La brutta giornata di Nico di Angelo

di aturiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come se non bastasse il vento ***
Capitolo 2: *** Cose che era meglio tacere ***
Capitolo 3: *** Idiozie di mezzanotte ***



Capitolo 1
*** Come se non bastasse il vento ***


 

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Only because someone doesn't loves you as you want,
it does not mean that he doesn't loves you with his whole being.
-Gabriel García Marquez-

 


Quella giornata stava sempre più peggiorando: prima un gigante tutto muscoli e niente cervello era piombato nel suo negozio accusandolo di avergli venduto un computer “talmente di merda che nemmeno un cavallo con una crisi intestinale avrebbe saputo fare di meglio” - sue testuali parole -, e aveva minacciato di pestarlo a sangue, se non gli avesse restituito tutti i soldi. Nico allora aveva controllato il portatile e – sorpresa! - si era semplicemente preso un virus e, come se non bastasse, per evitare una rissa aveva dovuto pulirglielo gratis. Poi era entrata una ragazza dal lunghi capelli rossi e una scollatura che lasciava ben poco all'immaginazione e, mentre lui cercava in uno scatolone il cavo che gli aveva chiesto, le era comparsa da dietro e, da brava maniaca sessuale, aveva deciso di stampargli un bel bacio umidiccio sulla bocca. Lui, ovviamente, l'aveva spinta subito via, e quella era scappata piangendo e urlando... dimenticandosi il suo cavo.
E adesso Nico, in preda a un attacco di rabbia verso il mondo intero, era sotto un portico a congelare per il vento, tentando inutilmente di accendere la sigaretta che teneva tra le labbra. Ormai erano quasi cinque volte che quel dannato vento gliela spegneva e, se non avesse avuto come padre Ade, sicuramente si sarebbe messo a bestemmiare. Alla sesta volta, finalmente, riuscì a tenerla accesa abbastanza per fare un tiro, ma, poco prima che ne facesse un secondo, due dita ne schiacciarono la punta, spegnendola nuovamente.
Nico allora iniziò la sua sequela di insulti: «Ero appena riuscito ad accenderla, stronzo! Ma che cazzo di problemi hai per...-» e si interruppe, dopo aver alzato la testa.
Davanti a lui infatti c'era un ragazzo alto, vestito con una giacca gessata e con al collo annodata una cravatta. Era abbronzato, quasi come se fosse appena tornato da una vacanza ai Caraibi, e portava un paio di occhiali dalla montatura elegante. Ma a troncare le parole di Nico, oltre alla sua palese bellezza, furono i suoi occhi color del mare che, a metà fra il divertito e l'arrabbiato, lo guardavano da dietro le lenti.
«Ehi, Nico» disse quello, sorridendogli.
«P... Percy?» borbottò lui, con la bocca spalancata.
Il figlio di Poseidone allora lo avvolse in un abbraccio, facendolo quasi soffocare, e gli scompigliò i capelli neri, come faceva ogni tanto quando erano ragazzini. Lui era ancora troppo sorpreso per ricambiare la stretta, e lo era ancora troppo anche per ricordarsi della sua sigaretta, ancora fra le dita.
«Allora, Nico, come va la vita?»
«La mia vita?» ripeté lui, ancora imbambolato: «Ah, beh, sì. La mia vita va bene. Cioè, ho un negozio di elettronica, adesso, e non va nemmeno troppo male».
«Elettronica? E chi avrebbe mai pensato che un ragazzino degli anni '40 sarebbe diventato un esperto di computer... e che si sarebbe tagliato i capelli in questo modo?» disse poi, indicando la sua capigliatura scura, per metà rasata e sicuramente diversa da quella che aveva a quattordici anni.
«I computer sono divertenti, alla fine. E tu, invece? Che fai?» chiese a Percy.
«Bene, lavoro in un'azienda turistica: è divertente e si guadagna abbastanza bene, sai».
«Beh, sì, immagino. Ma senti, che ci fai qui, dopo tanto tempo?»
«Ero passato per un saluto... mi manchi...» disse.
«Percy, senti, io...» stava per dire Nico, ma poi l'altro lo interruppe con il continuo della sua frase. «... mi mancate tutti».
Ecco, lo stava facendo di nuovo: gli faceva crescere la speranza nel petto e poi, in tre parole, la stroncava. Era sempre stato così, con lui. Quindi, arrabbiato con se stesso per aver ceduto di nuovo spazio a un timido desiderio che poi mai si avverava, si portò di nuovo la sigaretta alla bocca e ricominciò a tentare di accenderla.
«Smettila di fumare, ti fa male, Nico!» disse Percy, rimproverandolo.
«Non sei mio padre, e nemmeno mia madre o mia sorella» rispose lui, zittendolo, godendo un poco del lampo di disapprovazione e tristezza che gli attraversò il viso.
Sì, la giornata di Nico di Angelo stava sempre più peggiorando: rivedere dopo quasi dieci anni il ragazzo di cui era stato innamorato, e rivedere ancora una volta che lui continuava a non provare niente per lui, gli faceva salire una rabbia ferita che non pensava nemmeno più di possedere. Se aveva impiegato dieci anni per lasciarsi alle spalle quel ragazzo iperattivo e troppo espansivo dagli occhi smeraldo, adesso gli sarebbero voluti mesi per scordarsi del suo incontro.
Intanto, fra loro, era caduto un silenzio imbarazzante: Nico vedeva chiaramente che Percy stava scorrendo mentalmente tutte le frasi utili per colmare il vuoto che si stava sempre più creando, ma lui non aveva nessuna intenzione di aiutarlo. E si pentì di non averlo fatto, quando l'amico tirò fuori l'argomento peggiore che avrebbe potuto scegliere:
«Non sei venuto al matrimonio mio e di Annabeth, l'anno scorso...»
Sarebbe scoppiato a ridere, probabilmente, se solo l'avvenimento non fosse stato così recente.
Ma si può essere più stupidi?
«No, ero impegnato con il negozio».
Percy annuì e, di nuovo, iniziò a cercare affannosamente qualcosa da dire. Nico questa volta, però, decise di aiutarlo, un po' impietosito dalla sua espressione al limite del disperato: era davvero troppo ingenuo per prendersela con lui e, d'altronde, ormai il danno era fatto; avrebbe impiegato anche così troppo tempo a dimenticarlo, che cosa gli costava far durare l'incontro un po' di più?
«Senti, ti va di venire a prendere un caffè a casa mia?»
«Mi farebbe piacere,» disse sollevato «ma non dovresti lavorare?»
Nico scosse le spalle e rispose, con una smorfia: «Oggi ho già dato abbastanza al mio negozio, fidati» e sorrise un poco all'espressione interrogativa dell'amico.

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Capitolo 2
*** Cose che era meglio tacere ***


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Durante il tragitto gli raccontò gli avvenimenti della mattinata e, doveva ammetterlo, riuscir di nuovo a far ridere in quel modo Percy era davvero piacevole. Avevano, almeno un po', recuperato la complicità che li aveva uniti dieci anni prima, quando trascorrevano praticamente ogni giorno insieme, volenti o nolenti. Entrambi erano cambiati: Nico di era indurito, aveva perso l'ingenuità che da ragazzino lo contraddistingueva e, con lei, la timidezza. Ora era semplicemente un venticinquenne schivo con problemi di soldi. Al contrario Percy era diventato più serio e più pacato, anche se non aveva certo perso la sua espansività. E ora era un uomo in carriera con una moglie architetto e una vita piuttosto agiata.
La differenza di età si sentiva, paradossalmente, più che in passato: l'uno aveva una vita abbastanza squilibrata e con un futuro quanto mai incerto, l'altro una piena di certezze. Eppure vedere che, nonostante tutto, entrambi riuscivano a scherzare, forse anche con più facilità che in passato, rendeva Nico felice.
Arrivati sotto casa sua, aprì la porta con il mazzo di chiavi che teneva in tasca e fece segno all'amico di salire. Era un disastro casa sua, e per la prima volta un po' se ne vergognò: c'erano vestiti ovunque, computer e CD sparsi e impilati in ogni angolo e un forte odore di fumo. Solo la cucina era in ordine, e fu proprio per questo che decise di portare Percy in quella stanza.
«Beh, non è male come posto» disse l'amico.
«Non hai visto le altre stanze. E no, non ho intenzione di portartici» rise Nico, con un doppio senso che, sicuramente, Percy non avrebbe capito.
«Va bene, mi accontenterò di un caffè. Solo mi potresti prima indicare il bagno?»
«Seconda porta a sinistra, da quella parte» rispose lui, con un sorriso. Quindi iniziò a mettere su il caffè, sperando che, per una volta, non si bruciasse.
Era intento a controllare la caffettiera, quando un tonfo proveniente dalla sua camera risuonò in tutto l'alloggio. Solo allora Nico si rese conto in che guaio si era messo.
Oh, merda.
Mentre Nico era ancora sconvolto dalla consapevolezza di cosa si trovasse nella stanza, dalla porta alla sua destra uscì Mark, un ragazzo altissimo e dalla pelle scura che la sera prima, quando lo aveva conosciuto in discoteca, aveva trovato assolutamente bellissimo ma che, ora, gli sembravano la cosa più terribile che potesse succedergli. Soprattutto perché era completamente e palesemente nudo.
Intanto, troppo preso dal panico, non si accorse che Percy era uscito dal bagno e, solo quando l'amico cacciò un urlo degno della più isterica ragazzina, decise che la sua giornata era stata definitivamente rovinata.
«C... chi è questo qui? E perché è... sì, ecco, nudo?» balbettò Percy.
«N... ehm, Neal, chi è questo signorino in giacca e cravatta?» chiese, ancora assonnato, il ragazzo.
«Allora, innanzi tutto mi chiamo Nico, non Neal» disse, rassegnato, a Mark. «E lui è Percy, un vecchio amico che mi è venuto a trovare». Poi, rivolgendosi a Percy, disse imbarazzato: «Non pensavo che fosse ancora in casa, giuro, altrimenti non ti avrei portato qui. Comunque si chiama Mark».
«C... ciao, Mark» disse Percy, ancora sconvolto e con gli occhi fissi sul viso dello sconosciuto per evitare di incontrare altro con lo sguardo.
«Bene, Mark, che ne dici di andarti a mettere qualcosa addosso? La tua roba dovrebbe essere... ecco, da qualche parte in camera» disse, cercando di non incrociare lo sguardo di Percy, che ancora non aveva chiuso la bocca.
Una volta rimasti soli, l'amico gli si avvicinò e gli chiese sottovoce, palesemente in imbarazzo: «Ma, senti, non è che tu... ecco, sì, che tu sei gay?»
Nico, a quelle parole, si sentì irragionevolmente impaurito e, senza incrociare lo sguardo di Percy, affondò le mani nelle tasche della sua felpa.
«Beh, ecco...» mormorò.
«Cioè, non c'è nessun problema, solo mi sembra strano che tu... cioè, non ci ho mai fatto caso e...»
«Già, non ci hai mai fatto caso» disse Nico, cercando di impedirsi di prenderlo a schiaffi per la sua stupidità.
«No. E da quanto... ecco, da quanto l'hai capito?»
«Da un bel po'. Più o meno da quando avevo tredici anni».
«Ah. E perché non me lo hai mai detto?»
Che domanda del cazzo, Percy.
«Probabilmente perché non avevo voglia di parlarne» rispose, arrabbiato senza un motivo apparente.
«Mi dispiace...»
«E di cosa? Guarda che non hai nulla di cui dispiacerti: sono gay, fine. E non mi dispiace poi tanto esserlo» troncò lui, ancora più arrabbiato.
«Ma, ehm, quello lì, Mark, è il tuo ragazzo?» chiese allora Percy, imbarazzato.
«Figurati. L'ho conosciuto ieri in discoteca».
«Ah. Non pensavo fossi il tipo da...-»
«Da cosa? Portare a letto il primo che capita? Ti aggiorno su una cosa: sono dieci anni che non ti fai vedere, Percy, ne sono capitate di cose nel frattempo» rispose lui, rabbiosamente.
«Sì, hai ragione, scusami» disse l'amico, chinando il capo.
Si vedeva che era triste e che si sentiva in colpa, e forse proprio per questo tutta l'irritazione di Nico scemò in un istante. In fondo non era colpa sua se era stato il suo primo amore e se aveva una moglie fantastica, non era di certo colpa sua se, a un certo punto, stanco di rimuginare su Percy, era entrato da solo in un locale gay e aveva fatto sesso con un ragazzo di cui non ricordava più nemmeno il volto, se non che aveva gli occhi di un colore troppo simile a quelli del ragazzo che aveva amato e che, forse, amava ancora un po'.
Nico quindi appoggiò una mano sulla sua spalla. L'altro allora alzò lo sguardo e disse: «Senti, se hai bisogno di qualcosa io ci sono, d'accordo? Lo so che sono sparito per anni, ma volevo allontanarmi dalla vita da mezzosangue per un po': ero stanco, Nico. Adesso però, qualsiasi cosa tu voglia dirmi – che sia una cosa importante o una stupidaggine – puoi dirmela».
«Grazie, Percy».
Dopo qualche minuto di silenzio, fu proprio il figlio di Poseidone a parlare:
«Senti, se posso chiedere, ma com'è che hai capito di essere gay?»
Ecco, se c'era qualcosa che non avrebbe dovuto chiedermi, era proprio questa. Che giornata di merda.
«Ecco, beh, non sono sicuro che tu voglia saperlo».
«Se ti va di dirmelo, sì. Cioè, se non ti imbarazza troppo...»
«Senti, facciamo così. Ci penso se dirtelo o meno, perché beh... è complicato» rispose Nico che, in cuor suo, avrebbe solo voluto mandarlo a quel paese per la sua stupidità. Ma, d'altronde, era dolce il fatto che lui si preoccupasse, e questa sua gentilezza faceva sì che la speranza si riaccendesse. Sarebbe stato semplicemente perfetto se, dopo avergli spiegato che aveva capito di essere gay perché si era innamorato di lui, Percy si fosse avvicinato e l'avesse – finalmente – baciato.
Comunque questo non sarebbe mai successo, e Nico lo sapeva bene.
Nel frattempo, mentre lui si perdeva nella sua immaginazione con un romanticismo degno di una ragazzina al primo amore, Mark si era vestito e aveva salutato Nico con un sonoro bacio sulle labbra e una pacca poco romantica sul sedere, cosa che lasciò Percy abbastanza sconvolto.
La sua espressione era così basita e imbarazzata che il figlio di Ade scoppiò a ridere, chiedendosi come facesse ad essere così divertente con quella faccia.
Poi, dopo essersi ripreso, disse: «Ti va di restare a cena qui? Dovrei avere ancora qualcosa da mangiare in quel frigo...»
«Va bene, tanto Annabeth mi aspetta per domani sera» rispose Percy, sorridente.
Quindi Nico cominciò a cucinare.


Dopo un paio d'ore era riuscito a presentare un piatto di pasta al sugo poco cotta e una bistecca un po' bruciata, ma nonostante questo entrambi mangiarono tutto con gusto. Era da un po' che avevano smesso di parlare, e questo sicuramente perché Percy stava rimuginando su qualcosa: conosceva troppo bene le sue espressioni, aveva passato troppo tempo ad osservarlo per non accorgersi quando stava per fare una domanda seria. E infatti, da lì a poco, gli chiese:
«Lo so che mi hai detto che è complicato, ma sono curioso: come hai fatto a capire che sei gay?»
Mi sembrava strano che se ne fosse scordato...
«Diciamo che... ehm, sì... mi sono innamorato di un ragazzo» disse, cercando di sfuggire al suo sguardo indagatore.
«Ora tutto ha senso! E chi era?» chiese Percy, con un sorriso.
«Meglio che tu non lo sappia, credimi» rispose invece lui.
«No... non dirmi che era uno del nostro gruppo!» disse ridendo. Era proprio bello mentre rideva, mentre si comportava da ragazzino quando invece era vestito in giacca e cravatta e portava un paio di occhiali che assomigliavano tanto a quelli di un professore troppo serio. Però era anche disastroso il fatto che ci fosse arrivato: ora anche qualcuno stupido come lui avrebbe capito, anche perché un rossore non indifferente imporporava le guance di Nico.
«Percy, ecco...» rispose, cercando di nascondere il viso. Non poteva nemmeno mentirgli, perché chiunque avrebbe risposto, sarebbe stato troppo improbabile: con Jason aveva legato molto, al tempo, ma solo dopo che aveva assistito al suo dialogo con Cupido, a Leo non aveva rivolto più di qualche parola, e lui e Frank non si sopportavano molto. Era questione di tempo, ormai, prima che lo scoprisse.
E infatti, pochi secondi dopo, gli occhi color del mare di Percy si spalancarono e il suo colorito divenne pallido. Lasciò cadere sul piatto le posate che teneva fra le mani e disse, quasi sussurrando: «Nico, aspetta... non è che, insomma...-»
Nico avrebbe voluto scomparire, affondare sotto terra e non uscire di lì per almeno due mesi. Si sentiva imbarazzato come non mai, vedendo la comprensione che si faceva strada sempre di più nello sguardo dell'amico. Dietro a quegli occhi celesti tutti i pezzi si stavano mettendo al proprio posto: la disperazione nello sguardo di Nico ragazzino che vedeva cadere lui e Annabeth nel Tartaro, gli sguardi che troppo spesso gli rivolgeva, il suo essere scostante con tutti tranne che con lui, la sua preoccupazione ogni volta che si feriva in qualche modo, la rabbia nelle sue parole nel pomeriggio quando era tornato, la sua mancata presenza al matrimonio... tutto era andato al suo posto, e Nico avrebbe voluto morire.
«Nico...?» fu un sussurrò che chiedeva conferma a riportare Nico sulla Terra.
Lui non ebbe nemmeno la forza di rispondere, quindi si limitò ad annuire e a nascondere ancora di più il viso dietro alle mani. Poi sentì il suo interlocutore che si alzava dalla sedia e si allontanava.
Non ebbe il coraggio di fermarlo o di guardarlo andare via, quindi se ne stette lì, come se fosse tornato il ragazzino innamorato di dieci anni prima, come se non fosse trascorso nemmeno un minuto da quando aveva visto per la prima volta Percy e Annabeth baciarsi al Campo Mezzosangue. Sentiva imperversare dentro di lui un groviglio di emozioni discordanti che andavano dalla tristezza, alla rabbia, dalla disperazione al sollievo per avergli finalmente detto ciò che provava. Ma ora Percy se n'era andato e, ne era certo, non si sarebbe fatto vedere per molto, molto tempo. 





 
Note autrice:
Nelle recensioni ricevute per lo scorso capitolo, ce n'era una che mi faceva notare che Nico ha rivelato i suoi sentimenti a Percy, cosa che io assolutamente non sapevo (infatti devo ancora finire "La casa di Ade", quindi non so nulla di tutto ciò!), per cui sappiate che in questa storia non prendo in considerazione quell'avvenimento e tutto ciò che viene dopo al capitolo 63 di quel libro degli Eroi dell'Olimpo, dando però per scontato che i protagonisti riescano tutti a salvarsi e a sconfiggere Gea.
Ne approfitto per ringraziare tutti quelli che hanno letto (o leggeranno) questa storia, che l'hanno inserita fra i seguiti/preferiti/ricordati, che l'hanno apprezzata o recensita. Grazie mille!

 

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Capitolo 3
*** Idiozie di mezzanotte ***


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Erano circa tre ore che Nico se ne stava sdraiato sul suo letto a osservare il soffitto. Era ancora vestito e non si era nemmeno i lavato i denti, da bravo ragazzo depresso quale si sentiva in quel momento, e il diluvio che imperversava fuori era semplicemente il coronamento drammatico della sua situazione.
Non era colpa sua se non voleva solo del bene a Percy, se lo aveva amato con tutto se stesso. Non era colpa sua, eppure lui aveva deciso di andarsene, e questo faceva arrabbiare Nico più di ogni altra cosa: perché gli aveva chiesto conferma di ciò che aveva capito, se non era ciò che voleva sentirsi rispondere? Almeno potevano fingere ancora di essere legati semplicemente da amicizia. E invece no, Percy aveva voluto sapere, e adesso lui si trovava esattamente nelle condizioni dell'anno precendente, quando aveva aperto la busta con l'invito al matrimonio. Lo perseguitava, Percy Jackson, e non si rendeva nemmeno conto di tutto ciò che gli stava facendo passare. Odiava Percy, ne era assolutamente certo.
E avrebbe continuato ad odiarlo se qualcuno non avesse suonato alla sua porta, interrompendo i suoi poco felici pensieri. Inizialmente pensò di lasciare, chiunque fosse lì fuori, suonare il campanello, ma poi, dopo il quarto driiin fastidiosissimo, decise di alzarsi e di mandare al diavolo di persona lo stronzo che veniva a citofonargli alle undici e mezza di sera. Aprì la porta e si ritrovò di fronte un fradicio esemplare di figlio di Poseidone con una faccia pallida da far paura tirata in un sorriso colpevole.
Se il primo istinto fu quello di saltargli al collo e baciarlo, lui diede retta al secondo: gli tirò uno schiaffo sonoro e gli chiuse la porta in faccia. Una volta dentro, si accasciò alla porta e si chiese che cosa stesse passando per la testa a Percy. Che avesse dimenticato qualcosa di fondamentale – come il portafoglio – a casa sua e se ne fosse accorto solo ora? Che non avesse dove andare a dormire e volesse, sfacciatamente, chiedergli ospitalità?
Maledetto cuore, smetti di battere come un tamburo, per favore.
Il campanello ricominciò a suonare, come se Percy avesse deciso di attaccarsi al pulsante, quindi decise di uscire dalla porta e, questa volta, mandarlo via definitivamente. Non si aspettava, però, che l'amico si fosse appostato davanti alla porta e che, non appena lui la ebbe aperta, si scagliasse contro di lui, abbracciandolo.
Si sentiva soffocare da quelle braccia, eppure non le allontanò, anzi, ricambiò timoroso la stretta.
«Scusa».
Cinque lettere e tutta la tristezza e la rabbia erano svanite dal cuore di Nico.
«Mi sei mancato».
Altre dodici e il cuore, questa volta, perse un battito.
«Ti amo».
Di nuovo cinque e il cuore di Nico, questa volta, si fermò. Alzò la testa dalla spalla di Percy e incrociò il suo sguardo, così sicuro e profondo, come mai lo era stato.
«Cosa... cosa hai detto?» sussurrò.
«Io sono scomparso dalla tua vita e da quella di tutti gli altri, poi io a Annabeth abbiamo deciso di sposarci e mi è venuto in mente che, forse, così avremmo potuto riprendere i contatti. Mi mancavate tutti, ma a te, Nico, ho pensato tanto, tantissimo: non sapevo che fine avessi fatto, se fossi vivo o morto, se avessi una ragazza o se avessi trovato lavoro... e volevo vederti, così ti ho invitato. Ma l'anno scorso non sei venuto al mio matrimonio. Ti ho aspettato tanto, pensando che, prima o poi, saresti entrato nel ristorante e mi avresti salutato. C'erano tutti, ma nessuno era preoccupato. Ho chiesto a Jason se ti avesse per caso sentito e se sapesse perché non c'eri e lui... lui non ha voluto spiegarmi, ma qualcosa non andava. Non mi spiegavo come mai tu non fossi venuto, perché fossi semplicemente scomparso, quindi ho iniziato a rimuginarci, e sapevo – ero certo -, che ci fosse qualcosa sotto. Quindi ho detto ad Annabeth che sarei andato a fare un giro e ho chiesto a Jason di darmi il tuo indirizzo. Non voleva, ma poi l'ho convinto, e quindi sono qui».
«Ma... ma cosa c'entra tutto questo?» chiese Nico, il cui cuore non aveva ancora ripreso vita, nonostante il fiume di parole sconclusionate uscite dalla bocca di Percy.
«Ti ho visto così diverso, cresciuto. Ho visto casa tua, il disastro che hai qui dentro, il ragazzo nudo e tutto... e non sapevo perché, ma mi dava fastidio. E poi mi hai detto che eri gay e che l'hai capito innamorandoti di qualcuno. Ho pensato a Jason e tutto mi è sembrato giusto: lui sapeva tutto al matrimonio, e non voleva ti vedessi, quindi...» prese fiato, poi continuò: «Poi ho capito, mi hai detto che ero io. E me ne sono andato perché non ci volevo credere, perché era impossibile che quel ragazzino che per me era come un fratello più piccolo mi amasse in modo diverso da come io amavo lui. Cinque minuti dopo essermene andato, mi sono pentito, perché devo averti fatto più male di quanto immagino, e non voglio farti del male, Nico. Ho pensato di tornare, ma poi mi sono detto che sarebbe stato meglio scomparire definitivamente dalla tua vita e lasciarti in pace... ma non ce l'ho fatta, perché mi sei mancato da morire e non volevo tornare a casa con la consapevolezza di averti abbandonato di nuovo. E quindi sono tornato».
«Perché mi hai detto quelle cose, Percy?» disse ora Nico, con il cuore che, ora, si sentiva sull'orlo di un precipizio: quel dannato ragazzo dagli occhi color del mare lo stava uccidendo, perché di tutto questo non c'era assolutamente nulla che giustificasse quelle parole, che spiegasse un “ti amo”. «Forse non lo sai, Percy, ma amare qualcuno significa volerlo far sorridere, ridere, cercare ogni contatto con lui, guardarlo quando non se ne accorge, magari voler renderlo felice, cercare ogni modo per parlargli, esserne quasi ossessionato, averlo sempre nella testa e, perché no, volerlo baciare, desiderarlo. Tu non mi ami, Percy, hai qualcosa che non va in quella testa, e sei un egoista. Mi dici delle cose e poi mi fai scoprire che sono tutte stupidaggini, cazzate. Non basta non vedermi a un cazzo di matrimonio per pensare di amarmi» e detto questo si allontanò da lui, sentendo di odiarlo, forse ancora più di prima.
«Nico, io... io lo giuro, io ti amo».
«Devi smetterla, e te ne devi andare, ora. Io non ho niente da dirti».
«Senti, Nico, pensi davvero siano tutte sciocchezze? Pensi che per me sia facile essere qui, bagnato fradicio, mentre a casa ho una moglie che mi aspetta? Pensi che mi senta bene a dirti che ti amo e vedere che nemmeno ci credi?»
«Non mi interessa. Sei sparito per anni – anni! - e adesso pretendi di amarmi. Percy, non ci si innamora in un pomeriggio».
«Non in un pomeriggio, ma in un anno intero passato a pensarti, e un pomeriggio e in una sera quando ti ho visto di nuovo».
«E allora baciami, Percy» disse Nico rabbiosamente, sicuro che, per strapparsi di dosso definitivamente il figlio di Poseidone, sarebbe stato necessario distruggersi completamente: come avrebbe, infatti, dimenticato un bacio, se non era riuscito a dimenticare nemmeno uno sguardo? Ma in quel momento non gli interessava, anche perché sapeva che, probabilmente, lui non lo avrebbe nemmeno sfiorato.
Percy si avvicinò e gli mise le mani sul viso, tenendolo dritto verso di sé. Era ancora bagnato, e le gocce di pioggia scivolavano anche sulle guance di Nico che, apparentemente deciso, teneva gli occhi fissi su di lui, non aspettandosi che avrebbe dovuto chiuderli per un bacio. E invece, pochi secondi dopo, le labbra di Percy si posarono sulle sue e lui, gli occhi, li chiuse.


Era strano sentire le mani di Percy che gli tastavano la schiena nuda, ed era strano sentirsi sfilare la maglietta da mani così tremanti. Ed era stranissimo per lui vedere che l'altro non si scostava dai suoi tocchi che, ne era certo, erano tutt'altro che pazienti. Voleva sentire la pelle di Percy a contatto con la propria, voleva placare il desiderio che si era impossessato di lui e affondare nei suoi capelli scuri. Nico sfilò a Percy gli occhiali, la cravatta, la giacca e la camicia, finché non gli si mostrò un corpo perfetto, abbronzato e adulto, diverso da quello che aveva sempre osservato da lontano quando era poco più che un ragazzino.
Percy aveva perso tutt'un tratto la sua sicurezza, e ora esitava sulla cerniera dei suoi pantaloni. Nico allora lo baciò di nuovo, più a fondo di prima, e aprì invece quelli del compagno che sussultò e gemette piano. Non sapeva esattamente se continuare o no, nonostante lo desiderasse con tutto il suo essere: l'altro gli sembrava troppo sconvolto e impaurito; quindi gli chiese, sottovoce: «Sei sicuro che vuoi continuare?»
«Sì, Nico, sì che lo voglio» rispose e, per tutta risposta, si fece forza e aprì il bottone dei jeans neri di Nico.
Si sentiva benissimo, gli sembrava di star per morire per la troppa eccitazione e per la paura di spaventare Percy e di farlo andar via di nuovo. Non pensava che avere il corpo di quel ragazzo fra le dita e sentirlo fremere ai suoi tocchi sarebbe riuscito ad eccitarlo tanto; lo desiderava come nessun altro e voleva che anche l'altro provasse la stessa cosa, quindi prese il suo sesso fra le labbra e iniziò a leccarlo nel modo più sensuale in cui riusciva. L'altro dovette gradire, perché affondò le mani nei suoi capelli per spingerlo ancora di più verso di lui e incominciò a gemere, inarcando il bacino contro la sua bocca.
Probabilmente non era una cosa che avrebbe dovuto fare, ma non concluse il suo lavoro e, poco prima che l'altro venisse, si sollevò di nuovo e lo baciò. Evidentemente Percy aveva perso l'insicurezza di prima, perché non aspettò nemmeno che il bacio fosse finito che lo spinse contro il letto, schiacciandolo con il proprio corpo, ora bollente. Gli sfilò senza troppe cerimonie anche i boxer e iniziò a masturbarlo con una mano, mentre l'altra vagava ovunque, come la sua bocca. Nico non pensava potesse essere così bravo, non tanto da fargli accelerare il respiro così velocemente. I suoi tocchi erano diventati quasi rudi, ma non gli facevano mai male, le sue labbra erano bollenti e scaldavano ogni centimetro di pelle che sfioravano. Il figlio di Ade si sentiva completamente sopraffatto da lui, dalle sue dita e dalla sua lingua: se solo pensava a cosa si era perso in tutti quegli anni, gli girava la testa. Percy quindi con l'altra mano gli aprì le gambe e fece per entrare in lui, ma Nico lo fermò e disse, con il fiato rotto: «Se entri così, mi fai male... vieni qui» e detto questo, tiratosi su, catturò il suo sesso con la bocca e lo bagnò di saliva, godendo dei gemiti sempre più rumorosi di Percy che, questa volta, entrò in lui con decisione. E Nico, sentendo che la campana vicino al suo appartamento suonava dodici rintocchi, sorrise nel mezzo del suo orgasmo, unito al ragazzo che amava: era finita la sua brutta giornata, e nel migliore dei modi.








 

Note autrice:
Non sono molto sicura di questa storia, un po' perché temo di essere andata in OOC, un po' perché ho paura possa annoiare. Nonostante tutto, volevo scrivere per una volta qualcosa di un po' più leggero del solito, quindi ho cercato di divertirmi a scrivere io per prima, ed è uscito questo. Spero davvero che a qualcuno sia piaciuta e ringrazio ancora chi ha commentato e messo la fic nei preferti/seguiti/ricordati!
P.s. per la scena finale, abbiate pietà di me: è la prima scena di sesso dettagliata che scrivo, quindi cercate di non decapitarmi... o almeno, non per quella xD
Per il resto, sono aperta a critiche costruttive di qualsiasi genere!
A presto,
Aturiel

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