Clair de Lune.

di AngelOfSnow
(/viewuser.php?uid=129890)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo. ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo. ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo. ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto. ***
Capitolo 5: *** Quinto Capitolo. ***
Capitolo 6: *** Sesto Capitolo. ***
Capitolo 7: *** Settimo Capitolo. ***
Capitolo 8: *** Ottavo Capitolo. ***
Capitolo 9: *** Nono Capitolo. ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo. ***


Clair de Lune

Clair de Lune.

 

Perchè è quando guardi la luna,

che ogni emozione si annulla

devota alla sua misteriosa bellezza.

 

 

La luna era alta nel cielo, chiara, bella e malinconica.

Si stagliava fiera e maestosa sullo Stretto di Messina e il suo riflesso rischiarava gli ambienti, anche se le luci arancioni dei lampioni ne dimezzavano la bellezza. A quell’ora vi erano poche persone intente a passeggiare, mentre  un solo ragazzo stava correndo in mezzo ai passanti rimasti,  creando piccole nuvole di condensa a causa della corsa.

Era alto e bello. Una di quelle bellezze semplici, dagli occhi verdi e i capelli biondi.

Jacopo si guardò intorno: a quell’ora tarda, chi voleva incontrare?

Chiuse gli occhi e sospirò, auto insultandosi per aver ritardato anche quella volta.

Aveva tirato troppo la corda con Daniel e adesso era stato piantato per l’ennesima volta, anche se era una conseguenza diretta del suo ennesimo ritardo.

Scrollò la zazzera di capelli biondi trovando inutile quel dato e si guardò intorno, mordendosi il labbro rosa fino a farlo divenire rosso.

Era colpa esclusivamente del principale e del fatto che le clienti facessero richiesta esplicitamente di lui e dei suoi cocktail, al bancone; lui si sarebbe tolto la divisa in meno di un secondo, se non gl’avessero chiesto di fare uno di quei straordinari spacca schiena ma estremamente visibile sul portafogli.

Improvvisamente si sentì perso. Perso semplicemente per il  fatto che fosse solo, a pregare per l’impossibile e a chiedersi come avesse potuto far tardi anche quella volta.  

Gli piaceva da impazzire Daniel e lui non aveva creduto all’ultimatum mormorato dalle sue labbra, cullandosi sul fatto che si erano appena dichiarati.

<< Aaah! >> dal suo metro e ottanta era troppo facile vedere le teste delle persone, ma nessuna aveva quella colorazione d’alabastro puro.

Si rannicchiò su se stesso in una posizione fetale, incurante degli sguardi dei pochi passanti, e mordicchiò l’unghia del pollice destro, mentre l’altra andava a posarsi in testa.

Dalla visuale bassa in cui era, il mondo appariva meno frenetico e decisamente più caotico, con le luci soffuse, il vento meno sferzante e i suoni resi meno striduli grazie agli altri corpi presenti in giro a fermare le vibrazioni nell’aria. Era una bella città, quella di Messina.

Se non si badava ai cumuli incolti a profanare le strade e a moltiplicarsi come funghi di spazzatura, si ignorava bellamente l’assenza di trasporti pubblici e si censuravano i commenti poco carini degli autisti, spinti oltre gli ottanta con il semaforo rosso…bhé, nel mondo poteva anche esserci di peggio. Sopra ogni cosa: il mare. Così bello e limpido in un inverno assurdamente rigido e piovoso per quei territori, da attirare tutti i suoi sguardi.

Da dove proveniva lui, uno di quei paesi montani dimenticati perfino dagli stessi Siciliani, il mare era solo la fervida immaginazione di quelli che desideravano vederlo, espresso da disegni infantili e temi sulle condizioni dei ghiacciai durante medie e superiori.  A lui era bastato il diploma per cercare un lavoro pulito e mettersi in testa che l’Italia stava andando allo scatafascio.

Alzò lo sguardo dal piccolo rifugio che si era andato a creare e sospirò, pentendosi amaramente di esser arrivato in ritardo: voleva vederlo.

Si alzò in piedi e si mosse con l’intento di tornarsene a casa e pensò bene di chiamare Daniel, promettendosi di portarlo a ballare al M’Ama quel sabato sera, così da sentirsi meno in colpa.

La zona della passeggiata, nei pressi della Fiera di Messina, era completamente deserta, salvo qualche macchina a tutta velocità con gli autisti euforici ed ebbri di festa, mentre tutte le luci andavano a rendere troppo illuminata una zona che, di solito e norma, sarebbe dovuta rimanere all’oscuro. Dopo una quarantina di metri, due semafori rotti superati senza fretta e un incrocio ampio quattro gareggiate, Jacopo sentì lo sciabordio lento dell’acqua che si infrangeva contro le pietre del porto delle imbarcazioni pescherecce e di quelle della Marina militare e ne rimase affascinato. Decise allora di passare dal lato opposto della strada e, guardato a destra e sinistra, saltò senza nessun ostacolo il divisorio fra marciapiede e rotaie del tram, arrivando direttamente sulle rotaie.

Con un sospiro teatrale Jacopo  tagliò per le rotaie saltò sul marciapiede opposto, superò la strada a doppio senso di percorribilità all’altezza di Perigolosi, la gelateria seconda solo a Santoro a Piazza Cairoli, scavalcando anche la recinzione nuova di mesi, fatta per dividere la zona portuale dalla strada,  e atterrò sul molo bagnato dalla salsedine annusando a pieni polmoni ciò che Daniel chiamava tanfo.

Lui trovava quell’odore come caratteristico e affascinante.

Tutti i turisti forse la pensavano come lui, ma il fatto era uno e semplice: viveva a Messina dal 2009 e non si era ancora abituato a quella bellezza spropositata.

Poi quella sera doveva essere la sua notte fortunata: la luna era alta in cielo e veniva riflessa dal mare presente nello Stretto, mentre la tranquillità delle onde che si infrangevano contro le pietre sembravano una cantilena atta ad affermare la bellezza della luna stessa. Da dove era posizionato lui, si riusciva a vedere perfino il Pilastro di Messina e la Calabria.

Daniel. Fu il lamento della sua testa e sospirò, sedendosi sul bordo dei mattoni umidicci e neri del porticciolo, con la testa incassata nelle spalle. Prese il telefono dalla tasca dei jeans e poggiò la borsa con le birre al suolo.

<< Non pensi che sia tardi per mandarmi un messaggio? >> la voce perennemente bassa e roca di Daniel lo fece saltare sul posto., facendogli quasi perdere la presa sull’Iphone. Con il display illuminò la persona che gli era al fianco, in piedi con le mani nelle tasche, un leggero fiatone, in tenuta da corsa con una semplice felpa primaverile a coprirlo e dei pantaloni aderenti che mettevano in risalto le gambe non troppo muscolose ma atletiche.

I suoi occhi verdi, incontrarono quelli ambra di Daniel, mentre i capelli d’ebano si confondevano con le ombre in giochi poco chiari di colori: cos’era più scuro?

Jacopo boccheggiò un paio di volte e Daniel s’accomodò al suo fianco, togliendo dalle orecchie anche l’altra cuffia dell’Mp3 per andare a posarlo dentro l’unica tasta davanti la felpa blu notte che indossava.

<< Sono le tre del mattino, quando volevi dirmi che non saresti venuto nemmeno oggi all’appuntamento? >> continuò imperterrito, facendo valere meno di una merda il biondo.

L’altro incassò ancora di più la testa fra le spalle e si scusò. << Mi hanno trattenuto fino le due al bar senza darmi tregua. >> si giustificò poi, vedendo che l’altro continuava ad avere la sua solita faccia inalterabile e fredda e guadava il panorama.

<< Jacopo… >> disse ad un tratto Daniel. << Sono stato ad aspettarti fermo per più di tre ore. Avevamo appuntamento alle undici e mezza: cosa ti costava prendere quello stupido aggeggio e mandare un messaggio? >> in viso nessun cambiamento, solo una labbro leggermente arricciato e la voce accigliata. << Comunque… >> aveva sospirato il corvino rimettendosi in piedi. << Io t’avevo avvertito. >>

E così come era arrivato alle sue spalle, dopo essersi rimesso in piedi, stava andandosene.

<< A-Aspetta! >> tartagliò Jacopo e quello fece finta di nulla, riprendendo a correre con un auricolare, segno che non lo stava ignorando del tutto.

I passi di Daniel erano silenziosi, in una corsa leggera e senz’affanno, anche se manteneva un ritmo serrato, abbastanza veloce.

I passi di Jacopo erano trascinati e stanchi, incespicanti, e tenevano il passo senza fatica, poiché se Daniel compiva tre passi, a lui bastava farne uno abbastanza ampio per raggiungerlo. << Sei irritante, Jacopo. >> borbottò il corvino e l’altro sorrise, cercando di farsi rivolgere come minimo un’occhiata.

Daniel affrettò il passo sul lungomare, per nulla intimorito dal freddo pungente invernale e dalla pioggerellina che stava prendendo a cadere dal cielo e Jacopo, nella corsa, si tolse il giubbotto a vento, per gettarlo sulle spalle del più basso, arrendendosi al fatto che non gl’avrebbe rivolto nemmeno un insulto e se ne andò con un sorriso sghembo in viso.

 

Daniel si fermò tenendo ben salda la giacca sulle spalle e guardò dietro sé­: non vide più nessuno; automaticamente si guardò intorno e lo vide attraversare la strada deserta con la testa infossata nelle spalle, il passo lento e mogio e un broncio degno del miglior bambino testardo che voleva la caramella e non poteva averla.

A Daniel non piacevano le caramelle, né tanto meno i dolci, quindi, non sarebbe mai stato in grado di dare il contentino a nessuno… improvvisamente rifletté sulla parola ‘contentino’ e scoppiò a ridere, immaginandosi delle orecchie da cucciolo di Labbrador sulla testa di Jacopo, seguite a ruota da un nasino piccolo, la lingua penzolante e una coda morbida scodinzolante.

Esatto: Jacopo alcune volte era un cucciolo di Labbrador che non era ancora riuscito a lasciare la sua parte bambina e  che lo rendeva così irritante e pieno di allegria.

Sospirò, trovandosi ancora molto arrabbiato per quella serata e riprese a correre, cercando di cancellare dal petto la delusione e la rabbia.

A lui non piacevano né i cani, né i bambini, né gli idioti. Si chiedeva sempre come fosse riuscito a farsi ammaliare da Jacopo e  puntualmente alzava le spalle, senza trovare risposta.

Lui, Daniel Serri, la mente più brillante del corso di psicologia criminale, infantile e di tante altre discipline, non riusciva a trovare una soluzione.

In fondo sapeva che era impossibile psicoanalizzare se stessi, ma contava sul fatto di riuscire a pensarsi in terza persona e a parlare di sé oggettivamente come da sempre faceva.

Sospirò e decise che per quella notte aveva corso abbastanza, ricordando che l’indomani aveva delle lezioni e da lavorare.

Tornò a casa verso le cinque meno venti del mattino e dormì tre ore prima di alzarsi e andare all’università.

Quando arrivò davanti all’edificio e vide le anticipazioni delle sessioni di esami alzò le spalle, avendo già studiato tutti i tomi e le dispense dei professori e trovato anche dei riferimenti interessanti su alcuni libri.

Per tutte le quattro ore, si era sorbito le lamentele dei suoi colleghi e di Cassandra, la ragazza più chiacchierona e pettegola del corso di pedagogia, su quanto fosse stanca di stare al gioco di quattro vecchi bacucchi, sapendo all’ultimo momento le date.

<< Studia. >> si era limitato a sbuffare mentre ascoltava in modo passivo il professore e contemporaneamente la castana, in carne e dalle forme generosamente abbondanti che, a quella risposta così disinteressata e articolata, aveva cambiato posto e aveva preso a lamentarsi con altre ragazze.

Quando finì le lezioni il professore lo chiamò chiedendogli se l’avesse potuto aiutare con un progetto sulla memoria e le tecniche di memorizzazione.

Daniel aveva alzato le spalle con la solita aria sfaticata e fannullona, prima di controllare l’orologio. << No problem. Però devo essere a Provinciale prima delle cinque. >> aggiunse, mentre il professore lo trascinava a destra e manca per la sede, mettendolo alla prova: la sua memoria era fenomenale.

Dicevano spesso che casi come lui erano rarissimi e quasi introvabili, specie se si riusciva a memorizzare materie su materie in una settimana e ricordarne il contenuto a vita.

La cosa non lo toccava minimamente e, anzi, più domande gli facevano, più il pensiero andava a quell’idiota di Jacopo e al fatto che non gli avesse mandato un messaggio, nemmeno per scusarsi.

Alle due del pomeriggio, mentre mangiava un panino al volo, il suo Nokia-modello-anti-carroarmato prese a vibrargli in tasca.

<< Dovresti comperarti un nuovo telefono. Sai? >> alzò gli occhi dal telefono solo per incrociare gli occhi ambra  della sorella e alzare le spalle, indicandole il posto vuoto davanti al suo con un cenno del capo.

 << A me piace questo. >> sbottò, addentando nuovamente il panino.

 La sorella, il suo esatto contrario, sorrise in modo furbo e si appoggiò allo schienale della sedia, adocchiando uno dei camerieri del locale.

<< Com’è andata ieri con Jacopo? >> chiese in fine, spronando il fratello a parlare.

<< Quale Jacopo? >> lasciò intendere tutto e la sorella si batté una mano sulla fronte, scotendo il capo.

<< Hai seguito il tuo ultimatum? >> sospirò affranta mentre il corvino si ripuliva gli angoli delle labbra con un fazzoletto e si dirigeva alla cassa per pagare.

<< A me piacciono le ragazze, Sara… >> mormorò camminando sotto il sole caldo  in direzione di una delle fermate del tram, guardando di sottecchi il Tribunale e la sua spropositata cupidigia.

<< Lo so, ed è per questo che quel ragazzo era l’eccezione, no? >> cantilenò la ragazza e lui la guardò male, passandosi una mano fra i capelli e frizionandoseli appena.

<< E’ un idiota. >> ammise infine e attraversò la strada mentre Sara gli si appiccicava al braccio con fare gioioso.

<< Non lo sono anche io, fratello? >>

Daniel sospirò al ghigno vittorioso della sorella e annuì sbrigativo, mentre vedeva da lontano il mezzo pubblico.

Alle quattro e mezza, dopo due ore nelle mani di Sara a fare shopping selvaggio, fu davanti alla porta della signora dove lavorava a suonare il campanello sulla quale  era inciso un cognome con lettere eleganti. Quella era via Antonello, una delle piccole vie adiacenti a Provinciale, che la mattina vedeva passare le studentesse dell’ex Magistrale Emilio Ainis dal quale si era diplomato tre anni addietro. Era una salita abbastanza ripida e stretta, dove due sbocchi a destra e a senso unico, permettevano di tornare senza fatica e ingorghi a Provinciale stesso, pur essendo quella di via Antonello una stradina ad unico  senso di percorribilità.

La porta fu aperta dalla padrona di casa e lui sorrise appena. << Buongiorno Daniel! >> trillò la vecchina e lui salutò, non con altrettanta verve, ma con un generoso << Buongiorno signora. >> mentre la donna gli faceva spazio per entrare e come al solito si perdeva in aneddoti della giornata e del fatto che si fosse sentita terribilmente sola.

Il suo lavoro lì consisteva semplicemente nel fare compagnia alla signora, autosufficiente ma con uno stato di alzheimer che la stava divorando poco a poco.

<< Sta mangiando? >> domandò in modo piccato, notando la magrezza del volto e delle

dita affusolate.

<< Certo… >> rispose e si andò a sedere su una delle poltroncine del grande salone indicandogli di fare altrettanto.

Lui lo chiamava “lavoro” quello, ma in realtà era un favore che faceva alla sua migliore amica, andata a Londra per un corso studi di due anni, che non aveva nessuno di fidato a cui affidarla.

S’era preso la briga di farlo solo per due motivi: era una signora così colta da essere ammaliante con la sua parlantina mai troppo noiosa o troppo gioiosa e oramai la considerava come la nonna che non aveva mai avuto l’onore di conoscere.

E poi lui e la signora Nina avevano un patto: quando lei non sarebbe stata più in grado di ricordare, lui le avrebbe riraccontato ciò che lei aveva raccontato lui, senza omettere nulla. 

Il pomeriggio passò così, fra un racconto e un altro, confermando la tesi di Daniel sulla solitudine delle persone anziane, che sopravvivevano ai loro figli e della loro desolazione nel petto quando raccontavano a qualcun altro le loro storie.

Il telefono vibrò per quindici volte.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Secondo Capitolo. ***


 Secondo Capitolo.



Jacopo si morse a sangue il labbro inferiore, rischiando di spaccarselo e fare venire un orgasmo multiplo alle ragazze sedute al tavolo cinque, affacciate sulla piazza del Duomo.

<< Vuoi lasciare quel telefono e servire ai tavoli? >> fu Matteo, il suo migliore amico,  a dargli uno scappellotto dietro la nuca, calcolando che quell’idiota di Jacopo poteva benissimo far scivolare i cocktail da un momento all’altro con il tasso minimo di attenzione che aveva addosso.

Jacopo storse il naso e andò a consegnare i cocktail. Aveva seguito un corso serale a Milazzo, nella scuola alberghiera, per poter fare quel mestiere e la sua routine quotidiana si consumava fra tavoli, a creare nuovi tipi di alcolici e a fare il barman in qualche locale notturno.
 
<< Long Island… >> chiese e una ragazza alzò la mano, ammiccando apertamente mentre le altre due ridevano piano. << Sex on the beach… >> continuò e l’altra morse subito la cannuccia con fare provocante. << Analcolico alla frutta. >> sorrise quando l’ultima del gruppo arrossiva e lo ringraziava. Quando portò loro lo scontrino poi, quella dallo sguardo provocante chiese anche una penna e sul blocco delle ordinazioni lasciò ( con una calligrafia ordinata ) tre numeri di telefono con annessi nomi. Lui ovviamente non seppe dir di no e ripresa la penna afferrò gentilmente la mano della ragazza timida, scrivendovi il suo numero sopra.

Ridacchiò quando la ragazza arrossì fin l’attaccatura dei capelli e le altre due le lanciavano occhiate gelose.
 
Dopo quell’episodio la serata passò lenta e caustica mentre il cielo grigio di Messina andava ad annuvolarsi sempre più, ponendo i cittadini ad un quesito: uscire o tornare a casa?

Quando cominciò a piovere la metà delle persone preferirono tornare a casa, al tepore della propria famiglia, mentre
Jacopo guardava come le gocce rimbalzassero sul pavimento, creando un malinconico scenario visivo e altrettanto malinconico suono.

Daniel. Daniel. Daniel.

Ogni goccia sembrava sussurrare il suo nome, picchiettando la sua concentrazione e riducendola pari allo zero.
 
<< Jacopo, un cliente! >> urlò Matteo sentendo il tintinnare della porta che si apriva e chiudeva, cercando di controllare la voglia di prendere il biondo a pugni, visto che lui non poteva lasciare ciò che stava facendo e il biondo era fermo sul retro a guardare la pioggia cadere.

Quando però si ritrovò davanti un ragazzo col cappuccio della felpa nera in testa, che gli copriva il volto, gocciolante e le mani in tasca dove  in un polso si allacciava una borsa di carta fradicia, lasciò cadere la testa di lato, trovando familiare quel volto bianco.
 
<< Sono l’ex ragazzo di Jacopo. >> Matteo a quelle parole saltò in aria, non sapendo che l’amico si fosse lasciato e gli si avvicinò con uno strofinaccio pulito in mano, facendogli cenno di seguirlo nel retro mentre poteva tranquillamente asciugarsi.

<< Jacopo..? >> chiamò e trovò il biondo nella sua solita posa accovacciata ad arrovellarsi il cervello e il pollice fra le labbra.

Sia Matteo che Daniel inarcarono un sopracciglio e negarono con il capo. Con un tacito accordo Matteo, un ragazzo dal fisico prestante, moro, con occhi marroni dalla gentil parola per tutti, si allontanò, capendo quanto delicata la questione fosse.
 
<< Jacopo. >> chiamò Daniel e quello sbatté gli occhi, tornando presente da quella posa catatonica.

<< Daniel! >> trillò contento e si rimise in piedi, arrossendo quando non seppe se baciarlo o semplicemente salutarlo come se non fossero mai stati insieme. Ripreso un determinato contegno, dopo, tossicchiò e chiese cosa ci facesse lì e come fosse entrato.

Daniel si limitò a dire ‘Marco’, lasciando intuire il continuo.

<< Volevi dirmi qualcosa? >>

Non lasciamoci testone.” “Cretino dimentica il mio ultimatum.” “Sei un vero coglione ma senza di te non posso stare.” “Idiota a che ora finisci?

Tutte le sue speranze prevedevano un insulto alla sua persona con la conseguente riappacificazione però... << Ho portato le tue cose. >> disse invece l’altro e Jacopo abbassò la testa, sconfitto dall’ennesimo rifiuto a seppellire l’ascia da guerra.
 
Senza commentare si passò una mano dietro la nuca e guardò Daniel con gli occhi bassi: seguì il profilo dritto e ben squadrato, la cadenza dei capelli leggermente lunghi in direzioni opposte, gli zigomi marcati e gli occhi… quegli occhi ambra così caldi di natura ma resi gelidi dalla tempra del corvino. Erano magnetici. Due fanali contornati da lunghe e folte ciglia nere che li facevano risaltare di più.

<< Che c’è? >> chiese il diretto interessato sentendosi osservato e allora lui alzò le spalle, sentendosi sempre più male all’idea di lasciarlo andare.

<< Vuoi davvero rompere con me? >> riuscì ad articolare Jacopo in un sussurro e quando l’altro non rispose fu come avere la certezza che si, quella volta l’aveva combinata grossa, e che no, la faccenda non si sarebbe sistemata col tempo. La consapevolezza di ciò gli strappò il cuore.

 Rassegnato a quell’ostinazione irrigidì la mascella voltando il volto di lato e allungò una mano, pronto a ricevere ciò che in quasi cinque mesi avevano condiviso.
 
Daniel notata la rassegnazione e la desolazione nel volto di Jacopo, divenuto cinereo nonostante lui non avesse parlato, esitò.

Esitò nel dargli la busta poiché aveva capito da ogni suo gesto, espressione e tonalità vocale che era davvero terrorizzato all’idea di rompere e lasciarlo.

Era fra l’incudine e il martello e doveva decidere.

Lanciato un sospiro leggero e socchiusi gli occhi,  mosse la mano con la busta e fu sul punto di consegnarla, sfiorando le dita gelate quanto le sue di Jacopo, che non mosse un muscolo tendendo la mano e il braccio con viva passività.
 
Daniel allora cercò i suoi occhi, cercando di capire il perché di quell’ostinato silenzio e setacciò il profilo del biondo, alla ricerca di qualcosa.

Quel qualcosa ebbe il potere di farlo sentire tremendamente in colpa: Jacopo aveva continuato a guardare il muro del locale, ma nell’unico occhio che riusciva a vedere, vista la posizione, era lucido e metà già riempito di lacrime che si ostinavano a rimanere dentro la barriera degli occhi.

Bloccò il movimento del braccio, strinse i manici della busta e rimase in bilico, sfiorando la pelle dell’altro che prese a vibrare leggermente.

<< …bhé? Non hai detto che è finita? >> sbottò ad un certo punto Jacopo senza muoversi da quella posizione scomoda e Daniel sbatté per un attimo le palpebre, cercando di accostare il ricordo della voce sempre gioiosa del biondo a quella affranta e bassa del momento: non aveva mai sentito quella sfumatura.

Jacopo si diede dell’idiota: si stava comportando come una ragazzina innamorata; eppure i suoi occhi avevano preso a riempirsi di lacrime e non poteva che lasciarle cadere, ma non davanti a Daniel.  Tutto, tranne quello.

Allora strinse i denti, chiuse di botto tutti e due gli occhi, cancellando l’unica lacrima che gli era scesa dall’occhio sinistro e li riaprì facendosi violenza per imporsi calma, la seconda cosa che si impose fu il rilassarsi e la terza di guardarlo con il sorriso più verosimile che avesse mai recitato.
 
Lo fece e vide Daniel con le sopracciglia aggrottate e la mano protesa ancora a sfiorare la sua. Sorrise e con la stessa mano afferrò i manici compiendo una piccola pressione per lasciarla andare al corvino che sembrò ancora più turbato.

<< Non preoccuparti, Daniel, ho capito. Forza, ti accompagno di là, così torno ad aiutare Marco in negozio. Se dovesse arrivare il proprietario e mi vedesse qui sarebbero guai per tutti e due. >> si mise in piedi e poggiò una mano sulla spalla del più basso, accompagnandolo fuori nel modo più naturale che conoscesse.

L’altra mano ebbe un fremito ma fu subito contenuto mentre Matteo cercava gli occhi verdi di Jacopo. Quando li trovò il volto del moro si fece scuro capendo quanta forza di volontà stesse esercitando per sorridere e trattarlo come sempre.

<< Puoi sederti qui se ti va’. Oggi sei fortunato, offro io. Il caffè vero? A te non piace né la cioccolata e né il tè, vero? >> sentì il commento vuoto di Jacopo e alzò gli occhi marroni dalla lavastoviglie che aveva appena messo in moto per vederlo avvicinare con un’espressione vuota e cercava di rimanere calmo, mentre macchinava con la macchina del caffè.
 
<< Mh… passi la tazzina? >> gli mormorò con gli occhi vacui, compiendo i movimenti in modo meccanico e lui annuì, trovando inopportuno dire qualcosa in quel momento, vista la precarietà della  recita che stava mandando avanti.

Matteo allora si decise a guardare il ragazzo dai capelli d’ebano con l’intento di studiarlo e un piccolo sorriso gli nacque in volto quando vide il turbamento in fondo ai suoi occhi: quindi se ne era reso conto anche lui.
 
Matteo schioccò la lingua contro il palato per un paio di volte vedendo l’ex del biondo bere la bevanda, seguendo ogni suo movimento come a volerlo studiare e si seccò leggermente, capendo che non si sarebbe mosso nemmeno per parlargli francamente o rassicurarlo.

Si riscosse quando il rumore di vetri infranti gli arrivò all’orecchio e lo fece sobbalzare.

<< Stai bene? >> chiese di slancio andando ad aiutare Jacopo, che aveva fatto cadere dei bicchieri vuoti dal vassoio e adesso era chino a raccogliere i cocci con le mani, incurante del potersi tagliare.

<< Jacopo… >> lo chiamò ancora, poiché il biondo non rispondeva e si era anche tagliato. << Ci penso io. >> continuò e solo allora gli occhi verdi dell’amico ripresero vigore divenendo lucidissimi.

<< Sono rotti, non si può fare nulla, no? >> mormorò e le campanelle della porta si mossero due volte: una per aprirsi dall’interno e l’altra per chiudersi.

<< E’ andato… Jacopo, puoi rilassarti. >> Matteo si ritrovò a dire, abbassando lo sguardo per cercare di ottenere la sua attenzione.

<< E’… >> il biondo si piegò su se stesso tenendosi stretto e piangendo come non gli aveva mai visto fare. Fortuna che il locale fosse vuoto.
 
 
L’unica cosa che era rimasta a Jacopo di Daniel era il taglio profondo sul palmo, vicino all’indice destro della mano che si era andato a cicatrizzare completamente senza lasciare più traccia dopo tre settimane. Da quando avevano rotto tre mesi dietro, Jacopo aveva dato il massimo in ogni cosa, senza prendersi mai un giorno libero da lavoro, in turni che solo dei pazzi potevano sostenere e senza uscire più la notte con gli amici.

<< Scusi… >> la voce di una donna lo portò nuovamente a guardare davanti a sé e salutò cordialmente la piccola famiglia che era appena entrata dentro il locale.

<< Mi dica. >> e sorrise, salutando con la mano la piccola bambina dagli occhi di cerbiatta e le guanciotte tonde e rosate che lo stava studiando dal basso.

<< Ah, scusi, fa sempre così… >> disse la madre e lui fece spallucce, abbassandosi all’altezza della bambina.

<< Ciao, io sono Jacopo, che desideri? >> le chiese e la bambina arrossì, facendo divenire le guance ancora più rosse e portandola a nascondersi dietro la gamba della madre.

Allora si rimise in piedi e parlò con la donna, facendogli strada verso un tavolo per tre persone, salutando il marito quando entrò nel locale.

Li fece accomodare e tornò alla sua postazione, osservato da Matteo che lo chiamò indicandogli in basso. Jacopo aggrottò le sopracciglia e seguì l’indicazione per sorridere alla bambina.

<< Dimmi. >> disse e la bimba tese le labbra in una linea diritta, come se stesse pensando a cosa dire.

<< Sei alto, eh? >> la voce della bambina gli arrivò incredibilmente limpida e acuta, facendolo sorridere. << Come mai sei così alto? Hai bevuto tanto latte? La mia mamma dice che il latte fa crescere e che aiuta a divenire forti. Il mio papà mi ripete che anche le verdure fanno divenire forti ma a me non piacciono tanto, soprattutto quelle verdi. >>

Disse tutto d’un fiato la piccola e lui strabuzzò gli occhi mentre Matteo scoppiò in una risata leggera e spensierata.

<< Emh… >>  si guardò intorno ricordando la metà di quello che gli avesse detto, veloce com’era stata.

<< Michela! Lascia lavorare il cameriere! >> la rimproverò la donna, però la bimba gonfiò le guance e continuò a guardarlo. Lui fece intendere che non gli dava fastidio.

<< Certo, la mamma e il papà hanno ragione. Bisogna mangiare tuuutte – enfatizzò il tutte allargando le braccia e allungando la “u” - le verdure, anche quelle che non ci piacciono, per crescere forti e alti. >> assunse un’aria saccente e la bambina sgranò gli occhi.

Matteo scoppiò a ridere un’altra volta dietro il bancone, mentre i clienti guardavano la scena addolciti.

<< E tu sei forte? >> tornò alla carica Michela.

<< Vuoi vedere? >> si abbassò alla sua altezza, gli fece l’occhiolino mentre il volto della bambina si illuminava e annuiva velocemente facendo muovere i capelli chiari a destra e manca. Allora Jacopo assunse un tono cospiratorio e avvicinò l’indice alle labbra, facendola avvicinare a sé: quando si avvicinò maggiormente, curiosa, Jacopo la prese in braccio e

Michela rise, divertita.

<< Bene, sono o non sono forte? >> chiese e la bimba disse di si in mezzo alle risate. << Ok, ora però torna da mamma e papà, loro in confronto a me sono due titani. >> e la lasciò andare mentre lei contenta, soddisfatta e trotterellante tornava dai genitori che lo guardarono con ammirazione. Quando la bambina tornò al suo cospetto chiedendogli il significato di “titano” fu felice di quella situazione diversa dal normale.
 

<< Oggi sei stato davvero tenero con quella bambina! >> sbottò Matteo a fine giornata e lui fece un gesto di non curanza.

<< Mi sono capitate cose peggiori durante i miei lavori. Una volta, per esempio, ero vestito da clown in una festa di pesti che non avevano perso tempo a lanciarmi contro ogni tipo di tartina. >> rabbrividì e Matteo scoppiò a ridere ancora, battendo gli ultimi numeri sulla tastiera per chiudere la cassa.

L’orologio del Duomo segnava le undici in punto.

Anche se solitamente gli altri locali aprivano a quell’ora e tiravano per tutta la notte, quel periodo il direttore del locale aveva dato espresso ordine di aprire alle sette del mattino e chiudere alle undici in punto.

Si ritrovarono immersi nel caotico tram-tram dei locali notturni e il telefonino di Matteo prese a squillare. Il ragazzo lo prese, vedendo nel display il nome della propria ragazza.

<< Amore… >> cominciarono a parlare e Jacopo si estraniò del tutto, guardandosi intorno come se potesse trovare qualcosa di nuovo.

Si soffermò sulla Cattedrale di Messina come spesso accadeva un po’ a tutti e guardò il campanile partendo dal basso.

Posò i suoi occhi sulla Morte e rabbrividì trovandola sempre troppo cruda e sospirò, continuando la sua ascesa fino ad arrivare alle figure di Dina e Clarenza, le due “eroine” della collina. Cercò di distinguere le lettere latine al buio, nella fiancata sinistra del campanile, per leggere i nomi dei segni zodiacali e dei dodici mesi, ma abbandonò subito l’idea trovandolo troppo oscuro e i suoi occhi troppo stanchi.

<< Oi, mi ascolti? >> la mano di Matteo gli sventolò davanti al viso e arrossì, scusandosi per la poca presenza. << Bhé, è da un po’ di tempo che ti assenti con la testa… >> mormorò il moro portandosi le braccia dietro la testa e sorrise, afferrandolo per un braccio con il chiaro intento di trascinarlo a forza.
 
In un primo momento Jacopo si lasciò trascinare, noncurante degli sguardi dei passanti, ma dopo alcuni metri prese a domandargli dove stessero andando.

<< Fidati di me! >> trillò l’amico, mentre una macchina nera accostò a loro con fare sospetto. Improvvisamente lo sportello si aprì e Jacopo venne letteralmente catapultato dentro, mentre alcune mani soffici, piccole e fresche lo acchiappavano e lo trascinavano dentro.

Jacopo sbarrò gli occhi ma poi si tranquillizzò quando capì chi ci fosse alla guida dell’abitacolo e chi lo stesse trattenendo con tanta dolcezza.

<< Naomi… Cassandra… >> salutò cordiale, mentre quella alla guida baciava Matteo con trasporto e ricambiava il saluto, ridente.

<< Jacopo… >> salutò Cassandra e Jacopo arrossì, essendo appoggiato contro il seno prosperoso e abbondante della ragazza mentre questa non faceva e diceva nulla per farlo spostare.  << Comodo? >> ridacchiò la castana e gli occhi azzurri saccentemente truccati baluginarono di malizia.

<< Vuoi che ti risponda? >> stette al gioco lui e Cassandra rise divertita, mentre Naomi continuava a condurre la macchina la macchina ignorando i solleciti a dare il cambio  a Matteo nella guida. Le sue attenzioni tornarono alla conducente e rise, pensando che lo stettero accompagnando a casa, che era in centro. << Grazie. >>  sbottò infine convinto e i due fidanzati gli lanciarono un’occhiata strana, andando nella direzione opposta alla sua abitazione.

<< Per averti rapito? >> chiese ironicamente Naomi e Cassandra concluse. << Non c’è di che. >>
 
Sgranò gli occhi e si mise finalmente seduto, aggrottando le sopracciglia. << Sono disposto a buttarmi giù dalla macchina in corsa! >> minacciò ironicamente e quelli risero, mettendo le sicure per enfatizzare il concetto di “prigionia”. << Mi spiace amico, ma questa sera verrai con noi al Blu Sky e ci divertiremo da impazzire, vero tesoro? >> proferì saccentemente Matteo.

La macchina sterzò prendendo la strada in direzione della passeggiata e Naomi, una ragazza dai capelli biondi e due occhi cioccolato con il fisico prosperoso ma elegante, mostrò un’altra volta di essere d’accordo con il fidanzato annuendo e lanciando lui una busta bianca. << Puoi cambiarti tranquillamente in macchina, i vetri non sono trasparenti. Cassandra giù le mani dalla roba, ok? >> ironizzò ancora, mentre Jacopo manteneva la busta in mano con la bocca aperta e fissava una volta la mora e l’altra la bionda.

<< Ah, giusto, dentro c’è il borotalco, un deodorante e un profumo… vedete di utilizzarli, mh? >> finì Naomi, guardando male tutti e due i ragazzi che si lanciarono un’occhiata d’intesa.
 
Jacopo rise spensierato e prese a spogliarsi, aiutato volentieri da Cassandra, la quale prendeva i vestiti e li piegava automaticamente ponendoli nella busta.

<< Grazie..? >> disse in tono ironicamente dubbioso e passò il profumo a Matteo che lo afferrò come se fosse la soluzione ad ogni male.

<< Non c’è di che biondo! >> ribatté euforica Naomi, che non aveva smesso di parlare con Cassandra a proposito dell’università.

<< Un altro esame? >> s’incuriosì e le due ragazze scossero la testa, spiegando che era solo uno dei soliti cervelloni del corso ad aver quasi raggiunto il numero di esami necessari per dare la laurea.
 
<< Uff… >> sbuffò Cassandra e Naomi scoteva la testa, tornando vivace e allegra al solo vedere l’insegna del locale.

Cassandra al suo fianco si mise diritta e afferrò dalla borsetta uno specchietto portatile, controllandosi i capelli e il trucco.

<< Cosa festeggiamo..? >> sussurrò Jacopo, terrorizzato all’idea di rimettere piede dopo tanto tempo in un locale pubblico.

<< I nostri trenta in Sociologia! >> saltellarono euforiche le due ragazze e loro sorrisero.

Quando scesero dall’abitacolo, trovando un parcheggio sul lungomare, Jacopo fu investito dall’odore del mare, che era leggermente agitato ma limpido come al solito.

Si fermò un attimo a contemplare la luna, maledicendo quei lampioni rossi per strada, venendo carezzato dalla gentile brezza del mare e conquistato come al solito dal movimento delle onde sul bagnasciuga. Facendo attenzione a non sporcare il giubbotto bianco, ( prestatogli da Matteo ) sulla ringhiera umidiccia e in alcuni punti arrugginita, poggiò i gomiti sulla stessa, per poggiarsi di peso sulla protezione. Era teso e non voleva essere lì, ma per amore dei suoi amici sarebbe stato al gioco, anche se non trovava la compagnia di Cassandra essenziale. Sospirò e socchiuse gli occhi, catalizzando le attenzioni sulla spiaggia visibile dal basso e sulle imbarcazioni parcheggiate in fila.
 
<< Rilassati… >> sobbalzò, ma sorrise alla castana che poggiò anche lei i gomiti sulla ringhiera, senza accovacciarsi, stringendo le braccia e lasciando che buona parte del seno trovasse appoggio sulle braccia per sollevarsi. << Si vede da lontano che non vorresti essere qui, ma non biasimarli, erano tanto in pena per te che mi hanno praticamente pregata di venire e tenerti compagnia. Nel locale dovrebbero esserci alcuni colleghi di facoltà… >>

Lui annuì, con un sorriso sincero sulle labbra.

<< Non cambieranno mai. >>  sussurrarono insieme e si sorrisero, decidendo di comune accordo di avvicinarsi alla coppia che aveva preso a pomiciare senza pudore, aspettando che consegnassero loro i biglietti. Quando li consegnarono e pagò Matteo, Jacopo arrossì, annotandosi mentalmente di tornare i soldi all’amico. 


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Terzo Capitolo. ***


Terzo Capitolo. 



Entrati dentro il locale, trovare qualcosa del pudore o della sobrietà mondana fu impossibile. << E’ sabato sera, infondo, cosa ti aspettavi? >> ridacchiò Cassandra, dovendosi avvicinare all’orecchio del biondo per farsi sentire.

Nell’aria risuonava musica di natura elettronica dai dubbi testi, le luci accecanti e colorate erano le uniche a rischiarare l’ambiente altrimenti buio e odori andavano a mescolarsi tutti insieme, mentre nella pista vi era una massa spropositata di persone a ballare nei modi più ridicoli possibili. Ovviamente non disse nulla né quando Cassandra lo tirò in pista, né quando

Matteo e Naomi li affiancarono, muovendosi a pochi centimetri l’uno dall’altra in un danza in cui sarebbe stato mortale intromettersi. Si lasciò trascinare e influenzare dall’euforia generale e si sentì decisamente meglio, allontanando il pensiero della profonda ferita che ancora pulsava a causa di Daniel.

Non doveva pensarci e divertirsi. << Cassandra, cosa stai bevendo? >> la ragazza alzò le spalle, continuando a bere dalla cannuccia nera e allora lui azzardò a sfilare la cannuccia dalle labbra della mora e assaggiare il concentrato di liquori mischiati insieme.

Annuì a se stesso e s’avvicinò al bancone con appresso la ragazza, che preferiva non lasciare sola in un covo di maniaci. << Che sei cavalleresco! >> aveva ridacchiato allora e lui era leggermente arrossito.
 
<< Cosa ti porto? >> sbottò il barista e si fece fare la specialità della casa, bloccando l’uomo prima che potesse dire la composizione della bevanda.

<< Andrà bene. >> il barista alzò le spalle e consegnò il bicchiere, continuando il suo lavoro senza curarsi di loro.

<< Non ti facevo così intraprendente... >> mormorò Cassandra e lui alzò le spalle, ridendo in modo spensierato per la prima volta dopo mesi.

Matteo e Naomi li raggiunsero al bancone e il dj della serata mise una pseudo Somebody that I use to know di Gotye, mixata in modo orribile che in barba a tutto si mise a cantare, seguito a ruota dalla sua comitiva.
 
<< Ehi, usignoli! >> si interruppero quando una ragazza dai capelli neri si attaccò al collo di Cassandra e successivamente a quello di Naomi in un saluto sincero e tipico.

<< Cosa ci fate qui?! >> la ragazza, dai capelli corvini, gli occhi ambra e snella dalle forme generose, guardò solamente le donne, mentre lui e Matteo si ritrovarono a sorseggiare i loro drink osservandole. << Che diavolo hai fatto ai capelli?! >> urlò ad un tratto Naomi e la diretta interessata prese fra le dita una ciocca di capelli nera, guardandola come se fosse normale.

<< Li ho tinti. Perché? >> disse la nuova arrivata e al lamento di Naomi si unì anche quello di Cassandra.

<< Erano così belli biondi... perché questa decisione?! >>

<< Bhé, in famiglia l’unica ad essere venuta bionda sono io...  >> le ragazze continuarono a parlare e loro presero ad ignorarle, interessandosi poco a capelli e a gossip.
 

<< Ha un viso familiare. >> sbottò ad un tratto Jacopo, riferendosi alla ragazza dai capelli neri e Matteo aggrottò le sopracciglia, sorseggiando l’analcolico alla frutta che era stato costretto a prendere, visto che guidava lui quella sera.

<< Dici? E’ la prima volta che la vedo, non so nemmeno come si chiama. >> sbuffò Matteo e lui alzò le spalle.

<< Somiglia molto a... >> ma non finì la frase che il diretto interessato affiancò la ragazza dai capelli neri, piccato in viso.

<< Daniel. >> finì Matteo, che aveva calcolato tutto, ma proprio tutto, tranne che quello. Imprecò a denti stretti e osservò di sottecchi Jacopo, che era rimasto immobile.

<< Ecco dove ti eri cacciata! >> sentirono dirgli a voce alta ed entrambi pregarono che non li vedesse in mezzo a tutta quella gente, ma, come ogni volta in cui Jacopo sperava spudoratamente in un evento, le luci si puntarono tutte sul biondo, ponendolo al centro delle attenzioni e…dello sguardo ambra e glaciale di Daniel, che aveva inaspettatamente allargato gli occhi.

<< Ehi biondo! Sei fortunato! Le ragazze del locale ti hanno scelto come individuo più sexy e allo stesso tempo dolce del locale! Mentre tu… >> e un altro occhio di bue andò ad illuminare Daniel che ringhiò. << Caratterino! >> scherzò il dj << Tu sei stato votato come volto più sexy e tenebroso del locale! Forza avvicinatevi al mixer, i miei colleghi vi hanno preparato dei cubi per far vedere la vostra bellezza! >>

Jacopo si mosse per primo, impanicato, sperando di poter sfuggire ancora a quegli occhi ambra. Daniel imprecò ad alta voce. << Dimmi Sara: è stata tua l’idea? >> ringhiò contro la sorella, mentre lei rideva spensierata e lo spingeva verso il palco.

<< Esatto, quindi vai bel maschione e sii semplicemente te stesso: sei assolutamente tenebroso! >> scherzò Sara. Matteo e Naomi si scambiarono un’occhiata d’intesa, pentiti di aver iscritto l’amico a quel sondaggio.
Cassandra li avvicinò. << Non potevate saperlo, ragazzi. >> si limitò a dire per tirarli su di morale.
 
Jacopo sorrise in modo sincero mentre saliva sul cubo e salutava le persone presenti in sala, arrossendo come al solito, ricordando la prima volta che aveva incontrato Daniel.

Si erano incontrati al M’Ama, partecipando in modo consapevole ad un sondaggio organizzato dalla famosa dj della serata; erano stai costretti a partecipare e a inserirsi nelle file dei ragazzi biondi e rossi, per Jacopo, e nelle file dei ragazzi mori e corvini per Daniel.

Entrambi con i musi lunghi, visto che non volevano partecipare, avevano vinto i rispettivi primi premi. “Il ragazzo caratteristico.” Nella mente di Jacopo il ricordo tornò vivido, anche perché erano stati messi gratuitamente allo stesso tavolo con due bottiglie a scelta.

Avevano parlato pochissimo ma a fine serata erano stati costretti anche a scambiarsi i numeri.

Dopo l’aver ricordato e sorriso con tenerezza, fece bel viso a cattivo gioco, lasciando spiazzato Daniel.
 
Infatti lui aveva vissuto i tre mesi immerso nei libri per non pensare al rimorso di quel pomeriggio che l’aveva lentamente divorato e reso ancora più apatico del normale. Lui che solitamente rimaneva impassibile anche al fatto più eclatante, era rimasto turbato dalla reazione di Jacopo, condizionandolo in modo più o meno permanente. L’essere in un locale come il Blu Sky in quel momento, era un’eccezione dettata dalla supplica di Sara e di alcuni suoi amici nello staccare la spina.

Sapevano tutti che lui non staccava mai la spina dal memorizzare, eppure aveva acconsentito sentendosi leggermente stufo di rimanere rinchiuso in camera ad analizzare e analizzare la scena che, anche volendo, non avrebbe potuto mai dimenticare.

Salì sul piccolo palchetto ( li avevano chiamati cubi?! ) allestito alla bell’è meglio e rimase fermo, immobile come suo solito, lanciando ogni tanto delle occhiate alle ragazze che morivano solo a guardarlo.
 
Dopo alcuni minuti ruotò leggermente il busto, guardando Jacopo: sorrideva in modo naturale… che stesse ricordando il loro primo incontro? Si chiese e sembrò così quando anche il biondo gli rivolse un sorriso ampio, divertito, come il primo di una lunga serie che gli aveva regalato in quei cinque mesi di relazione. Il suo cuore compì una capriola.

Si disse che stesse andando tutto bene e quasi fu tentato di rispondere al sorriso, ma fulmineo come si era girato nella sua direzione, Jacopo aveva ripreso a salutare ragazze e ragazzi che l’avevano votato, senza degnarlo più di un’occhiata.

Si sentì… deluso. Certo non lo diede a vedere, ma quel senso d’insoddisfazione gli circondò subito il cuore, rendendolo ancora più cupo e schivo, facendo crescere i fischi di gradimento delle ragazze nei suoi confronti.
 
Si riscosse dalla sua cupidigia solo quando Jacopo afferrò il microfono e prese a parlare, ridente come al suo solito, rivolto a uomini e donne.

<< Buonasera! Il mio nome è Jacopo Resti, ho ventitre anni e sono single. Visto che mi avete gentilmente votato, ho deciso di ballare con ognuno di voi. Maschi o femmine per me è lo stesso, quindi se l’altro ragazzo non ha nulla da dirvi io comincerei subito per accontentarvi tutti! Ah… grazie ai miei amici: Naomi, Cassandra e Matteo, per la splendida serata! >> concluse, facendo elevare grida e fischi di giubilo in tutta la sala.

Daniel vide Jacopo sospirare e guardare il microfono. Il cuore gli accelerò in petto ma non si mosse da quella posa statica, aspettando che il biondo si girasse a guardarlo.
Incrociò gli occhi verdi, e vide i tratti somatici più marcati ( che fosse dimagrito? ) e rabbrividì quando la sua mano sfiorò le sue dita, entrando in contatto. << Tieni. >> mormorò Jacopo e lui fece per parlare, di cosa gli era oscuro, solo per sentirgli nella voce il tono di chi ti vuole bene e nonostante tutto ti ha perdonato.
 
Redenzione. Che lui stesse cercando la redenzione al senso di colpa? Non ebbe il tempo di fare nulla, nemmeno afferrarlo per un braccio e farlo voltare verso sé, che la voce del dj gli chiese se avesse qualcosa da dire. Ringhiò al microfono per la rabbia e le ragazze continuarono a morire, prossime all’orgasmo mentale. Le danze ripresero e lui venne avvicinato da un ragazzo dello staff, che gli spiegava che il tavolo al secondo piano, quello panoramico, era completamente a loro disposizione e che avrebbero avuto diritto a tutti i tipi di bottiglie a loro gusto per un massimo di due a testa e di sei cocktail in tutto.

Daniel annuì e presa Sara per un gomito, s’apprestò a salire e occupare il tavolino per dieci persone che avevano vinto. Per tutta la serata non fece altro che guardare Jacopo danzare ora fra le braccia di una vogliosa riccia, ora fra le braccia di un ragazzo alto dalla muscolatura prestante, o semplicemente circondato da tutte le sue ammiratrici, sentendo la gelosia corrodergli il petto nell’esatto momento in cui il biondo strofinava una qualsiasi parte del corpo contro qualcuno. << Non dovresti provare gelosia, sai? >>

La voce di Sara gli arrivò diretta e lui fece una smorfia di disappunto. << Lo so. >> ammise.
 
<< E allora perché la provi, visto che sei stato tu a lasciarlo? >> continuò la finta nera, come a volergli rendere quelle ore un vero incubo.

<< NON sono stato io a lasciare lui… mi ha preceduto, travisando… >> la sorella ridacchiò dando un’energica aspirata al cocktail alla frutta che teneva fra le mani e ad adocchiare un ragazzo che rispondeva alle provocazioni.

Sorrise e continuò.<< No, semmai sei stato tu incoerente. Ah… dannato orgoglio! >> disse teatrale e continuò. << Pensa se voi aveste continuato a stare insieme, lui idiota per com’è e tu bacchettone che non sei altro, chi pensi che avrebbe guardato Jacopo? Secondo me ti avrebbe seguito in capo al mondo… e io non lo conosco. >> il sorriso biricchino della ragazza andò ad allargarsi nel fare centro e se ne andò, accettando di buon grado il bicchiere che aveva levato in aria il suo nuovo trastullo. << Pensaci, mh? >> finì e al  grugnito del fratello lei annuì lasciandolo solo; in fondo anche le menti più acute ogni tanto hanno bisogno di una spinta, no?
 
La suddetta arrivò per Daniel solo quando non fu più in grado di notare Jacopo in mezzo alla folla. Scomparso. Come se in un attimo avesse deciso di uscire fuori dal locale e andarsene… senza nemmeno usufruire delle loro consumazioni.

<< Ehi… >> Sbottò ad un certo punto, vedendo Matteo e la ragazza di cui ignorava il nome al loro tavolo, intenti a pomiciare liberamente, richiamando i due piccioncini a terra. Matteo sbuffò, trovando Daniel fastidioso e maleducato, però, per amicizia di Jacopo avrebbe mantenuto un certo controllo.

<< Dimmi. >> sbuffò semplicemente, guardandolo con indifferenza, mentre Naomi fra le sue braccia si irrigidiva capendo solo in quel momento che Daniel Serri – il cervellone che in nemmeno tre anni stava per laurearsi – fosse lo stronzo che aveva portato uno dei suoi più cari amici alla totale indifferenza e il suo adorato Matteo alla cupidigia nel vedere l’unico amico sincero che avesse, in balia di tempeste interiori non indifferenti.

<< Jacopo..? >>

<< Non penso che debba interessarti ciò che fa, no? >> fu la risposta lesta e tagliente della ragazza, bloccando addirittura il principio d’approccio che stava per instaurare Matteo.

<< No, però… >> inutile dire che venne bloccato ancora una volta.

<< Bene, visto che lo sai, allora lascialo in pace. Non ti basta averlo lasciato per –Dio! – una sciocchezza non dettata da lui e adesso pensi di avere l’esclusiva o l’anteprima di ciò che fa in una discoteca piena di persone che vorrebbero portarselo a letto. No? >>

Matteo strinse la labbra per evitare di ridere in faccia al corvino, che chiuse di scatto la mascella e la irrigidì, continuando a guardare la bionda in modo serio e fiero, quasi le sue parole non l’avessero toccato. << Ah, e poi, se ti senti in colpa per quello che hai fatto e cerchi il perdono, non è così che l’otterrai. Sei solo un codardo… >> concluse la ragazza, tornando ad ignorarlo e ricominciare a baciare Matteo, mentre il corvino batteva le palpebre in modo accigliato.
 
Quando si rese conto del fondamento delle parole della ragazza, sbatté una mano a palmo aperto sul tavolino, in modo così forte da far girare molte persone a distanza di tavolini pur essendoci la musica a palla e chiacchiericci incomprensibili.

S’alzò in piedi, certo di voler andare a cercare il biondo pur in capo al mondo per potergli parlare, per non perderlo del tutto, per rimediare alla sua più grande cazzata, al rimorso che avrebbe rimpianto a vita nell’averlo lasciato andare.

Matteo, vista la reazione del corvino e la fierezza della propria ragazza, sorrise. << Sposiamoci. >> affermò ad un tratto, mordendole l’orecchio e lei rimase di sasso, spalancando gli occhi che divennero lucidi e già pronti a piangere.

<< Sei ubriaco? >> domandò incerta.

<< Mai stato più serio e sobrio in vita mia. Vuoi sposarmi? >> disse e la ragazza annuì, piangendo di gioia.
 
Cassandra e Jacopo alla fine si erano appartati. Nulla che si potesse definire amore, scisso completamente da quell’argomento. Il loro era un rapporto dettato dall’alcol in eccesso e dall’eccitazione di entrambi nel sentire l’adrenalina in circolo. Uno per la presenza inopportuna di Daniel, l’altra per semplice voglia di farlo dettata dell’alcol.

Erano usciti dal locale adibito a discoteca e si erano lanciati sulla spiaggia, in un inseguimento a piedi nudi che poteva anche essere inteso come un gioco fatto da amici… se non si fossero appoggiati contro degli scogli a fare ben altro.

Oramai erano andati oltre il pronunciabile, lasciandosi trasportare dalla lussuria. Non ebbero nemmeno bisogno di togliersi i vestiti poiché a Jacopo era bastato spostare la gonna di per sé corta leggermente più in alto, per scivolare senza difficoltà nella ragazza dopo aver indossato il consueto profilattico per quei generi di rapporti.
 
Daniel era così che li aveva trovati: avvinghiati in una danza oscena, nascosti e protetti dall’oscurità che la luna  gettava dove non illuminava con la sua luce e… rimase fermo a guardarli per alcuni minuti, nella quale si potevano sentire perfettamente dei gemiti acuti e quasi osceni, sommersi dalla musica assordante. Perché il corvino li sentisse così alti e sconfortanti non seppe spiegarselo.

Restava il fatto che Jacopo era andato avanti, dal punto di vista di Daniel, e fosse solo per la stupidità dimostrata in passato, con una ragazza. La sua stupidità. La stupidità che pensava di non avere.

Con la testa bassa Daniel si girò, dando una veloce occhiata alla luna: fu coperta da delle nuvole proprio in quel momento.

Quale segno poteva mai essere più eloquente delle parole? 



Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo Quarto. ***


Capitolo Quarto.
 



L’indomani mattina entrambi si svegliarono presto in condizioni simili e presero a riflettere.

Era stato come il lampo in un cielo oscurato da folte nuvole, il loro incontro. Forse era un modo per vedere quanto ancora s’amassero, nonostante la vita che portavano avanti l’uno senza l’altro.

Così come la nostalgia e il desiderio di perdersi nei loro momenti andava via via a crescere, anche il loro amore si nutriva della malinconica pressione dei ricordi.

Dovevano solamente fare un passo per riprendersi, o almeno, avvicinarsi quel tanto che li avrebbe portati a potersi frequentare ancora una volta e ad amarsi con la stessa intensità.
 
<< Jacopo… >> fu la prima cosa che sussurrò Cassandra fra le sue braccia nude, strofinando delicatamente il naso contro il petto. << Buongiorno… >>

<< Buongiorno… >> sussurrò di rimando il biondo e lei sorrise, alzandosi lentamente e infilandosi la biancheria addosso. << Dove vai? >> borbottò Jacopo e lei lo guardò in modo sghembo.

<< A casa prima di andare in facoltà. >> annuì a se stessa.

<< E la colazione? >> riprese Jacopo e lei scosse la testa castana in segno di diniego. << Nemmeno un caffè? Latte? >>  allora sbuffò prendendo a frizionarsi i capelli con le dita. << Dai? Non voglio che sembri solo una scopata dettata dall’alcol. >> ammise infine.

<<  E cosa sarebbe? >> sbottò allora Cassandra e lui sorrise sbieco, aspettandosi una risposta del genere.

<< Una notte di fuoco fra due amici >> disse in modo caldo, abbracciando la vita seminuda della ragazza per tirarla a sé e farle il solletico. << Dai… >> gli sussurrò nell’orecchio dopo aver spostato i capelli castani dal collo e socchiuso gli occhi.

<< No… >> mormorò ancora lei e lui rise, vedendo come si stesse arrendendo. Allora prese a baciarle il collo scoperto e sentì i muscoli tesi fra le sue mani rilassarsi.

Si ritrovarono in cucina a parlare del più e del meno, davanti ad una tazza fumante di caffèllatte a parlare della serata, indicando le due bottiglie non identificate gettate al suolo vicino al pianerottolo.

<< Daniel ha cercato di parlarti. >> proruppe ad un certo punto Cassandra e lui strabuzzò gli occhi.

<< Cosa? >> mormorò, tossendo il caffè appena ingerito.

<< Si, ti dico! Anche mentre eri sul palco ha cercato di parlarti! >>
Jacopo si portò una mano dietro la nuca e cercò di rimanere lucido e calmo. << No. Lui mi ha effettivamente lasciato, Cassandra, non è come dici. >> si limitò a dire e la ragazza scosse la testa, gettandogli davanti al naso le mosse di Daniel della sera precedente.

Passarono gran parte del loro tempo mattutino insieme, anche perché Jacopo si prodigò per accompagnare Cassandra in sede.

<< Tanto mi viene di strada! >> sterzò ancora il biondo ai rifiuti della ragazza che a quest’ultimo dovette capitolare, accettando la compagnia del biondo.
 
Daniel si sentì soffocare non appena si rese conto di essere sveglio.

Non ricordava nulla della serata, a parte che aveva visto Jacopo e Cassandra intenti a fare del sesso, se stesso che tornava in locale e cominciava a bere pur di poter cancellare quella macchia indelebile e dolorosa dalla mente e... e poi?

Non aprì gli occhi di scatto ma si rese conto della luce accecante che filtrava dalle palpebre stesse e schiuse gli occhi lentamente, sentendo comunque un caldo asfissiante, male alla testa e la voglia di andare a bere una cisterna d’acqua.

Sobbalzò quando un braccio  gli strinse la vita e si ritrovò a guardare il volto di una ragazza bionda, addormentata, con evidenti succhiotti sparsi un po’ dappertutto, nuda.

Anche lui era nudo, forse, quella era l’unica cosa positiva per lenire il suo caldo, eppure si sentiva una merda, lercio del tradimento verso qualcosa di inesistente.

La ragazza aprì gli occhi lentamente e Daniel s’irrigidì più di quanto già  non fosse, vedendo delle pozze verdi simili a quelle di Jacopo.

Prima ancora che la ragazza potesse svegliarsi del tutto, scattò in piedi e si diresse verso la cucina, con uno sguardo poco rassicurante e gelido. << Tornatene a casa, se vuoi puoi utilizzare la doccia. >> si limitò a dire e la ragazza scattò seduta e con gli occhi sgranati in pochissimi secondi.

<< Cosa? >> sussurrò impietrita e Daniel poté leggerle il panico e l’irritazione crescere sempre più.

<< Hai capito. >> sbottò non curante e solo allora la biondina s’azzardò ad alzarsi, mostrandosi nuda senza imbarazzo.

<< Jacopo, eh? >> pronunciò con scherno e Daniel fece finta di nulla, inarcando un sopracciglio.

Sfortunatamente per lui la mattina era il momento in cui le sue emozioni erano facilmente visibili e un brivido gli percorse la schiena nell’esatto momento in cui focalizzò l’attenzione sul biondo. << Devo assomigliargli molto... >> borbottò la ragazza avvicinandosi a Daniel e mise le mani ai fianchi, sporgendosi leggermente in avanti.  << Mi chiamo Sharon. >>

Daniel tornò con i piedi per terra solo quando Sharon lo prese per mano e lo condusse verso il bagno, gettandolo dentro il box doccia e aprendo l’acqua gelata di scatto, dopo l’essere entrata. << Che cazzo..?! >> quasi urlò Daniel e Sharon lo strinse in un abbraccio.

Daniel rimase perfettamente immobile, capace di controllare il proprio corpo, pur avendo addosso una ragazza nuda intenta a stimolarlo.

<< Mh... >> sbottò la ragazza dopo alcuni minuti sotto il getto freddo e temperò la temperatura, cominciando semplicemente a lavasi e a lavare il corvino. << Sei un osso duro. >> commentò allusivamente e Daniel ruotò gli occhi.

<< Che vorresti ottenere? >> commentò secco mentre passava un accappatoio alla bionda e lei alzò le spalle, legandosi i capelli  bagnati in una coda alta.

<< Nulla, semplicemente un “tornatene a casa” dopo una notte di puro fuoco non mi andava... >> Sharon scomparve dietro la porta del bagno e puntò alla cucina,  mettendo a soqquadro gli sportelli. Daniel inarcò un sopracciglio, afferrò una mela dal portafrutta posto al centro del tavolo e l’addentò, trovando la bionda goffa ma determinata nella ricerca. << ...dove la tieni la caffettiera? >> sussurrò ad un certo punto e lui scosse la testa posando il frutto sul piano cottura, allungando il braccio sullo sportello più alto senza difficoltà per prendere l’oggetto richiesto e notare quanto fosse bassa la ragazza.

<< Sei bassina, eh? >> schernì e la bionda gonfiò le guance, soffiando aria determinata a lasciare correre.

<< Lo so, non c’è bisogno che me lo fai notare... >> mise la caffettiera sul fioco e accese il gas. << ...comunque tu non sei da meno per essere un uomo. >>

Daniel sentì perfettamente la stoccata, ma fece finta di nulla e tornò nella camera da letto, cominciando a raccattare i vestiti e a sistemare la stanza.

Quando Sharon lo chiamò per la colazione lui le porse i suoi vestiti perfettamente piegati e ordinati, stupendola.

<< Non solo bello e dannato, ma anche casalingo? >> Daniel non commentò e addentò una fettabiscottata.

Uscirono da casa insieme, anche se Daniel ne avrebbe volentieri fatto a meno, e si trovarono a fare lo stesso percorso ognuno per i fatti propri. Lui leggermente avanti rispetto a lei e lei tranquillamente persa a guardare le nuvole. Stranamente non gli diede fastidio la compagnia di Sharon e cercò di essere sarcastico.  << Mi segui? >> buttò lì e Sharon alzò le spalle mostrando disinteresse.

<< Dipende dai punti di vista e da dove io mi stia dirigendo... >> mormorò prendendo il telefono e cominciando a scrivere un messaggio. Daniel venne ignorato per più di cinque minuti di tragitto, minuti, che li condussero davanti alla sede principale dell’Università.

Daniel si morse la lingua e maledì la propria curiosità, Sharon fu lesta nel rispondere alla domanda muta del corvino. << Lettere, terzo anno. >>

Daniel annuì e si guardò leggermente intorno... fino a vedere Cassandra salutare Jacopo con un leggero bacio sulla guancia e il biondo sorridere in modo ebete, mentre guardava la schiena della mora.

Qualcosa in lui si frantumò del tutto e probabilmente Sharon dovette accorgersene, poiché si puntellò velocemente sulle punte, gli circondò il collo con le braccia e lo baciò, nell’esatto momento in cui Jacopo volse lo sguardo verso loro.

Daniel la respinse non appena si rese conto della cosa  e cercò Jacopo con lo sguardo, sperando che non li avesse visti: Jacopo li stava guardando con occhi sbarrati;

<< Jacopo! >> trillò Sharon e Daniel non poté non cogliere la delusione nelle iridi verdi del biondo.

<< Sharon... >> disse mentre s’avvicinava loro e salutava la ragazza. Il corvino boccheggiò un paio di volte, incapace di giustificarsi. << Daniel. >> salutò secco Jacopo e riprese a parlare con la bionda, sorridente.

<< Non hai più fatto il barman al ProFusion, come mai? >>

Daniel riconobbe il nome di uno dei locali nella quale lavorava il biondo quando stavano insieme, anzi, riconobbe il  nome del locale nella quale lavorava il giorno che l’aveva fatto aspettare ore e aspettò in silenzio le spiegazioni, con il cuore in gola.

Una stupida sensazione di colpa gli nacque in petto.

<< Aaah, si... >> vide Jacopo esitare e posare gli occhi sui suoi per pochi secondi. << Il proprietario mi faceva fare degli straordinari impossibili. >>

<< Ma almeno erano stipendiati? >> s’accigliò Sharon e Daniel annuì, sorridendo in modo falso.  << Bhè... ti toccava! >>

Daniel stette perfettamente immobile a guardare Jacopo, notando qualcosa di diverso in lui: era dimagrito molto, aveva gli occhi cerchiati ( ma forse era dovuto all’alcol e al sesso ) e il viso pallido, di chi vorrebbe essere in qualsiasi altro posto meno che lì.

<< Bene, adesso vado, ho un turno da coprire. E’ stato bello rivederti! >>

Nel pronunciare quelle parole Jacopo non lo guardò mai in volto.
 

Non appena prese a camminare verso il bar, Jacopo si portò la mano al viso e portò via le grosse lacrime che stavano scorrendo velocemente.

Della notte con Cassandra non ricordava nulla ma  si era sentito dannatamente in colpa per tutta la mattina, rifiutando il cibo e preferendo bere e invece... Daniel si era dato da fare con una delle sue conoscenti.

Sembravano stare pure bene insieme!

Il solo fatto che Daniel fosse riuscito ad andare avanti, dimenticandosi di lui, fu un autentico shock per il biondo.

Shock che cercò di nascondere anche agli occhi Matteo e del novellino del locale, servendo ai tavoli come al solito e lavorando senza fermarsi con una velocità atipica per lui.

<< Io sono completamente impallato dopo ieri e tu... >> borbottò Matteo durante cinque minuti di pausa e Alessio, il novellino, gli chiese se avesse bisogno di una mano. Lui negò.

<< No, ti ringrazio. Dici? Io mi sento perfettamente in forze. >> annuì a se stesso il biondo.

<< Le ho chiesto di sposarmi. >> proruppe ad un certo punto Matteo e Jacopo rischiò di tagliarsi le mani con il coltello da cucina che stava limando.

Ovviamente non urlò, non gli si lanciò addosso, ma rimase perfettamente composto e calmo, sussurrando una semplice parola. << Lei? >>

Matteo arrossì, facendo divenire le guance dorate di un colore vinaccio, e sorrise.

<< Ha accettato! >>

 



 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Quinto Capitolo. ***


Quinto Capitolo.   




Daniel per l’intera giornata non riuscì a non pensare a Jacopo e alla sua espressione afflitta, rispondendo meccanicamente alle domande dei professori.

Non gli interessava poi molto il fatto che Sharon non l’avesse lasciato andare nemmeno una volta, quanto il fatto che tutti lo guardavano come un alieno che vede per la prima volta un corpo femminile.

<< Ah, quindi ti sei dato da fare? >> mormorò Cassandra al suo fianco e Daniel provò l’insano impulso di mandarla a quel paese e gettarla giù dal secondo piano per vedere se potesse rimbalzare sfidando davvero tutti i sani principi di fisica.

<< No. >> fu breve e conciso, ma comunque la ragazza non demorse.

Si ritrovò esasperato dalla continua e assillante presenza di Cassandra e Sharon. Una aveva i suoi stessi corsi, l’altra trovava la coincidenza del cambio classe e non poteva fare a meno di assillarlo come nemmeno Jacopo era stato in grado di fare.

<< Volete lasciarmi stare? >> sbottò ad un certo punto e Cassandra scoppiò a ridere, senza spostarsi dal posto accanto al corvino mentre Sharon usciva dall’aula, offesa per quel tono così irritato e freddo.

<< Non cambi modi nemmeno con il gentil sesso? >> lo prese in giro Cassandra e Daniel la guardò malissimo, sperando come al solito che se ne andasse... accadde il contrario: gli si avvicinò con il banchetto per potergli passare dei fogliettini.

Jacopo,sottolineava in un foglietto, è davvero un bravissimo amante a letto, sai?

Ovviamene Daniel si limitava a stropicciarli e a metterli in tasca, arrivando a riempire tutte e due le tasche del pantalone, che non svuotò alla fine della lezione e che lesse con calma arrivato a casa della signora Nina.

<< Cosa ti turba ragazzo mio? >> Daniel scosse il capo e cercò di tranquillizzarsi, facendo compagnia alla donna, sempre più magra e consumata dalla malattia.

<< Sai che puoi parlarmene? Tanto lo dimenticherò presto... >> aveva insistito l’anziana e Daniel a quella frase non aveva potuto che annuire, sedersi davanti a lei e parlare della sua situazione.
Certo, magari non era una situazione così scandalosa o senza via d’uscita, ma per uno che i sentimenti li
schematizza e non prova a comprenderli, anche la mossa più semplice si presentava come uno scoglio in mezzo al mare che la nave non riusciva ad evitare.

Ecco: lui era la nave, Jacopo lo scoglio e i sentimenti che non riusciva a frenare l’impatto mortale.
 
<< Quanto sei pessimista ragazzo mio... >> sbottò ad un certo punto la signora Nina e lui inarcò un sopracciglio.
<< Dovresti scioglierti e vivere la tua giovinezza senza troppe domande. E’ da un po’ di tempo che ti vedo giù di corda rispetto a prima e oggi ne ho avuto conferma: sei innamorato. >>

Daniel cercò di non ridere per rispetto della donna e ascoltò passivamente, accettando qualsiasi cosa detta dalla stessa. << E no, non mi guardare come una pazza. So riconoscere ancora un viso innamorato e tormentato dall’amore, però tu sei diverso. Prima sembrava che non te ne importasse nulla e adesso... sembri aver perso anni di vita. >>

Il corvino non seppe che dire, poiché in fondo era proprio vero: lui prima stava con Jacopo ma non ne era chissà quanto attratto, durante i tre mesi in cui non l’aveva visto gli sembrava di logorare e adesso che l’aveva visto avvinghiato a Cassandra... si era sentito morire di un sentimento sconosciuto e amaro.

Se quello fosse l’agognato “amore”, preferiva non sentire nulla e divenire un automa pronto a catalogare qualsiasi informazione e morire, un giorno, senza rimpiangere il cuore che avrebbe messo di lato per aiutare i pazienti che avrebbe analizzato e, magari, rimanere nella storia come il migliore.

<< Non è facile. >> ammise però e la signora finì di vagheggiare come al solito, facendosi attenta e furba.

<< Non è facile nemmeno respirare, oggi giorno, ragazzo mio. >> commentò in modo benevolo e Daniel scrollò le spalle, continuando.

<< Oltre all’essere un ragazzo, sono stato io a ferirlo, ad allontanarlo per un motivo inutile come noia e rabbia e a tradirlo con una ragazza... >> sussurrò alla fine e si prese la testa nelle mani, passandosele sui capelli in un gesto di stizza interiore.

La vecchia signora rimase sconcertata dal fatto che fosse un altro ragazzo l’amore di Daniel – essendo comunque stampo di un’antica società – e non seppe inizialmente che dire, però...<< E quindi..? >> mormorò incerta e Daniel la guardò con uno sguardo interrogativo e afflitto.

<< Nulla, signora, proprio nulla. Sarebbe come combattere i mulini a vento: inutile. >>

La signora a quel punto sospirò teatralmente e scosse la testa, alzando gli occhi al cielo e ruotandoli. <<
Santissima gioventù! >> sbottò. << Non voglio sapere i tuoi gusti perché non voglio giudicarti ma... se prima non ne parli con lui o lei, fa lo stesso, come fai a sapere se potresti rimediare o meno? Certo un cuore ferito non si può riparare del tutto, però si può sempre rattoppare con pazienza, sincerità e buona volontà.  Non credi? >>

Daniel non seppe che dire, troppa era l’emozione che stava cercando di prendere il possesso di sé.

La signora Nina aveva dato sfogo ad un pensiero che era stato tenuto al guinzaglio per secondi, minuti, ore, giorni e mesi... troppi mesi. << G-grazie..? >> tartagliò, incerto se ringraziare o meno, e continuò a fare compagnia alla donna.

 
Alessio e Matteo sentirono rumore di piatti infranti e andarono subito a vedere: Jacopo stava riverso al suolo con il viso pieno di graffi e sangue, e con i cocci dei piatti – che sicuramente stava trasportando per portarli nel locale –sparsi ovunque.

<< Jacopo! >> urlò Matteo, mentre Alessio tornava nel locale, chiamava un’ambulanza e tranquillizzava i clienti.

Solo dopo Matteo s’accorse della grande ferita che Jacopo aveva in testa e dello spigolo del tavolo in acciaio - tipico per i laboratori artigianali – ricoperto di sangue.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sesto Capitolo. ***


Sesto Capitolo. 



Verso le otto della sera, pochi minuti prima che tornasse a casa, a Daniel suonò il telefono.

Non appena Daniel lo prese e vide apparire sul display un numero che non aveva mai visto, percepì in petto qualcosa di simile all’ansia. << Pronto? >> rispose e sentì la voce di Matteo, allarmata.

<< Senti, non so se sto facendo bene, ma Jacopo è in ospedale e, nonostante tu mi stia sul cazzo, sei l’unica persona che vorrebbe accanto, penso... non lo so, fai come ti pare! >>

Daniel non ebbe nemmeno il tempo di chiedere in quale struttura ospedaliera fosse stato portato che la comunicazione venne interrotta.

A mezza voce imprecò e, salutata a velocità la vecchietta, uscì di casa, giusto in tempo per vedere e sentire il suono di un’ambulanza.

Quante probabilità aveva che fosse quella che stava trasportando Jacopo? Corse a perdifiato in mezzo alla strada e non si curò nemmeno di poter essere investito: doveva arrivare in tempo e correre in mezzo alle macchine – vista la grande coda – era l’unica opzione fattibile.
 
Arrivò dieci minuti dopo l’ambulanza, con il fiatone, un freddo gelido alla bocca dell’anima e una gran confusione in testa.

Cosa sarebbe successo, nell’eventualità peggiore? Se ne sarebbe andato davvero in quel modo, lasciandolo preda e vittima di se stesso? Non si sarebbero mai più chiariti, e parlare ad una tomba non rientrava nella visuale futura di Daniel.

<< Daniel! >> riconobbe senza problemi Cassandra, Matteo e Naomi, ma tutti gli altri non li conosceva proprio e non voleva conoscerli in quel modo.

<< Che è successo?! >> quello di Daniel sembrò un lamento alle orecchie delle persone e il corvino s’accasciò al suolo, senza fiato. Matteo lo sostenne leggermente e spiegò che Jacopo aveva perso l’equilibrio mentre portava una pila di piatti.

<< Solo questo? >> chiese leggermente sollevato Daniel e il ragazzino che non conosceva, dagli occhi neri e capelli castani, negava con il capo e s’avvicinava.

<< Penso di no. Mi spiace doverlo dire, ma ho visto un angolo del piano in acciaio macchiato di sangue... >>

 << Alessio! >> fu fermato da Matteo e il castano tacque.

Daniel sentiva il cuore andare troppo veloce per i propri gusti. La sua capacità di autocontrollo era completamente saltata e stava venendo invaso da sensazioni mai provate prima, che lo stordivano e affannavano al contempo.

<< I medici? >> riuscì ad articolare in tutta quella confusione e Cassandra negò con la testa.  Ancora sostenuto da Matteo, Daniel fu preso dal panico – che non venne manifestato – e cercò di calmarsi.

Nello stesso istante le porte del pronto soccorso s’aprivano e un medico ne usciva, ancora lordo di sangue – a Daniel vennero le vertigini – che chiedeva di qualcuno.

<< Veng- >> << Eccomi! >> s’era slanciato in avanti, spingendo dietro Matteo e con gli occhi spalancati, le gambe molli e la testa completamente dolorante, seguì il medico.

Sembrava che il tempo si fosse fermato, in attesa di un evento, di qualcosa che potesse stravolgere il mondo. Daniel avvertiva quella sensazione come non mai e – contro ogni sua logica – pregava, pregava che Jacopo si fosse semplicemente fatto male e che si sarebbe svegliato al più presto.

<< Lo stiamo tenendo sotto controllo. Ha riportato un brutto colpo in testa. Riteniamo che potesse aver sbattuto contro qualcosa di appuntito mentre perdeva i sensi a causa della stanchezza e del mal nutrimento. Lo terremo in osservazione per quarantott’ore, poi lo sveglieremo e staremo a vedere. Lei sarebbe..? >>

Daniel si riprese solo in quel momento e si morse il labbro. << Sono l’ex  ragazzo. >> il medico inarcò un sopracciglio ma non commentò oltre.

<< Qualcuno di più vicino al paziente, come, che so, padre, madre o sorelle? >>

Daniel scosse il capo. << No. >> poi pensò a Matteo. << Si! >> e il medico parve esasperarsi, ma gliene importò ben poco.

<< Allora? >> chiese il medico e lui abbassò la testa, infossandola nelle spalle e annuì.

<< Si. >>
 

Quando uscì nuovamente fuori, chiamando Matteo, il moro gli caricò un pugno in piena faccia così forte da farlo cadere al suolo, conscio di meritarselo. << E ringrazia che ci sia Naomi, altrimenti saresti carne da macello! >> continuò ad urlare, mentre la ragazza incriminata gli aveva cinto le braccia ai fianchi. Entrò imprecando a mezza voce e poi il silenzio. Nessuno osò dire nulla, nemmeno la cosa  più insignificante e Daniel si limitò a guardare il cielo, ancora steso al suolo.

Quella sera il cielo  era limpido e, nonostante le luci dei fari ospedalieri, poteva vedere delle stelle attorno alla luna.  Anche la luna quella sera era magnifica e misteriosa; sembrava ridere del suo dolore e al contempo capirlo; sembrava lontana eppure così vicina e... non se lo sarebbe perdonato, mai.

 Quella notte sarebbe rimasta incisa sotto la pelle come il più cocente dei tizzoni ardenti.

Mai come in quel momento Daniel ebbe la paura di perdere Jacopo e la cosa lo spiazzò, portandolo al punto di alzarsi in piedi e prendere a correre senza meta, uscendo fuori dalla struttura ospedaliera del Policlinico.

Svoltò subito la prima traversa e si ritrovò davanti alla seconda porta dell’ospedale, bloccato.

L’unica cosa che fece, fu quella d’urlare alla luna con tutto il fiato presente nei polmoni brucianti a causa della corsa e sedersi vicino al ferro della porta, in attesa.

In attesa di comprendere che fosse stato il male più grande per Jacopo e di averlo infettato con il dolore.

Solo quando comprese ciò, s’asciugò il volto e prese a camminare, consapevole.
 

Daniel guardò nuovamente la luna e sorrise in modo amaro, mentre dagli occhi piccole gemme d’acqua seguivano il corso del viso, fino a cadere al suolo volando dal mento.
 
 
Matteo sentì il cuore stringersi in una morsa terribile, vedendo Jacopo intubato e privo di sensi. Pensò che con quel letto l’amico non c’avesse nulla da spartire. Jacopo era troppo allegro e vivace per stare fermo, troppo pieno di vita per stare accanto a tutto quel bianco, poiché i capelli biondi sembravano riempire la mancanza di colori.

Improvvisamente si chiese se anche Daniel stesse bene, se avesse esagerato con quel pugno e... poi scrollò le spalle, sedendosi davanti al lettino e carezzandogli la mano come solo un fratello o un parente avrebbe potuto fare.

<< Lei è il fratello? >>  saltò in aria e scosse la testa al medico.

<< No, sono solo un amico. >> mormorò distrutto e prese fiato, riempiendosi il naso con l’odore sterile della stanza, fermando un’ondata di pianto. <<  Come sta? >>  osò chiedere e il medico lo guardò bene in viso prima di rispondere.

<< Ha preso una bella botta, ma il colpo non ha lesionato nulla se non il secondo strato cutaneo di pelle. Stiamo effettuando altri accertamenti, ma a parte l’ematoma e i tagli superficiali causati dai piatti, il suo amico  è fuori pericolo. Badi a non frastornarlo quando riaprirà gli occhi. >> il medico prese fiato e osservò il viso nuovamente  colorato di Matteo. << Lo terremo comunque quarantott’ ore in ospedale. >>  concluse e salutò, facendosi assicurare che non appena Jacopo avesse riaperto gli occhi, avrebbe chiamato il medico di turno per i primi controlli.
 
Solo dopo due ore Jacopo riaprì gli occhi verdi, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti.

<< Che male alla testa! >> gemette il biondo e Matteo l’abbracciò con un braccio, prima di andare a chiamare il medico di turno.

<< Tranquillo, adesso i medici ti faranno un piccolo controllo.  >> mormorò Naomi e Jacopo si guardò intorno, incrociando gli occhi di tutti, tranne quelli di Daniel.

<< E’ venuto, se volevi saperlo... >> sbottò Cassandra quando incrociò gli occhi verdi dell’amico e lui annuì, continuando a
sentirsi stordito.

Quel male alla testa non voleva sapere di andarsene. << Sarà così per i primi trenta minuti, ragazzo. Sei stato davvero fortunato, non so se tutti sarebbero riusciti a non riportare ferite gravi dopo una botta del genere... >>

Jacopo socchiuse gli occhi, infastidito dal dolore e annuì meccanicamente, ricordando d’aver avuto un malore trasportando dei piatti. << Siamo comunque preoccupati per gli altri valori, che sono una concausa del peso... sa di essere almeno sette chili sotto il suo peso ideale? >> gli occhi del medico s’accesero di saccente sapere. << Lei rischia l’anoressia... la mancanza di vitamine e riposo, ha causato un collasso all’organismo. >>

Jacopo cercò di seguire il medico, ma perse il filo quasi subito.

In effetti non mangiava da due giorni e, da tempo, non aveva tenuto conto dei pasti ingeriti. Lavorava semplicemente per allontanare il dolore causato da Daniel al proprio cuore e aveva fatto deperire il corpo. Non andava assolutamente bene. Si
guardò le mani affusolate e magre, percepì le ossa del bacino contro il gomito e improvvisamente divenne consapevole del proprio male.

<< Ha ragione. >> proruppe, interrompendo il medico. << Non mangio da due giorni, minimo, e ho perso il conto dei giorni in cui ho consumato l’ultimo pasto decente. >>

Guardò con occhi di fuoco Cassandra e arrivò ad una conclusione: se voleva tornare a vivere, avrebbe dovuto allontanare il ricordo e l’amore di Daniel dal proprio cuore. 




Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Settimo Capitolo. ***


Settimo Capitolo.




Jacopo aveva ripreso a vivere.

Vivere in modo pieno, soffrendo in silenzio la scomparsa di Daniel dalla propria vita.

Aveva ripreso i chili perduti e allentato dai molteplici lavori che seguiva, decidendo di mantenerne solo due: allo Psyco e al
Ritrovo Duomo. Il primo come barman in una delle discoteche più in voga di Messina e l’altro, come cameriere al bar più in voga di Messina.  

Era come avere due vite distinte e ben equilibrate fra di loro, che gli concedevano il lusso di un giorno libero a settimana ( che doveva comunque concordare con i colleghi) e che durante al giorno gli davano un attimo di respiro.

Jacopo non aveva più visto Daniel, nemmeno per errore con la sorella o in giro per Messina, e la cosa lo rammaricava  durante le ore in cui poteva rilassarsi o dormire.

Sul piano sentimentale non aveva più avuto bisogno di nessuno e anche dopo tre mesi, continuava a sognarlo, a cercarlo con lo sguardo nei loro posti preferiti e a contemplare la luna come solitamente faceva solo in sua compagnia.

Sapeva semplicemente che si fosse laureato con il massimo dei voti e... gli mancava terribilmente.

<< Sembri un cucciolo abbandonato! >> aveva scherzato Cassandra, guardandolo con occhi fermi e attenti ad ogni evenienza. << Non tornerà se è andato via. >> continuò poi  a parlare, dando fondamento ai dubbi di Jacopo con sincerità, e  il biondo si strinse nelle spalle, forti degli allenamenti in palestra e non più magre e ossute, con la fronte aggrottata.

Lo sapeva.

Aveva capito che Daniel non sarebbe più tornato da quando aveva ripreso conoscenza, due ore dopo l’incidente, mentre si specchiava negli occhi castani e stanchi di Matteo, che non aveva abbandonato il suo fianco nemmeno un secondo.

L’aveva capito, mica ci voleva un genio!

Solo... avrebbe desiderato un finale diverso, qualcosa d’utopico che non avrebbe mai potuto raggiungere.

<< Lo so... >> ammise in un sospiro e Cassandra storse il naso alla voce poco convinta del biondo, pronta a ribattere quanto dolore avesse ricevuto in quell’amore a senso unico, ma si bloccò, mordendosi la lingua: non erano affari suoi.

<< Se lo dici tu... >> mormorò infatti la mora, guardando Jacopo da dietro il bancone dello Psyco e succhiando con avidità dalla cannuccia il drink alcolico.

Jacopo si trovò a guardare il bancone con espressione assente e Cassandra per riportarlo sulla Terra, dovette dargli due gomitate indicandogli i due clienti pronti ad ordinare.

Jacopo si sentì nudo davanti agli occhi azzurri di Cassandra, ma non disse nulla e prese a sorridere in modo falsissimo, servendo altre due ragazze.

<< Amico... >> bofonchiò con aria assente la mora. << dovresti cambiare aria, sai? Penso che non ti farebbe male.  >>
Jacopo sorrise come per ribattere, eppure trovò confortante il fatto di andare via, in qualsiasi altro luogo, lontano. << Forse hai ragione. >> e sorrise.

Questa volta in modo sincero.
 
 
Vestito con l’abito elegante di cerimonia, Jacopo non poteva fare a meno di sentirsi completamente ansioso per Matteo.

Quel giorno si sarebbe sposato il suo migliore amico e lui... lui si sentiva in ansia come se fosse lo sposo! Ridacchiò internamente e guardò la palizzata bianca e completamente pulita della chiesa di Provinciale, addobbata a festa per l’evento. Entrò e, dopo aver sospirato, vide Cassandra sbuffare sonoramente per poi esibire, subito dopo, un sorriso tirato e falso mentre andava a tenere il velo di Naomi. << Divertiti! >> mormorò il biondo e la risposta astiosa della mora non tardò, poiché odiava l’azzurro e Naomi ( amante del colore ) aveva imposto alle damigelle un vestito del sopraccitato colore. << Se lo dici tu... >> sussurrò passandogli accanto e Jacopo si morse il labbro inferiore, per poi sorridere e attraversare la navata in tutta fretta.

Diede una pacca sincera sulle spalle di Matteo,  bellissimo nel suo abito da sposo e cercò di non ridere vedendo l’amico completamente pallido e leggermente sudato.

<< Amico, sono contento per te... >> Jacopo abbracciò Matteo con forza e venne subito ricambiato. Con il fazzoletto di stoffa il biondo deterse il sudore dalla fronte di Matteo e quello gli posò la mano sulla spalla, stringendo appena.

<< Sono nervoso. >> pigolò in modo roco Matteo e Jacopo sorrise rassicurante, facendogli cenno di guardare Naomi davanti al portico della chiesa di Provinciale, anche lei bellissima nel suo abito bianco perla e raggiante.

<< Lei è lì, i tuoi amici sono qui, tu sei pronto... per cosa dovresti essere nervoso? Matteo: è il tuo momento, il vostro momento. Goditelo con calma e tranquillità... >>

Matteo arrossì e gli divennero gli occhi lucidi per l’emozione. << E se dovessi sbagliare le promesse? >> sussurrò, mentre l’organo e il violino cominciarono e suonare le note della marcia nuziale, mentre Naomi prendeva a camminare lentamente al braccetto del padre.

<< Le ripeterai, con calma, e prendendo un respiro profondo. >> Jacopo sorrise raggiante e con una pacca più forte delle altre, incoraggiò il moro.

Tutta la cerimonia sembrò essere sospesa in una dimensione alternativa, dove il mondo non esisteva e i problemi di qualsiasi genere svanivano.
 
Quando toccò ai testimoni firmare, Jacopo saltò in aria. Di già? Pensò e si rispose da solo, guardando le mani intrecciate degli sposi e le rispettive fedi dorate, che risaltavano quasi a far notare consapevolmente la loro presenza.

Jacopo non si sarebbe sposato. Pur volendosi legare a qualcuno indissolubilmente ( poco contava che fosse uomo o donna ) il matrimonio era qualcosa di ben lontano dai suoi parametri e lo guardava come ad un qualcosa di estremamente idilliaco e importante.

Rispettava Matteo e Naomi per la loro forza d’animo e voleva bene loro.

Gli venne spontaneo pregare per il loro amore.

<< Ah, stai piangendo... >> mormorò il fratello di Matteo, Kevin, con tono canzonatore e lui s’asciugò l’unica lacrima avventuriera, che aveva osato solcargli il viso.

<< Mi è andato qualcosa nell’occhio... >> bofonchiò imbarazzato.

In cambio ricevette un sorriso e una leggera gomitata intenerita. Jacopo guardò bene Kevin e sorrise astuto. << Ah, anche tu stai piangendo... e non è una lacrima! >>

Kevin tirò su con il naso e Jacopo passò lui un fazzoletto senza commentare oltre.

Per quel giorno, poteva permettersi di non pensare a Daniel.

Solo per quel giorno. Se lo meritava, in fondo. No?
 


Dal matrimonio nulla sembrava essere cambiato.

Ok, magari il sorriso ebete di Matteo e la perenne presenza della fede al dito ( che allontanava le belle ragazze in cerca di avventure dal locale ) erano cambiati, ma a parte questo, Messina era rimasto il solito luogo per turisti, con un sacco di problemi e storie.

<< Tre mesi, amico mio! >> Alessio batté con fare confortante la mano a palmo aperto sulla spalla del moro. << Sei sposato da tre mesi e nessuna ti si fila più! Che peccato! >> e sorrise, come a voler sottintendere qualcosa di molto piccante con il semplice sguardo.  Jacopo seguì la discussione con un sorriso intenerito e si astenne dal parlare, in fondo era raro vedere due ragazzi della stessa età con uno status sociale diverso, pronti  a discutere sugli aspetti sessuali.  

<< Chi ti ha detto che con mia moglie io non possa fare cose molto... >> Metto lasciò cadere la frase come se avesse da tempo preventivato di dirla e Jacopo annuì, decretandolo vincitore. Infatti, dopo quella stoccata, Alessio gonfiò le guance e soffiò come un gatto, battendo la ritirata.

<< Mpfh >> sbottò infine con tono sostenuto. << Sai che vita... >>

Matteo inarcò un sopracciglio e lasciò la scopa ( con la quale stava pulendo il pavimento ) al suo destino, avvicinandosi al castano. << Ah si? >> riprese con fare canzonatore. << Vuoi mettere questa vita in confronto alla tua? >> e afferrò Alessio per il viso raccontandogli qualcosa all’orecchio che fece arrossire il castano.

<< Arrenditi, la vita di uno sposato batte di gran lunga quella di uno scapolo etero nel fiore degli anni! >> proclamò Jacopo e rise fino alle lacrime, seguito a ruota da Matteo.

Finita la discussione e aperto il locale, il telefono squillò nella postazione di Alessio, senza insospettire né il moro, né il biondo.

Il che variò quando il castano posò la cornetta al suo posto e sbiancò, senza potersi esprimere, facendo preoccupare i due.

<< Che ti è successo? >>

Jacopo gli fu subito vicino e Matteo fece calmare i clienti, già pronti con i telefonini per chiamare un’ambulanza. << Voi... >> sussurrò e Matteo dovette farsi attento, poiché interessato. << Voi... ecco... >> prese fiato e scosse la testa, facendo salire la tensione alle stelle.

A Jacopo vennero in mente pensieri terribili,  a Matteo catastrofici, ai clienti apocalittici. Il silenzio fu tombale per alcuni minuti e, quando Alessio si decise a parlare, dalla porta fece irruzione qualcuno. << Siete stati scelti per andare a Milano! >> 

Matteo e Jacopo sgranarono gli occhi, spaesati alla parola “Milano” e alla vista del proprietario del locale, di ritorno dalle Hawaii.

L’unica parola che uscì spontanea ai due ragazzi fu un << COSA?! >> strozzato e sbigottito. 




Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ottavo Capitolo. ***


Ottavo Capitolo.

Ottavo Capitolo.

 

 

 

Daniel si svegliò più presto del solito quella mattina.

Si premette le mani sugli occhi e guardò l’orologio, storcendo le labbra in un’espressione amara: le cinque del mattino. Oramai la sveglia suonava a vuoto, per un letto già sistemato e una persona più che pronta ad affrontare una giornata. L’ennesima e di merda.

Da quando si era laureato e trasferito, nulla aveva smosso il suo interesse a parte il suo obiettivo.

Quella mattina si fece una lunga doccia calda e mangiò una mela, decidendo di fare un giro per la città. Sarebbe tornato a casa in tempo per cambiarsi e andare diritto in ufficio, pronto per aiutare persone a lui sconosciute.

Seguì il suo piano e, in un batter d’occhio, si trovò seduto sulla propria poltrona, ad ascoltare e memorizzare ciò che Stefania gli stava dicendo.

<< ...e non so come fare per sistemare questa situazione. Io penso che sia inutile andare a parlargli, non mi ascolterebbe! Lei che mi consiglia? >>

Improvvisamente ebbe una sensazione di deja-vù e rivisse una discussione con la defunta signora Nina. Come un automa disse una frase della loro discussione. << ...se prima non ne parli con lui, come fai a sapere se potresti rimediare o meno? Certo un cuore ferito non si può riparare del tutto, però si può sempre rattoppare con pazienza, sincerità e buona volontà.  Non credi? >>

Osservò con fare critico e sentito il viso della giovane e vide chiaramente il colore tornare sulle sue guance e la luce della speranza accendersi con forza in fondo agli occhi neri.

<< Sa che ha ragione? >> Jacopo aspettò un altro sfogo e annuì meccanicamente ad ogni frase, confortando con frasi perfette e azzeccate la ragazza. Consigliandola, per giunta!
Lui, che non aveva mai accettato un semplice consiglio, era capace di consigliare.

Divertente, pensò con falso entusiasmo. Proprio divertente.

<< Dottore? Mi sta ascoltando? >> Daniel trasalì sulla poltrona e fece mente locale per capire cosa fosse successo.

<< Scusami Stefania, mi sono lasciato andare un attimo. >>

La ragazza sorrise e alzò le spalle, indifferente. << Si figuri, almeno... adesso sembra umano! >> e scoppiò a ridere, alzandosi in piedi per andare.

Non appena la ragazza uscì dalla porta e entrò un altro paziente, cercò di essere sentimentalmente lucido e freddo, così da non lasciarsi andare.

 

Finì il suo turno puntualmente alle due del pomeriggio e, puntualmente, scese al bar di fronte al palazzo dove lavorava.

Come al solito salutò Nicola, il barista dai capelli ramati, e come al solito salutò Flavia, l’addetta al ristorante dagli occhi di un colore grigio tendente all’ametista. Il cassiere era Pio, un uomo scorbutico e omofobo che l’aveva da subito guardato male, senza capelli ma con un portamento elegante e fiero.

Non ci era certo voluto un genio per intuire il fulcro di ogni malumore.

<< Il solito? >> domandarono insieme i due e lui annuì, sedendosi al solito posto isolato e difficilmente abbordabile.

 Consumò il suo panino con calma e aspettò il caffè, guardandosi poche volte intorno e parlando a monosillabi con Flavia.

<< Ci sposiamo! >> esultarono insieme e un sorriso sincero gli nacque sulle labbra. << E, mi sa che settimana prossima arriveranno i sostituti... >> mormorò il ramato.

A Daniel quasi dispiacque che andassero via, anche perché erano due tipi solari che mettevano il buonumore a qualunque ora del giorno.

<< Chissà come saranno! >> cinguettò Flavia e Nicola la guardò scettico.

<< Vuoi saltare il tuo matrimonio per incrociarli? >> fece finta di essere offeso e la ragazza ridacchiò, decisa a non dargli sazio.

A causa di ciò presero a battibaccare allegramente e vennero rimproverati dallo stesso Pio.

<< Ragazzi, finitela. Sono due che un mio amico mi ha raccomandato dalla Sicilia. >>

Daniel trasalì, ma tornò a fare finta di nulla, dirigendosi verso la cassa a pagare.

<< Davvero?! Perché addirittura dal meridione?! >> chiese Nicola e Pio alzò le spalle.

<< Voleva dare loro una possibilità fuori la Sicilia, per fare aumentare i posti di lavoro sui loro curricula, anche se uno dei due ha fatto cose pazzesche! >>

A Daniel mancò un battito. Jacopo... Jacopo qui? Perché?

Se ne andò da quel locale il più in fretta possibile, salutando e augurando la più sentita felicità alla coppietta, prima di tornare a casa.

Sei mesi da quando non aveva più messo piede in Sicilia per evitare di pensarlo e adesso... adesso era lui che andava a cercarlo in capo al mondo?

No. Si disse. Dev’essere una fottutissima coincidenza. La mente di Daniel prese a mostrargli i ricordi di Jacopo in ospedale e tornò lucido.

Chi aveva parlato del biondo? Nessuno. Quindi non aveva motivo di pensare che potesse essere lui. E se fosse stato Jacopo, avrebbe fatto finta di non conoscerlo.

Anche se il cuore avrebbe protestato e insistito per parlargli, lui avrebbe fatto di tutto pur di non causargli alcun male. Aveva fatto già abbastanza in precedenza: si sarebbe sentito più merda di quanto già non si sentisse a rientrare nella sua vita.

Non aveva alcun diritto. Però...  

Quel però risuonò solitario nel suo cuore.

Tornò a casa con il procinto di un fiatone e scosse molte volte la testa, al pensiero che il cervello gli catapultò in fondo agli occhi: Jacopo in ospedale.

Rise leggermente di strazio e si gettò sul divano in pelle bianco, adagiando la testa sui cuscini che la designer gli aveva accollato con un costo aggiuntivo e che a lui sembravano, inizialmente, inutile.

Adesso non sapeva se tornare a ringraziare quella donna oppure no.

Il suo telefonino vibrò dopo i primi dieci minuti di totale silenzio in cui si era gettato con tanta  foga.

Non era più la suoneria che tanto amava del suo nokia-modello-carro-armato e ogni tanto faceva fatica a ricordare che fosse il suo.

<< Pronto? >> borbottò, sapendo che fosse la sorella.

<< Fratello! Non posso credere che tu sia a casa con le tapparelle chiuse! >>

Daniel storse il naso, non capendo se la sorella fosse seria o avesse semplicemente tirato ad indovinare. << Perché tu non sei a casa con le tapparelle chiuse, vero? >> aveva tirato ad indovinare.

<< Sara, si sono a casa, dimmi, cosa ti serve? >>

<< Andiamo a mangiare in qualche posto solo io e te? >> Daniel sospirò teatralmente e ringraziò il cielo di avere un locale come quello del signor Speranza.

Poteva mangiare prima che la sorella uscisse da lavoro e si salvava sempre per pochi minuti.

<< Sara ho già mangiato. >> si mostrò fin troppo rilassato.

<< Ah... ok, allora vengo io da te con qualcosa di istantaneo come... ecco, vediamo... ramen! >>

<< Io... >> non seppe che rispondere.

<< Ok, allora è deciso! Sono da te fra cinque minuti! >>

Daniel sussurrò un imprecazione e senza salutarla chiuse la chiamata, nonostante avesse preferito rimanere solo, la sorella era una di quelle compagnie che erano in grado di rivoluzionarlo per un intera giornata – se arrabbiata.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Nono Capitolo. ***


Nono Capitolo



Jacopo guardò Milano con gli occhi lucidi.  Era emozionato e al tempo stesso spaventato dalla certezza di non essere a casa.  S’accoccolò meglio sul sedile anteriore della macchina di Matteo e attese in silenzio che l’amico parcheggiasse davanti al locale nel quale avrebbero presto preso a lavorare.
Era stato un ottimo colpo di fortuna, pensò intimamente, perché desiderava cambiare aria.
Si sarebbe aspettato di tutto meno che essere lodato per le competenze lavorative da lui acquisite e mandato a sostituire con Matteo una coppia prossima al matrimonio a Milano.
<< Non ci credo, siamo nella città della moda! >> trillò entusiasta Naomi, fresca di laurea, e Matteo scosse la testa.
<< Quella è Venezia o Parigi... >> borbottò senza entusiasmo e Jacopo sorrise leggermente.
<< Io so che questa sia la città della doppia vita. >>
I due coniugi inarcarono le sopracciglia, incapaci di capire a cosa si stesse riferendo.
Jacopo si accorse delle loro espressioni stupite e ridacchiò. << Un mio amico è barista in uno dei locali notturni di Milano e... >> Jacopo guardò fuori dal finestrino perdendosi un attimo. << quello è per transessuali di alta classe. >>
I due ragazzi sbiancarono di colpo. Jacopo alla vista delle loro occhiate basite scoppiò a ridere di cuore.
 


Quando arrivarono a destinazione tirarono tutti un sospiro di sollievo.
La casa davanti ai loro occhi era stata messa loro a disposizione da Pio, il proprietario del locale, dicendo loro che avrebbero semplicemente dovuto contribuire a delle piccole spese, come se fossero dei ragazzi universitari riuniti sotto lo stesso tetto.
Era una casa molto grande, con un corridoio lungo e tre stanze da letto, gestibili a seconda delle preferenze, che avevano due letti in ognuna e un bagno. Sparsi per la casa vi erano due corridoi e la cucina era il luogo dove tutte le camere confluivano in modo ordinato.
Una piccola sala da pranzo con un divano e un televisore a plasma da cinquanta pollici costituiva il centro della casa. Tutto ordinato in stile classico.
<< Wow... >> furono le parole di Naomi e Jacopo annuì, fischiando di piacere.
Quella casa trasmetteva calore e sentimenti di appartenenza che li mise subito a loro agio.
Dovevano lavorare a Milano per due mesi e mezzo, quindi per tutto il restante periodo estivo.
<< Benvenuti! >> esclamò Pio e Jacopo fu sul punto di ridere in barba all’educazione, trascinandosi Matteo.
Come luccica quella sfera! Commentò nella propria testa guardando intensamente il capo calvo dell’uomo e Naomi gli diede una gomitata abbastanza potente da farlo tossire.
<< Grazie signor Speranza. Siamo contenti di essere arrivati appena possibile. >> continuò Naomi e l’uomo senza capelli, dal portamento fiero, gli occhi neri, una pancetta niente male e sguardo addolcito, chiese come avessero passato il viaggio, se fossero stanchi e se volessero riposarsi prima di fare un salto al negozio e poi in città, per un giro turistico.
<< Io passo, mi sento distrutto. >>  si affrettò a dire Matteo e guardò con occhi pieni di sottointesi Naomi.
<< Anche io. >> a quel punto si limitò a dire la biondina e Pio annuì, rivolgendo lo sguardo su Jacopo.
<< Che mi dici ragazzo? Ti andrebbe? >>
Jacopo annuì e guardò negli occhi i suoi amici. “Divertiti” gli dicevano, ma lui non sentiva minimamente quel sentimento in corpo.
Provava...
 
 

Ansia. La prima parola che Daniel riusciva a trovare per esprimere il proprio comportamento era ansia. I pazienti quella mattina l’avevano guardato tutti leggermente storto, regalandogli dei sorrisi di conforto.
Che se ne faceva dei sorrisi di conforto, per qualcosa che non doveva minimamente provare?!
Tirò un sospiro profondo e fece entrare il paziente successivo, mentre teneva sotto controllo l’orologio sulla propria scrivania di mogano: quasi le due.
Il petto gli si strinse leggermente nella gabbia toracica e si azzardò a camminare, avvicinandosi alla finestra.
Il locale era chiuso. Confortante, si disse, almeno mi posso concentrare sui pazienti.
<< ... dottore? >>
Guardò la ragazza del mercoledì con tanto d’occhi, vedendola già seduta e pronta per la seduta.
<< Salve dottore, c’è qualcosa che non va? >> Daniel guardò la ragazza diritta negli occhi e trovò soltanto preoccupazione.
A quel punto scosse la testa e ringhiò nella propria testa.
<< No, cominciamo pure. >>
Guardò un ultima volta il locale e sorrise leggermente tirando le tendine, per ascoltare la corvina.
 
 

Jacopo guardò l’insegna del locale che per quasi due mesi sarebbe stata la sua nuova casa.
Il biondino rimpiangeva l’odore della salsedine di Messina, rimpiangeva piccolezze della Sicilia che fino in quel momento non aveva ancora notato a Milano.
Pio al suo fianco inserì la chiave nella toppa di una serratura al fianco della saracinesca e la stessa si alzò lentamente da sola, senza nessun tipo di rumore superfluo o agghiaccianti gorgoglii. Ecco, a Messina i proprietari si sarebbero abbassati a tirare con la forza facendo un rumore immenso, tra gli imprechi del passante e la risata mesta del proprietario.
<< Ragazzo? Ehi, ragazzo! >> la gomitata di Pio al fianco lo riportò al presente.
<< Si, mi scusi. >> mormorò con tono dimesso e entrò nel locale, sgranando gli occhi.
Era un locale bellissimo dove il bancone, di un raffinato marmo bianco, risaltava sulle pareti nere e con delle dolci forme abbracciava la maggior parte del locale. Dei sgabelli perfettamente puliti e in ordine erano appoggiati al marmo e dei tavolini erano sparsi verso la parte interna del locale, mentre alcuni erano vicini all’uscita principale.



Le pareti attrezzate alle spalle erano fornitissime di bottiglie da un lato e da snack di qualsiasi genere e dall’altro lato, la cassa, era su una piccola oasi vicino all’uscita, con coupon di gratta e vinci e altri giochi del genere.
Vedeva anche altro, ma prestò poca importanza nell’esatto momento in cui guardò un tavolino, nell’angolo più oscuro e nascosto del locale, rabbrividendo.
Era una sensazione che gli attanagliava le viscere in una morsa malinconica. << Pio... questo tavolo è utilizzato? >>
Si girò a guardare l’uomo e quello lo guardò storto, quasi a volerlo rimproverare per quella domanda.
<< Si, è sempre prenotato da uno di quei strizza cervelli gay che lavorano in quel palazzo di fronte. Come mai me lo chiedi, ragazzo? >>
Jacopo negò con il capo e s’inventò una scusa sul momento, facendo abboccare Pio senza problemi; l’unico problema di Jacopo rimaneva solamente quella sensazione di bruciore in fondo al petto. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1905996