Storia di un Corvo di pece e dell' Angelo di zucchero filato

di Alice_nyan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Corvo ***
Capitolo 2: *** L'Usignolo ***



Capitolo 1
*** Il Corvo ***


*|/ Dedico questa fan fiction alla mia Hime, che rappresenta in tutto e per tutto Miori Kyoku, la mia OC. Spero che anche Sa-kun leggerà questa fan fiction, che ho tardato a pubblicare e che ho praticamente progettato con lei.
I personaggi non sono i miei, ma appartengono all'autore della storia originale, il manga Deadman Wonderland.
Gradirei ricevere delle recensioni. |/*

Storia di un Corvo di pece e dell' Angelo di zucchero filato

 “Hey, hai sentito?” un uomo magro dai capelli neri con una divisa da poliziotto si stava rivolgendo ad un suo compagno. Portava degli occhialini rotondi che gli cadevano continuamente dal naso, e tentava di reggerli. Siccome stava elaborando dei dati sul computer e aveva bisogno di entrambe le mani per scrivere, alternava le funzioni della sinistra: una parola e poi gli occhiali, gli occhiali e poi una parola. Era seduto su una seggiola di metallo, davanti ad una scrivania in legno massello lunga un paio di metri, piena di fogli sparsi.
“Sentito cosa?” domandò l’altro irritato, ma allo stesso tempo incuriosito. Lui aveva una corporatura più robusta, dei capelli castani chiari e gli occhi dello stesso colore. Era seduto lì vicino, e stava leggendo dei fogli mentre fumava una sigaretta e sorseggiava un caldo caffè.
“Che, non lo sai? Ci sono stati una serie di omicidi, che vengono attribuiti ad una bambina” disse a voce bassa coprendosi la bocca con una mano, per farlo sembrare un segreto, fingendo di aver paura.
L’altro avvicinandosi gli tirò un lieve pugno sulla spalla, scherzando, per farlo smettere. Non sopportava le prese in giro e quella sembrava proprio una situazione simile. “Ma smettila. Non credo a queste cose, Kan” affermò con estrema serietà, mentre l’altro rideva divertito. Prese la sigaretta ormai finita e la buttò a terra, schiacciandola con un piede.
“però è arrivata una bimba che è stata ritrovata nel luogo di un delitto” lo informò Kan “la devono ancora interrogare, e qualcuno deve badare a lei”
L’altro uomo si alzò e prese il bicchiere di carta che conteneva il caffè. Guardò al suo interno, vide che rimaneva ancora qualche goccia e finì la bevanda. Poi accartocciò la confezione e la lanciò dentro il cestino dall’altra parte della stanza. “Mi sa che ci andrai tu, perché il mio turno è finito proprio ora”
“no, non ci penso neanche. Non mi puoi abbandonare in questo modo!” sbottò il compagno ancora seduto. L’altro sorrise maliziosamente e fece spallucce. Poi ci rifletté un momento e disse: “so io cosa puoi fare! Già che ci siamo affida il compito a quell’altro bambino: Senji!”
In quel preciso istante entrò nella stanza il diretto interessato, sbattendo la porta seccato come al solito. Era un giovane di circa vent’anni, dalla carnagione abbronzata e i capelli neri che teneva sempre scompigliati.
“senti senti, si parla del diavolo ed ecco che compare” disse Kan facendo una smorfia.
Senji gli sorrise come per rispondere al saluto accogliente “Fuori da qui, ora è il mio turno” lo scacciò con arroganza accentuando la parola “mio” come se stesse parlando del proprio territorio di caccia. Aveva sicuramente un carattere impulsivo e irruento, che lo facevano sembrare una bestia feroce da non provocare. Fece cenno di andarsene all’agente già in piedi, che dopo qualche impreco prese una giacca e uscì frettolosamente dall’edificio.
“Eh? Cosa dovei fare?”
“Te l’ho detto! Devi andare davanti alla sala numero due e aspettare finché non vengono! Devi semplicemente guardare cosa fa la bambina, senza entrare nella stanza o altr-…”
Senji si era già allontanato, lasciano parlare a vanvera Kan, che lo riempì di accidenti.
Il corvino attraversò un lungo corridoio spoglio, senza nemmeno un mobile che lo arredasse. In realtà rispecchiava alla perfezione sia l’edificio che le persone che vi si trovavano all’interno. Erano tutti vuoti, trascinavano attaccate ai polsi e alle caviglie delle lunghe catene di metallo, che sbattevano ad ogni movimento e facevano male ad ogni passo.
Tutte sciocchezze!
Scosse la testa per allontanare quelle riflessioni troppo filosofiche e campate per aria. Aveva da fare.
Però ammirava moltissimo i suoi compagni, anche se non lo faceva notare. Per lui erano degli esempi: gli avevano fatto capire che non bisogna mai arrendersi e che finché c’è speranza c’è vita. Non che avesse mai capito cosa significassero le loro stesse parole, non che gli interessasse più di tanto, ma avevano mosso qualcosa nel suo cuore. Loro avevano sempre i loro diverbi, certo, ma se non fosse stato così, dove sarebbe stato tutto il divertimento?
Passò davanti ad una stanza con la porta aperta e le luci accese. Entrò lì per chiuderla e si trovò riflesso sulla superficie liscia della finestra. Trapassò la propria immagine, e si limitò a guardare il paesaggio esterno. Le luci che risplendevano nel buio di Tokyo erano bellissime, anche se erano esigue. Una volta c’era un’infinità di lumini, che brillavano come lucciole nella città, ma dopo quell’avvenimento era cambiato tutto. Si rattristò e strinse più forte che poteva il pugno della mano destra, come per farsi forza. Scacciò subito via quel pensiero, spense le luci e chiuse la porta della stanza. Attraversò il corridoio e si fermò davanti ad una delle ultime sale.
Entrò, chiudendo delicatamente la porta dietro di sé.
La stanza aveva le pareti bianche e delle mattonelle nere lucidissime. Non la pulivano spesso, ma dovevano averlo fatto di recente, perché ci si poteva facilmente specchiare. Al centro c’era un tavolo in metallo, a cui erano affiancate delle sedie dello stesso materiale, e attaccate direttamente alle pareti c’erano delle panche.
Lui squadrò con attenzione tutto il perimetro, alla ricerca di qualcuno. Quando ormai si era convinto di aver sbagliato stanza, i suoi occhi si posarono sopra un esserino rannicchiato in un angolo. Era una bambina piccola, fragile e misera, che cingeva le gambe con le braccia e che teneva il capo appoggiato alle ginocchia. Lei non si muoveva e non parlava. Aveva gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, sembrava stesse dormendo, ma aveva un respiro irregolare e non smetteva di piangere e singhiozzare. Le lacrime cadevano lentamente a terra, facendosi strada sul suo volto pallido, attraversando le dolci guance.
Quando lei si accorse di aver avuto visite, sobbalzò un momento un po’ stordita e fissò seduta a terra l’ospite inaspettato. Lui la guardò allo stesso modo, finché non si mise una mano tra i capelli e sorrise.
“Cosa puoi mai aver fatto di male per finire qua?!”
Lei si asciugò le lacrime che stagnavano sotto i suoi occhi, sorrise e si alzò felicissima. Saltellò un po’ intorno all’agente, muovendo il suo vestito bianco. Un abito leggero che si posava delicatamente sulle sue piccole spalle, che svolazzava ad ogni suo movimento, proprio come le ali di una leggiadra farfalla. Le arrivava alle ginocchia, piene di graffi e con qualche sbucciatura. La bambina aveva due codine bionde che le scendevano fino a metà schiena, ornate da due elastici bianchi che richiamavano il vestito e le bende che le coprivano le mani, fasciate.
“Sei venuto a farmi compagnia!” all’inizio doveva essere una domanda, ma la sua voce allegra e squillante la fece sembrare un’affermazione “Sei un generale!”
“Mi chiamo Senji e sono un poliziotto. Si dice agente Senji” le spiegò sorridendo. Non aveva mai pensato alla possibilità di diventare un generale o robe simili.
“Ok, sergente Senji!”  lo salutò portando una mano alla fronte, mimando il saluto dei soldati. Per la spontaneità del gesto l’uomo si mise a ridere, e così anche la bimba.
“Piuttosto, tu come ti chiami?”
Questa domanda la lasciò un po’ perplessa.  “Eh? Io? Mi chiamo...” ci rifletté un momento, perché proprio non ricordava il proprio nome. Dopo un paio di secondi di riflessione rispose tutta contenta “Miori!”
Lui si sedette su una panchina, accomodandosi per bene contro il muro. Fece cenno anche a lei di sedersi, ma rimase ferma.
 “Posso sedermi sulle tue ginocchia?” chiese gentilmente. Non aveva neanche riflettuto a quello che aveva detto, ma quando lo fece si rese conto dell’assurdità della richiesta.
Ormai però gliel’aveva chiesto e non poteva di certo ritirarlo! Prima che potesse arrossire al pensiero di aver fatto qualcosa di irrimediabile, si sentì sollevare delicatamente ed atterrò sulle sue robuste gambe.
“Ah, così va bene?” le chiese lui sorridendo spontaneamente. Lei si girò verso l’uomo, gli donò un enorme sorriso e lo abbracciò. Senji rimase spiazzato per un momento, poi, anche lui allegro, le diede qualche pacca sulla schiena.
“Ora ti devono interrogare” cercò di informarla rispetto a ciò che avrebbe dovuto fare “sai che significa?”
La biondina, dubbiosa, gli chiese in cosa consistesse questa pratica che le era ignota. Le incuteva un po’ di timore, ma venne subito tranquillizzata
“Devi solo rispondere a quello che ti viene chiesto. Senza mentire”
“M-mentire?” cercò conferma “ma io non faccio queste cose orribili! Lo sanno tutti che non bisogna dire le bugie” affermò infastidita al solo pensiero che l’avesse paragonata, seppur lontanamente, ad una bugiarda.
Lui le appoggiò una mano sulla testa. “So bene che non mentirai, ma non tutti sanno bene come te che è una cosa brutta”

 

 
 
C’era una volta un corvo che viveva in una fitta foresta.
Era un bosco pieno di animali e di alberi di specie diverse. C’erano molte risorse e molta armonia, che vigeva indisturbata, non essendoci cacciatori o predatori che la spezzassero.
In realtà c’era bisogno di predatori, e in questa categoria ricadeva anche quel corvo.
Era grande e forte, bello e nel pieno delle forze. Aveva un piumaggio perfetto: le piume erano tinte di un lucido nero pece; il becco era appuntito e le zampe gagliarde.
Ogni giorno aveva bisogno di mangiare molto per continuare ad essere così vivace e attivo, ma arrivò un anno senza frutti.
Fino a quel momento era stato un animale terribile. Aveva mangiato altri uccelli, rovinando intere famiglie felici, ed ora loro lo ripagavano non condividendo con lui il poco cibo che riuscivano a reperire. Senza accorgersene era stato emarginato e allontanato, malvisto e considerato una minaccia. La punizione, seppur dettata da una natura spietata, era severa ma giusta.
Il corvo non capiva. Si riteneva solo offeso e pensava che gli altri uccelli fossero degli ingrati approfittatori.
Non aveva tempo per indugiare ulteriormente, rischiando di morire di fame, perciò, credendosi importante e nel giusto, si diresse deciso verso il nido di un usignolo, pronto a rubare tutto quello che sarebbe riuscito a trovare.
Nel nido c’era un usignolo, che covava cinque uova (era probabilmente la madre), mentre il padre era andato in cerca di cibo.
Aspettò il momento giusto per uscire allo scoperto, ma spinto dalla fame fu costretto ad accelerare i tempi. Avrebbe voluto rubare le uova di nascosto e senza essere visto, così da sentirsi meno in colpa per il terribile gesto.
“Ti prego, lasciaci in pace!” gridò la madre, che proteggeva dietro di sé le piccole ed indifese uova, che agli occhi del corvo erano solo cibo. La mamma piangendo e gridando cercò di richiamare l’attenzione del padre che, però, essendo molto lontano, non arrivò.
Venne sbattuta fuori dal nido e cadde a terra dall’alto albero. Era ancora in grado di volare e di difendersi  ma, temendo il predatore, fuggì senza pensarci due volte, abbandonando al loro destino i pulcini non ancora nati. 

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Capitolo 2
*** L'Usignolo ***


Storia di un Corvo di pece e dell’Angelo di zucchero filato
CAPITOLO 2~ L’usignolo

La porta dell’ingresso principale sbatté violentemente. Un uomo di circa quarantacinque anni dai capelli corti, disordinati, sulla nuca grigi e ai lati della testa neri, vestito in modo frettoloso con dei jeans e una camicia allacciata al contrario entrò con furia nell’edificio.
Teneva in bocca un pezzo di pane e cercava in ogni modo -ma inutilmente- di pettinarsi i capelli.
Il rumore della porta fece allarmare Kan, che accorse immediatamente all’ingresso per vedere chi stava arrivando. Nonostante si trovassero in una stazione di polizia e per un ladro sarebbe stato alquanto ridicolo intrufolarsi qui dentro, Kan era sempre molto apprensivo e preoccupato.
Poche settimane prima avevano avuto alcuni problemi... dopo l’organizzazione criminale che aveva appiccato il fuoco nell’orfanotrofio e le continue minacce che avevano ricevuto nei mesi precedenti non avevano motivo di rimanere tranquilli. Peccato che tutti gli altri si godevano la vittoria e se ne fregavano altamente di questi ‘incidenti’. Finché c’era Domon i superiori avrebbero sempre chiuso un occhio; inoltre li sfruttavano come ‘vittime sacrificali’, affidando loro una zona del Giappone talmente malfamata che nessuno avrebbe mai accettato di lavorare qui.
Ma non era certo per soldi che lavoravano a Tokyo. Il valore affettivo che li univa li spingeva a sperare che la città potesse risorgere dalle ceneri. Avrebbero tanto voluto vederla risplendere e rinascere prima della loro morte, così da essere sicuri di non aver sprecato una vita intera alla ricerca dell’ordine.
Quando l’uomo dagli occhiali vide il proprio capo entrare in quello stato, rimase basito per un momento. Era davvero così addormentato da non essersi accorto che era impresentabile?
“Domon! Ben arrivato!” gli disse cercando di non ridere.
“Ben arrivato un corno” sbottò l’altro, prendendo dalla bocca il pezzo di pane e mordendone una parte -questa era la sua colazione- “era il mio giorno libero, e mi chiami urgentemente alle due di notte?! Un giorno o l’altro ti spedisco in prigione per attentato alla salute del tuo capo” avrebbe dovuto sorridere nel fare una minaccia così insensata, ma rimase inspiegabilmente serio. Kan non aveva capito che si trattava di uno scherzo, un po’ per lo sguardo raggelante dell’altro, ma in particolare per le sue occhiaie. Forse le stava confondendo con delle rughe, ma Domon doveva essere comunque molto stanco. Per ben tre settimane consecutive aveva saltato il proprio giorno libero, e lavorava instancabilmente giorno e notte. Era sempre il primo ad aprire la porta e l’ultimo a chiuderla a chiave: era davvero degno di essere ammirato, e tutti erano felici di averlo come capo.
“S-sì, ma... potevi anche arrivare fra dieci minuti, non serviva che correvi in questo modo” fece una breve pausa, nel tentativo di rimettere la testa in ordine e di ideare un modo gentile con cui fargli capire che era davvero conciato male. Non riuscendoci, ci provò nella maniera più schietta possibile “Domon... la maglia” sospirò e si fece coraggio “hai la maglia leggermente al contrario”
Il quarantacinquenne lo guardò ancora assopito, poi recepì il messaggio.
“Ah, sì, sì, grazie Kan” finì il pezzo di pane e andò con noncuranza dentro l’ufficio per cambiarsi.
Dopo pochi minuti arrivò anche un altro uomo anziano dalla corporatura minuta e i tratti orientali, dai corti e lisci capelli neri e gli occhi a mandorla. Il suo volto era piccolo e rotondo, abbastanza chiaro e ricoperto di marcate rughe. Portava un completo blu scuro elegante, con cravatta, scarpe con un leggero tacco e giubbotto neri. Era un avvocato, uno stretto amico di Domon e un collaboratore della stazione di polizia. Non la frequentava spesso e non conosceva gli altri compagni, perché si presentava solo per interrogare i criminali. Era molto raro che lo chiamassero: solitamente non si occupavano di reati minori, o per questi non iniziavano un dispendioso processo.
Domon, dopo essersi guardato per la prima volta in uno specchio ed essersi accertato definitivamente di essere presentabile, si incontrò con l’altro davanti alla seconda sala degli interrogatori.
“Shuu, i fascicoli?” Domon chiese al collega se aveva preso i fogli che identificavano il criminale. Al contrario dell’avvocato che li aveva letti solo in parte, lui non aveva avuto abbastanza tempo per farlo, quindi non sapeva nulla su chi fosse o cosa avesse fatto.
L’altro prontamente gli porse una cartella bianca rigonfia, accentuando la massa delle informazioni rigirandola a destra e a sinistra. Senza dire nulla si erano capiti all’istante: era un criminale serio, per il quale valeva la pena cedere una notte di sonno.
Senji, che era rimasto in attesa fino a quel momento, sentendo le voci degli altri agenti fuori dalla sala decise di uscire. Spostò leggermente il flebile corpo della bambina dalle proprie ginocchia, appoggiandola sulla panca, perché nel frattempo lei si era quasi addormentata. La mise attaccata al muro così da evitare che cadesse.
“Torno subito” le bisbigliò per rassicurarla e farla riposare. In fin dei conti riteneva ingiusto trattarla come un adulto: anche se non conosceva la sua situazione, non riusciva a vederla come un nemico.
“I bambini hanno bisogno di dormire almeno dieci ore al giorno” sussurrò davanti alla porta e facendo per uscire. Però prima che potesse toccare la maniglia, Miori era già scattata in piedi con vivacità. Lo guardò timidamente e con lo sguardo estremamente impaurito, pallida e con le pupille nere dilatate, e afferrò saldamente la vigorosa mano dell’uomo.
“T-ti prego!” lo afferrò anche con l’altra mano “non te ne andare...” disse a bassa voce. Abbracciò Senji, ma le sue braccia erano talmente piccole e esili che riuscì a cingere solamente l’avambraccio dell’uomo.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non rimanere sola. Sapeva bene di essere piccola ed insignificante rispetto agli adulti ma questi sentimenti intimidatori non bastarono a fermarla.
Si fece coraggio, chiudendo gli occhi per mostrare forza e evitare di piangere, disse allentando la presa: “ho paura di rimanere da sola.” continuò seria “Se tu te ne vai, mi metto a piangere!”
Senji non sapeva come resistere a questa minaccia. Non aveva idea di come comportarsi con i bambini, in particolar modo quando si mettevano a piangere. Lo facevano sentire debole e cattivo, come se si stesse approfittando della loro ingenuità e innocenza. Per questo aveva sempre odiato chi se la prendeva con i più piccoli.
Anche lui era considerato il più giovane del gruppo della polizia. Era sottovalutato, ma voleva imparare a crescere come i suoi superiori. Anche se avrebbe preferito ricevere un altro soprannome, ‘Ragazzo’ era, secondo lui, sopportabile.
Tacque, imbarazzato e molto indeciso su cosa avrebbe dovuto fare. Continuò a fissarla mortificato, perché la bambina gli faceva talmente tanta tenerezza che non avrebbe mai osato negarle nulla. La guardò dritta negli occhi, immergendosi nel verde profondo del suo sguardo ora serio ora esitante, temerario ma intimidito allo stesso tempo.
“Ah, e va bene!” spostò lo sguardo da Miori alla porta, appoggiando la testa su di essa, come per rimangiarsi ciò che avrebbe detto “fa caldo e hai bisogno di aria, che qui dentro è irrespirabile. Ti porto a fare un giro” la usò come scusa per uscire e portarla con sé, pur andando a controllare cosa stava succedendo all’esterno.
Aprì la porta e si ritrovò davanti Domon e Shuu che lo guardavano perplessi, ma allo stesso tempo curiosi di vedere il volto del criminale in questione.
Quando Senji uscì tenendo per mano la bambina e lasciando aperta la stanza,  i due rimasero ancora più stupiti. Dov’era finito il famigerato delinquente?
“Hey, Senji! Non l’avrai fatto scappare?!” domandò alludendo al criminale.
L’avvocato, rimanendo calmo, ripensò ai fascicoli dell’assassino. Quando si ricordò che alcuni testimoni incolpavano una bambina di meno di dieci anni, additò Miori con arroganza e fece fermare Senji.
“E’ lei l’assassina, portala dentro!” fece sobbalzare i due che stavano andando tranquillamente a fare due passi, li fece girare a forza e li obbligò a fare l’interrogatorio.
Miori rimase ferma immobile, si fece prendere e trasportare all’interno della stanza da Domon, e rimase seduta su uno sgabello dalla parte opposta ai tre uomini.
Senji fu costretto ad abbandonare la manina fasciata di Miori, ma per rispetto rimase sulla soglia, al contrario degli altri due che si sedettero l’uno accanto all’atro. Era anche curioso di vedere di cosa veniva accusata una così misera bambina.
Si sarebbe anche divertito a difenderla fingendosi un avvocato, anche solo per provocare Shuu. Quell’uomo gli era sempre stato antipatico, perché parlava con altezzosità, era sempre egocentrico e squadrava dall’alto in basso chiunque gli si presentasse davanti. Probabilmente si riteneva fortunato a non essere uno squallido poliziotto.
Per Domon risultava alquanto complicato concentrarsi, dato che una criminale di sette anni non aveva mai avuto l’onore di conoscerla.
Prima dell’interrogatorio l’avvocato e il poliziotto leggevano il fascicolo del criminale, discutevano sulla situazione e sceglievano quali domande avrebbero fatto. Poi entravano nella sala e decidevano in che modo procedere e in che maniera presentarsi. Ma siccome erano stati costretti ad accelerare i tempi, dovettero fare tutto con Miori sotto i propri occhi.
Al contrario di come si era mostrata prima, ovvero fragile e sensibile, da quel momento in avanti rimase del tutto impassibile e seria. Stringeva con le mani il piccolo vestito bianco, mentre attendeva pazientemente che gli uomini le dicessero qualcosa. Senji l’aveva rassicurata, ripetendole di rimanere tranquilla, quindi era tutto sotto controllo. 
Domon diede inizio all’interrogatorio, leggendo sottovoce i rapporti di Kan sull’assassino che identificavano con Miori: “ha ucciso cinque persone, tre uomini e due donne, a colpi di pistola nella zona est della periferia di Tokyo. Le vittime erano persone comuni, non collegate fra loro... Mi stai prendendo in giro?” non capiva se si trattava di uno scherzo o se parlavano sul serio. Il suo compleanno era già passato da qualche mese, e non era il primo di Aprile ma era inizio Luglio, quindi non avrebbero avuto motivo di fargli alcun tipo di sorpresa. Scartò subito quest’idea, pensando a Shuu che per orgoglio non avrebbe mai accettato di fare una cosa simile, o a Kan che, pur di ricevere il tanto bramato aumento, avrebbe negato il proprio appoggio.
Sospirò irritato, si alzò in piedi e tirò fuori dalla tasca destra del pantalone una sigaretta singola e un piccolo accendino. Dopo averla accesa si sedette nuovamente e iniziò a fumare, mentre l’avvocato continuava a leggere, ignorando la domanda di Domon. Questo gli diede la conferma che non si trattava di un gioco.
“In tutti e cinque i casi li ha colpiti in piena fronte, dimostrando così una mira eccellente. Secondo alcune testimonianze, il crimine sarebbe sempre avvenuto di notte, tra l’una e le quattro. Alcuni inoltre dichiarano di aver visto una bambina scappare poco prima dell’arrivo della polizia sul luogo del delitto” concluse, poiché si era già fatto un’idea della situazione e aveva già tratto le proprie conclusioni.
Dopo aver letto ad alta voce alcune delle tante informazioni sulle cinque vittime, chiuse i fascicoli e li ripose all’interno della cartella bianca che consegnò a Senji. Lui sbirciava qualche scheda ogni tanto, mentre tossiva per il fumo del capo. Lo guardava sdegnato, odiava i fumatori, ma l’altro non si girava mai per incrociare il suo sguardo.
“Perché l’hai fatto?” chiese Domon con tono dolce ma sempre serio, ancora prima di farle altre domande più importanti. Solitamente volevano sapere tutto sul colpevole: si facevano dire il nome, il cognome, la data di nascita, il luogo in cui era nato e quello in cui risiedeva, le abitudini, gli amici e i parenti. Domandavano tutto più e più volte, insistendo con sempre maggiore violenza così da intimidire l’interlocutore. Funzionava quasi tutte le volte; a causa dello stress e dei sensi di colpa una buona parte dei colpevoli cedeva fin da subito.
In realtà non avevano molta esperienza in campo, perché la maggior parte dei criminali erano ragazzini o membri di gang. I primi erano semplicissimi da spaventare: al solo rumore delle sirene della polizia scappavano; ma gli ultimi erano molto pericolosi e non si facevano catturare tanto facilmente.
Lei, seduta su uno sgabello in metallo senza schienale, anche se con rispetto ed educazione negò fermamente dicendo: “Non ho ucciso nessuno. Non dico bugie
 “Tu li hai uccisi” si intromise Shuu, guardandola con distacco. La sua voce era molto forte perché voleva intimidirla. Secondo lui era questo l’approccio giusto: spaventarla per farle confessare l’accaduto. Dopo essersi rivolto a Miori guardò freddo il compagno, come per fargli capire che doveva adeguarsi. L’altro un po’ irritato evitò di continuare il discorso sia a gesti che verbalmente.
“No” rispose pacatamente Miori, scuotendo leggermente la testa. Manteneva una postura dritta e quando parlava guardava negli occhi il poliziotto. Stava combattendo contro la paura, accentuata dal tono di Shuu e dall’atmosfera molto pesante.
Sentiva molto freddo, nonostante si trovassero in piena estate. Quando toccava la sedia o il tavolo spostava con uno scatto le mani per evitare di venire a contatto col freddo. La stanza era molto piccola ed era rimasta lì dentro da troppo tempo. Ormai aveva posato lo sguardo su tutto all’interno e non vedeva l’ora di uscire per guardare qualcosa di nuovo.
 In quel momento le venne in mente il sole, i suoi raggi che sfiorano la superficie più esterna della pelle ma penetrano nel più profondo del cuore. Da quanto non vedeva il sole? Da quanto non usciva da quella prigione?
Senji, confuso, decise di rimanere in disparte. Non aveva idea di che persona fosse Miori, e non era riuscito a darsi una spiegazione. Per lui le prove erano inconfutabili, ma aveva il presentimento che per una volta si stessero sbagliando.
“Dove sono i tuoi genitori?” domandò Domon cambiando argomento. Non avrebbero ottenuto nulla continuando per quella strada, sarebbe stato molto difficile farle cambiare posizione.
La bambina rimase in silenzio per qualche secondo in più rispetto a come aveva risposto precedentemente, ma poi chiese: “cosa sono i genitori?”
“Persone che ti vogliono bene e che ti seguono. Insieme siete una famiglia” le rispose il quarantacinquenne prendendo con la mano destra la sigaretta dalla bocca per parlare meglio.
Lei rimase ferma, abbassò lo sguardo e divenne cupa “non ho nessuno che mi vuole bene... ma conosco un uomo che chiamo ‘padre’” quella parola le risultava strano pronunciarla. Non le piaceva per niente, anzi, le faceva paura.
Shuu le chiese di descriverlo, ma lei non seppe rispondere. Quando cercava di immaginarlo, lui appariva col volto coperto o di spalle. Non riusciva a ricordare nemmeno la sua corporatura, il suo abbigliamento o la sua statura, proprio come se quei ricordi fossero stati rimossi.
“m-mi dispiace, ma non me lo ricordo...” disse dispiaciuta mentre giocava con qualcosa che teneva in mano.
Senji rimase colpito dalla sua risposta: in qualche modo voleva dire che i genitori la maltrattavano, o che lei fuggiva di casa. Aveva parlato solo di un padre, non di una madre, quindi doveva avere una situazione familiare delicata.
“capisco” tagliò corto Shuu “cosa facevi da sola fuori di casa?” aveva completamente rivalutato la propria teoria ma non la riteneva del tutto innocente.  Secondo lui era l’assassina, ma obbediva agli ordini dei familiari o lo faceva perché costretta. Sapeva che mancavano ancora alcune informazioni fondamentali  ma, se qualcuno gli avesse detto che la sua teoria era incompleta o non del tutto esatta, lo avrebbe allontanato sicuramente a male parole.
“non ricordo bene...” disse abbassando lo sguardo sommesso.
Domon notò l’oggetto con cui stava giocherellando Miori, e le disse di darglielo.
“Questo? Certo! Ti piace la mia moneta?” rispose contenta porgendoglielo. Lo mise al centro della mano destra e lo mostrò ai presenti, facendolo vedere prima a Domon e Shuu e poi a Senji che si era avvicinato nel frattempo. Loro rimasero scioccati: non si trattava di una moneta, ma di una pallottola.
“Cosa ci fai con questo in mano?! Dove l’hai preso? E’ un proiettile!” Domon lo prese alzandosi in piedi e strappandoglielo di mano.
“L’ho raccolto qui fuori da terra. Ma non è un proiettile! Non vedi come luccica? Le monete luccicano, quindi è una moneta!” rispose tranquillamente sorridendo. Il suo ragionamento le sembrava ovvio.  Se è bello trovare delle monete allora dovevano essere felici per lei, quindi pensò  che forse la volevano tenere loro, ma quando la offrì in regalo a Domon, ricevette solo degli sguardi furibondi come ringraziamento.
Shuu toccò una spalla del collega, per poi fermarlo dicendo: “non giungere a conclusioni affrettate”
“Giusto. E se anche fosse lei il colpevole, non possiamo neanche mandarla in prigione, ma dobbiamo trovare suo padre”  finì Senji, incrociando le braccia al petto, eccitato per questo risvolto inaspettato dell’interrogatorio.
Domon prese la sigaretta consumata e la mise nel posacenere sul tavolo. Si calmò e si sedette.
“Perché hai le mani fasciate?” le chiese. Probabilmente era negato nel trovare argomenti di discussione interessanti. Ogni volta che quella notte aveva detto qualcosa aveva peggiorato la situazione.
“N-non lo so” tolse le fasce e mostrò le mani rosse. Sembravano piene di ferite da taglio che si stavano rimarginando. Batté le mani per vedere come si muovevano le dita. Anche lei era curiosa, perché non sapeva il motivo di quelle bende; appena vide le ferite si spaventò leggermente, si stava quasi convincendo di provare dolore, ma in realtà non riusciva a percepire più nulla dalle dita. Muoveva ciascun dito con attenzione, studiando il modo con cui si piegavano e si distendevano le ossa, le leggere pieghe che si venivano a creare e il leggero tremolio della mano. Analizzò ciascun particolare come se fosse una nuova scoperta.
 
Cosa ci faccio qui?
Si trovava al lato di una strada illuminata dalla flebile luce di un lampione. Rimase ferma vicino ad un bidone della spazzatura sul marciapiede sinistro, continuando a stringere le mani.
All’inizio non riusciva a mettere a fuoco tutti gli oggetti, nemmeno i più vicini, ma quando riuscì ad abituare gli occhi al giallo e al grigio che sovrastavano il cielo senza stelle vide un uomo alto, dalla corporatura robusta con degli occhialini grigi e i capelli corti quasi del tutto rasati che correva con una pistola in mano e un sorriso spaventoso stampato sul volto.
Le ricordava qualcosa quella figura grande rispetto a lei.
L’uomo si fermò e puntò la pistola verso un punto ben preciso. Sparò un colpo con destrezza, tenendo la mano ferma e premendo sicuro il grilletto.
Si sentì un grido, un lamento e poi silenzio.
Quando anche la figura si accorse di aver fatto centro, si voltò ridendo.
Sobbalzò spaventata. Ha... sparato?Chi è?
Quando si accorse che l’assassino stava camminando proprio verso di lei, decise di nascondersi per evitare di essere vista.
Si abbassò con terrore, portando entrambe le mani giunte davanti alla bocca e al naso pronta per trattene il respiro. Si stava preparando psicologicamente al momento in cui l’uomo si sarebbe affiancato a lei. Sperava che non la vedesse, che l’oscurità della notte fosse gentile e la nascondesse.
Si abbassò e toccò con la schiena una parte del muro.
Non riuscì a percepire nulla attraverso il tatto, quindi si girò lentamente e con sua sorpresa scoprì di aver attraversato la parete.
Eh? Sono un... fantasma? Si alzò senza riflettere.
L’uomo doveva averla vista sicuramente dato che continuava a camminare a qualche metro di distanza ma, non notando alcun tipo di reazione, Miori capì che poteva fare tutto ciò che voleva senza essere vista.
Si diresse verso il centro della strada, approfittando dell’opportunità di vedere il volto dell’assassino. Camminò nella sua direzione finché non gli arrivò proprio davanti. Squadrò per bene il suo viso, per ricordarlo meglio quando sarebbe tornata nella realtà.
Leggermente tremante attraversò il suo corpo e si fermò, mentre l’altro accelerava il passo e scappava.
Sentì un tonfo, seguito dal rumore delle sirene della polizia.

 
Si risvegliò con la voce di Domon che, stanco di aspettare una sua risposta, l’aveva presa per un braccio. “Ti sei incantata?”
Quando vide che si era ripresa, le riformulò spazientito la domanda del compagno “Avanti, cosa ci facevi qua fuori poco fa?!”
“Come ho detto non ricordo bene...” rispose ancora scossa dalla visione cha aveva avuto poco prima. Le era sembrato tutto molto reale, come se avesse davvero sentito lo sparo. Riusciva addirittura a sentire il vento notturno, e quando si era trovata sotto all’assassino aveva provato una strana sensazione nel vedere il suo volto. Guardò le proprie mani con timore, poi prese le bende e le riavvolse.
“Ma se l’assassina non sei tu, allora chi è? Tutte le prove ci conducono a te” disse esasperato Shuu. In qualche modo voleva crederle e le dava un’ultima possibilità.
Miori abbassò lo sguardo e rimase ferma immobile. Il suo corpo sembrava essere diventato rigido. Teneva stretto  con forza il vestito bianco e aveva iniziato a sudare. Morse il labbro inferiore con violenza, accavallando la gamba sinistra sulla destra e stringendole.
Senji non poté fare a meno di guardarla con dispiacere: quei gesti non sarebbero passati inosservati ai due interrogatori, che avrebbero trovato un modo per incolparla.
Shuu guardò Domon per chiedere conferma, poi disse a Miori con tono dolce per risultare più rassicurante: “Sei stata tu, non è vero?”
“No...”  strinse il vestito e le gambe talmente forte da farsi male.
“Anche se lo dici non ti succederà nulla. Confessalo” continuò l’anziano. I due avevano capito che si trattava delle conseguenze dello stress dell’interrogatorio, quindi sarebbe bastato chiederglielo ancora qualche volta e avrebbe ceduto.
“No, io... ahi... fa male” disse continuando a stringere le gambe e mantenendo una postura rigida.
“Ma cosa stai facendo?” domandò istintivamente Senji. Si sarebbe aspettato un qualunque tipo di risposta, ma non un ‘fa male’.
“Sappiamo bene che è un fardello molto pesante quello che stai sopportando. Fa male non poterlo dire a nessuno, vero?” cercò di persuaderla Domon, ignorando l’intervento inappropriato di Senji “puoi dire tutto a noi”
“D-devo andare al bagno” disse timidamente abbassando la testa per scusarsi. Non voleva fermare l’interrogatorio per una richiesta così banale ma non sarebbe riuscita a resistere ulteriormente.
Per Domon poteva finire lì tutto l’interrogatorio: non avrebbe resistito ulteriormente. Con rabbia la mandò via con Senji, si alzò e andò fuori dall’edificio esasperato a fumare l’ennesima sigaretta.
 
 
Il temibile corvo guardò dall’albero la madre cadere.
Si era accertato di non farle troppo male ma, ripensandoci, avrebbe fatto meglio ad ucciderla.
Quale madre vorrebbe vedere i propri figli negati della possibilità di vivere ancor prima di aver assaporato la vita stessa?
Si fermò un momento a riflettere. Avrebbe tanto voluto dire quanto gli dispiaceva, quanto si pentiva delle azioni compiute e delle crudeltà fatte ma, senza nemmeno accorgersene, si avvicinò ad un uovo con l’intento di mangiare.
Mangiare qualsiasi cosa pur di vivere.
Vivere.
E mangiare.
No.
Per mangiare.
Per vivere bisognava mangiare,quindi doveva mangiare.
“Sono stato uno stupido!” disse gridando, producendo un suono stridulo a metà tra un lamento ed un urlo. Non si era accorto del fatto che non poteva mangiare le uova “Ed ora quando si schiuderanno?”
Con violenza batté il becco sopra l’uovo più vicino a lui, rompendo lo strato superficiale che proteggeva il pulcino non ancora nato. Si crearono alcune crepe e l’uovo si aprì completamente, lasciando indifeso un essere nato prematuramente e non del tutto formato.
“Non sembra nemmeno un uccello” disse con disgusto il corvo ad alta voce, così che la madre lo potesse sentire “quindi tua madre non piangerà un proprio simile!”
Detto questo,lo mangiò con voracità assaporando dopo tanto tempo del delizioso cibo.
 

Angolo autrice
 

Salve, gente!
Ho scoperto che Kan ha un cuore. Sì, nutre profondi sentimenti per il proprio stipendio.
Già, mi sono inventata di sana pianta un avvocato/poliziotto giapponese. Non so quanti anni abbia... lo chiameremo ‘uomo dall’età ignota’. Anziano ma vero (?)
Non avevo la minima idea di come si svolgesse un interrogatorio! All’inizio Miori doveva essere tutta agitata (shi, così da inserire una scena carina carina con Senji >3<)ma alla fine si è mostrata seria. Ha stupito anche me (e poi col ‘mi metterò metto a piangere’ mi ha fatto dannare. Uso il presente perché ha solo 7 anni). Mi sono rotolata dalle risate quando Miori doveva andare al bagno. Fossi stata Domon sarei tornata a casa a dormire XD E poi io odio il sole. Non merita nemmeno la maiuscola.
“non avrebbe mai osato negarle nulla” vi assicuro che è una frase di difficile comprensione. Sono riuscita a mettere 4 negazioni su 6 parole. Diventerebbe “non avrebbe non sempre osato non dire di sì a non qualcosa” OwO (quando la leggo mi viene da ridere XD)
Ringrazio infinitamente Sarachan (>^<), Damned_Angel (>3<), Natsusan (*^*) e Yugiada (*O*) per aver recensito. Insieme a  Queen49 e Vanify (insieme a Masami e MrTeschietto che meritano grande stima).
 
Alice_nyan

Aspettatevi il capitolo 3 con un inseguimento, una diagnosi e una pistola! (e Lapras, il pokemon, versione uccello XD)

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