Ropes

di xwilliamseyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Into The Wild ***
Capitolo 2: *** Sea Of Voices ***
Capitolo 3: *** Shadows Fall ***
Capitolo 4: *** Nothing It Can ***
Capitolo 5: *** Divenire ***
Capitolo 6: *** You're the color of my blood ***
Capitolo 7: *** Take a breath ***
Capitolo 8: *** Immortal ***
Capitolo 9: *** Even if the skies get rough ***
Capitolo 10: *** Inside Eyes ***
Capitolo 11: *** Drive my heart into the night ***
Capitolo 12: *** Sick of the wounds that never heal ***
Capitolo 13: *** L'amore esiste ***
Capitolo 14: *** Share my mind and my body with you ***
Capitolo 15: *** Blow a kiss, fire a gun ***
Capitolo 16: *** You There ***
Capitolo 17: *** Beside You ***
Capitolo 18: *** Turning Page ***
Capitolo 19: *** Is There Somewhere ***
Capitolo 20: *** You can spend sometime with me tonight ***
Capitolo 21: *** A bolt from the blue ***
Capitolo 22: *** Drop the Game ***
Capitolo 23: *** Beyond This Moment ***
Capitolo 24: *** The Wider Sun ***
Capitolo 25: *** I'll always stay ***
Capitolo 26: *** The Whispering Caves ***
Capitolo 27: *** Bless Those Tired Eyes ***
Capitolo 28: *** Is This Happiness ***
Capitolo 29: *** Clouds Are Sleeping ***
Capitolo 30: *** Un ultimo saluto ***



Capitolo 1
*** Into The Wild ***



Into The Wild
 
Improvvisamente il cuore iniziò a tremarmi.
Di quei tremori inspiegabili e involontari, che ti abbandonano solo quando sono loro stessi a deciderlo. 
Mi colpirono una sera, sotto gli occhi di Louis. Quel Louis che io conoscevo da una vita.
Mi stava sorridendo, io lo guardavo.
Lo vidi diverso dal solito, lo vidi speciale, lo vidi...magico.
Eravamo seduti su di una sommità.
La vista che ci ritrovavamo davanti in quell'istante era qualcosa di assolutamente indescrivibile. Era come essere sul tetto del mondo, nel suo centro esatto. La città sotto di noi era un miscuglio di colori e di luci che si accendevano e si spegnevano con un ritmo tanto preciso quanto piacevole. I diversi rumori che provenivano da essa erano flebili ma non troppo da non essere captati dalle nostre orecchie. Udivamo le note accese della discoteca e quelle stonate del coro del teatro.
Aspiravamo silenziosamente le nostre sigarette e ci facevamo avvolgere dalle loro nubi soffocanti. Un brivido di gelo destava di tanto in tanto i nostri corpi che cercavano di ripararsi dal freddo stringendosi su se stessi.
Louis si alzò in piedi e gettò la cicca, per poi schiacciarla furiosamente con il piede sinistro. I suoi occhi si fecero lucidi e uno sbadiglio prese posto sul sul suo viso.
"Gabrielle, perché tutto questo silenzio?"
Mi chiese, curioso.
"Louis sono passati due mesi"
"Da cosa?"
"I soldi..quando decidi a ridarmeli?"
Spalancò gli occhi e si portò una mano sulle labbra. Si girò, dandomi le spalle. Quell' atteggiamento di indifferenza mi rese immediatamente su tutte le furie. Mi misi in piedi a mia volta, gettai la mia sigaretta e poggiandogli una mano sulla spalla destra lo costrinsi a rivolgermi l'attenzione.
"Cazzo, Louis, per una volta sii responsabile!"
E mentre la rabbia cercava attraverso le mie urla una via di liberazione, qualcosa dentro di me la tratteneva, impediva il suo normale essere.
Il respiro mi si fermò in gola e le mani presero a muoversi stranamente.
Le nascosi dietro di me, cercando di non abbandonare il nostro contatto visivo.
Il freddo era sparito, i nostri pensieri si erano fatti vivi. Quasi percettibili al nostro tocco e alla nostra vista.
Un nuovo silenzio prese posto fra di noi.
"Gabrielle, sei seria?"
Stavolta fui io a spalancare gli occhi e poi successivamente la bocca.
"Certo, Louis!"
Azzardò una risata e si allontanò di qualche passo da me.
"Ma sai che te li ridarò"
"Sicuramente! Come hai fatto con la felpa, la cover blu e le infinite sigarette?"
Il mio tono di voce si fece sempre più alto e capii, dalla sua espressione, che qualcosa in lui si stava spaventando.
"Ti ridarò anche tutte queste cose, dav..."
Non finì di dire questa frase che ne cominciò una del tutto nuova.
"Io ti voglio bene"
Quella frase.
La sua carta vincente, il suo cavallo di battaglia.
Frammentò i miei polmoni e immobilizzò le mie vene.
Già, mi succedeva quasi sempre, eppure mai come allora.
Era una sensazione diversa, insolita, quasi spiacevole quanto intensa.
Louis si avvicinò e mi abbracciò. Rimasi inerme per un po' per poi ricambiare l'abbraccio poggiando la mia testa sulla sua spalle destra.
"Scusa"
Sussurrò nel mio orecchio per poi allontanarsi con un leggero bacio sulla fronte.
Come se quelle parole e quel bacio fossero imbevute di magia mi calmai.
E un sorriso tanto stupido quanto inutile mi aleggiò sulle labbra.
Lui ricambiò e si spostò verso la fine di quella sommità.
Il vuoto sotto di lui.
Alzò il volto verso il basso e poi verso l'alto.
"E' bellissimo qui, vero Gabrielle?"
Proseguii verso di lui e mi misi alla sua sinistra.
"Già"
Risposi, flebilmente.
"E' un posto fantastico per portarci una ragazza"
Si disse, fra sé e sé.
Spostai il mio sguardo sul suo che sembrava tranquillo e spensierato. 
Non capivo a cosa si riferisse e il perché di quel pensiero.
Ma soprattutto non capivo a quale ragazza alludesse.
Io?
Percependo il mio sguardo su di sé, Louis si girò e mi guardò negli occhi.
"Vanessa, no?"
E quel nome fece si che la mia felicità si trasformasse in disgusto, che il mio stomaco si ritorcesse su se stesso. Che il mio cuore accelerasse furioso. Continuai a guardarlo e accennai un "si"
"Potrebbe piacerle questo posto, a te piace?"
"Tanto"
Sul suo viso apparve un ennesimo sorriso di fantasia.
Pensava così a Vanessa.
Fantasticamente.
Le piaceva così tanto quella ragazza da essere disposto a fare tutto per lei, a inventarsi qualsiasi cosa per convincerla ad uscire con lui.
Ma io che con tutti quegli accenni fingevo approvazione, portavo dentro di me orrore e rabbia. 
Perché quella ragazza era falsa, corrotta. E avrebbe corrotto anche lui con la sua sola presenza. Ma nessuna parola, nessuna preoccupazione riusciva mai ad allontanare Louis da Vanessa. E così proseguii nel mio silenzio di parole, anche se i miei occhi erano pronti ad urlare.
"Domani glielo chiedo"
E si girò verso di me.
C'aveva la faccia di chi ha voglia di amare.

-SPAZIO AUTRICE
Eccomi con un'ennesima fanfiction! Mi fermerò mai? Per il momento ne dubito. Questa storia è forse diversa dalle solite che ho scritto in quanto ci tengo a parlare, a descrivere un amore..beh diciamo ciò che per me è l'amore. Qui due amici da una vita, Gabrielle (Saoirse Ronan) e Louis (Louis Tomlinson) improvvisamente sentono di essere destinati a qualcosa di più. Ma questo loro percorso, verso l'Amore, sarà particolare e (per utilizzare la parola di Gabrielle) magico. Ringrazio tantissimo per il meraviglioso banner Dalilah Efp !
Un bacio e al prossimo.

-Manu  ♥
p.s. il titolo riprendere la canzone "Into The Wild" di Lewis Watson.

- GABRIELLE -

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Capitolo 2
*** Sea Of Voices ***



Sea Of Voices
 
Gli sorrisi. Non potevo fare altro.
"Sono stanco, torniamo a casa?"
Io non lo ero del tutto ma di certo non potevo restare lì da sola. Così mi feci allungare una mano da Louis e mi aiutò a tirarmi in piedi.

Le strade erano deserte e dalla moto potevamo sentire solo il vento che si batteva contro i nostri visi. Era particolarmente freddo ma per mia fortuna le spalle, seppur minute, di Louis mi aiutavano a coprirmi. Fiondavo sempre di più la mia testa nelle sue scapole sperando che quel gelo pungente mi risparmiasse. Una volta arrivati alla mia destinazione, Louis mi fece scendere e mi salutò con il solito bacio sulla fronte, un bacio tanto stupido quanto, però, fondamentale. 
Erano le tre e ovviamente un silenzio tombale circondava la mia casa. Il sonno iniziò ad impossessarsi di me e capii che dovevo immediatamente gettarmi a letto. Riuscivo a stento a tenere gli occhi aperti mentre facevo una veloce doccia e lavavo i denti ma non appena poggiai la testa sul cuscino una spaventosa visione prese un posto fisso nei miei pensieri.
Pensavo a Vanessa e al fatto che molto probabilmente questa volta sarebbe uscita con Louis. Provavo ad immaginarli insieme, ridere insieme e scambiarsi sguardi eccessivi. Cercai in tutti i modi di liberarmi da queste immaginazioni e di concentrare la mia attenzione unicamente sul mio riposo. Più ci provavo, più i pensieri si facevano insistenti e sempre più vicini alla realtà. Scattai e mi misi seduta, spalancando gli occhi. Presi il cellulare che era al mio fianco: segnava le cinque."Vaffanculo" pensai. Fra meno di due ore sarei dovuta essere all'università e mi domandavo dove avrei potuto trovare la forza necessaria per affrontare un'intera giornata di studio. Optai per una camomilla, mi avrebbe calmata sicuramente. Non riuscivo, però, a capire perché mi preoccupassi tanto per una questione così insensata. Louis era una persona libera, poteva prendere tutte le decisioni che gli giravano per la testa non potevo di certo essere io a limitarlo ma soprattutto lui non mi apparteneva, lui non era di mia proprietà: eravamo due persone completamente diverse e separate, unite forse solo da un sentimento di futile bisogno. 
Mi avvicinai al fornello ed iniziai a riscaldare l'acqua. Gettai dopo un po' nel suo interno la bustina e dopo circa dieci minuti iniziai lentamente a gustarmi la bevanda. Sentivo i nervi e le pareti della gola rilassarsi ad ogni goccia che scendeva lungo di essa. Chiusi gli occhi e tentai di dimenticare tutto ciò che affollava la mia mente. Sospirai e mi portai nuovamente verso la mia stanza.

Fui svegliata la mattina dopo dalla suoneria assordante del mio cellulare. 
Le due apparenti ore di sonno sembrarono nulle e il mio cervello rispose lento a tutto ciò che la mia volontà veramente intendeva. Non controllai chi fosse e mi limitai a dire: "Pronto?" 
"Gabrielle vuoi un passaggio? Stamattina non ho il turno"
Louis e la sua voce mi scossero e mi risvegliarono definitivamente.
"Si, grazie"
Ottimo, mi sarei risparmiata un'incredibile e faticosa corsa per il bus. Con tutta calma mi alzai e proseguii verso il bagno.

Era un ragazzo straordinariamente puntuale e questo faceva in modo che la fiducia fosse la prima e più importante qualità che ispirasse.
Io ero sempre felice di vedere Louis. Anche dopo una lite io volevo stare con lui, volevo parlargli ma soprattutto sapevo che la tristezza e la rabbia non erano sentimenti che ci riguardavano. Erano apparenti ma mai solidi. 
I sorrisi ci dominavano incontrastati e non facevano spazio a nulla. Spesso notavo questa cosa e mi domandavo se fosse positiva o negativa ma nel dubbio evitavo di farmi troppo problemi perché, in fondo, Louis mi faceva stare davvero bene che io lo volessi accettare o meno.
Aprii la portiera.
"Buongiorno!" Gli piazzai un sorriso a trentadue denti davanti mentre cercavo di intrufolarmi nella sua macchina.
"Buongiorno!" Lui rispose seguito, stranamente, da una terza voce.
Mi girai verso il fondo della macchina e vidi Vanessa. 
Mi meravigliai di non essermi accorta della sua presenza prima data l'enorme quantità di profumo che la inondava. Anche lei mostrò un sorriso sovrastato da due labbra truccate di rosso. Si aggiustò i capelli prima di chiedermi: "Tutto bene, Gabrielle?"
Guardai lei poi nuovamente Louis che mi osservava e teneva puntato su di me uno sguardo da cerbiatto in calore. Ero forse scioccata, incazzata e perplessa: perché lei era qui? E soprattutto perché Louis permetteva che io dividessi la macchina con lei? In quel momento sarei stata capace di sferzare un pugno ad entrambi e allontanarmi senza alcun rimorso o paura dalla scena del crimine ma il mio buon senso mi fermò e mi costrinse a prendere posto sul sedile.
Mi girai più volte verso di lui. Non pronunciò una parola, teneva lo sguardo fisso sulla strada e ogni tanto, ai semafori rossi, si osservava nello specchietto retrovisore e si dava un' aggiustatina ai capelli. Io lo guardavo e lo sapevo: faceva tutto questo per lei. Voleva sembrare sicuro, bello e intelligente, l'esatto contrario di ciò che era realmente. Sentivo, man mano che il tempo passava, un senso di insoddisfazione ribollirmi nelle vene e nello stomaco. Non accettavo la sua presenza, non volevo che quella ragazza si intromettesse come un muro tra me e lui perché la triade è instabile, la triade porta al malessere e può stroncare qualsiasi tipo di legame. 
Finalmente quel viaggio straziante terminò. Salutai Louis, stavo per farlo anche con Vanessa ma lei mi precedette scattando con "Louis, scendo anch'io qui" Lui si girò con uno sguardo interrogativo.
"Sicura?"
"Si si, tranquillo e grazie ancora"
La fermò e ribatté.
"Quando vuoi!"
Lei gli sorrise un'ennesima volta prima di scendere e ritrovarsi al mio fianco. Ma Louis ebbe la forza distruttiva di fare un gesto che frantumò il mio cuore come un vetro gettato al suolo. Alzò una mano verso la sua direzione la agitò, non si disturbò a fare altrettanto con me. Continuai a guardare fisso verso la sua direzione e verso il fumo che lasciava ad ogni centimetro la macchina. 
"Gabrielle, te lo ha detto?"
La sua domanda mi bloccò un' ulteriore volta ed ero sicura che questa non mi sarei risparmiata uno schiaffo dritto sulla sua guancia destra. Portai le mani dietro le mie spalle e le strinsi più che potevo fra loro. Riformulai mentalmente la domanda che mi aveva appena fatto ma no, non riuscivo a dargli una risposta sensata. Una sola affermazione riecheggiava instancabile nel mio cervello: "TI ODIO" 
"Cosa?"
Dissi, o meglio, le mie labbra dissero. Non ero capace di formulare nemmeno una singola frase o domanda.
"Vorrebbe uscire con me domani sera"
"Me lo aveva accennato"
Guardai oltre, verso la miriade di studenti che entrava nella scuola e provai a distrarmi ma soprattutto a calmarmi.
"Voglio dargli un'opportunità. Mi sembra un così bravo ragazzo. Tu lo conosci da una vita e mi chiedevo..qual è il suo colore preferito?"
"Il nero"
Risposi immediatamente, non pensai: delle vans nere consumate occupavano la mia memoria.

-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Ho aggiornato dopo solo una settimana, wow. Ok, passiamo al capitolo: Gabrielle è un po' pazza, non trovate? Vuole bene a Louis più di ogni altra cosa ma l'attimo dopo lo odia e vorrebbe ucciderlo, bah. Forse è semplicemente innamorata? Si, sicuramente. Ma cosa la porta a comportarsi davvero così? Questo lo scopriremo con il tempo. Nuovi aspetti della sua vita e di quella del ragazzo verranno portati alla luce e vi renderanno la storia sempre più chiara. Ho parlato fin troppo, spero intanto che questo vi piaccia. Un bacio.
-Manu 
p.s. il titolo di questo capitolo si ispira all'omonima musica di Porter Robinson
 
- LOUIS -

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Capitolo 3
*** Shadows Fall ***



Shadows Fall
 
Louis era ossessionato dalle vans ed io proprio non riuscivo a capirlo. Erano delle scarpe semplicissime e così fragili, in un anno ne cambiava fino a tre paia. Metteva ogni mese dei soldi da parte solo per comprarne delle nuove, possibilmente diverse dalle proprie. Ne aveva di diversi colori ma quelle che abbondavano erano quelle nere: del tutto nere o con piccole decorazioni in bianco. Ogni qualvolta si presentava a me con un paio nuovo io torcevo il naso e presentavo la mia consueta ramanzina: "Basta Louis! Cambia un po'! Ne avrai cinquecento! Stai sprecando solo soldi" e negli ultimi tempi avevo aggiunto la parte del debito che aveva nei miei confronti. Quando io lo tormentavo così lui osservava i suoi piedi calzati da quelle scarpe e sembrava essere in un altro mondo, non si preoccupava di darmi retta. Ero arrivata sul punto di arrendermi.
"Gabrielle?"
La voce fastidiosa di Vanessa mi distolse dai miei pensieri.
"Cosa?"
"Ti eri incantata"
"Si..mi capita. Comunque, fidati, il suo colore preferito è il nero"
"Ottimo! Allora indosserò un vestito nero domani, ne ho tantissimi di quel colore per fortuna" 
Appoggiò una mano sulla mia spalla come se volesse ringraziarmi in un modo diverso dai consueti e si aggiustò il capotto, chiudendo l'ultimo bottone. 
Io la guardavo, nient'altro. 
Sarebbe solo uscita con Louis, nessun problema.
"Io ora vado. A presto, Gabrielle"
Mi lasciò due baci sulle guance e scappò via, attraversando la strada trafficata davanti a noi.

Entrai in università e raggiunsi la mia aula.
L'aria era particolarmente tesa quella mattina per via dell'esame imminente ma in quel momento sembrava essere l'ultima delle mie preoccupazioni.
Mi sforzai con tutta me stessa a seguire quella lezione. Presi appunti, feci domande eppure la mia mente in quei pochi secondi di pausa deviava e si fermava su Louis. Mi presi la testa fra le mani e chiusi gli occhi cercando in tutti i modi possibili di scacciare via quel suo sorrisino fisso nella mia mente. 
"Gabrielle, tutto bene?"
Una mano si posò sulla mia schiena improvvisamente e sussultai. 
Era il mio professore di psicologia, il professore Turner.
"Si si, mi gira solo un po' la testa"
"La lezione è finita da ben dieci minuti, possibile che tu non te ne sia accorta?"
Alzai il viso avanti e intorno a me: effettivamente quell'aula enorme era completamente vuota.
Rimasi a bocca aperta prima di pronunciare un istintivo: "Cazzo". Raccolsi in fretta la mia roba e mi misi in piedi.
"Ti sei addormentata, vero?"
Scattai verso di lui e "No no, assolutamente!". Cercai di essere convincente ma purtroppo le mie abilità di recitazione erano pessime. Il professore si permise una risata mentre si dirigeva verso la cattedra, mettendo a sua volta i libri nella ventiquattrore.
"Capita"
Non sapevo cosa dire per provare a scusarmi, immaginavo che qualunque cosa sarebbe stata comunque a mio sfavore. Mi immobilizzai, sperando in uno suo congedo. Si rivolse verso di me nuovamente con un sorriso.
"Cosa ci fai ancora qui?"
"Mi scusi" e corsi via, il viso verso terra e la reputazione sotto i piedi.

Dopo aver pranzato nella mensa mi resi conto che non potevo continuare quella giornata, non mi andava di rischiare di addormentarmi di nuovo in aula. Mi diressi, pertanto, verso l'uscita evitando sguardi curiosi.
"Signorina Stock!"
Una voce familiare arrestò i miei passi e mi costrinse a voltarmi indietro.
Il professore Turner correva verso la mia direzione cercando di essere il più veloce possibile.
Il cuore iniziò a tremarmi. Avevo la terribile paura che mi avrebbero vietato di seguire d'ora in avanti i corsi per via di quel mio orribile comportamento. 
Sospirai.
"Professore.."
"Mi scusi! Ma dovrei parlarle di una cosa piuttosto importante"
Deglutii e schiarii la voce prima di ammettere e di pentirmi dei miei terribili peccati.
"Professore, se riguarda ciò che è successo stamattina io la prego con tutto il mio cuore di perdonarmi, è stata una brutta giornata ieri e vi giuro che non capiterà mai più"
Lo guardai fisso e la sua espressione era incomprensibile. Mi imbarazzava tanto e provai a guardare altrove.
"Non mi riferivo a questo"
"Ho commesso altri guai e non me ne ricordo? Certo Gabrielle che sei più idiota di quello che sembra"
"A cosa?"
"Ad altro, mi segua. Per favore"
Con la respirazione che si faceva sempre più faticosa mi accostai a lui e proseguì verso la sua direzione.

"La scuola ha in mente di offrire un master di comunicazione inizialmente in sede ad alcuni studenti e vorrei fare il suo nome, credo abbia delle potenzialità"
Sedevamo nella sua aula. Lui sulla cattedra, io sulla sedia esattamente di fronte. Al suono di quelle parole mi rilassai per un attimo ma ripresi ad avere i nervi tesi l'attimo seguente.
"Io? Ci sono alunni molto più capaci"
"Sicuramente, ma io non cerco bravura scolastica piuttosto bravura spirituale, ecco"
"E cosa le fa pensare che io la abbia?"
Sospirò e incrociò le mani.
"Tutto. E' un' alunna brava, ma non eccellente eppure lei ha grandi potenzialità. Questo mi fa pensare che c'è qualcosa che la distrae o sbaglio?"
"No"
"Il master aumenterebbe la sua media in poco tempo e non è faticoso quanto studiare"
Stavo per fare una domanda ma lui mi fermò dicendo "e poi dopo ci sarebbe un meraviglioso viaggio a Stoccolma, completamente gratuito"
"Sarebbe un sogno"
Gli sorrisi, lui ricambiò.
Il professore Turner era sempre stato un tipo particolare, non solo per la sua giovane età ma per i suoi modi strani e insoliti. Parlava in modo colloquiale con i suoi alunni e più volte durante la lezione si permetteva di cambiare argomento con qualcosa che per noi era più interessante. Ma soprattutto, il professore Turner, era affascinante. Quel suo stile da ragazzaccio anni 70-80 era così avvolgente e sensuale che era impossibile non venirne folgorati.
"Allora..cosa mi dice?"
"Accetto. Ben volentieri, anche"
"Perfetto! Nei prossimi giorni ci aggiorneremo"
Mi strinse la mano e mi lasciò andar via.

Il terrore iniziale si era trasformato in pura e folle felicità. Volevo urlare quell'opportunità che mi era stata data ma sapevo che non sarebbe stato opportuno. Corsi via, verso la fermata del bus e mentre aspettavo scrissi un messaggio a Louis: "HO UNA NOTIZIONA!"

Attesi per quei venti minuti di viaggio una risposta con lo sguardo fisso sullo schermo ma non la ottenni, mi preoccupai ma non troppo. A Louis lo avrei raggiunto quel giorno anche se fosse stato sul capo del mondo.

Scesi alla mia destinazione con altrettanta fretta dirigendomi verso la sua casa. 
Bussai più volte fin quando non mi rispose.
"Chi è!?!"
"Louis, sono io!"
"Gabrielle.."
"Louis?"
"Sali dai"
Aprii il portone e mi diressi al suo interno.

"Ciao Johannah!"
"Ciao Gabrielle!"
La madre di Louis mi aprì la porta, accogliendomi con un caloroso abbraccio.
"Come va?"
"Tutto bene, il solito. A te?"
"Mai stata meglio! Ma Louis dov'è?"
"E' in cucina con Vanessa"
Non potevo aver sentito bene.
"Con chi?"
"Vanessa"
Divenni di sasso in corpo e in viso.
"Seguimi, ti accompagno"
Johannah mi fece strada lungo il corridoio. Non appena vi entrai lo sguardo fulmineo di Vanessa incrociò il mio.
"Gabrielle! Anche tu qui"
Louis mi dava le spalle e non si disturbò a voltarsi.
"Già. Dovevo dire una cosa a Louis ma vedo che è impegnato"
"Ma no, tranquilla. E' tutto il giorno che sono qui"
Nella mia mente iniziarono ad affollarsi così tante emozioni che elencarle tutte sarebbe impossibile.
"Louis alzati e vieni con me. Devo dirti una cosa in privato"
Non oppose resistenza, si alzò e mi seguì verso la terrazza.

Ci ritrovammo l'uno di fronte l'altro. Io l'attenzione fissa su di lui, lui altrove.
"Allora, cosa devi dirmi di così urgente?"
E gli diressi uno schiaffo, il più forte e sincero che io avessi dato in tutta la mia vita. Allontanai la mano e la forma delle mie dita si era tatuata sulla sua guancia destra.
"Ma sei impazzita!"
"No Louis, quello impazzito qui sei tu!"
Sbraitai e gli puntai un dito contro. Lui afferrò la mia mano e la fermò dinanzi a se.
"Ora ti calmi, mi hai capito?"
"Io non mi calmo, mio caro. Come pensi che ci riesca dopo lo schifo che stai combinando?"
"Ma di cosa stai parlando?"
"Ti sembra normale non rispondermi ai messaggi, non preoccuparti minimamente di me e invece dare tutte queste attenzioni ad una sconosciuta?"
Mi sferrò un'occhiata prima di ridere sotto i baffi.
"Tu sei pazza, ma davvero"
"Cosa?"
"Cosa ti fa pensare che ti siano dovute tutte queste attenzioni, ah?"
Ora quello incazzato era lui. Tirò la mia mano verso di lui e la strinse forte. I nostri visi distavano pochi centimetri e le nostre emozioni contrastanti ma tanto simili iniziarono a fondersi con la differenza che le mie si indebolirono e le sue si rafforzarono. Quella domanda mi penetrò come una lancia appuntita e il suo sguardo animalesco provocò in me la fuoriuscita di una lacrima.

-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Spero stiate passando delle belle feste. Passando al capitolo, l'aspetto psicologico di Gabrielle ne è protagonista: tanto forte quanto fragile, una notizia o comportamento è in grado di turbarla in pochi secondi. La scena finale, come è già evidente, avrà un seguito importante. Esprime la tensione che vi è fra i due, tensione che sfocerà in qualcosa. Scopriremo il tutto nei prossimi capitoli. Spero che questo vi piaccia, un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo si ispira all'omonima musica dei "Random Forest"

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Capitolo 4
*** Nothing It Can ***



Nothing It Can
 
Piansi.
Piansi per davvero, per Louis, per la prima volta.
Era tutto così assurdo mentre continuavo a guardarlo fisso con il fiato sospeso e sempre più difficile per via di tutta la tensione e la rabbia che si stava accumulando dentro di me. Lui indietreggiò di qualche passo e tirò un respiro profondo, forse era turbato quanto me o forse no, ma io non riuscivo più a reggere quella situazione. Singhiozzante corsi via, trascinando con me quelle sue orribili parole, ancora rimbombanti nella mia testa. Accelerai il passo più che potevo per quelle strade movimentate dove le luci dei lampioni creavano scene a dir poco spettrali. Non sapevo cosa stessi facendo o dove stessi andando eppure un'unica certezza riecheggiava nei miei pensieri: Louis è un vigliacco, un opportunista, un essere spregevole. Ad ogni mio passo questi aggettivi si susseguivano, fornendo una descrizione più che pessima a quell'essere capace di rendermi più fragile del più indifeso animale. Tuttavia una parte della colpa la davo a me, incapace di una difesa adeguata al suo cospetto, incapace di rimanere forte nonostante le sue affermazioni di sfida. Più volte mi ero interrogata su come fosse possibile e mai, come allora, la risposta a questo mio dubbio mi sembrò necessaria. 
Ad un tratto mi fermai. Con le spalle appoggiate ad un muro, strinsi le braccia intorno al petto e provai a riflettere su chi potesse aiutarmi, con chi potessi confidarmi. Alzai il volto e quasi come se fosse il volere del destino, spuntò davanti i miei occhi l'immagine di una mia carissima ma vecchissima amica, un'amica che non vedevo da tanto tanto tempo. Mi resi conto che gli anni di lontananza che ci separavano erano ormai troppi ma, nonostante tutto, mi andava di fare un tentativo. Per mia fortuna casa sua distava pochi isolati e, con quanto più coraggio avessi, mi diressi verso di essa. 

La ricordavo esattamente così.
Il tempo l'aveva sfiorata solamente al suo esterno. I muri, infatti, erano corrosi per via dell'alternarsi continuo delle stagioni e il ferro dei balconi arrugginito dalle abbondanti piogge ma la sua struttura era rimasta quella di un tempo. Cinque enormi finestre sulla facciata frontale, due su quella laterale, il tutto completato da un' imponente porta d'ingresso. Meraviglioso era, poi, il giardino. Ricco di innumerevoli fiori e piante. Con estrema calma mi addentrai nel cancello e picchiettai sulla porta. Dopo pochi attimi, Alexandra era realmente dinanzi a me. Mi osservò per un paio di secondi, per poi: "Gabrielle, sei davvero tu?", con gli occhi tremanti, sul punto di scoppiare a piangere per la seconda volta in quel giorno, risposi: "in carne ed ossa". Si portò le mani sulle labbra e in un attimo le sue braccia mi avvolsero in un caloroso abbraccio, stentavo a respirare. 
"Non posso crederci, ma quanto tempo è passato?"
"Troppo"
"Già..dai, entra!"
Mi invitò all'interno, esattamente al suo fianco. Ci ritrovammo nel salotto, una stanza in cui avevo passato i migliori pomeriggi della mia infanzia e della mia adolescenza. Ricordavo ancora il profumo dei dolcetti al limone che gentilmente sua madre ci preparava e quello delle rose che avvolgeva la camera, quest'ultimo era rimasto intatto. Se n'era aggiunto, però, anche un altro, uno che io conoscevo piuttosto bene: quello del fumo. 
"Siediti pure"
Mi fece accomodare sul divano, con lei di fronte.
"Allora, cosa ti porta qui?"
Quella posizione e la luce che ci circondava mi permetteva di guardarla perfettamente in viso. Alexandra era sempre stata bella e gli anni l'avevano migliorata: due enormi occhi blu pesantemente truccati, due piccole labbra rosse con un paio di piacevoli fossette e dei lunghi capelli neri. Eppure c'era qualcosa in lei di diverso. La pelle era secca e capii il perché quando, tra una parola e un'altra, si accese una sigaretta portandola con una notevole spensieratezza alle labbra. La ragazza che ricordavo io era rigida sul fumo e mi domandavo cosa l'avesse portata a sconvolgere tutti i suoi principi. Tant'è che non mi preoccupai di interromperla ed essere sfacciata con la domanda: "Da quant'è che fumi?" Lei si fermò, cacciò la nube di fumo che aveva aspirato l'attimo prima e mi guardò, per poi sgretolare la sigaretta nel portacenere. 
"Un paio di anni. Mi andava di provare una cosa nuova"
Sentivo una strana tristezza in quelle parole e resomi conto che non potevo intromettermi nella sua vita dopo tutti quegli anni di assenza non proferii più alcuna domanda e decisi di passare immediatamente al nocciolo della situazione.
"Alexandra ho bisogno del tuo aiuto"
"Dimmi, Gabrielle"
"Ricordi Louis, vero?"
"Certo che si! Vi siete sposati, immagino"
Rimasi scioccata in un attimo a quella sua affermazione e azzardai una leggera risata.
"Certo che no"
"Davvero? Ne ero sicura"
Curiosa, però, proseguii con una nuova domanda.
"Cosa ti ha fatto pensare questo, scusami?"
"Tutto quello che hai fatto per lui, dai! Io non l'avrei fatto per nessun uomo, buon cielo. Mi auguro per te, a questo punto, che non sia successo niente di grave fra te e lui"
Si arrestò per qualche secondo, si aggiustò i capelli dietro le spalle prima di sentenziare uno speranzoso: "Vero?"
Osservai il pavimento e riportai alla mente tutto ciò che era successo quel pomeriggio, risvegliando quella ferita ancora fresca nel mio petto.
"Spero di no"
Si avvicinò a me di soprassalto e mi prese le mani e il viso fra le sue.
"Gabrielle?"
Di mia risposta, alzai lo sguardo verso di lei e affermai: "Non lo sopporto più, Alexandra!"
Si allontanò, si rimise a sedere sul divano e nuovamente si portò una mano alle labbra, questa volta, però, cercando di soffocare una risata.
"Non ci crederò mai e scommetto che non ci credi neanche tu"
Non sapevo cosa risponderle, aveva una visione di noi due fin troppo romantica.
"Ma, almeno, siete fidanzati?"
"Alexandra, cosa dici?"
Stavolta si alzò, incrociò le braccia al petto e si portò verso la finestra, osservando il suo giardino. Non capivo cosa stesse facendo esattamente ma soprattutto cosa stesse pensando e avevo una terribile paura delle sue eventuali riflessioni. Si rigirò finalmente verso di me con un inconsueto sorriso sulle labbra. 
"Gabrielle, hai paura?"
"Di cosa?"
"Di lui"
"No, ovvio. Mi conosci tu, mi spaventano i vermi non le persone"
"Certo, eppure lui fa un' enorme eccezione"
"Finiscila"
Lo sentivo, lo sentivo nelle mie ossa che quelle sue parole sarebbero state più amare del veleno, più dure del ferro. Alexandra era sempre stata il riflesso della sincerità e per tutto il tempo del nostro legame questa sua caratteristica mi aveva spaventato in modo indescrivibile.
"Devi dirglielo o questa cosa ti sfuggirà di mano"
"Cosa?"
"Che lo ami"
Mi alzai istintivamente: non avrei più sopportato un'altra sua sciocchezza. Quel verbo sembrò letteralmente bruciare le mie terminazioni uditive e tutti gli apparati ad esse collegate. Il dolore era eccessivo, la paura indomabile.
"Ora è meglio che vada, basta."
"Come vuoi, Gabrielle"
Mi aspettavo una sua resistenza ma non la ottenni. Con il garbo che mi aveva accolto mi accompagnò all'uscita, regalandomi un nuovo abbraccio seguito dalla promessa di un nostro nuovo incontro.

Mi ritrovai, così, di nuovo da sola. La conversazione con Alexandra non era andata come speravo, era stata solamente una distruzione per i miei sensi e i miei pensieri continuavo ad insistere su Louis, ma soprattutto su Vanessa: la mia più grande preoccupazione, l'ultima goccia che avrebbe frantumato il vaso di equilibro tra me e lui. Forse avevo paura di perderlo, di rimanere da sola o forse ancora, non volevo in alcun modo sentirmi dire dai miei genitori: "te lo meriti".


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Eccomi con un nuovo capitolo. Per Gabrielle è eccessivamente difficile accettare la realtà, vuole evitarla a tutti i costi. Alexandra è stata chiara: o lei o la tua vita. Chissà se la nostra ragazza se ne farà una ragione e sarà in grado di affrontare tutto ma, soprattutto, Louis cosa ne penserà? Tante tante domande insomma, ma sono sicura che nei prossimi capitoli cercherò di rispondere a tutte. Poi, non pensate che quel "te lo meriti" sia messo li a caso eh eh. Ora mi dileguo.
Un bacio e grazie a tutti i miei lettori! Il primo capitolo ha già raggiunto +200 visite!
-Manu 

p.s. Il titolo riprende l'omonima musica di "Helios"

 
- GABRIELLE -

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Capitolo 5
*** Divenire ***



Divenire
 
Per Louis avevo fatto una cosa.
Una cosa che molti definiscono una sciocchezza, altri una pazzia, altri ancora un'assurdità. Avevo rinunciato al mio futuro ideale: l'Italia.
Molti stabiliscono questa nazione come "la crisi fatta a paese". Forse si o forse no, stava di fatto comunque che io la amavo con tutto il mio cuore. Sognavo in continuazione di Roma, del suo meraviglioso e magico Colosseo, guardavo con stupore le foto del Duomo di Milano e adoravo la miriade di turisti che vi si trovavano al suo ingresso. 
Il mio era un sogno sul punto di realizzarsi.
Un'inaspettata vincita di un concorso mi aveva regalato un anno gratuito a Roma. Non ricordo con esattezza le emozioni che provai, erano talmente forti e vive: mi sembravano ultraterrene. Probabilmente un mix di gioia e meraviglia. Io e Louis a quei tempi trascorrevamo ore e ore in compagnia l'uno dell'altro, ci volevamo così bene, un bene che mi sembrava di assaporare. I suoi occhi li ricordo talmente bene, lucidi e brillanti, immersi in un vortice di speranza maniacale. Gli abbracci non mancavano mai, quei suoi arti in continuazione attorno al mio collo. Pertanto i segreti, le paure, i desideri erano condivisi, sempre e comunque. Lui fu la prima persona a venirne a conoscenza.

"Un anno in Italia, riesci a crederci?"
Sorrise.
"No, certo e non vedo come tu possa riuscirci"
"Lontani per un anno però"
"Sarà più breve di quello che tu credi"
"Lo spero"
"E' sempre così"
Distolse lo sguardo. Ci avrei scommesso: era sul punto di scoppiare a piangere, ma per una qualche forza a me sconosciuta riuscì a reprimere quell'istinto.


La felicità umana può toccare picchi inimmaginabili in alcuni momenti della nostra vita, momenti che possono essere brevi o meno. Peccato che per la maggior parte delle volte la sottovalutiamo e non le diamo la giusta importanza. Sono sempre stata convinta che sorridere sia una delle più belle abilità umane: sentire i muscoli contorcersi istintivamente, arrivare a piangere e fregarsene del dolore facciale che dopo un po' potrebbe comportare. Eppure la felicità non è forte quanto si pensi, anzi. Una qualsiasi sciocchezza potrebbe distruggerla e trasformarla nel suo opposto: la tristezza. Un' emozione che cerchiamo sempre tutti di evitare, ma soprattutto di nascondere. Non sembrava essere un mio problema in quell'occasione, certamente. Io sorridevo, Louis anche, però non tutto il resto. 

I suoi occhi erano cambiati da un po', lo vedevo con incredibile trasparenza. Lucidi di lacrime trattenute e non di sorrisi soddisfacenti.
"Louis"
Il coraggio di confessargli alcune mie preoccupazioni per fortuna non mancò, un coraggio che in me abbondava ma che in lui scarseggiava. Stentava, infatti, a guardarmi; non solo in viso ma in qualsiasi altra parte del mio corpo. Più volte fui costretta a richiamare la sua attenzione, fin quando mi avvicinai e tirai il suo viso verso di me. Pronunciando con un filo di voce: "Cos'hai?"
Mi guardò, oltrepassò la mia anima, le mie emozioni, il mio corpo. Un brivido mi scosse ed iniziai a sentire la forza mancare. Furono secondi di intensità spaventosa che mi capita spesso, ancor oggi, di sentire. Il suo silenzio era la cosa più terribile, non capire cosa provasse o pensasse era una frustrazione per la mia sanità mentale. Decisi di allontanarmi di qualche metro ed il suo sguardo mi seguì. Provò stranamente a sorridere, mentre si asciugava il naso con il polso.
"Non sto molto bene"
"Lo avevo notato da un po'"
Risposi. Ferma e decisa nel mio timore.
"Sono successe alcune cose che...non dovevano proprio succedere"
"Quali?"
Sostenne l'espressione per qualche secondo.
"Papà ha fatto un incidente"
Il mio respiro si bloccò e con esso tutta me stessa. Mille domande iniziarono ad affollarsi nella mia mente, quella che le accomunava fu: "Perché non me lo hai detto prima?"
"Non lo so"
"Che significa "non lo so"?"
Mi guardò per l'ennesima volta, ma non si preoccupò di darmi altre spiegazioni. Pensai che fossi io quella nel torto e pertanto mi permisi una domanda di preoccupazione: "Come sta?"
"Non cammina e forse non lo farà mai più"
Questa volta lo fece: pianse. Iniziò a piangere in una frazione di secondo: i suoi occhi si riempirono di gocce, le quali iniziarono a scivolare veloci lungo il viso. Io, invece, strinsi le mani intorno al petto e mi guardai intorno: non sapevo cosa fare, pensare o dire, il buio mi circondava nell'interno e all'esterno. Dopo un pò ebbi una certezza: qualcosa nelle nostre vite sarebbe cambiata.


Furono mesi di sacrifici i miei. Tutte le cose belle iniziarono a sfumarsi e al loro posto apparvero quelle brutte. Passavo giornate intere insieme a Louis, ma non per divertirci bensì per aiutare il padre in qualsiasi suo passo. L'Italia era diventata ormai un traguardo lontano e inimmaginabile, si era scontrata con essa la dura realtà. Non ero obbligata a fare ciò che facevo, ma il bene che provavo per Louis era talmente grande che scartava a priori qualsiasi altra scelta. Gli sorridevo quando dentro di me il dolore si mescolava alla gioia. I nostri corpi sempre così vicini ma le nostre menti sempre più lontane. Speravo che tutto potesse finire al più presto, non riuscivo a sopportare nulla ancora: da una parte i miei genitori adirati per la mia decisione di rifiutare il premio, dall'altra Louis e suo padre che urlavano il mio aiuto, le voci di quest'ultimi erano ovviamente più forti. Ognuno sapeva che non lo facevo esclusivamente per pietà, c'era di più. Gridavano all'amore i miei parenti, i miei amici e persino gli sconosciuti. Diverse volte negai quelle stupide affermazioni e l'attimo dopo, puntualmente, ero sul punto di guardare incantata Louis. Ero forse un controsenso umano che combatteva a vuoto contro se stessa. 

Giorni, mesi e anni erano ormai passati e il controsenso rimaneva più deciso e intenso ma, allo stesso tempo, corroso e malsano dalle esperienze che avevo vissuto e che stavo vivendo. Mi capitava spesso di pensare a tutto questo, ma mai come in quell'occasione queste riflessioni si fecero più vive che mai. Sentivo di dover dare a tutte loro una spiegazione, una risoluzione. Il coraggio doveva nascere, che io lo volessi o meno, e l'occasione per farlo si sarebbe presentata, ne ero certa.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Eccomi con il quinto capitolo! Allora, è forse un pò tutto troppo complicato e confuso e pertanto chiedo il vostro perdono se è realmente così. Ho puntato sulle emozioni di Gabrielle e su tutto ciò che è dietro di esse. Come avrete notato è una sorta di capitolo flash-back poichè volevo proprio raccontarvi di questo grande sacrificio che lei ha fatto per il suo a***o Louis (non usiamo ancora quell'aggettivo, su). Troviamo la felicità e la tristezza come protagoniste indiscusse della vita della nostra protagonista, eppure sono sicura che le sue riflessioni valgono un pò per tutti. Detto questo vi lascio a commenti, a riflessioni e a qualsiasi altra cosa che questo capitolo ha potuto suscitare. Spero, come sempre, che vi sia piaciuto!
Un bacio.
-Manu 

p.s. aggiungetemi su facebook per aggiornamenti, chiarimenti, domande o semplici chiacchiere 
Manu Efp.
Il titolo riprende l'omonima musica di Ludovico Einauidi.

 
- LOUIS -



( enormi sorrisi ahh )

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Capitolo 6
*** You're the color of my blood ***



You're the color of my blood
 
You're the light, you're the night
You're the color of my blood
You're the cure, you're the pain
You're the only thing I wanna touch
Never knew that it could mean so much, so much

 
Le emozioni rendono incredibilmente incontrollabile il nostro corpo. Divorano la razionalità e reprimono i gesti, è tutto decisamente irritante e qualunque cosa tu faccia per scacciarle via risulta inutile, anzi a volte un sforzo può solamente peggiorare la situazione. Sentivo come se qualcosa mi stesse consumando dall'interno, sentivo come se le mie forze si sarebbero annullate da un momento all'altro. Chiudevo le palpebre e vedevo nel buio gli occhi di Louis, le chiudevo una seconda volta e vedevo le sue mani: forse stavo impazzendo, ma non capivo se la colpa di tutto ciò fosse mia o sua. Era un dubbio che mi tormentava da tanto tempo ormai e risolverlo era una necessità, anzi, una sfida che non mi sentivo di affrontare.

Erano passati due giorni dall'ultima volta che lo avevo visto. Un'eternità per entrambi. Ci eravamo lasciati con un litigio, è vero, ma succedeva in continuazione eppure quella volta nessuno dei due si fece avanti per mettere fine a quella condizione. Troppo arrabbiati? No, non poteva essere, l'eccesso non faceva parte di noi. Poco interessati? Assolutamente neanche questo. Mi guardavo intorno e cercavo ovunque una risposta, tuttavia il mio inconscio maligno mi suggeriva: "Potresti andare tu da lui, no? E fare finta che non sia successo mai nulla".
Era una soluzione, forse l'unica ma non mi sentivo in grado di fare neanche questo. La paura del rifiuto, di ascoltare nuovamente le sue urla era infinita in me. All'improvviso ebbi un'idea, sicuramente assurda e orribile ma in quel momento mi sembrò d'obbligo. 
Vanessa.
Vanessa era l'unica con cui Louis andava eternamente d'accordo e per questo avevo bisogno del suo aiuto. L'odio doveva farsi da parte e la preoccupazione sarebbe stata sovrana. Presi immediatamente il cellulare e non ci pensai due volte.
Scorsi il suo nome in rubrica e la chiamai.
Tremavo, non posso negarlo. Tremavo per lui non per lei, provavo inquietudine ma non so esattamente perché: era una semplice telefonata, nient'altro, però dietro di essa vi erano talmente tante questioni e problemi capaci di formare un groviglio insuperabile. Due bip e successivamente la voce di Louis. Rimasi per alcuni secondi stranita prima di pronunciare parola.
"Louis?"
"Chi è?"
"Sono Gabrielle"
La sua voce si interruppe e dall'altro lato non si sentiva altro che un inquietante e imbarazzante silenzio. Decisi di farmi coraggio.
"Vanessa dov'è?"
"E' qui con me"
E il cuore prese a fare male: istintivo e vorace, cattivo e incurante. Il mio autocontrollo fu spazzato via in pochissimi istanti e al suo posto apparve il disorientamento, più precisamente il dolore. Era dolore, lo sentivo. Bruciava come il fuoco e prudeva come l'ortica, e come in questi casi reali io non potevo fare nulla.
Era con lei, chissà da quanto tempo, dovevo aspettarmelo. 
"Volevo parlare, non è più necessario"
Riagganciai, gettandomi sul letto e avvicinando le ginocchia al petto. 
Iniziai a piangere.
Preferiva lei a me.
Ero gelosa e infastidita. Dopo tutto quello che avevamo passato, dopo tutti i nostri abbracci soffocati e le chiacchiere infinite preferiva lei, che portata al mio confronto era una vera e propria sconosciuta.
Lo odiavo con tutta me stessa per quello che stava realizzando a se stesso e a me. Sembrava lo stesse facendo apposta, vedere fino a che punto sarei stata capace di sopportare tutto, se in fin dei conti tenevo a lui, vedere fra i due chi fosse il più forte. Da sempre credevo che lo fossi io e in quei momenti capii che non era affatto così. Lui domava con i suoi semplici gesti e con le sue banali parole ed io sopportavo e assorbivo qualunque cosa, trasformando quei movimenti in sofferenze.
Tra mille complessi e strazi passai quel giorno e quella notte.

Alle 7 del mattino seguente mi alzai e mi diressi in bagno.
Osservai il mio riflesso nello specchio e ricominciai a piangere. Il mio volto era scavato dalle lacrime e gli occhi erano circondati da enormi cerchi violacei. La colpa era di lui e di nessun altro. Mi appoggiai al lavandino e decisa iniziai a lavarmi il viso. Mi guardai una seconda volta ed aggiustai i capelli.
"Non hai bisogno di lui, non hai bisogno di lui. Tu sei forte, sei la più forte!"
Iniziai a ripetermi quella frase per le successive due ore, ore in cui mi vestii e mi diressi in università. Mi sentivo decisamente meglio e incurante di tutto proseguii verso la mia aula. La situazione era la stessa di tutti i giorni, alcuni si preoccuparono di salutarmi, altri no. Non avevo molti amici, sentivo di non averne bisogno. D'un tratto il professore Turner entrò e gli alunni si alzarono come soldati in piedi, mi preoccupai di fare altrettanto. Dalla mia settima fila lo intravidi. I capelli erano solitamente perfetti e un sorriso fatto di denti bianchi come il gesso gli spuntava perpetuo sul viso. Ci accomodammo nuovamente sulle nostre sedie.
Fu una semplice lezione di ripetizione su Freud eppure non fu per niente banale. Il professore Turner sapeva fare davvero bene il suo lavoro: sempre sull'attenti, puntava sulla simpatia e con quelle sue battutine e paragoni con le stranezze della vita quotidiana riusciva a conquistare l'attenzione sempre di tutti. A me piaceva parecchio e questo mi permise di distogliere per alcuni momenti la mia attenzione da quei miei orribili pensieri. La lezione terminò cinque minuti in anticipo e decisi di fare una domanda su quel master di cui mi aveva parlato con tanto entusiasmo qualche giorno prima.
Mi avvicinai a lui e con fare timido pronunciai il suo nome.
"Professore Turner, mi scusi"
Si girò e mi guardò dritta in viso. Arrossii ed iniziai a sorridere per un qualche motivo a me sconosciuto.
"Signorina Stock! Mi dica"
"Volevo sapere più o meno quando mi darà delle indicazioni in più per la questione del master"
"Per il momento non so dirle il giorno preciso, ci sono ancora alcune procedure da svolgere, ma sicuramente fra non molto. C'è qualche problema?"
"No no, assolutamente! Ero solo curiosa. Allora le auguro una buona giornata, arrivederci"
"Arrivederci"
Indietreggiai, continuando a tenere lo sguardo su di lui prima di inciampare su di una matita.
"Signoria Stock, stia attenta!"
Si catapultò verso di me e mi tenne strette le braccia, impedendomi di cadere con il sedere per terra. I nostri occhi si incrociarono e un imbarazzo mi circondò. Serrai le palpebre e nel buio vidi per l'ennesima volta un paio di occhi color oceano le cui iridi diventano sempre più luminose.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Allora, scrivere questo capitolo è stata un faticaccia. Non che ci abbia messo tantissimo tempo, più che altro perchè avevo tantissime e diverse idee e non sapevo quali scegliere e come ampliarle, ma alla fine ce l'ho fatta. Non so se sia decente, come sempre ci sono delle parti un pò confuse, ma questo perchè la nostra protagonista per il momento lo è! Sicuramente, però, l'ultima scena vi è piaciuta e spero abbia destato qualche "riflessione". Vi lascio ai commenti e grazie come sempre miei carissimi lettori!
Un bacio.
-Manu 

p.s. le citazioni e il titolo riprendono la canzone di Ellie Goulding - Love Me Like You Do

 
- LOUIS -

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Capitolo 7
*** Take a breath ***



Take a breath
 
I could stay a little bit
I could stay a little bit more
But I just wanna take a breath
and keep it on the floor
Like a sayonara to the world

 
Scossi il capo e allontanai frettolosa il professore da me. Abbassai il capo e tenni stretta la mia testa fra le mani. Cercavo in qualche modo di scacciare l'immagine di Louis dai miei pensieri, ma sembrava tutto impossibile e forse involontariamente iniziai a piangere. Una mano mi si poggiò sulla schiena.
"Signorina, che succede?"
La sua voce rendeva trasparente un velo di sincera preoccupazione e questo mi convinse ad alzare il volto verso di lui, dopo aver cercato di asciugare qualche lacrima.
"Troppi pensieri, scusatemi professore"
Mi ricomposi alla meglio e accennai un sorriso. Lui, però, continuava a guardarmi con uno sguardo disorientato e direi un po' spaventato. Si grattò il mento e puntò gli occhi oltre le mie spalle. 
"Le serve qualcosa?"
Disse improvvisamente, poggiando per una seconda volta una mano sul mio corpo, sulla mia spalla.
"No, stia tranquillo"
Mi sorrise a sua volta. Mi prese poi sottobraccio e a bassa voce, dirette nel mio orecchio, pronunciò flebili parole.
"Le voglio offrire una cioccolata calda, mi segua"
Non esitai, anche se ancora un po' in preda ad una specie di shock. 
Attraversammo lunghi corridoi, percorremmo scale fino al trovarci davanti ad un distributore. Notavo in lui una sorta di grande fiducia, diretta al mondo e a tutte le persone, un sentimento che mi sembrava trasferibile a chiunque. E in quel momento infatti mi sentii meglio e lo osservavo curiosa e meravigliata. Introdusse con delicatezza una monetina nella macchina e ne estrasse alcuni secondi dopo la bevanda.
"Ecco a lei"
La avvicinò alle mie mani, la afferrai e con fare altrettanto attento e concentrato la portai alle labbra. Lui, intanto, si portò verso la grande finestra e osservò il giardino sottostante. Continuai a puntare l'attenzione verso i suoi gesti fin quando decisi di accostarmi lenta a lui. Si girò e mi rivolse un ennesimo sorriso. D'un tratto percepii che la fiducia che inizialmente era tutta sua stava iniziando ad essere anche mia.
"Professore, perché trovo tanto difficile provare indifferenza per una persona?"
Mi guardò, scoppiò in una risata e strofinò successivamente gli occhi con i polpastrelli.
"Perché siamo maledettamente istintivi, Gabrielle. Non c'è una spiegazione logica a questo rifiuto del tuo cervello perché il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce. Purtroppo lui prevale su tutto il resto"
"Ma il mio non è amore"
Lo interruppi, allarmata.
"E chi ha mai parlato d'amore? Il cuore non prova solo amore, giusto?"
Abbassai la testa e mi resi conto dell'orrenda figura che avevo appena fatto. Posò un dito sotto il mio mento e lo alzò.
"Quindi è amore?"
Non capivo. Gli avevo appena detto che non era amore, in alcun modo, e ora lui stava chiedendo se lo era. Non era stupido, di certo, eppure quella domanda sembrava dimostrare il contrario. Rimasi, però, cupa nei miei pensieri quando lui prestò ad arretrare di qualche passo.
"E' difficile, lo so"
Profetizzò, forse non a me ma fra sé e sé. Queste ambigue parole attirarono la mia attenzione e con gli occhi spalancati seguii i movimenti delle sue mani che si giravano, si intrecciavano, si allontanavano in continuazione. Non comprendevo il perché di tutta quell'ansia inattesa e stranamente poggiai una mano sulla sua, inconsciamente, incurante di quali fossero gli abissi tra me e lui.
"Forse lo so anch'io"
E i nostri occhi si incrociarono, si immerso gli uni negli altri, trovando una simbiosi perfetta perché le nostre storie erano simili. Sentivo affinità ma allo stesso tempo un senso di inopportunità. Ci sorridemmo così insieme e i nostri animi in quell'attimo erano diventati sicuramente più leggeri avendo trovato un compagno con cui dividere le pene. 
"Siamo simili, molto simili, Gabrielle"
Continuammo quel nostro contatto fin quando il disarmante suono della campanella portò via quella magia e ci riportò alla realtà e ai miei occhi non era più Alex, il mio compagno, ma il Signor Turner, il mio professore di psicologia.
"Grazie professore, mi ha fatto..."
Improvvisamente una mano si intromise tra di noi, una mano a me fin troppo conosciuta, la mano di Louis. 
Seguii quell'arto fino a raggiungere il suo volto coperto da uno strano sorriso.
"Gabrielle, guarda cosa ti ho portato"
Alzò le sopracciglia, invitandomi ad osservare nuovamente la sua mano. Lo feci, e in effetti teneva stretto un mazzo di banconote. Non riuscivo a pronunciare una singola parola o a dimostrare una qualsiasi espressione ad eccezione di quella della confusione. Quelle immagini che turbavano da giorni i miei neuroni ora erano diventate realtà e sovrastavano dinanzi a me.
"Che fai, non le prendi? Mi hai scocciato per mesi"
Le presi ed iniziai a guardarle fisse. Alzai lo sguardo e ancora vi era il professore, inerme. 
"Grazie, Louis"
"Era ora, ti va di andare a fare quattro chiacchiere o?"
Iniziò a guardare il professore con uno sguardo, a mio avviso, infastidito e disprezzato, quasi a voler dire che la sua figura era indesiderata fra di noi.
"Ora ho una lezione, a presto signorina Stock e...signor Louis"
Portò una mano verso di lui, incitandola a stringerla. Louis lo accontentò, soddisfatto della sua prossima ritirata.
E in un attimo la figura di Alex si mischiò a quella di tutti gli altri studenti quando tra me e Louis le cose si stavano facendo sempre più chiare.
"Vieni qui dai"
Aprii inaspettatamente le braccia e mi invitò a recarmi fra di loro.
"Cosa vuoi?"
Provai fastidio per lui, per tutti i suoi gesti ma soprattutto per quest'ultimo.
Mi guardò spaventato e si ricompose, portando le mani nelle tasche della tuta.
"Chiederti scusa"
E forse lo stava facendo per davvero. Aveva ceduto lui e non io. Musica era quelle due parole alle mie orecchie e iniziai a sentirmi più forte che mai. Tuttavia non mi preoccupai di dargli una risposta a quello che molto probabilmente era un invito.
"Sono stato uno cretino e ho capito di averti fatto del male"
Velocemente portò le mani verso il mio collo e mi abbracciò, poggiando la testa sulla mia spalla sinistra e poi passare delicatamente il naso sul mio collo. Rabbrividii in mezzo secondo e divenni di pietra. 
"Gabrielle, sei l'unica che mi è davvero vicina a questo mondo"
E i brividi si fecero sempre più insistenti mentre quelle parole arrivavano lente alle mie percezioni e il suo respiro sfumato alla mia epidermide. Dovevo essere al settimo cielo ma semplicemente non lo ero. Ero frastornata e turbata e quello che doveva essere un momento di grande intimità, ero sicura, lo avrei trasformato in un momento di pura follia. Lo scansai con forza, staccando una ad una le sue dita appiccicose.
"Tu sei pazzo, te lo ripeto"
Ma il cuore iniziò a battere furioso e incurante di ciò che la mia ragione effettivamente voleva. Sentivo che la calma si sarebbe presto trasformata in qualcosa di disarmante per entrambi. Lui, al contrario, aveva già perso quel briciolo di ragione e ormai agiva esclusivamente ascoltando l'istinto: un attimo primo era sicuro di tutto ciò che faceva, l'attimo dopo sembrava smarrito.
"Gabrielle, ma che ti succede?"
Non so il perché quelle parole mi fecero del male. Non contenevano insulti, aggettivi inopportuni o critiche, eppure sentivo qualcosa nel mio petto andare in frantumi. Sentivo che un pezzo di me era sul punto di essere perso per sempre se non fosse stato salvato in tempo. Gli avrei voluto rispondere così tante cose, avrei voluto sorridere e piangere allo stesso tempo, avrei voluto urlare e saltare, avrei voluto abbracciarlo e baciarlo per cercare in qualche modo di sentirmi meglio, ma mi limitai a contenere tutte quelle emozioni contrastanti in una singola emozione.
"Ho paura, Louis"


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Il mio piano era solo di abbozzare qualcosa oggi e di finire il tutto domani con calma, ma è stato più forte di me...ho scritto l'intero capitolo, avevo (quasi) tutte le idee! Comunque, che dire...Gabrielle sta cercando di combattere con tutta se stessa contro la figura di Louis, una figura che le provaca esclusivamente dolore e nient'altro, questo perchè eccessivamente in opposizione ai suoi, chiamiamoli, "principi morali". Louis, come abbiamo potuto ben notare in questo capitolo, è a sua volta abbastanza confuso. Un giorno ha occhi solo per Vanessa e il giorno dopo è pronto a chiedere scusa a Gabrielle, insomma anche lui ha delle emozioni contrastanti che non riesce a domare. Saranno, per entrambi, troppo potenti e difficili da decidere? Vi lascio a qualche riflessione personale e spero come sempre che vi sia piaciuto!
Un bacio.
-Manu 

p.s. titolo e citazione iniziale riprendono la canzone di Madh - Sayonara. E' una settimana che non faccio altro che ascoltarla e non potevo evitare di dedicarle il mio capitolo. Poi, la citazione in corsivo nel mezzo della storia è del grande matematico, fisico, filosofo e teologo francese Pascal.

 
- LOUIS -

     

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Capitolo 8
*** Immortal ***



Immortal
 
Oh, all these things that humans do
To leave behind a little proof
But the only thing that doesn’t die is love

 
Ho paura.
Ho paura di te, ho paura di me, ho paura delle nostre menti troppo distanti, ho paura dei nostri cuori forse troppo vicini perché nella vita non ci è concesso sbagliare, fare errori irrimediabili, e darti completo accesso alla mia vita molto probabilmente sarebbe un errore.
Eppure ti guardo come se fossi l'avvenimento più straordinario al mondo e adoro più di ogni altra cosa potermi immergere nei tuoi occhi color oceano.


Pensavo a tutto questo con il fiato sospeso mentre lo avevo dinanzi a me.
"Di cosa?"
Si azzardò a dire quando iniziò a scrutarmi con uno sguardo eccessivamente curioso. Ed io non sapevo se rispondere qualcosa o abbassare il volto verso terra sperando potesse dimenticarsi di quella domanda e passare oltre, ma prima che potessi fare una qualsiasi cosa lui mi precedette.
"Vado a fumare, ok?"
Cacciò in fretta il pacchetto dalla tasca, ne estrasse una sigaretta e se la portò immediatamente alle labbra. Si allontanò così da me, lasciandomi da sola in una stanza troppo fredda.

Mi preoccupai di seguirlo e attraversando i vari corridoi mi ritrovai davanti alle scale di emergenza dove lui sostava.
Il braccio sinistro appoggiato sulla sottile ringhiera e la destra pronta a tenere stretta quell'involto di tabacco che allontanava e avvicinava a se stesso ad una velocità esagerata.
"Ti verrà un collasso se continui così"
Mi feci coraggio e rigida camminai nella sua direzione. Copiai la sua posizione ed iniziai a guardarlo. 
"Ho paura degli esami comunque, sono davvero troppi e non credo di potercela fare. Sono un po' stressata in questo periodo forse è per questo che mi vedi diversa"
Accennai un sorriso mentre gli mentivo spudoratamente a pochi centimetri dai miei occhi che gridavano alle lacrime. E forse lo aveva capito che quella non era la verità eppure decise di farmi compagnia in quel piccolo momento di distrazione. 
Gettò il mozzicone al di là e accostò una mano attorno alle mie spalle.
"Ma se sei la più brava"
Provò a rassicurami con tutto se stesso, lo percepii perfettamente e ne fui davvero felice. Mi chiusi sotto il suo collo e serrai le palpebre provando ad immaginare un mondo privo di problemi di qualsiasi genere. 
"Vanessa non mi piace più"
Improvvisamente il tono serio della sua voce occupò la mia mente. Mi allontani da lui e lo guardai stranita. 
"Davvero?"
Prese a ridere e a scuotere la testa a destra e a sinistra mentre allungava le mani verso le tasche.
"So che stai gioendo Gabrielle, non nasconderlo, è inutile"
No, non stavo gioendo, si sbagliava. Ero scioccata, confusa e non sapevo minimamente come comportarmi dopo una notizia del genere, semplicemente perché non me lo aspettavo. Certo, forse un minimo di felicità c'era, ma non così prevalente su tutto il resto.
"Sono senza parole Louis. Io pensavo l'amassi"
"Amarla? Ma per piacere, si vede che non sai proprio cosa significa amare una persona"
Lo fissai, lo fissai.

Louis, forse non lo so eppure io credo di averne una mezza idea.
Amare qualcuno è avere occhi solo per lui, avere pensieri solo per lui.
Condividere gioie e dolori, sorrisi e lacrime per tutto il tempo che questo sentimento prevale su tutto il resto. Perché "amare" è sinonimo di "per sempre" quando sei con la persona con la quale sei disposto a spartire il tuo interno corpo. Amare non è un sentimento, è la ragione della nostra intera esistenza e senza di esso noi non potremmo né esistere né vivere. 
Louis, io capisco cosa significa amare e nient'altro, e il giorno in cui sarò pronta a saperlo realmente credo non sia poi così lontano.


"Già. Non lo so. Perché, tu lo sai?"
"No, purtroppo, ma spero di poterlo sapere al più presto. Dicono sia una bella cosa"
Mi sorrise, con le labbra e con gli occhi, istintivamente condivisi quella sua espressione. 
"Anch'io l'ho sentito dire"
"Scusami ancora Gabrielle, non pensavo di essere stato così stronzo"
Cambiò argomento in mezzo secondo sorprendendomi ancora, ma il mio animo ne fu felice e rividi in lui il Louis con il quale avevo condiviso gli anni più belli della mia vita. 
Improvvisamente un rumore assordante iniziò a farsi spazio nei lunghi corridoi. Erano voci indistinte e stranamente rumorose, doveva essere accaduto qualcosa di strano. Louis si allarmò prima di me e corse, inseguendo il chiasso. Feci altrettanto.

Ci ritrovammo nell'ingresso.
Due agenti di polizia parlavano piuttosto irritati con i segretari e il preside dell'università che sembrava più sorpreso di noi di quella visita inaspettata.
"Agenti, non c'è nessun allievo con quel nome qui. Mi deve credere!"
"E' impossibile. Lo abbiamo visto entrare qui più di un'ora fa. Va bene, allora...dato che ci sono tutti questi studenti qui ora, lo chiedo a loro, forse qualcuno lo conosce o almeno ne ha sentito parlare"
Uno dei due, un metro e ottanta di muscoli e rabbia si guardò intorno e scrutò i volti di alcuni di noi. Si tirò il pantalone verso l'alto e successivamente incrociò le braccia al petto soddisfatto della sua posizione.
"Qualcuno conosce Louis Tomlinson? Allora?"
Il sangue mi si gelò nelle vene come mai prima. Portare l'aria nei polmoni fu più difficile che mai. Sentivo la testa pesarmi come un mattone e gli occhi sul punto di uscire dalle loro cavità. Non avevo la forza di girarmi alla ricerca dello sguardo di Louis, tuttavia nello stesso momento un altro sguardo mi stava addosso: quello del professore Turner, con le braccia al petto proprio come il poliziotto. Mi osservava serio e imperturbabile. Non avrebbe detto una parola, ne ero sicura, aspettava che fossi io a farlo ed ero altrettanto sicura del fatto che una volta incontrata la mia espressione avrebbe immediatamente cambiato quest'idea. Si rigirò verso gli agenti, portando naturalmente la testa dal lato opposto. 
"Scusa"
Una debole parola arrivò al mio orecchio sinistro. Una parola che sentii più forte e via via più sommessa verso la fine. Si stava avvicinando a loro con lo sguardo diretto in avanti. Non mostrava un segno di cedimento o di paura, forse se lo aspettava, sapeva che questo giorno sarebbe arrivato prima o poi. Lui lo sapeva, io no.
"Sono io"
"Bene. Siete in arresto"
Ora l'altro di loro cacciò dalla tasca destra delle manette e gliele infilò velocemente, bloccando ogni suo tentativo di muoversi.
Io ero ferma, immobilizzata da quell'intera situazione e da tutte quelle emozioni che mi aveva suscitato. Però una scarica di adrenalina mi pervase le parti, dal basso verso l'altro, riempiendomi di forza.
"Louis!"
Ed urlai come se fosse distanti da me chilometri quando invece erano solo pochi passi. La massa si girò verso di me, ma non tutti ebbero il tempo di farlo dato che mi gettai nella loro direzione, facendomi spazio con le mani tra i loro corpi. Mi fiondai al suo collo e lo abbracciai. Iniziai a piangere indifferente delle persone che ci circondavano. Eravamo ai miei occhi, in quel momento, solo io e lui, in una circostanza sicuramente complicata.
"Ti prego, Louis, non puoi andare. Vedrai che ti lasceranno. Non puoi aver fatto una cosa tanto grave. Non puoi. Io credo in te. Io ho fiducia in te. Ti libererò, Louis, te lo giuro."
Pronunciai quelle parole velocissima, sapevo che il tempo non era a nostro favore ed io avevo bisogno di dirgli tutto quello che provavo e che avrei fatto, nonostante tutti e tutto.
Louis, dal canto suo, si poggiò alla mia spalla e si curvò verso di essa.
"Gabrielle, tranquilla, vai a casa"
E lo portarono via da me, trascinandolo con forza verso l'esterno. Lo vedevo scavalcare le scale rapido, con passi sicuri e nessun indugio. Speravo si girasse per un ultimo incontro, ma non lo fece.
La mischia continuò ad osservare tutto ed io feci lo stesso. 
Il mio sguardo non si staccò da lui un singolo secondo e sentivo il cuore sanguinare perché una parte di esso era stata strappata e non ricucita.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Eccomi...allora, piccoli grandi pensieri di Gabrielle sono quelli in corsivo. Sono le parole che pensa ma che non ha il coraggio di dire a nessuno ne tanto meno a Louis che va in carcere..........ok ok, credo che nessuno si sarebbe aspettato una cosa del genere, ma era prevista. Spero che vi si piaciuto nonostante questo colpo di scena e vi invito a scrivere una piccola recensione, giusto per sapere se vi sta piacendo il tutto o meno. Grazie.
Un bacio.
-Manu ♥
p.s. la citazione e il titolo riprendono la canzone di Marina and the Diamonds - Immortal

 
- LOUIS -



(che bad boy)

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Capitolo 9
*** Even if the skies get rough ***




Even if the skies get rough
 
Tornai a casa, come lui mi aveva chiesto di fare. Con un'eccessiva calma per la situazione che si era appena creata, ma la calma era del corpo e non della mente che cercava in tutti i modi di trovare una soluzione. Pensavo, pensavo e non facevo altro che pensare a cosa, a chi rivolgermi, dove andare, cosa dire. Mi fermai al centro esatto della mia stanza osservando il cielo blu, particolarmente blu quella mattina. Un cielo incurante di ciò che stava accadendo intorno a se, che riusciva a bastarsi da solo e a risplendere in tutta la sua forza. Volevo essere come lui ma sapevo che non potevo. Troppi erano i legami che mi tenevano stretta alla mia realtà. Richiusi le braccia attorno al petto e avanzai verso l'enorme finestra. Stavolta mi guardai intorno, prima a destra e poi a sinistra. Non vidi altro che persone intente a correre verso le proprie mete, concentrate esclusivamente sul proprio da farsi. Mi resi conto che non potevo continuare a stare ferma, immobile mentre lui chissà in quale situazione poteva trovarsi. Temevo potessero fargli del male fisico ma soprattutto psicologico. Speravo nella sua innocenza e temevo che fosse stato incastrato in qualche imbroglio. Iniziai a muovermi cancellando dalla mia mente immediatamente le parole di Louis e il suo viso compassionevole che le esprimeva. E come una specie di illuminazione decisi di andare dalla madre. Da Johannah.

Non sapevo se ci fosse qualcuno in quella casa ma volevo comunque provarci. Bussai convinta il citofono aspettando alcuni interminabili minuti. Riprovai una seconda volta, anche stavolta non ricevendo alcuna risposta. Mi girai verso il cortile che avevo alle spalle, sperando che qualcuno all'improvviso sbucasse dal nulla. Le mani iniziarono a tremarmi seguite dalle pupille che sentivo piano piano bruciare. Tutta quell'ansia che avevo mantenuto e provato a contenere ora si stava liberando rendendomi inverosimilmente debole. Mi presi il viso fra le mani ormai prossima ad un pianto infinito. Le gambe si portarono verso il pavimento dove continuai quella mia orribile tortura. Gli occhi di Louis si fissarono nel buio dei miei pensieri e per me non ci fu mai immagine più dolorosa. Volevo, ma avvertivo di non poter fare nulla perché troppo debole nei confronti di ciò a cui sarei andata incontro. 
Sola no, era impossibile.
Con l'aiuto di qualcuno forse si.
E una scintilla mi risvegliò quando presi il cellulare in mano e digitai il numero di Alexandra. Con la gola che inaridiva e i polmoni stanchi di quell'affanno mi preparai per la richiesta d'aiuto.
"Pronto?"
"Alexandra, ho bis - ogno del tuo aiu – to"
"Cosa succede, Gabrielle?"
"Louis"
Pronunciai il suo nome come una tortura talmente dolorosa. Il suono del mia voce fu flebile e incerto.
"Dove sei? Arrivo subito"
Non mi diede il tempo di pronunciare nessun'altra spiegazione o parola. Aveva percepito dalla mia sola voce la circostanza orribile in cui potevo trovarmi. O forse lo aveva capito dal suo nome, ed era bastato quello a mandarla in allerta.

Erano passati circa dieci minuti dalla mia chiamata quando il rombo della macchina di Alexandra mi pervase le orecchie in quel quartiere che sembrava abbandonato. Mi feci forza e mi tirai in piedi, facendo segno con la mano sinistra che agitavo in alto. Dal finestrino leggermente oscurato notai il suo sguardo preoccupato e non impiegò molto a scendere e a correre nella mia direzione. Appoggiò veloce una mano sulle mie spalle e mi raccolse sotto la sua attenzione.
"Gabrielle, ma che cazzo è successo? Hai una faccia orribile"
La guardai in volto e notai così tante sfumature di paura, di inquietudine, di ansia che il mio cuore si sentì subito più leggero avendo trovato una persona così buona capace di aiutarmi. Eppure non ebbi la forza di pronunciare una parola; mi limitai ad abbassare gli occhi verso le sue scarpe che brillavano di un nero corvino ai raggi intensi del sole.
"Se non parli non posso aiutarti"
Ora la sua voce assunse un tono più calmo e più sereno possibile, provando in qualche modo a placare anche me. Ci riuscì.
"Louis. E' finito in carcere ed io non so per quale motivo."
"Cazzo"
Disse, con tutta la convinzione e la spontaneità di questo mondo. Sembrava si fosse liberata di un peso fin troppo opprimente. Guardò anche lei il basso, pensando forse ad una risoluzione.
"Andiamo al carcere allora, ci dovranno dire per forza almeno qualcosa"
Convinta di ciò che aveva appena detto, drizzò la sua schiena costringendomi a fare altrettanto. Sostenendo il mio braccio portò entrambe verso la sua auto.

Il tragitto fu silenzioso, forse fin troppo.
Non aiutava la mia ansia che non faceva altro che crescere ad ogni nostro metro ed ero sicura che non facesse bene neanche alla sua. La osservavo di tanto in tanto con la punta degli occhi: lo sguardo rigidamente in avanti e le mani immobili e dure sul manubrio, sembrava avesse paura che potesse scapparle via. Dopo un quarto d'ora di curve e strade a senso unico arrivammo alla nostra destinazione. Alexandra afferrò con una manovra la borsa sui posti posteriori e con un veloce "vieni" mi invitò a scendere.
La sua sicurezza mi impressionò, tuttavia non fece altro che aumentare la mia fiducia nei suoi confronti. Con passo spedito attraversammo corridoi fino al trovarci davanti ad un uomo che non perse tempo a chiederci: "Buongiorno, cosa cercate?". Lei gli strinse la mano e senza alcun tentennamento rispose: "Il suo fidanzato, Louis Tomlinson, è stato arresto stamattina e vorremmo saperne il motivo dato che non riusciamo neanche a rintracciare la sua famiglia". L'uomo si soffermò finalmente sui nostri visi che scrutò minuziosamente prima di aprir bocca.
"Capisco. Seguitemi."
Non ce lo facemmo ripetere due volte e seguimmo le spalle robuste dell'agente. Ci ritrovammo in una specie di stanza disordinata e spaventosamente maleodorante di fumo. Una scrivania la occupava esattamente al centro e dietro di essa vi era un altro uomo intento a scrivere chissà cosa su dei fogli gialli. L'agente ci fece cenno di entrare e noi rispondemmo con un altro di approvazione.
Alexandra si sedette senza aspettare alcun invito e incrociò le gambe, serrandosi in una postura di pura intenzione.
"Buongiorno, ci scusi, abbiamo bisogno del vostro aiuto"
Questo secondo uomo si alzò dalle sue carte e la guardò dritta in volto. Assunse un'espressione stranita e disorientata e parlò.
"Ditemi tutto"
I due sembrarono a questo punto aver creato un muro, di cui io non facevo minimamente parte. Mi sedetti al suo fianco, cosciente della mia non importanza in quel contesto.
"Vogliamo sapere perché Louis Tomlinson è stato arrestato improvvisamente questa mattina"
"E voi sareste?"
L'uomo incrociò a sua volta le braccia, allontanandosi dalla sua posizione curva e allungando la schiena lungo lo schienale della sua sedia girevole.
"Lei è la fidanzata"
Ribadì nuovamente.
Fu obbligato così a guardare anche me che purtroppo non riuscivo a sostenere il suo sguardo e lo voltai verso le mie mani che ormai grondavano di sudore.
"Ah. Un attimo solo"
Si alzò e si diresse verso uno scaffale alla sua sinistra. Ne estrapolò un enorme schedario che gettò rumorosamente sulla scrivania. Iniziò a sfogliarlo prima di prenderne uno più piccolo. Sfogliò anche questo, con molta più attenzione.
"Rapina"
"Rapina?!?"
Urlai. 
Fu così spontaneo quel mio gesto che immediatamente mi portai le mani alla bocca. Alexandra posò una mano sulla mia gamba, cercando di calmare quell'attimo di emozione.
"Rapina di cosa esattamente?"
"Rapina domestica. Nella casa di un certo John Mick"
Ricordavo perfettamente quel cognome, sapevo perfettamente chi era quell'uomo.
Il padre di Vanessa.
Il mio sguardo iniziò a perdersi in quella stanza che da eccessivamente piccola stava iniziando a diventare eccessivamente grande. Dei formicolii iniziarono a prendere il sopravvento sulla mia ragione e a rendermi incapace di formulare una qualsiasi sentenza. Rimbombava esclusivamente nel mio cervello la domanda: "Perché lo ha fatto?" 
Una domanda per la quale mi sembrava impossibile aver risposta, ma che in verità portavo ancora nella tasca.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! scusate questo ritardo, ma la sua scuola non mi ha lasciato un momento libero in questi giorni. Appena ho avuto un paio di ore, però, ho preso subito il pc tra le mani. Mhm...questo è un capitolo di passaggio purtroppo, speravo di parlare un pò di più della situazione "Louis in carcere" ma ho preferito soffermarvi su altro e lasciarvi il dubbio. Un dubbio che vi ho lasciato risolto nell'ultimo rigo. Qualcuno di voi ha capito a cosa si riferisce Gabrielle? Spero di si, altrimenti scoprirete tutto nel prossimo capitolo. Oggi, inoltre, volevo rinnovare i ringraziamenti per i miei amati lettori! GRAZIE. Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo è una frase della canzone di 
Jason Mraz - I Won't Give Up
il trailer per chiunque volesse dargli un'occhiata

 
ALEXANDRA



(vi presento la nostra amica, Eva Green!)

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Capitolo 10
*** Inside Eyes ***




Inside Eyes
 
I pensieri si contorcevano, si ribaltavano gli uni sugli altri, si confondevano.
In quella situazione tutto era diventato puro stordimento, non una certezza, non uno spiraglio di evidenza. Riuscivo a sentire lo sguardo attento di Alexandra su di me e quello alienato dell'uomo alla scrivania. E per quanta soggezione potessero mettermi, non un muscolo si mosse al richiamo della loro attenzione. 
Avevo paura.
Non sapevo cosa fare o dire. Non sapevo quale sarebbe stata la mia prossima mossa o quella delle altre due persone che occupavano quella stanza con me. 
Pensavo alla figura di Louis come un ricordo fisso al centro esatto della mia intera esistenza. Provavo ad immaginare le sue emozioni in quel momento, le sue mani morse furiosamente dai denti che stridevano ininterrottamente a contatto con la pelle ruvida e secca. Provavo ad immaginare i suoi occhi sfioriti e scuri. Quella tipica colorazione grigiastra che assumevano quando fuori pioveva o quando era nervoso. E provavo ad immaginare il suo sorriso purtroppo inesistente.
Tutto ciò non poteva farmi più male e non capivo perché provassi tutto quel dolore. Per una persona che mi sembrava di non conoscere, che mai si era preoccupata di sprecare qualche parola in più con me. Per quel Louis che tutto doveva farmi tranne che pena. 
La gola bruciava, cercai di alleviare quella sofferenza deglutendo in continuazione, ma tutto sembrava inutile e incredibilmente stupido.
Alexandra mi prese improvvisamente una mano e la trascinò verso di sé, costringendomi a girarmi verso di lei.
"Gabrielle andrà tutto bene, te lo assicuro"
Debolmente, affinché quell'uomo potesse non sentirla, pronunciò parole di rassicurazione. Tentai di accennare un segno di approvazione, anche stavolta fu tutto inutile. Continuai a guardarla negli occhi, quasi fossi nel bel mezzo di un'ipnosi. Ponevo la concentrazione esclusivamente su di lui.

Dopo circa dieci minuti di inespugnabile silenzio Alexandra si alzò, incastrando la sua borsa perfettamente tra il bicipite e le costole. Afferrò il pacchetto di sigarette da una tasca e ne strinse una tra le dita, facendola rollare.
"Allora...quando possiamo incontrarlo?"
L'uomo la guardò, ancora più stordito di prima. Quella situazione era fin troppo strana anche per lui. Si asciugò il naso umidiccio con il palmo della mano e si tirò a sua volta in piedi, aiutandosi con il trascinare il pantalone verso l'alto. Osservò al di fuori della finestra alle sue spalle e solo dopo si rivolse ad Alexandra.
"C'è l'incontro con i detenuti fra meno di un'ora. Vi faccio io il permesso ora, così risparmiate tempo"
Azzardò un sorriso sfacciato e si riportò nuovamente alla scrivania. Stringendo velocemente una biro e un pezzo di carta.

L'aria era pesante.
Puzzava di chiuso, di sporco e di rabbia mista allo sconforto.
Da una parte c'erano i poliziotti che controllavano tutto e tutti rigidamente nelle loro divise e dall'altra i detenuti silenziosi con faccia grave nelle loro malconce uniformi.
Io e Alexandra eravamo sedute, di fronte a noi una lastra di vetro.
Mi guardavo intorno alla sua ricerca, ma i miei occhi dopo un paio di innumerevoli minuti ancora non avevano trovato nulla. 
Iniziai a preoccuparmi. Presi un fazzoletto ed iniziai a strapparlo in tanti piccoli pezzi.

Finalmente a tutti i reclusi fu permesso di avvicinarsi e prendere posto laddove erano i loro cari. La mia compagna si alzò con uno scatto, poggiò le mani sul muretto ed iniziò a guardare verso sinistra, dove la calca avanzava. Forse aveva perso la pazienza o forse non vedeva l'ora di capirci qualcosa in più in quella faccenda. 
Io, nel frattempo, continuavo a ridurre in brandelli quello sfortunato pezzo di carta. I pezzetti erano diventanti pezzettini ad una velocità maggiore di quella iniziale. 
"Eccolo!"
Alzò una mano e lo indicò.
Girai il mio viso evitando di alzarmi. Non ne avevo la forza e il coraggio.
Sul viso di Alexandra spuntò uno strano sorriso. Quei tipici sorrisi che si fanno per rassicurare qualcuno, ma che tutto fanno tranne che rassicurare.
La sua ombra iniziò a farsi spazio davanti alla mia figura. Lo seguì il corpo che fu veloce a prendere posto sulla sedia.
Alzò il volto, alzai il volto.
I nostri occhi si incrociarono come attratti da una calamita troppo forte per entrambi. Il cuore non perse un attimo, non cedette un istante. Si mise a battere all'impazzata al centro esatto del suo posto, sul collo, sui polsi, sui polpacci. Sentivo le forze affievolirsi e un senso di tormento farsi spazio in ogni più piccola parte. E forse era per la situazione e forse per il suo aspetto. 
Erano passate sette ore da quella mattina, eppure quelle singole e poche ore sembravano anni. I suoi occhi erano così diversi, diversi anche da come me li ero provati ad immaginare poco prima.
Non erano solo grigi, erano neri.
Straripavano delle più brutte sensazioni dell'essere umano. Tutte quelle sensazioni che vorresti evitare a tutti i costi. Ma Louis non c'era riuscito ad evitare, a trovare una via alternativa, c'era finito dentro e sembrava sul punto di esserne soffocato.
Erano bastate ore a questo. Non settimane, non mesi, non anni.
Bruscamente poggiò una mano sul vetro e strinse le labbra in una specie di sorriso.
"Ciao, già qua?"
Lo guardai. Sentivo che ero sul punto di mettermi a piangermi, ma mi trattenni.
"Scusami...non potevo starmene con le mani in mano"
Mi guardò, cambiò punto d'osservazione.
"Alexandra, anche tu? Da quanto tempo!"
Alexandra rimase impietrita per alcuni secondi, non si aspettava in alcun modo quella frase. Lei si voltò verso di me e questa volta fui io cambiare.
"Louis, perché hai derubato il padre di Vanessa?"
Scrollò le spalle e dondolò la testa.
"Per te"
Un brivido mi percosse la schiena, trovandomi impreparata.
"Che significa per me?"
"I soldi che ti ho dato stamattina, ti fanno capire qualcosa?"
Involontariamente toccai la tasca del mio jeans. 
Erano ancora lì; li avevo dimenticati.
Mi fermai ad osservarlo e la sua espressione non era mutata, anzi era soltanto migliorata.
"Poi hai anche il coraggio di dirmi che io per te non faccio mai nulla. Mi sono fatto mettere in prigione, visto?"
Non capivo se nelle sue parole ci fosse serietà o soltanto folle sarcasmo.
"Sei un cretino"
Quell'aggettivo fu sputato dalle mie corde vocali come un veleno amaro. Non volevo offenderlo, volevo solo fargli prendere coscienza dell'assurdità che aveva fatto. E quell'aggettivo era perfetto.
"Lo so. Sono un cretino solo per te"
Quelle parole mi trafissero il cuore, per la prima volta in positivo.
Sentivo le sue parti spezzate venire cucite, lente ma precise. Gli incastri si incontravano perfettamente e si fissavano sicuri. 
Tutto quel dolore, tutta quella sofferenza sembravano spariti. La leggerezza mi occupava il petto, una sensazione che mi sembrava di non provare da una vita.
Gli sorrisi e abbassai la testa, imbarazzata. Le guance mi si erano fatte rosse, lo avevo capito benissimo. Provai a distrarmi, a cancellare quell'orribile espressione da bambina sul volto. I miei sforzi furono incredibilmente vani.
Rialzai il viso verso di lui e tutto ritornò come prima.
La sofferenza si addentrò selvaggia quando i miei occhi si posarono su quell'uniforme un po' gialla e un po' arancione.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Allora...Louis ha derubato per Gabrielle! Ma che gesto romantico! O è altro? Mhm, chissà. Gabrielle in questo capitolo appare incredibilmente debole. Non riesce a seguire quella forza di cui era dotata o ad avere anche solo una singola certezza. Quel ragazzo la manda in un universo parallelo! Riuscirà a trovare una sorta di equilibrio in questa confusione? E Louis come se la caverà? 
Lo vedremo prossimamente! Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo riprende l'omonima musica di Sebastian Plano.

 
- LOUIS -


 

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Capitolo 11
*** Drive my heart into the night ***




Drive my heart into the night
 
Perché Louis non era libero, Louis era in galera.
E chissà quanto sarebbe dovuto rimanerci.
Lo guardavo con gli occhi fissi e l'aria distrutta. Non potevo fare nulla per lui e tutto questo mi faceva male, terribilmente male.
"A cosa pensi?"
Con un'espressione sbalordita azzardò questa domanda. Immediatamente pensai che fosse la domanda più stupida del pianeta, eppure non mi fu semplice trovare una risposta perché pensavo a così tante cose. 
"Nulla"
E che era una bugia se ne accorse anche lui dato che evitò immediatamente controbattere. Poggiai una mano sul vetro, con lo sguardo rivolto sulle mie ginocchia che tremavano come in preda ad un terremoto.
"Sinceramente non so che dirti Louis, è tutto così strano e difficile"
"Lo so, scusami per l'ennesima volta. Non centri niente con tutta questa storia e non mi va a genio che tu ne sia coinvolta"
Voltava la testa verso destra e sinistra continuamente; pensai che lo avrebbe fatto all'infinito. 
"No no...non devi scusarti. Può...capitare"
E anche questa era bugia.
Non può capitare di rubare, non può capitare di essere buttati in prigione a soli 23 anni. Louis aveva sbagliato, lo sapeva, ma fino a che punto? Mi tormentava il pensiero che nel momento in cui si era messo in testa di rubare fosse cosciente di correre quel pericolo perché forse andare in prigione non era poi una cosa così terribile, gli andava di provare anche quest'esperienza. Eppure, lo si vedeva nei suoi occhi, Louis stava male. Chiunque lo avrebbe capito, ma nessuno meglio di me, ne ero sicura. Male per che cosa? Male per essere rinchiuso tra quattro mura fradice o altro?
Alzò improvvisamente il viso nella mia direzione lasciandomi di sasso.
"Gabrielle, davvero, scusa"
Alexandra si voltò verso di me e poi verso di lui. Il suo sguardo mi penetrò ed ero sicura stesse pensando a qualcosa di inadeguato.
"Ti aspetto fuori, ho bisogno di fumare...Ciao Louis"
Sfiorò il mio braccio e si alzò. Allontanandosi senza dare nell'occhio. Silenziosa e lenta come una specie di spirito.
Eravamo rimasti io, Louis e un numero indefinito di persone tra ladri, assassini, stupratori e quant'altro. Eppure ci sentivamo i soli in quell'enorme stanza. Forse perché in fondo i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre emozioni in quel momento creavano una sorta di enorme bolla che ci proteggeva e ci nascondeva da tutto e tutti.
I nostri sguardi si erano talmente fusi che concepivo fosse impossibile riuscire più a separarli. Ma Louis ci riuscì. Sferrò un pugno sul tavolo per poi passare quella stessa mano sul viso. Io continuavo a guardarlo, stordita forse, incantata, spaventata. 
"Louis, io..."
Forse volevo realmente dire qualcosa di serio o invece volevo solo temporeggiare, cercare delle parole per distruggere quella situazione incredibilmente difficile. In fondo, dopo tutto, io sentivo che Louis era sul punto di dire qualcosa. Un discorso, una spiegazione, perché era fatto così. Non gli piaceva molto parlare, ma quando era costretto a farlo lo doveva fare per bene. Si stava preparando, nient'altro. Lo vedevo dal modo di guardarsi intorno, dalla posizione del corpo e dalle vene sulle braccia che pulsavano. E gli mancava il coraggio di parlare per questo non lo faceva mai e non lo fece neanche allora. Restammo, così, per circa dieci minuti; a guardarci, a scrutarci, a far finta di essere sul punto di dire una parola, a far finta di non avere paura. Da sempre io ero la coraggiosa, lui era il debole. Io risolvevo i problemi, lui li evitava. Mi resi conto che il passato si stava gettando sulle nostre spalle e chiedeva di essere ripreso, di rispettare quelle regole che per così tanto tempo avevano regalato un equilibrio al nostro legame. Ma il legame non c'era più da un bel po' e forse non c'era mai stato. Io e Louis, così diversi, non eravamo destinati a rimanere dei conoscenti, a diventare degli amici, a trasformarci in fidanzati. Eravamo destinati a diventare altro, altro che non riuscivamo neanche lontanamente a concepire. Tuttavia lo sentivamo: nei nostri polmoni, nei nostri cuori e nei nostri cervelli che seppur distanti viaggiavano sempre sulla stessa via. Lontani, ma mai così tanto da non vedere almeno le ombre l'uno dell'altro.
E mi feci coraggio, cosciente che fosse un mio dovere.
"Louis, parla, ti prego"
Non si disturbò neanche ad alzare il volto questa volta. Non mosse un muscolo, vedevo solo la mascella contratta a reprimere un'espressione.
Mi avvicinai quanto più possibile verso quel vetro che ci divideva. Desideravo vederlo in volto. Stava piangendo.
Il viso bagnato e le lacrime che gli scendevano lente lungo le guance.
"Louis, non fare così. Non sei solo, ci sono io. Te lo giuro"
"Te lo giuro" e Louis lo sapeva che io non giuravo mai e che quando lo facevo era perché necessario, perché non si poteva fare altrimenti.
Si asciugò in fretta con le maniche stropicciate della sua uniforme e sparò un sorriso.
"Su questo non ho mai avuto dubbi"
Lo disse con tutta la serenità del mondo, come se ci trovassimo a fare una tranquilla e spensierata passeggiata.
"Ti giuro anche che..."
"Basta fare giuramenti, Gabrielle, che qua la colpa è tutta mia e della mia testa di cazzo"
Quegli occhi rossi di lacrime e rabbia mi spaventarono perché volevano dire solo una cosa: era incazzato nero.
"Gabrielle, io...non so che dirti di preciso. E' colpa mia, soltanto mia. A me stare qui dentro non frega più di tanto, mi tormento per te, so come sei fatta. Fai finta di fregartene eppure per me ci sei stata sempre, nel bene e nel male. Sono stato un gran coglione a rendermi conto di questa cosa solo adesso, a darla per scontato per tutto questo tempo. Sei sempre stata una specie di punto fermo alla fine di una frase un po' troppo complessa. So che dentro di te tieni più a me che a te e, credimi, vorrei strangolarti per questo motivo perché io non valgo un cazzo. Io ti uccido ogni giorno e cerco di resuscitarti il giorno dopo e so che non funziona così, così è troppo facile. Perdonami, davvero, per tutto il male che ti ho fatto con il mio carattere strafottente, con Vanessa, con la storia dei soldi e chissà quante altre cose che io ora non sto neanche a ricordare. Forse quando uscirò di qui, queste cazzate che sto dicendo non le ricorderò nemmeno, ti prego di farlo tu per me. Ti prego di dirmi con quanta più furia possibile: "Louis sei un coglione, lo hai detto tu stesso!", così io lo ricorderò...te lo giuro" 
Iniziai a piangere anch'io. Per quelle parole che aspettavo da una vita che non erano mai state pronunciate, per quel suo sguardo sincero e gli occhi color oceano che tanto mi erano mancati. Volevo urlare in quel momento di gioia, di dolore, di rabbia, di entusiasmo per liberarmi di un peso un tempo cementato dentro di me, ma finalmente sciolto.
"Louis io...devo dirti una cosa"
Lo avrei fatto, non avrei aspettato altro tempo. Ne era passato già troppo.
"Ti amo"
Il suono della campanella rese la mia voce inaudibile. Louis girò il viso verso le guardie che con gesti delle mani invitavano i detenuti a ritirarsi. Si rigirò verso di me, con aria trepidante.
"Gabrielle, che hai detto?"
"Niente, niente"
"Ok. Spero di vederti al più presto, tanto di qua, fin quando non mi fanno il processo, non scappo. Salutami Alexandra, Ciao!"
Mi gettò un bacio con la mano e scappò via, confondendosi con la mischia.
Proprio alla fine il coraggio era sparito alla velocità con cui si era presentato. Chissà fra quanto altro tempo sarebbe ritornato.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Scrivere questo capitolo è stato davvero complicato. Lo ammetto, non avevo le idee proprio tanto chiare. Ho iniziato a scrivere e il resto è venuto tutto da sé. Ok, Gabrielle ha ammesso di amare Louis, quale gioia! Ma ma...la campanella ho rovinato tutto? Già, che sfiga (vi prego di non odiarmi). E Louis? Quelle parole, ma da dove le ha tirate fuori? Per chi ha letto anche le altre mie storie sa che Louis poeta è il mio carattere preferito e trovo inevitabile inserirlo, poi trovo impossibile non farlo così dolce (emanuela e le sue pippe mentale, perdonate anche questo). Comunque lui e la galera sono ancora un capitolo aperto, eh! Staremo a vedere cosa succederà. Spero vi piaccia!
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo riprende una frase della canzone di Miley Cyrus "Drive" che personalmente amo.

 
- LOUIS -



(un po' la faccia da carcerato ce l'ha...ma comunque tanto amore per questa foto)

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Capitolo 12
*** Sick of the wounds that never heal ***




Sick of the wounds that never heal
Sometimes I think I’m not that strong 
But there’s a force that carries me on 
Sick of my small heart, made of steel 
Sick of the wounds that never heal 
 
"Gliel'ho detto"
"Ehm...cosa?"
Alexandra era poggiata ad un muro poco distante da me e non appena udii la mia voce si girò nella mia direzione. 
"Gliel'ho detto davvero! Ero sicura di me, pronta, decisa. Forse non mi ero preparata, ma ci sono riuscita! Poi quella cazzo di campanella, quella cazzo di campanella!"
Iniziai a parlare veloce, velocissimo. Sapevo di non farle capire nulla, eppure questo poco mi importava. Ero terribilmente arrabbiata con me stessa per essere stata vicinissima alla mia felicità senza, però, essere riuscita ad afferrarla.
"Fermati! Si può sapere di cosa tu stia parlando?"
Improvvisamente mi prese per le spalle e mi portò di fronte a se, con gli occhi sbarrati sui miei.
"Gliel'ho detto, davvero..."
Abbassai lo sguardo, ormai in preda allo sconforto più totale.
"Ma cosa gli hai detto!?"
Iniziò a scuotermi, visibilmente infastidita.
"Che lo amo"
A quelle semplici parole mi liberò e si portò una mano sulle labbra per poi soffocare un sorriso.
"Finalmente! E' bellissimo, Gabrielle! E lui?"
"Lui niente"
"Che?"
"Niente. Non mi ha sentito"
"Che cazzo significa?"
"E' suonata la campanella"
"Ma non è possibile!"
Si mise a sbraitare, a spostarsi furiosamente a destra poi a sinistra e a mettersi le mani nei capelli, fissando le unghie nella cute. Sembrava essere più scioccata di me.
"Ok, avrai un'altra occasione"
E cambiò atteggiamento in pochi secondi. Poggiò una mano sulla mia schiena e ci dirigemmo verso la sua auto. Finalmente dirette verso casa.

Casa mia era vuota, deserta.
Il silenzio regnava sovrano. In altre occasioni avrei festeggiato per una situazione del genere, ma non quella volta. Cercavo il chiasso, quel chiasso in cui non si riesce a distinguere una singola parola perché volevo compensare il silenzio che avevo dentro. Come una specie di cerotto. Decisa a distrarmi afferrai un libro dalla mia libreria. Una foto cadde dal suo interno, lasciandomi per un attimo sbalordita. La presi tra le mani e la osservai. Faticavo a ricordarla nonostante fosse solo dell'anno precedente. Ne osservai il retro: "31 Luglio 2013". Alla lettura di quella data i ricordi iniziarono a farsi più chiari. Ricordavo il sole, la spiaggia con la sabbia chiara come il cielo e quel mare che ormai era diventato parte di noi. Era una foto risalente alla pazza vacanza di Bournemouth, quella vacanza in cui avevamo lasciato tutte alle spalle e avevamo portato con noi solo i nostri pochi spiccioli e i nostri sorrisi, quello mio e di Louis. Un sorriso che era piazzato sui nostri volti anche in quella foto. Io avevo le guance rosse per il troppo sole e Louis i capelli fradici per gli eterni bagni. E quanto eravamo felici dopo tutto. I problemi non sembravano esistere in quella piccola cittadina che non ci aveva messo molto a diventare il nostro angolo di paradiso. La felicità fu tanto grande che il solo pensiero mi rendeva nuovamente felice ed era capace di farmi provare anche un solo brivido di quell'emozione immensa. Fu così in quella circostanza: il sorriso aveva preso possesso del mio viso e mi sentivo lì, su quella spiaggia. Passarono pochi minuti e una lacrima scese lungo la guancia destra. Non mi trovavo su quella spiaggia, tutto non era altro che un lontano ricordo. Eravamo troppo distanti da tutto, anche da noi stessi. Desideravo che anche Louis vedesse quella foto, desideravo ricordare tutto con lui perché quando si è insieme ai compagni di una vita è tutto più bello. E così presi la foto e la gettai nella mia borsa. 
La distrazione di quel momento fu così grande che dimenticai del libro che volevo leggere e mi diressi in cucina per bere un caffè o almeno una bevanda calda. Lo squillo del citofono arrestò i miei passi e mi costrinse a dirigermi verso di esso.
"Chi è?"
"Gabrielle, sono Johannah"
Johannah, qui?
"Ciao Johannah, che succede?"
"Dovrei parlarti, posso salire?"
"Certo!"
Aprii e aspettai che salisse su.

"Ciao, entra"
Non appena fu dinanzi alla mia porta i mie occhi si poggiarono sul suo volto terribilmente devastato. Chissà se da lacrime, da poche ore di sonno o da altro. Accennò un sorriso e proseguì verso di me. Le feci gesto di seguirmi verso la cucina.
"Come va?"
Mi pentii di aver fatto quella domanda esattamente l'istante dopo averla espressa. Come poteva andare se non di merda? Eppure speravo per tutti che qualcosa, almeno qualcosa, andasse bene. Lei non si preoccupò di rispondere, impegnata come era ad osservare le sua mani piene di grinze per il lavoro da parrucchiera in cui era impegnata da una vita. Cercava di distenderle furiosamente, ma evidentemente era impossibile. E lei lo sapeva e continua ad insistere, a provarci fin quando non mi avvicinai e mi sedetti affianco. Le poggiai una mano sulla gamba e le rivolsi a mia volta un sorriso più deciso.
"Sono andata a trovare Louis prima. Sta bene, non resterà lì per molto sicuramente"
"Lo spero, io ancora non ho avuto il coraggio di andare"
Spostò il viso verso la direzione opposta alla mia. Si portò una mano nei capelli per aggiustarli e poi si rigirò cambiata in volto e in modi. Quella sicura era diventata lei.
"Gabrielle mi dispiace per non essere stata dalla tua parte"
"Quando? Non capisco"
Sul serio non capivo a cosa si riferisse, non collegavo nulla a quella sua affermazione.
"So che ami Louis da una vita e non mi sono mai fatta avanti per aiutarti, per aiutarvi entrambi"
"No...ma..."
"Ti prego, davvero, non ci sono parole per i guai e per le liti che potevo evitare se solo mi fossi intromessa."
"Erano problemi nostri, Johannah, non avresti ugualmente potuto fare niente"
"Ti sbagli, Gabrielle, perché anche Louis ti ama e ti ha amato per tutto il tempo. Forse ti ha amato anche prima che tu amassi lui. Se solo vi avrei spinto l'uno verso l'altro, se solo avrei cacciato di casa Vanessa tutte le volte che veniva a trovarci e avrei invitato te al suo posto Louis ora non sarebbe in carcere, lo sai vero?"
Si dava tutte le colpe di questo mondo come se il mondo stesso fosse sul punto di sparire. Volevo cercare di farle cambiare idee, tuttavia tutto sembrava inutile. Era così ferma sulle sue parole. Poi, quelle parole dette con insistenza: "forse ti ha amato anche prima che tu amassi lui" rimbombavano rumorose nel mio cervello eppure rendevano tutto più bello. Perché io lo sapevo che il rumore al silenzio fa bene, perché il silenzio da solo non si basta per molto, ha bisogno del rumore che lo completi dopo un po'. Mi sentivo più o meno così. Completa.
"Non sai sicuramente di questo però..."
Cacciò dalla borsa una busta gialla.
Una busta che come avrebbe potuto dare gioia, avrebbe potuto dare altro dolore da sommare a tutto il resto.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Per questo capitolo ho cercato di evitare il più possibile la parte psicologica dei personaggi che mi rendo conto a volte può sembrare pesante. Perciò mi sono soffermata sui fatti. Louis è proprio un ragazzo pieno di sorprese! Se ne stanno scoprendo di tutti i colori ultimamente. Speriamo siano sempre cose positive, anche questa busta misteriosa!
Spero vi piaccia, al prossimo. Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo e la citazione in alto riprendono la canzone di Marina and the Diamonds - Forget

 
- LOUIS -



(due parole: IL TATUAGGIO)

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Capitolo 13
*** L'amore esiste ***




L'amore esiste
L'amore non ha un senso
L'amore non ha un nome
L'amore bagna gli occhi
L'amore riscalda il cuore
L'amore batte i denti
L'amore non ha ragione

Erano biglietti.
Lo si capiva dalla forma rettangolare e da quelle scritte a caratteri cubitali su entrambi i lati. Tuttavia, non riuscivo a capire a cosa servissero. Gettai qualche sguardo in più mentre delicatamente Johannah li estraeva da quella busta. Li guardò attentamente e poi me li passò. Non ebbi il tempo di leggere il loro contenuto che lei mi interruppe con la sua voce soffocata.
"Voleva comprarli da così tanto e solo un paio di giorni fa ci è riuscito"
La osservai per poi rigettare lo sguardo su quei fogli di carta. 
Erano due biglietti aerei. Lessi alcuni righi: "Da Londra (Inghilterra) a Roma (Italia)". I miei occhi si immobilizzarono e il fiato mi si fece corto. Riportai la mia attenzione su di lei che ora, con un sorriso e gli occhi lucidi, mi accennava un "si" con la testa. 
"Voleva solo scusarsi con te, fare finalmente qualcosa solo per te"
"Non riesco a crederci"
Riuscii solo a dire questo in quel momento. Mille emozioni combattevano all'interno del mio cuore rendendomi difficile qualsiasi pensiero.
"Sai, credo che abbia rubato per te..."
"Si, me lo ha detto"
"Dovevo immaginarlo"
"Ma perché lo ha fatto? Perché non ha chiesto aiuto a me?"
"Gabrielle, aveva già quel debito nei tuoi confronti, con quale coraggio avrebbe potuto chiedertene un altro?"
"Ma addirittura rubare per finire in carcere..."
"Lo sai bene come è fatto. Quando si mette in testa una cosa è pronto a tutto, anche al carcere. Io lo sapevo che un giorno di questi si sarebbe messo in una brutta situazione, era inevitabile"
E mentre mi raccontava tutte queste cose che soltanto allora mi sembrarono ovvie, come un puzzle che finalmente viene completato, pensavo a Louis nei miei ricordi che ora sembravano così lontani e provavo paura per tutta quella situazione in cui ci trovavamo, perché mi ero resa conto che da sempre non riguardava solo lui, ma entrambi. 
"Johannah, dobbiamo farlo uscire. Subito."
Mi alzai dalla sedia come spinta da una forza sovrannaturale e strinsi a me quei biglietti che iniziavano a sgualcirsi a contatto con le mie mani sudate. Johannah mi guardava dal basso con un'espressione meravigliata e felice. Appoggiò una mano sulla mia.
"Lo vorrei tanto anch'io, Gabrielle, ma sai bene che non possiamo fare nulla."
"Dobbiamo, Johannah, dobbiamo!"
Iniziai ad agitarmi perché sapevo che non avevo alcun potere per farlo uscire immediatamente, perché sapevo che quelli dalla parte del torto eravamo noi di fronte alla legge e perché avevo bisogno di Louis sempre di più, ad ogni secondo che passava. 
"Gabrielle, ti prego, calmati. Ho mandato un avvocato molto bravo, amico di mio marito da una vita, vedrai che saprà fare al meglio il suo lavoro."
Strinse la sua mano attorno alla mia e mi spinse nuovamente a sedere. Con lo sguardo assente sul pavimento, speravo con tutto il mio cuore che quella situazione si risolvesse esattamente alla velocità con cui era iniziata.

E i giorni passarono lenti come anni, i mesi lenti come secoli e la mia forza si alternava tra alti e bassi, tra voglia di lottare e tra voglia di rinunciare. Louis lo vedevo raramente, quasi mai. Una volta al mese perché purtroppo avevo troppo da studiare. Il master in comunicazione era iniziato e con esso lo studio era ovviamente raddoppiato. Maledicevo ogni giorno il professore Turner per quel cavolo di progetto in cui mi aveva coinvolto. Ma lui, dal suo canto, era felice, entusiasta e contava su di me più che su chiunque altro. Mi guardava sempre più soddisfatto ed era inevitabile non notare nei suoi occhi una scintilla di pura gioia. Peccato che io non ricambiassi affatto. Studiavo, parlavo, colloquiavo come un robot, insensibile a qualsiasi coinvolgimento emotivo. 
"Un sorriso me lo fai?"
Mi diceva spesso e lo disse anche in quell'occasione. Mi voltai con gli occhi sbarrati verso di lui, cercando di stringere le labbra all'insù. Stavolta, diversamente dalle precedenti, mi si avvicinò e posò sulle mie spalle una mano.
"Gabrielle, mi spieghi cos'hai?"
Mi aveva chiamato per nome ed io lo sapevo che non era per niente una cosa bella, soprattutto in quell'occasione. 
"Nulla, professore"
Enfatizzai quella parola più che potevo al fine di fargli capire quell'enorme vuoto che ci divideva. Lui abbassò lo sguardo quasi terrorizzato da quel mio tono di voce e mi sentii improvvisamente in colpa. Tirai un respiro profondo prima di girarmi esattamente nella sua diretta direzione.
"Mi scusi se sono un po' burbera in quest'ultimo periodo, troppe cose vanno come non dovrebbero andare"
"Lo so, tranquilla, non mi devi alcuna spiegazione"
"E mi scusi se non ricambio tutto ciò che sta facendo per me"
"Ma non devi ricambiare! E' il mio dovere di professore!"
Lo sorrisi davvero questa volta e poggiai involontariamente una mano sulla sua. Una strana sensazione iniziò a ribollire nel profondo di entrambi e sguardi imbarazzanti iniziarono ad incrociarsi. Ci avvicinammo l'uno all'altro. Stupidi, ingenui, indifferenti. I nostri respiri iniziarono a confondersi, le nostre bocce distavano pochissimi centimetri. Un altro piccolo passo e avrei fatto una cosa di cui mi sarei senz'altro pentita, ma che in quel momento ritenevo giusta e necessaria. Vidi i suoi occhi chiudersi, le ciglia piegarsi alla volontà delle palpebre e il mento alzarsi verso di me. Ero pronta ad imitarlo. Il suono rimbombante della suoneria del mio cellulare, improvvisamente, spezzò come una magia quella strana scena. I nostri corpi si allontanarono veloci e le nostre ragioni ritornarono lucide. Come se non fosse successo niente lo afferrai e lo portai all'orecchio.
"Pronto?"
"Gabrielle, Louis esce! I giudici hanno ridotto la pena per buona condotta!"
Urlava Johannah come in preda ad un attacco di panico, come se fosse nel bel mezzo di un branco di leoni affamati, eppure capii tutto, ogni singola parola. Balzai in piedi tremante e felice.
"Arrivo subito!"
Chiusi la chiamata e infilai immediatamente il giubbotto. Il professore Turner mi guardava con uno strano sorriso, scioccato forse.
"Gabrielle, cosa succede?"
"Nulla, nulla, solo la cosa più bella dei miei ultimi 22 anni!"
E corsi via, incurante della sua espressione spaventata e preoccupata, incurante di tutto ciò che stavo per fare un secondo prima, ma che, fortunatamente, non avevo fatto perché lo sentivo che in quel momento le stelle del cielo erano con me, con noi.

Corsi, corsi, corsi.
Per metri, forse chilometri. Attraversando strade trafficate, semafori rossi e bambini in carrozzina. Sentivo come se il mio fiato fosse destinato a non esaurirsi mai. E finalmente arrivai, con il sorriso di chi dalla vita non desidera nient'altro e Louis era lì a pochi metri, a pochi passi da me, dal mio corpo, dalle mie braccia, dal mio cuore. Libero. Non ci divideva un muro di mattoni, un lastra di vetro o un filo di ferro. Nulla. Solo quella distanza che sarebbe stata presto superata. Lui alzò il viso verso di me e le labbra assunsero un leggero sorriso. Ricambiai quel gesto, mi fermai per riprendere un po' di fiato al fine di affrontare un'impresa ancora più dura di quella dei mesi che erano preceduti. E ripresi a correre, veloce e sicura e lui aprì le braccia e mi gettai al suo interno come se fossero state le porte del paradiso. Sentii immediatamente il battito del suo cuore veloce ma ritmato, forte ma deciso. Sorrisi. Sorrisi alla libertà, alla felicità, a noi. Louis strinse ancora di più la mia testa al suo petto e poggiò la sua sulla mia. E lo sapevo che stava sorridendo anche lui e che stava piangendo. Rimanemmo così per alcuni instancabili minuti prima di avere il coraggio di parlare.
"Gabrielle, mi dispiace..."
"Finiscila di scusarti, cazzo"
Le lacrime si unirono ai sorrisi. Sapevo che non c'era nulla di più bello, perché la sofferenza che incontra la felicità è un mix così potente capace di sconfiggere tempo, spazio e infinito. E l'infinito da sconfiggere è impossibile per tutti e tutto, ma non per noi in quell'istante, che ci sentivamo più infiniti dell'infinito stesso.
Mi allontanai lentamente da lui e gli presi il viso tra le mani.
"Louis, scusami tu. Per tutte le volte che sono stata cieca e non ho visto ciò che avevi nel cuore e..."
Mi fermai. Le parole non sarebbero bastate a descrivere ciò che realmente volevo dire. Mi gettai, così, sul suo viso e lo baciai. Forse fu troppo veloce, forse fu troppo violento, forse fu troppo inaspettato, eppure a noi piacque così. 
Le nostre bocche si unirono come se avessero atteso quel momento da una vita. E i nostri cuori si afferrano e si assemblarono, aiutati da delle corde che difficilmente si sarebbero spezzate.
 


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Eccomi con questo nuovo capitolo! Allora, parto con il dire che ho impiegato quasi tre ore per scriverlo, rivederlo e aggiustarlo un po' qua e un po' là, ma ammetto che è stato del tempo ben "sprecato".

L'ho scritto con tutto il mio cuore e spero davvero tanto tanto che vi piaccia. Spero anche di non essere risultata "eccessiva" in alcuni passi e di non essere risultata "scontata". Finalmente i nostri protagonisiti hanno trovato l'equilibrio e quell'unione che bramavano tanto. Gli ultimi righi spiegano il significato della storia (ropes = corde). Ma la storia mica finisce qui! Siamo solo al primo step! Per il momento basta così, al prossimo!
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo e le citazioni iniziali riprendono la canzone di Francesca Michielin - L'amore esiste che vi consiglio assolutamente di ascoltare.

 
- LOUIS -



(non centra niente con questo capitolo, ma era troppo bella per non essere pubblicata)

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Capitolo 14
*** Share my mind and my body with you ***




Share my mind and my body with you
 
Dovemmo staccarci nonostante quel brivido ancora vivo in noi.
Louis mi accarezzò i capelli e mi abbracciò forte per un'ennesima volta.
"Torniamo a casa ora?"
Sentenziò con una voce flebile e stanca. 
Immediatamente obbedii e spalla contro spalla ci avviammo per le strade ormai prossime al tramonto.

 
***

La famiglia di Louis era grande, anzi, direi enorme.
Johannah si era sposata tre volte e per tre volte era rimasta incinta.
Lei non faceva peso di questa cosa. Lo si vedeva dai suoi modi di parlarne e da quella luce che brillava nei suoi occhi ogni volta. Johannah era felice di tutto quello che aveva fatto e i commenti della gente erano a lei indifferenti.
C'erano in totale ben sette figli in quella famiglia.
Quattro sorelle e tre fratelli.
Louis era il maggiore, nato dal primo matrimonio. Nonostante il suo grande spirito di indipendenza era affezionatissimo alla madre e lei lo era con lui. Ogni volta che li vedevo insieme non facevano altro che abbracciarsi, scambiarsi sorrisi e restare vicini. Proprio come fanno i pulcini con le galline. Lo fecero anche in quell'occasione, in quella festa a sorpresa organizzata in fretta per il suo ritorno dove il caos di voci, musica e salti regnava sovrano. Erano venuti tutti in pochissimo tempo. Avevano abbandonato i loro impegni solo per Louis. 
Io lo guardavo divertirsi, ballare, giocare con le sorelle da una sedia di plastica consumata dal tempo e dalla pioggia. Sorrideva come un bambino e respirava a pieni polmoni come se l'aria gli fosse mancata da una vita. Ed ero felice a vederlo anch'io. Ogni tanto gli lanciavo qualche sorriso e contribuivo a quel rumore incessante con il battito delle mie mani. 
Lo guardavo, ero felice, eppure non mi sentivo a mio agio.
Mi sentivo come una specie di intruso tra quella miriade di persone che a loro modo condividevamo il sangue. Perché forse sentivo nel mio profondo che non ero più "la compagna di vita di Louis", ma qualcosa di più. E quella nuova posizione la sentivo strana e imbarazzante. 
Avevo timore di procedere verso di lui, di contribuire alla felicità di quel momento perché era probabile che la mia presenza avrebbe creato una crepa capace di sfasciare quell'equilibrio che aveva trovato.
Rimasi inerme a guardarlo fin quando i nostri occhi si incrociarono per un lasso di tempo eccessivamente lungo. Capii che aveva qualcosa in mente e d'istinto indietreggiai insieme alla sedia. Iniziò ad avvicinarsi sempre di più fin quando strinse una mano attorno al mio polso e mi trascinò a sé. Cercai di fare forza e agitai il volto verso destra e sinistra.
"Dai, Gabrielle! Balla con me!"
Mi urlò nell'orecchio.
Sorrisi, e ormai sconfitta mi lasciai trascinare. 
Mi strinse fortissimo, quasi faticavo ad avere il pieno possesso del mio corpo. I piedi volteggiavano, trascinati dalla melodia e da quell'adrenalina che iniziava a scorrere incontrastata. Louis cercava di sciogliermi con sorrisi e strette sicure intorno al busto. Sebbene l'esitazione iniziale, dopo non molto riuscì nel suo scopo e finalmente mi sentii una parte integrante di quella situazione. 
I capelli, le mani, i piedi e i nervi viaggiano in simbiosi con la musica, il caldo e le voci, ma soprattutto con il corpo di Louis che si muoveva perfettamente con me. Ci sentivamo come due ballerini che ballano sicuri in qualunque situazione e con tale sicurezza spensierati.
Appoggiavo la mia testa sulla sua spalla e ridevo come se fosse l'ultima risata della mia vita. E tutti i problemi che avevano occupato i miei pensieri poco prima erano come spariti, come dissolti tra quelle forme di gioia e ribellione. 

Pian piano la musica iniziò a diminuire insieme alle persone che avevano occupato quel posto. 
Era mezzanotte e il pavimento era allora libero, ma ricoperto di impronte, bicchieri, rotoli di carta e pezzi di pizza spiaccicati.
Johannah guardò quella scena e portò una mano alla fronte e un'altra sui fianchi in segno di disperazione e sconforto.
"Chi ripulisce ora questo casino?"
Si girò verso di noi.
Louis guardò le sorelle e dopo un po' iniziò ad indicarle.
"Direi alle donnine di casa"
Loro presero a guardarlo con rabbia e stanchezza. 
Charlotte (la più grande) si alzò e prese da un armadietto in cucina un'enorme busta di plastica. Trascinandosi, poi, di nuovo verso il disastro cominciò a raccogliere i vari rifiuti. D'istinto pensai di aiutarla e così corsi verso di lei.
"Ti aiuto io, tranquilla"
Le poggiai una mano sulle spalle.
"Grazie Gabrielle, ma domani non hai scuola?"
Il master, cazzo.
"No, domani no"
"Grande!"
Mi diede una spallata e riprendemmo nel nostro compito.
Louis si alzò e (forse per non sembrare un nullafacente) afferrò anche lui una busta. Si avvicinò a me e mi sorrise, seguì un occhiolino. 

Dopo circa un'ora la stanza era ormai svuotata e pulita.
La guardammo soddisfatti, stiracchiando uno dopo l'altro le nostre schiene. Charlotte raccolse una busta e la trascinò verso l'esterno. 
All'improvviso quella stanza sembro eccessivamente troppo grande.
Eravamo rimasti io e Louis, e un certo imbarazzo da parte mia iniziò a riempire quelle quattro mura. Incrociai le braccia al petto e improvvisai un evidente interesse per un quadro appeso al muro alla mia destra. Lo fissai come ipnotizzata dai miei stessi pensieri e da quei colori forse fin troppo forti per i miei occhi prossimi alla stanchezza. E poco dopo il respiro regolare di Louis scivolava sul mio collo e le sue braccia circondavano leggere i miei fianchi. La pelle mi si fece d'oca e le palpebre istintive si chiusero cercando di memorizzare quanto più possibile di quella sensazione. Le gambe tremavano, ma restavano solide al terreno e non indugiavano ad alcun movimento. Al contrario, però, la mia testa si girò verso la sua. Desideravo vedere il suo viso. Vedere quale espressione aveva stampata su di esso. I nostri sguardi si incontrarono in quel secondo e in quella minima distanza. Accennò il viso prima di schioccarmi un enorme bacio sulla guancia che ricaricò ogni particella del mio corpo. Inclinai la testa e ripresi a guardare il quadro che ora mi sembrava più bello e chiaro.
"E' bellissimo. Di chi è?"
"Leonid Afremov, un impressionista contemporaneo. Ovviamente è un falso. I suoi quadri per un certo periodo sono stati venduti su ebay, ma ora sono esposti in gallerie importanti"
"I colori sono davvero molto intensi"
"Già. Ha il talento per l'originalità quest'uomo"
Per alcuni secondi rimanemmo in silenzio, rapiti dalle tonalità che danzavano su quella tela.
"Già è finita la festa?"
Una voce maschile, rauca e debole scosse la nostra attenzione. 
Io e Louis ci voltammo in contemporanea.
"E tu che ci fai qui?"
Chiese Louis.
Il professor Turner era in piedi, sulla soglia dell'ingresso con un bicchiere semivuoto tra le mani. Gli occhi erano accerchiati da un colore violaceo e  le guance erano rosse. Mi chiesi come era venuto a sapere della festa, come si fosse trovato in quella casa e perché mai sbucava dal nulla proprio in quel momento. 
Louis lo indicò e un tono acido prese spazio nelle sue corde vocali.
"Sono venuto per la festa. In città ne hanno parlato tutti e con un paio di amici mi sono intrufolato anch'io. Spero di non avervi importunato, Signor Tomlinson"
Disse, mentre portava alle labbra un sorso di quella strana sostanza. 
Il suo era uno sguardo di sfida, lo sguardo di chi ha voglia di dar vita ad una rissa. E Louis cercava in tutti i modi di contenersi, di stringere i pugni, di essere razionale. Ricambiò quello sguardo in silenzio.
Avevo paura e mi resi conto di aver visto in quegli sguardi qualcosa che non avevo mai visto prima. 


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! In questo capitolo troviamo una Gabrielle un po' titubante su questa sua nuova "posizione". Ovviamente è preoccupata perchè si rende conto che non sarà la stessa persona nella vita di Louis e beh non sa come sarebbe giusto comportarsi. Sbuca per l'ennesima volta questo professor Turner che proprio non si capisce cosa vuole! Ha tempo da perdere o ha solo voglia di un bel cazzotto in faccia? Vedremo! 
Spero vi piaccia. Un bacio.

-Manu 

p.s. il titolo riprende una frase della canzone di Lana Del Rey "Cruel World" e il quadro che osservano i nostri protagonisti è il seguente.

 
- Leonid Afremov "LUCI" -

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Capitolo 15
*** Blow a kiss, fire a gun ***




Blow a kiss, fire a gun
 
Blow a kiss, fire a gun
We need someone to lean on
Blow a kiss, fire a gun
All we need is somebody to lean on

 
Sembravano due leoni pronti a lottare per una stessa preda. 
Due cani pronti a difendere con i denti il proprio cucciolo.
I miei occhi balzavano da una parte all'altra tremanti e lucidi, mentre le mie gambe iniziavano a tremare sempre di più. Non sapevo cosa fare o cosa dire. Non sapevo da quale parte schierarmi. 
Il professore continuava a bere non lasciando per un momento la sua attenzione dal viso di Louis. Louis faceva lo stesso. 
Non si sentiva altro che il suono dell'acqua mentre attraversava le pareti del bicchiere, per poi raggiungere l'esofago di Alex. Quando fu svuotato si asciugò le labbra con il polso e schioccò la lingua. 
La tensione sembrava quasi aver preso vita in quella stanza.
"Nessuno vi ha invitato, professore"
"Non mi sembra che la festa fosse sotto invito. Sua madre ha chiaramente invitato chiunque"
Rispose. Fiero e sicuro nonostante l'alcool che piano piano iniziava ad annebbiargli il cervello.
"Cosa vuole?"
Louis chiese con un tono acido e furioso.
"Ma che domande! Contribuire alla vostra felicità!"
Indicò con il bicchiere entrambi. 
I suoi occhi incontrarono anche i miei e un brivido iniziò a scorrere in tutte le mie vene. Un brivido di puro terrore che mi privò in quei pochi istanti di gran parte delle mie forze.
All'improvviso iniziò ad avvicinarsi con un passo insicuro e lento. Contemporaneamente Louis si strinse a me, cercando con il suo corpo di farmi da scudo.
"Non sono cannibale, tranquillo. Non la mangio"
Alzò le mani in segno di difesa, quasi avesse inteso da subito quel velo di terrore che iniziava ad attraversare anche Louis. Quest'ultimo abbassò gli occhi e non capii se per difesa, esitazione o terrore stesso. Io continuai a guardare quegli occhi che ora osservavano come persi il pavimento e che cominciavano ad oscurarsi smarriti.
"Sai Gabrielle, c'è una cosa che mi chiedo da tanto tanto tempo ormai e che proprio non capisco"
Al sentire del mio nome presi a tremare ancora di più e involontariamente strinsi il braccio di Louis inerme. Il professore osservò quel mio movimento e accennò una risata.
"Già"
Alzò gli occhi l'altro e qualcosa in lui riprese vita.
"Siete strani"
Sentenziò Alex. Senza giri di parole. Diretto e tagliente. Ma il suo non era di certo un insulto e non apparve tale neanche a noi. Era un'osservazione che gli era balenata all'improvviso in quel momento o che, forse, gli affollava la mente già da tanto tempo. Perché quel "siete strani" era stato detto con convinzione e disorientamento. Perché sperava di risolvere quell'enigma, che apparentemente lo tormentava, al più presto grazie a noi. Peccato, che molto probabilmente, neanche noi stessi eravamo a conoscenza della soluzione.
"Siete forse fratelli? Cugini? O forse non c'è alcuna parentela fra di voi e siete soltanto vicini?"
Continuò.
"Vicini? O meglio, vecchi amici? Ma, forse, migliori amici?"
Cominciò a ridere, di sorpresa, e a portarsi la mano al mento che sfregava con agitazione. Quella tipica agitazione che affligge gli ubriachi o gli schizofrenici.
"Perché io proprio non capisco, sul serio"
Prese ad allungare le mani e le unì in un rumoroso battito che rimbombò tra quelle mura silenziose. I nostri cuori – mio e di Louis – persero un battito a quel frastuono che ci era sembrato così simile ad un tuono.
"Vi guardate, non vi guardate. Vi abbracciate, non vi abbracciate. Urlate, non urlate. E forse vi baciate anche, ma non vi baciate"
In pochi secondi sparò verbi, parole, aggettivi come se il fiume dei suoi pensieri si fosse rivolto bruscamente. Una miriade di parole che io capii perfettamente e che mi gelarono il sangue come poche volte in vita mia. Perché le parole pungono come piccoli aghi, a poco a poco, e quando si riversano sulla pelle di getto, tutte in una volta, rabbiose e indisciplinate, possono provocare ferite dolorose, e quel dolore è così difficile da domare che toglie il respiro.
Mi sembrò così allora e i polmoni si svuotarono e sentivo fossero destinati a non portare dentro di se mai più l'ossigeno. Gli occhi si pietrificarono e quella leva sul braccio di Louis iniziò ad affievolirsi e piano piano a scivolare.
"Allora Louis?"
Domandò Alex, pronto a scoprire la soluzione.
E Louis lo guardò. Rimase a guardarlo in silenzio per alcuni secondi.
"A te cosa importa?"
Rispose con una voce rauca e spenta.
"Non credo siano problemi tuoi"
Riprese. Forse per darsi forza, forse per dare più veridicità alle parole dette poco prima. 
Io rimasi delusa e, come Alex, emisi un respiro. Silenzioso.
"Sai, mio caro Louis, qualcosa mi fa pensare che una risposta non l'avete neanche voi. Avete paura. Entrambi"
E mentre diceva queste parole riprese a ridere. Chiassoso e inarrestabile. Sembrava farsi gioco di noi, ma probabilmente era solo l'effetto decisivo dell'alcool.
"Ora mi ha scocciato, idiota"
Louis alzò le mani, accelerò leggermente il passo e diresse un pugno sulla guancia destra del professore, in un istante. Istante talmente breve che mi sembrò un'allucinazione, infatti non ebbi nemmeno il tempo di impedirgli quel gesto folle.
E il sangue iniziò a scorrere dal suo naso.
"Ti facevo più debole"
Louis era diventato cieco, dalla rabbia, dal sonno, dalla follia. Riprese con un altro pugno dritto nello stomaco. Il professore si permise un'ennesima risata prima di sferrare a sua volta un pugno a Louis che accolse decisamente impreparato. 
Mi diressi immediatamente fra di loro e, con quanta più forza avessi in corpo, provai a staccarli, allontanarli l'uno dall'altro. 
Ma tutti i miei sforzi sembravano come frantumarsi nell'aria, tanta era la rabbia con cui i due leoni, i due cani presero a sferrarsi, perché aspettavano entrambi quel momento da troppo tempo. E né il sangue, né le mie urla soffocate, né la stanchezza che li affliggeva riuscivano a calmarli.
Pareva che i loro denti ringhiassero, che le loro vene pulsassero a tal punto da sfondare l'epidermide. E quella situazione iniziava a spaventarmi fin troppo e così iniziai ad urlare "aiuto" con energia e paura.
Non passò molto e le luci del corridoio si illuminarono e il rumore di passi pesanti prese a spezzare quello schiamazzo di schiaffi e pugni.
"Fermi! Fermi!"
La voce di Johannah rimbombava furiosa e angosciata.
Si avvicinò ai loro corpi e passò ad allontanarli, intromettendosi fra di loro.
Mi avvicinai per aiutarla e finalmente riuscimmo nel nostro intento. 
"Ma siete pazzi?!"
Ricominciò ad urlare lei. Con la voce di chi è pronto ad uccidere qualcuno.
Ma Louis e Alex erano ormai stanchi, vinti. Era rimasta solo la forza dello sguardo: quella sembrava essere destinata a non infrangersi mai.
Johannah si voltò verso suo figlio, gli si avvicinò e gli diede uno scossone.
"Allora Louis!?!"
Louis non pronunciò una parola. Di fronte alla potenza della madre sembrava un bambino, e forse era veramente così.
Il professore si asciugò il naso sanguinante con la manica della giacca che prese ad assorbirlo completamente.
"Perdonatemi, signora, un piccolo malinteso. Buonanotte"
Guardò quella stanza l'ultima volta e fuggì via. Traballante dal dolore e dall'ebbrezza. Non mancò di trapassarmi con lo sguardo, il quale mi immobilizzò da capo a piede.
Nonostante tutto non mi prese a tal punto da privarmi di forza. Infatti, mi avvicinai sicura a Louis. 
Gli sfiorai il braccio destro.
"Stai bene?"
Scosse la testa.
"Vaffanculo, Gabrielle"
Evitò velocemente il braccio dal mio tocco e corse lontano.
Il cuore mi si fermò.
Aveva paura di Louis.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! I cani sono stati sciolti in questo capitolo! E che rissa! Tra sangue e urla non si è capito proprio niente. Tuttavia, le cose importanti non sono i lividi che riporteranno i nostri protagonisti, ma le conseguenze delle parole del professore. Hanno scosso tremendamente l'animo di Gabrielle e il cuore di Louis. Mentre lei è rimasta apparentamente impassibile, il secondo è esploso e mi sa proprio che il suo sfogo non si è concluso! Vedremo nel prossimo, o forse nei prossimi!
Spero che questo vi piaccia.
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo e la citazione riprendono la canzone di Major Lazer & DJ Snake feat. MØ - Lean On

 
- LOUIS -



(la faccia di Louis me la sono immaginata un po' così in questo capitolo)

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Capitolo 16
*** You There ***




You There
 
Cover your eyes
There's no sun where is
Your direction

 
Lo guardavo mentre si allontanava furioso, indifferente, freddo. Lo vedevo dal suo modo di avanzare a passo svelto e dal suo modo di scuotere la testa verso destra e verso sinistra. Rimasi immobile al mio posto, non azzardai neanche a chiamarlo. Lo fissavo, nient'altro.
Johannah, però, urlò il nome del figlio.
"Louis, dove vai?! Torna qui!"
Con le vene sul collo, Johannah era fuori di sé. Mi si avvicinò con gli occhi iniettati di sangue e appoggiò pesante una mano sul mio braccio.
"Gabrielle, che cos'è successo?"
Aveva il respiro corto e il sudore a scendere lungo la fronte. Istintivamente incrociai i suoi occhi e rimasi in silenzio per altri pochi secondi prima di rispondere incerta.
"Quello era il mio professore di psicologia e non so, si è comportamento in modo strano. A Louis deve avergli dato molto fastidio quello che ha detto"
"E che cosa ha detto?"
Non avevo terminato ancora di pronunciare l'ultima sillaba che Johannah mi precedette con quella domanda che dovevo aspettarmi.
Osservai il pavimento cercando di riformulare tutto ciò che era successo una mezz'oretta prima.
"Nulla di importante, era ubriaco. Forse non sapeva neanche quello che stava dicendo. Ci chiedeva se fossimo fratelli o amici"
"E voi? Che cosa avete risposto?"
Gli occhi di Johannah si illuminarono all'interno di quella stanza dove le ombre delle lampade erano le uniche a creare luce; quel poco che bastava per vedere. Si illuminarono al punto di sembrare più grandi di quanto non fossero in realtà, e mi incenerirono. Bloccarono il mio respiro e la mia mente.
Quasi come pietrificata continuai a sostenere quello sguardo fin quando, ormai sfinita, riportai la mia attenzione al pavimento.
"Niente"
Risposi, con un filo di voce talmente sottile che credevo non avesse udito. Ma invece lo aveva afferrato pienamente e ora eravamo in due a guardare quel suolo buio e con qualche schizzo di sangue.
Lei si portò una mano alla bocca prima di raccogliersi i capelli dietro le spalle. Accarezzò le mie.
"Gabrielle, è meglio se torni a casa. Louis, sai come è fatto, quando è incazzato non c'è niente da fare. Ti chiamo appena torna e lo vedo più calmo. Tranquilla"
Mi sorrise, infine.
Uno dei sorrisi più falsi che io avessi mai visto.
Ma c'aveva ragione. Louis era una testa dura, un orgoglioso dalla punta dei capelli al mignolo dei piedi. Lo era stato e lo sarebbe stato per sempre. Quando era incazzato con qualcuno o per qualcosa non parlava più con nessuno, nessuno. Si allontanava, andava chissà dove per poi ritornare quando la rabbia si era ormai dissolta del tutto o quasi.
E quando ritornava i suoi occhi erano terribilmente vuoti, quasi mancasse qualcosa. E la sua pelle era rigida come la pietra. Parlava a tratti e poco e si gettava sul letto per diverse ore.
Mi spaventava tanto e a volte provavo anche a corrergli dietro, spinta da una coraggio che non ero neanche in grado di spiegare. Ovviamente tutto era inutile. Perché Louis quando scappava, non scappava semplicemente, ma spariva. Sembrava sparisse come le foglie nel vento. Non lasciava traccia, non lasciava un segno. Un fantasma.
Con il tempo tutti ci rassegnammo a questa condizione e lo lasciammo al suo modo di sfogarsi. Tanto insolito quanto incredibile.
Sapevo che anche quella volta, alle parole di Johannah, dovevo rassegnarmi. Provare a dormire e a gettare una parte di quella sera alle mie spalle.
Le rivolsi a mia volta un più che falso sorriso.
"Già. Buonanotte Johannah. Salutami tutti"
"Certo, Buonanotte Gabrielle, sogni d'oro"
Mi accompagnò lentamente all'ingresso e mi lasciò con due baci sulle guance.

Il silenzio regnava.
Come giusto fosse a quell'ora. Quasi le tre del mattino.
Un vento leggero scostava i pochi detriti e le poche foglie sul marciapiede.
I lampioni di fronte davano vita ad una luce quasi arancione che rendeva quel posto piuttosto tetro. Casa mia era lontana pochi metri e avanzai lo sguardo in quella direzione. Trassi un sospiro e proseguii, stringendomi nelle spalle. 
Ero lenta, terribilmente lenta quasi portassi un peso che impedisse il mio reale passo. Mi arrestai, nel centro esatto della strada. Mi guardai indietro.
Mille pensieri insensati e folli iniziarono a confondere la mia ragione.
Osservai lontano, oltre la casa di Louis, oltre tutte le case, oltre il parco. Lì dove era situato un bosco che di giorno era fitto, buio e che ora, di notte, era quasi invisibile, confondendosi con tutto ciò che lo circondava.
Camminai in quella direzione, mentre ansiosamente accesi una sigaretta.
Il fumo mi riscaldava in quella notte di luglio che sembrava la più fredda dell'anno.
Camminai ancora e ancora. Un pensiero fisso era al centro esatto del mio cervello: "Dovevo trovare Louis". Un pensiero, forse, o forse ancora una terribilmente sensazione che mi scombussolava furiosamente gli organi e tutto il corpo. 
Man mano che il bosco si faceva più vicino il mio passo accelerava.
Ormai gli alberi che facevano da confine mi sovrastavano silenziosi.
Un terribilmente presentimento occupò il mio stomaco, cercai di mandarlo ancora più giù deglutendo con forza.
Gettai la sigaretta, dimenticandomi di calpestarla.
E mi addentrai all'interno di quel luogo che di ospitale non aveva nulla.
Non c'erano altro che alberi. Chi alti, enormi, chi meno. Numerosi rami giacevano al suolo evidentemente spezzati via da qualche tempesta precedente. Mi muovevo lenta in quel labirinto di trappole. Cercavo di non inciampare, di non tagliarmi con i rami affilati che spuntavano di tanto in tanto. E man mano che raggiungevo il suo cuore, il bosco si faceva sempre più fitto, sempre più alberi mi circondavano e sempre più la batteria del mio cellulare – con il quale mi facevo luce – era prossima ad abbandonarmi.
Il mio passo si fece improvvisamente instabile e il mio respiro precario.
Mi fermai volgendo il capo verso l'altro alla ricerca della luna.
Era poco distante dai miei occhi. Regnava nel cielo e la sua luce soffice rendeva il cielo un po' meno nero. Portai ai polmoni più ossigeno possibile e continuai, dotandomi per l'ennesima volta di un coraggio a me sconosciuto.
Improvvisamente gli alberi diminuirono. Si fecero più bassi e piccoli.
Ne superai alcuni e mi ritrovai davanti ad un piccolo lago. 
La luna si rispecchiava perfettamente al suo interno.
Mi guardai intorno curiosa e stranita. Sembrava un posto magico, di quelli che si leggono nelle fiabe, ma ero più che sicura di non trovarmi in nessuna fiaba e di non star sognando. 
Mi avvicinai alle sue acque e mi riflessi a mia volta. 
Anche al buio il suo fondo era chiaro. Alcuni pesci si muovevano veloci e sguazzavano fuori qualche volta. Scostai di poco il mio sguardo e vidi un'altra figura buia, incurvata che si rispecchiava involontaria.
Alzai lo sguardo e ne fui immediatamente sicura: era Louis.
Sedeva curvo su di una pietra. La testa talmente chinata da rendersi inesistente dal mio punto di vista. 
Silenziosa mi avvicinai.
All'istante alzò gli occhi e li rivolse alla luna.
Mi arrestai.
Stavolta la luna si rispecchiava nelle sue iridi. Si confondeva con esse. 
Mi incantai a quella visione che, sicuramente, aveva qualcosa di magico.
Si distese, non distogliendo un attimo lo sguardo dalla sua amica lontana.
E sicuramente stavano parlando, si stavano confidando con un linguaggio comprensibile unicamente a loro due.
Per un attimo ebbi la sensazione di dover tornare immediatamente indietro, di non aver il diritto di disturbarlo proprio in quel momento.
Presi ad indietreggiare, ma calpestai involontariamente un rametto che si spezzò sotto il mio piede destro.
Si alzò in fretta e si girò nella mia direzione. 
Mi scrutava con gli occhi spalancati e la faccia piena di panico.
Ci guardammo con il sospiro teso come un filo di ferro.
"Che ci fai qui?"
Mi chiese.
"E come ci sei arrivata?"
Proseguì, con un'altra domanda.
Scese dalla sua pietra e portò le mani lungo i fianchi.
"Ho seguito il bosco. Ho seguito il tuo cuore. Sentivo che era buio come il bosco"
Al suono di quelle parole le sue pupille si dilatarono al punto di confondersi con le iridi. Sospirò rumorosamente e intrecciò le braccia al petto.
"Già"
Mi voltò le spalle e si portò nuovamente verso la sua pietra.
Gli corsi incontro e lo fermai, afferrando il braccio destro.
"Louis, ti prego, resta con me"
Avevo gli occhi lucidi, ne ero sicura.
Mi guardò, mi fissò negli occhi e sentii che il battito del suo cuore era accelerato.
"Io ti amo"
E il silenzio ripiombò di nuovo in quel buio rischiarito dalla luna.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Che capitolo...mhm, particolare direi. Anzi magico, per trovarci in tema. Gabrielle butta fuori finalmente queste due paroline e lo fa sicuramente con tutta la felicità del mondo. Il problema ora è Louis, come risponderà?
Si libererà del buio del suo cuore? Chissà.
Spero vi piaccia.
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo e la citazione in alto riprendono la canzone degli Aquilo - You There

 
- LOUIS -

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Capitolo 17
*** Beside You ***




Beside You
 
When there’s nothing but darkened sound
I will be beside you
When there’s nothing but the long way round
I will be beside you

 
Indietreggiò di qualche passo.
Una mano sul petto, un tremore nascosto.

Lo intravidi solo grazie a quel nostro contatto che iniziava ad allentarsi sotto la pressione di entrambi.
Lo guardai per alcuni interminabili secondi.
Il buio a farci da sottofondo: triste e tetro. 
Il mio cervello era completamente vuoto, ghiacciato da quel freddo che avevo dentro e intorno. 
Speravo in una sua risposta al più presto. Un suo gesto a sistemare tutto.
Quando voltò la faccia al terreno e si scostò da me in una frazione di secondo.
"Gabrielle ma che cazzo..."
Iniziò a ridere soffocato.
Di quelle risate isteriche capaci di spezzare i sentimenti di chiunque.
Stavolta si girò completamente, dandomi le spalle che ricurve riflettevano i raggi della luna.
Rimasi ferma al mio posto, non accennai ad avvicinarmi.
Scossa forse, in preda al panico ancora.
"Gabrielle che ne sai tu dell'amore? Come fai a dirlo così, su due piedi?"
Si rivoltò e alzò le braccia al cielo. Gli occhi illuminati.
La mia attenzione fu completamente catturata da quelle sue domande che mi sembrarono le più crudeli di questo mondo. Talmente crudeli da privarmi del poco senno che mi era rimasto. 
Mi avevano trafitto, avevano spazzato via i nostri cuori, di entrambi, avevano cancellato i mesi passati a pregare per lui, avevano frantumato le sue parole, i suoi baci. Quelli che avevo sognato e mai più dimenticato.
Sentivo nel suo modo di accentuare quelle parole che tutto non era mai esistito per lui.
Si prese la testa fra le mani.
Era sembrato tanto sicuro di quelle parole e ora? Sembrava debole, sul punto di crollare morto da un momento all'altro.
Lo guardai e un brivido mi pervase da dentro.
Perché io ero certa che Louis non credeva a mezza parola di quello che aveva detto.
"Perché mi fai queste domande?"
Presi a chiedergli, nella mia ombra poco distante.
Lui spalancò di poco la bocca e chiuse le palpebre.
"Gabrielle, no...no, dav..."
"Cosa no, Louis?"
Forse stavo urlando o forse stavo parlando con un tono leggermente più alto del normale, ma comunque le mie parole rimbombarono furiose tra quegli alberi e alcuni uccelli furono costretti a volare via, lontani.
"Io non lo so, Gabrielle. Non so niente"
E mentre ripeteva quel "non so" si portava la mano destra sul cuore come a voler dire "io non so cosa ho qui dentro". Spaventato come un bambino.
La gola mi si fece secca, mentre vedevo quei gesti disperati.
"Ti prego Louis, è più semplice di quello che credi"
Mi avvicinai veloce a lui e strinsi le mie mani intorno alle sue. Lo costrinsi a guardarmi negli occhi. A credere ciecamente a ciò che avevo detto.
Fummo una cosa sola per alcuni attimi fin quando Louis non chiuse nuovamente le palpebre, raggiungendo un mondo tutto suo.
Ero pronta ad allontanarmi di nuovo, ma lui mi afferrò a sé e mi strinse attorno alle sue braccia. Forte, fortissimo. Quasi da privarmi il respiro.
"Sono un coglione, lo so"
Quelle parole sussurrate mi riportano in quel carcere, a quella sua confessione che aveva smosso tutta la mia esistenza.
"Ti amo anch'io"
Mormorò più piano per poi baciarmi veloce sulle labbra.

E capii tante cose quella notte.
Capii che le parole di Johannah erano state vere, che le sue lacrime erano state sincere, che i suoi sorrisi malinconici erano stati un disperato tentativo di avvertirmi. Capii che io ero forte, che c'avevo la tempesta e il paradiso dentro di me ma ero in grado di controllare tutto e sconfiggere sempre la parte più buia. Capii che la felicità e la tristezza sono dipendenti l'una dall'altra, e senza una l'altra non sopravvive un giorno in più.
Ma cosa più importante, capii che Louis mi amava. Con tutte le particelle del suo corpo, dalla parte più profonda del suo essere. Senza dubbi o rimorsi, senza ostacoli o bisogni. Mi amava e lo sentiva. Io lo sentivo. E lo vedevo dai suoi occhi, dal suo sorriso, dalle sue braccia che rapide mi avvolgevano, dalle sue labbra che attente mi sfioravano.
Vedevo dinanzi a me solo luce accecante che ci riscaldava e mai ci avrebbe abbandonati. Vedevo la gioia come la più alta e unica fonte di vita.

 
***

Il rumore di un tuono mi svegliò, una mattina.
Il freddo di gennaio mi divorava e mi privava di forza. Provai a stringermi ancor più nelle mie coperte e a nascondere l'intero viso sotto di esse. 
La pioggia fuori era furiosa e instancabile.
Si udiva il suo scrosciare al suolo e il dibattersi sui vetri delle finestre.
Il sonno iniziò pian piano ad abbandonarmi, disturbato da quei tremendi suoni. Aprii gli occhi lentamente, cercando di mettere a fuoco la mia vista. 
Sotto quella montagna di trapunte il buio regnava, ma alcuni ciuffi castani riuscivano a prendere colore. Li accarezzai piano. Si mossero sotto il mio tocco seguite da un corpo che iniziò a girarsi nella mia direzione.
Louis.
Gli occhi serrati in morbide rughe, il viso impiastricciato di sonno, ma un sorriso silenzioso a risplendere tutto. Mi avvicinai e sorrisi a mio volta. 
Accostai le mie labbra alle sue. Lui ricambiò il bacio per poi ripiombare tra le braccia di Morfeo.
Decisi di lasciarlo ad abbindolarsi tra di esse ancora per un po'.
Io fui costretta ad alzarmi da quel maledetto orologio le cui lancette scorrevano veloci. 
Mi diressi in bagno. 
Lavai il viso e lo asciugai in fretta. Il riflesso del mio viso nello specchio era sereno sebbene circondato da piccoli cerchi violacei. La pelle sotto il gelo delle pareti di ceramica si contorceva e dava vita a piccoli brividi. Mi strinsi la braccia al petto e decisa mi diressi in cucina. 
Il vuoto e il buio circondavano quella stanza. Immediatamente avanzai cercando di dargli vita. Accesi la macchina per il caffè.
Uno sguardo si puntò sulla finestra che dava un' ampia veduta su tanti palazzi. Distanti e non. Erano spenti, grigi. La pioggia non risparmiava nessuno. Quella vista generò nel mio cuore un piccolo sussulto e involontariamente le mie labbra pronunciarono: "Sarà proprio una brutta giornata quella di oggi"


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Prima di tutto scusatemi per questo leggero ritardo, ma la scuola ultimamente sta stressando.
Un capitolo un po' improvvisato, non volevo far accadere proprio questo ma poi mi sono accorta di alcune incongruenze con le mie idee e ho dovuto rivedere qualcosa. Louis e Gabrielle ora si amano. Spudoratamente, senza limiti. Cosa bellissima, no? La vita di entrambi ha così una nuova svolta, una svolta che vivranno insieme. 
Tante belle novità ci aspettano, insomma.
Spero vi piaccia ovviamente! E che non vi sembri...troppo veloce o troppo stupido.
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo e la citazione riprendono la canzone di Phildel - Beside You

 


:)

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Capitolo 18
*** Turning Page ***




Turning Page
 
Your love is my turning page 
Where only the sweetest words remain 
Every kiss is a cursive line 
Every touch is a redefining phrase

 
"Io odio la pioggia"
Louis mi circondava il busto con le sue braccia. Il respiro sul mio collo, i capelli leggeri a sfiorarmi il viso. Istintivamente sorrisi e afferrai una delle mani che delicatamente si incrociavano sul mio ombelico. 
"Già. Anch'io"
Mi girai rapida verso di lui e mi sottrassi per metà alla sua stretta.
"Perché in piedi così presto?"
"Mi mancavi"
"Di già?"
"Si"
E si riavvicinò a me, schioccandomi un rapido ma intenso bacio sulle labbra. Ricambiai quel contatto e donai ad esso tutta la mia forza. 
Ci confondemmo così, in un attimo.
I corpi che a lungo si erano bramati ora erano una cosa sola. Si contorcevano, si ribellavano, si amavano. Incoscienti del passato e del futuro, ma concentrati esclusivamente su quel presente, intenzionati a vivere come se fosse l'ultimo angolo di paradiso. Felici, spensierati. Soprattutto liberi.
"Perché non ti risparmi l'università oggi?"
"No, Louis! Non un'altra volta!"
Mi allontanai scaltra e furiosa da lui. Per colpa sua avevo saltato nel giro di un mese quasi quindici lezioni. Le sue carezze mi confondevano ogni volta, ma non quel giorno. Ormai la situazione era diventata insostenibile.
Rischiavo di perdere numerosi esami di quell'anno.
"Dai, un giorno in più, un giorno in meno. Cosa cambia?"
"Tutto Louis, tutto"
Mi diressi verso la macchina per il caffè ed estrassi la mia tazza. Cercavo di non incrociare più il suo sguardo e di fare mente locale su quello che avrei dovuto fare in quella giornata. Studiare, prendere in prestito alcuni libri dalla biblioteca e chiedere a Rose gli appunti delle ultime lezioni perse. Una marea di cose in metà giornata.
"Gabrielle"
Si riavvicinò a me. L'espressione del viso mutata. Era serio, quasi preoccupato.
"Non devi andare all'università. Ho una brutta sensazione"
"Louis vaffanculo. Ora basta. Se fosse per te mi laureerei nel 2046"
Posai la tazza e mi diressi nella nostra stanza.
Mi seguì anche lì. L'ombra del suo inconfondibile corpo ad accompagnarmi ovunque. 
"Hai avuto più notizie di Turner?"
"No"
Storse il naso e massaggiandosi il viso si allontanò. E questa volta stranamente desideravo rimanesse con me. In quella stanza dove l'umidità era la padrona indiscussa. A quel nome un tremolio mi scosse il cuore e i pensieri. Era passato più di un anno da quell'orribile notte eppure, gli occhi rossi e furiosi del professore non riuscivano ad abbandonare i miei ricordi.
Tutto era cambiato dopo quell'avvenimento. Tutto.
Io, Louis. 
L'abbandono della cattedra di psicologia da parte del professore Turner.
Un abbandono che forse doveva essere previsto, ma che in fondo nessuno si aspettava. 
Mi vestii in fretta, cercando di scacciare quegli orribili pensieri contorti.
Ritornai in cucina, Louis sedeva su di una sedia e osservava il panorama.
Triste come un'ora prima. 
Avanzai silenziosamente verso di lui e lo abbracciai da dietro.
"Stai tranquillo"
Gli sussurrai nell'orecchio e gli lasciai un bacio sulla guancia, prima di prendere le mie cose e correre in università.

Io e Louis ci eravamo sistemati così. Un piccolo appartamento in un piccolo e dimenticato quartiere di Londra. La nostra abitazione era situata al penultimo piano di una palazzina corrosa dal tempo e dalla noncuranza dell'amministratore e degli inquilini. Poco importava. Poca importanza davamo ai muri fatti di muffa che sovrastavano i vari piani o ai corrimani arrugginiti e spesso distrutti a metà. Eppure, a volte, quel posto mi faceva paura. Vuoi le leggende metropolitane, vuoi le persone ambigue che lo occupavano. E così quel giorno scesi di corsa le scale, pregando di non incontrare nessuno. La mia corsa fu, però, controproducente. Il mio piede destro si poggiò male sull'ultimo scalino e il mio peso si portò a terra come un burattino a cui siano tagliati improvvisamente i fili. Un leggero grido di dolore fuoriuscì dalle mie labbra e per alcuni secondi massaggiai la zona dolente, cercando di migliorare il dolore. Ero pronta ad alzarmi quando un braccio si strinse attorno al mio e mi aiutò a rimettermi in piedi. Mi girai verso quell'aiutante e mi accorsi che era un ragazzo, con degli inconfondibili occhi nocciola che stranamente mi sembrava già d'aver visto.
"Tutto apposto?"
Mi chiese, con un tono leggero e rassicurante.
"Si, grazie. Sono stata un po' distratta"
"Io darai la colpa a queste scale di merda, sinceramente"
Provò a sorridermi. Io di risposta allungai la mano, incitandolo a stringerla.
"Comunque piacere, io sono Gabrielle"
"Caden"
I suoi mi scrutarono fissi per degli istanti prima di lasciare la stretta.
"Ora devo andare, è stato un piacere Caden"
"Anche per me. A presto"
Mi sorrise debolmente prima di infilare il cappuccio e sparire sotto la pioggia che cadeva a goccioloni.
Mi fermai ad osservarlo. Tormentata dall'idea di averlo già visto da qualche parte.

L'università si presentò a me identica a sempre. La pioggia, il sole, la neve trasformavano tutto, ma non quel posto che rimaneva impassibile.
Stessa gente nervosa, stesse mura giallastre.
Mi diressi verso la mia aula da cui, stranamente, proveniva un silenzio tombale. Bussai e una voce maschile pronunciò un deciso "prego".
Spalancai la porta e me lo ritrovai di fronte.
Alex.
La giacca di pelle, i capelli neri impastati di gel, il viso contratto in uno spaventoso sorriso. Le gambe tremarono istintive e un pugno di saliva mi si fermò in gola. I suoi occhi alla mia vista si assottigliarono, per poi allargarsi come enormi biglie.
"Signorina Stock è in ritardo!"
La sua voce arrivò lenta al mio udito e immobile cercai di formulare una risposta.
"Mi scusi"
Mi limitai a dire, sopraffatta da delle terribili sensazioni.
"Si accomodi"
E con la mano mi indicò le diverse sedie vuote davanti a lui.
Proseguii verso di esse con lo sguardo di tutti puntato addosso. Presi posto e cercai di farmi più piccola possibile.
Evitai di guardarlo per svariati minuti, persa nei miei pensieri che si scontravano senza sosta.
Perché è di nuovo qui?
Cos'ha in mente?
E se volesse una specie di vendetta?

Iniziai a farmi paura da sola.
La situazione peggiorava senza sosta. Sentivo i suoi occhi che in tralice mi osservavano. I suoi pensieri concentrati su di me.
Sola, in quel posto che stava prendendo la forma di un incubo, decisi di inviare un messaggio a Louis. Presi il cellulare dalla tasca, ma contemporaneamente, la campanella che segnava la fine della lezione prese a suonare. Gli studenti scattarono dalle loro sedie e corsero fuori. Cercai di essere veloce quanto loro. 
"Signorina Stock, si è già dimenticata?"
La sua voce prese il sopravvento su tutto. 
Il suono della campanella, i passi allarmati dei miei compagni, le mie preoccupazioni instancabili.
Mi arrestai e piano mi voltai verso di lui.
"Non capisco a cosa si riferisca"
Un risatina aleggiò sulle sue labbra e lentamente si accostò a me.
Mi cinse le spalle con il braccio destro e richiuse il mio piccolo corpo sotto  il suo.
"Gabrielle, Gabrielle, perché pensi male?"
Il respiro iniziò a diventare sottile, fin troppo sottile. La fronte cominciò a tremare e a grondare di piccole gocce di sudore.
"Io non penso proprio a nulla, professore"
"Non ci credo, e sai perché?"
"Perché?"
"Perché i tuoi occhi dicono altro"
"Cosa ne sa lei dei miei occhi?"
"Ma tutto Gabrielle, io so tutto. Ho avuto il privilegio di scrutarli così tante volte"
Iniziò a stringermi sempre di più.
La quantità della mia adrenalina, per fortuna, aumentò drasticamente in quei pochi attimi. Con forza mi scostai da lui.
"Perché è tornato?"
"Per lei, che domande. Abbiamo un conto in sospeso"
Si allontanò e si diresse verso la sua ventiquattrore.
Il mio cervello formulò immediatamente una miriade di preghiere, eppure una dominava incontrastata su tutte le altre.

"Louis ti prego, salvami"
 
-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Questo capitolo è pieno di scenenette diverse fra di loro. Quel Caden, ma chi sarà? Gabrielle è convinta di averlo già visto da qualche altra parte. Chissà dove. E poi...il ritorno del professore Turner. Cosa avrà in mente stavolta? Sicuramente è vittima di forti squilibri mentali. Però, quello che fa da sfondo è la cosa più bella. I nostri Louis e Gabrielle. Che si amano a loro modo, che fanno le cose come se fossero una cosa sola. Io li trovo davvero molto carini.
Spero vi piaccia.
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo e la citazione riprendono la canzone di Sleeping At Last - Turning Page

 
- LOUIS -

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Capitolo 19
*** Is There Somewhere ***




Is There Somewhere
 
I'm sorry but I fell in love tonight.
I didn't mean to fall in love tonight.
You're looking like you fell in love tonight.

 
Temevo per le mani che si muovevano veloci tra quei fogli ingialliti, ma perfettamente ordinati. Temevo per quegli occhi che scrutavano, penetravano e distruggevano. Temevo per quell'uomo che ora si stava avvicinando a me.
"Ecco"
Mi porse dei fogli. Lessi alcuni righi con il fiato sospeso e il cuore incontrollabile. Non ne capii immediatamente il senso, ma non appena lessi la parola – tra le miriade che si scontravano con questa – "master", mi tranquillizzai. Alzai gli occhi, che fino ad allora erano stati bassi con fare interrogativo. Il professore mi invitò con un cenno a proseguire nella lettura.

"La seguente alunna, Gabrielle Stock, è invitata a terminare il master in comunicazione, intrapreso nell'anno 2013, con un soggiorno di 14 giorni presso Amsterdam (Paesi Bassi). L'alunna avrà modo di frequentare ed osservare le migliori scuole di dialettica, letteratura e storia europea e non. Il tutto sarà completamente gratuito, premiando così il più che soddisfacente lavoro esaurito dalla seguente."
 
Tutto ebbe di nuovo senso. Il suo ritorno, le sue parole, i suoi movimenti, eppure c'era qualcosa che in tutta quella chiarezza in me non tornava.
Rimasi con lo sguardo fisso e in silenzio su quel foglio per lunghi attimi, fin quando il professore lo strappò dalle mie mani.
"Allora? E' pronta per partire?"
"Quando?"
"Fra cinque giorni"
Sgranai gli occhi.
"Cosa c'è?"
"E' una data troppo vicina. Non sono pronta. Ho delle cose da fare e ho da.."
"Questo mese non ha esami, ho controllato di persona"
Mostrò un sorriso soddisfatto e ambiguo. Contorsi il viso in un' espressione di arresa e forte dubbio. 
"Sono quattordici giorni, cosa sarà mai"
Appoggiò una mano sul mio braccio e mi sorrise nuovamente, accostando il suo viso ai miei occhi. Credeva di averla vinta facilmente in quel modo, ma i miei pensieri furono irremovibili. Preso ormai dalla sconfitta si allontanò di qualche passo, mettendo ordine in quella ventiquattro ore che aveva abbandonato nella confusione.
"Comunque è costretta a farlo. Quindi non ci pensi su molto"
Il tono della sua voce cambiò in modo inquietante. Provocò nel mio cuore una nuova ansia, stranamente ancora maggiore della precedente.
"Io l'avevo avvertita dall'inizio. Il master termina con un viaggio ad Amsterdam. Mi sembra di esser stato piuttosto chiaro"
"Senza dubbio, ma la mia situazione ora è ben diversa"
"Cos'è cambiato, Gabrielle?"
"Tante cose"
"Cosa?"
Le parole sfuggivano nella mia mente e sulla mia bocca. Si perdevano nel caos dei suoi sguardi divoratori.
"Quando una ragazza trova un ragazzo è la fine. Mia cara Gabrielle, ma quanto siamo cambiate da quando nella nostra vita è apparso il signorino Tomlinson. Tutto bei capelli e niente cervello, tutto parole e nemmeno un'emozione. Provo quasi pena per lei, sa?"
La sua voce si fece isterica e assordante. Quella tipica voce da ragazzina viziata. Alex stava giocando ad un gioco in cui si sentiva il vincitore indiscusso, ma io la vittoria non gliela avrei mai concessa, e di questo lui non se ne preoccupava affatto. Con le sue convinzioni da essere spregevole qual'era a fargli da nebbia al cervello.
A quelle sue parole, dette con la più grande cattiveria che sia concessa agli esseri umani, il mio stomaco si contorse e si distese come una molla e il mio cuore si caricò di un mix potentissimo, dato dalla rabbia e dall'orgoglio che ribollivano incontrastate.
Azzardai istintivamente anch'io una risata. Scostai i capelli dietro le spalle e incrociai le braccia al petto.
"Ma chi le da' il permesso di parlarmi così?  Di parlare così del mio RAGAZZO? Sono convinta nessuno, quindi la prego di rimangiare tutto"
Per un attimo lo vidi in preda ad uno stato di oblio, ma la sua forza era quasi immensa.
"Certamente nessuno perché io mi reputo una persona libera e con tale libertà in grado di parlare di tutti a mio piacimento"
Pronunciò ogni singola parola con serietà, convinzione e schiettezza. 
Mi convinsi del fatto che quell'umano non aveva paura di niente e di nessuno, un vero osso duro per chiunque. Ma assolutamente non per me. 
Ero pronta a dargli contro di nuovo quando la suoneria del mio cellulare prese a risuonare furiosa in quell'aula vuota, colma solo di emozioni dure e repellenti. In modo del tutto indifferente presi a portarlo tra le mani. Il nome "Louis" illuminava lo schermo e immediatamente lo portai all'orecchio destro.
"Louis dimmi"
"Gabrielle, dove sei?"
"In università, sto risolvendo una cosa"
"Cosa?"
"Una cosa, non preoccu..."
Pensai che non ci fosse nulla che avrei dovuto nascondergli in quel momento e così proseguii nettamente le mie parole.
"C'è il professore Turner davanti a me, mi sta parlando del viaggio ad Amsterdam"
Guardai il volto di Alex; di pietra, non un minimo cambiamento lo aveva afferrato.
"Gabrielle, ma che cazzo stai dicendo?"
"Vuoi che te lo passi?"
"Arrivo subito"
E riattaccò all'istante.
Ma il mio viso cambiò. Si tramutò confusamente in gioia seguito da paura. Perché sapevo che a Louis le parole non sarebbero bastate, che lui nella diplomazia non ci crede.
"Cosa succede ora?"
Mi chiese Alex, annoiato.
"Non lo so"
Si girò, dandomi le spalle.
"Tornate pure a casa, Gabrielle. Hai le valigie da preparare"
Non risposi a quella che sembrava una provocazione, rimasi nei miei tormenti. Abbandonandomi in pensieri contorti e assurdi.
"Arrivederci signorina Stock"
Mi salutò con un silenzioso sguardo per poi muoversi rapido lontano.
Gli corsi dietro, cercando di evitare la solitudine di quel posto.
E tre sguardi fissi si incrociarono tra loro, tre sguardi esatti.
Non si perdevano, non si confondevano con quelli degli altri che li circondavano. Parlavano muti, con un linguaggio sconosciuto e apprezzato da pochi. I respiri erano le uniche cose che si separavano e distinguevano gli uni dagli altri. Alcuni talmente veloci da sembrare inesistenti, altri lenti e quasi fastidiosamente rumorosi. C'era la rabbia che lottava con la paura, c'era il dolore che lottava con l'appagamento e poi c'era la voglia di vincere con la temuta sconfitta. Queste si afferravano e si lasciavano, si sbranavano a vicenda, lasciando vivi ad entrambi lembi di forza ormai prossima a consumarsi. La mia posizione in quella battaglia rimase la stessa per un quantità di tempo incalcolabile. 
Louis decise di spezzare quel momento con una domanda fredda e rovente allo stesso tempo.
"Che ci fai di nuovi qui? Non ti è bastato il sangue dell'altra volta?"
Nel suo atteggiamento non notavo nulla di nuovo. Mi sembrava di vivere uno dei miei innumerevoli flashback a riguardo. Eppure la cosa riusciva a farmi terrore ogni volta.
Alex lo guardò calmo, sembrava spensierato e come sempre sicuro di sé.
"Louis perché sempre così maldestro? Dovevo risolvere una questione con Gabrielle, ti ricordo che sono sempre il suo professore di psicologia"
"Non mi sembrava più da molto tempo ormai"
"Cosa vuoi farci, chi non muore si rivede"
Un sorriso malizioso aleggiò sulle sue labbra rosse. Quell'espressione provocò ribrezzo in Louis che si accostò al corpo dell'altro.
"Non ti avvicinare mai più a Gabrielle, mi hai capito?"
Louis che era sembrato sempre tanto piccolo rispetto alla figura imponente di Alex, ora stava riscattando tutta la sua potenza. Quella che c'aveva dentro e che liberava di tanto in tanto. 
In quel gesto io non vidi soltanto coraggio, audacia, impudenza, ma anche amore.
Per me, per lui, ma soprattutto per noi. Per quel qualcosa che stavamo vivendo e che insieme avevamo creato. Lo sentii pronto a difenderci con quanta energia avesse in corpo, digrignando anche i denti se fosse stato necessario. 
Era quel tipo di amore che sognano un po' tutti.
Quello dove l'altro ti difende qualunque sia la questione, ti protegge qualunque sia la sua forza e ti circonda con il corpo, le braccia ma soprattutto con l'anima. E tu lo percepisci e lo difendi a tua volta, essendo sicuro che nulla sarà tanto grande da cambiare ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà. 
Un qualcosa che non ha inizio e né fine.
Questa forza l'aveva sentita anche Alex.
Tremavano le sue iridi, risplendevano di pura paura. Incapaci di controllare quella sensazione che non avevano mai provato prima.


- SPAZIO AUTRICE
Salve gente! ritardo imperdonabile, ma per l'ennesima volta è colpa della scuola. Sono sicura che sappiate meglio di me quanto sia dura in quest'ultimo periodo. Ok, il capitolo è partito da un'idea che sono riuscita a rielaborare (credo) più o meno bene. Louis che dimostra il suo amore in un gesto semplice ma intenso e Gabrielle che percepisce tutto. E' bellissimo, piango. Non ho altro da dire, lascio tutto a voi e vi aspetto al prossimo.
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo e la citazione riprendono la canzone di Helsey - Is There Somewhere
 
- LOUIS -

 

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Capitolo 20
*** You can spend sometime with me tonight ***




You can spend sometime with me tonight
 
E si allontanò, si allontanò per sempre.
Non vedemmo mai più Alex.
Non sentimmo mai più la sua voce e i suoi occhi.
Molti non se ne meravigliarono, io invece si. Mi chiedevo come fosse riuscito a volatizzarsi così velocemente, capovolgendo tutti quei principi di cui si credeva il padrone. Come non avesse trovato la grinta di affrontare noi. Noi che eravamo deboli, noi che eravamo soli, noi che barcollavamo su di un mare in tempesta. Noi che negli occhi ci guardavamo sempre, ma mai parlavamo. Io e Louis ci amavamo, tanto, immensamente, eppure allora non io non l'avevo capito fino a che punto. Io non lo identificavo con l'Amore, quello con la "A" maiuscola. Forse perché entrambi ancora così diversi. Seppur condividevamo le mani, il letto, il cuore, c'era una parte della sua anima che non riuscivo mai ad afferrare. Era una parte buia, desolata, vuota che si faceva bastare la sua oscurità. Quell'oscurità che di diventare luce non ne aveva proprio voglia. Almeno non per il momento. Almeno non per mia, nostra volontà.
"Louis, mi ami?"
Gli chiesi una sera, una delle tante.
Lui poggiava entrambi i gomiti sulla tavola, era pensieroso ma felice. 
I capelli scompigliati sulla fronte e una maglia bianca fin troppo grande al corpo. All'ascolto della mia voce alzò il viso verso la mia direzione.
Io ero in piedi, lontana, vicino alla grande finestra della cucina. 
Un cielo nuvoloso mi era alle spalle.
La gola mi tremava. Incrociai le braccia al petto delicatamente, mentre gli occhi mi sembravano incontrollabili.
"Certo"
Disse, senza pensarci, senza girarci attorno. 
Eppure quello stato di preoccupazione in cui il mio corpo si era gettato non trovava riposo, anche con quella parola che più diretta non poteva essere.
"Perché ne sei così sicuro?"
Spalancò gli occhi, deglutì e si mise in piedi. Portò le mani nelle tasche per poi passarsele sui capelli.
"Lo so e basta, Gabrielle. Perché queste domande piuttosto?"
Rivolsi la mia attenzione alla finestra.
Non lo sapevo neanche io, sentivo solo il bisogno di farle, anzi, il dovere di farle. Ma mai lo avrei ammesso a Louis, non mi avrebbe capita, ne ero sicura.
Louis notò la mia ansia, un sensazione di inadeguatezza che mi stava divorando in un lasso di tempo tanto breve quanto intenso.
E si avvicinò sempre di più a me. Mi abbracciò da dietro.
"Cos'hai?"
"Nulla"
Si allontanò da me, quasi disgustato dalla mia risposta.
Tremavano gli occhi anche a lui, e forse anche il cuore.
"Gabrielle, perché?"
"Cosa?"
Risposi immediatamente, quasi devastata da quella sua domanda che a parer mio voleva scoprire fin troppi "perché".
"Perché non mi parli?"
"Io ti parlo"
"No, non come dovresti"
"Che intendi?"
Avanzò di qualche passo e poggiò una mano sul mio petto.
Il respiro mi si bloccò. Le sue iridi, che con il tempo buio erano diventate grigie, mi trapassarono e inghiottirono una parte di me. Volevo allontanarmi da lui, ma la posizione in cui mi aveva stretta me lo impediva. 
Rimase in silenzio per tanto tempo.
Rimanemmo in silenzio entrambi.
Forse non trovavamo parole, forse di parole per riempire quel momento non ne esistevano.
Socchiusi le labbra, pronta a sentenziare un'ennesima domanda, ma lui mi bloccò. Poggiò un dito sulla mia bocca e mimò con le sue di labbra la parola "ascolta".
A cosa si riferisse io non riuscii proprio a capirlo.
Rimasi all'ascolto, ma le mie orecchie non percepirono nulla.
Quando poggiai istintivamente la mia mano su quella di lui che a sua volta era poggiata sul mio petto. I nostri occhi non un momento si lasciarono, i nostri respiri trovarono la loro sincronia.
Improvvisamente Louis scostò le nostre mani sul proprio petto.
E capii, tutto.
Sentii il battito del suo cuore. Quel battito che era perfettamente identico al mio.
Veloce, rumoroso, immenso.
"Senti come mi batte forte il tuo cuore"
Soffocò silenziosamente.
Louis spostò le dita sulle mie guance e asciugò delle lacrime.
Non mi ero accorta di star piangendo, non fino a quel momento.
Piano piano scoprì i denti e mi mostrò un sorriso.
Si raggrinzirono gli occhi e le sopracciglia si incurvarono.
Emisi una leggera risata e abbassai gli occhi.
Lui riprese il mio sguardo e lo portò nuovamente su di sé.
"Ora hai capito?"
Accennai un "si" con il viso e lo baciai.
Noi ci amavamo da prima, da sempre, ovunque.
Tirai a me i suoi capelli che si avvolsero perfettamente alle mie dita.
Sentii il calore del suo corpo, della sua bocca e della sua anima.
Mai prima di allora nulla mi fu così chiaro.
Io che avevo dubitato di lui, di noi, dovevo rimangiare ogni singolo dubbio. Cancellarlo per sempre dalla mia mente. Io che avevo intimorito la mia mente e così silenziato la mia anima dovevo piangere perché fin troppo colpevole del danno a cui mi stavo concedendo. Ma per mia fortuna io avevo incontrato Louis che mi aveva salvata ed ero sicura – mai come allora – che mai e poi mai mi avrebbe abbandonata.
Il principe azzurro che mi aveva salvato dalle fiamme del drago.
Per me non era soltanto una fiaba, un sogno impossibile, un pensiero lontano, per me era Louis.
Le nostre labbra continuarono ad incontrarsi, sembrava impossibile riuscire ad separarle.
Iniziammo a spogliarci, incontrollabili.
Il tempo si era fermato, il gelo inesistente.
Ansimavamo entrambi ed entrambi furiosamente cercavamo le membra dell'altro. Graffi profondi iniziai a scavare nella schiena di Louis che trovava appagamento al mio tocco.
Stavamo vivendo la libertà a cui tutti gli esseri umani sono destinati.
La libertà di amarsi.
Amare l'altro nel bene, nel male, nell'innocenza, nella rabbia e nella paura.
E quel buio...il buio, il buio che tanto mi aveva spaventata, che tanto mi aveva soffocata, che tanto mi aveva disorientata si era trasformato – finalmente ed unicamente – in soffice e intensa luce.
Lo sentivo con tutta la mia linfa vitale ed era una luce così pacifica e benevola che mai le avrei permesso di allontanarsi da me.
Ero sicura che Louis in quel momento provasse le mie stesse e identiche sensazioni. 
Mi muoveva delicatamente sotto di lui, sul pavimento freddo.
Mi accarezzava e mi sussurrava debolmente nelle orecchie.
Ed io perdevo sempre più il controllo della realtà, eppure questo non mi spaventava.
Mi ripetevo mentalmente in quella specie di sogno: "Sei mio Louis ed io sono tua".
Per sempre.

 
L'amore non è ricerca, non è volontà, non è desiderio.
L'amore è un destino improvviso.
Un qualcosa che arriva senza invito e che ogni invito rifiuta.

 
-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Eccoci a questo nuovo capitolo. Più romantico e magico di questo non potevo farlo, eh? Ma, boh, ci tenevo a fare una bella e intesa riflessione sull'amore. Tra pensieri racimolati in giro, citazioni ("Senti come mi batte forte il tuo cuore" è una citazione di 
Wislawa Szymborska) e canzoni è venuto fuori questo capitolo. Ho cercato di farlo più chiaro possibile e spero di esserci riuscita. Però, ho una brutta notizia: FORSE questo è l'ultimo capitolo. Purtroppo questa storia non ha raggiunto i risultati che volevo, a voi più di tanto non piace e sinceramente non trovo motivo di continuare. Però vi ripeto, FORSE questo è l'ultimo perchè davvero ci tengo a questa storia e non riesco ad abbandonarla così. Mi impegnerò anche a rivedere tutti i capitoli precedenti e cercare di dare un'aggiustatina. 
Vabbè, che dire più, come sempre, spero vi piaccia.

Un bacio.
-Manu ♥
p.s. il titolo di questo capitolo riprende una frase della canzone dei The Kolors - Love, che io adoro.

 
- LOUIS -


 

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Capitolo 21
*** A bolt from the blue ***




A bolt from the blue
 
Il cielo brillava, il sole risplendeva qualunque cosa con i suoi raggi.
Le strade, gli alberi, i piccoli uccelli che cinguettavano e volavano alti.
Respirai l'aria che mi circondava e percepii in tutta la sua forza la primavera.
Un sorriso ingenuo aleggiò sulle mie labbra mentre con occhi soddisfatti guardavo la mia figura nello specchio. 
Di lì ad un paio di ore sarei diventata una psicologa a tutti gli effetti.
Finalmente, dopo anni di lotta, di studio e di situazioni spiacevoli ero arrivata al mio obiettivo e nient'altro ora mi impediva il successo.
Sistemai per un'ultima volta i miei capelli ed uscii dal bagno.
Louis sedeva spaparanzato sul divano e scorreva annoiato i canali della TV.
“Allora?”
Richiamai la sua attenzione.
Lui si girò e sorrise, scoprendo i suoi denti bianchi.
“Sei bellissima”
Riprese semplicemente e alzatosi dal divano si diresse verso di me.
Mi guardò negli occhi per poi lasciarmi un bacio sulla fronte ed un altro sulle labbra.
“Andiamo?”
Mi chiese, sussurrando.
“Si”
E mano nella mano ci avviammo verso l'università.

“Io mi siedo qui a guardarti”
La mano di Louis si allentò piano piano dalla mia e i suoi occhi lucidi, dopo avermi accarezzato per un quantità di tempo incalcolabile, si spostarono lontani.
Tirai un profondo respiro e nel frattempo tirai giù la mia giacca apparentemente sgualcita.
Mi avvicinai alla commissione, strinsi la mano ad ognuno di loro e mi accomodai sulla sedia loro difronte.
“Gabrielle..Stock”
Sentenziò uno, molto probabilmente il presidente. Osservava distrattamente dei fogli e ogni tanto mi lanciava uno sguardo in tralice. 
L'agitazione che fino ad allora sembrava sotto il mio pieno controllo ora si stava liberando. Il mio sguardo sfuggiva verso destra e sinistra e continuamente sulle mie mani, che si contorcevano sulle mie ginocchia.
Deglutii e approssimai un'espressione di calma.
“E' stata un'alunna piuttosto costante e diligente. Ha dato molto a quest'università e sono sicuro che ora non aspetta altro che un merito”
Stavolta il suo viso scuro si mutò in un sorriso. E messosi in piedi mi porse l'attestato. Mi alzai a mia volta e accennai un leggero inchino. Anche tutti gli altri membri della commissione presero a seguire il presidente: sorrisero e si alzarono.
Dalle mie spalle improvvisamente si udì un battere furioso di mani.
Mi girai istintivamente e vidi Louis, in piedi.
Sembrava quasi che le lacrime lo stessero soffocando e la sua grinta fu così forte che tutte le altre persone che lo circondavano iniziarono perfettamente ad imitarlo.
Un risata spontanea e gioiosa prese posto sul mio viso e cercai di trattenerla portando le mani sulla bocca e sugli occhi.
“Bravissima!”
Azzardò anche ad urlare e stavolta, fattami rossa in viso, lo invitai con un cenno del dito a zittirsi.
Mi lanciò un bacio con la mano e si rimise a sedere.
“Congratulazioni”
Concluse il presidente e mi congedò con un invito della mano.

“Non potrei essere più orgoglioso di te”
Louis mi avvolgeva le spalle con un braccio e mi teneva stretta al suo corpo.
Passeggiavamo liberi per le strade più o meno deserte e buie del nostro quartiere.
Lui barcollava per le due bottiglie di birra che si era scolato ed io cercavo di mantenerlo in piedi. Ma mancava poco e saremo caduti entrambi.
“Cioè sei una dottoressa!”
Il suo tono di voce si era alzato di qualche decibel. Il suo viso arrossito dall'alcool mi faceva ridere e allo stesso tempo mi riempiva di tenerezza.
Gli accarezzai i capelli e tolsi qualche ciocca dalla fronte leggermente bagnata.
“La mia ragazza è una dottoressa!!”
Stavolta prese ad urlare, incontrollabile. Sbiancai di colpo e mi preoccupai della reazione degli inquilini dei palazzi che ci circondavano.
“Louis!”
Urlai in silenzio, tappandogli la bocca con la mano.
Lui iniziò a ridere soffocato e gli occhi gli si erano fatti tremendamente lucidi.
“Ora è meglio se torniamo a casa”
Con il cuore in gola lo afferrai con una morsa maggiore a me e piano piano lo trascinai verso il nostro appartamento.
Delicatamente lo poggiai sul letto e con un fazzoletto mi preoccupai di asciugargli il viso.
Al mio tocco si contorceva come un bambino e respirava debolmente.
“Louis, Louis hai preso proprio una bella sbronza”
Lui sorrise e quel sorriso mi seppe di purezza e di immenso amore.
Mi guardava spaesato.
“Già, non ci sono più abituato”
Farfugliò mentre cercava di togliersi le mie mani dal viso.
“Ti amo tanto Gabrielle”
“Anch'io Louis”
Mi afferrò una mano e mi fissò negli occhi.
“No, Gabrielle, tanto tanto tanto che più tanto non si può”
“Va bene, Lo...”
E improvvisamente si strinse al mio braccio e si strofinò contro.
Lo guardai piuttosto confusa, ma istintivamente gli passai una mano sulla testa e gli lasciai un bacio.
“Prova a dormire”
Non replicò a quel mio ordine che assomigliava tanto ad un consiglio, e giratosi sul lato opposto chiuse gli occhi.
Gli spostai le coperte sul corpo e, dopo aver spento la piccola lampada, richiusi alle mie spalle la porta.
Un silenzio tombale riempiva quelle quattro mura.
In altri occasione quell'atmosfera tetra mi avrebbe spaventa ma quella volta, invece, mi trasmetteva esclusivamente tranquillità.
Mi diressi, così, verso il bagno, sperando di poter fare un doccia.
Aprii il rubinetto e nello stesso preciso istante qualcosa iniziò a frantumare  la calma del palazzo. Tesi l'orecchio verso l'esterno e percepii dei passi furiosi che salivano le scale. La pelle mi si fece istintivamente d'oca ma cercai in tutti i modi di non farci caso. Dopo pochi minuti il chiasso cessò. 
Rilasciai un respiro e raccolsi i miei capelli in uno chignon.
Il campanello della mio porta prese a suonare, per un'ennesima volta fui disturbata.
A passi lenti e silenziosi mi avvicinai all'ingresso e spiai l'uomo aldilà dal minuscolo spioncino.
Purtroppo il buio lo circondava, solo una soffocata luce illuminava i suoi capelli.
“Chi è?”
Chiesi con un sussurro.
“Gabrielle, aiutami!”
Una voce poco familiare trapassò quella parete.
Il cuore mi salì in gola e per alcuni secondi la nausea iniziò a disturbare le mie membra.
“Apri per piacere!”
Iniziò a sferrare pugni sul legno. Indietreggiai terrorizzata e portai la mano sulle labbra cercando di trattenere il mio orrore.
“Chi sei?!”
Urlai stavolta, spinta da qualcosa che veniva dal profondo del mio stomaco.
“Sono Caden!”
A quel nome associai immediatamente degli occhi nocciola, vitrei, luccicanti, quegli stessi occhi che mi avevano trapassato la pelle qualche anno prima, in quello stesso palazzo.
Spalancai la porta e me lo ritrovai davanti.
Le labbra e gli zigomi erano gonfi e sanguinavano. Faceva fatica anche a guardarmi e sembrava soffrire molto, infatti si teneva curvo portando una mano allo stomaco.
I miei occhi si fecero enormi e il sangue delle mie vene si gelò.
Quel ragazzo quasi sconosciuto chiedeva il mio aiuto, con lo sguardo e con l'anima.


- SPAZIO AUTRICE
Salve gente! E alla fine ho continuato questa fanfiction! Niente, non riuscivo proprio ad abbandonarla così. Poi era rimasta anche piuttosto sospesa ed era un peccato. Troviamo il nostro Caden, eh eh. Lo avevamo già incontrato improvvisamente al 18° capitolo. Agli occhi di Gabrielle era sembrato familiare, quindi, chissà sarai mai questo ragazzo così strano? Mhm secondo me ne vedremo delle belle.
Spero vi piaccia e grazie a tutti i miei lettori che sono riusciti a tenere vivo in me l'affetto per questa storia!
Al prossimo.
Un bacio.
-Manu 

 
- LOUIS -



(vi regalo e mi regalo una foto mozzafiato del nostro ragazzone)

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Capitolo 22
*** Drop the Game ***




Drop the Game
 
Give me things that I've wanted to know 
Tell me things that you've done
I've been feeling old, I've been feeling cold

 
Un interminabile silenzio ci caratterizzò per i seguenti istanti. Entrambi impietriti dalla situazione. Mi decisi poi ad avvicinarmi alla sua figura e lo aiutai ad entrare dentro. Lui si appoggiò completamente alle mie spalle e zoppicando proseguimmo verso la cucina.
Lo misi a sedere mentre mi posizionai esattamente di fronte a lui.
Caden manteneva lo sguardo basso e continuava a massaggiare le parti doloranti. Io lo guardavo e capii che dovevo in qualche modo provare ad aiutarlo. Mi avvicinai al frigorifero e tirai fuori dei cubetti di ghiaccio. Li avvolsi attorno ad un pezzo di stoffa e glielo sistemai sulla mascella, consigliandogli di tenerlo fermo in quel punto.
Mi ringraziò con un “grazie” per poi ripiombare in una terrificante calma.
“Cosa ti è successo?”
Gli chiesi, ormai stremata da quella circostanza.
Lui alzò gli occhi e con un' espressione confusa iniziò a balbettare qualche parola. 
Parole senza alcun filo logico erano le sue, sembrava si vergognasse del suo stato o di qualcosa che teneva dentro e temeva di dover mostrare. Dopo un po' posò il ghiaccio sul tavolo e si tastò le tasche del giubbotto cacciando una pistola.
La sua figura lucente e metallica spezzò quella taciturnità. Il cuore iniziò a battermi all'impazzata e la pelle mi si fece d'oca.
Portai istintivamente una mano alla bocca, con gli occhi tremanti che chiedevano senza aver bisogno di parole una spiegazione.
“Non è mia, l'ho rubata”
Disse Caden secco. La voce si era fatta più chiara che mai eppure riuscivo a percepire una nota di disorientamento e terrore.
“Perché?”
“Ne avevo bisogno”
E in quel momento nella mia mente si scontrarono innumerevoli domande, pensieri e paure. 
“Perché sei venuto da me?”
Mi decisi finalmente a chiedere, con una voce che non credevo fosse la mia.
“So di potermi fidare di me, l'ho sentito, l'ho sento”
Gli occhi di lui presero a brillare e un accennato sorriso gli aleggiò sulle labbra. Piano piano avvicinò una mano e con delicatezza la poggiò sulla mia. La sua mano era fredda, sporca e delle macchie di sangue la occupavano quasi dappertutto. Il mio corpo a quel gesto rispose con un tremolio che partì esattamente dal basso della mia colonna vertebrale, eppure non la ritrassi. Rimasi ferma ad osservare le mani e poi il suo viso.
Quel viso pallido, scavato con gli occhi fin troppo grandi che balzavano da una parte all'altra instancabili. 
Ad un tratto si mise in piedi e si accostò al rubinetto.
“Gabrielle, ho bisogno del tuo aiuto”
L'acqua scorreva veloce sulle sue dita e il suo rumore rendeva la voce di Caden più leggera e tranquillizzante.
“Devi nasconderla, io non posso”
A quella frase scattai in piedi, animata da una scarica di adrenalina.
“Caden, sei impazzito?! No, assolutamente, non posso”
Agitai le mani e le intrecciai sulla mia testa, preda della disperazione e del panico.
Lui mi si avvicinò e liberò la mia testa da quella morsa che mi ero inflitta da sola.
“Gabrielle, Gabrielle...non preoccuparti. Nessuno ti conosce e poi questa è una zona praticamente inesistente. Nessuno penserebbe mai di venirci”
Quelle parole, nonostante il tono più che rassicurante, non riuscirono a calmarmi, anzi, la mia ansia aumentò. Fui quasi sul punto di cacciare quello sconosciuto da casa mia.
“Caden, ho detto no. Non mi va di rischiare la vita per te che sei uno sconosciuto”
Lo sguardo di Caden si immobilizzò sulle mie parole, sulle mie labbra. Si spostò da una parte all'altra del mio viso e poi si fermò al suolo. Si asciugò le labbra con il palmo della mano e con un lieve tono di impudenza mi accarezzò le spalle.
A quei gesti e a quelle parole non riuscii a capire le sue reali intenzioni.
Iniziavo a temere anche della sua sola persona.
Indietreggiai di qualche passo e contorsi le mani sulle gambe.
“Gabrielle, tu sei una persona fantastica, io lo so..”
“No che non lo sai, non ci conosciamo neanche!”
Il tono della mia voce prese ad elevarsi, intimato dalla mia paura.
“Vanessa è mia sorella”
Quel nome fermò il mio mondo.
Fermò il tempo, fermò il mio respiro.
Innumerevoli ricordi ed orribili sensazioni iniziarono nuovamente a trapassare la mia mente. Un sospiro di stizza mi prese e proseguii a scuotere il viso verso terra.
“Dopo questa puoi anche andartene”
E con un gesto della mano gli indicai la porta ed iniziai ad avanzare verso l'uscita. Lui, però, afferrò il mio braccio e lo tirò verso di sé.
“Sta morendo, ha bisogno di una cura”
“E cosa centra questo con una pistola?”
“E' una pistola molto costosa, l'ho rubata all'ex-fidanzato di Vanessa. Con i soldi che farei vendendola potrei curarla!”
Iniziò a scuotermi ed i miei occhi si spalancarono.
“Ti prego, aiutami”
La sua richiesta di aiuto destabilizzò momentaneamente tutti i miei sentimenti negativi e li cancellò dal mio cuore. 
Il mio tremare si arrestò e deglutendo accennai il viso.
“Per quanto devo nasconderla?”
“Due settimane”
Mi guardai intorno, quasi cercando un consiglio dalle mura fredde e sporche che ci circondavano.
“Va bene”
Improvvisamente mi si piombò addosso e mi strinse in un abbraccio. Quasi percepii le sue lacrime calde scivolarmi sul collo. Scossa, presi ad accarezzargli piano la schiena.
Una volta allontanatosi da me, tirò su col naso e mi sorrise per davvero.
E per un attimo mi sembrò un bambino. Con la pelle sottile a ricoprirgli le membra e i capelli umidicci a renderlo più bello.
I miei occhi lo osservavano e non vedevano altro confusione. In quel corpo graffiato e ammaccato che mi era di fronte.
“Caden, ma tu quanti anni hai?”
Gli domandai, come spinta da un dubbio che non riusciva più a rimanere tale.
“25, perché?”
A quel numero la mia mascella si contorse e un' espressione di pura sorpresa mi prese.
Caden si imbarazzò e le sue gote si arrossirono. Cercò di scacciare quella timidezza scuotendo i capelli con le mani.
“Beh, so di sembrare più piccolo, ma non posso farci niente”
Azzardò anche una risata e mostrò i denti bianchi, bianchissimi.
Istintivamente sorrisi, per la prima volta, anch'io.
“Gabrielle, che succede?”
Alle mie spalle dopo un po' la voce di Louis, silenziosa e confusa, si fece sentire.
Mi voltai a guardarlo ed era lì in piedi che ci guardava con gli occhi piccoli e socchiusi dal sonno e dallo stordimento della sbronza.
Immediatamente mi ricordai della pistola e mi catapultai verso di essa, nascondendola con il gomito.
“Louis, questo è mio cugino, Caden”


- SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Allora in questo capitolo troviamo azione e tensione. Caden vuole un aiuto da Gabrielle, le dice che si fida di lei ciecamente. Nonostante un iniziale dubbio alla fine accetta la proposta di lui. Ma poi ecco che spunta Louis, e Gabrielle che fa? Dice che Caden è suo cugino.
Mhm questa cosa mi puzza.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Al prossimo.
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo e la citazione in alto ripredono la canzone di Flume & Chet Faker - Drop the Game

 
- CADEN -



Thomas Sangster )



 

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Capitolo 23
*** Beyond This Moment ***




Beyond This Moment
 
Silenziosamente gettai l'arma sotto il grande frigo e altrettanto silenziosamente mi misi in piedi.
Louis osservava Caden dalla testa ai piedi. Gli occhi gli tremavano ed umidicci iniziarono a provare innumerevoli dubbi e domande.
Caden, dal suo canto, rimase immobilizzato per alcuni attimi dalla sua occhiata di ghiaccio ma poi, preso da una sfacciataggine improvvisa, si alzò e proseguì verso di lui, tendendogli la mano.
“Ciao Louis, piacere”
Azzardò anche ad accennare un sorriso.
Ma Louis non mollava la presa. Quegli occhi color nocciola non gli piacevano per niente e il suo sguardo scrutatore ed assassino si intensificò sempre di più. Eppure, con indifferenza, afferrò la mano dell'altro e la strinse a sé.
“Piacere Caden”
Distolto lo sguardo, Louis puntò l'attenzione su di me. I suoi occhi non mi erano mai sembrati così interrogativi e, in un qualche modo, perfidi.
“Perché non me ne hai mai parlato, Gabrielle?”
Il tono della sua voce fu diretto e crudo, mi trapassò il corpo e scatenò in me un brivido di confusione e puro terrore. Silenziosamente presi a balbettare qualche parola, intimorita da quella situazione a cui non ero stata preparata.
“Beh...non ne ho mai avuto l'occasione e poi...torna solo ora dagli Stati Uniti dopo dieci lunghi anni, vero Caden?”
Poggiai delicatamente una mano sulle spalle di Caden alla ricerca di un appoggio e di una conferma che permettesse ai dubbi di Louis di sparire.
“Si, lavoro come giornalista lì”
“Eppure non hai preso per niente l'accento americano”
A quella nota, che ci sembrò per un attimo sarcastica per poi rivelarsi crudele, entrambi sbiancammo. 
Caden deglutì e si girò nella mia direzione, osservandomi nervosamente con la bocca semi-spalancata. Percepii improvvisamente una goccia di sudore scivolarmi lungo il viso e cercai di non farci caso, incrociando a me le braccia.
“Ama l'Inghilterra come le proprie ossa, non si sarebbe mai permesso!”
Soffocai una risata cercando, nuovamente, l'appoggio di mio “cugino”.
Louis riprese a guardarci entrambi prima di sentenziare una nuova domanda con fare acuto.
“Cosa sei venuto a fare qua?”
“Qua, a Londra?”
“Si...”
Quel “si” uscì dalla gola di Louis come un sussurro sforzato, come una curiosità che non gli sarebbe interessata ma che avrebbe esaurito per pura gentilezza.
“Dopo dieci anni ho sentito il bisogno di rivedere i miei familiari”
Caden afferrò il mio busto e mi strinse sotto di sé, circondandomi completamente, quasi da impedire il mio respiro. Espresse un enorme sorriso che mi rivolse con degli occhi allegramente illuminati. E con un piccolo sforzo presi ad imitarlo. Da quella mia posizione osservai la figura di Louis in tralice.
Era sbiancata e il suo viso aveva assunto un'espressione dura, di sasso. Alcune piccole vene sulla fronte gli si gonfiarono e dopo un po' la mia attenzione fu risucchiata dalle mani, che dopo essersi stese completamente si serrarono in rigidi pugni.
A quella visione mi allontanai immediatamente dalla morsa di Caden e sentendomi a disagio sotto l'immensa figura di Louis mi rinchiusi in un imbarazzante silenzio, abbandonando mio “cugino” alla sua altrettanto complicata situazione. Quest'ultimo mi osservò scivolare lontano da lui, scatenò sul suo viso un'espressione stupita per poi riprendersi con un veloce: “Ora è meglio se vado, a presto Gabrielle...Louis”
Ci regalò un'ultima occhiata per poi allontanarsi nel buio verso l'uscita.
“Ti accompagno”
Urlai.
Le nostre figure nel buio non furono capaci di distinguersi, ma non appena Caden aprì la porta d'ingresso i nostri volti si tinsero di giallastro.
Vidi all'istante i suoi immensi occhi penetrarmi curiosi e sofferenti.
“Mi fido Gabrielle”
Afferrò una mia mano e la accarezzò debolmente. Il mio respiro fu sospeso per alcuni attimi, ripreso da quelle terribili sensazioni che mi avevano avvolto poco prima. Annuii con il viso per poi richiudere la porta alle sue spalle.
Dopo aver tirato su con il naso e aver aggiusto lievemente alcune ciocche dei miei capelli proseguii nuovamente verso la cucina, lì dove avevo lasciato Louis. Prima di varcare la soglia cercai di assumere un'espressione quanto più rilassata e disinvolta. Attraversai la stanza con un gelido sorriso diretto verso la sua figura che disinteressata portava alle labbra un bicchiere d'acqua.
“Ti senti meglio?”
A quella mia preoccupazione il viso di Louis si voltò nella mia direzione, mi scrutò per poi annuire silenziosamente.
Impacciata, e in preda alla vergogna e al terrore mi avvicinai a lui.
Desideravo sfiorarlo, regalargli una carezza, riportarlo a me con un bacio.
Ma non appena accennai l'ultimo passo il suo corpo si contorse sotto il mio, afferrando voracemente il mio polso.
“Gabrielle, chi cazzo era quello?”
La sua voce era acuta, forte, devastante. I suoi occhi rossi, sbizzarriti, malati. Mi tirava fortissimo a sé e mi scuoteva senza sosta.
Il sangue mi si gelò nelle vene e il corpo mi si fece di fuoco.
Le mie mani che cercavano di liberarsi presero a tremare instancabili, perdendo anche la più piccola scia di controllo.
“Louis, Caden, mio cugino!”
Urlai con quanta voce avessi dentro. 
Gli occhi che si erano spalancati e inumiditi abbandonarono alcune piccole lacrime.
“Non prendermi per il culo Gabrielle!”
“Non lo sto facendo Louis! Mi fai male, cazzo!!”
Le nostre urla si confusero, lottarono fra di loro. 
Le mie membra contro le sue sembravano infinitamente deboli e pronte da un momento all'altro a scindersi come granelli di sabbia.
Ormai ruggenti singhiozzi inondarono la mia gola e si liberarono del tutto con un pianto violento.
A quella visione Louis lasciò andare il mio polso, abbandonando il mio corpo a questo punto stremato. 
Rimasi a contatto con il pavimento per alcuni minuti, con il freddo delle sue mattonelle a tranquillizzarmi e le mie lacrime crude a risvegliarmi.
Sentivo nel mio corpo un dolore cocente e terribile, devastante e incontrollabile. Mai prima di allora avevo provato una sensazione tanto orribile.
Gli occhi di Louis mi osservavano esterrefatti, increduli a quello che avevano creato. Un corpo sgusciato, freddo e ammaccato con un viso la cui pelle si era fatta incredibilmente sottile.
Non avanzò un passo, non mi sfiorò, non fece altro che osservarmi, osservarmi e osservarmi come se non fosse capace di altro.
Dopo una svariata manciata di minuti mosse un passo e pronunciò un flebile “scusami” per poi proseguire verso la stanza da letto.
Io ero ancora lì, sul pavimento.
Il mio corpo si era fatto incredibilmente rigido, quasi di pietra eppure trovai la forza, in qualche posto nascosto del mio spirito, di urlare.
“Te lo giuro Louis, Caden è mio cugino!”
Mentre sapevo, dentro di me, che quella era la più grande bugia che io gli avessi mai detto.

Io Louis volevo solo proteggerlo.
Sentivo che quella situazione in cui mi ero ritrovata era un terribile guaio, che qualcuno la pelle ce l'avrebbe rimessa.
Io volevo solo proteggerlo con il silenzio, con l'ignoranza, con la menzogna. Non desideravo in alcun modo vederlo - anche solo in parte – coinvolto. Doveva rimanerne all'oscuro di tutto perché mai mi sarei perdonata se gli avessero sfiorato anche solo un capello.
Sentivo dentro di me il dovere di proteggerlo a qualunque costo, anche se quel costo sarebbe stato per me doloroso e irrimediabile.
L'amore nei suoi confronti, il sentimento di puro affetto e protezione che provavo era per me troppo immenso e accecante e vederlo smorzato, sotto la morsa di un qualche sconosciuto, il mio cuore non lo avrebbe retto.
Né allora, né ora e né mai.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Il tempo in estate passa troppo velocemente e per questo non mi ero per niente accorta che fossero passati più di dieci giorni dall'ultimo aggiornamento. Ma eccoci qui! Allora l'unico motivo per cui Gabrielle osa confessare una bugia a Louis è il desiderio di proteggerlo, tenerlo lontano da un guaio che non si perdonerebbe mai. Però, si sa, le bugie hanno le gambe corte e gli occhi di Gabrielle per Louis non hanno segreti.
E voi cosa ne pensate di questa scelta di Gabrielle?
Spero vi piacca!
Al prossimo.
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo riprende l'omonima canzone di Patrick O'Hearn

 
- LOUIS -



(faccia da sbandato)

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Capitolo 24
*** The Wider Sun ***




The Wider Sun
 
 
Da quel giorno Louis era cambiato.
Era tremendamente freddo, distaccato, si esprimeva in monosillabi e non sprecava neanche uno sguardo in più.
Non ricambiava una carezza, un sorriso.
Ed io sentivo che in quella situazione prima o poi sarei esplosa, che sarei scappata.
La pistola l'avevo nascosta in un cassetto del nostro armadio, accuratamente chiuso a chiave. Ero sicura che Louis non avrebbe mai cercato nulla lì.
Quel segreto, tuttavia, a mano a mano che i giorni passavano, stava diventando un demone orribile, capace di risucchiarmi quanto più di sicuro ci fosse nella mia vita.
Io lo sapevo che la colpa di tutto era solo la mia, io avevo tradito Louis non solo con le parole ma anche con gli sguardi.
Quelli che proprio non riuscivo a nascondere e che sputavano la verità ad ogni minimo secondo.
“Ti va una tazza di tè al limone?”
Era un pomeriggio di giugno. Il sole batteva sulle imposte del nostro balcone e rendeva l'aria irrespirabile. Ci sembrava di vivere nel centro esatto di un deserto. A farci vento avevamo solo due ventilatori, posizionati in un angolo della cucina.
Louis non si disturbò a guardarmi, accennò solo un “no” con il viso rivolto verso la TV che guardava disinteressato.
Decisi, così, di alzarmi e prendere una tazza solo per me.
Sorseggiai lentamente alcune gocce mentre dentro di me sentivo formarsi un nodo alla gola. Con fatica il tè arrivò al mio stomaco, disturbato da quell'orribile sensazione che provavo.
Era una sensazione di disperazione, paura, rabbia.
Osservai per un po' le ombre che il sole creava sotto le figure degli alberi che ci sottostavano e decisi di rivolgere alcune parole a Louis.
“Louis, mi spieghi cos'è che non va?”
Lui non si voltò, sembrava non aver sentito ma io sapevo che non era così.
Quindi avanzi alcuni passi verso la sua figura spaparanzata.
“Allora?”
Il tono della mia voce si fece più sicuro e, forse, più minaccioso.
“Cos'è che non dovrebbe andare Gabrielle? Va tutto bene”
“Io non ne sono per niente sicura”
“Beh, ti sbagli allora”
Non mi rivolse neanche allora uno sguardo.
La sua voce era spaventosamente lontana e distaccata.
Sembrava che a parlare fosse un fantasma e non lui.
Sentii gli occhi inumidirsi e la gola farsi secca.
“Ti prego, Louis, spiegami”
“Gabrielle, sei diventata scema? Non c'è nulla, nulla da spiegare. Basta. Lasciami vedere la TV in pace”
Stavolta i suoi occhi si posarono sui i miei. Erano stanchi e arrossati.
Mi immobilizzarono.
“Louis, io non ti riconosco”
Dissi, tra me e me, con un tono di voce che seppur lieve, lui riuscì a sentire.
“Cosa?”
Le sue parti scattarono.
Si staccò dalla parete sgualcita del divano e si mise seduto.
Mi girai verso di lui e lo vidi diverso da quello di pochi attimi prima.
“Nulla”
Risposi con il viso verso terra, mentre proseguivo verso il bagno.
“Tu non mi riconosci? Io non riconosco te Gabrielle!”
Urlava.
“Tutti questi segreti, tutti questi sguardi bassi, tutte queste tue insicurezze. In undici anni di amicizia non mi hai mai detto nemmeno una bugia ed inizi ora che siamo fidanzati? Io, boh, non so che cazzo hai in quella testa”
Si mise in piedi, proseguendo svogliatamente verso la finestra.
Afferrò una sigaretta dalla mensola in alto e la portò alle labbra.
“Io non ho segreti con te, Louis”
“Ma non dire cazzate”
Sussurrò con un respiro di stizza.
“Vuoi darmi da bere delle assurdità, sei ridicola”
“Louis...”
“No, Gabrielle, ora basta. Basta, è meglio che tu stia zitta”
Mi voltai, ma dopo due soli passi ritornai indietro, spinta da una scarica di adrenalina nata in me proprio in quel preciso istante.
“Mi spieghi solo quali sarebbero queste cazzate di cui ti parlo? Eh? Dato che è più di una settimana che non parliamo io e te”
Con le mani incrociate al petto aspettai furiosa e tremante una sua risposta.
Emise una risata.
Il fumo della sigaretta lo avvolgeva e costrinse i suoi occhi a rimpicciolirsi.
Decise di gettarla.
“Caden, chi è? E non dire per un'ennesima volta che è tuo cugino altrim..”
“Altrimenti cosa, Louis? Mi uccidi? Mi spacchi la testa?”
Il suo volto sicuro si fece cupo e la sua espressione si spalancò in sorpresa.
“Caden che ti piaccia o no è mio cugino, niente di più. E se ti fa piacere saperlo, fra un paio di giorni se ne ritorna in America e non lo rivedrai mai più”
Mi tremava il cuore ma dentro di me sentivo una forza incredibile.
Era l'amore che provavo per lui.
E così con un ultimo sguardo mi indirizzai sicura verso il bagno.
“Gabrielle!!”
Urlò di nuovo, arrestando le mie intenzioni.
“Cos...”
Un rumore assordante inondò le mura della cucina.
Louis si catapultò verso il corridoio mentre io rimasi immobile al mio posto.
Ma dopo non molto ritornò indietro.
Due tizi sconosciuti lo tenevano fermo.
Uno con una pistola puntata alla testa, l'altro con le sue mani strette intorno alle sue.
Immediatamente portai le mie mani sul viso.
“Scusi il disturbo signorina, ma rivoglio indietro il nostro gioiellino”
La paura aveva immobilizzato ogni mio tentativo di parlare, camminare o reagire.
“Vedo che facciamo i difficili, forse ha bisogno di uno stimolo”
Quello che parlava e che contemporaneamente teneva la pistola alla testa di lui la avvicinò ancora di più alle sue tempie, quasi incastrandola nella sua pelle.
Iniziai così a piangere e finalmente riuscii ad urlare qualcosa.
“Lasciatelo, per favore!!”
“Lo faremo, non appena riavremo il nostro gioiellino”
“Non so di cosa state parlando, lo giuro!”
“Mhm...questa non le dice niente?”
L'altro – quello che teneva Louis fermo con le mani – cacciò una foto.
Raffigurava una pistola.
La pistola di Caden.
Sbiancai, sentii i sensi venire meno ed una nausea incessante percorrermi le pareti dello stomaco e della gola.
“Si..”
“Ecco, non è stato molto difficile, vero? Ora, dov'è?”
“Nella stanza da letto”
“Ottimo, la accompagniamo”
Lentamente tutti e quattro proseguimmo verso la camera.
Non un attimo azzardai ad osservare Louis. Percepivo solo i suoi occhi ghiacciati scivolarmi addosso.
Mentre dentro di me non pensavo altro che: “Scusami, Louis
Non appena raggiunsi il nostro armadio tirai fuori la chiave del cassetto da una delle mie tasche. 
Quando lo aprii l'arma non c'era.
Un brivido di puro terrore mi calpestò l'anima.
Non desideravo altro che lasciarmi morire.
“Allora?”
“Non c'è più, io l'avevo messa qui...”
Quello con la pistola, spazientito, emise un ghigno.
“Qua vogliamo giocare. Bene, il ragazzo viene con noi”
E con una spallata lo tirarono sempre più indietro.
Louis, con tutte le sue forze, provò a liberarsi.
Urlò, scalciò, ruggì con la gola.
Io mi dimenai verso di lui. Afferrai per un attimo i suoi piedi ma furono immediatamente trascinati via dai due rapitori.
“Lasciatelo! Lasciatelo!”
Sbraitai inutilmente.
Erano già fuori dalla nostra casa.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Eccoci a questo nuovo capitolo!
Allora, qui non troviamo altro che azione. Questi due tizi che entrano all'improvviso in casa di Louis e Gabrielle, che vogliono la pistola di Caden e che, infine, decidono di rapire Louis. 
A tutto questo ci sarà una spiegazione che secondo me proprio non vi aspettate.
Tra i nostri due protagonisti c'è della tensione, questa nuova esperienza li unirà o li allontanerà ancora di più?
Staremo a vedere.
Al prossimo!
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo riprende l'omonima musica di Jon Hopkins - The Wider Sun

 
 

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Capitolo 25
*** I'll always stay ***




I'll always stay
 
Roma, Italia
Un anno, due mesi e sedici giorni prima

La prima cosa che ho provato appena fuori dall'aereo è stata il caldo.
L'Italia è caldissima.
I raggi del sole mi pungono la pelle e li sento perfettamente dentro di me, a riscaldare ogni mia singola parte.
Sono sicura che anche Louis ha provato la stessa sensazione. Ho visto i suoi occhi rimpicciolirsi ed è stato costretto a mettere una mano in orizzontale sulla fronte per vedere meglio cosa ci aspettava proseguendo in avanti.
Mi ha preso la mano e la stringe a sé. Non mi guarda in faccia, forse l'ha fatto per semplice abitudine. Io, però, lo guardo e dopo aver espresso una faccia confusa gli sorrido leggermente.
“Siamo arrivati”
Mi sussurra ed io accenno un “si” distratto con la testa.
Già, siamo proprio arrivati.

C'è il sole, c'è il cielo azzurro sopra le nostre teste, ci sono le persone, ci sono gli italiani disordinati, stressati e tanto agitati.
E' tutto così strano qui, tutto terribilmente diverso.
Louis continua a stringere la mia mano, non la molla un secondo, anche ora che entrambe sono piuttosto sudaticce.
Vedo nei suoi gesti un grande disagio. I suoi occhi si muovono nervosi verso destra e sinistra alla ricerca del posto in cui prelevare i nostri bagagli. Sono sicura che non è mai stato in mezzo a tanta gente e lo ammetto che un po' mi fa pena.
Eppure non mi chiede e non chiede aiuto. 
Giriamo confusamente per dieci inutili minuti per poi ritrovarci il rullo con i bagagli di fronte alle nostre facce.
Afferriamo i nostri e finalmente, stanchi ma soddisfatti, ci dirigiamo nuovamente verso l'aperto.
E' solo aprile e qui già sembra giugno.
La gente indossa leggere maglie di cotone e alcuni azzardano addirittura infradito.
Noi, invece, non abbiamo altro che le nostre felpe e i nostri pallidi visi londinesi.
Louis, però, non sembra inglese quanto me. Ha la pelle più scura e i capelli castani. Ci penso su per un attimo e mi balena in mente l'idea che lui potrebbe perfettamente essere scambiato per un italiano.
Se non aprisse bocca, ovviamente. Perché Louis è la persona con l'accento più marcato di questo mondo, ne sono sicura.
Quella voce puntigliosa che non lascia spazio a nessun tipo di sfumatura.
“Felice?”
Mi domanda improvvisamente.
E mi chiedo se sia un semplice domanda o una specie di rimprovero, di quelli che si dicono ai bambini.
Nel dubbio gli rispondi con un “si” diretto e pieno, seguito da un sorriso.
Mi sorride a sua volta per poi lasciarmi un bacio sulla testa.

Questa mattina siamo qui e solo ieri eravamo oltre oceano.
Il sole batte sulle nostre spalle ancora e ancora, eppure di essere stanchi noi non ne abbiamo voglia.
Decidiamo, o meglio, Louis decide di prendere la metro e di raggiungere il Colosseo.
La felicità che ho nel cuore in questo momento non credo che possa essere calcolata o anche solo descritta.
E qualcosa che sento, sento profondamente, ma che proprio non riesco a toccare.
So solo che è una cosa bellissima.
Ha preso già confidenza Louis con l'Italia, si muove tra la gente inespressivo e abituale. Mi trascina dietro di sé e non perde un attimo in distrazioni. 
Alle 11 esatte siamo sulla metro.
E solo dopo una manciata di minuti siamo alla stazione del Colosseo.
Mi sembra strano che ora ci sia quel monumento sopra le nostre teste, mi chiedo: “Davvero sono qui? E se fosse solo un sogno?
Un pizzico distratto di Louis mi fa capire che, invece, questa è davvero la realtà.
Corriamo, ma io credo di star solo camminando.
Scostiamo le persone, ci calpestano evidenti incomprensibili parolacce, ci osservano spaventati alcuni sguardi.
E noi siamo qui per davvero.
Il sole mi acceca per un attimo per poi rivelare dietro un suo raggio un muro altissimo di mattoni grigi.
E' il Colosseo.
Non una riproduzione, un piccolo souvenir, una foto su di una cartolina.
E' l'originale, ed è a pochi passi da me.
Le mie labbra esclamano un “wow” silenzioso e quasi sto per piangere, lo sento. Ho gli occhi arrossati ed umidicci.
Louis mi distrae tirandomi oltre il marciapiede. 
“Eccolo qua, è altissimo cavolo!”
“Visto? Questi romani erano intelligente da far paura”
Sorride, non risponde a quella che poteva essere una provocazione. 
Si ferma sul punto e con le mani dietro il bacino si osserva a bocca aperta intorno.
Strizza gli occhi e respira affannosamente.
E' stanco e tutta ciò che lo circonda lo rende ancora più stanco.
E' il peso di una meraviglia che si rinnova in continuazione, che è iniziata ma che non avrà mai fine.
Secoli e secoli di vittorie, di nascite, di gloria, di fama, di onnipotenza ci circondano e scalfiscono quelle mura.
E tra le miriade di cose belle ci sono anche alcuni graffi. Ci sono i dolori, c'è il sangue, c'è la morte, ci sono le cicatrici.
E' una storia, quella di Roma, bella da far male. Anche a noi, che di italiano molto probabilmente non abbiamo neanche un gene. Perché in fondo non si può rinnegare tanta grandezza.
Si toglie la felpa e la intreccia al pantalone.
“Andiamo più in là”
Indica una salita e senza aspettare una mia risposta la attraversa.
Di italiani, però, qui ce ne sono pochi.
Ci sono tedeschi, greci, francesi, cinesi, filippini. Si riconoscono dalle loro facce gialle e dalle loro fotocamere eternamente puntate sul panorama.
Non so perché ma questa cosa mi rattristisce e cercando di scacciare questi pensieri accelero il passo verso Louis, che dista da me già parecchi metri.
Senza aver detto una parola si ferma e non appena ci ritroviamo faccia a faccia mi porge l'ultima bottiglia d'acqua.
La afferro e ne bevo avidamente parecchi sorsi.
La ritorno a lui che fa altrettanto, per poi versarsene un po' sulla testa.
Mi sorride.
Sotto il sole di Roma Louis non lo avevo mai visto.
Sotto il sole di Roma Louis mi sembra lo stesso eppure in qualche modo diverso.
Lo vedo più allegro, meno grigio, meno distratto.
Lo vedo più sorridente, più pieno.
Le occhiaie violacee e la pelle secca sulla faccia quasi non si notano.
Ed è bello, bello da morire, perché non c'è niente che doni a Louis più bellezza di un sorriso sottolineato da una azzardata luce.
Mi avvicino e lo abbraccio, nonostante i nostri corpi siano spaventosamente caldi e sudati. Mi scosta alcuni capelli dalla fronte e lascia un bacio anche lì. E' una sua abitudine pure questa: preferisce baci leggeri ad emozioni forti, e baci appassionati ad emozioni sfocate.

Roma è tanto bella quanto costosa.
Un bottiglietta d'acqua 3€ ed una Margherita 6€. 
Alla vista di questi prezzi io e Louis sbianchiamo per un attimo per poi rassegnarci. Siamo o non siamo nella città eterna?
Mangiamo e beviamo avidamente. Siamo solo a metà giornata.
Il sole è ancora alto nel cielo e Roma non da' ancora alcun segno di tregua.
“Dobbiamo andare a vedere la Fontana di Trevi”
Esclamo, senza far caso al boccone enorme che Louis ha appena infilato in bocca. 
Mi guarda con gli occhi spalancati. Manda giù il cibo e dopo un veloce bicchiere di acqua mi risponde: “Un attimo, Gabrielle. Possiamo farlo anche domani”
“E' a pochi passi davvero”
“Ma sono stanco, ti prego”
Una ruga di stanchezza gli solca la fronte e gli occhi si infossano improvvisamente nelle orbite. Sembra quasi un cane bastonato.
Quel visino mi fa terribilmente pena e così con un accenno rimangio tutto.
Mangiamo il resto della nostra pizza con calma e gusto. Intenti a non sprecare nemmeno un centesimo dei nostri 30€.
Alla fine ci alziamo e con passi decisi ci dirigiamo all'esterno.
“Andiamo all'hotel? Avevamo detto che saremmo arrivati questo pomeriggio”
“L'hotel può aspettare, questo giorno no”
E con un sorriso perfido mi afferra la mano e mi trascina dal lato opposto della nostra intenzionale direzione.
Non faccio altro che ridere ed urlare “Louis, fermati” ma lui non mi da' ascolto, anzi, la sua velocità aumenta sempre di più.
Improvvisamente si ferma in una traversa e mi si posiziona davanti.
“Dove siamo?”
Gli chiedo, leggermente scossa.
“Ora vedrai”
Mi dice, ancora con quello strano sorriso spiaccicato sulle labbra.
Mi tiene per mano e dopo alcuni passi è lì: la Fontana di Trevi.
Sorrido ancora e ancora. Credo nemmeno ai miei sorrisi ci sia una fine. 
Quelle statue sembrano guardarci, sembrano vive.
Innumerevoli persone la circondano, innumerevoli altre lanciano monetine al suo interno.
“Avevi detti che eri stanco”
Gli dico, con un finto rimprovero.
“Roma non può stancare, dai”
E afferra di nuovo la mia mano per portarmi esattamente davanti alla grande fontana.
Ora c'è il tramonto.
E forse è anche più bello del sole stesso.
Con le sue sfumature arancioni e azzurrate.
Si spinge dietro il maestoso monumento e quasi sembra sfiorarlo.
Soffoco un respiro e porto una mano al petto. 
Uno spettacolo del genere non capita tutti i giorni.
Louis mi si avvicina e afferra il cellulare dal pantalone.
“Qui ci vuole una foto”
Abbraccia le mie spalle stringendomi alle sue. 
“Dì cheese
Cheese.
E la foto è scattata.
La guardiamo e sorridiamo entrambi nello stesso preciso momento.
“E' bellissima”.
Dice Louis, con fare soddisfatto guardandomi come per la prima volta.
“Siamo eterni come questa città, come queste statue”
Mi dice, stringendomi di nuovo.
“Che cavolo di destino mi sono scelto, eh?”
“Già”
“Ma il per sempre mi piace, e a te?”
“Tanto”


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente!
Allora in questo capitolo ho voluto parlarvi del viaggio di Louis e Gabrielle verso Roma.
Vi ricordate dei due biglietti che Louis le aveva comprato, vero? Certo che vi ricordate! 
Ed eccoli qua, più felici che mai.
E' stato un piacere scrivere questo capitolo perché Roma è in assoluto una delle mie città preferite e credo ciecamente nella sua magia. Ho adorato poter fare il paragone con l'eternità di questo posto con l'eternità dell'amore tra Louis e Gabrielle e ho adorato scriverlo come una specie di pagina di diario.
Spero sia piaciuto anche a voi.
Al prossimo.
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo riprende una frase di Miley Cyrus - Stay

 

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Capitolo 26
*** The Whispering Caves ***




The Whispering Caves
 
Ero sola.
Il chiasso che mi circondava solo pochi attimi prima si era dissolto in un silenzio irrequieto e devastante.
Guardai in terra disorientata senza sapere cosa fare.
Nella mia mente era ancora stampato vivamente il viso di Louis, il suo contorcersi sotto le figure di quegli uomini sconosciuti e le mie urla che cercavano in tutti i modi di trattenerlo.
Ripresi a piangere, più forte di prima.
Cosa potevo fare?
Decisi improvvisamente di chiamare la polizia. Afferrai il cellulare che era a pochi passi da me e digitai il numero. Ero sul punto di portarlo all'orecchio quando riagganciai. Capii in poco tempo che non sarebbe stata una buona idea perché, in fondo, nel torto c'ero anch'io. Avevo trattenuto un'arma in casa per quasi due settimane e sapevo con certezza che senza un permesso era praticamente illegale.
Riposai il cellulare e mi accasciai a terra, tenendo furiosamente il viso tra le mani.
Chiusi gli occhi alla ricerca di uno spiraglio di razionalità e buon senso. E stranamente mi apparve il viso di Vanessa. Il suo viso in un ricordo che conservavo dentro di me da parecchio tempo ma che mai avevo ripreso.
Le sue labbra rossastre e i capelli illuminati da quel tiepido sole londinese.
Era la prima volta in cui la vidi in macchina di Louis. Mi sorrideva ed io ricambiavo, mentre dentro di me sentivo solo di volerla lontana da me, da noi.
Collegai tutto e mi resi conto che dove avrei trovato Vanessa avrei trovato anche Caden, o almeno sue notizie.
Sapevo dove si trovava la casa di Vanessa quasi con certezza, avevo solo bisogno di un piccolo aiuto per raggiungerla.
E con certezza ancora sapevo che l'unica che poteva darmi questo aiuto era Alexandra.
Velocemente presi la mia giacca e mi diressi fuori, verso la prima fermata del bus.
Aspettai una buona mezz'ora prima di riuscire a prendere il numero giusto.
Mi catapultai al suo interno e con una certa agitazione mi accomodai sul primo posto libero.
Erano le sette e il sole batteva ancora con forza sui piccoli palazzi che mi circondavano. Vedevo l'autista asciugarsi la fronte di tanto in tanto e la gente a me vicina sbuffare per quel caldo così strano e così opprimente.
Mi limitai ad ascoltare qualche chiacchiera per poi ripiombare nei miei pensieri.
Il cuore prese a battermi velocemente quando l'immagine di un Louis in presa al panico prese posto nei miei pensieri. Afferrai il petto e cercai di dare una regolata al mio respiro che si faceva sempre più affannoso.
E per l'ennesima volta delle lacrime iniziarono a bagnarmi il viso. Cercai immediatamente di cancellarle strofinando con velocità le mani sulle guance e sugli occhi.
“Signorina, tutto bene?”
Una signora sulla cinquantina mi si avvicinò e tastandomi le spalle con una mano era alla ricerca della mia attenzione.
Mi voltai nella sua direzione e le accennai un timido sorriso.
“Si, grazie”
Decise anche lei di sorridermi, mostrandomi non molta convinzione.
Finalmente la mia fermata arrivò.
Scesi dal bus e con passo più o meno svelto mi mossi in direzione della casa di Alexandra.
Dopo pochi isolati mi ritrovai davanti alla sua enorme casa.
Non l'avevo avvertita ma sapevo quasi con sicurezza che l'avrei trovata lì.
Bussai una paio di volte prima di ritrovarmi il suo volto secco di fronte.
“Gabrielle..ma che...”
“Alexandra ho bisogno del tuo aiuto”
Le dissi, senza giri di parole o altro. E le bastò guardarmi per capire quanto fosse grave la cosa. Mi invitò all'interno dirigendomi verso il salone.
“Accomodati”
Mi indicò con una mano il divano bianco che ci era accanto, improvvisando una gentilezza.
“Non c'è tempo”
“Perché?”
“Hanno rapito Louis”
Gli occhi le si spalancarono e strizzandoli mi invitò a ripetere quelle stesse parole.
“Non ho la minima idea di chi siano ma so cosa vogliono”
“Cosa?”
“Una pistola”
“Una pistola?! E che c'entri tu, tu e Louis, con una pistola?”
“Ho combinato un guaio, Alexandra...”
Mi lasciai morire quelle parole in gola, soffocando un singhiozzo. Non riuscii più a reggermi in piedi e mi gettai lentamente sul divano.
Sentivo che gli occhi di Alexandra mi guardavano curiosi e chiedevano con quanta più forza avessero che io le raccontassi la mia storia. E così, senza perdere altro tempo, le raccontai tutto.
“Ho aiutato il fratello di Vanessa. Mi ha detto che lei stava male, che le cure per la sua malattia costavano troppo e per questo aveva rubato una pistola molto costosa per poterla vendere e avere il denaro necessario. Mi ha chiesto di tenerla nascosta per un po' di tempo, nient'altro. Per queste due settimane siamo stati tranquilli ma oggi, improvvisamente, sono arrivati questi tizi. Io gliela avrei anche data quella pistola, ma quella non era più là!”
La bocca di lei non si chiuse per un solo attimo. Alla fine delle mie parole afferrò il pacchetto di sigarette dal tavolo e ne accese una, portandola nervosamente alle labbra. Aspirò due tiri prima di rivolgermi nuovamente l'attenzione.
“Non sapeva nessuno di questa cosa?”
“Nessuno”
“Nemmeno Louis?”
“No! Non avrei potuto rischiare. E poi ce l'aveva a morte con Caden. Abbiamo passato dei giorni orribili”
Alexandra riprese il suo silenzio.
Si guardava intorno e in terra continuamente. Il mio nervosismo prese ad aumentare e decisi con una certa arroganza di ripetere: “Ho bisogno del tuo aiuto”. Mi guardò in volto quasi con assenza.
“Cosa vuoi che faccia?”
“So dove trovare il fratello. Devo solo raggiungere casa di Vanessa.”
D'un tratto si alzò. Fumò l'ultima portata di tabacco della sua sigaretta e si diresse verso il corridoio.
“Va bene. Andiamo”
E proseguì, accelerando il suo passo. In fretta la raggiunsi.
Afferrò la borsa e richiuse la porta alle nostre spalle.
Ci dirigemmo con sicurezza alla sua macchina e in men che non si dica eravamo in strada, sfrecciando tra i mezzi verso il tramonto che presto si sarebbe sbiadito nel buio.
Alexandra rimase silenziosa a lungo mentre con calma io le suggerivo gli incroci da prendere e le corsie da svoltare.
Di tanto in tanto le rivolgevo qualche sguardo silenzioso. Mi resi conto che ogni volta che la vedevo mi sembrava sempre più stanca e vecchia.
Gli occhi le lacrimavano e l'eyeliner mal messo le si era sciolto completamente sulle occhiaie. Tirava su con il naso e riportava i capelli dietro le spalle in continuazione.
Alexandra aveva qualcosa che non andava, io lo sapevo, e lo sapevo da tanto tanto tempo e mi vergognai in quel momento di non aver mai fatto nulla per aiutarla, per starle vicino.
Mi resi conto di quanto egoista e stupida fossi stata, di quante chiacchiere inutili le avessi rivolto e di quanti silenzi senza senso le avessi donato.
Mai una parola di bene o di affetto spontaneo era uscita dalle mie labbra.
“Alexandra, ho capito una cosa”
La fermai improvvisamente.
“Cosa?”
Mi chiese, incuriosita ma distratta allo stesso tempo.
“Non ti ho mai detto ti voglio bene o anche solo grazie per tutto quello che hai fatto e fai per me, scusami”
Lei rimase in silenzio, incitandomi forse a continuare.
“E cosa più grave, non ti ho mai aiutata. Non ti ho mai chiesto hai bisogno di qualcosa? Scusami, io non so..”
“Gabrielle, sto bene, davvero. E poi lo sai che a me queste parole non sono mai piaciute. Che credi, che non sapessi che tu ci sarai sempre per me?”
“Non te l'ho mai dimostrato”
“Lo hai fatto. Ricordi quando Joe mi lasciò? Chi fu la persona che immediatamente si catapultò verso casa mia portandomi una tavoletta di cioccolato e un pacco di biscotti, i miei biscotti preferiti? E ricordi quando fui bocciata? Chi mi aiutò durante quell'anno scolastico a mettermi sotto e a non distrarmi? Ci sei sempre stata Gabrielle per le piccole grandi cose, è questo che importa”
“Eppure, non so..”
“Ognuno ha i suoi demoni, Gabrielle, non ci pensare. Ora dobbiamo risolvere i tuoi, ai miei ci si penserà un giorno semmai”
Distolse un attimo l'attenzione dalla strada e si rivolse verso di me, esplodendo in un sorriso.
“Ti vog..”
“No, non lo dire. Rimaniamo così. Mi piacciono i nostri lunghi silenzi.”
Azzardò una risata per poi mettere una marcia diversa e quindi accelerare.
Dopo strade e strade ci ritrovammo di fronte alla casa di Vanessa.
Una modesta villetta vicinissima al centro di Londra.
Non appena la vidi mi spuntò una domanda che prima di allora non mi ero mai fatta. 
Come fanno a permettersi questa casa e non una medicina?
Ipotizzai che forse quella di lei fosse una malattia più che rara e che forse neanche la ricchezza della sua sola famiglia bastava.
Ci avvicinammo sempre di più alla porta d'ingresso. Bussai e indietreggiando di alcuni passi ci mettemmo in attesa.
Alcuni secondi dopo la porta si aprì, il buio la circondava. Non riuscì a vedere bene il viso che ci era di fronte fin quando non si spostò verso di noi.
Era Vanessa.
Ed era in piedi, con la sua solita carnagione, il suo solito corpo in forma e le sue solite guance lievemente rosate.
“Vanessa?”
Replicai confusa.
Alla mia vista sgranò gli occhi e si ritrasse spaventata. Si portò una mano al petto incurvandosi su stessa.
“Gabrielle, che sorpresa, cosa ti porta qui?”
“Ehm..devo parlare con tuo fratello”
“Mio fratello? Ah però, come lo conosci?”
“E' una lunga storia. Puoi dirmi dov'è?”
“E' fuori. Fra un'oretta dovrebbe tornare. Volete accomodarvi dentro?”
Mi girai velocemente verso Alexandra alla ricerca di un suo consiglio. Lei accennò un “si” e con una leggera spinta sulle spalle mi convinse ad avanzare.
Cosa ci avrebbe raccontato in quel momento non riuscivo neanche ad immaginarlo, stranita com'ero dal suo aspetto asciutto e vivo.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Innanzitutto perdonatemi questo ritardo ma le notizie degli ultimi giorni mi hanno completamente devastata e sinceramente, non so, non mi andava di scrivere sui ragazzi. Poi, però, lo sbando mi è passato e subito ho preso il pc per mettermi a scrivere. 
Diciamo che in questo capitolo non succedono cose allarmanti, si può definirlo un capitolo di passaggio. Però, personalmente, mi è piaciuto molto il momento di dolcezza tra Gabrielle e Alexandra, ci voleva proprio dopo tutto quello che hanno passato insieme!
Speriamo che Vanessa e Caden risolvano questa situazione, perché so che Louis come ostaggio proprio non volete vederlo più!
Spero vi piaccia.
Al prossimo.
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo riprende l'omonima musica di Those Who Ride With The Giants


 


(la nostra meravigliosa Alexandra)

 
 
 

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Capitolo 27
*** Bless Those Tired Eyes ***




Bless Those Tired Eyes
 
L'intera casa era nella penombra. 
A riempirla un odore di fiori misto a fragranze profumate.
Non sembrava la casa di gente triste o trascurata, ma di gente ricca, quali erano i genitori di Vanessa.
Lentamente ci muovemmo verso il grande salone.
“Sedetevi pure”
La ragazza ci guardò per un attimo negli occhi prima di accennarci con una mano a prendere posto su di una grosso divano rosso.
Alexandra ed io ci mettemmo a nostro agio, non distogliendo per un attimo l'attenzione dalla figura di Vanessa che lenta si muoveva verso la poltrona di fronte.
“Allora, Gabrielle, come stai? Come sta Louis?”
Sul viso le aleggiò uno strano sorriso confidente e compiaciuto. 
Incrociò le dita sulle ginocchia e si sporse verso di me, attenta alla mia risposta.
Il mio petto a quella domanda iniziò a bruciare, preso da un puro terrore e un accenno di odio.
Nello sguardo di lei vedevo solo una quantità immonda di bugie e speravo con tutto il cuore, per il suo bene, che non c'entrasse niente con la storia di Louis.
Mi ritrassi di un po' sul divano, alla ricerca di una posizione più comoda.
Continuai a guardarla, sempre più severa e concentrata.
Il prolungato silenzio che si era creato la stava evidentemente spaventando e così decisi di abbandonare il suo stupido sorriso, sostituendolo con un' espressione distratta.
Attaccò, improvvisamente, con un accenno di tosse.
“Scusatemi”
Sentenziò a bassa voce, osservando il pavimento che la sottostava.
La guardai e la guardai ancora prima di parlare.
“Louis è stato rapito ed io, io non sto per niente bene”
“Cosa?”
Sul suo viso apparve vero e proprio stupore. Si portò una mano sulla bocca e delle lacrime iniziarono a riempire i suoi occhi.
“E da chi?”
Proseguì, con la voce strozzata.
“Non lo so”
Risposi sottilmente.
“Tuo fratello forse lo sa”
“Mio fratello? Che c'entra mio fratello?”
Un rumore di passi si avvicinò alla stanza in cui eravamo e dalla sua porta d'ingresso avanzò la figura di Caden, con il volto scuro e leggermente distratto.
Si arrestò quando mi vide, mi scrutò per bene prima di proseguire ed esclamare un “ciao Gabrielle”. Si avvicinò sempre di più fino a distarmi pochissimi passi e qui incontrò il mio viso, lasciando due veloci baci sulle guance. 
Ricambiai, presa di sorpresa.
Quando ritornò su i suoi passi voltò a tutte le spalle, avanzando verso un piccolo tavolino dove erano sistemati numerosi bicchieri e bottiglie contenenti acque colorate.
Afferrò e un bicchiere e una bottiglia giallastra.
Versò alcune gocce nel vetro e le portò con enorme velocità giù per la gola.
Espresse, infine, un'espressione soddisfatta.
Vanessa, invece, continuava ad essere immersa nel suo apparente dolore, e trastullandosi verso il pavimento pareva in una specie di trans.
Alexandra che mi era vicina, di tanto in tanto spalancava gli occhi ed emetteva ghigni di divertimento.
“Cosa sono quelle facce da funerale?”
Esordì d'un tratto Caden alle nostre spalle. 
Ci girammo vedendolo avanzare verso di noi e posizionarsi al fianco di Vanessa.
“Hanno rapito Louis”
Dissi, senza giri di parole, mentre con la gola secca mi riempivo di tutta la forza necessaria per non perdere la sua attenzione.
Lui ricambiò lo sguardo, alterandosi per un istante.
Non impiegò molto, però, a ritornare nella sua posizione di sicurezza e sfacciataggine.
“Chi è stato?”
“Non lo so, sono venuta apposta qui, a cercarti, a chiederlo direttamente a te”
Il mio tono di voce si alzò di qualche decibel rendendo le mie pupille lievemente rosse.
“Io? Cosa c'entro io?”
Si toccò il petto più e più volte dimostrandosi estraneo all'intera faccenda.
Più che stupita da quella reazione spostai la mia attenzione sul viso di Vanessa che mi guardava fisso, e sembrava quasi volesse lanciarmi una sfida, una sfida che sentiva avrebbe vinto senza sforzi.
Caden accarezzò i capelli della sorella e lei gli andò incontro, proprio come un gattino voglioso di coccole.
Quella scena mi sembrò così patetica che non impiegai molto ad andare in bestia.
“Caden, quella cazzo di pistola, volevano quella i tipi che hanno r...”
“Quale pistola?”
Domandò con sorpresa. Sbarrai gli occhi e il mio cuore mancò qualche battito. Mi tenni il petto tra le mani e fiondai nuovamente nel divano.
“A che gioco stiamo giocando, Caden?”
Alexandra si sporse in avanti rompendo il suo silenzio scrutatore.
“Perché qui tempo per giocare non ne abbiamo. Sai chi sono quei rapitori o no?”
Caden la guardò a sua volta, stupito della sfacciataggine di quella ragazza.
“E tu saresti?”
Chiese, cambiando completamente discorso.
Alexandra scoppiò in una risata e gli si avvicinò.
“Qualcuno che ti farà male se non la smetti”
Gli afferrò il collo della maglietta e lo trascinò verso di sé.
Vanessa si catapultò immediatamente verso le mani della mia amica, graffiandole con forza.
“Smettila! Lo fai male!”
Urlò come una bambina.
Alexandra la guardò e, quasi come amareggiata, lo lasciò andare.
Una volta libero Caden riaggiustò immediatamente il suo indumento stropicciato e si rimise nella sua posizione.
“Non ne so niente. Né di quei rapitori e né di questa pistola di cui parlate”
Si avvicinò dall'alto alle nostre figure sedute e troneggiò con una voce possente.
“Mia sorella è molto malata e non ha bisogno di altre stupide preoccupazioni”
“Caden..ma Louis, io gli voglio molto bene...”
Vanessa gli si aggrappò contro, mostrandosi supplichevole.
“Se la vedrà la polizia, non preoccuparti”
Le accarezzò nuovamente la chioma prima di sollevare di peso me e Alexandra.
“Ora è meglio che ve ne andiate”
Sentenziò per poi darci le spalle.
E lì, nel buio, intravidi uno strano luccichio incastrato fra i suoi pantaloni e la cintura che gli si stringeva intorno.
Avanzai di poco e immediatamente capii che si trattava di quella stessa pistola.
Mi catapultai verso di essa e con velocità la strappai dalla sua posizione.
“E questa cos'è, eh?”
Urlai con quanto fiato avessi mentre gliela mettevo contro.
Lui si dimostrò stupito rivelando una nota di spavento.
“Mettila giù, Gabrielle”
Mi invitò mentre cercava di avvicinarsi e strapparmela dalle mani.
“No, fin quando non ti decidi a dirmi tutta la verità”
“Quale verità? Ti ho detto che io non ne so niente!”
“Smettila di dire stronzate! Chi sono quei rapitori e dove posso trovarli?”
“Non lo so!”
Con testardaggine ripeté più volte quel “non lo so”, spalancando con una finta sincerità le palpebre.
Ma io sapevo che tutto ciò che mi diceva non erano altro che bugie.
Lo capii solo in quell'istante, quando le sue iridi verdastre mi incontrarono nel semibuio. Quelle iridi che non mi trasmettevano più pietà o compassione, ma esclusivamente rabbia e vendetta.
Mi sembrai stupida quando mi resi conto di aver avuto a che fare con un bugiardo del genere per tutto quel tempo, di aver avuto a che fare anche intimamente con un ragazzo che neanche conoscevo.
Provai anche vergogna per essermi dimostrata sincera e buona, per averlo aiuta come se fosse il mio di fratello.
Bugie, nient'altro che bugie erano state le sue.
Bugie che avevano saputo trattarmi alla perfezione come un burattino, ma per fortuna, non fino in fondo, non fino all'ultimo secondo.
“Sei un fottuto bugiardo!”
Urlai i miei pensieri.
“E tu, Vanessa, dimostrami che sei veramente malata come ci dici! Perché a me non sembra che sia una casa da gente malata questa. Tutto è colorato, tutto è pulito e profumato. Tu sei anche più bella di quanto ricordi!”
“Gabrielle ma come ti permetti di mettere in dubbio una cosa del genere?”
“Mi permetto perché io lo so com'è una persona veramente malata e tu non lo sei affatto. Mostrami le tue medicine, avanti!”
Con un cenno della pistola la invitai a muoversi da qualche parte.
Abbassò il viso e si mosse verso la cucina.
La lascia andare da sola, sicura delle sue bugie.
Dopo un po' scomparve completamente dalla mia vista.
“Vanessa, in alto, prendi l'altra pistola!!”
Urlò Caden approfittando della mia distrazione. Scappò via in un secondo eppure non bastò a salvarlo. Senza pensarci sparai verso di lui, puntando dritto ad un braccio.
Si accasciò sullo stipite della porta vaneggiando furiosamente e bestemmiando.
“Stronza!”
Mi urlò mentre con occhi sanguinari mi scrutava.
Io tremavo e non per le sue parole o per le sue minacce, ma perché avevo appena sparato ad un uomo. 
Gettai l'arma verso il pavimento e mi accasciai a mia volta.
“Che cazzo ho fatto?”
Sussurrai debolmente rivelando nella mia espressione una strana distrazione.
“Gabrielle, rimettiti in piedi, quello sta raggiungendo la cucina e tornerà con una pistola!”
Alexandra mi prese di peso rimettendomi a fatica in piedi.
Ci allontanammo verso l'ingresso mentre la voce di Caden ci era praticamente alle spalle.
Ci ritrovammo in un secondo fuori al giardino dove il buio che lo avvolgeva ci rendeva complicato il passo.
Non pensavo ad altro che a correre, a correre, ad evitare la morte. 
E pensavo a Louis che neanche per quella sera avrei visto ed abbracciato.
Mi mancò tutto.
Il suo sorriso, i suoi abbracci, le sue mani.
Il suo respiro, i suoi occhi, la sua risata.
La sua forza, le sue urla, i suoi “ti amo” spontanei.
E mi mancò il suo profumo pesante che ogni notte e ogni mattina mi avvolgeva, le sue sigarette che fumava con avidità e con vizio e il suo essere irrimediabilmente testardo.
Mi mancò tutto.
Il buono e il cattivo di Louis, i suoi momenti di luce e i suoi momenti di buio.
Scoppiai a piangere riprendendolo così limpidamente nei miei ricordi.
Immaginai che preferissi morire piuttosto che non rivederlo più.
“Lasciami qui!”
Urlai improvvisamente al collo di Alexandra, sfilandomi furiosamente dalle sue grinfie.
Riuscii a liberarmi e come un peso morto mi lasciai stendere sull'erba secca.
“Gabrielle, cosa cazzo dici?”
Ritornò indietro e mi riprese.
Continuai a fare forza ancora e ancora.
“Lasciami!”
Urlai più forte quando la figura di Caden, fuoriuscita dal buio della casa, ci era di fronte. 
Una pistola nera gli era fra le mani e con una certa sicurezza non smetteva di tenerla puntata contro di me.
Sfiorò il grilletto prima di urlare “addio Gabrielle Stock!”
Mi voltai verso il cielo, abbassando le palpebre e respirando quanta più aria possibile.
“La notte e Louis come ultima cosa”
Il rumore assordante della pistola e del suo proiettile riempì l'aria.
Mi sembrò strano di non aver provato dolore e dopo aver contemplato per altri secondi il vuoto mi decisi a tastare il mio corpo.
Non un cenno di sangue o ferita.
Aprii così gli occhi verso la grande porta, lì dove era posizionato Caden.
Mi portai la mano alla bocca quando lo vidi accasciato a terra agonizzante, con il sangue ad uscirgli dal naso e dalle labbra.
E vicino a lui c'era Louis.
Il viso tempestato di lividi, le mani rossastre e i polsi stretti da lunghe corde bianche.
Osservò il corpo che aveva appena steso prima di girarsi verso di me.
Mi alzai istintivamente e con passi lenti mi avvicinai a lui, che non smetteva di guardarmi con la bocca serrata.
Accelerai dopo un po' i miei passi, inciampando tra le pietre e i solchi che i miei piedi incontravano.
Ci distavano pochi passi quando lui aprì le braccia. Mi serrai al suo interno ed iniziai a piangere, come mai prima avevo fatto in tutta la mia vita.
“Louis mi dispiace, mi dispiace”
Urlai tra i singhiozzi strozzati.
“Con le mie bugie pensavo di tenerti in salvo e, invece, c'è mancato poco che ti uccid...”
“Ehi! Credi davvero che mi sarei lasciato uccidere così? Non sai ancora parecchie cose di me”
Si staccò da me e mi afferrò il viso tra le mani, concedendosi queste parole spiritose.
“Ti amo”
Bofonchiai in una risata di liberazione.
“Ti amo”
Replicò lui soddisfatto.
Ci riabbracciammo e ci baciammo.
Come sempre avevamo fatto per amarci, appartenerci e mai più dividerci.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Questa volta addirittura mi sono anticipata per pubblicare e scrivere questo capitolo! Eh eh siamo quasi alla tanto attesa fine. Già, un altro paio di capitoli e poi questa storia sarà finalmente completata. Spero di riuscire prima dell'inizio della scuola.
Comunque, in questo capitolo troviamo un Caden più bugiardo che mai e una Vanessa che sembra più sana che malata. 

Vedremo nel prossimo tutti i chiarimenti necessari, non preoccupatevi.
Spero, intanto, che questo vi piaccia.
Un bacio.
-Manu ♥
p.s. il titolo riprende l'omonima musica di Clem Leek

 
- LOUIS -


 

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Capitolo 28
*** Is This Happiness ***




Is This Happiness
 
Gli occhi di entrambi tremavano ma, allo stesso tempo, brillavano, di una luce propria e nuova.
Quella distanza dolorosa ci aveva reso un tantino più speciali, un tantino più importanti. L'uno per l'altro.
Louis lasciò scivolare le sue mani nelle mie, afferrandole con sicurezza.
Le guardò stranito, quasi trattenendo il respiro.
Sembrava terribilmente stanco.
Le sue dita erano fredde e rossastre, per via dei graffi e del sangue che fuoriuscivano un po' dappertutto. Spaventata cercai di divincolarmi dalla sua presa e capovolgere la situazione. Iniziai, così, ad accarezzare io 
le sue.
Lasciai spostare i polpastrelli su quei segni che ad ogni tocco parevano essere miei. Lo sentivo io il suo bruciore, le sue sofferenze, ma soprattutto, il dolore delle mie bugie.
Il mio respiro si fece più lento e più silenzioso, gli occhi si inumidirono ma no, non cacciarono nemmeno una lacrima stavolta.
Tutto quello che dovevamo dirci e sentirci era già stato esaurito.
“E' tutto passato Gabrielle, ora sto bene, davvero”
Con due dita sollevò il mio mento costringendomi a guardarlo in viso. E anche lì alcuni graffi gli contornavano le fronte e gli zigomi.
I nostri occhi chiari si rigettarono gli uni negli altri inevitabilmente. I suoi parevano essere così profondi, come d'altronde lo erano sempre stati.
In quel momento decisi che quegli occhi io non li avrei mai più abbandonati. Così mi avvicinai di nuovo al suo collo e lo abbracciai.
Ma il peso della stretta di una mano mi costrinse ad allontanarmi. Sentii un liquido freddo macchiarmi la pelle. Mi ritrassi portando il braccio al mio viso e lì capii che si trattava di sangue. 
Ero sul punto di urlare quando Vanessa si avvicinò in ginocchio sempre di più alle nostre figure. Il viso era rosso e le sue orbite parevano ospitare l'inferno. Congiungendo le mani si aggrappò ad un lembo del pantalone di Louis.
“Caden sta male, Louis! Non respira bene!”
Le urlò lei, quasi a squarciarsi la gola e il cielo.
Ma Louis si limitò a guardare lei e il corpo che, inerme, chiedeva pietà poco più in là.
La sua espressione era incurante e infastidita.
Ritornò poi su di me con il labbro pesantemente stretto tra i denti.
Spostai i miei occhi su Vanessa che, una volta ottenuta la mia attenzione, si mosse verso di me.
“Gabrielle, ti prego, almeno tu, aiutami”
Alzai istintivamente il viso verso Louis, alla ricerca di una parola di consiglio, ma lui era ancora lì, con quella faccia che da disgustata era diventata inespressiva e morta.
Mi avvicinai al suo braccio e lo sfiorai.
“Dobbiamo aiutarli”
Gli sussurrai poco distante dai suoi occhi.
Il viso gli si spostò verso destra, quasi volesse evitarmi.
Indietreggiai sbalordita, mentre Vanessa - a quella reazione - riprese a piangere più forte di prima e a sbraitare sul corpo morente.
Decisi di fregarmene di Louis; dopotutto quello che ci era davanti era un essere umano.
E con un gesto della mano invitai Alexandra a starmi affianco. Lei si sbrigò, portandosi le maniche della giacca in alto.
“Prendiamolo e mettiamolo in macchina”
Le dissi mentre mi approssimai ad afferrargli i piedi.
Vanessa si spostò dall'altro lato prendendo la testa e Alexandra il busto.
Louis ci guardava da lontano, più pensieroso che altro.
La macchina ci era davanti quando ci accorgemmo che aprirla con tutte le mani occupate sarebbe stata una sfida.
Mi allungai verso la maniglia, tentennando a fatica.
D'un tratto Louis sbucò dalle mie spalle e afferrando la mia mano mi aiutò a portarla giù completamente. Lo sportello si aprì e con una certa attenzione appoggiamo Caden sui sedili.
Alexandra corse verso il posto di guida, io mi infilai al suo fianco e Vanessa restò dietro, portandosi la testa del fratello sulle gambe.
Mi affacciai verso il finestrino, osservando Louis con un'espressione impanicata e frettolosa sulle guance.
“Louis, vieni anche tu, Vanessa si restringe un po'”
Lui si accostò a me, appoggiandosi allo sportello.
“Vi raggiungo con il pullman, non preoccuparti”
Mi concesse un ultimo sorriso per poi fuggire nel buio giallastro della notte.
Lo osservai fino all'ultimo minuto, fin quando il fumo e il rombo del motore occuparono ed annebbiarono tutti i miei sensi.
Appoggiai il mio viso sulle gambe, cercando di dare una controllata al mio cuore che aveva preso a battere all'impazzata.
Alexandra si spostò su di me, sfiorando una mia mano.
“Andrà tutto bene, ce la caveremo tutti”
La guardai e sorrisi.
Si, ce la saremmo cavata.
Ci eravamo sempre riusciti.

Quando arrivammo all'ospedale i medici accolsero immediatamente Caden con un codice rosso, vista la sua estrema difficoltà nel respirare.
Lo infilarono in un lettino e in fretta lo rinchiusero in una stanza, invitandoci tutti a stare alla larga.
Vanessa si aggrappò alla porta urlando, quasi terrorizzando l'intero edificio. Degli infermieri furono costretti a prenderla di peso e a poggiarla con la forza su di una sedia.
Mi misi vicino a lei e, afferrandole a mia volta le mani, cercai di calmarla con delle rassicurazioni.
Man mano le sue lacrime presero ad attenuarsi e i polmoni a muoversi regolari.
Gli occhi le si incollarono spaventosamente al pavimento.
La guardai per un attimo preoccupata per poi spostarmi verso Alexandra, che aveva osservato l'intera scena appoggiata al muro bianco e freddo.
Ci guardava con gli occhi stanchi e quando mi voltai nella sua direzione abbozzò un sorriso, forse per risollevarmi.
“Sei stanca?”
Le chiesi.
“Un po'”
Gli occhi le si chiusero in due piccole fessure e la sua bocca si spalancò in uno sbadiglio.
“Vado a prendere un caffè, ne vuoi una tazza anche tu?”
“Si, grazie”
Le sorrisi a mia volta. 
Rigettai la mia attenzione su Vanessa che ancora non aveva abbandonato la sua contemplazione.
Esausta a mia volta mi appoggiai completamente allo schienale della sedia, osservando il soffitto.
Chiusi gli occhi con l'intenzione di riposarmi per un paio di minuti.
“Gabrielle, devo dirti una cosa..”
Vanessa iniziò a parlare con deboli sussurri, quasi intimidita dalla sua stessa voce.
Mi scrollai dalla mia posizione rivolgendomi a lei con attenzione.
“Dimmi”
“Io...beh, non sono malata”
Azzardai una risata.
“Lo sapevo”
“Scusami”
“Acqua passata”
No, non provavo alcun sentimento di vendetta o rabbia in quel momento. Forse perché il sonno mi stava divorando, o forse perché la stanchezza per l'intera situazione mi aveva già del tutto distrutta.
“E..”
Riprese a balbettare, con più impazienza di prima.
Ritornai su di lei.
“Noi sapevamo tutto”
“Tutto cosa?”
Imitai il suo tono di voce.
Ma lei si arrestò, nascondendo il viso tra le mani. Sembrava non aver più intenzione di dire nulla.
“Tutto cosa?!”
Le chiesi nuovamente, incitandola a parlare. Niente, però, pareva smuoverla. Così le scossi la spalle.
E con una sorta di esasperazione rimise in piedi la sua schiena, voltandosi completamente verso di me.
“Volevo vendicarmi, Gabrielle. Di te, di Louis. Del fatto che lui aveva preferito me a te, del fatto che mi avesse usato solo per chiedermi dei soldi. Tutto solo per te”
Iniziò a parlare a raffica con un tono di voce spazientito e assordante. Gli occhi le si arrossirono e ingrandirono a dismisura.
Io non riuscii a fare altro che a guardarla in silenzio, con il cuore sul punto di scoppiarmi dal petto.
“Ma la situazione ci è sfuggita di mano. Non pensavamo che quegli uomini sarebbero arrivati a tanto. Pensavamo fossero dei buoni annulla, che vi avrebbero messo solo un po' di paura per poi lasciarvi in pace quando Caden gli avrebbe ridato la pistola, nient'altro”
Le sue pupille si incastrarono nelle mie togliendomi il respiro.
Non pensavo sarebbe mai arrivata a tanto, che la sua cattiveria superasse la mia immaginazione più spudorata.
Continuai imperturbabile il mio silenzio, spostando i miei occhi verso il corridoio.
Ora Vanessa mi sembrava una pazza e di conseguenza una parte di me voleva allontanarsi al più presto.
Da un angolo poco lontano sbucò Alexandra, con due tazze fumanti di caffè tra le mani. Cercava di essere più veloce possibile per l'evidente bruciore che quella plastica stava provocando alle sue dita. Dietro di lei sbucarono all'improvviso i capelli castani e impiastrati di Louis. 
Lui cercava di starle al passo, con le sue altrettante due tazze.
Appena arrivati di fronte a noi poggiarono le tazze sul tavolino di legno che ci era affianco.
Louis si spostò verso di me accarezzandomi i capelli. Ricambiai quel gesto avvicinandomi e rannicchiandomi vicino alla sua figura alta.
Alexandra portò la sua tazza alle labbra e, dopo averla raffreddata con qualche vano sospiro, iniziò a sorseggiarla.
Vanessa, intimidita dalla sua posizione e dalla verità scomoda che mi aveva appena rivelato, arrancò lentamente verso la sua tazza.
Osservai minuziosamente i suoi gesti, perdendomi nella loro semplicità, oscurante di chissà quante altre terribili menzogne.
Lei se lo sentì subito il mio sguardo scrutatore e soffocante addosso. Si girò verso di me, lasciando la tazza di caffè a metà. 
“Louis, io..”
“Vanessa ha bisogno di un bicchiere d'acqua Louis, potresti andarglielo a prendere? Uno anche per me dai”
Afferrai il braccio di lui mentre contemporaneamente smorzai le parole di lei.
Louis mi guardò con gli occhi socchiusi prima di accennare un “si” con la testa e sparire tra i corridoi bui.
“Perché lo hai fatto?”
Vanessa mi si accostò frettolosa all'orecchio destro.
“Non voglio dargli altri dispiaceri, basta così”
Le dissi diretta mentre portavo alla gola le ultime gocce del mio caffè.
“Questa è una di quelle cose che devono rimanere bugie, davvero”
Sapevo quanto male gli avessi fatto con i miei silenzi ma sapevo anche che quello sarebbe stato troppo, troppo, che in quel momento Louis sarebbe stato anche capace di ucciderla a Vanessa, di strangolarla con le sue sole mani.
Così, dopo un cenno, si portò verso l'altro lato della sala d'aspetto.
Quando Louis ritornò il suo viso era leggermente cambiato, sembrava più sereno.
“I medici hanno detto che ha ripreso a respirare normalmente. Aveva solo un paio di costole rotte che impedivano ai polmoni di funzionare regolarmente”
Ci comunicò d'un fiato mentre lanciava sguardi distratti a Vanessa.
Lei, dal suo canto, si alzò dalla sedia, balzando verso il muro e portando le mani alla bocca, con il desiderio di soffocare delle urla di gioia.
Scoppiò per l'ennesima volta a piangere, ma piangere di gioia.
E, senza neanche aspettarmelo, sorrisi anch'io a quella visione.
L'importante era quello: essere felici.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Allora questo capitolo lo avevo pronto già da due giorni ma tra una cosa e un'altra non ho mai trovato il tempo di pubblicarlo.
Questo dovrebbe essere il penultimo, dato che la mia intenzione sarebbe di dedicare il prossimo ad una "summa" di Gabrielle sulla sua vita e, ovviamente, su Louis.
Poi, nel 30esimo scriverò una specie di mia recensione personale sull'intera storia e darò quello che sarà un ultimo saluto.
Spero vi sia piaciuto e che le idee si siano schiarite.
Se ci sono dubbi chiedete pure.
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo riprende l'omonima canzone di Lana Del Rey

 
* per i timidi ecco il mio ask M A N U *

- LOUIS -


 

 

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Capitolo 29
*** Clouds Are Sleeping ***


 


Clouds Are Sleeping
 
Nella mia vita avevo sempre cercato quella: la felicità. 
Ma solo quella notte, tra luce e buio, tra pareti ingiallite e condizionatori impolverati, mi accorsi che per tutta la vita l'avevo cercata nei posti sbagliati.
L'aveva cercata nella cose, nell'egoismo, nel mio cuore, nel mio corpo. E mai, nemmeno per una volta, mi ero preoccupata di cercarla altrove.
Nelle persone per esempio, in quelle che mi circondavano da sempre.
Avevo provato a rincorrerla nei miei sorrisi, nella mia solitudine e non negli sguardi degli altri, di quelli che mi erano vicini e facevo fatica a riconoscere.
La vita con me è stata buona, alla fine. Mi ha salvata a mezza strada, mi ha aperto gli occhi proprio nel momento migliore. Direi quando il cuore è iniziato a battermi per te, Louis. Da quel preciso momento ho capito tanto, forse troppo. Mi sono resa conto di cose che prima davo per scontate e inutili; ho imparato che la gelosia è solo fastidiosa, pizzica la pelle; ho compreso che le apparenze ingannano per davvero, che le bugie frantumano le cose e che le persone che ti vogliono bene davvero lo dimostrano, sempre.
Ma più di tutto ho capito che l'amore è quello che conta davvero.
L'amore, quel motore che tutto ripristina, riavvolge, rischiara; che rende le cose meno buie, meno nascoste; che è sinonimo di quella simbiosi indivisibile amore-odio, felicità-tristezza e che senza folli sentimenti e inaspettate parole non può esistere.
Non mi pento di nulla, sai? Non mi pento di aver aspettato, di essermi nascosta, di averti spesso annullato, di essermi tenuta a distanza per anni e anni aspettando che qualcosa cambiasse. Mi pento, certo, solo di averti mentita, di averti macchiato di cicatrici che mi sarà difficile farmi perdonare, da te e da me stessa. 
Questo perché, infondo, una parte di me lo sapeva da sempre che tutto ci avrebbe portato nella stessa e univoca direzione, che le nostre mani si sarebbero incrociate nei modi dell'amore e che le nostre labbra si sarebbero raggiunte indifferenti, perché il destino ci chiamava, Louis, insieme.
Noi, io l'ho evitato, ho cercato di scappare ma lui mi ha rincorso e afferrato con tutta la sua forza. E' stata la sconfitta più piacevole della mia vita.
A volte succedono cose che non ci sogneremo mai. Appaiono delle persone dal nulla, da lontano e si scontrano con noi. Spesso ci aiutano, spesso ci distruggono e spesso ancora ci cambiano. Adoro questa sfumatura della vita, questa sua imprevedibilità, queste sue scelte incontrollate. Non siamo fatti per esseri piatti, fermi sempre allo stesso posto, siamo fatti per mutarci instancabilmente.
Nessuno è solo sfumatura di nero, l'esistenza di nessuno sarà per sempre un'eterna insoddisfazione. Per tutti ci sarà uno spiraglio di bianco ad illuminare il volto e a rendere meno vuoti.
L'infelicità, la rabbia, l'odio sono sentimenti passeggeri. E quando ci sembrerà di averli accollati continuamente sulle spalle sarà arrivata l'ora di dargli una spinta, di spazzarli dalle nostre pelli e, soprattutto, dalla nostra anima.
Siamo la rivoluzione di noi stessi, ma insieme.
“L'unione fa la forza” sarà il mio proverbio. Mi ricorderà ripetutamente la mia vita, le mie scelte, le mie persone. Quelle che mi hanno voluto bene e anche quelle che mi hanno odiato.
Non mi pento di nulla e non rivendico nulla.
Non provo rancore e non voglio provarlo. Perché disprezzare quando si può apprezzare? Perdonare, farsi perdonare; dovremmo capire questo.
Ti prego, Louis, anche tu come me non odiare Caden, Vanessa, il professor Turner. So che ci hanno fatto del male, che ci hanno spesso allontanato ma capisci che tutti commettono degli sbagli, tutti prendono delle scelte, non sta a noi giudicare.
Rimaniamo nella nostra luce, non lasciamoci trafiggere da ombre corrosive per noi stessi.
Un tempo ero incontentabile, ora mi basta poco. Forse perché è quello che siamo: poco. 
C'è una canzone di un cantante italiano che dice “siamo due braccia con cuore”. Già, cos'altro? Un misto di gesti e sentimenti, un misto di abbracci e amore.
Sono così dannatamente felice che vorrei urlarlo al mondo, ma so che non tutti capirebbero. Ognuno hai i suoi tempi, la sua storia.
Sono felice per la chiarezza con cui i miei occhi vedono il Mondo e per quel velo fastidioso e intollerabile che mi era prima davanti e che ora è sparito.
So che tutta questa gioia non durerà per sempre, che una nuvola nera è forse già pronta al prossimo angolo da svoltare ma godiamoci questo, questo piccolo ma immenso momento.
Quante cose belle, quante strade che si incrociano, quante casualità che diventano certezze.
Bisogna sempre sperare, sognare e soprattutto credere.
Io l'ho fatto. Con attenzione, tempo e trasparenza.
Credo oggi in una moltitudine di avvenimenti, di azioni e di cose.
Io credo negli inizi che non trovano una fine.
Credo negli sguardi destinati ad incrociarsi e mai più a lasciarsi.
Credo nella pelle che si confonde e sente di non averne mai più abbastanza.
Credo nelle affinità di cuore e di mente, nelle affinità di ricordi e di futuri.
Credo nei sorrisi, nelle lacrime, nelle urla, nei silenzi condivisi perché in due tutto è diverso, tutto è più colorato.
E c'è il verde, il rosso, l'arancione.
E l'azzurro dei tuoi occhi.
Dei tuoi e di nessun altro, Louis.
Che risplendono da sempre nei miei e da sempre si rispecchieranno nei miei.
Siamo noi quell'inizio che non trova fine.
Siamo noi quell'amore perpetuo che da' forma ai nostri sorrisi.
Ai tuoi e ai miei.
Unici, inseparabili, infiniti.

E credo, e sogno e spero di amarti Louis, con tutto il mio cuore, la mia anima e il mio corpo.
E spero, e sogno e credo che sarà così per sempre.

 
Tua all'infinito.
Gabrielle

-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Eccoci, ultimo capitolo.
Gabrielle sembra tipo un profeta, non so. E' spaventosamente saggia.
Ha capito molte cose e questo non può che renderci felici. Finalmente nella sua vita ci sarà ordine. Colpa dell'amore, direi. Credete che potrebbe farmi lo stesso effetto? Lo spero vivamente.
A parte gli scherzi, questa è la conclusione di una parte definita della sua vita. Una vita che prima era offuscata e praticamente incerta, mentre ora chiara come la luce del sole. Si potrebbe dire che ha capito a far differenza tra le cose "buone" e quelle cattive".
Nel prossimo capitolo troverete la mia "recensione", quella di cui vi avevo parlato nel precedente.
Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo riprende l'omonima musica degli The Abbasi Brothers

 

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Capitolo 30
*** Un ultimo saluto ***


p.s. ho pubblicato due capitoli contemporaneamente stavolta, sicuri di aver letto "Clouds Are Sleeping"? Torna al precedente se non sei convinto/a.
 

UN ULTIMO SALUTO


Ok, eccomi, ce l'ho fatta: la fine.
Mi sembra, non so, strano? E' che pensavo che non ci sarei mai arrivata e invece eccomi, eccoci qui.
Avrei da dire un triliardo di cose molto probabilmente ma cercherò di limitarmi, di essere quanto più possibile breve e in qualche modo piacevole.

Innanzitutto voglio ringraziarvi, miei lettori.
Mi siete stati vicini, l'ho sentito. Chi più, chi meno. Chi mi ha permesso di credere in me stessa e nella mia piccola storia.
Anche quando le recensioni mancavano, il contatore delle visualizzazioni era sempre lì che aumentava senza che io mi sforzassi di fare pubblicità e per me è stato un grande piacere e una grande soddisfazione.

Devo ammettere, nel mio piccolo, che le cose non sono andate proprio come mi aspettavo.
Forse la colpa è stata la mia, della mia poca fermezza.
Louis e Gabrielle meritavano di più.
A volte rispolvero a caso vecchi capitoli e mi capita di pensare che io li abbia trattati come dei burattini, dotati eccessivamente d'istinto.
Sarà che nella vita reale non vanno così le cose.
L'ho capito a mie spese.
Questa storia era nata con lo scopo di parlare della mia visione dell'amore e più o meno credo di avervela fatta capire.
L'amore che tutto può e nulla teme.
Sono sicura che alcuni di voi spesso si sono incontrati con Gabrielle, che l'hanno amata, che l'hanno odiata, e forse diciamocelo, l'hanno derisa.
Mi dispiace che non tutti, però, l'abbiano compresa fino in fondo.
Non si siano ritrovati nelle sue paure e nelle sue speranze.
Questa è stata una storia di passaggio, una di quelle che forse non dovrebbero mai esistere. Destinate solo ad essere rinchiuse nella mia mente per sempre.
Però, okay, le cose sono andate così e non me ne pento molto. 
Sono felice.
Ho imparato parecchio, ho imparato a crescere e a migliorarmi.
Chi mi legge da sempre lo sa. Amo la scrittura immensamente e follemente, eppure basta poco per farmi crollare come un castello di sabbia.
E sa anche che per ogni mia caduta c'è sempre un'immediata rialzata.
Una voglia di ricominciare, di rimettersi in gioco.
Il, chiamiamolo “flop” di questa storia non mi ha spenta.
Mi è capitato, certo, di pensare di farla finta ma tutto è stato inutile, è più forte di me.
Non so se qualcuno di voi mi ha su facebook o twitter, ma lì già ho parlato della mia nuova fanfiction su Zayn.
Sono già pronti cinque capitoli e una voglia matta di continuare, di crederci.
Lo dico giusto per quel qualcuno che qui sopra mi segue, che crede nelle mie parole e nei miei sogni.
E, ritornando alla cara vecchia “Ropes”, è stato un bel viaggio, di quelli che non dimenticherò. Ha segnato una parte della mia vita e l'ha più o meno conclusa.
Non so se rivedrete Louis nei miei scritti, ci siamo, come dire, allontanati un pochetto spiritualmente parlando.
Tuttavia, rincuoratevi, un pezzetto del mio cuore è suo e lo sarà per sempre.

Vi invito, in conclusione, come la mia Gabrielle, ad amare e, soprattutto, a credere.

Un bacio immenso e infinito a tutti voi.

Manu 

 
#FOREVER #MINE

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