Mamihlapinatapei

di BJgirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scotland Yard ***
Capitolo 2: *** Sleepless Night ***
Capitolo 3: *** Fever ***



Capitolo 1
*** Scotland Yard ***


Salve! :)
Questa storia è nata un po' per caso, ma spero vi piaccia.
Sarei molto felice di ricevere suggerimenti e consigli, se ne avete voglia! 
Ovviamente nessuno di questi personaggi mi appartiene (e nemmeno gli attori), nessuno fa davvero queste cose (credo) e nessuno mi paga per scriverle.






Sherlock aprì il laptop con uno scatto deciso. 
Sbattè un paio di volte le palpebre quando vide che la password immessa era errata. Meno di trenta secondi dopo era in pieno possesso del computer di John.
Ovviamente la password era stata cambiata ancora una volta dal proprietario del computer. 
"Per quanto tempo ancora si ostinerà a voler fare questo gioco?" si chiese Sherlock mentre aspettava che la pagina che aveva appena aperto si caricasse.
Nelle ultime due settimane John aveva cambiato password almeno una ventina di volte. Roba da trenta secondi o meno di ragionamento. Sherlock si chiedeva perché a John piacesse far perdere tempo ad entrambi. Non c'era nulla di significante in quel computer - qualche cartella di fotografie, bozze degli articoli per il blog, qualche file riguardante la vita di John nell'esercito.
Era difficile in effetti per un uomo come Sherlock Holmes capire che John, più che proteggere quello che era nel computer, stava proteggendo una cosa che a volte assumeva il nome privacy, altre quello di spazio personale. 
O almeno ci stava provando. 
Ma Holmes era in grado di capire l'impossibile lasciandosi sfuggire le cose più ovvie. 

Mentre scorreva i risultati della ricerca 'come smaltire i postumi di una sbronza', Sherlock emise un verso di disappunto. 
Si chiese perché la gente continuasse a chiamare sbronza ciò che si sarebbe dovuto definire come le conseguenze di un consumo improprio di bevande ad alto contenuto di alcool che..
Lasciò il pensiero a metà, poiché il mal di testa si era fatto più forte e lo schermo accecante del computer non migliorava la situazione. Stava lentamente realizzando perché quella situazione fosse semplicemente definita 'postumi di una sbronza'.
Era stanco solamente dopo aver pensato metà di quella frase. E ad essere onesti, aveva scritto solo metà della frase che aveva cercato, affidandosi poi ai suggerimenti forniti da Google.
In breve trovò quello che stava cercando; prese un paio di compresse per il mal di testa, passò un'ora a dormire e si fece una calda e confortante tazza di the.
Il problema fu che nessuna di queste cose funzionò.
Due ore dopo era nelle stesse condizioni di prima. L'unica differenza era che il computer di John si era spento. Batteria esaurita.

Erano ormai le 8 del mattino quando John rientrò nell'appartamento.
La prima cosa che notò fu Sherlock disteso sul divano che emetteva lamenti incomprensibili con la faccia premuta contro il cuscino. Era davvero stanco dopo il turno di notte e l'ultima cosa che voleva era dover assistere ai capricci di Sherlock. La seconda fu che il suo caro coinquilino aveva di nuovo usato il suo computer. 
Si avvicinò al detective emettendo un grugnito,; stava per iniziare uno sproloquio contro l'amico quando il detective si alzò di scatto e corse via dal salotto. Poco dopo John lo sentì tossire e tirare lo sciacquone del bagno. 
Decisamente qualcosa non andava.
Sherlock tornò poco dopo ciondolando fino al divano dove riprese la stessa ed identica posizione. 
"D'accordo. È evidente che non hai dormito e questa non è una novità. Ma che diavolo hai combinato stanotte?" chiese il dottore.
"Scotland Yard sarà presto rasa al suolo".
"Sherlock. È una risposta senza senso, te ne rendi conto, vero?" disse John, con una leggera punta di preoccupazione che aleggiava nella sua voce. Sherlock era davvero capace di una cosa simile. 
La risposta del detective fu un altro lamento.
Quella di John un sospiro.
"Sono ubriaco. O forse lo ero ieri sera. O forse lo ero e lo sono. Non lo so"
"Perché ti sei ubriacato da solo qui?" sussurrò John perplesso, appoggiandosi al muro. Più che una domanda per Sherlock, era più un quesito verso se stesso. 
"Davvero credi che sia arrivato ad un tale livello di noia?"
John lo fissò senza dire una parola. Davvero non capiva.
"Ieri sera a Scotland Yard c'era una specie di festa. Qualcosa a che fare con un caso che hanno risolto, o meglio, che ho risolto, che la stampa ha catalogato come uno dei più difficili degli ultimi anni" cominciò Sherlock, dopo aver sospirato per l'ennesima volta. "Ricordi che ero davvero scocciato dal fatto che mi avessero costretto a presenziare a quell'inutile e patetico evento? Bene, nel corso della serata non so chi né perché ha mischiato dei liquori alle mie bevande. È l'unica spiegazione possible. Sai che non bevo. La quantità è stata relativamente poca, credo, ma gli effetti si sono fatti sentire. I miei sospetti ricadono per la maggior parte su Anderson comunque. Il movente più plausibile è la vendetta."
Sherlock aveva iniziato il suo discorso con la solita velocità, dovendo però rallentare man mano che andava avanti.
"Oh" esclamò John. "Direi che la serata è stata divertente" continuò sorridendo;  Sherlock ubriaco doveva essere uno spettacolo più unico che raro.
"Non lo so" disse Sherlock, ignorando il senso di quello che aveva appena detto l'amico. 
"Non lo sai?"
"John, se avessi voluto un pappagallo sarei andato in un negozio di animali."
"Come puoi non saperlo?" continuò il dottore ignorando il detective. 
"La mia mente ha cancellato la maggior parte degli avvenimenti della scorsa notte. Non credo nemmeno di averli registrati"
"Oh" ripeté John, sorridendo ancora di più. "Allora dovevi essere proprio fuori. Mi sarebbe piaciuto vederti" disse ad alta voce questa volta.
"Cosa ti fa sorridere così tanto John?" chiese Sherlock, con la sua consueta punta di acidità che non scompariva mai, nonostante poco prima sembrasse mezzo moribondo.
"Credo che tu ieri abbia mostrato il tuo lato più umano. E questo mi fa sorridere."
"Non sai quanto detesti quel mio lato" rispose Sherlock.
"Vai a riposare. Per oggi pomeriggio sarai quasi come nuovo" disse John mentre andava ad accomodarsi sulla poltrona.
"Non funziona" protestò il consulente.
"Ti assicuro che ci vorrà solo un po' di tempo." continuò John mentre pensava a cosa poter mangiare. I turni di notte lo sfiancavano sempre. 
"Come lo sai?" chiese il detective facendo emergere la faccia dal cuscino e facendole assumere un broncio che John catalogò come tenero.
"Sherlock. Sono un medico. E posso dire di avere una discreta vita sociale, che include diverse..."
John lasciò la frase a metà. Il suo cervello aveva appena metabolizzato quello che era successo. Aveva appena pensato che il suo coinquilino, il suo migliore amico, fosse tenero. 
Non che non avesse mai pensato che un qualche suo amico potesse essere tenero; lo aveva pensato di Mike quando lo aveva visto tenere in braccio la figlia, oppure di James quando si era ripreso dell'incidente e aveva preso un cucciolo di cane. In quei casi c'era un motivo ben preciso che aveva fatto nascere quel pensiero. 
Ma adesso? Quella domanda stava tormentando John, che si accorse di essere rimasto in silenzio solo quando vide la mano del detective agitarsi a pochi centimetri dalla sua faccia.
"..occasionali paralisi temporanee?" chiese Sherlock, con il tono più beffardo che riuscì ad avere.
Il medico di girò veso di lui e si ricordò che Sherlock stava ancora male - a dire la verità aveva visto momenti peggiori, ma per lui un mal di testa era peggio che una pallottola.
"Hum? No non era questo che... Lascia stare. Vai a riposare ho detto" tagliò corto John, che credeva di aver anche trovato una risposta alla sua domanda: Sherlock stava male e aveva bisogno di aiuto, quindi il suo istinto di soccorritore si era mescolato alla sua ragione. Sì, era andata sicuramente così. Un ragionamento degno di Sherlock, vero dr. Watson?
Dopo un altro paio di moine Sherlock si decise ad andare nella sua stanza.

Anche John fece lo stesso, ma nonostante fosse molto stanco non riuscì a dormire. Pensò a come la sua vita fisse cambiata da quando era andato a vivere al 221B di Baker Street.
Si rese conto che in effetti, da un anno e qualcosa ormai, la sua vita girava letteralmente intorno a Sherlock. Non che non ne avesse una al di fuori di lui, ma tutto ciò che gli interessava era comunque legato a quella specie di sociopatico.
John sbuffò. Sentiva che qualcosa di molto ovvio gli stava sfuggendo, ma non riusciva proprio a capire cosa. Si alzò e decise di andare in cucina. 

Dal canto suo Sherlock era in camera disteso sul letto. Non lo aveva mai notato, ma in quel momento trovava il soffitto davvero molto interessante.
I postumi della 'bevuta' della sera precedente erano passati in secondo piano - non che fossero spariti, ma adesso aveva cose molto più importanti a cui pensare.
Credeva di dover morire solo su quel divano. Poi era entrato John e tutto era passato. O meglio, si era dimenticato di stare così male. Non riuscire a trovare una spiegazione logica lo tormentava.
A dirla tutta una l'aveva trovata, ma era davvero improbabile.
'Eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità' cominciò a ripetere una voce nella sua testa.
Sbuffò; per quanto gli desse fastidio in quel momento, sapeva che aveva ragione.
Iniziò a sentirsi di nuovo stanco - e anche leggermente annoiato; decise quindi di chiudersi nel suo palazzo.
Poco dopo si addormentò.

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Capitolo 2
*** Sleepless Night ***


Quando aprì gli occhi, Sherlock si trovò con più della metà del viso sommerso nel cuscino.  Rotolò lentamente su un fianco e notò che l’unica luce proveniente dalla finestra della sua camera era prodotta dal lampione sul ciglio della strada. Era ancora notte (aveva davvero dormito tutto il giorno?) ma non sapeva che ora fosse di preciso.
Doveva decidersi a cambiare la batteria dell’orologio sul muro. Erano ormai mesi che era fermo.
'Irrilevante', decise infine.
Si accorse di sentirsi stordito e non riusciva a capirne il motivo; sospirò e si girò sulla schiena, tornando a fissare il soffitto, esattamente come il giorno precedente.  Adesso però il soffitto aveva perso la maggior parte del suo charme. Dopo alcuni minuti si ricordò di essersi addormentato mentre vagava per il suo palazzo mentale e di non aver percorso il suo cammino al contrario per uscirne. Sbuffò frustrato.
Per lo meno tutti i postumi erano spariti. John aveva ragione, era solo una questione di tempo.
Già, John.
Sherlock tornò con la mente all’arrivo del dottore il mattino precedente; appena sentì la sua voce tutto il malessere scomparve. O meglio, scomparve dalla sua mente.
 La cosa lo preoccupava e non poco. Soprattutto perché non era la prima volta che la sola presenza di John bastasse a distrarlo, a mandarlo fuori strada mentre seguiva l’ordine disordinato dei suoi pensieri. E questa era una cosa grave.
Quando si era involontariamente addormentato la sera precedente stava cercando di sistemare nel suo Palazzo tutte le volte in cui era stato distratto dalla presenza di John, possibilmente in ordine cronologico. L’essersi addormentato nel bel mezzo di questa operazione non aveva fatto altro che aumentare la sua confusione.
Sbuffò di nuovo.
Decise che suonare qualcosa fosse una saggia scelta. A dire il vero, non era nemmeno una scelta, semplicemente ne aveva voglia. Ma il pensare di fare cose sagge serviva ad infondergli un senso di soddisfazione. Cosa se ne facesse di quella sensazione, nessuno l’ha mai saputo. Nemmeno lui.
Alzandosi notò di essere ancora vestito con -non era possibile- gli stessi abiti che aveva indossato per la ‘festa’ a Scotland Yard due giorni prima. Si corresse, tecnicamente era un giorno e mezzo.
Gettò da qualche parte la camicia e i pantaloni del completo, indossando poi i pantaloni del pigiama e la sua solita vestaglia.
Uscì dalla camera e percorse a piedi nudi il corridoio, entrando poi nel salotto e dirigendosi verso la finestra. Il violino e l’archetto sembravano attenderlo, poggiati in bella mostra sulla scrivania accanto alla finestra. La luce proveniente dai lampioni illuminò la figura del detective fino alla vita, costringendolo a socchiudere gli occhi per qualche secondo. Prese un paio di spartiti da terra e li sistemò sul leggio, poi afferrò il violino e l’archetto e si mise in posizione.
Appoggiò l’archetto sulle corde e ruotò leggermente il busto, come era solito fare quando era in procinto di iniziare a suonare; lasciò vagare lo sguardo sul salotto e vide di sfuggita un’ombra sulla poltrona.
Si fermò immediatamente e di voltò.
I suoi occhi impiegarono qualche istante per abituarsi al buio. Con qualche sforzo riuscì ad identificare la persona che era seduta sulla poltrona.
John.
“Che ci fai qui?” chiese Sherlock, con la voce ancora un po’ rauca.
“Potrei e dovrei farti la stessa domanda” rispose John, un tono piatto che suonò strano alle orecchie del detective.
“Io sono venuto per suonare. Lo faccio spesso, ma questo lo sai già. Ho risposto alla tua -cioè mia- domanda. Tu invece se ti alzi durante la notte al massimo cammini per la stanza oppure scendi solo per farti un the, per poi tornare subito in camera tua. E non resti così seduto al buio” iniziò uno dei suoi soliti sproloqui Sherlock.
“Non essere idiota” fu il commento del dottore.
“Come scusa?” chiese il moro, piuttosto sorpreso.
John sbuffò.
‘Assurdo’ pensò Sherlock. ‘Da quando i ruoli si sono invertiti? Magari anche la Terra ha iniziato a girare al contrario?’
Come se sapessi quale sia il verso di rotazione della Terra, puntualizzò una vocina nella testa del detective.
“Perché per una volta non chiedi quello che vuoi sapere, invece di dover fare dei giri di parole e di concetti immensi?” sbottò John.
Sherlock non disse una parola. Guardò l’ex soldato negli occhi. Questa volta davvero il dottore ci aveva visto giusto. Magari ci aveva visto giusto un sacco di volte, da tanto tempo -da sempre- e aveva fatto finta di niente.
‘Sicuro’ si ritrovò a constatare Sherlock nella sua testa.
 Perché allora tirare fuori questo argomento in quel momento? Insomma, John non si era mai lamentato dei suoi modi. Ad essere precisi, non si era mai lamentato del modo in cui Sherlock comunicasse con lui. Criptico ma comprensibile.
Sherlock non staccò nemmeno per un secondo i suoi occhi da quelli di John e neanche il dottore sembrava intenzionato a rompere quel contatto. Gli occhi di John erano risoluti ma allo stesso tempo velati da una leggera ombra, che si mostrava solo per pochi istanti, ad intermittenza.
La vera domanda che Sherlock avrebbe voluto porre era ‘Perché sei qui John, cosa c’è che non va?’, perché era ovvio che qualcosa non andasse e doveva essere qualcosa di importante, per tenerlo seduto lì nel buio della notte senza nemmeno una tazza di the accanto.
Però Sherlock non ne era capace. Semplicemente non ce la faceva. Eppure John aveva capito anche quella volta.
Mentre guardava fisso negli occhi di John, sentì per la prima volta il bisogno di dirgli che teneva a lui (forse le persone normali avrebbero detto qualcosa come ‘voler bene’) ma che a volte lo odiava perché la sua semplice presenza bastava a mandare alla deriva la sua concentrazione, che non capiva perché e odiava non capire. Però no, in fondo non odiava John.
Il dottore non si mosse di un millimetro finché con calma si alzò dalla poltrona e si avviò per le scale senza dire una parola, lasciando Sherlock da solo in salotto.
Quando sentì la porta della stanza di John chiudersi, Sherlock si voltò di nuovo verso la finestra, abbassando lo sguardo sul primo spartito.
Non sapeva se suonare fosse ancora una scelta saggia.
 
 
John chiuse la porta e si trascinò fino al letto, dove si lasciò cadere. Non aveva chiuso occhio quella notte.
Il pensiero di Sherlock, la consapevolezza di aver associato la parola ‘tenero’ a Sherlock lo aveva davvero scosso. Almeno, dopo una notte insonne, aveva accettato il fatto che non ci fosse nessuna motivazione che lo avesse spinto a formulare quello strano accostamento. Stava facendo progressi. Più o meno. C’era solo una strana sensazione che non riusciva a definire.
Ripensò al giorno che ormai era finito da qualche ora.
Dopo quella breve ‘chiacchierata’ con Sherlock, John tentò di dormire, ma invano. Provò anche a farsi una tazza di the che, con sua somma sorpresa, trovò disgustosa. Quindi uscì per fare due passi, perché aveva bisogno di fare due passi. Non sentiva nemmeno più tutta la stanchezza accumulata durante in turno di notte.
Poi aveva incontrato per caso Greg e avevano deciso di pranzare assieme. Parlarono dell’ex moglie di Greg, di quanto fosse probabile una relazione tra la Donovan e Anderson – o meglio delle prove che avevano- e di altre cose talmente banali che John nemmeno le ricordava.
Dopo aver salutato Greg, che avrebbe iniziato il suo turno nel primo pomeriggio, John andò a fare la spesa, ma prima si concesse un’altra passeggiata. Tornò a Baker Street che il sole era già tramontato, sistemò gli acquisti e notò che non c’era nemmeno l’ombra di Sherlock. Optò per una doccia calda dopodiché si ritirò nella sua stanza deciso a concedersi una lunga e profonda dormita.
Nonostante le sue ottime intenzioni, si ritrovò quasi tormentato dal pensiero del suo migliore amico. Era riuscito a rimandare quel momento per tutto il giorno, ma adesso aveva esaurito tutti i diversivi. Rimase in balia dei suoi pensieri per un tempo indefinito, finché quel letto iniziò a sembrargli davvero troppo scomodo. Decise di scendere al piano inferiore.
Quando Sherlock entrò in salotto lui era su quella poltrona da molto tempo ormai.  Nel momento in cui il detective lo notò e gli pose quella domanda che ne sostituiva palesemente un’altra, John si sentì davvero infastidito dal comportamento del suo coinquilino. Perché, lui che sapeva cosa fare e cosa dire –sempre sempre sempre, lo sapeva- doveva fare questi giochetti? Ovviamente Sherlock non aveva idea di come ci si sentisse a non avere delle risposte –il grande detective le aveva sempre tutte, e anche alla svelta.
John perdeva ore a scervellarsi dietro cose che, per quanto stupide potessero sembrare agli occhi del mondo, erano importanti ai suoi. E poi si sa, il suo cervello era decisamente ordinario.  
Il dottore che non riusciva a venire a capo nemmeno di un cruciverba si sforzava tanto, mentre il detective che aveva tutto, che vedeva tutto, ingorava deliberatamente quel tutto. Era decisamente frustrante.
John alzò la testa che aveva tenuto ben premuta sul materasso fino a quel momento perché gli sembrava che l’aria iniziasse a scarseggiare e notò che i lampioni erano ormai spenti e il cielo chiaro.
Sospirò afflitto. Quella nottata insonne non aveva portato consiglio.

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Capitolo 3
*** Fever ***


La sera seguente, John sentì Sherlock uscire ad un orario indecente. Non si erano parlati per tutta la giornata, ma era già successo altre volte che litigassero. Certamente non per quel motivo. Il fatto che Sherlock fosse uscito senza di lui (doveva per forza trattarsi di un caso, a quell’ora della notte) fece rattristare John.
Il dottore decise di riprendere la lettura di un libro che aveva abbandonato da troppo tempo ormai. Nonostante fosse ancora leggermente arrabbiato con Sherlock, decise di aspettarlo sveglio.
Quando John  aprì gli occhi era ormai giorno. Un sole pallido illuminava timidamente Londra. Quando fece per muoversi, John sentì male alla schiena e alle gambe. Si era addormentato mentre leggeva e aveva passato la notte in una posizione decisamente scomoda. Ci mise più di cinque minuti ad alzarsi.
Scese in cucina per prepararsi del tea e mentre si avvicinava al lavello, scivolò su una pozza d'acqua che non aveva visto. Si aggrappò all'ultimo ad una sedia, evitando così di cadere rovinosamente a terra. La pozza d’acqua era nel bel mezzo della stanza. Guardò il soffitto ma non vide nessuna perdita.
"Sherlock" sospirò John, abbattuto.
Lasciò perdere l'idea del tea e andò verso la camera del detective. Bussò piano.
"Sherlock? Dormi?" chiese. Non ricevendo alcuna risposta bussò di nuovo, più forte. "Sherlock? Sei qui dentro?" mentre parlava, John aveva abbassato la maniglia e stava aprendo piano la porta della camera del detective.
Guardò il letto e vide un groviglio indefinito di lenzuola e coperte. Decisamente Sherlock era lì.
John si preoccupò involontariamente; Sherlock non dormiva mai fino a tardi (le rare volte che dormiva). Si avvicinò al letto e vide che il suo amico era coperto fino alla fronte. Gli poggiò una mano sulla spalla e lo scosse leggermente.
"Sherlock?" lo chiamò.
L'unica risposta che ricevette fu un debole lamento, che a causa di tutte quelle coperte risultava ancora più flebile.
John spostò la sua mano dalla spalla alla fronte del detective, per togliere tutto quello strato di coperte dalla suo viso. Solo allora si accorse che aveva i capelli bagnati e la fronte madida di sudore.
"Sherlock!" quasi urlò John, mentre con un movimento brusco tirò giù le coperte fino a scoprire le spalle del detective. Sherlock aveva il viso arrossato ed era in un bagno di sudore nonostante indossasse un pigiama leggero. John poggiò il dorso della mando sulla fronte del detective e senti chiaramente che scottava. Aveva la febbre molto alta, chissà da quanto era in quelle condizioni.
"Sherlock, cosa diavolo hai combinato?" chiese stizzito mentre faceva mente locale su dove fosse il termometro. Pregò che Sherlock non lo avesse distrutto per utilizzare il mercurio per qualche strambo esperimento.
"John" si lamentò Sherlock. "Ho freddo" disse mentre tentava di aprire gli occhi.
"E ci credo! Avrai almeno 38 di febbre. Sta' buono, torno subito." rispose John mentre usciva dalla camera. Andò in bagno, dove riempì una piccola bacinella con acqua fredda e vi immerse un piccolo asciugamano. Poi aprì il mobiletto accanto alla finestra e con suo grande sollievo trovò il termometro.
Prese tutto e tornò da Sherlock.
Il detective tremava visibilmente e aveva davvero una brutta cera.
John prese l’asciugamano e lo strizzò per bene, per poi piegarlo con cura e poggiarlo sulla fronte di Sherlock, che appena sentì il freddo scosse la testa (per quanto riuscisse) e lo fece cadere sul cuscino.
“Non cominciare” lo rimproverò subito John, raccogliendolo e poggiandolo di nuovo sulla fronte del detective.
Sherlock fece una smorfia ma non si mosse.
John prese il termometro e lo accese, poi alzò il braccio di Sherlock e posizionò il termometro sotto l’ascella. Abbassò il braccio e tenne la sua mano sul polso dell’amico, per evitare che si muovesse, e si sedette sul bordo del letto.
Mentre aspettava, John guardò Sherlock che respirava pesantemente.
“Perché non sei venuto a chiamarmi?” chiese John.
“ Era pericoloso” rispose Sherlock, con voce rauca e leggermente più bassa del solito.
“Cazzate. Non ti sei mai fatto problemi. E comunque non mi riferivo a ieri sera, di questo ne parleremo dopo, come parleremo del perché ci sia una pozza d’acqua in cucina. Intendevo perché non sei venuto a chiamarmi quando sei rientrato in queste condizioni” rimbeccò John.
“Non volevo svegliarti” Sherlock parlò così debolmente che John si sporse involontariamente verso di lui, nel tentativo di sentire meglio.
Il dottore aprì la bocca per ribattere, ma fu interrotto da Sherlock che continuò “Sei stato sveglio più di una notte per colpa mia e i turni in ambulatorio sono più pesanti ultimamente. Non mi sembrava il caso di svegliarti per una sciocchezza”
John rimase muto per qualche istante a fissare la testata del letto.
Era davvero sorpreso dal comportamento del suo amico. Si ricordò di come si era comportato solo qualche giorno prima per i postumi della bevuta. ‘Devo chiamare Greg e farmi raccontare cosa è successo di preciso’ si appuntò mentalmente il dottore. John tornò a fissare Sherlock. Sembrava leggermente più calmo, nonostante fosse ancora sudato, rosso in viso e scosso da brividi.
Il termometro suonò facendo sussultare John. Lo sfilò delicatamente. Il display segnava 38.6.
“Vado a prepararti qualcosa da mangiare” disse John mentre di alzava.
“Non ho fame” protestò Sherlock
“Lo sai che non mi interessa” rispose John mentre si allontanava lungo il corridoio.
Arrivato in cucina, John riempì un pentolino con dell’acqua e lo mise sul fuoco. Prese un pacco di pastina e si sedette su una sedia ad aspettare.
Pensò a Sherlock in quelle condizioni e si sentì una specie di crocerossina. Il pensiero lo fece ridere.
Sherlock era sì arrogante, pieno di sé, non aveva né tatto né empatia, ma John in quel momento fu certo che sotto sotto Sherlock aveva un gran cuore.
Si mise a riflettere su tutte quelle volte che Sherlock aveva fatto qualcosa di inusuale solo per lui, solo per John.
Come quella banalissima sera quando avevano ordinato cinese. John stava per farsi una doccia quando arrivò il cibo e notò con disappunto la mancanza di salse. Poggiò i sacchetti sul tavolo e disse a Sherlock che, se voleva, poteva mangiare anche mentre lui era in doccia.
Uscì una mezzora dopo, notando come ci fosse un sacchetto vuoto e due ciotoline piene di salse accanto al sacchetto pieno. Sherlock era andato a comprare le salse mentre lui era in bagno. John ci arrivò solo il mattino seguente.
Sherlock non aveva mai dato importanza a ricorrenze o anniversari. Non si preoccupava del Natale (festa che invece John adorava), perché si sarebbe dovuto interessare a qualcosa di banale come un compleanno?
‘E’ una cosa inutile, John!’ il dottore poteva quasi sentire il tono scocciato di Sherlock.
L’anno precedente John aveva organizzato una cena a Baker Street per festeggiare il suo compleanno. Aveva invitato Mrs. Hudson (in realtà era stata proprio la loro padrona di casa a proporgli l’idea), Greg, Molly, Mycroft (più che per piacere si sentì obbligato, anche se a dirla tutta in fondo – ma davvero in fondo- provava simpatia per il maggiore degli Holmes), Sally e Philip (più per far piacere a Greg) e Jessica, la sua ultima fiamma.
La signora Hudson gli aveva regalato un set per il tea, Greg e Molly dei libri, Mycroft la promessa di lasciarlo in pace per un po’, Sally e Philip un maglione con degli animaletti (John qui colse una punta di ironia) e Jessica..beh, Jessica gli aveva promesso il più bel regalo che potesse permettersi (presentandosi alla porta con una coccarda sul vestito), salvo poi scappare via dopo l’ennesimo sproloquio di Sherlock.
Ma fu proprio il regalo di Sherlock a lasciarlo senza parole. Il giorno del suo compleanno fu costretto a lavorare fino al primo pomeriggio. Era davvero in ritardo- doveva ancora fare la spesa e cucinare tutto.
Quando entrò a Baker Street rimase senza parole nel vedere Sherlock circondato da buste piene di ingredienti mentre maneggiava pentole e padelle. Per qualche secondo John fu preso dal panico, con il costante terrore che la cucina potesse saltare in aria da un momento all’altro.
“Cosa stai facendo?” chiese al detective, che era talmente concentrato da non aver fatto caso all’arrivo del dottore.
Sherlock sussultò e si girò di scatto.
“Sbaglio o questa sera avremo la casa invasa?” chiese mentre dava di nuovo le spalle al dottore.
“Si, ma non capisco cosa c’entri con te che..” John fece dei movimenti con la mano ad indicare Sherlock e la cucina.
“Credevo che saresti tornato tardi. Non mi va di sentire Anderson borbottare perché non è tutto pronto. In più, se arrivano e mangiano subito, se ne andranno anche prima” borbottò Sherlock.
Tutto quello che arrivò alle orecchie di John fu un grande ‘Buon compleanno’.
Nessuno seppe mai che tutta la cena fu merito di Sherlock.
Il rumore dell’acqua che bolliva riportò John alla realtà. Mentre versava della pastina nel pentolino e aggiungeva un pezzo di dado, sentì le guance fargli leggermente male. Solo allora si accorse di star sorridendo. Sorrise ancora di più, scuotendo la testa.
 
Trovò Sherlock così come l’aveva lasciato. Poggiò il piatto e il cucchiaio sul comodino, poi prese un altro cuscino e lo sistemò dietro la schiena di Sherlock mentre lo aiutava a mettersi seduto, il tutto corredato da numerose moine del detective.
“Non posso mangiare, mi fa male la gola” cominciò Sherlock, in tono lamentoso.
“Ancora meglio, è caldo e non può farti che bene” rispose John con un sorriso. Stavolta non l’avrebbe avuta vinta.
Sherlock sbuffò e mise il broncio.
‘Adorabile’ pensò John, scacciando però il pensiero non appena si accorse di averlo formulato.
Si sedette sul letto, prese  piatto e cucchiaio e si preparò ad una lunga battaglia.
 
Dopo un quarto d’ora, Sherlock aveva ingoiato solo qualche cucchiaiata. Stremato, John rinunciò.
Poggiò di nuovo il piatto e il cucchiaio sul comodino e diede a Sherlock una medicina per far abbassare la febbre, poi lo aiutò a stendersi.
Sherlock si sdraiò su un fianco dando le spalle a John, che rimase in piedi vicino al letto. Decise di uscire lasciando la porta aperta. Non fece in tempo a fare qualche passo lungo il corridoio che si sentì chiamare.
“John?”
Tornò indietro e si affacciò nella stanza di Sherlock.
“Dimmi” disse, trovando il detective che lo osservava con una strana espressione.
“Ecco, io…” cominciò Sherlock, abbassando gli occhi “Mi chiedevo se..”
“Avanti Sherlock, parla” disse John mentre di appoggiava alla porta incrociando le braccia.
“Se ti andava di restare un po’ qui..” continuò Sherlock, mentre alzava di nuovo lo sguardo.
John non ci pensò nemmeno.
“Ma certo” disse sorridendo, mentre si avvicinava al letto. Si sedette con la schiena poggiata alla testata, guardando Sherlock. Lo vide sorridere leggermente prima di chiudere gli occhi.
In quel momento, capì quella cosa ovvia che tanto gli sfuggiva.
Sherlock.
Era Sherlock la chiave di tutto. Quel pazzo che non aveva nulla di normale, che aveva riempito la sua vita. Letteralmente.
John pensò a tutte le volte che aveva stilato una lista delle cose che cercava in una relazione. Si accorse, notevolmente terrorizzato, che le aveva già trovate tutte. In Sherlock.
Cercava comprensione (chi più di Sherlock Holmes era capace di capirlo- e dedurlo- con tanta facilità?), stabilità ma non monotonia (con Sherlock di sicuro non ci si annoiava mai, eppure si ritrovavano sempre, anche dopo litigate furiose), cercava qualcuno su cui potesse contare sempre (Sherlock aveva rischiato più volte la sua vita per lui) e di cui potersi fidare ciecamente. Avrebbe messo davvero la sua vita nelle mani di Sherlock?
“L’ho già fatto molto tempo fa” sussurrò, mentre con la mano sfiorava i riccioli neri del detective, che ormai dormiva tranquillo.
Fece per alzarsi, ma Sherlock emise un lamento di protesta. John tornò ad appoggiarsi sul letto, dicendosi che in fondo non sarebbe stato poi così male passare altri cinque minuti così. E poi, aveva tante cose su cui riflettere e un certo detective da sorvegliare.




Salve! Spero che vi piaccia questo capitolo :)
Un grazie grande grande ad Always221B per le recensioni :]
A presto!
Bjgirl

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