppo di marinai dalle braccia forti e i muscoli ben piantati li notò, gli si avvicinò e affacciandosi dal finestrino rotto uno di loro chiese che cosa fosse accaduto. Elisio spiegò sommariamente l’avvenimento, fingendo che si era trattato di un incidente, mentre Platan si tirava i lembi delle maniche con fare nervoso. I quattro uomini si offrirono di spingergli la macchina fino all’officina, l’unica in quella città di mare.
«Ma che accidenti è successo qui?» un signore sulla cinquantina stava fumando una sigaretta mentre leggeva il giornale stravaccato su una seggiola, e nel momento in cui vide tutto quel trambusto buttò il quotidiano sul tavolo che aveva accanto e si alzò di scatto.
«Hanno avuto un incidente lungo il Percorso 218. Un’onda li ha travolti e per salvarsi hanno dovuto spaccare il vetro, poi sono riusciti a recuperare l’auto grazie all’aiuto del loro Gyarados.» spiegò uno del gruppo indicando con un lieve tintinnio della testa i due malcapitati. L’uomo li squadrò per un attimo, poi s’infilò un paio di guanti e gli si avvicinò. Sul viso aveva qualche macchia d’olio, la tuta che indossava era altrettanto sporca. Si mise un pugno sul fianco mentre con l’altra mano allontanava la sigaretta dalle labbra.
«Certo che mettervi in testa di venire qui con questo macello di tempo...» sbuffò facendo uscire una densa nuvola di fumo dalla bocca incorniciata da un paio di baffi folti e scurissimi «È un miracolo che siate ancora vivi...»
«Pensa di riuscire a sistemarla per l’ora di pranzo? La prego, dobbiamo subito rimetterci in viaggio!»
L’uomo guardò Platan con un’occhiata inespressiva. Poi sputò la sigaretta a terra e la schiacciò sotto il tacco della scarpa. Piegò le labbra in una smorfia piena di disprezzo e fissandolo dritto negli occhi grugnì: «Rimettervi in viaggio? Voi state scherzando. Avete appena rischiato di morire e già ci volete riprovare... Matti. Tzè. Io questi giovani proprio non li capisco.» si girò e senza dire altro tornò alla sua seggiola.
«Beh? Ma insomma, che fa?» s’indispettì Platan.
«Leggo il giornale, non si può?»
«Ma la mia macchina...!»
«Puoi dire quello che ti pare, ma quella macchina io non la tocco. Se pensi di ripartire, sei proprio uno stupido.»
Platan si tirò indietro. Quell’uomo pareva avere una testa davvero dura: non ci sarebbe stato verso di smuovere le cose, se avesse continuato a tenere quell’atteggiamento.
«Elisio, andiamo via.» disse all’amico «Tanto non l’aggiusterà. Troveremo qualche altro modo, forse. Se siamo fortunati...»
«Senta,» Elisio lo ignorò, non volendo accontentare la sua richiesta per nessun motivo, irritato da quel comportamento arrogante, e si rivolse all’uomo con voce pesante e ruvida «non so se lei sa con chi sta parlando. Lui è il Professor Platan, ed è uno dei più importanti scienziati di tutta Kalos e probabilmente anche del mondo intero. Con le scoperte che ha fatto e gli anni di studio che si è dovuto addossare, “stupido” è l’ultima cosa che può sognarsi di dirgli. È vero, a volte si comporta in maniera sciocca e irresponsabile, lo so bene, ma in realtà è una persona molto intelligente. Se decide di fare una cosa, allora è perché sa che quella è la cosa giusta da fare in quel momento. E se adesso ha deciso di andare sul Monte Corona è perché è sicuro che è l’unico modo per poter sistemare la situazione. Sta rischiando la propria vita per cercare di salvare la vostra. Quindi glielo chiedo di nuovo io: aggiusti quell’automobile e ci lasci ripartire. Se riusciremo nel nostro intento, allora ne gioverete anche voi.»
L’uomo si strofinò un dito sotto la punta del naso, poi alzò lo sguardo dai fogli di giornale.
«Finché sei rimasto con la bocca chiusa mi sei sembrato un ragazzo coscienzioso. Mi sei caduto proprio sul più bello.» sbuffò. Sospirò, «Che pazienza...», poi si tirò su, si aggiustò i pantaloni dato che la cinta gli si era allentata un po’, guardò i due.
«Siete proprio sicuri di quello che volete fare? In tutti questi anni che lavoro non ho mai incontrato due tizi più testardi di voi. O cocciuti, dipende dai punti di vista. E di gente ne ho conosciuta tanta, io! Ho sentito parlare di questo Professor Platan qualche volta, ma non m’interessa né che laurea abbia e neppure tutto il resto... So che è stato allievo del Professor Rowan e questo mi basta. Il vecchio Rowan sta facendo molto per Sinnoh in questo momento e so che è una brava persona. Insomma, ha il mio rispetto. Perciò se quel tipo accanto a te è davvero il Professor Platan come dici, allora penso che farà un buon lavoro. Se il Professore l’ha scelto come apprendista, non dev’essere il primo arrivato come sembra...»
Andò vicino a Platan e lo studiò facendo cadere lo sguardo dall’alto verso il basso. Ridacchiò.
«L’aria da bamboccio un po’ ce l’hai, però, sai?» commentò. Elisio lo osservava diffidente, non riuscendo a capire da che parte stesse. L’uomo lo notò e rise di nuovo: «Calma, calma! Ho deciso che vi aiuterò, perciò non ti scaldare! Posso avere le chiavi? Vediamo cos’ha questa macchinetta e cerchiamo di rimetterla a posto...»

Mentre il meccanico si dava da fare nell’officina, Platan ed Elisio si fermarono qualche minuto al Centro Pokémon per asciugarsi e darsi una sistemata: non potevano entrare in biblioteca in quelle condizioni penose e gocciolanti come spugne ricolme d’acqua. Uno dei marinai gli aveva prestato un ombrello e dei vestiti asciutti da indossare. Corsero in biblioteca: avevano già perso molto tempo per le loro ricerche. Non appena entrarono nell’edificio vennero accolti dal silenzio. Ai tavoli c’era moltissima gente intenta a leggere.
«Leggere mi distrae da quello che sta succedendo fuori. Prendo un libro e così almeno per qualche ora mi dimentico della catastrofe che stiamo passando.» gli aveva detto un ragazzo a cui avevano chiesto informazioni sui tipi di libri a cui erano interessati. Salirono al terzo piano e cominciarono a guardarsi intorno. Platan sembrava già sapere che cosa voleva trovare.
«Solo che non ricordo dov’è.» sussurrò a Elisio, facendo avanti e indietro per le altissime librerie tenendo il naso all’insù.
«Almeno puoi dirmi cos’è?»
«C’era un’intera sezione dedicata alla mitologia di Sinnoh. Dovrebbe essere da queste parti.»
Fece qualche altro passo e si fermò, con gli occhi che luccicavano. Si avvicinò alla libreria che aveva di fronte e con il dito scorse sui libri per leggerne i titoli.
«Perfetto!» disse, e cominciò a tirarne fuori due o tre «Elisio, potresti per piacere trovare un tavolo libero e mettermeli lì? Un tavolo grande, però, avrò bisogno di spazio...»
«Certo, dammi pure.»
Fece un giro per la sala, le lampade al neon accese a causa del buio gli mostravano la strada da seguire. C’era odore di libri, un odore che lo riportava indietro nel tempo e che adorava, che gli faceva ricordare momenti felici passati durante l’adolescenza. Quante ore aveva passato nella biblioteca di casa sua, fra i numerosi scaffali, nascosto agli occhi indiscreti della madre! Spesso si trovava talmente bene da non volerne più uscire, ci rimaneva tutto il pomeriggio, e se ne andava soltanto quando arrivava l’ora di cena. Poi, finita la giornata, aspettava impaziente che risorgesse il sole e che si stagliasse alto nel cielo, per finalmente poter correre di nuovo in quella stanza e rimettersi a studiare.
Ritornò da Platan e sorrise, pensando che si trattasse di una buffa coincidenza trovarsi in un posto simile proprio con lui: due cose che adorava parevano essersi incontrate e legate, dando nuova linfa ai ricordi.
Lo vide spingersi sulla punta dei piedi per cercare di afferrare un libro su uno scaffale più in alto di dove riusciva ad arrivare. Gli si avvicinò e lo prese per lui, sfiorandogli forse quasi di proposito la mano. Gli mise il volume fra le dita e Platan lo ringraziò.
«Devi prenderne altri che sono in alto?»
«Sì,» rispose mentre raccoglieva i numerosi tomi che aveva poggiato a terra e se li stringeva al petto «mi servirebbero quei due alla tua destra... Sì, esatto, proprio quelli. E poi, e poi avrei bisogno di quel libro là... No, non quello, l’altro. Quello con la copertina verde. Perfetto, Elisio, ti ringrazio!»
Nonostante Platan facesse i complimenti, Elisio decise di prendere alcuni dei libri che stava portando per aiutarlo. Erano troppo pesanti per lui, non se li poteva caricare addosso tutti insieme. Si sedettero al tavolo libero e cominciarono a sfogliare qualche pagina. Il Professore aveva comprato un nuovo quaderno, e adesso lo stava riempiendo un’altra volta di scritte, scarabocchi, citazioni e mappe stilizzate.
«Non siamo andati subito al Monte Corona perché prima devo capire che cosa sta cercando il Professor Rowan. È vero, l’origine della perturbazione si trova lì, ma per quale motivo? E in che punto, di preciso? Sono certo che anche lui è passato qui prima di andare laggiù, perciò spero di trovare delle risposte in questi libri.» spiegò dopo un po’ che aveva già scritto tre o quattro pagine.
Si erano divisi i libri a metà sia per facilitarsi il lavoro, ma anche per una questione di tempo: i minuti sembravano passare troppo velocemente, e non potevano permettersi di provocare ulteriori rallentamenti dopo l’incidente in macchina. Elisio mise da parte l’ennesimo manuale e ne cominciò a leggere un altro. Ancora non era riuscito a trovare qualche informazione che potesse tornargli utile. Aprì la copertina con uno sbuffo. Dopo due ore e mezza trascorse a studiare righe e capitoli senza sosta, l’eccessiva concentrazione si faceva sentire: aveva un po’ di mal di testa, in parte anche perché era abbastanza teso.
Riprese a leggere.
Non guardare i Pokémon negli occhi.
Dopo un istante non saprai più chi sei.
Tornare a casa... ma come... quando non riesci a ricordare niente?
Non toccare il corpo di un Pokémon.
Nel giro di tre giorni non sarai più in grado di provare emozioni.
Ma soprattutto, non fare del male ai Pokémon.
In meno di cinque giorni ti trasformerai in un’unità immobilmente immobile.

Alzò la testa dal libro e fissò indistintamente di fronte a sé, fuori dalla finestra, dove la bufera ancora infuriava, tormentando le strade e il mare. Un’unita immobilmente immobile. Quelle ultime parole gli avevano messo un senso d’inquietudine addosso. Una scena come quella l’aveva già vista, e non aveva intenzione di riportarla alla memoria. E tuttavia, più si sforzava di scacciarla, più ritornava, sgargiante e macabra al tempo stesso.

Corse più veloce che poteva, cadendo e sbucciandosi le ginocchia contro i massi e le radici che gli bloccavano il percorso. Uscì allo scoperto e il sangue che fuoriusciva dalle ferite gli si gelò. Rimase fermo sul posto, con le gambe fattesi improvvisamente pesanti come macigni. Fissò i suoi capelli distesi sull'erba che si mescolavano assieme a quei ciuffi verdi e scuri. La sua mano, aperta, sfiorava il gambo di un fiore che si era appassito. Impaurito lo chiamò, aspettando una sua risposta. Lo chiamò di nuovo, la voce gli si era irruvidita e la vista gli si era appannata. Corse verso di lui, gli prese il viso tra le mani e gridò il suo nome. Non si muoveva. Non respirava. Pareva... Pareva... Scosse la testa e la alzò al cielo. Gli occhi gli si incastonarono in due fessure azzurre e luminose impresse nel buio, agghiaccianti e crudeli. Poi la bestia se ne andò, e rimase da solo, stringendo quel corpo minuscolo tra le braccia.

Si girò verso Platan e lo chiamò, afferrandogli una mano. Il Professore, preso di sorpresa, sussultò. Elisio vide i suoi occhi grigi posarsi sui suoi e si tranquillizzò un po’. Sospirò e chiese scusa, dicendo che quel lavoro lo stava mettendo un po’ sotto pressione. Platan gli sorrise e si allungò verso di lui, infilando la penna dietro l’orecchio.
«Trovato qualcosa?» chiese, sporgendosi sul suo libro e posandogli un braccio attorno alle spalle, come a volerlo rassicurare da quell’ansia che gli aveva visto nello sguardo.
«Questo racconto... A cosa si riferisce?» accolse quella carezza senza protestare, lasciando scorrere via il malumore a poco a poco. Platan lesse le prime righe e parve ricordarsi di quella storia, come se già l’avesse sentita in precedenza.
«Ah, sembra che tu abbia trovato qualcosa di interessante! È una leggenda popolare su Uxie, Mesprit e Azelf. Come sai già, essi rappresentano rispettivamente la conoscenza, le emozioni e la volontà dell’uomo. Si dice che se qualcuno osasse guardare negli occhi Uxie, allora verrà privato del sapere e della memoria. Se invece volesse toccare Mesprit senza il suo permesso, allora il Pokémon per vendicarsi gli toglierà la capacità di provare emozioni. E infine, se anche solo provasse a far del male ad Azelf, allora non sarebbe più in grado di compiere la minima azione, perché il suo animo non verrà mosso da alcuna volontà. È questo che intende dire con “unità immobilmente immobile”. I tre Guardiani proteggono il nostro spirito: ce lo donarono all’origine del tempo grazie a un desiderio, perché ci ritennero degni di avere una parte di loro in noi.»
Stese lo sguardo sul proprio quaderno e studiò per qualche istante un disegno che aveva fatto su una pagina: tre esseri giravano attorno ad una sfera.
«Ho preso tutte le informazioni che mi servivano,» disse coprendolo con una mano e chiudendo il libro di Elisio «ma ho bisogno di andare a Memoride per fare ulteriori accertamenti. Però c’è ancora un punto che non mi è chiaro...»
«Riguardo a cosa?»
«Tra poco te lo spiegherò.»
Mise la borsa in spalla e prese qualche libro dal tavolo per rimetterlo a posto. Si girò verso Elisio e, smaltito l’imbarazzo, dopo un po’ domandò: «Posso offrirti il pranzo?»

Durante il tempo passato a tavola Platan parve sciogliersi un po’ ed Elisio se ne rallegrò. Vederlo teso e preoccupato non gli piaceva affatto. Tuttavia si chiese se quello non fosse in realtà che un modo per distrarsi dagli affanni. Ancora aveva di fronte agli occhi l’immagine del suo sguardo truce durante quella mezz’ora di relax a casa sua il giorno prima di fronte ad una fetta di torta. Ne aveva presa appena qualche briciola, di quella torta, si ricordò. Il resto l’aveva lasciato nel piatto. Invece adesso stava mangiando di gusto. Mentre parlava, spizzicava da un piatto all’altro con appetito.
«E dall’uovo che si generò dal caos, nacque la Creatura Originaria.» stava raccontando il Professore «Non so se si tratti di uno spirito o di un’entità superiore. Alcuni dicono persino che la Creatura che diede origine ai Pokémon sia essa stessa un Pokémon.»
«Una sorta di Dio Pokémon?» Elisio lo ascoltava con interesse.
«Sì, alcuni lo chiamano proprio così. Volendo porre un ordine al caos dell’universo, la Creatura Originaria diede vita a due esseri che potessero aiutarlo in questo compito: Dialga e Palkia. Con i battiti del suo cuore, Dialga scandiva le ore, i minuti e i secondi; con il proprio respiro, Palkia permetteva allo spazio di espandersi. La Creatura Originaria generò altre tre forme di vita: Uxie, Mesprit e Azelf.»
«Da cui ricevemmo in dono lo spirito.»
«Esatto, come ti ho detto prima. Espressero questo desiderio alla Creatura, ed essa li accontentò, a patto che si impegnassero a mantenere l’equilibrio fra le anime. Quello che penso io è che ci deve essere un collegamento tra i Guardiani dei Laghi, Palkia e Dialga. I primi preservano l’ordine per quanto riguarda il mondo spirituale,» alzò la mano sinistra «mentre gli altri due per quello che interessa il mondo dimensionale.» alzò la destra «Questi due ordini messi assieme formano l’unità dell’universo.» congiunse insieme le dita e osservò il compagno.
«Credo di aver capito dove vuoi arrivare.» s’inserì Elisio accarezzandosi il mento «Se il legame fra i Pokémon Leggendari garantisce l’unità dell’universo, allora la perturbazione e gli squilibri che si sono generati negli ultimi tempi a cosa sono dovuti? È questo che ti stai chiedendo, non è vero?»
«All’inizio avevo pensato che questo ordine si fosse alterato a causa del Team Galassia, ma poi mi sono accorto che i dati registrati riguardo al cataclisma in realtà risalgono ad alcuni mesi precedenti le sue azioni. Perciò ho completamente escluso questa possibilità...»
Si guardò attorno per assicurarsi che nessuno gli stesse dando troppa attenzione e che quel discorso stesse rimanendo soltanto tra loro due. Elisio aspettava impazientemente che facesse la sua dichiarazione, nonostante, come al solito, riuscisse a governare in modo straordinario le proprie emozioni, senza che gli altri potessero percepirle dall’esterno. Vedeva Platan accarezzarsi i capelli e passarsi una mano dietro il collo. Differentemente da lui, il Professore era un tipo molto emotivo. Continuava ad arrotolarsi una ciocca di capelli attorno a un dito ed Elisio pensò che doveva essere qualcosa di grosso. Ormai lo conosceva da abbastanza tempo per poter dire che Platan non era affatto stupido: se arrivava ad ipotizzare qualcosa, c’erano buone probabilità che quelle supposizioni si sarebbero potute rivelare veritiere. O meglio, la maggior parte delle volte le cose si erano concluse in questo modo. Chissà che cosa aveva intuito stavolta?
«Il tuo bicchiere è vuoto... Posso versarti un po’ di vino?» domandò Platan prendendo in mano la bottiglia. Mentre si piegava verso di lui per versargli il liquido nel bicchiere, avvicinò le labbra al suo orecchio e sottovoce disse: «Dev’esserci un’altra forza che si sta opponendo a quella dei Pokémon. Non ho trovato informazioni su un fenomeno simile, ma potrebbe trattarsi di un altro Leggendario che ci è ancora sconosciuto.»
Non appena si rimise a posto, Elisio lo osservò senza fiatare. Mandò giù qualche sorso di vino e rimise il bicchiere sul tavolo.
«Me ne verseresti qualche altra goccia?» lo sollecitò ad avvicinarsi un’altra volta. Platan si sporse nuovamente in avanti e ripeterono il gioco di poco prima. Mentre faceva sgorgare il vino nel bicchiere, Elisio lo afferrò con gentilezza per il colletto della maglia per averlo più vicino facendolo involontariamente arrossire un po’. Poi, con la barba che gli sfiorava l’orecchio, sussurrò: «Platan, c’est grave. Tu es certain de que tu as dit?»
«Absolument.» rispose. Gli accarezzò le dita per fargli intendere di lasciarlo andare.
«Merci, ça suffit.» disse allentando la presa.
Platan si allontanò piano e gli rivolse un sorriso.
«De rien, mon ami

«Ci dev’essere qualcuno lassù che vi protegge. Altrimenti non saprei spiegarmi come sia possibile, con quel volo che avete fatto...» gli aveva detto il meccanico quando erano andati a riprendere l’automobile. Sembrava in perfette condizioni, nulla di rotto o danneggiato. Erano passati per Mineropoli e adesso stavano attraversando il Percorso 207. La pioggia si era calmata e il cielo diradato. Fra i dossi rocciosi non c’era nessuno. Né Montanari, né Pokémon di tipo Roccia. Ogni tanto Elisio faceva notare a Platan qualche vettura della polizia e dei PokéRanger, così prontamente s’infilavano in altre strettoie per non farsi beccare.
«Dannazione, è pieno zeppo...» si lasciò scappare il Professore dopo il terzo di giro di controllo dell’area. Fermò l’auto dietro un masso, coperto da alcuni arbusti.
«Siamo arrivati troppo tardi.» disse Elisio reclinando la testa all’indietro «Cosa facciamo? Vuoi provare di nuovo ad azzardare qualche cosa di folle?»
«Sarei tentato, ma...»
Da dietro le ciglia scure appena appena sollevate, spiava il compagno e portava indietro il labbro inferiore, lambendolo con le punte dei denti. Voleva andare, ma doveva anche cercare di tenere a freno le sue emozioni: non poteva rischiare di mettere nuovamente e deliberatamente Elisio in pericolo.
«Ma?» incalzò il rosso, incuriosito da ciò che lo stava frenando.
Platan si girò improvvisamente verso la sua destra. Fece segno a Elisio di rimanere in silenzio e di acquattarsi il più in basso che poteva. Da fuori provenivano delle voci e dei passi, qualcuno si stava avvicinando.
«E questo dovrebbe essere l’ultimo passaggio. Abbiamo terminato, credo.»
«Finalmente, temevo che non avremmo mai finito! I Pokémon sono stati fatti evacuare tutti?»
«Sì, abbiamo mandato diverse squadre all’interno del monte, e mi hanno detto che non ne è rimasto nessuno.»
«D’accordo. Direi che il nostro lavoro allora è finito. Adesso sbrighiamoci a tornare in centrale e a raggiungere gli altri, più tardi diremo a Giubilio TV di informare tutti della chiusura definitiva della zona.»
«Speriamo che questa sia la volta buona e che tutto si risolva presto...»
Platan alzò un poco la testa e guardò fuori dal finestrino. Si stavano allontanando. Allungò una mano e toccò la spalla di Elisio per avvertirlo dello scampato pericolo.
«Se ne saranno andati veramente?» chiese il rosso, ritornando allo scoperto.
«Vuoi venire a controllare con me? Il passaggio del Professor Rowan è nelle vicinanze, comunque. Se proprio dovessimo finire nei guai, potremmo sempre correre a perdifiato fino a lì e nasconderci nella grotta.»
«Beh, da solo non ti ci faccio certo andare!» disse, e si apprestò a seguirlo.
Percorsero pochi metri fino a raggiungere una grossa parete di pietra su cui si arrampicavano alcune piante. Platan vi si fermò di fronte e la guardò per qualche attimo.
«Sì, stiamo andando nella direzione giusta.» sentenziò. Diede un’occhiata a Elisio per essere certo che riuscisse a mantenere il suo passo veloce. Ripresero a camminare e, giunti davanti ad una roccia, il Professore si mise con i pugni sui fianchi a pensare a come risolvere il problema.
«Uno dei tuoi Pokémon conosce Forza, per caso?» si rivolse all’amico, che in risposta scosse la testa.
«Ma magari riusciamo a farne a meno. Mettiti lì e aiutami a spostare questo masso.» gli disse, preparandosi accanto al sasso per spingerlo di lato.
Con un po’ di fatica riuscirono a smuoverlo di qualche passo, lasciando scoperta una piccola apertura dentro cui sarebbero riusciti a passare uno per volta. Avevano appena tolto le mani dalla superficie rocciosa e stavano per entrare, che vennero bloccati all’improvviso.
«Ehi, voi! Chi vi ha autorizzato a stare qui?» gli agenti di prima, ancora non sicuri del lavoro svolto, stavano facendo un ultimo giro di perlustrazione per ricontrollare tutto e li avevano scoperti. Platan spinse Elisio per un braccio: «Va! Va!» lo esortò a scappare oltre la fessura e a lasciarlo lì, ma quello non voleva abbandonarlo. Dopotutto aveva il compito di proteggerlo.
«Non serve che vi allarmiate troppo. Non siamo criminali. Abbiamo l’autorizzazione per entrare.» mentì Elisio cercando di apparire il più convincente possibile. Platan gesticolava con le mani per dirgli di non tirare troppo la corda, che sarebbero potuti finire in guai grossi.
«A giudicare dal vostro comportamento schivo e sospetto, non mi pare proprio...» sghignazzò uno dei due uomini «Forza, venite con noi in centrale. Ci faremo una bella chiacchierata... Ci racconterete tutto sui vostri progetti e sul Team Galassia con calma.»
«Noi del Team Galassia? Ma state scherzando?! Le pare forse la faccia di un delinquente, questa?!» s’indignò Platan, indicando con insistenza il volto del compagno, che riteneva essere il più bello e familiare che avesse mai visto in vita sua.
La lite venne interrotta da un enorme boato che fece tremare la terra sotto ai loro piedi. Elisio cinse la schiena del Professore con un braccio per sostenerlo mentre si aggrappava a lui per non cadere. Poi un ruggito ostile rimbombò fra i cumuli di pietra, e infine, dall’alto di un dirupo, saltò giù un Garchomp dalle forme mastodontiche, che ringhiava e mostrava i denti affilati. Platan ebbe un fremito delle membra e sentì che una delle sue Poké Ball vibrava in una delle tasche del cappotto. La prese con una mano e la strinse forte per non permettere al Pokémon di uscire fuori, avendo ormai capito chi era giunta in loro soccorso: quello sì che era un aiuto inaspettato.
«Hanno la mia autorizzazione per poter stare qui. Non sono membri del Team Galassia, ve lo garantisco. Perciò per favore: lasciateli andare.»
Una donna vestita di nero si fece avanti, lasciando che mentre camminava nella loro direzione i folti capelli biondi le si scuotessero maestosamente oltre le spalle. Postura eretta, sguardo fiero e sicuro di sé, si pose di fronte alla coppia di Kalos per celarla allo sguardo dei due poliziotti. Questi ultimi, dopo averla fissata un attimo negli occhi, se ne andarono: mettersi contro di lei significava cercare rogna e non poterle sfuggire in alcun modo.
Non appena le acque si furono calmate, la donna richiamò il suo Garchomp nella sfera. Accarezzò la superficie rossa e bianca con le dita, concedendosi un sorriso soddisfatto. Poi, voltandosi verso i due, tese la mano al Professore.
«Ci incontriamo di nuovo, eh, Platan?»


 



Quello che Elisio legge in biblioteca è il racconto che si chiama "Un mito raccapricciante". Inizialmente avevo pensato che si trattasse una leggenda su Darkrai, ma poi riflettendoci meglio, mi sono resa conto che gli effetti a cui faceva riferimento si potevano collegare con i poteri di Mesprit, Uxie e Azelf. Avete fatto caso che Uxie tiene sempe gli occhi chiusi? Chissà, forse i suoi occhi nascondono davvero qualche cosa di pericoloso...
Mi sono concessa qualche libertà nel descrivere il Percorso 218 e ho allungato il ponte che si trova all'inizio. In qualche modo chi non ha delle Medaglie e non può usare Surf o nuotare, dovrà pur raggiungere Canalipoli!
Avrete già capito chi è la donna misteriosa che arriva alla fine, penso... Dato che si diceva che da piccola avesse aiutato il Professor Rowan con il Pokédex, ho pensato che in qualche modo si potessero essere conosciuti. Nel prossimo capitolo vi spiegherò meglio!
In queste settimane sono molto impegnata con la scuola, in più a inizio marzo partirò per il campo scuola, perciò non so quanto spesso riuscirò ad aggiornare... Ma aspettate fiduciosi!
A presto e buon fine settimana a tutti!
Persej Combe
 


~ L'angolo del francese ~
 

*"Platan, c'est grave. Tu es certain de que tu as dit?" = "Platan, questa è una cosa seria. Sei sicuro di quello che hai detto?"
*"Absolument" = "Assolutamente"
*"Merci, ça suffit" = "Grazie, così può bastare"
*"De rien, mon ami" = " Di niente, amico mio"
"Va! Va!" = "Vai! Vai!"

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Capitolo 4
*** III. Vortice ***



III
.Vortice.

«La Campionessa?» sussurrò Elisio. Nella sua voce si poteva percepire distintamente la sua sorpresa. Platan si fermò di fronte alla donna. La guardò per un lungo istante col fiato sospeso e in tensione, come dopo un attacco di collera, infine le sorrise cordialmente.
«Pare di sì, Camilla.» le strinse la mano «Grazie per essere venuta in nostro soccorso.»
«Non preoccuparti. Avevo sentito un frastuono provenire da questa direzione e mi sono affacciata per vedere che cosa stava accadendo. Quando ti ho visto ho deciso di intervenire: dopo gli ultimi avvenimenti accaduti per mano del Team Galassia, la polizia non guarda in faccia nessuno e chiunque si muova con comportamenti ambigui è sospettato di esserne un affiliato.»
«Certo, capisco benissimo il motivo. È giusto che sia così, ma non immaginavo che anche noi saremmo stati...»
«È meglio essere cauti, Platan, anziché fidarsi ed essere colti di sorpresa. Non si può mai sapere.»
Si voltò verso Elisio e lo guardò. Lo invitò ad avvicinarsi. Quello la salutò con riverenza e si presentò.
«Sì, Diantha mi ha parlato spesso di te: siamo buone amiche. Anche il Professor Rowan tempo fa mi aveva detto che durante la cerimonia della nomina di Platan aveva incontrato un uomo alto e dall’aspetto imponente, con dei lunghi capelli rossi. Immagino si trattasse di te, non è vero?» gli rivolse un’occhiata interessata, ed Elisio si chiese che cosa precisamente Diantha gli avesse raccontato sul suo conto.
«Camilla, perdonami se t’interrompo.» s’intromise Platan, che più il tempo scorreva, più sentiva l’ansia gelarglisi nel petto «Stavamo giusto andando a Memoride per cercarti. Avremmo bisogno della tua collaborazione, se non ti dispiace.»
«La mia collaborazione?» alzò il viso facendo tintinnare i fermagli legati ai lati della testa.
«Sì. Non me lo hai ancora chiesto, ma immagino tu già sappia perché sono qui. La situazione sta precipitando rapidamente come avrai notato anche tu. Mi hanno detto che il Professor Rowan si trova sul Monte Corona per cercare di trovare una soluzione a tutto questo. Non possiamo stare fermi con le mani in mano a non fare nulla. Non noi, che gli siamo stati accanto per tutti quegli anni.»
«Monte Corona, hai detto?» per un attimo la voce le aveva tremato e poi il suo sguardo si era posato in alto, nel cielo, sulla cima della montagna nascosta dalle nuvole. Sbatté lentamente le palpebre mentre sotto un occhio le si formava una ruga, che seppur amara sapeva mantenere l’eleganza del suo viso.
«Anche tu pensi che ci sia qualcosa lassù, ho ragione?» le domandò allarmato Platan, essendosi accorto della sua reazione «Qualcosa che abbia a che fare con i Guaridiani... Mi sono ricordato del dipinto nella grotta di Memoride ed è anche per questo che stavamo andando lì. Devo studiarlo e capire di cosa si tratta.»
Camilla nascose lo sguardo dietro la frangia bionda e si girò dalla parte opposta, dandogli le spalle.
«Anche mia nonna ha detto che sul Monte Corona c’è qualcosa che non va.» spiegò «Stavo andando nella vostra stessa direzione per poterla confortare, ma negli ultimi tempi anch’io sto cominciando ad avere qualche dubbio. Mesprit, Uxie e Azelf si sono mostrati agli uomini e poi si è formato quel vortice in cima alla montagna...» notò l’espressione confusa che si era formata sulla faccia dei due e si affrettò a chiarire ciò a cui si stava riferendo «Da qui non si può vedere, ma fra le alture più elevate si è formata una sorta di vortice. È da lì che si è generata la perturbazione.»
Sospirò e per la seconda volta alzò lo sguardo, ora con un bagliore severo negli occhi.
«Concordo con te.» asserì infine «Se il Professore è lì perché può risolvere questo problema, allora noi dobbiamo aiutarlo. Vi accompagnerò a Memoride e prenderemo insieme tutti gli indizi di cui c’è bisogno, poi lo raggiungeremo. Andiamo, non c’è tempo da perdere!»
 
Decisero di tornare a prendere la macchina: Camilla conosceva un passaggio più veloce con cui raggiungere la città senza dover per forza attraversare le grotte del Monte Corona. Oltre i dossi e le varie alture, arrivarono a toccare picchi abbastanza alti. In alcuni punti la strada era ghiacciata, e la neve copiosa che scendeva in qualche tratto li aveva costretti a fermarsi per cambiare le gomme. Il percorso non era stato costruito da mani umane, ma plasmato dalla natura stessa, perciò in molti frangenti si presentava assai rischioso da oltrepassare. Platan, al volante, guardava la strada con nervosismo, preoccupato per i due passeggeri che aveva a bordo e per i Pokémon che avevano con sé. Ogni volta si sorprendeva di come la perturbazione avesse cambiato drasticamente i paesaggi che si trovava a calpestare con le ruote. In alcuni c’era stato con il Professor Rowan, ma riusciva a riconoscerli soltanto grazie a un piccolo dettaglio quasi impercettibile di un albero, di una roccia o di una collina. Si sentiva un po’ perso.
«Adesso devi dirigerti verso quel bosco. Lì la strada è meno accidentata, prova a passare per di là.» fortunatamente Camilla sapeva sempre come guidarlo e, nonostante la collaborazione con lei lo confondesse ancora di più, riusciva a trovare uno spiraglio di lucidità in mezzo a quelle immagini che nella testa gli si confondevano, mescolandosi tra il passato e il presente.
«Perciò com’è che vi siete conosciuti?» domandò Elisio, relegato in solitudine sul sedile posteriore. Aveva voluto cedere il posto alla Campionessa affinché potesse indicare meglio a Platan il tragitto.
«È stato durante il mio viaggio in giro per Sinnoh per allenarmi e sfidare la Lega Pokémon.» raccontò Camilla «Un giorno, avendo già battuto la sesta Palestra, avevo deciso di andare a Sabbiafine dal Professor Rowan. Era da molto tempo che non lo vedevo, inoltre avevo bisogno di informarlo riguardo ai dati che avevo raccolto sul Pokédex. Stavo uscendo dal Centro Pokémon, mi ero fermata con Gabite per riposare un po’ dopo le ore di cammino. Ad un tratto, mentre mi stavo dirigendo al Laboratorio, incrocio un ragazzo che stava andando nella mia stessa direzione. “Anche tu hai un Gabite! Ti andrebbe di fare una lotta?” mi dice.»
«Non lo avessi mai fatto...» rise il Professore «Sembrava una ragazzina all’inizio del suo viaggio, non mi sarei mai aspettato una simile potenza in battaglia...»
«Abbiamo ingaggiato uno scontro talmente acceso che è dovuto intervenire il Professor Rowan in persona a fermarci! Ti ricordi?»
«Sì, ma ormai mi avevi già battuto. Camilla, com’eri forte con il tuo Pokémon! Non fui affatto sorpreso quando venni a sapere che eri diventata Campionessa. Eri così brava... Il legame fra te e il tuo Garchomp è così intenso e armonico...»
Elisio percepì nelle sue ultime parole una sottile nota di rammarico, che non giunse alle orecchie della donna. Il rosso capì subito il perché di quell’intorpidimento della sua voce e si affrettò a mettere in chiaro le cose: «Platan, il legame che hai con il tuo Garchomp è di altrettanto valore e pregio. Ciò che è accaduto quella sera non deve affatto farti dubitare di questo, in alcun modo.»
Platan lasciò andare un sospiro stanco: quante volte ne avevano già parlato. Nonostante in un primo momento non gli avesse dato tanto peso, ultimamente aveva cominciato a farsi parecchie domande e a convincersi del fatto che quel fallimento non fosse stato altro che per causa sua. Spesso, in Laboratorio, aveva sorpreso Garchomp osservare sui monitor appesi alle pareti delle sale i video degli altri Pokémon che erano riusciti a padroneggiare la Megaevoluzione con fare sognante. E ogni volta che si accorgeva della sua presenza, sgattaiolava via goffamente, impacciato. Poi gli gironzolava attorno per il resto della giornata, come a volersi scusare per aver guardato quei filmati di nascosto senza il suo permesso. Avrebbe tanto voluto aiutarlo nei suoi studi, glielo leggeva continuamente nei suoi occhi piccoli e gialli. Ma lui non era bravo nelle battaglie fra Pokémon, men che meno sarebbe potuto riuscire a gestire bene in lotta un potere talmente grande come quello della Megaevoluzione. Era fin troppo per lui. Diede un’occhiata veloce alla mano sinistra con nervosismo e rimpianto - chissà perché si ostinava ancora a tenere l’anello lì -, poi portò le dita in una tasca e accarezzò piano la Poké Ball di Garchomp.
«Forse sono io a non andare bene per te?» sussurrò.
Guardò nello specchietto retrovisore e incrociò lo sguardo di Elisio, che intanto aspettava una sua replica.
«Adesso non è il momento. Se proprio ce n’è bisogno, ne riparliamo più tardi con calma, va bene?»
«Di cosa state parlando?» Camilla era rimasta sorpresa dal tono in cui gli aveva risposto, misto tra il calmo e l’irritato, perciò si era incuriosita. Platan si trattenne dal sospirare un’altra volta. Non aveva voglia di parlarle di quell’argomento: era più che sicuro che se ne fosse venuta a conoscenza, lo avrebbe potuto superare anche in quello, che inoltre era ciò a cui aveva deciso di dedicarsi negli studi da una vita. Scosse la testa e lasciò stare quelle considerazioni infantili. Dopotutto, si disse, erano passati molti anni e continuare ad avere questo atteggiamento respingente nei suoi confronti era ridicolo, non erano più rivali.
In realtà non lo erano mai stati, ma questo lui non lo sapeva: fin da ragazzo si era persuaso che il loro rapporto fosse stato fondato esclusivamente sulla concorrenza, sul far vedere chi fra i due era meglio o peggio, e non aveva mai provato a guardare i frutti del lavoro di entrambi per il Professor Rowan da una prospettiva diversa.
«Camilla, so che questo ti stupirà, ma devi sapere che il tuo Garchomp può ancora andare in contro ad un’altra evoluzione.» le spiegò.
«Come?» a quella notizia rimase a bocca aperta «Ma non si trova alla fine del suo percorso evolutivo?»
«In circostanze normali sì. Tuttavia, in condizioni specifiche c’è un ultimo stadio che un gruppo di Pokémon, in cui si trova anche Garchomp, può raggiungere. Si tratta della Megaevoluzione.»
Fece una pausa per concentrarsi qualche minuto su un tratto di strada difficoltoso, poi continuò: «La Megaevoluzione è un particolare tipo di evoluzione che può avvenire soltanto in battaglia grazie alla quale un Pokémon è in grado di sprigionare la sua vera potenza. Quando un Pokémon è megaevoluto, i suoi livelli di attacco e difesa raggiungono picchi altissimi, molto al di sopra di quelli normali.»
«Dici sul serio? Quindi il mio Garchomp potrebbe diventare ancora più forte di adesso?» Camilla era visibilmente emozionata: le pupille le si erano dilatate e mentre parlava la voce le si acuiva a tratti.
«Incredibile, vero?» vedendo la sua reazione si lasciò scappare un piccolo riso «Già è fortissimo adesso, pensa cosa potrebbe diventare! Comunque, per far megaevolvere un Pokémon c’è bisogno di alcune condizioni particolari, come ti stavo dicendo. Prima di tutto occorrono due pietre molto speciali: la Pietrachiave, che deve essere tenuta dall’Allenatore,» le fece vedere l’anello «e una Megapietra, per il Pokémon. Ci sono diversi tipi di Megapietre, uno per ogni Pokémon, a volte persino di più. Attraverso la Pietrachiave l’Allenatore può interagire con la Megapietra e innescare la Megaevoluzione. Tuttavia, nel farlo, si libera un’enorme quantità di energia, che è difficile da controllare. Non tutti ci riescono.»
«Ma Platan ce l’ha fatta.»
«Non proprio...» sibilò, fulminando Elisio con lo sguardo guardandolo nello specchietto «La cosa fondamentale per poter gestire la Megaevoluzione è la sintonia che si ha con il proprio Pokémon... In caso contrario...»
La macchina sballottava sul percorso ricoperto di massi. Da fuori si poteva sentire il rumore delle ruote che traballavano sulle pietre. All’orizzonte cominciarono a scorgere le piccole case della città di Memoride, al cui centro si innalzava il suo imponente tempio con il tetto a spiovente.
Camilla tuttavia sembrava poco interessata al loro arrivo nella sua città natale. Osservò Platan e un po’ alla volta intuì ciò che doveva essere accaduto. Lo aveva sempre ammirato molto per la sua dedizione e per il suo impegno nelle cose che faceva, ma si era sempre vergognata di dirglielo. Ora che era venuta a sapere che era riuscito a far megaevolvere il suo Garchomp lo stimava ancora di più: quanto sarebbe piaciuto anche a lei poter fare lo stesso con il proprio Pokémon! Ma sapeva anche che a volte Platan poteva arrivare ad essere estremamente dubbioso delle proprie capacità al punto da lasciar perdere tutto ciò a cui si stava dedicando con un’enorme sfiducia in se stesso. Ogni tanto era accaduto che fosse scappato via dal Laboratorio per qualche compito che non era riuscito a portare a termine, nonostante si fosse convinto di esserne all’altezza, e si fosse rifugiato sulla spiaggia di fronte a Sabbiafine. Qualche volta lo aveva seguito e lo aveva spiato di nascosto, preoccupata per lui.
«Fra le sue mani, voglio stare fra le sue mani! Perché solo fra le sue mani potrò fiorire definitivamente! Libero da queste ansie, libero da questi tormenti! Ma dove sei? Dove sei, rispondimi! Ho bisogno di te e di risplendere al tuo fianco!» gli aveva sentito gridare una volta con le lacrime agli occhi contro le onde, contro il vento, contro il cielo, verso luoghi lontani e irraggiungibili al di là del mare in tempesta.
Non aveva mai capito il senso di quelle parole, ma le erano rimaste talmente impresse che ancora adesso se le ricordava precisamente, riusciva persino a riportare alla memoria il tono supplichevole e arido in cui le aveva pronunciate, e ogni volta rabbrividiva.
Vide Elisio posare una mano sulla spalla del compagno e si chiese se lui in qualche modo c’entrasse qualcosa.
Oltrepassarono il cartello che li avvisava di essere arrivati in città e dopo pochi metri si fermarono: erano giunti a destinazione.
 
Sembrava d’essere in autunno. Le chiome degli alberi erano punteggiate di oro e di rosso, mentre il terreno era ricoperto di foglie color arancio. Era uno spettacolo meraviglioso, ma, proprio perché fuori luogo, anche inquietante. Voltandosi ad ovest si poteva vedere il Monte Corona ergersi alto nel cielo, scuro e possente, come un enorme mostro in agguato, in attesa di poter assalire il piccolo paese. Guardando con più attenzione, Elisio si accorse che in mezzo alle nuvole, su, su, sulla punta più elevata, pareva esserci un punto nero, che girava su se stesso.
«È quello il vortice di cui ci stavi parlando prima?» domandò a Camilla.
Ella rispose affermativamente con un cenno della testa.
«Si sta allargando sempre di più.» disse poi «Gli scienziati che se ne stanno occupando ancora non hanno chiaro di che cosa si tratti. Ma io ho un’ipotesi...»
Si diresse verso la scalinata che portava nella zona centrale di Memoride e invitò i due a seguirla. Attraversarono un sentiero costeggiato da grandi alberi rivestiti da foglie scarlatte e brune. Il paesaggio assomigliava a quello di Romantopoli, ma la sensazione che si aveva di fronte a quello splendore della natura era completamente diversa. Dalle montagne proveniva un sottile alito di vento che faceva ondeggiare le fronde degli alberi, e il sole pomeridiano al di sopra di essi, man mano che si spostavano, disegnava numerose figure sul terreno attraverso la luce che passava tra le foglie. Nell’aria si univano in maniera armonica i profumi del bosco, uniti come in una sinfonia di odori. Intorno, oltre al crepitio delle foglie secche che stavano calpestando e a quello dei rami mossi dal vento, il silenzio regnava sovrano, calmo e solenne. Giunsero in prossimità del tempio ed Elisio e Platan si arrestarono ad osservarlo per qualche istante. Era alto e imponente. Il tetto rosso sfiorava le cime degli alberi e si mescolava tra le loro sfumature accese come se l’intera costruzione fosse essa stessa parte vivente del paesaggio, come se fosse nata e cresciuta insieme a quelle piante e a quei tronchi dall’inizio dei tempi.
«Che meraviglia...» sussurrò Elisio stupefatto.
«Già...» gli fece eco Platan col naso all’insù.
«Da questa parte!» Camilla era andata avanti e si era appena accorta che i due erano rimasti indietro. Li aspettò finché non l’ebbero raggiunta. Poi con delicatezza scostò un arbusto dal loro cammino e con un cenno della mano li esortò ad avanzare.
Poco più in là, in una parete di roccia, vi era l’entrata per la grotta. Ai lati dell’apertura, due grandi incisioni di epoche antiche prendevano le forme di Dialga e Palkia.
Si apprestarono ad entrare all’interno della caverna. Sulla parete in fondo Elisio riconobbe il disegno che aveva fatto Platan nel suo quaderno: tre esseri disposti come ai vertici di un triangolo giravano attorno ad una sfera posta esattamente al centro. Si avvicinarono alla pittura ed Elisio la osservò a lungo.
«I tre esseri assomigliano ai Guardiani dei Laghi.» commentò «Uxie in alto, Mesprit a sinistra e Azelf a destra.»
«Proprio come sono distribuiti i Laghi Arguzia, Verità e Valore nella regione di Sinnoh.» si inserì Platan, mentre toccava piano con le dita l’immagine di Mesprit.
«È vero,» disse Camilla «infatti questo dipinto è sempre stato descritto così nelle leggende che ci sono state tramandate: la luce al centro rappresenta Dialga o Palkia che appaiono sulla Vetta Lancia, in cima al Monte Corona, esattamente al centro della regione. Le tre luci attorno dovrebbero essere i tre Guardiani, come avete detto voi. Ma...»
Si girò verso Platan e si rivolse a lui: «Ti ricordi quel signore che avevamo incontrato a Evopoli con il Professore che ci aveva raccontato delle lastre della Statua Antica? Aveva detto che tempo fa ve ne era stata anche una terza, ma che non l’aveva mai vista. Approfondendo i miei studi sulla mitologia di Sinnoh, ho scoperto che c’è un terzo Pokémon assieme a Palkia e Dialga che è in grado di equilibrare il mondo dimensionale.»
Platan ed Elisio si scambiarono uno sguardo: il Professore pareva aver visto giusto.
«A dire il vero non ho trovato molte notizie a proposito. Comunque sia, questo terzo Pokémon dovrebbe chiamarsi Giratina. Venne creato dalla Creatura Originaria assieme agli altri due, tuttavia per il suo carattere ribelle e aggressivo decise di sottrarsi al volere dell’Originale, spargendo caos nell’intero universo. Per questo motivo venne allontanato e bandito per sempre in una dimensione opposta alla nostra, il Mondo Distorto, dove né il tempo né lo spazio sono stabili.»
«Bien sûr!» esclamò Platan, elettrizzato da ciò che Camilla gli aveva appena detto, gesticolando con le mani «Forse Giratina sta di nuovo cercando di ribellarsi alla Creatura Originaria e vuole fuggire dal Mondo Distorto!»
«Quindi si è formata una spaccatura tra i nostri mondi e quel vortice sul Monte Corona in realtà non è altro che una finestra sul Mondo Distorto...» rifletté Elisio.
«E gli squilibri del nostro mondo non sono che il frutto degli influssi del caos di Giratina!» concluse il Professore.
«Esatto, è proprio ciò che avevo pensato! Però, alla luce di questo, ho supposto un’altra possibile lettura di questo dipinto. E se in realtà i tre esseri si potessero identificare anche con Dialgia, Palkia e Giratina? A questo punto la sfera al centro potrebbe trattarsi di...»
Nel silenzio che si formò, ognuno dei tre riuscì a terminare quella frase nella propria mente. Ciò che stavano supponendo era incredibile, eppure assai probabile, se si tenevano in considerazione gli ultimi eventi che avevano investito Sinnoh. Ma in tutto questo, il Team Galassia come intendeva inserirsi? Quale era il loro scopo? E il Professor Rowan come pensava di poter risolvere la faccenda? Sapeva dell’esistenza di Giratina? E Lucinda?
«Comunque sia, ogni indizio ci porta alla Vetta Lancia.» Platan si risvegliò dai propri pensieri e, ora che aveva la strada spianata, sentiva di doversi subito rimettere in viaggio per raggiungere i suoi cari «Dobbiamo tornare a Monte Corona.»
Girò sui tacchi e a passo svelto si avviò verso l’uscita della caverna. Elisio lo raggiunse e una volta uscito si accorse che il cielo era diventato scuro. Era già sera e il sentiero si distingueva poco chiaramente. Disse a Platan, che l’aveva già superato di qualche metro, di fermarsi e di non continuare ad andare da solo. Conoscendolo si sarebbe potuto perdere facilmente. Camilla si offrì nuovamente di indicargli la strada per il ritorno e una volta raggiunta la macchina consigliò ai due di fermarsi in città per quella sera, prima di riprendere il viaggio. Decise di ospitarli a casa sua, così l’indomani si sarebbero potuti incamminare nuovamente insieme.
 
La casa di Camilla si trovava in periferia. Dopo aver percorso qualche chilometro a piedi, Elisio e Platan videro un piccolo edificio nascosto tra la vegetazione. Intorno ad esso vi era un lago dalle acque chiare e pulite. Per attraversarlo dovettero camminare sopra dei massi che sporgevano dal bacino. Mentre stava mettendo il piede su di una pietra più stretta delle altre, Platan perse l’equilibrio per un attimo e andò a sbattere contro Elisio, fermo sulla seguente. Spinse la testa sulla sua schiena e strinse le braccia attorno a lui, con i piedi ancora incollati alla roccia.
«Le serve una mano, Professore?» chiese ridacchiando, sentendolo tremare avvinghiato a lui per l’equilibrio precario.
«Non ti muovere! Ti prego, non ti muovere!» lo implorò, con le gambe che vibravano per lo sforzo di trattenersi sulla superficie del masso.
In quel momento un piccolo ruggito si diffuse nell’aria e dalle acque emerse un bellissimo Milotic che si rituffò nella sponda opposta. Poi raggiunse Camilla e nuotando sotto di lei la salutò.
«Un Milotic...» disse Elisio sorpreso. Poi sia lui che l’altro arrossirono un po’, ricordandosi una certa vecchia chiacchierata di una manciata di anni prima.
«Beh? Ti ci vuole ancora molto?» si rivolse a Platan con una puntina di nervosismo, volendoselo togliere subito di dosso. Il Professore cercò di rimettersi in piedi il più in fretta possibile, e finalmente poterono proseguire.
La casa di Camilla era molto semplice, in stile orientale, ben amalgamata con l’ambiente circostante. Si trattava di un semplice appoggio per quelle volte in cui tornava a Sinnoh durante i suoi viaggi, perciò non doveva stupire il fatto che non fosse sommersa dal caos – non si sarebbe detto, ma Platan sapeva quanto in realtà la Campionessa fosse disordinata. Camilla indicò ai due la stanza in cui si sarebbero potuti sistemare per quella notte, poi andò a cucinare qualcosa di veloce per cena. Tuttavia, quando si misero a tavola, la donna li abbandonò quasi subito: se l’indomani si sarebbero dovuti rimettere in cammino, aveva deciso che sarebbe andata a trovare la nonna quella stessa sera.
Dopo aver sparecchiato, Elisio si era seduto sul pavimento della sala da pranzo a guardare la televisione, mentre Platan si era chiuso in camera a riordinare i suoi appunti.
Bulbasaur e Litleo giocavano in giro per le stanze, divertendosi ad aprire e richiudere le porte scorrevoli di carta di riso. Li colpiva soprattutto il fatto che, spostando una parete, una cosa apparisse o sparisse.
«Bulbasaur!» esclamava Bulbasaur chiudendo con le liane una porta e facendo scomparire l’immagine di Platan accovacciato sulle ginocchia mentre leggeva.
«Leeeo!» rideva il leoncino quando la riapriva, mostrando di nuovo il Professore.
E andarono avanti così per qualche minuto finché non se ne furono stancati. Allora cominciarono a rincorrersi girando in tondo attorno ad Elisio, facendo a gara a chi andava più veloce. Indubbiamente chi stava avendo la meglio era Litleo, così dopo un po’ Bulbasaur, stufo di andare lento per la sua andatura poco adatta ai movimenti agili, si aggrappò al Pokémon con due lacci d’erba e si lasciò trascinare lungo il pavimento.
«Leeo...» sbuffò un po’ indispettito, continuando a trainarlo.
«Saur saur saur!» esclamava, chiedendogli di andare più veloce.
«Ehi, voi due, fate piano.» gli disse Elisio osservandoli mentre giravano intorno a lui «Di là Platan sta studiando.»
«No, no, ho appena finito.» Platan entrò nella stanza in quel momento. Litleo non ebbe il tempo di frenare che andò a sbattere contro una sua gamba, con Bulbasaur che lo seguiva a ruota. Il Professore li prese entrambi in braccio e si assicurò che non si fossero fatti male, poi gli diede un leggero buffetto sul muso e si sedette accanto ad Elisio con le gambe incrociate.
«Cosa guardi?» chiese coccolando i Pokémon accovacciati contro di lui.
«Sto vedendo se riesco a trovare qualche informazione su Cyrus.» rispose continuando a cambiare canale con il telecomando.
«Il capo del Team Galassia?»
«Sì.» corrugò la fronte «Ancora non riesco a capire che cosa abbia in mente... Per quale motivo sottrarre i tre Guardiani? Dove intende arrivare? Qual è il suo scopo? Lei ha qualche idea, Professore? Magari riesce a svelare anche questo arcano...»
«Purtroppo no, mon cher, ci stavo pensando anche io prima, ma non so proprio dove sbattere la testa.»
Probabilmente era fuori luogo in quel momento, ma Elisio non poté trattenersi dal sorridere: se Platan stava ricominciando a chiamarlo con quei nomignoli voleva dire che stava bene e che piano piano si stava riprendendo dal malumore degli ultimi giorni. Litleo sgattaiolò via dalle braccia di Platan e si distese sulle gambe del suo Allenatore, infilando la testa sotto una sua mano per incitarlo ad accarezzarlo. Le carezze del Professore erano una vera meraviglia, ma altrettanto lo erano quelle di Elisio. Cambiando un’altra volta canale, il rosso passò piano le dita sulla sua schiena, offrendogli qualche grattino.
«Aspetta, torna indietro!» disse Platan all’improvviso.
Sullo schermo si impresse l’immagine di Cyrus, la sua postura suggeriva che si stesse rivolgendo ad un gran numero di persone: «Questo nostro mondo è incompleto!» diceva a voce alta «Da sempre l’uomo ha dovuto soffrire e faticare per raggiungere degli obiettivi, per soddisfare la sua stessa necessità di sopravvivenza. E perché questo? Perché noi stessi uomini e Pokémon siamo incompleti! Per compensare ciò di cui difettiamo, allora, ci facciamo guerra a vicenda, ci mutiliamo e uccidiamo tra di noi. L’uomo è imperfetto, e per questo è governato dalle emozioni, che ci spingono a commettere questi atti empi. Le nostre emozioni... In un mondo senza di esse non esisterebbero conflitti, poiché nessuno sarebbe portato ad accanirsi contro un altro! Ed io, Cyrus... E tutti voi... Noi del Team Galassia porteremo alla vita un nuovo mondo, un mondo perfetto, completo, privo di lotte e atrocità! Un mondo senza emozioni!»
«Tutto questo è folle...» sibilò Platan, stringendo Bulbasaur a sé «Come può desiderare un mondo senza emozioni? La vita, allora, non avrebbe più un senso...»
«Un mondo perfetto...» sussurrò Elisio. Rimase a pensare al discorso di Cyrus e per certi versi riconobbe di trovarsi d’accordo con lui: il mondo era egoista, e questo ogni giorno alimentava numerosi conflitti fra le persone.
Un mondo senza emozioni. Un mondo in cui nessuno avrebbe nuociuto all’altro. Un mondo in cui nessuno sarebbe rimasto da parte.
Gli venne in mentre lo Skiddo che era stato abbandonato di fronte alla stazione di Luminopoli. Dopo anni era ancora lì, il suo Allenatore non era mai tornato. Probabilmente non lo avrebbe mai fatto. Da che cosa era stato determinato il suo abbandono? Qualche sensazione di odio? Di superiorità nei suoi confronti? Il mondo e l’animo umano erano intrisi di marciume, di questo aveva cominciato a convincersi già da molto. Ma di ciò erano forse colpevoli le emozioni? Si voltò verso Platan e guardandolo si disse che anche le sue parole erano giuste. Ciò che provava per lui, ciò che sentiva nello stare con lui... Certe volte avrebbe voluto vivere soltanto per quell’emozione.
Litleo lo leccò sul viso. Si era talmente impuntato su quei pensieri che si era incantato e aveva smesso di accarezzarlo. Platan prese il telecomando e spense il televisore.
«Basta. Ha parlato anche troppo.» disse «Non voglio più sentire una sua parola. Domani andremo dal Professor Rowan e sistemeremo la storia del vortice. Del resto se ne occuperà la polizia.»
Sospirò e poggiò la fronte contro quella di Bulbasaur.
«Sai, Elisio, non vedo l’ora!» esclamò con un sorriso, girandosi verso l’amico «Ma... da una parte ho anche paura...» e abbassò la testa.
«Anche io, Platan. Stiamo andando contro qualcosa che non possiamo controllare...»
Con la televisione spenta, il silenzio dentro casa sembrava talmente chiassoso da far male alle orecchie. Elisio si alzò.
«Stasera sono più stanco di ieri. Ancora non riesco a credere che siamo riusciti a sopravvivere ad una giornata del genere... Penso che me ne andrò a letto.» disse prendendo Litleo fra le braccia e regalandogli qualche ultima carezza.
«Quasi quasi vengo con te. Che ne dici, Bulbasaur? Andiamo a dormire?»
«Saaauur!» sbadigliò il piccolo strofinando la testa contro il suo ventre. Gli occhi già cominciavano a chiuderglisi. Platan sorrise intenerito e dopo aver fatto tornare Bulbasaur nella Sfera raggiunse Elisio nella stanza accanto. Lo aiutò a sistemare i due futon sul tatami, uno accanto all’altro, poi lasciò che si spogliasse dei vestiti sporchi che avevano portato per tutta la giornata. Anche lui fece lo stesso. Si sfilò di dosso la maglietta nera, ripiegò i pantaloni accanto al cuscino. Si infilò sotto alla coperta e si accucciò contro il materasso. Sospirò per la stanchezza socchiudendo gli occhi. Il suo respiro raggiunse le guance di Elisio, sfiorandole leggermente. Si guardarono un attimo.
Platan allungò pigramente una mano verso di lui.
«Hai qualcosa tra i capelli.» disse passando le dita tra quelle folte ciocche rosse «In questo periodo Bulbasaur lascia polline ovunque...»
«Grazie.» rispose con una punta di imbarazzo.
Lasciò che gli togliesse il batuffolo dalla testa, poi gli sorrise. Anche al Professore spuntò un sorriso, tenero e imbranato al tempo stesso. Sul suo viso si era diffuso un rossore lieve lieve, che coprì tirandosi la coperta fin sul naso.
Per qualche istante si riflessero l’uno negli occhi dell’altro, in quel grigio-azzurro come di un cielo piovoso.
Nel buio brillò un bagliore colorato. Platan si scusò e sedendosi si sfilò dal dito il Megacerchio.
«Posso vederlo?» chiese il rosso sporgendosi su di lui.
«Certo.»
Platan gli posò l’anello sul palmo aperto e ritornò a distendersi al suo fianco.
«È proprio un bel gioiello.» disse rigirandoselo nella mano. Platan aveva delle dita davvero sottili rispetto alle sue, si accorse.
«Me lo avevi già detto. Deve piacerti davvero molto, eh?»
«Sì. Non è troppo vistoso, né eccessivo. Essenziale. Una cosa del genere la indosserei anch’io.»
«Solo per la sua forma o per quello che è in realtà?» gli domandò con un sorrisetto malizioso sulle labbra. Gli sfilò l’anello dalle dita con gentilezza e lo fece scorrere tra il pollice e il medio.
«Confesso che in verità piacerebbe molto anche a me essere in grado di utilizzare la Megaevoluzione...» ammise l’uomo.
Platan si girò su un fianco e lo osservò, interessato alla sua ultima confessione. Annuì e si accarezzò una ciocca di capelli.
«Chi non lo vorrebbe?» sospirò lasciando cadere la mano sul materasso.
Chiuse le dita e strinse l’anello nel pugno.
«Elisio,» disse non appena si accorse che aveva intenzione di ribattere qualcosa «capisco quanto tu ti stia preoccupando per me. Ma vorrei cercare di risolvere la faccenda da solo, se non ti dispiace. Ho soltanto bisogno di rifletterci un po’. Spero che tu non te la prenda.»
«Prendermela? Affatto. Comprendo benissimo ciò che intendi e, se hai bisogno del tuo spazio, non sarò di certo io a togliertelo.»
«Ti ringrazio.»
Gli rivolse un’occhiata ricolma di gratitudine e strofinò la testa sul cuscino. Nel farlo emise una piccola risata.
«Ti ricordi, Elisio, quella sera in cui ero a Yantaropoli e ci stavamo parlando con l’Holovox? Stavamo proprio così, ti ricordi?»
«Mi ricordo, certo! Stavamo proprio così...»
Si guardarono ancora e, dopo essersi cercati infinitamente in quella foschia dei loro occhi, finalmente si trovarono. Gradualmente le loro voci si affievolirono in sussurri e sospiri che si posavano sulle guance dell’altro, scendendo lentamente verso le labbra per poi ripartire, mossi da nuove parole nate nel desiderio di poter sentire ancora il suono melodioso della bocca tanto amata in risposta. Le palpebre si muovevano con lentezza, gli sguardi si fissavano per minuti interminabili sugli occhi, sulle ciglia, sui tratti incantevoli del viso, senza tralasciarne alcun dettaglio. Dentro il corpo regnava una calma leggera mista ad un’emozione indescrivibile, calda, dolce, passionale. Le loro fronti si vennero in contro, i fiati si mischiavano nel poco spazio che separava i loro nasi. E sarebbe bastato così poco a riempire quella distanza... Si unirono in un immaginario abbraccio e Platan lasciò andare la testa contro il petto di Elisio. Si addormentò. L’altro rimase ad osservare per lunghi secondi il sorriso che aveva sulla bocca mentre sonnecchiava al suo fianco. La sua espressione era talmente diversa da quella che gli aveva visto la notte precedente. Fece scorrere un dito sulla sua guancia e per un attimo si dimenticò di respirare.
Ma cosa era appena successo?
Avevano semplicemente parlato, di tutto e di niente. Nulla di così eclatante. Eppure il modo in cui le loro voci si erano unite lo aveva fatto tremare lievissimamente varie volte. Si passò la mano fra i capelli dove lo aveva toccato Platan e involontariamente si fece sfuggire un risolino un po’ sciocco, si stropicciò la faccia mentre su di essa si dipingeva un’espressione frastornata. Era come se un vortice lo avesse investito in pieno, e lui si era fatto trovare impreparato. Era vero, allora? Si trattava proprio di ciò che stava pensando? Ritornò a guardare Platan, a contemplarlo fuori dalla gabbia di vetro che era il suo sonno. Lasciò scivolare il dito lungo il contorno della sua mandibola e sul suo mento, infine lo posò sulle sue labbra, come se volesse metterlo a tacere per il putiferio che gli stava creando dentro la testa. E fuori invece era il silenzio, lo stesso che proveniva dalla sua bocca chiusa. Erano morbide, quelle labbra. Un po’ screpolate, forse, ma comunque gradevoli. Platan si mordeva le labbra in continuazione quando era nervoso, non poteva farne a meno. Trattenne il polpastrello sopra di esse per poter sentire ancora un po’ quella sensazione di delicatezza a contatto con la pelle.
Ad un tratto udì lo scorrere di un pannello accompagnato da un rumore di passi. Alzò lo sguardo oltre la porta aperta e vide Camilla ferma di fronte a loro osservare silenziosamente il modo in cui erano sdraiati l’uno accanto all’altro. Si scrutarono l’un l’altra per qualche istante senza dire una parola. Elisio allontanò la mano dal viso dell’uomo e cercò subito di giustificarsi, messo in soggezione dal suo sguardo inquisitore.
«No, qualsiasi cosa tu stessi facendo, non m’interessa.» lo interruppe «Potresti venire un attimo con me, invece? Vorrei parlarti, se non ti dispiace.»
«Certo.» rispose a bassa voce per non svegliare Platan, ma quella se ne era già andata via. Uscì dalle coperte e si vestì, si pettinò i capelli con le dita per rendersi più presentabile. Poi andò da Camilla, non prima tuttavia di aver rivolto un ultimo sguardo al suo compagno.
 
Camilla lo stava aspettando fuori, seduta sul gradino rialzato di legno di fronte al giardino, ancora avvolta nel lungo cappotto nero. Quando si accorse della sua presenza girò di poco la testa e con un battito di ciglia lo esortò ad avvicinarsi. Elisio non se lo fece ripetere due volte. Si sedette al suo fianco e aspettò che gli dicesse ciò che doveva.
Intorno, il suono delle onde del laghetto riempiva l'aria, accompagnato dal fruscio del vento.
«Platan è sempre stato un ragazzino un po' timido.» disse la donna osservando la calma che trapelava dalla natura circostante «Non so per quale motivo, ma per tutto il tempo che gli sono stata vicino in quegli anni in cui ha studiato qui, mi è sempre sembrato un po' restio ad approfondire i legami che aveva con le persone con cui si trovava a collaborare, se non in casi speciali.»
Elisio l'ascoltava, le braccia incrociate sul petto. Sì, Platan gli aveva raccontato di quella situazione, ogni tanto. Anche il Professor Rowan gliel'aveva fatto intendere quella volta in cui si erano incontrati alla cerimonia della nomina.
Chissà cos'era successo nel suo passato da averlo reso così fragile? O forse era semplicemente parte del suo carattere?
Vide che Camilla era in procinto di riprendere il discorso, così per un attimo mise da parte le sue preoccupazioni per Platan. Prestava attenzione alle sue parole e cercava di capire se tra di esse vi fosse qualche messaggio nascosto: «C'era una ragazza, un po' di tempo fa, con cui aveva avuto una storia d'amore. Un'Infermiera Joy, mi pare.» stava dicendo «Non mi ricordo come si chiamasse, ma è sempre stato molto affettuoso nei suoi confronti. Teneva davvero tanto a lei. Una volta è rimasto in Laboratorio fino a tarda notte nonostante Rowan gli avesse detto di andarsi a riposare, perché stava aspettando che finisse il turno di lavoro al Centro Pokémon per poterla riaccompagnare a casa. Il giorno dopo aveva lezione molto presto e se non avesse dormito sarebbe stato a pezzi, ma non aveva voluto tenerne conto. Immagino tu sappia quanto per Platan sia importante il suo lavoro, giusto? Eppure per lei è stato capace di mettere da parte anche questo.»
Gli si impresse nella mente l'immagine dei numerosi quaderni che ogni volta coprivano il solito tavolo a cui si sedeva nella sua caffetteria. Era tutto una tovaglia di fogli, ma lasciava sempre un quadratino di spazio per poterci posare la tazza che di tanto in tanto Elisio passava a riempire, tra un'ordinazione e un'altra dei suoi clienti.
«Grazie mille, cher!» esclamava ogni volta per ringraziarlo, alzando la testa dal quaderno e incontrando il suo sguardo.
Poi, quando passava a trovarlo in Laboratorio, lo trovava sempre intento a fare qualcosa: fosse una relazione da scrivere, registrare dati di un esperimento, studiare filmati o qualsiasi altro, tutte le volte lo accoglieva con il camice sporco d'inchiostro, polvere, peli o penne di Pokémon. Le volte in cui si davano appuntamento da qualche parte, lo vedeva sempre già lì, in anticipo, con un libro o una rivista in mano, immersissimo nella lettura, che lo attendeva. Se c'era una cosa che Platan adorava, era senza dubbio lo studio, si disse. Solo in quel momento si accorse che quando arrivava smetteva sempre di fare ciò che stava facendo per dedicarsi a lui e che non lo aveva mai fatto aspettare per qualche faccenda di lavoro. Semmai, molte volte era stato lui a far accadere il contrario.
«Ma con te è diverso.» Camilla lo riportò bruscamente alla realtà. Elisio girò il viso verso di lei e le rivolse un'occhiata dubbiosa. La donna sorrise e si accarezzò i capelli.
«Che vuoi dire?» le chiese, ormai troppo preso da quel discorso.
«Diantha mi ha raccontato il modo in cui vi siete conosciuti.» parve cambiare argomento «Stavi cercando un testimonial per la tua invenzione e le avevi chiesto se sarebbe stata disposta ad accettare l'incarico; lei disse di sì, ma per una serie di impegni non poté più prenderne parte.»
«È vero, a quel punto si offrì Malva. Anzi, fu proprio Diantha a consigliarmi di lavorare assieme a lei.» ricordò ad alta voce.
«Tuttavia, nonostante non fossi riuscito a coinvolgerla nel tuo progetto, continuasti ad avere un buon rapporto con lei. La sostenevi, la supportavi, esattamente come ogni tuo sottoposto o collaboratore. Per qualsiasi persona si rivolgesse a te o a cui cercavi di avvicinarti, ti sei sempre comportato come una sorta di mecenate, mettendola sotto la tua ala protettiva. Con Platan non è così, o mi sbaglio?»
Ovvio che no, pensò. Proteggere Platan andava ben oltre il suo solito mecenatismo. Gli veniva spontaneo e quasi era per lui una necessità. Non sapeva spiegarselo bene, ma proteggendolo era come se lui stesso si sentisse al sicuro. Una specie di dipendenza dal suo stato di essere.
Un sorriso affettato si dipinse sulle sue labbra mentre puntava lo sguardo sulla donna.
«Questo non è di tuo interesse. Ma ti ringrazio per essertene preoccupata. Ora, ti pregherei di dirmi la ragione per cui mi hai voluto parlare.» le disse: di certo non si sarebbe messo a raccontare i propri affari alla prima venuta, neanche fosse stata la Campionessa.
Camilla annuì. Elisio sapeva il fatto suo. Si alzò, si tolse la giacca e posandola su un braccio fece per rientrare dentro casa.
«In quei cinque anni, il Professor Rowan si è prodigato per lui in tutti i modi possibili. Lo ha molto a cuore. Il figlio che non ha mai avuto. Una volta lo ha chiamato così.»
Una foglia si staccò da un ramo di un albero e, trasportata dal vento, si posò ai suoi piedi.
«Ti è stato dato un incarico.» la pestò «Cerca di non fallire. Continua a prenderti cura di lui come stai facendo.»
Poi si mosse verso il buio e scomparve.


 


 

Ed ecco che finalmente, dopo quasi un mese, riesco ad aggiornare la storia! Come state? Tutto bene?
...Ricontrollando il capitolo precedente mi sono appena accorta di aver dimenticato di mettere le traduzioni delle frasi in francese, perdonatemi, rimedio subito! xD
A dire il vero non ho molto da dire su questo capitolo. Come al solito mi sono presa qualche libertà per le ambientazioni e per raggiungere la grotta di Memoride ho aggiunto quel sentiero in mezzo al bosco. Avevo bisogno di rappresentare il paesaggio per far capire il modo in cui stesse cambiando a causa degli influssi del Mondo Distorto. "In questo periodo Bulbasaur lascia polline ovunque": in realtà infatti non siamo in autunno, ma in primavera! Non so se è così, però io ho sempre immaginato che il germoglio di Bulbasaur crescesse a seconda delle stagioni...
Solo a me gli obiettivi di Cyrus ed Elisio sembravano simili? Costruire mondi nuovi e bellissimi sarà di tendenza nel mondo Villain?   Ma vogliamo parlare del fatto che hanno due Pokémon uguali in squadra? E che entrambi durante il gioco diventano matti che più matti non si può e alla fine spariscono in circostanze misteriose? 

Ragazzi, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Dovrei riuscire a mettere il prossimo durante le vacanze di Pasqua, fino ad allora stringete i denti, ormai siamo quasi alla fine! [EDIT: ho avuto un contrattempo e ci sto mettendo più del previsto: pazientate ancora un po'! ^^' Arriverà!]

Un abbraccio,

la vostra Persღ


 


~ L'angolo del francese ~
 

*"Bien sûr!" = "Ma certo!"
*"Mon cher" = "Mio caro"

(Pollice in su per il mio Bulbasaur mangione! (?) Volevo provare a mettere un disegno! c: )

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Capitolo 5
*** IV. Fine del mondo ***



IV
.Fine del mondo.

Profumo di pelle. Profumo di capelli, di cuscini e di lenzuola pulite. Profumo di legno e di casa.
Platan fu ben lieto di risvegliarsi nuovamente tra le braccia di Elisio. Sorridendo, con gli occhi chiusi si girò dall'altro lato, tastando il suo petto con la mano. Si raggomitolò contro di lui e sospirò assonnato. Quella volta preferì rimanere a letto. Strinse piano le dita sullo scollo della canottiera dell'uomo e si riappisolò. Fra uno sbadiglio e un altro sentì la mano di Elisio passare qualche secondo tra i suoi capelli; poi probabilmente si era allontanato, perché ora tra le dita teneva un lembo di coperta e la testa era poggiata sul cuscino.
I suoi vestiti piegati sul pavimento non c'erano più. Si mise a sedere e dalla parte opposta vide la porta chiusa. Rimase ad osservarla in silenzio, cercando di riportare alla memoria quell'interminabile chiacchierata della sera prima. Mai gli era capitato di sentirsi così per delle parole. Si stropicciò gli occhi e sospirò. Era stato bizzarro, però stranamente piacevole e intenso.
Mentre metabolizzava le sensazioni provate quella notte, improvvisamente si ricordò che giorno era quello, che sarebbero andati dal Professor Rowan e che finalmente avrebbero messo la parola fine a tutta quella storia. Saltò in piedi e aprì il pannello, poi corse a cercare Elisio: era emozionatissimo e non riusciva a stare fermo.
Trovò l'uomo seduto accanto all'irori, il focolare dove aveva acceso il fuoco per far riscaldare l'acqua e preparare il caffè. Vicino aveva messo a tostare qualche fetta di pane. Notò che aveva preso soltanto due tazze e due piatti. Camilla non c'era?
«Siamo di nuovo soli?» chiese Platan sedendosi vicino a lui e allungando le mani verso il fuoco per riscaldarsi un po': in canottiera e mutande faceva freddo.
«Camilla ha detto che doveva ritornare dalla nonna. È uscita da poco. Mi ha chiesto di non partire finché non torna.» rispose girando una fetta di pane.
«D'accordo, allora l'aspetteremo. Spero solo che non ci metta molto.»
Quando il caffè fu pronto, Elisio ne versò un po' nella tazza di Platan e gliela mise tra le mani. Gli avvicinò il contenitore dello zucchero ed un cucchiaino. Poi fece lo stesso per sé. Bevve un sorso stando attento a non scottarsi la lingua.
«Non avevo intenzione di svegliarti, poco fa. Scusami.» disse a Platan riferendosi alla carezza che gli aveva fatto prima di alzarsi.
Il Professore arrossì e, scuotendo la testa, disse: «No, non preoccuparti. Ero già sveglio, a dire la verità.»
Morse il bordo della tazza con i denti: a volte proprio non riusciva a tenere a freno la lingua. Si chiese che cosa avrebbe pensato. Lo guardò, ma sul suo viso non vide altro che un sorriso, un sorriso tuttavia diverso da quelli che di solito gli vedeva addosso. Sembrava molto tranquillo quella mattina, eppure si ricordava bene come entrambi la sera precedente avessero parlato a lungo di tutti i timori che li assalivano di fronte al pensiero dei rischi che avrebbero corso in quella giornata. Forse si trattava solo di un modo per mascherare la preoccupazione? Ingoiò un pezzo di pane e burro con un goccio amaro di caffè.
«Non appena Camilla tornerà, ci metteremo subito in viaggio!» esclamò Platan dando un altro morso al panino «Quindi intanto cominciamo a pensare ad uno schema dei nostri spostamenti, sei d'accordo?»
Elisio annuì silenziosamente. Ancora sorrideva.
«Bon.» fu tutto quello che Platan riuscì a dire: in testa aveva troppe idee e non riusciva a sceglierne una che potesse essere migliore di tutte le altre.
Squillò il telefono e, lasciando da parte i propri progetti, si alzò per andare a rispondere: forse era Camilla che chiamava per avvisarli del suo ritorno.
«Vado io, se vuoi.» Elisio aveva provato ad alzarsi prima di lui, ma Platan lo aveva rassicurato dicendogli di non scomodarsi, che già aveva pensato a preparare la colazione e lui invece non aveva fatto ancora nulla.
Si spostò nella stanza vicina, si fermò di fronte al telefono. Allungò la mano, ma non appena toccò la cornetta l'apparecchio si spense. Non aveva fatto in tempo a rispondere.
«Beh, pazienza! Richiamerà!» si consolò.
Aspettò lì che la donna telefonasse di nuovo per sapere se c'erano novità o se avesse avuto bisogno di avvisarli di qualcosa. Ma la chiamata non arrivò. Aspettò, aspettò. Alzò la cornetta e se la portò all'orecchio per sentire se faceva qualche suono. Nulla. Squillava a vuoto. Avvicinò le dita alla tastiera per comporre il suo numero di cellulare sforzandosi di ricordarselo. Poteva essersi trattato di chiunque altro, ma lui era convinto che fosse stata lei a telefonare.
Sette, tre, cinque, due. Sei. O era nove?
Sette, tre, cinque, due, nove.
Quindici. Uno, cinque.
Sette, tre, cinque, due, nove, uno, cinque...
E poi come continuava?
... Nove... Uno... Cinque...
...Nove, uno, cinque...?
Ah, giusto. Otto, sette, zero, quattro.
Otto. Sette. Zero. Quattro.
“8704”
Mentre digitava il numero gli tremavano le dita.
Accanto alla tastiera vedeva che il pulsante della segreteria lampeggiava. Qualcuno doveva aver lasciato un messaggio. Non voleva intromettersi nelle faccende private di Camilla, tuttavia, per un movimento improvviso della mano, involontariamente pigiò il pulsante di riproduzione. Si fece scappare un'esclamazione allarmata, non lo aveva fatto apposta, no, non gli importava proprio niente di quel messaggio, e subito roteò lo sguardo sopra il telefono su ogni lato, cercando di capire come fermare la registrazione.
Era quel bottone a destra? O quello là in alto? Oppure, semplicemente, sarebbe bastato premere...

Il suo corpo si fece di pietra.
 
Sentì un brivido corrergli lungo le braccia, ma non tremò. Il cuore cominciò a salirgli alla gola, quasi soffocandolo, mentre i suoi batti, forti, secchi, rimbombavano nelle orecchie. Vedeva nero. Completamente nero.
«Camilla? Pronto, Camilla? Ci sei? Puoi rispondermi?»
«Professore, Professore, eccomi! Che cosa succede?»
Elisio si alzò di scatto. Si girò nella direzione in cui era andato Platan e dopo aver riconosciuto quelle voci corse in stanza da lui. Lo vide immobile di fronte a sé, che gli dava le spalle, rannicchiato su se stesso.
«Ho bisogno del tuo aiuto, devi venire subito a Monte Corona. Non so per quanto tempo io e i ragazzi riusciremo ancora a resistere!»
«Ma di cosa sta parlando? Professor Rowan, mi sente? Professore!»
«Passata la notte quanto tempo pensi di metterci per venire alle porte della grotta?»
«...Un quarto d'ora. Mezz'ora forse... Non lo so! Professore, ma Platan? È venuto da Kalos insieme al suo amico, non vorrà lasciarlo indietro!»
«Platan è qui?»
Ci fu un silenzio.
«Non farlo venire. Per nessun motivo.»
Si portò la mano al petto, come per coprire una ferita da cui usciva sangue. Poi salì, su, alla gola che bruciava, sul mento, sulle labbra tremanti. Chiuse gli occhi e ci spinse sopra i palmi per impedirsi di guardare ancora quella scena che tuttavia andava avanti nella sua testa.
«Bloccalo in qualche modo, inventati una scusa per allontanarlo, fa' come vuoi. Ma lui non deve venire.»
Con la testa che gli scoppiava e la gola graffiata, corse via aprendo le porte scorrevoli con violenza, sbattendole forte, senza guardare indietro. Saltò giù dal pianerottolo di legno e spinse i piedi nudi sulla terra fredda e sporca continuando ad andare avanti.
Perché lei sì e lui no? Allora era vero che era da sempre stata la sua preferita fra i due? Ma sì, come poteva non essersene accorto! Che stupido era stato, che stupido! L’aveva capito, l’aveva capito benissimo come stavano le cose, ma non aveva mai voluto crederci. Camilla era sempre stata migliore di lui, su tutti i fronti: non doveva stupire che avesse preferito avere lei accanto, anziché lui. Corse, corse, il vento gli schiaffeggiava la faccia. Certo, era ovvio. Lui era sempre stato un pasticcione, un sognatore, un ingenuo, e soprattutto un ragazzino, sciocco e infantile; ancora adesso che era un adulto si comportava in modo puerile. Giunse alla riva del lago e crollò sulle ginocchia collassando sul prato grigio, stringendo le braccia attorno alle gambe. Tremava come un misero pulcino. Aveva freddo e ansimava con le lacrime agli occhi. In pochi secondi si era ritrovato con le ciglia umide e le guance bagnate. Si osservò nel riflesso d’acqua. Si faceva schifo da solo. Chiuse gli occhi e rintanò il viso in mezzo alle ginocchia emettendo qualche lamento.
Sembrava d’essere in inverno. Le foglie erano cadute dagli alberi, lasciandoli spogli e nudi, l’erba si era svigorita, il cielo era pallido e l’acqua del lago era incolore, gelida alla vista. L’impeto di Giratina pareva non avere freni e il disordine regnava sovrano all’interno della valle.
Elisio si era subito messo a rincorrere Platan ed ora si era fermato a pochi metri da lui. Lo vedeva raggomitolato su se stesso come un Pokémon ferito, debole e inerme. Gli si avvicinò di qualche passo.
«Platan, vieni dentro. Fa freddo, stando qui ti ammalerai e basta.» gli disse.
«Non m’importa.» ribatté «Lasciami stare.»
«Allora lascia almeno che ti porti una coperta o...»
«Che mi venga pure un malanno! Non me ne frega niente! Lasciami da solo!» lo interruppe bruscamente con la voce irruvidita. Si mise a sedere e lo fissò con gli occhi lucidi socchiusi in due fessure avvelenate. Strinse le mani contro la terra e racchiuse nei palmi un po’ di fango. Poi allentò la presa. Si girò dall’altra parte, dando le spalle all’uomo. Con le dita lerce si avvinghiò nuovamente contro le gambe.
Per quale motivo era là? Perché aveva premuto tanto per venire laggiù con lui?
«Dovevi rimanere a Kalos.» sussurrò, cercando di addolcire il tono «Tu... Tu...»
Elisio si chinò vicino a lui e gli accarezzò timidamente una spalla, provando a confortarlo.
«Platan, non devi pensare a me. Ti avrei raggiunto comunque, in un modo o nell’altro. La mia presenza non deve importarti.» gli disse.
«E invece m’importa, m’importa eccome, va bene?!» tuonò, scuotendo la spalla per scrollarsi di dosso la sua mano «È l’unica cosa di cui m’importi, adesso...»
Elisio socchiuse la bocca sorpreso.
«Sono io che sono venuto con te. È colpa mia.» tentò dopo una breve pausa.
«Ma io te l’ho permesso.» la sua voce suonò come un ringhio senza che lo avesse voluto.
«Perché io ti ho costretto a farlo.» continuò in tono calmo.
Non sapendo che cosa controbattere, rimase in silenzio. Inspirò profondamente sforzandosi di calmarsi. Si accarezzò i capelli e inclinò la testa di lato, finendo per poggiare casualmente la fronte sul petto di Elisio. Non appena se ne accorse tentò di allontanarsi, ma sentendo che le sue braccia lo stavano circondando con delicatezza, lasciò perdere. In un primo momento se ne imbarazzò. Poi a poco a poco si rilassò e lasciò cadere tutto il peso contro di lui. E improvvisamente si sentì al sicuro.
Anche Elisio ci mise qualche attimo ad abituarsi alla sensazione che gli dava stringere il suo corpo tra le braccia – dopotutto non era tipo da quel genere di cose -, al fatto che lo sentiva tremare e sospirare ancora per qualche residuo di pianto contro il suo petto, ai suoi capelli spettinati che gli solleticavano il collo. Si rese conto che il suo calore, a contatto con le sue membra, gli trasmetteva un che di piacevole e meraviglioso, e non se ne sarebbe mai voluto allontanare. E non era per il freddo, di questo ne era sicuro. Sentì la mano di Platan passare piano sulla sua spalla e istintivamente gli accarezzò la nuca con le dita, come a volerlo ringraziare per quell’attenzione.
«Platan, qualsiasi cosa tu stia pensando, in realtà il Professor Rowan tiene molto a te. L’ho capito dalla sua voce. Non hai sentito quella pausa che ha fatto dopo che Camilla lo aveva avvisato del fatto che c’eri anche tu? Quella pausa così lunga... Se non ha voluto che andassi anche tu, è soltanto perché non vuole metterti in pericolo. Tutto qui.» disse Elisio dopo un po’. Temette d’aver detto la cosa sbagliata, perché subito dopo la mano di Platan si arrestò.
«Non ti fidi di me?»
«Anche di lui mi fidavo...»
«Andiamo, adesso stai esagerando.»
Elisio lo sentiva brontolare e si lasciò scappare una mezza risata. Tutti quei capricci un po’ futili lo facevano assomigliare a un ragazzino.
«Sei proprio un bambino...» non poté fare a meno di dire. Platan alzò di scatto la testa e lo osservò, ma non con sguardo impettito, poiché non lo aveva detto con cattiveria. Si strofinò un occhio con il pugno e rise, rendendosi finalmente conto dell’assurdità dei suoi brontolii.
«È vero!» rise ancora «Ma tu hai detto che ti piace, no?»
Vedere Platan sorridere lo riempiva di gioia. Gli asciugò una lacrima con il pollice e annuì.
«Sì, mi piace.» sorrise.
Si guardarono l’un l’altro per qualche istante in modo particolarmente intenso. Calò uno di quei silenzi che ultimamente sempre più spesso si insinuava nei loro discorsi, uno di quei silenzi che non c’era bisogno d’interrompere per parlare, poiché le parole le sussurravano i loro stessi sguardi, i loro stessi sorrisi, i loro stessi gesti. Platan, ora tranquillo, strofinava la testa contro la spalla di Elisio, stringendo le dita di una mano contro il tessuto dei suoi abiti.
Era talmente bello, anche con i capelli arruffati e il viso segnato dal pianto. Forse in realtà la sua bellezza che adorava si trovava non tanto nel suo aspetto, quanto in quella sua umanità, in quel suo essere meravigliosamente spontaneo e vivo, buono, proprio come un bambino. Non lo capiva, in quel momento non lo capiva ancora. Elisio gli accarezzò una guancia per un po’. Si lasciò pervadere dalla sensazione che gli dava il contatto con la sua pelle. Qualcosa di così bello doveva proteggerlo a tutti i costi. Accostò il viso al suo e posò le labbra sulla sua fronte, leggero, lasciandogli un bacio. E si chiese, come già stava facendo da mesi e come aveva fatto ancora la sera precedente, se quello fosse proprio amore, amore vero, e trovò la risposta nel momento in cui sentì Platan stringergli le braccia attorno al collo, con la testa poggiata contro di lui. Lo abbracciò più stretto e lasciò che l’altro potesse fare lo stesso, se avesse voluto. Ma non era quello che Platan cercava, bensì la sua mano. Elisio rincorse le sue dita, le prese. Le intrecciò con le proprie. Sapevano entrambi il valore di quel gesto, sebbene ancora ricordassero soltanto per frammenti. Rimasero per un paio di minuti buoni nella stessa posizione senza parlarsi, lasciandosi andare alla serenità che l’unione delle loro mani trasmetteva a tutt’e due. Poi ad un tratto videro Milotic sbucare dallo specchio d’acqua e rituffarvisi dentro.
«Lo sapevi? Sembra che i Milotic siano in grado di togliere dalle persone che si trovano in loro presenza le emozioni negative e di donargli tranquillità. Chissà, magari è vero.» disse Platan.
Si allontanò da Elisio e si mise in piedi tendendogli la mano per aiutarlo a rialzarsi da terra.
«Allora, mon ami, vogliamo andare?» lo sollecitò.
«Andare dove?» chiese perplesso, avvicinando la mano.
«A Monte Corona, no?»
«Monte Corona?» esclamò; si sentì tirare su e un attimo dopo si ritrovò in piedi di fronte all’uomo «Mi era sembrato di capire che...» continuò, venendo subito interrotto.
«Prima che partissimo ero in dubbio se portarti con me o meno. Avrei preferito che rimanessi a Kalos, ma adesso sto pensando che se qualcuno non fermerà ciò che sta succedendo sulla Vetta Lancia, allora tutto il mondo verrà colpito dal potere di Giratina, compresa la nostra regione. Quindi che tu sia lì o qui, non fa differenza.»
«Non ho alcuna intenzione di farti scappare via un’altra volta.» disse non appena capì dove voleva andare a parare con quel discorso.
«Devo farlo, Elisio! Per te. Per Diantha, per i miei due nuovi apprendisti, per Lucinda, per Edwin e Rosabella, per il nonno... Il Professor Rowan ha detto che non mi vuole con sé, ma io so che più siamo, più abbiamo possibilità di vincere. Perciò andrò. Vieni con me. Ti proteggerò io. Ti prometto che andrà tutto bene.»
Non poteva esserne sicuro. Non ne era certo, infatti: aveva molta paura di fallire, ma sperava che in qualche modo Elisio si convincesse a seguirlo. Avevano cominciato il viaggio insieme, e a quel punto insieme avrebbero dovuto finirlo. Strinse le sue mani con più forza e lo guardò negli occhi con uno sguardo fiducioso.
«Va bene, Platan.» si decise infine, «Andiamo.»
 
Durante la notte doveva aver nevicato parecchio se ora le strade erano ricolme di neve fino a quel punto. Erano dovuti tornare indietro diverse volte e svoltare in bivi secondari, poiché spesso il percorso era bloccato da dei grossi cumuli di neve insormontabili. Ci avevano messo molto più tempo del previsto per arrivare alle porte della grotta e nel frattempo il cielo si era annuvolato in modo minaccioso. Infatti quelle che vedevano nel cielo non erano normali nuvole: da lontano apparivano viscose e nere più della pece. Più tardi capirono che si trattava del vortice, il quale ormai aveva allungato le sue braccia in maniera esorbitante sopra all'intera regione. Erano arrivati troppo tardi?
«Platan, guarda lassù!» lo chiamò Elisio puntando con il dito la cima della montagna.
Nell'oscurità del cielo si potevano distinguere tre luci sferiche che ruotavano intorno alla vetta: una gialla, una rosa e una azzurra.
«Sono i tre Guardiani?» si chiese il Professore, stupefatto. Ovviamente, si disse, di che cosa si sarebbe potuto trattare, altrimenti? Ma che cosa ci facevano lì? Stava succedendo qualcosa sulla Vetta Lancia? Qualcosa che non avevano calcolato? Platan scese dall'auto e si aggiustò il cappotto addosso. Era sceso un vento particolarmente freddo che di continuo gli scompigliava i capelli e lo faceva rabbrividire. Elisio gli si fermò accanto e alzò la testa per guardare meglio i tre Pokémon che volavano fra le nuvole. La situazione non gli piaceva per niente. Posò la mano su una spalla di Platan e gliela strinse. L'uomo gli rivolse un'occhiata.
«Andrà tutto bene.» ripeté.
Il rosso annuì. Proseguirono a piedi per un breve tratto, poi oltrepassarono l'entrata della grotta e vennero inghiottiti dal buio. Elisio improvvisò una fiaccola con dei legnetti trovati all'esterno della caverna, poi la fece accendere a Litleo con un colpo di Braciere. Il Pokémon si aggrappò alla sua gamba, chiedendogli varie volte di tenerlo con sé fuori dalla Poké Ball.
«È meglio che tu rimanga dentro, per il momento.» gli disse pazientemente accarezzandolo sotto al muso. Lo richiamò nella Sfera e si accostò a Platan, facendogli intendere che potevano andare avanti. Avanzarono, non sapendo nemmeno da che parte dovessero andare. La grotta pareva particolarmente sinistra: i Ranger avevano fatto uscire ogni Pokémon e lungo la strada non incontrarono nemmeno l'ombra di uno Zubat. C'era un silenzio spaventoso, innaturale, e il buio che li circondava lo rendeva ancora più agghiacciante. Cercavano di allontanarsi l'uno dall'altro il meno possibile. Se qualcuno notava qualcosa di strano da qualche parte andavano ad esaminarla insieme. Stavano vicini in ogni momento: separarsi sarebbe stata la scelta meno saggia. Elisio osservava ogni punto della strada con sangue freddo. Nell'aria sentiva sempre più forte l'odore del pericolo, ma mai avrebbe lasciato trasparire quel tipo di emozioni, men che meno se con lui c'era Platan. Doveva mostrarsi forte e risoluto se voleva proteggerlo: sapeva che se lo avesse visto sicuro di sé questo lo avrebbe reso più tranquillo. Il Professore sembrava particolarmente concentrato, a dire il vero, perciò non se ne sarebbe dovuto preoccupare poi così tanto; tuttavia la sua irrequietezza veniva smascherata di volta in volta, quando dietro di loro udiva un rumore improvviso e si girava di scatto, ansioso, e sobbalzava e tremava. Ma bastavano pochi secondi e si ricomponeva subito.
Giunsero in uno spiazzo il cui soffitto era ricoperto da stalattiti lunghe ed appuntite.
Platan si arrestò. Tirò Elisio per una manica e gli indicò un punto lontano sulla parete di pietra. Dei fasci azzurri e luminosi si posavano fra le nervature delle rocce, diffondendo un po' di luce nell'ambiente circostante.
«Dev'esserci qualcosa da quelle parti.» suggerì Elisio.
«O qualcuno...» aggiunse Platan.
Nel buio aveva visto la figura di un uomo correre in quella direzione. Non era riuscito a vederlo in viso, poiché il lungo colletto del cappotto ne aveva celato le sembianze, ma al suo fianco aveva scorto per un attimo il Pokémon che lo accompagnava, un Croagunk. Silenziosamente si apprestarono a seguirlo, ma dopo pochi minuti ne persero le tracce. Si guardarono intorno, tuttavia non poterono trovare alcun indizio su quale direzione avesse preso. Si rassegnarono. Ripresero a camminare fidandosi del proprio istinto. Elisio posò un piede a terra. Il terreno era duro, ma più avanzava, più lo sentiva perdere robustezza.
E ad un tratto il pavimento franò.
Sentì Platan chiamarlo mentre un senso di vertigine gli attanagliava la testa. Sotto ai suoi piedi c'era il vuoto e guardando in basso non riusciva a vedere se vi fosse un fondo. Alzò lo sguardo e lo posò sulle dita di Platan strette ai suoi polsi, che dal bordo del precipizio cercava di tirarlo su. Dovette ammettere che non avrebbe mai creduto il Professore capace di una tale forza.
«Résiste!» gli stava dicendo, stringendo i denti per la fatica.
Gli sembrava come se, mano a mano che lo ripeteva, la stretta sui suoi polsi si facesse più forte e disperata. Spinse i piedi sulla roccia e cercando di scalare la pietra, tentò di aiutarlo. Finalmente era tornato in piedi, ma Platan non ne sembrava sollevato. Infatti alzò la testa in alto e, afferrando Elisio per un braccio, gli intimò di correre. E insieme presero a correre, sentendo le orecchie fischiare al suono delle stalattiti che cadevano ai loro piedi e si schiantavo a terra. Una di esse precipitò esattamente di fronte a loro, ma con un rapido scatto furono in grado di evitare il pericolo e di cambiare direzione. Era tutto una frantumarsi e sgretolarsi di rocce che rimbombava fra le pareti. Il suolo tremava, e loro perdevano l'equilibrio e cadevano, si rialzavano e correvano di nuovo da una parte all'altra, uno inciampava e l'altro lo tirava su, si rincorrevano in quella foresta di punte e di spine cercando di raggiungere la luce, quella luce che pareva talmente vicina eppure così irraggiungibile. Gli spuntoni continuavano a cadere, inesorabilmente, mettendoli incessantemente fuori pista. Elisio si spinse in avanti e dopo un ultimo sforzo riuscì a raggiungere la sponda sicura, il volto accarezzato da quei raggi azzurri.
Furono pochi istanti.
Allungò la mano verso Platan e lo tirò a sé, violento, rapido.
Subito dopo un colpo secco segnò la caduta dell'ultimo masso, bloccandogli per sempre la via del ritorno.
Fissarono la roccia in silenzio, col fiato spezzato. Nelle orecchie rimbombava ancora il rumore delle stalattiti che erano piombate accanto a loro. Platan abbassò la testa in un attimo di raccoglimento, poi la sollevò di nuovo, guardando il compagno in faccia.
«Tu t'es fait mal?» gli chiese, non si accorse di starlo stringendo sulle braccia.
Lui allontanò lo sguardo dal masso, si girò verso l'uomo e lo osservò, zitto.
«Non. Je vais bien.» rispose con uno sguardo confidente.
Il Professore si scostò, si voltò per capire dove fossero. La luce azzurra gli finì negli occhi, così li coprì con una mano. Guardò di nuovo e sul lato opposto vide una sorta di colonnato formato dalle stalattiti e dalle stalagmiti che si erano congiunte. Vi si avvicinò e poggiando la mano su uno dei pilastri si sporse un po' con la testa. Oltre lo strapiombo che aveva di fronte, sulla parete vedeva un'incisione di tempi molto antichi.
Da destra a sinistra un gruppo di uomini, in fila uno dietro all'altro, si dirigeva verso una scalinata, recando con sé dei doni e le teste di qualche Pokémon sacrificato. In cima alla scalinata, Dialga riceveva le donazioni e dava la benedizione ad ognuno dei presenti. Sulla roccia vi erano ancora delle tracce di colore, che seppur sbiadito suggeriva che un tempo l'immagine fosse stata dipinta di tonalità sgargianti. Sul petto del Pokémon Leggendario era stata incastonata una pietra azzurra che produceva una luce abbagliante.
«Di che pietra potrebbe trattarsi?»
«Ricordo una volta di aver letto una leggenda in cui si diceva che Dialga, per ricambiare gli uomini che lo avevano servito con così tanta riverenza, gli avesse affidato una piccola scheggia del diamante che ha sul busto. Anche Palkia doveva aver fatto la stessa cosa. Le loro pietre erano talmente brillanti da poter illuminare il cammino a coloro che si perdevano nella grotta.»
Si girò e alla loro sinistra notò, nascosta nella parete e rivelata dai raggi di luce, una stretta scalinata.
«È lì che dobbiamo andare. Quel passaggio ci porterà alla Vetta Lancia.»
 
«Fermati, Cyrus!»
«Temevo che non saresti più arrivata, Camilla. Vuoi ancora tentare di fermarmi?»
Voltò le spalle ai due Pokémon Leggendari e fissò la donna con due occhi gelidi.
«Ci siamo scontrati centinaia... migliaia di volte, e ancora tu non sei stanca di sprecare così le tue energie... Non lo capisci? Né tu né quegli altri ragazzini, voi non potrete battermi in alcun modo. Ormai è troppo tardi! Accettate la vostra sconfitta e assistete alla mia vittoria!»
«Te lo puoi scordare! Noi non te lo permetteremo, hai capito?!» gridò Barry agitando le braccia in aria.
«Calmati, Barry.» sussurrò Lucas, fermo accanto a lui «Non è il momento di andare in escandescenze, questo.»
Lucinda era rimasta un po' in disparte accanto ad una colonna, dietro alla figura rassicurante del Professore.
«Stupido marmocchio.» sibilò il Capogalassia «Credo proprio che mi libererò di te per primo, sei il più fastidioso.»
Alzò la Rossocatena al cielo e a pieni polmoni gridò: «Palkia, Dialga! Ascoltatemi! Liberate i vostri poteri, scatenate la vostra furia! E create per me un universo perfetto!»
Sul pavimento apparve una pozza di colore nero. Cyrus la osservò sorpreso, corrugando un sopracciglio.
«Che cosa significa questo?» sibilò a denti stretti, mano a mano che la sostanza si allargava sempre di più, fin quasi a toccargli le punte delle scarpe. La calciò via con un piede, cercando di scansarla, ma la cosa continuava a camminare e a espandersi, macchiando del suo colore scuro il pavimento della Vetta Lancia.
Dialga e Palkia rimasero fermi sulle loro zampe, osservando con sguardo severo ciò che stava accadendo.
La luce cominciò ad affievolirsi. Le nubi che già coprivano a mo' di coltre la cima del monte presero ad addensarsi e ad accorparsi con un movimento circolatorio più pesante di quello precedente. Camilla alzò lo sguardo al cielo e vide i tre Guardiani accavallarsi gli uni sugli altri, rompendo la traiettoria del loro moto e collassando caoticamente da una parte all'altra.
«Lucinda, sta' attenta!» gridò improvvisamente Lucas prendendo la ragazza per un braccio e tirandola a sé. La colonna sotto cui si era arrestata a guardare quella visione inquietante aveva iniziato a creparsi lungo i bordi, e presto, tra le varie nervature, la pietra aveva incominciato a sgretolarsi come polvere. La base aveva perso robustezza e, vacillando minacciosamente sopra le teste dei testimoni, era infine crollata ai loro piedi, rompendosi in miriadi di macigni che si erano schiantati per tutta la Vetta. Lucinda, stretta tra le braccia del giovane, fissava ora sgomenta il punto in cui era stata fino a pochi istanti prima, stringendosi con le unghie alla maglietta dell'amico. Rowan si avvicinò ai due ragazzi e li spinse insieme a Barry contro il suo petto per proteggerli dal pericolo imminente, che si preannunciava di straordinaria entità.
«Incredibile...» sussurrò Giovia, ferma vicino a Martes, con gli occhi sgranati. Infatti, le altre colonne che si trovavano al centro della piattaforma stavano lentamente cambiando aspetto: come se qualcuno le stesse tirando verso il centro, si stavano piegando sotto la pressione di una forza misteriosa. La luce era ormai scomparsa del tutto e ad illuminare il luogo vi erano solamente le pietre incastonate sui corpi dei Pokémon Leggendari.
Improvvisamente si spensero anche quelle.
Dalla sostanza nera si sollevò una mostruosa figura oscura. Dai suoi contorni gocciolava melma, raccolta sul suo corpo in quantità massicce. Restò immobile per interminabili istanti mentre nel silenzio che era piombato intorno si udivano solamente le gocce cadere sulla pietra. Così, ferma. Poi cominciò a muoversi, si allargava e si restringeva su se stessa, come se stesse respirando.
Camilla fece un passo indietro. Un secondo dopo l'altro stava realizzando ciò che stava per accadere, e da una parte grata che Platan ed Elisio non fossero venuti con lei.
La creatura si contraeva e si distendeva affannosamente, affamata d'aria e del terrore che stava suscitando nei presenti. Si apriva e si chiudeva. Dentro e fuori, fuori e dentro. Poi dai suoi fianchi fuoriuscirono quelle che dovevano essere braccia, o forse ali, con tre spuntoni rosso sangue da un lato e dall'altro. Si prolungarono con un rumore raccapricciante, simile ad un viscido stridio, fino a sfiorare le nubi con le loro punte aguzze.
La sua figura ormai sovrastava l'intera Vetta Lancia, la intrappolava fra le sue membra come fossero sbarre di una gabbia.
Non avevano via di scampo.

Nessuno sarebbe più riuscito a fuggire.
 
«Guarda lì, Platan: quell’incisione è simile a quella che abbiamo visto poco fa.»
«Sì, con Palkia al posto di Dialga. Dovremmo essere vicini, allora.»
Erano giunti in cima alla scalinata e gli mancava soltanto un ultimo tratto da percorrere prima di raggiungere la Vetta Lancia. La perla incastonata sul braccio di Palkia aveva rivelato una seconda scala e i due si stavano dirigendo lì.
«Fermi! Dove pensate di andare?» una voce giovane dietro di loro li aveva messi in allarme. Si erano voltati di scatto e Platan si era subito messo sulle difensive.
«Il Team Galassia...» sibilò portando la mano in tasca per afferrare la Poké Ball di Garchomp. Ci mancava solo quel contrattempo! Alzò la testa al soffitto, oltre il quale si ergeva probabilmente la Vetta Lancia. Che cosa stava succedendo là sopra? Con il Team Galassia intorno, non presagiva nulla di buono. Vide Elisio fare un passo in avanti ostentando la sua solita fierezza.
«Come ti chiami?» chiese al ragazzo.
«Saturno.» rispose quello scrutandolo senza fidarsi del suo tono docile «Sono uno dei comandanti del Team Galassia, scelto personalmente dal maestro Cyrus.»
«Saturno, capisco.» annuì e sorrise «Devi essere un giovane davvero astuto se sei riuscito ad arrivare così in alto, scelto inoltre da Cyrus in persona...»
Fece una pausa per studiare il volto del ragazzo e capire dalle sensazioni che ne trasparivano se c'era un modo per evitare lo scontro, nonostante sapesse che le speranze che ciò si sarebbe potuto avverare erano molto basse.
«Lui è qui?» domandò ancora.
«Sì. Volete arrivare da lui?» ridacchiò «Ma io di certo non vi lascerò fuggire così! Non permetterò che qualcuno intralci il cammino del capo! Verrà alla luce un nuovo mondo... e nessuno ne ostacolerà la venuta! Bronzor, Kadabra!»
«Come desideri, allora. Ma ti avverto che non sarà facile. Gyarados...!»
«Garchomp, vieni fuori!»
Elisio gli rivolse un'occhiata sorpresa: aveva pensato che non avrebbe avuto il coraggio di prendere parte alla sfida. Meglio così, si disse. Si scambiarono un sorriso, poi si voltarono verso il campo di battaglia.
«Lascio a te l'onore di sferrare la prima mossa.»
«Non aspettarti che io ti ringrazi.» disse Saturno rivolto al rosso «Kadabra, vai con Ondashock! Bronzor, usa Palla Ombra!»
Kadabra avvicinò le due mani e in mezzo ad esse apparve una sfera gialla attorno a cui si formavano di continuo numerosi fasci di scariche elettriche. Poi corse in avanti di qualche metro e allungando le braccia lanciò l'attacco contro il Gyarados di Elisio. Garchomp, evitando la mossa di Bronzor, si fiondò di fronte all'alleato e si addossò l'Ondashock senza farsi alcun danno.
«Molto bene. E ora, Gyarados, usa Idrondata.»
«Garchomp, vai con Dragartigli!»
Il drago d'acqua ringhiò minaccioso. Poi alzò la testa in alto per caricarsi. Intanto Garchomp aveva iniziato a scattare verso Bronzor con gli artigli che mano a mano si allungavano sempre di più, squarciando l'aria. Balzò addosso al Pokémon e lo colpì, ma questo con la sua corazza dura riuscì a parare la mossa e lo scaraventò indietro.
«Adesso, Gyarados!» intimò Elisio al Pokémon.
Gyarados ringhiò un'altra volta e finalmente mise in atto l'attacco, mandandolo a segno e provocando un danno di normali proporzioni a Kadabra.
«Psichico! Vortexpalla!»
«Terremoto.»
«Breccia!»
La battaglia infuriava fra un colpo e un altro, sul campo di battaglia che tremava e che cominciava a perdere resistenza alle pressioni che subiva. In pochi turni Bronzor fu messo al tappeto dai ripetuti attacchi di Garchomp, e anche Kadabra, ormai, si avviava alla propria sconfitta.
«Usa Ripresa!»
Contrariamente ad ogni aspettativa, invece, con quella mossa fu capace di riprendere le piene forze. Fissava i due avversari con uno sguardo rinvigorito, più aggressivo di prima.
«Dannazione, non ci voleva...» si lasciò scappare Platan.
«No, non è un problema.» disse Elisio mentre osservava il Golbat di Saturno prendere posto sul terreno «Guarda Gyarados.»
«Sembra affaticato.» commentò, notando la sua postura stanca e il modo affannoso in cui respirava.
«Sta perdendo la pazienza.» lo corresse il compagno «Tra poco andrà su tutte le furie. Immagino tu sappia che cosa succede quando un Gyarados si infuria, giusto?»
«Intendi sfruttare la sua rabbia? Ma così c'è il rischio che possa distruggere tutto!»
«In battaglia bisogna essere pronti a tutto. Anche il rischio a volte vale la pena di essere corso... se c'è in gioco la salvezza. Gyarados, Morso!» gridò: la lotta poteva riprendere.
Il Pokémon si gettò con violenza inaudita su Kadabra e lo strinse tra le proprie fauci senza dargli via di fuga. Kadabra si dimenò, il dolore era forte, troppo forte per poter essere sopportato. Gyarados lo scaraventò a terra e lo fissò con crudezza, i denti aguzzi sporchi del suo sangue. Kadabra stava per cedere, tuttavia gli rimanevano ancora un minimo di forze per poter sferrare un ultimo attacco. Mentre Golbat lanciava le proprie tossine velenose contro Garchomp avvelenandolo gravemente, cercò di rialzarsi, e con le membra doloranti si girò verso il proprio Allenatore per ricevere l'ultimo comando prima di essere sconfitto definitivamente. Platan era già pronto con l'Antidoto in mano, ma purtroppo non sarebbe servito.
«Divieto!»
Questa fu l'ultima mossa di Kadabra, che impedì a Garchomp di poter utilizzare qualsiasi strumento per potersi curare, condannandolo così ad una fine certa. Poi collassò, colpito da un ultimo e letale Morso di Gyarados.
Toxicroak prese il suo posto, più che deciso a vendicare la disfatta del compagno.
Corse verso il drago marino sferrandogli una Finta; intanto Golbat finiva il lavoro che aveva iniziato con Garchomp, assestandogli colpi che ne aggravavano ancora di più l'avvelenamento.
«Garchomp, stai bene?!» gli chiedeva preoccupato Platan ogni volta che lo vedeva cadere a terra allo stremo delle forze. Ma il Pokémon non rispondeva e continuava ad attaccare il nemico senza fermarsi, voleva dimostrargli che era forte, che ce la poteva fare, che doveva credere in lui. E in se stesso, anche.
Gridò inferocito e alzò le zampe in alto. Prese a correre velocemente con gli artigli che gli si infuocavano. Saltò, afferrò Golbat per le ali con i denti e lo graffiò in viso con un altro Dragartigli. Il colpo fu talmente forte che il pipistrello ci rimase secco.
«Gaaarchomp!» sibilò il Pokémon ripiombando sul terreno. Mentre Saturno si vedeva costretto a richiamare nella Sfera Poké anche Golbat, Garchomp si raggomitolò su se stesso emettendo un ringhio sommesso. Platan corse verso di lui e gli posò una mano sulla schiena.
«Garchomp, va tutto bene?» gli chiese. Poi si scostò perché aveva sentito la sua pelle tremare e abbassarsi improvvisamente di temperatura. Lo guardò negli occhi sorpreso. Gli effetti dell'avvelenamento erano svaniti.
«Ti sei curato da solo?» sussurrò, perché non riusciva a credere a ciò che il Pokémon aveva appena fatto «Lo hai fatto per me?»
Garchomp annuì. Poi scosse la coda in aria, fermandola di fronte al suo viso. Gli lasciò toccare il cinturino legato attorno ad essa in cui teneva inserita la sua Megapietra.
«Oh, ma io non posso, Garchomp... Non ne sono all'altezza, lo sai...» gli disse dispiaciuto, spingendo via la sua coda con delicatezza.
«Chooomp! Chomp Chomp!» ringhiò, volendogli dire che non era vero e che ciò che era successo alla Torre Maestra non importava niente, che era stato solo un incidente. Gli prese il viso tra le zampe e lo fissò negli occhi.
"Devi avere fiducia in me. In noi."
“Ah, Garchomp... Ma io ho fiducia in te, è in me che...” pensò.
Sospirò e scosse la testa.
«E va bene. D’accordo, proviamoci un’altra volta!»
Indietreggiò di qualche passo.
«Garchomp!» lo chiamò con voce decisa. Il Pokémon si mise in posizione, pronto a ciò che sarebbe accaduto a breve. Platan toccò la pietra incastonata nell’anello e alzò la mano mentre dal gioiello si generavano miriadi di fasci di luce colorati, illuminando la grotta molto più di quanto stava facendo la perla nel dipinto di Palkia.
«Megaevolvi!»
Attorno al Professore si generò una forte corrente ed un guscio luminoso intriso della polvere delle rocce si racchiuse attorno al Pokémon, in procinto di evolversi.
Gyarados e Toxicroak si girarono dal lato opposto, non sopportando la vista di tutta quella luce. Anche Saturno, malvolentieri e incredulo di fronte a quello che stava succedendo, fu costretto ad allontanare lo sguardo. Elisio invece si sforzò di resistere, perché finalmente, dopo averlo desiderato a lungo, poteva assistere alla Megaevoluzione di un Pokémon. Lo trovava uno spettacolo meraviglioso e potente. Non vedeva l’ora che il guscio si schiudesse per mostrare finalmente le nuove sembianze di Garchomp, tremava al solo pensiero. Tuttavia si trattenne, si trattenne come aveva e avrebbe sempre fatto.
E Platan era stupendo immerso in quello splendore. Lui stesso brillava ed era luce, sfavillava come una stella.
La trasformazione terminò. Garchomp avanzò, il suo aspetto era ancora più imponente di prima. Sul petto e sulle braccia gli erano cresciuti numerosi spuntoni che lo facevano appare più aggressivo, mentre gli artigli sulle sue zampe si erano allungati e affinati, simili a lame. Elisio osservava le nuove apparenze del Pokémon con il fiato sospeso, mentre Saturno, con le mani tremanti, cercava di capire che cosa era appena successo.
«Si chiama Megaevoluzione.» spiegò Platan «Ma permettimi di darti una dimostrazione pratica di ciò che comporta... Garchomp, usa Breccia davanti ai tuoi piedi!»
Il Pokémon obbedì al comando e colpì il terreno. Il colpo fu talmente forte da provocare una spaccatura che raggiunse Toxicroak e la massa d’aria prodotta spinse lontano il Pokémon nemico.
«Pazzesco!» esclamò il ragazzo, disperato e stupefatto insieme «Con un solo colpo ha prodotto tutta questa energia!»
«Incroyable, non?» disse il Professore con un sorrisetto sulle labbra.
«Devo ammettere che anche io sono rimasto sorpreso, caro Platan.» si aggiunse Elisio «Forte sì, ma non immaginavo fino a questo punto.»
«Comunque io non mi arrendo mica! Toxicroak, vai!»
E ricominciarono a combattere, a sferrarsi attacchi su attacchi, a parare colpi e a rotolare per terra. Poi, ad un tratto, dato che stava andando troppo per le lunghe e che Saturno si mostrava davvero tenace e imbattibile, Elisio e il Professore si scambiarono un’occhiata. Forse non era del tutto corretto, pensava Platan un po’ contrariato, ma dopotutto la situazione era quella che era. Non potevano sprecare altro tempo: non ce n’era più.
«Garchomp, avvicinati a Gyarados.»
«Gyarados, lascia salire Garchomp sul tuo dorso.»
Garchomp guardò i due con stupore.
«Fai come ha detto.» lo incoraggiò Platan sorridendogli.
 
Si mossero insieme con un attacco combinato.
Tornarono dai loro Allenatori, Toxicroak ancora resisteva.
«Mi fa davvero piacere che tu abbia allenato il tuo Pokémon così!» il Professore si rivolse a Saturno: era sincero. Vedere i Pokémon e le persone lottare le une accanto alle altre per difendere ciò in cui credevano lo riempiva di gioia. Avevano proprio un bel legame! Tuttavia non poteva permettere che Cyrus e il Team Galassia riuscissero nei loro piani. Gli dispiaceva un po’, ma doveva mettere la parola fine a quella lotta.
«Elisio,» chiamò il compagno, ma questo aveva già capito. Si accostarono l’uno vicino all’altro e alzarono un braccio in avanti.
«Sei pronto? Un ultimo colpo e abbiamo vinto, Platan.»
«Sono pronto.»
Si guardarono un attimo negli occhi e si sorrisero. Ce l’avrebbero fatta.
«Iper Raggio!» gridarono ad una sola voce.
Ed ecco che Gyarados e Garchomp si scagliavano sul nemico con il loro ultimo e vigoroso attacco: un Iper Raggio potentissimo e accecante. I due raggi si unirono nella loro traiettoria, avvolgendosi a spirale l’uno sull’altro.
 
All’improvviso una parte di terreno si alzò, formando uno scudo davanti al Pokémon e facendo rimbalzare il colpo all’indietro. Garchomp, ricordando ancora l’incidente di quella sera, spinse Platan lontano insieme ad Elisio, parando il colpo per quanto riuscisse, aiutato da Gyarados. Il raggio si dissolse nell’aria e si precipitarono tutti a vedere quella strana sporgenza. Se ne formarono altre, così dal nulla, di varie forme: aguzze, curve, dritte, spezzate. Era tutto distorto. La terra ricominciò a tremare e dal soffitto caddero nuovi macigni. Alcuni precipitarono su Saturno, ma fortuitamente riuscì a proteggersi. Platan gli corse in contro per andare in suo soccorso. Lo prese per un braccio e cercò di tirarlo via dicendogli che quel posto non era più sicuro, che se ne dovevano andare, che altrimenti...
«È la fine del mondo.» sibilò il ragazzo. Si strattonò via e strinse a sé Toxicroak.
«Cyrus ci è riuscito. Sta per creare un nuovo universo. Abbiamo vinto noi.»
Il Professore lo osservò terrorizzato. Come poteva dire quelle parole con quel sorriso in faccia?
Saturno scoppiò a piangere, mentre intorno i macigni continuavano ancora a cadere e a sfiorarli di pochi metri.
«Devo andare dai miei compagni.» disse «Devo proteggerli.»
Si alzò e fece per andarsene.
«Saturno, perché?! Perché fai tutto questo?!» gli chiese Platan, cercando di trovare una risposta.
«Il mondo in cui viviamo ora mi fa ribrezzo! È un mondo in cui dominano il dolore, la paura, la sofferenza, l’avidità, l’odio... Vorrei creare anch’io un mondo privo di queste emozioni che mi portano solo a star male... Ma non così! Tutto ciò è una pazzia! Salite quella scala. C’è un ultimo tratto da percorrere accanto a una cascata. Salite ancora. Poi una porta vi indicherà l’entrata alla Vetta Lancia. Adesso andate! E ve ne prego, fermate Cyrus!»
Fuggì lontano ed Elisio e Platan non lo videro più. Salirono velocemente la scalinata indicata dalla luce della perla, poi corsero ancora fino a raggiungere la cascata.
«Non è possibile!» esclamò il Professore coprendosi la bocca. Anche Elisio stavolta non poté trattenere lo sconcerto. Spalancò gli occhi e rabbrividì. Il fiume scorreva al contrario. Dal basso l’acqua saliva lungo la parete di pietra e poi proseguiva all’indietro. Era talmente assurdo che non riuscivano a crederci.
«Platan, credi che Cyrus abbia...?»
«Non lo so.» rispose salendo sulla schiena di Mega Garchomp «Ma noi dobbiamo fermarlo. Garchomp, aiutami a raggiungere quell’altura! In fretta!»
 
Un ruggito tremendo si diffuse sulla Vetta Lancia non appena Garchomp vi mise piede sopra.
La creatura era ancora ferma e non si era mossa per tutto il tempo, fatta eccezione per quel suo allargarsi e restringersi.
Lucinda fu la prima a voltarsi per vedere da dove provenisse quel ringhio che l’aveva spaventata. Si scostò da Rowan e non appena posò lo sguardo davanti alle porte della Vetta rimase a bocca aperta.
«Zio Platan!» esclamò, non sapeva se essere contenta o meno di vedere anche lui lì.
Immediatamente dopo aver udito quel nome, il Professor Rowan si girò a sua volta. Fissò gli occhi sui suoi, luminosi e pieni di vigore. Gli girava la testa. Perché era lì? Non doveva esserlo. Sarebbe dovuto rimanere lontano, lontanissimo, dove il Monte Corona neanche si poteva vedere all’orizzonte. Che cosa pensava di fare in quel posto? Era forse convinto di poter sistemare quel disastro? Rivolse un’occhiata fredda a Camilla ed ella abbassò la testa, mortificata e confusa. Eppure si era assicurato di farlo stare alla larga, lei glielo aveva promesso. Perché le cose erano finite in quel modo?
I tre ragazzini parlottavano fra loro: «È lui? È il Professor Platan, quello?», «Il Professor Platan? Quello che lavora nella regione di Kalos?», «Deve aver fatto davvero un viaggio lunghissimo per venire qui! Kalos è così lontana!», «Sì, zio Platan è il Professor Pokémon della regione di Kalos! È molto bravo, sapete?», «Ma quell’altro chi è?», «Non saprei, non l’ho mai visto...»
Soltanto in quel momento Rowan si accorse che al fianco del suo figlioccio c’era Elisio. Per qualche secondo si sentì rincuorato. Voleva avvicinarsi a lui, ma Platan gli fece cenno di rimanere fermo: la creatura aveva aperto gli occhi e li stava scrutando tutti, uno per uno, incastonando quei due punti rossi come rubini per secondi interminabili sui visi di ognuno. Non ne era sicuro, ma Elisio ebbe la sensazione che su di lui e sul suo compagno si fosse soffermata più a lungo degli altri.
Li riconosceva, la creatura. Ne aveva sentito parlare dagli altri Leggendari mentre era imprigionata nel suo mondo, lontana da loro. Ma si sarebbe vendicata, stavolta, si sarebbe vendicata eccome. Ancora li stava guardando e intuiva che erano vicini e che avrebbero desiderato stringersi l’uno all’altro per proteggersi reciprocamente. Ma non ci sarebbero riusciti. Si alzò in volo ed emise un grido fiondandosi su di loro. Dialga e Palkia cercarono di liberarsi dalle catene in cui Cyrus li aveva legati per poterla fermare, ma l’uomo, con voce dominante, disse: «Siete in mio potere, adesso. Non potete muovervi.», e intanto osservava quella scena particolare, chiedendosi perché mai la creatura stesse versando la propria furia proprio su quei due. Chi erano? Uno era il Professor Platan, certo. Anche l’altro gli era familiare, gli pareva d’averlo visto qualche volta alla televisione. Qualche pezzo grosso di Kalos, probabilmente. Ma per quale motivo abbattersi su di loro?
L’essere li aveva quasi in pugno, quando Garchomp con uno sforzo immane lo scaraventò via. La Megaevoluzione era terminata ed ora si teneva in piedi a fatica, barcollava da una parte all’altra. Platan gli andò vicino e gli fece una carezza per ringraziarlo, poi lo richiamò nella Poké Ball per farlo riposare. Alzò la testa e incontrò gli occhi della creatura.
«Giratina.» disse con un filo di voce. Elisio era dietro di lui, pronto a caricarselo addosso e a correre se si fosse permessa di attaccarli un’altra volta. E quella lo fece, sparandogli un raggio nefasto addosso, ma lui non fu abbastanza rapido: si chinò quindi sul Professore, il colpo diretto lo avrebbe preso lui, sperando che l’altro se la sarebbe cavata con qualche danno più lieve. Rimasero tutti col fiato sospeso, ansiosi, nella macabra rassegnazione che l’attacco sarebbe andato a segno.
Il colpo però non arrivò.
Elisio stringeva le mani di Platan e spingeva la testa sul suo collo, aspettava ancora. Aspettava, ma non c’era nulla. Un silenzio ovattato.
Sentì le dita di lui scivolare via dalla presa e accarezzargli una guancia, gli stava tirando su il viso.
«Guarda.» il sussurro giunse alle sue orecchie, e guardò.
 
Non aveva mai visto un Pokémon simile in vita sua. Il suo pelo era bianco candido, il suo corpo era circondato da una ruota dorata e il suo aspetto era talmente maestoso da metterlo in soggezione. Ed era bello, bellissimo. Gli stava parlando e la sua voce era meravigliosa, melodiosa come il suono di centinaia di campanelli. Stava dicendo a lui e a Platan di non avere paura, che non gli sarebbe accaduto nulla, che li avrebbe difesi. Tutti gli altri guardavano, stupefatti, ma non potevano sentire le sue parole. Stava parlando soltanto a loro due, telepaticamente. Il Pokémon si mosse e guardò Giratina con sguardo severo.
«Vattene. Torna nel tuo mondo.» disse, stavolta facendosi sentire da tutti quanti.
«Non ho intenzione di sottomettermi ancora al tuo volere, Arceus.» nel Pokémon ribelle persino la voce aveva un che di distorto, innaturale, deformato «Sono stato tuo prigioniero per troppo tempo. È giunto il momento di vendicarmi di ciò che mi hai fatto millenni fa!»
Si scontrarono, si colpirono ferocemente. Diedero inizio ad una nuova battaglia.
La Vetta Lancia divenne un inferno. Nessuno sapeva cosa fare e ognuno cercava di mettersi al sicuro in qualche modo. Tutti tranne Cyrus. L’uomo osservava in silenzio i due Pokémon mentre lottavano tra loro. Era impaziente ed irritato. Si era trovato così vicino al suo traguardo, ed ora si vedeva costretto ad arrendersi. Ma no. Mai e poi mai avrebbe permesso a qualcuno di ostacolarlo, neanche si fosse trattato del Pokémon più potente dell’universo. Era suo, l’universo. Spettava a lui governarlo. Chiamò di nuovo Dialga e Palkia. Martes corse al suo fianco e cercò di farlo ragionare prendendolo per il braccio che stringeva la Rossocatena.
«Non ora, Cyrus! O moriremo tutti!» gridò.
«Lasciami stare, Martes!» le disse con freddezza.
«Ti prego, Cyrus! Ti supplico!» aveva le lacrime agli occhi e si avvinghiava a lui con le unghie, graffiandolo.
«Sei patetica.»
E si sentì morire, il cuore strangolato e squarciato in infiniti frammenti.
Intanto i due Pokémon continuavano a colpirsi, a lanciare attacchi che si schiantavano sulla pietra, e ancora, come se mai avesse smesso, il suolo tremava.
«Elisio, fa’ attenzione!» disse Platan ponendosi di fronte all’uomo. La melma di Giratina che era rimasta al centro della pedana aveva preso a muoversi. Il Pokémon era in grado di controllarla e aveva deciso che se ne sarebbe servita per metterli in pericolo: sembravano stare a cuore ad Arceus, e porre la loro vita a rischio sarebbe stata una vulnerabile debolezza per abbattere la Creatura Originaria. La poltiglia camminava, strisciava come un Ekans fra le lastre, viscida e scura. I due si misero a correre. Ma dove potevano correre? Non vi era un posto sicuro, ogni cosa era dominata dal potere di Giratina e li avrebbe potuti colpire fatalmente. La melma inoltre non si dava pace e di volta in volta li raggiugeva. Non avevano scampo. Si fermarono sull’orlo della pedana. Di fronte a loro, il liquame li teneva in allerta. Dietro invece, avevano il vuoto. La cosa avanzava adesso con lentezza, come se provasse gusto a tenerli in angoscia.
«Reste près de moi.» sibilò il Professore rimanendo davanti ad Elisio. Non aveva intenzione di indietreggiare, se la melma lo avesse raggiunto allora si sarebbe lasciato andare ad essa. Lui prima di Elisio. Era l’unica cosa che poteva fare. Ma aveva fiducia, e le cose sarebbero andate per il verso giusto, alla fine. Si presero per mano e restarono in attesa.
Lucas, Barry, Lucinda e Camilla, insieme ai loro Pokémon, aiutavano Arceus a contrastare la violenza di Giratina senza arrendersi. A loro si era aggiunta anche Giovia, intimorita dalla piega che aveva preso la situazione. Cyrus, incurante di tutto, continuava a tentare di dare ordini a Palkia e Dialga. Martes si era abbandonata a se stessa, mentre il Professor Rowan, non avendo nulla con cui essere di giovamento, non poteva far altro che rimanere a guardare. Ogni tanto Platan rivolgeva lo sguardo a lui per assicurarsi che non gli accadesse nulla. In fondo non poteva fare a meno di volergli bene. Poi improvvisamente un po’ della sua fiducia scomparve.
«PROFESSOR ROWAN!» lo chiamò con tutto il fiato che aveva. Ma il Professore era a terra, freddo, esanime, e non lo sentiva. Arceus venne richiamato da quel grido disperato e attaccò Giratina con più forza. Questo per un attimo s’indebolì, e contemporaneamente anche la sua melma, che si ritirò, deteriorandosi. Platan lasciò bruscamente la mano di Elisio e corse verso l'anziano, si gettò ai suoi piedi.
«Professor Rowan! Professor Rowan!» lo chiamò di nuovo.
Lucinda lo raggiunse, preoccupata, mentre Camilla restò a guardare, immobile. Non poteva allontanarsi, doveva aiutare i ragazzini. Ma il Professor Rowan era a terra ed era stato accidentalmente colpito da uno dei loro attacchi. Cosa doveva fare? Il rosso accorse, scostò Platan con delicatezza e poggiò due dita sulla carotide del Professore per sentire il suo battito. Lievemente, ma il suo cuore batteva ancora, e respirava, dal naso soffiava a poco a poco un po’ d’aria. Aveva solamente perso i sensi. Lo prese tra le braccia e si alzò, cercando un punto sicuro dove avrebbe potuto farlo riposare. Alcune colonne in fondo alla pedana erano crollate le une sulle altre e avevano creato una sorta di piccolo antro.
«Sta bene.» disse Elisio rivolto a Camilla «Platan se ne prenderà cura. Non preoccuparti.»
Poi si diresse verso la grotta con Lucinda e il suo compagno e una volta arrivati distese il Professore a terra, supino, in modo che potesse respirare più facilmente. Disse ai due di fargli da guardia.
«Resta qui e proteggili. Dopotutto è per questo che sei venuto, no?» fece, una volta che Platan si fu seduto accanto al corpo dell’uomo. Lucinda si era accucciata al suo fianco e osservava il viso del vecchio Professore.
«Sì, è vero. Lo farò.» rispose Platan «Ma tu?» aveva fiducia, tuttavia era anche impaurito per lui.
«Io so cavarmela.»
Si guardarono per un po’, silenziosi, ed Elisio scorse una scheggia plumbea in quel già grigio dei suoi occhi grandi. Si tolse la giacca e gliela mise fra le mani.
«Tiens.» disse «Coprilo con questa. Fa freddo, e la cosa importante adesso è mantenerlo al caldo.»
Platan lo ringraziò. Si osservarono ancora qualche istante, poi Elisio si alzò e si allontanò.
«Mi fido di te!» gridò l’uomo dai capelli scuri prima che fosse troppo lontano. Lui si voltò un’ultima volta nella sua direzione e sorrise, dicendogli che faceva lo stesso nei suoi confronti. In fine corse via e andò ad aiutare gli altri.
Anche sulle labbra di Platan si formò un timido sorriso che piano piano si allargò sempre di più. Si chinò sul Professore e lo coprì con la giacca di Elisio. Per un attimo gli giunse il suo profumo nelle narici, un profumo che sapeva di gigli. Poi lasciò andare la schiena sulla pietra e sospirò.
«Sai, per un attimo ho pensato che volesse darla a te.» disse la ragazzina sorridendo.
«Ah, davvero?» ridacchiò imbarazzato «Elisio è una persona premurosa, cerca sempre di aiutare il prossimo... È gentile.» spiegò.
«Siete amici?» chiese.
«Sì. Amici molto stretti.» rispose.
«Molto stretti.» ripeté «Sai, zio Platan,» lo chiamava “zio” ma il loro rapporto era più simile a quello fra cugini «sono davvero contenta di rivederti! Anche se avrei preferito farlo in circostanze diverse...»
«Anch’io sono felice di rivederti, Lucinda! È passato tanto tempo...»
Le sorrise e vedendo il suo viso un po’ turbato, allargò le braccia.
«Vieni.» le disse. L’abbracciò e la strinse a sé, accarezzandole i capelli come aveva fatto quando era stata piccina, in quelle notti in cui era venuta a cercarlo per trovare conforto dopo un incubo improvviso.
«Vedi,» le confidò «io ed Elisio ci siamo fatti una promessa, un giorno, tanto tempo fa. Io ho fiducia in quella promessa. E in lui. Perciò non temere... Andrà tutto bene.»
 
«Ti avevo detto che dovevi proteggerlo!» disse Camilla una volta che Elisio le si fermò accanto.
«È quello che sto facendo. Lì è più al sicuro di qui.» le disse in risposta.
Prese la Ball di Gyarados in mano, ma non era sicuro che sarebbe riuscito ad affrontare un altro scontro: già il precedente era stato abbastanza duro.
«Ma io ti avevo detto di rimanere a casa finché non sarei tornata! Di certo avremmo evitato tutto questo!» continuava ancora lei.
Elisio le rivolse un’occhiata insistente.
«Allora come mai hai registrato quella conversazione? Pensavo lo avessi fatto di proposito per spronarlo a venire, nonostante Rowan fosse contrario!»
Quella lo guardò sorpresa e le ci vollero pochi istanti per capire a quale conversazione si stesse riferendo.
«Io non ho registrato nessuna conversazione!» esclamò, ma si dovette ricredere.
La sera prima, mentre i due si stavano sistemando nella loro stanza, aveva ricevuto la telefonata del Professor Rowan. Mentre teneva la cornetta in mano si era poggiata sul telefono e aveva accidentalmente schiacciato il pulsante della registrazione senza accorgersene. Poi era andata dalla nonna per chiedere consiglio su quanto le aveva detto il Professore: non voleva lasciare indietro Platan, sentiva come di fargli un brutto torto. Tuttavia le cose erano finite così ed ormai era troppo tardi per rimuginarci sopra. Non disse nulla. Si limitò a guardare Elisio con uno sguardo misto tra il dispiaciuto e l’arrogante: che poi, chi gli aveva dato il permesso di ascoltare le registrazioni sul suo telefono? La loro divergenza venne interrotta dal grido di uno dei ragazzi.
Di fronte a Cyrus si era aperto un varco. L’uomo lo osservava con un sorriso inquietante mentre stringeva tra le dita la Rossocatena. L’accesso al Mondo Distorto aveva preso finalmente una forma concreta. Dentro di esso si potevano vedere le sue sembianze: c’erano isolotti e terre, corsi d’acqua, cascate, monti, piante altissime che toccavano il cielo. Tuttavia non c’era ordine. Ogni tanto gli alberi sembravano sparire, ma ricomparivano pochi secondi dopo qualche metro più avanti, come se si spostassero; le isole fluttuavano nell’aria, si muovevano in su e in giù, a sinistra e a destra; e le cascate, le cascate scorrevano al contrario. Un mondo in cui non c’erano regole. Un mondo in cui le regole le avrebbe poste lui, Cyrus, il bellissimo e geniale Cyrus, che per tutta la vita era stato respinto e disdegnato da quell’altro mondo a cui apparteneva, incompreso, come fosse stato un pazzo, abbandonato da coloro che gli erano stati cari. Ma ora le cose sarebbero cambiate. Allungò una mano verso il portale e gemette nell’accarezzare finalmente il suo nuovo mondo, nel sentirlo pulsare fra le sue dita.
«Cyrus, non avvicinarti!» era Elisio che gli era corso in contro e lo aveva afferrato per le spalle, strattonandolo via dal varco.
«Adesso ti ci metti anche tu? L’amichetto del Professore... Qual è il tuo nome?»
«Elisio.»
«Elisio, dimmi. Per quale motivo lo fai? Per gioia? O per amore, forse? Stai proteggendo un mondo che non merita di essere difeso. Non è così? Spiegami, allora. C’è qualcosa per cui valga la pena lottare in questo universo? La gioia è fuggevole, basta una piccola delusione per scacciarla via. E l’amore è ancora più inutile e crudele, perché se non è ricambiato ci tormenta, ci strazia; e se invece lo fosse svanirebbe per uno sciocco litigio, per qualche stupido disaccordo. L’amore si sgretola, se ne va un pezzetto alla volta, si sciupa, finché nell’animo non rimane altro che un’enorme desolazione. Pensaci, e dimmi: non è forse vero?»
Rimase paralizzato mentre nella testa riaffiorava il ricordo di quella donna maledetta. Digrignò i denti.
«Allora sei d’accordo con me.» sibilò Cyrus notando l’espressione carica di odio che si era formata sul suo viso. Perché si stava facendo manipolare così da un uomo del genere? Era un folle, non glielo poteva permettere!
«Sta’ zitto.» gli disse «Sei un essere senza emozioni. Sei un mostro. Che puoi saperne?»
«Prima di diventare un mostro, ero un uomo, esattamente come te. Ho capito che la mia natura non avrebbe fatto altro che nuocermi. E così, sono giunto alla conclusione che l’unico modo per sopravvivere è quello di privarmi del mio spirito. Vieni con me. Ti mostrerò un nuovo mondo in cui non sarai più costretto a soffrire a causa di questa tua debolezza.»
«Mai!»
«E allora levati di mezzo!»
Lo colpì sul viso con un pugno, facendolo indietreggiare di qualche passo. Elisio si pulì la bocca sporca di sangue e lo osservò, carico di astio. Perché le persone erano così in quel mondo orrendo? Non lo poteva sopportare, gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Prese la rincorsa per raggiungere di nuovo l’uomo, ma qualcosa di pesante si scaraventò su di lui, facendolo cadere a terra e impedendogli di muoversi. Alzò lo sguardo ed incontrò gli occhi rossi fiammeggianti di Giratina.
«Maledetto.» sussurrò con voce fioca, non sapeva nemmeno lui se fosse rivolto al Pokémon o a Cyrus. Si sentiva stanco e debole, faticava a tenere gli occhi aperti. Gli girava la testa e aveva le vertigini. Vide confusamente Camilla che cercava di bloccare il Capogalassia e lui che veniva risucchiato all’interno del varco con un ghigno morboso sulle labbra. Martes gridava straziata. Cyrus scomparve, divorato dall’altro Mondo. L’ultima cosa che vide fu il suo sguardo ossessivo e gelido, folle, poi gli si chiusero gli occhi.
E il buio lo circondò.

 


 

Gente, ecco a voi l'ultimo capitolo. Manca soltanto l'epilogo e la storia sarà finita.
È il capitolo più lungo che abbia mai scritto in vita mia, succedono davvero tante cose. È la prima volta che mi cimento in una cosa del genere con così tanti personaggi tutti insieme... Vederla finita è una vera soddisfazione!
Ho mischiato un po' le carte in tavola, come al solito!
Elisio e Platan ormai sono diventati una coppia a tutti gli effetti, credo che sia palese! c': Ma da qui fino a vederli dichiararsi a vicenda il loro amore bisognerà aspettare ancora un po'...
Saturno è il membro del Team Galassia che alla fine si ribella agli ideali del gruppo. Non potevo definirlo in modo precisissimo, ma spero che con quella frase sia chiaro ciò che stesse pensando. Mi sono concentrata di più sul personaggio di Cyrus. Non è ironico che Elisio cerchi di fermarlo, ma poi rischierà di fare la stessa fine?

Come mai Arceus stava proteggendo proprio loro?

Che cosa è successo quel giorno, tanto tempo fa? Che senso ha quella promessa?

E il Professor Rowan si riprenderà?

Ed Elisio?

Quante domande ancora senza risposta... Ma a suo tempo ogni cosa verrà rivelata!

...Oh, e avete riconosciuto il misterioso figuro che girava per Monte Corona assieme a Croagunk? Non avrà un ruolo particolare nella serie, ma un altro personaggio che si intreccerà con lui invece sarà incisivo.

Spero che il capitolo abbia soddisfatto le vostre aspettative!

A presto,


la vostra Persღ

 


~ L'angolo del francese ~
 

*"Bon" = "Bene"
*"Résiste!" = "Resisiti!"
*"Tu t'es fait mal
?" = "Ti sei fatto male?"
*"Non. Je vais bien" = "No. Sto bene"
*"Incroyable, non?" = "Incredibile, no?"
*"Reste prés de moi" = "Stammi vicino"
*"Tiens" = "Tieni"


 

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Capitolo 6
*** Epilogo ***



.Epilogo.

C’era silenzio. Uno di quei silenzi calmi, che ti riempiono la testa subito dopo aver sentito un enorme frastuono, uno di quei silenzi che ti vorrebbero consolare, che finalmente ti dicono: è finita. L’orologio appeso alla parete, sopra la sua testa, ne scandiva gli attimi. Ogni tanto qualche dottore passava, gli orli del camice dondolavano, lenti, oppure un gruppo di medici correva trasportando un corpo sulla barella, ansioso, gridava degli ordini e delle istruzioni con voce ferma a chi li precedeva lungo il corridoio bianco candido. Spesso vedeva un Chansey di passaggio che si spostava da una stanza all’altra da chi avesse avuto bisogno dei suoi poteri curativi, ma ancora più frequentemente c’erano due o tre infermiere che circolavano da quelle parti soltanto per vedere il bel Professore venuto da lontano, un po’ per curiosità, un po’ attratte dal fascino che la sua figura emanava. Lo guardavano di striscio mentre bisbigliavano fra loro, poi incontravano i suoi occhi e arrossivano. Platan ad ognuna di esse rivolgeva sempre un sorriso gentile e qualche volta le salutava anche, nella speranza che qualcuna lo chiamasse, che gli si avvicinasse per parlargli, per dirgli come stava. Ma nessuna l’aveva mai fatto, ancora. Così, dopo che s’erano allontanate, sospirava e inclinava indietro la testa.
«Ha soltanto bisogno di un po’ di riposo, nulla di più.»
Platan si alzò, riconoscendo la voce. Andò verso l’ala destra del corridoio e si fermò, vedendo che il medico non aveva ancora finito di parlare con Elisio.
«Lo sforzo compiuto ultimamente,» gli stava dicendo «adesso le si sta ritorcendo contro, perciò è normale che di tanto in tanto senta un leggero mal di testa. Si prenda qualche giorno di vacanza e cerchi di non affaticarsi, dorma qualche ora in più: vedrà che presto sarà di nuovo in forma.»
«Va bene. La ringrazio, dottore.»
«Grazie a lei.»
Il medico si voltò per rientrare nella propria stanza. Sorrise leggermente nel momento in cui, vedendo Platan lì in fondo, gli lesse nello sguardo l’impazienza che aveva di poter andare in contro al suo amico. Chiuse la porta e li lasciò soli. Elisio si girò e si sorprese nel momento in cui si accorse che lui era lì, fermo, che lo attendeva. Aspettava proprio lui, soltanto lui. Quel pensiero gli dava una bella sensazione, ma si sforzò di nasconderlo.
«Credevo fossi dal Professor Rowan.» disse, e gli si avvicinò.
L’altro scosse la testa facendo agitare in aria i boccoli scuri: «No.» fece «E a dire il vero non ci sono neanche passato, ancora. Ho incontrato Lucinda poco fa e mi ha detto che ancora non si può andare da lui. Lei non l’hanno fatta entrare.»
«Ho capito. Cosa intendi fare ora?»
«Sedermi e aspettare. Ti unisci a me?»
«D’accordo.»
Si sedettero e rimasero in attesa, silenziosi. Platan guardava Elisio e ogni tanto gli sbocciava un sorriso sulla bocca, impacciato ma di una tenerezza infinita. Non si curava più delle infermiere, né dei medici o dei Chansey che con la loro andatura goffa correvano di qui e di là. Elisio era di nuovo con lui.
«Nessuno veniva a dirmi niente... Se devo essere sincero, mi stavo preoccupando un po’.»
«Mi hanno fatto qualche controllo generale e un paio di analisi, è stato abbastanza lungo. Ma non hanno trovato nulla di pericoloso.»
Platan annuì e si accarezzò i capelli.
«È da molto che aspetti?»
«No, no. Sarà un’ora e mezza, due ore...» si accorse che effettivamente era passato un po’ di tempo «Beh, ma che importa!» esclamò «L’importante è che siamo di nuovo insieme! Giusto?»
«Giusto.» e si coprì le labbra per nascondere un sorriso: Platan era tornato il solito imbranato con un cuore grande quanto una casa, e questo bastava per risollevarlo almeno in parte da tutte le peripezie che avevano affrontato. Ai suoi piedi vide una valigetta, ma si accorse che non era la sua.
«È quella del Professor Rowan, infatti. Quando i soccorsi sono venuti a prendervi era rimasta sulla Vetta Lancia. Gliela sono venuta a riportare.» spiegò tirandola su e mettendosela sulle gambe. Ci passò la mano sopra. Com’era buffo che dopo tanto tempo ancora si ritrovasse a fare ciò che faceva a diciassette anni! Nulla pareva essere cambiato, eppure tutto era diverso, ora che era con Elisio, ora che... Lo guardò. Lasciò cadere la valigia e si strinse a lui, contro il suo braccio, poggiando la testa sulla sua spalla.
«Sono felice.» disse semplicemente.
Non parlarono molto. Ogni tanto si scambiavano qualche battuta, ma per il resto preferivano ascoltare la sensazione che sentivano nello stare insieme, finalmente liberi dopo quel travaglio.
«Il dottore ha detto che ho bisogno di prendermi qualche giorno di riposo. Mi piacerebbe approfittarne per vedere Sinnoh.»
«Certamente. Ci sono tantissimi posti da vedere... Potremmo andare a fare un pic-nic a Giardinfiorito, oppure visitare la chiesa di Cuoripoli o vedere i tre Laghi, ma ci sarebbero moltissime altre cose... Ti porterò ovunque, se vorrai.»
Le loro voci erano basse: stando così vicini non avevano bisogno di alzare il tono.
Gli occhi grigi di lui erano socchiusi con dolcezza mentre si immergevano in quelli dell’altro, azzurri e tenui come le acque di un lago.
«Abbiamo tutto il tempo, adesso.» sussurrò Platan incurvando le labbra in un sorriso. Il rosso lo osservò attentamente, lasciandosi contagiare dalla gioia che trasmetteva, una gioia leggera e meravigliosa.
«Abbiamo tutto il tempo.» ripeté facendogli l'eco. E ripetendolo, mentre si perdeva nel suo sguardo, fra le sue labbra, in mezzo ai suoi boccoli nero-blu, per un attimo si sentì come sopraffatto da un'emozione indescrivibile, che lo riempiva completamente, senza lasciare alcuno spazio vuoto nel suo animo. Infinito ed eterno. Ma nel toccare le sue dita cadde di nuovo coi piedi per terra, appesantito e incompleto.
«Platan, ascolta,» voleva dirgli qualcosa, ma come poteva parlare, come poteva distruggere la speranza dipinta in quegli occhi da bambino? Quegli occhi fanciulleschi, eppure così maturi in quel frangente... Pareva essere cresciuto, in qualche modo. Forse era soltanto un'impressione.
Platan lo aspettava, paziente, senza costringerlo a terminare la frase. Gli diede il tempo di cui aveva bisogno per rimettere ordine fra i pensieri, fra le parole, fra le virgole e le pause che gli si erano mescolate tutte in testa e che non si distinguevano più. Certamente i suoi sentimenti per lui erano diversi da qualsiasi altri avesse mai provato in vita sua. Non era come per quella vecchia taccagna che per anni ed anni aveva risparmiato persino i baci e le carezze che più volte le aveva chiesto, di cui più volte aveva sentito il bisogno, poi represso malamente in qualche modo, fino a che se ne era uscito dalla porta di casa sbattendola forte per non riaprirla mai più.
Quello per Platan era un amore più vero, più vivo, lo sentiva scorrere nel sangue e riscaldargli l'animo.
Ma aveva paura, aveva tanta paura, lui che di solito era sempre così coraggioso e fiero. Si era riconosciuto dannatamente fragile davanti a lui. Era l'unica persona che lo avesse reso capace di una cosa del genere. Era speciale, Platan. Era una gemma preziosa. Bisognava averne cura.
«No. Nulla.» disse infine Elisio, quasi sospirando.
In quel momento uscì dall’ascensore Lucinda. Girò per il corridoio in cerca dello zio e lo vide teneramente rivolto verso Elisio, i due si guardavano amorevolmente. Poi Platan si era allontanato, aveva preso una scatolina dalla tasca e l’aveva aperta, vi aveva riposto l’anello sfilato dal dito.
«Che cosa ne farai?»
«Credo che lo terrò in un cassetto finché non avrò deciso che farmene. Ho parlato con Garchomp, non me la sento davvero di studiare la Megaevoluzione in questo modo. Le lotte Pokémon non fanno per me.»
«Eppure sei abbastanza bravo, invece. Penso solo che ti serva un po’ di esercizio.»
«Non cercare di tentarmi!» ridacchiò «È che proprio non è nella mia natura, vedi? Sai, mi ha colpito molto la violenza con cui tu e Gyarados attaccavate Saturno. Sembravi così infervorato. Io non ne sarei capace.»
«Oh, ma non sono sempre così. Si trattava di una situazione particolare, lo sai anche tu.»
«Ovviamente, capisco. Tuttavia non si può certo negare che tu sia un uomo animato da forti passioni... Però ti dirò, mi sono divertito a combattere insieme. Non mi dispiacerebbe farlo di nuovo, soltanto per gioco.»
«Allora potremmo andare al Maniero Lotta, ogni tanto, che ne dici? Magari nei fine settimana.»
Platan cominciò a sentirsi osservato. Alzò la testa e vide Lucinda che li guardava timidamente da lontano. Si alzò e le andò in contro, un poco ansioso nonostante fosse sicuro che le cose stessero andando per il verso giusto.
«Il Professore ti sta aspettando.» gli disse la ragazza dopo avergli fatto un riassunto generale delle sue condizioni. Poi si abbracciarono, come per sfogarsi di tutta la tensione che avevano vissuto. Platan le diede un bacio sulla testa e le accarezzò i capelli. Adesso poteva davvero stare tranquillo: lo scopo del suo viaggio si era finalmente compiuto. Lucinda si scostò. Rivolse un sorriso ad Elisio e inaspettatamente abbracciò anche lui.
«Grazie.» sussurrò premendo la bocca contro il suo cappotto.
 
Il Professor Rowan era disteso sul letto, gli occhi chiusi e i capelli bianchi scompigliati sul cuscino. Stava riposando. Non appena sentì il cigolio della porta si svegliò, guardò Platan con il viso provato. Lo chiamò, la voce rauca e bassa. Lo aveva aspettato così tanto. Il giovane Professore si avvicinò, gli fece cenno di rimanere in silenzio per non affaticarsi troppo. Gli prese una mano e gliela accarezzò. Elisio rimase in disparte ad osservarli, a lui non era mai successo di ritrovarsi in una situazione simile. Presto nella vita aveva visto che la gentilezza che le persone gli avevano rivolto si era sempre rivelata una scorciatoia per giungere ad un secondo fine. Aveva deciso di opporsi a questa cosa e aveva cominciato a fare affidamento soltanto su se stesso. Non c’era stato nessuno che fosse stato per lui una guida, un punto d’appoggio. Aveva imparato a fare tutto con le proprie forze. Sotto sotto gli mancava quel quadretto familiare.
«Elisio, avvicinati.» Rowan lo stava invitando ad unirsi a loro. Accontentò la richiesta del Professore e si accostò al letto, vicino a Platan.
Erano giovani, belli e innamorati. Agli occhi del vecchio Professore parevano una tenera coppia sul punto di fiorire: era felice che si fossero trovati. Sorrideva sotto i baffi folti, un po’ a fatica in verità, ma dal suo viso solcato di rughe si percepiva chiaramente quanto fosse contento.
«Grazie per aver mantenuto fede alla mia richiesta e per aver accompagnato Platan fin qui.»
«Non deve ringraziarmi. Non avrei mai lasciato Platan andare da solo.»
«Certo, lo so. Ma te ne sono comunque sinceramente grato.»
Elisio e il compagno si scambiarono un’occhiata. Anche Platan avrebbe voluto dirgli grazie per tutto ciò che aveva fatto per lui, per averlo sopportato nei momenti difficili, ma era cosciente del fatto che le parole non sarebbero servite a molto.
«Professore,» si girò verso Rowan «le ho riportato la sua valigia. E volevo anche scusarmi con lei per aver dubitato delle sue intenzioni ad un certo punto.»
Il Professore annuì. Allungò le dita verso il manico della valigetta e la tirò a sé. La strinse al petto accarezzandola con le mani. Stava sussurrando qualcosa, ma né il suo assistente di una volta, né Elisio, riuscirono a sentire le sue parole. Reclinò la testa sul cuscino e sorrise, ricordando la prima volta in cui il giovane gli era corso dietro per riportargli il bagaglio e i loro sguardi si erano incrociati. Aveva voluto tanto bene a quel ragazzo, ci si era affezionato fin da subito. Se doveva dire la verità, qualche volta, mentre studiava in Laboratorio, si sbagliava ancora, e invece di chiamare Lucinda, Edwin o Rosabella, cercava Platan. Si aspettava di vederlo sbucare dalla porta scuotendo quei boccoli scombinati oppure di alzare il viso e di riflettersi nel vetro dei suoi occhiali. Invece rimaneva  solo. Era la vecchiaia, diceva. Dopo i sessant’anni uno cominciava a perdere colpi.
«Platan,» disse con voce fioca. L’uomo si avvicinò al suo viso per poterlo sentire meglio. Qualcosa si era posata sulla sua testa e il Professor Rowan sorrideva. Anche lui sorrise. Gli mancavano quei momenti in cui per avere la sua attenzione gli poggiava la valigetta sui capelli. Quel gesto era per loro come una sorta di abbraccio. Platan si commosse un po’, si coprì gli occhi con le mani mentre dalla bocca risuonava una risata allegra. Spinse la testa contro di lui e Rowan gli accarezzò la schiena affettuosamente.
«Ti voglio bene, figliolo.»
 
Era tornato il bel tempo. L’aria si era riscaldata e adesso i cappotti erano stati riposti sui sedili posteriori della macchina. Con le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti e le braccia incrociate dietro la testa, Platan osservava la strada di fronte a loro, libera e sconfinata, mentre dal finestrino entrava una piacevole brezza. Elisio accarezzava Litleo che dopo aver mangiato sonnecchiava sulle sue gambe. Il sole luminoso si frantumava in tante schegge d’oro sul fiume che avevano accanto. Intorno si udiva solamente il cicaleccio dei Pokémon Coleottero nascosti in mezzo all’erba alta. Ogni tanto qualche Starly si poggiava sul cofano e inclinava la testa di lato guardando incuriosito i due uomini all’interno dell’auto, oppure un Chatot di passaggio si metteva a cantare. Platan sospirò mentre si sgranchiva la schiena. Si girò verso Elisio e si accucciò contro il sedile. Lo osservò silenziosamente, poi quello alzò lo sguardo e vide i suoi occhi.
«Grazie per avermi permesso di venire con te, Platan.»
«Grazie a te per avermi costretto a farlo.»
Ormai non si sforzava più di trattenere i sorrisi. Allungò la mano verso la parte posteriore della macchina e afferrò la borsa. Prese la Mappa Città e la stese sul cruscotto.
«Dove vogliamo andare adesso?» chiese.
«Potresti per piacere ricordarmi dove siamo?»
«Siamo qui.» mise il dito su un Percorso «Abbiamo già fatto questa strada,» lo fece scorrere a ritroso fino al punto da cui erano partiti.
Elisio studiò la cartina e con la mano indicò tutte le direzioni che avrebbero potuto percorrere. Guardò la strada che avevano davanti. Era vuota e aspettava soltanto che loro ci camminassero sopra. L’avrebbero attraversata tutta. Insieme. Chiuse la mappa e la infilò di nuovo nella borsa.
«Ho una proposta da farti.» annunciò gettando dietro il bagaglio.
«Cioè?» Platan lo scrutava intrigato: non sapeva di cosa si trattasse, ma già era sicuro che gli sarebbe piaciuto da matti.
«Proviamo a fare a meno della cartina. Andiamo senza meta e vediamo dove arriviamo. Alors? Tu es d’accord
«Mais oui, c’est genial! D’accord. On y va, alors
Platan mise in moto la macchina e partirono alla volta di Percorsi che ancora non conosceva neppure lui. Ogni volta che arrivavano in qualche città si fermavano a visitarla e sostavano qualche ora in giro per i caffè a bere qualcosa, a chiacchierare con le persone che incontravano, a scattarsi un paio di foto da tenere per ricordo. In quel momento si erano fermati in un bar di Cuoripoli ad assaggiare una fetta di Dolce Gateau e si scambiavano opinioni sui posti che avevano appena visto.
«Ti va di andare a vedere le Gare Pokémon? Dovrebbe essercene una in programma più tardi.»
Trovavano subito qualche altra cosa che li avrebbe interessati, così dopo aver pagato il conto uscivano di corsa per recarvisi. Mentre oltrepassavano il bancone, sul televisore dietro di loro c’era una donna con una bambina:
«E così questa è tua figlia, Primula?»
«Sì, si chiama Serena! Coraggio, saluta!»
«Ciao a tutti!»
Fra una Gara Pokémon, una passeggiata nel parco e una visita in qualche luogo particolare, le giornate scorrevano lente. Pranzavano e cenavano con quello che trovavano, cibo di strada, al ristorante o in qualche locale che serviva piatti tipici del posto. Mangiavano, bevevano, scherzavano, si divertivano. La sera tornavano alla macchina sempre un po’ brilli, si addormentavano sui sedili cullati dal suono delle loro voci che farneticavano discorsi di dubbio senso, per certi versi assurdi e sciocchi, ma era il loro momento e non volevano risparmiarsi neanche quelle piccole cretinate. Erano felici del tempo che stavano trascorrendo insieme e che non sarebbe più tornato. Vivevano ogni cosa nel pieno dei sensi, persino la più semplice e banale diventava importante.
 
Tornarono a Kalos dopo qualche settimana, in tarda serata. Avevano cenato in aeroporto e adesso stavano imboccando la via di casa. Platan raggiunse il cancello del palazzo di Elisio, vi fermò la macchina davanti. Il rosso scese dall’auto, lentamente, stancato dal lungo viaggio in aereo. Recuperò la valigia e fece il giro, si arrestò di fronte a Platan con la testa sporta fuori dal finestrino, il braccio penzolava sullo sportello.
E quindi era finita, dunque.
Questa evidenza si faceva mano a mano sempre più chiara nelle loro menti, e un po’ se ne rattristavano. Avevano passato davvero delle belle giornate, insieme. Ora toccava tornare a casa, tornare al proprio lavoro, riprendere la monotona vita di tutti i giorni. Platan sospirò. Elisio indugiava là davanti con la valigia in mano.
Nessuno dei due ne aveva voglia.
Però bisognava decidersi, fare una scelta.
Elisio si passò una mano sulla nuca, si accarezzò i capelli. Sorrise a Platan un po’ mestamente, ma in fondo soddisfatto dell’avventura che avevano passato insieme.
«Sono stato bene.» disse «Si potrebbe rifare. Magari in circostanze diverse...»
«...Senza Pokémon Leggendari che tramano di distruggere tutto, forse?» rise «Certo, mi farebbe piacere.»
«D’accordo.»
«Allora lo rifacciamo.»
«Sì.»
«Ci conto.»
«Ci conto anch’io.»
Elisio si chinò su Platan, all’ultimo momento lo assalì il dubbio del perché lo avesse fatto. Mentre ci pensava gli accarezzò una guancia con la mano. Avvicinò il suo viso e lo pose fianco a fianco con il proprio. Lo voleva ancora vicino. Platan strofinò la guancia contro la sua, ruvida di barba. Aveva capito le sue sensazioni, che un po’ erano anche le sue. Avvolse le braccia sulle sue spalle e lo strinse a sé. Tanto in giro non c’era nessuno. Nessuno avrebbe potuto pensarlo.
«Buonanotte, Platan. E grazie per il passaggio.» gli sussurrò Elisio nell’orecchio nel momento in cui convenne che era durato abbastanza.
«Buonanotte, Elisio.» e lo baciò a lungo sulla tempia «Dormi bene.»
Scivolarono via l’uno dall’altro e rimasero ad osservarsi per un po’. Basta, era finita. Eppure non ci credevano, non volevano accettarlo. Elisio infine si decise.
Platan lo guardò in silenzio girarsi e fare per allontanarsi. Capiva le sue intenzioni, capiva tutto, ma non aveva alcuna voglia di lasciarlo andare. Il cielo era bellissimo quella sera.
Si spinse in avanti e gli afferrò una mano.
«Conosco un posto fuori Luminopoli dove si riesce a vedere bene il cielo.» disse «Vuoi venire con me a guardare le stelle?»
 


 

Ed eccoci qui. È finita.

Dopo gli avvenimenti turbolenti dei capitoli precedenti, volevo riportare un po' di tranquillità. Alla fine si è tutto risolto per il meglio, quindi (almeno per ora) !

A questo punto non posso far altro che ringraziarvi: grazie a tutti per aver letto e aver seguito questa storia! Spero tanto che vi sia piaciuta!

Alla prossima avventura! (?) ~ 


la vostra Persღ

 


~ L'angolo del francese ~
 

*"Alor? Tu es d'accord?" = "Allora? Sei d'accordo?"
*"Mais oui, c'est genial! D'accord. On y va, alors!" = "Certo, è un'idea fantastica! D'accordo. Allora andiamo!"



 

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